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Mikell P.

Groover

tecnologia meccanica
A cura di
Michele Monno
www.cittastudi.it

Proprietà letteraria riservata


© 2012 John Wiley&Sons, Inc.
All Rights Reserved
This translation published under license
© 2014 De Agostini Scuola SpA – Novara
1ª edizione: settembre 2014
Printed in Italy

Titolo originale: Introduction To Manufacturing Processes


Traduzione di: Giulia Bruno

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Stampa: Grafiche Battaia – Zibido San Giacomo (MI)

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Anno:
2014 2015 2016 2017 2018
INDICE

Prefazione XI Bibliografia 58
I revisori XII Bibliografia box 59
Domande di ripasso 59
1 Introduzione e panoramica
della produzione 3 Proprietà dei materiali industriali
1.1 Che cos’è la produzione?  4 3.1 Stati di sforzo e deformazione  62
1.1.1  La definizione della produzione  4 3.1.1  Resistenza alla trazione  62
1.1.2  Industrie manifatturiere e prodotti  4 3.1.2  Proprietà di compressione  70
1.1.3  Capacità di produzione  6 3.1.3  Flessione e prove dei materiali fragili  72
1.1.4  I materiali impiegati nella produzione  8 3.1.4  Proprietà di taglio  72
1.2 I processi di produzione  9 3.2 Durezza  74
1.2.1  Operazioni di lavorazione  10 3.2.1  Prove di durezza  74
1.2.2  Operazioni di assemblaggio  13 3.2.2  Durezza dei materiali  76
1.2.3  Macchinari e attrezzature  14 3.3 Effetti della temperatura sulle proprietà
1.3 Organizzazione del libro  14 meccaniche 78
Bibliografia 15 3.4 Proprietà dei fluidi  79
Domande di ripasso 16 3.5 Comportamento viscoelastico dei polimeri  82
3.6 Proprietà volumetriche e di fusione  84
I Materiali per applicazioni industriali 3.6.1  Densità ed espansione termica  85
e proprietà dei prodotti 3.6.2  Caratteristiche di fusione  85
2 Materiali per applicazioni industriali 3.7 Proprietà termiche  87
3.7.1  C alore specifico e conducibilità
2.1 Metalli e leghe metalliche  19 termica 87
2.1.1 Acciai 26
2.1.2 Ghise 32 Bibliografia 88
2.1.3  Metalli non ferrosi  33 Domande di ripasso 89
2.1.4 Superleghe 38 Problemi 89
2.2 Ceramiche  39 4 Dimensioni, tolleranze e superfici
2.2.1 Ceramiche tradizionali 39
4.1 Quotatura e tolleranze  91
2.2.2 Ceramiche avanzate 41
4.1.1  Quote e tolleranze  91
2.2.3 Vetri 42
4.1.2  Altri descrittori geometrici  92
2.3 Polimeri  45
4.2 Superfici  93
2.3.1 Polimeri termoplastici 48
4.2.1  Caratteristiche delle superfici  93
2.3.2 Polimeri termoindurenti 49
4.2.2 Finitura superficiale  94
2.3.3 Elastomeri 51
4.2.3 Integrità superficiale 96
2.4 Compositi  53
2.4.1 Tecniche e classificazioni dei materiali 4.3 Effetti dei processi di produzione  97
compositi 53 Bibliografia 98
2.4.2 Materiali compositi 55 Domande di ripasso 99
VI Indice

Appendice A4: Misurazione di dimensioni Domande di ripasso 144


e superfici Problemi 144
A4.1 Strumenti di misura convenzionali  100
A4.1.1 Blocchetti pianparalleli 100
7 Processi di colata
A4.1.2 Strumenti di misura per dimensioni lineari  101 7.1 Colata in sabbia  147
A4.1.3  Strumenti di misura mediante comparazione  103 7.1.1  Modelli e anime  148
A4.1.4  Misurazioni di angoli  104 7.1.2  Forme e produzione delle forme  149
7.1.3 Colata 151
A4.2 Misurazione delle superfici  104
A4.2.1  Misura della rugosità di una superficie  104 7.2 Altri processi di colata in forma transitoria  151
A4.2.2  Valutazione dell’integrità superficiale  105 7.2.1 Shell molding 151
7.2.2  Colata in polistirolo espanso  152
5 Controllo di qualità e ispezione 7.2.3 Microfusione 153
7.2.4  Colata in gesso e in ceramica  155
5.1 Qualità del prodotto  107
7.3 Colata in forma permanente  156
5.2 Capacità di processo e tolleranze  108
7.3.1 Processo base della colata in forma
5.3 Controllo statistico di processo  109 permanente 156
5.3.1  Carte di controllo per variabili   110 7.3.2  Altri processi di colata in forma permanente  157
5.3.2  Carte di controllo per attributi   112 7.3.3 Pressofusione 158
5.3.3  Interpretazione delle carte  113 7.3.4  Squeeze casting e colata di metalli semisolidi  160
5.4 Programmi di qualità nella produzione  114 7.3.5 Colata centrifuga 161
5.4.1  La qualità totale  114 7.4 Pratica di fonderia  163
5.4.2 Sei Sigma 115 7.4.1 Forni 163
5.4.3 ISO 9000 118 7.4.2  Colata, finitura e trattamento termico  165
5.5 Principi di ispezione  118 7.5 Qualità dei grezzi  166
5.6 Tecnologie di ispezione moderne  120 7.6 Metalli da fonderia  169
5.6.1  Macchine di misura a coordinate  120
7.7 Considerazioni sulla progettazione dei prodotti  170
5.6.2 Visione artificiale 122
5.6.3  Altre tecniche di ispezione senza contatto  125 Bibliografia 172
Domande di ripasso 172
Bibliografia 125
Problemi 172
Domande di ripasso 126
Problemi 126 8 Processi di formatura della plastica
8.1 Proprietà dei polimeri fusi  176
II Processi di solidificazione 8.2 Estrusione  178
6 Fondamenti della colata dei metalli 8.2.1  Processo e attrezzatura  178
8.2.2 Analisi dell’estruso 181
6.1 Panoramica dei processi di colata  132
8.2.3  Configurazione della matrice e prodotti estrusi   185
6.1.1  Processo di colata  132
8.2.4 Difetti nell’estrusione 186
6.1.2  Colata in sabbia  133
6.2 Fusione e colata  134 8.3 Produzione di fogli e film  188
6.2.1  Fusione del metallo  134 8.5 Stampaggio a iniezione  191
6.2.2  Colare il metallo fuso  135 8.6.1  Processo e attrezzatura  191
6.2.3  Analisi ingegneristica della colata  135 8.6.2 Lo stampo 193
6.3 Solidificazione e raffreddamento  137 8.6.3  Ritiro e difetti nello stampaggio a iniezione  195
6.3.1  Solidificazione dei metalli  138 8.6.4  Altri processi di stampaggio a iniezione  197
6.3.2  Tempo di solidificazione  140 8.7 Stampaggio a compressione
6.3.3 Ritiro 140 e per trasferimento  199
6.3.4 Solidificazione direzionale 142 8.7.1  Stampaggio a compressione  199
6.3.5  Progettazione delle materozze  142 8.7.2  Stampaggio per trasferimento  201
Bibliografia 143 8.8 Considerazioni sul design dei prodotti  202
Indice VII

Bibliografia 204 IV Formatura dei metalli


Domande di ripasso 204 e lavorazione della lamiera
Problemi 205
10 Nozioni di base sulla formatura
dei metalli
III Lavorazione di polveri di metalli 10.1 Panoramica sulla formatura dei metalli  241
e ceramiche 10.2 Comportamento dei materiali nella formatura
9 Metallurgia delle polveri, cercamiche dei metalli  244
e cermets 10.3 Temperature nella formatura dei metalli  246
9.1 Produzione delle polveri metalliche  210 10.4 Attrito e lubrificazione nella formatura
9.1.1 Atomizzazione 211 dei metalli  248
9.1.2  Altri metodi di produzione  212 Bibliografia 250
9.2 Pressatura e sinterizzazione convenzionali  213 Domande di ripasso 250
9.2.1  Miscelazione e combinazione delle polveri  213 Problemi 250
9.2.2 Compattazione 214
9.2.3 Sinterizzazione 216 11 Processi di deformazione plastica
9.2.4 Operazioni secondarie 218 massiva dei metalli
9.3 Tecniche alternative di pressatura 11.1 Laminazione 253
e sinterizzazione  219 11.1.1  Analisi della laminazione piana  255
9.3.1 Pressatura isostatica 219 11.1.2 Calibratura 260
9.3.2  Stampaggio a iniezione di polveri  219 11.1.3 Laminatoi 261
9.3.3  Laminazione, estrusione e forgiatura 11.1.4  Altri processi relativi alla laminazione  262
delle polveri  220
11.2 Forgiatura  264
9.3.4  Pressatura e sinterizzazione combinate  221
11.2.1  Forgiatura a stampi aperti  266
9.3.5  Sinterizzazione con fase liquida  222
11.2.2  Forgiatura a stampi chiusi con bava  269
9.4 Materie prime e prodotti della metallurgia 11.2.3  Forgiatura senza bava  271
delle polveri  222 11.2.4  Magli, presse e matrici per la forgiatura  272
9.5 Linee guida progettuali nella metallurgia 11.2.5  Altri processi relativi alla forgiatura  275
delle polveri  223 11.3 Estrusione  277
9.6 Lavorazione delle ceramiche e dei cermet  225 11.3.1  Tipi di estrusione  277
9.7 Lavorazione delle ceramiche tradizionali  226 11.3.2 Analisi dell’estrusione 280
9.7.1  Preparazione della materia prima  226 11.3.3  Matrici e presse da estrusione  284
9.7.2  Processi di formatura  228 11.3.4  Altri processi di estrusione  285
9.7.3 Essicazione 230 11.3.5  Difetti dei prodotti estrusi  287
9.7.4 Cottura (sinterizzazione) 231 11.4 Trafilatura di fili e barre  288
9.8 Lavorazione delle ceramiche di nuova 11.4.1  Analisi della trafilatura  289
generazione   231 11.4.2  Consigli pratici sulla trafilatura  291
9.8.1  Preparazione dei materiali iniziali  231 11.4.3  Macchine e utensili per la trafilatura  292
9.8.2 Formatura 232 Bibliografia 294
9.8.3 Sinterizzazione 234 Domande di ripasso 295
9.8.4 Finitura 234 Problemi 295
9.9 Lavorazione dei cermet  234
9.9.1 Carburi cementati 234 12 Lavorazione della lamiera
9.9.2 Altri cermet e compositi a matrice ceramica  236 12.1 Operazioni di tranciatura  300
9.10 Considerazioni per la progettazione 12.1.1  Cesoiatura, tranciatura e punzonatura  301
dei prodotti  236 12.1.2  Analisi ingegneristica del taglio della lamiera  301
Bibliografia 237 12.2  Operazioni di piegatura  304
Domande di ripasso 238 12.2.1  Piegatura a V e piegatura ad angolo retto  304
VIII Indice

12.2.2  Analisi ingegneristica della piegatura  305 14 Lavorazioni per asportazione


12.2.3  Altre operazioni di piegatura e formatura  307 di truciolo e macchine utensili
12.3 Imbutitura  308 14.1 Forme dei pezzi nelle lavorazioni per asportazione
12.3.1 Meccanica dell’imbutitura 308 di truciolo  353
12.3.2  Analisi ingegneristica dell’imbutitura  310
14.2 Tornitura  356
12.3.3  Altre operazioni di imbutitura  312
14.2.1  Condizioni di taglio in tornitura  356
12.3.4 Difetti nell’imbutitura 313
14.2.2  Operazioni legate alla tornitura  357
12.4 Altre operazioni di lavorazione 14.2.3  Il tornio parallelo  359
della lamiera  314 14.2.4  Altri tipi di torni e macchine da tornitura  361
12.4.1  Operazioni eseguite con utensili di metallo  314 14.2.5  Macchine da barenatura  363
12.4.2 Processi di formatura con utensili
14.3 Foratura  364
in gomma  315
14.3.1  Condizioni di taglio in foratura  365
12.5 Stampi e presse per la lavorazione
14.3.2  Operazioni legate alla foratura  366
della lamiera  317
14.3.3 Trapani 367
12.5.1 Stampi 317
12.5.2 Presse 318 14.4 Fresatura  368
12.6 Operazioni di lavorazione della lamiera 14.4.1  Tipi di fresatura  369
non eseguite su presse  322 14.4.2  Condizioni di taglio in fresatura  371
12.6.1  Piegatura per stiramento  322 14.4.3 Fresatrici 373
12.6.2 Calandratura e rullatura  323 14.5 Centri di lavoro e centri di tornitura  375
12.6.3  Imbutitura al tornio  324 14.6 Altre operazioni di lavorazione per asportazione
12.6.4  Formatura ad alta energia  325 di truciolo  378
Bibliografia 326 14.6.1  Limatura e piallatura  378
Domande di ripasso 326 14.6.2 Brocciatura 380
Problemi 327 14.6.3 Segatura 381
14.7 Lavorazione per asportazione di truciolo ad alta
V Processi per asportazione velocità 382
di truciolo 14.8 Tolleranze e finitura superficiale  383
14.8.1 Tolleranze nelle lavorazioni per asportazione
13 Teoria della lavorazione di truciolo  384
per asportazione di truciolo
14.8.2 Finitura superficiale nelle lavorazioni
13.1 Panoramica delle lavorazioni per asportazione per asportazione di truciolo  385
di truciolo  332 14.9 Considerazioni sulla progettazione
13.2 Teoria della formazione del truciolo nella lavora- dei prodotti nelle lavorazioni per asportazione
zione per asportazione di truciolo  336 di truciolo  388
13.2.1  Il modello di taglio ortogonale  336
Bibliografia 390
13.2.2  Formazione del truciolo  338
Domande di ripasso 391
13.3 Relazioni tra le forze e equazione di Merchant  340 Problemi 391
13.3.1  Forze di taglio  340
13.3.2  L’equazione di Merchant  343 15 Utensili da taglio
13.4 Relazioni di potenza ed energia nella lavorazione 15.1 Vita utile degli utensili  395
per asportazione di truciolo   344 15.1.1 Usura dell’utensile 396
13.5 Temperatura di taglio  347 15.1.2  Vita dell’utensile e equazione di Taylor  397
13.5.1 Metodi analitici di calcolo delle temperature
15.2 Materiali degli utensili  401
di taglio  348
15.2.1  Acciaio rapido e suoi predecessori  403
13.5.2  Misura della temperatura di taglio  348
15.2.2  Leghe al cobalto  404
Bibliografia 350 15.2.3 Carburi sintetizzati, cermet e carburi rivestiti  405
Domande di ripasso 350 15.2.4 Utensili ceramici 408
Problemi 351 15.2.5  Diamanti sintetici e nitruro di boro cubico  409
Indice IX

15.3 Geometria degli utensili  409 17.6 Tecniche di microfabbricazione   475


15.3.1  Forma degli utensili a punta singola  409 17.7 Prodotti basati su microsistemi  476
15.3.2  Utensili a taglienti multipli  413 17.7.1  Tipi di dispositivi basati su microsistemi  477
15.4 Fluidi da taglio  416 17.7.2  Applicazioni dei microsistemi  478
15.4.1  Tipi di fluidi da taglio  416 17.8 Processi di microfabbricazione  479
15.4.2  Applicazioni dei fluidi da taglio  417 17.8.1  Processi di stratificazione del silicio  480
15.5 Lavorabilità  418 17.8.2 Processo LIGA 483
15.6 Economie delle lavorazioni per asportazione  421 17.8.3  Altri processi di microfabbricazione  485
15.6.1 Scelta dell’avanzamento e della profondità Bibliografia 487
di taglio  421 Domande di ripasso 489
15.6.2  Velocità di taglio  421 Problemi 489
Bibliografia 427
Domande di ripasso 428 VI Processi di giunzione
Problemi 428 e assemblaggio
18 Concetti di base della saldatura
16 Rettifica e altri processi e processi di saldatura
di asportazione con abrasivi
18.1 Panoramica della saldatura  496
16.1 Rettifica  431
18.1.1  Tipi di processi di saldatura  496
16.1.1 La mola 432
18.1.2 La saldatura come operazione
16.1.2  Analisi del processo di rettifica  436
commerciale 497
16.1.3  Considerazioni sull’applicazione della rettifica  441
16.1.4  Operazioni di rettifica e macchine da rettifica  442 18.2 Il giunto saldato  498
18.2.1  Tipi di giunti  498
16.2 Altri processi abrasivi  448
18.2.2  Tipi di saldature  499
16.2.1 Levigatura (honing) 449
16.2.2 Lappatura (lapping) 450 18.3 Fisica della saldatura  501
16.2.3 Superfinitura (superfinishing) 451 18.3.1  Densità di potenza  501
16.2.4  Lucidatura (polishing) e pulitura (buffing)  451 18.3.2 Bilanciamento termico nella saldatura
per fusione  503
Bibliografia 452
Domande di ripasso 452 18.4 Caratteristiche di un giunto saldato per fusione  505
Problemi 453 18.5 Processi di saldatura  506
18.6 Saldatura ad arco  507
17 Processi di lavorazione 18.6.1  Tecnologia generale della saldatura ad arco  507
non convenzionali 18.6.2 Processi di saldatura ad arco – elettrodi
17.1 Processi meccanici  456 consumabili 510
17.1.1  Lavorazione a ultrasuoni  456 18.6.3  Elettrodi non consumabili  514
17.1.2  Processi a getto d’acqua  457 18.7 Saldatura a resistenza  516
17.1.3  Altri processi abrasivi non convenzionali  458 18.7.1 Sorgente di potenza nella saldatura
17.2 Processi elettrochimici  459 a resistenza  517
17.2.1 Lavorazione elettrochimica 460 18.7.2  Processi di saldatura a resistenza  518
17.2.2 Rimozione di bave e rettifica elettrochimiche  462 18.8 Saldatura a ossicombustibile  522
17.3 Processi termici  464 18.8.1 Saldatura ossiacetilenica 522
17.3.1  Processi di elettroerosione  464 18.8.2  Altri gas nella saldatura a ossicombustibile  523
17.3.2  Lavorazione a fascio elettronico  467 18.9 Altri processi di saldatura per fusione  524
17.3.3  Lavorazione a fascio laser  467
18.10 Saldatura allo stato solido  527
17.4 Processi chimici  469 18.10.1 Considerazioni generali sulla saldatura allo
17.4.1  Meccanica e chimica dei processi chimici  469 stato solido  527
17.4.2 Processi CHM 471 18.10.2 Processi di saldatura allo stato solido  528
17.5 Considerazioni sulle applicazioni  475 18.11 Qualità dei giunti  533
X Indice

18.12 Considerazioni sulla progettazione 19.9 Inserti di stampaggio e fissaggi integrali  568
delle saldature  537 19.10 Progettazione dell’assemblaggio  570
Bibliografia 538 19.10.1 Principi generali della progettazione
Domande di ripasso 538 dell’assemblaggio 570
Problemi 539 19.10.2 Progettazione dell’assemblaggio
automatico 571
19 Brasatura, brasatura dolce, incollaggio Bibliografia 572
e assemblaggio meccanico Domande di ripasso 573
19.1 Brasatura  543 Problemi 574
19.1.1 Giunti brasati 544
19.1.2  Metalli di apporto e fondenti  546
19.1.3  Metodi di brasatura  546
VII S
 istemi di produzione
19.2 Brasatura dolce  548 20 Sistemi di produzione e pianificazione
19.2.1  Progettazione dei giunti nella brasatura dolce  549 dei processi
19.2.2  Metalli di apporto e fondenti  550 20.1 Panoramica dei sistemi di produzione  579
19.2.3  Metodi di brasatura dolce  551 20.1.1  Impianti di produzione  579
19.3 Incollaggio  553 20.1.2  Sistemi di supporto alla produzione  582
19.3.1  Progettazione del giunto  554 20.2 Pianificazione di processo  583
19.3.2  Tipi di adesivi  555 20.2.1  Pianificazione di processo tradizionale  584
19.3.3  Tecniche di applicazione degli adesivi  555 20.2.2  Scelta di Make or buy  587
19.4 Assemblaggio meccanico  557 20.2.3  Pianificazione di processo computer-aided  589
19.5 Elementi di fissaggio filettati  557 20.2.4 Problem solving e miglioramento
19.5.1  Viti, bulloni e dadi  557 continuo 591
19.5.2  Altri elementi di fissaggio filettati  559 20.3 Concurrent engineering e producibilità  591
19.5.3  Tensioni e resistenze dei giunti imbullonati  560 20.3.1 Design for manufacturing e Design for assem-
19.5.4 Utensili per gli elementi di fissaggio filettati bly 592
e loro utilizzo  562 20.3.2 Concurrent enegineering 593
19.6 I rivetti  563 Bibliografia 595
19.7 Metodi di assemblaggio basati Domande di ripasso 595
sull’interferenza 564
19.8 Altri metodi di fissaggio meccanico  567 Indice analitico 597
prefazione

Le tecnologie di lavorazione meccanica costituiscono, pure Si è dovuto inoltre affrontare il tema dei supporti mul-
in un periodo di crisi globale, la base della produzione mani- timediali che possono rendere più efficace l’apprendimento
fatturiera, pilastro fondamentale dell’economia industriale della materia. II lavoro che ne è derivato è stato molto piu
del nostro Paese. complesso di quanto inizialmente si potesse immaginare e
Per lo stesso motivo la conoscenza dei processi tecno- continuerà nel tempo con l’obiettivo di mantenere viva l’at-
logici, partendo da quelli tradizionali, costituisce un essen- tualità dei contenuti aggiornandoli continuamente .
ziale elemento nella formazione dell’ingegnere industriale. Per l’edizione italiana si è deciso di dare maggiore rilie-
II mondo che ci circonda è largamente popolato da “manu- vo alle tecnologie di trasformazione per fusione, deforma-
fatti” ovvero da oggetti che derivano dall’ancestrale desiderio zione plastica e asportazione di truciolo, ma anche di mante-
dell’umanità di migliorare le proprie condizioni di vita dotandosi nere i contenuti relativi alle lavorazioni non convenzionali,
di strumenti, attrezzi, utensili, e poi di tecnologie di trasforma- alle tecnologie di lavorazione dei materiali quali ceramiche
zione in grado di lavorare con materiali sempre piu complessi. e polimeri, ai processi di saldatura, alla qualità e ai sistemi
A partire dal legno e dalle selci, attraversando le ere ca- di produzione.
ratterizzate dalla trasformazione di metalli e leghe a tempe- Altri capitoli del volume originale sono disponibili sul
rature di fusione sempre piu elevate, e giungendo infine ai sito, tra cui i processi di lavorazione del vetro e di formatu-
materiali di sintesi, ai ceramici, ai sinterizzati e agli smart ra per gamma e composti di matrice polimerica, insieme ai
materials, le tecnologie di lavorazione sono oggetto di una supporti multimediali.
evoluzione continua che un testo con finalita didattiche I curatori dell’edizione italiana e l’editore saranno grati
come il Groover ben rappresenta. a quanti vorranno segnalare, attraverso il sito, errori sfuggi-
L’edizione italiana, che l’editore ci ha richiesto di curare, ti alla nostra attenzione, ma anche suggerimenti e osserva-
rappresenta un equilibrio tra piu esigenze concomitanti: sulla zioni su come migliorare e rendere maggiormente efficace
necessità di rispettare l’impostazione omnicomprensiva data il volume per l’apprendimento.
dall’autore del volume con i contenuti previsti dai programmi
degli insegnamenti di tecnologia meccanica per allievi inge- luglio 2014,
gneri meccanici e, piu in generale,per gli studenti di corsi di Michele Monno
laurea che si richiamano all’ingegneria industriale.
I revisori

II progetto della versione italiana del testo è stato curato coinvolgendo Professori e Ricercatori della Sezione di Tecno-
logie Meccaniche e Produzione del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.

Paolo Albertelli
Massimiliano Annoni
Marcello Colledani
Bianca Maria Colosimo
Andrea Matta
Michele Monno
Giovanni Moroni
Alessandra Pighi
Barbara Previtali
Lara Rebaioli
Matteo Strano
tecnologia meccanica
Introduzione e panoramica

Capitolo 1
della produzione

Realizzare e costruire sono state le attività essenziali della civiltà umana prima ancora
che la storia iniziasse a essere documentata.
Oggi, il termine produzione industriale indica proprio questa attività. Per ragioni sia
tecniche che economiche e sociali, il settore manifatturiero ha assunto nel tempo un
rilievo sempre più importante per garantire il livello di benessere dei Paesi sviluppati e di
crescita per quelli in via di sviluppo.
Con il termine tecnologia definiamo l’utilizzo delle conoscenze scientifiche a vantaggio
della società. La tecnologia influisce sulla nostra vita quotidiana direttamente e indiret-
tamente in moltissimi modi: si consideri l’elenco dei prodotti riportati in Tabella 1.1, essi
rappresentano una vasta gamma di applicazioni tecnologiche volte al miglioramento del-
la vita. Che cosa hanno in comune questi prodotti? Sono tutti il risultato di un processo di
produzione e non sarebbero disponibili per gli utenti se non ci fossero state le condizioni
per fabbricarli. La produzione è il fattore cruciale che rende possibile l’impiego delle
tecnologie.
Dal punto di vista economico, la produzione è un importante mezzo tramite il quale una
nazione crea ricchezza. Negli USA, per esempio, l’industria manifatturiera genera circa
il 12% del prodotto interno lordo (PIL). Anche le risorse naturali di un Paese, come gia-
cimenti minerari e riserve di petrolio o terreni agricoli creano ricchezza. Negli Stati Uniti
i settori agricolo, minerario e simili rappresentano meno del 5% del PIL (l’agricoltura da
sola è l’1%). L’edilizia e i servizi pubblici costituiscono circa il 5%. Il resto è legato al set-
tore dei servizi, tra cui attività commerciali, trasporti, attività finanziarie, comunicazione,
istruzione e amministrazione. Il settore dei servizi rappresenta attualmente oltre il 75%
del PIL degli Stati Uniti. Le sole attività amministrative rappresentano una quota del PIL
analoga a quella dell’intero settore manifatturiero, ma di per sé queste attività non pro-
ducono ricchezza.
Nell’economia globale moderna una nazione necessita di una forte base manifatturiera
(o di notevoli risorse naturali) se vuole avere un’economia solida e un elevato standard di
vita per i cittadini. In questo capitolo introduttivo verranno analizzati alcuni argomenti ge-
nerali relativi alla produzione. Cos’è la produzione? Com’è organizzata nelle industrie?
Quali sono i processi che la compongono?
4 Tecnologia meccanica

TABELLA 1.1 Prodotti che rappresentano diverse tecnologie, molti dei quali interessano un grande numero di utilizzatori.

Aereo supersonico Macchina per la risonanza magnetica Scanner ottico


Automobile ibrida gas-elettrica Lampadina fluorescente Scarpe da ginnastica
Bicicletta Lattina Schermo piatto per televisione ad alta definizione
Biro Lavastoviglie automatica Sedia da esterni in plastica
Calcolatrice elettronica tascabile Lavatrice e asciugatrice Sistema di posizionamento globale
Circuito integrato Lenti a contatto Sportello automatico
Compact disc (CD) Lettore CD Stampante a colori a getto d’inchiostro
E-book reader Orologio da polso al quarzo Telefono cellulare
Fax Personal computer (PC) Tosaerba
Forno a microonde Pneumatico Videogiochi
Fotocopiatrice Racchetta da tennis Video digitale (DVD)
Macchina fotografica digitale Robot industriale

1.1  Che cos’è la produzione?

Per meglio definire la produzione si usa spesso il termine manifattura, che deriva da
due parole il cui significato è “fatto a mano”. Il termine anglosassone manufacturing
risale a diversi secoli fa ed è nato per descrivere i metodi manuali di fabbricazione uti-
lizzati in quel tempo. La produzione moderna invece avviene, in generale, con l’impiego
di macchinari automatizzati e computerizzati.

1.1.1 La definizione della produzione


Nel contesto moderno, la produzione può essere vista sotto due differenti profili, uno
tecnico e l’altro economico. Dal punto di vista tecnico, la produzione è l’applicazione
di processi fisici e chimici atti a modificare la geometria, le proprietà, e/o l’aspetto di
un materiale in ingresso per realizzare un prodotto o parti di esso; la produzione com-
prende l’assemblaggio delle parti per formare il prodotto finale. I processi di produzione
necessitano di una combinazione di macchinari, utensili, energia e lavoro, come illu-
strato nella Figura 1.1 (a). La produzione è quasi sempre effettuata come una sequenza
di operazioni. Ogni operazione porta il materiale ad uno stato più vicino a quello finale.
Dal punto di vista economico, la produzione è la trasformazione di materie prime
o semilavorati in oggetti di maggiore valore mediante una o più trasformazioni e/o
operazioni di assemblaggio, come illustrato nella Figura 1.1 (b). Il punto chiave è che
la produzione aggiunge valore al materiale modificandone la forma o le proprietà, o
combinandolo con altri materiali alterati in modo analogo. Il valore aggiunto al mate-
riale aumenta dopo l’applicazione dei processi di produzione. Per esempio, quando si
converte un minerale di ferro in acciaio, se ne aumenta il valore. Quando la sabbia viene
trasformata in vetro, il valore aumenta. Quando il petrolio estratto dal sottosuolo viene
raffinato e successivamente trasformato in plastica, si ottiene un prodotto di maggior
valore. E quando la plastica è stampata nella forma di una sedia da esterni, il valore
aumenta ancora di più.

1.1.2 Industrie manifatturiere e prodotti


Nei paragrafi seguenti approfondiremo questo rapporto esaminando dapprima le tipolo-
gie di industrie di produzione e poi analizzando i prodotti che realizzano.
Introduzione e panoramica della produzione 5

3URFHVVR

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6FDUWL LQL]LDOH VRWWRSURFHVVR SURFHVVDWR
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Figura 1.1  Due modi per definire la produzione: (a) come un processo tecnico, (b) come un processo economico. (Fonte: Funda-
mentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Industrie manifatturiere  Si tratta di imprese o organizzazioni industriali che pro-


ducono o forniscono beni e servizi. Le industrie possono essere classificate come prima-
rie, secondarie o terziarie. Le trasformazioni primarie utilizzano le risorse naturali (per
esempio agricole e minerarie). Nelle trasformazioni secondarie si utlizzano gli output
delle industrie primarie che vengono convertiti in beni di consumo e prodotti finiti. In
questa categoria, l’attività principale è la produzione, ma sono incluse in questa classifica-
zione anche l’edilizia e i servizi energetici. Le attività terziarie costituiscono il settore dei
servizi. La Tabella 1.2 riporta degli esempi di industrie appartenenti a queste categorie.
In questo testo ci riferiremo sistematicamente alle industrie secondarie della Tabel-
la 1.2, ovvero a quelle che si occupano di produzione. Tuttavia, lo standard internazio-
nale della classificazione industriale (International Standard Industrial Classification
– ISIC), utilizzato per compilare la tabella, include diverse industrie le cui tecnologie
di produzione non verranno trattate nel seguito, ne sono esempi i prodotti chimici e di
trasformazione alimentare. Inoltre, pur appartenendo al settore manufatturiero, non ci
occuperemo di altre importanti produzioni industriali (quali carta, legno, tessuti per
l’abbigliamento, prodotti farmaceutici o di editoria ecc.).

Prodotti  I prodotti finali realizzati dalle industrie possono essere suddivisi in due ca-
tegorie principali: beni di consumo e beni strumentali. Si definiscono beni di consumo i

TABELLA 1.2 Esempi di industrie primarie, secondarie e terziarie.

Primarie Secondarie Terziarie


Agricoltura Abbigliamento Energetica Amministrazione Istruzione
Allevamento Aerospaziale Farmaceutica Assicurazioni Legale
Estrazione Alimentare Gomma e pneumatici Bancario Riparazione e manutenzione
Giacimenti petroliferi Apparecchi di consumo Legno e mobili Beni immobiliari Ristorazione
Pesca Automobilistica Macchinari pesanti Comunicazioni Salute
Silvicoltura Attrezzature Metallurgica dei Materiali Finanza Trasporti
Carta Plastica Hotel Turismo
Chimica Raffinamento petrolio Informazioni Vendita al dettaglio
Computer Tessile Intrattenimento Vendita all’ingrosso
Edilizia Vetro e ceramiche
Editoriale
Elettronica
6 Tecnologia meccanica

prodotti acquistabili direttamente dai consumatori, come automobili, personal computer,


televisori, pneumatici, racchette da tennis. I beni strumentali sono invece quelli acquistati
dalle aziende per produrre altri beni e/o fornire servizi. Esempi di questi beni sono aerei,
computer, apparecchiature mediche, camion e autobus, locomotive, strumenti industriali
e attrezzature per l’edilizia. La maggior parte di questi beni sono acquistati dalle industrie
terziarie. Nel paragrafo introduttivo di questo capitolo si era evidenziato che la produzione
rappresentava circa il 12% del PIL degli USA e i servizi oltre il 75%. Bisogna però sotto-
lineare che i fattori abilitanti dei servizi sono i beni strumentali acquistati dalle industrie
secondarie. Senza i beni strumentali, il settore dei servizi non potrebbe funzionare.
Oltre ai prodotti finali esistono i materiali, i componenti e gli approvvigiona-
menti che sono usati dalle aziende che realizzano i prodotti finali, per esempio le lamie-
re d’acciaio, le barre, gli stampi metallici, le parti lavorate, le modanature di plastica, gli
utensili da taglio, le matrici, gli stampi e i lubrificanti. Le industrie manifatturiere fanno
parte di una infrastruttura complessa con diverse categorie e diversi livelli di fornitura
che il consumatore finale generalmente non vede.
Questo volume si occupa di produzione discreta – realizzazione di parti singole
o prodotti assemblati – e non di elementi prodotti da processi continui. Uno stampato
metallico è un prodotto discreto, ma le billette metalliche utilizzate per lo stampaggio
derivano da un prodotto (quasi) continuo. Molti prodotti discreti nascono come prodotti
continui o semi-continui, ne sono esempi barre estruse o fili elettrici, che poi vengo-
no tagliati nella dimensione desiderata. Una raffineria di petrolio costituisce un tipico
esempio di processo continuo.

Quantitativi di produzione e varietà di prodotti  Il quantitativo di prodotti da rea-


lizzare influenza notevolmente il modo in cui sono organizzate le persone, le strutture e le
procedure di una fabbrica. I quantitativi di produzione annuali possono essere classificati
in tre gruppi: (1) produzione in serie limitata, per quantitativi da 1 a 100 unità l’anno, (2)
produzione media, da 100 a 10.000 unità l’anno e (3) produzione grande serie, da 10.000
a milioni di unità. I confini tra le tre categorie sono comunque arbitrari. Infatti, a seconda
della tipologia dei prodotti, i limiti possono variare anche di un ordine di grandezza.
Il lotto di produzione si riferisce al numero di unità di un particolare tipo di prodotto
fabbricato annualmente. Alcuni impianti producono diversi tipi di prodotti, ognuno in
quantità basse o medie, altri impianti sono specializzati nella produzione, in numero ele-
vato, di un solo tipo di prodotto. La varietà di prodotto va considerata come parametro
distinto dal volume di produzione. Essa si riferisce infatti al numero di prodotti diversi
che sono realizzati in uno stabilimento. Prodotti diversi hanno forme e dimensioni diver-
se, svolgono funzioni differenti, sono destinati a mercati diversi, alcuni hanno più com-
ponenti di altri, e così via. Il numero di prodotti diversi realizzabili all’anno è limitato.
Se tale numero è elevato, significa che la fabbrica ha una grande varietà di produzione.
Vi è generalmente una correlazione inversa tra varietà di prodotto e dimensione dei
lotti di produzione in termini di operazioni industriali. Se vi è grande varietà di prodotti
in una fabbrica, allora la dimensione media dei lotti di produzione tenderà ad essere
bassa, mentre dove tale dimensione risulti elevata, la varietà di prodotto sarà bassa,
come illustrato nella Figura 1.2. Gli impianti di produzione tendono a specializzarsi
verso una combinazione di quantitativo di produzione e di varietà di prodotto che si
trova all’interno della banda diagonale della Figura 1.2.

1.1.3 Capacità di produzione


Un’azienda di produzione non può realizzare qualsiasi prodotto. Di solito l’azienda è
specializzata nella produzione di una certa tipologia di manufatti e deve mantenere
Introduzione e panoramica della produzione 7

Figura 1.2  Relazione tra

Varietà di prodotto
la varietà di prodotti e la
Bassa numerosità dei lotti pro-
duzione nella produzione
discreta o per parti. (Fon-
Media
te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th
Alta Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
Quantitativo di produzione Wiley & Soneves, Inc.)

un elevato livello di efficienza e qualità per rimanere competitiva nel suo settore. La
capacità produttiva si riferisce ai limiti tecnici e fisici di un’impresa e dei suoi impianti.
Si possono analizzare diverse tipologie di capacità: (1) la capacità tecnica, (2) i limiti di
capacità legati a dimensioni e peso del prodotto e (3) la capacità produttiva.

Capacità tecnica  La capacità tecnica di un’azienda è l’insieme dei suoi processi


produttivi. Alcuni impianti eseguono operazioni di lavorazione, altri trasformano bil-
lette di acciaio in pezzi forgiati e altri ancora costruiscono automobili. Un venditore di
macchine non può laminare l’acciaio e un laminatoio non può costruire automobili. La
caratteristica fondamentale che distingue gli impianti è il processo che possono ese-
guire. La capacità tecnica è strettamente legata al tipo di materiale utilizzato. Alcuni
processi di produzione sono adatti a certi materiali e altri processi sono adatti ad altri
materiali. Specializzandosi in un determinato processo o insieme di processi, l’impianto
si specializza automaticamente nella lavorazione di alcuni tipi di materiali. La capacità
tecnica non coinvolge solo i processi fisici, ma anche le competenze professionali del
personale che lavora presso gli impianti in relazione alle specifiche tecnologie di lavo-
razione. Le aziende manufatturiere sono focalizzate sulla progettazione e sulla produ-
zione di prodotti compatibili con la loro capacità tecnica.

Limitazioni fisiche di prodotto  Il secondo aspetto della capacità di produzione


sono le caratteristiche fisiche del prodotto. Un impianto con un dato insieme di processi
è limitato in termini di dimensione e peso dei prodotti che può gestire. Prodotti grandi
e pesanti sono difficili da spostare. Per movimentarli, l’impianto deve essere attrezzato
con gru e impianti di sollevamento e trasporto a grande capacità di carico. Invece le
parti più piccole e i prodotti realizzati in grandi quantità possono essere spostati da na-
stri trasportatori o altri mezzi analoghi. I limiti alle dimensioni e al peso del prodotto si
estendono anche alla capacità delle attrezzature di produzione. Esistono macchinari di
diverse dimensioni, ma per gestire pezzi grandi occorrono macchinari grandi. Occorre
usare i macchinari di produzione e di spostamento dei materiali adatti ai prodotti di una
certa dimensione e di un certo peso.

Capacità produttiva  Una terza limitazione sulla capacità di produzione di un im-


pianto è la quantità di pezzi che possono essere prodotti in un determinato periodo di
tempo (mesi o anni). Questo limite è denominato capacità produttiva dell’impianto,
definita come il tasso massimo di produzione che un impianto può raggiungere sotto
determinate condizioni operative. Le condizioni operative si riferiscono al numero di
turni settimanali, alle ore per turno, ai livelli di organico della forza lavoro ecc. Questi
fattori rappresentano gli input dell’impianto di produzione. Dati questi input, la capa-
8 Tecnologia meccanica

cità produttiva misura quanto output può produrre la fabbrica. La capacità produttiva
di un impianto viene di solito misurata in termini di unità di prodotto finito, come le
tonnellate annue di acciaio prodotte da un’acciaieria, o il numero di vetture prodotte
da una catena di montaggio. In questi casi gli output sono omogenei. Nei casi in cui le
unità di prodotto finito non siano omogenee, per esempio nelle aziende che producono
vari pezzi automobilistici, si possono usare altre misure più appropriate, come le ore di
lavoro impiegate nella produzione.

1.1.4 I materiali impiegati nella produzione


La maggior parte dei materiali utilizzati nei processi produttivi appartiene a una delle tre
categorie di base: (1) i metalli, (2) le ceramiche e (3) i polimeri. Tali materiali differiscono
tra loro per la composizione chimica e le proprietà meccaniche e fisiche e queste differenze
influenzano i processi che li utilizzano. Oltre a queste tre categorie di base, esistono (4) i
composti, miscele non omogenee delle tre categorie precedenti. In questa sezione vengono
descritte brevemente queste quattro categorie. Il Capitolo 2 le tratta in maggior dettaglio.

Metalli  I metalli usati in produzione di solito sono leghe, cioè composti da due o
più elementi, di cui almeno uno metallico. Metalli e leghe possono essere divisi in due
gruppi: ferrosi e non ferrosi.
I metalli ferrosi sono a base di ferro e in questo gruppo rientrano l’acciaio e la
ghisa. Questi metalli sono estremamente importanti dal punto di vista economico e
rappresentano più dei tre quarti dei metalli globalmente utilizzati nell’industria.
Il ferro puro ha un uso commerciale limitato, ma se legato al carbonio diventa miglio-
re di tutti gli altri metalli. Leghe di ferro e carbonio danno origine all’acciaio alla ghisa.
L’acciaio può essere definito come una lega ferro-carbonio contenente dallo 0,02%
al 2,11% di carbonio e può anche includere altri elementi di alligazione, quali mangane-
se, cromo, nichel o molibdeno, per migliorarne le proprietà. È il metallo ferroso più im-
portante per la grande quantità di applicazioni nelle costruzioni (ponti, travi e strutture
metalliche), nei trasporti (camion, rotaie e binari per le ferrovie) e nei beni di consumo
(automobili ed elettrodomestici).
La ghisa è una lega ferro-carbonio contenente dal 2% al 4% di carbonio, usata nei
processi di colata (principalmente colata in sabbia). Nella lega è presente anche il silicio
(dallo 0,5% al 3%) e spesso sono aggiunti altri elementi per ottenere particolari pro-
prietà. La ghisa è disponibile in diverse forme, tra cui la più comune è la ghisa grigia.
Esempi di applicazioni della ghisa sono i pezzi di grandi dimensioni per macchinari (dai
grandi motori diesel alle macchine operatrici).
I metalli non ferrosi sono tutti gli altri metalli e loro leghe. Quasi sempre le leghe
hanno un valore economico maggiore dei metalli puri. Esempi di metalli non ferrosi sono
l’alluminio, il rame, l’oro, il magnesio, il nichel, l’argento, lo stagno, il titanio e lo zinco.

Ceramiche  La ceramica è definita come un composto contenente elementi metallici (o


semimetallici) e non-metallici. Esempi di elementi non-metallici sono l’ossigeno, l’azoto
e il carbonio. Le ceramiche comprendono vari materiali tradizionali e moderni. Cerami-
che tradizionali, alcune delle quali utilizzate per migliaia di anni, comprendono l’argilla
(molto diffusa, costituita di particelle fini di silicati idrati di alluminio e altri minerali,
utilizzata nella fabbricazione di mattoni, ciotole e terracotte), il silicio (la base di quasi
tutti i prodotti di vetro), l’allumina e il carburo di silicio (due materiali abrasivi molto
utilizzati nella produzione industriale). Le ceramiche attualmente in uso comprendono
sia alcuni dei materiali precedentemente noti, come l’allumina, le cui proprietà vengono
migliorate attraverso metodi di lavorazione evoluti, sia le nuove ceramiche come i carburi
Introduzione e panoramica della produzione 9

(carburi metallici, quali carburo di tungsteno e carburo di titanio, molto utilizzati come
materiali per utensili da taglio) e nitruri (nitruri metallici e semimetallici come il nitruro
di titanio e il nitruro di boro, utilizzati come utensili da taglio e nelle macchine affilatrci).
La ceramica può avere struttura cristallina o vetrosa. Le ceramiche cristalline si
producono partendo da polveri trattate in vari modi e poi cotte (riscaldate ad una tempe-
ratura inferiore al punto di fusione per ottenere l’aggregazione dei granuli). Le cerami-
che vetrose possono essere fuse e poi modellate attraverso processi simili alla soffiatura
del vetro tradizionale.
Polimeri  Un polimero è un composto formato da unità strutturali ripetute, i cui ato-
mi condividono elettroni formando molecole molto grandi. I polimeri di solito sono
composti da carbonio e uno o più elementi tra cui l’idrogeno, l’azoto, l’ossigeno e il
cloro. I polimeri si possono dividere in tre categorie: (1) polimeri termoplastici, (2) po-
limeri termoindurenti e (3) elastomeri.
I polimeri termoplastici sopportano diversi cicli di riscaldamento e raffreddamen-
to senza alterare la loro struttura molecolare. Esempi di polimeri termoplastici comuni
sono il polietilene, il polistirene, il polivinilcloruro (identificato dalla sigla PVC) e il
nylon. I polimeri termoindurenti, dopo una fase iniziale di rammollimento per riscal-
damento, induriscono formando una struttura rigida durante la fase di raffreddamento,
diventando così termostabili e insolubili. La struttura reticolare ottenuta a seguito del
raffreddamento e a reazioni di reticolazione viene conservata, se tali polimeri vengono
riscaldati dopo l'indurimento non tornano più a rammollire, da cui il nome termoin-
durenti, ma si decompongono. I materiali di questo tipo includono composti fenolici,
resine amminoacide e resine epossidiche. Nonostante il nome termoindurente, alcuni di
questi polimeri si possono ottenere con meccanismi diversi dal riscaldamento. Gli ela-
stomeri sono polimeri che presentano un comportamento molto elastico, da cui deriva
il nome. Includono la gomma naturale, il neoprene, il silicone e il poliuretano.
I compositi  I compositi in realtà non costituiscono una categoria distinta di materia-
li, ma sono miscele dei materiali appartenenti alle precedenti tipologie. Un composito
è un materiale prodotto attraverso due o più fasi che vengono lavorate separatamente e
poi unite per ottenere proprietà migliori di quelle dei singoli componenti. Il termine fase
si riferisce ad una massa omogenea di materiale, come un aggregato di molecole con la
stessa struttura in un metallo solido. La struttura di un composito costituito da parti-
celle o fibre si dice matrice. I compositi si trovano in natura (ne è un esempio il legno)
o possono essere prodotti sinteticamente: fibre di vetro in matrice polimerica, plastica
rinforzata con fibre, fibre di un polimero in matrice di un altro polimero (per esempio il
Kevlar) e ceramica in matrice metallica (come un carburo di tungsteno in un legante di
cobalto per realizzare utensili da taglio in carburo).
Le proprietà di un composito dipendono dai materiali che lo compongono, dalle
forme fisiche dei componenti e dal modo in cui questi sono combinati per formare il
composito stesso. Alcuni compositi sono molto leggeri pur essendo molto resistenti, e
sono quindi adatti per impieghi nelle costruzioni aeronautiche, nelle carrozzerie, nella
realizzazione di scafi, attrezzature sportive (racchette da tennis, sci e canne da pesca).
Altri compositi sono più resistenti e in grado di sopportare temperature elevate, quindi
sono più adatti ad altri scopi, come nel caso di utensili per il taglio dei metalli duri.

1.2 I processi di produzione

Un processo di produzione, o processo produttivo, è una procedura che si traduce in


modifiche fisiche e/o chimiche di un materiale di partenza con l’obiettivo di aumen-
10 Tecnologia meccanica

tare il valore di tale materiale. Un processo produttivo viene solitamente effettuato


come operazione unitaria, che significa che costituisce un singolo passo nella sequenza
di operazioni necessarie per trasformare il materiale di partenza nel prodotto finale.
Un’operazione unitaria viene generalmente eseguita su un solo apparecchio che lavora
indipendentemente dalle altre operazioni che vengono eseguite nell’impianto.
Le operazioni eseguite nella produzione si dividono in due tipi: (1) operazioni di lavora-
zione e (2) operazioni di assemblaggio. Una lavorazione interviene su un materiale di par-
tenza lavoro da uno stato ad uno più avanzato fino ad arrivare al prodotto finale desiderato.
Tali operazioni aumentano il valore del materiale di partenza modificandone la geometria, le
proprietà o l’aspetto. In generale, le operazioni di lavorazione sono eseguite su pezzi singoli,
ma alcune possono essere applicate anche ad elementi assemblati (come la verniciatura di
una carrozzeria). Un’operazione di assemblaggio unisce due o più componenti per creare
un nuovo elemento, definito assemblato, sotto-assemblato o con altri termini specifici riferiti
al processo di giunzione. La classificazione dei processi produttivi è riportata in Figura 1.3.

1.2.1 Operazioni di lavorazione


Un’operazione di lavorazione utilizza energia per modificare la forma del pezzo, le sue pro-
prietà fisiche o il suo aspetto per incrementarne il valore. L’energia usata può essere mecca-
nica, termica, elettrica o chimica. L’energia viene applicata in modo controllato per mezzo
di macchinari e attrezzature. Anche l’energia umana può essere usata, ma gli operatori ven-
gono di solito vengono impiegati per controllare le macchine, sovrintendere alle operazioni

Solidification
processes

Particulate
processing
Shaping
processes
Deformation
processes

Material
removal
Processing
operations
Property Heat
enhancing processes treatment

Cleaning and
surface treatments
Surface processing
operations
Coating and
Manufacturing deposition processes
processes
Welding

Permanent Brazing and


joining processes soldering

Figura 1.3 Classificazio- Adhesive


ne dei processi produttivi. Assembly bonding
(Fonte: Fundamentals of operations
Modern Manufacturing, Threaded
4th Edition by Mikell P. Mechanical fasteners
Groover, 2010. Ristampa- fastening
to con il permesso di John Permanent
Wiley & Sons, Inc.) fastening methods
Introduzione e panoramica della produzione 11

e caricare o scaricare le parti prima e dopo ogni ciclo di lavorazione. Il modello generale
di un’operazione di lavorazione è illustrato in Figura 1.1 (a). Il materiale viene immesso nel
processo, si applica dell’energia ai macchinari e alle attrezzature di lavorazione, infine il
pezzo ultimato esce dal processo. La maggior parte delle operazioni di lavorazione produce
materiali di scarto o sfridi, sia come conseguenza naturale del processo (per esempio il
truciolo nei processi di asportazione di materiale) sia come pezzi difettosi o non conformi.
Di solito la trasformazione del materiale in prodotto finito richiede più di un’ope-
razione. Le operazioni vengono eseguite secondo una sequenza opportuna che serve a
raggiungere la forma e le proprietà del pezzo definite nella fase di progettazione.
Si distinguono tre tipi di operazioni di lavorazione: (1) operazioni di modellazio-
ne, (2) operazioni di modifica delle proprietà fisiche e (3) trattamenti di superficie. Le
operazioni di modellazione alterano la geometria del materiale di partenza attraver-
so diversi metodi, per esempio la fusione o la forgiatura. Le operazioni di modifica
delle proprietà fisiche migliorano le caratteristiche del materiale modificando le sue
proprietà, per esempio attraverso un trattamento termico. I trattamenti di superficie
si eseguono per pulire, trattare, ricoprire o depositare altro materiale sulla superficie
esterna del pezzo, come nelle operazioni di verniciatura o placcatura.

Processi di modellazione  La maggior parte delle operazioni di modellazione fanno


uso di calore, di forza meccanica o una combinazione delle due per modificare la forma
del pezzo. Ci sono vari modi per classificare i processi di modellazione. La classifica-
zione utilizzata in questo testo si basa sullo stato del materiale di partenza e dà origine a
quattro categorie: (1) tecniche fusorie, in cui il materiale di partenza viene scaldato fino
allo stato liquido o semifluido, successivamente raffreddato fino a solidificare prenden-
do la forma del contenitore in cui viene colato, (2) metallurgia delle polveri, in cui si
parte da materiale in forma di polvere, che poi viene riscaldata e pressata all’interno di
uno stampo da cui prenderà la forma, (3) processi di deformazione plastica, in cui il
materiale di partenza è un solido duttile (di solito un metallo) che viene deformato appli-
candogli un sistema di forze e (4) processi di asportazione, in cui si parte da un materiale
solido (duttile o fragile) da cui si rimuove una parte per arrivare alla forma desiderata.
Nei processi fusori il materiale di partenza viene riscaldato fino a portarlo allo stato
liquido o semifluido. Quasi tutti i materiali possono essere trasformati in questo modo. I
metalli, i vetri, le ceramiche e le plastiche devono essere riscaldati a temperature sufficiente-
mente elevate per essere portati allo stato liquido o semifluido in modo da poter essere colati
(o comunque costretti a riempire una forma) e lasciati solidificare, ottenendo così una forma
uguale a quella della cavità. Il termine colata è usato di solito per i metalli, mentre il termine
stampaggio è usato per le plastiche. La Figura 1.4 illustra questa tecnica di modellazione.
Nella metallurgia delle polveri, i materiali di partenza sono polveri metalliche o
Figura 1.4  I processi di
ceramiche. Sebbene questi due materiali siano molto diversi, i processi di lavorazione colata e stampaggio ini-
ziano con un materiale
Bacino allo stato fluido o semiflui-
di colata do. Il processo consiste
in (1) immettere il fluido in
Metallo fuso Canale di colata
una forma o in uno stam-
(da rimuovere)
po e (2) lasciar solidificare
per poi rimuovere la parte
Canale solidificata dallo stampo.
Piano di Colata
di colata (Fonte: Fundamentals of
separazione solidificata
Modern Manufacturing,
Forma 4th Edition by Mikell P.
(in sabbia) Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
12 Tecnologia meccanica

sono molto simili. La tecnica comune consiste nella pressatura e nella sinterizzazione,
come illustrato in Figura 1.5, in cui le polveri sono prima compresse in uno stampo e poi
riscaldate in modo da aggregarle tra loro.
Nei processi di deformazione plastica, il pezzo di partenza è modellato mediante
l’applicazione di forze che superano il punto di snervamento del materiale. Il materia-
le deve essere sufficientemente duttile per evitare fratture durante la deformazione.
Per aumentarne la duttilità, spesso viene riscaldato prima della deformazione ad una
temperatura inferiore rispetto al suo punto di fusione. I processi di deformazione sono
operazioni di solito svolte per la lavorazione dei metalli e comprendono le operazioni di
forgiatura ed estrusione, come mostrato in Figura 1.6.
I processi di asportazione sono operazioni che rimuovono il materiale in eccesso del
pezzo per raggiungere la forma desiderata. I processi più importanti di questa categoria sono
le operazioni di lavorazione quali la tornitura, foratura e fresatura, come mostrato in
Figura 1.7. Le operazioni di asportazione sono usualmente eseguite su materiali solidi utiliz-
zando utensili da taglio che hanno caratteristiche tecnologiche (durezza, resistenza meccanica
ecc.) superiori rispetto a quelle dei materiali da lavorare. Anche la rettifica è un processo che
rientra in questa categoria. Altri processi di lavorazione sono noti come processi non-con-
venzionali perché utilizzano laser, fasci di elettroni, erosione chimica o meccanica, scariche
elettriche o energia elettrochimica per rimuovere il materiale anziché strumenti di taglio.

Forza

Pistone
superiore
Figura 1.5 Metallurgia
delle polveri: il materiale
di partenza è polvere (1); Stampo Pezzo
il processo consiste nel durante
pressare il materiale (2) e la sinterizzazione
aggregarlo per sinterizza-
zione. (Fonte: Fundamen- Pistone
tals of Modern Manufactu- inferiore
ring, 4th Edition by Mikell
P. Groover, 2010. Ristam-
Forza
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 1.6  Alcuni proces-


si di deformazione comu-
ni: (a) la forgiatura, in cui
le due metà dello stam-
po schiacciano il pezzo, Sezione
facendogli assumere la Cavità
dell’estrusione
forma della cavità dello
stampo e (b) l’estrusione, Forgia Pistone
in cui si forza una billetta a
fuoriuscire da un foro nello Stampo
stampo per farle assume-
re la sezione del foro stes- Sbavatura
so. (Fonte: Fundamentals (da tagliare)
Stampo

of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Stampo
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John Inizio della billetta
Wiley & Sons, Inc.)
Introduzione e panoramica della produzione 13

'LDPHWUR 'LDPHWUR
3H]]R GLSDUWHQ]D 7UXFLROR GRSRODWRUQLWXUD 5RWD]LRQH

6SRVWDPHQWR 5RWD]LRQH
3XQWD )UHVD
$VVH GDWUDSDQR 0DWHULDOH
GLURWD]LRQH ULPRVVR
3H]]R
3H]]R

3XQWR )RUR
6SRVWDPHQWR
GLWDJOLR 6SRVWDPHQWR
D E F
Figura 1.7  Alcune operazioni di lavorazione: (a) tornitura, in cui un utensile monotagliente rimuove del metallo riducendo il dia-
metro della barra messa in rotazione dal mandrino; (b) foratura, in cui una punta elicoidale rotante viene fatta avanzare verso il
pezzo per realizzare un foro; (c) fresatura, in cui il pezzo viene lavorato da un utensile a taglienti multipli messo in rotazione dal
mandrino della macchina utensile.

Quando si effettua una lavorazione meccanica, è necessario minimizzare la quantità di


sfridi e di scarti derivanti dai processi tecnologici impiegati. In tal senso, alcuni processi
di modellazione sono più efficienti di altri: per esempio i processi di asportazione tendo-
no, per loro natura, a generare materiale di sfrido (truciolo) che viene usualmente riciclato
nei processi primari. Altri processi, come per esempio alcune operazioni di colata o di
stampaggio, riescono a convertire quasi il 100% del materiale di partenza nel prodotto fi-
nale. I processi produttivi che trasformano quasi tutto il materiale di partenza nel prodotto
finito e non richiedono altre lavorazioni successive per raggiungere la forma finale del
pezzo sono denominati processi net shape. I processi che richiedono una piccola lavora-
zione aggiuntiva per raggiungere la forma finale sono definiti processi near net shape.

Processi di modifica delle proprietà  Il secondo tipo più diffuso di lavorazione


viene eseguito per migliorare le proprietà meccaniche o fisiche dei materiali. Questi
processi di solito non alterano la forma del pezzo. I principali processi di questo tipo
sono i trattamenti termici, che comprendono vari processi di ricottura e irrobustimen-
to per metalli e vetri. Anche la sinterizzazione di metalli in polvere e ceramiche è un
trattamento termico che irrobustisce un pezzo fatto di polvere metallica pressata.

Trattamenti superficiali  I trattamenti superficiali comprendono (1) la pulitura, (2) altri


trattamenti superficiali, (3) i processi di rivestimento o deposizione di film sottili (strati di
materiali da qualche nanometro a micron di spessore) sulla superficie. La pulitura comprende
processi sia chimici che meccanici per rimuovere lo sporco, l’olio e altre sostanze contaminanti
per la superficie. Altri trattamenti superficiali utilizzano lavorazioni meccaniche, come la
pallinatura e la sabbiatura, o processi fisici, come la diffusione e l’impiantazione ionica. I pro-
cessi di rivestimento e di deposizione di film sottili applicano un rivestimento di materiale
sulla superficie esterna del pezzo. Alcuni esempi di processi di rivestimento sono le tecniche
galvaniche, l’anodizzazione di alluminio e il rivestimento organico (detto anche vernicia-
tura). Processi di deposizione di film sottili sono le deposizioni fisiche o chimiche da vapore
(PVD/CVD) usate per formare rivestimenti tecnologici estremamente sottili che conferiscono
particolari caratteristiche (basso attrito, resistenza all’usura ecc.) alle superfici trattate.

1.2.2 Operazioni di assemblaggio


Il secondo tipo di operazioni industriali è l’assemblaggio, in cui due o più parti separate sono
unite per formare una nuova entità. I componenti della nuova entità sono collegati in modo per-
manente o semipermanente. I collegamenti permanenti includono la saldatura, la saldatura
14 Tecnologia meccanica

a ottone, la brasatura e l’incollaggio. Questi metodi uniscono i componenti in modo che non
siano facilmente separabili. Ci sono altri metodi di assemblaggio meccanico che permettono
di fissare due (o più) parti in modo che possano essere smontate più facilmente. L’uso di viti,
bulloni e altri elementi di fissaggio filettati sono i metodi più tradizionali utilizzati in questa
categoria. Altre tecniche di assemblaggio meccanico danno origine a un collegamento perma-
nente, tra cui rivetti, ribattini, montaggi a stampa o incastri con linguette a espansione.

1.2.3 Macchinari e attrezzature


I processi produttivi sono eseguiti da macchinari e attrezzature (nonché da operatori).
L’uso intensivo di macchinari nella produzione è iniziato durante la Rivoluzione Indu-
striale. È stato in quel periodo che sono state sviluppate e utilizzate le prime macchine da
taglio per i metalli. Erano chiamate macchine utensili, cioè macchine dotate di opportuna
motorizzazione e usate come utensili da taglio per compiere operazioni precedentemente
realizzate a mano. Le macchine utensili moderne possono essere definite nello stesso
modo, a parte il fatto che la potenza è elettrica e non derivata da acqua o vapore; inoltre,
il livello di precisione e automazione è molto maggiore. Le macchine utensili sono tra le
più versatili tra tutte le macchine di produzione. Si usano non solo per realizzare prodotti
finiti, ma anche come componenti per altri macchinari. Sia in senso storico che riprodut-
tivo, si può dire che la macchina utensile è l’origine di tutte le macchine.
Altre macchine di produzione comprendono le presse usate nelle operazioni di
stampaggio, i magli per la forgiatura, i laminatoi per la laminazione, le saldatrici per
la saldatura e le macchine automatiche per l’inserimento di componenti elettronici in
circuiti stampati. Il nome dello strumento di solito deriva dal nome del processo.
I macchinari possono essere di uso generale o specifico. I macchinari per uso generale
(general-purpose) sono più flessibili e usabili per diversi lavori. Sono disponibili in commercio
per qualsiasi azienda di produzione voglia investire in essi. I macchinari per uso specifico (spe-
cial-purpose) di solito sono progettati per produrre un pezzo o un prodotto specifico e in quan-
tità molto alte. L’economia della produzione di massa giustifica grandi investimenti in macchine
special-purpose per raggiungere alte efficienze e bassi tempi di ciclo. Questo è il motivo prin-
cipale per cui si usano macchine special-purpose, anche se non è l’unico. Un altro motivo è che
se il processo è molto specifico, non esistono macchinari commerciali per produrlo. Le aziende
con requisiti di processo specifici sviluppano da sole i propri macchinari specifici.
I macchinari di produzione di solito richiedono degli utensili per essere personaliz-
zati per il particolare pezzo o prodotto richiesto. In molti casi, gli utensili devono essere
progettati per la specifica parte o prodotto. Quando devono essere utilizzati da macchine
general-purpose devono essere intercambiabili. Per ogni tipo di pezzo si fissa alla macchi-
na l’utensile specifico e si avvia il ciclo di produzione. Quando il ciclo è finito, si cambia
l’utensile e si fissa quello per il pezzo successivo. Se deve essere utilizzato da macchine
special-purpose, l’utensile spesso è già progettato come parte integrante della macchina.
Invece per le macchine special-purpose, visto che sono usate per la produzione di massa,
non è quasi mai necessario cambiare gli utensili, se non in caso di usura o riparazioni.
Il tipo di utensile usato dipende dal processo di lavorazione. La Tabella 1.3 riporta
degli esempi di utensili utilizzati nelle varie operazioni. Ulteriori dettagli sono forniti
nei capitoli che trattano dei processi specifici.

1.3 Organizzazione del libro

Nel Capitolo 1 viene fornita un’introduzione generale ai processi produttivi trattati in


questo libro. I restanti 19 capitoli sono organizzati in sette parti. La parte I, intitolata
Introduzione e panoramica della produzione 15

TABELLA 1.3 Macchinari e utensili usati nei vari processi produttivi.

Processo Macchinario Utensile (funzione)


Colata Vari (vedere Capitolo 7) Stampo (cavità per il metallo fuso)

Stampaggio Macchina per stampaggio Stampo (cavità per polimero caldo)

Laminatura Rullo laminatore Rullo (per ridurre lo spessore)

Forgiatura Maglio Stampo (per schiacciare il pezzo da lavorare)

Estrusione Pressa Stampo (per ridurre la sezione trasversale)

Stampaggio Pressa Stampo (per tranciare o modellare la lastra di metallo)

Lavorazione a macchina Macchinario Utensile da taglio (per rimuovere del materiale) Supporto (per reggere
il pezzo) Maschera (per trattenere il pezzo e guidare la lavorazione)

Rettifica Mola Ruota da rettifica (per asportare il materiale)

Saldatura Saldatore Elettrodo (per fondere il metallo)


Supporto (per reggere il pezzo durante la saldatura)

Materiali per applicazioni industriali e proprietà dei prodotti, si compone di quattro ca-
pitoli (2,3,4,5). I Capitoli 2 e 3 trattano le principali categorie e le proprietà dei materiali
che vengono usati nei processi descritti nel libro. Il Capitolo 4 presenta una rassegna
delle proprietà dei prodotti, cioè le dimensioni, le tolleranze e la caratterizzazione delle
superfici; un’appendice al capitolo tratta la misurazione di questi attributi. L’ultimo
capitolo della prima parte è dedicato al controllo di qualità e all’ispezione.
La parte II inizia a trattare le categorie di processi di lavorazione. Si compone di tre
capitoli (6,7,8) sui processi di solidificazione che includono la colata dei metalli e la forma-
tura della plastica. La parte III coincide con il Capitolo 9 e si occupa della lavorazione delle
polveri (di metalli e ceramiche). La parte IV, dal titolo Formatura dei metalli e lavorazione
della lamiera, comprende tre capitoli (10,11,12) che introducono ai processi di deformazione
dei metalli. La parte V esamina i processi di rimozione del materiale: si compone di cinque
capitoli (13,14,15,16,17): i primi due si occupano dell’asportazione di truciolo e delle mac-
chine utensili utilizzate per tale operazione; il Capitolo 15 è dedicato agli utensili da taglio;
gli ultimi due analizzano altri metodi di asportazione del materiale. I processi di giunzione
e assemblaggio sono descritti nella parte VI, che è organizzata in due capitoli (18 e 19); in
particolare, il Capitolo 18 si concentra sui concetti e sui processi della saldatura, mentre il
Capitolo 19 affronta brasatura, incollaggio e assemblaggio meccanico. L’ultima parte, la
VII, è costituita dal Capitolo 20 e affronta i sistemi di produzione.

Bibliografia

[1] Black, J., and Kohser, R. DeGarmo’s Materials and Processes in Manufacturing, 10th ed.
John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, New Jersey, 2008.
[2] Flinn, R. A., and Trojan, P. K. Engineering Materials and Their Applications, 5th ed. John
Wiley & Sons, Inc., New York, 1995.
[3] Groover, M. P. Automation, Production Systems, and Computer Integrated Manufactu-
ring, 3rd ed. Pearson Prentice-Hall, Upper Saddle River, New Jersey, 2008.
[4] Kalpakjian, S., and Schmid S. R. Manufacturing Processes for Engineering Materials, 6th
ed. Pearson Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey, 2010.
16 Tecnologia meccanica

Domande di ripasso

1. Quale percentuale di PIL raggiunge l’industria mani- 10. Qual è la differenze tra un polimero termoplastico e
fatturiera negli Stati Uniti? uno termoindurente?
2. Definire la produzione. 11. I processi produttivi di solito sono eseguiti come
3. A quale settore appartengono le industrie manifattu- operazioni unitarie. Definire un’operazione unitaria.
riere? (a) primario, (b) secondario, (c) terziario 12. Qual è la differenza tra un’operazione di lavorazio-
4. Qual è la differenza tra un bene di consumo e uno ne e una di assemblaggio?
strumentale? Dare qualche esempio di entrambi. 13. Le operazioni di modellazione sono usate per de-
5. Qual è la differenza tra alta variabilità di produzione finire o alterare la forma di un pezzo. Quali sono le
e bassa variabilità di produzione? quattro categorie in cui si dividono tali operazioni?
6. Una delle dimensioni della capacità produttiva è la 14. Qual è la differenza tra processi net-shape e pro-
capacità tecnica. Definire a parole il significato di tale cessi near net-shape?
dimensione. 15. Elencare i quattro tipi di processi di assemblaggio
7. Quali sono le quattro categorie di materiali usati nel- permanente.
la produzione? 16. Che cos’è un utensile?
8. Come si definisce l’acciaio? 17. Qual è la differenza tra macchinari special-purpose
9. Quali sono le applicazioni tipiche dell’acciaio? e general-purpose?
I Materiali per applicazioni industriali
e proprietà dei prodotti
Materiali per Applicazioni

Capitolo 2
Industriali

Nel Capitolo 1 si è definita la produzione come un processo di trasformazione applicato


ad un materiale. È il materiale l’oggetto della trasformazione; è il comportamento del
materiale soggetto alle forze, alla variazione di temperatura e ad altre modifiche delle
proprietà fisiche durante il processo di lavorazione che determina il successo della tra-
sformazione. La risposta dei processi è differente a seconda del materiale lavorato, di
conseguenza è fondamentale individuare quali caratteristiche e proprietà determinino
la capacità del materiale stesso a subire una trasformazione durante un processo di
lavorazione.
In questo capitolo sono presentate quattro tipologie di materiali usati nei processi pro-
duttivi, che saranno illustrati nei capitoli successivi, ovvero i metalli, le ceramiche, i poli-
meri e i composti. Il Capitolo 3 descrive le loro proprietà meccaniche e fisiche che sono
rilevanti per i processi di produzione, proprietà importanti anche in fase di progettazione.
Nel Capitolo 4 si trattano le specifiche dei prodotti e dei loro componenti che devono es-
sere considerate durante la progettazione e poi ottenute durante la produzione: dimen-
sioni, tolleranze e finiture superficiali. L’appendice del Capitolo 4 illustra le metodologie
di misura delle specifiche di prodotto.

2.1  Metalli e leghe metalliche

I metalli sono i materiali più importanti per le applicazioni industriali. Un metallo è


un materiale che generalmente possiede proprietà di duttilità, malleabilità, brillantezza
e alta conduttività elettrica e termica. Anche le leghe metalliche fanno parte di questa
categoria. I metalli hanno proprietà che soddisfano diverse specifiche di progettazione.
L’importanza tecnologica e commerciale dei metalli è dovuta alle seguenti proprie-
tà che generalmente tutti i metalli possiedono.
Elevata rigidità e resistenza  I metalli vengono trasformati in leghe per aumen-
tarne la rigidità, la resistenza e la durezza, proprietà grazie alle quali vengono utilizzati
come elementi strutturali nella maggior parte dei prodotti industriali.
Tenacità  I metalli hanno una capacità di assorbire energia superiore a quella delle
altre categorie di materiali.
Buona conduttività elettrica  I metalli sono buoni conduttori elettrici grazie al
legame metallico che permette il movimento libero degli elettroni portatori di carica
elettrica.
Buona conduttività termica  Il legame metallico spiega anche perché i metalli
generalmente conducono maggiormente il calore rispetto alle ceramiche o ai polimeri.
20 Tecnologia meccanica

Alcuni metalli hanno precise proprietà che li rendono adatti ad applicazioni più
specifiche. Inoltre i metalli più noti hanno un costo relativamente basso e questo giusti-
fica il loro largo utilizzo.
Anche se alcuni metalli sono usati allo stato puro (oro, argento, rame), la maggior
parte delle applicazioni industriali necessita di migliorare le proprietà dei metalli puri
combinandoli in leghe. Una lega è un metallo composto da due elementi di cui almeno
uno è un metallo. Attraverso la formazione delle leghe metalliche è possibile migliorare
la resistenza, la durezza e altre proprietà rispetto ai metalli puri.
Le proprietà meccaniche dei metalli possono essere modificate attraverso i trat-
tamenti termici, ovvero tramite l’applicazione al materiale di diversi tipi di cicli di
riscaldamento e raffreddamento. I trattamenti termici operano alterando la microstrut-
tura originale del metallo, che a sua volta ne determina le proprietà meccaniche. Alcuni
trattamenti termici si possono applicare solo a determinati tipi di metalli. Ad esempio,
il trattamento di tempra è specifico per l’acciaio, la struttura martensitica risultante è
infatti una fase ottenibile solo dall’acciaio.

Box 2.1  Trattamento termico dei metalli


I processi di fabbricazione trattati nel capitolo precedente riguardano la forma delle parti prodotte. Consideriamo ora al
contrario i processi che servono a migliorare le proprietà dei componenti o eseguono una qualche lavorazione superfi-
ciale, come la pulitura o un rivestimento. I trattamenti vengono eseguiti per migliorare le proprietà meccaniche o fisiche
del materiale del pezzo, senza alterarne la forma, almeno non intenzionalmente. Le operazioni più importanti per miglio-
rare le proprietà dei pezzi sono i trattamenti termici. Il trattamento termico implica varie procedure di riscaldamento
e raffreddamento che causano cambiamenti microstrutturali nel materiale, che a loro volta influenzano le proprietà
meccaniche. Le sue applicazioni più comuni sono sui metalli e sulle leghe metalliche e vengono discusse in questo box.
Trattamenti simili vengono eseguiti sulle vetroceramiche, sul vetro temprato e sulle polveri di metalli e ceramiche.
Il trattamento termico può essere eseguito su un componente metallico in diversi momenti delle fasi di produzione.
In alcuni casi, il trattamento termico viene eseguito prima dei processi di deformazione plastica (ad esempio per aumen-
tare la deformabilità del metallo in modo che possa essere formato più facilmente a caldo). In altri casi, il trattamento
termico viene eseguito per eliminare gli effetti dell’incrudimento già durante la formatura, in modo che il materiale possa
essere sottoposto ad una ulteriore deformazione. Il trattamento termico può anche essere realizzato verso la fine della
sequenza di lavorazione per conferire al pezzo finale la resistenza e la durezza richieste. I trattamenti termici principali
sono la ricottura, la tempra per gli acciai (trasformazione martensitica), l’indurimento per precipitazione, l’indurimento
superficiale.

Ricottura
La ricottura consiste nel riscaldare il metallo a una certa temperatura, mantenerlo a quella temperatura per un certo
tempo (chiamato mantenimento) e raffreddarlo lentamente. La ricottura viene eseguita per uno dei seguenti motivi: (1)
ridurre la durezza e la fragilità del metallo, (2) alterare la microstruttura per ottenere le opportune proprietà meccani-
che, (3) diminuire la resistenza del metallo per migliorarne la lavorabilità o la formabilità, (4) modificare le dimensioni
dei grani nel metallo precedentemente lavorato a freddo (e quindi incrudito) e (5) ridurre le tensioni residue indotte
dai processi di lavorazione precedentemente eseguiti. Esistono diverse modalità di ricottura, a seconda della tipologia
del processo applicato e della temperatura applicata rispetto alla temperatura di ricristallizzazione del metallo che
subisce il trattamento.
La ricottura completa è applicata ai metalli ferrosi (acciai con quantità di carbonio bassa o media) e comporta il
riscaldamento della lega nella regione austenitica, seguita da un raffreddamento lento in forno per produrre perlite gros-
solana. La normalizzazione comporta dei cicli di riscaldamento e mantenimento simili, ma le velocità di raffreddamento
sono più veloci. L’acciaio viene lasciato raffreddare in aria sino a temperatura ambiente. Questo produce una struttura
perlitica più fine, ovvero maggiore resistenza meccanica e durezza, ma duttilità inferiore rispetto a quella risultante della
ricottura completa.
I pezzi ottenuti per stampaggio a freddo vengono spesso ricotti per ridurne gli effetti dell’incrudimento e aumen-
tarne la duttilità. Il trattamento termico permette al metallo incrudito di ricristallizzare parzialmente o completamente,
a seconda della temperatura, dei tempi di mantenimento e delle velocità di raffreddamento. Quando la ricottura viene
Materiali per Applicazioni Industriali 21

eseguita per consentire un’ulteriore deformazione a freddo del pezzo, viene detto ricottura da lavorazione. Quando è
eseguita sul componente alla fine delle lavorazioni (stampaggio a freddo) per eliminare gli effetti dell’incrudimento è
semplicemente chiamata ricottura. Il processo è praticamente lo stesso, ma i nomi diversi servono a indicare il diverso
scopo del trattamento.
Per ottenere la ricristallizzazione è necessario che le condizioni di ricottura consentano di riportare le dimensioni
dei grani del metallo lavorato a freddo alla loro struttura originale. Dopo questo tipo di ricottura, il componente ha assun-
to una nuova forma, conseguenza dall’operazione di formatura, ma la struttura dei grani e le proprietà ad essa associate
sono essenzialmente le stesse precedenti lo stampaggio a freddo. Le condizioni che tendono a favorire la ricristallizza-
zione sono temperature elevate, tempo di mantenimento più lungo e cicli di raffreddamento lenti. Se il processo di ricot-
tura consente solo il parziale recupero della struttura dei grani originale, si definisce ricottura parziale. La ricottura
parziale permette al metallo di mantenere la maggior parte dell’incrudimento risultante dalla deformazione a freddo, ma
la tenacità del pezzo aumenta.
Le operazioni di ricottura, sino a qui descritte, sono effettuate principalmente per introdurre cambiamenti diversi
dall’alleviamento delle tensioni. La ricottura tuttavia può anche essere eseguita solo per ridurre le tensioni residue nel
pezzo. In questo caso prende il nome di ricottura di distensione e serve a ridurre le distorsioni e le variazioni dimensio-
nali che potrebbero altrimenti verificarsi nei pezzi lavorati.

Formazione di martensite negli acciai


Il diagramma di fase ferro-carbonio in Figura 2.1 indica le fasi del ferro e del carburo di ferro (cementite) presenti negli
acciai in condizioni di equilibrio. Si presuppone che il raffreddamento sia sufficientemente lento per consentire all’auste-
nite di decomporsi in una miscela di ferrite e cementite (Fe3C) a temperatura ambiente. Questa reazione di decomposi-
zione richiede il processo di diffusione per trasformare il metallo nella sua struttura finale, che dipende dal tempo e dalla
temperatura. Se il raffreddamento è troppo rapido, al punto che la reazione di equilibrio è inibita, l’austenite si trasforma
in una fase non in equilibrio chiamata martensite. La martensite è una fase dura e fragile che conferisce all’acciaio la
sua capacità unica di essere molto duro e resistente.

La curva TTT (trasformazione temperatura-tempo)


La natura della trasformazione martensitica può essere meglio compresa analizzando la curva di trasformazione tem-
po-temperatura (curva TTT) per l’acciaio eutettoide illustrata in Figura B.1. La curva TTT mostra come la velocità di
raffreddamento influenzi la trasformazione austenitica in diverse fasi. Le fasi possono essere suddivise tra (1) forme
alternative di ferrite e cementite e (2) martensite. Il tempo viene riportato sull’asse orizzontale (per comodità in scala

Austenite, γ
800
A1 = 723°C (1333°F) 1400

700 Ps
γ
io 1200
niz Pf Perlite P
Po

600
I

e
Fin
ssib

1000
Temperatura °C

Temperatura °F

γ+α
ile

500 α + Fe3C
traie

800
ttori

400 γ Bf Bainite B
Bs
di ra

600 Figura B.1  Curva TTT per un ac-


affr

300 Ms ciaio con composizione pari circa a


ed

0.80% C, che mostra la trasformazio-


da

400 ne dell’austenite in altre fasi in funzio-


me

200
Bs ne del tempo e della temperatura. La
nto

γ+M
200 traiettoria di raffreddamento mostrata
100 Mf
produce la martensite. (Fonte: Funda-
Martensite, M mentals of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ri-
1.0 10 102 103 104 stampato con il permesso di John Wi-
Tempo s ley & Sons, Inc.)
22 Tecnologia meccanica

logaritmica) e la temperatura sull’asse verticale. Il grafico si legge partendo al tempo zero nella regione dell’austenite
(in qualche punto sopra la linea di temperatura A1 a seconda della specifica composizione) e procedendo verso il basso
e verso destra lungo una traiettoria che rappresenta il raffreddamento del metallo in funzione del tempo. La curva TTT
mostrata in figura è per una specifica composizione di acciaio (0.80% di carbonio). Per altre composizioni si ha una curva
diversa.
Per velocità di raffreddamento basse, la traiettoria procede attraverso la regione che indica la trasformazione in
perlite o bainite, che sono forme alternative della miscela ferrite-cementite. Poiché queste trasformazioni richiedono del
tempo, il diagramma TTT mostra due linee, l’inizio e la fine della trasformazione con il passare del tempo, indicate per
le regioni delle diverse fasi dai pedici s ed f, rispettivamente. La perlite è una miscela delle fasi di ferrite e cementite in
forma di sottili lamelle. Si ottiene mediante il raffreddamento lento dell’austenite, in modo che la traiettoria di raffredda-
mento passi attraverso Ps sopra il «naso» della curva TTT. La bainite è un’altra miscela delle stesse fasi che è prodotta da
un raffreddamento iniziale rapido ad una temperatura sopra Ms, evitando il naso della curva TTT; questo è seguito da un
raffreddamento molto più lento di passaggio attraverso Bs e nella regione di ferrite-cementite. La bainite ha una struttura
aghiforme costituita da regioni sottili di carburo.
Se il raffreddamento avviene ad una velocità sufficientemente elevata (indicata dalla linea tratteggiata in Figura
B.1), l’austenite si trasforma in martensite. La martensite è una fase costituita da una miscela di ferro e carbonio la cui
composizione è la stessa dell’austenite da cui deriva. La struttura cubica a facce centrate dell’austenite si trasforma nella
struttura a corpo centrato tetragonale della martensite quasi istantaneamente, senza il processo di diffusione dipendente
dal tempo che serviva per separare la ferrite e la cementite nelle trasformazioni precedenti.
Durante il raffreddamento, la trasformazione martensitica inizia ad una certa temperatura Ms, e finisce ad una
temperatura Mf inferiore, come mostrato nel diagramma TTT. Nei punti compresi tra questi due livelli, l’acciaio è una
miscela di austenite e martensite. Se il raffreddamento viene interrotto ad una temperatura tra Ms e Mf, l’austenite si tra-
sforma in bainite man mano che la traiettoria tempo-temperatura attraversa la soglia Bs. Il livello della linea Ms dipende
dagli elementi nella lega, compreso il carbonio. In alcuni casi, la linea Ms è inferiore alla temperatura ambiente, rendendo
impossibile la formazione di martensite per questi acciai usando i trattamenti termici tradizionali.
L’estrema durezza della martensite è causata della deformazione che si è creata dagli atomi di carbonio intrappolati
nella struttura a corpo centrato tetragonale, che impedisce lo scorrimento. La Figura B.2 mostra l’effetto significativo che
ha la trasformazione martensitica sulla durezza dell’acciaio all’aumentare del contenuto di carbonio.

Il processo di tempra
Il trattamento termico per formare la martensite consiste di due fasi: l’austenitizzazione e la tempra. Questi passaggi
sono spesso seguiti da un rinvenimento che dà origine alla martensite rivenuta. L’austenitizzazione consiste nel riscal-
damento dell’acciaio ad una temperatura sufficientemente elevata affinché venga convertito interamente o parzialmente

70

60

50
Durezza Rockwell C

Martensite
40

30

Perlite (ricotta)
20

10

Figura B.2  Durezza dell’acciaio al carbonio in funzione del contenuto di


carbonio in martensite (indurita) e perlite (ricotta). Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) % Carbonio
Materiali per Applicazioni Industriali 23

in austenite. Questa temperatura è determinata dal diagramma di fase per la particolare composizione della lega. La tra-
sformazione in austenite comporta un cambiamento di fase, che richiede tempo e calore. Di conseguenza, l’acciaio deve
essere mantenuto a temperatura elevata per un periodo di tempo sufficiente a consentire la formazione della nuova fase
e a raggiungere l’omogeneità di composizione richiesta.
La fase di tempra prevede il raffreddamento dell’austenite in modo sufficientemente rapido da evitare il passaggio
attraverso il «naso» della curva TTT, come indicato nella traiettoria di raffreddamento mostrata in Figura B.1. La velocità
di raffreddamento dipende dal mezzo con cui si esegue la tempra e dalla velocità di trasferimento di calore. Si usano vari
mezzi per eseguire la tempra nei processi industriali: (1) acqua additivata di sale e agitata, (2) acqua dolce, ferma, non
agitata, (3) olio e (4) aria. La tempra in acqua salata è il metodo che produce il raffreddamento più veloce della superficie
del pezzo, mentre la tempra in aria è il più lento. Il problema è che, più è efficace il metodo di tempra per il raffreddamen-
to, più è probabile che si verifichino tensioni interne, distorsioni e cricche nel prodotto finale.
La velocità di trasferimento di calore del pezzo dipende molto dalla sua massa e dalla sua forma. Una forma prisma-
tica ad esempio si raffredderà molto più lentamente di una lastra sottile. Anche il coefficiente di conducibilità termica k
dell’acciaio specifico utilizzato determina la trasmissione di calore. Si registrano delle notevoli differenze tra le conduci-
bilità termiche tra i diversi acciai; ad esempio, l’acciaio al carbonio ha un valore tipico di k pari a 0.046 J/s-mm-C, mentre
un acciaio altolegato può avere anche solo un terzo di questo valore.
La martensite è dura ma fragile. Il rinvenimento è un trattamento termico che si applica agli acciai temprati per ridurne
la fragilità, aumentare duttilità e la tenacità e ridurre le tensioni nella struttura martensitica. Prevede il riscaldamento e il
mantenimento a una temperatura inferiore alla temperatura di austenitizzazione per circa un’ora, seguiti da un raffredda-
mento lento. Questo causa la precipitazione di finissime particelle di carburo provenienti dalla struttura martensitica, che
trasforma a poco a poco la struttura cristallina da corpo tetragonale a cubico. Questa nuova struttura si chiama martensite
rinvenuta. Il miglioramento della duttilità e della tenacità è accompagnato da una lieve riduzione della resistenza e della
durezza. Poichè il cambiamento da martensite a martensite rinvenuta avviene grazie alla diffusione del carbonio, la tempe-
ratura e il tempo del trattamento di rinvenimento determinano il grado di addolcimento dell’acciaio temprato.
Nel loro insieme, le tre fasi del trattamento termico dell’acciaio che danno origine alla martensite rinvenuta possono
essere rappresentate come mostrato in Figura B.3. Ci sono due cicli di riscaldamento e di raffreddamento, il primo per
produrre la martensite e il secondo per rinvenire la martensite.

Temprabilità
La temprabilità si riferisce alla capacità di un acciaio di venire indurito mediante la trasformazione in martensite. È una
proprietà che si può valutare come la profondità a cui l’acciaio viene indurito al di sotto della superficie temprata, o come
severità del mezzo di tempra necessario ad ottenere una certa profondità di tempra. Gli acciai con buona temprabilità
possono essere induriti più profondamente e non richiedono delle elevate velocità di raffreddamento. La temprabilità non
si riferisce alla durezza massima che può essere raggiunta nell’acciaio, che al contrario dipende dal contenuto di carbonio.
La temprabilità di un acciaio è aumentata attraverso l’aggiunta di elementi di lega. Gli elementi della lega che hanno
più effetto sono cromo, manganese, molibdeno e, in misura minore, nichel. Il meccanismo attraverso cui operano questi
elementi è quello di aumentare il tempo prima dell’inizio della trasformazione da austenite a perlite nel diagramma TTT.
La curva TTT si sposta verso destra, permettendo così di avere delle velocità di tempra più basse. Quindi, la traiettoria di
raffreddamento segue un percorso meno ripido verso la linea Ms, evitando più facilmente il naso della curva.

Austenitizzazione
800 1500

Tempra
Temperatura °C

Temperatura °F

600
Rinvenimento 1000

400

500
200 Figura B.3  Trattamento termico tipico dell’acciaio:
austenitizzazione, tempra e rinvenimento. (Fonte:
Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
Tempo permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
24 Tecnologia meccanica

Campione di prova 60
Lunghezza

Durezza Rockwell C
di 102 mm
Diametro 50
di
25.4 mm
40
Acqua
24°C (75°F)
30

Distanza dall’estremità
temprata
(a) (b)
Figura B.4  La prova di Jominy: (a) l’esecuzione della prova, che mostra la tempra di un’estremità del campione e (b) la let-
tura tipica della durezza in funzione della distanza dall’estremità temprata. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Il metodo più comune per misurare la temprabilità è la prova Jominy. Questa prova prevede di riscaldare un campio-
ne standard di diametro di 25.4 mm e lunghezza 102 mm sino alla completa austenitizzazione e poi temprare un’estremità
con un getto di acqua fredda, mentre il campione è in posizione verticale, come mostrato in Figura B.4 (a). La velocità di
raffreddamento del campione diminuisce all’aumentare della distanza dall’estremità temprata. La temprabilità è indicata
come la durezza del campione in funzione della distanza dall’estremità temprata, come mostrato in Figura B.4 (b).

