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Pier

Luigi Nervi
Gabriele Neri

Costruire è un’arte oppure una scienza? Attorno a questa domanda si è condensata la straordinaria
opera di Pier Luigi Nervi (1891-1979), l’ingegnere che mostrò agli architetti come coniugare la
schiettezza tecnica e le possibilità estetiche del cemento armato, le leggi immutabili della statica e
l’espressività delle forme nello spazio.
Lo fece ad esempio con lo stadio di Firenze, struttura che ne decretò il successo internazionale all’inizio
degli anni Trenta: nella sua ardita pensilina sospesa in aria e nelle sue scultoree scale elicoidali, molti
trovarono un faro per l’evoluzione dell’architettura moderna, una via per smarcarsi dall’esausto riciclo
degli stili architettonici del passato. Fu così che l’ingegner Nervi divenne «architetto fra i nostri più vivi,
nelle prime linee dell’avanzata intrapresa dai giovani per l’affermazione d’uno spirito e d’una
corrispondente realtà, attuale, interamente nuova».
Il segreto di Nervi risiedeva nel suo metodo progettuale, fatto di sperimentazione e di ferrea etica del
lavoro. Alla base delle sue impressionanti strutture c’erano anni e anni di esperienza in cantiere, alle
prese con un materiale innovativo e “difficile” come il cemento armato, il cui utilizzo era da scoprire
strada facendo, da inventare ogni giorno confrontandosi con il mondo reale, molto diverso dalla teoria
delle formule matematiche. Per questo Nervi studiava accuratamente le condizioni economiche e
materiali del suo tempo; per questo impiegò metodi di indagine scientifica rivoluzionari, come sofisticati
modelli in scala ridotta – un po’ come facevano Brunelleschi, Gaudí e altri geniali costruttori – capaci di
verificare l’efficacia delle sue geniali intuizioni.
L’eccezionalità delle opere di Nervi, o per meglio dire il presupposto per la loro esistenza, risiede quindi
nella capacità di interpretare le peculiari condizioni del panorama edilizio italiano e di tradurle in
invenzioni costruttive, da cui derivano le sue inconfondibili scelte formali. Perché Nervi non era solo
progettista ma anche imprenditore, e questo lo aiutò a dominare i suoi edifici dal progetto fino al
cantiere senza soluzione di continuità. «La più geniale fantasia progettistica è infatti impotente –
scriveva l’ingegnere – se non si accorda con le esigenze della tecnica, della statica, dell’economia, della
funzionalità o se, infine, viene menomata dalla insufficienza esecutiva, o annullata dalla incomprensione
del committente».
Senza queste premesse non si possono comprendere a fondo le aviorimesse prefabbricate di Orvieto e
Orbetello, le cui stupefacenti volte in cemento armato derivano da un procedimento costruttivo nato
negli anni dell’autarchia, quando i materiali scarseggiavano. Le travi della copertura furono divise in
segmenti, costruite a terra – così da poter lavorare in maniera più agevole e spedita – e poi montate
assieme come in un gigantesco Meccano, risparmiando soldi, tempo e fatica. Le intuizioni prebelliche
vennero affinate negli anni della ricostruzione e poi del boom economico, sfruttando il basso costo della
manodopera e aggirando la scarsa industrializzazione dell’edilizia in Italia: in altre parole, facendo di
necessità virtù. Nacquero così opere come il Palazzo delle Esposizioni di Torino, con la copertura fatta
di “onde” di ferrocemento, un materiale brevettato da Nervi per avere massima resa e niente sprechi;
oppure il Palazzetto dello Sport di Roma, costato appena 200 milioni di lire e costruito in soli quattordici
mesi.
La storia di Nervi si muove quindi di pari passo con quella del Paese. Negli anni della crescita economica
l’ingegnere – che molti chiamavano ormai architetto – ricevette numerosi incarichi dall’industria
italiana: ne sono prova gli stabilimenti costruiti per la Fiat; la Cartiera Burgo a Mantova; gli edifici per
l’ENI, per i Monopoli di Stato e ovviamente il grattacielo Pirelli, una delle strutture in cemento armato