Indurimento per precipitazione


L’indurimento per precipitazione prevede la formazione di particelle fini (precipitati) che agiscono per bloccare le dislo-
cazioni e quindi rafforzare e indurire il metallo. È il trattamento termico maggiormente utilizzato per rafforzare le leghe
di alluminio, rame, magnesio, nichel e altri metalli non ferrosi. L’indurimento per precipitazione può essere utilizzato
anche per rafforzare alcune leghe di acciaio. Se viene usato per gli acciai, il processo è chiamato maraging (dall’abbre-
viazione dei termini martensite e aging) e gli acciai sono detti acciai maraging.
La condizione necessaria che determina se una certa lega può essere rinforzata tramite precipitazione è la presenza
di una linea di solvus inclinata, come mostrato nel diagramma di fase riportato in Figura B.5 (a). Una composizione che
può essere indurita per precipitazione deve contenere due fasi a temperatura ambiente e deve poter essere riscaldata ad
Temperatura

Temperatura
ambiente Temperatura ambiente
Tempo

Figura B.5  Indurimento per precipitazione: (a) diagramma di fase di una lega costituita dai metalli A e B, che possono es-
sere induriti per precipitazione, (b) trattamento termico: (1) trattamento di soluzione, (2) tempra e (3) trattamento di precipi-
tazione. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)
Materiali per Applicazioni Industriali 25

Durezza

Figura B.6  Effetto della temperatura e del tempo


durante il trattamento di precipitazione (invecchia-
mento): (a) temperatura di precipitazione alta, (b)
Tempo h temperatura di precipitazione più bassa.

una temperatura che dissolve una delle due fasi. La composizione C soddisfa questo requisito. Il trattamento termico
consiste di tre fasi, illustrate in Figura B.5 (b): (1) trattamento di soluzione, in cui la lega viene riscaldata ad una tempe-
ratura Ts sopra la linea di solvus nella regione di fase alfa che viene mantenuta per un periodo di tempo sufficiente a scio-
gliere la fase beta, (2) tempra alla temperatura ambiente per creare una soluzione solida sovra-satura e (3) trattamento
di precipitazione, in cui la lega viene riscaldata ad una temperatura Tp, inferiore a Ts, per causare la precipitazione di
particelle fini della fase beta. Questo terzo passaggio è chiamato invecchiamento e per questo motivo l’intero trattamen-
to termico viene anche chiamato indurimento per invecchiamento. Tuttavia, visto che l’invecchiamento può verificarsi
a temperatura ambiente per alcune leghe, il termine indurimento per precipitazione è più preciso per rappresentare le
tre fasi del processo descritto. Se la fase di invecchiamento viene eseguita a temperatura ambiente, si chiama invecchia-
mento naturale, invece se viene eseguita ad una temperatura più elevata, come quella riportata nella nostra figura, si usa
il termine invecchiamento artificiale.
È durante la fase di invecchiamento che la lega assume la sua elevata resistenza e durezza. La combinazione di
temperatura e tempo durante il trattamento di precipitazione (invecchiamento) è fondamentale nel conferire alla lega le
proprietà desiderate. A temperature di precipitazione più elevate, come in Figura B.6 (a), la durezza raggiunge il suo picco
in un tempo relativamente breve; a temperature più basse, come in Figura B.6 (b), è necessario più tempo per indurire la
lega, ma la sua durezza massima sarà probabilmente maggiore che nel primo caso. Come si vede nel grafico, se si con-
tinua con il processo di invecchiamento si provoca una nuova riduzione delle proprietà di durezza e resistenza, a causa
dell’effetto chiamato sovra-invecchiamento. Il suo effetto finale è simile alla ricottura.

Indurimento superficiale
L’indurimento superficiale si riferisce a tutti i vari trattamenti termochimici applicati agli acciai che alterano la composizio-
ne della superficie del pezzo aggiungendo carbonio, azoto o altri elementi. I trattamenti più comuni sono la cementazione, la
nitrurazione e la carbonitrurazione. Questi processi sono comunemente applicati a componenti in acciaio a basso contenuto
di carbonio per ottenere uno strato superficiale (pelle) duro e resistente pur mantenendo un nucleo interno tenace.
La cementazione è il trattamento di indurimento superficiale più comune. Consiste nel riscaldamento di un pezzo
di acciaio a basso contenuto di carbonio in un ambiente ricco di carbonio in modo che il carbonio penetri nella superficie
del pezzo tramite diffusione. La superficie viene così convertita in acciaio ad alto contenuto di carbonio, con potenzialità
di temprabilità superiori rispetto al nucleo. L’ambiente ricco di carbonio può essere creato in diversi modi. Uno di questi
è l’impiego di materiali carboniosi come il carbone o il coke chiusi in un contenitore assieme al pezzo. Questo processo,
chiamato cementazione in cassetta, produce uno strato indurito relativamente spesso sulla superficie del pezzo, che va
da circa 0.6 a 4 mm. Un altro metodo, chiamato cementazione a gas, utilizza degli idrocarburi come il propano (C3H8)
all’interno di un forno sigillato per diffondere il carbonio nel pezzo. Lo spessore che si ottiene da questo trattamento è
più sottile, tra 0.13 e 0.75 mm. Un altro processo è la cementazione liquida, che usa un bagno di sale fuso contenente
cianuro di sodio (NaCN), cloruro di bario (BaCl 2) e altri composti per diffondere il carbonio nell’acciaio. Questo proces-
so produce uno strato superficiale di spessore compreso tra i due precedenti. Le temperature tipiche della cementazione
sono tra gli 875°C e i 925°C, all’interno del range di esistenza dell’austenite.
La cementazione seguita da tempra produce un indurimento superficiale di circa 60 HRC. Tuttavia, poiché le regioni
interne del pezzo sono costituite da acciaio a basso contenuto di carbonio e quindi a bassa temprabilità, esse sono poco
influenzate dalla tempra e rimangono relativamente tenaci e duttili per resistere agli urti e alla sollecitazione a fatica.
La nitrurazione è un trattamento per diffondere l’azoto nelle superfici di alcune leghe di acciaio per produrre un
sottile strato superficiale indurito senza effettuare il processo di tempra. Affinché risulti più efficace, l’acciaio deve
contenere alcuni elementi leganti come l’alluminio (0.855-1.5%) o il cromo (dal 5% in su). Questi elementi formano com-
26 Tecnologia meccanica

posti di nitruro che precipitano in particelle molto fini sulla superficie e induriscono l’acciaio. I metodi di nitrurazione
includono: la nitrurazione a gas, in cui i pezzi di acciaio sono riscaldati in un’atmosfera di ammoniaca (NH3) o un’altra
miscela ricca di azoto, e la nitrurazione liquida, in cui i pezzi sono immersi in bagni di sali di cianuro fusi. Entrambi i
processi si svolgono a circa 500°C. Gli spessori vanno da 0.025 mm a 0.5 mm, con durezze fino a 70 HRC.
Come suggerisce il nome, la carbonitrurazione è un trattamento in cui la superficie di acciaio assorbe sia carbonio
che azoto, solitamente mediante riscaldamento in un forno contenente carbonio e ammoniaca. Gli spessori vanno gene-
ralmente da 0.07 a 0.5 mm, con durezze comparabili con quelli degli altri due trattamenti.

I metalli sono convertiti in prodotti attraverso numerosi processi di lavorazione. La


forma di partenza del metallo è diversa a seconda del processo subito. Le categorie
principali sono il metallo fuso, in cui il metallo è il risultato di un processo di colata,
il metallo semi-lavorato, in cui il metallo ha già subito un processo di lavorazione
primario dopo la colata, ad esempio la laminazione (le proprietà meccaniche dei metalli
semi-lavorati sono generalmente superiori rispetto a quelle dei metalli fusi) e il metallo
in polvere, in cui il metallo è nella forma di grani di piccole dimensioni e viene lavorato
con tecniche di metallurgia delle polveri. La maggior parte dei metalli si può trovare in
tutte e tre le forme. In questo capitolo ci concentriamo sulle prime due categorie, che
sono di maggior interesse commerciale e industriale. Le tecniche di metallurgia delle
polveri sono trattate nel Capitolo 9.
I metalli si possono classificare in due gruppi principali: ferrosi, cioè a base di
ferro, e non ferrosi. I metalli ferrosi possono essere ulteriormente suddivisi in acciai e
ghise. I paragrafi seguenti descrivono gli acciai, le ghise, i metalli non ferrosi e le su-
perleghe. Le superleghe includono metalli con caratteristiche superiori rispetto a quelle
dei metalli ferrosi e non ferrosi.

2.1.1  Acciai
L’acciaio, assieme alla ghisa, appartiene alla categoria delle leghe ferrose (a base di fer-
ro, Fe). Gli acciai e le ghise costituiscono circa l’85% in peso del metallo e delle leghe
utilizzate negli Stati Uniti [10]. È utile iniziare la trattazione dei metalli ferrosi esami-
nando il diagramma di stato ferro-carbonio mostrato in Figura 2.1. Il ferro puro fonde
a 1539°C. Con l’aumentare della temperatura, esso subisce diverse trasformazioni allo
stato solido, come indicato nel diagramma. Iniziando dalla temperatura ambiente si tro-
va la fase alpha (α), chiamata ferrite. A 912°C, la ferrite si trasforma nella fase gamma
(γ), chiamata austenite. Questa a sua volta a 1394°C si trasforma nella fase delta (δ) che
si mantiene sino a quando si raggiunge la fusione.
I limiti di solubilità del carbonio nel ferro sono molto bassi: nel reticolo del fer-
ro possono alloggiare piccole quantità di carbonio in fase ferritica (solo lo 0.022% a
723°C). Nella fase austenitica la percentuale aumenta fino a circa il 2.1% a 1130°C
(2066°F). Questa differenza nella solubilità del carbonio nel ferro tra fase alpha e fase
gamma permette di aumentare la resistenza degli acciai attraverso un trattamento ter-
mico (i dettagli sono riportati nel box 2.1). Anche senza trattamenti termici, la resisten-
za del ferro aumenta significativamente all’aumentare della concentrazione del carbo-
nio, che lo porta a trasformarsi in acciaio. Più precisamente, l’acciaio è definito come
una lega ferro-carbonio contenente dallo 0.02% al 2.11% di carbonio1. La maggior parte
degli acciai hanno percentuali di carbonio tra lo 0.05% e l’1.1%. Alle fasi citate si ag-
giunge la cementite o Fe3C: un composto metallico di ferro e carbonio duro e fragile.
1
  Questa è la definizione standard dell’acciao, ma esistono delle varianti. Un acciaio sviluppato di recente per
la laminazione, detto acciaio privo di interstiziali (IF, interstitial free), ha un contenuto di carbonio solo dello
0.005%.
Materiali per Applicazioni Industriali 27

1800
3200
Liquido (L)
δ
2800
1400
2400
γ γ+L L + Fe3C
Temperatura, °C

Temperatura, °F
2000
1130°C (2066°F)
1000 α+γ
α 1600
γ + Fe3C Solido A1
723°C (1333°F) 1200 Figura 2.1  Diagramma
600
di fase del sistema fer-
800 ro-carbonio sino ad un
α + Fe3C contenuto di carbonio
Solido
pari al 6% (Fonte: Fun-
200 400 damentals of M odern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
0 1 2 3 4 5 6 2010. Ristampato con il
Fe C permesso di John Wiley
% Carbone (C) & Sons, Inc.)

A temperatura ambiente in condizioni di equilibrio, le leghe ferro-carbonio formano un


sistema bifase a partire da livelli di carbonio di poco superiori allo zero. Per percentuali
dal 2.1% fino al 4% o 5%, la lega prende il nome di ghisa.
L’acciaio spesso include anche altri elementi di lega, come manganese, cromo, ni-
chel o molibdeno, ma è il carbonio che permette al ferro di trasformarsi in acciaio. Ci
sono centinaia di tipi di acciaio in commercio. In questo testo si farà riferimento ai se-
guenti tipi: acciai non legati, acciai bassolegati, acciai inossidabili e acciai per utensili.

Acciai non legati  Queste leghe contengono carbonio come elemento principale e
solo piccolissime quantità di altri elementi (circa lo 0.4% di manganese, più altre quanti-
tà minori di silicio, fosforo e zolfo). La resistenza di questi acciai aumenta all’aumentare
della percentuale di carbonio. Questa relazione è illustrata in Figura 2.2. Come già ri-
portato in Figura 2.1, a temperatura ambiente l’acciaio è un misto di ferrite (α) e cemen-
tite (Fe3C). La cementite in mezzo alla ferrite oppone resistenza alla deformazione: più
carbonio significa maggiore resistenza ovvero un acciaio più resistente.
Come riportato nello schema di denominazione sviluppato dall’American Iron and
Steel Institute (AISI) e la Society of Automotive Engineers (SAE), gli acciai non legati
sono identificati da un sistema di numerazione a quattro cifre: 10XX, dove 10 indica che
l’acciaio è di tipo non legato e XX indica la percentuale di carbonio in 1/100 di punti
percentuali. Ad esempio, il codice 1020 è un acciaio che contiene lo 0.20% di carbonio.
Gli acciai non legati si possono classificare in base alla percentuale di carbonio che
contengono:

1. Gli acciai a basso contenuto di carbonio contengono meno dello 0.20% e sono di
gran lunga i più usati, ad esempio per la carrozzeria della automobili, le lamiere per
le costruzioni e le rotaie. Questi acciai sono relativamente facili da lavorare, e quin-
di molto usati quando non è richiesta una grande resistenza meccanica. Gli acciai
da fonderia di solito rientrano in questa categoria.
28 Tecnologia meccanica

240 120
800

Resistenza alla trazione, 1000 lb/in2.


Resistenza alla trazione, MPa
220 Resistenza 100
alla
600 trazione
Figura 2.2  Resistenza 200 80

Durezza, HB
alla trazione e durezza
Durezza
in funzione del conte-
160 400 60
nuto di carbonio negli
acciai non legati (lami-
nati a caldo, non trattati 120 40
termicamente). (Fonte:
200
Fundamentals of Modern
80 20
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover, ~
~
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
& Sons, Inc.) % Carbone (C)

2. Gli acciai a medio contenuto di carbonio contengono carbonio in percentuale dal-


lo 0.20% allo 0.50% e sono usati per applicazioni che richiedono una resistenza
meccanica maggiore, tra cui componenti di macchinari o di motori come alberi a
gomito e bielle.
3. Gli acciai ad alto contenuto di carbonio contengono più dello 0.50% di carbonio.
Vengono usati per applicazioni che richiedono un livello di resistenza, rigidità e du-
rezza ancora maggiore, ad esempio molle, utensili da taglio, lame e componenti che
devono resistere all’usura. L’aumento del contenuto di carbonio rinforza e indurisce
l’acciaio, ma diminuisce la sua duttilità. Inoltre un acciaio ad alta percentuale di
carbonio può essere trattato termicamente per formare martensite, rendendo l’ac-
ciaio molto duro e resistente.

Acciai bassolegati  Gli acciai bassolegati sono leghe ferro-carbonio che conten-
gono altri elementi di lega in quantità minori del 5% del peso totale. La presenza di
altri elementi di lega comporta un miglioramento delle proprietà meccaniche rispetto
agli acciai non legati. Le proprietà fanno riferimento soprattutto a maggior resistenza,
durezza, durezza a caldo, resistenza all’usura, tenacità e a combinazioni di queste. Ge-
neralmente è necessario un trattamento termico per ottenere questi miglioramenti. Gli
elementi che si aggiungono all’acciaio (talvolta individualmente o spesso combinati)
sono il cromo, il manganese, il molibdeno, il nichel e il vanadio. Questi elementi for-
mano una soluzione solida con il ferro e composti metallici con il carbonio (carburi),
se il contenuto di carbonio è sufficiente per dare il via alla reazione. Gli effetti dei vari
elementi di lega sulle proprietà dell’acciaio si possono riassumere nel modo seguente.
Il cromo (Cr) migliora la resistenza, la durezza, la durezza a caldo e la resistenza
all’usura. È uno degli ingredienti più efficaci per incrementare la durezza della lega. Se
presente in percentuali molto alte, il cromo migliora la resistenza alla corrosione.
Il manganese (Mn) migliora la resistenza e la durezza dell’acciaio. Se l’acciaio è
stato sottoposto ad un trattamento termico di tempra, la sua durezza aumenta all’au-
mentare della concentrazione di manganese. Per queste proprietà il manganese è molto
usato nelle leghe d’acciaio.
Il molibdeno (Mo) migliora la tenacità e la durezza a caldo. Migliora anche la pro-
pensione alla temprabilità e dà origine a carburi che migliorano la resistenza all’usura.
Il nichel (Ni) migliora la resistenza e la tenacia. Migliora anche la durezza, ma tale
miglioramento è inferiore a quello ottenibile con altri elementi. In quantità significative
Materiali per Applicazioni Industriali 29

migliora la resistenza alla corrosione ed è uno degli altri maggiori ingredienti (dopo il
cromo) in alcuni tipi di acciaio inossidabile.
Il vanadio (V) limita la crescita dei grani durante le lavorazioni ad alte temperature
e i trattamenti termici e aumenta la resistenza e la tenacia dell’acciao. Anch’esso forma
i carburi che aumentano la resistenza all’usura.
La denominazione AISI-SAE di alcuni degli acciai bassolegati è riportata in Tabel-
la 2.1, dove sono indicate le loro composizioni chimiche. Come prima, il contenuto di
carbonio è specificato dal termine XX espresso in 1/100% di carbonio. Per completezza
sono inclusi anche gli acciai non legati (10XX). Le proprietà dei vari acciai e degli altri
metalli sono definite in dettaglio nel Capitolo 3.
Gli acciai bassolegati non si saldano facilmente, specialmente se contengono quan-
tità di carbonio medio-alte. Già dagli anni Sessanta, si è tentato di sviluppare acciai
bassolegati a basso contenuto di carbonio che avessero un rapporto resistenza-peso più
alto degli acciai non legati e fossero saldabili più facilmente. I prodotti sviluppati di
conseguenza sono chiamati acciai debolmente legati ad alta resistenza (high-strength
low-allow, HSLA). Generalmente hanno basso contenuto di carbonio (tra lo 0.10% e lo
0.30%) e una quantità relativamente bassa di altri elementi di lega (attorno al 3% del
totale). Un esempio di composizione chimica è 0.12 C, 0.60 Mn, 1.1 Ni, 1.1 Cr, 0.35 Mo
e 0.4 Si. Gli acciai HSLA sono laminati a caldo in condizioni controllate per ottenere
una resistenza meccanica maggiore rispetto agli acciai non legati senza sacrificarne la-
vorabilità e la saldabilità. La maggiore resistenza meccanica è dovuta agli altri elementi
in lega; non si possono applicare trattamenti termici agli acciai HSLA a causa del loro
basso contenuto di carbonio.

TABELLA 2.1  Composizione degli acciai secondo la denominazione AISI-SAE.

Analisi chimica nominale %


Codice Denominazione dell’acciaio Cr Mn Mo Ni V P S Si
10XX Non legato 0.4 0.04 0.05
11XX Risolforato 0.9 0.01 0.12 0.01
12XX Risolforato Rifosfatato 0.9 0.10 0.22 0.01
13XX Manganese 1.7 0.04 0.04 0.03
20XX Nichel 0.5 0.6 0.04 0.04 0.2
31XX Nichel-cromo 0.6 1.2 0.04 0.04 0.3
40XX Molibdeno 0.08 0.25 0.04 0.04 0.2
41XX Cromo-molibdeno 1.0 0.8 0.2 0.04 0.04 0.3
43XX Ni-Cr-Mo 0.8 0.7 0.25 1.8 0.04 0.04 0.2
46XX Nichel-molibdeno 0.6 0.25 1.8 0.04 0.04 0.3
47XX Ni-Cr-Mo 0.4 0.6 0.2 1.0 0.04 0.04 0.3
48XX Nichel-molibdeno 0.6 0.25 3.5 0.04 0.04 0.3
50XX Cromo 0.5 0.4 0.04 0.04 0.3
52XX Cromo 1.4 0.4 0.02 0.02 0.3
61XX Cr-Vanadio 0.8 0.8 0.1 0.04 0.04 0.3
81XX Ni-Cr-Mo 0.4 0.8 0.1 0.3 0.04 0.04 0.3
86XX Ni-Cr-Mo 0.5 0.8 0.2 0.5 0.04 0.04 0.3
88XX Ni-Cr-Mo 0.5 0.8 0.35 0.5 0.04 0.04 0.3
92XX Silicio-manganese 0.8 0.04 0.04 2.0
93XX Ni-Cr-Mo 1.2 0.6 0.1 3.2 0.02 0.02 0.3
98XX Ni-Cr-Mo 0.8 0.8 0.25 1.0 0.04 0.04 0.3
30 Tecnologia meccanica

Acciai inossidabili  Gli acciai inossidabili sono un gruppo di acciai altolegati pro-
gettati per avere un’alta resistenza alla corrosione. Il cromo è l’elemento principale degli
acciai inossidabili, solitamente in quantità superiore al 15%. A contatto con l’ossigeno
contenuto nell’aria, il cromo in queste quantità forma una pellicola di ossido sottile e
impermeabile, che protegge la superficie dalla corrosione. Il nichel è un altro elemento
usato in alcune tipologie di acciai inossidabili per aumentarne la resistenza alla corro-
sione. Il carbonio è utilizzato invece per rafforzare e indurire il metallo. È da sottolinea-
re, allo stesso tempo, che un aumento eccessivo della quantità di carbonio ha l’effetto di
ridurre la protezione alla corrosione perchè causa la formazione del carburo di cromo
riducendo la quantità di cromo libero presente nella lega.
Oltre alla resistenza dalla corrosione, gli acciai inossidabili sono noti per la loro
combinazione di resistenza meccanica e duttilità. Anche se queste proprietà sono utili
in molte applicazioni, di solito rendono le leghe inossidabili difficilmente lavorabili.
Inoltre gli acciai inossidabili sono molto più costosi degli acciai non legati o bassolegati.
Gli acciai inossidabili si dividono in tre gruppi, il cui nome dipende dalla fase pre-
valente presente nella lega a temperatura ambiente:

1. Gli acciai inossidabili austenitici hanno una composizione tipica di circa il 18% di
cromo e l’8% di nichel e sono i più resistenti alla corrosione. Data la loro composi-
zione, vengono identificati comunemente come acciai 18-8. Sono amagnetici e mol-
to duttili, ma presentano anche un significativo incrudimento. Il nichel ha l’effetto
di allargare la regione austenitica nel diagramma di fase ferro-carbonio, rendendola
stabile a temperatura ambiente. Gli acciai inossidabili austenitici si usano per fab-
bricare prodotti e macchinari nel settore chimico e per l’industria alimentare e per
tutti i prodotti che richiedono un’alta resistenza alla corrosione.
2. Gli acciai inossidabili ferritici hanno dal 15% al 20% di cromo, poco carbonio e
niente nichel. Questo garantisce una fase ferritica stabile a temperatura ambiente.
Gli acciai inossidabili ferritici sono magnetici, meno duttili e meno resistenti alla
corrosione rispetto agli austenitici. Si usano per realizzare prodotti che vanno dagli
utensili in cucina a parti dei motori degli aerei.
3. Gli acciai inossidabili martensitici hanno un contenuto di carbonio maggiore dei
ferritici e quindi possono essere soggetti a trattemnti termici che ne aumentano la
resistenza meccanica e durezza (come descritto nel Box). Contengono circa il 18%
di cromo ma non hanno nichel. Hanno buona resistenza statica e alla fatica nonchè
durezza ma solitamente non hanno pari resistenza alla corrosione come gli altri due
gruppi. Prodotti tipici sono posate e strumenti chirurgici.

La maggior parte degli acciai inossidabili sono designati secondo una denominazione
AISI a tre cifre. La prima indica il tipo generale e le altre due rappresentano il grado
specifico all’interno del tipo. La Tabella 2.2. riporta la composizione tipica di alcuni
acciai inossidabili standard.

Acciai per utensili  Gli acciai per utensili sono una categoria di acciai di solito alto-
legati e usati per utensili da taglio industriali, matrici e stampi. Per essere utilizzati per
questi scopi, essi devono possedere propietà molto alte di resistenza, durezza, durezza
a caldo, resistenza all’usura e tenacia sotto sforzo. Per ottenerle, gli acciai per utensili
sono sottoposti a trattamenti termici. Le ragioni principali dell’alto contenuto di ele-
menti in lega sono la maggior durezza, la ridotta propensione alla distorsione durante
il trattamento termico, la maggior durezza a caldo, la formazione di carburi metallici
resistenti all’abrasione e la maggior tenacia.
Gli acciai per utensili sono classificati secondo la loro composizione e le applica-
Materiali per Applicazioni Industriali 31

TABELLA 2.2  Composizione degli acciai inossidabili.

Analisi chimica %
Tipo Fe Cr Ni C Mn Altroa
Austenitico
301 73 17 7 0.15 2
302 71 18 8 0.15 2
304 69 19 9 0.08 2
309 61 23 13 0.20 2
316 65 17 12 0.08 2 2.5 Mo
Ferritico
405 85 13 – 0.08 1
430 81 17 – 0.12 1
Martensitico
416 85 13 – 0.15 1
440 81 17 – 0.65 1
a
Tutti gli acciai riportati in Tabella contengono circa l’1% (o meno) di silicio, più piccole quantità (molto inferiori
all’1%) di fosforo, zolfo e altri elementi come l’alluminio.

zioni per cui vengono usati. Per identificarli l’AISI usa un sistema basato su una lettera
che identifica l’applicazione secondo il seguente schema:

T, M Gli acciai super-rapidi sono usati per gli utensili da taglio nei processi di aspor-
tazione di truciolo. La loro composizione è formulata perché abbiano elevata
resistenza all’usura e alta durezza a caldo. Questi acciai si svilupparono attorno
al 1900 e permisero di raggiungere velocità di taglio molto maggiori rispetto a
quelle degli utensili tradizionali: da qui deriva il loro nome. Le lettere con cui
sono indicati rappresentano gli elementi principali della lega: T per tungsteno e
M per molibdeno.
H Gli acciai per lavorazioni a caldo (hot, da cui la letera H) sono usati per matrici
e punzoni nelle lavorazione di deformazione a caldo (forgiatura, estrusione, inie-
zione).
D Gli acciai per lavorazioni a freddo sono usati nelle operazioni di lavorazione
di deformazione a freddo come lo stampaggio di lamiere, l’estrusione a freddo e
alcune operazioni di forgiatura. La lettera D deriva dalla parola die, cioè stampo.
Altre denominazioni simili sono la A e la O, che stanno per tempra ad aria (A) o
olio (O). Tutti questi acciai hanno una buona resistenza all’usura.
W Gli acciai da tempra in acqua hanno un elevato contenuto di carbonio senza
o quasi altri elementi nella lega. Possono essere temprati solo raffreddandoli in
acqua (in inglese water, da cui la lettera W). Sono molto comuni perchè poco
costosi, ma sono limitati ad applicazioni a bassa temperatura, quali la formatura
delle teste dei chiodi e bulloni.
S Gli acciai resistenti agli urti (dal termine inglese shock) si usano in applicazio-
ni in cui serve una grande tenacità, tra questi molti processi di lavorazione della
lamiera quale tranciatura, punzonatura e piegatura.
P Gli acciai per stampi sono utilizzati per realizzare stampi per l’iniezione della
plastica e gomma.
L Gli acciai debolmente legati (low-alloy) sono di solito riservati per applicazioni
speciali.
32 Tecnologia meccanica

Gli acciai per utensili non sono gli unici materiali usati per fabbricare utensili. In questo
testo si tratterà dei diversi processi di lavorazione degli stampi e dei materiali corrispon-
denti che oltre agli acciai per utensili comprendono gli acciai non legati, i basso-legati,
le ghise e le ceramiche.

2.1.2  Ghise
Le ghise sono una lega di ferro contenente dal 2.1% al 4% di carbonio e dall’1% al 3%
di silicio. La loro composizione le rende un’ottima lega da fusione. Infatti la quantità di
ghisa prodotta mediante fusione è molto superiore a quella di tutte le altre leghe fuse
messe insieme (con l’eccezione dell’acciaio che viene fuso per ottenere i lingotti da cui
su ricaveranno barre, piatti e semi-lavorati simili da deformazione plastica).
Ci sono diversi tipi di ghise, il più importante è la ghisa grigia. Altri tipi sono la
ghisa duttile, la ghisa bianca e la ghisa malleabile. Le ghise duttili e malleabili hanno
proprietà chimiche simili rispettivamente alle ghise grigie e bianche, ma sono il risul-
tato di speciali trattamenti descritti di seguito. La Tabella 2.3 presenta le composizioni
chimiche dei tipi principali di ghise.

Ghisa grigia  La ghisa grigia è la ghisa più diffusa. Contiene carbonio in percentu-
ali dal 2.5% al 4% e silicio dall’1% al 3%. Questa composizione è responsabile della
formazione di lamelle di grafite all’interno del pezzo che solidifica. Tali lamelle fanno
assumere alla superficie del metallo fratturato un colore grigio da cui deriva appunto
la denominazione ghisa grigia. La presenza delle lamelle di grafite disperse nella ghisa
grigia è responsabile di due buone proprietà: (1) buon smorzamento delle vibrazioni,
che è utile nei motori e in altri macchinari e (2) auto-lubrificazione interna, che rende
particolarmente lavorabile la ghisa grigia dalle macchine utensili.
L’ASTM (American Society for Testing of Materials) usa un metodo di classifica-
zione delle ghise grigie basato sul valore della resistenza minima a trazione (TS) per le
varie classi: Classe 20 con TS pari a 138MPa, Classe 30 con TS 207MPa e così via. La
resistenza alla compressione della ghisa grigia è molto maggiore che la sua resistenza
TABELLA 2.3  Composizione chimica delle ghise.

Composizione chimica tipica %


Tipo Fe C Si C Mn Altroa
Ghise grigie
ASTM classe 20 93.0 3.5 2.5 0.15 0.65
ASTM classe 30 93.6 3.2 2.1 0.15 0.75
ASTM classe 40 93.8 3.1 1.9 0.08 0.85
ASTM classe 50 93.5 3.0 1.6 0.20 1.0 0.67 Mo
Ghise duttili 0.08
ASTM A395 94.4 3.0 2.5
ASTM A476 93.8 3.0 3.0 0.08
Ghise bianche 17 0.12
Basso carbonio 92.5 2.5 1.3 0.4 1.5 Ni, 1 Cr, 0.5 Mo
Ghise malleabili
Ferritiche 95.3 2.6 1.4 0.15 0.4
Perlitiche 95.1 2.5 1.4 0.65 0.8

Fonte [16]. Le ghise possono essere identificate in diversi modi. Si è cercato di indicare il grado della ghisa usan-
do l’identificazione più comune per ogni tipo.
a
Le ghise contengono anche fosforo e zolfo in quantità minori dello 0.3%.
Materiali per Applicazioni Industriali 33

alla trazione. Le proprietà del pezzo possono essere controllate in qualche misura attra-
verso un trattamento termico. La ghisa grigia è un materiale fragile caratterizzato da
duttilità molto bassa. La ghisa grigia ad esempio si usa per realizzare blocchi e testate di
motori di automobili, alloggiamenti di motori e basamenti per macchine utensili.

Ghisa duttile  Questa ghisa ha la stessa composizione della ghisa grigia, ma il metal-
lo fuso è trattato chimicamente prima della colata per causare la formazione di sferoidi
di grafite anziché lamelle. Questo produce una ghisa più resistente e più duttile da cui
il suo nome. Le sue applicazioni includono componenti meccanici che richiedono una
buona resistenza meccanica e resistenza all’usura.

Ghisa bianca  Questa ghisa è caratterizzata da un contenuto inferiore di carbonio e


silicio rispetto alla ghisa grigia. Si forma da un raffreddamento più rapido del metallo
fuso dopo la colata e quindi il carbonio rimane combinato chimicamente con il ferro
nella forma di cementite (Fe3C) anziché precipitare nella soluzione in forma di lamelle
di grafite. Quando viene fratturata, la superficie appare bianca e cristallina da cui il suo
nome. A causa della cementite la ghisa bianca è dura e fragile mentre la sua resistenza
all’usura è eccellente. Queste proprietà rendono la ghisa bianca utilizzabile per appli-
cazioni che richiedono una buona resistenza all’usura, come ad esempio le ganasce dei
treni.

Ghisa malleabile  Quando le ghise bianche sono trattate termicamente per separare
il carbonio dalla soluzione e formare aggregati di grafite il metallo risultante si chiama
ghisa malleabile. La nuova microstruttura mostra una duttilità maggiore in confronto al
metallo da cui deriva. Esempi di prodotti fatti di ghisa malleabile sono raccordi e flange
per tubi, alcuni componenti di macchinari e parti di materiale ferroviario.

2.1.3  Metalli non ferrosi


I metalli non ferrosi comprendono metalli e leghe non ferrose. I metalli industriali più
importanti non ferrosi sono: alluminio, magnesio, rame, nichel, titanio, zinco e le loro
leghe. Sebbene i metalli non ferrosi non raggiungono la resistenza meccanica degli ac-
ciai, alcune leghe non ferrose hanno una resistenza alla corrosione e/o un rapporto resi-
stenza/peso che li rendono competitivi con gli acciai in applicazioni con sollecitazioni
medio-alte. Inoltre molti metalli non ferrosi hanno altre proprietà non meccaniche che
li rendono ideali in applicazioni in cui l’acciaio non risulta idoneo. Ad esempio il rame
ha una bassa resistività elettrica ed è molto usato per i fili elettrici. L’allumio è un con-
duttore termico eccellente, pertanto le sue applicazioni includono scambiatori di calore
e attrezzatura da cucina. È un metallo molto utilizzato grazie all’elevata lavorabilità per
deformazione plastica . Lo zinco ha un punto di fusione relativamente basso, quindi
è molto usato per la fusione in stampo. I metalli non ferrosi più comuni possiedono
una combinazione di proprietà che li rendono adatti ad una varietà di applicazioni. Nei
prossimi paragrafi tratteremo i metalli non ferrosi più importanti dal punto di vista
commerciale e tecnico.

L’allumio e le sue leghe  Alluminio e magnesio sono metalli leggeri e per questa
caratteristica vengono spesso usati in applicazioni industriali. Anche se non sempre
facilmente estraibili, entrambi gli elementi sono abbondanti in natura, l’alluminio sul-
la terra (il minerale principale da cui si estrae è la bauxite) e il magnesio nel mare.
L’allumio ha un’alta conduttività elettrica e termica e la sua resistenza alla corrosione
è eccellente a causa della formazione di un sottile e duro strato di ossido superficiale.
34 Tecnologia meccanica

TABELLA 2.4(a)  Denominazioni delle leghe di alluminio per lavorazioni da deformazione plastica
e per fonderia.

Lega Codice da deformazione Codice da fonderia


plastica
Alluminio puro al 99.0% o più 1XXX 1XX.X
Leghe di alluminio e per elemento principale
Rame 2XXX 2XX.X
Manganese 3XXX
Silicio + rame e/o manganese 3XX.X
Silicio 4XXX 4XX.X
Magnesio 5XXX 5XX.X
Magnesio e Silicio 6XXX
Zinco 7XXX 7XX.X
Stagno 8XX.X
Altro 8XXX 9XX.X

Fonte [17].

L’alluminio è un metallo molto duttile ed è noto per la sua deformabilità. L’allumio puro
non ha molta resistenza meccanica, ma può essere impiegato sotto forma di lega o sot-
toposto a trattamenti termici nel caso in cui debba competere per resistenza meccanica
con gli acciai, specialmente quando la riduzione di peso è un fattore rilevante.
Il sistema di identificazione delle leghe di alluminio è un codice numerico a quat-
tro cifre. Il sistema ha due parti, una per l’allumio da deformazione plastica e una per
l’alluminio da fonderia. La differenza è che un punto decimale segue la terza cifra per
l’alluminio da fonderia. La Tabella 2.4(a) riporta queste denominazioni.
Visto che le proprietà delle leghe di alluminio sono così influenzate dall’incrudimen-
to e dai trattamenti termici, il trattamento di rinvenimento (un trattamento che aumenta
la resistenza meccanica, se presente) deve essere indicato a parte rispetto al codice della
composizione. Le principali designazioni per il trattamento di rinvenimento sono ripor-
tati nella Tabella 2.4(b). Questi codici sono aggiunti ai numeri a quattro cifre, separati
da un trattino, per indicare la presenza o assenza del trattamento. Ad esempio, 2024-T3.

TABELLA 2.4(b)  Denominazione dei trattamenti termici per le leghe di alluminio.

Trattamento Descrizione
F Grezzo di colata - nessun trattamento
H Incrudito (alluminio per lavorazioni plastiche). La lettera H è seguita da due
cifre, la prima indica il trattamento temico, se presente, e la seconda il grado di
incrudimento. Ad esempio H1X significa che non ci sono stati trattamenti termici
dopo l’incrudimento e X è un numero compreso tra 1 e 9 a seconda del grado di
incrudimento.
O Ricotto per distendere a seguito dell’incrudimento, migliorare la duttilità e ridurre
la resistenza meccanica.
T Trattamento termico per produrre un rinvenimento stabile a partire dai trattamenti
F, H e O. La lettera è seguita da un numero che indica lo specifico trattamento.
Ad esempio T1 = raffreddato da un’elevata temperatura e invecchiato natural-
mente; T2 = raffreddato da un’elevata temperatura, lavorato a freddo e invec-
chiato naturalmente; T3 = solubilizzato a caldo, lavorato a freddo e invecchiato
naturalmente ecc.
W Solubilizzato a caldo, applicato alle leghe che induriscono per invecchiamento
durante l’esercizio, ma è un rinvenimento non stabile.

Fonte [17].
Materiali per Applicazioni Industriali 35

TABELLA 2.5  Composizioni delle leghe di alluminio.

Composizione tipica % a
Codice Al Cu Fe Mg Mn Si
1050 99.5 0.4 0.3
1100 99.9 0.6 0.3
2024 93.5 4.4 0.5 1.5 0.6 0.5
3004 96.5 0.3 0.7 1.0 1.2 0.3
4043 93.5 0.3 0.8 5.2
5050 96.6 0.2 0.7 1.4 0.1 0.4

Fonte [17].
a
Oltre agli elementi indicati, la lega può contenere tracce di altri elementi come il rame, il magnesio, il mangane-
se, il vanadio e lo zinco.

Naturalmente, i trattamenti di rinvenimento che indicano aumento di resistenza


meccanica attravesro l’incrudimento non si applicano alle leghe da fonderia. La compo-
sizione delle leghe di alluminio è riportata in Tabella 2.5.

Il magnesio e le sue leghe  Il magnesio (Mg) è il più leggero dei metalli struttura-
li, con un peso specifico di 1.74 kg/dm3. Il magnesio e le sue leghe sono disponibili sia
in semilavorati da deformazione plastica sia da fonderia. Sono abbastanza facili da lavo-
rare per asportazione di truciolo. Tuttavia in tutti i processi in cui si producono piccole
scaglie di metallo (come nel caso del truciolo prodotto dall’asportazione) bisogna fare
attenzione ai rischi d’incendio, poiché tali particelle si ossidano rapidamente.
Come metallo puro il magnesio è relativamente poco resistente per la maggior parte
delle applicazioni meccaniche. Tuttavia può essere utilizzato in forma di lega o trattato
termicamente fino a raggiungere una resistenza comparabile a quella delle leghe di
alluminio. In particolare il suo rapporto resistenza/peso è un vantaggio soprattutto nei
componenti di aerei e missili.
Lo schema di denominazione delle leghe di magnesio segue un codice alfanume-
rico da tre a cinque caratteri. I primi due caratteri sono lettere che identificano l’ele-
mento principale della lega (nel codice si possono specificare fino a due elementi, in
ordine di quantità decrescente o alfabetico in caso di pari quantità). Ad esempio, A
per alluminio (Al), K per zirconio (Zr), M per Manganese (Mn), Z per zinco (Zn). Le
lettere sono seguite da un numero a due cifre che indicano le quantità dei due elementi
approssimate alla percentuale più vicina. L’ultimo carattere è una lettera che indica
qualche variazione nella composizione o semplicemente l’ordine cronologico in cui è
stato standardizzato per la commercializzazione. Le leghe di magnesio richiedono di
specificare il trattamento di distensione, secondo lo stesso schema delle leghe di allu-
minio, riportato in Tabella 2.4(b). Esempi di denominazioni di leghe di magnesio sono
riportate in Tabella 2.6.
TABELLA 2.6  Composizione di alcune leghe di magnesio.

Composizione tipica %
Codice Mg Al Mn Si Zn Altro
AZ10A 98.0 1.3 0.2 0.1 0.4
AZ80A 91.0 8.5 0.5
ZK21A 97.1 2.3 6 Zr
AM60 92.8 6.0 0.1 0.5 0.2 0.3 Cu
AZ63A 91.0 6.0 3.0

Fonte [17].
36 Tecnologia meccanica

Il rame e le sue leghe  Il rame puro (Cu) ha il caratteristico colore rosso-rosato,


ma la sua caratteristica industriale più conosciuta è la sua bassa resistività elettrica, una
delle più basse di tutti gli elementi. Per questa sua proprietà e per la sua abbodanza in
natura, il rame puro è molto usato come conduttore elettrico (va notato che la condutti-
vità del rame diminuisce molto se legato ad altri elementi). Il rame è anche un eccellente
conduttore termico. È uno dei metalli nobili (come l’oro e l’argento), quindi resistente
alla corrosione. L’unione di tutte queste proprietà rende il rame uno dei metalli più
importanti.
Dall’altro lato la resistenza meccanica e la durezza del rame sono piuttosto basse,
specialmente tenendo conto del peso. Per migliorare la resistenza meccanica (ma anche
per altri motivi), il rame si utilizza spesso sotto forma di lega. Il bronzo è una lega di
rame e stagno (di solito circa il 90% di rame e il 10% di stagno), che è ancora ampia-
mente usata oggi nonostante la sua antica origine (la famosa Età del Bronzo della storia
antica). Sono anche state sviluppate altre leghe di bronzo con elementi diversi dallo
stagno, come bronzo all’alluminio e bronzo al silicio. L’ottone è un’altra famosa lega di
rame, composta da rame e zinco (tipicamente il 65% di rame e il 35% di zinco). La lega
dall’alluminio a maggiore resistenza è la lega berillio-rame trattato termicamente (solo
il 2% Be), che viene utilizzato per realizzare molle.
La denominazione delle leghe di rame si basa sul Sistema Unificato di Numerazio-
ne per Metalli e Leghe (UNS), che usa un numero di cinque cifre preceduto dalla let-
tera C (dalla parola copper, cioè rame). Le leghe sono ottenute mediante deformazione
plastica o fonderia e il sistema di designazione include entrambe. Le composizioni di
alcune leghe di rame sono riportate in Tabella 2.7.

Il nichel e le sue leghe  Il nichel (Ni) è simile al ferro per diversi aspetti. È magne-
tico e ha la stessa rigidità del ferro e dell’acciaio. Però è molto più resistente alla cor-
rosione e le proprietà ad alte temperature delle sue leghe sono generalmente superiori.
Per la sua caratteristica di resistenza alla corrosione è molto usato come elemento nelle
leghe di acciaio, come ad esempio negli acciai inossidabili, e come metallo da placcatu-
ra su altri metalli come l’acciaio non legato.
Le leghe di nichel sono importanti dal punto di vista economico e note per la re-
sistenza alla corrosione e le buoni prestazioni ad alta temperatura. Le composizioni di
alcune leghe di nichel sono riportate in Tabella 2.8. Anche un certo numero di superle-
ghe sono basate sul nichel.

Il titanio e le sue leghe  Il titanio (Ti) è abbastanza diffuso in natura e costituisce


circa l’1% della crosta terrestre (l’alluminio, che è il più abbondante, è circa l’8%). Il

TABELLA 2.7  Composizione di alcune leghe di rame.

Composizione tipica %
Codice Cu Be Ni Sn Zn
C10100 99.99
C11000 99.95
C17000 98.0 1.7 a

C24000 80.0 20.0


C26000 70.0 30.0
C52100 92.0 8.0
C71500 70.0 30.0
Fonte [17].
a
Piccole quantità di Ni e Fe + 0.3 Co.
Materiali per Applicazioni Industriali 37

TABELLA 2.8  Composizione di alcune leghe di nichel.

Composizione tipica % a
Codice a
Ni Cr Cu Fe Mn Si Altro
270 99.9 a a

200 99.0 0.2 0.3 0.2 0.2 C, S


400 66.8 30.0 2.5 0.2 0.5 C
600 74.0 16.0 0.5 8.0 1.0 0.5
230 52.8 22.0 3.0 0.4 0.4 b

Fonte [17].
a
Tracce.
b
Altri elementi della lega di codice 230 sono 5% Co, 2% Mo, 14% W, 0.3% Al e 0.1% C.

peso specifico del titanio è 4.7 kg/dm3, circa a metà tra l’alluminio e il ferro. La sua
importanza è aumentata negli anni recenti per le sue applicazioni aerospaziali che ne
sfruttano il poco peso e il buon rapporto resistenza-peso.
La dilatazione termica del titanio è relativamente ridotta tra quelle dei metalli. È
più rigido e resistente dell’alluminio e mantiene una buona resistenza alle temperature
elevate. Il titanio puro è reattivo, quindi presenta dei problemi nella lavorazione, spe-
cialmente allo stato fuso. Tuttavia, a temperatura ambiente, si forma uno strato sottile di
ossido (TiO2) che fornisce un’eccellente resistenza alla corrosione. Queste proprietà dan-
no luogo a due principali aree di applicazione per titanio: (1) il titanio commercialmente
puro viene utilizzato per realizzare componenti resistenti alla corrosione, quali compo-
nenti marini e impianti protesici e (2) le leghe di titanio sono usate come componenti ad
alta resistenza a temperature comprese tra la temperatura ambiente e i 550°C (1000°F),
in particolare quando si può trarre vantaggio dal suo eccellente rapporto resistenza mec-
canica-peso. Applicazioni di questo tipo includono componenti aeronautici e missilisti-
ci. Gli elementi usati nelle leghe di titanio sono l’alluminio, il manganese, lo stagno e il
vanadio. Le composizioni di alcune leghe di titanio sono riportate in Tabella 2.9.

Lo zinco e le sue leghe  Il punto di fusione particolarmente basso dello zinco


(Zn) lo rende molto usato come metallo da fonderia. Inoltre fornisce protezione contro
la corrosione, se applicato su acciaio o ferro: l’acciaio zincato è un acciaio che è stato
rivestito di zinco.
Diverse leghe dello zinco sono riportate in Tabella 2.10, con i dati relativi alle loro
composizioni e applicazioni. Le leghe di zinco sono molto usate nel processo di colata
in conchiglia per la produzione di massa di componenti automobilistici ed elettrodo-
mestici. Un’altra importante applicazione dello zinco è l’acciaio zincato, in cui l’acciaio
viene rivestito di zinco per renderlo resistente alla corrosione. Una terza applicazione
dello zinco è l’ottone. Come già detto nella sezione sul rame, questa lega è costituita da

TABELLA 2.9  Composizione di alcune leghe di titanio.

Composizione tipica %
Codicea Ti Al Cu Fe V Altro
R50250 99.0 0.2
R56400 89.6 6.0 0.3 4.0 b

R54810 90.0 8.0 1.0 1 Mo, b


R56620 84.3 6.0 0.8 0.8 6.0 2 Sn, b

Fonti [1] e [17].


a
Sistema di Numerazione Unificato (UNS).
b
Tracce di C, H e O.
38 Tecnologia meccanica

TABELLA 2.10  Composizioni e applicazioni di alcune leghe di zinco.

Composizione tipica %
Codice a
Zn Al Cu Mg Fe Applicazione
Z33520 95.6 4.0 0.25 0.04 0.1 Pressofusione
Z35540 93.4 4.0 2.5 0.04 0.1 Pressofusione
Z35635 91.0 8.0 1.0 0.02 0.06 Lega da fonderia
Z35840 70.9 27.0 2.0 0.02 0.07 Lega da fonderia
Z45330 98.9 1.0 0.01 Lega da laminazione

Fonti [1] e [17].


a
Sistema di Numerazione Unificato (UNS).

rame e zinco, in rapporto di circa 2/3 di Cu e 1/3 di Zn. Infine potrebbe essere curioso
sapere che il centesimo di dollaro (penny) è fatto di zinco. Il penny è coniato in zinco
e poi placcato con rame, in modo che le proporzioni finali siano 97,5% Zn e 2,5% Cu.
Il costo per la Zecca degli Stati Uniti è di circa 1,5 centesimi per la produzione di ogni
penny.

2.1.4  Superleghe
Le superleghe costituiscono una categoria a cavallo tra i metalli ferrosi e non ferrosi.
Alcune di esse sono a base di ferro, mentre altre sono a base di nichel o cobalto. Mol-
te delle superleghe contengono quantità rilevanti di tre o più metalli, anziché essere
composte da un metallo di base più elementi di lega. Sebbene il tonnellaggio di questi
metalli non sia significativo rispetto alla maggior parte degli altri metalli di cui abbiamo
parlato, essi sono comunque sia commercialmente importanti, perché molto costosi, sia
tecnicamente importanti per le loro potenzialità.
Le superleghe sono un gruppo di leghe ad alte prestazioni progettate per soddisfare
requisiti molto severi di resistenza meccanica e resistenza al degrado superficiale (cor-
rosione e ossidazione) a temperature elevate. La resistenza meccanica a temperatura
ambiente non è un parametro importante per questi metalli e la maggior parte di essi
possiede caratteristiche di buona resistenza a temperatura ambiente. Le superleghe si
distinguono per le proprietà ad alta temperatura: resistenza alla trazione, durezza a
caldo, resistenza allo scorrimento (creep) e resistenza alla corrosione. Temperature di
esercizio sono spesso attorno ai 1100°C. Questi metalli sono ampiamente utilizzati in
sistemi di turbine a gas (motori di jet e razzi, turbine a vapore e impianti per l’energia
nucleare) in cui l’efficienza di lavorazione aumenta all’aumentare della temperatura.
Le superleghe si possono dividere in tre gruppi a seconda del loro elemento princi-
pale: ferro, nichel o cobalto.
Le leghe a base di ferro hanno il ferro come elemento principale (anche se in
alcuni casi raggiunge meno del 50% del totale). Altri elementi nella lega sono nichel,
cobalto e cromo.
Le leghe a base di nichel di solito hanno una miglior resistenza alle alte tempera-
ture che le leghe di acciaio. Il nichel è il metallo di base e gli altri elementi principali
della lega sono cromo e cobalto. Elementi minori sono alluminio, titanio, molibdeno,
niobio e ferro.
Le leghe a base di cobalto sono fatte principalmente di cobalto (dal 40% al 50%) e
di cromo (dal 20% al 30%). Altri elementi nella lega sono nichel, molibdeno e tungsteno.
In quasi tutte le superleghe, comprese quelle a base di ferro, si può ottenere un raf-
forzamento attraverso l’indurimento per precipitazione. Le superleghe a base di ferro
non usano la formazione di martensite per il rafforzamento.
Materiali per Applicazioni Industriali 39

2.2 Ceramiche

L’importanza delle ceramiche come materiali industriali deriva dalla loro abbondanza
in natura e dalle loro proprietà meccaniche e fisiche, che sono molto diverse da quelle
dei metalli. Una ceramica è un composto inorganico costituito da un metallo (o semi-
metallo) e uno o più non metalli. Esempi di importanti materiali ceramici sono la silice,
o biossido di silicio (SiO2), l’ingrediente principale nella maggior parte dei prodotti di
vetro, l’allumina, o ossido di alluminio (Al2O3), utilizzato in applicazioni che vanno da-
gli abrasivi alle ossa artificiali, e composti più complessi quali idrossilicato di alluminio
(Al2Si2O5(OH)4), noto come caolinite, l’ingrediente principale nella maggior parte dei
prodotti di argilla (per esempio mattoni e ceramiche). Gli elementi di questi composti
sono i più comuni nella crosta terrestre. Il gruppo delle ceramiche comprende molti altri
composti, alcuni dei quali esistono naturalmente, mentre altri sono fabbricati dall’uomo.
Le proprietà generali che rendono utili le ceramiche come prodotti industriali sono
l’elevata durezza, le buone caratteristiche di isolamento elettrico e termico, la stabilità
chimica e l’elevata temperatura di fusione. Alcune ceramiche sono trasparenti, come i
vetri delle finestre. Sono però anche fragili e per niente duttili, quindi possono causare
problemi sia nella lavorazione sia nelle prestazioni in esercizio dei prodotti ceramici.
La classificazione delle ceramiche si riferisce a tre tipologie fondamentali: (1) le
ceramiche tradizionali, cioè silicati utilizzati per i prodotti di argilla come terracotta e
mattoni, abrasivi comuni e cemento, (2) le ceramiche nuove, sviluppate più di recente
basate sui non-silicati come ossidi e carburi, che in genere possiedono proprietà mec-
caniche e fisiche superiori o uniche rispetto alle ceramiche tradizionali e (3) i vetri,
sostanzialmente a base di silice e distinti dalle altre ceramiche per la loro struttura non
cristallina. Oltre ai tre tipi di base, ci sono anche le vetroceramiche, cioè vetri trasfor-
mati in una struttura largamente cristallina mediante un trattamento termico. I processi
di fabbricazione di questi materiali sono trattati nei Capitoli 7 (lavorazione del vetro –
on-line) e 11 (trattamento particolato di ceramiche tradizionali e nuove).

2.2.1  Ceramiche tradizionali


Questi materiali sono a base di silicati minerali, silice e ossidi minerali. I prodotti pri-
mari sono l’argilla cotta (vasellame, stoviglie, mattoni e piastrelle), il cemento e gli
abrasivi naturali come l’allumina. Questi prodotti, e i processi utilizzati per fabbricarli,
risalgono a migliaia di anni fa. Il vetro essendo un materiale ceramico silicato è spesso
incluso nel gruppo delle ceramiche tradizionali [12], [13]. Tuttavia verrà trattato in una
sezione a parte perché ha una struttura amorfa (anche detta vetrosa) che differisce dai
suddetti materiali cristallini.

Materie prime I silicati minerali (come le argille di varia composizione) e la silice


(come il quarzo) sono tra le sostanze più abbondanti in natura e costituiscono le prin-
cipali materie prime per le ceramiche tradizionali. Le argille sono le materie prime più
usate nelle ceramiche. Esse consistono di fini particelle di idrossilicato di alluminio che
diventano una sostanza plastica deformabile e modellabile (miscelate con acqua). Le
argille più comuni si basano sulla caolinite minerale (Al2Si2O5(OH)4). Altri minerali
argillosi variano nella composizione, sia in termini di proporzioni degli ingredienti di
base, sia per l’aggiunta di altri elementi come magnesio, sodio e potassio.
Oltre alla plasticità se mescolata con acqua, una seconda caratteristica dell’argilla
che la rende così utile è che diviene un materiale denso e rigido se riscaldata ad una tem-
peratura sufficientemente elevata. Questo trattamento termico è noto come cottura. Le
temperature di cottura dipendono dalla composizione dell’argilla. Quindi l’argilla può
40 Tecnologia meccanica

essere modellata mentre è bagnata e morbida e poi cotta per ottenere il prodotto finale
in ceramica dura.
La silice (SiO2) è un’altra materia prima per la ceramica tradizionale. È il compo-
nente principale del vetro e un elemento importante in altri prodotti ceramici tra cui
vasellame, oggetti refrattari e abrasivi. La silice è disponibile in natura in varie forme,
la più importante delle quali è il quarzo. La principale fonte di quarzo è l’arenaria.
L’abbondanza di arenaria e la sua relativa facilità di lavorazione consentono di avere
molta silice e a basso costo. La silice è anche dura e chimicamente stabile. Queste carat-
teristiche spiegano la sua diffusione nei prodotti ceramici. È generalmente miscelato in
varie proporzioni con l’argilla e altri minerali per ottenere le caratteristiche desiderate
nel prodotto finale. Il feldspato è un altro minerale molto usato. Il feldspato si riferisce a
un gruppo di minerali a struttura cristallina costituiti da silicato di alluminio combinato
con potassio, sodio, calcio o bario. Le miscele di argilla, silice e feldspato sono usate per
fare gres, porcellane e altro vasellame.
Un’altra materia prima importante per le ceramiche tradizionali è l’allumina. La
maggior parte di allumina viene estratta dalla bauxite, che è una miscela impura di
ossido di alluminio idrato, idrossido di alluminio e altri composti simili di ferro o man-
ganese. La bauxite è anche il minerale principale da cui si estrae l’alluminio. Una forma
più pura, ma meno comune di Al2O3, è il corindone, che contiene allumina in quantità
massicce. Forme leggermente impure di cristalli di corindone sono le pietre preziose di
zaffiro e rubino. La ceramica di allumina viene utilizzata per gli abrasivi delle mole e
per i mattoni refrattari dei forni.
Il carburo di silicio, anche utilizzato come abrasivo, non si forma naturalmente,
ma è prodotto riscaldando miscele di sabbia (silicio) e di coke (carbonio) ad una tempe-
ratura di circa 2200°C, in modo che la reazione chimica formi carburo di silicio (SiC) e
monossido di carbonio.

Prodotti di ceramica tradizionale  I minerali di cui abbiamo parlato servono a


produrre una varietà di prodotti in ceramica, che verranno trattati suddividendoli per
categorie. Ci limiteremo ai materiali comunemente usati nei prodotti industriali, omet-
tendo altre ceramiche anche se importanti dal punto di vista commerciale, come il ce-
mento.

• Terrecotte e vasellame Questa categoria è una delle più antiche, risalente a miglia-
ia di anni fa, ma è ancora una delle più importanti. Comprende vasellame che tutti
usano: maiolica, gres e porcellana. Le materie prime per questi prodotti di solito
sono argille combinate con altri minerali come silice e feldspato. La miscela umida
viene sagomata e poi cotta per produrre il pezzo finito.
• Mattoni e piastrelle Mattoni, tubi di argilla, tegole e piastrelle sono realizzati da
varie argille a basso costo contenenti silice e materie granulose ampiamente dispo-
nibili nei depositi naturali. Questi prodotti sono modellati attraverso stampaggio e
cotture a temperature relativamente basse.
• Prodotti refrattari Le ceramiche refrattarie, spesso sotto forma di mattoni, sono
fondamentali in molti processi industriali che richiedono forni e crogioli per ri-
scaldare e fondere materiali diversi. Le proprietà dei materiali refrattari sono la
resistenza alle alte temperature, l’isolamento termico, e la resistenza alle reazioni
chimiche con il materiale riscaldato (di solito metallo fuso). Come accennato in
precedenza, l’allumina viene spesso utilizzata come ceramica refrattaria. Altri ma-
teriali refrattari includono ossido di magnesio (MgO) e ossido di calcio (CaO).
• Prodotti abrasivi Le ceramiche tradizionali utilizzate per prodotti abrasivi come
mole e carta abrasiva, sono l’allumina e il carburo di silicio. Sebbene quest’ultimo
Materiali per Applicazioni Industriali 41

sia più duro, la maggior parte delle mole sono fatte di allumina perché dà risultati
migliori nella molatura dell’acciaio, il metallo più utilizzato. Le particelle abrasive
(grani di ceramica) sono distribuite in tutta la mola grazie alla presenza di un legan-
te come gommalacca, resina polimerica o gomma. Il processo di rettifica è descritto
nel Capitolo 16.

2.2.2  Ceramiche avanzate


Il termine ceramiche avanzate si riferisce a nuovi materiali ceramici che sono stati
sviluppati per via sintetica negli ultimi decenni grazie al miglioramento delle tecniche
di lavorazione che hanno fornito un maggiore controllo delle strutture e delle proprietà
dei materiali ceramici. In generale, le ceramiche avanzate si basano su composti di di-
verse varianti di silicato di alluminio (che costituiscono la materia prima nei materiali
ceramici tradizionali). Le ceramiche avanzate hanno di solito una struttura chimica
più semplice rispetto alle ceramiche tradizionali, ad esempio sono costituite da ossidi,
carburi, nitruri e boruri. La linea di demarcazione tra le ceramiche tradizionali e la
ceramiche avanzate non è sempre ben chiara, perché l’ossido di alluminio e il carburo
di silicio appartengono alle ceramiche tradizionali. La distinzione in questi casi si basa
più sui metodi di lavorazione che sulla composizione chimica.
Le ceramiche avanzate sono divise secondo la composizione chimica dei composti:
ossidi, carburi e nitruri, descritti nelle sezioni seguenti. Per una descrizione più comple-
ta delle ceramiche avanzate si può fare riferimento a [9], [12] e [18].

Ossidi  L’ossido più importante delle ceramiche avanzate è l’allumina. Anche se già
descritta nel contesto della ceramica tradizionale, l’allumina viene oggi prodotta sin-
teticamente dalla bauxite, utilizzando un forno elettrico. Attraverso il controllo della
dimensione dei grani e delle impurità, il perfezionamento dei metodi di lavorazione e il
miscelamento con piccole quantità di altri elementi ceramici, la resistenza e la tenacità
dell’allumina sono state molto migliorate rispetto al suo omologo naturale. L’allumina
ha anche una buona durezza a caldo, una bassa conducibilità termica e una buona re-
sistenza alla corrosione. Questa combinazione di proprietà la rende utilizzata in una
varietà di applicazioni, tra cui [20]: abrasivi (come grana nelle mole da rettifica), bioce-
ramiche (ossa e denti artificiali), isolanti elettrici, componenti elettronici, elemento di
lega in vetri, mattoni refrattari, inserti di utensili da taglio, candele d’accensione e vari
componenti tecnici (si veda la Figura 2.3).

Figura 2.3 Componen-
ti in allumina (Foto per
gentile concessione di
Insaco Inc.) (Fonte: Fun-
damentals of M odern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
42 Tecnologia meccanica

Carburi  I carburi comprendono il carburo di silicio (SiC), il carburo di tungsteno


(WC), il carburo di titanio (TiC), il carburo di tantalio (TaC) e il carburo di cromo
(Cr3C2). Il carburo di silicio è stato discusso in precedenza. Sebbene sia una ceramica
prodotta artificialmente dall’uomo, i metodi per la sua produzione sono stati svilup-
pati un secolo fa, e quindi di solito viene incluso nel gruppo delle ceramiche tradi-
zionali. In aggiunta al suo uso come abrasivo, altre applicazioni del carburo di silicio
comprendono elementi resistenti alle alte temperature e additivi nella produzione di
acciaio.
WC, TiC e TaC sono apprezzati per la loro durezza e la resistenza all’usura nella
realizzazione di utensili da taglio e in altre applicazioni che richiedono queste pro-
prietà. Il carburo di tungsteno fu il primo ad essere sviluppato ed è il materiale più im-
portante e più utilizzato del gruppo. Il carburo di cromo è più adatto per applicazioni
in cui la stabilità chimica e la resistenza all’ossidazione sono importanti.
A parte il carburo di silicio, gli altri carburi devono essere combinati con un legante
metallico, come il cobalto o il nichel, per fabbricare un prodotto solido di utilità indu-
striale. Le polveri di carburo infatti si fissano nella matrice metallica a creare un com-
posito noto come carburo cementato o meglio cermet (termine che deriva dall’unione
delle parole ceramica e metallo). Nel Paragrafo 2.4.2 verranno descritti nel dettaglio i
carburi cementati e i cermet. I carburi da soli non hanno molto valore industriale, tranne
che come elementi per realizzare compositi.

Nitruri  I nitruri più importanti sono il nitruro di silicio (Si3N4), il nitruro di boro (BN)
e il nitruro di titanio (TiN). I nitruri sono duri e fragili e fondono a temperature elevate
(ma non elevate come i carburi). Sono solitamente buoni isolanti elettrici ad eccezione
del TiN.
Il nitruro di silicio è usato in applicazioni strutturali ad alta temperatura. Ha una
bassa dilatazione termica, una buona resistenza agli shock termici e alla deformazione,
e resiste alla corrosione dei metalli non ferrosi ad alte temperature. Grazie a queste
proprietà viene utilizzato nella realizzazione di turbine a gas, motori di razzi e crogioli
di fusione.
Il nitruro di boro esiste in diverse strutture simili al carbonio. Le più importanti
sono: esagonale, simile alla grafite, e cubiche, come il diamante. Infatti, la sua durezza
è paragonabile a quella del diamante. Questa ultima struttura prende il nome di nitruro
di boro cubico o borazon, rappresentato dal simbolo cBN. Grazie alla sua estrema
durezza, le applicazioni principali del cBN sono gli inserti degli utensili da taglio e le
mole abrasive. È interessante tuttavia notare che non è in concorrenza con gli inserti da
taglio e mole in diamante. Il diamante infatti è adatto per la lavorazione di asportazione
di truciolo e rettifica di parti non in acciaio, mentre il cBN è adatto per la lavorazione
dell’acciaio.
Il nitruro di titanio ha proprietà simili a quelle degli altri nitruri, ad eccezione
della sua conducibilità elettrica. Esso infatti è un buon conduttore. Il nitruro di titanio
ha un’alta durezza, resistenza all’usura e ha un basso coefficiente di attrito verso i me-
talli ferrosi. Questa combinazione di proprietà lo rende il materiale ideale come rivesti-
mento della superficie degli utensili da taglio. Il rivestimento è spesso solo circa 0,006
millimetri (0,0003 pollici), in modo che le quantità di materiale utilizzato in questa
applicazione siano basse.

2.2.3 Vetri
Il termine vetro può generare confusione poiché è usato per descrivere uno stato della
materia oltre che un tipo di ceramica. Come stato della materia, esso si riferisce alla
Materiali per Applicazioni Industriali 43

struttura amorfa, o non cristallina, di un materiale solido. Un materiale si trova in stato


vetroso quando raffredda per un tempo insufficiente affinché si formi la struttura cri-
stallina. Tutte e tre le categorie di materiali industriali (metalli, ceramiche e polimeri)
possono assumere lo stato vetroso, anche se le circostanze per cui si possa verificare per
i metalli sono piuttosto rare.
Come tipo di ceramica al contrario, il vetro è un componente (o una miscela di
componenti) inorganico, non metallico che diviene solido raffreddandosi senza cristal-
lizzare. È una ceramica che allo stato solido è in uno stato vetroso.

Composizione chimica e proprietà del vetro  L’ingrediente principale in qua-


si tutti i vetri è la silice (SiO2), che si trova comunemente come minerale di quarzo
nell’arenaria e nella sabbia silicea. Il quarzo si presenta in natura come una sostanza
cristallina, ma quando viene fuso e poi raffreddato, forma silice vetrosa. Il vetro di
silice ha un basso coefficiente di dilatazione termica ed è quindi abbastanza resistente
agli shock termici. Queste proprietà sono ideali per applicazioni a temperature elevate,
di conseguenza, gli oggetti di vetro per applicazioni chimiche ad alte temperature sono
realizzati con elevate percentuali di vetro di silice.
Per ridurre il punto di fusione del vetro al fine di facilitarne la lavorazione e per
controllarne le proprietà, la composizione della maggior parte dei vetri commerciali
include altri ossidi oltre alla silice. La silice rimane il componente principale di questi
prodotti in vetro e solitamente va dal 50% al 75% della composizione totale. La silice è
molto utilizzata in queste composizioni dato che si trasforma naturalmente in uno stato
vetroso dopo il raffreddamento dallo stato liquido, mentre la maggior parte delle cera-
miche cristallizza per solidificazione. La Tabella 2.11 riporta le composizioni chimiche
di alcuni vetri comuni.
Gli altri elementi sono contenuti in forma di soluzione solida con la SiO2 e hanno
ciascuno una funzione, ad esempio: (1) promuovere la fusione durante il riscaldamento;
(2) aumentare la fluidità del vetro fuso per la lavorazione; (3) ritardare la de-vetrifi-
cazione, cioè la tendenza a cristallizzare dallo stato vetroso, (4) ridurre la dilatazione
termica del prodotto finale, (5) migliorare la resistenza chimica contro l’attacco di acidi,
basi o acqua, (6) colorare il vetro o (7) modificare l’indice di rifrazione per applicazioni
ottiche (es. lenti).

Prodotti di vetro  Di seguito sono riportati i gruppi principali dei prodotti di vetro,
assieme alla descrizione delle funzioni dei vari elementi riportati in Tabella 2.11.

• Vetro per finestre Questo vetro è costituito dalle prime due composizioni chimi-
che della Tabella 2.11: vetro sodico-calcico e vetro per finestre. La formula del vetro
sodico-calcico risale all’industria del vetro soffiato del 1800 e precedente, in cui il
vetro era (ed è tuttora) fatto da miscela di soda (Na2O) e calce (CaO) con la silice
(SiO2). La miscela si è evoluta fino a raggiungere un buon punto di equilibrio tra
stabilità chimica ed evitare la cristallizzazione durante il raffreddamento. I moder-
ni vetri per finestre e le tecniche per realizzarli hanno richiesto dei leggeri aggiu-
stamenti della composizione originale. Si è aggiunto ossido di magnesio (MgO) per
ridurre la devetrificazione.
• Vetro per contenitori Tempo fa lo stesso vetro sodico-calcico lavorato tramite sof-
fiatura manuale era usato per le bottiglie e altri contenitori. I processi moderni per
modellare i contenitori in vetro raffreddano il vetro più rapidamente rispetto ai
vecchi metodi, i cambiamenti nella composizione hanno ottimizzato la proporzione
di calce (CaO) e soda (Na2O3). La calce migliora la fluidità. Essa aumenta anche la
devetrificazione, ma dal momento che il raffreddamento è più rapido, questo effetto
44 Tecnologia meccanica

TABELLA 2.11  Composizione tipica di alcuni prodotti di vetro.

Composizione tipica (per peso % più vicino)


Prodotto a
SiO2 Na2O CaO Al2O4 MgO K 2O PbO B2O 3 Altro
Vetro sodico-calcico 71 14 13 2
Vetro per finestre 72 15 8 1 4
Vetro per contenitori 72 13 10 2a 2 1
Vetro per lampadine 73 17 5 1 4
Vetro da laboratorio:
Vycor 96 1 13
Pyrex 81 4 2
Vetro-E 54 1 17 15 14
Vetro-S 64 26 10
Vetri ottici:
Vetro crown 67 8 12 12 ZnO
Vetro flint 46 3 6 45

Fonti [10], [12], [19] e altri.


a
Può includere Fe2O3 con Al2O3.

non è così importante come in passato quando le velocità di raffreddamento erano


molo più lente. La soda migliora la stabilità chimica e la solubilità.
• Vetro per lampadine Il vetro usato per le lampadine e per altri articoli in vetro
sottile (ad esempio, bicchieri o addobbi natalizi) ha un contenuto elevato di soda e
povero di calce oltre a contenere anche piccole quantità di ossido di magnesio e di
allumina. Le materie prime sono poco costose e adatte ai forni di fusione continui
utilizzati oggi per la produzione di massa di lampadine.
• Vetreria da laboratorio Questi prodotti comprendono contenitori per sostanze
chimiche (ad esempio beute, bicchieri, tubi). Il vetro deve essere resistente agli
attacchi chimici e agli sbalzi termici. Il vetro con un elevato contenuto di silice è
idoneo a questi usi per la sua bassa dilatazione termica. Per questo vetro ad alto
contenuto di silice si usa il nome commerciale «Vicor». Anche l’aggiunta di ossido
di boro produce un vetro a bassa dilatazione termica, infatti alcuni vetri da labora-
torio contengono B2O3. Il nome commerciale «Pyrex» è usato per il vetro borosili-
cato.
• Vetri ottici Questi vetri vengono utilizzati per la realizzazione di lenti per occhia-
li e strumenti ottici quali fotocamere, microscopi e telescopi. Per svolgere la loro
funzione, le lenti devono avere indici di rifrazione differenti a seconda che debbano
trasmettere o riflettere la luce. I vetri ottici sono generalmente divisi in vetri crown
e flint. I vetri crown hanno un basso indice di rifrazione, mentre i vetri flint con-
tengono ossido di piombo (PbO) che dà un alto indice di rifrazione.
• Fibre di vetro Le fibre di vetro sono prodotti usati in una serie di applicazioni
importanti, tra cui le plastiche rinforzate con fibra di vetro, la lana di isolamento
e le fibre ottiche. La composizione varia in base alla funzione. Il vetro più comu-
nemente usato nelle fibre per rinforzare la plastica è il vetro-E. Un altro materiale
per le fibra di vetro è il vetro-S, che è più forte ma meno economico del vetro-E.
L’isolante in lana di vetro deriva da vetri sodico-calcici. Il vetro per le fibre ottiche
consiste in un nucleo centrale di vetro ad elevato indice di rifrazione circondato
da una guaina di vetro a indice di rifrazione inferiore. Il vetro del nucleo centrale
deve avere un coefficiente di trasmissione della luce molto elevato per consentire la
comunicazione a lunga distanza.
Materiali per Applicazioni Industriali 45

Vetroceramiche  Le vetroceramiche sono una classe di materiale ceramico prodotta


mediante conversione da materiale vetroso in una struttura policristallina tramite trat-
tamento termico. La porzione di fase cristallina nel prodotto finale varia tipicamente
tra il 90% e il 98%, il resto è materiale vetroso non trasformato. La dimensione del
grano generalmente varia tra 0,1 e 1,0 mm, significativamente inferiore alla dimensione
dei grani delle ceramiche convenzionali. Questa microstruttura cristallina fine rende
la vetroceramica molto più resistente del vetro da cui deriva. Inoltre, a causa della loro
struttura cristallina, le vetroceramiche sono opache (solitamente grigie o bianche) an-
ziché trasparenti.
La sequenza di lavorazione per la vetroceramica è la seguente. (1) La prima fase
prevede le operazioni di riscaldamento e formatura utilizzate nella lavorazione del vetro
per creare la forma del prodotto desiderato. I metodi di formatura del vetro sono gene-
ralmente più economici dei metodi di lavorazione delle polveri quali la depressatura e
sinterizzazione usate per modellare le ceramiche avanzate e tradizionali. (2) Succes-
sivamente il prodotto viene raffreddato. (3) Il vetro viene nuovamente riscaldato ad
una temperatura sufficiente affinché si formi una fitta rete di nuclei cristallini in tutto
il materiale. L’alta densità dei siti di nucleazione inibisce la crescita dei grani in cri-
stalli singoli, risultando così nella granulometria fine delle vetroceramiche. L’elemento
fondamentale che permette la nucleazione è la presenza di piccole quantità di agenti
nucleanti nella composizione di vetro. Esempi di agenti nucleanti sono TiO2, P2O5, e
ZrO2. (4) Una volta che la nucleazione è avviata, il trattamento termico prosegue ad una
temperatura superiore per favorire la crescita delle fasi cristalline.
I vantaggi principali delle vetroceramiche includono l’efficienza di lavorazione nello
stato vetroso, un preciso controllo dimensionale sulla forma del prodotto finale, e delle
buone proprietà meccaniche e fisiche. Tali proprietà sono un’alta resistenza (maggiore
del vetro), l’assenza di porosità, il basso coefficiente di dilatazione termica e la resistenza
agli shock termici. Queste proprietà ne hanno favorito la applicazioni come utensile da
cucina, scambiatori di calore e parti di missili. Alcuni tipi possiedono anche un’elevata
resistenza elettrica e quindi sono adatti per applicazioni elettriche ed elettroniche.

2.3 Polimeri

Quasi tutti i materiali polimerici utilizzati oggi nell’industria sono prodotti sintetici
(un’eccezione è la gomma naturale). Le stesse materie prime sono realizzate mediante
trasformazioni chimiche e la maggior parte dei prodotti sono realizzati tramite processi
di solidificazione. Un polimero è un composto costituito da molecole a catena lunga,
in cui ogni molecola è costituita da unità ripetitive collegate insieme. Ci possono essere
migliaia, addirittura milioni di unità in una molecola di polimero singolo. La parola
deriva dal greco poli, che significa molti, e meros, che significa parte. La maggior parte
dei polimeri è a base di carbonio e pertanto i polimeri sono considerati prodotti chimici
organici.
I polimeri possono essere suddivisi in materie plastiche e gomme. Con l’obiettivo
di trattare i polimeri come materiale per prodotti industriali, è opportuno dividerli nelle
tre categorie seguenti, in cui (1) e (2) sono materie plastiche e (3) è la categoria gomma.

1. I polimeri termoplastici (TS) sono materiali solidi a temperatura ambiente, ma


diventano viscosi se riscaldati a temperature di poche centinaia di gradi. Questa
caratteristica permette loro di essere modellati facilmente e a basso costo. Possono
essere sottoposti a questo ciclo di riscaldamento e raffreddamento più volte senza
subire degradi significativi.
46 Tecnologia meccanica

2. I polimeri termoindurenti (TS) non possono essere sottoposti a cicli di riscalda-


mento ripetuti come i termoplastici. Quando vengono riscaldati una prima volta, si
ammorbidiscono e scorrono per lo stampaggio, ma le temperature elevate causano
anche una reazione chimica che li indurisce in un materiale solido infusibile. Se
vengono riscaldati di nuovo, i polimeri termoindurenti degradano e si carbonizzano
anziché ammorbidirsi.
3. Gli elastomeri (E) sono polimeri che presentano un’estrema estensibilità elastica se
sottoposti a sollecitazioni meccaniche ridotte. Sebbene le loro proprietà siano molto
diverse dai termoindurenti, essi hanno una struttura molecolare simile che è invece
diversa dai termoplastici.

I polimeri termoplastici sono commercialmente i più importanti tra i tre tipi e costitui-
scono circa il 70% del tonnellaggio di tutti i polimeri sintetici prodotti. I polimeri ter-
moindurenti e gli elastomeri si dividono il restante 30% in modo abbastanza uniforme. I
TP più comuni includono il polietilene, il polivinilcloruro, il polipropilene, il polistirene
e il nylon. Esempi di TS sono invece i composti fenolici, le resine epossidiche e alcuni
poliesteri. L’esempio più comune degli elastomeri è la gomma naturale (vulcanizzata),
anche se le gomme sintetiche sono prodotte in quantità superiori della gomma naturale.
Anche se la classificazione dei polimeri nelle categorie TP, TS, ed E si adatta alle
nostre esigenze, si può notare che i tre tipi a volte si sovrappongono. Certi polimeri che
sono normalmente termoplastici possono anche essere termoindurenti. Alcuni polimeri
possono essere sia termoindurenti che elastomeri (infatti le loro strutture molecolari
sono simili). E infine alcuni polimeri sono sia elastomeri che termoplastici. Tuttavia,
queste sono solo eccezioni dello schema di classificazione generale.
La crescita delle applicazioni dei polimeri sintetici è stata impressionante. Ci sono
diverse ragioni per l’importanza commerciale e tecnologica dei polimeri.

• Le materie plastiche possono essere formate attraverso il processo di stampaggio in


geometrie anche molto complesse, che non richiedono di solito ulteriori lavorazio-
ni. Sono molto compatibili con i processi net-shape.
• Le materie plastiche possiedono molte proprietà interessanti per applicazioni indu-
striali in cui non si richiede una particolare resistenza meccanica poiché hanno una
bassa densità rispetto ai metalli e alle ceramiche, una buon rapporto resistenza-peso
(per alcuni ma non tutti i polimeri), un’elevata resistenza alla corrosione e una bassa
conducibilità elettrica e termica.
• In volume i polimeri sono molto competitivi economicamente rispetto ai metalli.
• In volume i polimeri di solito richiedono meno energia per essere prodotti rispetto
ai metalli. Questo generalmente è vero perché le temperature per lavorare questi
materiali sono molto inferiori a quelle per i metalli.
• Alcune materie plastiche sono trasparenti e/o translucide, il che le rende competiti-
ve rispetto al vetro in alcune applicazioni.
• I polimeri sono ampiamente utilizzati nei composti.

Per ciò che riguarda gli aspetti negativi i polimeri in generale hanno le seguenti limita-
zioni: resistenza bassa rispetto ai metalli e le ceramiche, modulo di elasticità o rigidezza
bassi (ma questo nel caso degli elastomeri è un vantaggio), temperature di utilizzo limi-
tate a poche centinaia di gradi a causa del rammollimento dei polimeri termoplastici o
della degradazione dei polimeri termoindurenti e degli elastomeri e il fatto che alcuni
polimeri si deteriorano se esposti alla luce solare o ad altre fonti di radiazione.
I polimeri sono sintetizzati unendo molte molecole insieme per formare molecole
molto grandi, chiamate macromolecole, che possiedono una struttura concatenata. Le
Materiali per Applicazioni Industriali 47

unità, dette monomeri, sono generalmente semplici molecole organiche insature come
l’etilene C2H4. Gli atomi in queste molecole sono tenuti insieme da legami covalenti.
Quando le molecole vengono unite per formare il polimero, il legame covalente stesso
tiene insieme le maglie della catena. Così ogni macromolecola è caratterizzata da una
forza legante. La sintesi della molecola di polietilene è rappresentata in Figura 2.4.
Come descritto, la polimerizzazione forma delle macromolecole a struttura conca-
tenata, chiamate polimeri lineari. Questa è la struttura caratteristica di un polimero
termoplastico. Altre strutture sono rappresentate in Figura 2.5. Una possibilità è il for-
marsi di rami laterali lungo la catena, dando origine a un polimero ramificato come
quello riportato in Figura 2.5 (b). Nel polietilene, questo si verifica perché gli atomi di
idrogeno sono sostituiti da atomi di carbonio in punti casuali lungo la catena, cosa che
avvia la crescita di un nuovo ramo della catena in ognuno di questi punti. Per certi po-
limeri il legame principale avviene tra i rami e altre molecole nei punti di collegamento
e quindi si formano dei polimeri reticolati come illustrato in Figura 2.5 (c) e (d). La
reticolazione avviene perché una certa proporzione dei monomeri usati per formare il
polimero è in grado di legarsi ai monomeri adiacenti su più di due parti, consentendo ai
rami di altre molecole di attaccarsi. Gli elastomeri presentano strutture poco reticolate.
Quando il polimero è molto reticolato ci si riferisce ad esso come avente una struttura

H H H H H H H H H H

n C C C C C C C C n C C

H H H H H H H H H H n

(1) (2a) (2b)


Figura 2.4  Sintesi di polietilene da monomeri di etilene: n monomeri di etilene (1) formano una ca-
tena di polietilene di lunghezza n (2a). Notazione concisa per rappresentare la struttura polimerica
della catena di lunghezza n. (2b) (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

(a) (b)

(c) (d)
Figura 2.5  Varie strutture di molecole polimeriche: (a) lineare, caratteristica dei termoplastici; (b) ramificata; (c) debolmente
reticolata come negli elastomeri; (d) fortemente reticolata o struttura a rete come nei termoindurenti. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
48 Tecnologia meccanica

a rete, come quello rappresentato in Figura 2.5 (d), dove l’intera massa è una macro-
molecola gigantesca. Le plastiche termoindurenti assumono questa struttura dopo la
polimerizzazione.
La presenza di ramificazioni e reticolazioni nei polimeri ha un effetto significativo
sulla loro proprietà, infatti è alla base della differenza tra le tre categorie di polimeri TP,
TS ed E. I polimeri termoplastici possiedono sempre strutture lineari o ramificate, o un
mix tra le due. La ramificazione aumenta il mescolamento delle molecole, rendendo di
solito il polimero più resistente allo stato solido e più viscoso allo stato plastico o liquido.
Le plastiche termoindurenti e gli elastomeri sono polimeri reticolati. La reticolazio-
ne rende il polimero chimicamente stabile e la reazione non può essere invertita. L’ef-
fetto è quello di modificare permanentemente la struttura del polimero. Riscaldandolo,
esso si degrada o brucia anziché fondersi. I polimeri termoindurenti possiedono un alto
grado di reticolazione, mentre gli elastomeri possiedono un basso grado di reticolazione.
Infatti i termoindurenti sono duri e fragili, mentre gli elastomeri sono elastici e resilienti.

2.3.1  Polimeri termoplastici


Un polimero termoplastico può essere riscaldato da uno stato solido a uno viscoso e poi
raffreddato nuovamente in uno stato solido attraverso un ciclo di riscaldamento e raf-
freddamento che può essere applicato più volte senza degradare il polimero. La ragione
di questa proprietà fondamentale si spiega per il fatto che polimeri TP sono costituiti
da macromolecole lineari (e/o ramificate) che non reticolano in caso di riscaldamento.
Rispetto ai metalli e alle ceramiche, i polimeri termoplastici a temperatura ambiente
sono caratterizzati da una rigidità molto inferiore, una resistenza inferiore, una durezza
molto inferiore e una maggiore duttilità.
I prodotti termoplastici comprendono oggetti stampati ed estrusi, fibre, pellicole,
lastre, materiali da imballaggio, vernici e smalti. Le materie prime per questi prodotti
sono normalmente forniti al costruttore in forma di polveri o pellets in sacchi, bidoni
o carichi più grandi in camion o vagoni. I polimeri TP più importanti sono discussi in
ordine alfabetico nel seguente elenco:

• Acrilici. Gli acrilici sono polimeri derivati ​​dall’acido acrilico (C3H4O2) e composti
provenienti da esso. Il termoplastico più importante nel gruppo acrilico è poli-
metilmetacrilato (PMMA) o Plexiglas (il nome commerciale per PMMA). La sua
proprietà più importante è l’eccellente trasparenza, che lo rende competitivo con il
vetro nelle applicazioni ottiche. Gli esempi includono lenti dei fari delle automobili,
strumenti ottici e finestrini degli aerei.
• Acrilonitrile-butadiene-stirene. È il nome di un tecnopolimero dall’eccellente
combinazione di proprietà meccaniche. Il nome di questa plastica è derivato da
tre monomeri di partenza che possono essere miscelati in proporzioni diverse. Le
applicazioni tipiche includono componenti per automobili, elettrodomestici, mac-
chine per ufficio e tubi.
• Poliammidi. Una famiglia di polimeri importante che forma legami ammidici ca-
ratteristici (CO-NH) durante la polimerizzazione è il poliammide (PA). Il membro
più importanti della famiglia dei PA è il nylon, che è resistente, molto elastico, te-
nace, resistente all’abrasione e autolubrificante. La maggior parte delle applicazioni
del nylon (circa il 90%) sono fibre per tappeti, abbigliamento e parti di pneumatici.
Il resto (10%) riguarda componenti meccanici, quali cuscinetti, ingranaggi e parti
simili in cui servono una buona resistenza e un basso attrito. Un secondo gruppo
di poliammidi sono le aramidi (poliammide aromatica) di cui Kevlar (il nome
commerciale di DuPont) è importante come fibra in plastica rinforzata. Il Kevlar
Materiali per Applicazioni Industriali 49

è importante anche perché la sua resistenza meccanica è la stessa dell’acciaio pur


avendo il 20% del suo peso.
• Policarbonato. Il policarbonato (PC) è noto per le sue proprietà meccaniche eccel-
lenti, tra cui l’elevata tenacità e la buona resistenza allo scorrimento viscoso (creep).
Inoltre è resistente al calore, trasparente e resistente al fuoco. Le applicazioni inclu-
dono elementi di macchine, custodie, caschi di sicurezza e compact disk (audio e
video). È anche ampiamente utilizzato per finestre e parabrezza.
• Poliesteri. I poliesteri formano una famiglia di polimeri a base di legami esteri
caratteristici (CO-O). Possono essere termoplastici o termoindurenti, a seconda che
avvenga o meno la reticolazione. Dei poliesteri termoplastici, un esempio rappre-
sentativo è il polietilene tereftalato (PET). Altre applicazioni importanti riguar-
dano anche i contenitori di bevande stampati a soffiaggio, le pellicole fotografiche
e il nastro di registrazione magnetica. Inotre, le fibre in PET sono ampiamente
utilizzate per l’abbigliamento.
• Polietilene. Il polietilene (PE) è stato sintetizzato nel 1930 e oggi rappresenta il vo-
lume maggiore di tutte le materie plastiche. Le caratteristiche che rendono attraente
PE come materiale industriale sono il basso costo, l’inerzia chimica e la facilità di
lavorazione. Il polietilene è disponibile in vari gradi, tra cui i più comuni sono il
polietilene a bassa densità (LDPE) e il polietilene ad alta densità (HDPE). Il po-
lietilene a bassa dentità è altamente ramificato. Le applicazioni includono bottiglie
fortemente deformabili, sacchetti per surgelati, fogli, pellicole e nastro isolante.
L’HDPE ha una struttura più lineare, con una maggiore densità. Queste differenze
rendono l’HDPE più rigido e a temperatura di fusione più alta. L’HDPE è usato per
bottiglie, tubi e articoli per la casa.
• Polipropilene. Il polipropilene (PP) è una plastica importante, soprattutto per lo
stampaggio ad iniezione. È il più leggero delle plastiche e il suo rapporto resisten-
za-peso è elevato. Il PP è spesso confrontato con l’HDPE perché hanno un costo e
molte proprietà simili. Tuttavia, il punto di fusione del polipropilene consente alcune
applicazioni che precludeno l’utilizzo del polietilene, per esempio, componenti che
devono essere sterilizzati. Altre applicazioni sono componenti stampati ad iniezione
per il settore automobilistico e articoli per la casa e prodotti in fibra per tappeti.
• Polistirene. Ci sono diversi polimeri basati sul monomero di stirene (C8H8), tra cui
polistirene (PS) che è il più utilizzato. Il PS è un polimero lineare noto per la sua
fragilità. Il PS è trasparente, facilmente colorabile e fondibile ma degrada a tem-
perature elevate e si dissolve in vari solventi. Alcuni PS contengono dal 5% al ​​15%
di gomma per migliorare la tenacità e prendono il nome di polistirene antiurto
(HIPS). Oltre a tutte le applicazioni risultanti dallo stampaggio ad iniezione (ad
esempio per i giocattoli), il polistirene viene anche usato sotto forma di espanso per
il confezionamento.
• Polivinilcloruro. Il polivinilcloruro (PVC) è un materiale plastico ampiamente
usato le cui proprietà possono variare combinando il polimero con additivi, otte-
nendo così un’ampia gamma di prodotti che variano dal PVC rigido al PVC flessi-
bile. Questa gamma di proprietà rende il PVC un polimero versatile, con applica-
zioni che includono i tubi rigidi (utilizzati nelle costruzioni per impianti idrici, di
irrigazione e le fognature), raccordi, fili e cavi, film, pellicole, fogli, imballaggi per
alimenti, pavimenti e giocattoli.

2.3.2  Polimeri termoindurenti


I polimeri termoindurenti (TS) sono caratterizzati da una struttura fortemente reticolata.
Infatti tutto il componente in un polimero TS (ad esempio la maniglia di una pentola o il
50 Tecnologia meccanica

coperchio di un interruttore elettrico) diventa una grande macromolecola. A causa delle


differenze nella composizione chimica e nella struttura molecolare, le proprietà delle
plastiche termoindurenti sono diverse da quelle dei termoplastici. In generale, i termoin-
durenti sono più rigidi, fragili, meno solubili nei comuni solventi, capaci di temperature
di esercizio più elevate e non possono essere rifusi ma si degradano o bruciano.
Le differenze nelle proprietà delle plastiche TS sono attribuibili alla reticolazione,
che forma una struttura termicamente stabile, tridimensionale e legata secondo un le-
game covalente nella molecola. Le reazioni chimiche associate alla reticolazione sono
chiamate curing o setting. Il curing può avvenire in tre modi, a seconda degli ingre-
dienti di partenza: (1) sistemi attivati dalla temperatura, in cui polimerizzazione è cau-
sata dal riscaldamento, (2) sistemi attivati per catalizzazione, in cui piccole quantità di
un catalizzatore vengono aggiunte a un polimero liquido per causarne la polimerizza-
zione e (3) sistemi attivati per miscelazione, in cui si mescolano due ingredienti di par-
tenza, causando una reazione chimica che forma il polimero reticolato. Il curing viene
realizzato negli impianti di fabbricazione che modellano le parti piuttosto che negli
impianti chimici che forniscono le materie prime al costruttore.
Le plastiche termoindurenti non sono così largamente utilizzate come quelle termo-
plastiche, forse a causa delle complicazioni nei processi di trasformazione. I principali
materiali termoindurenti sono le resine fenoliche, ma il loro volume annuo è meno del
20% del volume del polietilene, il leader termoplastico. L’elenco che segue presenta le
resine termoindurenti più importanti e le loro applicazioni più tipiche:

• Aminoresine. Le amminoplastiche, caratterizzato dal gruppo amminico (NH2),


sono costituite da due polimeri termoindurenti, l’urea-formaldeide e la melammi-
na-formaldeide, che sono prodotti dalla reazione di formaldeide (CH2O) con urea
(CO(NH2)2) o (melammina C3H6N6). L’urea-formaldeide viene usata come adesivo
per il legno compensato e truciolare. È anche usata nei compositi in fibra di vetro
come adesivo. La melammina-formaldeide è resistente all’acqua ed è usata per le
stoviglie, rivestimenti di tavoli e piani di lavoro (il nome commerciale è Fórmica).
• Epossidiche. Le resine epossidiche sono basate su un gruppo chimico chiamato
epossidico. L’epicloridrina (C3H5OCl) è un epossido ampiamente usato per la produ-
zione di resine epossidiche. Le resine epossidiche una volta reticolate sono note per
la resistenza meccanica, l’adesione, la resistenza al calore e la resistenza chimica.
Le applicazioni comprendono rivestimenti superficiali, pavimenti industriali, com-
positi in fibra di vetro e adesivi. Le proprietà isolanti dei termoindurenti epossidici
li rendono utili come materiale di protezione ed isolamento dei circuiti stampati.
• Fenoliche. Il fenolo (C6H5OH) è un composto acido che può essere fatto reagire con
la formaldeide (CH2O). Il fenolo-formaldeide è infatti il più importante dei poli-
meri fenolici. È fragile e possiede buona stabilità termica, chimica e dimensionale.
Le applicazioni includono pezzi stampati, circuiti stampati, piani di lavoro, adesivi
per il legno compensato e leganti per guarnizioni dei freni e ruote abrasive.
• Poliesteri. I poliesteri, che contengono il caratteristico legami estere (CO-O), pos-
sono essere sia termoindurenti che termoplastici. I poliesteri termoindurenti sono
utilizzati in gran parte per i composti plastici per fabbricare oggetti di grandi dimen-
sioni, come tubi, serbatoi, scafi, parti di auto e pannelli di costruzione. Possono an-
che essere utilizzati in processi di stampaggio per la produzione di pezzi più piccoli.
• Poliuretani. Formano una grande famiglia di polimeri, tutti caratterizzati dal grup-
po uretano (NHCOO) nella loro struttura. Molte pitture, vernici e smalti sono dei
poliuretani. Attraverso variazioni nella composizione chimica, nella reticolazione
e nella lavorazione, i poliuretani possono essere termoplastici, termoindurenti, o
elastomerici (gli ultimi due sono più importanti dal punto di vista economico). Il po-
Materiali per Applicazioni Industriali 51

liuretano è molto usato in forma di schiume, che si presentano come elastomeriche o


rigide, queste ultime se hanno struttura maggiormente reticolata. Le schiume rigide
sono utilizzate come materiale di riempimento in pannelli da costruzione forati e
pareti dei frigoriferi.

2.3.3 Elastomeri
Gli elastomeri sono polimeri capaci di una grande deformazione elastica se soggetti a
deformazioni relativamente basse. Alcuni elastomeri possono sopportare estensioni del
500% o più e poi tornare alla loro forma originale. Il termine più popolare per elasto-
mero è naturalmente gomma. Gli elastomeri possono essere suddivisi in due categorie:
(1) gomme naturali, ottenute da piante e (2) gomme sintetiche, prodotte da processi di
polimerizzazione simili a quelle utilizzate per i polimeri TP e TS.
La fase di curing è necessaria per effettuare la reticolazione negli elastomeri. Il
termine utilizzato per curing nel caso delle gomme naturali (e di alcune sintetiche) è
vulcanizzazione, che comporta la formazione di legami chimici tra le catene polime-
riche. La reticolazione tipica della gomma va da 1 a 10 link per 100 atomi di carbonio
nella catena polimerica lineare, a seconda del grado di rigidità desiderato nel materiale.
Questa quantità è notevolmente inferiore alla reticolazione nei polimeri termoindurenti.
Gomma naturale La gomma naturale (natural rubber, NR) è costituita principal-
mente da poliisoprene, un polimero di isoprene (C5H8). Deriva dal lattice, una sostanza
lattiginosa prodotta da varie piante, la più importante delle quali è l’albero della gomma
(Hevea brasiliensis) che cresce in climi tropicali. Il lattice è un’emulsione acquosa di
poliisoprene (circa un terzo in peso), più vari altri ingredienti. La gomma viene estratta
dal lattice attraverso vari metodi che rimuovono l’acqua.
La gomma cruda naturale (senza vulcanizzazione) è appiccicosa quando fa caldo,
ma rigida e fragile quando fa freddo. Per dare origine a un buon elastomero, la gomma
naturale deve essere vulcanizzata. Tradizionalmente la vulcanizzazione si effettuava
miscelando la gomma grezza con piccole quantità di zolfo e riscaldandola. L’effetto
della vulcanizzazione è la reticolazione, che aumenta la resistenza e la rigidità, pur
mantenendo l’estensibilità. Il cambiamento drastico della proprietà causato dalla vul-
canizzazione si nota analizzando la curva sforzo-deformazione riportata in Figura 2.6.
Lo zolfo da solo potrebbe dare origine alla reticolazione, ma il processo è lento e richie-
derebbe molte ore. Quindi oggi vengono aggiunti allo zolfo altri prodotti chimici du-
rante la vulcanizzazione per accelerare il processo e migliorare altre proprietà. Inoltre

Gomma dura
Deformazione

Figura 2.6  Aumento di


Gomma vulcanizzata rigidità in funzione del-
la deformazione per tre
tipi di gomma: gomma
naturale, gomma vulca-
nizzata e gomma cruda.
(Fonte: Fundamentals of
Gomma cruda naturale Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Sollecitazione John Wiley & Sons, Inc.)
52 Tecnologia meccanica

la gomma può essere vulcanizzata usando altri prodotti chimici al posto dello zolfo. In
questo modo i tempi si sono ridotti in modo significativo rispetto alla vulcanizzazione
originale a base di solo zolfo. Come materiale industriale, la gomma vulcanizzata è nota
tra gli elastomeri per la sua elevata robustezza, resistenza allo strappo, resilienza (capa-
cità di recuperare la forma dopo la deformazione) e resistenza all’usura e alla fatica. I
suoi punti deboli sono che degrada a contatto con fonti di calore, con la luce solare, con
l’ossigeno, con l’ozono o con l’olio. Alcune di queste limitazioni possono essere ridotte
attraverso l’uso di additivi.
Il più grande mercato per la gomma naturale è quello degli pneumatici per autovei-
coli. Negli pneumatici, il nerofumo è un additivo importante, che rafforza la gomma,
aumentando la resistenza meccanica e la resistenza allo strappo e all’abrasione. Altri
prodotti fatti di gomma naturale sono le suole delle calzature, le boccole, le guarnizioni,
e i componenti degli ammortizzatori.

Gomma sintetica  Oggi il tonnellaggio di gomme sintetiche è più di tre volte quel-
lo della gomma naturale. Lo sviluppo di questi materiali sintetici è stato motivato in
gran parte dalle guerre mondiali, quando la gomma naturale era difficile da ottenere.
Come con la maggior parte dei polimeri, la materia prima predominante nelle gomme
sintetiche è il petrolio. Le gomme sintetiche di maggiore importanza commerciale sono
discusse di seguito.

• Gomma butadiene. Il polibutadiene (BR) è importante soprattutto in combinazio-


ne con altre gomme. Esso viene miscelato con la gomma naturale e con la stirene (la
gomma stirenica-butadienica è discussa più avanti) nella produzione di pneumatici
per autoveicoli. Senza composti la resistenza allo strappo, la resistenza alla trazione
e la facilità di lavorazione del polibutadiene non raggiungono livelli accettabili.
• Gomma butilica. La gomma butilica consiste di poliisobutilene (98%-99%) e po-
liisoprene. Può essere vulcanizzata per realizzare una gomma con permeabilità
all’aria molto bassa, che la rende adatta per prodotti gonfiabili, come camere d’aria,
rivestimenti di pneumatici e articoli sportivi.
• Gomma cloroprene. Comunemente conosciuta come neoprene, la gomma cloro-
prene (CR) è un importante gomma per fini molto specifici. È più resistente agli
attacchi di olio, temperatura, ozono e calore della gomma naturale, ma anche un po’
più costosa. Le sue applicazioni includono tubi delle pompe di carburante (e di altri
componenti automobilistici), nastri trasportatori e guarnizioni (ma non pneumatici).
• Gomma etilene-propilene. La polimerizzazione di etilene e propilene con piccole
quantità di monomeri di diene produce etilene-propilene-diene (EPDM), una gom-
ma sintetica molto utile. Le applicazioni sono per lo più per componenti automobi-
listici (a parte gli pneumatici). Altri usi sono l’isolamento di fili e cavi.
• Poliuretani. I poliuretani con un minimo di reticolazione sono elastomeri, più co-
munemente conosciuti come schiume flessibili. In questa forma, sono ampiamente
utilizzati come materiali di imbottitura per i mobili e i sedili delle automobili. Il
poliuretano non espanso può essere modellato in prodotti che vanno dalle suole ai
paraurti, con reticolazione variabile per ottenere le proprietà desiderate a seconda
dell’applicazione.
• Gomma stirene-butadiene. La gomma SBR è l’elastomero di gran lunga più pro-
dotto ed utilizzato, per un valore totale di circa il 40% di tutte le gomme prodotte
(la gomma naturale è la seconda in termini di volume). Le sue caratteristiche più
apprezzate sono il basso costo, la resistenza all’abrasione e la migliore uniformità
rispetto alla gomma naturale. Se rinforzata con nerofumo e vulcanizzata, le sue
caratteristiche e applicazioni diventano molto simili a quelle della gomma naturale.
Materiali per Applicazioni Industriali 53

È importante sottolineare che la maggior parte delle proprietà meccaniche della


gomma SBR, eccetto la resistenza all’usura, è inferiore a quelle della gomma natu-
rale, ma la sua resistenza all’invecchiamento, al caldo, all’ozono, alla temperatura e
all’olio sono superiori. Le applicazioni includono gli pneumatici per autoveicoli, le
calzature e l’isolamento di fili e cavi.

Elastomeri termoplastici  Un elastomero termoplastico (TPE) è un polimero ter-


moplastico che si comporta come un elastomero. Forma una famiglia di polimeri appar-
tenenti a un segmento in rapida crescita nel mercato degli elastomeri. I TPE assumono
le proprietà elastomeriche non per la reticolazione chimica, ma grazie ai legami fisici
tra le fasi molli e dure che compongono il materiale. La composizione chimica e la
struttura di questi materiali sono generalmente complesse, perché comprendono due
materiali incompatibili che devono formare due fasi distinte le cui proprietà a tempera-
tura ambiente sono diverse. A causa della loro termoplasticità, i TPE non possono com-
petere con gli elastomeri reticolati tradizionali, in resistenza alle temperature elevata e
allo scorrimento. Le applicazioni tipiche includono calzature, elastici, tubi, rivestimenti
di cavi, parti stampate per uso automobilistico e altre in cui sono richieste proprietà
elastomeriche. I TPE non sono adatti per gli pneumatici.

2.4 Compositi

Oltre ai metalli, alle ceramiche e ai polimeri, esiste una quarta categoria di materiali: i
compositi. Un composito è un materiale costituito da due o più fasi fisicamente distinte
la cui combinazione porta ad alcune proprietà che risultano differenti da quelle dei suoi
componenti. L’interesse tecnologico e commerciale dei materiali compositi deriva dal
fatto che le loro caratteristiche non sono solo diverse dai loro componenti ma spesso
sono molto superiori. Di seguito riportiamo alcuni esempi.
• I compositi possono essere progettati per essere molto resistenti e rigidi, ma anche
molto leggeri, fornendo dei rapporti resistenza-peso e rigidità-peso molto maggiori
di quelli dell’acciaio o dell’alluminio. Queste proprietà sono molto utili per applica-
zioni nel settore aerospaziale e per le attrezzature sportive.
• La resistenza a fatica è generalmente migliore rispetto ai metalli industriali e anche
la tenacità è spesso maggiore.
• I compositi possono essere progettati in modo che non si corrodano come l’acciaio,
fattore molto importante per le applicazioni automobilistiche e altre.
• Attraverso i materiali compositi è possibile ottenere delle combinazioni di proprietà
non raggiungibili da metalli, ceramiche o polimeri da soli.
Oltre a questi vantaggi, è possibile individuare alcuni svantaggi e limitazioni associati ai
materiali compositi, ad esempio: (1) molti compositi importanti sono anisotropi, il che si-
gnifica che le proprietà differiscono a seconda della direzione in cui vengono misurate, (2)
molti dei compositi a base polimerica sono soggetti ad attacchi chimici o solventi, come lo
sono gli stessi polimeri (3) i materiali compositi sono generalmente costosi e (4) alcuni dei
metodi di fabbricazione per formatura di materiali compositi sono lenti e costosi.

2.4.1  Tecniche e classificazioni dei materiali compositi


Come già evidenziato nella definizione, un materiale composito è costituito da due o più fasi
distinte. Fase è un termine che indica un materiale omogeneo, come un metallo o una cera-
mica, in cui tutti i grani hanno la stessa struttura cristallina, o un polimero senza additivi.
54 Tecnologia meccanica

Combinando le fasi, utilizzando metodi non ancora descritti, si crea un nuovo materiale con
prestazioni complessivamente superiori a quella delle sue parti. L’effetto è sinergico.

Componenti in materiale composito  Nella manifestazione più semplice, un ma-


teriale composito è costituito da due fasi: una fase primaria e una fase secondaria. La
fase primaria costituisce la matrice all’interno della quale è inserita la fase secondaria.
La fase secondaria è talvolta chiamata rinforzo (o altri termini simili), perché nor-
malmente serve a rafforzare il composito. Il rinforzo può essere sotto forma di fibre o
particelle. Le fasi sono generalmente insolubili l’una nell’altra, ma all’interfaccia deve
esistere una forte adesione.
La matrice può appartenere a una di queste tre categorie: polimero, metallo o ce-
ramica. Anche la fase secondaria può essere costituita da uno dei tre materiali di base,
oppure può essere un elemento come il carbonio o il boro.
Non tutte le combinazioni sono realizzabili (ad esempio non è realizzabile un po-
limero in una matrice ceramica). Le combinazioni possibili includono strutture bifase
contenenti componenti dello stesso tipo, come ad esempio fibre di Kevlar (polimero)
in una matrice plastica (polimero). Il sistema di classificazione dei materiali compositi
utilizzati in questo libro si basa sulla natura della matrice. Qui di seguito sono descritte
le classi che verranno illustrate.

1. I compositi a matrice metallica (Metal-Matrix Composites, MMC) comprendono


matrici metalliche, come alluminio o magnesio, e rinforzo ceramico, come carburi
cementati e altri cermet.
2. I compositi a matrice ceramica (Ceramica-Matrix Composites, CMC) sono la ca-
tegoria meno comune. Ossido di alluminio e carburo di silicio sono materiali che
possono essere integrati nelle fibre per migliorare la proprietà, specialmente in ap-
plicazioni ad alta temperatura.
3. Tra i compositi a matrice polimerica (Polymer-Matrix Composites, PMC) le resine
termoindurenti sono le più utilizzate. Le resine epossidiche e il poliestere sono spes-
so mescolate con rinforzi di fibre mentre le resine fenoliche vengono miscelate con
polveri. I composti termoplastici da stampaggio sono spesso rinforzati con polveri.

La matrice svolge diverse funzioni in un materiale composito. Prima di tutto costituisce


il materiale che dà la forma al pezzo da produrre in materiale composito. In secondo
luogo, ingloba e protegge la fase secondaria che viene inserita in essa. Infine, se le viene
applicato un carico, lo trasmette alla fase secondaria, in alcuni casi deformandosi in
modo tale che la deformazione sia sostenuta dal rinforzo.
È importante notare che il ruolo svolto dalla fase secondaria è quello di rafforzare
la fase primaria. La fase secondaria di solito è in forma di fibre, particolato o scaglie.
Le fibre sono filamenti di materiale di rinforzo, generalmente a sezione circolare.
Il diametro varia da 0.0025 mm a circa 0,13 mm a seconda del materiale. Il rinforzo in
fibra offre le migliori opportunità per rinforzare i materiali compositi. Nei compositi
rinforzati in fibra, quest’ultima viene spesso considerata il principale costituente dal
momento che sostiene la percentuale maggiore del carico e della deformazione.
Le fibre sono molto interessanti come rinforzo perché la forma allungata è molto
più resistente di tutte le altre forme per la maggior parte dei materiali. Riducendo il
diametro, il materiale si orienta nella direzione dell’asse della fibra e la probabilità di
difetti nella struttura diminuisce significativamente. Come risultato, la resistenza alla
trazione aumenta significativamente.
Le fibre usate nei compositi possono essere continue o discontinue. Le fibre con-
tinue sono molto lunghe. Teoricamente presentano un percorso senza interruzioni che
Materiali per Applicazioni Industriali 55

sostiene molto bene il carico. In realtà questo è difficile da ottenere a causa delle diso-
mogeneità nel materiale della fibra e dei processi di lavorazione. Le fibre discontinue
(elementi tagliati da fibre continue) sono molto più brevi. Vari materiali vengono uti-
lizzati come fibre in compositi rinforzati da fibre, tra cui vetro (vetro E e vetro-S della
Tabella 2.12), carbonio, boro, Kevlar, ossido di alluminio e carburo di silicio.
Una seconda forma in cui si presentano le fasi secondarie è quella di particolati,
cioè polveri che variano dimensionalmente dal micron al millimetro. Le polveri sono
una forma importante in cui si presentano i metalli e le ceramiche (la caratterizzazione
e la produzione di polveri industriali sono discusse nei Capitoli 10 e 11). La distribuzio-
ne delle particelle nella matrice composita è casuale e quindi la resistenza meccanica e
le altre proprietà del materiale composito sono generalmente isotropiche.
Le scaglie non sono altro che particelle bidimensionali di piccole dimensioni. Due
esempi di questa forma sono i minerali mica (silicati di Al e K) e talco (Mg3Si4O10(OH)2),
usati come agenti rinforzanti per la plastica. Sono generalmente materiali a basso costo
rispetto ai polimeri e aggiungono resistenza e rigidità a composti usati nello stampaggio
della plastica.

Proprietà di un materiale composito  Nella scelta di un materiale composito, di


solito si ricerca una combinazione di buone proprietà piuttosto che una proprietà parti-
colare. Per esempio, la fusoliera e le ali di un aeromobile devono essere leggeri, robusti,
rigidi e resistenti. Trovare un materiale monolitico che soddisfi tutti questi requisiti è
difficile, invece diversi polimeri rinforzati in fibra possiedono questa combinazione di
proprietà. Un altro esempio è la gomma. La gomma naturale è un materiale relativa-
mente poco resistente. Nel 1900 si è scoperto che aggiungendo quantità significative
di nerofumo (polvere di carbone) alla gomma naturale la sua resistenza meccanica au-
menta drasticamente. Infatti i due ingredienti interagiscono per fornire un materiale
composito che è significativamente più forte rispetto ai singoli materiali. La gomma
ovviamente deve essere vulcanizzata per ottenere la massima robustezza.
La gomma stessa può essere usata come additivo, ad esempio nel polistirene. Una
delle caratteristiche negative del polistirene infatti è la sua fragilità. Sebbene la maggior
parte degli altri polimeri abbia una notevole duttilità, tale proprietà non appartiene al
PS. La gomma (naturale o sintetica) può essere aggiunta in piccole quantità (dal 5% al
15%) per realizzare polistirene antiurto, che ha tenecità molto superiore e una buona
resistenza all’urto.
Le fibre costituiscono un esempio dell’importanza della forma dei materiali nel de-
terminarne le proprietà. Ad esempio la maggior parte dei materiali hanno una resistenza
alla trazione molto superiore se usati in forma di fibre. Tuttavia, le applicazioni delle
sole fibre sono limitate da difetti superficiali, deformazione se sottoposte a compres-
sione e limiti nella forma qualora serva un componente solido. Inserendo le fibre in una
matrice polimerica, si ottiene un materiale composito che non soffre i limiti delle fibre
stesse, ma ne sfrutta solo i vantaggi. La matrice fornisce il rivestimento esterno per
proteggere le superfici delle fibre e resistere ai carichi, e le fibre conferiscono un’ele-
vata resistenza al composito. Quando viene applicato un carico, la bassa resistenza del-
la matrice causa la sua deformazione e distribuisce le sollecitazioni alle fibre ad alta
resistenza, che poi sostengono il carico. Se una singola fibre si rompe, il carico viene
ridistribuito attraverso la matrice alle altre fibre.

2.4.2  Materiali compositi


Questa sezione illustra i tre tipi di materiali compositi e le loro applicazioni: i compositi
a matrice metallica, i compositi a matrice ceramica e i compositi a matrice polimerica.
56 Tecnologia meccanica

Compositi a matrice metallica  I compositi a matrice metallica (MMC) sono co-


stituiti da una matrice metallica rinforzata da una fase secondaria. Le fasi secondarie
tipiche sono 1) particelle di ceramica o 2) fibre di ceramica, carbonio e boro. Gli MMC
del primo tipo sono comunemente chiamati cermet.
Un cermet è un materiale composito in cui una ceramica è contenuta in una matri-
ce metallica. La ceramica occupa quasi tutto il composito, arrivando anche al 96% del
volume. L’adesione tra matrice e rinforzo può essere migliorata da una leggera solubilità
tra le fasi a temperature elevate. Un tipo importante di cermet è il carburo cementato.
I carburi cementati sono composti da uno o più composti di carburo legati in una
matrice metallica utilizzando le tecniche di lavorazione delle polveri. I carburi cemen-
tati comuni sono costituiti da carburo di tungsteno (WC), carburo di titanio (TiC) e
carburo di cromo (Cr3C2). Il carburo di tantalio (TAC) e altre tipologie di carburi sono
meno comuni. Matrici tipiche sono costituite da cobalto e nichel. Abbiamo già descritto
in precedenza le ceramiche di carburo, che costituiscono l’ingrediente principale dei
carburi cementati (dall’80% al 95% del peso totale).
Gli utensili da taglio sono un’importante applicazione dei carburi cementati a base
di carburo di tungsteno. Altre applicazioni di carburi cementati WC-Co sono gli stam-
pi di trafilatura, le punte di perforazione e altri strumenti minerari, gli stampi per la me-
tallurgia delle polveri, i penetratori per durometri e altre applicazioni dove la durezza e
la resistenza all’usura sono requisiti critici. I cermet con carburo di titanio sono utiliz-
zati principalmente per applicazioni ad alta temperatura. Le applicazioni comprendono
palette per turbine, sedi di valvole, tubi per termocoppie, punte per torcie e strumenti di
filatura a caldo. Il TiC-Ni è anche usato come materiale per utensili da taglio.
I compositi a matrice metallica in fibra sono interessanti perché uniscono l’ele-
vata resistenza alla trazione e l’elasticità delle fibre alla bassa densità delle matrici me-
talliche: ciò permette di ottenere dei buoni rapporti resistenza-peso e rigidità-peso del
materiale composito risultante. I metalli tipici utilizzati come matrice a bassa densità
sono l’alluminio, il magnesio e il titanio. Esempi di materiali in fibra utilizzati nel com-
posito sono Al2O3, boro, carbonio e SiC.

Compositi a matrice ceramica  Le ceramiche hanno alcune proprietà interessanti:


elevata rigidità, durezza, durezza a caldo, resistenza alla compressione e densità relativa-
mente bassa. La ceramica ha anche molti difetti: bassa tenacità e resistenza alla trazione
e elevata propensione alla frattura. I compositi a matrice ceramica (CMC) rappresentano
un tentativo di mantenere le proprietà della ceramica compensando i loro difetti. Le
CMC consistono di una fase primaria ceramica in cui è inserita una fase secondaria.
Per ora, gli sviluppi si sono focalizzati sull’uso di fibre come fase secondaria. Non si è
raggiunto però un grande successo. Le difficoltà tecniche comprendono la compatibilità
termica e chimica dei componenti nei CMC durante la lavorazione. Inoltre, come con
qualsiasi materiale ceramico, si devono considerare i limiti sulla forma dei pezzi.
I materiali ceramici utilizzati come matrici comprendono l’allumina (Al2O3), il car-
buro di boro (B4C), il nitruro di boro (BN), il carburo di silicio (SiC), il nitruro di silicio
(Si3N4), il carburo di titanio (TiC) e diversi tipi di vetro. Alcuni di questi materiali sono
ancora in fase di sviluppo come matrici CMC. I materiali in fibra usati nei CMC sono
carbonio, SiC e Al2O3.

Compositi a matrice polimerica  Un composito a matrice polimerica (PMC) con-


siste di una fase primaria polimerica in cui è inserita una fase secondaria in forma di pol-
veri, fibre, o particolato. Dal punto di vista commerciale i PMC sono la più importante
delle categorie di materiali compositi. Comprendono la maggior parte dei composti per
stampaggio di plastica, le gomme rinforzate con nerofumo e i polimeri fibro-rinforzati.
Materiali per Applicazioni Industriali 57

Un polimero rinforzato con fibre (FRP) è un materiale composito costituito da


una matrice polimerica in cui sono inserite delle fibre ad alta resistenza. La matrice
polimerica è di solito una plastica termoindurente come poliestere o epossidica, o anche
un polimero termoplastico, come poliammide (nylon), policarbonato, polistirene e poli-
vinilcloruro. Anche gli elastomeri vengono rinforzati con fibre per realizzare prodotti
in gomma come pneumatici e nastri trasportatori.
Le fibre nei PMC sono di varie forme: discontinue (tagliate), continue o intrecciate
come un tessuto. I materiali principali delle fibre sono vetro, carbonio e Kevlar 49. Al-
tre fibre meno comuni includono boro, SiC, Al2O3 e acciaio. Il vetro (in particolare il
vetro-E) è il il rinforzo più comune e il suo primo uso per rafforzare le plastiche risale
al 1920.
La forma più diffusa dei FRP è una struttura laminare, ottenuta impilando e incol-
lando sottili strati di fibra e polimero fino allo spessore desiderato. Variando l’orien-
tamento delle fibre tra gli strati, si può realizzare un certo livello di anisotropia nelle
proprietà del laminato. Questo metodo viene utilizzato per formare componenti caratte-
rizzate da sezioni sottili, come quelle delle ali e delle fusoliere, i pannelli delle carroz-
zerie delle automobili e dei camion e gli scafi.
Le plastiche rinforzate con fibre sono identificabili come materiali industriali per
svariate caratteristiche tra cui (1) l’elevato rapporto resistenza-peso, (2) l’elevato rap-
porto rigidezza-peso e (3) il basso peso specifico. Un tipico FRP pesa circa un quinto
dell’acciaio e ha resistenza e modulo elastico paragonabili ad esso se misurati nella
direzione delle fibre.
Nel corso degli ultimi tre decenni si è verificata una crescita costante nella domanda
di polimeri rinforzati in fibra in prodotti che richiedono alta resistenza e peso basso,
spesso usati come sostituti dei metalli. L’industria aerospaziale è uno dei maggiori uti-
lizzatori di materiali compositi. I progettisti sono costantemente impegnati a ridurre il
peso degli aeromobili per aumentare l’uso efficiennte del carburante e la capacità di ca-
rico. Anche le applicazioni dei compositi in aerei militari e commerciali sono aumentate
costantemente. La maggior parte del peso strutturale di aerei ed elicotteri oggi è costitui-
to da materiali compositi. Il nuovo Boeing 787 Dreamliner è fatto per il 50% (del peso)
in materiale composito (plastica rinforzata in fibra di carbonio), che rappresenta circa
l’80% del volume del velivolo. I compositi sono utilizzati per fusoliere, ali, coda, porte e
interni. In confronto, il Boeing 777 ha solo il 12% di materiali compositi (in peso).
L’industria automobilistica è un’altra ampia utilizzatrice di FRP. Tra le applicazioni
più evidenti si possono elencare pannelli della carrozzeria per le auto e le cabine dei
camion. I FRP sono stati usati ampiamente per le attrezzature sportive e ricreative. Dal
1940 gli scafi delle barche sono realizzati in plastica rinforzata con fibra di vetro. Anche
le canne da pesca sono state una delle prime applicazioni. Oggi, i FRP sono usati in un
vasto assortimento di prodotti sportivi tra cui racchette da tennis, mazze da golf, caschi
da football, archi e frecce, sci e ruote da biciclette.
Oltre ai FRP, altri compositi a matrice polimerica contengono particelle, scaglie,
e fibre corte. Gli elementi della fase secondaria vengono chiamati riempitivi (filler)
quando sono usati in composti per lo stampaggio. I riempitivi si dividono in due catego-
rie: rinforzanti ed estensori. I riempitivi rinforzanti servono a rafforzare o migliorare
le proprietà meccaniche del polimero, ad esempio segatura e polvere di mica in resine
fenoliche e aminiche per aumentare la resistenza meccanica, la resistenza all’abrasio-
ne e la stabilità dimensionale, e il nerofumo nella gomma per migliorare la resistenza
all’usura e la resistenza allo strappo. Gli estensori servono semplicemente per aumen-
tare la massa e quindi ridurre il costo per unità di peso del polimero, ma non hanno
praticamente effetto sulle proprietà meccaniche. Gli estensori possono essere usati per
migliorare le caratteristiche di stampaggio della resina.
58 Tecnologia meccanica

I polimeri espansi sono una forma di composito in cui delle bolle di gas vengono
inserite in una matrice polimerica. Il polistirolo e la schiuma di poliuretano ne sono un
classico esempio. La combinazione di un gas a bassissima densità e di una matrice a
densità relativamente bassa rende questi materiali estremamente leggeri. La miscela di
gas assicura anche una conducibilità termica molto bassa, fornendo quindi una proprie-
tà sfruttabile in applicazioni in cui è richiesto un buon isolamento termico.

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Domande di ripasso

  1 Quali sono le proprietà generali che distinguono i 15 Quali sono le caratteristiche principali del titanio?
metalli dalla ceramica e dai polimeri? 16 Elencare le applicazioni più importanti dello zin-
  2 Quali sono i due gruppi principali di metalli? Dare la co.
loro definizione. 17 Le superleghe si dividono in tre gruppi di base,
  3 Che cos’è una lega? a seconda del metallo base che utilizzano. Quali
  4 Qual è l’intervallo di percentuali di carbonio che de- sono i nomi dei tre gruppi?
finisce una lega ferro-carbonio come acciaio? 18 Che cos’hanno di speciale le superleghe? Cosa le
  5 Qual è l’intervallo di percentuali di carbonio che de- distingue dalle altre leghe?
finisce una lega ferro-carbonio come ghisa? 19 Che cos’è la ceramica?
  6 Elencare alcuni degli elementi comunemente pre- 20 Che differenza c’è tra le ceramiche tradizionali e le
senti oltre al carbonio negli acciai bassolegati. ceramiche nuove?
  7 Qual è l’elemento legante predominante in tutti gli 21 Qual è la caratteristica che distingue il vetro dalle
acciai inossidabili? ceramiche tradizionali e innovative?
  8 Perché l’acciaio inossidabile austenitico è chiamato 22 Quali sono le proprietà meccaniche dei materiali
con quel nome? ceramici?
  9 Oltre ad avere un alto contenuto di carbonio, quale 23 Che cos’hanno in comune la bauxite e il corindone?
altro elemento legante è caratteristico delle ghise? 24 Che cos’è l’argilla utilizzata nella realizzazione di
10 Identificare alcune delle proprietà per le quali è prodotti in ceramica?
noto l’alluminio. 25 Quali sono le principali applicazioni dei metalli duri,
11 Quali sono le proprietà principali del magnesio? come il WC-Co?
12 Qual è la proprietà industriale più importanti del 26 Qual è una delle applicazioni più importanti del ni-
rame, che determina la maggior parte delle sue ap- truro di titanio?
plicazioni? 27 Qual è il minerale primario nei prodotti di vetro?
13 Quali elementi sono in lega con il rame per formare 28 Cosa significa il termine devetrificazione?
(a) il bronzo e (b) l’ottone? 29 Che cos’è un polimero?
14 Quali sono le applicazioni più importanti del nichel? 30 Quali sono le tre categorie di base dei polimeri?
60 Tecnologia meccanica

31 In cosa sono diverse le proprietà dei polimeri ri- 46 I carburi cementati a quale classe di materiali com-
spetto a quelle dei metalli? positi appartengono?
32 Cos’è la reticolazione in un polimero, e qual è il suo 47 Quali sono i punti deboli della ceramica che pos-
significato? sono essere corretti nei compositi fibro-rinforzati a
33 Di quale categoria di polimeri fa parte il nylon? matrice ceramica?
34 Qual è la formula chimica dell’etilene, il monomero 48 Qual è la fibra più comune nelle plastiche fibrorin-
del polietilene? forzate?
35 In cosa differiscono le proprietà dei polimeri termo- 49 Elencare le proprietà più importanti dei compositi
indurenti da quelle dei termoplastici? plastici fibro-rinforzati.
36 La reticolazione delle plastiche termoindurenti si 50 Elencare le applicazioni più importanti dei FRP.
può ottenere in tre modi. Quali? 51 Perché le leghe metalliche vengono sottoposte a
37 Gli elastomeri e polimeri termoindurenti hanno en- trattamento termico?
trambi struttura reticolata. Come mai le loro pro- 52 Descrivere i motivi per cui i metalli vengono ricotti.
prietà sono diverse? 53 Qual è il trattamento termico più importante per in-
38 Qual è l’elemento polimerico principale nella gom- durire gli acciai?
ma naturale? 54 Qual è il meccanismo con cui il carbonio aumenta
39 In cosa differisce un elastomero termoplastico dal- la durezza dell’acciaio durante il trattamento ter-
le gomme convenzionali? mico?
40 Che cos’è un materiale composito? 55 Quali informazioni sono racchiuse nella curva TTT?
41 Elencare le proprietà caratteristiche dei materiali 56 Perché si esegue il rinvenimento della martensite?
compositi. 57 Definire la temprabilità.
42 Qual è il significato del termine anisotropo? 58 Elencare gli elementi che influenzano la temprabi-
43 Elencare le tre categorie di base dei materiali com- lità dell’acciaio.
positi. 59 Descrivere come gli elementi in lega dell’acciaio in-
44 Quali sono le forme più comuni delle fasi seconda- fluenzino la temprabilità nella curva TTT.
rie nei materiali compositi? 60 Definire l’indurimento per precipitazione.
45 Che cos’è un cermet? 61 Come funziona la cementazione?
Proprietà dei materiali

Capitolo 3
industriali

Le proprietà di un materiale industriale determinano il suo comportamento quando esso


viene sottoposto alle varie forme di energia utilizzate nei processi industriali. Se un ma-
teriale risponde bene alle sollecitazioni meccaniche, alla temperatura e agli altri parame-
tri fisici che si generano in un processo di trasformazione, al termine del processo esso
darà origine a un prodotto di qualità. Si dice in questo caso che il materiale ha buona
lavorabilità.
Le proprietà dei materiali si possono suddividere in due categorie: proprietà meccani-
che e altre proprietà fisiche. Le proprietà meccaniche determinano il comportamento del
materiale quando viene sottoposto a sollecitazioni meccaniche. Queste comprendono la
rigidezza, la duttilità, la durezza e diverse altre misure di resistenza. Le proprietà mecca-
niche sono importanti in fase di progettazione perché le prestazioni di un prodotto dipen-
dono dalla sua capacità di resistere alle deformazioni provocate dalle sollecitazioni a cui
viene sottoposto durante la fase di utilizzo del componente. Durante la fase di progetta-
zione, un prodotto e le sue componenti devono essere progettati per resistere a tali sol-
lecitazioni senza cambiare forma significativamente. Questa capacità dipende da alcune
proprietà come il coefficiente di elasticità (modulo di Young) e il carico di snervamento.
Nella produzione invece spesso l’obiettivo è opposto, perché occorre applicare sollecita-
zioni che superano il punto di snervamento del materiale per poterne modificare la forma.
Si presenta quindi un dilemma, perché le proprietà meccaniche più desiderabili per il pro-
gettista, come l’alta resistenza, di solito rendono la lavorazione del prodotto più difficile.
Tale dilemma è risolto solitamente cercando di lavorare il materiale quando esso si trova
allo stato ricotto, che è generalmente lo stato a resistenza meccanica inferiore. I compo-
nenti potranno poi subire trattamenti termici di indurimento alla fine del ciclo. Si consideri
inoltre che, nei processi di lavorazione per deformazione plastica a freddo è presente il
fenomeno dell’incrudimento, che provoca un aumento della resistenza meccanica proprio
conseguente alla lavorazione.
Le proprietà fisiche definiscono il comportamento dei materiali in risposta alle grandezze
fisiche non meccaniche. Tali proprietà includono le proprietà volumetriche e termiche e
le caratteristiche di fusione. Le proprietà fisiche sono importanti nella produzione perché
spesso influenzano le prestazioni del processo. Per esempio le caratteristiche di fusione
(la temperatura di fusione, per esempio) di un metallo sono importanti per le operazioni di
fonderia. I metalli con temperature di fusione superiori richiedono più calore, dunque più
energia, per poter versare il metallo fuso nello stampo. Durante la lavorazione per aspor-
tazione, le proprietà termiche del materiale lavorato determinano la temperatura di taglio,
che influisce sul periodo di tempo in cui l’utensile può essere utilizzato prima che si usuri.
In questo capitolo vengono trattate, sinteticamente, le proprietà dei materiali industriali
più rilevanti per i processi produttivi su cui si basa questo libro. Le proprietà meccaniche
sono discusse dal Paragrafo 3.1 al Paragrafo 3.5 e quelle fisiche nelle restanti sezioni. Si
rimanda a testi specifici di scienza dei materiali, di meccanica dei solidi o di progettazione
per un approfondimento dei temi e delle proprietà qui trattate.
62 Tecnologia meccanica

3.1 Stati di sforzo e deformazione

Ci sono tre stati tensionali fondamentali a cui possono essere quasi-staticamente sotto-
posti i materiali: trazione, compressione e taglio. Le sollecitazioni (o sforzi) di trazione
agiscono stirando il materiale, le sollecitazioni di compressione lo schiacciano e il taglio
comporta scorrimenti di porzioni adiacenti di materiale una contro l’altra. La curva
sforzo-deformazione è la relazione di base che descrive le proprietà meccaniche dei
materiali per i tre tipi di sollecitazioni.

3.1.1 Resistenza alla trazione


La prova di trazione è la procedura più comune per studiare il legame sforzo-deforma-
zione, in particolare per i metalli. Durante la prova viene applicata una forza che stira il
materiale, che si allunga nella direzione di applicazione del carico e si riduce nelle altre
due dimensioni, come mostrato in Figura 3.1 (a) per un provino cilindrico. La norma
UNI EN ISO 6892-1 specifica la preparazione del provino e lo svolgimento della prova
stessa. Il campione (detto provino) e la configurazione generale della prova di trazione
sono illustrati in Figura 3.1 (b) e (c) rispettivamente. Il provino di partenza ha una lun-
ghezza utile iniziale Lo e un’area iniziale So. La lunghezza è misurata come la distanza
tra due posizioni di riferimento e l’area è misurata come la sezione trasversale del pro-
vino (circolare, rettangolare, quadrato o esagonale). Durante il test di un metallo, il pro-
vino si allunga e infine si frattura, come mostrato in Figura 3.2. Il carico e la variazione
di lunghezza del provino sono registrati man mano che la prova procede per fornire i
dati necessari alla determinazione della curva sforzo-deformazione. Ci sono due tipi di
curve tensione-deformazione: (1) tensione-deformazione ideale (o ingegneristica) e (2)
tensione-deformazione reale. La prima è più importante nella progettazione dei com-
ponenti, perché più adatta a rappresentare il campo elastico e le piccole deformazioni
plastiche, mentre la seconda è più adatta ai problemi di produzione, in cui solitamente
sono coinvolte grandi deformazioni.

Traversa fissa

Colonna Provino

Traversa
Traversa
fissa
fissa Traversa mobile

Tavola

Base
e attuatore

Figura 3.1  Prova di trazione: (a) forza di trazione applicata a (1) che causa l’allungamento del materiale (2); (b) tipico provino
cilindrico e (c) configurazione della prova di trazione. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Proprietà dei materiali industriali 63

Figura 3.2  Fasi attraver-


sate da un provino duran-
te una prova di trazione:
(1) inizio del test, senza
carico, (2) allungamento
uniforme e riduzione della
sezione trasversale, (3)
ulteriore allungamento, il
Strizione carico massimo viene rag-
giunto; (4) inizia a formarsi
una strizione, il carico inizia
a diminuire, (5) frattura. Ri-
congiungendo i due pezzi
del provino come mostrato
in (6), si può misurare la
lunghezza finale raggiunta.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groo-
ver, 2010. Ristampato con
Tensione-deformazione ideale  La tensione e la deformazione ideali (o ingegne- il permesso di John Wiley
ristici) in una prova di trazione vengono definiti in relazione all’area e alla lunghez- & Sons, Inc.)
za originali del provino. Questi valori sono di interesse nella progettazione perché il
progettista si aspetta che le deformazioni a cui vengono sottoposti i componenti del
prodotto non varino significativamente né tantomeno permanentemente la sua forma. I
componenti sono progettati per sopportare le sollecitazioni previste durante il loro uso.
Un esempio di curva tensione-deformazione ideale in una prova di trazione di un
provino metallico è riportato in Figura 3.3. Lo sforzo in ogni punto della curva viene
definita come la forza diviso l’area originale:

S (3.1)
dove s è la tensione espressa in MPa, F è la forza applicata in N ed So è l’area originale
del provino in mm 2. La deformazione è data da

(3.2)

Carico massimo
Rm
Punto di frattura

Rs
s (MPa)

Regione plastica
6WUHVVVVH OELQ
Tensione,

Figura 3.3  Curva tipi-


ca sforzo-deformazione
ideale di un metallo sog-
Regione elastica
getto a prova di trazione.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
scostamento 0.2% pato con il permesso di
Deformazione, e John Wiley & Sons, Inc.)
64 Tecnologia meccanica

Dove e è la deformazione in mm/mm, L è la lunghezza istantanea in mm ed Lo è la


lunghezza originale in mm. La deformazione è misurata in mm/mm, dunque è adimen-
sionale.
La curva tensione-deformazione riportata in Figura 3.3 ha due regioni, che indicano
due campi distinti: elastico e plastico. Nella regione elastica, la relazione tra tensione e
deformazione è lineare, e il materiale presenta un comportamento elastico ritornando
alla sua lunghezza originale quando il carico viene rilasciato. La relazione è definita
dalla legge di Hooke:

s = Ee(3.3)

dove E è il coefficiente di elasticità (o modulo elastico) in MPa, cioè la misura della ri-
gidezza intrinseca di un materiale. È una costante di proporzionalità il cui valore dipen-
de dal materiale. La Tabella 3.1 riporta i valori tipici per diversi materiali, sia metallici
che non metallici.

TABELLA 3.1 Moduli elastici di alcuni materiali.

Modulo elastico Modulo elastico


Metalli MPa Ceramiche e polimeri MPa
Alluminio e sue leghe 69 × 103 Allumina 345 × 103
Ghisa 138 × 103 Diamantea 1035 × 103
Rame e sue leghe 110 × 103 Vetro 69 × 103
Ferro 209 × 10 3
Carburo di silicio 448 × 103
Piombo 21 × 10 3
Carburo di tungsteno 552 × 103
Magnesio 48 × 10 3
Nylon 3.0 × 103
Nichel 209 × 103 Fenolo formaldeide 7.0 × 103
Acciaio 209 × 10 3
Polietilene (bassa densità) 0.2 × 103
Titanio 117 × 10 3
Polietilene (alta densità) 0.7 × 103
Tungsteno 407 × 10 3
Polistirene 3.0 × 103

Fonti [8], [11], [12], [16], [17] e altri.


a
Sebbene il diamante non sia una ceramica di solito viene confrontato con i materiali ceramici.

TABELLA 3.2  Carico di snervamento e carico di rottura in trazione monoassiale per alcuni metalli.

Carico di Carico Carico di Carico


snervamento Rs di rottura Rm snervamento Rs di rottura Rm
Metalli MPa MPa Ceramiche e polimeri MPa MPa
Alluminio ricotto   28  69 Nichel ricotto 150 450
Alluminio incrudito a
105 125 Acciaio (basso C) a
175 300
Leghe di alluminioa 175 350 acciaio (alto C)a 400 600
Ghisaa 275 275 Leghe di acciaioa 500 700
Rame ricottoa   70 205 Acciaio inossidabilea 275 650
Leghe di rame a
205 410 Titanio puro 350 515
Leghe di Magnesioa 175 275 Leghe di titanio 800 900
Fonti [8], [11], [12], [17] e altri.
a
Si riportano i valori tipici. Per le leghe vi è un certo intervallo di valori di resistenza alla trazione in base alla composizione e al trattamento
applicato (trattamento termico, incrudimento).
Proprietà dei materiali industriali 65

All’aumentare della tensione si raggiunge il punto al termine della curva lineare in


cui il materiale comincia a cedere. Questo punto di snervamento R s del materiale
può essere identificato in figura con il cambiamento di pendenza alla fine del tratto
lineare. Poiché l’inizio dello snervamento di solito è difficile da riconoscere nei dati
sperimentali (raramente si presenta come un brusco cambiamento di pendenza), Rs
è tipicamente definito come la tensione alla quale si verifica una deformazione dello
0.2% di scostamento dalla linea retta. Più precisamente, è il punto in cui la curva ten-
sione-deformazione del materiale interseca una linea che è parallela al tratto rettilineo
della curva ma sfalsato da esso dello 0,2% di deformazione. Il punto di snervamento
è una caratteristica di resistenza del materiale e viene indicato anche come carico di
snervamento o limite elastico.
Il punto di snervamento segna il passaggio alla regione plastica e l’inizio della defor-
mazione plastica del materiale. La relazione tra tensione e deformazione non segue più la
legge di Hooke. Quando il carico viene aumentato oltre il punto di snervamento, l’allun-
gamento del provino continua, ma ad una velocità molto maggiore di prima, causando
un cambio drastico della pendenza della curva, come già mostrato in Figura 3.3. L’allun-
gamento è accompagnato da una riduzione uniforme della sezione trasversale, mentre il
volume del materiale si mantiene costante. Infine il carico applicato (F) raggiunge il suo
valore massimo e la corrispondente tensione applicata viene chiamata resistenza alla
trazione o carico di rottura del materiale. È indicato con Rm, che è pari a Fmax/S0. Rm ed
Rs sono proprietà di resistenza importanti usate nei calcoli dai progettisti di prodotto e di
processo. Alcuni valori tipici del carico di snervamento e di rottura a trazione dei metalli
sono riportati in Tabella 3.2. Eseguire una prova di trazione per la ceramica è difficile,
quindi si usa una prova alternativa per misurare la resistenza di questi materiali fragili. I
polimeri differiscono nelle loro proprietà di resistenza sia dai metalli che dalle ceramiche
a causa della loro viscoelasticità.
Dopo il punto di carico massimo sulla curva tensione-deformazione, la forza ap-
plicata e lo sforzo ingegneristico cominciano a diminuire; il provino inizia un proces-
so di allungamento localizzato noto come strizione. Anziché continuare ad allungarsi
uniformemente, la deformazione e gli sforzi si concentrano in una piccola regione del
provino. L’area della sezione si restringe in modo significativo fino a quando si verifi-
ca una frattura. Finché il provino si deforma uniformemente, il suo stato tensionale è
uniassiale, ma quando viene raggiunta la strizione, lo stato di sforzo diventa localmente
triassiale.
Anche la quantità di deformazione che il materiale può sopportare prima della frat-
tura è una proprietà meccanica di interesse in numerosi processi produttivi. La misura
di questa proprietà prende il nome di duttilità, cioè la capacità di un materiale di de-
formarsi plasticamente senza fratturarsi. Un modo per misurare la duttilità è senz’altro
attraverso l’allungamento o attraverso la riduzione dell’area del provino. L’allungamen-
to è definito come

Lf – L
A= 0 (3.4)
L0

Dove A è l’allungamento di solito espresso in percentuale, Lf è l’allungamento del pro-


vino alla frattura in mm misurato come distanza tra i riferimenti di misura dopo che
le due parti del provino sono state riavvicinate e L0 è la lunghezza originale in mm. La
riduzione dell’area è definita da

S0 – Su
Z= (3.5)
S0
66 Tecnologia meccanica

Dove Z è la riduzione dell’area di solito espressa in percentuale, Su è la sezione minima al


punto di frattura in mm2 ed S0 è l’area originale in mm2. Per via della costanza del volume
in campo plastico, queste due misure di duttilità sono tra loro molto simili numericamen-
te. Il calcolo di entrambe è problematico perché il fenomeno della strizione causa defor-
mazioni non uniformi. Per questo, spesso i valori di allungamento massimo e riduzione
massima sono riferiti alla strizione piuttosto che alla frattura. Alcuni valori tipici di allun-
gamento percentuale per vari materiali (soprattutto metalli) sono elencati in Tabella 3.3.

Tensione-deformazione reale  Un lettore attento potrà essersi accorto dell’impre-


cisione commessa nell’usare l’area originale del provino per calcolare la tensione anzi-
ché l’area effettiva (istantanea) che diventa sempre più piccola man mano che la prova
procede. Se si usasse l’area effettiva, il valore della tensione calcolata sarebbe superiore.
Il valore della tensione ottenuto dividendo la forza applicata per il valore istantaneo
dell’area è definito come tensione (o sforzo) reale:

(3.6)
S
Dove σ è la tensione reale in MPa, F la forza in N ed S l’area effettiva (istantanea) che
resiste al carico in mm 2.
Analogamente, la deformazione reale fornisce una valutazione più realistica
dell’allungamento “istantaneo” per unità di lunghezza del materiale. Il valore della de-
formazione reale in una prova di trazione può essere determinato dividendo l’allunga-
mento totale in piccoli incrementi, calcolando la tensione ideale per ogni incremento
sulla base della sua lunghezza iniziale e poi sommando i valori di deformazione. Ten-
dendo al limite, la deformazione reale è definita come

ε (3.7)
L0

TABELLA 3.3 Duttilità come allungamento % massimo (valori tipici) per alcuni materiali.

Materiale Allungamento Materiale Allungamento


Metalli Continuazione metalli
Alluminio ricotto 40% Acciaio (basso C)a 30%
Alluminio incrudito 8% Acciaio (alto C) a
10%
Leghe di alluminio ricottea 20% Leghe di acciaioa 20%
Leghe di alluminio invecchiate a
8% Acciaio inossidabile austenitico a
55%
Leghe di alluminio fuse a
4% Titanio quasi puro 20%
Ghisa grigiaa 0.6% Leghe di zinco 10%
Rame ricotto 45% Ceramiche 0b
Rame incrudito 10% Polimeri
Leghe di rame: ottone ricotto 60% Polimeri termoplastici 100%
Leghe di Magnesio a
10% Polimeri termoindurenti 1%
Nichel ricotto 45% Elastomeri (es. gomma) 1%c

Fonti [8], [11], [12], [17] e altri.


a
Si riportano i valori tipici. Per le leghe vi è un certo intervallo di duttilità che dipende dalla composizione e dal trattamento applicato (trattamento
termico, incrudimento).
b
Le ceramiche sono fragili, resistono alla deformazione elastica, ma non alla deformazione plastica.
c
Gli elastomeri sopportano una significativa deformazione elastica, ma la loro deformazione plastica è molto limitata, circa l’1%.
Proprietà dei materiali industriali 67

Dove L è la lunghezza istantanea in ogni momento dell’allungamento. Alla fine della


prova il valore finale della deformazione si calcola imponendo L=Lf.
È utile ribadire che lo stato tensionale durante una prova di trazione è uniassiale,
cioè l’unica componente non nulla del tensore degli sforzi è quella in direzione assiale,
dell’allungamento. Quando la curva di tensione-deformazione riportata in Figura 3.3
viene disegnata usando i valori reali di tensione e deformazione, il grafico risultante si
presenta come in Figura 3.4. Nella regione elastica, il grafico è praticamente uguale al
primo. I valori di tensione sono bassi e la tensione reale è quasi uguale a quella ideale
(per la maggior parte dei metalli di interesse). La ragione di questa somiglianza è che
l’area della sezione trasversale del provino non si riduce significativamente nella regio-
ne elastica. Così, si può ancora usare la legge di Hooke per collegare la tensione reale
con la deformazione reale: σ = Eε.
La differenza tra la curva tensione-deformazione reale e la sua controparte ideale
si trova nel campo plastico, dove i valori di tensione reale sono decisamente più elevati.
Non appena avviene la strizione, il calcolo dell’area istantanea effettivo non può più
essere eseguito semplicemente considerando la costanza del volume dell’intero pro-
vino o del suo tratto utile, perché la deformazione si localizza. La linea continua non
rappresenta più lo sforzo reale ma lo sottostima. Inoltre, a strizione iniziata, lo stato
di sforzo non è più monoassiale ma triassiale. La curva tratteggiata invece indica la
proiezione della continuazione della curva sforzo-deformazione se non fosse avvenuta
la strizione.
Man mano che la tensione aumenta nella regione plastica i valori della deformazio-
ne reale e ideale divergono. La deformazione reale può essere correlata alla corrispon-
dente deformazione ideale dalla relazione

ε (3.8)

Anche la tensione reale e ideale sono legate da una relazione:

(3.9)

Nella Figura 3.4 si può notare che la tensione aumenta costantemente nella regione
plastica fino a quando inizia la strizione. L’aumento della tensione reale significa che

Proiezione
della curva
se non avviene
la strizione
Inizio strizione
Tensione reale,

Punto di snervamento inizio della regione plastica Figura 3.4  Curva sfor-
zo-deformazione reale
corrispondente alla cur-
va tensione-deformazio-
Regione elastica: ne ideale di Figura 3.3.
ε (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Tensione reale, ε John Wiley & Sons, Inc.)
68 Tecnologia meccanica

il metallo sta diventando sempre più resistente man mano che si deforma. Questa pro-
prietà viene chiamata incrudimento ed è posseduta dalla maggior parte dei metalli in
diversa misura.
L’incrudimento è un fattore importante in alcuni processi industriali soprattutto dei
metalli. Consideriamo come il comportamento di un metallo viene influenzato da que-
sto fenomeno. Se la porzione della curva tensione-deformazione reale rappresentante la
regione plastica fosse tracciata in scala logaritmica, il risultato sarebbe una relazione
all’incirca lineare, come mostrato in Figura 3.5. Poiché in questa trasformazione essa ri-
sulta una linea retta, la relazione tra tensione e deformazione reali nella regione plastica
può essere espressa come

ε (3.10)

Questa equazione è una delle tante possibili rappresentazioni matematiche della cosid-
detta curva di flusso plastico. Essa fornisce una buona approssimazione del compor-
tamento dei metalli nella regione plastica, compresa la loro capacità di incrudimento.
La costante K è detta coefficiente di resistenza espresso in MPa, ed è pari al valore di
tensione raggiunto per avere una deformazione reale pari a uno. Il parametro n è detto
esponente di incrudimento ed è la pendenza della linea in Figura 3.5. Il suo valore
esprime direttamente alla tendenza di un metallo ad incrudire. Valori tipici di K ed n per
alcuni metalli sono riportati nella Tabella 3.4. Si noti che n è solitamente ≤0.5. I materia-
li che presentano i valori più elevati di n (il rame ricotto, l’acciaio inox austenitico ecc.)
sono solitamente più duttili, cioè per essi il fenomeno della strizione durante la prova di
trazione avviene per valori più elevati di deformazione. In altre parole l’incrudimento
favorisce la duttilità dei materiali nella deformazione a freddo.

Tipi di legami tensione-deformazione  La curva sforzo-deformazione fornisce


molte informazioni sul comportamento elasto-plastico. Come già affermato, la legge
di Hooke (σ=Eε) regola il comportamento del metallo nella regione elastica e la curva
di flusso plastico (σ=Kεn) regola il comportamento nella regione plastica. Il comporta-
mento di quasi tutti i tipi di materiali può essere approssimato usando uno dei tre tipi di
rapporti tensione-deformazione seguenti, come mostrato in Figura 3.6.

(a) Perfettamente elastico. Il comportamento di questi materiali è definito solo dalla


loro rigidezza, indicata dal coefficiente di elasticità E: si fratturano piuttosto che
cedere al flusso plastico. I materiali fragili come le ceramiche, molte ghise, e i po-

Inizio strizione
Tensione reale,

Figura 3.5  Curva tensio-


ne-deformazione reale in
scala logaritmica. (Fonte:
Fundamentals of Modern Pendenza
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley &
Sons, Inc.) Deformazione reale, ε
Proprietà dei materiali industriali 69

TABELLA 3.4  Carico di snervamento e carico di rottura in trazione monoassiale per alcuni metalli.

Coefficiente Coefficiente Esponente


di resistenza K Esponente di di resistenza K di incrudi-
Metalli MPa incrudimento n Metalli MPa mento n
Alluminio puro ricotto 175 0.20 Acciaio basso C 500 0.25
ricottoa
Leghe di alluminio 240 0.15 Acciaio alto C ricottoa 850 0.15
ricottea
Leghe di alluminio 400 0.10 Leghe acciaio ricottoa 700 0.15
dopo trattamento
termico
Rame puro ricotto 300 0.50 Acciaio inossidabile 1200 0.40
austenitico ricottoa
Leghe di rame: ottonea 700 0.35

Fonti [10], [11], [12] e altri.


a
I valori di K e n possono variare in base alla composizione, trattamento termico e incrudimento.

limeri termoindurenti hanno curve tensione-deformazione che rientrano in questa


categoria. Questi materiali non sono molto adatti per le operazioni di formatura o
di lavorazione alle macchine utensili convenzionali.
(b) Elastico e perfettamente plastico. Questi materiali hanno una rigidezza definita
da E. Dopo aver raggiunto il punto di snervamento R s, il materiale si deforma pla-
sticamente. La curva di flusso è data da K ≅ Rs ed n = 0. I metalli si comportano in
questo modo se sono riscaldati a temperature sufficientemente alte da farli ricristal-
lizzare piuttosto che incrudire durante la deformazione. Il piombo presenta questo
comportamento a temperatura ambiente, perché la temperatura ambiente è al di
sopra del suo punto di ricristallizzazione. In altre parole, nelle lavorazioni eseguite
ad alta temperatura è quasi del tutto assente il fenomeno dell’incrudimento da de-
formazione.
(c) Elastico con incrudimento. Questi materiali seguono la legge di Hooke nella re-
gione elastica. Cominciano a deformarsi plasticamente al punto di snervamento
Rs. La deformazione continua richiede una tensione sempre maggiore, data da una
curva di flusso il cui coefficiente di resistenza K è diverso da R s e il cui esponente
di incrudimento n è maggiore di zero. La curva di flusso plastico è generalmente
rappresentata come una funzione lineare su un grafico logaritmico. I metalli duttili
si comportano in questo modo quando sono lavorati a freddo.

ε ε ε

Figura 3.6  Le tre categorie di rapporti tensione-deformazione: perfettamente elastico (a), elastico e
perfettamente plastico (b), elastico con incrudimento (c). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufac-
turing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
70 Tecnologia meccanica

3.1.2 Proprietà di compressione


Una prova di compressione applica un carico che comprime un provino cilindrico (o pri-
smatico) tra due piastre, come illustrato in Figura 3.7. Poiché il provino è compresso, la
sua altezza si riduce e la sua sezione trasversale aumenta. La tensione ideale è definita da

(3.11)
S0

S0 è l’area originale del provino. È la stessa definizione della tensione ideale usata nella
prova di trazione. La deformazione ideale è definita da

(3.12)

S0 S

F i g u r a 3 .7   P r o va d i
compressione: (a) forza Traversa mobile
di compressione appli-
Piastra superiore
cata al provino (1) che
causa la sua riduzione di Provino
altezza (2) e (b) configu- Piastra inferiore
razione della prova, con
provino ingrandito. (Fon- Tavola
te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4 th
Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

Dove h è l’altezza del provino in ogni istante del test in mm e h0 è l’altezza iniziale in mm.
Visto che l’altezza diminuisce durante la compressione, il valore di e è negativo e anche lo
sforzo principale, essendo di compressione, dovrebbe essere rappresentato a valori negati-
vi. Tuttavia, si preferisce rappresentare anche in questo caso il legame sforzo-deformazio-
ne nel primo quadrante, usando cioè valori positivi per entrambe le grandezze. Si utilizza
dunque una rappresentazione non in termini dello sforzo s o della deformazione e nella
direzione di compressione, ma in termini dei cosiddetti “sforzo equivalente” e “deforma-
zione equivalente”, cui si farà nuovamente cenno nel Capitolo 10.
Il grafico tensione-deformazione reali in una prova di compressione è simile a quel-
lo riportato in Figura 3.8. La curva è divisa in regione elastica e plastica, come prima,
ma la forma della parte plastica della curva è diversa da quella nella prova di trazione.
Poiché la compressione provoca l’aumento della sezione trasversale (anziché la diminu-
zione come nella prova di trazione), il carico aumenta più rapidamente. Ciò si traduce in
un maggior valore di tensione applicata.
Un altro fenomeno nel test di compressione contribuisce all’aumento del valore
medio dello sforzo. Quando il provino cilindrico viene schiacciato, l’attrito delle super-
fici a contatto con le piastre tende ad impedire alle estremità superiore e inferiore del
cilindro di allargarsi. Una parte di energia viene consumata da questo attrito durante
la prova e questo si traduce in una maggiore forza applicata e quindi in una maggiore
Proprietà dei materiali industriali 71

Tensione,

Figura 3.8  Tipica curva


Punto di snervamento –
tensione-deformazione
inizio della regione plastica
reali (equivalenti) per un
test di compressione.
Regione elastica: (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Deformazione, John Wiley & Sons, Inc.)

tensione ideale. Un’altra conseguenza dell’attrito tra le superfici è che l’area vicino al
centro del provino aumenta molto di più che alle estremità. Ciò comporta la distorsione
del campione, come mostrato in Figura 3.9 secondo una caratteristica forma a barile.
Anche se esistono differenze tra le curve tensione-deformazione ideali di trazione e
compressione, quando i rispettivi dati sono riportati sui grafici tensione-deformazione
reali, i rapporti sono quasi identici (per quasi tutti i materiali). Poiché i risultati delle
prove di trazione sono più diffusi in letteratura, i valori dei parametri della curva di
flusso (K ed n) possono essere derivati dalla prova di trazione e applicati con la stessa
validità ad un’operazione di compressione. Se si usano i risultati della prova di trazione
per un’operazione di compressione bisogna solo ignorare l’effetto della strizione, un
fenomeno che è peculiare della deformazione indotta da tensioni di trazione. Nella com-
pressione infatti non avviene tale fenomeno di instabilità plastica del pezzo. Nei grafici
precedenti di tensione-deformazione reali, i dati sono stati proiettati oltre il punto di
strizione mediante linee tratteggiate. Tali linee rappresentano il comportamento del ma-
teriale durante la compressione più che i dati effettivi della prova di trazione.
Le operazioni di compressione nella formatura dei metalli sono molto comuni. I
processi di compressione industriali più importanti sono la laminazione, la forgiatura e
l’estrusione (Capitolo 11).

Figura 3.9 Distorsione
del provino durante la
prova di compressione:
(1) forma iniziale del pro-
vino, (2) forma assunta
dopo una considerevole
compressoine. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
72 Tecnologia meccanica

3.1.3 Flessione e prove dei materiali fragili


Le operazioni di piegatura vengono utilizzate per formare piastre e lamiere metalliche.
Come mostrato in Figura 3.10, il processo di piegatura di una sezione trasversale rettan-
golare sottopone il materiale a tensioni (e deformazioni) di trazione nella metà esterna
della sezione e a tensioni di compressione nella metà interna. Se il materiale non si frat-
tura, esso si piega permanentemente (plasticamente) come mostrato in Figura 3.10(3).
I materiali duri e fragili (per esempio le ceramiche) che possiedono molta elasticità
ma poca o nulla plasticità, sono spesso testati da una prova che sottopone il provino
ad un carico di flessione. Questi materiali non rispondono bene alle prove di trazione
tradizionale per difficoltà di preparazione dei provini e per il possibile disallineamento
delle ganasce che tengono il campione. La prova di flessione (anche nota come prova
di piegatura) è utilizzata per testare la resistenza di questi materiali, utilizzando la
configurazione illustrata in Figura 3.10(1). In questa procedura, un provino di sezione
rettangolare è posizionato tra due supporti e viene applicata una forza al suo centro. In
questa configurazione, la prova è chiamata prova di flessione su tre punti. La prova di
flessione su 3 o 5 punti è anche spesso impiegata per materiali compositi o multistrato.
La frattura di solito si verifica perché si supera il carico di rottura delle fibre esterne del
provino. Il valore della resistenza che si calcola con questa prova si chiama carico di
rottura trasversale ed è dato dalla formula

Rf (3.13)

Dove Rf è il carico di rottura trasversale in MPa, F il carico applicato alla frattura in N,


L la lunghezza del provino tra i due supporti in mm, b e t0 rispettivamente larghezza e
spessore trasversale del provino come mostrato in figura in mm.

3.1.4 Proprietà di taglio


Il taglio comporta l’applicazione di tensioni in direzioni opposte sui due lati di un con-
cio sottile per deformarlo come mostrato in Figura 3.11. La tensione (o sforzo) di taglio
(o tangenziale) è definita come

(3.14)
S

Tensioni
e deformazioni
di compressione

Tensioni
e deformazioni
di trazione

Figura 3.10  Risultati della piegatura di una sezione rettangolare attraverso tensioni di trazione e di compressione del materiale: (1)
carico iniziale, (2) provino sottoposto ad alte tensioni di trazione e compressione, e (3) provino piegato. (Fonte: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Proprietà dei materiali industriali 73

Area S
trasversale

Figura 3.11 Tensione
(a) e deformazione (b) da
taglio. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

dove τ è la tensione di taglio in MPa, F la forza applicata in N e S l’area su cui è applica-


ta la forza in mm2. La deformazione di taglio è definita come

(3.15)

dove γ è la deformazione di taglio in mm/mm, δ è la flessione dell’elemento in mm e b


la distanza ortogonale su cui si verifica la flessione in mm. La tensione e la deforma-
zione di taglio sono comunemente valutate in una prova di torsione, in cui un provino
tubulare a sezione sottile viene sottoposto ad una coppia come mostrato in Figura 3.12.
Se la coppia aumenta, il tubo si deforma torcendosi, dando origine a una deformazione
da taglio.
Facendo riferimento alla prova di torsione, la tensione da taglio è data dall’equa-
zione
M
τ= (3.16)
pr2t0
dove M è la coppia applicata in N∙mm, r è il raggio del tubo in mm e t0 il suo spessore
in mm. La deformazione da taglio viene calcolata misurando la quantità di flessio-
ne angolare del tubo, convertendola in una distanza e dividendola per la lunghezza L.
L’equazione risultante è la seguente:

= (3.17)
L
dove θ è la flessione angolare (in radianti).
Nella regione elastica, il rapporto tra tensione e deformazione tangenziale è definito da

τ (3.18)

t0

θ Figura 3.12 Configura-
zione della prova di torsio-
t ne. (Fonte: Fundamentals
t
r of Modern Manufacturing,
t0 4th Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
Sezione A–A Wiley & Sons, Inc.)
74 Tecnologia meccanica

dove G è il fattore di taglio o coefficiente di elasticità tangenziale in MPa. Per la


maggior parte dei materiali, il fattore di taglio può essere approssimato a G = 0.4E, dove
E è il coefficiente di elasticità.
Nella regione plastica della curva tensione-deformazione da taglio, la deformazione
del materiale aumenta all’aumentare della coppia applicata, fino alla frattura. Il com-
portamento in questa regione è simile alla curva di flusso plastico. Il valore della tensio-
ne di taglio alla frattura è chiamato resistenza al taglio Rt del materiale. La resistenza
al taglio può essere stimata dai dati della resistenza alla trazione mediante l’approssi-
mazione: Rt = 0.7∙Rm.
Poiché l’area della sezione trasversale del provino nella prova di torsione non cam-
bia come avviene nelle prove di trazione e di compressione, la curva tensione-deforma-
zione da taglio ideale è praticamente uguale a quella reale.
I processi industriali nei quali i materiali sono soggetti a taglio sono molto comuni.
Le azioni di taglio sono utilizzate per tagliare lamiere, come la tranciatura e la punzo-
natura (Capitolo 12). Nei processi convenzionali di asportazione, il materiale è sempre
soggetto a sforzi e deformazioni di (Capitolo 13).

3.2 Durezza

La durezza di un materiale è definita come la sua resistenza alla deformazione perma-


nente. Una buona durezza superficiale generalmente significa che il materiale è resi-
stente alle scalfitture e all’usura e che possiede bassi valori del coefficiente di attrito.
Per le applicazioni industriali, tra cui la maggior parte degli utensili usati nella pro-
duzione, queste tre caratteristiche sono molto importanti. Come si vedrà più avanti in
questa sezione, vi è una forte correlazione tra durezza e resistenza.

3.2.1 Prove di durezza


Le prove di durezza sono usate comunemente per valutare le proprietà dei materiali,
perché sono veloci ed economiche. Ci sono diversi metodi di test a causa delle differen-
ze tra le durezze di materiali diversi. Le prove di durezza più note sono quelle di Brinell
e Rockwell.

Prova di durezza Brinell  La prova di durezza Brinell è ampiamente usata per


testare materiali metallici e non metallici di bassa e media durezza. Prende il nome
dall’ingegnere svedese che lo sviluppò intorno al 1900. La prova si esegue premendo
una sfera di acciaio temprato (o metallo duro) di 10 mm di diametro sulla superficie del
campione usando un carico di 500, 1500, o 3000 kg. Il carico viene quindi diviso per
l’area della cavità permanente prodotta per ottenere il Numero di Durezza di Brinell
(BHN), corrispondente all’equazione

(3.19)

dove HB è la durezza Brinell, F è il carico in kg, Db è il diametro della sfera in mm e Di


il diametro della cavità in mm. La Figura 3.13 (a) mostra come sono disposti questi para-
metri. Il valore di HB risultante è espresso in kg/mm 2, anche se tali unità sono di solito
Proprietà dei materiali industriali 75

omesse. Per i materiali più duri (con HB>500), si usa una sfera di carburo cementato
perché la sfera di acciaio subirebbe una deformazione elastica che comprometterebbe la
precisione della misura. I carichi più elevati (1500 e 3000 kg) sono tipicamente utiliz-
zati per i materiali più duri. Visto che si possono ottenere risultati diversi a seconda del
carico usato, è buona norma indicare sempre il carico usato nella prova oltre al valore
dell’HB.

Prova di durezza Rockwell  È un’altra prova molto utilizzata che prende il nome
dal suo ideatore. È semplice da usare e i miglioramenti apportati negli anni l’hanno resa
adatta a una grande varietà di materiali. Nella prova di durezza Rockwell, il penetratore
è a forma di cono (o piccola sfera) con diametro di 1,6 o 3,2 mm e viene premuto con-
tro il campione con un carico minore di 10 kg, causando una leggera penetrazione nel
materiale. Poi viene applicato un carico maggiore, per esempio 150 kg e la penetrazione
continua fino a una certa distanza oltre la posizione iniziale. Questa seconda distanza
di penetrazione d viene convertita in un valore di durezza Rockwell. La sequenza di
operazioni è mostrata in Figura 3.13 (b). Le differenze di carico e forma del penetratore
forniscono diverse scale Rockwell a seconda del tipo di materiale. Le scale più comuni
sono indicate in Tabella 3.5.

Prova di durezza Vickers  Questa prova, sviluppata agli inizi del 1920, utilizza
un penetratore piramidale di diamante. Si basa sul principio che le impronte lasciate
da questo penetratore sono geometricamente simili indipendentemente dal carico. Si
applicano carichi di varie dimensioni a seconda della durezza del materiale da misurare.
Il valore di durezza Vickers (HV) viene determinato dalla formula

(3.20)

dove F è il carico applicato in kg e D è la diagonale dell’impronta lasciata dal penetra-


tore in mm, come indicato in Figura 3.13 (c). La prova Vickers può essere utilizzata per
tutti i metalli e fornisce una delle più ampie scale tra le prove di durezza.

Prova di durezza Knoop  Anche la prova Knoop, sviluppata nel 1939, utilizza un
penetratore piramidale di diamante, ma la piramide ha un rapporto lunghezza-larghezza
di circa 7:1, come mostrato in Figura 3.13 (d) e i carichi applicati sono generalmente più
leggeri di quelli della prova Vickers. Questa è una prova di microdurezza, nel senso che
è adatta per misurare campioni sottili o materiali fragili che potrebbero fratturarsi se
sottoposti a un carico più pesante. La forma del penetratore facilita la lettura dell’im-
pronta lasciata dai carichi leggeri utilizzati in questa prova. Il valore di durezza Knoop
(HK) è dato dalla formula

(3.21)

dove F è il carico applicato in kg e D è la diagonale lunga dell’impronta lasciata dal pe-


netratore in mm. Poiché l’impronta che si ricava da questa prova è generalmente molto
piccola, occorre fare particolarmente attenzione nella preparazione della superficie da
misurare.
76 Tecnologia meccanica

Sfera 10-mm di acciaio


F (maggiore)
o carburo cementato
F (minore)
(penetratore)
Penetratore d
a forma
Forma
di colo
del penetratore

Campione
Posizione iniziale Posizione finale

Figura 3.13  Metodi di


prove di durezza: (a) Bri-
nell, (b) Rockwell: (1) ca-
rico iniziale minore e (2) Penetratore
carico iniziale maggiore, Penetratore piramidale
(c) Vickers e (d) Knoop. piramidale
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P. Forma
Groover, 2010. Ristam- Forma del penetratore
pato con il permesso di del penetratore
John Wiley & Sons, Inc.)

TABELLA 3.5  Scale di durezza Rockwell

Scala Simbolo Carico


Rockwell della durezza Penetratore (Kg) Esempi di materiali testati
A HRA Cono   60 Carburi e ceramiche
B HRB 1.6 mm 100 Metalli non ferrosi
C HRC Cono 150 Metalli ferrosi e utensili
d’acciaio
Fonte [8].

3.2.2 Durezza dei materiali


Questa sezione mette a confronto i valori di durezza dei più comuni materiali industriali
appartenenti alle categorie di metalli, ceramiche e polimeri.

Metalli  Le prove di durezza Brinell e Rockwell furono sviluppate in un’epoca in cui i


metalli erano i principali materiali di interesse industriale. Una grande quantità di dati
sono stati raccolti utilizzando queste prove sui metalli. La Tabella 3.6 riporta i valori di
durezza di alcuni metalli.
Per la maggior parte dei metalli, la durezza è strettamente legata alla resistenza
meccanica. Poiché il metodo di prova per la durezza è generalmente basato sulla resi-
stenza alla penetrazione, che è una forma di compressione, ci si aspetta una correlazione
tra durezza e resistenza misurata in una prova di compressione. Le proprietà di resisten-
za in una prova di compressione sono quasi le stesse di quelle in una prova di trazione,
una volta corrette per i cambiamenti nell’area della sezione trasversale dei rispettivi
provini, cosicché vi è anche una buona correlazione con la resistenza misurata in una
prova di trazione.
Proprietà dei materiali industriali 77

TABELLA 3.6  Durezza di alcuni metalli.

Durezza Durezza
Durezza Rockwell Durezza Rockwell
Metallo Brinell (HB) (HRa) Metallo Brinell (HB) (HRa)
Leghe di alluminio   20 Leghe di magnesio ricotteb   70 35B
Alluminio lavorato a caldo  35 Nichel ricotto b
  75 40B
Leghe di alluminio ricotte b
  40 Acciaio basso C laminato 100 60B
a caldob
Leghe di alluminio temprateb   90 52B Acciaio alto C laminato 200 95B, 15C
a caldob
Leghe di alluminio fuseb   80 44B Leghe di acciaio ricotteb 175 90B, 10C
Ghisa grigia fusa b
175 10C Leghe di acciaio trattate 300 33C
termicamenteb
Rame ricotto  45 Acciaio inossidabile 150 85B
austeniticob
Leghe di rame: ottone ricotto 100 60B Titanio quali puro 200 95B
Piombo   4 Zinco   30

Fonti [11], [12], [17] e altri.


a
I valori HR sono riportati nella scala B o C, come indicato dalla lettera di fianco al numero. I valori mancanti indicano che la durezza è troppo
bassa per le scale Rockwell.
b
I valori HB indicati sono quelli tipici. I valori di durezza variano in base alla composizione, al trattamento termico e al grado di incrudimento.

Il valore di durezza Brinell (HB) presenta una stretta correlazione con il carico di rottu-
ra degli acciai, determinando la relazione [10], [16]:
Rm = KhHB(3.22)

dove Kh è una costante di proporzionalità. Se Rm è espressa in MPa, allora Kh = 3,45.

Ceramiche  La durezza Rockwell C per l’acciaio temprato è di circa 65 HRC. La sca-


la HRC non si estende abbastanza per essere utilizzata per materiali più duri, poiché tali
materiali sono spesso più duri della sfera del penetratore. Pertanto, la prova di durezza
Brinell non è adatta ai materiali ceramici. Le prove di durezza Vickers e Knoop invece
sono usate per testare questi materiali. La Tabella 3.7 riporta i valori di durezza per le
ceramiche e altri materiali duri.

TABELLA 3.7  Durezze di alcune ceramiche e altri materiali duri, in ordine di durezza crescente.

Durezza Durezza Durezza Durezza


Materiale Vickers HV Knoop HK Metallo Vickers HV Knoop HK
Acciaio temprato   800   850 Nitruro di titanio TiN   3000 2300
per utensilia
Carburo cementato 2000 1400 Carburo di titanio TiC   3200 2500
(WC-C)a
Allumina Al2O3 2200 1500 Nitruro di boro cubico BN   6000 4000
Carburo di tungsteno WC 2600 1900 Diamante sinterizzato   7000 5000
policristallino
Carburo di silicio SiC 2600 1900 Diamante naturale 10,000 8000
Fonti [15], [17] e altri.
a
L’acciaio temprato e il carburo cementato sono i due materiali comunemente usati nella prova di durezza Brinell.
78 Tecnologia meccanica

Polimeri  I polimeri hanno la durezza più bassa tra i tre tipi di materiali industriali.
La Tabella 3.8 riporta alcuni dei polimeri sulla scala di durezza Brinell, anche se di
solito non si usa questa prova per questi materiali. In questo modo però è possibile fare
il confronto con la durezza dei metalli.
TABELLA 3.8  Durezza di alcuni polimeri

Polimero Durezza Brinell (HB) Polimero Durezza Brinell (HB)


Nylon 12 Polipropilene 7
Fenolo formaldeide 50 Polistirene 20
Polietilene bassa 2 Polivinilcloruro 10
densità
Polietilene alta densità 4

Fonti [5], [8] e altri.

3.3 Effetti della temperatura sulle proprietà meccaniche

La temperatura ha un effetto significativo sulle proprietà meccaniche di tutti i materiali.


È importante che il progettista conosca le proprietà del materiale di cui è fatto un prodotto
alle temperature in cui il prodotto sarà utilizzato. È anche importante sapere come la tem-
peratura influisce sulle proprietà meccaniche durante la produzione. A temperature ele-
vate, i materiali hanno resistenza inferiore e duttilità maggiore. I comportamenti generali
dei metalli sono rappresentati in Figura 3.14. A temperature elevate la maggior parte dei
metalli può essere formata usando forze e potenze minori rispetto a quando sono freddi.

Durezza a caldo  Poiché sappiamo che durezza e resistenza sono tra loro correlate,
la proprietà usata per caratterizzare più semplicemente il comportamento meccanico a
temperature elevate è la durezza a caldo. Di solito si esprime come un elenco di valori
di durezza a temperature differenti o come il grafico della durezza in funzione della
temperatura, come in Figura 3.15. Le leghe di acciaio di solito presentano una buona du-
rezza a caldo, come mostrato in figura. Le ceramiche sono i materiali che presentano le

Forza
di trazione Ceramica

Punto di
Forza e duttilità

Durezza

snervamento Acciaio alto


legato

Acciaio
Acciaio alto C
basso (HT)
legato
Duttilità
(% allungamento)

Temperatura Temperatura, °C

Figura 3.14  Effetto generale della temperatura su re- Figura 3.15  Durezza in funzione della temperatura
sistenza e duttilità. (Fonte: Fundamentals of Modern per materiali diversi. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Proprietà dei materiali industriali 79

migliori proprietà a temperature elevate. Infatti, vengono spesso usate per applicazioni
ad alte temperature, come parti di turbine e applicazioni refrattarie. Anche negli utensili
utilizzati in produzione una buona durezza a caldo è auspicabile, poiché nei processi di
lavorazione dei metalli vengono generate elevate quantità di energia termica e utensili e
stampi devono essere in grado di sopportare temperature molto elevate.

Ricristallizzazione  La maggior parte dei metalli a temperatura ambiente si compor-


ta secondo la curva di flusso plastico. Quando il metallo viene deformato, la sua forza
aumenta a causa dell’incrudimento (esponente di incrudimento n> 0). Se però il metallo
viene riscaldato ad una temperatura sufficientemente elevata e poi deformato, l’incrudi-
mento non si verifica. Al contrario si formano nuovi grani cristallini privi di tensione
e il metallo tende a comportarsi come un materiale perfettamente plastico, cioè con un
esponente di incrudimento n = 0. La formazione di nuovi grani cristallini privi di ten-
sione è un processo chiamato ricristallizzazione e la temperatura alla quale si verifica
è pari o poco superiore alla metà del punto di fusione (0,5 Tm), misurata su una scala
assoluta (R o K), chiamata temperatura di ricristallizzazione. La ricristallizzazione
è una caratteristica che viene utilmente sfruttata in produzione. Riscaldando il metallo
oltre la temperatura di ricristallizzazione prima della deformazione, si aumenta la quan-
tità di deformazione totale che può sopportare il metallo, mentre si riducono la forza e la
potenza necessarie per eseguire il processo. La formatura dei metalli a temperature al di
sopra della temperatura di ricristallizzazione è chiamata lavorazione a caldo.
La ricristallizzazione però è un fenomeno che richiede tempo. Pertanto se il mate-
riale a caldo viene deformato lentamente, esso avrà il tempo di ricristallizzare; se viene
deformato velocemente, la ricristallizzazione sarà solo parziale e la resistenza mecca-
nica del materiale ne sarà influenzata. In altre parole, anche se a caldo si ha n=0 e lo
sforzo di flusso plastico non dipende dalla deformazione totale raggiunta dal materiale,
lo sforzo di flusso dipenderà dalla velocità di deformazione (s-1).

3.4  Proprietà dei fluidi

I fluidi si comportano in modo molto diverso rispetto ai solidi. Un fluido scorre e pren-
de la forma del contenitore che lo contiene. Un solido non scorre e possiede una forma
geometrica propria. I fluidi comprendono i liquidi e i gas, ma in questo paragrafo tratte-
remo solo i liquidi. Molti processi di produzione sono realizzati con materiali che sono
stati convertiti dallo stato solido allo stato liquido mediante riscaldamento. I metalli
sono formati allo stato fuso, il vetro è formato dopo essere stato riscaldato e diventato
altamente fluido e i polimeri sono quasi sempre formati da fluidi densi e viscosi.

Viscosità Sebbene tutti i fluidi scorrano, la facilità di scorrimento varia a seconda del
fluido e la viscosità è la proprietà che determina il fenomeno. È una misura dell’attrito
interno che si manifesta quando dei gradienti di velocità sono presenti nel fluido: più
viscoso è il fluido, più alto è l’attrito interno e maggiore la resistenza allo scorrimento. Il
reciproco della viscosità è la fluidità, definita come la facilità con cui un fluido scorre.
Della viscosità può essere data una definizione più precisa considerando la con-
figurazione riportata in Figura 3.16, in cui due piastre parallele sono separate da una
distanza d. Una delle piastre è ferma, mentre l’altra si muove a una velocità v e lo spazio
tra le piastre è occupato da un fluido. Si scelga un sistema di riferimento cartesiano tale
per cui d risulta essere diretto come y e v come l’asse x. Al movimento della piastra
superiore si oppone la forza F, che risulta dall’azione di taglio del fluido. Questa forza
può essere ridotta a una tensione di taglio dividendo F per l’area piastra S:
80 Tecnologia meccanica

Figura 3.16  Flusso di un


fluido tra due piastre pa- Piastra
rallele, una stazionaria e mobile
l’altra che si muove a velo- Vettori
cità v. (Fonte: Fundamen- Fluido della velocità
tals of Modern Manufactu- del flusso
ring, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa- Piastra
to con il permesso di John fissa
Wiley & Sons, Inc.)