più originali del pianeta, snella come l’ala di un aeroplano, ideata insieme all’amico Gio Ponti. E come i
prodotti della Pirelli, della Olivetti e di tante altre aziende, il made in Italy di Nervi venne richiesto ed
esportato in tutto il mondo, grazie anche all’aiuto dei figli Antonio, Mario e Vittorio, chiamati a lavorare
con lui. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta lo Studio Nervi lavorò in numerosi paesi – Austria,
Francia, Australia, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Kuwait, Sud Africa, Libia, Costa d’Avorio, Canada,
Stati Uniti, Brasile, ecc. – spesso affiancando progettisti del calibro di Luigi Moretti, Harry Seidler,
Bernard Zehrfuss, Marcel Breuer, Pietro Belluschi, ecc.
Ma al Nervi ingegnere, architetto, imprenditore e scienziato, bisogna aggiungere anche il suo ruolo di
instancabile docente e teorico: una dimensione inscindibile dalla pratica progettuale e di cantiere che lo
avvicina ad altri celebri colleghi, come Auguste Perret, Eduardo Torroja, Arturo Danusso, Félix Candela,
Ove Arup. Oltre a insegnare Nervi scrisse infatti diversi libri – i più celebri sono Scienza o arte del
costruire? e Costruire correttamente, del 1945 e 1955 – e innumerevoli articoli per le più importanti
riviste di architettura del mondo. Sulla carta provò a fissare i concetti sottesi alla sua attività costruttiva
e a mettere in evidenza la necessità di una corrispondenza esatta tra etica strutturale ed estetica
architettonica, convinto che architettura e ingegneria dovessero marciare di pari passo. Nel 1959 la sua
autorevolezza lo portò a tenere, su invito di Ernesto N. Rogers, un’importante rubrica sulla rivista
“Casabella” – dal titolo “Critica delle strutture” – che lo elevò ufficialmente ad arbitro dell’architettura
“strutturale” del tempo. Non fece sconti a nessuno: né a Niemeyer né a Paolo Soleri, Frank Lloyd Wright,
Jørn Utzon e Eero Saarinen, tutti colpevoli in diverso modo di creare strutture antieconomiche,
incoerenti, non funzionali.
Una delle altre chiavi di questo straordinario successo è stata la capacità di essere attuale rispetto alla
propria epoca e contemporaneamente in dialogo con alcuni temi universali, metastorici, senza tempo.
Spesso paragonato – soprattutto all’estero – ai nomi di Brunelleschi, di Michelangelo e degli altri grandi
architetti italiani del passato, Nervi (come Mies van der Rohe e Louis Kahn) focalizzò la sua attività sulla
definizione dei temi architettonici più elementari e grandiosi, legati soprattutto all’idea di coprire uno
spazio: il disegno di un pilastro, di un arco, di una volta, di una cupola. Si pensi agli enormi pilastri del
Palazzo del Lavoro di Torino, costruiti a una scala che rimanda all’architettura egizia; oppure alla Sala
delle Udienze Pontificie in Vaticano, dove il cemento – mischiato a polvere di marmo – crea forme
monumentali che sembrano dialogare con le strutture della vicina Basilica di San Pietro. O si guardino
le trame dei cosiddetti “solai a nervature isostatiche”, tracciate seguendo precise regole statiche che
all’improvviso – proprio come le nervature delle cattedrali gotiche inglesi – sublimano in qualcosa di
più: la struttura diventa ornamento, senza mai perdere coerenza e razionalità.
E difatti Nervi, pioniere delle più moderne tecniche costruttive, si riferiva spesso all’opera dei costruttori
delle grandi cattedrali per spiegare la sua idea di intima unione tra tecnica ed estetica, tra scienza e arte,
trovandovi risultati ancora insuperati: «Mi sono più volte proposto il problema di stabilire quali
istruzioni potrei dare in cantiere ai miei assistenti ed operai qualora, come costruttore, fossi posto
dinnanzi al problema di ricostruire uno dei rosoni di Notre Dame. Ebbene, debbo confessare che non
saprei da che parte cominciare, ed ho molti dubbi sulla possibilità di trovare in tutto il mondo,
un discreto numero di dirigenti di imprese di costruzioni capaci di affrontare tale problema».

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