F
τ= (3.23)
S
dove τ è lo sforzo di taglio in N/m 2 o Pa. Questa tensione di taglio è correlata alla velo-
cità di taglio, che è definita come la variazione di velocità dv relativa a dy, cioè:

(3.24)

dove γ⋅ è la velocità di deformazione in s-1, dv è l’incremento della velocità in m/s e dy


è l’incremento della distanza y in m. La viscosità di taglio è la proprietà del fluido che
definisce la relazione tra F/S e dv/dy, cioè,

S (3.25)

dove η è una costante di proporzionalità detta coefficiente di viscosità in Pa-s. Inverten-


do l’Eq. (3.25), il coefficiente di viscosità può essere espresso come:

(3.26)

La viscosità di un fluido è quindi definita come il rapporto tra la tensione di taglio e la


velocità di deformazione durante il flusso, dove la tensione di taglio è la forza di attrito
esercitata dal fluido per unità di superficie e la velocità di deformazione è il gradiente di
velocità perpendicolare alla direzione del flusso. Le caratteristiche dei fluidi viscosi de-
finiti dall’Eq. (3.26) sono state scoperte da Newton. Egli aveva osservato che la viscosità
era una proprietà costante di alcuni fluidi, che furono poi chiamati fluidi Newtoniani.
Alcuni valori tipici del coefficiente di viscosità dei fluidi sono riportati in Tabella 3.9. Si
può osservare in diversi materiali che la viscosità varia al variare della temperatura.

Viscosità nei processi industriali  Per molti metalli la viscosità allo stato fuso
si può confrontare con quella dell’acqua a temperatura ambiente. Alcuni processi in-
dustriali, in particolare di colata e saldatura, sono eseguiti su metalli allo stato fuso, e
affinché queste operazioni abbiano successo è necessario che il metallo abbia una vi-
scosità bassa in modo che il metallo fuso riempia la cavità dello stampo o il cordone di
saldatura prima di solidificarsi. In altre operazioni, come lo stampaggio e la lavorazione
dei metalli, vengono usati dei lubrificanti o dei refrigeranti e anche in questi casi il buon
funzionamento di questi fluidi dipende dalla loro viscosità.
Le ceramiche vetrose non fondono immediatamente come i metalli puri, ma su-
biscono una transizione graduale dallo stato solido allo stato liquido man mano che la
Proprietà dei materiali industriali 81

TABELLA 3.9 Valori di viscosità di alcuni fluidi.

Coefficiente Coefficiente
di viscosità di viscosità
Materiale Pa-s Materiale Pa-s
Vetro , 540°C
b
1012
Sciroppo per pancake 50
(temperatura ambiente)
Vetrob , 815°C 105 Polimeroa , 151°C 115
Vetro , 1095°C
b
10 3
Polimero , 205°C
a
55
Vetrob , 1370°C 15 Polimeroa , 260°C 28
Mercurio, 20°C 0.0016 Acqua, 20°C 0.001
Olio motore (temperatura 0.1 Acqua, 100°C 0.0003
ambiente)

Varie fonti.
a
Il polietilene a bassa densità è usato come polimero di riferimento; molti altri polimeri hanno viscosità legger-
mente superiori.
b
La composizione del vetro è per la maggior parte SiO2, le composizioni e le viscosità possono variare, i valori
riportati sono indicativi.

temperatura aumenta. Questo effetto si nota dai valori di viscosità del vetro a tempera-
ture diverse riportati in Tabella 3.9. A temperatura ambiente, il vetro è solido e fragile,
non presenta alcuna tendenza a scorrere: in pratica la sua viscosità è infinita. Quando il
vetro viene riscaldato, si rammollisce gradualmente e diventa sempre meno viscoso (più
fluido), finché può essere formato mediante soffiaggio o stampaggio a circa 1100° C.
La maggior parte dei processi di formatura dei polimeri sono eseguiti a temperature
elevate, in cui il materiale è in uno stato liquido o plastico. I polimeri termoplastici sono
i più semplici da formare e sono anche i polimeri più comuni. A basse temperature, i po-
limeri termoplastici sono solidi; quando la temperatura aumenta, in genere si trasforma-
no prima in un materiale gommoso e poi in un liquido denso. Se la temperatura continua
ad aumentare, la viscosità diminuisce gradualmente, come riportato in Tabella 3.9 per
il polietilene, il polimero termoplastico più utilizzato. Il comportamento dei polimeri
è influenzato anche da altri fattori, per esempio dalla velocità del flusso. La viscosità

Solido plastico

Figura 3.17 Comporta-
Fluido pseudo plastico mento viscoso dei fluidi
Newtoniani e pseudopla-
Tensione di taglio,

stici. Un polimero fuso


ha un compor tamento
Limite di elasticità

pseudoplastico. Si ri-
porta anche il compor-
tamento di un materiale
solido plastico. (Fonte:
Fluido newtoniano
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Velocità di deformazione, g & Sons, Inc.)
82 Tecnologia meccanica

di un polimero termoplastico non è una costante. Un polimero fuso non si comporta in


modo newtoniano. Il suo rapporto tra tensione e velocità di deformazione è riportato in
Figura 3.17. Un fluido che presenta questa diminuzione di viscosità all’aumentare della
velocità di deformazione è chiamato pseudoplastico. Questo comportamento, che ha
forti analogie con il comportamento a caldo dei metalli, rende più complicata l’analisi
della formatura dei polimeri.

3.5  Comportamento viscoelastico dei polimeri

Un’altra proprietà caratteristica dei polimeri è la viscoelasticità. La viscoelasticità è la


proprietà di un materiale che ne determina la deformazione subita quando esso è sotto-
posto a una combinazione di tensione e temperatura. Come suggerisce il nome, è una
combinazione di viscosità ed elasticità. La viscoelasticità può essere spiegata facendo
riferimento alla Figura 3.18. Le due parti della figura mostrano il comportamento di due
materiali sottoposti a una tensione inferiore al punto di snervamento per un certo periodo
di tempo. Il materiale in (a) mostra una perfetta elasticità poiché quando la tensione vie-
ne rimossa esso ritorna alla sua forma originale. Al contrario, il materiale in (b) mostra
un comportamento viscoelastico. La quantità di deformazione aumenta gradualmente nel
tempo a causa della tensione applicata. Quando la tensione viene rimossa, il materiale
non ritorna immediatamente alla sua forma originale, ma la deformazione diminuisce
gradualmente. Se la tensione fosse applicata e poi subito rimossa, il materiale tornerebbe
immediatamente nella sua forma iniziale, ma al contrario che nei metalli, il tempo gioca
un ruolo fondamentale nell’influenzare il comportamento in campo elastico del materiale.
Il modello della viscoelasticità si può sviluppare partendo dalla definizione di ela-
sticità. L’elasticità si può esprimere usando la legge di Hooke, σ = Eε, che semplicemen-
te collega la tensione alla deformazione attraverso una costante di proporzionalità. In un
solido viscoelastico, il rapporto tra tensione e deformazione dipende dal tempo, quindi
può essere espresso come:

(3.27)

Figura 3.18 Confronto
Tensione

Tensione

delle proprietà elastiche


e viscoelastiche: (a) ri-
sp osta per fet tamente
elastica del materiale a
una tensione applicata
nel tempo e (b) reazione Tempo Tempo
di un materiale viscoela-
stico nelle stesse condi-
zioni. Il materiale in (b)
Deformazione

Deformazione

assume una deformazio-


ne che dipende dal tem-
po e dalla temperatura.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
Tempo Tempo
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Proprietà dei materiali industriali 83

La funzione f(t) può essere vista come un coefficiente di elasticità che varia nel tempo.
Potrebbe essere scritta come E(t) e indicata come un coefficiente viscoelastico. Il gra-
fico di questa funzione può essere molto complesso, perché può includere un fattore di
deformazione. Senza approfondire le formule matematiche, possiamo analizzare l’effet-
to della dipendenza dal tempo. Un effetto comune è quello riportato in Figura 3.19, che
mostra la curva tensione-deformazione di un polimero termoplastico a diverse velocità
di deformazione. A velocità di deformazione basse il materiale presenta un comporta-
mento viscoso. A velocità di deformazione alte si comporta in modo molto più fragile.
Anche la temperatura è un fattore nella viscoelasticità. All’aumentare della tempe-
ratura, il comportamento viscoso diventa sempre più preponderante rispetto al compor-
tamento elastico. Il materiale diventa gradualmente più simile a un fluido. La Figura
3.20 illustra questa dipendenza dalla temperatura per un polimero termoplastico. A
basse temperature il polimero mostra un comportamento elastico. All’aumentare della
temperatura oltre la temperatura di transizione vetrosa Tg, il polimero diventa viscoe-
lastico. Se la temperatura continua a crescere, il polimero diventa gommoso. A tem-
perature ancora più elevate diventa viscoso. Le temperature a cui si osservano questi
comportamenti variano a seconda del materiale. Anche i grafici dei coefficienti rispetto
alle temperature variano a seconda della proporzione tra le strutture cristalline e amor-
fe all’interno del polimero termoplastico. I polimeri termoindurenti e gli elastomeri si
comportano in modo diverso rispetto a quanto mostrato in figura: dopo l’indurimento
questi polimeri non si ammorbidiscono come i termoplastici. Al contrario, a tempera-
ture elevate si degradano.

Velocità di deformazione alta


Figura 3.19  Grafico ten-
sione-deformazione di
un materiale viscoelasti-
co (polimero termopla-
Tensione

Velocità di deformazione bassa stico) a velocità di defor-


mazione alta e bassa.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Deformazione John Wiley & Sons, Inc.)
Coefficiente di viscoelasticità

Comportamento elastico

Comportamento viscoelastico Figura 3.20 Coefficien-


te di viscoelasticità in
funzione della tempe-
ratura per un polimero
Comportamento gommoso
termoplastico. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Flusso viscoso Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Temperatura & Sons, Inc.)
84 Tecnologia meccanica

Il comportamento viscoelastico si manifesta nei polimeri fusi tramite la memoria della


forma. Quando un polimero fuso viene trasformato durante la lavorazione da una forma
ad un’altra, esso “ricorda” la sua forma precedente e tenta di tornare ad essa. Per esempio,
un problema comune nell’estrusione dei polimeri è il rigonfiamento del materiale estruso,
che cerca di tornare alla sezione trasversale che aveva prima di essere compresso attraver-
so l’apertura più piccola. Le proprietà della viscosità e della viscoelasticità sono esaminate
più in dettaglio nella discussione sulla formatura della plastica (Capitolo 8).

3.6  Proprietà volumetriche e di fusione

Queste proprietà si riferiscono al volume dei solidi e a come questo viene influenzato dalla
temperatura. Tali proprietà includono la densità, la dilatazione termica e il punto di fusione.
Sono illustrate di seguito e la Tabella 3.10 ne elenca i valori tipici per alcuni materiali.

TABELLA 3.10 Proprietà volumetriche in unità americane per alcuni materiali industriali.

Coefficiente
Densità, ρ di espansione termica, a Punto di fusione, Tm
Materiale g/cm 3
°C × 10
–1 –6
°C
Metalli
Alluminio 2.70 24   660
Rame 8.97 17 1083
Ferro 7.87 12.1 1539
Piombo 11.35 29   327
Magnesio 1.74 26   650
Nichel 8.92 13.3 1455
Acciaio 7.87 12 a
Stagno 7.31 23   232
Tungsteno 19.30 4.0 3410
Zinco 7.15 40   420
Ceramiche
Vetro 2.5 1.8–9.0 b
Allumina 3.8 9.0 NA
Silicio 2.66 NA b
Polimeri
Resine fenoliche 1.3 60 c
Nylon 1.16 100 b
Teflon 2.2 100 b
Gomma naturale 1.2 80 b
Polietilene (bassa densità) 0.92 180 b
Polistirene 1.05 60 b
Fonti [8], [11] e altri.
a
Le caratteristiche di fusione dell’acciaio dipendono dalla composizione.
b
Si ammorbidisce a temperature elevate e non ha un punto di fusione ben definito.
c
Degrada chimicamente ad alte temperature. NA = non disponibile: non è stato possibile reperire il valore della
proprietà.
Proprietà dei materiali industriali 85

3.6.1 Densità ed espansione termica


La densità di un materiale è la misura del suo peso per unità di volume. Il suo simbolo è
la lettera ρ e la sua unità di misura sono i g/cm3. La densità di un elemento è determinata
dal suo numero atomico e da altri fattori come il raggio atomico. Il termine gravità spe-
cifica esprime la densità di un materiale in rapporto alla densità dell’acqua ed è quindi
una quantità adimensionale.
La densità è importante nella scelta di un materiale per una data applicazione, ma
non è l’unica proprietà di interesse. Anche la resistenza è importante, e le due proprietà
sono spesso confrontate usando il rapporto resistenza-peso, che si calcola dividendo
la resistenza alla trazione del materiale per la sua densità. Questo rapporto è utile per
scegliere i materiali da usare nelle applicazioni dove è importante che le strutture siano
leggere, per esempio nei mezzi di trasporto per limitare i consumi di carburante.
La densità di un materiale è espressa in funzione della sua temperatura. L’andamen-
to generale è che la densità diminuisce all’aumentare della temperatura. In altre parole,
il volume per unità di peso aumenta con la temperatura. La dilatazione termica è il nome
dato a questo fenomeno. Di solito si esprime come coefficiente di dilatazione termica,
che misura la variazione di lunghezza per grado di temperatura, in mm/mm/°C. È un
rapporto di lunghezze piuttosto che di volumi perché è più facile da misurare nei solidi e
da utilizzare. Così è anche coerente con le necessità di progettazione in cui le variazioni
dimensionali sono di maggiore interesse rispetto a quelle volumetriche. La variazione di
lunghezza corrispondente ad una variazione della temperatura è data da:

L2 – L1= αl(T2 – T1)(3.28)

in cui αl è il coefficiente di dilatazione termica lineare in °C–1, e L1 e L2 sono lunghezze


in mm corrispondenti rispettivamente alle temperature T1 e T2 in °C.
I valori dei coefficienti di espansione termica riportati in Tabella 3.10 evidenzia-
no la sua relazione lineare con la temperatura. Ma questa è solo un’approssimazione.
Infatti la temperatura non influenza solo la lunghezza, ma anche lo stesso coefficiente
di dilatazione termica. Per alcuni materiali esso aumenta con la temperatura, per altri
diminuisce. Tali variazioni non sono di solito così significative da essere riportate, e nei
calcoli di progetto si usano valori simili a quelli in tabella. Le variazioni del coefficiente
sono più evidenti quando il metallo subisce una trasformazione di fase, come da solido
a liquido, o da una struttura cristallina ad un’altra.
Nelle lavorazioni, la dilatazione termica viene usata nell’assemblaggio per caletta-
tura o per espansione, in cui un pezzo viene riscaldato per aumentarne le dimensioni
o raffreddato per diminuirle e consentire l’inserimento in un altro pezzo. Quando il
pezzo ritorna a temperatura ambiente, si ottiene un assemblaggio perfetto. Al contrario
l’espansione termica può essere un problema durante i trattamenti termici (Capitolo 2),
le saldature (Capitolo 18) e la fonderia (Capitolo 7) a causa delle tensioni termiche che
si sviluppano nel materiale durante questi processi.

3.6.2 Caratteristiche di fusione


Per un elemento puro, il punto di fusione Tm è la temperatura alla quale il materiale si
trasforma dallo stato solido allo stato liquido. La trasformazione inversa, da liquido a
solido, avviene alla temperatura detta punto di congelamento. Per gli elementi cristal-
lini, come i metalli, la temperature di fusione e di congelamento coincidono. A questa
temperatura è necessaria una certa quantità di energia termica, chiamata calore latente
di fusione, per compiere la trasformazione da solido a liquido.
86 Tecnologia meccanica

Nei processi descritti in questo contesto, la fusione di un elemento metallico ad una tem-
peratura specifica avviene in condizioni di equilibrio. In natura si possono verificare delle
eccezioni. Per esempio, quando un metallo fuso viene raffreddato, può rimanere allo stato
liquido anche al di sotto del punto di congelamento se non si avvia immediatamente la nu-
cleazione dei cristalli. Quando questo accade, il liquido è detto essere sottoraffreddato.
A differenza dei metalli puri, le leghe metalliche non hanno un unico punto di
fusione. La fusione inizia ad una certa temperatura, detta solidus, e continua all’au-
mentare della temperatura finché tutta la lega si è trasformata nello stato liquido, ad una
temperatura detta liquidus. Per temperature comprese tra le due, la lega è una miscela
di metalli solidi e liquidi, l’ammontare dei quali è inversamente proporzionale alla loro
distanza relativa dal punto di solidus e dal punto di liquidus. La maggior parte delle
leghe si comportano in questo modo, tranne le leghe eutettiche che fondono (e solidifi-
cano) ad un’unica temperatura, come se fossero metalli puri.
Un altro comportamento ancora è tipico dei materiali non-cristallini, come il vetro.
In questi materiali, vi è un passaggio graduale dallo stato solido allo stato liquido. Il
materiale solido si rammollisce gradualmente all’aumentare della temperatura, fino a
diventare liquido al suo punto di fusione. Durante l’ammorbidimento il materiale ha una
consistenza plastica che diventa più marcata (come un fluido) man mano che si avvicina
al punto di fusione.
Le differenze nel processo di fusione tra i metalli puri, le leghe e il vetro sono
mostrati nella Figura 3.21. I grafici mostrano la variazione di densità in funzione della
temperatura per tre materiali ipotetici: un metallo puro, una lega e il vetro. In figura è
riportata la variazione volumetrica, che è il reciproco della densità.
L’importanza della fusione nella produzione è evidente. Nella colata dei metalli (Capi-
toli 6 e 7), i metalli vengono fusi e poi versati in una cavità di stampo. I metalli con punti di
fusione più bassi sono generalmente più facili da colare, ma se la temperatura di fusione è
troppo bassa il metallo non può essere usato per applicazioni industriali. Le caratteristiche
di fusione dei polimeri sono importanti per lo stampaggio della plastica e altri processi
di formatura dei polimeri (Capitolo 8). La sinterizzazione dei metalli e della ceramica
in polvere richiede la conoscenza dei rispettivi punti di fusione. Anche se il processo di
sinterizzazione non fonde completamente i materiali, le temperature utilizzate devono
avvicinarsi al punto di fusione affinché i grani di polveri si uniscano tra loro.

Liquido
Liquido (lega)
Temperatura
Volume specifico (Densità) –1

Figura 3.21 Variazio- di transizione


ni di volume per unità di del vetro
peso (1/densità) in fun- Mistura di lega
zione della temperatura Vetro solida e liquida
per un ipotetico metallo
puro, una lega e un vetro:
tutti con dilatazioni ter- Solido (lega)
miche e caratteristiche Lega
di fusione simili. (Fonte: solida
Fundamentals of Modern Punto di fusione (metallo puro)
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Metallo puro solido
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) Temperatura
Proprietà dei materiali industriali 87

3.7  Proprietà termiche

Il capitolo precedente riguardava gli effetti della temperatura sulla proprietà volume-
triche dei materiali. Qui si descrivono ulteriori proprietà termiche, che riguardano la
conservazione e il flusso del calore all’interno di una sostanza. Le proprietà di interesse
sono il calore specifico e la conducibilità termica, i cui valori sono riportati in Tabella
3.11 per alcuni materiali.

3.7.1 Calore specifico e conducibilità termica


Il calore specifico cp di un materiale è definito come la quantità di energia termica ne-
cessaria ad aumentare di un grado la temperatura di una massa unitaria del materiale.
Alcuni valori tipici sono riportati in Tabella 3.11. Per determinare la quantità di energia
necessaria per riscaldare una certa massa di un metallo in un forno ad una data tempe-
ratura, si può usare la seguente equazione:
Q = cpm(T2 – T1)(3.29)
dove Q è la quantità di energia termica in J, cp è il calore specifico del materiale in J/
kg°C, m è la sua massa in kg e (T2 – T1) la variazione di temperatura in °C.
Anche la capacità volumetrica di accumulo termico di un materiale è interessante,
cioè la densità moltiplicata per il calore specifico ρ∙cp. Il calore specifico volumetrico
è l’energia termica necessaria per innalzare di un grado la temperatura di un volume
unitario di materiale in J/mm3°C.
Il calore specifico è interessante a livello industriale per diversi motivi. Nei processi
che richiedono il riscaldamento del materiale (per esempio in fonderia, nei trattamen-
ti termici nella deformazione plastica a caldo) il calore specifico determina la quantità

TABELLA 3.11  Valori delle proprietà termiche di alcuni materiali, che dipendono dalla temperatura. I valori sono dati a tempe-
ratura ambiente.

Calore Conducibilità Calore Conducibilità


specifico termica specifico termica
Cal/g°C a Cal/g°C a
Materiale o Btu/lbm °F J/smm °C Materiale o Btu/lbm °F J/smm °C
Metalli Ceramiche
Alluminio 0.21 0.22 Allumina 0.18 0.029
Ghisa 0.11 0.06 Calcestruzzo 0.2 0.012
Rame 0.092 0.40 Polimeri
Ferro 0.11 0.072 Fenoli 0.4 0.00016
Piombo 0.031 0.033 Polietilene 0.5 0.00034
Magnesio 0.25 0.16 Teflon 0.25 0.00020
Nichel 0.105 0.070 Gomma naturale 0.48 0.00012
Acciaio 0.11 0.046 Altri
Acciaio inossidabileb 0.11 0.014 Acqua (liquida) 1.00 0.0006
Stagno 0.054 0.062 Ghiaccio 0.46 0.0023
Zinco 0.091 0.112

Fonti [8], [16] e altri.


a
Acciaio inossidabile austenitico (18-8)
88 Tecnologia meccanica

di energia termica necessaria per innalzare la temperatura al livello desiderato, secondo


l’Equazione (3.29). In molti processi eseguiti a temperatura ambiente, l’energia meccanica
per eseguire l’operazione viene convertita in calore, il che causa l’aumento di temperatura
del pezzo. Questo per esempio avviene spesso nei processi di asportazione e nella forma-
tura a freddo dei metalli. L’aumento di temperatura è una funzione del calore specifico del
metallo. Durante la lavorazione spesso vengono usati dei refrigeranti per ridurre queste
temperature e qui le capacità termiche dei fluidi diventano critiche. Di solito si usa l’acqua
come base per questi fluidi a causa della sua elevata capacità di trasferire calore.
La conducibilità è un processo di trasferimento termico fondamentale. Comporta
il trasferimento di energia termica di un materiale da una molecola all’altra attraverso
moti puramente termici, senza nessun trasferimento di massa. La conducibilità termi-
ca di una sostanza è quindi in grado di trasferire calore attraverso se stessa mediante
questo meccanismo fisico. Viene misurata attraverso il coefficiente di conducibilità
termica k, che ha unità di misura di J/s mm °C. Il coefficiente di conducibilità termica
di solito è alto nei metalli e basso nelle ceramiche e nelle plastiche.
Le conducibilità termica dei materiali nei processi produttivi a volte ha un effetto posi-
tivo e altre no. Nei processi meccanici di deformazione e asportazione, molta della potenza
necessaria per eseguire il processo viene convertita in calore. La capacità del pezzo e delle
attrezzature di condurre il calore lontano dalla sorgente cioè dalla zona di lavorazione è
molto utile in questi casi. Per esempio il titanio è difficile da lavorare alle macchine utensili
perché dissipa molto lentamente il calore e tende per questo ad usurare rapidamente gli uten-
sili. Di contro, non è desiderabile che la conducibilità termica del metallo da lavorare sia alta
nei processi per fusione e per saldatura. In queste operazioni, l’apporto termico deve essere
concentrato nella zona di lavoro, in modo che il metallo si fonda facilmente. Per esempio il
rame è difficile da saldare perché la sua elevata conducibilità termica permette al calore di
spostarsi troppo rapidamente lontano dalla sorgente di energia, ostacolando l’accumulo di
calore in corrispondenza della giunzione necessaria per la fusione.
Nelle analisi sul trasferimento termico si usa spesso il rapporto tra la conducibilità
termica e il calore specifico, detto diffusività termica α e calcolato come segue:
k
a= (3.30)
ρ .cp
Questa proprietà è utilizzata per esempio nella stima delle temperature di taglio nelle
lavorazioni di asportazione (Capitolo 13).

Bibliografia

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Problemi 89

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Domande di ripasso
fragili come le ceramiche. Qual è la prova che si
  1. Qual è il dilemma tra progettazione e produzione in usa per determinare le proprietà di resistenza di
termini di proprietà meccaniche? questi materiali?
  2. Quali sono i tre tipi di sollecitazioni statiche a cui 12. Qual è la relazione tra il coefficiente di taglio G e il
sono sottoposti i materiali? coefficiente di elasticità tangenziale E?
  3. Enunciare la Legge di Hooke. 13. Che cos’è la durezza e come viene testata di solito?
  4. Qual è la differenza tra tensione ideale e tensione 14. Perché sono necessarie diverse prove e diverse
reale in una prova di trazione? scale di durezza?
  5. Definire la resistenza alla trazione di un materiale. 15. Definire il concetto di temperatura di ricristallizza-
  6. Definire il punto di snervamento di un materiale. zione di un metallo.
  7. Perché non è possibile fare una conversione di- 16. Definire la viscosità di un fluido.
retta tra le misure di aumento di lunghezza e ridu- 17. Qual è la caratteristica peculiare di un fluido newto-
zione dell’area sotto l’assunzione di mantenere un niano?
volume costante? 18. Che cos’è la viscoelasticità, intesa come proprietà
  8. Che cosa è l’incrudimento? di un materiale?
  9. In quali circostanze il coefficiente di resistenza ha 19. Definire la densità di un materiale.
lo stesso valore del punto di snervamento? 20. Quali sono le differenze tra le caratteristiche di fu-
10. Come cambia la sezione trasversale di un provino sione di un metallo puro e di una lega?
in una prova di compressione rispetto alla sua se- 21. Definire il calore specifico di un materiale.
zione in una prova di trazione? 22. Che cos’è la conducibilità termica?
11. La prova di trazione non è adatta per i materiali 23. Definire la diffusività termica.

Problemi
lunghezza di 67,3 mm, determinare la percentuale di
1. Una prova di trazione utilizza un provino che ha una allungamento (d). Sapendo che il provino si riduce a
lunghezza di 50 mm e un’area di 200 mm2. Durante un’area di 92 mm2 durante la strizione, determinare la
la prova, il provino si snerva sotto un carico di 98.000 riduzione percentuale di area (e).
N. La lunghezza corrispondente è 50,23 mm. Questo 2. In una prova di trazione su un provino metallico si ha
è il punto di snervamento allo 0,2%. Il carico massi- una deformazione reale dello 0,08% sotto una ten-
mo di 168.000 N viene raggiunto ad una lunghezza sione di 265 MPa. Quando la tensione reale è a 325
di 64,2 mm. Determinare (a) la forza di snervamen- MPa, la deformazione reale vale 0,27. Determinare
to, (b) il coefficiente di elasticità e (c) la resistenza il coefficiente di resistenza e l’esponente di incrudi-
alla trazione. Sapendo che la frattura avviene ad una mento nell’equazione della curva di flusso.
90 Tecnologia meccanica

3. La prova di trazione per un certo metallo fornisce i 10. Il provino di una prova di torsione ha un raggio di
seguenti parametri della curva di flusso: esponente 25 mm, uno spessore di 3 mm e una lunghezza di
di incrudimento pari a 0,3 e coefficiente di resisten- 50 mm. Una coppia di 900 Nm viene applicata nella
za pari a 600 MPa. Determinare (a) la tensione di prova, che produce un angolo di deflessione di 0.3°.
flusso ad una deformazione reale pari a 1,0 e (b) Determinare (a) la tensione di taglio, (b) la deforma-
la deformazione reale ad una tensione di flusso di zione di taglio e (c) il fattore di taglio, assumendo che
600 MPa. il provino non si sia ancora snervato. Sapendo che la
4. Un provino di trazione viene allungato fino al doppio rottura del provino avviene sotto una coppia di 1200
della sua lunghezza iniziale. Determinare la tensio- N-m e che la corrispondente flessione angolare è di
ne ideale e reale usate in questa prova. Se il metallo 10°, qual è la resistenza al taglio del metallo?
fosse stato sottoposto a compressione, determinare 11. In un test di durezza Brinell, un carico di 1500 kg
la lunghezza finale del campione in modo che (a) viene premuto su un provino con una sfera di ac-
la deformazione ideale sia uguale a quella ottenuta ciaio temprato da 10 mm di diametro. La cavità ri-
nella trazione (sarà un valore negativo a causa della sultante ha un diametro di 3,2 mm. Determinare il
compressione) e (b) la deformazione reale sia ugua- numero di durezza Brinell per il metallo (a). Sapen-
le a quella ottenuta nella trazione e (di nuovo, sarà do che il provino è in acciaio, stimare la resistenza
un valore negativo a causa della compressione). Si alla tensione dell’acciaio (b).
noti che la risposta al punto (a) è impossibile. La 12. Uno degli ispettori del reparto di controllo di qualità
deformazione reale è quindi la misura migliore della ha utilizzato le prove di durezza Brinell e Rockwell
deformazione durante una trasformazione plastica. per cui le attrezzature sono disponibili in azienda.
5. Dimostrare che la deformazione reale è uguale a ln Egli afferma che la prova Rockwell è basata sullo
(1+e), essendo e la deformazione ideale. stesso principio della prova Brinell, cioè che la du-
6. Un filo di rame di diametro 0.80 mm cede ad una rezza si misura sempre dividendo il carico applica-
tensione ideale di 248,2 MPa. La sua duttilità è to per l’area della cavità lasciata dal penetratore.
misurata come il 75% di riduzione dell’area. Deter- Questa affermazione è corretta? Se no, in cosa si
minare i valori di tensione e deformazione reali al differenzia la prova Rockwell?
punto di cedimento. 13. Due lastre piane, separate da uno spazio di 4 mm,
7. Una lega metallica è testata in una prova di trazione si spostano una rispetto all’altra ad una velocità di
con i seguenti risultati per i parametri della curva 5 m/sec. Lo spazio tra di esse è occupato da un
di flusso: coefficiente di resistenza = 620,5 MPa e fluido di viscosità sconosciuta. Al movimento delle
esponente di incrudimento = 0,26. Lo stesso metal- piastre si oppone una tensione di taglio di 10 Pa a
lo viene testato in un test di compressione in cui l’al- causa della viscosità del fluido. Supponendo che il
tezza iniziale del provino è 62,5 millimetri e il diame- gradiente di velocità del fluido sia costante, deter-
tro di 25 mm. Supponendo che la sezione aumenti minare il coefficiente di viscosità del fluido.
uniformemente, determinare il carico necessario 14. Il diametro di un’asta è 25,00 mm. Quest’asta deve
per comprimere il campione ad una altezza di (a) 50 essere inserita in un foro in un’operazione di as-
mm e (b) 37,5 mm. semblaggio per espansione. Per essere inserito
8. I parametri della curva di flusso per un acciaio inos- facilmente il diametro deve essere ridotto tramite
sidabile sono un coefficiente di resistenza di 1100 raffreddamento. Determinare la temperatura alla
MPa e un esponente di incrudimento di 0,35. Un quale l’asta deve essere portata dalla temperatura
provino cilindrico di sezione trasversale di 1000 ambiente (20°C) in modo che il diametro sia ridotto
mm2 e altezza 75 mm è compresso ad una altez- a 24,98 mm. Fare riferimento alla Tabella 3.10.
za di 58 mm. Determinare la forza necessaria per 15. L’alluminio ha una densità di 2,70 g/cm3 a tempera-
ottenere questa compressione, supponendo che la tura ambiente (20°C). Determinare la sua densità
sezione trasversale aumenti uniformemente. a 650°C utilizzando come riferimento i dati della
9. Una prova di piegatura viene usata su un certo ma- Tabella 3.10.
teriale duro. Se la resistenza alla rottura trasversa- 16. Facendo riferimento alla Tabella 3.11, determinare
le del materiale è pari a 1000 MPa, qual è il carico la quantità di calore necessaria per aumentare la
previsto in cui il provino si frattura, sapendo che la temperatura di un blocco di alluminio di 10 cm x
sua larghezza è 15 mm, lo spessore 10 mm e la 10 cm x 10 cm dalla temperatura ambiente (21°C)
lunghezza 60 mm? a 300°C.
Dimensioni, tolleranze

Capitolo 4
e superfici

Oltre alle proprietà dei materiali d’interesse ingegneristico, altri fattori che determinano
le prestazioni di un prodotto sono le dimensioni e le superfici dei suoi componenti. Le
dimensioni di un oggetto sono le grandezze lineari o angolari specificate a disegno. Le
dimensioni sono importanti perché determinano come le parti componenti un prodotto
si accoppieranno tra loro in fase di montaggio. Quando si realizza un oggetto, è pratica-
mente impossibile, nonché molto costoso, ottenere esattamente le sue dimensioni nomi-
nali. Solitamente è consentita una limitata variazione dalle dimensioni nominali, questa
variazione ammessa prende il nome di tolleranza.
Anche le superfici di un oggetto sono importanti, perché influenzano le sue prestazioni,
la sua assemblabilità e il suo aspetto estetico così come percepito dai potenziali clienti.
Per superficie s’intende l’elemento di confine che delimita un oggetto dal suo esterno,
che può essere un altro oggetto, un fluido, lo spazio o una loro combinazione. La su-
perficie delimita il volume di un oggetto e influenza tutte le sue proprietà meccaniche e
fisiche.
In questo capitolo si parlerà delle dimensioni, delle tolleranze e delle superfici dei pro-
dotti, che sono tre attributi che vengono specificati dal progettista e ottenuti mediante i
processi di fabbricazione utilizzati per realizzare i prodotti e i loro componenti. In Appen-
dice A4 si riporta come questi attributi siano valutati utilizzando dispositivi di misura.

4.1  Quotatura e tolleranze


Questa sezione descrive i parametri utilizzati dai progettisti per specificare a disegno le
quote delle caratteristiche geometriche. Tali parametri includono dimensioni e tolleran-
ze, dimensionali e geometriche.

4.1.1  Quote e tolleranze


La normativa ANSI [3] definisce come quota «un valore numerico espresso nelle ap-
propriate unità di misura e riportato su un disegno o altri documenti con linee, simboli
e note per definire la dimensione e/o la geometria di un oggetto o una sua caratteristi-
ca». Le quote rappresentate in un disegno sono le dimensioni nominali o di base di un
oggetto o di una sua caratteristica. Queste rappresentano le dimensioni esatte che il
progettista vorrebbe che avesse l’oggetto se questo potesse essere fabbricato senza erro-
ri o variabilità nel processo di produzione. Tuttavia, la naturale variabilità del processo
di fabbricazione si manifesta come variabilità delle dimensioni finali dell’oggetto. Per
definire i limiti della variabilità ammessa si usano le tolleranze. Sempre citando lo stan-
dard ANSI [3], una tolleranza è definita come «la massima quantità totale di cui può
92 Tecnologia meccanica

Figura 4.1  Tre modi per specificare i limiti di tolleranza per una quota nominale di 2,500 unità
lineari: (a) tolleranza bilaterale, (b) tolleranza unilaterale, (c) quote limite. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

variare una quota specifica. La tolleranza è la differenza tra il limite massimo e il limite
minimo».
Le tolleranze possono essere specificate in vari modi, come illustrato in Figura 4.1.
Probabilmente il più comune è la tolleranza bilaterale, in cui si consente una variazio-
ne in direzione sia positiva che negativa rispetto alla quota nominale. Per esempio, in
Figura 4.1 (a), si ha una quota nominale di 2,500 unità lineari (per esempio mm) con una
variazione ammissibile di 0,005 unità in entrambe le direzioni. Gli oggetti che eccedo-
no questi limiti non sono accettabili. Una tolleranza bilaterale può anche essere asim-
metrica, ad esempio 2,500 (+0.010; –0.005) unità. La tolleranza unilaterale consente
un’unica variazione dalla quota nominale: solo in direzione positiva, come mostrato in
Figura 4.1 (b), o solo in direzione negativa. Le quote limite sono un metodo alternati-
vo per specificare la variabilità ammessa e corrispondono ai valori massimo e minimo
consentiti per la dimensione considerata, come mostrato in Figura 4.1 (c).

4.1.2  Altri descrittori geometrici


Quote e tolleranze di solito sono espresse come valori lineari (relativi a lunghezze). Ci
sono tuttavia altri attributi della variabilità geometrica ammessa per un oggetto che
sono altrettanto importanti, come la planarità di una superficie, la rotondità di un albero
o di un foro, il parallelismo tra due superfici e così via. Le definizioni di questi attributi
geometrici sono riportate in Tabella 4.1.

TABELLA 4.1  Definizione degli attributi geometrici.

Angolarità – L’attributo di angolarità di un elemento geome- una superficie cilindrica e un foro circolare, è il grado di
trico, come una superficie o un asse, rispetto ad un ele- scostamento rispetto all’avere lo stesso asse.
mento geometrico di riferimento è il grado di scostamento Cilindricità – L’attributo di cilindricità di una superficie di rivo-
dell’angolo fra i due elementi considerati rispetto all’an- luzione cilindrica è il grado di scostamento di tutti i punti del-
golo desiderato. Se l’angolo è di 90°, l’attributo prende il la superficie dall’essere equidistanti dall’asse di rivoluzione.
nome di perpendicolarità o ortogonalità. Parallelismo – L’attributo di parallelismo è il grado di scosta-
Circolarità o Rotondità – Per una superficie di rivoluzione mento di tutti i punti di una superficie, linea o asse dall’es-
come un cilindro, un foro circolare o un cono, l’attributo di sere equidistanti da un piano, linea o asse di riferimento.
circolarità è il grado di scostamento di tutti i punti dell’inter- Perpendicolarità o ortogonalità – L’attributo di perpendi-
sezione tra la superficie e un piano perpendicolare all’as- colarità è il grado di scostamento di tutti i punti di una su-
se di rivoluzione rispetto all’esatta equidistanza dall’asse. perficie, linea, o asse dall’essere a 90° rispetto a un piano,
Per una sfera, l’errore di circolarità è il grado di scosta- linea o asse di riferimento.
mento di tutti i punti dell’intersezione tra superficie della Planarità – L’attributo di planarità è il grado di scostamento
sfera e un qualunque piano passante per il suo centro ri- di tutti i punti di una superficie dal giacere su di un’unica
spetto all’esatta equidistanza dal centro stesso. superficie piana.
Concentricità – L’attibuto di concentricità (o coassialità) fra Rettilineità – L’attributo di rettilineità è il grado di scosta-
due o più caratteristiche geometriche di un oggetto, quale mento di tutti i punti di una linea o asse da una linea retta.
Dimensioni, tolleranze e superfici 93

4.2 Superfici

La superficie è quello che tocchiamo quando prendiamo in mano un prodotto. Il proget-


tista specifica le quote del prodotto mettendo in relazione fra loro le differenti superfici.
Queste superfici nominali, che rappresentano il contorno desiderato dell’oggetto, sono
definite da linee nei disegni tecnici. Le superfici nominali appaiono come linee asso-
lutamente rette, cerchi ideali, fori rotondi e altri spigoli e superfici geometricamente
perfette. Le superfici reali di un prodotto sono determinate dai processi utilizzati nella
sua realizzazione. La varietà di processi disponibili per la produzione causa ampie va-
riazioni nelle caratteristiche di una superficie e per gli ingegneri è importante conoscere
la tecnologia delle superfici.
Le superfici sono importanti sia commercialmente che tecnologicamente per una
serie di motivi diversi a seconda dell’applicazione:

(1) motivi estetici: le superfici lisce e prive di graffi e macchie sono percepite meglio
dal cliente;
(2) le superfici influiscono sulla sicurezza;
(3) l’attrito e l’usura dipendono dalle caratteristiche superficiali;
(4) le superfici influenzano le proprietà meccaniche e fisiche, per esempio le cricche
superficiali possono diventare punti di concentrazione di tensione;
(5) l’assemblaggio di componenti è influenzato dalle loro superfici, ad esempio la forza
dei giunti adesivi aumenta quando le superfici sono leggermente rugose;
(6) le superfici lisce permettono di realizzare contatti elettrici migliori.

La tecnologia delle superfici riguarda (1) la definizione delle caratteristiche di una


superficie, (2) la finitura superficiale, (3) l’integrità superficiale e (4) il rapporto tra pro-
cessi di produzione e le caratteristiche finali delle superfici. I primi tre argomenti sono
trattati in questa sezione.

4.2.1  Caratteristiche delle superfici


Analizzando da un punto di vista microscopico una superficie, si notano tutte le sue
irregolarità e imperfezioni. Le caratteristiche tipiche di una superficie sono illustrate in
Figura 4.2, che riporta la sezione trasversale fortemente ingrandita di una superficie di
un oggetto metallico. Nonostante la focalizzazione sulle superfici metalliche, gli stessi
commenti valgono per quelle ceramiche e polimeriche, con le modifiche causate dalle
differenze strutturali tra questi materiali. Il cuore di un oggetto, detta substrato, ha una
struttura a grani che è il risultato di precedenti processi di ottenimento del metallo, ad
esempio la struttura di un substrato metallico dipende dalla sua composizione chimica,
dal processo di colata inizialmente utilizzato, da qualsiasi operazione di deformazione
plastica e dai trattamenti termici eseguiti.

Finitura superficie

Strato alterato

Figura 4. 2  Ingrandimento
Substrato
di una sezione trasversale di
una superficie di un oggetto
metallico.
94 Tecnologia meccanica

La parte esterna superiore di un oggetto è una superficie la cui topografia è tutt’al-


tro che lineare e liscia. Nella sezione trasversale molto ingrandita, si notano la rugosità,
l’ondulazione e i difetti della superficie. Sebbene non mostrato qui, questa superficie
possiede anche una struttura e/o una direzionalità risultante dal processo di lavorazione
meccanica che l’ha generata. Tutte queste caratteristiche geometriche sono incluse nel
termine finitura superficiale.
Appena sotto la superficie vi è uno strato di metallo la cui struttura differisce da
quella del substrato. Si chiama strato alterato ed è una conseguenza delle azioni che
si sono verificate sulla superficie durante e dopo la sua creazione. I processi produttivi
usano energia, di solito in grandi quantità, che agisce sulla superficie degli oggetti. Lo
strato alterato può essere causato da un incrudimento (energia meccanica), un riscal-
damento (energia termica), un trattamento chimico o perfino dal passaggio di energia
elettrica. Il metallo in questo strato è sottoposto all’azione dell’energia e la sua micro-
struttura si modifica di conseguenza. Questo strato alterato rientra nell’ambito dell’in-
tegrità superficiale, che riguarda la definizione e il controllo degli strati superficiali di
un materiale (di solito dei metalli) durante la produzione e l’uso di un oggetto. Quando
si parla di integrità superficiale di solito si considera sia la finitura superficiale che lo
strato alterato sottostante.
Inoltre, sulla maggior parte delle superfici metalliche dopo un certo tempo si forma
una sottile pellicola di ossido. L’alluminio forma uno strato sottile, duro e denso di
Al 2O3 sulla sua superficie (che protegge il substrato dalla corrosione) e il ferro forma
ossidi di diverse composizioni chimiche (la ruggine, che però non offre alcuna protezio-
ne). Sulla superficie è probabile trovare anche umidità, sporcizia, olio, gas adsorbiti e
altri agenti contaminanti.

4.2.2 Finitura superficiale


Per finitura superficiale s’intende l’insieme di deviazioni sistematiche e/o casuali ri-
spetto alla superficie nominale di un oggetto. È definita da quattro caratteristiche: rugo-
sità, ondulazione, traccia della lavorazione e difetti locali, come mostrato in Figura 4.3.
La rugosità si riferisce a deviazioni, piccole di ampiezza e di ridotta spaziatura (pas-
so), dalla superficie nominale che sono determinate dalle caratteristiche del materiale e
del processo di generazione della superficie. L’ondulazione si riferisce alle deviazioni
maggiormente spaziate tra loro, che si creano a causa di deflessioni, di vibrazioni, di

Passo di ondulazione
Cratere (difetto locale)
Traccia della lavorazione

Cricca (difetto
Ampiezza
locale)
di ondulazione

Figura 4 . 3 Carat teri -


stiche della finitura su-
perficiale. (Fonte: Fun-
dame ntal s of M o d ern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Ampiezza di rugosità
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley Passo di rugosità
& Sons, Inc.)
Dimensioni, tolleranze e superfici 95

Simbolo Orientamento Descrizione Simbolo Orientamento Descrizione


preferenziale preferenziale
dei solchi dei solchi

Solchi paralleli al piano di proiezione Solchi approssimativamente circolari


della vista sulla quale è applicato rispetto al centro della superficie sulla
il segno grafico quale è applicato il segno grafico

Solchi ortogonali al piano di proiezione Solchi approssimativamente radiali


della vista sulla quale è applicato rispetto al centro della superficie sulla
il segno grafico quale è applicato il segno grafico

Solchi incrociati secondo due direzioni Solchi particolari, non direzionali,


oblique rispetto al piano di proiezione della o protuberanti
vista sulla quale è applicato il segno grafico

trattamenti termici e altri fattori simili. La rugosità si sovrappone all’ondulazione. La Figura 4.4  Possibili trac-
traccia della lavorazione è l’orientamento preferenziale dei solchi o la struttura della ce della lavorazione su
di una superficie (Fonte:
finitura superficiale. È determinata dal metodo di produzione utilizzato per creare la
Fundamentals of Modern
superficie, solitamente dall’azione degli utensili da taglio. La Figura 4.4 mostra le ti- Manufacturing, 4th Edi-
pologie di tracce della lavorazione più frequenti che una superficie può avere, assieme tion by Mikell P. Groover,
al simbolo usato dai progettisti per specificarle. Infine, i difetti locali sono irregolarità 2010. Ristampato con il
che si verificano occasionalmente sulla superficie, come cricche, graffi, inclusioni e permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
simili. Anche se alcuni dei difetti riguardano la finitura superficiale, si possono riper-
cuotere sull’integrità di tutta la superficie.

Rugosità e finitura superficiale  La rugosità di una superficie è una caratteristica


misurabile in base alle deviazioni prima citate. La finitura superficiale è un termine usa-
to per individuare caratteristiche più soggettive di qualità generale e di morbidità di una
superficie. Spesso i termini rugosità e finitura superficiale sono usati come sinonimi.
La misura più comunemente utilizzata per valutare la finitura superficiale è la rugo-
sità. In riferimento alla Figura 4.5, la rugosità può essere definita come la media delle de-
viazioni verticali dalla superficie nominale per una certa lunghezza di superficie. Solita-
mente si esprime come media aritmetica (AA) dei valori assoluti delle deviazioni e questa
misura della rugosità è indicata con il termine di rugosità media. In forma di equazione:

Lm

Ra
Lm (4.1)

dove Ra è la misura della rugosità media aritmetica in m (o IM), y è la deviazione verti-


cale dalla superficie nominale (considerata in valore assoluto) in m (o IM) e Lm è la lun-
ghezza specificata su cui si misurano le deviazioni. Un’approssimazione dell’Equazione
(4.1), forse di più facile comprensione, è data da:

Superficie reale
Figura 4.5  Deviazioni
Deviazione verticale
Superficie nominale dalla superficie nomina-
le usate nella definizione
di rugosità superficiale.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
96 Tecnologia meccanica

Ra
(4.2)

dove Ra ha lo stesso significato di prima, yi è la deviazione verticale, considerata in va-


lore assoluto e identificata dal pedice i in m, e n è il numero di deviazioni presenti in Lm.
Le unità di misura in queste equazioni sono i metri. In realtà, visto che le deviazioni sono
molto piccole, le unità più appropriate sarebbero µm (µm = m × 10 –6 = mm × 10 –3). Que-
ste sono le unità comunemente usate per esprimere la rugosità superficiale.
La misura della rugosità ha gli stessi difetti di altre misure sintetiche usate per valu-
tare un attributo fisico complesso. Per esempio non considera la tipologia di traccia del-
la lavorazione sulla superficie, quindi il suo valore può variare notevolmente a seconda
della direzione in cui viene misurata.
Un altro problema è che l’ondulazione può essere inclusa nel calcolo di Ra. Per risol-
vere questo problema, si usa un parametro chiamato lunghezza di taglio come un filtro
che separa l’ondulazione di una superficie misurata dalla sua rugosità. La lunghezza
di taglio è una distanza di campionamento lungo la superficie. Una lunghezza di cam-
pionamento inferiore al passo dell’ondulazione elimina le deviazioni verticali associate
all’ondulazione e considera solo quelle legate alla rugosità. La lunghezza di taglio più
utilizzata nella pratica è 0,8 mm. La lunghezza di misura Lm di solito risulta pari a cin-
que volte la lunghezza di taglio.
A causa delle limitazioni della rugosità sono state sviluppate misure supplementari
che descrivono più dettagliatamente la topografia di una superficie, ad esempio la rap-
presentazione grafica tridimensionale della superficie, come descritto in [17].

Segno grafico della finitura superficiale  I progettisti specificano la finitura


superficiale su un disegno attraverso il segno grafico riportato in Figura 4.6. Il segno
grafico per indicare la finitura superficiale è un segno di spunta (rassomigliante alla ra-
dice quadrata), con valori per indicare la rugosità media, l’ondulazione, la lunghezza di
taglio, la traccia della lavorazione e la spaziatura massima della rugosità. I simboli per
indicare la traccia della lavorazione sono riportati in Figura 4.4.

4.2.3  Integrità superficiale


La finitura superficiale da sola non basta a descrivere completamente una superficie.
Ci possono essere cambiamenti metallurgici o di altro tipo immediatamente sotto la
superficie che possono avere effetti significativi sulle sue proprietà meccaniche. Per in-
Figura 4.6  Segno grafi-
tegrità superficiale si intende lo studio e il controllo di questo strato sotto la superficie
co della finitura superfi-
ciale nei disegni tecnici: e di ogni sua variazione che possa influenzare le prestazioni del singolo componente o
(a) il segno grafico e (b) il prodotto finito. Quando questo strato ha una struttura diversa dal substrato, prende il
segno grafico con le eti- nome di strato alterato, come precedentemente definito in Figura 4.2.
chette di identificazione. I
valori di Ra sono espres-
si in µ, le unità delle altre Altezza massima Larghezza massimo
misure sono in pollici. I dell’ondulazione dell’ondulazione
progettisti non specifi-
cano sempre tutti i para-
metri nei disegni tecnici. Lunghezza di taglio
Massima Ra
(Fonte: Fundamentals of Traccia della
Minima Ra
Modern Manufacturing, lavorazione
4th Edition by Mikell P. Spaziatura
Groover, 2010. Ristam- massima
pato con il permesso di della rugosità
John Wiley & Sons, Inc.)
Dimensioni, tolleranze e superfici 97

C’è una grande varietà di possibili alterazioni e danni che possono verificarsi in que-
sto strato durante la produzione, causate dall’applicazione delle varie forme di energia:
meccaniche, termiche, chimiche e elettriche. L’energia meccanica è la forma di energia
più comunemente utilizzata durante le lavorazioni; viene applicata all’oggetto in lavora-
zione da processi come la deformazione plastica (ad esempio forgiatura e estrusione), la
lavorazione delle lamiere e l’asportazione di materiale. Sebbene la sua funzione primaria
in questi processi sia quella di modificare la forma dell’oggetto, l’energia meccanica può
anche causare tensioni residue, incrudimento e cricche negli strati superficiali.

4.3 Effetti dei processi di produzione

La capacità di raggiungere una certa tolleranza o di creare una determinata superficie


dipende dal processo di produzione. In questa sezione vengono descritte le capacità ge-
nerali di vari processi in termini di tolleranza e rugosità superficiale ottenibili.
Alcuni processi di produzione sono intrinsecamente più precisi di altri. La maggior
parte dei processi di asportazione sono molto precisi, arrivando a tolleranze di ± 0.05 mm
o superiori. Al contrario, il processo di colata in sabbia è piuttosto impreciso e, quindi,
per i prodotti ottenuti mediante questo processo dovrebbero essere specificate tolleranze
da 10 a 20 volte superiori a quelle utilizzate per quelli ottenuti mediante asportazione.
La Tabella 4.2 riporta una serie di processi di lavorazione indicando le tolleranze tipiche
per ogni processo. Le tolleranze si basano sulla capacità del processo in un’operazione
specifica. Ciascuna tolleranza dovrebbe essere specificata in funzione della dimensione
del pezzo in lavorazione: pezzi più grandi richiedono tolleranze più ampie. La tabella
elenca i valori tipici delle tolleranze per pezzi di medie dimensioni in ciascuna categoria
di processo.
Il processo di lavorazione determina la finitura superficiale e l’integrità superficia-
le. Alcuni processi sono in grado di generare superfici migliori di altri. In generale, il
costo di lavorazione aumenta con il miglioramento della finitura superficiale. Questo
perché, in genere, per ottenere superfici migliori sono richieste operazioni aggiuntive e
più tempo. I processi noti per fornire finiture di qualità superiore includono la levigatu-
TABELLA 4.2  Limiti di tolleranza tipici basati sulle capacità del processo, per vari processi di produzionea.

Processo Tolleranza tipica in mm Processo Tolleranza tipica in mm


Colata in sabbia: Abrasione:
Ghisa ±1.3 Rettifica ±0.008
Acciaio ±1.5 Lappatura ±0.005
Alluminio ±0.5 Levigatura ±0.005
Pressofusione ±0.12 Non tradizionali e termici:
Stampaggio plastica: Lavorazione chimica ±0.08
Polietilene ±0.3 Elettroerosione ±0.025
Polistirene ±0.15 Finitura elettrochimica ±0.025
Asportazione: Fresatura elettrochimica ±0.05
Foratura, 6 mm (0,25 in) ±0.08/–0.03 Taglio con fascio di elettroni ±0.08
Fresatura ±0.08 Taglio laser ±0.08
Tornitura ±0.05 Taglio al plasma ±1.3
a
Fonti [4], [7] e altri. Per ogni categoria di processo, le tolleranze variano a seconda dei parametri di processo. Inoltre, le tolleranze aumentano
all’aumentare delle dimensioni del pezzo.
98 Tecnologia meccanica

TABELLA 4.3  Valori di rugosità ottenibili mediante differenti processi di produzionea.

Processo Finitura Intervallo Processo Finitura Intervallo


superficiale di rugosità superficiale di rugosità
tipica tipica
Fusione: Abrasione:
Pressofusione Buona 1-2 Rettifica Molto buona 0.1-2
Microfusione Buona 1.5-3 Levigatura Molto buona 0.1-1
Colata in sabbia Scarsa 12-25 Lappatura Eccellente 0.05-0.5
Formatura metalli: Lucidatura Eccellente 0.1-0.5
Laminazione a freddo Buona 1-3 Superfinitura Eccellente 0.02-0.3
Imbutitura Buona 1-3 Non tradizionali e termici:
Estrusione a freddo Buona 1-4 Fresatura chimica Media 1.5-5
Laminazione a caldo Scarsa 12-25 Elettrochimica Buona 0.2-2
Asportazione: Elettroerosione Media 1.5-15
Barenatura Buona 0.5-6 Fascio di elettroni Media 1.5-15
Foratura Media 1.5-6 Laser Media 1.5-15
Fresatura Buona 1-6 Saldatura ad arco Scarsa 5-25
Alesatura Buona 1-3 Taglio a fiamma Scarsa 12-25
Piallatura/Limatura Media 1.5-12 Taglio al plasma Scarsa 12-25
Segatura Scarsa 3-25
Tornitura Buona 0.5-6
a
Compilato da [1], [2], e da altre fonti.
b
Valori dell'intervallo di rugosità sono dati, mm (m-in). Rugosità può variare in modo significativo per un dato processo, a seconda dei parametri di processo.

ra, la lappatura, la lucidatura e la superfinitura. La Tabella 4.3 indica la tipica rugosità


superficiale che è possibile ottenere dai vari processi di lavorazione.

Bibliografia

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Society of Mechanical Engineers, New York, 1978.
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Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1986.
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Dimensioni, tolleranze e superfici 99

[10] Mummery, L. Surface Texture Analysis-The Handbook. Hommelwerke GmbH, Germany,


1990.
[11] Oberg, E., Jones, F. D., Horton, H. L., and Ryffel, H. Machinery’s Handbook, 26th ed. Indu-
strial Press Inc., New York, 2000.
[12] Schaffer, G. H. «The Many Faces of Surface Texture», Special Report 801, American
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[15] S. Starrett Company, Tools and Rules. Athol, Massachusetts, 1992.
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gan, 1987.
[17] Zecchino, M. «Why Average Roughness Is Not Enough,» Advanced Materials & Proces-
ses, March 2003, pp. 25–28.

Domande di ripasso
10. La rugosità è una proprietà misurabile della finitura
1. Che cos’è una tolleranza? superficiale: che cosa s’intende per rugosità?
2. Qual è la differenza tra tolleranza bilaterale e tolle- 11. Indicare alcune delle limitazioni nell’utilizzo della
ranza unilaterale? rugosità come misura della finitura superficiale.
3. Che cos’è l’accuratezza di una misura? 12. Che cosa provoca i vari tipi di cambiamenti che si
4. Che cos’è la precisione di una misura? verificano nello strato alterato appena sotto la su-
5. Perché le superfici sono importanti? perficie?
6. Definire cosa si intende per superficie nominale. 13. Elencare alcuni processi di produzione che gene-
7. Definire cosa si intende per finitura superficiale. rano finiture superficiali scarse.
8. In cosa differiscono finitura e integrità superficiale? 14. Elencare alcuni processi di produzione che gene-
9. Nell’ambito della finitura superficiale, come si distin- rano finiture superficiali molto buone o eccellenti.
gue la rugosità dall’ondulazione?
100 Tecnologia meccanica

Appendice A4: Misurazione


di dimensioni e superfici

La misurazione è una procedura in cui una quantità incognita viene confrontata con
una quantità di riferimento nota, utilizzando un sistema di unità di misura riconosciuto
e coerente. Due sistemi di unità di misura si sono diffusi nel mondo: (1) il sistema sta-
tunitense (U.S.C.S., da U.S. Customary System) e (2) il Sistema Internazionale di unità
di misura (SI, da «Système Internationale d’Unités»), anche conosciuto come sistema
metrico decimale. Il sistema metrico decimale è molto usato in quasi tutto il mondo in-
dustrializzato, ad eccezione degli Stati Uniti che rimangono ostinatamente legati al loro
USCS. Ma, a poco a poco, anche gli Stati Uniti stanno adottando il SI.
La misurazione fornisce un valore numerico della quantità di interesse, entro certi
limiti di accuratezza e precisione. L’accuratezza è il grado con cui il valore misurato
rispecchia il valore vero della quantità di interesse. Un procedimento di misurazione è
accurato quando non ci sono errori sistematici, cioè deviazioni positive o negative dal
valore vero che sono consistenti in tutte le misurazioni. La precisione è il grado di ripe-
tibilità nel processo di misurazione. Una buona precisione significa che gli errori casua-
li nella procedura di misurazione sono minimizzati. Gli errori casuali solitamente sono
associati alla presenza del fattore umano nell’esecuzione del processo di misurazione.
Esempi includono variazioni nella configurazione del sistema, nella lettura imprecisa
della scala, negli arrotondamento e approssimazioni. Altre cause degli errori casuali,
non dipendenti dal fattore umano, sono ad esempio le variazioni di temperatura, l’usura
progressiva e/o i disallineamenti negli elementi che costituiscono il dispositivo per la
misura.

A4.1 Strumenti di misura convenzionali

In questa sezione dell’appendice sono descritti vari strumenti di misura manuali utiliz-
zati per valutare dimensioni, come lunghezza e diametro, oltre ad altre caratteristiche
come angoli, rettilineità e rotondità. Questi tipi di apparecchi si trovano nei laboratori di
metrologia, nelle aree dedicate all’ispezione e alla messa a punto degli utensili. Il punto
di partenza logico di questa sezione è la descrizione dei blocchetti pianparalleli.

A4.1.1  Blocchetti pianparalleli


I blocchetti pianparalleli sono degli elementi di riferimento rispetto ai quali vengono con-
frontati gli altri strumenti di misurazione delle dimensioni. I blocchetti sono elementi pri-
smatici di solito a base quadrata o rettangolare. Le superfici di base dei blocchetti, sog-
gette alla misura, sono rifinite per essere molto accurate nelle dimensioni e parallele tra
Dimensioni, tolleranze e superfici 101

loro, con una precisione di un milionesimo di metro, e sono lucidate a specchio. Esistono
blocchetti di varia qualità: un grado di precisione maggiore corrisponde a tolleranze più
strette. Il grado massimo, detto master standard di laboratorio, arriva a una tolleranza
di ±0,00003 mm (± 0,000001 in). A seconda del grado di durezza desiderato e del prezzo
che l’utente è disposto a pagare, i blocchetti sono fatti di diverse tipologie di materiali, ad
esempio acciaio per utensili, acciaio al cromo, carburo di cromo o carburo di tungsteno.
I blocchetti sono disponibili in misure standard e possono essere forniti in insiemi
di diverse dimensioni. Le dimensioni di tale insieme sono, solitamente, determinate in
modo sistematico per poter ottenere qualsiasi dimensione fino a 0,0025 mm.
Per ottenere risultati migliori, i blocchetti devono essere utilizzati su una superficie
di riferimento piana, come un piano di riscontro. Un piano di riscontro è un largo blocco
massiccio la cui superficie superiore è rifinita secondo un piano. La maggior parte dei pia-
ni di riscontro oggi è fatta di granito. Il granito ha il vantaggio di essere duro, non magne-
tico, resistente alla corrosione e all’usura, termicamente stabile e di facile manutenzione.
I blocchetti piano-paralleli e gli altri strumenti di misura ad alta precisione devono
essere utilizzati in condizioni di riferimento note per la temperatura e gli altri fattori
che possono influenzare negativamente la misura. La temperatura di riferimento è pari
a 20°C (68°F), come stabilito da un accordo internazionale. I laboratori di metrologia
eseguono le misurazioni a questa temperatura di riferimento. Se i blocchetti o gli al-
tri strumenti di misurazione sono usati in un ambiente industriale dove la temperatura
è diversa da quella di riferimento, può essere necessario eseguire delle correzioni per
considerare l’espansione o la contrazione termica. I blocchetti utilizzati per le misure
quotidiane in officina sono soggetti a usura e devono essere calibrati periodicamente
confrontandoli con quelli da laboratorio che sono più precisi.

A4.1.2 Strumenti di misura per dimensioni lineari


Gli strumenti di misurazione possono essere suddivisi in due categorie: graduati e non
graduati. Gli strumenti graduati hanno una serie di marcature (dette graduazioni) su
una scala lineare o angolare con cui poter confrontare le dimensioni delle caratteristiche
d’interesse di un oggetto. Gli strumenti non graduati non possiedono tale scala e sono
utilizzati per fare confronti tra le dimensioni o per trasferire una grandezza su un dispo-
sitivo graduato per la misurazione.
Il più semplice dei dispositivi di misurazione graduato è la riga (spesso realizzata
in acciaio e chiamata riga in acciaio), utilizzata per misurare dimensioni lineari. Le
righe sono disponibili in varie lunghezze, ad esempio da 150, 300, 600 e 1000 mm, con
graduazioni di 1 o 0,5 mm, per il sistema metrico, da 6, 12, e 24 in, con graduazioni di
1/32, 1/64, o 1/100 in, nel sistema americano.
I calibri sono disponibili sia nella versione graduata che non graduata. Un calibro
non graduato (indicato semplicemente come calibro) è composto da due bracci uniti da
un meccanismo a cerniera, come mostrato in Figura A4.1. Le estremità dei bracci sono
posizionate a contatto delle superfici dell’oggetto da misurare e la cerniera è fatta per
mantenere i bracci in posizione durante l’uso. Le estremità possono essere rivolte verso
l’interno o verso l’esterno. Quando sono rivolte verso l’interno, come in Figura A4.1, lo
strumento è detto calibro per misure esterne perché viene utilizzato per misurare le
dimensioni esterne di un oggetto, come il diametro di un albero. Quando le estremità
sono rivolte verso l’esterno, si dice calibro per misure interne perché viene utilizzato
per misurare la distanza tra due superfici interne. Uno strumento simile al calibro è
il compasso, che differisce dal calibro perché i suoi bracci sono dritti e terminano in
estremità dure e appuntite. I compassi sono utilizzati per misurare le distanze tra due
punti o due linee e per incidere cerchi o archi su una superficie.
102 Tecnologia meccanica

Figura A4.1  Due calibri per misure esterne di diverse dimensioni. (Per Figura A4.2  Calibro a corsoio, viste delle due facce
gentile concessione di L.S. Starrett Co.) (Fonte: Fundamentals of Mo- principali dello strumento. (Per gentile concessione
dern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato di L.S. Starrett Co.) (Fonte: Fundamentals of Modern
con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Esistono diversi calibri graduati a seconda delle varie finalità della misura. Il più
semplice è il calibro a corsoio che consiste in una riga di acciaio a cui vengono aggiunte
due aste (o becchi), una fissata ad un’estremità della riga e l’altra mobile, come illustrato
in Figura A4.2. Il calibro a corsoio può essere utilizzato per misurazioni interne o esterne,
a seconda che vengano usate le facce per la misura interna o esterna dei becchi. Durante
l’uso, i becchi sono messi a contatto con le superfici del pezzo da misurare e la posizio-
ne dell’asta mobile indica la dimensione misurata. I calibri a corsoio eseguono misure
più accurate e precise delle semplici righe. Una versione perfezionata di questo calibro è
chiamata calibro vernier ed è mostrata in Figura A4.3. In questo strumento, che prende
il nome da P. Vernier (1580-1637), il matematico francese che l’ha inventato, l’asta mo-
bile comprende un nonio. Il nonio contiene una scala graduata di 0,01 mm nel sistema SI
(0,001 in nella scala USCS), quindi è molto più preciso rispetto al calibro a corsoio.
Il micrometro è un altro strumento di misura molto utilizzato e molto preciso, nel-
la sua forma più comune è costituito da un perno e da un’incudine a forma di C, come
mostrato in Figura A4.4. Il perno viene spostato rispetto all’incudine fissa mediante una
vite di precisione. In un tipico micrometro americano, ad ogni rotazione il perno si spo-

Figura A4.3  Calibro di Vernier. (Per gentile concessione di Figura A4.4  Micrometro per esterni, campo di misura di 1 in,
L.S. Starrett Co.) (Fonte: Fundamentals of Modern Manufactu- con lettore digitale. (Per gentile concessione di L.S. Starrett
ring, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il Co.) (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edi-
permesso di John Wiley & Sons, Inc.) tion by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Dimensioni, tolleranze e superfici 103

sta linearmente di 0,025 in. Attaccato al perno si trova un tamburo con 25 graduazioni
lungo la sua circonferenza, ognuno corrispondente a 0,001 in. La bussola del microme-
tro è di solito dotata di un nonio, permettendo risoluzioni di 0,0001 in. Su un microme-
tro con scala metrica, le graduazioni sono di 0,01 mm. I micrometri moderni (e i calibri
graduati) sono forniti di dispositivi elettronici che visualizzano la lettura digitale della
misura (come in figura). Questi strumenti sono più facili da leggere ed eliminano gran
parte dell’errore umano associato alle letture convenzionali dei dispositivi graduati.
I tipi più comuni di micrometri sono (1) il micrometro per esterni, mostrato in
Figura A4.4, che viene prodotto per misure in differenti campi dimensionali, (2) il mi-
crometro per interni, che consiste di un corpo centrale e un insieme di aste di diversa
lunghezza per misurare le varie dimensioni interne e (3) il micrometro di profondità,
simile ad un micrometro per interni, ma adattato per misurare la profondità di una cavità.

A4.1.3  Strumenti di misura mediante comparazione


Gli strumenti di misura mediante comparazione vengono usati per fare confronti di-
mensionali tra due oggetti, come un pezzo da lavorare e una superficie di riferimento.
Di solito questi strumenti non sono in grado di fornire una misura assoluta della quanti-
tà d’interesse, ma misurano la grandezza e la direzione della differenza tra due oggetti.
Gli strumenti di questa categoria comprendono comparatori meccanici ed elettronici.

Comparatori meccanici: Comparatori a quadrante  I comparatori meccanici


sono progettati per amplificare meccanicamente una misura per renderla più visibile.
Lo strumento più comune in questa categoria è il comparatore a quadrante, illustrato
in Figura A4.5, che converte e amplifica il movimento lineare di un tastatore nella rota-
zione di una lancetta su un quadrante. Il quadrante è graduato in unità di piccole dimen-
sioni ad esempio 0,01 mm (o 0,001 in). I comparatori a quadrante sono utilizzati in molte
applicazioni per misurare la rettilineità, la planarità, il parallelismo, l’ortogonalità, la
rotondità e l’oscillazione. Una tipica configurazione per la misurazione dell’oscillazione
è illustrata in Figura A4.6.

Comparatori elettronici  I comparatori elettronici sono una famiglia di strumenti


di misura basati su trasduttori in grado di convertire uno spostamento lineare in un
segnale elettrico. Il segnale elettrico viene successivamente amplificato e trasformato

Comparatore a quadrante

Contatto
Pezzo cilindrico
Asse di rotazione

Superficie
del piano
di riscontro
Figura A4.5  Comparatore a quadrante: a destra il qua- Figura A4.6  Configurazione di un comparatore a quadrante per mi-
drante con la scala graduata, a sinistra il retro dello stru- surare l’oscillazione; quando il pezzo viene ruotato intorno al proprio
mento senza la piastra di copertura. (Per gentile conces- asse, le variazioni nella distanza tra la superficie esterna e il centro
sione di L.S. Starrett Co.) (Fonte: Fundamentals of Modern sono indicate sul quadrante.
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ri-
stampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
104 Tecnologia meccanica

in un formato adatto ad una lettura digitale, come quello mostrato in Figura A4.4. Le
applicazioni dei comparatori elettronici sono aumentate rapidamente negli ultimi anni,
grazie ai progressi nelle tecnologie dei microprocessori, e stanno gradualmente sosti-
tuendo molti degli strumenti di misura convenzionali. I vantaggi dei comparatori elet-
tronici includono (1) la buona sensibilità, accuratezza, precisione, ripetibilità e velocità
di risposta, (2) la capacità di misurare dimensioni molto piccole, fino a 0,025 µm (1 µ–
in.), (3) la facilità di funzionamento, (4) la riduzione dell’errore umano, (5) la possibilità
di visualizzare in vari modi il segnale elettrico e (6) la capacità di essere interfacciabili
con i sistemi informatici di elaborazione dei dati.

A4.1.4  Misurazioni di angoli


Gli angoli possono essere misurati utilizzando diversi tipi di goniometro. Il goniome-
tro semplice è costituito da una squadra che ruota rispetto a una testa semicircolare
graduata in unità angolari (per esempio gradi o radianti). Per utilizzarlo, la squadra
viene ruotata in una posizione corrispondente all’angolo da misurare e la sua misura
viene letta sulla scala angolare. Il goniometro universale, riportato in Figura A4.7, è
costituito da due squadre dritte che ruotano una rispetto all’altra. Il perno ha una scala
goniometrica che permette di leggere l’angolo formato dalle due squadre. Se dotato di
un nonio, la precisione del goniometro universale può arrivare a circa 5 primi, altrimen-
ti la risoluzione è di circa 1 grado.

A4.2 Misurazione delle superfici

Le caratteristiche principali di una superficie sono: (1) la finitura superficiale e (2) l’in-
tegrità superficiale. Questa sezione tratta la misurazione di queste due caratteristiche.

A4.2.1  Misura della rugosità di una superficie


I vari metodi utilizzati per valutare la rugosità di una superficie si dividono in tre cate-
gorie: (1) confronto soggettivo con superfici standard, (2) strumenti elettronici a tastato-
re e (3) tecniche ottiche.

Direzione di traslazione

Testa
del tastatore
Moto verticale
del tastatore Tastatore

Pezzo

Figura A4.8  Schema illustrativo del funzionamento di uno strumento elet-


tronico a tastatore. Durante il moto traslatorio orizzontale della testa sulla
Figura A4.7  Goniometro universale con nonio. (Per superficie, il tastatore si sposta verticalmente per seguire l’andamento del
gentile concessione di L.S. Starrett Co.) (Fonte: Funda- profilo della superficie. Il movimento verticale è convertito (1) nel profilo
mentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell della superficie o (2) nel valore della rugosità media. (Fonte: Fundamentals
P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
Wiley & Sons, Inc.) pato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Dimensioni, tolleranze e superfici 105

Confronto soggettivo con superfici standard  Esistono blocchetti caratteriz-


zati da finiture superficiali standard, prodotti con specifici valori di rugosità1. Per sti-
mare la rugosità di un oggetto in verifica, la superficie viene confrontata attraverso
l’ispezione visiva e la cosiddetta «prova dell’unghia». In quest’ultima prova l’utente
gratta delicatamente la superficie dell’oggetto e dei blocchetti standard per giudicare
quale blocchetto è più simile all’oggetto. Il confronto soggettivo con superfici standard
è un metodo molto economico per ottenere una stima della rugosità superficiale. Sono
anche utili per i progettisti per stimare quale valore di rugosità deve essere specificata a
disegno per un oggetto.

Strumenti elettronici a tastatore  La prova dell’unghia è soggettiva. In commercio


esistono strumenti a tastatore per misurare la rugosità superficiale, secondo una modali-
tà simile alla prova unghia, ma con un metodologia scientificamente rigorosa. In questi
apparecchi elettronici, un tastatore di diamante a forma di cono con un raggio di punta
di circa 0,005 mm (0,0002 in) e un angolo al vertice di 90° viene traslato lungo la super-
ficie di prova a velocità lenta e costante. Il funzionamento è illustrato in Figura A4.8.
Durante il moto traslatorio orizzontale della testa, il tastatore si sposta verticalmente per
seguire l’andamento della superficie. Il movimento verticale è convertito in un segnale
elettronico che rappresenta la topografia della superficie. Questo può essere visualizzato
come un profilo della superficie reale o un valore medio di rugosità. I profilometri usa-
no una superficie piana come riferimento nominale rispetto al quale vengono misurate
le deviazioni. Producono un grafico del profilo superficiale lungo la linea percorsa dal
tastatore. Questo tipo di sistema può identificare sia la rugosità sia l’ondulazione presenti
nella superficie in misura. Gli integratori sintetizzano le deviazioni di rugosità in un
unico valore di Ra. Questi strumenti utilizzano un pattino che scorre sulla superficie al
fine di determinare il piano di riferimento durante la misurazione, comportandosi da
filtro meccanico che permette di eliminare gli effetti dell’ondulazione superficiale e, in
pratica, eseguono elettronicamente i calcoli dell’Equazione (4.1).

Tecniche ottiche  La maggior parte degli altri strumenti di misura delle superfici
utilizza tecniche ottiche per valutare la rugosità. Queste tecniche si basano sulla rifles-
sione della luce dalla superficie, sulla dispersione o diffusione della luce, o sulla tec-
nologia laser. Sono utili per applicazioni in cui si vuole evitare il contatto del tastatore
con la superficie. Alcune delle tecniche permettono un’alta velocità di funzionamento,
rendendo così fattibile l’ispezione al 100%. Tuttavia le tecniche ottiche possono portare
ad ottenere misure non sempre coerenti con le misure di rugosità fatte da strumenti a
tastatore.

A4.2.2  Valutazione dell’integrità superficiale


La misura dell’integrità superficiale è più difficile di quella della rugosità di una su-
perficie. Alcune delle tecniche per ispezionare le modifiche del substrato causano la
distruzione dell’oggetto in esame. Le tecniche di valutazione dell’integrità superficiale
sono le seguenti:

• Finitura superficiale. La misura della rugosità, la traccia della lavorazione e al-


tre caratteristiche forniscono dati sulla integrità di una superficie. Queste verifiche
sono relativamente semplici da eseguire e sono incluse nella valutazione dell’inte-
grità superficiale.

1
  Nel sistema USCS i blocchi tipici hanno superfici con valori di rugosità pari a 2, 4, 8, 16, 32, 64 o 128 µ–in.
106 Tecnologia meccanica

• Ispezione visiva. L’ispezione visiva può rivelare diversi difetti superficiali, come
cricche, crateri, sopradossi e bave. Questo tipo di valutazione può essere migliorata
mediante l’utilizzo di tecniche basate sulla fluorescenza e fotografiche.
• Esame microstrutturale. Viene eseguito tramite tecniche metallografiche conso-
lidate di preparazione di sezioni delle superfici da analizzare e di esecuzione di mi-
crofotografie per esaminare la microstruttura degli strati superficiali in confronto
con quella del substrato.
• Profilo di micro durezza. Le differenze di durezza vicino alla superficie possono
essere rilevate utilizzando le tecniche di misura della micro durezza, come Knoop
e Vickers. Il pezzo viene sezionato e si traccia il grafico della durezza rispetto alla
distanza dalla superficie ottenendo il profilo di durezza della sezione trasversale.
• Profilo di tensione residua. Le tecniche di diffrazione a raggi X possono essere
impiegate per misurare tensioni residue negli strati superficiali di un oggetto.
Controllo di qualità

Capitolo 5
e ispezione

Tradizionalmente, il controllo di qualità (quality control, QC) riguardava l’individuazione


dei prodotti di bassa qualità e le azioni correttive per eliminarli. Il QC spesso si limitava
all’ispezione visiva del prodotto e dei suoi componenti, per decidere se le dimensioni e
le altre caratteristiche fossero conformi alle specifiche di progetto. In caso affermativo
il prodotto veniva rilasciato al cliente. La visione moderna del controllo di qualità com-
prende una più vasta gamma di attività e include varie metodologie come il controllo sta-
tistico di processo, il Sei Sigma e le nuove tecnologie per l’ispezione come le macchine
di misura a coordinate e la visione artificiale. In questo capitolo vengono trattati questi
e altri argomenti relativi alla qualità e al controllo, argomenti importanti nelle produzioni
moderne. Iniziamo dalla definizione di qualità del prodotto.

5.1  Qualità del prodotto

L’American Society for Quality (ASQ) fornisce la definizione tradizionale di qualità


come “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio
che lo rendono capace di soddisfare precisi bisogni” [2]. Secondo questa definizione, la
qualità di un prodotto ha due aspetti [4]: (1) la qualità di progetto, ossia le caratteristiche
del prodotto e (2) la conformità alle specifiche, ossia l’assenza di nonconformità o difet-
ti. Le proprietà del prodotto sono le caratteristiche che dipendono dal progetto. Sono
le proprietà funzionali ed estetiche dell’oggetto che hanno lo scopo di renderlo attraente
e soddisfacente per il cliente. Per esempio, per un’automobile, queste proprietà sono la
cilindrata e lo stile della macchina, le finiture della carrozzeria, l’autonomia, l’affida-
bilità, la reputazione del produttore e altri aspetti simili. Anche gli accessori opzionali
che il cliente può scegliere possono essere inclusi nella qualità di progetto. L’insieme
delle proprietà di un prodotto definisce la sua classe, che dipende anche dai livelli di
mercato a cui il prodotto è destinato. Alcune macchine offrono solo un servizio di tra-
sporto perché questo è quello che vogliono alcuni clienti, altre invece offrono di più per
i consumatori che sono disposti a spendere di più per un “prodotto migliore”. Le carat-
teristiche di un prodotto sono decise in fase di progetto e generalmente determinano i
costi relativi al prodotto. Caratteristiche superiori e maggiori funzionalità comportano
costi più elevati.
L’assenza di difetti significa che il prodotto fa quello che deve fare (sempre nei li-
miti del progetto), che non presenta difetti né dimensioni o macro e microgeometrie che
non rispettano le tolleranze e che non ha parti mancanti. Questo aspetto della qualità
include anche i componenti e le sottoparti del prodotto oltre al prodotto stesso. L’assenza
di difetti significa la piena conformità alle specifiche di progetto nel prodotto realizzato
in produzione. Sebbene i costi inerenti alla realizzazione del prodotto siano in funzione
108 Tecnologia meccanica

del progetto, ridurre al minimo i costi del prodotto, entro i limiti definiti dal progetto,
significa evitare i difetti, le deviazioni dalle tolleranze e gli altri errori che si possono ve-
rificare durante la produzione. Questi difetti possono causare dei costi aggiuntivi per una
serie di cose: pezzi scartati, dimensioni dei lotti maggiori per compensare i pezzi scartati,
rilavorazioni, nuove ispezioni, smistamenti, lamentele dei clienti e pezzi resi, costi delle
garanzie, sconti per i clienti, mancate vendite e riduzione della quota di mercato.
Quindi, le caratteristiche del prodotto sono l’aspetto della qualità di cui è respon-
sabile il reparto di progettazione del prodotto e quelle che determinano grossomodo il
prezzo a cui un’azienda può vendere i suoi prodotti. Invece l’assenza di difetti è l’aspetto
della qualità di cui sono responsabili i reparti di produzione. La capacità di minimizzare
questi difetti ha un impatto importante sul costo del prodotto. Queste generalizzazioni
semplificano molto il reale funzionamento delle cose perché la responsabilità della qua-
lità del prodotto in un’azienda va molto oltre le funzioni di progettazione e di produzione.

5.2  Capacità di processo e tolleranze

In ogni operazione di produzione esiste una variabilità nel risultato del processo. In
un’operazione di lavorazione per asportazione di truciolo, che è uno dei processi più ac-
curati, i pezzi lavorati possono sembrare identici ma un’ispezione accurata può rivelare
delle differenze nelle dimensioni tra un pezzo e l’altro. Le variazioni nella produzione
possono essere divise in due categorie: casuali e assegnabili.
Le variazioni casuali possono essere causate da molti fattori: variabilità umana
all’interno di ogni ciclo produttivo, differenze nei materiali grezzi, vibrazioni e così via.
Individualmente, questi fattori possono non incidere molto, ma collettivamente possono
causare dei problemi, qualora le tolleranze del pezzo non vengano rispettate. Le varia-
zioni casuali tipicamente hanno una distribuzione normale: il risultato del processo
tende a concentrarsi attorno al valore medio della dimensione di interesse del prodotto
(come lunghezza o diametro). Se le uniche variazioni nel processo sono casuali, il pro-
cesso si dice in controllo statistico. Questo tipo di variabilità continua finché il pro-
cesso funziona normalmente. Quando il processo devia dalle sue normali condizioni di
funzionamento allora si ha il secondo tipo di variabilità.
Le variazioni assegnabili indicano il verificarsi di un’anomalia rispetto alle normali
condizioni di lavoro. Significa che nel processo è successo qualcosa che non può essere
considerato una variazione casuale. Le ragioni di una variazione assegnabile possono in-
cludere gli errori degli operatori, i difetti dei materiali grezzi, i guasti degli utensili im-
piegati, i malfunzionamenti dei macchinari e così via. Le variazioni assegnabili di solito
sono evidenziate da un risultato che si discosta dalla distribuzione normale individuata
quando agiscono solo le variazioni casuali. Il processo non è più in controllo statistico.
La capacità di processo dipende dalle variazioni dei risultati della lavorazione
quando il processo è in controllo statistico. La capacità di processo è misurata da
diversi indici, il principale dei quali è dato dal rapporto tra l’intervallo di tolleranza (o
intervallo di specifiche) e 6 volte la deviazione standard,
LSS – LSI
Cp = (5.1)

dove Cp è l’indice di capacità di processo, LSS e LSI sono i limiti di specifica superiore
e inferiore, rispettivamente (nel caso di tolleranza bilaterale), e σ è la deviazione stan-
dard del processo. Questa definizione assume che (1) il processo sia in una condizione
di regime e in controllo statistico, che (2) il risultato della lavorazione segua una distri-
buzione normale e che (3) la media del processo sia a metà dell’intervallo di specifica.
Sotto queste ipotesi, se il Cp è pari a 1 significa che il 99.73% dei pezzi prodotti sarà
Controllo di qualità e ispezione 109

compreso nell’intervallo di tolleranza. La capacità di processo di una certa lavorazione


non è sempre nota e deve essere valutata sperimentalmente.
Il problema delle tolleranze è cruciale per la qualità del prodotto. I progettisti tendono
ad assegnare tolleranze alle dimensioni dei componenti e degli assemblati in base a come
pensano che una variazione di dimensioni impatti sulla funzionalità e sulle prestazioni.
È convinzione che, più basse sono le tolleranze, migliori saranno le prestazioni. Scarsa
attenzione è in genere data ai costi indotti da tolleranze molto stringenti, che richiedo-
no processi molto accurati per mantenere un ragionevole livello di capacità di processo.
Riducendo l’intervallo di tolleranza, il costo per ottenere il prodotto tende ad aumentare
perché sono richiesti processi di lavorazione più accurati o fasi aggiuntive di lavorazio-
ne (finitura). I progettisti devono avere ben chiara questa relazione. Anche se la scelta
dell’intervallo di tolleranza deve essere prioritariamente guidata dalla funzionalità del
prodotto, occorre tenere presenti anche i costi delle scelte progettuali, e ogni rilassamento
dei requisiti di tolleranza che non sacrifichi le funzionalità è utile in termini economici.
I limiti superiori e inferiori dell’intervallo [m – 3σ, m + 3σ] sono chiamati limiti di
tolleranza naturale con m e σ rispettivamente pari a media e deviazione standard della
dimensione. Quando le tolleranze di progetto sono uguali ai limiti di tolleranza naturale,
si ha che il 99.73% dei pezzi rispetterà la tolleranza e il 0.27% sarà fuori dai limiti. Ogni
incremento dell’intervallo di tolleranza ridurrà la percentuale attesa di pezzi difettosi.
Il desiderio di ottenere una percentuale di pezzi difettosi molto bassa ha portato alla
definizione del famoso limite “sei sigma” nel controllo di qualità. Avere un limite
di sei sigma elimina virtualmente tutti i pezzi difettosi in un processo di produzione.
Prima di concentrarci su questo problema, analizziamo in dettaglio una tecnica molto
usata per il controllo di qualità: il controllo statico di processo.

5.3  Controllo statistico di processo


Il controllo statistico di processo (statistical process control, SPC) implica l’uso di vari
metodi statistici per stimare e analizzare le variazioni di processo. I metodi SPC inclu-
dono la semplice registrazione dei dati della produzione, gli istogrammi, l’analisi di
capacità di processo e le carte di controllo. Le carte di controllo sono i metodi SPC più
usati e sono l’oggetto di questa sezione.
Il principio fondamentale delle carte di controllo si basa sul fatto che le variazioni
in qualsiasi processo sono di due tipi, come discusso nel Paragrafo 5.2: (1) le variazioni
casuali, che sono le variazioni presenti quando il processo è in stato di controllo statistico
e (2) le variazioni assegnabili che indicano uno scostamento dallo stato di controllo stati-
stico. Obiettivo di una carta di controllo è identificare quando il processo si discosta dallo
stato di controllo statistico, segnalando che occorre applicare delle azioni correttive.
Una carta di controllo è un grafico in cui vengono tracciate, nel tempo, le statistiche
calcolate dei valori misurati da un certo processo al fine di determinare se il processo rima-
ne in controllo statistico. La forma generale di una carta di controllo è illustrata in Figura
5.1. La carta si compone di tre linee orizzontali che rimangono costanti nel tempo: una
linea centrale (center line, CL), un limite di controllo inferiore (lower control limit, LCL) e
un limite di controllo superiore (upper control limit, UCL). La linea centrale di solito è im-
postata al valore medio della statistica riportata sulla carta di controllo. I limiti di controllo
superiore e inferiore sono generalmente fissati a distanza di ±3 volte la deviazione standard
della statistica plottata sulla carta rispetto alla linea centrale.
Se il processo è in controllo statistico, è altamente improbabile che un campione
casuale estratto dal processo determini un punto sulla carta che è fuori dai limiti di con-
trollo. Quindi, se succede che il valore di un campione cade al di fuori di questi limiti,
significa spesso che il processo è fuori controllo. In questo caso si deve effettuare una
110 Tecnologia meccanica

Valore della statistica campionaria

UCL

CL

Figura 5.1  Carta di con-


LCL
trollo (Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.) Numero del campione

verifica per determinare il motivo per cui il processo non è più in controllo statistico e
poi applicare le adeguate azioni correttive per eliminarne la causa. Con un ragionamen-
to analogo, se il processo risulta essere in controllo statistico e non vi è alcun compor-
tamento anomalo nei dati, non è necessario né opportuno applicare correzioni in quanto
introdurrebbero variazioni assegnabili nel processo. In parole povere, con le carte di
controllo si applica la regola “Se non è rotto, non aggiustarlo”.
Esistono due tipi fondamentali di carte di controllo: (1) le carte di controllo per
variabili e (2) le carte di controllo per attributi. Le carte di controllo per variabili ri-
chiedono la misurazione della dimensione della qualità di interesse, mentre le carte di
controllo per attributi mostrano la stabilità del numero di difettosi (non conformi) o del
numero di difetti (non conformità) nel campione analizzato.

5.3.1  Carte di controllo per variabili


Un processo che non è in controllo statistico manifesta questa sua condizione sotto
forma di cambiamenti significativi della media e/o della variabilità del processo. Per
valutare queste due grandezze, esistono due principali tipi di carte di controllo delle
–– e la carta R. La carta X –– (chiamata “carta xbar”) viene utilizzata per
variabili: la carta X
tracciare il valore medio misurato di una certa caratteristica, per ogni campione di parti
–– indica come la media del processo
provenienti dal processo di produzione. La carta X
varia nel tempo. La carta R, invece, riporta il range di ogni campione (massima meno
minima osservazione nel campione), per tenere sotto controllo la variabilità del proces-
so e indicare se questa cambia nel corso del tempo.
Una volta identificata un’adeguata grandezza, indice della qualità del processo, la media
–– ed R.
e la variabilità di questa caratteristica di qualità sono controllate attraverso le carte X
In un processo di produzione di componenti meccanici, la grandezza di interesse potrebbe
essere il diametro della un albero o di un foro o un’altra dimensione critica. Misure prese dal
processo nel tempo devono essere usate per costruire le due carte di controllo.
Con il processo di produzione che funziona correttamente e in assenza di variazioni
assegnabili, si prelevano una serie di campioni (si consiglia m = 20 o maggiore) di picco-
le dimensioni (per esempio, n = 4, 5 o 6 pezzi per campione) e se ne misura la grandezza
di interesse. La seguente procedura viene utilizzata per costruire la linea centrale CL e
i limiti LCL e UCL per ogni grafico.
1. Calcolare la media e il range R per ciascuno degli m campioni.
––, che è la media di X–– calcolati per gli m campioni; que-
2. Calcolare la grande media X


sta sarà la linea centrale della carta X.
Controllo di qualità e ispezione 111

3. Calcolare –R–, che è la media dei valori di range R calcolati per gli m campioni; questa
sarà la linea centrale della carta R.
4. Determinare i limiti di controllo superiore e inferiore, UCL e LCL, per le carte
–– ed R. L’approccio si basa su costanti statistiche riportate in Tabella 5.1, che
X
sono state ricavate appositamente per il calcolo dei limiti di controllo delle carte
–– ed R. I valori delle costanti dipendono dalla cardinalità n dei campioni. Per la
X
–– si ha:
carta X
–––– ––––
X e X (5.2)

e per la carta R:

e (5.3)

TABELLA 5.1 Costanti per le carte - R.

Carta R

Dimensione del campione n Carta X D3 D4
3 1.023 0 2.574
4 0.729 0 2.282
5 0.577 0 2.114
6 0.483 0 2.004
7 0.419 0.076 1.924
8 0.373 0.136 1.864
9 0.337 0.184 1.816
10 0.308 0.223 1.777

Fonte [11].


Esempio 5.1  Carte X – R
Da un processo produttivo in controllo statistico sono stati raccolti otto campioni (m
= 8) di dimensione 4 (n = 4), e si è misurata la grandezza di interesse per ogni pezzo.
Si vogliono determinare i valori della linea centrale e dei limiti LCL e UCL per le carte
– –
X ed R. I valori X calcolati (riportati in centimetri) per gli otto campioni sono 2.008,
1.998, 1.993, 2.002, 2.001, 1.995, 2.004 e 1.999. I valori di R calcolati (in cm) sono,
rispettivamente, 0.027, 0.011, 0.017, 0.009, 0.014, 0.020, 0.024 e 0.018.

Soluzione: Il calcolo dei valori X ed R si effettua seguendo il punto 1 della nostra
procedura. Al punto 2 si calcola la media delle medie dei campioni.

X = (2.008 + 1.998 + ... + 1.999)/8 = 2.000
Al punto 3, si calcola il valore medio di R.

R = (0.027 + 0.011 + ... + 0.018)/8 = 0.0175
Al punto 4, si determinano i valori di LCL e UCL in base ai fattori riportati in Tabella

5.1. Prima, utilizzando l’Equazione (5.2) per la carta, X, si ottiene:
LCL = 2.000 – 0.729(0.0175) = 1.9872
UCL = 2.000 + 0.729(0.0175) = 2.0128
e poi per la carta R utilizzando l’Equazione (5.3) si ottiene:
LCL = 0(0.0175) = 0
UCL = 2.282(0.0175) = 0.0399
Le due carte di controllo sono riportate in Figura 5.2 con i dati di esempio evidenziati
sulle carte.
112 Tecnologia meccanica

UCL

CL
Carta –
x

LCL

UCL

Figura 5.2  Carte di con-


Carta R

trollo con i dati dell’Esem- CL


pio 5.2. (Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam- LCL
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.) Numero di campioni, s

5.3.2  Carte di controllo per attributi


Le carte di controllo per attributi non utilizzano una misura di qualità, ma monitorano
la frazione di pezzi difettosi o non conformi presenti nel campione (carta p) o il numero
di difetti o nonconformità (carta c) e riportano questi valori su un grafico. Esempi di
questi tipi di attributi sono il numero di pezzi difettosi in ogni automobile, la frazione
di pezzi difettosi in un campione, il numero di bave in prodotti stampati in plastica o il
numero di incrinature in un rotolo di lamiera. I due principali tipi di carta di controllo
per attributi sono la carta p, che riporta la frazione di difettosi in campioni consecutivi,
e la carta c, che riporta il numero di difetti, o altre non conformità nel campione.

La carta p  Nella carta p, la grandezza di interesse è la proporzione (da cui la lettera p)


di pezzi non conformi o difettosi. Per ciascun campione, questa proporzione pi è il rapporto
tra il numero di elementi non conformi o difettosi di e il numero di unità nel campione n
(per la costruzione e l’uso delle carta di controllo si suppone di avere campioni della stessa
dimensione):

(5.4)

dove il pedice i è usato per identificare il campione. Se i valori pi sono disponibili per
un numero sufficientemente elevato di campioni, il valore medio è una stima ragione-
Controllo di qualità e ispezione 113

vole del vero valore di difettosità p del processo. La carta p è basata sulla distribuzione
binomiale, dove p è la probabilità che il processo generi un’unità non conforme. La
linea centrale CL della carta p è il valore medio calcolato sulla base di m campioni di
uguale dimensione n, raccolti mentre il processo si suppone operi in controllo statistico:

(5.5)

I limiti di controllo sono calcolati sommando e sottraendo alla CL tre volte la deviazio-
ne standard della statistica riportata sulla carta (proporzione di elementi difettosi nel
campione). Quindi,

(5.6)

dove la deviazione standard di pi(assumendo una distribuzione binomiale per il numero


di elementi difettosi) è data da:

Se il valore di è abbastanza basso e la cardinalità del campione n è piccola, allora è


probabile che il limite di controllo inferiore, calcolato con la prima di queste equazioni,
assuma un valore negativo. In questo caso, LCL va lasciato pari a 0 (il tasso di difetto-
sità non può essere minore di zero).

Carta c  La carta c (in cui c sta per conteggio) rappresenta il numero di difetti o non
conformità nel campione nel tempo. Il campione può essere composto da un unico pro-
dotto come un’automobile e in quel caso c è il numero di componenti difettosi nell'au-
tomobile rilevati durante l’ispezione finale. Oppure il campione può essere una certa
lunghezza di un profilato per carpenteria metallica prima del taglio e c è il numero di im-
perfezioni rilevate su quella lunghezza. La carta c è basata sulla distribuzione di Poisson,
in cui c è il parametro che rappresenta il numero di eventi che si verificano all’interno
di un dato campione (difetti per auto, imperfezioni per quella lunghezza del profilato).
La migliore stima possibile del valore vero di c è il valore medio su un gran numero di
campioni considerati, mentre il processo è in controllo statistico:

(5.7)

Il valore è usato come linea centrale CL della carta di controllo. Per una variabile che
segue la distribuzione di Poisson, la deviazione standard è la radice quadrata del para-
metro c. Quindi, i limiti di controllo sono:

(5.8)

5.3.3  Interpretazione delle carte


Quando le carte di controllo vengono utilizzate per monitorare la qualità in in produzione,
le carte di controllo si basano su un insieme di campioni casuali estratti dal processo,
–– ed R, i valori X
–– ed R della dimensione
aventi tutti la stessa dimensione n. Per le carte X
misurata calcolati in ogni campione sono riportati sulle carte di controllo. Per convenzio-
ne i punti vengono uniti, come riportato nelle nostre figure. Per interpretare i dati, occorre
114 Tecnologia meccanica

cercare comportamenti che indicano che il processo non è in controllo statistico. Il segno
–– o R (o entrambi) che si trovano al di fuori dei limiti LCL o
più evidente è un valore di X
UCL. Una possibile causa di questo comportamento può essere un materiale di partenza
danneggiato, un nuovo operatore, un utensile rotto o altri fattori simili. Un valore fuori dai
–– indica un possibile cambiamento della media del processo. Un valore
limiti della carta X
fuori dai limiti della carta R indica che la variabilità del processo è probabilmente cam-
biata. L’effetto più comune è un aumento di R, che indica che la variabilità potrebbe essere
aumentata. Anche altre situazioni meno evidenti possono rivelare problemi nel processo,
anche se i punti campionati si trovano entro i limiti di controllo. Questi casi sono: (1) deri-
ve o andamenti ciclici dei dati, che possono indicare la presenza di usura o altri fattori che
si verificano in funzione del tempo, (2) improvvisi cambiamenti nel valore medio dei dati
e (3) punti consistentemente prossimi al limite superiore o inferiore.
–– e R si possono applicare anche
Le stesse osservazioni che si applicano alle carte X
alle carte p e c.

5.4 Programmi di qualità nella produzione


Il controllo statistico dei processi di produzione è molto usato per il monitoraggio della
qualità dei componenti e dei prodotti lavorati. Nell’industria vengono usati anche altri
programmi di qualità, tre dei quali vengono descritti in questa sezione: (1) la qualità to-
tale, (2) il Sei Sigma e (3) l’ISO 9000. Questi programmi non sono alternativi al control-
lo statistico di processo, infatti, gli strumenti utilizzati per il controllo statistico sono
inclusi nei programmi della gestione della qualità totale e del Sei Sigma.

5.4.1  La qualità totale


La qualità totale (total quality management, TQM) è un approccio di gestione della
qualità che persegue tre obiettivi principali: (1) ottenere la soddisfazione del cliente,
(2) incoraggiare il coinvolgimento di tutto il personale e (3) il miglioramento continuo.
Il cliente e la soddisfazione del cliente sono un punto centrale della TQM, e i pro-
dotti sono progettati e realizzati con questo obiettivo finale. Il prodotto deve essere pro-
gettato con le caratteristiche desiderate dai clienti e deve essere privo di difetti. Quando
l’obiettivo è la soddisfazione del cliente è importante distinguere due categorie di clien-
ti: (1) i clienti esterni e (2) i clienti interni. I clienti esterni sono coloro che acquistano i
prodotti e i servizi dell’azienda, mentre i clienti interni sono dentro l’azienda, come per
esempio il reparto di assemblaggio che è cliente dei reparti di produzione. Affinché l’or-
ganizzazione complessiva risulti efficace ed efficiente, entrambe le categorie di clienti
devono essere soddisfatte.
Nel programma della qualità totale, il coinvolgimento dei lavoratori nelle varie ini-
ziative per migliorare la qualità si estende dai dirigenti a tutti i livelli sottostanti. La pro-
gettazione è ritenuta molto importante nel determinare la qualità del prodotto e viene
evidenziato che tutte le decisioni prese durante la progettazione influenzano la qualità
ottenibile in produzione. Inoltre, gli addetti alla produzione vengono resi direttamente
responsabili della qualità dei pezzi realizzati durante la loro realizzazione, anziché af-
fidarsi esclusivamente agli ispettori che devono identificare i pezzi difettosi dopo che
questi sono stati prodotti. Vengono previsti dei corsi di formazione sulla qualità totale
per tutti i lavoratori, che includono l’uso degli strumenti di controllo statistico di proces-
so. La ricerca dell’elevata qualità deve essere condivisa da tutti i membri dell’azienda.
Il terzo obiettivo della TQM è il miglioramento continuo, cioè la convinzione che
sia sempre possibile fare dei miglioramenti, sia che si tratti di un prodotto che di un pro-
cesso. In un’azienda il miglioramento continuo di solito si mette in pratica utilizzando
Controllo di qualità e ispezione 115

team di lavoro organizzati per risolvere i problemi specifici che vengono individuati
nella fase di produzione. I problemi affrontati non riguardano solo la qualità. Essi pos-
sono riguardare la produttività, i costi, la sicurezza o qualsiasi altra area di interesse per
l’azienda. I membri dei team sono selezionati in base alle loro conoscenze e alle loro
competenze sullo specifico problema da affrontare. Essi vengono selezionati dai vari re-
parti e collaborano part-time con il team, incontrandosi più volte al mese fino a quando
non sono in grado di formulare delle raccomandazioni e/o di risolvere il problema. Al
termine dell’incarico il team viene sciolto.

5.4.2  Sei Sigma


Il programma per la qualità Sei Sigma è nato ed è stato usato dalla Motorola Inc. negli
anni Ottanta. Successivamente è stato adottato da molte altre aziende negli Stati Uniti.
Il Sei Sigma è molto simile alla qualità totale per la sua enfasi sul coinvolgimento della
direzione, sulla creazione di team per risolvere problemi specifici e sull’utilizzo di stru-
menti di controllo statistico, come le carte di controllo. La principale differenza tra il
Sei Sigma e la TQM è che il Sei Sigma stabilisce degli obiettivi di qualità misurabili in
termini di distanza dei limiti di specifica dalla media della distribuzione normale della
caratteristica di qualità in unità di deviazione standard (sigma σ). Il fatto di raggiungere
un Sei Sigma significa essere prossimi a un processo di produzione “perfetto”. Un pro-
cesso operativo che è nel livello 6σ vuol dire che produce non più di 3.4 pezzi difettosi
ogni milione di pezzi prodotti, considerando come difetto tutto ciò che potrebbe com-
portare la mancata soddisfazione del cliente.
Come nella qualità totale, ci sono dei team di personale coinvolto nei progetti di risolu-
zione dei problemi. Un progetto deve avere un gruppo Sei Sigma per (1) definire il proble-
ma, (2) misurare il processo e valutare le prestazioni attuali, (3) analizzare il processo, (4)
suggerire dei miglioramenti e (5) sviluppare un piano di controllo per attuare e mantenere
i miglioramenti. La responsabilità della dirigenza del progetto Sei Sigma è quella di identi-
ficare i problemi importanti nei processi produttivi e supportare i vari team nell’affrontarli.

Base statistica del Sei Sigma  Un assunto base del Sei Sigma è che in ogni pro-
cesso si possono misurare e quantificare i pezzi difettosi. Una volta quantificati i pezzi
difettosi, si passa a identificare le cause dei difetti e i miglioramenti da apportare per
eliminarli o ridurli. Gli effetti degli eventuali miglioramenti possono essere valutati
utilizzando le stesse misure effettuate in precedenza e confrontando i valori misurati
prima e dopo l’intervento. Il confronto viene spesso riassunto come livello sigma, per
esempio specificando che dopo il miglioramento il processo opera a 4.8 sigma, mentre
prima operava solo a 2.6 sigma. La relazione tra il livello di sigma e i pezzi difettosi
al milione (defects per million, DPM) è riportata in Tabella 5.2 per un programma Sei
Sigma. Per il nostro esempio, si vede che il DPM si riduce da 135,666 a 483 pezzi
difettosi al milione.
La misura tradizionale di una buona qualità del processo è ± 3 σ (livello tre sigma).
Questo significa che se il processo è stabile e sotto controllo statistico, se la variabile
di output del processo segue una distribuzione normale con media centrata al valore
target, il 99,73% della produzione sarà nell’intervallo ±3 σ, e lo 0.27%, o 2700 pezzi
al milione, si troverà al di fuori di questi limiti (0.135% o 1350 parti al milione oltre il
limite superiore e la stessa quantità al di sotto del limite inferiore). Ma se guardiamo il
valore DPM corrispondente a 3.0 sigma in Tabella 5.2, notiamo che riporta 66,807 di-
fetti al milione. Perché c’è una differenza tra il valore di difettosità attesa che si calcola
considerando una distribuzione normale (2700 DPM) e il valore riportato in Tabella
5.2 (66,807 DPM)? I motivi di questa discrepanza sono due. Il primo è che i valori in
116 Tecnologia meccanica

TABELLA 5.2  Valori di sigma e corrispondenti pezzi difettosi al milione in un programma Sei Sigma.

Livello sigma Difetti per milione (DPM)a Livello sigma Difetti per milione (DPM)a
6.0σ 3.4 3.8σ 10,724
5.8σ 8.5 3.6σ 17,864
5.6σ 21 3.4σ 28,716
5.4σ 48 3.2σ 44,565
5.2σ 108 3.0σ 66,807
5.0σ 233 2.8σ 96,801
4.8σ 483 2.6σ 135,666
4.6σ 968 2.4σ 184,060
4.4σ 1,866 2.2σ 241,964
4.2σ 3,467 2.0σ 308,538
4.0σ 6,210 1.8σ 382,089

Fonte [3]

Tabella 5.2 si riferiscono a una sola coda della distribuzione, quindi per fare un corretto
confronto con le tabelle standard normali bisognerebbe considerare una sola coda della
distribuzione (cioè 1350 DPM). Il secondo, e molto più importante, è che quando Mo-
torola ha ideato il programma Sei Sigma, ha esaminato il funzionamento dei processi
per lunghi periodi, e nei lunghi periodi la media dei processi tende a spostarsi dal valore
originale. Per compensare questi effetti, Motorola ha deciso di considerare la media di
processo spostata di 1.5 σ rispetto al valore nominale. In sintesi, la Tabella 5.2 riporta
solo una coda della distribuzione normale e considera uno spostamento della media del-
la distribuzione di 1.5 σ rispetto alla distribuzione normale di riferimento. Questi effetti
sono rappresentati in Figura 5.3.

Misurare il livello sigma  In un progetto Sei Sigma, il livello delle prestazioni del pro-
cesso di interesse è sintetizzato dal valore di sigma. Questo valore viene valutato due volte
durante il progetto: (1) all’inizio per misurare il livello attuale di prestazioni del processo
e (2) dopo aver introdotto le azioni di miglioramento, per valutarne l’effetto. Questo per-
mette di fare un confronto tra prima e dopo. Valori alti di sigma indicano che il processo
ha delle buone prestazioni, mentre valori bassi indicano che le prestazioni sono scadenti.

Figura 5.3  Distribuzione normale traslata di 1.5 σ dalla media originale, considerando una sola coda della distribuzione (a
destra). Legenda: µ1 = media della distribuzione originale, µ2 = media della distribuzione traslata, σ = deviazione standard.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
Controllo di qualità e ispezione 117

Per determinare il livello di sigma, bisogna innanzitutto determinare il numero di


pezzi difettosi al milione. Si possono usare tre misure di pezzi difettosi al milione. La
prima, e la più importante, è il numero di difetti per milione di opportunità (defects per
million opportunities, DPMO), che tiene contro del fatto che possono esistere diversi
tipi di difetti in ogni unità (prodotto o servizio). I prodotti più complessi è probabile
che abbiano più opportunità di difetti, mentre i prodotti semplici ne hanno general-
mente meno. Quindi, il DPMO tiene conto della complessità del prodotto e permette di
confrontare prodotti o servizi completamente diversi. Il numero di pezzi difettosi per
milione di opportunità viene calcolato usando la seguente equazione:

(5.9)

dove Nd è il numero totale di difetti riscontrati, Nu il numero di unità nella popolazio-


ne di interesse, e No il numero di opportunità per un difetto in un’unità. La costante
1,000,000 converte il rapporto in difetti per milione.
Altre misure oltre al DPMO sono: il numero di difetti per milione (DPM), che mi-
sura tutti i difetti riscontrati nella popolazione, e le unità difettose per milione (DUPM),
che conta il numero di unità difettose nella popolazione considerando che potrebbero
esserci più di un difetto in ogni unità difettosa. Le due equazioni seguenti possono es-
sere utilizzate per calcolare il DPM e il DUPM:

(5.10)

(5.11)

dove Ndu è il numero di unità difettose nella popolazione e gli altri termini sono gli stessi
introdotti nell’Equazione (5.9). Una volta che i valori di DPMO, DPM e DUPM sono stati de-
terminati, si può usare la Tabella 5.2 per convertire i valori in corrispondenti livelli di sigma.

Esempio 5.2 Determinare il livello sigma di un processo


Un impianto di assemblaggio di lavastoviglie controlla 23 caratteristiche che sono
ritenute importanti per la qualità complessiva. Nel corso del mese precedente, sono
state prodotte 9056 lavastoviglie. Durante l’ispezione sono stati trovati 479 difetti tra
le 23 caratteristiche e 226 lavastoviglie hanno presentato uno o più difetti. Determi-
nare i valori di DPMO, DPM e DUPM per questi dati e convertire ogni valore nel livello
di sigma corrispondente.

Soluzione: Riassumendo i dati sono Nu = 9056, No = 23, Nd = 479, e Ndu = 226. Quindi,
479
DPMO = 1,000,000 = 2300
9056(23)
Il valore corrispondente del livello di sigma è circa 4.3 dalla Tabella 5.2
479
DPM = 1,000,000 = 52,893
9056
Il valore corrispondente del livello di sigma è circa 3.1
226
DUPM = 1,000,000 = 24,956
9056
Il valore corrispondente del livello di sigma è circa 3.4
118 Tecnologia meccanica

5.4.3  ISO 9000


ISO 9000 è un insieme di norme internazionali che riguardano la qualità dei prodotti (o
servizi, quando applicabile) forniti da un impianto. Queste norme sono state sviluppate
dalla International Organization for Standardization (ISO), che ha sede a Ginevra, in
Svizzera. ISO 9000 stabilisce le norme per i sistemi e le procedure che determinano la
qualità dei prodotti. Le ISO 9000 non sono norme che riguardano il prodotto, ma si fo-
calizzano sui sistemi e sulle procedure, come la struttura organizzativa, le responsabili-
tà, i metodi e le risorse necessarie per la gestione della qualità. Le ISO 9000 si occupano
delle attività utilizzate dalla struttura per garantire che i propri prodotti raggiungano la
soddisfazione del cliente.
Le ISO 9000 possono essere implementate in due modi, uno formale e uno infor-
male. L’implementazione formale significa che l’azienda viene registrata e questo cer-
tifica che l’azienda soddisfa i requisiti definiti nella norma. La registrazione si ottiene
attraverso un’agenzia esterna che effettua alcune ispezioni in loco e revisiona i sistemi
di qualità e le procedure adottate in azienda. Un vantaggio di avere la certificazione è
quello di poterla esporre in caso i clienti la richiedano, cosa frequente nella Comunità
Europea, in cui alcuni prodotti sono regolamentati da norme e la certificazione ISO
9000 è richiesta alle imprese che li producono.
L’implementazione informale significa che la struttura rispetta tutte o parte delle
norme semplicemente per migliorare i suoi sistemi di qualità. Anche senza la certifica-
zione formale, queste azioni sono utili alle aziende che desiderano fornire prodotti di
elevata qualità.

5.5 Principi di ispezione
L’ispezione comporta l’uso di varie tecniche di misura per determinare se un prodotto,
i suoi componenti, i suoi sottoinsiemi o i suoi materiali sono conformi alle specifiche
di progetto. Le specifiche di progetto sono stabilite dal progettista e per i prodotti mec-
canici riguardano dimensioni, tolleranze, finitura superficiale e caratteristiche simili.
Le dimensioni, le tolleranze e la finitura superficiale sono state definite nel Capitolo 4
e molti degli strumenti di misura per misurare queste specifiche sono già stati descritti
nell’appendice al Capitolo 4.
L’ispezione viene eseguita prima, durante e dopo la fabbricazione. I materiali in
ingresso e i componenti in ingresso vengono ispezionati appena ricevuti dai fornitori, le
unità di lavoro vengono ispezionate in vari momenti durante la produzione e il prodotto
finale viene ancora ispezionato prima della spedizione al cliente.
Bisogna chiarire la differenza tra ispezione e collaudo, che sono termini molto cor-
relati. Mentre l’ispezione determina la qualità del prodotto in relazione alle specifiche di
progetto, il collaudo si riferisce di solito agli aspetti funzionali del prodotto. Il prodotto
funziona come dovrebbe funzionare? Continuerà a funzionare per un periodo di tempo
ragionevole? Funzionerà in ambienti con condizioni estreme di temperatura e umidità?
Nel controllo qualità, il collaudo è una procedura in cui un prodotto, un sottoinsieme
di pezzi, un pezzo singolo o un materiale vengono osservati nelle stesse condizioni che
si potrebbero verificare durante il loro uso. Per esempio, un prodotto può essere collau-
dato utilizzandolo per un certo periodo di tempo per determinare se funziona bene. Se
passa il collaudo, è approvato e può essere spedito al cliente.
Il collaudo di un componente o di un materiale può anche essere dannoso o distruttivo.
In questi casi, gli elementi devono essere testati a campione. I costi di un collaudo distruttivo
sono spesso rilevanti e quindi sono stati ideati dei metodi che non distruggono il prodotto.
Questi metodi sono chiamati collaudi non distruttivi o verifiche non distruttive.
Controllo di qualità e ispezione 119

Le ispezioni si dividono in due tipi: (1) le ispezioni per variabili, in cui vengono
misurate le dimensioni del prodotto o dei pezzi di interesse tramite appositi strumenti
di misura e (2) le ispezioni per attributi, in cui si controllano i pezzi per vedere se
sono nonconformi (ossia non rispettano i limiti di tolleranza). Il vantaggio di misurare
una dimensione è che i dati ottenuti si riferiscono al valore effettivo della dimensione.
I dati possono essere registrati nel tempo ed essere utilizzati nelle carte di controllo per
analizzare gli andamenti del processo di fabbricazione. Il processo può essere quindi
regolato sulla base dei dati misurati in modo che i pezzi futuri siano prodotti con di-
mensioni più vicine al valore nominale di progetto. Quando invece si valutano solo gli
attributi, tutto quello che si sa è se il prodotto rispetta la tolleranza. Questo metodo però
ha il vantaggio di essere veloce e a basso costo.
Le procedure di ispezione sono spesso eseguite manualmente. Il lavoro è noioso e
monotono, ma serve essere molto precisi e accurati. A volte servono delle ore per mi-
surare le dimensioni principali di un singolo pezzo. A causa del tempo impiegato e del
costo delle ispezioni manuali, di solito si applicano delle procedure di campionamento
statistico per ridurre il numero di pezzi da ispezionare.

Ispezione a campione versus ispezione al 100%  Quando si usa l’ispezione per


campionamento, il numero di pezzi campionati di solito è piccolo in confronto al totale
dei pezzi prodotti. La dimensione del campione può essere anche solo l’1% della produ-
zione. Poiché non tutti gli elementi della popolazione sono misurati, vi è il rischio che
la procedura di campionamento non ispezioni i pezzi difettosi. Uno degli obiettivi del
campionamento statistico è quello di definire il rischio atteso, cioè determinare il numero
medio di pezzi difettosi che passerà attraverso la procedura di campionamento senza es-
sere controllati. Il rischio può essere ridotto aumentando la dimensione del campione e la
frequenza con cui i campioni vengono estratti. Ma resta il fatto che con una procedura di
ispezione a campione non si può garantire la qualità del 100% dei pezzi prodotti.
Teoricamente, l’unico modo per garantire il 100% di qualità è quello di ispezio-
nare il 100% dei pezzi; così facendo tutti i pezzi difettosi vengono testati e solo quelli
non difettosi sono selezionati dalla procedura di ispezione. Se però l’ispezione al 100%
viene effettuata manualmente, si incontrano due problemi. Il primo è il costo, perché
anziché dividere il costo dell’ispezione del campione su tutti i pezzi prodotti, il costo
dell’ispezione si applica a ogni pezzo. Il costo dell’ispezione può anche superare il costo
di produzione. Il secondo problema che riguarda il controllo manuale al 100% è che
quasi sempre si verificano degli errori nella procedura di ispezione. Il tasso di errore
dipende dalla complessità e dalla difficoltà dell’operazione di ispezione e dall’abilità ri-
chiesta all’operatore per valutare l’ispezione. A questi fattori si aggiunge l’affaticamento
dell’operatore. Questi errori significano che un certo numero di componenti difettosi
possono essere accettati (perché giudicati conformi) e un certo numero di pezzi buoni
possono essere scartati (perché giudicati difettosi). Quindi anche l’ispezione al 100%
con metodi manuali non garantisce di avere una qualità finale del 100%

Ispezione automatizzata al 100%  L’automazione del processo di ispezione rap-


presenta un’alternativa per risolvere i problemi associati all’ispezione manuale al 100%.
L’ispezione automatizzata può essere integrata nel processo di produzione ed effettuata
contemporaneamente ad altre azioni del processo. Queste azioni possono essere (1) lo
smistamento dei pezzi e/o (2) il feedback di dati al processo. Lo smistamento dei pezzi
consiste nella separazione dei pezzi secondo due o più livelli di qualità. Lo smistamento
di base comprende due livelli, accettabile e non accettabile, ma in alcuni casi servono
più di due livelli, per esempio accettabile, rilavorabile e da scartare. Lo smistamento e
l’ispezione possono essere combinati nella stessa stazione. Un approccio alternativo è
120 Tecnologia meccanica

quello di posizionare una o più ispezioni lungo la linea di lavorazione, che poi inviano
le istruzioni a una stazione di smistamento alla fine della linea per indicare le azioni
necessarie per ogni pezzo.
Avere un feedback sui dati dell’ispezione durante il processo di produzione per-
mette di effettuare delle regolazioni sul processo stesso per ridurne la variabilità e mi-
gliorare la qualità. Se le misure di controllo indicano che l’output si è spostato verso uno
dei limiti (per esempio, a causa dell’usura dell’utensile), si può applicare un’azione cor-
rettiva modificando i parametri per riportare l’output verso il valore nominale. L’output
può essere mantenuto in un intervallo di variabilità minore rispetto a quello ottenibile
con i soli metodi di ispezione a campionamento.

Ispezione a contatto versus ispezione senza contatto  Ci sono una varietà di


tecniche di misurazione disponibili per l’ispezione dei pezzi. Queste tecniche si divi-
dono principalmente in ispezione a contatto e ispezione senza contatto. L’ispezione a
contatto implica l’uso di una sonda meccanica o altro dispositivo che entra in contatto
con l’oggetto da ispezionare. Per sua natura, l’ispezione a contatto di solito riguarda la
misura di una dimensione fisica del pezzo. Si può realizzare manualmente oppure au-
tomaticamente. La maggior parte dei dispositivi tradizionali di misura a contatto sono
descritti nell’appendice al Capitolo 4. Un esempio di sistema di misura a contatto auto-
matizzato è la macchina di misura a coordinate.
I metodi di ispezione senza contatto utilizzano un sensore posto a una certa di-
stanza dall’oggetto per misurare la/e grandezza/e desiderata/e. I vantaggi tipici di
un’ispezione senza contatto sono (1) i cicli di ispezione più veloci e (2) il fatto di non
causare danni ai pezzi che possono derivare dal contatto. I metodi di ispezione senza
contatto possono essere effettuati più volte sulla linea di produzione senza necessità
di una particolare gestione. Al contrario, l’ispezione a contatto di solito richiede che il
pezzo si trovi in una specifica posizione e quindi impone il suo spostamento dalla linea
di produzione. Inoltre, metodi di ispezione senza contatto sono intrinsecamente più
veloci perché impiegano una sonda fissa che non richiede il posizionamento per ogni
pezzo. Invece l’ispezione a contatto richiede il contatto della sonda con il pezzo e questo
richiede tempo.
Le tecniche di ispezione senza contatto possono essere classificate in ottiche o non
ottiche. Tra le tecniche ottiche va citata la visione artificiale, tra quelle non ottiche quel-
le che utilizzano campi elettrici, radiazioni e ultrasuoni.

5.6 Tecnologie di ispezione moderne


Oggi le tecnologie più avanzate stanno sostituendo le tecniche di misura manuali negli
impianti di produzione moderni. Queste tecnologie comprendono sia metodi di rileva-
mento a contatto che senza contatto. Iniziamo la nostra trattazione descrivendo un’im-
portante tecnologia di ispezione a contatto: le macchine di misura a coordinate.

5.6.1  Macchine di misura a coordinate


Una macchina di misura a coordinate (coordinate measuring machine, CMM) è costituita
da una sonda di contatto e un meccanismo per posizionare la sonda lungo le tre coordinate
per porla in contatto con le superfici del pezzo, come mostrato in Figura 5.4. Le coordinate
della posizione della sonda vengono registrate in modo molto preciso quando si trova a
contatto con la superficie del pezzo, ricavando così i dati relativi alla forma del pezzo.
In una CMM, la sonda è fissata a una struttura che permette il movimento della sonda
rispetto al pezzo, che rimane fisso su un piano di lavoro connesso alla struttura. La struttu-
Controllo di qualità e ispezione 121

ra deve essere rigida per minimizzare inflessioni che contribuiscono all’errore di misura.
La macchina in Figura 5.4 ha una struttura a ponte, che è una delle strutture più comuni.
Il componente più importante di una CMM è la sonda di contatto e il suo funzionamento.
I “sensori a contatto” moderni hanno un contatto elettrico sensibile che emette un segnale
quando la sonda devia dalla sua posizione neutra anche se solo in minima entità. In caso
di contatto, le coordinate della sonda vengono registrate dal controllore della CMM, che
corregge il dato acquisito considerando l’extracorsa e le dimensioni della sonda.
Il posizionamento della sonda rispetto al pezzo può essere eseguito manualmente
o sotto il controllo di un computer. La modalità di funzionamento di una CMM si clas-
sificano in (1) controllo manuale, (2) manuale assistito da computer, (3) motorizzato
assistito da computer e (4) sotto controllo diretto del computer.
Nel controllo manuale, un operatore muove fisicamente la sonda lungo gli assi
mettendola in contatto con il pezzo e registrandone le misure. La sonda è libera di muo-
versi per facilitare il posizionamento. Le misure sono riportate in digitale e l’operatore
può registrare la misura manualmente o automaticamente (stampandola su carta). Gli
eventuali calcoli trigonometrici devono essere effettuati dall’operatore. Nella modalità
manuale assistita da computer, la CMM è in grado di elaborare in automatico i dati ed
eseguire i calcoli. I calcoli comprendono anche le semplici conversioni da unità ameri-
cane a sistema metrico, il calcolo dell’angolo tra due piani e la determinazione del cen-
tro dei fori. La sonda è sempre libera di muoversi per consentire all’operatore di portarla
a contatto con le superfici del pezzo.
Nella modalità motorizzata assistita da computer è la CMM che guida la sonda lun-
go gli assi della macchina sotto la guida dell’operatore. Un dispositivo tipo joystick è usato

Figura 5.4  Macchina di misura a coordinate. Foto per


gentile concessione della Brown & Sharpe Manufactu-
ring Company. (Fundamentals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
122 Tecnologia meccanica

per controllare il movimento. Motori passo-passo a bassa potenza e frizioni sono utilizzati
per ridurre l’effetto delle collisioni tra la sonda e il pezzo. La CMM che opera sotto con-
trollo diretto del computer funziona come una macchina utensili a controllo numerico. È
una macchina di ispezione che opera sotto il controllo di un programma. La funzionalità di
base della CMM consiste nel determinare i valori delle coordinate dei punti in cui la sonda
entra in contatto con la superficie del pezzo. Il controllo del computer permette alla CMM di
compiere misure e ispezioni più sofisticate, come (1) la determinazione del centro di un foro
o di cilindro, (2) la definizione di un piano, (3) la misura della planarità di una superficie o
del parallelismo tra due superfici e (4) la misura dell’angolo tra due piani.
I vantaggi dell’uso delle macchine di misura a coordinate rispetto ai metodi ma-
nuali di ispezione sono: (1) una maggiore produttività, perché una CMM è in grado
di eseguire procedure di ispezione complesse in molto meno tempo rispetto ai metodi
manuali tradizionali, (2) una maggiore precisione e accuratezza intrinseche rispetto ai
metodi tradizionali e (3) un errore umano ridotto attraverso l’automazione della proce-
dura di ispezione e dei relativi calcoli [8].

5.6.2  Visione artificiale


I sistemi di visione artificiale includono l’acquisizione, l’elaborazione e l’interpreta-
zione di immagini computerizzate. I sistemi di visione artificiale possono essere bi-
dimensionali o tridimensionali. I sistemi di visualizzazione bidimensionali elaborano
l’oggetto come un’immagine bidimensionale, cosa che risulta abbastanza adeguata ad
applicazioni che riguardano oggetti piani. Alcuni esempi di applicazione di questa tec-
nica sono la misura di dimensioni, la verifica della presenza di componenti e il controllo
delle caratteristiche di una superficie piana (o quasi piana). I sistemi di visualizzazione
tridimensionali sono necessari per le applicazioni che richiedono un’analisi tridimen-
sionale dell’oggetto, dove contorni e forme sono rilevanti. La maggior parte delle appli-
cazioni oggi sono di tipo bidimensionale, quindi la nostra discussione si concentra su
questa tecnologia.
Il funzionamento di un sistema di visione artificiale consiste di tre fasi, rappresen-
tate in Figura 5.5: (1) l’acquisizione e la digitalizzazione dell’immagine (2) il processa-
mento e l’analisi dell’immagine e (3) l’interpretazione.
L’acquisizione delle immagini e la digitalizzazione vengono realizzate da una vi-
deocamera collegata a un sistema di digitalizzazione per memorizzare i dati dell’im-
magine per la successiva elaborazione. Con la fotocamera focalizzata sul soggetto,
l’immagine si ottiene dividendo l’area di visualizzazione in una matrice di elementi
discreti (chiamati pixel), in cui ogni elemento assume un valore proporzionale all’inten-
sità luminosa di quella parte della scena. Il valore dell’intensità di ciascun pixel viene
convertito nel valore equivalente digitale da un convertitore analogico-digitale. L’acqui-
sizione delle immagini e la loro digitalizzazione è illustrata in Figura 5.6 per un sistema
di visione binario, in cui l’intensità della luce è ridotta a uno dei due valori (bianco o
nero = 0 o 1), come riportato in Tabella 5.3. La matrice di pixel nella nostra figura è solo
12 × 12, ma un vero e proprio sistema di visione dovrebbe avere molti più pixel per una
migliore risoluzione. Ogni insieme di valori dei pixel digitalizzati è un fotogramma e
il fotogramma è memorizzato nel computer.
Il processo di lettura di tutti i valori dei pixel in un fotogramma viene eseguito 30
volte al secondo negli Stati Uniti, 25 volte al secondo nei sistemi europei.
La risoluzione di un sistema di visione artificiale è la sua capacità di percepire
i dettagli e le caratteristiche più piccole dell’immagine. Questo dipende dal numero
di pixel usati. Le matrici di pixel più comuni sono 640 (orizzontale) x 480 (verticale),
1024 x 768 o 1040 x 1392. Maggiori sono i pixel nel sistema di visione, più alta è la sua
Controllo di qualità e ispezione 123

Acquisizione e Processamento
digitalizzazione e analisi Interpretazione
dell’immagine dell’immagine

Decisioni e azioni

Sorgente di luce Figura 5. 5 Funziona-


mento di un sistema di
visione artificiale. (Fun-
damentals of M odern
Pezzi Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Nastro trasportatore & Sons, Inc.)

Figura 5.6  Acquisizione e digitalizzazio-


ne di un’immagine: (a) l’immagine consi-
ste di un oggetto scuro su sfondo chiaro,
(b) la matrice di pixel 12x12 sovrapposta
all’immagine. (Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010.Ristampato con conces-
(a) (b) sione di John Wiley & Sons, Inc.)

TABELLA 2.9  Valori dei pixel in un sistema di visione binaria per l’immagine della Figura 5.6.

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 1 1
1 1 1 1 1 1 0 1 1 0 1 1
1 1 1 1 1 0 0 1 1 0 1 1
1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1 1
1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1
1 1 1 0 1 0 0 0 0 0 1 1
1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1 1
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
124 Tecnologia meccanica

risoluzione. Tuttavia, il costo del sistema aumenta con l’aumentare del numero di pixel.
Inoltre, il tempo necessario per leggere gli elementi dell’immagine e per elaborare i
dati aumenta con il numero di pixel. Oltre ai sistemi di visione binari, esistono sistemi
di visione più sofisticati che distinguono i vari livelli di grigio: questo permette loro di
determinare delle caratteristiche superficiali come la trama. Questi sistemi sono chia-
mati visione a scala di grigi e usano tipicamente 4, 6 o 8 bit di memoria. Altri sistemi
di visione sono anche in grado di riconoscere i colori.
La seconda funzione della visione artificiale è l’elaborazione e analisi dell’imma-
gine. I dati raccolti per ogni fotogramma devono essere analizzati nel tempo necessario
per completare un ciclo di scansione (1/30 s o 1/25s). Sono state sviluppate diverse tec-
niche per analizzare i dati delle immagini, compreso il rilevamento dei bordi e l’estra-
zione delle caratteristiche. Il rilevamento dei bordi consiste nel determinare la posi-
zione dei confini tra l’oggetto e l’ambiente circostante. Questo si ottiene identificando il
contrasto dell’intensità della luce tra i pixel adiacenti ai bordi dell’oggetto. L’estrazione
delle caratteristiche si occupa invece di determinare i valori delle proprietà di un’im-
magine. Molti sistemi di visione identificano un oggetto nell’immagine mediante le sue
caratteristiche. Le caratteristiche di un oggetto sono l’area, la lunghezza, la larghezza, il
diametro, il perimetro, il centroide e l’aspect ratio ecc. Gli algoritmi di estrazione delle
caratteristiche servono a determinare queste caratteristiche basandosi sulla superficie e
sui bordi dell’oggetto. Per esempio l’area di un oggetto può essere determinata contando
il numero di pixel che formano l’oggetto e la lunghezza misurando la distanza (in pixel)
tra due bordi opposti.
L’interpretazione delle immagini è la terza funzione e viene realizzata basandosi
sulle caratteristiche estratte. L’interpretazione di solito riguarda il riconoscimento de-
gli oggetti, cioè l’identificazione dell’oggetto nell’immagine mediante il confronto con
modelli predefiniti o valori standard. Una tecnica comune di interpretazione infatti è il
confronto con un modello, che si riferisce ai metodi che confrontano una o più carat-
teristiche dell’immagine con le corrispondenti caratteristiche di un modello (template)
memorizzato nel computer.
La funzione di interpretazione nella visione artificiale di solito è legata alle appli-
cazioni, che si dividono in quattro categorie: (1) ispezione, (2) identificazione dei pezzi,
(3) guida visiva e controllo e (4) monitoraggio della sicurezza.
L’ispezione è la categoria più importante e rappresenta circa il 90% di tutte le
applicazioni industriali. Le sue applicazioni riguardano la produzione di massa, in
cui il tempo necessario per programmare e installare il sistema può essere ammor-
tizzano su molte migliaia di unità prodotte. I compiti tipici dell’ispezione sono: (1) la
misura delle dimensioni, che comporta la misura di alcune dimensioni di prodotti che
si muovono lungo un nastro trasportatore, (2) le funzioni di verifica, che consistono
nel verificare che tutti i componenti di un prodotto assemblato siano al loro posto o
che in una certa posizione di un pezzo ci sia un foro o operazioni simili, e (3) l’indivi-
duazione delle imperfezioni e difetti, come un’etichetta stampata male o con numeri
o testi non leggibili.
Le applicazioni di identificazione dei pezzi includono il conteggio dei pezzi che
scorrono su un nastro trasportatore, lo smistamento dei pezzi e il riconoscimento dei
vari tipi. La guida e controllo visivo prevede un sistema di visione interfacciato con
un robot (o simile) per controllare il movimento della macchina. Per esempio si usa per
la tracciabilità del cordone nella saldatura ad arco, per il posizionamento dei pezzi, per
l’orientamento dei pezzi o per prelevare i pezzi da un contenitore. Nelle applicazioni di
monitoraggio della sicurezza, il sistema di visione controlla il processo produttivo al
fine di rilevare le irregolarità che potrebbero indicare una condizione pericolosa, sia per
gli esseri umani che per le attrezzature.
Controllo di qualità e ispezione 125

5.6.3  Altre tecniche di ispezione senza contatto


Oltre ai metodi di ispezione ottica, esistono anche delle tecniche di ispezione non otti-
che, per esempio quelle basate su campi elettrici, radiazioni o ultrasuoni.
In certe condizioni, i campi elettrici generati da una sonda elettrica possono essere
utilizzati per l’ispezione. I campi presentano una capacità e un’induttanza, e sono in-
fluenzati dagli oggetti posti in prossimità della sonda. Il pezzo viene di solito posiziona-
to in un modo preciso rispetto alla sonda. Misurando l’effetto che l’oggetto ha sul campo
elettrico, si possono misurare indirettamente le caratteristiche del pezzo, per esempio
quelle dimensionali, di spessore del materiale e di difetti nel materiale (microfratture e
porosità sotto la superficie).
Le tecniche a radiazione impiegano dei raggi X per ispezionare i componenti
metallici e le saldature. La quantità di radiazione assorbita dall’oggetto metallico ne
indica lo spessore e la presenza di difetti. Per esempio, l’ispezione a raggi X viene
usata per misurare lo spessore di una lamiera durante la laminazione. I dati rilevati
dall’ispezione vengono utilizzati per regolare la distanza tra i rulli del laminatoio.
Le tecniche a ultrasuoni impiegano dei suoni ad alta frequenza (> 20.000 Hz) per
eseguire varie attività di ispezione. Una di queste tecniche analizza le onde ultrasoniche
emesse da una sonda e riflesse dall’oggetto. Durante l’impostazione della procedura di
ispezione, si posiziona un campione “ideale” di fronte alla sonda per ottenere un model-
lo di suono riflesso. Questo modello viene utilizzato come standard con cui confrontare
le onde riflesse dai pezzi prodotti. Se le onde riflesse dal pezzo corrispondono al mo-
dello, allora il prodotto viene accettato, altrimenti viene scartato.

Bibliografia

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Vol. IV, Quality Control and Assembly. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn,
Michigan, 1987.
126 Tecnologia meccanica

Domande di ripasso
11. Perché la tabella statistica della distribuzione nor-
  1. Quali sono i due aspetti principali della qualità di male utilizzata in un programma Sei Sigma è diver-
un prodotto? sa dalle tabelle statistiche standard che si trovano
  2. Quali sono le differenze tra un processo che è in in testi di probabilità e statistica?
controllo statistico e uno che non lo è? 12. Per valutare le prestazioni di un certo processo, un
  3. Definire il termine capacità di processo. programma Sei Sigma utilizza tre misure diverse
  4. Cosa sono i limiti naturali di tolleranza? per i difetti per milione (DPM). Elencare queste tre
  5. Qual è la differenza tra le carte di controllo per va- misure di DPM.
riabili e le carte di controllo per attributi? 13. L’ispezione automatizzata può essere integrata
  6. Descrivere i due tipi di carte di controllo per variabili. con il processo di produzione durante l’esecuzio-
  7. Quali sono i due tipi fondamentali di carta di con- ne di alcune azioni. Quali sono queste possibili
trollo per attributi? azioni?
  8. Guardando una carta di controllo, che cosa si deve 14. Dare un esempio di tecnica di ispezione senza
cercare per identificare problemi? contatto.
  9. Quali sono i tre obiettivi principali della qualità to- 15. Che cos’è una macchina di misura a coordinate?
tale (TQM)? 16. Che cos’è un sistema di visione binario?
10. Qual è la differenza tra i clienti esterni e i clienti in- 17. Descrivere alcune delle tecnologie usate da
terni nella TQM? In quale società è stato utilizzato sensori senza contatto non ottici disponibili per
per la prima volta il programma Sei Sigma? l’ispezione.

Problemi
  6. Dieci campioni di dimensione n = 8 sono stati raccolti
1. Si usa un processo di tornitura automatica per produr- da un processo in stato di controllo statistico, per mi-
re pezzi con un diametro medio di 6.255 cm. Il proces- surare una dimensione di interesse l’oggetto prodot-

so è in controllo statistico e l’output ha una distribuzio- to. I valori di X calcolati per ogni campione sono (in
ne normale con deviazione standard pari a 0.004 cm. mm) 9.22, 9.15, 9.20, 9.28, 9.19, 9.12, 9.20, 9.24, 9.17
Determinare l’intervallo di tolleranza naturale. e 9.23. I valori di R sono (in mm) 0.24, 0.17, 0.30, 0.26,
2. Un’operazione di piegatura della lamiera realizza i 0.26, 0.19, 0.21, 0.32, 0.21 e 0.23, rispettivamente.
pezzi con un angolo medio uguale a 92.1°. Il pro- (a) Determinare i valori della linea centrale e dei limiti

cesso è in controllo statistico e i valori dell’angolo LCL e UCL per le carte X-R. (b) Costruire le carte di
seguono una distribuzione normale con una devia- controllo riportando i valori sulle carte.
zione standard di 0.23° . La specifica di progetto   7. Sette campioni di 5 pezzi ciascuno sono stati rac-
dell’angolo è 90° ± 2. Determinare la capacità di colti da un processo di estrusione che è in controllo
processo. statistico e si è misurato il diametro del prodotto

3. Un processo di estrusione di plastica produce un estruso. I valori X calcolati per ogni campione sono
estruso tubolare con un diametro esterno medio (in mm) 1.002, 0.999, 0.995, 1.004, 0.996, 0.998
pari a 28.6 mm. Il processo è in controllo statistico e 1.006. I valori di R sono (in mm) 0.010, 0.011,
e l’output segue una distribuzione normale con de- 0.014, 0.020, 0.008, 0.013 e 0.017 rispettivamente.
viazione standard uguale a 0.53 mm. Determinare (a) Determinare i valori della linea centrale dei limiti

l’intervallo di tolleranza naturale del processo. LCL e UCL per le carte X-R. (b) Costruire le carte
4. In 12 campioni di dimensione n = 7 il valore medio di controllo e riportare i valori osservati sulle carte.

della media dei campioni è X = 6.860 cm per la di-   8. Per costruire una carta p si raccolgono sei campio-

mensione di interesse e la media dei range è R = ni di 25 pezzo ciascuno e il numero medio di difetti
0.027 cm. Determinare (a) i limiti di controllo inferio- per campione è 2.75. Determinare la linea centrale

re e superiore della carta X e (b) i limiti di controllo e i limiti LCL e UCL per la carta p.
inferiore e superiore per la carta R.   9. Per costruire una carta p si raccolgono dieci cam-
5. In 9 campioni di dimensione n = 10, la grande me- pioni di dimensioni uguali. Il numero totale di parti

dia della caratteristica di interesse è pari a X = 100, in questi dieci campioni è 900 e il numero totale di

mentre la media dei range risulta R = 8.5. Determi- parti difettose è 117. Determinare la linea centrale
nare (a) i limiti di controllo inferiore e superiore della e i limiti LCL e UCL per la carta p.

carta X e (b) i limiti di controllo inferiore e superiore 10. Si sa che in una certa operazione di lavorazione
per la carta R. del silicio per produrre circuiti integrati la resa del
Controllo di qualità e ispezione 127

processo è in media di 91% chip conformi. Il nume- livello di 5.0 sigma in tutte e tre le misure di DPM,
ro di chip per piastra è 200. Determinare la linea quanti difetti e quante unità difettose produrrà con-
centrale e i limiti LCL e UCL per la carta p che po- siderando una produzione annua di 15.000 pezzi?
trebbe essere usata per questo processo. Si supponga che si usino sempre le stesse otto
11. Dodici auto sono state ispezionate dopo l’assem- caratteristiche per valutarne la qualità.
blaggio finale. Il numero di difetti trovati varia tra 14. Il reparto di ispezione in un impianto di assem-
87 e 139 difetti per auto con una media di 116. blaggio finale di automobili ispeziona le auto che
Determinare la linea centrale e limiti LCL e UCL escono dalla linea di produzione considerando 55
per la carta c che potrebbe essere usata in questa caratteristiche di qualità ritenute importanti per la
situazione. soddisfazione del cliente. Il reparto conta il numero
12. Una fonderia che stampa pale per turbine ispezio- di difetti riscontrati ogni 100 auto, che è lo stesso
na otto caratteristiche che sono considerate criti- tipo di metrica usata da un’agenzia nazionale a di-
che per la qualità. Nel corso del mese precedente, fesa del consumatore. Nel corso di un mese, un
sono stati prodotti 1236 pezzi. Durante l’ispezione, totale di 16.582 auto sono uscite dalla catena di
sono stati rilevati 47 difetti in relazione alle otto ca- montaggio. Queste auto comprendono un totale di
ratteristiche e 29 pezzi avevano uno o più difetti. 6.045 difetti tra le 55 caratteristiche considerate,
Determinare i valori di DPMO, DPM, e DUPM in un che si traduce in 36,5 difetti ogni 100 auto. Inoltre,
programma Sei Sigma e convertire ogni valore al si sa che 1955 vetture avevano uno o più dei difetti.
suo livello sigma corrispondente. Determinare i valori di DPMO, DPM, e DUPM in un
13. Nel caso del problema precedente, se la fonderia programma Sei Sigma e convertire ogni valore al
volesse migliorare le sue prestazioni di qualità al suo livello sigma corrispondente.
II Processi di solidificazione
Fondamenti della colata

Capitolo 6
dei metalli

Questo capitolo tratta i processi che realizzano componenti attraverso la solidificazione di


un materiale inizialmente allo stato liquido o pastoso. A questa categoria appartengono la
colata e lo stampaggio. I processi di solidificazione si classificano in base al materiale che
viene processato: (1) metallo, (2) ceramica, in particolare vetro1, e (3) polimeri o compositi
a matrice polimerica (PMC). Questo capitolo e il successivo sono dedicati alla trattazione
della colata dei metalli.
La colata è un processo in cui il metallo fuso fluisce sotto l’azione della forza di gravità
o di altra forza in uno stampo dove solidifica e prende la forma della cavità dello stampo
stesso. Il componente realizzato mediante colata si indica con il termine di grezzo o
getto. La colata è uno dei più antichi processi di formatura, risalente a 6.000 anni fa. Il
principio della colata è apparentemente semplice: si fa fondere il metallo, si versa in uno
stampo e si lascia raffreddare e solidificare. In realtà ci sono molti fattori e variabili che
devono essere considerati al fine di ottenere un buon componente fuso.
I processi di colata includono sia la colata di semilavorati, quali i lingotti, sia la colata di grezzi.
Il termine lingotto è solitamente associato alle industrie dei metalli primari. Si riferisce ad una
colata di grandi dimensioni in una forma semplice destinata a una successiva rilavorazione
mediante processi quali la laminazione o la forgiatura. La colata di grezzi si riferisce, invece,
alla produzione di geometrie più complesse che sono molto più vicine alla forma finale del
pezzo. Questo capitolo e il successivo trattano principalmente la colata dei grezzi.
I metodi di colata disponibili sono molteplici e contribuiscono a rendere il processo uno dei
più versatili sistemi di produzione. Tra le funzionalità e i vantaggi della colata si possono
elencare i seguenti:
• La colata può essere utilizzata per creare forme complesse, sia esterne che interne.
• Alcuni processi di colata sono in grado di produrre pezzi net shape, cioè che non
necessitano di altre lavorazioni per ottenere la forma e le dimensioni richieste. Altri
processi di colata sono i near net shape, per cui sono necessarie poche lavorazioni
aggiuntive (solitamente per asportazione di truciolo) per ottenere le accuratezze, le
precisioni e la finitura superficiale richieste.
• La colata può essere utilizzata per produrre pezzi di grandi dimensioni. I getti pos-
sono raggiungere un peso superiore alle 100 tonnellate.
• Il processo di colata può essere eseguito su qualsiasi metallo che può essere tra-
sformato in stato liquido.
• Alcuni metodi di colata sono molto adatti alla produzione di massa.
Ci sono anche degli svantaggi connessi alla colata, a seconda del metodo utilizzato.
Questi includono alcuni limiti sulle proprietà meccaniche, sulla porosità, sulla scarsa
precisione dimensionale e di finitura superficiale è da sottolineare che per alcuni proces-

1
  Tra le ceramiche, solo il vetro viene lavorato per solidificazione; le ceramiche tradizionali e innovative sono
lavorate attraverso processi che partono da polveri (Capitolo 11).
132 Tecnologia meccanica

si, i rischi per la sicurezza dell’uomo durante la lavorazione dei metalli alle alte tempera-
ture e i problemi ambientali non sono trascurabili.
I pezzi realizzati mediante processi di colata variano nelle dimensioni, da componenti piccoli
che pesano solo poche decine di grammi fino a prodotti di grandi dimensioni che pesano
tonnellate. Esempi di componenti realizzati mediante colata sono corone dentali, gioielli,
statue, stufe, blocchi motore e telai per autoveicoli, ruote di treni, padelle, tubi e corpi pompa.
Tutti i metalli, sia ferrosi che non ferrosi, possono essere colati.
La colata può essere utilizzata anche per altri materiali come i polimeri e le ceramiche, tuttavia, i
principi di questi sono molto diversi e ne giustificano la trattazione in capitoli successivi. Questo
capitolo e il successivo trattano esclusivamente della colata dei metalli. In questo capitolo ven-
gono discussi i concetti fondamentali applicabili sostanzialmente a tutti i processi di colata. Nel
capitolo seguente sono descritti i singoli processi di colata, insieme ad alcune problematiche di
progettazione che devono essere considerate nella realizzazione di parti con questa tecnica.

6.1  Panoramica dei processi di colata

Come processo di produzione, la colata solitamente viene effettuata nelle fonderie. Una fonde-
ria è una fabbrica attrezzata per realizzare stampi, fondere e movimentare un metallo fuso, re-
alizzare il processo di colata e attuare le conseguenti operazioni di pulizia e finitura del grezzo.
I lavoratori che svolgono le operazioni di colata in queste fabbriche sono chiamati fonditori.

6.1.1 Processo di colata


La descrizione del processo di colata inizia ovviamente dallo stampo. Lo stampo o forma
comprende una cavità la cui geometria determina la forma che avrà il pezzo finale. La di-
mensione effettiva e la forma della cavità devono essere leggermente sovradimensionate
per consentirne il ritiro che si verifica nel metallo durante la solidificazione e il raffredda-
mento. Visto che la quantità di ritiro dipende dal materiale, la cavità dello stampo deve es-
sere progettata appositamente, nel caso di vincoli stringenti sulla precisione dimensionale,
a seconda del particolare metallo che viene colato. Gli stampi sono realizzati in diversi
materiali, tra cui sabbia, gesso, ceramica e metallo. I vari processi di colata vengono spes-
so classificati secondo i diversi tipi di materiale con cui sono realizzati gli stampi.
Per realizzare la colata, il metallo viene riscaldato ad una temperatura sufficientemente
elevata per trasformarlo nel suo stato liquido. Viene quindi versato, o comunque diretto, nel-
Bacino di colata
Metallo colato
nella cavità
Materozza
Anima
Metallo fuso
Staffa superiore
Canale di colata
Linea
di separazione

Canale distributore
Contenitore Staffa inferiore
Stampo

Figura 6.1  Due diverse tipologie di stampo: (a) uno stampo aperto, ovvero un semplice contenitore con la forma del pezzo e (b)
uno stampo chiuso, in cui la forma dello stampo è più complessa e richiede un sistema di colata che porta il metallo fuso alla
cavità dello stampo. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Fondamenti della colata dei metalli 133

la cavità dello stampo. Nel caso di uno stampo aperto, come quello riportato in Figura 6.1
(a), il metallo liquido viene versato semplicemente fino a riempire la cavità. In uno stampo
chiuso, come quello riportato in Figura 6.1 (b), viene realizzato un percorso, detto sistema
di colata, per consentire al metallo fuso di fluire dall’esterno dello stampo verso la cavità. Lo
stampo chiuso è di gran lunga il tipo più usato nei processi di colata industriali.
Quando il metallo fuso entra nella cavità, comincia a raffreddarsi. Quando la tempe-
ratura diventa sufficientemente bassa (ad esempio, arriva al punto di solidificazione di un
metallo puro), inizia la solidificazione. La solidificazione comporta un cambiamento di fase
del metallo. Il cambiamento di fase richiede del tempo per completarsi e il processo rilascia
una quantità considerevole di calore. È in questa fase del processo che il metallo assume la
forma solida della cavità dello stampo e molte delle sue proprietà e caratteristiche.
Una volta che il pezzo si è sufficientemente raffreddato, viene rimosso dallo stampo. A
seconda del metodo di colata, e del metallo utilizzato, possono servire delle lavorazioni ag-
giuntive. Ad esempio la tranciatura delle bave in eccesso, la pulizia della superficie, l’ispezione
del prodotto e il trattamento termico per migliorarne le proprietà. Può essere necessaria anche
una lavorazione meccanica per asportazione di truciolo (Capitolo 14) per ottenere tolleranze
più strette di certe parti funzionali o per ridurre la rugosità tipica delle superfici fuse.
I processi di colata si dividono in due grandi categorie, a seconda del tipo di stampo
utilizzato: colata in forma transitoria e colata in forma permanente. Colata in forma tran-
sitoria significa che lo stampo in cui il metallo fuso si solidifica deve essere distrutto per
rimuovere il pezzo. Queste forme possono essere fatte di sabbia, gesso o materiali simili,
uniti a leganti di vario genere. La colata in sabbia è l’esempio più importante delle colate
in forma transitoria. Nella colata in sabbia, il metallo liquido viene versato in uno stampo
di sabbia. Dopo che il metallo indurisce, lo stampo deve essere rotto per estrarre il pezzo.
Nelle colate in forma permanente, lo stampo può essere utilizzato più volte per pro-
durre diversi pezzi. Di solito è fatto di un metallo (o, meno frequentemente, anche di un
materiale ceramico refrattario) in grado di resistere alle alte temperature della colata. Nella
colata in stampo permanente, lo stampo è costituito da due (o più) parti che possono essere
aperte per consentire la rimozione del pezzo finito. La pressofusione è il processo più comu-
ne in questa categoria.
Le forme geometriche più complesse di solito si realizzano con i processi di colata
in forma transitoria, perché le geometrie utilizzate nei processi in forma permanente
sono limitate dalla necessità di aprire lo stampo dopo la solidificazione per estrarre il
grezzo. Tuttavia i processi in forma permanente presentano dei vantaggi economici se
usati per operazioni ad elevato tasso di produzione.

6.1.2 Colata in sabbia


La colata in sabbia è senza dubbio il processo di colata più importante. Anche per questa
ragione si utilizzerà la colata in sabbia per descrivere le caratteristiche di base delle for-
me e degli stampi, molte delle quali sono comuni agli stampi utilizzati anche negli altri
processi. La Figura 6.1 (b) mostra la sezione trasversale di una tipica forma per colata
in sabbia, con la relativa terminologia. Lo stampo è composto da due parti: la staffa
superiore (cope) e la staffa inferiore (drag). Le due parti dello stampo sono inserite in
un contenitore diviso a metà, una parte della quale è per la staffa superiore e l’altra per
quella inferiore. Le due metà dello stampo sono separate dalla linea di divisione.
Nella colata in sabbia (e in altri processi in stampi transitori) la cavità della forma è creata
usando un modello (realizzato in legno, metallo, plastica o altro materiale) avente la forma
del pezzo da produrre. La cavità è formata compattando la sabbia intorno al modello, metà
attorno alla parte superiore e metà intorno a quella inferiore, in modo che, quando il modello
viene rimosso, la cavità così ottenuta abbia la forma del pezzo da produrre. Il modello di solito
134 Tecnologia meccanica

è sovradimensionato per compensare il ritiro del metallo durante il raffreddamento. La sabbia


usata per lo stampo è umida e contiene dei leganti per poter mantenere la forma del modello.
La cavità nella forma in terra serve a modellare la superficie esterna del pezzo, ma i
grezzi possono avere anche delle superfici interne. Queste superfici sono create median-
te un’anima, cioè una forma posta all’interno della cavità dello stampo per definire la
geometria interna del pezzo. Nella colata in sabbia anche le anime sono generalmente
fatte di sabbia, ma si possono usare altri materiali come metalli, gesso o ceramiche.
Il sistema di colata in uno stampo è il canale, o il sistema di canali, attraverso cui il
metallo fuso scorre dall’esterno fino alla cavità dello stampo. Come mostrato nella figura
6.1, il sistema di colata è costituito tipicamente da un canale di colata, attraverso il quale
il metallo entra nel canale distributore che porta nella cavità. Alla sommità del canale
di colata viene posizionato un bacino di colata per ridurre gli schizzi e le turbolenze
quando il metallo viene immesso nel canale di colata. In figura 6.1 il bacino di colata è
rappresentato come un semplice imbuto conico, ma in genere i bacini possono assumere
altre forme, quali ad esempio quella di una coppa sferica che conduce il metallo liquido
direttamente al canale di colata.
Oltre al sistema di colata, ogni processo che prevede un ritiro significativo del me-
tallo richiede una materozza collegata alla cavità principale. La materozza è un serba-
toio che serve come fonte di metallo liquido per compensare la contrazione durante la
solidificazione; questa deve essere progettato per solidificare dopo la solidificazione del
grezzo nello stampo per poter svolgere la sua funzione.
Quando il metallo fluisce nello stampo, l’aria che precedentemente occupava la
cavità e i gas caldi che si formano per le reazioni del metallo fuso, devono essere fatti
fuoriuscire in modo che il metallo riempia completamente lo spazio vuoto. Nella colata
in sabbia la naturale porosità della forma in terra permette all’aria e ai gas di fuoriuscire
direttamente attraverso le pareti della forma stessa, mentre negli stampi metallici per-
manenti, vengono realizzati per foratura dei piccoli fori di sfiato nello stampo.

6.2  Fusione e colata

Per eseguire un’operazione di colata, il metallo deve essere riscaldato a una temperatura
leggermente superiore al suo punto di fusione e poi versato nella cavità dello stampo af-
finché solidifichi. In questa sezione verranno trattati i diversi aspetti di queste due fasi.

6.2.1 Fusione del metallo


Per riscaldare il metallo a una temperatura di fusione sufficiente si usano forni di vario tipo.
L’energia termica richiesta è la somma dei seguenti termini: (1) il calore necessario ad au-
mentare la temperatura fino al punto di fusione, (2) il calore latente di fusione per convertire
il metallo da solido a liquido e (3) il calore per aumentare la temperatura del metallo fuso
affinché possa essere versato. Questa somma può essere espressa come segue:

 (6.1)

dove H è il calore totale necessario per aumentare la temperatura del metallo fino a
raggiungere la temperatura di colata in J, ρ è la densità in g/cm3, Cs è il calore specifico
per il metallo solido in J/g-°C, Tm è la temperatura di fusione del metallo in °C, To è la
temperatura iniziale (di solito la temperatura ambiente) in °C, Hf è il calore latente di
fusione in J/g, Cl il calore specifico del metallo liquido in J/g-°C, Tp la temperatura di
colata in °C e V il volume del metallo da riscaldare in cm3.
Fondamenti della colata dei metalli 135

L’Equazione (6.1) ha alcuni limiti a causa dei seguenti motivi: (1) il calore specifico e le
altre proprietà termiche di un metallo variano al variare della temperatura, specialmen-
te se il metallo subisce un cambiamento di fase durante il riscaldamento, (2) il calore
specifico di un metallo può essere diverso a seconda che si trovi nello stato solido o
liquido, (3) visto che la maggior parte dei metalli da fondere sono leghe e che la maggior
parte delle leghe fonde ad una temperatura compresa tra i punti di solidus e liquidus an-
ziché ad un unico punto di fusione, il calore latente di fusione non può essere calcolato
in modo così semplice come indicato, (4) i valori dei parametri usati nell’equazione non
sono facilmente disponibili per molte leghe, (5) si verificano delle significative perdite
di calore dovute all’ambiente durante il riscaldamento.

6.2.2 Colare il metallo fuso


Dopo il riscaldamento, il metallo è pronto per essere colato. L’introduzione del metallo
fuso nello stampo, compreso il suo fluire attraverso il sistema di colata fino alla cavità,
è una fase critica del processo di colata. Affinché questa fase abbia successo, il me-
tallo deve raggiungere tutte le regioni dello stampo prima di solidificarsi. I fattori che
influenzano questa operazione includono la temperatura e la velocità a cui avviene la
colata e le turbolenze presenti.
La temperatura di colata è la temperatura a cui il metallo fuso viene introdotto
nello stampo. Importante è distinguere tra la temperatura di colata e la temperatura alla
quale inizia il raffreddamento (cioè il punto di fusione di un metallo puro o la tempera-
tura di liquidus per una lega). Questa differenza di temperatura è talvolta indicata come
surriscaldamento. Questo termine è usato anche per definire la quantità di calore che
deve essere rimossa dal metallo fuso tra la colata e l’inizio della solidificazione [7].
La velocità di colata si riferisce al tasso volumetrico a cui il metallo fuso viene ver-
sato nello stampo. Se la velocità è troppo lenta, il metallo si raffredda e solidifica prima di
riempire tutta la cavità. Se la velocità di colata è troppo elevata, si può verificare il proble-
ma della turbolenza. La turbolenza in un flusso fluido è data dalle variazioni di valore e
direzione della velocità del fluido. Un flusso turbolento risulta agitato e irregolare anziché
lento e fluido come nel caso di flusso laminare. La formazione di un flusso turbolento
va evitata durante la colata per diversi motivi. Esso tende ad accelerare la formazione di
ossidi metallici che possono rimanere intrappolati durante la solidificazione, degradando
così la qualità del pezzo. La turbolenza aggrava anche l’erosione dello stampo, cioè il
consumo graduale delle superfici dello stampo a causa dell’impatto con il flusso di metallo
fuso. Le densità della maggior parte dei metalli fusi è molto superiore a quella dell’acqua
e degli altri liquidi che si usano normalmente. I metalli così sono anche molto più reattivi
dal punto di vista chimico rispetto a quando sono a temperatura ambiente. Come conse-
guenza, l’usura causata dal flusso di questi metalli nello stampo è significativa, special-
mente in condizioni di turbolenza. L’erosione è particolarmente grave quando si verifica
nella cavità principale perché altera la geometria del pezzo finale.

6.2.3 Analisi ingegneristica della colata


Ci sono diverse relazioni che regolano il flusso di un metallo liquido attraverso il si-
stema di colata e all’interno dello stampo. Una relazione importante è il teorema di
Bernoulli, che afferma che la somma delle energie (potenziale, di pressione, cinetica e
attrito) in due punti qualsiasi in un liquido che scorre è uguale. Questo può essere scritto
nella forma seguente:

 (6.2)
136 Tecnologia meccanica

dove h è l’altezza in cm, p è la pressione sul liquido in N/cm 2, ρ è la densità in g/cm3, v


è la velocità del flusso in cm/s, g è la costante di accelerazione gravitazionale pari a 981
cm/s/s e F è la perdita di altezza dovuta all’attrito in cm. I pedici 1 e 2 indicano i due
punti considerati nel flusso del liquido.
L’equazione di Bernoulli può essere semplificata in diversi modi. Tralasciando le
perdite dovute all’attrito (anche se l’attrito rallenta il flusso del liquido in una forma in
sabbia) e supponendo che il sistema resti alla pressione atmosferica, allora l’equazione
può essere ridotta a

 (6.3)

Questa formula può essere usata per determinare la velocità del metallo fuso alla base
del canale di colata. Si posizioni il punto 1 all’inizio del canale di colata e il punto 2
alla sua base. Usando il punto 2 come piano di riferimento, l’altezza in questo punto è
zero (h2 = 0) e h1 è l’altezza del canale di colata. La velocità iniziale del metallo quando
viene versato nel bacino di inserimento è pari a zero (v1 = 0). Quindi, l’Equazione (6.3)
si semplifica ulteriormente a

che può essere risolta rispetto alla velocità di flusso:

 (6.4)

dove v è la velocità del metallo liquido alla base del canale in cm/s, g = 981 cm/s/s, h è
l’altezza del canale in cm.
Un’altra relazione importante per la colata è la legge di continuità che stabilisce
che la portata volumetrica di un flusso è sempre costante. La portata volumetrica è pari
alla velocità moltiplicata per la sezione trasversale del canale attraversato dal liquido.
La legge di continuità può essere espressa come:

 (6.5)

dove Q è la portata volumetrica del flusso in cm3/s, v è la velocità come prima, A è l’area
della sezione trasversale del canale attraversato dal liquido in cm2 e i pedici si riferi-
scono sempre a due punti qualsiasi del flusso. Quindi un aumento dell’area causa una
diminuzione della velocità e viceversa.
Le Equazioni (6.4) e (6.5) indicano che il canale di colata deve essere conico. Siccome
il metallo accelera durante la sua discesa verso il fondo del canale di colata, la sezione
trasversale del canale si deve restringere. In caso contrario, visto che la velocità del metal-
lo fuso aumenta verso la base, l’aria verrebbe aspirata nel liquido e condotta nella cavità
dello stampo. Per evitare questo problema il canale presenta una rastremazione, per cui la
portata volumetrica vA è uguale sia nella parte superiore che inferiore del canale di colata.
Supponendo che il canale di distribuzione dalla base del canale di colata fino alla
cavità di stampo sia orizzontale (e quindi l’altezza h sia uguale a quella del canale di
colata), la portata volumetrica del flusso all’ingresso della cavità dello stampo rimane
uguale a vA della base. Di conseguenza, si può stimare il tempo necessario per riempire
una cavità di uno stampo di volume V come

TMF  (6.6)
Fondamenti della colata dei metalli 137

dove TMF è il tempo di riempimento dello stampo in s, V è il volume della cavità dello
stampo in cm3 e Q è la portata volumetrica del flusso come prima. Il tempo di riem-
pimento dello stampo calcolato secondo l’Equazione (6.6) deve essere considerato un
tempo minimo, perché quest’analisi non considera le perdite dovute all’attrito e le even-
tuali costrizioni del flusso nel sistema di colata. Il tempo effettivo di riempimento dello
stampo sarà quindi sempre maggiore di quello calcolato tramite l’Equazione (6.6).

Esempio 6.1 Calcolo per una colata


Un canale di colata è lungo 20 cm e l’area della sezione trasversale alla sua base
è di 2.5 cm2. Il canale di colata alimenta un canale di distribuzione orizzontale che
conduce in una cavità di stampo il cui volume è 1560 cm3. Determinare: (a) la velocità
del metallo fuso alla base del canale di colata, (b) la portata volumetrica e (c) il tempo
necessario a riempire lo stampo.

Soluzione: (a) La velocità del metallo che scorre alla base del canale di colata è dato
dall’Equazione (6.4):
−−−−−−−−−−
v = √ 2(981) (20) = 198.1 cm/s
(b) La portata volumetrica è
Q = (2.5 cm2) (198.1 cm/s) = 495 cm3/s
(c) Il tempo necessario per riempire la cavità dello stampo di 1560 cm3 a questa
portata è:
TMF = 1560/495 = 3.2s

6.3  Solidificazione e raffreddamento

Il metallo fuso, dopo essere stato versato nello stampo, si raffredda e solidifica. In questa
sezione si esaminerà il processo fisico di solidificazione che si verifica durante la colata.
Gli aspetti legati alla solidificazione includono il tempo di solidificazione del metal-
lo, il ritiro, la solidificazione direzionale e la progettazione della materozza.

Temperatura di colata

Raffreddamento del liquido


Fine della
Inizio della solidificazione
Temperatura

solidificazione
Temperatura di solidificazione
Tempo F i g u r a 6 . 2 C u r va d i
solidificazione raffreddamento per un
locale metallo puro durante la
Raffreddamento colata. (Fonte: Funda-
Tempo del solido mentals of Modern Ma-
solidificazione nufacturing, 4th Edition
totale by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Tempo & Sons, Inc.)
138 Tecnologia meccanica

6.3.1 Solidificazione dei metalli


La solidificazione comporta il passaggio di stato del metallo dallo stato di fuso allo stato
di solido. Il processo di solidificazione cambia a seconda che il metallo sia un elemento
puro o una lega.

Metalli puri  Un metallo puro solidifica a temperatura costante pari alla sua tempera-
tura di solidificazione, che coincide con il suo punto di fusione. I punti di fusione dei
metalli puri sono ben noti (Tabella 3.10). Il processo si verifica in un certo intervallo di
tempo, come mostrato nel grafico riportato in Figura 6.2, che è detto curva di raffred-
damento. La solidificazione effettiva richiede del tempo, chiamato tempo di solidifica-
zione locale, durante il quale il calore latente del metallo viene rilasciato nello stampo
circostante. Il tempo di solidificazione totale è il tempo che intercorre tra la colata e
la solidificazione completa. Al termine della solidificazione, il raffreddamento continua
ad un tasso indicato dalla pendenza della curva di raffreddamento.
Grazie all’azione di raffreddamento della parete dello stampo, immediatamente dopo
la colata si forma uno strato sottile di metallo solido sulla parete. Lo spessore dello strato
aumenta formando un guscio intorno al metallo fuso man mano che la solidificazione
progredisce verso il centro della cavità. Il tasso al quale procede la solidificazione dipende
sia dal trasferimento di calore nello stampo sia dalle proprietà termiche del metallo.
È interessante esaminare la formazione e la crescita dei grani metallici durante questo
processo di solidificazione. Il metallo che forma lo strato iniziale si raffredda velocemente
a causa della rapida sottrazione di calore esercitata dalla parete dello stampo. Questa azione
di raffreddamento fa sì che i grani nella parte esterna siano fini e orientati in modo casuale.
Man mano che il raffreddamento continua, la crescita e la formazione di nuovi grani conti-
nua in direzione opposta rispetto a quella di trasferimento del calore. Poiché il trasferimento
del calore avviene attraverso lo strato solido e la parete dello stampo, i grani crescono verso
il centro dello stampo in forma di aghi o spine di metallo solido. Man mano che questi aghi
si ingrandiscono, si formano delle ramificazioni laterali che quando crescono causano la
formazione di altri rami perpendicolari ai primi. Questo tipo di crescita dei grani viene indi-
cato come crescita dendritica e si verifica non solo nel raffreddamento dei metalli puri, ma
anche nelle leghe. Queste strutture ad albero vengono progressivamente riempite di metallo
solidificato per il continuo deposito di metallo aggiuntivo fino alla completa solidificazione
della dendrite. I grani risultanti da questa crescita dendritica assumono un orientamento
specifico, tendenzialmente a grana grossa e ad allineamento colonnare rispetto al centro del
getto. La formazione risultante è illustrata in Figura 6.3.

Leghe  La maggior parte delle leghe solidificano in un intervallo di temperatura e non


Figura 6.3  Struttura dei ad una temperatura specifica. L’intervallo esatto dipende dal tipo di lega e dalla sua com-
grani caratteristica di una
colata di metallo puro,
posizione. La solidificazione di una lega si spiega facendo riferimento alla Figura 6.4, che
che mostra l’orientamen- mostra il diagramma di fase per un particolare tipo di lega e la curva di raffreddamento
to casuale dei grani di per una sua composizione specifica. Quando la temperatura scende, la solificazione inizia
piccole dimensioni vicino al raggiungimento della temperatura di liquidus e termina quando viene raggiunta quella
alla parete dello stampo di solidus. L’inizio del raffreddamento è simile a quello del metallo puro. Si forma uno
e l’incolonnamento dei
grani più grandi verso il
strato sottile contro la parete dello stampo a causa della notevole differenza di tempera-
centro della colata. (Fon- tura della superficie. Poi la solidificazione prosegue come prima attraverso la formazione
te: Fundamentals of Mo- dei dendriti che si formano a partire dalle pareti. Tuttavia, a causa della differenza di tem-
dern Manufacturing, 4th peratura tra solidus e liquidus, la natura della crescita dendritica è tale che si forma una
Edition by Mikell P. Gro- zona di avanzamento in cui coesistono sia metallo liquido che solido. Le parti solide sono
over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
le strutture dendritiche che si sono formate dando origine a piccole isole di metallo liquido
Wiley & Sons, Inc.) nella matrice. Questa regione solido-liquida ha una consistenza pastosa, da cui il nome di
Fondamenti della colata dei metalli 139

Temperatura
Soluzione liquida Temperatura di colata
Raffreddamento liquido
Inizio della solidificazione
Fine della
solidificazione
Temperatura

Raffreddamento
Tempo di solido
Soluzione solida solidificazione
totale

Tempo
% Rame

Figura 6.4  (a) Diagramma di fase per una lega rame-nichel e (b) curva di raffreddamento associata
alla composizione 50% Ni-50% Cu durante la colata. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

zona pastosa. A seconda delle condizioni del raffreddamento, la zona pastosa può essere
relativamente stretta, o può estendersi alla maggior parte della colata. Quest’ultima con-
dizione è causata da fattori come il trasferimento lento del calore dal metallo caldo verso
l’esterno e dalle grandi differenze tra le temperature di liquidus e solidus. Gradualmente
anche le isole liquide nella matrice dendritica si solidificano man mano che la temperatura
scende al di sotto della temperatura di solidus.
Un altro fattore che complica la solidificazione delle leghe è che all’inizio le dendriti si for-
mano nel metallo che ha il punto di fusione più elevato. Man mano che prosegue la solidifica-
zione e le dendriti crescono, si sviluppa uno squilibrio nella composizione tra il metallo che si
è solidificato e il metallo fuso rimanente, che si manifesta alla fine del processo nel fenomeno
della segregazione degli elementi. La segregazione è di due tipi, microscopica e macroscopica.
A livello microscopico, la composizione chimica è diversa per ogni singolo grano. Ciò è dovu-
to al fatto che le ramificazioni iniziali delle dendriti contengono una quantità maggiore di uno
degli elementi della lega. Quando la dendrite si espande nel suo intorno, è costretta a usare il
metallo liquido rimanente che risulta parzialmente impoverito del primo componente. Infine,
l’ultima parte di metallo che solidifica in ogni grano è quella che era rimasta intrappolata dai
rami della dendrite, che presenta una composizione fortemente diversa. Alla fine si ha una
variazione nella composizione chimica tra i singoli grani del pezzo finale.
A livello macroscopico, la composizione chimica varia lungo tutta la colata. Poiché
le regioni che solidificano prima (quelle esterne, vicino alle pareti dello stampo) con-
tengono maggiore presenza di un componente rispetto all’altro, la lega fusa rimanente Figura 6.5  Struttura dei
risulta privata di tale componente per il tempo che occorre a solidificarsi. Pertanto si grani caratterista di una
forma una macro segregazione visibile attraverso la sezione trasversale del getto, chia- colata di una lega, che
mata anche segregazione a lingotto, come illustrato in Figura 6.5. mostra la segregazio-
ne dei componenti della
lega al centro della co-
Leghe eutettiche  Le leghe eutettiche si comportano in modo diverso rispetto alla lata. (Fonte: Fundamen-
modalità standard di solidificazione delle altre leghe. Una lega eutettica è una lega con tals of Modern Manu-
composizione particolare per cui il solidus e il liquidus sono alla stessa temperatura. facturing, 4th Edition by
Quindi la solidificazione avviene a una temperatura costante (chiamata temperatura Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
eutettica) anziché in un intervallo di temperature. Esempi di leghe eutettiche usate nel- messo di John Wiley &
le colate sono le leghe alluminio-silicio (11,6% Si) e la ghisa (4,3% C). Sons, Inc.)
140 Tecnologia meccanica

6.3.2 Tempo di solidificazione


La solidificazione dei metalli puri e delle leghe richiede del tempo. Il tempo di solidi-
ficazione totale è il tempo che occorre dalla colata affinché il pezzo solidifichi. Questo
tempo dipende dalle dimensioni e dalla forma del pezzo, secondo una relazione empiri-
ca nota come regola Chvorinov, che afferma quanto segue:

TTS  (6.7)

dove TTS è il tempo di solidificazione totale in minuti, V è il volume del getto in cm3, A è
la superficie del getto in cm2, n è un esponente di solito pari a 2 e Cm è la costante dello
stampo. Dato che n = 2, le unità di misura di Cm sono in min/cm2. Il suo valore dipende
dalle condizioni specifiche della colata, compreso il materiale dello stampo (per esempio il
suo calore specifico e la sua conducibilità termica), le proprietà termiche del metallo colato
(per esempio il suo calore latente di fusione, il suo calore specifico e la sua conducibilità
termica) e la temperatura a cui viene effettuata la colata in relazione al punto di fusione del
metallo. Il valore di Cm per una specifica colata può essere determinato sulla base di dati
sperimentali di operazioni precedenti eseguite utilizzando lo stesso materiale per lo stam-
po, lo stesso metallo e la stessa temperatura di colata, anche con forme diverse del pezzo.
La regola Chvorinov dice che una colata con un rapporto volume-superficie maggiore
si raffredda e solidifica più lentamente di una con un rapporto inferiore. Questo principio
si usa nella progettazione delle materozze negli stampi. Per svolgere la sua funzione di ali-
mentare la cavità principale con il metallo fuso, il metallo nella materozza deve rimanere
nella fase liquida più a lungo di quello nello stampo. In altre parole, il TTS della materozza
deve essere maggiore del TTS della colata principale. Poiché le condizioni dello stampo e
della materozza sono uguali, le loro costanti di stampo sono uguali. La materozza deve
essere progettata per avere un elevato rapporto volume-superficie, per essere sicuri che la
colata principale solidifichi prima e per riuscire quindi a minimizzare gli effetti di ritiro.
Prima di considerare come progettare la materozza usando la regola di Chvorinov, analiz-
ziamo il fenomeno del ritiro, che è la ragione per cui sono necessarie le materozze.

6.3.3 Ritiro
La nostra discussione sulla solidificazione ha finora tralasciato l’importanza del ritiro che
si verifica durante il raffreddamento e la solidificazione. Il ritiro avviene in tre fasi: (1)
contrazione del liquido, durante il raffreddamento prima della solidificazione; (2) con-
trazione, durante il cambiamento di fase da liquido a solido, chiamato ritiro di solidifi-
cazione e (3) contrazione termica del pezzo fuso solidificato durante il raffreddamento,
sino a temperatura ambiente. Le tre fasi possono essere spiegate facendo riferimento ad
una colata cilindrica realizzata in uno stampo aperto, come quella mostrata in Figura 6.6.
Il metallo fuso appena versato è mostrato nell’immagine (0). La contrazione del metallo
liquido durante il raffreddamento dalla temperatura di colata alla temperatura di inizio
solidificazione provoca una riduzione dell’altezza del liquido come mostrato nell’immagi-
ne (1). Questa quantità di contrazione del liquido è intorno allo 0.5%. Il ritiro di solidifica-
zione, mostrato nell’immagine (2), ha due effetti: il primo causato dalla contrazione, che
provoca un’ulteriore riduzione dell’altezza, il secondo che consiste nella riduzione della
quantità di metallo liquido a disposizione per alimentare la porzione centrale nella parte
alta del getto. Questa è di solito l’ultima regione che si solidifica e l’assenza di metallo
crea un vuoto in questa posizione. Questa cavità dovuta al ritiro è chiamata cono di ritiro
dai fonditori. Una volta solidificato, il pezzo subisce un’ulteriore contrazione in altezza
e diametro durante il raffreddamento, come mostrato nell’immagine (3). Questo ritiro è
Fondamenti della colata dei metalli 141

determinato dal coefficiente di dilatazione termica del metallo solido, che in questo caso
è applicato al contrario per determinare la contrazione.
Il ritiro di solidificazione avviene in quasi tutti i metalli perché la fase solida ha una
densità maggiore rispetto alla fase liquida. La trasformazione di fase che accompagna
la solidificazione provoca una riduzione del volume per unità di peso del metallo. La
ghisa rappresenta un’eccezione perché contiene un alto contenuto di carbonio, la cui
solidificazione durante le fasi finali del congelamento è caratterizzata da una fase di
grafitizzazione; questa che si traduce in un’espansione che tende a contrastare la ri-
duzione volumetrica associata al cambiamento di fase [7]. Si può compensare il ritiro
di solidificazione in diversi modi a seconda della tipologia di processo di colata. Nella
colata in sabbia, il metallo liquido viene alimentato per mezzo delle materozze. Nella
pressofusione, il metallo fuso viene applicato sotto pressione.
I costruttori dei modelli gestiscono il ritiro in fase solida aumentando le dimensio-
ni dello stampo. La quantità di cui lo stampo viene ingrandito è chiamata tolleranza
di ritiro del modello. Anche se il ritiro è volumetrico, le dimensioni del grezzo sono
espresse linearmente, quindi le tolleranze devono essere applicate di conseguenza. Per
questo motivo si usano dei “metri di ritiro” speciali, con scale leggermente allungate,
per costruire i modelli e gli stampi di dimensioni più grandi rispetto alle dimensioni
del pezzo reale. La Tabella 6.1 elenca i valori tipici di ritiro lineare per diversi metalli
in fase solida: questi valori possono essere utilizzati per dimensionare correttamente
le dimensioni dei modelli nelle forme transitorie o la cavità dello stampo nelle forme
permanenti.

Riduzione di livello
Livello di partenza
dovuta alla contrazione
del metallo fuso
del liquido
appena versato

Figura 6.6 Contrazione
di un getto cilindrico du-
Solidificazione rante la solidificazione
iniziale ai bordi e il raffreddamento: (0)
Metallo fuso
dello stampo livello iniziale del metal-
lo fuso appena versato;
(1) riduzione del livello di
metallo fuso causata dal-
la contrazione del liquido
durante il raffreddamen-
to; (2) riduzione in altezza
e formazione della cavità
di ritiro causate dal ritiro
di solidificazione; (3) ulte-
Riduzione in altezza riore riduzione in altezza
Contrazione termica
dovuta al ritiro e diametro a causa della
in fase solida
di solidificazione contrazione termica du-
rante il raffreddamento
del metallo solido. Per
Cavità maggior chiarezza, le di-
di ritiro mensioni delle riduzioni
Metallo fuso sono volutamente esage-
rate nelle immagini. (Fon-
Metallo solido te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
142 Tecnologia meccanica

TABELLA 6.1  Tipici valori di ritiro lineare per diversi metalli fusi a causa della contrazione termica in fase solida.

Matallo Contrazione Matallo Contrazione Matallo Contrazione


lineare lineare lineare
Leghe di alluminio 1.3 % Magnesio 2.1 % Acciaio al cromo 2.1 %
Ottone giallo 1.3 % – 1.6 % Leghe di magnesio 1.6 % Stagno 2.1 %
Ghisa grigia 0.8 % – 1.3 % Nichel 2.1 % Zinco 1.6 %
Ghisa bianca 2.1 % Acciaio al carbonio 1.6 % – 2.1 %
Fonti [10]

6.3.4 Solidificazione direzionale


Per minimizzare gli effetti dannosi del ritiro, bisogna che le regioni del grezzo più
distanti dalle materozze, la cui funzione è fornire metallo liquido durante la solidifica-
zione del grezzo, solidifichino prima e che la solidificazione parta da quelle regioni fino
ad arrivare alla materozza. In questo modo, il metallo fuso sarà sempre disponibile dalla
materozza per evitare porosità da ritiro durante la solidificazione. Il termine solidifica-
zione direzionale è usato per descrivere questo aspetto del processo di solidificazione
e le modalità con cui viene controllato. La solidificazione direzionale ottimale si ottiene
osservando la regola Chvorinov nella progettazione del grezzo, del suo orientamento
nello stampo e del sistema di materozze che lo alimenta. Ad esempio, conviene mettere
le sezioni del getto con rapporti V/A inferiori distanti dalla materozza, così che la solidi-
ficazione avvenga prima in queste sezioni e il metallo liquido possa continuare a fluire
nel resto dello stampo fino a che queste sezioni più grosse siano solidificate.
Per quanto sia importante avviare la solidificazione nelle regioni appropriate della cavità,
è anche importante evitare la solidificazione prematura delle sezioni dello stampo vicino alla
materozza. Di particolare importanza è il collegamento tra la materozza e la cavità principale
(colletto della materozza). Tale collegamento deve essere progettato in modo che non solidi-
fichi prima del grezzo, causando l’isolamento del grezzo dal metallo fuso nella materozza.
Sebbene sia meglio minimizzare il volume del colletto della materozza (per ridurre lo spreco
di metallo), la sezione trasversale deve essere sufficientemente estesa per ritardare l’inizio del
raffreddamento. Questo obiettivo viene normalmente raggiunto realizzando un colletto molto
corto, in modo che assorba il calore dal metallo fuso dalla materozza e dal grezzo.

6.3.5 Progettazione delle materozze


Come già descritto, la materozza (Figura 6.1 (b)) è usata nella colata in terra per ali-
mentare di metallo liquido il grezzo durante la solidificazione per compensare il ritiro
di solidificazione. Per adempiere alla sua funzione, il metallo nella materozza deve ri-
manere fuso fino a dopo la solidificazione del grezzo. Si può usare la regola Chvorinov
per calcolare la dimensione di una materozza che soddisfi questo requisito. L’esempio
6.2 ne illustra il calcolo.
La materozza rappresenta uno sfrido metallico che va separato dal grezzo e rifuso per
essere usato per altre colate successive. È auspicabile che il metallo usato per la mate-
rozza sia il minimo possibile. Visto che la forma della materozza è scelta apposta per
massimizzare il rapporto V/A, questo criterio tende anche a ridurre il volume della ma-
terozza il più possibile. Si noti che il volume della materozza nel nostro esempio è pari
a V = π(4.7)3/4 = 81.5 cm3, ovvero solo il 44% del volume della piastra, anche se il suo
tempo di solidificazione totale è del 25% più lungo.
Le materozze possono essere progettate con forme diverse. Il disegno mostrato
in Figura 6.1 (b) mostra una materozza laterale, che viene posizionata a lato del get-
Fondamenti della colata dei metalli 143

Esempio 6.2  Progettazione di una materozza usando la regola di Chvorinov


Si deve progettare una materozza cilindrica per una forma in sabbia. Il grezzo da pro-
durre è una piastra di acciaio rettangolare con dimensioni 7.5 cm x 12.5 cm x 2.0 cm.
Osservazioni precedenti hanno reso noto che il tempo di solidificazione totale (TTS)
per questo grezzo è 1.6 min. La materozza cilindrica ha un rapporto diametro-altezza
pari a D/H=1.0. Determinare le dimensioni della materozza in modo che il suo tempo
di solidificazione sia TTS sia 2.0 min.

Soluzione: In primo luogo, determiniamo il rapporto V/A per la piastra. Il suo volume
è V = 7.5 cm x 12.5 cm x 2.0 = 187.5 cm3 e la sua superficie è A = 2 (7.5 cm x 12.5 cm
+ 7.5 cm x 2.0 cm + 12.5 cm x 2.0 cm) = 267.5 cm2. Dato che TTS =1.6 min, siamo in
grado di determinare la costante di stampo Cm nell’Equazione (6.7), usando un valore
di n = 2:
TTS 1.6
Cm = = = 3.26 min/cm2
(V/A)2 (187.5/267.5)2
Poi dobbiamo progettare la materozza in modo che il suo tempo di solidificazione
totale sia 2.0 min, utilizzando lo stesso valore di costante dello stampo Cm. Il volume
della materozza è dato da:
πD2h
V=
4
2πD 2
e la superficie A è data da: A = πDh +
4
Dato che stiamo usando un rapporto D/H pari a 1.0, allora significa che D= H.
Sostituendo D in H nelle formule di volume e di superficie, otteniamo

V = πD 3/4
e
A = πD2 + 2 πD2/4 = 1.5 πD 2
Quindi il rapporto V/A è pari a D/6. Utilizzando questo rapporto nell’equazione Chvo-
rinov, otteniamo
D 
TTS = 2.0 = 3.26   = 0.09056 D2
6
D 2 = 2.0/0.09056 = 22.086 cm2
D = 4.7 cm
Dato che H=D, si ha che anche H è uguale a 4.7 cm.

to mediante un piccolo colletto laterale. Una materozza dall’alto invece è collegata


alla superficie superiore del getto. Le materozze possono essere aperte o cieche. Una
materozza aperta è a contatto con l’atmosfera esterna in corrispondenza della staffa
superiore. Tutto ciò provoca una maggiore dissipazione del calore, ma velocizza la so-
lidificazione. Una materozza cieca è interamente racchiusa all’interno dello stampo,
come quella mostrata in Figura 6.1 (b).

Bibliografia

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144 Tecnologia meccanica

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Domande di ripasso

1. Elencare i vantaggi più importanti dei processi di colata.   8. Cosa si intende con il termine di surriscaldamento?
2. Quali sono i limiti e gli svantaggi dei processi di co-   9. Perché si deve evitare il flusso turbolento del me-
lata? tallo fuso nello stampo?
3. Come si chiama una fabbrica dove si eseguono pro- 10. Qual è la legge di continuità e come si applica al
cessi di colata? flusso di metallo fuso durante la colata?
4. Qual è la differenza tra uno stampo aperto e uno 11. Che cosa si intende per calore latente di fusione?
stampo chiuso? 12. In cosa si differenzia la solidificazione delle leghe
5. Elencare i due tipi di stampi di base che contraddi- rispetto alla solidificazione dei metalli puri?
stinguono i processi di fusione. 13. Cos’è una lega eutettica?
6. Qual è il processo di fusione più importante com- 14. Cos’è la regola Chvorinov?
mercialmente? 15. Elencare i tre tipi di ritiro che subisce un metallo
7. Qual è la differenza tra un modello e un’anima nelle fuso dopo essere stato versato nello stampo.
forme in sabbia?

Problemi
zione trasversale nella parte superiore del canale di
1. Il canale di colata che conduce al canale di distribu- colata è 800 mm2 e la sua lunghezza 175 mm. Che
zione di una certa forma in terra ha una lunghezza di area deve essere usata alla base del canale di colata
175 mm. L’area della sezione trasversale alla base per evitare l’aspirazione del metallo fuso?
del canale è di 400 mm2. La cavità della forma ha 3. Un metallo fuso può essere versato nel bacino di co-
un volume di 0,001 m 3. Determinare (a) la velocità lata di una forma in sabbia ad una velocità costante di
del metallo fuso che scorre attraverso la base del 1000 cm3/s. Il metallo fuso scorre attraverso il bacino
canale di colata, (b) la portata volumetrica e (c) il ed entra nel canale di colata. La sezione trasversale
tempo necessario per riempire la cavità della forma del canale di colata è rotonda, con un diametro su-
in sabbia. periore pari a 3.4 cm. Sapendo che il canale è lungo
2. La velocità di flusso del metallo liquido nel canale di 25 cm, determinare la sezione alla base in modo da
colata di una forma in sabbia è 1 l/s. L’area della se- mantenere la stessa portata volumetrica.
Fondamenti della colata dei metalli 145

  4. Determinare il metro del fonditore da usare nella   8. Trovare il tempo di solidificazione totale del pro-
progettazione di modelli in ghisa bianca. Utilizzan- blema precedente, usando per n un valore pari a
do il valore di ritiro riportato in Tabella 6.1, esprime- 1.9 nella regola Chvorinov invece che a 2.0. Quali
re la risposta in termini di frazione decimali di polli- aggiustamenti occorre effettuare nelle unità della
ci di allungamento per piede di lunghezza rispetto costante dello stampo?
ad una scala standard di un piede.   9. Si deve effettuare la colata di un disco di alluminio.
  5. Determinare il metro del fonditore che deve es- Il diametro del disco è di 500mm e lo spessore di
sere usata nella progettazione di modelli per la 20 mm. Se la costante dello stampo è 2,0 sec/mm2
pressofusione dello zinco. Utilizzando il valore di nella regola Chvorinov, quanto tempo impiegherà il
ritiro riportato in Tabella 6.1, esprimere la rispo- grezzo a solidificare?
sta in termini di decimi di mm di allungamento per 10. Da esperimenti eseguiti utilizzando una certa lega
300 mm di lunghezza rispetto ad una scala stan- e un certo tipo di forma in sabbia, un grezzo dalla
dard di 300 mm. forma di un cubo impiega 155 sec a solidificare. Il
  6. Si deve effettuare la colata di una piastra in uno lato del cubo misura 50 mm. (a) Determinare il va-
stampo aperto il cui fondo ha una forma quadrata lore della costante dello stampo nella regola Chvo-
di 200 mm per 200 mm. Lo stampo è profondo 40 rinov. (b) Usando la stessa lega e lo stesso stam-
mm. Un totale di 1,000,000 mm3 di alluminio fuso po, trovare il tempo totale di solidificazione per un
viene colato nello stampo. Si sa che il ritiro volu- grezzo cilindrico in cui il diametro è pari a 30 mm e
metrico di solidificazione è pari al 6.0%. La Tabella la lunghezza 50 mm.
6.1 riporta che il ritiro lineare a causa della solidi- 11. Bisogna confrontare i tempi di solidificazione totale di
ficazione termica dopo la solidificazione è pari a tre forme: (1) una sfera, (2) un cilindro il cui rapporto
1.3%. Determinare la dimensione effettiva finale lunghezza-diametro è pari a 1.0 e (3) un cubo. Per tut-
della piastra, sapendo che la disponibilità del me- ti e tre il volume è 1000 cm3 e si usa la stessa lega. (a)
tallo fuso nello stampo permette di mantenere le Determinare i tempi di solidificazione per ogni forma.
sue dimensioni originali di 200 mm × 200 mm fino (b) Sulla base dei risultati del punto (a), determinare
al completamento della solidificazione. quale forma geometrica è più adatta per una mate-
  7. In una colata di acciaio in certe condizioni dello rozza. (c) Sapendo che la costante dello stampo è 3.5
stampo, sulla base di precedenti esperienze si sa min/cm2 nella regola di Chvorinov, calcolare il tempo
che la costante di stampo nella regola di Chvorinov totale di solidificazione per ogni grezzo.
è pari a 4.0 min/cm2. La colata riguarda una piastra 12. Si deve usare una materozza cilindrica per una for-
piana la cui lunghezza è 30 cm, la larghezza 10 cm ma in sabbia. Determinare, per un dato volume della
e lo spessore 20 mm. Determinare il tempo neces- materozza cilindrica, il rapporto diametro-lunghez-
sario per la solidificazione. za tale da massimizzare il tempo di solidificazione.
Processi di colata

Capitolo 7
A seconda del tipo di forma utilizzata, i processi di colata si dividono in due categorie:
(1) colata in forma transitoria e (2) colata in forma permanente. Nei processi di colata
in forma transitoria, la forma, dopo essere stata utilizzata, viene distrutta per estrarre il
grezzo. I tassi di produzione di questa categoria, quindi, non sono tanto limitati dal tempo
impiegato per ottenere il grezzo stesso, ma dal tempo necessario per preparare la for-
ma, dato che per ogni grezzo è necessaria una forma nuova. Tuttavia per alcuni compo-
nenti realizzati in forme in sabbia, il tasso di produzione può superare i 400 pezzi all’ora,
considerando sia la produzione delle forme che l’ottenimento dei grezzi. Nei processi
di colata in forma permanente, lo stampo è realizzato in metallo (o in un altro materiale
maggiormente durevole) e può essere usato per più colate. Tali processi presentano
intrinseci vantaggi in termini di tassi di produzione più elevati.
I processi di colata descritti in questo capitolo sono suddivisi in (1) colata in sabbia, (2)
altri processi di colata in forma transitoria e (3) processi di colata in forma permanente.
Nel seguito, vengono descritte le attrezzature e le procedure usate nelle fonderie e quin-
di vengono trattati gli argomenti relativi ai controlli e alla qualità. Nell’ultima sezione sono
presentate alcune considerazioni sulla progettazione del prodotto realizzato mediante
processi di colata.

7.1  Colata in sabbia


Tra tutti i processi di fusione, la colata in sabbia è il processo più utilizzato. Quasi tutte
le leghe metalliche possono essere colate in sabbia, compresi i metalli con alte tempera-
ture di fusione, come acciaio, nichel e titanio. La versatilità di questo processo permette
la realizzazione di grezzi di varie dimensioni, da piccoli a molto grandi, e con quantità
per lotto di produzione variabili dal pezzo singolo a milioni di pezzi.
La colata in sabbia consiste nel versare il metallo fuso in una forma di sabbia, nel
lasciar solidificare il metallo per poi rompere la forma e rimuovere il grezzo. In seguito,
il grezzo deve essere pulito e sottoposto a controlli di qualità. In alcuni casi è inoltre
necessario effettuare un trattamento termico per migliorarne le proprietà meccaniche
e metallurgiche. La cavità nella forma si ottiene ricoprendo di sabbia un modello (un
duplicato della forma molto vicino a quella del componente da produrre) e rimuovendo
in seguito il modello separando la forma in due parti. La forma deve contenere anche i
canali di colata e il sistema di alimentazione. Inoltre, se il pezzo presenta delle superfici
interne (parti cave o con fori), occorre includere un’anima all’interno della forma. Visto
che la forma viene distrutta per rimuovere il grezzo, per ogni grezzo che si produce
occorre costruire una forma nuova. La colata in sabbia, quindi, non comprende solo
l’operazione di colata, ma anche la fabbricazione del modello e la realizzazione della
forma. La sequenza di produzione è mostrata in Figura 7.1.
148 Tecnologia meccanica

Realizzazione
Realizzazione
dell’anima
del modello
(se necessaria)

Preparazione Realizzazione
Sabbia
della sabbia della forma

Rimozione
Metallo Solidificazione Pulitura Pezzo
Fusione Colata della forma in
crudo e raffreddamento e ispezione finito
sabbia

Figura 7.1  Fasi del processo di produzione nella colata in sabbia. Le fasi includono non solo l’operazione di colata, ma anche
la preparazione del modello e della forma. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

7.1.1  Modelli e anime


La colata in sabbia utilizza un modello, cioè una copia a dimensione naturale del pezzo
da produrre, ingrandita per tenere conto del ritiro volumetrico in fase solida del metallo e
del sovrametallo per le lavorazioni d’asportazione di truciolo successive. Legno, plastica
o metalli sono i materiali più diffusi per realizzare il modello. Il legno è il materiale più
comune perché può essere lavorato e sagomato con facilità. Tale materiale presenta però
lo svantaggio di deformarsi a seguito dell’umidità e di essere abraso dalla sabbia che viene
compattata attorno allo stesso, limitando, così, il numero di volte che può essere riutiliz-
zato. I modelli in metallo sono più costosi da produrre, ma durano molto più a lungo. La
plastica, invece, rappresenta un compromesso tra legno e metallo. La selezione del mate-
riale più adatto dipende, quindi, soprattutto dal numero di grezzi che si deve realizzare.
Ci sono vari tipi di modelli, come illustrato in Figura 7.2. Il più semplice è il modello
a pezzo unico, fatto di un unico pezzo, con la stessa geometria del grezzo da produrre e le
dimensioni che tengono conto del ritiro volumetrico in fase solida e delle lavorazioni d’aspor-
tazione di truciolo previste. Sebbene sia il modello più semplice da fabbricare, non è quello più
facile da usare per costruire stampi in sabbia. Infatti, può risultare difficoltoso determinare la
posizione della linea di divisione tra le due metà della forma. Per includere i canali e gli attac-
chi di colata nello stampo si lascia la scelta al giudizio e all’abilità dell’operatore. Di conseguen-
za, i modelli a pezzo unico sono generalmente limitati a quantitativi di produzione molto bassi.

Modello della materozza


Modello Piastra Modello della
modello piastra superiore

Sistema
di colata

Modello della
piastra inferiore

Figura 7.2  Tipi di modelli usati nella colata in sabbia: (a) pezzo unico, (b) modello diviso, (c) modello su piastra, (d) modello
su due piastre superiore e inferiore. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di colata 149

I modelli divisi in due parti, invece, sono composti da due parti, che dividono il
pezzo da produrre lungo un piano coincidente con la linea di separazione della for-
ma. Tali modelli sono più adatti per realizzare geometrie complesse e quantitativi di
produzione medio-alti. Visto che la linea di separazione della forma è predeterminata
dalle due metà del modello, non è necessario ricorrere al giudizio dell’operatore per
determinarla.
Per quantitativi di produzione più elevati, vengono usati i modelli su piastra. Nei
modelli a piastra i due pezzi del modello sono fissati ai lati opposti di una piastra di
legno o metallo. I fori presenti nella piastra consentono di allineare perfettamente la
parte superiore e quella inferiore. I modelli su due piastre sono simili al precedente con
la sola differenza che le due metà sono fissate a piastre diverse, in modo da poter essere
fabbricate indipendentemente. La Figura 7.2(d) mostra un esempio di modello su due
piastre, che include anche i sistemi di colata e delle materozze.
Il modello serve a definire la forma delle superfici esterne del grezzo. Se il pezzo da
produrre ha delle superfici interne, occorre realizzare anche il modello della cosiddetta
anima. L’anima rappresenta il modello delle superfici interne ed è inserita nella cavità
dello stampo prima della colata, in modo che il metallo fuso possa scorrere e solidifi-
care tra essa e la cavità di stampo per formare sia le superfici esterne sia quelle interne.
L’anima di solito è fatta di sabbia modellata nella cassa d’anima. Come per il modello,
la dimensione effettiva dell’anima deve considerare il ritiro volumetrico in fase di so-
lidificazione e le successive lavorazioni meccaniche. A seconda della geometria del
pezzo, l’anima può richiedere o meno dei supporti per essere tenuta in posizione nella
cavità della forma durante la colata. Questi supporti, chiamati perni di supporto, sono
realizzati in un metallo con temperatura di fusione superiore a quella del metallo colato.
Per esempio, per grezzi in ghisa possono essere utilizzati perni di supporto in acciaio.
Durante la solidificazione, i supporti vengono inglobati nel pezzo. Un esempio di dispo-
sizione di anima in uno stampo usando i perni di supporto è rappresentato in Figura 7.3.
Le porzioni dei supporti sporgenti dal pezzo vengono successivamente tagliate.

7.1.2  Forme e produzione delle forme


Le sabbie utilizzate nelle fonderie sono a base di silice (SiO2), usata da sola o mescolata
con altri minerali. La sabbia deve possedere buone proprietà refrattarie, cioè deve resi-
stere a temperature elevate senza fondere o degradarsi. Inoltre, si devono valutare anche

Anima Perni di supporto Materozza

Canale di colata

Linea di divisione

Stampo

Cavità

Figura 7.3  (a) Anima tenuta in posizione nella cavità dello stampo attraverso i perni di supporto, (b) esempi di possibili perni
di supporto (c) grezzo con una cavità interna. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
150 Tecnologia meccanica

altre proprietà della sabbia, come la dimensione dei grani, la distribuzione dei grani di
diversa dimensione nella miscela, e la forma dei singoli grani. Una granulometria fine
permette una migliore finitura superficiale del pezzo, ma se i grani hanno dimensione
maggiore, l’impasto risulta più permeabile (per la fuoriuscita del gas durante la colata).
Forme fatte con grani di forma irregolare tendono a essere più robusti di forme a grani
rotondi per via della maggior facilità di compattamento, anche se un alto livello di com-
pattamento tende a limitare la permeabilità.
Nella realizzazione della forma, i grani di sabbia sono legati tra loro da una mi-
scela di acqua e argilla. Una tipica miscela si ottiene mettendo il 90% del volume di
sabbia, 3% di acqua e 7% di argilla. Al posto dell’argilla si possono usare anche altri
leganti, come le resine organiche (per esempio le resine fenoliche) o leganti inorganici
(per esempio il silicato di sodio e fosfato). Oltre alla sabbia e al legante, possono essere
aggiunti degli additivi per migliorare le proprietà di robustezza e/o permeabilità della
forma.
Per formare la cavità della forma, il metodo tradizionale consiste nel compattare in
un contenitore la sabbia intorno al modello. La ricopertura può essere eseguita in vari
modi. Il metodo più semplice è la pigiatura a mano, eseguita da un operatore. Si possono
utilizzare, inoltre, sistemi automatizzati di formatura. Tali sistemi funzionano secondo
diversi meccanismi, per esempio (1) la compressione della sabbia intorno al modello
mediante pressione pneumatica, (2) l’azione di scuotimento in cui la sabbia nel conteni-
tore viene compattata mediante vibrazione attorno al modello e (3) il getto dei grani di
sabbia sul modello ad alta velocità.
In alternativa ai metodi tradizionali che usano le staffe di formatura, si può utiliz-
zare la formatura “senza staffe”, che consiste nell’usare un unico stampo master in un
sistema di produzione automatizzato. Ogni forma di sabbia viene prodotta utilizzando
lo stampo master. Usando questo metodo automatico è possibile raggiungere velocità di
produzione fino a 600 stampi all’ora [8].
Per determinare la qualità della forma in sabbia si possono utilizzare diversi indi-
catori [7]: (1) la robustezza, cioè la capacità della forma di mantenere la sua forma e
resistere all’erosione causata dal flusso di metallo fuso; tale indicatore dipende dalla
forma del grano di sabbia e dalle proprietà adesive del legante; (2) la permeabilità,
cioè la capacità della forma di lasciar fuoriuscire l’aria calda e i gas prodotti durante
la colata attraverso i micro-vuoti nella sabbia; (3) la stabilità termica, cioè la capacità
della sabbia sulla superficie della cavità della forma di resistere all’incrinatura e alla
frantumatura a contatto con il metallo fuso; (4) la cedevolezza, cioè la capacità della
forma di cedere e permettere al grezzo di contrarsi senza rompersi, o anche la facilità
di rimozione della sabbia dal pezzo durante la pulitura, e (5) la riutilizzabilità, cioè la
possibilità di riutilizzare la sabbia per altre fusioni. Queste grandezze possono essere
talvolta incompatibili tra loro, occorre allora raggiungere un buon punto di equilibrio
in funzione delle applicazioni. Per esempio, una forma con alti valori di robustezza sarà
meno cedevole.
Le forme in sabbia si dividono nelle seguenti categorie: forme in sabbia al verde,
forme in sabbia essiccata. Le forme in sabbia al verde sono costituite da una miscela di
sabbia, argilla e acqua. Sono dette verdi perché la forma contiene una certa percentuale
di umidità. Le forme in sabbia al verde presentano una buona robustezza (sufficiente
per la maggior parte delle applicazioni), buoni valori di cedevolezza, permeabilità e
riusabilità e sono le meno costose. Sono le forme più utilizzate, anche se non sono esenti
dai problemi. Infatti l’umidità presente nella sabbia può causare dei difetti nei pezzi a
seconda del tipo di metallo usato e dalla geometria. Le forme in sabbia a secco sono
realizzate con leganti organici al posto dell’argilla e la forma è cotta in forno a tempe-
rature comprese fra i 200°C e i 320°C (400°F e 600°F) [8]. La cottura in forno rafforza
Processi di colata 151

la forma e ne indurisce le superfici interne. La forma a secco permette un controllo


migliore delle dimensioni del pezzo rispetto a quello in sabbia al verde. Tuttavia, la
formatura a secco è più costosa e il tasso di produzione è ridotto a causa del tempo di
essicazione. Le applicazioni di tali forme sono in genere limitate alle colate di medie
e grandi dimensioni con tassi di produzione medio-bassi. Nelle forme skin-dried, si
raggiunge parte dei vantaggi delle forme in sabbia a secco asciugando la superficie di
una forma in sabbia al verde fino a una profondità di 10-25 mm, utilizzando torce, lam-
pade di riscaldamento o altri metodi. Per rafforzare la superficie della cavità si possono
aggiungere dei leganti alla miscela di sabbia.
La classificazione delle forme sino a ora presentata si riferisce all’uso di leganti
convenzionali composti da argilla e acqua, o a quelli che richiedono un riscaldamento
per l’essicazione. Oltre a questi, le forme possono utilizzare leganti chimici contenenti
materiali diversi dai leganti tradizionali. Esempi di materiali utilizzati da leganti che
non necessitano di cottura sono le resine furane (costituite da alcol furfurilico, urea
e formaldeide), i fenoli e gli oli alchidici. Questi stampi si stanno diffondendo sempre
di più perché permettono di ottenere un buon controllo dimensionale in applicazioni a
produzioni elevate.

7.1.3 Colata
Dopo aver posizionato l’anima (se presente) e aver serrato insieme le due metà dello
stampo, si può procedere con la colata. Essa consiste nelle operazioni di versamento, so-
lidificazione e raffreddamento (come descritto nelle sezioni 5.2 e 5.3). I sistemi di colata
e di alimentazione devono essere inseriti nello stampo per poter immettere il metallo
liquido nella cavità e fornire un sufficiente serbatoio di metallo fuso per il ritiro durante
la solidificazione. Bisogna anche garantire che l’aria e il gas possano fuoriuscire.
Dopo la solidificazione e il raffreddamento, la forma di sabbia viene rotta per estrarre
il grezzo. Successivamente, il grezzo viene pulito, cioè si eliminano i sistemi di colata e di
alimentazione, la sabbia viene rimossa dalla superficie e il grezzo ispezionato.

7.2 Altri processi di colata in forma transitoria


Esistono anche altri processi di colata in forma transitoria, sviluppati per soddisfare
esigenze specifiche, pur mantenendo la versatilità della colata in sabbia. Le differenze
risiedono nella composizione della forma, nel modo in cui è realizzata, o nel modo in
cui è costruito il modello.

7.2.1  Shell molding


Il processo shell molding (o formatura in guscio) è un processo di colata in cui la forma
è un guscio sottile di sabbia (tipicamente 9 mm) tenuto insieme da un legante di resina
termoindurente. Sviluppato in Germania durante gli anni Quaranta, il processo è illu-
strato in Figura 7.4.
Lo shell molding presenta numerosi vantaggi. La superficie della forma rimane
più liscia di quella di una forma tradizionale in sabbia al verde e questo permette un
migliore scorrimento del metallo fluido durante la colata e una miglior finitura super-
ficiale del pezzo finale. Si possono ottenere rugosità Ra di 2,5 µm e si raggiungono
buone precisioni dimensionali, con tolleranza di ±0.25 mm su parti medio-piccole. I
valori di finitura e precisione raggiunti spesso consentono di non realizzare lavorazioni
successive. La cedevolezza della forma è generalmente sufficiente per evitare rotture e
incrinature del pezzo.
152 Tecnologia meccanica

Modello
riscaldato

Sabbia
con Contenitore
legante Guscio
di resina

Due
semi-gusci Graniglia
di metallo

Contenitore

Morsetto

Figura 7.4  Fasi nel processo shell molding: (1) un modello su piastra di metallo viene riscaldato e posto sopra un contenitore
contenente sabbia miscelata con resina termoindurente; (2) il contenitore viene capovolto in modo che la sabbia mista a resina
vada a contatto del modello caldo, creando un guscio duro; (3) il contenitore è rimesso nella sua posizione originaria in modo
che le particelle sciolte, che non si sono indurite, si distacchino; (4) il guscio viene riscaldato in forno per alcuni minuti per com-
pletare l’indurimento; (5) il guscio viene rimosso dal modello; (6) le due metà del guscio sono sostenute in un contenitore per
mezzo di sabbia o graniglia metallica e poi si effettua la colata. Il grezzo così ottenuto dopo aver eliminato il canale di colata è
mostrato in (7). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il per-
messo di John Wiley & Sons, Inc.)

Lo svantaggio del processo shell molding è la necessità di un modello in metallo


più costoso del corrispondente modello per la forma in sabbia verde. Questo rende dif-
ficilmente giustificabile l’utilizzo dello shell molding per piccoli lotti di produzione. Lo
shell molding può essere automatizzato per la produzione di massa ed è molto economi-
co per grandi quantità. Sembra particolarmente indicato infatti per grezzi di acciaio di
dimensioni medio-piccole. Ingranaggi, corpi valvola, boccole e alberi a camme sono in
genere realizzati tramite questo processo.

7.2.2  Colata in polistirolo espanso


Il processo di colata in polistirolo espanso utilizza una forma di sabbia pressato attorno
a un modello di polistirolo espanso, che evapora quando il metallo fuso viene colato
nella forma. Questo processo e variazioni di esso sono noti anche con altri nomi, quale
per esempio lost-foam. Nel modello in polistirolo sono inclusi anche i sistemi di colata
e di alimentazione, le anime (se necessarie), eliminando così la necessità di un’anima
distinta nella forma. Inoltre, poiché il modello stesso diventa la cavità della forma, le
problematiche dovute al progetto della forma e all’estrazione del modello non sussisto-
no. La forma infatti non deve essere scomposta in due semi-forme da unire e bloccare.
La sequenza delle fasi di questo processo è illustrata in Figura 7.5. Si possono utilizzare
diversi metodi per realizzare il modello, a seconda della quantità di pezzi da produrre.
Processi di colata 153

Sabbia compattata
attorno al modello

Bacino di colata Metallo fuso


Contenitore
e canale di colata che vaporizza
e rimpiazza
il modello
Modello in polistirolo
in polistirolo Spruzzatura
di materiale
refrattario
(3)

Figura 7.5  Processo di colata in polistirolo espanso: (1) il modello in polistirolo è rivestito con un composto refrattario; (2) il
modello viene posizionato nel contenitore dello stampo e si compatta la sabbia attorno a esso; (3) si versa il metallo fuso nella
parte del modello corrispondente al bacino di immissione e al canale di colata. Quando il metallo entra nello stampo, il polistiro-
lo espanso si vaporizza, permettendo così il riempimento della cavità della forma. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Per pezzi unici, il polistirene è tagliato manualmente da grandi fogli e assemblato per
formare il modello. Per grandi quantità, si possono utilizzare processi di stampaggio
automatizzato dei modelli prima di effettuare la colata. Il modello è normalmente ri-
vestito con un composto refrattario per fornire una superficie liscia e migliorare la sua
resistenza alle alte temperature. Le sabbie usate per le forme di solito utilizzano degli
agenti leganti. In alcuni casi si utilizza anche della sabbia priva di leganti per favorirne
il recupero e il riutilizzo.
Un vantaggio significativo di questo processo è che il modello non deve essere
rimosso dalla forma, fatto che semplifica e accelera la costruzione degli stessi. Per
una forma convenzionale in sabbia al verde occorre definire le due metà della forma,
identificare la linea di separazione, aggiungere gli angoli di sformo, inserire le anime
e aggiungere i sistemi di colata e alimentazione. Per un modello in polistirolo espanso,
questi passi sono integrati nel modello stesso. Visto che a ogni colata è necessario un
modello, il rendimento della colata in polistirolo espanso dipende in gran parte dal costo
di produzione dei modelli. Questo processo è stato applicato alla produzione di massa
di componenti di motori per automobili, in cui si utilizzano sistemi automatizzati per
realizzare i modelli in polistirolo.

7.2.3 Microfusione
Nella microfusione, un modello in cera viene rivestito da un materiale refrattario per
creare un guscio. Il modello poi si scioglie prima della colata del metallo fuso. Il termi-
ne inglese usato per definire questa tecnica è casting e deriva da una delle definizioni
meno familiari della parola invest, che è quella di “ricoprire completamente”, riferen-
dosi al rivestimento del materiale refrattario attorno alla modello di cera. Si tratta di un
processo di fusione di precisione, in quanto in grado di produrre colate ad alto grado di
precisione e di dettaglio. Il processo risale all’antico Egitto ed è anche conosciuto come
colata a cera persa, poiché il modello in cera fuoriesce dallo stampo prima della colata.
Le fasi della colata a cera persa sono descritte in Figura 7.6. Poiché il modello in
cera si scioglie dopo aver creato il guscio ceramico, occorre creare un nuovo modello
per ogni colata. La produzione dei modelli in cera è fatta solitamente attraverso un
processo di formatura che prevede di versare o iniettare la cera fusa in una stampo,
realizzato secondo le dimensioni corrette per il ritiro sia della cera che del metallo
154 Tecnologia meccanica

Canale di
colata in cera

Modello
in cera

Calore

Cera

Figura 7.6  Fasi del processo microfusione: (1) si fabbricano i modelli in cera; (2) si collegano diver-
si modelli a un canale di colata formando un modello ad albero (grappolo); (3) il grappolo viene rive-
stito con un sottile strato di materiale refrattario; (4) si crea il guscio refrattario rivestendo il grappo-
lo con sufficiente materiale refrattario da renderlo rigido; (5) il guscio viene capovolto e riscaldato
per fondere la cera e consentire la sua fuoriuscita dalla cavità; (6) il guscio viene preriscaldato a
una temperatura elevata, per eliminare tutti gli agenti contaminanti e consentire al metallo fuso di
scorrere più facilmente nella cavità; il metallo fuso viene colato e poi si solidifica; (7) il guscio viene
rotto e si estrae il pezzo finito, separando le varie parti dal canale di colata. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

colato. Nel caso in cui il pezzo presenti una geometria più complicata, il modello viene
costruito unendo diversi pezzi di cera. Per i lotti produttivi elevati, più modelli in cera
sono collegati a un canale di colata centrale, sempre di cera, a formare un modello ad
albero, rappresentante la geometria che sarà riempita dalla colata.
Il ricoprimento con materiale refrattario (fase 3) di solito avviene immergendo il grappolo
di cera in un impasto di silice a grana molto fine o di altro materiale refrattario (in polvere)
misto a gesso. La granulometria ridotta del materiale refrattario fornisce una superficie liscia e
riproduce i dettagli più fini del modello in cera. Il guscio finale (fase 4) si ottiene immergendo
ripetutamente il grappolo nell’impasto o compattando delicatamente l’impasto intorno a esso.
Poi il guscio è lasciato ad asciugare all’aria per circa 8 ore affinché si indurisca.
I vantaggi della colata a cera persa sono: (1) la possibilità di realizzare pezzi molto
complessi e precisi, (2) la possibilità di raggiungere un buon controllo dimensionale e
una buona tolleranza (± 0,075 mm), (3) la possibilità di ottenere una buona finitura su-
perficiale, (4) la possibilità di poter recuperare la cera per un nuovo utilizzo e (5) il fatto
che di solito non sono necessarie lavorazioni successive per rifinire il pezzo, trattandosi
di un processo near net shape. Tuttavia si tratta di un processo relativamente costoso,
perché richiede molte operazioni spesso manuali. Di solito i pezzi da realizzare sono
Processi di colata 155

di piccole dimensioni, anche se la microfusione è stata usata con successo anche per
realizzare pezzi con geometrie complesse e peso fino a 34 kg.
Tutti i tipi di metalli, compresi gli acciai al carbonio, gli acciai inossidabili e altre
leghe ad alta temperatura possono essere colati in microfusione. Vari oggetti possono
essere realizzati con questa tecnica, come componenti meccanici complessi, le palette o
altri componenti dei motori a turbina, i gioielli e le protesi dentali. La Figura 7.7 illustra
una forma piuttosto complessa che può essere realizzata con la microfusione.

7.2.4  Colata in gesso e in ceramica


La colata in gesso è simile alla colata in sabbia, tranne per il fatto che la forma è fatta
di gesso (CaSO4-2H2O) invece che di sabbia. Additivi come talco o silice sono miscelati
con il gesso per controllare la contrazione e il tempo di presa, per ridurre le fratture e
aumentare la robustezza. La realizzazione della forma è ottenuta grazie a una miscela
di gesso e acqua che viene versata su un modello di plastica o di metallo posto in un
contenitore e poi fatta indurire. Non si usano modelli in legno perché si deteriorano più
in fretta a contatto con l’acqua. La consistenza fluida della miscela di gesso le permette
di scorrere facilmente intorno al modello, riproducendo i dettagli della superficie. I
prodotti colati in gesso sono infatti noti per questa proprietà.
L’indurimento dello stampo di gesso è uno dei maggiori svantaggi di questo processo,
almeno per produzioni elevate. La forma in ferro deve riposare per circa 20 minuti prima
di essere staccata dal modello, in seguito viene cotta per diverse ore per rimuovere l’umi-
dità. Tuttavia, anche con la cottura non si riesce a rimuovere tutta l’umidità dal gesso. Il
dilemma che affligge i fonditori è che la robustezza della forma diminuisce se il gesso
diventa troppo disidratato, ma un’umidità troppo alta può causare dei difetti al pezzo
durante la colata. Occorre raggiungere un equilibrio tra questi due estremi. Un altro svan-
taggio è che la forma non è permeabile, quindi non permette l’uscita del gas dalla cavità.
Questo problema può essere risolto in diversi modi: (1) si fa fuoriuscire l’aria dalla cavità
della forma prima della colata, (2) si immette dell’aria nell’impasto di gesso prima di te-
nere la forma, facendo in modo che il gesso indurito contenga dei vuoti distribuiti o (3) si
usa il procedimento noto come il processo di Antiochia. Tale processo prevede l’utilizzo

Figura 7.7  Lo statore di un compressore con


108 lamierini separati realizzati tramite micro-
fusione. Foto per gentile concessione di Alcoa
Howmet. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groo-
ver, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
156 Tecnologia meccanica

di circa il 50% di sabbia miscelata con gesso, il riscaldamento della forma in autoclave
(un forno che utilizza vapore surriscaldato sotto pressione) e poi l’asciugatura. La forma
risultante ha una permeabilità decisamente superiore a un tradizionale forma di gesso.
Le forme in gesso non sono in grado di sopportare le temperature elevate sopportate
dalle forme in sabbia. Sono pertanto limitati a metalli a basso punto di fusione, come le-
ghe di alluminio, magnesio e alcune leghe di rame. Le applicazioni comprendono stampi
per plastica e gomma, pompe, turbine e altre parti a geometria relativamente complessa.
Le dimensioni dei pezzi variano da circa 20 g a più di 100 kg, ma quelle più comuni sono
di peso inferiore a 10 kg. I vantaggi delle colate in gesso sono la buona finitura superficia-
le, la buona accuratezza dimensionale, e la possibilità di realizzare sezioni sottili.
La colata in ceramica è simile a quella in gesso, solo che la forma è fatta di ma-
teriali ceramici refrattari in grado da sopportare temperature più elevate del gesso. La
colata in ceramica può quindi essere usata per acciai, ghise e altre leghe ad alta tempe-
ratura. Le sue applicazioni sono simili a quelle della colata in gesso (parti relativamente
complesse), così come i suoi vantaggi (buona precisione e finitura).

7.3  Colata in forma permanente


Lo svantaggio economico di tutti i processi di colata in forma transitoria è che occorre fab-
bricare una nuova forma prima di ogni colata. Invece, nelle colate in forma permanente, lo
stampo può essere riutilizzato molte volte. In questa sezione, verrà trattata la colata in forma
permanente come il processo base di tutti i processi che usano stampi in metallo riutilizza-
bili. Appartengono a questo gruppo anche i processi di pressofusione e colata centrifuga.

7.3.1  Processo base della colata in forma permanente


La colata in forma permanente utilizza uno stampo metallico costituito da due semi-
stampi progettati perchè vengano aperti e chiusi con semplicità. Di solito questi stampi
sono realizzati in acciaio o in ghisa. La cavità, che include anche il sistema di colata, è
divisa in due semi-stampi, che devono garantire precisione dimensionale e buona finitu-
ra superficiale. I metalli comunemente colati in stampi permanenti sono l’alluminio, il
magnesio, le leghe di rame e la ghisa. La ghisa però presenta una temperatura di fusione
elevata, da 1250° C a 1500° C, che può ridurre la durata dello stampo. Gli stampi per-
manenti non sono invece adatti a colate in acciaio, a causa della sua temperatura troppo
elevata, a meno che non siano realizzati in materiale refrattario.
Negli stampi permanenti si possono usare delle anime per creare le superfici interne dei
pezzi. Le anime possono essere realizzate in metallo, ma la loro forma deve consentire la ri-
mozione dal pezzo o devono essere meccanicamente contraibili per essere rimosse. Nei casi
in cui sia difficile o impossibile rimuovere un’anima metallica, si possono utilizzare anime
di sabbia e il processo viene definito come colata in forma semi-permanente.
Le fasi del processo di colata in forma permanente sono descritte in Figura 7.8. Pri-
ma della colata, lo stampo viene preriscaldato e la cavità spruzzata con un distaccante.
Il preriscaldamento facilita lo scorrimento del metallo attraverso il sistema di colata e
la cavità. Il distaccante aiuta la dissipazione del calore e la lubrificazione delle superfici
dello stampo per agevolarne l’estrazione del pezzo. Dopo la colata, quando il metallo si
è solidificato, lo stampo viene aperto e il pezzo rimosso. A differenza delle forme tran-
sitorie, gli stampi permanenti non si contraggono, quindi lo stampo deve essere aperto
il prima possibile per evitare le cricche dovute al raffreddamento.
I vantaggi che si ottengono usando gli stampi permanenti sono una buona finitura su-
perficiale e un ottimo controllo dimensionale, come detto precedentemente. Inoltre, la soli-
dificazione più rapida permessa dagli stampi in metallo consente di ottenere una struttura
Processi di colata 157

Sezione
mobile Sezione fissa
dello dello stampo
Cilindro idraulico stampo
per aprire e chiudere
lo stampo Ugello Cavità
del distaccante
Anima

Figura 7.8  Fasi del processo di colata in forma permanente: (1) lo stampo viene preriscaldato e spruzzato di distaccante; (2)
dopo aver inserito l’anima (se utilizzata), lo stampo viene chiuso; (3) il metallo fuso viene colato nello stampo; (4) lo stampo
viene aperto. Il pezzo finito è mostrato in (5). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

a grana più fine, che corrisponde a una maggior robustezza del pezzo. Il processo si applica
generalmente solo a metalli con basso punto di fusione. Le limitazioni rispetto alle forme
in sabbia sono il poter creare geometrie meno complesse (a causa della necessità di aprire lo
stampo ed estrarre il pezzo) e il costo dello stampo più elevato. A causa di quest’ultima limi-
tazione, i processi a stampi permanenti sono di solito usati per alti volumi di produzione, che
quindi consentono una forte automazione. Esempi di grezzi realizzati con questo processo
sono i pistoni delle automobili, i corpi delle pompe e alcuni parti di aerei e missili.

7.3.2  Altri processi di colata in forma permanente


Esistono diversi processi di colata molto simili al processo base della colata in forma per-
manente, come la colata a rigetto (slush), la colata a bassa pressione e la colata sotto vuoto.
La colata a rigetto è un tipo di colata usata per produrre pezzi cavi. Dopo la colata e
la parziale solidificazione della pelle superficiale, lo stampo aperto viene rovesciato per
far fuoriuscire il metallo in eccesso. La solidificazione inizia dalle pareti dello stampo
perché sono relativamente più fredde e progredisce nel tempo verso il centro. Il tempo at-
teso prima di far colare fuori il metallo determina lo spessore del pezzo. La colata a rigetto
158 Tecnologia meccanica

è usata per fabbricare pezzi in cui l’aspetto delle superfici esterne è importante, mentre la
robustezza e l’aspetto delle superfici interne è meno importante, come statue, piedistalli di
lampade e giocattoli in metallo a bassa temperatura di fusione (zinco e stagno).
Nella colata in forma permanente e nella colata a rigetto, il flusso del metallo nella
cavità è determinato dalla gravità. Nella colata in bassa pressione il metallo fuso viene
iniettato nella cavità a una pressione di circa 0,1 MPa dal basso verso l’alto, come illu-
strato in Figura 7.9. Il vantaggio di questo approccio rispetto alla colata tradizionale è
che il metallo fuso viene introdotto nello stampo direttamente dal crogiolo senza essere
esposto all’aria. In questo modo si minimizzano la porosità e i difetti di ossidazione e
anche le proprietà meccaniche del grezzo di conseguenza sono migliori.
La colata sotto vuoto è una variazione della colata in bassa pressione in cui si utilizza
il vuoto per iniettare il metallo fuso nella cavità dello stampo. La configurazione generale
è simile a quella della colata in bassa pressione. La differenza è che si utilizza la riduzione
della pressione dell’aria causata dal vuoto nello stampo per fare entrare il metallo liquido
nella cavità, anziché usare una pressione positiva proveniente dal basso. I vantaggi di que-
sta tecnica rispetto a quella in bassa pressione sono che la porosità e i difetti dovuti a essa
sono ulteriormente ridotti e che il pezzo ha una robustezza maggiore.

7.3.3 Pressofusione
La pressofusione è un processo di colata in forma permanente in cui il metallo fuso viene
iniettato nella cavità dello stampo ad alta pressione (tipicamente da 7 a 350 MPa). La pres-
sione è mantenuta costante durante la fase di solidificazione e al termine lo stampo viene
aperto per rimuovere il pezzo. Gli stampi in questione sono chiamati dies, da cui deriva
il nome “die casting”. La caratteristica che distingue questo processo dagli altri che uti-
lizzano stampi permanenti è l’uso dell’alta pressione per iniettare il metallo nella cavità.
Le fasi della pressofusione si svolgono in sistemi di iniezione progettati per contenere e
chiudere accuratamente le due metà dello stampo e tenerle chiuse mentre il metallo liquido
viene iniettato nella cavità. L’architettura generale di queste presse da pressofusione è illu-
strata in Figura 7.10. Esistono due tipi di macchine per la pressofusione, (1) a camera calda e
(2) a camera fredda, che si differenziano da come il metallo fuso viene iniettato nella cavità.
Nelle macchine a camera calda, il metallo viene fuso in un crogiolo collegato alla
macchina e poi un pistone inietta il metallo fuso ad alta pressione nello stampo. I valori

Figura 7. 9  C o l at a i n
Sezione superiore
bassa pressione. Il dia-
retraibile dello stampo
gramma mostra come la Colata
pressione dell’aria viene
usata per forzare il me- Sezione inferiore
Tubo refrattario
tallo fuso nel crogiolo ad dello stampo
andare verso l’alto nella
cavità dello stampo. La
pressione viene mante- Metallo fuso
Camera stagna
nuta fino a quando il get-
to si è solidificato. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- Crogiolo Pressione
e
tion by Mikell P. Groover, dell’aria
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Processi di colata 159

tipici di pressione vanno da 7 a 35 MPa. Il ciclo di colata è schematizzato in Figura 7.11.


I tassi di produzione raggiungono i 500 pezzi all’ora. Nella camera calda il sistema di
immersione è molto sollecitato, dovuto al fatto che gran parte di esso è sommerso dal
metallo fuso. Si può quindi applicare questo processo solo a metalli con basso punto di
fusione affinché non intacchino il pistone e gli altri componenti meccanici. I metalli
utilizzati di solito sono lo zinco, lo stagno, il piombo e talvolta il magnesio.
Nelle macchine a camera fredda, il metallo fuso viene colato da un crogiolo esterno
in una camera di fusione non riscaldata, poi un pistone inietta il metallo ad alta pressione
nello stampo. I valori tipici di pressione vanno da 14 a 140 MPa. Il ciclo di colata è illustra-
to in Figura 7.12. Rispetto alle macchine a camera calda, la velocità del ciclo è più bassa
perché bisogna versare il metallo liquido nella camera da un crogiolo esterno. Tuttavia,
questo processo di fusione raggiunge una quantità di produzione elevata. Le macchine
a camera fredda sono utilizzate per le colate di alluminio, ottone e leghe di magnesio.
Anche leghe a più basso punto di fusione, come zinco, stagno e piombo, possono essere
colate usando macchine a camera fredda, ma i vantaggi delle macchine a camera calda
fanno preferire l’utilizzo di queste ultime per quel tipo di metalli.
Gli stampi usati nella pressofusione sono solitamente realizzati in acciaio o in tung-
steno o molibdeno con buone qualità refrattarie per le colate di acciaio o ghisa. Gli stampi
possono essere a cavità singola o doppia (le Figure 7.11 e 7.12 mostrano esempi di stampi a
cavità singola). Sono anche necessari degli estrattori per rimuovere il pezzo dopo l’apertu-
ra dallo stampo, come mostrato nelle figure. Gli estrattori servono ad allontanare il pezzo
dalla superficie dello stampo in modo che possa essere rimosso. Occorre anche spruzzare
del lubrificante nelle cavità per evitare l’incollaggio del componente allo stampo.
Poiché lo stampo in metallo non ha porosità naturale e poiché il metallo fuso scorre
rapidamente durante l’iniezione, occorre progettare degli opportuni fori di ventilazione
e prese d’aria collocate sulla linea di divisione dello stampo per far fuoriuscire l’aria e i
gas. Le prese d’aria sono abbastanza piccole perchè altrimenti si riempirebbero di metallo
fuso durante l’iniezione. Inoltre, durante la pressofusione è molto comune la formazione
di bave, dovute al fatto che il metallo liquido si infila ad alta pressione nello spazio ridotto
lungo la linea di separazione degli stampi e nei giochi intorno alle anime e agli estrattori.
Le bave vanno poi eliminate dal pezzo assieme ai canali di iniezione e le materozze.
I vantaggi della pressofusione sono (1) l’alto tasso di produzione raggiungibile, (2)
l’economicità per grandi quantitativi di produzione, (3) la tolleranze dimensionali molto
strette, dell’ordine di ± 0.076 mm per parti di piccole dimensioni, (4) la buona finitura
superficiale, (5) lo spessore molto sottile, fino a circa 0,5 mm, e (6) il raffreddamento
rapido, che conferisce una granulometria fine e una buona robustezza al pezzo. I grossi
svantaggi di questo processo sono le limitazioni della geometria del componente, che
deve essere estratto con facilità dallo stampo.

Semi-stampo mobile
Barre
Piastra mobile di guida
Semi-stampo fisso
Meccanismo di attivazione Piastra frontale Figura 7.10 Configura-
Cilindro Camera di iniezione zione generale di una
mobile per Foro di iniezione macchina per pressofu-
la chiusura sione a camera fredda.
dello stampo Cilindro (Fonte: Fundamentals of
di iniezione Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
160 Tecnologia meccanica

Parte mobile Parte fissa dello stampo


dello stampo

Estrattori

Cavità

Figura 7.11  Ciclo della Camera


colata in camera calda: di iniezione
(1) il metallo fuso fluisce
nella camera quando lo
stampo è chiuso e il pisto-
ne retratto; (2) il pistone
forza il metallo nella ca-
mera a fluire nello stampo,
mantenendo la pressione
durante il raffreddamento
e la solidificazione; (3) il
pistone si ritira, lo stampo
viene aperto e il getto so-
lidificato viene espulso. Il
pezzo finale è mostrato in
(4). (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

Parte mobile Parte fissa dello stampo


Figura 7.12  Ciclo della co- dello stampo
lata in camera fredda: (1) il Siviera
metallo fuso fluisce nella Estrattori
camera quando lo stampo
è chiuso e il pistone ritirato; Cavità
(2) il pistone forza il me-
Pistone
tallo a fluire nello stampo,
mantenendo la pressione Camera di iniezione
durante il raffreddamento “a collo d’oca
e la solidificazione; (3) il
pistone si ritira, lo stampo
viene aperto e il getto so-
lidificato viene espulso (Il
sistema di colata è molto
semplificato). (Fonte: Fun-
damentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ri-
stampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)

7.3.4  Squeeze casting e colata di metalli semisolidi


Questi due processi sono spesso associati alla pressofusione. Lo squeeze casting è una com-
binazione di colata e forgiatura in cui il metallo fuso viene versato nella parte inferiore dello
Processi di colata 161

stampo preriscaldato, mentre la matrice superiore viene chiusa a solidificazione già iniziata
per formare il componente. Questo costituisce la principale differenza rispetto al processo
base di colata in forma permanente, in cui lo stampo viene chiuso prima della colata a inie-
zione. A causa della sua natura ibrida, questo processo è anche noto come forgiatura di
metallo liquido. La pressione esercitata dallo stampo superiore forza il metallo a riempire
completamente la cavità, permettendo una buona finitura superficiale e un basso ritiro. Le
pressioni impiegate sono significativamente inferiori rispetto alla forgiatura di una billetta
di metallo solido e può essere raggiunto un livello di dettaglio maggiore rispetto alla forgia-
tura. Lo squeeze casting può essere utilizzato per leghe ferrose e non ferrose, ma quelle di
alluminio e magnesio sono le più comuni a causa della loro bassa temperatura di fusione. Il
processo è usato comunemente per realizzare parti di automobili.
La colata di metalli semisolidi è una famiglia di processi “net-shape” e “near net-
shape” eseguiti su leghe metalliche a temperatura compresa tra quella di solidus e di li-
quidus. Durante la colata la lega è una miscela di metallo solido e liquido: è in uno stato
pastoso. Per poter fluire, la miscela deve essere formata di globuli di metallo solido im-
mersi in un liquido, anziché delle tipiche forme dendritiche che si formano durante il
raffreddamento di un metallo fuso. Questo si ottiene applicando una forte agitazione per
prevenire le formazioni dendritiche e agevolare le forme sferiche, che a loro volta riduco-
no la viscosità del metallo da lavorare. I vantaggi della colata di metalli semisolidi sono
[15]: (1) le geometrie complesse, (2) le pareti sottili, (3) le tolleranze ridotte e (4) la porosità
nulla o molto bassa, con conseguente elevata robustezza del pezzo.
Esistono diverse modalità di colata di metalli semisolidi. Se applicate all’alluminio,
si usano il thixocasting e il rheocasting, che utilizzano apparecchiature simili alla
pressofusione. Se applicate al magnesio, si usa il thixomolding e le apparecchiature
sono simili allo stampaggio a iniezione.

7.3.5  Colata centrifuga


La colata centrifuga si riferisce ai metodi di colata in cui lo stampo viene ruotato ad alta
velocità in modo che la forza centrifuga distribuisca il metallo fuso nella cavità dello
stampo. Di seguito viene descritto il processo utilizzato per produrre parti tubolari,
detto anche rotostampaggio.
Nella colata centrifuga, il metallo fuso viene colato in uno stampo rotante per pro-
durre un pezzo di forma tubolare, come tubi, boccole e anelli. Una possibile configu-
razione è illustrata nella Figura 7.13. Il metallo fuso viene colato in uno stampo rotante
orizzontale. In alcuni casi la rotazione dello stampo inizia dopo il riempimento del
metallo anziché prima. La rotazione ad alta velocità causa una forza centrifuga che fa
prendere al metallo la forma dello stampo. Quindi all’esterno la forma del pezzo può es-
sere rotonda, ottagonale, esagonale ecc., ma all’interno è (teoricamente) perfettamente
rotonda, a causa della simmetria radiale delle forze in gioco.
L’asse di rotazione dello stampo può essere sia orizzontale (più comune) che verti-
cale. Consideriamo la velocità di rotazione dello stampo nel caso di una colata centri-

Stampo Rullo libero Stampo Figura 7.13  C o n f i g u -


razione della colata
centrifuga. (Fonte: Fun-
Bacino damentals of M odern
di colata Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Rullo 2010. Ristampato con il
motore permesso di John Wiley
Vista frontale Vista laterale & Sons, Inc.)
162 Tecnologia meccanica

fuga orizzontale necessaria a un corretto funzionamento. La forza centrifuga è definita


dalla seguente equazione fisica:

(7.1)

Dove F è la forza misurata in N, m la massa in kg, v la velocità in m/s e R il raggio inter-


no dello stampo in m. La forza di gravità è il suo peso W = mg, dove W è espresso in kg,
e g è l’accelerazione di gravità pari a 9,8 m/s2. Il cosiddetto Fattore G, GF, è il rapporto
tra la forza centrifuga e il peso:

(7.2)

La velocità v può essere espressa come 2πRN/60 = πRN/30, dove N è la velocità di rota-
zione in giri/min. Sostituendo questa espressione nell’Equazione (7.2), otteniamo

(7.3)

Riorganizzando la formula per ottenere la velocità di rotazione N, e usando il diametro


D anziché il raggio nell’equazione risultante, si ottiene

(7.4)

dove D è il diametro interno dello stampo in m. Se il Fattore G della colata centrifuga


risulta troppo basso, il metallo fuso non rimarrà adeso alla parete dello stampo durante
il mezzo giro in alto, ma cadrà “a pioggia” nella cavità. Se il metallo fuso scivola dallo
stampo significa che la velocità di rotazione del metallo è inferiore a quella dello stampo.
Su base empirica, valori di GF compresi tra 60 e 80 risultano essere appropriati per colate
centrifughe orizzontali [2], anche se questo dipende in parte dal tipo di metallo utilizzato.
Nella colata centrifuga verticale, l’effetto della forza di gravità che agisce sul me-
tallo liquido provoca uno spessore maggiore alla base rispetto alla sommità delle pareti
del pezzo. Il profilo interno della parete assume una forma parabolica. Di conseguenza,
la lunghezza dei pezzi fatti con la colata centrifuga verticale di solito non supera più
di due volte la misura del diametro. Questo limite non influisce sulla realizzazione di
componenti che hanno un diametro molto maggiore rispetto alla lunghezza, soprattutto
se si esegueno poi alcune lavorazioni per dimensionare il diametro interno.
Le colate centrifughe sono caratterizzate da alte densità, in particolare in corri-
spondenza della superficie dove la forza centrifuga è massima. La contrazione esterna
dovuta alla solidificazione non è importante, poiché la forza centrifuga rialloca con-
tinuamente il metallo fuso verso la parete dello stampo durante la solidificazione. Le
eventuali impurità tendono a concentrarsi sulla parete interna e se necessario possono
essere facilmente rimosse mediante asportazione di truciolo.

Esempio 7.1  Velocità di rotazione in colata centrifuga


Occorre utilizzare la colata centrifuga orizzontale per ottenere delle sezioni di tubi
di rame con diametro esterno OD di 25 cm e diametro interno ID di 22,5 cm. Quale
velocità di rotazione è necessaria se si utilizza un Fattore G pari a 65?
Soluzione: Sapendo che il diametro dello stampo D è pari a OD = 25 cm = 0.25 m,
dall’Equazione (7.4) si ha che
30 2(9.8)(26)
N= = 681.7 giri/min.
π 0.25
Processi di colata 163

7.4  Pratica di fonderia


In tutti i processi di colata, il metallo deve essere riscaldato allo stato fuso per poter
essere versato o comunque diretto nello stampo. Il riscaldamento e la fusione sono rea-
lizzati in un forno. Questa sezione descrive i vari tipi di forni utilizzati nelle fonderie e
le procedure per versare il metallo fuso dal forno allo stampo.

7.4.1 Forni
I tipi di forni più comunemente utilizzati nelle fonderie sono (1) forni a cupola, (2) forni
a combustibile a riscaldamento diretto, (3) forni a crogiolo, (4) forni elettrici ad arco e (5)
forni a induzione.
La scelta del tipo di forno più adatto dipende da diversi fattori, come il tipo di lega
da colare, le sue temperature di fusione e colata, i requisiti di capacità del forno, i costi di
investimento, gestione e manutenzione e le considerazioni di inquinamento ambientale.

Forni a cupola  Un forno a cupola (cubilotto) è un forno verticale cilindrico dotato di


un sistema di fuoriuscita del metallo alla sua base. I cubilotti sono utilizzati solo per la
fusione delle ghise e, nonostante si utilizzino anche altri tipi di forni, la maggior parte
delle ghise stesse viene fusa in cubilotti. Le caratteristiche generali di costruzione e di
funzionamento dei cubilotti sono illustrate nella Figura 7.14. Si compone di una grande

Interno Esterno

Bocca di carico
Superficie di carico
Figura 7.14 Cub il ot to
usato per la fusione del-
Rivestimento refrattario Lamina d’acciaio la ghisa. Il disegno illu-
Carico stra un tipico forno per
Ventilatore una piccola fonderia. I
dettagli del sistema di
Camera a vento controllo delle emissio-
Metallo fuso pronto ni presenti nei moderni
Scorie per essere spillato cubilotti sono omessi.
Canale di fuoriuscita (Fonte: Fundamentals of
delle scorie Tappo
Modern Manufacturing,
Fondo di sabbia 4th Edition by Mikell P.
Canale di fuoriuscita Groover, 2010. Ristam-
Supporti
del metallo fuso pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
164 Tecnologia meccanica

lastra di lamiera di acciaio rivestita di materiale refrattario. Il carico, costituito da ferro,


coke, flussante ed eventuali elementi leganti, viene caricato attraverso la bocca di cari-
co posizionata a meno della metà dell’altezza del cubilotto. Il ferro è di solito una mi-
scela di ghisa grezza e scarti (comprese la materozze e i canali di colata e distribuzione
scartati da colate precedenti). Il coke è il combustibile utilizzato per riscaldare il forno.
L’aria necessaria alla combustione del coke viene introdotta attraverso delle aperture
nella parte inferiore della parete. Il fondente è un composto basico, tipo il calcare, che
reagisce con il coke e altre impurità per formare le scorie. Le scorie servono a coprire
il metallo fuso, proteggendolo dalle reazioni con l’ambiente interno al cubilotto e ridu-
cendo la perdita di calore. Dopo che la miscela è stata riscaldata e il ferro si è fuso, il
metallo liquido viene periodicamente spillato dal forno per alimentare la colata.

Forni a combustibile a riscaldamento diretto  Un forno a combustibile a riscal-


damento diretto contiene un piccolo focolare aperto, in cui il carico metallico viene ri-
scaldato dai bruciatori posti su un lato del forno. Il tetto del forno contribuisce all’azione
di riscaldamento riflettendo la fiamma sul carico sottostante. Il combustibile tipico è
costituito da gas naturale e i prodotti della combustione escono dal forno da un camino.
Sul fondo del focolare è posizionato un rubinetto per far fuoriuscire il metallo fuso. I
forni a riscaldamento diretto sono generalmente utilizzati per la fusione di metalli non
ferrosi come le leghe a base di rame e alluminio.

Forni a crogiolo  Questi forni fondono il metallo senza che si verifichi un contatto
diretto con la miscela combustibile. Per questo motivo, sono anche chiamati forni a
combustibile a riscaldamento indiretto. Nelle fonderie si utilizzano tre tipi di forni a
crogiolo: (a) estraibili, (b) fissi e (c) ribaltabili, come illustrato in Figura 7.15. Tutti uti-
lizzano un contenitore (crogiolo) fatto di un apposito materiale refrattario (per esempio,
una miscela di grafite e argilla) o una lega di acciaio resistente ad alta temperatura per
contenere il carico. Nei forni a crogiolo estraibile, il crogiolo viene posto in un forno
e riscaldato a sufficienza per fare fondere il carico metallico. I combustibili tipici per
questi forni sono il petrolio, il gas e la polvere di carbone. Quando il metallo è fuso,
il crogiolo viene estratto dal forno e utilizzato come siviera di colata. Gli altri due tipi
presentano il forno di riscaldamento e il contenitore integrati in un singolo pezzo. Nei
forni a crogiolo fisso, il forno è fermo e il metallo fuso viene colato dal crogiolo. Nei
forni a crogiolo ribaltabile l’intero gruppo può essere inclinato per versare il metallo
fuso. I forni a crogiolo sono utilizzati per i metalli non ferrosi come il bronzo, l’ottone

Copertura
Copertura
Canale
di colata Maniglia
Rivestimento per inclinare
Crogiolo estraibile in acciaio
Combustibile

Forno a crogiolo

Struttura
Combustibile
Carburante

Blocco di supporto Rivestimento


refrattario

Figura 7.15  I tre tipi di forni a crogiolo: (a) crogiolo estraibile, (b) crogiolo fisso e (c) crogiolo ribaltabile. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di colata 165

e le leghe di zinco e alluminio. La capacità di questi forni è generalmente limitata a


qualche centinaio di chili.

Forni elettrici ad arco  In questo tipo di forno, il carico viene fuso dal calore ge-
nerato da un arco elettrico che scorre tra due o tre elettrodi e il metallo del carico. Il
consumo di energia è molto alto, ma i forni elettrici ad arco possono essere progettati
per raggiungere capacità di fusione elevate (da 23.000 a 45.000 kg/ora o da 25 a 50 ton-
nellate/ora) e sono utilizzati principalmente per la fusione dell’acciaio.

Forni a induzione  Un forno a induzione utilizza la corrente alternata che passa at-
traverso una bobina per sviluppare un campo magnetico nel metallo. La corrente indotta
risultante causa il rapido riscaldamento e la fusione del metallo. Le caratteristiche di un
forno a induzione per fonderia sono illustrate nella Figura 7.16. Il campo di forza elet-
tromagnetico provoca un’azione di miscelazione nel metallo liquido. Inoltre, affinché il
metallo non venga a contatto diretto con gli elementi che provocano il riscaldamento,
l’ambiente in cui avviene fusione deve essere molto controllato. Tutto questo si traduce
in metalli fusi di alta qualità e purezza, infatti i forni a induzione sono utilizzati per la
maggior parte delle colate di leghe, quando questi requisiti sono importanti. Le fusioni
di leghe di acciaio, ghisa e alluminio sono tra le più comuni.

7.4.2  Colata, finitura e trattamento termico


A volte lo spostamento del metallo fuso dal forno di fusione allo stampo viene effettua-
to tramite i crogioli, ma di solito questo trasferimento viene fatto usando siviere di vario
genere. Le siviere ricevono il metallo dal forno e rendono più comodo il trasferimento
negli stampi. Due siviere comuni sono illustrate in Figura 7.17, una per gestire grandi
volumi di metallo fuso con una gru, e l’altra detta “siviera a due uomini” perché per
spostare manualmente il metallo fuso e versarlo richiede il contributo manuale di due
operatori.
Uno dei problemi delle colate è che si può introdurre del metallo fuso ossidato nello
stampo. Gli ossidi metallici possono ridurre la qualità del pezzo, per esempio renden-
dolo difettoso, quindi si sono definiti dei metodi per ridurre al minimo l’ingresso degli
ossidi nello stampo durante la colata. Talvolta vengono usati dei filtri per catturare gli
ossidi e le altre impurità quando il metallo viene versato dal beccuccio di colata e si fa
uso anche di opportuni disossidanti per coprire il metallo fuso e ritardare l’ossidazione.
Inoltre, le siviere sono state studiate proprio per versare il metallo liquido dal fondo,
poiché la superficie superiore è dove si accumulano gli ossidi.

Copertura

Bobine a induzione
in rame Figura 7.16  Forno a in-
Metallo fuso (le frecce
duzione. (Fonte: Funda-
indicano l’azione
mentals of Modern Ma-
di mescolamento)
nufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Materiale refrattario permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
166 Tecnologia meccanica

Gancio
per la gru

Vista dall’alto

Beccuccio
di versata
Figura 7.17  Due tipi co- Scatola
muni di siviere: (a) sivi- del cambio
era da gru e (b) siviera
“a due uomini”. (Fonte: Maniglia per Manici
Fundamentals of Modern l’inclinazione
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Vista frontale
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) (a) (b)

Dopo che il pezzo è solidificato e rimosso dallo stampo, di solito sono richiesti un
certo numero di passaggi aggiuntivi. Questi includono (1) la sbavatura, (2) la rimozione
dell’anima, (3) la pulizia della superficie, (4) l’ispezione, (5) la riparazione, se necessa-
ria, e (6) il trattamento termico. I passaggi da (1) a (5) vengono indicati collettivamente
in fonderia sotto il nome di “finitura”. La misura in cui sono necessarie queste opera-
zioni aggiuntive varia a seconda del processo di colata e del metallo. Quando richieste,
queste operazioni sono di solito ad alta intensità di manodopera e costose.
La sbavatura comporta la rimozione dei canali di colata, canali di distribuzione, ma-
terozze, bave causate dalla linea di divisione degli stampi, alette, portate d’anima e qualsiasi
altro componente metallico in eccesso rispetto al pezzo finale. Nel caso di metalli fragili e se
le sezioni sono relativamente piccole, queste appendici sul pezzo possono essere rimosse spez-
zandole. Altrimenti si possono rimuovere mediante processi di taglio quali martellamento,
tranciatura, taglio mediante sega, molatura, taglio mediante torcia plasma o ossitaglio.
Se sono state usate delle anime anch’esse devono essere rimosse dal grezzo dopo la
colata. La maggior parte delle anime in sabbia sono legate chimicamente o a olio e spesso si
sgretolano appena il legante si deteriora. In alcuni casi sono rimosse mettendo in vibrazione
il pezzo, manualmente o meccanicamente. In altri casi più rari le anime vengono rimos-
se eliminando chimicamente il legante utilizzato nella sabbia che le costituisce. Le anime
metalliche devono essere rimosse mediante martellamento o spinte meccanicamente fuori.
La pulizia delle superfici è molto importante nel caso di colate in sabbia. In molti de-
gli altri metodi di fusione, in particolare i processi in forma permanente, questo passo può
essere evitato. La pulizia superficiale comporta la rimozione della sabbia dalla superficie
del getto e serve a migliorare l’aspetto della superficie. I metodi utilizzati per pulire la
superficie comprendono la burattatura, la sabbiatura ad aria con graniglia di sabbia grossa
o graniglia di metalli, la spazzolatura e il decapaggio chimico.
È possibile che durante la colata si verifichino dei difetti, per questo è necessaria
un’ispezione del pezzo per rilevarne la presenza. Questi problemi relativi alla qualità
sono trattati nella sezione seguente.
I getti vengono spesso trattati termicamente per migliorare le loro proprietà, sia per
le successive operazioni di asportazione di truciolo sia per ottenere le proprietà funzio-
nali richieste al componente.

7.5  Qualità dei grezzi


Ci sono vari motivi per cui si possa ottenere un grezzo con difetti. In questa sezione si
presenta un elenco dei difetti più comuni che si verificano in fonderia e si illustrano le
procedure di controllo per individuarli.
Processi di colata 167

Difetti nei grezzi  Alcuni difetti sono comuni a tutti i processi di fusione. Questi
difetti sono illustrati in Figura 7.18 e brevemente descritti di seguito.

(a) Le colate incomplete sono getti che solidificano prima di riempire completamente la
cavità dello stampo. Alcune cause tipiche di questo difetto sono (1) l’insufficiente flui-
dità del metallo fuso, (2) la temperatura di colata troppo bassa, (3) la velocità di colata
troppo lenta e/o (4) lo spessore sottile nelle sezioni trasversali della cavità dello stampo.
(b) I giunti freddi si verificano quando due porzioni del grezzo scorrono una verso
l’altra ma solidificano prima di saldarsi causando una discontinuità. Le loro cause
sono simili a quelle delle colate incomplete.
(c) Le gocce fredde sono causate dagli schizzi durante la colata, che danno origine
alla formazione di inclusioni sferiche di metallo solido che vengono intrappolate nel
grezzo. Alcune procedure di colata e l’opportuna progettazione dei sistemi di colata
che evitano gli schizzi possono prevenire questo difetto.
(d) Le cavità di ritiro sono delle depressioni nella superficie o dei vuoti interni al
grezzo, causati dal ritiro di solidificazione che limita la quantità di metallo fuso
disponibile per la solidificazione della parte finale del getto. Queste si verificano
spesso vicino alla parte superiore del getto, nel qual caso si parla di coni di ritiro,
come mostrato in Figura 5.6 (3). Il problema può spesso essere risolto progettando
adeguatamente le materozze.
(e) La microporosità consiste nella presenza di piccoli vuoti distribuiti su tutto il getto
causati dal ritiro di solidificazione del metallo fuso nella struttura dendritica finale.
Questo difetto è maggiormente presente nelle leghe metalliche più che nei metalli
puri, poiché la loro solidificazione avviene in un tempo prolungato.
(f) Le cricche a caldo si verificano quando al getto viene impedito di contrarsi a causa
di uno stampo non cedevole durante le fasi finali della solidificazione o i primi stadi
del raffreddamento dopo la solidificazione. Il difetto si manifesta come una cricca o
frattura del metallo (da qui, i termini cricca) in un punto molto sollecitato a trazione
per via dell’incapacità del metallo di potersi ritirare naturalmente. Nella colata in
sabbia e altri processi in forma transitoria, questo difetto non si verifica se si rende
lo stampo cedibile. Nei processi in forma permanente, si può ridurre l’effetto delle
cricche a caldo rimuovendo il grezzo dallo stampo subito dopo la solidificazione.

Giunto Gocce
Colata freddo fredde
incompleta

Anima

Forma Forma Forma


Figura 7.18  Difetti comu-
ni delle colate: (a) colata
incompleta, (b) giunto
Cavità di Forma freddo, (c) gocce fredde,
ritiro
Cricche a caldo

(d) cavità di ritiro, (e) mi-


croporosità e (f) cricche
Forma
Microporosità a caldo. (Fonte: Funda-
(dimensioni molto mentals of Modern Ma-
ingrandite) nufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Forma
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
168 Tecnologia meccanica

Alcuni difetti sono specifici delle colate in sabbia perché sono legati all’uso delle
forme in sabbia. In misura minore anche altri processi in forma transitoria sono soggetti
a questi problemi. I difetti causati principalmente dagli stampi in sabbia sono illustrati
in Figura 7.19 e descritti qui di seguito.

(a) La porosità superficiale consiste nella formazione di porosità da gas provocate dal
rilascio di gas dalla forma durante la colata. Si verifica in corrispondenza o subito
al di sotto della superficie della parte superiore del getto. Le cause più comuni di
questo difetto sono la bassa permeabilità, la scarsa ventilazione e l’alto contenuto di
umidità della forma di sabbia.
(B) Anche le punture di spillo sono causate dall’emissione di gas durante la colata e
sono costituiti da numerose piccole cavità di gas formatesi in corrispondenza o
leggermente al di sotto della superficie del getto.
(c) I cedimenti della forma sono delle irregolarità nella superficie del getto causate
dall’erosione della sabbia della forma durante la colata. Il contorno dell’erosione
diventa la superficie del pezzo finale.
(d) Le inclusioni sono aree ruvide sulla superficie del getto causate da incrostazioni
di sabbia e metallo. Sono causate da porzioni della superficie della forma che si
sfaldano durante la solidificazione e vengono inglobate nella superficie del pezzo.
(e) La penetrazione è un difetto superficiale che si verifica quando il metallo liquido
ha una fluidità molto elevata e penetra nella sabbia della forma o dell’anima. Sopra
la superficie solificiata vi è una miscela di granuli di sabbia e metallo. Una migliore
compattazione della sabbia della forma può diminuire questo problema.
(f) Il disallineamento della forma si riferisce a un difetto causato dal disallineamento
tra le due metà della forma, il cui risultato è la formazione di un gradino nel grezzo
in corrispondenza della linea di divisione.
(g) Lo spostamento dell’anima è simile al disallineamento della forma, ma riguarda l’ani-
ma, che di solito si sposta verticalmente. Lo spostamento dell’anima è causato dalla
spinta del metallo fuso e dalla sua tendenza a sollevare l’anima, che è più leggera.
(h) L’incrinatura della forma avviene quando la resistenza dello stampo non suffi-
ciente e si sviluppa una crepa in cui metallo liquido può penetrare e formare una
“pinna” sul pezzo finale.

Punte
Porosità di spillo
superficiale Inclusioni

Forma
Figura 7.19  Difetti comu-
ni nelle colate in sabbia:
(a) porosità superficiale,
(b) punture di spillo, (c) Forma Forma Inclusioni
cedimento della forma,
(d) inclusioni, (e) penetra-
zione, (f) disallineamento
della forma, (g) sposta- Anima che Incrinatura
mento dell’anima e (h) Disallineamento tra forma si è spostata della forma
Penetrazione in alto
incrinatura della forma. superiore e inferiore
(Fonte: Fundamentals of Forma Linea di
Modern Manufacturing, superiore separazione
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam- Forma
pato con il permesso di inferiore
John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di colata 169

Metodi di ispezione  Le procedure di ispezione in fonderia includono (1) l’ispe-


zione visiva per individuare i difetti evidenti come le colate incomplete, i giunti fred-
di e i difetti superficiali gravi, (2) le misurazioni dimensionali per garantire che le
tolleranze siano state raggiunte e (3) i test metallurgici, chimici e fisici che misurano
la qualità intrinseca della colata [7]. Le prove effettuate in quest’ultima categoria
comprendono: (a) le prove in pressione per localizzare perdite nei grezzi, (b) i metodi
radiografici, i test mediante particelle magnetiche, l’uso di penetranti fluorescenti e
i test mediante ultrasuoni per rilevare sia difetti superficiali che interni della colata e
(c) le prove per determinare le proprietà meccaniche come la resistenza alla trazione
e la durezza. Se si rilevano dei difetti non troppo gravi, è possibile aggiustare il pez-
zo mediante riempimenti attraverso saldatura, molatura, o altri metodi accettati dal
cliente.

7.6  Metalli da fonderia


La maggior parte dei grezzi sono in lega metallica più che metalli puri. Le leghe sono
generalmente più facili da colare e le proprietà del prodotto finito sono migliori. Le le-
ghe da fonderia si possono classificare in ferrose e non ferrose. La categoria delle leghe
ferrose si divide in ghisa e acciaio.

Leghe ferrose da fonderia: ghisa  La ghisa è la più importante tra tutte le le-
ghe da fonderia. Il tonnellaggio delle colate in ghisa è superiore a quello di tutti gli
altri metalli messi insieme. Ci sono diversi tipi di ghise: (1) ghisa grigia, (2) ghisa
nodulare, (3) ghisa bianca, (4) ghisa malleabile e (5) altre leghe di ghisa. Le tipiche
temperature di colata per la ghisa sono intorno ai 1400°C, a seconda della composi-
zione chimica.

Leghe ferrose da fonderia: acciaio  Le proprietà meccaniche dell’acciaio lo


rendono un materiale importante nell’industria e la possibilità di creare forme com-
plesse rende la colata un processo importante. Tuttavia, le fonderie specializzate in
acciaio devono affrontare grandi difficoltà. La prima consiste nel fatto che il punto
di fusione dell’acciaio è notevolmente superiore alla maggior parte degli altri metalli
che vengono colati più comunemente. L’intervallo di solidificazione per acciai a basso
contenuto di carbonio inizia a poco meno di 1540°C (2800°F). Ciò significa che la
temperatura necessaria per la colata dell’acciaio è molto alta, circa 1650°C (3000°F).
A queste alte temperature, l’acciaio è chimicamente molto reattivo. Si ossida rapida-
mente e devono essere eseguite delle procedure speciali durante la fusione e la colata
per isolare il metallo fuso dall’aria. Inoltre, l’acciaio fuso ha una fluidità relativa-
mente scarsa e questo limita la progettazione delle sezioni sottili nei componenti da
fabbricare in acciaio.
Le caratteristiche dei prodotti in acciaio ripagano la fatica di gestire questi pro-
blemi. La resistenza alla trazione è superiore alla maggior parte degli altri metalli da
fonderia, perché arriva fino a circa 410 MPa [9]. I getti in acciaio hanno una resistenza
migliore rispetto alla maggior parte delle altre leghe. Le proprietà dei getti di acciaio
sono isotropiche: la resistenza è praticamente uguale in tutte le direzioni. Invece le parti
formate meccanicamente (per esempio per laminazione o fucinatura) presentano una
direzionalità nelle loro proprietà. A seconda delle esigenze del prodotto, il comporta-
mento isotropico del materiale può essere utile o meno. Un altro vantaggio dei getti in
acciaio è la facilità di saldatura. Si possono saldare facilmente per effettuare riparazioni
o per unire altri componenti in acciaio senza perdita significativa delle proprietà mec-
caniche.
170 Tecnologia meccanica

Leghe da fonderia non ferrose  I metalli da fonderia non ferrosi includono le leghe
di alluminio, magnesio, rame, stagno, zinco, nichel e titanio. Le leghe di alluminio sono
generalmente considerate molto adatte alla colata. Il punto di fusione dell’alluminio puro
è 660°C, quindi le temperature di colata per le leghe di alluminio sono basse rispetto
alla ghisa e all’acciaio. Le loro caratteristiche, come il peso ridotto, la vasta gamma di
valori di resistenza meccanica ottenibili attraverso il trattamento termico e la facilità di
lavorazione per asportazione di truciolo, le rendono importanti nelle fonderie. Le leghe di
magnesio sono le più leggere e presentano una buona resistenza alla corrosione, nonché
un elevato rapporto resistenza-peso e rigidità-peso.
Le leghe di rame includono il bronzo, l’ottone e il bronzo-alluminio. Le proprietà che le
rendono interessanti includono la resistenza alla corrosione e l’aspetto estetico. L’elevato costo
del rame è una limitazione all’utilizzo delle sue leghe. Le applicazioni includono accessori per
tubi, pale di eliche marine, componenti di pompe e gioielli ornamentali. Lo stagno ha il punto
di fusione più basso tra i metalli da fonderia. Le leghe a base di stagno sono generalmente
facili da colare. Hanno una buona resistenza alla corrosione ma poca resistenza meccanica,
cosa che limita le loro applicazioni alle tazze di peltro e prodotti simili che non richiedono alta
resistenza. Le leghe di zinco sono comunemente utilizzate nella pressofusione. Lo zinco ha
un basso punto di fusione e una buona fluidità, il che lo rende adatto per la colata mediante
pressofusione. Il suo limite principale è la bassa resistenza alla deformazione, per cui i suoi
prodotti non possono essere sottoposti a sollecitazioni forti e prolungate.
Le leghe di nichel hanno una buona resistenza al calore e alla corrosione, che li ren-
dono adatti per applicazioni ad alta temperatura, come componenti di motori di aerei e
di razzi, scudi termici e oggetti simili. Le leghe di nichel hanno anche un punto di fusio-
ne elevato e non sono facili da colare. Le leghe di titanio sono resistenti alla corrosione
e possiedono un rapporto resistenza-peso molto elevato. Tuttavia, il titanio ha un punto
di fusione alto, una bassa fluidità e una propensione a ossidarsi ad alte temperature.
Queste proprietà rendono le sue leghe difficili da colare.

7.7  Considerazioni sulla progettazione dei prodotti


Se un progettista vuole scegliere tra i processi di fusione come processo di produzione
primaria per un certo componente, deve seguire certe linee guida per facilitare la pro-
duzione del pezzo ed evitare i difetti. Alcune delle linee guida principali e delle consi-
derazioni per i processi di fusione sono riportate qui di seguito.

• Semplicità geometrica. Anche se la fusione è un processo che può essere utilizzato per
produrre forme complesse, la semplificazione del disegno del pezzo lo rende più adatto a
essere ottenuto mediante fusione. Evitare inutili complessità semplifica la produzione de-
gli stampi o delle forme, riduce la necessità delle anime e migliora la resistenza del getto.
• Angoli. Spigoli e angoli appuntiti dovrebbero essere evitati, perché sono fonti di
concentrazioni di tensione e possono causare incrinature e cricche a caldo nel grez-
zo. Ampi raccordi devono essere progettati per gli angoli interni mentre gli spigoli
vivi devono essere smussati.
• Spessore di sezione. Deve essere uniforme per evitare i ritiri da solidificazione. Le
sezioni più spesse creano dei punti caldi nel getto, in quanto un maggiore volume
richiede più tempo per solidificare e raffreddare. Queste sono le posizioni più pro-
babili per la formazione di cavità da ritiro.
• Sformo. Le pareti verticali di un pezzo rispetto al piano di separazione degli stampi do-
vrebbero avere un certo angolo di sformo o inclinazione, come illustrato in Figura 7.20.
Nelle colate in forma transitoria, lo scopo di questa inclinazione è quello di facilitare
la rimozione del modello dalla forma. Nelle colate in forma permanente, il suo scopo è
Processi di colata 171

quello di facilitare la rimozione del pezzo dallo stampo. Inclinazioni simili devono es-
sere progettate anche nel caso delle anime usate nella colata. L’inclinazione necessaria
è solo di circa 1° per la colata in sabbia e da 2° a 3° per i processi in forma permanente.
• Uso di anime. Piccole modifiche al disegno di un pezzo possono spesso ridurre la
necessità di un’anima, come mostrato in Figura 7.20.
• Tolleranze dimensionali. Vi sono differenze significative nelle accuratezze di-
mensionali che possono essere raggiunte dai diversi processi di fusione. La Tabella
7.1 elenca una serie di tolleranze tipiche di vari processi di colata per diversi metalli.
• Finitura superficiale. La rugosità superficiale tipica raggiunta nella colata in sab-
bia è di circa 6 µm. Finiture scarse di quest’ordine si ottengono con la colata in
conchiglia, mentre la colata in gesso e a cera persa hanno valori di rugosità miglio-
ri: 0.75 µm. Tra i processi in forma permanente, la pressofusione è nota per le sua
buona finitura superficiale di circa 1 µm.
• Sovrametallo. Le tolleranze ottenibili da molti processi di colata non sono suffi-
cienti a soddisfare le esigenze funzionali in molte applicazioni. La colata in sabbia
è l’esempio più importante di questa carenza. In questi casi, le parti funzionali del
getto devono essere lavorate per asportazione di truciolo per ottenere le dimensioni
richieste. Quasi tutti i getti in sabbia devono essere lavorati per renderli funzionali.
Pertanto, nel getto viene lasciato del materiale aggiuntivo, denominato sovrame-
tallo, per effettuare lavorazioni sulla superficie dove necessario. Le quantità tipiche
di sovrametallo per la colata in sabbia sono tra 1.5 mm e 3 mm.
Figura 7.20 Definizione
Angolo Angolo
Staffa dell’angolo di sformo e mo-
di sformo di sformo
superiore difica del disegno per eli-
minare la necessità di uti-
lizzare l’anima: (a) design
Staffa Anima originale e (b) riprogetta-
Staffa
superiore zione. (Fonte: Fundamen-
inferiore
tals of Modern Manufactu-
Staffa ring, 4th Edition by Mikell P.
inferiore Linea di separazione Angolo Groover, 2010. Ristampato
Linea di separazione
di sformo con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

TABELLA 7.1  Tolleranze dimensionali tipiche per vari processi di colata e vari metalli

Tolleranza Tolleranza
Processo di colata Dimensione mm Processo di colata Dimensione mm
del pezzo del pezzo
Colata in sabbia Colata in forma permanente
Alluminioa Piccola ±0,5 Alluminioa Piccola ±0.25
Ghisa Piccola ±1,0 Ghisa Piccola ±0.8
Grande ±1,5 Leghe di rame Piccola ±0.4
Leghe di rame Piccola ±0,4 Acciaio Piccola ±0.5
Acciaio Piccola ±1,3 Pressofusione
Grande ±2,0 Alluminioa Piccola ±0.12
Colata in conchiglia Leghe di rame Piccola ±0.12
Alluminioa Piccola ±0,25 Colata in cera persa
Ghisa Piccola ±0,5 Alluminioa Piccola ±0.12
Leghe di rame Piccola ±0,4 Ghisa Piccola ±0.25
Acciaio Piccola ±0,8 Leghe di rame Piccola ±0.12
Colata in gesso Piccola ±0,12 Acciaio Piccola ±0.25
Grande ±0,4

Compilato da [7], [14], e da altre fonti.


I valori di alluminio si applicano anche al magnesio.
172 Tecnologia meccanica

Bibliografia

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[11] Mueller, B. ‘‘Investment Casting Trends,’’ Advanced Materials & Processes, March 2005,
pp. 30–32.
[12] Niebel, B. W., Draper, A. B., and Wysk, R. A. Modern Manufacturing Process Enginee-
ring. McGraw-Hill Book Co., New York, 1989.
[13] Perry, M. C. ‘‘Investment Casting,’’ Advanced Materials & Processes, June 2008, pp.
31–33.
[14] Wick, C., Benedict, J. T., and Veilleux, R. F. Tool and Manufacturing Engineers Handbo-
ok, 4th ed. Vol. II, Forming. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1984,
Chapter 16.
[15] www.wikipedia.org/wiki/semi-solid_metal_casting.

Domande di ripasso

1. Elencare le due categorie di base dei processi di colata.   7. Quali macchine di pressofusione hanno di solito un
2. Ci sono vari tipi di modelli utilizzati nella colata in tasso di produzione più elevato tra quelle a camera
sabbia. Qual è la differenza tra un modello diviso e fredda o camera calda e perché?
un modello su piastra.   8. Come si formano le bave in pressofusione?
3. Che cosa è una portata d’anima?   9. Cos’è il cubilotto?
4. Quali proprietà determinano la qualità di una forma 10. Quali operazioni sono richieste nella colata in sab-
in terra per la colata in sabbia? bia dopo che il pezzo viene rimosso dalla forma?
5. Cos’è il processo di Antiochia? 11. Quali sono i difetti di carattere generale che si ri-
6. Quali sono i metalli più comuni utilizzati nella pres- scontrano nei processi di fusione? Elencarne tre e
sofusione? descriverli brevemente.

Problemi
ti dimensioni: lunghezza 10 cm, diametro esterno
1. Si utilizza un’operazione di colata centrifuga per 15 cm, diametro interno 12 cm. (a) Determinare
fabbricare tubi in rame. La lunghezza dei tubi è di la velocità rotazionale per ottenere un Fattore G
1.5 m, il diametro esterno di 15.0 cm e il diametro in- pari a 70. (b) Nel funzionamento a questa velocità,
terno 12.5 cm. Sapendo che la velocità di rotazione qual è la forza centrifuga per metro quadrato (Pa)
è 1000 giri/min, determinare il Fattore G. applicata dal metallo fuso sulla parete interna del-
2. Si utilizza un processo di colata centrifuga per lo stampo, sapendo che la densità dell’ottone è di
realizzare delle boccole in ottone con le seguen- 8.62 g/cm3?
Processi di colata 173

3. Si utilizza un’operazione di colata centrifuga in con- trazione del liquido è dello 0.5%, il ritiro di solidifica-
figurazione orizzontale per realizzare delle grandi zione del 3%, e la contrazione solida dopo la solidi-
sezioni di tubi in rame. I tubi hanno una lunghez- ficazione del 7.2%.
za di 1.0 m, un diametro di 0.25 m e uno spessore 7. Si utilizza un’operazione di colata centrifuga in con-
di 15 mm. (a) Sapendo che la velocità di rotazione figurazione orizzontale per realizzare un tubo di
del tubo è di 700 giri/min, determinare il Fattore G piombo per impianti chimici. Il tubo ha lunghezza di
del metallo fuso. (b) La velocità di rotazione è suf- 0,5 m, un diametro esterno di 70 mm e uno spesso-
ficiente a evitare la caduta “a pioggia”? (c) Qual è il re di 6,0 mm. Determinare la velocità di rotazione
volume di metallo fuso da versare nello stampo per che causa un Fattore G pari a 60.
la colata considerando il ritiro di solidificazione e la 8. L’alloggiamento di un certo macchinario è costituito
contrazione di solidificazione, sapendo che il ritiro di da due componenti, entrambi in alluminio. Il com-
solidificazione del rame è del 4.5%, e la contrazione ponente più grande ha la forma di un lavello piat-
termica solida del 7.5%. to, mentre il secondo è un coperchio piatto che si
4. Se un’operazione di colata centrifuga dovesse es- collega al primo per creare uno spazio chiuso per
sere eseguita in una stazione spaziale attorno alla il macchinario. Si utilizza una colata in sabbia per
Terra, come sarebbe influenzato il processo dall’as- produrre i due componenti, che risultano entrambi
senza di gravità? afflitti da difetti di colata incompleta e giunti freddi. Il
5. Si utilizza un processo di colata centrifuga in con- caporeparto si lamenta che i componenti sono trop-
figurazione orizzontale per realizzare degli anelli po sottili e questo ha causato i difetti. Tuttavia, è
in alluminio con le seguenti dimensioni: lunghezza noto che gli stessi componenti sono realizzati con
5 cm, diametro esterno 65 cm e diametro interno successo in altre fonderie. Quale può essere un’al-
60 cm. (a) Determinare la velocità di rotazione che tra spiegazione per la formazione di quei difetti?
causa un Fattore G pari a 60. (b) Supponiamo che 9. Una grande colata in sabbia in acciaio mostra i se-
gli anelli debbano essere realizzati in acciaio invece gni caratteristici del difetto di penetrazione: una su-
che in alluminio. Sapendo che è stata utilizzata la perficie formata dalla miscela di sabbia e metallo.
velocità di rotazione calcolata al punto (a) nell’ope- (a) Quali misure si possono adottate per correggere
razione di fusione di acciaio, (c) determinare il Fatto- questo difetto? (b) Quali altri eventuali difetti potreb-
re G la forza centrifuga per metro quadrato (Pa) sulla bero derivare adottando queste misure?
parete dello stampo. (d) Questa velocità di rotazione
è sufficiente a garantire il successo dell’operazione
sapendo che la densità dell’acciaio è di 7.87 g/cm3?
6. Considerando l’anello di acciaio del Problema 7.6
(b), determinare il volume del metallo fuso che deve
essere versato nello stampo, sapendo che la con-
Processi di formatura

Capitolo 8
della plastica

La plastica può essere modellata per ottenere un’ampia varietà di prodotti, come pezzi
stampati, sezioni estruse, lastre e film, rivestimenti isolanti di cavi elettrici e fibre per
tessuti. Inoltre, le materie plastiche sono spesso i componenti principali di altri materiali,
come pitture e vernici, adesivi e altri materiali compositi a matrice polimerica. In questo
capitolo, saranno trattate le tecnologie con le quali vengono realizzati questi prodotti,
rimandando a capitoli successivi la discussione su pitture, vernici, adesivi e compositi.
Molti processi di formatura della plastica si possono adattare anche alle gomme e ai
compositi a matrice polimerica.
La rilevanza commerciale e tecnologica di questi processi deriva dalla crescente im-
portanza delle materie plastiche, le cui applicazioni nel corso degli ultimi 50 anni sono
aumentate ad un ritmo molto più veloce rispetto ai metalli e alle ceramiche. Infatti, molti
componenti che in passato erano realizzati in metallo oggi sono realizzati in plastica o in
compositi a matrice polimerica. Lo stessa tendenza si verifica per il vetro: i contenitori di
plastica hanno già ampiamente sostituto bottiglie e i contenitori di vetro nel confeziona-
mento dei prodotti. Il volume totale di produzione dei polimeri (plastiche e gomme) oggi
risulta maggiore rispetto a quello dei metalli.
Possiamo identificare diversi motivi per cui i processi di formatura della plastica sono
importanti:

• La flessibilità dei processi di formatura e la facilità con cui i polimeri possono essere
lavorati permettono di produrre una varietà quasi illimitata di forme geometriche.
• Molti prodotti di plastica sono realizzati tramite stampaggio, che è un processo «net
shape» e quindi non necessitano di ulteriori lavorazioni.
• La formatura della plastica implica un certo grado di riscaldamento ma occorre meno
energia rispetto a quella necessaria per i metalli, poichè le temperature di lavorazio-
ne sono decisamente più ridotte.
• La gestione dei prodotti durante la lavorazione è semplificata rispetto a quella neces-
saria per i metalli, in quanto le temperature di processo sono più basse e i processi
di lavorazione della plastica sono tipicamente costituiti da un’unica operazione (per
esempio nel processo di stampaggio).
• Solitamente non serve rifinire i pezzi di plastica con vernici o placcature (ad eccezio-
ne di particolari applicazioni).

Come discusso nel Paragrafo 2.3, i materiali plastici si dividono in: termoplastici e
termoindurenti. La differenza è che, durante il riscaldamento e la formatura, i materiali
termoindurenti subiscono un processo di polimerizzazione, che provoca una modifica
chimica permanente (cross-linking) nella loro struttura molecolare. Una volta induriti,
questi non possono essere nuovamente fusi tramite riscaldamento, senza subire una
degradazione chimica di carbonizzazione. Al contrario, i materiali termoplastici non po-
limerizzano e la loro struttura chimica rimane sostanzialmente invariata dopo il riscal-
176 Tecnologia meccanica

damento, anche se subiscono la trasformazione dallo stato solido a quello fluido. Dei
due tipi, dal punto di vista commerciale i materiali termoplastici sono sicuramente i più
importanti e costituiscono più dell’80% della produzione totale delle plastiche.
I processi di formatura della plastica possono essere classificati in base alla geometria
del prodotto finale: (1) prodotti estrusi in continuo a sezione costante, diversi da lastre,
film e filamenti, (2) lastre e film continui, (3) filamenti continui, ovvero fibre, (4) pezzi
stampati, che sono per lo più solidi, (5) pezzi cavi con pareti relativamente sottili, (6)
pezzi provenienti da lastre o film termoformati, (7) colate e (8) prodotti espansi. Questo
capitolo prenderà in esame ciascuna di queste categorie.
I processi più importanti dal punto di vista industriale sono quelli associati ai materiali
termoplastici e i due processi di maggior rilievo sono l’estrusione e lo stampaggio ad
iniezione. La nostra discussione inizia esaminando le proprietà dei polimeri fusi, poiché
quasi tutti i processi di formatura dei materiali termoplastici hanno in comune la fase di
riscaldamento della plastica, necessaria per renderla fluida e lavorabile.

8.1  Proprietà dei polimeri fusi

Affinché un polimero termoplastico possa subire il processo di formatura, esso deve


essere riscaldato in modo da raggiungere la consistenza di un fluido. In questa forma,
il materiale viene chiamato fuso polimerico. I fusi polimerici presentano diverse pro-
prietà specifiche, due delle quali verranno trattate in questa sezione: la viscosità e la
viscoelasticità.

Viscosità  A causa del suo alto peso molecolare, il fuso polimerico è un fluido denso
ad alta viscosità. Come già definito nella Sezione 3.4, la viscosità è la proprietà di un
fluido che mette in relazione la tensione di taglio osservata durante il flusso del fluido
con il gradiente di velocità, anche detto velocità di deformazione. La viscosità è un
fattore importante nella lavorazione dei polimeri poichè la maggior parte dei metodi di
formatura implica il flusso del polimero fuso attraverso piccoli canali o aperture degli
stampi. Le portate sono spesso grandi, causando quindi alti gradienti di velocità. Lo
sforzo di taglio aumenta all’aumentare del gradiente di velocità; pertanto il processo
richiede pressioni significative.
La Figura 8.1 mostra l’andamento della viscosità in funzione del gradiente di ve-
locità per due tipi di fluidi. Per un fluido Newtoniano (che comprende i fluidi più
semplici come acqua e olio), la viscosità è costante ad una data temperatura e non varia
rispetto al gradiente di velocità. Il rapporto tra sforzo e gradiente è proporzionale e la
costante di proporzionalità è pari alla viscosità:

(8.1)

Fluido pseudo plastico


Viscosità, η

Figura 8.1  Grafico della viscosità per un fluido Newtonia- Fluido Newtoniano
no e un polimero fuso. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. .
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) Gradiente di velocità, γ
Processi di formatura della plastica 177

dove τ è lo sforzo di taglio in Pa γ., h è il coefficiente di viscosità di taglio in Ns/m 2 o


Pa-s γ. il gradiente di velocità in 1/s (1/sec). Di contro, per un polimero fuso, la viscosità
diminuisce all’aumentare del gradiente di velocità, ovvero il fluido diventa più scorre-
vole ad alti valori di γ.. Questo comportamento si chiama pseudoplasticità e può essere
modellato con ragionevole approssimazione mediante l’espressione:

(8.2)

dove k è una costante corrispondente al coefficiente di viscosità e n è l’indice di com-


portamento del flusso. Per n = 1, l’equazione si riduce alla precedente Equazione (8.1)
per un fluido Newtoniano, e k diventa pari ad η. Per un polimero fuso, i valori di n sono
inferiori a 1.
Oltre all’effetto del gradiente di velocità di flusso del fluido, la viscosità di un poli-
mero fuso è anche influenzata dalla temperatura. Come per la maggior parte dei fluidi,
il valore diminuisce all’aumentare della temperatura. La Figura 8.2 riporta questa dimi-
nuzione di temperatura per diversi polimeri ad un gradiente di velocità pari a 103 s-1, che
corrisponde allo stesso valore raggiunto nello stampaggio ad iniezione e nell’estrusione
ad alta velocità. L’andamento mostra che la viscosità di un polimero fuso diminuisce
all’aumentare del gradiente di velocità e della temperatura. Si può applicare l’Equazione
(8.2), considerando che k dipende dalla temperatura come mostrato in Figura 8.2.

Viscoelasticità  In questi processi un’altra importante proprietà è la viscoelastici-


tà. Si è già discusso di questo parametro in relazione ai polimeri solidi nel Paragrafo
3.5; anche i polimeri fusi sono caratterizzati da questa proprietà. Un ottimo esempio è
rappresentato dal fenomeno del rigonfiamento che si verifica durante il processo di
estrusione, ovvero la plastica calda si espande quando esce dall’apertura della matrice.
Il fenomeno, illustrato in Figura 8.3, può essere spiegato considerando che il polimero
era contenuto in una zona a sezione trasversale molto più ampia prima di entrare nel
canale stretto della matrice. Di fatto, il materiale estruso «ha memoria» della sua forma
originale e cerca di ritornare ad essa dopo aver lasciato la matrice. Più tecnicamente,
le tensioni di compressione, che agiscono sul materiale quando attraversa la piccola

Acrilico
Viscosità, Ns/m2 o Pas

Nylon
Polipropilene
Viscosità

Figura 8.2  Viscosità in


funzione della tempera-
Polietilene a tura per vari polimeri ad
bassa densità un gradiente di velocità
pari a 103 s -1 [12]. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Temperatura, °F Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Temperatura, °C & Sons, Inc.)
178 Tecnologia meccanica

Figura 8.3  Rigonfiamen- Matrice


to da estrusione, una ma- Materiale estruso
nifestazione della visco-
elasticità di un polimero
fuso, come rappresentato
nell’immagine all’uscita di
una matrice di estrusione.
(Fonte: Fundamentals of Flusso polimerico
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

apertura della matrice, non si allentano subito. Quando il materiale esce dal foro e la
restrizione è rimossa, le tensioni residue causano l’espansione della sua + trasversale.
Per sezioni circolari, i rigonfiamenti si possono misurare facilmente usando il rap-
porto di rigonfiamento, definito come

(8.3)

dove rs è il rapporto di rigonfiamento, Dx è il diametro della sezione estrusa in mm e Dd


il diametro del foro della matrice in mm. Il valore del rigonfiamento dipende dal tempo
impiegato dal polimero fuso a passare nel canale della matrice. Quindi, aumentando il
tempo di attraversamento del canale della matrice, ad esempio allungando il canale, si
riduce il fenomeno del rigonfiamento.

8.2 Estrusione

L’estrusione è uno dei processi fondamentali di formatura per i metalli, per i ceramici
e anche per i polimeri. L’estrusione è un processo di compressione in cui il materiale è
costretto a fluire attraverso l’apertura di una matrice per creare in continuo un prodotto,
la cui sezione trasversale è determinata dalla forma dell’apertura stessa. Nell’ambito
dei polimeri, tale processo di formatura è ampiamente utilizzato per i materiali termo-
plastici e gli elastomeri (raramente per i termoindurenti) per produrre elementi in serie
come tubi, condutture, tubi flessibili, forme strutturate (come finestre e porte), fogli e
pellicole, filamenti continui o fibre, rivestimento di fili elettrici e cavi. Per questo tipo
di prodotti, l’estrusione viene realizzata come processo in continuo e l’estruso (il pro-
dotto finale dell’estrusione) viene successivamente tagliato nelle lunghezze desiderate.
Questa sezione illustra il processo di base dell’estrusione mentre le tre sezioni successi-
ve esamineranno processi basati sull’estrusione.

8.2.1  Processo e attrezzatura


Nell’estrusione dei polimeri, le materie prime in pellet o in polvere vengono immesse
in un cilindro di estrusione dove vengono riscaldate, fuse e successivamente forzate a
fluire attraverso l’apertura di una matrice o filiera per mezzo di una vite rotante, come
illustrato in Figura 8.4. I due componenti principali dell’estrusore sono il cilindro e
la vite. La matrice non viene considerata un componente dell’estrusore; è un utensile
speciale che deve essere progettato e fabbricato per lo specifico profilo da realizzare.
Il diametro interno del cilindro di estrusione varia tipicamente dai 25 mm ai 150
mm. Il cilindro ha una lunghezza maggiore rispetto al diametro, con rapporti L/D so-
Processi di formatura della plastica 179

Tramoggia di carico
Pellet di materie plastiche Polimero fuso Breaker plate
Riscaldatori Vite rotante
Cilindro Breaker plate

Matrice

Sezione di Sezione di Sezione di


alimentazione compressione dosaggio

Figura 8.4  Componenti e caratteristiche di un estrusore (monovite) per materie plastiche e elastomeri. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

litamente compresi tra 10 e 30. Il rapporto L/D è stato ridotto in Figura 8.4 per rendere
più chiaro il disegno. Rapporti L/D maggiori sono utilizzati per i materiali termopla-
stici, mentre per l’estrusione di elastomeri si usano rapporti minori. La tramoggia con-
tenente il materiale di alimentazione si trova all’estremità opposta del cilindro rispetto
alla matrice. I pellet vengono alimentati sfruttando la forza di gravità e la rotazione del-
la vite causa lo spostamento del materiale lungo tutto il cilindro. I riscaldatori elettrici
sono usati per fondere inizialmente i pellet solidi, mentre la successiva miscelazione e
lavorazione meccanica del materiale genera del calore supplementare, che serve a man-
tenere fuso il materiale. In alcuni casi non è necessario avere dei riscaldatori esterni in
quanto l’azione di miscelazione e di taglio forniscono già il calore necessario. Di fatto,
in alcune situazioni il cilindro deve essere raffreddato dall’esterno per evitare il surri-
scaldamento dei polimeri.
Mediante l’azione della vite, che ruota con velocità di circa 60 giri/min, il materiale
viene convogliato lungo tutto il cilindro verso l’apertura della matrice. La vite rotante
ha diverse funzioni ed è suddivisa in diverse sezioni corrispondenti a tali funzioni: (1)
la sezione di alimentazione, in cui il carico viene immesso dalla tramoggia e viene
preriscaldato, (2) la sezione di compressione, dove il polimero assume una consistenza
fluida, l’aria intrappolata tra i pellet fuoriesce dal materiale fuso e il materiale viene
compresso e (3) la sezione di dosaggio, dove il materiale fuso viene omogeneizzato e si
crea una pressione sufficiente per spingerlo attraverso il foro della matrice.
Il funzionamento della vite è determinato dalla sua forma e dalla sua velocità di
rotazione. Una geometria tipica delle viti per estrusori è illustrata in Figura 8.5. La vite
consiste in una filettatura a spirale che lascia dei canali liberi attraverso cui fluisce il poli-
mero fuso. Il canale ha una larghezza wc e una profondità dc. Quando la vite ruota, i filetti
spingono il materiale in avanti attraverso il canale, dalla base della tramoggia lungo tutto
il cilindro, verso la matrice. Sebbene non si riesca a distinguere nella figura, il diametro
del filetto è minore del diametro del cilindro D, determinando un gioco di entità ridotta,
pari a circa 0.05 mm; ciò limita la fuoriuscita del materiale fuso e il suo flusso di ritorno
verso il canale. Il filetto ha una larghezza wf ed è realizzato in acciaio temprato per resi-
stere all’usura causata dalla rotazione e dallo sfregamento contro la superficie interna del
cilindro. La vite ha un passo di valore simile al diametro D. L’angolo d’inclinazione dei
filetti A è l’angolo dell’elica della vite e può essere determinato dalla relazione

(8.4)
180 Tecnologia meccanica

Cilindro
Passo p
Vite

A Direzione del flusso fuso


D

Figura 8.5  Dettagli della


vita di un estrusore all’in- dc
terno del cilindro. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
Canale
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il wc Filetto
wf
permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)

dove p è passo della vite1.


L’aumento della pressione applicata al fuso polimerico nelle tre sezioni della barra
è determinato principalmente dalla profondità del canale dc. In riferimento alla Figura
8.4, il valore di dc è relativamente elevato nella sezione di alimentazione per poter faci-
litare l’ingresso di elevate quantità di granuli di polimero nel cilindro. Nella sezione di
compressione, dc si riduce gradualmente in modo da applicare una pressione maggiore
sul polimero durante la fusione. Nella sezione di dosaggio, il valore di dc è molto ridotto
e la pressione raggiunge il suo massimo valore quando il flusso è contenuto all’estremità
del cilindro dove è posta la matrice. Nella Figura 8.4, le tre sezioni della vite sono raf-
figurate con lunghezze simili. Questo è corretto per un polimero che fonde in maniera
graduale, come il polietilene a bassa densità (LDPE). Per altri polimeri, le sezioni hanno
diverse lunghezze ottimali. Per i polimeri cristallini come il nylon, la fusione avviene
in modo rapido in un preciso punto di fusione ed è quindi più appropriato avere una se-
zione di compressione corta. I polimeri amorfi, come il polivinilcloruro (PVC), fondono
più lentamente dell’LDPE e pertanto per questi materiali la zona di compressione deve
occupare quasi tutta la lunghezza della vite. Sebbene la configurazione ottima della
vite sia diversa per ogni tipo di materiale, di solito vengono utilizzate delle viti di tipo
«general-purpose». Queste configurazioni rappresentano un compromesso tra i diversi
materiali e consentono di evitare frequenti modifiche delle viti che sono causa di costosi
tempi di fermo macchina.
Il polimero avanza lungo tutto il cilindro e raggiunge la zona della filiera. Prima
di raggiungere la matrice, il polimero fuso passa attraverso una serie di reti metalli-
che supportate da una piastra rigida, chiamata breaker plate, che presenta piccoli fori
assiali. Le funzioni di tale componente sono (1) filtrare i contaminanti e i grumi duri
derivati dalla fusione, (2) aumentare la pressione nella sezione di dosaggio e (3) rad-
drizzare il flusso del polimero fuso e rimuovere la «memoria» del movimento circolare
imposto dalla vite. Quest’ultima funzione è necessaria per la proprietà viscoelastica del
polimero: se, infatti, il flusso non fosse raddrizzato, il polimero continuerebbe a ripro-
durre il suo moto circolare all’interno della camera di estrusione, tendendo a torcere e
deformare l’estruso finale.

1
 Sfortunatamente p è il simbolo solitamente usato per due diverse variabili in questo capitolo. Qui e in
diversi capitoli rappresenta il passo della vite; più avanti in questo stesso capitolo questo simbolo p sarà usato
per indicare la pressione.
Processi di formatura della plastica 181

8.2.2  Analisi dell’estruso


In questa sezione sono sviluppati dei modelli matematici per descrivere, in modo sem-
plificato, i diversi aspetti dell’estrusione dei polimeri.

Flusso del polimero fuso all’interno dell’estrusore  Quando la vite ruota


all’interno del cilindro, il polimero fuso è costretto a spostarsi in avanti verso la matri-
ce, funzionando come una vite di Archimede. Il meccanismo di trasporto principale è
il flusso di trascinamento, che deriva dall’attrito tra il fluido viscoso e due superfici
opposte con moto relativo l’una rispetto all’altra: (1) la parete fissa del cilindro e (2) il
canale della vite in rotazione. Questo meccanismo può essere paragonato a quello che
si verifica in un flusso di un fluido tra una piastra fissa e una piastra mobile, separate
da un liquido viscoso, come illustrato in Figura 3.17. Dato che la piastra mobile ha una
velocità v, può essere dedotto che la velocità media del fluido è v/2 e quindi la portata
volumetrica è pari a

(8.5)

dove Qd è la portata volumetrica del flusso di trascinamento in m3/s, v è la velocità della


piastra mobile in m/s, d è la distanza che separa le due piastre in m e w la larghezza
delle piastre perpendicolare alla direzione della velocità in m. Questi parametri possono
essere confrontati con quelli del canale, definito dalla vite di estrusione rotante e dalla
superficie fissa del cilindro.

(8.6)

(8.7)

(8.8)

dove D è il diametro della vite in m, N è la velocità di rotazione della vita in giri/s, dc è la


profondità del canale in m, wc è la larghezza del canale in m, A è l’angolo di inclinazione
dei filetti e wf la larghezza del filetto in m. Se assumiamo che la larghezza del filetto sia
trascurabile, l’ultima di queste equazioni si riduce a

(8.9)

Sostituendo le Equazioni (8.6), (8.7) e (8.9) nell’Equazione (8.5), e utilizzando le formu-


le di identità trigonometriche necessarie, si ottiene

(8.10)

Se non fossero presenti forze che oppongono resistenza al movimento in avanti del
fluido, questa equazione fornirebbe una descrizione ragionevole del flusso di materiale
fuso all’interno dell’estrusore. Tuttavia, la compressione del polimero fuso attraverso
la matrice, a valle dell’estrusore, genera una contropressione nel cilindro che riduce
la quantità del materiale spostata per trascinamento dell’Equazione (8.10). Questa ridu-
zione del flusso, detta flusso di contropressione, dipende dalle dimensioni della vite,
dalla viscosità del polimero fuso e dal gradiente di pressione lungo il cilindro. Queste
dipendenze possono essere riassunte nell’equazione seguente [12]:
182 Tecnologia meccanica

(8.11)

dove Qb è flusso di contropressione in m3/s, η è la viscosità del polimero in Ns/m 2, dp/


dl è il gradiente della pressione in MPa/m e gli altri termini come precedentemente de-
finiti. Il gradiente effettivo della pressione presente nel cilindro è funzione della forma
della vite al variare della sua lunghezza: l’andamento tipico della pressione è mostrato
in Figura 8.6. Se assumiamo come approssimazione un andamento lineare, indicato
dalla linea tratteggiata in Figura 8.6, il gradiente della pressione diventa una costante
p/L, e l’equazione precedente si riduce a

(8.12)

dove p è la pressione massima nel cilindro in MPa e L la lunghezza del cilindro in m.


Va ricordato che il flusso di contropressione non è un flusso effettivo, ma rappresenta
una riduzione del flusso di trascinamento. Quindi si può calcolare il valore del flusso
di polimero fuso in un estrusore come la differenza tra il flusso di trascinamento e la
contropressione di flusso:

(8.13)
(8.14)

dove Qx è la portata di polimero fuso nell’estrusore. L’Equazione (8.13) presuppone


che vi sia minimo flusso di perdita dovuto al gioco presente tra la parete del cilindro
e i filetti. In effetti, il flusso di perdita del materiale fuso è generalmente trascurabile
rispetto ai flussi di trascinamento e di contropressione, eccetto negli estrusori molto
usurati.
L’Equazione (8.13) contiene molti parametri, che possono essere suddivisi in due ti-
pologie: (1) parametri di progettazione e (2) parametri di funzionamento. I parametri di
progettazione sono quelli che definiscono la forma della vite e del cilindro: il diametro
D, la lunghezza L, la profondità del canale dc e l’angolo di inclinazione della spirale A.
Per un noto processo di estrusione, questi fattori non possono essere cambiati durante il
processo. I parametri operativi sono invece quelli che possono essere modificati durante
il processo per influire sul flusso in uscita; questi parametri includono la velocità di
rotazione N, la pressione massima p e la viscosità η. Naturalmente, la viscosità del fuso
è controllabile solo nel limite entro il quale le variazioni di temperatura e di gradiente
di velocità hanno effetto su questo parametro. Attraverso il seguente esempio si può
osservare il ruolo di questi parametri nel processo di estrusione.

Fine
Fine della tramoggia di alimentazione
della matrice

Gradiente
Pressione, p

di pressione tipico
Figura 8.6  Il gradiente di pressione tipico
in un estrusore; la linea tratteggiata indi-
ca l’andamento lineare approssimato per
semplificare i calcoli. (Fonte: Fundamen- Approssimazione
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con
il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) Posizione nel cilindro
Processi di formatura della plastica 183

Esempio 8.1  Portata del flusso di estrusione


Una barra di estrusione ha un diametro D pari a 75 mm. La vite ruota a velocità N = 1
giro/s. La profondità del canale dc è di 6,0 mm e l’angolo di inclinazione A è di 20°. La
pressione p alla fine del cilindro è di 7.0 × 106 Pa, la lunghezza del cilindro L è di 1.9
m e la viscosità del polimero fuso η è 100 Pa-s. Determinare la portata volumetrica
Qx del materiale plastico nella barra.

Soluzione: Utilizziamo l’Equazione (8.13) per calcolare il flusso di trascinamento e il


flusso opposto di contropressione nel cilindro.
Qd = 0,5p2 (75 × 10 –3)2 (1.0)(6 × 10 –3)(sin20)(cos20) = 53,525(10 –9)m3/s
p(7 × 106)(75 × 10 –3) (6 × 10 –3) (sin20)2
Qb = = 18.276(10 –6) = 18,276 (10 –9)m3/s
12(100)(1.9)
Qx = Qd – Qb = (53,525 – 18,276)(10 –9) = 35,259(10 –9) m3/s

Estrusore e caratteristiche della matrice  Se la contropressione fosse pari a


zero, e quindi il flusso non fosse decelerato all’interno dell’estrusore, allora il flusso
coinciderebbe con il flusso di trascinamento Qd dato dall’Equazione (8.10). Fissati i
parametri di progettazione e di funzionamento (D, A, N ecc.), questo flusso rappresenta
la portata massima dell’estrusore e può essere indicato con Qmax:

(8.15)

D’altra parte, se la contropressione fosse tale da non consentire il flusso, allora il flusso
di contropressione sarebbe uguale al flusso di trascinamento, cioè,

quindi (8.16)

Utilizzando le espressioni di Qd e Qb nell’Equazione (8.13) possiamo risolvere in p per


determinare la pressione massima pmax tale da causare assenza di flusso nell’estrusore

(8.17)

I due valori di Qmax e pmax sono rappresentati come punti lungo gli assi di un diagramma
noto come caratteristica dell’estrusore (o caratteristica della vite), come mostrato in
Figura 8.7. Tale diagramma definisce la relazione tra pressione e portata, in una macchi-
na di estrusione, per determinati parametri di progettazione ed operativi.
Definita la matrice e una volta che il processo di estrusione è in esecuzione, i valori
effettivi di Qx e p saranno compresi tra i valori estremi, con una posizione nella caratte-
ristica determinata delle proprietà della matrice. La portata attraverso la matrice dipen-
de dalla dimensione e dalla forma dell’apertura e dalla pressione applicata per forzare
il materiale fuso ad uscire attraverso di essa. Questa portata può essere espressa come:

(8.18)

dove Qx è la portata in m3/s, p è la pressione massima in Pa e Ks è il fattore di forma della


matrice in m5/Ns. Per un’apertura a sezione circolare di una certa lunghezza, il fattore
di forma può essere calcolato come segue [12]:

(8.19)
184 Tecnologia meccanica

Caratteristica
della matrice
Figura 8.7  Caratteristica dell’estru-

Portata, Q
sore (anche detta caratteristica della Punto di funzionamento
vite) e caratteristica della matrice. Il
punto di funzionamento del sistema Caratteristica
si trova all’intersezione delle due li- dell’estrusore
nee. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il per-
messo di John Wiley & Sons, Inc.) Pressione

dove Dd è il diametro del foro in m, η è la viscosità del fuso in Ns/m 2 e Ld è la lunghezza


dell’apertura in m. Per altre geometrie, il fattore di forma della matrice è inferiore al
valore ottenuto per una matrice a sezione circolare avente la stessa superficie, il che si-
gnifica che è necessario applicare una pressione maggiore per ottenere la stessa portata.
La relazione tra Qx e p nell’Equazione (8.16) è detta caratteristica della matrice.
In Figura 8.7, questa è rappresentata come una linea retta che si interseca con la carat-
teristica dell’estrusore. Il punto di intersezione identifica i valori di p e Qx che sono noti
come punto di funzionamento del processo di estrusione.

Esempio 8.2 Estrusore e caratteristiche della matrice


Si consideri l’estrusore dell’Esempio 8.1, in cui D = 75 mm, L = 1.9 m, N = 1 giro/s,
dc = 6 mm e A = 20°. La plastica fusa ha una viscosità di taglio η pari a 100 Pa-s.
Determinare (a) Qmax e p max, (b) il fattore di forma Ks per un’apertura circolare in cui
Dd = 6.5 mm e Ld = 20 mm, e (c) i valori di p e Qx al punto di lavoro.

Soluzione: (a) Qmax è dato dall’Equazione (8.14).


Qmax = 0,5p2 D2 Ndc sinA cosA= 0,5p2(75 × 10 –3)2(1.0)(6 × 10 –3)(sin20)(cos20)
= 53,525(10 –9)m3/s
pmax è dato dall’Equazione (8.15).
6pDNLhcotA 6p(75 × 10 –3)(1.9)(1.0)(100)cot20
p max = = = 20,499,874 Pa
dc2 (6 × 10 –3)2
Questi due valori definiscono l’intersezione con l’asse y e l’asse x per la caratteristica
dell’estrusore.
(b) Il fattore di forma per una matrice circolare con apertura Dd = 6,5 mm e Ld = 20 mm
si ricava dall’Equazione (8.17).
p(6.5 × 10 –3)4
Ks = = 21,99(10–12) m5/Ns
128(100) (20 × 10 –3)
Questo fattore di forma definisce la pendenza della caratteristica della matrice.
(c) Il punto di funzionamento è definito dai valori di p e Qx , trovati dall’intersezione
della caratteristica dell’estrusore con la caratteristica della matrice. La caratteristica
dell’estrusore può essere espressa come l’equazione della linea retta passante per
Qmax e p max, che è
Qx = Qmax – (Qmax /p max)p
= 53,525(10 –9) – (53,525(10 –9)/20,499,874)p = 53,525(10 –9) – 2.611(10 –12)p (8.18)
Processi di formatura della plastica 185

La caratteristica della filiera è data dall’Equazione (8.16) utilizzando il valore del Ks


calcolato al punto (b).
Qx = 21.9(10 –12)p
Imponendo l’uguaglianza tra le due equazioni, si ottiene

53,525(10 –9) – 2.611(10 –12)p = 21.9(10 –12)p


p = 2.184(10 –6)Pa
Risolvendo per Qx , utilizzando una delle due equazioni, si ottiene

Qx = 53,525(10 –6) – 2.611(10 –12)(2.184)(106) = 47.822(10 –6)m3/s


Confrontando questo risultato con l’altra equazione, per verifica:

Qx = 21.9(10 –12) (2.184)(106) = 47.82(10 –6)m3/s

8.2.3  Configurazione della matrice e prodotti estrusi


La forma del foro della matrice determina la forma della sezione trasversale del pro-
dotto estruso. Possiamo elencare i profili tipici dei fori e le corrispondenti forme degli
estrusi come segue: (1) profili solidi, (2) profili cavi, come tubi, (3) rivestimenti di fili
e cavi, (4) fogli e film, (5) filamenti. In questa sezione, vengono trattate le prime tre
categorie, mentre i metodi per la produzione di fogli e pellicole e per la produzione
di filamenti saranno argomento rispettivamente della Sezione 8.3 e della Sezione 8.4.
Quest’ultime forme possono richiedere processi di formatura diversi dall’estrusione.

Profili solidi  I profili solidi possono avere sia forme regolari, come cerchi e quadrati,
sia forme irregolari come forme strutturate, bordi di porte e finestre, guarnizioni di au-
tomobili e rivestimenti di case. La vista della sezione laterale di una matrice per queste
forme solide è illustrata in Figura 8.8. Appena oltre l’estremità della vite e prima della
matrice, il polimero fuso passa attraverso le reti metalliche e il «breaker plate» così
da raddrizzare le linee di flusso. Successivamente fluisce in un raccordo, solitamente
convergente, la cui forma è progettata appositamente per mantenere il flusso lamina-
re ed evitare «punti morti» negli angoli che altrimenti si genererebbero in prossimità
dell’apertura. La massa fusa scorre infine attraverso l’apertura della matrice.

Breaker plate
Barra di estrusione Ingresso convergente della matrice

Matrice Matrice di estrusione


Anello di bloccaggio
Profilo
Reti metalliche dell’estruso

Direzione del flusso


Dimensione dell’apertura
della matrice
Lunghezza
della matrice
Polimero fuso

Figura 8.8  (a) Vista laterale di una matrice di estrusione per forme solide regolari, come pezzi circolari. (b) Vista frontale di una
matrice, con relativo profilo dell’estruso. Il rigonfiamento da estrusione è evidente in entrambe le viste. (Alcuni dettagli costruttivi
sono stati semplificati o omessi per chiarezza). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
186 Tecnologia meccanica

Quando il materiale esce dalla matrice è ancora malleabile. I polimeri ad elevate


viscosità sono i più adatti per l’estrusione, poichè mantengono meglio la forma durante
il raffreddamento. Il raffreddamento può essere realizzato in diversi modi: soffiando
aria, spruzzando acqua o immergendo l’estruso in acqua. Per compensare il rigonfia-
mento, l’apertura della matrice deve essere abbastanza lunga per poter rimuovere parte
della «memoria» nel polimero fuso. Inoltre, l’estruso viene spesso allungato (stirato) per
ridurre l’espansione del rigonfiamento.
Per le forme non rotonde, l’apertura della matrice è progettata con una sezione
trasversale leggermente diversa da quella desiderata, in modo che il rigonfiamento pro-
duca la forma corretta. Un esempio di questa correzione è illustrato in Figura 8.9 per
una sezione trasversale quadrata. Poiché polimeri diversi hanno diversi gradi di rigon-
fiamento, la forma della matrice dipende dal materiale da estrudere. I progettisti delle
matrici devono pertanto essere abili nel progettare sezioni trasversali complesse.

Profili cavi  L’estrusione dei profili cavi, come tubi, condotti, tubi flessibili e altre
sezioni contenenti fori, richiede una spina o mandrino per formare la forma cava. Una
configurazione tipica della matrice è mostrata in Figura 8.10. Il mandrino è tenuto in
posizione usando un sistema «a ragno», visibile nella sezione A-A della Figura 8.10.
Il polimero fuso fluisce attorno alle «zampe di ragno» che supportano il mandrino
per riunirsi successivamente in una parete del tubo compatta. Il mandrino spesso in-
clude anche un canale attraverso cui viene soffiata aria per mantenere la forma cava
dell’estruso durante l’indurimento. I tubi vengono raffreddati a spruzzo con acqua o
immergendo l’estruso ancora non totalmente solidificato in un serbatoio pieno d’acqua
con dimensioni tali da limitare l’OD del tubo mentre la pressione dell’aria viene man-
tenuta all’interno.

Rivestimento di fili e cavi  Il rivestimento di fili e cavi per l’isolamento è uno dei
più importanti processi di estrusione dei polimeri. Come mostrato in Figura 8.11 per il
rivestimento dei cavi, il polimero fuso viene applicato al filo quando esso è tirato ad
alta velocità attraverso la filiera. Si forma un leggero vuoto tra il filo e il polimero per
favorire l’adesione del rivestimento. Il filo fornisce rigidità durante il raffreddamento,
che viene normalmente effettuato facendo passare il filo rivestito in una vasca d’acqua.
Il prodotto è poi avvolto su bobine di grandi dimensioni con velocità fino a 50 m/s.

8.2.4  Difetti nell’estrusione


I prodotti estrusi possono essere caratterizzati da un certo numero di difetti. Uno dei
peggiori è la frattura del fuso, in cui le sollecitazioni, agenti sul materiale fuso im-

Figura 8.9  (a) Sezione trasversale di


una matrice che mostra il profilo richie-
(b)
sto per ottenere (b) un profilo quadrato
dell’estruso. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con
il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) (a)
Processi di formatura della plastica 187

Breaker plate

Polimero fuso Sezione A-A


Cilindro di estrusione

Sezione
B-B
Reti metalliche «Zampe
di ragno» (3)
Direzione del flusso

Sistema «a ragno» (3)

Canale per l’aria


Mandrino
Aria in ingresso
Figura 8.10  Vista della sezione trasversale laterale della matrice di estrusione per formare sezioni cave come tubi e condotti; la
sezione A-A è la vista frontale che mostra come il mandrino è tenuto in posizione; la sezione B-B mostra la sezione trasversale
tubolare appena prima che il materiale esca dalla matrice; il rigonfiamento provoca un allargamento del diametro. (Alcuni dettagli
costruttivi sono stati semplificati). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Reti metalliche
Direzione del flusso fuso
Reti metalliche

Breaker plate Barra di estrusione verticale


Figura 8.11  Vista della
Polimero fuso sezione trasversale late-
Tubo centrale
rale di una matrice per il
Filo rivestito in uscita rivestimento di cavi elet-
Filo in ingresso trici tramite estrusione.
(Alcuni dettagli costruttivi
sono stati semplificati).
(Fonte: Fundamentals of
Tenuta di vuoto
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
Uscita parziale del vuoto to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

mediatamente prima e durante il suo flusso attraverso la matrice, sono così elevate da
causare un cedimento, che si manifesta sotto forma di un’alta irregolarità superficiale
dell’estruso. Come indicato dalla Figura 8.12, la frattura del fuso può essere causata da
una brusca riduzione all’ingresso della matrice che genera un flusso turbolento che spez-
za il fuso. Questo comportamento è in contrasto con il flusso laminare e allineato otte-
nuto con una graduale forma convergente della matrice, come mostrato in Figura 8.8.
Un difetto molto comune nell’estrusione è lo shark skin, in cui la superficie del pro-
dotto diventa rugosa all’uscita dalla matrice. Quando il fuso scorre attraverso l’apertura
188 Tecnologia meccanica

Estruso

Direzione del flusso fuso

Figura 8.12  Frattura del fuso causata dal flusso turbolento del fuso attraverso un ingresso della ma-
trice molto ridotto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

della matrice, l’attrito sulla superficie di contatto causa un profilo di velocità lungo la
sezione trasversale come quello mostrato in Figura 8.13. Sulla superficie si sviluppano
quindi delle tensioni di trazione, poiché il materiale tende ad allungarsi per raggiungere
il nucleo centrale, che si muove più velocemente. Queste sollecitazioni causano delle
fratture minori che irruvidiscono la superficie. Se il gradiente della velocità aumen-
ta troppo, sulla superficie dell’estruso si manifestano dei segni prominenti, dandogli
l’aspetto di un palo di bambù: da qui il nome di difetto a bambù.

8.3  Produzione di fogli e film

I fogli e i film termoplastici sono prodotti attraverso una serie di processi tra cui i più
importanti sono due metodi basati sull’estrusione. Il termine foglio si riferisce a una
lastra con uno spessore compreso tra gli 0.5 mm e i 12.5 mm che viene utilizzata per
prodotti come vetrate per finestre e materiale per la termoformatura. Il termine film
si riferisce a spessori inferiori a 0.5 mm. I film sottili sono utilizzati per l’imballag-
gio (materiali per l’imballaggio di vari prodotti, sacchetti della spesa e sacchetti per
l’immondizia), mentre film più spessi sono utilizzati per le coperture e i rivestimenti
(coperture per piscine e rivestimenti di canali di irrigazione).
Tutti i processi descritti in questa sezione sono processi continui ad elevati tassi di
produzione. Più della metà dei film prodotti oggi sono in polietilene, principalmente PE
a bassa densità. Gli altri materiali principali sono il polipropilene, il cloruro di polivinile
e la cellulosa rigenerata (il cellophane). Tutti questi sono polimeri termoplastici.

Direzione del
flusso fuso

Figura 8.13  (a) Profilo di velocità del metallo fuso che scorre attraverso l’apertura della matrice, che
può portare a difetti chiamati shark skin e (b) a bambù. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di formatura della plastica 189

Estrusione con matrice a fessura per fogli e film  Fogli e film di vario spes-
sore sono prodotti attraverso estrusioni convenzionali, utilizzando una fessura stretta
come apertura della matrice. La fessura può essere larga fino a 3 m e sottile fino a circa
0.4 mm. Una possibile configurazione di matrice è illustrata in Figura 8.14. La matrice
comprende un collettore che distribuisce il polimero fuso lateralmente, prima di farlo
fluire attraverso la fessura (foro della matrice). Una delle difficoltà di questo metodo
di estrusione è ottenere un’uniformità di spessore lungo tutta la larghezza del pezzo.
Questo problema deriva dal drastico cambiamento di forma a cui viene sottoposto il
polimero fuso durante il suo flusso attraverso la matrice e anche dalle variazioni di tem-
peratura e pressione nello stampo. Generalmente, i bordi del film devono essere tagliati
poiché tendono ad assumere spessore maggiore.
Per raggiungere elevati tassi di produzione, occorre integrare nel processo di estru-
sione un metodo efficiente di raffreddamento e di raccolta del film. Generalmente que-
sto viene realizzato dirigendo immediatamente l’estruso in un bagno di raffreddamento
di acqua o su rulli di raffreddamento, come mostrato in Figura 8.15. Il metodo dei rulli
freddi sembra essere quello più diffuso. Il contatto con i rulli freddi raffredda e solidi-
fica rapidamente l’estruso; in effetti, l’estrusore agisce come un dispositivo di alimen-
tazione per i rulli di raffreddamento che poi di fatto formano il film. Il processo è noto
per l’alta velocità di produzione, pari a 5 m/s. Inoltre, si possono raggiungere tolleranze

Sezione A-A
Direzione del flusso fuso

Sezione B-B

Collettore
Collettore Figura 8.14  Una delle
diverse configurazioni
Fessura di matrice per estrudere
della fogli e film. (Fonte: Fun-
Film matrice damentals of Modern
estruso Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)

Barra di estrusione

Barra di estrusione
Fessura della matrice
Fessura della matrice
Verso l’asciugatura e la raccolta
Film estruso
Verso la raccolta

Bagno Rulli di raffreddamento


di raffreddamento
Film

Figura 8.15  Utilizzo di (a) bagno di acqua per il raffreddamento e (b) rulli di raffreddamento per accelerare la solidificazione del
film fuso dopo l’estrusione. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato
con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
190 Tecnologia meccanica

ridotte sullo spessore del film. Questo processo prende il nome di estrusione a rullo
freddo, dal metodo di raffreddamento utilizzato.

Processo di estrusione di film per soffiaggio  Questo è il secondo processo


molto utilizzato per la produzione di film sottili in polietilene per l’imballaggio. È
un processo complesso, che combina l’estrusione e la soffiatura per produrre un tubo
di film sottile. È opportuno spiegarlo facendo riferimento al disegno riportato in Fi-
gura 8.16. Il processo ha inizio con l’estrusione di un tubo che è trainato verso l’alto
mentre è ancora allo stato fuso; contemporaneamente il tubo è espanso immettendo
aria attraverso un condotto con asse perpendicolare a quello della matrice. La «linea
di gelo» segna la posizione lungo la «bolla» che si muove verso l’alto in cui avviene
la solidificazione del polimero. La pressione dell’aria nella bolla deve essere tenuta
costante per mantenere uniforme lo spessore del film e il diametro del tubo. L’aria è
trattenuta nel tubo dai rulli di presa che stringono e riavvicinano le pareti del tubo
dopo il raffreddamento. I rulli di guida e i rulli di collasso sono utilizzati per tratte-
nere il tubo soffiato e dirigerlo verso i rulli di presa. Il tubo piatto viene poi raccolto
su una bobina di avvolgimento.
L’effetto dell’immissione dell’aria è quello di allungare la pellicola in entrambe le
direzioni, longitudinale e circonferenziale, mentre si raffredda dallo stato fuso. Questo
si traduce in proprietà di resistenza isotropiche, che rappresentano un vantaggio rispetto
ad altri processi in cui il materiale è allungato secondo una direzione prevalente. Un
altro vantaggio è la facilità con cui si possono modificare la velocità di estrusione e la
pressione dell’aria, per controllare la larghezza e lo spessore del pezzo. Confrontando
questo processo con l’estrusione con matrice a fessura, il metodo di soffiaggio produce
film più resistenti (in modo tale da utilizzare un film più sottile per confezionare un
prodotto), ma il controllo dello spessore e il tasso di produzione sono inferiori. Il film

Rulli di presa

Rulli di collasso

Alla bobina di avvolgimento

Rulli di guida

Linea di gelo
Film di plastica soffiato
Matrice a tubo

Estrusore
Figura 8.16  Processo di
soffiaggio per produzioni
elevate di film tubolare
sottile. (Fonte: Funda-
mentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Sons, Inc.)
Processi di formatura della plastica 191

soffiato può essere lasciato in forma tubolare (ad esempio, per i sacchet- Carico in ingresso
ti dell’immondizia) oppure può essere tagliato in corrispondenza dei
bordi per ottenere due film sottili paralleli.

Calandratura  La calandratura è un processo per produrre fogli e


film di gomma o termoplastici gommosi come il PVC plastificato.
In questo processo, il carico iniziale viene fatto passare attraverso
Foglio
una serie di rulli che lavorano il materiale e riducono il suo spessore
in uscita
nella misura desiderata. Una configurazione tipica è quella illustrata
in Figura 8.17. L’attrezzatura risulta essere costosa ma il tasso di pro-
duzione è elevato: si possono raggiungere velocità vicine ai 2.5 m/s.
È necessario però mantenere uno stretto controllo su temperatura,
pressione e velocità di rotazione dei rulli. Il processo è noto per la sua buona finitura Figura 8.17  Una configu-
superficiale e l’elevata accuratezza dimensionale del film. I prodotti di plastica rea- razione di rulli tipica per
lizzati con il processo di calandratura includono i rivestimenti per pavimenti in PVC, la calandratura. (Fonte:
Fundamentals of Modern
le tende da doccia, le tovaglie in vinile, i rivestimenti per piscine, le barche gonfiabili Manufacturing, 4th Edi-
e i giocattoli. tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley &
8.5 Stampaggio a iniezione Sons, Inc.)

Lo stampaggio a iniezione è un processo in cui il polimero viene riscaldato fino a rag-


giunge uno stato altamente plastico e successivamente viene forzato a fluire sotto pres-
sione in uno stampo, dove si solidifica. Il pezzo stampato, chiamato stampaggio, viene
quindi rimosso dalla cavità dello stampo. Tale processo discreto produce componenti
che sono quasi sempre «net shape». Il tempo ciclo è di solito compreso tra i 10 e i 30
secondi, sebbene per pezzi di grandi dimensioni si arrivi anche a cicli della durata di 1
o più minuti. Lo stampo può contenere più di una cavità, in modo da poter produrre più
stampaggi per ogni ciclo.
Con lo stampaggio a iniezione è possibile realizzare forme complesse. Il problema
principale in questi casi è fabbricare uno stampo la cui cavità abbia la stessa forma del
pezzo da produrre e contemporaneamente consenta la sua estrazione dallo stampo. La
dimensione dei pezzi è tale da presentare alla lavorazione masse variabili da circa 50 g
fino a circa 25 kg. Il limite superiore è raggiunto ad esempio dalle porte dei frigoriferi e
dai paraurti delle automobili. Lo stampo determina la forma e la dimensione del pezzo
ed è l’attrezzatura più critica dello stampaggio ad iniezione. Per pezzi grandi e comples-
si, lo stampo può costare centinaia di migliaia di dollari. Per pezzi piccoli, lo stampo
può essere realizzato per contenere cavità multiple, rendendolo ancor più costoso. Per
questi motivi, lo stampaggio a iniezione risulta economico solo per grandi quantità di
produzione.
Lo stampaggio a iniezione è il processo di stampaggio più usato per i termoplasti-
ci. Anche alcuni termoindurenti ed elastomeri vengono stampati a iniezione, usando
apparecchiature e parametri operativi diversi per consentire la reticolazione di questi
materiali. Discuteremo di queste e altre varianti di stampaggio a iniezione nella Se-
zione 8.6.4.

8.6.1  Processo e attrezzatura


Le attrezzature per lo stampaggio a iniezione derivano dalla pressofusione dei metalli.
Come illustrato in Figura 8.20, una macchina da stampaggio a iniezione è costituita
da due componenti principali: (1) il gruppo di iniezione della plastica e (2) il gruppo
192 Tecnologia meccanica

Tramoggia di alimentazione Riscaldatori Barra Piano stazionario


Piano fisso
Cilindro per la vite-pistone Vite di iniezione Stampo
Tiranti (4) Cilindro
Ugello di chiusura

Motore e ingranaggi per Valvola di


Cilindro
la rotazione della vite non ritorno
idraulico

Gruppo di iniezione Gruppo di chiusura

Figura 8.20  Diagramma della macchina per lo stampaggio con vite di iniezione (alcuni dettagli meccanici sono stati semplificati).
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

di chiusura dello stampo. Il gruppo di iniezione è molto simile a un estrusore. Consi-


ste in un cilindro alimentato da una tramoggia contenente pellet di materiale plastico.
All’interno del cilindro è posta una vite il cui funzionamento differisce però da quello
di una vite di estrusione, ovvero, oltre a ruotare per mescolare e riscaldare il polimero,
agisce anche come un maglio che si muove rapidamente in avanti per iniettare il mate-
riale plastico fuso nello stampo. Una valvola di non ritorno è montata vicino alla punta
della vite per impedire al fuso di fluire all’indietro lungo le filettature. A fine ciclo, il
pistone si ritrae nella sua posizione originale. A causa della sua duplice azione, la vite
viene chiamata vite di iniezione. Riassumendo, le funzioni del gruppo di iniezione
sono quindi di fondere e omogeneizzare il polimero e successivamente di iniettarlo
nella cavità dello stampo.
Il gruppo di chiusura è relativo al funzionamento dello stampo. Le sue funzioni
sono (1) tenere le due metà dello stampo in corretto allineamento tra loro, (2) mantenere
lo stampo chiuso durante l’iniezione, applicando una forza di chiusura sufficiente per
resistere alla forza di iniezione e (3) aprire e chiudere la stampo nei momenti opportuni
del ciclo di stampaggio. Il gruppo di chiusura è costituito da due piani, uno fisso ed
uno mobile, e da un meccanismo per muovere quest’ultimo. Il meccanismo è fonda-
mentalmente una pressa azionata da un pistone idraulico o da dispositivi meccanici di
varie tipologie. Forze di chiusura di diverse migliaia di tonnellate sono disponibili su
macchine di grandi dimensioni.
Il ciclo di stampaggio a iniezione di un polimero termoplastico si basa sulla se-
quenza illustrata in Figura 8.21. All’inizio lo stampo è aperto e la macchina è pronta
per iniziare un nuovo stampaggio: (1) Lo stampo viene chiuso e bloccato. (2) Una dose
di polimero fuso, portato alla giusta temperatura e viscosità mediante il riscaldamento
e la lavorazione meccanica della vite, viene iniettata ad alta pressione nella cavità dello
stampo. La plastica si raffredda e inizia a solidificare quando entra in contatto con la
superficie fredda dello stampo. La pressione di iniezione viene mantenuta dal pistone,
per poter fornire alla cavità ulteriore quantità di materiale fuso per compensare la con-
trazione che si verifica durante il raffreddamento. (3) La vite viene ruotata e ritratta
assieme alla valvola aperta di non ritorno per permettere ad una nuova quantità di poli-
mero fuso di scorrere nella parte anteriore del cilindro, pronta per il prossimo stampo.
Processi di formatura della plastica 193

Piano
Cavità mobile Polimero fuso
Valvola di non ritorno

Nuovo polimero Solidificazione Stampaggio


fuso per l’iniezione
successiva

Figura 8.21  Tipico ciclo di stampaggio: (1) lo stampo viene chiuso, (2) il fuso viene iniettato nella cavità, (3) la vite si ritrae e (4) lo
stampo si apre e il pezzo viene estratto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Nel frattempo, il polimero nello stampo si è completamente solidificato. (4) Lo stampo


viene aperto e il pezzo viene estratto e rimosso.

8.6.2  Lo stampo
Lo stampo è l’attrezzatura fondamentale dello stampaggio a iniezione, ed è progettato
e fabbricato appositamente per il pezzo specifico da produrre. Quando il ciclo di pro-
duzione per quel pezzo è finito, lo stampo in uso viene sostituito con un altro stampo
per il pezzo successivo. In questa sezione esaminiamo i diversi tipi di stampo per lo
stampaggio a iniezione.

Stampo a due piani  Lo stampo convenzionale a due piani, illustrato in Figura 8.22,
consiste in due metà fissate ai due piani del gruppo di chiusura della macchina di stampag-
gio. Quando il gruppo di chiusura è aperto, le due metà dello stampo sono aperte, come
mostrato in Figura 8.22 (b). La caratteristica più evidente dello stampo è la cavità, che di
solito è formata rimuovendo parte del metallo dalle superfici accoppiate delle due metà.
Gli stampi possono contenere una cavità singola o delle cavità multiple per produrre più
pezzi in un unico ciclo. Nella Figura 8.22 viene rappresentato uno stampo a due cavità.
La superficie di divisione (o linea di separazione, vista dalla sezione trasversale dello
stampo) coincide con l’apertura dello stampo quando si deve rimuovere il pezzo (o i pezzi).
Oltre alla cavità, lo stampo possiede altre caratteristiche indispensabili durante il
ciclo di stampaggio. Uno stampo deve avere un canale di distribuzione attraverso il
quale il polimero fuso scorre dall’ugello del cilindro di iniezione nella cavità di stampo.
Il canale di distribuzione comprende (1) un canale di iniezione, che porta dall’ugello
nello stampo (2) i distributori, che conducono dal canale di iniezione alla cavità (o le
194 Tecnologia meccanica

Piano stazionario
Canale per l’acqua

Piano di supporto Estrattore del


Piano mobile Perni di espulsione
canale di colata

Alloggiamento dell’espulsore
Stampo
Piano dell’espulsore
(cavità)
(detto anche piano di knock-out)
Distributore
Ugello
Canale di entrata Boccola del
Gate Piano dei perni canale di colata
di espulsione

Linea Perni di espulsione


di separazione

Figura 8.22  Dettagli di uno stampo a due piani per lo stampaggio a iniezione termoplastica: (a) chiuso e (b) aperto. Lo stampo
presenta due cavità per produrre due pezzi a forma di tazza ad ogni iniezione (in figura è mostrara la sezione trasversale). (Fonte:
Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons,
Inc.)

cavità) di stampo e (3) i gate che comprimono il flusso della plastica nella cavità. La
compressione provoca un aumento del gradiente di velocità e di conseguenza una ridu-
zione della viscosità del polimero fuso. Per ogni cavità di stampo ci sono uno o più gate.
Per espellere il pezzo stampato dalla cavità al termine del ciclo di stampaggio è necessa-
rio un sistema di espulsione. Solitamente, i perni espulsori, incorporati nella parte mobile
dello stampo, hanno questa funzione. La cavità è divisa tra le due metà dello stampo in modo
tale che il naturale ritiro dello stampaggio lo faccia aderire alla metà dello stampo mobile.
Quando lo stampo si apre, i perni espulsori spingono il pezzo fuori della cavità dello stampo.
È inoltre necessario prevedere un sistema di raffreddamento per lo stampo. Que-
sto consiste in una pompa esterna connessa ad opportuni canali ottenuti nello stampo,
all’interno dei quali viene fatta circolare acqua per raffreddare la plastica calda.
L’aria presente nella cavità dello stampo deve essere evacuata al momento dell’inie-
zione del polimero. Ciò avviene principalmente grazie al passaggio dell’aria attraverso
i giochi dei perni di espulsione dello stampo. Inoltre, vengono solitamente inserite delle
piccole prese d’aria sulla superficie di divisione, spesse solo 0.03 mm e larghe da 12
a 25 mm. Questi canali permettono all’aria di fuoriuscire verso l’esterno e presentano
sezione troppo piccola perché il polimero fuso viscoso possa attraversarli.
Per riassumere, uno stampo è costituito da: (1) una o più cavità che determinano la
geometria del pezzo, (2) i canali di distribuzione attraverso cui il polimero fuso scorre
fino alla cavità (alle cavità), (3) un sistema di espulsione per la rimozione del pezzo (dei
pezzi), (4) un sistema di raffreddamento e (5) presa d’aria per consentire la fuoriuscita
dell’aria dalla cavità (dalle cavità).

Altri tipi di stampo  Uno stampo alternativo a quello a due piani è lo stampo a tre
piani, mostrato in Figura 8.23, per realizzare lo stesso pezzo discusso in precedenza.
Questa configurazione dello stampo presenta diversi vantaggi. Innanzitutto, il flusso di
plastica fusa attraversa un gate situato alla base del pezzo anziché al lato: ciò permette
una distribuzione più uniforme della massa fusa sui due lati del pezzo. Nella configu-
razione con l’ingresso nello stampo a due piani laterale, in Figura 8.22, la plastica deve
Processi di formatura della plastica 195

Piano stazionario Perni di espulsione Piano dello stampo


Piano dello stampo Piano mobile mobile
stazionario Piano dello stampo intermedio
Gate Cavità
Alloggiamento
dell’espulsore
Imbocco
Piano
Distributore del canale
dell’espulsore
di colata
Ugello

Canale
Piano dei perni
di entrata
di espulsione

Perni di espulsione Canale di entrata Pezzi stampati


Piano dello stampo intermedio e di distribuzione

Figura 8.23  Stampo a tre piani: (a) chiuso e (b) aperto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

fluire attorno al nucleo e ricongiungersi sul lato opposto, cosa che può dare origine ad
una zona a minore resistenza in corrispondenza della linea di saldatura. In secondo
luogo, lo stampo a tre piani consente una gestione più automatica della macchina di
stampaggio. Quando lo stampo si apre, si divide in tre piani con due aperture tra loro.
Quest’azione separa il canale di distribuzione dai pezzi, che cadono per effetto della
gravità in contenitori posti sotto lo stampo.
Il canale di colata e quello di distribuzione in uno stampo convenzionale a due o
tre piani costituiscono materiale di scarto. In molti casi essi possono essere macinati
e riutilizzati, anche se in alcuni casi il pezzo finito deve essere prodotto con plastica
«vergine» (plastica che non è stata precedentemente stampata).
Lo stampo a canale caldo elimina il problema della solidificazione del canale di
colata e distribuzione, posizionando dei riscaldatori intorno ai canali. Sebbene la pla-
stica nella cavità dello stampo solidifichi, il materiale presente nei canali di colata e di
distribuzione rimane fuso, pronto per essere iniettato nella cavità al ciclo successivo.

8.6.3  Ritiro e difetti nello stampaggio a iniezione


I polimeri hanno degli elevati coefficienti di espansione termica e si possono verificare
dei ritiri significativi durante il raffreddamento del materiale plastico nello stampo.
La contrazione delle materie plastiche cristalline tende ad essere maggiore rispetto ai
polimeri amorfi. Il ritiro generalmente si manifesta attraverso la riduzione delle dimen-
sioni lineari che si verifica durante il raffreddamento dalla temperatura di stampaggio
del polimero alla temperatura ambiente. L’unità di misura utilizzata per il ritiro lineare
è mm/mm della dimensione considerata. In Tabella 8.1 sono riportati i valori tipici del
ritiro lineare per alcuni polimeri.
I riempitivi nella plastica vengono spesso usati per ridurre il ritiro. Nelle operazioni
commerciali di stampaggio, i valori di ritiro degli specifici compositi per lo stampag-
gio utilizzati devono essere forniti prima di realizzare lo stampo. Infatti, le dimensioni
della cavità dello stampo devono essere maggiori delle dimensioni del pezzo fornite da
specifica per compensare il ritiro. Per calcolare le dimensioni della cavità si può usare
la seguente formula [14]:
196 Tecnologia meccanica

Esempio 8.3 Ritiro nello stampaggio a iniezione


La lunghezza nominale di un pezzo di polietilene è di 80 mm. Determinare la corri-
spondente dimensione della cavità di stampo, utile a compensare il ritiro.

Soluzione: Dalla Tabella 8.1 si sa che il ritiro per il polietilene è S = 0.025. Utilizzando
l’Equazione (8,19), si ha che il diametro della cavità dello stampo deve essere:

Dc = 80.0 + 80.0(0.025) + 80.0(0.025)2


= 80.0 + 2.0 + 0.05 = 82.05 mm

(8.20)

dove Dc è la dimensione della cavità in mm, Dp è la dimensione del pezzo stampato in


mm e S è il valore di ritiro dato dalla Tabella 8.1. Il terzo termine a destra corregge la
contrazione che si verifica durante il ritiro.
A causa dei diversi valori di ritiro delle plastiche, le dimensioni dello stampo devo-
no essere determinate in funzione dello specifico polimero utilizzato nello stampaggio.
Lo stesso stampo produrrà pezzi di dimensioni diverse per tipologie diverse di polimero
utilizzato.
I valori in Tabella 8.1 rappresentano una semplificazione grossolana del problema
del ritiro. In realtà, il ritiro è influenzato da una serie di fattori, ognuno dei quali può
alterare l’entità della contrazione per un dato polimero. I fattori più importanti sono la
pressione di iniezione, il tempo di compattazione, la temperatura di stampaggio e lo
spessore del pezzo. All’aumentare della pressione di iniezione si forza più materiale a
fluire all’interno della cavità dello stampo e il ritiro si riduce. Aumentare il tempo di
compattazione ha un effetto analogo, assumendo che il polimero nel gate non solidifichi
e non sigilli la cavità. Mantenere la pressione dopo l’iniezione forza un maggior quan-
titativo di materiale a fluire all’interno della cavità mentre avviene il ritiro; pertanto il
ritiro netto si riduce.
Con il termine «temperatura di stampaggio» si fa riferimento al valore della tem-
peratura del polimero nel cilindro immediatamente prima dell’iniezione. Ci si potrebbe
aspettare che una maggiore temperatura del polimero aumenti il ritiro, in base al fatto
che la differenza tra la temperatura dello stampaggio e la temperatura ambiente è mag-
giore. Al contrario, il ritiro è in realtà inferiore a temperature di stampaggio più elevate.
La spiegazione è che a temperatura più alta si riduce significativamente la viscosità del
polimero fuso, consentendo l’immissione e la compressione di maggiore quantità di
materiale nello stampo. Il fenomeno è analogo a quello discusso per pressioni di inie-
zione elevate. L’effetto dell’alta temperatura sulla viscosità compensa largamente quello
connesso a una maggiore differenza di temperatura.
Infine, le parti più spesse subiscono un ritiro maggiore. Uno stampaggio solidifica a
partire dalle zone più esterne: il polimero a contatto con la superficie dello stampo for-

TABELLA 8.1  Valori di ritiro tipici per lo stampaggio a iniezione di alcuni termoplastici.

Plastica Ritiro in mm/mm Plastica Ritiro in mm/mm


ABS 0.006 Polietilene 0.025
Nylon 6-6 0.020 Polistirene 0.004
Policarbonato 0.007 PVC 0.005
Fonte [14].
Processi di formatura della plastica 197

ma uno strato che man mano cresce verso le zone centrali del pezzo. Ad un determinato
punto durante il processo di solidificazione, il gate solidifica e isola il materiale nella
cavità dal canale di distribuzione e dalla pressione di compattazione. Quando questo ac-
cade, il polimero ancora fuso all’interno delle zone già solidificate è responsabile della
parte maggiore del ritiro marginale che subisce il pezzo. Una sezione più spessa subisce
dunque un ritiro maggiore perché contiene una maggiore percentuale di materiale fuso
al suo interno.
Oltre al ritiro, nello stampaggio si possono verificare altri problemi. Di seguito si
riportano i difetti più comuni che si possono verificare nei pezzi stampati a iniezione.

Mancato riempimento dello stampo  Come accade nella colata, può succedere
che anche uno stampaggio solidifichi prima che il materiale fuso abbia riempito com-
pletamente la cavità. Il difetto può essere corretto aumentando la temperatura e/o la
pressione. Il difetto può anche derivare dall’uso di una macchina con capacità di im-
missione del materiale fuso insufficiente; in questo caso è necessario sostituirla con una
macchina più grande.

Sbavature  Le sbavature si verificano quando parte del polimero fuso si insinua nella
superficie di divisione tra le piastre dello stampo o intorno ai perni di espulsione. Il
difetto è di solito causato da (1) dimensioni troppo grandi delle prese d’aria e dei giochi
dello stampo, (2) pressione di iniezione troppo elevata rispetto alla forza di chiusura,
(3) temperatura del fuso troppo elevata o (4) eccessiva quantità di materiale immesso.

Segni e vuoti di avvallamento  Questi difetti si verificano di solito nelle sezioni


spesse degli stampaggi. Un segno di avvallamento si verifica quando la superficie
esterna dello stampaggio solidifica, ma la contrazione del materiale interno provoca
la depressione della superficie al di sotto del profilo voluto. Un vuoto è causato dallo
stesso fenomeno di base, con la differenza che il materiale superficiale mantiene la sua
forma e la contrazione si manifesta come vuoto interno causato dalle sollecitazioni di
trazione elevate sul polimero ancora fuso. Questi difetti possono essere evitati aumen-
tando la pressione di compattazione dopo l’iniezione. Una soluzione migliore consiste
nel progettare il pezzo per avere spessori a sezione uniforme e sezioni più sottili.

Linee di saldatura  Le linee di saldatura si verificano quando il polimero fuso scor-


re attorno ad un nucleo o un altro dettaglio convesso nella cavità dello stampo e si
ricongiunge da direzioni opposte; la linea di confine così formata è chiamata «linea
di saldatura» e può avere proprietà meccaniche che sono inferiori a quelle del resto
del pezzo. Questo difetto può essere ridotto usando temperature di fusione più elevate,
pressioni di iniezione maggiore, posizioni alternative per i gate o progettando una mi-
gliore ventilazione.

8.6.4  Altri processi di stampaggio a iniezione


La maggior parte delle applicazioni del processo di stampaggio a iniezione coinvolgono
polimeri termoplastici. Di seguito vengono descritte alcune varianti del processo.

Stampaggio a iniezione di schiume termoplastiche  Le schiume di materiali


plastici hanno una varietà di applicazioni che sono descritte nei capitoli seguenti. Uno
dei processi relativi a questi materiali, anche chiamato structural foam molding, è
opportunamente discusso in questa sezione perché coinvolge lo stampaggio a iniezione.
Esso comporta lo stampaggio di pezzi termoplastici che possiedono uno strato superfi-
198 Tecnologia meccanica

ciale esterno denso che circonda un nucleo leggero in schiuma. Questi pezzi hanno un
alto rapporto rigidezza-peso che li rende adatti per applicazioni strutturali.
Una parte in schiuma strutturale può essere prodotta sia introducendo un gas nella
plastica fusa nell’unità di iniezione, sia mescolando con i pellets di partenza un elemen-
to reagente in grado di generare gas. Durante l’iniezione, una quantità di fuso insuffi-
ciente a riempire la cavità viene immessa nello stampo; essa si espande (schiuma) fino a
riempirla. I nuclei di schiuma a contatto con la superficie fredda dello stampo collassa-
no formando una pellicola densa, mentre il materiale interno conserva la sua struttura
a cella. Alcune parti realizzate in schiuma comprendono i case elettronici, componenti
per mobili e le vasche delle lavatrici. I vantaggi dello stampaggio di schiume sono legati
alle minori pressioni di iniezione e forze di chiusura e quindi alla capacità di produrre
componenti di grandi dimensioni, come evidenziato dall’elenco di prodotti precedente.
Uno svantaggio di questo processo è che le superfici del pezzo tendono ad essere ru-
gose, con presenza di vuoti occasionali. Se per l’applicazione finale serve una buona
finitura superficiale è quindi necessario effettuare un’ulteriore lavorazione, come ad
esempio la sabbiatura, la verniciatura o l’applicazione di un rivestimento.

Stampaggio a iniezione dei termoindurenti  Lo stampaggio a iniezione può


essere utilizzato anche per le plastiche termoindurenti (TS), con alcune modifiche nelle
apparecchiature e nelle procedure operative spiegate in precedenza per consentire la
reticolazione. Le macchine per lo stampaggio a iniezione dei termoindurenti sono simili
a quelle utilizzate per i termoplastici. Esse utilizzano una vite di iniezione alternata, ma
la lunghezza del cilindro è minore per evitare il veloce indurimento e la rapida solidifi-
cazione del polimero. Per la stessa ragione, le temperature nel cilindro sono mantenute
a livelli relativamente bassi, di solito comprese tra i 50° C e i 125°C, a seconda del poli-
mero. La plastica, solitamente in forma di pellets o granuli, viene immessa nel cilindro
attraverso una tramoggia. La plastificazione avviene mentre il materiale è fatto avanza-
re verso l’ugello per azione della vite rotante. Quando alla testa della vite si è accumula-
to abbastanza materiale fuso, questo viene iniettato in uno stampo che è riscaldato tra i
150°C e i 230°C (300°F – 450°F), dove avviene la reticolazione per indurire la plastica.
Lo stampo è quindi aperto e la parte viene espulsa e rimossa. Il tempo del ciclo di stam-
paggio in genere varia dai 20 secondi ai 2 minuti, a seconda del tipo di polimero e delle
dimensioni del pezzo. La fase di indurimento è lo stadio più lungo del ciclo.
I termoindurenti principali usati per lo stampaggio a iniezione sono i fenolici, i po-
liesteri insaturi, le melammine, le resine epossidiche e l’urea-formaldeide. Più del 50%
degli stampaggi di fenolici attualmente prodotti negli Stati Uniti sono realizzati attraver-
so questo processo [11], che rappresenta un’alternativa allo stampaggio a compressione
e per trasferimento, che sono considerati processi tradizionali per i termoindurenti. La
maggior parte dei materiali TS usati per lo stampaggio contengono alte percentuali di
riempitivi (fino al 70% del peso), comprese fibre di vetro, argilla, fibre di legno e nerofu-
mo. In pratica si tratta di materiali compositi che sono stampati a iniezione.

Stampaggio a iniezione di reazione  Lo stampaggio a iniezione di reazione


(Reaction Injection Molding, RIM) prevede la miscelazione di due elementi liquidi al-
tamente reattivi e l’immissione della miscela nella cavità dello stampo, dove le reazioni
chimiche causano la solidificazione. Esempi di questi sistemi polimerici sono gli ure-
tani, le resine epossidiche e l’urea-formaldeide. Il RIM è stato sviluppato con il poliu-
retano per la produzione di grandi componenti automobilistici come paraurti, spoiler e
parafanghi. Questi tipi di pezzi costituiscono ancora oggi la principale applicazione del
processo. I pezzi stampati in poliuretano tramite RIM in genere hanno una struttura
interna in schiuma circondata da una superficie esterna più densa.
Processi di formatura della plastica 199

Vasche di raccolta
Componente A Componente B

Pistone di iniezione
Figura 8.24  Sistema di
stampaggio a iniezione di
reazione (RIM), rappre-
sentato subito dopo che
i componenti A e B sono
stati pompati nella testa
di miscelazione, prima
Pompa dell’iniezione nella cavità
Cilindro di misurazione
dello stampo (alcuni det-
tagli delle apparecchia-
ture del processo sono
Testa stati omessi). (Fonte:
di miscelazione Stampo Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
Cavità tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Come mostrato in Figura 8.24, i componenti liquidi, in specifiche quantità misu-


rate, vengono pompati da due vasche di raccolta separate all’interno di una testa di
miscelazione. I componenti vengono mescolati rapidamente e poi iniettati nella cavità
dello stampo a pressioni relativamente basse, dove si verificano l’indurimento e la re-
ticolazione. Un tipico tempo ciclo dura circa 2 min. Per cavità relativamente grandi,
gli stampi per RIM sono molto meno costosi degli stampi per stampaggio a iniezione
convenzionale. La ragione è che per i RIM servono delle forze di chiusura minori e si
possono usare materiali più leggeri per gli stampi. Altri vantaggi del RIM sono che (1) il
processo richiede meno energia, (2) i costi delle attrezzature sono minori di quelli dello
stampaggio a iniezione, (3) esistono una varietà di sistemi chimici che consentono di
ottenere specifiche proprietà nel prodotto stampato e (4) l’attrezzatura per la produzione
è affidabile e la relazione tra sistemi chimici e le macchine sono ben note [17].

8.7 Stampaggio a compressione e per trasferimento


Questa sezione descrive due tecniche di stampaggio molto utilizzate per polimeri ter-
moindurenti ed elastomeri. Per i termoplastici queste tecniche non possono competere
con l’efficienza dello stampaggio a iniezione, ad eccezione di casi particolari.

8.7.1  Stampaggio a compressione


Lo stampaggio a compressione è un processo di stampaggio antico e molto utilizzato
per i materiali plastici termoindurenti. Le sue applicazioni includono anche pneumatici
e vari pezzi di compositi a matrice polimerica. Il processo, illustrato in Figura 8.25 per
una plastica TS, consiste in (1) caricare una precisa quantità di granuli, detta carico,
nella metà inferiore di uno stampo riscaldato, (2) unire le due metà dello stampo per
comprimere il carico, costringendolo a scorrere e adeguarsi alla forma della cavità, (3)
riscaldare il carico mediante lo stampo caldo affinché il materiale possa polimerizzare
e indurire in un pezzo solidificato e (4) aprire lo stampo e rimuovere il pezzo dalla
cavità.
200 Tecnologia meccanica

Metà superiore dello stampo


Punzone

Carico Pezzo stampato

Cavità Metà inferiore


dello stampo

Perno di espulsione

(2) e (3)

Figura 8.25  Stampaggio a compressione di materie plastiche termoindurenti: (1) il carico viene sistemato, (2) e (3) il carico viene
compresso e si indurisce, (4) il pezzo viene espulso e rimosso (alcuni dettagli sono stati omessi). (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

L’alimentazione del composto di stampaggio può essere in qualsiasi forma, ad


esempio polveri, pellets, liquidi o preforme (pezzi parzialmente formati). La quantità di
polimero deve essere controllata con molta precisione per ottenere una buona consisten-
za del prodotto stampato. Una pratica comune è preriscaldare il carico prima di metterlo
nello stampo, per ammorbidire il polimero e ridurre il tempo del ciclo di produzione.
Alcuni metodi di preriscaldamento sono i riscaldatori a raggi infrarossi, il riscalda-
mento a convezione in un forno e l’uso di una vite rotante riscaldata in un cilindro.
Quest’ultima tecnica (che deriva dallo stampaggio a iniezione) viene utilizzata anche
per dosare la quantità del carico.
Le presse per lo stampaggio a compressione hanno un orientamento verticale e
contengono due piani ai quali sono fissate le due metà dello stampo. Le presse hanno
uno dei seguenti due tipi di azionamento: (1) salita del piano inferiore o (2) discesa del
piano superiore: il primo è quello più comune. Le presse sono generalmente alimentate
da un cilindro idraulico che può essere progettato per fornire capacità di chiusura fino
a diverse centinaia di tonnellate.
Gli stampi per lo stampaggio a compressione sono generalmente più semplici ri-
spetto a quelli usati nello stampaggio a iniezione. In uno stampo per lo stampaggio a
compressione non ci sono canali di colata e distribuzione e il processo è di solito limita-
to a forme semplici per una minor capacità di scorrimento dei polimeri termoindurenti
di partenza. Bisogna però prevedere il riscaldamento dello stampo, che di solito avviene
mediante riscaldamento a resistenza elettrica, vapore o circolazione di olio caldo. Gli
stampi di compressione possono essere classificati in stampi manuali, utilizzati per i
collaudi, semiautomatici, in cui la pressa segue un ciclo automatizzato ma l’operatore
la carica e scarica manualmente, e automatici, che operano secondo un ciclo completa-
mente automatico (inclusi carico e scarico).
I materiali per lo stampaggio a compressione sono i fenolici, la melammina,
l’urea-formaldeide, le resine epossidiche, gli uretani e gli elastomeri. Alcuni esempi di
prodotti stampati a pressione sono le prese elettriche e le prese di corrente, le maniglie
dei recipienti, i piatti e le stoviglie. I vantaggi dello stampaggio a compressione in que-
ste applicazioni sono (1) che gli stampi sono più semplici e meno costosi, (2) ci sono
Processi di formatura della plastica 201

meno parti da scartare e (3) i pezzi stampati contengono tensioni residue minori. Uno Figura 8.26  (a) Stam-
svantaggio tipico è dato da tempi di produzione più lunghi e quindi da tassi di produzio- paggio per trasferimento
ne inferiori rispetto allo stampaggio a iniezione. da recipiente e (b), stam-
paggio per trasferimento
a stantuffo. Il ciclo in en-
8.7.2  Stampaggio per trasferimento trambi i processi è il se-
guente: (1) il carico viene
In questo processo, un carico di materiale termoindurente viene inserito in una camera immesso nel contenitore,
posta immediatamente sopra la cavità dello stampo, dove viene riscaldato. Successiva- (2) il polimero ammorbi-
mente, viene applicata una pressione necessaria per forzare il polimero ammorbidito a dito viene pressato nel-
la cavità dello stampo
fluire nello stampo riscaldato dove si verifica l’indurimento. Ci sono due varianti del e indurito e (3) il pezzo
processo, che sono illustrati in Figura 8.26: (a) lo stampaggio per trasferimento da re- viene espulso. (Fonte:
cipiente, in cui il carico viene iniettato da un serbatoio attraverso un canale di colata ver- Fundamentals of Modern
ticale fino alla cavità, e (b) lo stampaggio per trasferimento a stantuffo, dove il carico Manufacturing, 4th Edi-
viene immesso tramite un pistone da una camera riscaldata fino alla cavità dello stampo tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
attraverso dei canali laterali. In entrambi i casi, ad ogni ciclo sono prodotti degli scarti permesso di John Wiley &
dovuti al materiale residuo nei canali laterali, chiamati scarti di stampaggio (cull). Sons, Inc.)

Pistone Scarto
di trasferimento Canale
di colata
Recipiente
di trasferimento Carico (preforma)

Cavità
Pezzo
stampato

Perno espulsore

Pistone

Carico (preforma) Scarto


Pezzo
stampato

Cavità

Perno espulsore
202 Tecnologia meccanica

Inoltre, nello stampaggio per trasferimento da recipiente il canale di colata del poli-
mero fuso è materiale di scarto. Poiché i polimeri sono termoindurenti, questo non può
essere recuperato e riciclato.
Lo stampaggio per trasferimento è molto simile allo stampaggio a compressione, poiché
viene utilizzato per gli stessi tipi di polimeri (elastomeri e termoindurenti). Si può anche no-
tare la somiglianza con lo stampaggio a iniezione, in quanto il carico viene preriscaldato in
una camera separata e poi iniettato nello stampo. Lo stampaggio per trasferimento è in gra-
do di dare origine a forme geometriche più complesse rispetto a quelle che si ottengono con
lo stampaggio a compressione, ma non così articolate come quelle ottenute nello stampaggio
a iniezione. Lo stampaggio per trasferimento è adatto anche in presenza di inserti: in que-
sto caso l’inserto di metallo o di ceramica viene collocato nella cavità dello stampo prima
dell’iniezione, in modo tale che la plastica calda si leghi all’inserto durante lo stampaggio.

8.8 Considerazioni sul design dei prodotti

Le materie plastiche sono un importante materiale di design, ma bisogna tener conto


delle loro limitazioni. Questo paragrafo riporta alcune linee guida per la progettazione
di componenti in plastica, a partire da quelle che si applicano in linea generale, fino a
quelle riferite in modo specifico all’estrusione e allo stampaggio (stampaggio a iniezio-
ne, stampaggio a compressione e stampaggio per trasferimento).
Diverse linee guida sono valide indipendentemente dal processo di formatura. Esse
sono principalmente connesse con le limitazioni dei materiali plastici che devono essere
considerate dal progettista.

• Resistenza e rigidità. Le plastiche non sono così resistenti e rigide come i metalli. Non
devono essere utilizzate in applicazioni in cui si prevedono elevati sforzi e anche la
resistenza allo scorrimento è limitata. Le proprietà di resistenza variano però in modo
significativo tra plastiche, per alcune tipologie di plastiche e per specifiche applicazioni,
il rapporto forza-peso può risultare competitivo rispetto a quello dei metalli.
• Resistenza agli urti. La capacità delle materie plastiche di assorbire gli urti è gene-
ralmente buona; in questo specifico aspetto le plastiche reggono bene il confronto
con la maggior parte dei metalli.
• Le temperature di utilizzo delle materie plastiche sono limitate rispetto a quelle
dei metalli industriali e delle ceramiche.
• La dilatazione termica per le plastiche risulta maggiore rispetto ai metalli e quindi
i cambiamenti dimensionali dovuti alle variazioni di temperatura risultano molto
più significativi per le plastiche.
• Molti tipi di plastica sono soggetti a degradazione se esposti alla luce solare o ad
altre forme di radiazione. Inoltre, alcune plastiche degradano in presenza di ossigeno
e ozono e risultano solubili in molti solventi comuni. D’altra parte le plastiche sono
resistenti ai tradizionali agenti corrosivi che attaccano invece molti metalli. I limiti di
specifiche materie plastiche devono essere valutati in modo attento dal progettista.
L’estrusione è uno dei processi di formatura della plastica più utilizzati. Di seguito si ri-
portano diverse raccomandazioni per la progettazione dell’estrusione convenzionale [3].
• Spessore delle pareti. La sezione trasversale di un estruso dovrebbe avere uno spessore
uniforme. Le variazioni nello spessore delle pareti generano un flusso non uniforme
della plastica e un raffreddamento non bilanciato, che tendono a deformare l’estruso.
• Le sezioni cave complicano la progettazione degli stampi e ostacolano il flusso
della plastica. È opportuno usare sezioni non cave ma che soddisfino comunque le
esigenze funzionali del prodotto.
Processi di formatura della plastica 203

• Angoli. Gli spigoli vivi, sia interni che esterni, devono essere evitati nelle sezioni
trasversali, in quanto durante la lavorazione provocano un flusso irregolare e una
concentrazione di tensione nel prodotto finale.
Le linee guida seguenti si applicano allo stampaggio a iniezione, lo stampaggio a
compressione e lo stampaggio per trasferimento [3], [10].
• Quantità economiche di produzione. Per ogni pezzo stampato è necessario uno
stampo e lo stampo può risultare molto costoso per ognuno di questi processi, in
particolare per lo stampaggio a iniezione. I quantitativi di produzione minimi per lo
stampaggio a iniezione di solito sono circa 10.000 pezzi, mentre per lo stampaggio
a compressione sono circa 1.000 pezzi, poichè sono necessari stampi più semplici.
Lo stampaggio per trasferimento presenta valori intermedi tra questi due processi.
• Complessità del pezzo. Anche se forme più complesse significano stampi più costo-
si, può comunque risultare conveniente progettare uno stampaggio complesso, piut-
tosto che assemblare più componenti singoli. Un vantaggio dello stampaggio è che
permette la combinazione di molteplici caratteristiche funzionali in un unico pezzo.
• Spessore delle pareti. Di solito è sconsigliabile progettare parti caratterizzate da pareti
spesse, poiché rappresentano uno spreco di materiale, si hanno maggiori probabilità
di causare deformazioni dovute al ritiro e, inoltre, impiegano più tempo a indurire. Si
possono usare quindi delle nervature di rinforzo per ottenere una maggiore rigidità
senza aumentare troppo lo spessore. Le nervature dovrebbero essere più sottili rispetto
alle pareti che rinforzano, per minimizzare i punti di cedimento sulla parete esterna.
• Spigoli. Gli spigoli vivi, sia esterni che interni, sono negativi per i pezzi stampati,
in quanto interrompono il flusso regolare del fuso e tendono a creare difetti super-
ficiali e a provocare punti di concentrazione di tensioni nel pezzo finale.
• I fori sono realizzabili nello stampaggio, ma complicano la progettazione degli
stampi e la rimozione dei pezzi. Inoltre possono anche causare delle interruzioni
nel flusso del fuso.
• Sformo. Un pezzo stampato deve essere progettato con una certo angolo di sformo
sui suoi lati per facilitarne la rimozione dallo stampo. Questo è particolarmente
importante sulla parete interna di una parte arrotondata, perchè la plastica stampata
si contrae contro la forma dello stampo positivo. L’inclinazione consigliata per i
materiali termoindurenti va da circa 1/2° a 1° e per i termoplastici da 1/8° a 1/2°. I
fornitori dei composti di materie plastiche per lo stampaggio forniscono i valori di
sformo più adatti per i loro prodotti.
• Le tolleranze specificano le variazioni dimensionali ammissibili per un pezzo
durante la produzione. Anche se il ritiro è prevedibile in condizioni strettamente
controllate, è meglio impostare tolleranze abbastanza ampie per lo stampaggio a
iniezione, a causa delle variazioni dei parametri di processo che influiscono sul
ritiro. La Tabella 8.2 elenca alcune tolleranze tipiche in base alle dimensioni di parti
stampati e alla tipologia di materia plastica.

TABELLA 8.2  Tolleranze tipiche dei pezzi stampati per alcune tipologie plastiche.

Tolleranze pera Tolleranze pera


Plastica Dimensioni 50 mm Fori 10 mm Plastica Dimensioni 50 mm Fori 10 mm
Termoplastica: Termoindurente
ABS ±0.2 mm ±0.08 mm Epossidici ±0.15 mm ±0.05 mm
Polietilene ±0.3 mm ±0.13 mm Fenolici ±0.2 mm ±0.08 mm)
Polistirene ±0.15 mm ±0.1 mm

I valori rappresentano le pratiche tipiche dello stampaggio commerciale. Fonti [3], [7], [14] e [19].
a
Per dimensioni più piccole le tolleranze possono essere ridotte, per dimensioni più grandi servono invece tolleranze maggiori.
204 Tecnologia meccanica

Bibliografia

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ok, 4th ed. Vol. II: Forming. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1984,
Chapter 18.

Domande di ripasso
  7 Descrivere brevemente il processo di estrusione
1. Quali sono i motivi per cui i processi di formatura della plastica.
della plastica sono importanti?   8 La barra e la vite di un estrusore sono generalmente
2. Identificare le principali categorie di processi di for- suddivisi in tre sezioni: descrivere queste sezioni.
matura della plastica, secondo la classificazione ba-   9 Quali sono le funzioni delle maglie metalliche e del
sata sulla geometria del prodotto risultante. breaker plate alla fine della matrice di estrusione?
3. La viscosità è una proprietà importante dei fusi po- 10 Quali sono le varie forme degli estrusi e delle matri-
limerici nei processi di formatura della plastica. Da ci corrispondenti?
quali parametri dipende la viscosità? 11 Qual è la distinzione tra foglio di plastica e film?
4. In cosa differisce la viscosità di un fuso polimerico 12 Cos’è il processo di soffiaggio per la produzione di
rispetto alla maggior parte dei fluidi Newtoniani. film?
5. In cosa consiste la viscoelasticità di un polimero 13 Descrivere il processo di calandratura.
fuso? 14 Descrivere brevemente il processo di stampaggio
6. Definire il rigonfiamento da estrusione. a iniezione.
Processi di formatura della plastica 205

15 Una macchina di stampaggio a iniezione è divisa in paggio a iniezione di materiali termoplastici e quello
due componenti principali. Elencarli. di termoindurenti?
16 Qual è la funzione dei gate negli stampi a iniezione? 20 Che cos’è lo stampaggio a reazione?
17 Quali sono i vantaggi dello stampo a tre piani rispet- 21 Quali tipi di prodotti si realizzano tramite lo stam-
to a quello a due piani nello stampaggio a iniezione? paggio a soffiaggio?
18 Discutere alcuni dei difetti che possono verificarsi 22 Quali sono alcune delle considerazioni generali che
nello stampaggio a iniezione delle materie plastiche. i progettisti deve tenere a mente durante la proget-
19 Quali sono le differenze significative nelle apparec- tazione di componenti di plastica?
chiature e nelle procedure operative tra lo stam-

problemi

1 Il diametro di un barra di estrusione è di 65 mm e la 7 Un estrusore ha un diametro della barra e una lun-
sua lunghezza di 1.75 m. La vite ruota a 55 giri/min. ghezza di 100 mm e 2.8 m rispettivamente. La ve-
La profondità del canale della vite è 5.0 mm e l’an- locità di rotazione della vite è 50 giri/min, la profon-
golo di inclinazione di 18°. La pressione alla matrice dità canale 7.5 mm e l’angolo di inclinazione di 17°.
alla fine della barra è di 5.0 × 106 Pa. La viscosità del La plastica fusa ha una viscosità pari a 175 Pa-s.
polimero fuso è 100 Pa-s. Individuare la portata volu- Determinare: (a) la caratteristica dell’estrusore, (b) il
metrica del materiale plastico nella barra. coefficiente di forma Ks per una matrice ad apertura
2 Una barra di estrusione ha un diametro di 110 mm e circolare di diametro pari a 3.0 mm e lunghezza di
una lunghezza di 3.0 m. La profondità del canale del- 12.0 mm e (c) il punto di lavoro (Q e p).
la vite è 7.0 mm e il suo passo di 95 mm. La viscosità 8 Consideriamo un estrusore in cui il diametro della
del polimero fuso è 105 Pa-s e la pressione alla testa barra è di 114,3 mm e la lunghezza di 3352,8 mm. La
della barra è di 4.0 MPa. Quale velocità di rotazione vite ruota a 60 giri/min, ha una profondità di canale
della vite è necessaria per ottenere una portata volu- di 8.89 mm e un angolo di 20°. La plastica fusa ha
metrica di 90 cm3/s? una viscosità di 86,18 Pa⋅s. Determinare: (a) Qmax e
3 Un estrusore ha un diametro di 80 mm e una lun- p max, (b) il coefficiente di forma Ks per una matrice ad
ghezza di 2.0 m. Il canale della vite ha una profondità apertura circolare in cui Dd = 7,92 mm Ld = 19,05 mm,
di 5 mm, un angolo di inclinazione di 18 gradi, e la e (c) i valori di Q e p al punto di lavoro.
vite ruota a 1 giro/sec. La massa fusa plastica ha una 9 La dimensione specificata per un certo componen-
viscosità di 150 Pa-s. Determinare la caratteristica te stampato a iniezione in ABS è pari a 225.00 mm.
dell’estrusore calcolando Qmax e p max e poi trovando Calcolare la dimensione corrispondente alla cavità
l’equazione della linea retta che passa per essi. dello stampo che deve essere prodotto, utilizzando il
4 Determinare l’angolo di inclinazione della spirale A valore di ritiro riportato in Tabella 8.1.
tale che il passo p della vite sia uguale al diame- 10 La dimensione di un certo componente stampato
tro della vite D. Questo è detto l’angolo «quadro» a iniezione di policarbonato viene specificato come
nell’estrusione delle materie plastiche, cioè l’ango- 92.25 mm. Calcolare la dimensione corrispondente
lo che provoca un avanzamento pari al diametro ad a cui la cavità dello stampo deve essere prodotto,
ogni rotazione della vite. utilizzando il valore di ritiro riportato in Tabella 8.1.
5 Una barra di estrusione ha un diametro di 63.5 mm. 11 Il capo del reparto di stampaggio a iniezione sostiene
La vite gira a 60 giri/min, la profondità del canale del- che un pezzo di polietilene prodotto in una delle ope-
la vite è di 0.20 e il suo angolo di inclinazione è di razioni ha una contrazione maggiore rispetto a quella
17.5°. La pressione alla matrice alla fine della barra ottenuta con i calcoli. La dimensione del pezzo era
è di 5,52 MPa e la lunghezza della barra è di 1270 indicata come 112.5 ± 0.5 mm. Invece, il pezzo reale
mm La viscosità del polimero fuso è 84,12 Pa⋅s. Deter- stampato misura 112.02 mm. (a) Come primo pas-
minare la portata volumetrica del materiale plastico so, si deve controllare la corrispondente dimensione
nella barra. della cavità dello stampo. Calcolare il valore corretto
6 Una barra di estrusione ha un diametro di 101,6 mm e della dimensione dello stampo, sapendo che il valore
un rapporto L/D di 28. Il canale di profondità della vite di contrazione del polietilene è 0.025 (dalla Tabella
è di 6.35 mm e suo passo di 121.92 mm. Essa ruota a 8.1). (b) Quali adeguamenti dei parametri di processo
60 giri/min. La viscosità del polimero fuso è di 69 Pa⋅s. potrebbero essere fatti per ridurre il ritiro?
Quali pressione di testa è necessaria per ottenere una 12 La matrice di estrusione di un parison di polietilene
portata volumetrica di 4,097⋅10(–5)m 3/s? usata per uno stampaggio a soffiaggio ha un diame-
206 Tecnologia meccanica

tro medio di 18.0 mm. La dimensione dell’apertura Qual è lo spessore della corrispondente parete del
del foro nello stampo è di 2.0 mm. Il diametro medio contenitore? (b) Recuperare un vuoto di bottiglia da
del parison si gonfia fino a una dimensione di 21.5 2 litri di plastica e tagliarla (prestando molta atten-
mm dopo l’uscita dal foro. Sapendo che il diametro zione) lungo il diametro. Utilizzando un micrometro,
del contenitore soffiato è di 150 mm, determinare misurare lo spessore della parete e confrontarla con
(a) lo spessore corrispondente della parete del con- la risposta al punto (a).
tenitore e (b) lo spessore della parete della parison. 14 Si utilizza un’operazione di estrusione per produrre
13 Un parison viene estruso da uno stampo con diame- un parison il cui diametro medio è di 27 mm. I diame-
tro esterno di 11.5 mm e diametro interno di 7.5 mm. tri interno ed esterno della matrice che lo ha prodotto
Il rigonfiamento osservato è di 1.25. Il parison viene sono 18 mm e 22 mm rispettivamente. Sapendo che
utilizzato per stampare per soffiaggio un contenitore lo spessore minimo della parete del contenitore sof-
di bevande il cui diametro esterno è di 112 mm (for- fiato dev’essere 0.40 mm, qual è il diametro massi-
mato standard di una bottiglia da 2 litri di soda). (a) mo possibile dello stampo per il soffiaggio?
III Lavorazione di polveri
di metalli e ceramiche
Metallurgia delle polveri,

Capitolo 9
cercamiche e cermets

Questa parte si occupa della lavorazione dei metalli e delle ceramiche sotto forma di pol-
veri, cioè particelle solide molto piccole. Nel caso delle ceramiche tradizionali, le polveri
sono prodotte attraverso frantumazione e macinazione di materiali comuni presenti in
natura, come i silicati (l’argilla) e il quarzo. Nel caso dei metalli e delle ceramiche di nuo-
va generazione (basate principalmente su ossidi e carburi), le polveri vengono prodotte
attraverso una varietà di processi industriali. La prima parte del Capitolo 9 copre i pro-
cessi di produzione delle polveri e i metodi utilizzati per formare i prodotti partendo dalle
polveri; la seconda parte descrive la metallurgia delle polveri e i processi di lavorazione
delle polveri di ceramica e dei cermets.
La metallurgia delle polveri (powder metallurgy, PM) è una tecnica di lavorazione dei
metalli che serve a produrre degli oggetti partendo da polveri metalliche. Nella normale
sequenza di produzione, le polveri vengono compresse nella forma desiderata e poi
riscaldate affinché si comprimano in un’unica massa dura e rigida. La compressione,
chiamata pressatura, viene eseguita da una pressa che utilizza degli utensili progettati
appositamente per il pezzo da produrre. Gli utensili, che consistono generalmente in una
matrice e uno o più punzoni, possono essere costosi, quindi la metallurgia delle polveri
è più adatta per le produzioni medio-alte. Il trattamento termico, detto sinterizzazione,
viene effettuato ad una temperatura inferiore al punto di fusione del metallo. Alcune con-
siderazioni che rendono la metallurgia delle polveri una tecnologia importante dal punto
di vista commerciale sono riportate di seguito.

• I pezzi realizzati sono net shape o near net shape, quindi vi è una necessità molto
ridotta di effettuare lavorazioni successive.
• Il processo PM causa pochissimo spreco di materiale: circa il 97% delle polveri
di partenza sono usate per il prodotto finale. Questo rende il processo preferibile
rispetto ai processi di fonderia in cui i canali e le materozze sono scartati durante il
ciclo produttivo.
• La natura del materiale di partenza agevola la creazione di pezzi aventi un certo
livello di porosità. Questa caratteristica si presta alla produzione di pezzi metallici
porosi, come i filtri i cuscinetti e gli ingranaggi impregnati d’olio.
• Alcuni metalli che sono difficili da fabbricare con altri metodi possono essere for-
mati attraverso la metallurgia delle polveri. Il tungsteno è un esempio: i filamenti di
tungsteno utilizzati nelle lampadine ad incandescenza sono realizzati con questa
tecnologia.
• La metallurgia delle polveri può produrre delle combinazioni di leghe metalliche e
cermet che non possono essere prodotte con altri metodi.
• La PM di solito raggiunge risultati migliori della maggior parte dei processi di fonde-
ria in termini di accuratezza dimensionale del pezzo. Le tolleranze che si ottengono
sono ± 0.13 mm.
• I metodi di produzione possono essere automatizzati per la produzione di massa.
210 Tecnologia meccanica

Ci sono delle limitazioni e degli svantaggi legati alle lavorazioni PM: (1) i costi delle
attrezzature e degli utensili sono elevati, (2) le polveri metalliche sono costose e (3) ci
sono dei problemi nello stoccaggio e nello spostamento delle polveri metalliche (come la
degradazione del metallo nel tempo e i rischi di incendio per particolari metalli). Inoltre,
(4) esistono delle limitazioni sulla geometria del pezzo finale che si può ottenere perché
le polveri metalliche non scorrono facilmente nello stampo durante la pressatura, e de-
vono essere previsti degli appositi meccanismi di espulsione del pezzo dallo stampo.
Infine, (5) le variazioni di densità del materiale nel pezzo, soprattutto se di geometria
complessa, possono costituire un problema.
Tramite la metallurgia delle polveri si possono produrre pezzi che pesano anche
fino a 22 kg, ma la maggior parte dei prodotti pesano meno di 2.2 kg. Alcuni pezzi che di
solito vengono prodotti tramite PM sono mostrati in Figura 9.1. Il più grande quantitativo
di metalli per PM è costituito da leghe di ferro, di acciaio e di alluminio. Altri metalli uti-
lizzati sono il rame, il nichel e i metalli refrattari come il molibdeno e il tungsteno. Anche
i carburi metallici, come il carburo di tungsteno, vengono di solito inclusi nel campo di
applicazione della metallurgia delle polveri, tuttavia, dal momento che questi materiali
sono ceramiche, rimandiamo la loro trattazione al Paragrafo 9.6.
Il successo della metallurgia delle polveri dipende in larga misura dalle caratteri-
stiche delle polveri di partenza. Anche per le ceramiche (tranne il vetro), il materiale di
partenza è in polvere e i metodi per la caratterizzazione delle polveri ceramiche sono
molto simili a quelli usati per le polveri metalliche.

9.1 Produzione delle polveri metalliche

Anzitutto è utile notare che i produttori di polveri metalliche non sono le stesse aziende
che producono i pezzi finiti. I produttori di polveri sono i fornitori, mentre gli impianti
che producono i componenti a partire dalle polveri metalliche sono i clienti. In questa
sezione sono descritti i processi utilizzati dai fornitori, mentre nelle due sezioni succes-
sive quelli utilizzati dai produttori dei pezzi finali.
Teoricamente qualsiasi metallo può essere trasformato in polvere. Ci sono tre me-
todi commerciali con cui le polveri metalliche sono prodotte, ciascuno dei quali pre-
vede un apporto di energia per aumentare la superficie del metallo. I metodi sono (1)

Figura 9.1 Esempi di
pezzi prodot ti tramite
metallurgia delle polveri.
Foto per gentile conces-
sione di Dorst America,
Inc. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 209.
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Sons, Inc.)
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 211

l’atomizzazione, (2) metodi basati su processi chimici e (3) l’elettrolisi [13]. A volte si
possono usare anche dei metodi meccanici per ridurre la dimensione delle polveri, ma
questi sono più comunemente associati alla produzione di polveri di ceramiche e quindi
sono trattati nel Paragrafo 9.7.

9.1.1 Atomizzazione
Questo metodo consiste nella conversione del metallo fuso in uno spruzzo di goccioline
che poi solidificano formando le polveri. Ad oggi questo è il metodo più versatile e più
usato per la produzione di polveri metalliche, perché è applicabile a quasi tutti i metal-
li, le leghe e i metalli puri. Ci sono diversi modi per realizzare lo spruzzo di metallo
fuso, alcuni dei quali sono illustrati in Figura 9.2. Due dei metodi riportati sono basati
sull’atomizzazione a gas, in cui un flusso di gas (aria o gas inerte) ad alta velocità
viene usato per atomizzare il metallo liquido. In Figura 9.2 (a), il gas passa attraverso
un ugello di espansione e la sua azione fa salire il metallo fuso in un sifone e lo spruzza
in un contenitore. Le goccioline solidificano poi in polveri. In un metodo molto simile,
mostrato in Figura 9.2 (b): il metallo fuso fluisce per gravità attraverso un ugello e
all’uscita viene atomizzato da getti d’aria. Le polveri metalliche risultanti, che tendono
ad essere sferiche, sono raccolte in una camera sottostante.
L’approccio illustrato in Figura 9.2 (c) è simile a quello dell’immagine (b), a parte
per il fatto che viene usato un flusso d’acqua ad elevata velocità al posto dell’aria. Que-
sto metodo prende il nome di atomizzazione ad acqua ed è il più comune tra i metodi

Metallo fuso

Viscosità, Ns/m2 o Pas


Camera di raccolta

Ugello Spruzzo
Gas Gas
Gas
Camera
Sifone di raccolta

Polveri metalliche
Polveri
Metallo fuso
metalliche

Metallo fuso
Metallo fuso
Figura 9.2  Vari metodi di
atomizzazione per la pro-
duzione di polveri metal-
Acqua Acqua liche: (a) e (b) due metodi
di atomizzazione a gas,
(c) atomizzazione ad ac-
qua e (d) atomizzazione
Getto
Polveri centrifuga con il metodo
d’acqua
Disco del disco rotante. (Fonte:
metalliche
Camera rotante Fundamentals of Modern
di raccolta Acqua Manufacturing, 4th Edi-
Camera
di raccolta tion by Mikell P. Groover,
Polveri Albero
2010. Ristampato con il
metalliche di trasmis-
permesso di John Wiley
sione
& Sons, Inc.)
212 Tecnologia meccanica

di atomizzazione, particolarmente adatto per i metalli che fondono sotto i 1000°C. Il


raffreddamento è più rapido e la forma delle polveri risultanti è irregolare e non sferi-
ca. Lo svantaggio di usare l’acqua è che provoca un’ossidazione sulla superficie delle
particelle. Un’innovazione recente prevede l’utilizzo di olio sintetico anziché acqua per
ridurre l’ossidazione. In entrambi i processi di atomizzazione, ad aria e ad acqua, la di-
mensione delle particelle è controllata principalmente dalla velocità di flusso del fluido:
la dimensione delle particelle è inversamente proporzionale alla velocità.
Altri metodi sono basati sull’atomizzazione centrifuga. In uno di questi approcci,
il metodo a disco rotante mostrato in Figura 9.2 (d), il flusso di metallo liquido scorre
su un disco in rapida rotazione che spruzza il metallo in tutte le direzioni e produce le
polveri.

9.1.2  Altri metodi di produzione


Altri metodi di produzione di polveri metalliche comprendono i processi di riduzione
chimica, i metodi di precipitazione e l’elettrolisi.
La riduzione chimica comprende una varietà di reazioni chimiche per mezzo del-
le quali i composti metallici si riducono in polveri metalliche elementari. Un processo
tipico consiste nella liberazione dei metalli dai loro ossidi mediante l’uso di agenti
riducenti come l’idrogeno o il monossido di carbonio. L’agente riducente si combina
con l’ossigeno nel composto per liberare l’elemento metallico. Questo approccio viene
utilizzato per produrre polveri di ferro, tungsteno e rame. Un altro processo chimico
per polveri di ferro comporta la decomposizione del pentacarbonile di ferro (Fe(Co)5)
per produrre delle particelle sferiche ad elevata purezza. Un esempio di polveri pro-
dotte con questo metodo è riportato nella microfotografia in Figura 9.3. Un altro pro-
cesso chimico che viene utilizzato è la precipitazione degli elementi metallici da sali
disciolti in acqua. Le polveri di rame, nichel e cobalto possono essere prodotte con
questo sistema.
Nell’elettrolisi si usa una cella elettrolitica in cui il metallo da estrarre è l’anodo.
L’anodo si dissolve lentamente grazie alla tensione applicata, viene trasportato attraver-
so l’elettrolita e si deposita sul catodo. Poi il deposito viene rimosso, lavato ed essiccato
per ottenere una polvere metallica di purezza molto elevata. Questa tecnica viene uti-
lizzata per la produzione di polveri di berillio, rame, ferro, argento, tantalio e titanio.

Figura 9.3  Polveri di fer-


ro prodotte tramite ato-
mizzazione ad acqua.
Foto per gentile conces-
sione di T.F. Murphy and
Hoeganaes Corporation.
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 213

9.2 Pressatura e sinterizzazione convenzionali

Una volta prodotte le polveri metalliche, la tipica sequenza utilizzata dai produttori per
la loro lavorazione è costituita da tre fasi: (1) miscelazione e combinazione delle polveri,
(2) compattazione, in cui le polveri sono pressate nella forma del pezzo desiderato e (3)
sinterizzazione, che prevede il riscaldamento ad una temperatura inferiore al punto di
fusione per creare dei legami tra le particelle nello stato solido e irrobustire il pezzo. Le
tre fasi, anche denominate operazioni primarie di PM, sono raffigurate in Figura 9.4.
A volte sono necessarie anche delle operazioni secondarie per migliorare la precisione
dimensionale, aumentare la densità o ottenere altri miglioramenti.

9.2.1  Miscelazione e combinazione delle polveri


Per ottenere dei buoni risultati nella compattazione e nella sinterizzazione, le polveri
metalliche devono essere rese prima ben omogenee. Entrambi i termini di miscela-
zione e combinazione sono utilizzati in questo contesto. Miscelazione si riferisce a
quando vengono mischiate delle polveri con la stessa composizione chimica ma diversa
granulometria. Polveri con diverse granulometrie sono spesso miscelate per ridurre la
porosità. Combinazione si riferisce a quando delle polveri con composizioni chimiche
diverse vengono mescolate insieme. Un vantaggio della tecnologia PM è la possibilità
di combinare vari metalli in leghe che sarebbero difficili o impossibili da ottenere con
altri mezzi. La distinzione tra miscelazione e combinazione non è sempre precisa nella
terminologia industriale.
La miscelazione e la combinazione sono realizzate attraverso metodi meccanici,
quattro dei quali sono illustrati in Figura 9.5: (a) rotazione in un tamburo, (b) rotazione
in un contenitore a doppio cono, (c) agitazione in un miscelatore a vite e (d) agitazione in
un miscelatore a pale. Questi dispositivi possono sembrare semplici, ma sono più com-
plicati di quanto si pensi. I migliori risultati sembrano verificarsi quando il contenitore
viene riempito tra il 20% e il 40%. I contenitori sono in genere progettati con dei dia-
frammi interni o altri mezzi per impedire la caduta delle polveri di dimensioni diverse
durante la miscelazione, perché le variazioni delle velocità di inserimento di particelle

Figura 9.4  La sequenza


tipica di lavorazione usa-
Mescolatore
ta nella metallurgia delle
Punzone polveri: (1) miscelazione,
superiore (2) compattazione e (3)
sinterizzazione; (a) mo-
Matrice stra lo stato delle parti-
celle, mentre (b) mostra il
funzionamento e/o il pez-
Punzone zo durante la sequenza.
inferiore (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
214 Tecnologia meccanica

Vite Pala

Figura 9.5  Vari dispositivi di miscelazione e combinazione: (a) tamburo rotante, (b) doppio cono rotante, (c) miscelatore a vite, e
(d) miscelatore a pale. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

di diverse dimensioni causano la segregazione, che è l’opposto di quello che si vuole


ottenere con la miscelazione. La vibrazione della polvere va evitata, poiché anch’essa
provoca la segregazione.
Durante la miscelazione e la combinazione delle polveri metalliche di solito vengo-
no aggiunti altri elementi. Questi additivi includono (1) i lubrificanti, come gli stearati
di zinco e alluminio in piccole quantità, per ridurre l’attrito tra le particelle e sulla pa-
rete dello stampo durante la compattazione, (2) i leganti, che sono utili per ottenere una
resistenza maggiore del pezzo pressato non ancora sinterizzato e (3) i deflocculanti,
che inibiscono l’agglomerazione delle polveri per migliorare le caratteristiche del flusso
durante la lavorazione successiva.

9.2.2  Compattazione
Durante la compattazione viene applicata alle polveri una pressione elevata per poterle
formare nella forma desiderata. Il metodo convenzionale usato per la compattazione è
la pressatura, in cui due punzoni opposti comprimono le polveri contenute in una ma-
trice. Le fasi del ciclo di pressatura sono mostrate in Figura 9.6. Il pezzo dopo la pres-
satura è chiamato il verde, per indicare che non è stato ancora lavorato completamente.
Il risultato della pressatura è che la densità del pezzo, detta densità del verde, è molto
maggiore della densità di partenza. La resistenza del verde al termine della pressatura
è abbastanza grande da poterlo trasportare, ma molto minore di quella raggiunta con la
sinterizzazione.
All’inizio, la pressione applicata durante la compattazione causa il raggruppamento
delle polveri in una disposizione più efficiente, eliminando i «ponti» formatisi durante
il riempimento del contenitore, riducendo lo spazio dei pori e aumentando il numero dei
punti di contatto tra le particelle. All’aumentare della pressione, le particelle vengono
deformate plasticamente, causando l’aumento dell’area di contatto interparticellare e il
contatto tra le particelle. Questo processo è accompagnato da un’ulteriore riduzione del
volume dei pori. Questa sequenza è illustrata nelle tre immagini della Figura 9.7 riferite
a particelle inizialmente di forma sferica. Nella stessa figura è riportata anche la densità
associata ai tre stati in funzione della pressione applicata.
Le presse utilizzate nella compattazione tradizionale sono meccaniche, idrauliche o
una combinazione delle due. La Figura 9.8 mostra un’unità idraulica da 450 kN. A causa
delle differenze nella complessità del pezzo e nelle relative esigenze di diverse pressatu-
re, le presse si possono distinguere in (1) presse che agiscono in una sola direzione, dette
presse a singola azione, oppure (2) presse che agiscono da due direzioni, che possono
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 215

Punzone
superiore
Figura 9.6  Sequenza
di pressatura, il metodo
Polveri di compattazione delle
polveri metalliche più
Alimentatore comune: (1) riempimento
della cavità dello stampo
con polvere, realizzato
in produzione tramite in-
Matrice serimento automatico,
posizione iniziale (2) e
finale (3) del punzone
superiore e inferiore du-
Punzone
rante la compattazione, e
inferiore
(4) espulsione del pezzo.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Densità reale
Densità

Pressione di compattazione

Figura 9.7  (a) Effetto della pressione applicata durante la compattazione: (1) polveri sparse iniziali dopo il riempimento, (2) rag-
gruppamento e (3) deformazione delle particelle; (b) grafico della densità delle polveri in funzione della pressione. La sequenza ri-
portata corrisponde alle fasi 1, 2 e 3 in Figura 9.6 (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 9.8  Una pressa idraulica da 450-kN usata per la com-


pattazione delle polveri. Foto per gentile concessione di Dorst
America, Inc. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il per-
messo di John Wiley & Sons, Inc.)
216 Tecnologia meccanica

essere a pistoni opposti, a doppia azione o ad azione multipla. Le tecnologie di pressa-


tura attuali possono fornire fino a 10 comandi di azione separati per la produzione di
pezzi di notevole complessità geometrica. La complessità dei pezzi e i relativi problemi
di progettazione sono trattati nella Sezione 9.5.
La capacità di una pressa nella metallurgia delle polveri è generalmente espressa in
tonnellate o kN o MN. La forza necessaria per la pressatura dipende dalla proiezione
dell’area del pezzo (l’area sul piano orizzontale per una pressa verticale) moltiplicata
per la pressione necessaria per compattare le polveri metalliche e si può esprimere con
la seguente equazione:

(9.1)

dove F è la forza necessaria in N (lb), Ap è la proiezione della superficie del pezzo in


mm2 e pc è la pressione di compattazione necessaria per la specifico materiale in polve-
re in MPa. Le pressioni di compattazione in genere variano dai 70 MPa per polveri di
alluminio ai 700 MPa per polveri di ferro e acciaio.

9.2.3  Sinterizzazione
Dopo la pressatura, il verde non è molto duro e né molto resistente e si sbriciola fa-
cilmente se sottoposto a leggere sollecitazioni. La sinterizzazione è un’operazione di
trattamento termico che viene effettuato per legare le particelle metalliche del composto
e aumentare così la sua resistenza e la sua durezza. Questo trattamento viene di solito
effettuato a temperature comprese tra lo 0.7 e lo 0.9 del punto di fusione del metallo
(su scala assoluta). A volte si usano i termini sinterizzazione allo stato solido o sinte-
rizzazione in fase solida per indicare questo tipo comune di sinterizzazione perché il
metallo non si fonde a queste temperature di trattamento.
Un fatto universalmente accettato tra i ricercatori è che la causa principale della
sinterizzazione è la riduzione dell’energia superficiale [6], [16]. Il verde è composto da
diverse particelle distinte, ciascuna con la propria superficie e quindi la superficie totale
del composto è molto alta. Sotto l’influenza del calore, la superficie si riduce attraverso
la formazione e la crescita dei legami tra le particelle, con una corrispondente riduzione
dell’energia superficiale. Più fine diventa la dimensione della polvere iniziale, maggiore
sarà la superficie totale di conseguenza anche la forza nel processo.
Le immagini riportate in Figura 9.9 mostrano su scala microscopica i cambiamenti
che si verificano durante la sinterizzazione delle polveri metalliche. La sinterizzazione
comporta lo spostamento della massa per creare i colli che poi si trasformano nei bordi
dei grani. Il meccanismo principale tramite cui avviene è la diffusione; altri meccani-
smi comprendono il flusso plastico. Il ritiro del pezzo si verifica durante la sinteriz-
zazione in seguito alla riduzione delle dimensioni dei pori. Questo dipende in larga
misura dalla densità del verde, che a sua volta dipende dalla pressione esercitata durante
la compattazione. Il ritiro di solito è prevedibile se le condizioni di lavorazione sono
strettamente controllate.
Poiché le applicazioni PM sono usate per produzioni medio-alte, la maggior parte
dei forni di sinterizzazione sono progettati con metodi di trasporto meccanico dei pezzi.
Il trattamento termico consiste di tre fasi, realizzate in tre camere nei forni continui:
(1) il preriscaldamento, in cui vengono bruciati i lubrificanti e i leganti, (2) la sinteriz-
zazione e (3) il raffreddamento. La sequenza del trattamento è illustrata in Figura 9.10.
Valori tipici di temperatura e tempo di sinterizzazione di alcuni metalli sono riportati
in Tabella 9.1.
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 217

Punto Bordo Figura 9.9  La sinterizza-


Colli Pori zione su scala microsco-
di legame del grano
pica: (1) si avvia il legame
delle particelle nei punti
di contatto, (2) i punti di
contatto si trasformano
in «colli», (3) si riducono
i pori tra le particelle e (4)
al posto dei colli si svilup-
Poro pano i bordi dei grani tra
le particelle. (Fonte: Fun-
damentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ri-
stampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)

Temperatura del forno


(linea continua)
Temperatura del pezzo
(linea tratteggiata)
Temperatura

Preriscal- Sinteriz-
damento zazione Raffreddamento

Tempo

Sinteriz- Figura 9.10  (a) Grafico


zazione del tipico ciclo di trat-
Preriscal- Raffredda- tamento termico nella
damento mento sinterizzazione e (b) se-
zione trasversale sche-
Diaframma
matica di un forno di
Nastro continuo per sinterizzazione continuo.
il trasporto (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

TABELLA 9.1  Valori tipici di temperatura e tempo di sinterizzazione per alcune polveri metalliche.

Temperature di sinterizzazione
Metallo °C Tempistiche
Ottone  850   25 min
Bronzo   820   15 min
Rame  850   25 min
Ferro 1100   30 min
Acciaio inossidabile 1200   45 min
Tungsteno 2300 480 min

Fonti [10] e [17].


218 Tecnologia meccanica

Nella sinterizzazione moderna, l’atmosfera nel forno è controllata ai fini di (1) pro-
teggere il metallo dall’ossidazione, (2) fornire un’atmosfera riducente per rimuovere gli
ossidi esistenti, (3) fornire un’atmosfera di carburizzazione e (4) aiutare a rimuovere i
lubrificanti e i leganti usati nella pressatura. Le atmosfere tipiche nei forni di sinteriz-
zazione sono gas inerti, a base di azoto, ammoniaca dissociata, idrogeno e gas naturale
[6]. Per alcuni metalli, come l’acciaio e tungsteno, si usano anche atmosfere sotto vuoto.

9.2.4  Operazioni secondarie


Per completare un pezzo possono essere necessarie delle operazioni secondarie di PM,
come l’addensamento, la calibratura, l’impregnazione, l’infiltrazione, il trattamento ter-
mico e la finitura.

Addensamento e calibratura  Sul pezzo stampato e sinterizzato si possono ese-


guire diverse operazioni secondarie per aumentare la densità, migliorare la precisione o
eseguire delle nuove geometrie. La ripressatura è un’operazione di stampaggio in cui
il pezzo viene pressato in uno stampo chiuso per aumentarne la densità e migliorare le
proprietà fisiche. La calibratura è la pressatura di un pezzo sinterizzato per migliorare
la precisione dimensionale. La coniatura è un’operazione di lavorazione di un pezzo
sinterizzato per stampare dei dettagli sulla sua superficie.
Alcuni pezzi richiedono delle lavorazioni per asportazione di truciolo dopo la
sinterizzazione. Queste lavorazioni di solito non vengono fatte per calibrare il pezzo,
ma piuttosto per creare degli elementi geometrici che non possono essere creati dalla
pressatura, come le filettature interne ed esterne, i fori laterali o altri dettagli.

Impregnazione e infiltrazione  La porosità è una caratteristica specifica e intrinse-


ca delle polveri metalliche. Può essere sfruttata per creare prodotti speciali riempiendo
lo spazio disponibile nei pori con oli, polimeri o metalli che hanno temperature di fu-
sione inferiori rispetto al metallo della polvere di base.
L’impregnazione è il termine che si usa quando un olio o un altro fluido viene
immesso nei pori di un pezzo sinterizzato. I prodotti più comuni realizzati tramite im-
pregnazione di olio sono i cuscinetti, gli ingranaggi e altri componenti delle macchine.
I cuscinetti autolubrificanti, generalmente di bronzo o di ferro con un volume di olio tra
il 10% e il 30%, sono molto utilizzati nel settore automobilistico. Questa operazione è
realizzata tramite immersione dei pezzi sinterizzati in un bagno di olio caldo.
Un’applicazione alternativa dell’impregnazione coinvolge i pezzi che devono essere
fatti a tenuta stagna o impermeabili ai fluidi. In questo caso, i pezzi sono impregnati con
vari tipi di resine polimeriche che penetrano nei pori in forma liquida e poi solidificano.
L’impregnazione di resina può anche essere usata per facilitare una lavorazione suc-
cessiva, ad esempio per consentire l’uso di soluzioni (come le sostanze chimiche per la
placcatura) che altrimenti si inserirebbero nei pori e degraderebbero il prodotto, oppure
per migliorare la lavorabilità del pezzo.
L’infiltrazione è un’operazione in cui i pori del pezzo vengono riempiti con del me-
tallo fuso. Il punto di fusione del metallo deve essere inferiore a quella del pezzo. Il pro-
cesso prevede il riscaldamento del metallo di riempimento a contatto con il componente
sinterizzato in modo che l’azione capillare diffonda il riempitivo nei pori. La struttura
risultante è relativamente non porosa e il pezzo infiltrato ha una densità più uniforme e
una migliore resistenza e durezza. Un’applicazione di questo processo è l’infiltrazione
di rame in pezzi realizzati con polvere di ferro.

Trattamento termico e finitura  I componenti realizzati tramite metallurgia del-


le polveri possono essere sottoposti a trattamento termico o di finitura (placcatura o
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 219

verniciatura), usando gli stessi processi utilizzati su pezzi prodotti per fusione e altre
lavorazioni dei metalli. Bisogna fare particolare attenzione ai trattamenti termici a cau-
sa della porosità: ad esempio, per riscaldare i pezzi PM non si possono usare i bagni di
sale. Le operazioni di placcatura e rivestimento vengono eseguite sui pezzi sinterizzati
a scopo estetico o per migliorare la resistenza alla corrosione. Anche in questo caso oc-
corre prendere delle precauzioni per evitare l’intrappolamento delle soluzioni chimiche
nei pori; le operazioni di impregnazione e infiltrazione sono spesso usate per questo
scopo. I materiali tipici usati nella placcature di pezzi PM includono il rame, il nichel,
il cromo, lo zinco e il cadmio.

9.3 Tecniche alternative di pressatura e sinterizzazione

La sequenza di pressatura e sinterizzazione è la tecnica di formatura più diffusa nella


metallurgia delle polveri. In questa sezione vengono descritti gli altri metodi per la
lavorazione di pezzi in PM.

9.3.1  Pressatura isostatica


Una caratteristica della pressatura convenzionale è che la pressione è applicata su un
unico asse. Questo comporta delle limitazioni nella geometria del pezzo, perché le
polveri metalliche non fluiscono facilmente in direzione perpendicolare alla pressione
applicata. La pressione uniassiale causa anche delle variazioni di densità del compat-
to dopo la pressatura. Nella pressatura isostatica si applica una pressione da tutte le
direzioni sulle polveri che sono contenute in uno stampo flessibile; per ottenere la com-
pattazione si usa la pressione idraulica. La pressatura isostatica può essere (1) isostatica
a freddo o (2) isostatica a caldo.
La pressatura isostatica a freddo (cold isostatic pressing, CIP) è basata su una
compattazione eseguita a temperatura ambiente. Lo stampo, in gomma o altro materiale
elastomerico, è sovradimensionato per compensare la contrazione. Per fornire la pres-
sione idrostatica sullo stampo all’interno della camera si utilizza dell’acqua o dell’olio.
La Figura 9.11 illustra la sequenza di lavorazione della pressatura isostatica a freddo. I
vantaggi di questa tecnica sono l’ottenimento di una densità più uniforme, l’utilizzo di
utensili meno costosi e l’applicabilità a piccoli lotti di produzione. Per contro, è diffi-
cile ottenere una buona precisione dimensionale a causa della presenza dell’uso di uno
stampo flessibile. Di conseguenza sono spesso necessarie delle operazioni di finitura
successive per ottenere le dimensioni necessarie, prima o dopo la sinterizzazione.
La pressatura isostatica a caldo (hot isostatic pressing, HIP) viene effettuata a
temperature e pressioni elevate, utilizzando un gas come l’argon o l’elio come mezzo di
compressione. Lo stampo in cui sono contenute le polveri è realizzato in lamiera me-
tallica per resistere alle alte temperature. Questa tecnica esegue la pressatura e la sinte-
rizzazione in un unico passaggio. Nonostante questo vantaggio evidente, è un processo
relativamente costoso e le sue applicazioni sono concentrate nel settore aerospaziale. I
pezzi realizzati tramite HIP sono caratterizzati da un’alta densità (porosità prossima a
zero), da stretti legami interparticellari e da una buona resistenza meccanica.

9.3.2  Stampaggio a iniezione di polveri


Lo stampaggio a iniezione è di solito associato alla lavorazione delle materie plastiche.
Lo stesso processo di base può essere usato anche per formare le polveri di metallo o
di ceramica, con la differenza che il polimero di partenza contiene una percentuale ele-
220 Tecnologia meccanica

Recipiente
a pressione Nucleo
solido (perno)

Fluido
pressurizzato

Stampo
in gomma

Carico
(polveri)

Figura 9.11  Pressatura isostatica a freddo: (1) le polveri sono immesse nello stampo flessibile, (2) viene applicata una pressione
idrostatica contro lo stampo per compattare le polveri e (3) la pressione viene ridotta e il pezzo viene rimosso. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

vata di particolato, tipicamente dal 50% al 85% del volume. Quando il processo viene
utilizzato nella metallurgia delle polveri, si usa il termine di stampaggio a iniezione
di metallo (metal injection molding, MIM). Il processo più generale prende il nome di
stampaggio a iniezione di polveri (powder injection molding, PIM), che comprende le
polveri sia metalliche sia ceramiche. I passi del MIM sono i seguenti [7]. (1) Le polveri
metalliche sono miscelate con un apposito legante e (2) dalla miscela si formano dei pel-
let granulari. (3) I pellet vengono riscaldati a temperatura di stampaggio, iniettati nella
cavità dello stampo e poi il pezzo viene raffreddato ed estratto dallo stampo. (4) Il pezzo
viene trattato con metodi termici o a solvente per rimuovere il legante. (5) Il pezzo viene
sinterizzato. (6) Altre operazioni secondarie vengono eseguite a seconda delle esigenze.
Il legante nello stampaggio a iniezione di polveri agisce come supporto per le par-
ticelle. Le sue funzioni sono di fornire le adeguate caratteristiche di flusso durante lo
stampaggio e di mantenere le polveri nella forma da stampare fino alla sinterizzazione.
I cinque tipi di base di leganti usati nel PIM sono (1) i polimeri termoindurenti, come le
resine fenoliche, (2) i polimeri termoplastici, come il polietilene, (3) l’acqua, (4) i gel e
(5) i materiali inorganici [7]. I polimeri sono quelli più utilizzati.
Lo stampaggio a iniezione di polveri è adatto per le stesse forme dello stampaggio
a iniezione di materie plastiche. Non è competitivo dal punto di vista economico per la
realizzazione di pezzi semplici ad assi simmetrici, perché in quei casi è meglio usare
il processo tradizionale di pressatura e sinterizzazione. Il PIM sembra più conveniente
per pezzi più piccoli, complessi e costosi. La precisione dimensionale è limitata dalla
contrazione che accompagna l’addensamento durante la sinterizzazione.

9.3.3  Laminazione, estrusione e forgiatura delle polveri


La laminazione, l’estrusione e la forgiatura sono processi noti nella formatura dei me-
talli (Capitolo 11). Qui vengono descritti nel contesto della metallurgia delle polveri.

Laminazione delle polveri  Le polveri possono essere compresse attraverso un’ope-


razione di laminazione per formare strisce metalliche. Il processo di solito è impostato
per lavorare in continuo o semicontinuo, come mostrato in Figura 9.12. Le polveri me-
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 221

Carico
(polveri)

Figura 9.12 Laminazio-
Rulli di
ne delle polveri: le polveri
compattazione
vengono (1) immesse
Forno di Laminatoio Forno di tramite rulli di compat-
sinterizzazione a freddo risinterizzazione tazione per formare una
striscia verde, (2) sinte-
rizzate, (3) laminate a
Striscia
freddo e (4) risinterizzate.
Striscia finale
(Fonte: Fundamentals of
verde Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

talliche sono compattate tra rulli in una striscia verde che viene immessa direttamente
in un forno di sinterizzazione. Poi viene laminata a freddo e risinterizzata.

Estrusione delle polveri  L’estrusione è uno dei processi base di fabbricazione.


Nell’estrusione PM, le polveri di partenza possono essere in diverse forme. Nel metodo più
diffuso le polveri sono poste in un contenitore metallico sottovuoto, riscaldate ed estruse
con il contenitore. Una variante consiste nel formare prima la billetta usando un processo
tradizionale di pressatura e sinterizzazione e poi estrudere a caldo la billetta. Questi meto-
di consentono di raggiungere un elevato grado di addensamento nel pezzo finale.

Forgiatura delle polveri  La forgiatura è un altro processo importante nella forma-


tura dei metalli. Nella forgiatura delle polveri, il pezzo di partenza è un pezzo di polvere
metallica preformato nella dimensione adeguata attraverso la pressatura e la sinteriz-
zazione. I vantaggi di questo approccio sono: (1) il buon addensamento del pezzo, (2) i
costi inferiori degli utensili e il minor numero di «colpi» di forgiatura (e di conseguenza
il più alto tasso di produzione) perché il pezzo di partenza è preformato e (3) la riduzio-
ne degli scarti di materiale.

9.3.4  Pressatura e sinterizzazione combinate


La pressatura isostatica a caldo esegue la compattazione e la sinterizzazione in un unico
passaggio. Le altre tecniche che combinano le due fasi sono la pressatura a caldo e la
sinterizzazione a scintilla.

Pressatura a caldo  La configurazione della pressatura a caldo uniassiale è mol-


to simile alla pressatura PM tradizionale, a parte il fatto che il calore viene applicato
durante la compattazione. Il prodotto risultante è generalmente denso, forte, duro e ha
una buona precisione dimensionale. Nonostante questi vantaggi, il processo presenta
alcuni problemi tecnici che ne limitano l’adozione. I principali problemi riguardano (1)
la selezione di un materiale adatto per lo stampo che resista alle alte temperature di sin-
terizzazione, (2) il lungo ciclo di produzione necessario per realizzare la sinterizzazione
e (3) il riscaldamento e il mantenimento del controllo atmosferico nel processo [2]. La
pressatura a caldo è usata nella produzione di alcuni prodotti di carburo sinterizzato
usando stampi in grafite.
222 Tecnologia meccanica

Sinterizzazione a scintilla  Un approccio alternativo che combina la pressatura e


la sinterizzazione, e supera alcuni dei problemi della pressatura a caldo, è la sinterizza-
zione a scintilla (spark sintering). Il processo consiste di due fasi fondamentali [2], [17]:
(1) la polvere o una preforma verde viene posizionata in uno stampo e (2) i due punzoni
superiore e inferiore, che servono anche come elettrodi, comprimono il pezzo e simul-
taneamente applicano un’alta corrente elettrica che brucia i contaminanti in superficie
e sinterizza le polveri, formando un pezzo solido e denso in circa 15 secondi. Questo
processo è stato applicato a diversi metalli.

9.3.5  Sinterizzazione con fase liquida


La sinterizzazione convenzionale è una sinterizzazione allo stato solido: il metallo vie-
ne sinterizzato ad una temperatura inferiore al suo punto di fusione. In sistemi costituiti
da una miscela di due metalli in polvere, che hanno temperature di fusione diverse, si
usa un tipo alternativo di sinterizzazione, chiamato sinterizzazione con fase liquida. In
questo processo, le due polveri vengono inizialmente miscelate, e poi riscaldate ad una
temperatura sufficiente a raggiungere il punto di fusione del metallo al punto di fusio-
ne più basso ma non l’altro. Il metallo fuso si diffonde tra le particelle solide dell’altro
metallo, creando una struttura densa con forti legami tra i metalli al momento della
solidificazione. A seconda dei metalli presenti, il riscaldamento prolungato potrebbe
provocare la lega dei metalli a causa del graduale scioglimento delle particelle solide nel
liquido fuso e/o la diffusione del metallo liquido in quello solido. In entrambi i casi, il
prodotto risultante è completamente addensato (senza pori) e molto resistente. Esempi
di sistemi che utilizzano la sinterizzazione con fase liquida includono Fe-Cu, W-Cu e
Cu-Co [6].

9.4  Materie prime e prodotti della metallurgia delle polveri

Le materie prime usate nella metallurgia delle polveri sono più costose di quelle usate
nelle altre lavorazioni dei metalli a causa dell’energia aggiuntiva necessaria per ridurre
il metallo in forma di polvere. Quindi la PM è competitiva solo in una certa gamma di
applicazioni. In questa sezione vengono descritti i materiali e i prodotti che sono più
adatti per la metallurgia delle polveri.

Materie prime  Dal punto di vista chimico, le polveri metalliche possono essere classi-
ficate in elementari o prelegate. Le polveri elementari sono costituite da un metallo puro
e vengono utilizzate in applicazioni in cui è importante avere una purezza elevata. Ad
esempio, il ferro puro può essere utilizzato quando è importante mantenere le sue proprie-
tà magnetiche. Le polveri elementari più comuni sono quelle di ferro, alluminio e rame.
Le polveri elementari possono essere mischiate con altre polveri metalliche per
produrre leghe speciali che sono difficili da ottenere con i metodi tradizionali, come ad
esempio gli acciai per utensili. La PM permette la miscelazione di alcuni elementi che
sarebbe difficile o impossibile da ottenere usando tecniche di legatura tradizionali. Uti-
lizzare le miscele di polveri elementari per formare una lega fornisce dei benefici nella
lavorazione, anche se non sono usate delle leghe speciali. Poiché le polveri sono metalli
puri, non sono forti come i metalli prelegati. Infatti si deformano più facilmente durante
la pressatura, in modo tale da rendere la densità e la resistenza del verde superiori a
quelle dei compatti prelegati.
Nelle polveri prelegate, ogni particella è una lega con una determinata composizio-
ne chimica. Le polveri prelegate vengono utilizzate per le leghe che non possono essere
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 223

create miscelando polveri elementari, come l’acciaio inossidabile. Le polveri prelegate


più comuni sono alcune leghe di rame, l’acciaio inossidabile e l’acciaio super rapido.
Le polveri di metallo elementari e prelegate usate più comunemente, in ordine ap-
prossimato di quantitativo di utilizzo, sono: (1) il ferro, di gran lunga il metallo più usato
in PM, spesso miscelato con grafite per realizzare i pezzi in acciaio, (2) l’alluminio, (3)
il rame e sue leghe, (4) il nichel, (5) l’acciaio inox, (6) l’acciaio super rapido e (7) altri
materiali come il tungsteno, il molibdeno, il titanio, lo stagno e i metalli preziosi.

Prodotti  Un vantaggio sostanziale offerto dalla tecnologia di PM è che si possono


realizzare pezzi net shape o near net shape, che richiedono poca o nessuna rifinitura
aggiuntiva. Alcuni dei componenti comunemente prodotti tramite metallurgia delle pol-
veri sono gli ingranaggi, i cuscinetti, le ruote dentate, gli elementi di fissaggio, i contatti
elettrici, gli utensili da taglio e diversi pezzi di macchinari. Per le produzioni di grandi
quantità, gli ingranaggi e i cuscinetti metallici sono particolarmente adatti ad essere
prodotti con queste tecniche per due ragioni: (1) la forma è definita principalmente in
due dimensioni, quindi il pezzo ha una certa geometria sulla superficie ma non lungo i
lati e (2) occorre usare un materiale poroso che serva come serbatoio per il lubrificante.
Con la metallurgia delle polveri si possono anche realizzare pezzi più complessi con
vere geometrie tridimensionali, aggiungendo delle operazioni secondarie, come l’aspor-
tazione di truciolo per completare la forma del pezzo pressato e sinterizzato e osser-
vando alcune linee guida di progettazione come quelle descritte nella sezione seguente.

9.5  Linee guida progettuali nella metallurgia delle polveri

L’utilizzo delle tecniche di PM è generalmente adatto per una certa categoria di processi
di produzione e di progettazione di pezzi. In questa sezione cerchiamo di definire le ca-
ratteristiche di questa categoria di applicazioni per le quali la metallurgia delle polveri
è più appropriata. Per prima cosa presentiamo un sistema di classificazione per i pezzi
PM e poi forniamo alcune linee guida sulla progettazione dei componenti.
La Metal Powder Industries Federation (MPIF) definisce quattro classi di proget-
tazione di pezzi nella metallurgia delle polveri, a seconda del livello di difficoltà della
pressatura convenzionale. Il sistema è utile perché indica le limitazioni di forma che
possono verificarsi con le tecniche PM convenzionali. Le quattro classi sono illustrate
in Figura 9.13. Il sistema di classificazione MPIF fornisce alcune indicazioni relative

Direzione Direzione
di pressatura di pressatura

Figura 9.13  Le quattro classi dei pezzi PM; la sezione dei pezzi è circolare e sono visti lateralmente:
(a) classe I - forme semplici sottili che possono essere pressate da una sola direzione, (b) classe II
– forme semplici ma più spesse che richiedono la pressatura da due direzioni, (c ) classe III – forme
con due livelli di spessore, pressate da due direzioni e (d) classe IV – forme a diversi livelli di spesso-
re, pressate da due direzioni con comandi separati per ogni livello per raggiungere il livello di densità
appropriato nel pressato. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
224 Tecnologia meccanica

alle geometrie che sono adatte alle tecniche convenzionali di pressatura PM. Ulteriori
approfondimenti sono dati dalle linee guida seguenti [3], [13] e [17].

• L’economia dei processi PM richiede di produrre grandi quantità di pezzi per giu-
stificare il costo delle attrezzature e degli utensili speciali richiesti. I quantitativi
minimi suggeriti sono di 10.000 unità [17], anche se possono esserci delle eccezioni.
• La metallurgia delle polveri è unica nella sua capacità di produrre pezzi ad un livel-
lo controllato di porosità. È possibile ottenere un grado di porosità fino al 50%.
• La metallurgia delle polveri può essere usata per realizzare pezzi in metalli o leghe non
comuni - materiali che sarebbe difficile, se non impossibile, fabbricare con altri mezzi.
• La forma del pezzo deve permetterne l’espulsione dallo stampo dopo la pressatura;
questo generalmente significa che il pezzo deve avere i lati verticali o quasi verticali,
anche se sono ammessi dei gradini, come mostrato nel sistema di classificazione MPIF
(Figura 9.13). Alcuni elementi, come i sottosquadri e i fori laterali, devono essere evitati,
come illustrato in Figura 9.14. Invece i sottosquadri e i fori verticali, come quelli mo-
strati in Figura 9.15, sono ammissibili perché non interferiscono con l’espulsione. I fori
verticali possono avere sezione trasversale anche non circolare (ad esempio quadrata o
scanalata), senza aumenti significativi nella difficoltà degli utensili o della lavorazione.
• Le filettature non possono essere realizzate tramite pressatura PM. Se necessarie,
devono essere prodotte tramite una lavorazione meccanica dopo la sinterizzazione.
• Gli smussi e i raggi di raccordo si possono realizzare tramite pressatura PM, come
mostrato in Figura 9.16. Se gli angoli sono troppo acuti si possono riscontrare dei
problemi per la rigidità dei punzoni.
• Lo spessore alle pareti del pezzo deve essere almeno di 1.5 mm tra i fori o tra un
foro e la parete esterna del pezzo, come indicato in Figura 9.17. Il diametro minimo
del foro deve essere di 1.5 mm.

Direzione
Figura 9.14 Geometrie di pressatura
da evitare nei pezzi PM
perché rendono impos-
sibile l’espulsione del
pezzo: (a) fori laterali e
(b) sottosquadri laterali.
(Fonte: Fundamentals of Sotto-
Modern Manufacturing, Foro squadro
4th Edition by Mikell P. laterale
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 9.15  Elementi am- Direzione


missibili nei pezzi PM per- di pressatura
ché consentono l’espul-
sione del pezzo: (a) fori
Foro cieco Foro a gradini
verticali, ciechi e passanti,
(b) fori verticali a gradini Foro passante
e (c) sottosquadri in dire-
zione verticale. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Sottosquadro
Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permes-
so di John Wiley & Sons,
Inc.)
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 225

Direzione Direzione di pressatura


di pressatura

Angolo acuto
45° minimo
Raggio di
Raggio
raccordo
Raggio esterno
interno

Sconsigliato Consigliato Consigliato Sconsigliato Consigliato

Figura 9.16  Gli smussi e i raggi di raccordo si possono realizzare, ma ci sono alcune regole da seguire: (a) evitare angoli acuti di
smusso, (b) preferire angoli più grandi a causa della rigidità del punzone, (c) i raggi interni devono essere piccoli, (d) i raggi degli
angoli esterni sono difficili da realizzare perché il punzone è fragile ai bordi degli angoli, (e) i problemi degli angoli esterni si pos-
sono risolvere combinando un raggio di raccordo e uno smusso. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Vista dall’alto
Figura 9.17  Lo spesso-
re minimo di una parete
Spessore mini- tra due fori (a) o tra un
mo delle pareti foro e una parete ester-
na (b) dovrebbe esse-
re di 1.5 mm (0.060 in).
Vista della (Fonte: Fundamentals of
sezione Modern Manufacturing,
trasversale 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

9.6  Lavorazione delle ceramiche e dei cermet

I materiali ceramici si dividono in tre categorie: (1) le ceramiche tradizionali, (2) le


ceramiche di nuova generazione e (3) i vetri. La lavorazione del vetro consiste princi-
palmente in processi di solidificazione. In questo capitolo vengono considerati i metodi
di lavorazione delle polveri utilizzati per le ceramiche tradizionali e le ceramiche di
nuova generazione. Vengono anche trattati i compositi a matrice metallica e a matrice
ceramica.
Le ceramiche tradizionali sono fatte di minerali presenti in natura e danno origi-
ne a molti prodotti comuni come gli oggetti in ceramica, le porcellane, i mattoni e il
cemento. Le ceramiche di nuova generazione sono costituite da materie prime create
sinteticamente e riguardano una vasta gamma di prodotti come gli utensili da taglio,
le ossa artificiali, i combustibili nucleari e gli alloggiamenti dei circuiti elettronici. Il
materiale di partenza di entrambe le categorie sono le polveri. Nel caso delle ceramiche
tradizionali, le polveri vengono solitamente miscelate con acqua per legare tempora-
neamente le particelle e raggiungere la consistenza adeguata per la formatura. Nel caso
226 Tecnologia meccanica

delle ceramiche di nuova generazione si usano altre sostanze come leganti durante la
formatura. Dopo la formatura, i verdi vengono sinterizzati. Questo processo è spesso
chiamato cottura per le ceramiche, ma la sua funzione è analoga a quella che si ha in
metallurgia delle polveri: indurre una reazione allo stato solido che consente al materia-
le di legarsi in una massa dura.
I metodi di lavorazione trattati in questo capitolo sono importanti sia commercial-
mente che tecnologicamente perché quasi tutti i prodotti ceramici sono realizzati at-
traverso questi processi (ad eccezione ovviamente dei prodotti in vetro). La sequenza
di produzione è simile per entrambi i tipi di ceramiche perché la forma del materiale
di partenza è la stessa, cioè la polvere. Tuttavia, visto che i metodi di lavorazione sono
abbastanza diversi, le due categorie vengono trattate separatamente.

9.7  Lavorazione delle ceramiche tradizionali

In questa sezione viene descritta la tecnica di produzione usata per fabbricare prodotti
ceramici tradizionali come le stoviglie, i mattoni, le piastrelle e i refrattari in ceramica.
Anche le mole per rettifica sono prodotte con gli stessi metodi di base. Quello che hanno
in comune tutti questi prodotti è il fatto di essere costituiti principalmente di ceramiche
silicate, cioè argille. La sequenza di lavorazione per la maggior parte delle ceramiche
tradizionali consiste nelle fasi indicate in Figura 9.18.

9.7.1  Preparazione della materia prima


I processi di formatura delle ceramiche tradizionali richiedono che il materiale di par-
tenza sia in uno stato pastoso. Una pasta di questo tipo è fatta di polveri ceramiche
sottili mescolate con acqua e la sua consistenza influisce sulla facilità di modellazione
del materiale e sulla qualità del prodotto finale. Le materie prime ceramiche di solito si
trovano in natura come grumi rocciosi e lo scopo della fase di preparazione è quello di
ridurli in polvere.
Le tecniche per ridurre la dimensione delle particelle nella lavorazione delle cera-
miche utilizza energia meccanica in varie forme, come l’urto, la compressione e l’at-

Preparazione delle polveri Modellazione dell’argilla Essicazione Cottura


umida

Polveri libere Argilla e acqua Argilla essicata Argilla cotta

Pori d’aria

Aria Acqua
Figura 9.18  Fasi della lavorazione delle ceramiche tradizionali: (1) preparazione delle materie prime, (2) modellazione, (3) essic-
cazione e (4) cottura. Le immagini in (a) mostrano il pezzo durante la sequenza, mentre le immagini in (b) mostrano la configu-
razione delle polveri. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 227

trito. Per indicare queste tecniche, particolarmente adatte per i materiali fragili come
il cemento, i minerali metallici e i metalli fragili, si usa il termine comminuzione. Si
possono distinguere due categorie generali per le operazioni di comminuzione: la fran-
tumazione e la macinazione.
La frantumazione si riferisce alla riduzione dei grossi pezzi provenienti dalle mi-
niere in dimensioni più piccole per una successiva riduzione a polveri di granulometria
più fine. Possono essere necessarie varie fasi (ad esempio, una frantumazione primaria
e una frantumazione secondaria), il cui fattore di riduzione varia da 3 a 6. I minerali
vengono frantumati attraverso un’azione di compressione contro delle superfici rigide o
attraverso un urto contro una superficie usando un moto rigido vincolato [1].
La macinazione consiste nel ridurre in polveri fini i pezzi prodotti dalla frantu-
mazione. La macinazione si ottiene sottoponendo il materiale frantumato all’azione di
abrasione e urto dovuta al movimento libero di oggetti duri come sfere, ciottoli o barre
[1]. Esempi di macinazione includono (a) il mulino a sfere, (b) il mulino a rulli e (c) la
macinazione a impatto, illustrati in Figura 9.19.
La pasta ceramica necessaria per la formatura consiste di polveri ceramiche e ac-
qua. L’argilla di solito è il principale ingrediente della pasta perché ha le caratteristiche
ideali per la formatura. Più acqua c’è nella miscela, più la pasta di argilla è plastica

Rulli di macinazione

Contenitore

Carico
Tavola rotante
Rullo motore

Contenitore

Eccentrico

Albero motore

Sfere

Cilindri

Figura 9.19  Metodi meccanici per produrre polveri ceramiche: (a) mulino a sfere, (b) mulino a rulli e (c) macinazione a impatto.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
228 Tecnologia meccanica

e facilmente modellabile. Tuttavia, quando il pezzo modellato viene successivamente


essiccato e cotto, il restringimento che si verifica può causare la rottura del pezzo. Per
evitare questo problema, si aggiungono alla pasta quantità anche elevate di altre materie
prime ceramiche che non riducono il loro volume durante l’essiccamento e la cottura.
Possono essere aggiunti anche altri elementi per migliorare specifiche caratteristiche.
Gli elementi costitutivi della pasta ceramica possono essere suddivisi nelle seguenti tre
categorie [3]: (1) l’argilla, che fornisce la consistenza e la plasticità necessaria per la mo-
dellazione, (2) le materie prime non plastiche, come l’allumina e il silice, che non si con-
traggono durante l’essiccazione e la cottura ma hanno il difetto di ridurre la plasticità
nella miscela durante la formatura e (3) gli altri elementi, come i fluidi che si sciolgono
(vetrificano) durante la cottura e velocizzano la sinterizzazione del materiale ceramico,
e gli agenti bagnanti che migliorano la miscelazione degli ingredienti.
Questi elementi devono essere mescolati accuratamente, sia che siano bagnati sia
che siano asciutti. Il mulino a sfere spesso serve anche questo scopo, oltre alla sua
funzione principale di macinazione. Inoltre, dovendo rispettare le giuste proporzioni
di polvere e di acqua nella pasta, può servire aggiungere o rimuovere acqua a seconda
dello stato originale della pasta e della consistenza finale desiderata.

9.7.2  Processi di formatura


Le proporzioni ottimali di polvere e di acqua dipendono dal processo di formatura uti-
lizzato. Alcuni processi di modellazione richiedono un’elevata fluidità, altri agiscono
su una composizione che contiene una percentuale di acqua molto bassa. Se la miscela
contiene circa il 50% di volume di acqua, è un impasto che scorre come un liquido. Se
il contenuto di acqua viene ridotto, occorre aumentare la pressione sulla pasta per pro-
durre lo stesso flusso. Quindi, i processi di formatura possono essere suddivisi in base
alla consistenza della miscela: (1) colata di barbottina, in cui la miscela è un impasto
contenente dal 25% al ​​40% di acqua, (2) formatura plastica, in cui l’argilla è in una
condizione plastica contenente dal 15% al ​​25% di acqua, (3) pressatura a semisecco,
in cui l’argilla è umida (contenente dal 10% al 15% di acqua) e ha una bassa plasticità
e (4) pressatura a secco, in cui l’argilla è sostanzialmente secca perché contiene meno
del 5% di acqua. L’argilla secca non è per niente plastica. Ogni categoria include diversi
processi di modellazione.

Colata di barbottina  Nella colata di barbottina, una sospensione di polveri cera-


miche in acqua (chiamata barbottina) viene versata in uno stampo fatto di gesso di
Parigi (CaSO4–2H 2O) in modo che l’acqua presente nella miscela venga gradualmente
assorbita dal gesso per formare uno strato di argilla solida sulla superficie dello stam-
po. La barbottina contiene tipicamente dal 25% al 40% ​​ di acqua e il resto di argil-
la spesso miscelata con altri elementi. Essa deve essere sufficientemente fluida per
scorrere nelle fessure della cavità dello stampo, ma non deve contenere troppa acqua
per avere dei tassi di produzione più veloci. La colata di barbottina ha due varianti
principali: la colata per drenaggio e la colata solida. Nella colata per drenaggio, che
è il processo tradizionale, lo stampo viene capovolto per far fuoriuscire la barbottina
in eccesso dopo che si è formato lo strato semisolido, lasciando così un pezzo cavo
nello stampo; lo stampo viene poi aperto e il pezzo viene rimosso. La sequenza è il-
lustrata in Figura 9.20. Questa tecnica viene usata per realizzare teiere, vasi, oggetti
d’arte e altri pezzi cavi. Nella colata solida, utilizzata per produrre pezzi solidi, si
deve aspettare un certo tempo affinché l’intero pezzo diventi solido. Lo stampo deve
essere rifornito periodicamente di nuova barbottina per compensare il ritiro dovuto
all’assorbimento dell’acqua.
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 229

Figura 9.20  Sequenza


della colata per drenaggio,
una delle varianti della co-
lata di barbottina: (1) la bar-
bottina viene versata nella
Barbottina Stampo di gesso cavità dello stampo, (2) l’ac-
qua viene assorbita dallo
stampo di gesso per forma-
re uno strato solido, (3) la
barbottina in eccesso viene
scolata e (4) il pezzo viene
rimosso dallo stampo e rifi-
nito. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato con
il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)

Formatura plastica  Questa categoria comprende una varietà di metodi, sia manuali
che meccanici. Tutti richiedono che la miscela di partenza abbia una consistenza pla-
stica, che generalmente si ottiene con il 15% - ​​25% di acqua. I metodi manuali general-
mente fanno uso di argilla (a più alto contenuto di acqua) perché fornisce un materiale
che è più facilmente modellabile, anche se questo causa una maggiore contrazione du-
rante la fase di essiccazione. I metodi meccanici generalmente usano una miscela con
un contenuto di acqua inferiore, per fare in modo che l’argilla di partenza sia più rigida.
L’estrusione viene utilizzata nella lavorazione delle ceramiche per produrre pezzi
lunghi a sezione trasversale uniforme, che vengono poi tagliati delle misure giuste. L’ap-
parecchiatura per l’estrusione utilizza l’azione di una vite per mescolare l’argilla e spinge-
re il materiale plastico attraverso l’apertura della matrice. Questa sequenza di produzione
è ampiamente utilizzata per realizzare mattoni forati, tegole, tubi di scarico e isolanti.

Pressatura a semisecco  Nella pressatura a semisecco la proporzione di acqua


nell’argilla di partenza va dal 10% al 15% circa. Questo comporta una bassa plasticità, che
impedisce di usare i metodi di formatura precedenti, i quali richiedono un’argilla molto
plastica. La pressatura a semisecco utilizza un’alta pressione per superare la bassa plastici-
tà del materiale e forzarlo a fluire nella cavità dello stampo. Succede spesso che si formino
delle bave nei pezzi finali a causa dell’argilla in eccesso tra le sezioni dello stampo.

Pressatura a secco  La distinzione principale tra la pressatura a semisecco e quella


a secco è il diverso contenuto di umidità della miscela di partenza. Il contenuto di umi-
dità dell’argilla per la pressatura a secco di solito è inferiore al 5%. Vari leganti vengono
aggiunti alla miscela di argilla secca per fornire al pezzo pressato una resistenza suffi-
ciente per la formatura. Si aggiungono anche dei lubrificanti per evitare che l’argilla si
attacchi allo stampo durante la pressatura e l’espulsione. Poiché argilla secca non ha pla-
sticità ed è molto abrasiva, rispetto alla pressatura a semisecco ci sono differenze nella
progettazione degli stampi e nelle procedure operative. Gli stampi devono essere fatti di
acciaio temprato o carburo di tungsteno cementato per ridurre l’usura. Poiché l’argilla
secca non scorre durante la pressatura, la forma del pezzo deve essere relativamente
semplice e bisogna calibrare bene la quantità e la distribuzione delle polveri di partenza
nella cavità dello stampo. Nella pressatura a secco non si formano bave, il tempo di es-
siccazione è eliminato e non si ha contrazione per essiccazione. Si raggiunge una buona
accuratezza delle dimensioni finali del prodotto. I prodotti tipici realizzati con questa
tecnica includono le piastrelle dei bagni, gli isolanti elettrici e i mattoni refrattari.
230 Tecnologia meccanica

Volume dell’argilla
umida

Volume complessivo
Acqua
Aria

Figura 9.21  Volume dell’argilla in funzione del contenuto di


acqua. La relazione rappresentata è quella tipica, ma può va-
Argilla solida riare a seconda della composizione dell’argilla. (Fonte: Fun-
damentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley &
Volume dell’acqua Sons, Inc.)

9.7.3  Essicazione
L’acqua svolge un ruolo importante nella maggior parte dei processi di formatura della
ceramica tradizionale. Dopo la formatura però non è più necessaria e deve essere rimos-
sa dal pezzo prima della cottura. Il ritiro rappresenta un problema durante questa fase
della sequenza di lavorazione perché l’acqua fa parte del volume del pezzo, e quando
viene rimossa il volume si riduce. Questo effetto è mostrato in Figura 9.21. Quando l’ac-
qua viene aggiunta inizialmente all’argilla secca, essa semplicemente sostituisce l’aria
nei pori tra i grani di ceramica e non vi è alcuna variazione volumetrica. Aumentando il
contenuto di acqua oltre un determinato punto, i grani si separano e il volume aumenta,
con conseguente formazione dell’argilla umida che diventa pastosa e può essere forma-
ta. Se si aggiunge ancora più acqua, alla fine la miscela diventa una sospensione liquida
di particelle di argilla in acqua.
Nell’essicazione si verifica l’inverso di questo processo. Quando l’acqua viene ri-
mossa dall’argilla umida, il volume del pezzo diminuisce. Il processo di essiccazione
avviene in due fasi, come illustrato in Figura 9.22. Nella prima fase, la velocità di essic-
cazione è rapida e costante: l’acqua evapora dalla superficie dell’argilla nell’aria circo-
stante e quella all’interno migra per azione capillare verso la superficie per sostituirla.
È in questa fase che avviene il ritiro, con il rischio di causare deformazioni e rotture del
pezzo. Nella seconda fase dell’essiccazione, il contenuto di umidità si riduce fino a far
entrare in contatto i grani di ceramica, quindi non si verifica più altro ritiro. Il processo
di essiccazione rallenta, come si vede dall’andamento decrescente nel grafico.

Volume (ritiro) Figura 9.22  Curva tipica della velocità di


complessivo

essicazione e della corrispondente ridu-


Volume

zione volumetrica (ritiro di essicazione)


Avanzamento per un pezzo ceramico durante l’essicca-
dell’essicazione zione. La velocità di essiccazione nella
seconda fase è rappresentata come una
linea retta (la velocità costante diminuisce
di essicazione

Prima fase dell’essicazione in funzione del contenuto di acqua); in let-


Velocità

teratura questa funzione è rappresentata


con forma sia concava che convessa [3],
Seconda fase dell’essicazione [8]. (Fonte: Fundamentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groo-
Contenuto di umidità ver, 2010. Ristampato con il permesso di
(Volume dell’acqua) John Wiley & Sons, Inc.)
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 231

Nella produzione, l’essiccazione si esegue di solito in camere di essiccazione in cui


la temperatura e l’umidità sono controllate. Si deve fare attenzione al fatto che l’acqua
non venga rimossa troppo rapidamente, per non fare crescere troppo il gradiente di
umidità nel pezzo, che lo rende più incline a rompersi. Il riscaldamento di solito si ot-
tiene attraverso una combinazione di convezione ed irraggiamento, utilizzando sorgenti
infrarosse. I tipici tempi dell’essicazione variano da un quarto d’ora per sezioni sottili a
diversi giorni per le sezioni molto spesse.

9.7.4  Cottura (sinterizzazione)


Dopo la modellazione, ma prima della cottura, il pezzo ceramico è chiamato verde
(come nella metallurgia delle polveri), cioè non completamente lavorato o trattato. Il
verde non possiede molta durezza e resistenza e deve essere cotto per fissare la forma e
raggiungere la durezza e la resistenza del pezzo finale. La cottura è il processo di trat-
tamento termico che sinterizza il materiale ceramico ed è eseguita in un forno chiamato
fornace. Nella sinterizzazione si sviluppano dei legami tra i grani della ceramica, e
questo fenomeno è accompagnato dall’addensamento e dalla riduzione della porosità.
Quindi si verifica un ritiro nel materiale policristallino in aggiunta al ritiro che si veri-
fica prima nell’essiccazione. La sinterizzazione della ceramica è fondamentalmente lo
stesso meccanismo visto nella metallurgia delle polveri.
La ceramica non smaltata viene cotta solo una volta, mentre i pezzi smaltati devono
essere cotti due volte. Il termine vetratura si riferisce all’applicazione di un rivesti-
mento superficiale in ceramica per rendere il pezzo più impermeabile all’acqua e mi-
gliorarne l’aspetto. La sequenza di lavorazione di oggetti vetrati è (1) cottura del pezzo
prima della vetratura per indurirlo, (2) applicazione dello smalto e (3) seconda cottura
del pezzo per indurire lo smalto.

9.8  Lavorazione delle ceramiche di nuova generazione

La maggior parte delle ceramiche tradizionali sono a base di argilla, che possiede una
capacità unica di assumere uno stato plastico quando viene mescolata con acqua, ma
duro quando viene essiccata e cotta. L’argilla consiste di varie composizioni di allumi-
nio idrosilicato, solitamente miscelato con altri materiali ceramici, che formano una
composizione chimica piuttosto complessa. Le ceramiche di nuova generazione sono
basate su composti chimici semplici, come gli ossidi, i carburi e i nitruri. Questi mate-
riali non possiedono la plasticità e la formabilità delle ceramiche tradizionali quando
sono mescolate con l’acqua. Occorre quindi combinare queste polveri ceramiche con
altri elementi per raggiungere la plasticità e le altre proprietà necessarie nella formatu-
ra. Le ceramiche di nuova generazione sono generalmente progettate per applicazioni
che richiedono alta resistenza, alta durezza o altre specifiche proprietà non presenti nei
materiali ceramici tradizionali..
La sequenza di produzione per le ceramiche di nuova generazione può essere rias-
sunta nei seguenti passaggi: (1) preparazione del materiali di partenza, (2) formatura,
(3) sinterizzazione e (4) finitura.

9.8.1  Preparazione dei materiali iniziali


Rispetto alle ceramiche tradizionali, le ceramiche di nuova generazione devono assi-
curare una resistenza molto maggiore. Di conseguenza, le polveri di partenza devono
essere più uniformi per dimensioni e composizione e la dimensione dei grani minore (la
232 Tecnologia meccanica

resistenza del prodotto ceramico finito è inversamente proporzionale alla dimensione


media dei grani). Tutto questo si traduce in un controllo maggiore delle polveri di par-
tenza. La preparazione delle polveri comprende metodi meccanici e metodi chimici. I
metodi meccanici consistono nelle operazioni di macinazione tramite mulino a sfere,
usualmente impiegate per le ceramiche tradizionali. Il problema di questi metodi è che
le particelle di materiale ceramico risultano contaminate dai materiali utilizzati per le
sfere e per le pareti del mulino. Questo compromette la purezza delle polveri ceramiche
e causa difetti microscopici che riducono la resistenza del prodotto finale.
Per ottenere una maggiore omogeneità delle polveri si usano quindi due metodi chi-
mici: la liofilizzazione e la precipitazione. Nella liofilizzazione, i materiali di partenza
sono dei sali di una determinata composizione chimica che vengono sciolti in acqua e
la soluzione così ottenuta è spruzzata per formare piccole goccioline, che si congelano
in fretta. L’acqua viene quindi rimossa dalle goccioline in una camera a vuoto e il ma-
teriale liofilizzato risultante è decomposto tramite riscaldamento per formare le polveri
ceramiche. Questo trattamento non è applicabile a tutte le ceramiche, perché in alcuni
casi il materiale di partenza non è solubile in acqua.
La precipitazione di una soluzione è un altro metodo di preparazione per le cera-
miche di nuova generazione. Nel processo tipico, il composto ceramico viene ricavato
dal minerale di partenza, filtrando poi le impurità. Da questa soluzione precipita un
composto intermedio che viene poi convertito nel composto finale mediante riscalda-
mento. Un esempio del metodo di precipitazione è il processo Bayer per la produzio-
ne di allumina di elevata purezza (utilizzato anche per la produzione di alluminio). In
questo processo, l’ossido di alluminio è dissolto dalla bauxite minerale per rimuovere i
composti di ferro e le altre impurità. Poi l’idrossido di alluminio (Al(OH)3) viene preci-
pitato dalla soluzione e ridotto a Al2O3 mediante riscaldamento.
Un’ulteriore passo di preparazione delle polveri prima della formatura include la
classificazione dimensionale e la miscelazione. Per le applicazioni delle ceramiche di
nuova generazione servono polveri molto fini, e quindi i grani devono essere separati e
classificati in base alle dimensioni. Bisogna effettuare un’accurata miscelazione delle
particelle per evitare la segregazione, specialmente quando ci sono differenti tipi di
polveri ceramiche.
Spesso vengono combinati degli additivi alle polveri di partenza, generalmente in
piccole quantità. Gli additivi comprendono (1) i plastificanti per migliorare la plasticità
e lavorabilità, (2) i leganti per legare le particelle di ceramica in una massa solida nel
prodotto finale, (3) gli agenti bagnanti per una migliore miscelazione, (4) i defloccu-
lanti, che contribuiscono ad evitare i grumi e l’incollaggio prematuro delle polveri e
(5) i lubrificanti, per ridurre l’attrito tra i grani ceramici durante la formatura e per
agevolare il distacco dallo stampo.

9.8.2  Formatura
Molti dei processi di formatura per le ceramiche di nuova generazione derivano dalla
metallurgia delle polveri (PM) e dalle ceramiche tradizionali. I metodi di pressatura e
di sinterizzazione discussi nel Paragrafo 9.2 sono stati adattati alle ceramiche di nuova
generazione. Alcune delle tecniche di modellazione delle ceramiche tradizionali sono
utilizzate anche per modellare le ceramiche di nuova generazione.
I processi descritti di seguito non sono impiegati per la formatura delle ceramiche
tradizionali, anche se molti sono usati nella PM.

Pressatura a caldo  La pressatura a caldo è simile alla pressatura a secco, tranne


per il fatto che il processo è effettuato a temperature elevate, in modo che la sinterizza-
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 233

zione del pezzo avvenga simultaneamente alla pressatura. Questo elimina la necessità
di una fase di cottura separata nella sequenza di lavorazione. In questo modo si ottengo-
no densità più elevate e granulometrie più fini, ma anche una riduzione della vita utile
dello stampo, causata dall’abrasione delle particelle ad elevata temperatura contro le
sue superfici.

Pressatura isostatica  La pressatura isostatica della ceramica è lo stesso processo


utilizzato nella metallurgia delle polveri. Si utilizza la pressione idrostatica per com-
pattare le polveri ceramiche in tutte le direzioni, evitando il problema della densità non
uniforme nel prodotto finale che invece si verifica usando il metodo tradizionale di
pressatura uniassiale.

Processo a racla  Questo processo viene utilizzato per realizzare fogli di ceramica
sottili, ad esempio quelli impiegati nell’industria elettronica come materiale di supporto
per i circuiti integrati. Il processo è schematizzato in Figura 9.23. Si introduce un im-
pasto ceramico su una pellicola di supporto in movimento, ad esempio di cellophane.
Lo spessore della ceramica sul supporto è definito da un elemento sporgente, chiamato
racla. Man mano che l’impasto avanza lungo la linea, viene essiccato a formare una
lastra flessibile di verde. Alla fine della linea, una bobina di avvolgimento raccoglie
la lastra per il successivo utilizzo. Nello stato di verde, la lastra può essere tagliata o
formata in altro modo prima di essere cotta.

Stampaggio a iniezione di polveri (Powder Injection Molding, PIM)  Questo


processo è lo stesso usato in PM, a parte il fatto che le polveri sono ceramiche anziché
metalliche. Le particelle ceramiche vengono mescolate con un polimero termoplastico
che agisce da supporto e fornisce le caratteristiche di flusso adeguato alle temperature
di stampaggio. La miscela viene poi riscaldata e iniettata nella cavità di uno stampo.
Dopo il raffreddamento, lo stampo viene aperto e il pezzo viene rimosso. Poiché le
temperature necessarie per plastificare il supporto sono molto inferiori a quelle richie-
ste per la sinterizzazione della ceramica, dopo lo stampaggio si ha un pezzo verde. Il
legante plastico deve essere rimosso prima della sinterizzazione. Questa operazione è
chiamata deceraggio e di solito è realizzata attraverso una combinazione di trattamenti
termici e solventi.
Le applicazioni di tecniche PIM alle ceramiche sono attualmente ostacolate dalla
difficoltà che si incontrano nel deceraggio e nella sinterizzazione. Infatti l’eliminazio-
ne del polimero è relativamente lenta e questo comporta una notevole riduzione della
resistenza del pezzo stampato, che riporta spesso crepe e deformazioni durante la sin-
terizzazione. Inoltre, i prodotti ceramici realizzati mediante stampaggio a iniezione di
polveri sono particolarmente vulnerabili a difetti microstrutturali che ne limitano la
resistenza.
Impasto
Zona di Figura 9.23  Il processo a
essicazione racla usato per fabbricare
Lastra verde
lastre sottili di ceramica.
Il simbolo v indica il movi-
mento (v = velocità). (Fon-
Telaio di sostegno te: Fundamentals of Mo-
Pellicola di supporto dern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groo-
Bobina di avvolgimento ver, 2010. Ristampato con
Bobina della pellicola il permesso di John Wiley
di supporto & Sons, Inc.)
234 Tecnologia meccanica

9.8.3 Sinterizzazione
Visto che nel caso delle ceramiche di nuova generazione la plasticità necessaria alla
modellazione non si ottiene mediante l’aggiunta di acqua alla miscela, la fase di essic-
cazione, che serve a rimuovere l’acqua dal verde nelle ceramiche tradizionali, non è
più necessaria. Al contrario, la fase di sinterizzazione serve ancora per ottenere elevati
livelli di resistenza e durezza. Le funzioni della sinterizzazione sono come preceden-
temente illustrato: (1) legare i grani individuali in una massa solida, (2) aumentare la
densità e (3) ridurre o eliminare la porosità.
Durante la sinterizzazione di solito si utilizzano temperature pari a circa l’80%
o il 90% della temperatura di fusione del materiale. I meccanismi di sinterizzazione
delle ceramiche di nuova generazione differiscono da quelli delle ceramiche tradizio-
nali, dal momento che le prime sono formate principalmente da un singolo composto
chimico (come ad esempio Al2O3), mentre le seconde, a base di argilla, risultano spesso
costituite da diversi composti caratterizzati da diversi punti di fusione. Nel caso delle
ceramiche di nuova generazione, il meccanismo di sinterizzazione consiste nella dif-
fusione allo stato solido attraverso le superfici di contatto delle particelle, accompa-
gnato probabilmente da un flusso plastico. Questo meccanismo fa sì che i centri delle
particelle si avvicinino, con conseguente aumento della densità del materiale finale.
Nella sinterizzazione delle ceramiche tradizionali, questo meccanismo è complicato
dalla fusione di alcuni costituenti e dalla formazione di una fase vetrosa che agisce da
legante tra i grani.

9.8.4  Finitura
I pezzi realizzati usando ceramiche di nuova generazione a volte richiedono una finitu-
ra. In generale, queste operazioni sono fatte per i seguenti scopi: (1) aumentare la pre-
cisione dimensionale, (2) migliorare la finitura superficiale e (3) effettuare delle piccole
modifiche alla forma del pezzo. Le operazioni di finitura di solito sono la rettifica o
altri processi abrasivi. Per asportare materiale dai ceramici finiti occorre infatti usare
abrasivi diamantati.

9.9  Lavorazione dei cermet


Molti compositi a matrice metallica (metal-matrix composite MMC) e a matrice cera-
mica (ceramic-matrix composites CMC) sono realizzati attraverso processi di lavora-
zione delle polveri. Gli esempi più importanti sono i carburi cementati e altri cermet.

9.9.1  Carburi cementati


I carburi cementati sono una famiglia di materiali compositi costituiti da particelle di
ceramica di carburo immerse in un legante metallico. Vengono chiamati compositi a
matrice metallica, perché il legante metallico è la matrice che tiene insieme tutto il com-
posto, anche se le particelle di carburo costituiscono la maggior parte del volume del
materiale, generalmente tra l’80% e il 96%. I carburi cementati sono tecnicamente clas-
sificati come cermet, anche se spesso vengono distinti da altri materiali di questa classe.
Il carburo cementato più importante è il carburo di tungsteno in un legante di cobal-
to (WC-Co). Sono generalmente incluse in questa categoria alcune miscele di WC, TiC e
TaC in una matrice di Co, nelle quali il carburo di tungsteno è il componente principale.
Altri carburi cementati sono il carburo di titanio in nichel (TiC-Ni) e il carburo di cromo
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 235

in nichel (Ni-Cr3C2). Questi compositi sono stati descritti nel Paragrafo 2.4.2, mentre gli
elementi alla base dei carburi sono stati presentati nel Paragrafo 2.2.2. In questo para-
grafo ci concentriamo sul trattamento delle polveri di carburo cementato.
Per realizzare un pezzo resistente e privo di pori, le polveri di carburo devono es-
sere sinterizzate con un legante metallico. Il cobalto funziona bene con il WC, mentre
per il nichel è meglio il TiC e il Cr3C2. Di solito la percentuale di metallo legante va dal
4% al 20% circa. Le polveri di carburo e il legante vengono accuratamente miscelati in
umido in un mulino a sfere (o altro macchinario analogo) per formare un impasto omo-
geneo. Si esegue anche una fresatura per rifinire la dimensione delle particelle. L’impa-
sto viene poi essiccato sotto vuoto o in atmosfera controllata per evitare l’ossidazione in
preparazione della compattazione.

Compattazione  Per modellare la miscela delle polveri in un verde della forma desi-
derata si usano diversi metodi di compattazione. Il processo più comune è la pressatura
a freddo, già descritta in precedenza, che viene utilizzata per la produzione di pezzi di
carburo cementato in grandi quantità, come gli inserti degli utensili da taglio. Le matri-
ci utilizzate nella pressatura a freddo devono essere sovradimensionate per tenere conto
del ritiro durante la sinterizzazione. Il ritiro lineare può arrivare anche al 20% o più.
Per tassi di produzione elevati, le matrici stesse sono rinforzate con WC-Co per ridurre
l’usura dovuta alle particelle abrasive di carburo. Per produzioni più basse, in genere
vengono prima pressate delle sezioni grandi piatte che poi vengono ridotte in pezzi di
dimensione desiderata.
Altri metodi di compattazione utilizzati per prodotti di carburo cementato inclu-
dono la pressatura isostatica e la pressatura a caldo per pezzi di grandi dimensioni,
come le matrici da tiraggio e le sfere dei mulini a sfere e l’estrusione per pezzi lunghi
a sezione circolare, rettangolare o altra forma. Ciascuno di questi processi è già stato
descritto in questo capitolo o nel precedente.

Sinterizzazione  Sebbene sia possibile sinterizzare WC e TiC senza un metallo le-


gante, la densità del materiale risultante è leggermente inferiore al 100%. Invece usando
un legante si ottiene una struttura che è praticamente priva di porosità.

Intervallo di composizione
Typical dei prodotti
composition range
oftipici
cemented carbide
di carburo products
cementato

Liquido
Liquid
1800 3200
WC
WC++liquido
liquid
1600
°C

°F
Temperatura °C

Temperatura °F

γ+
γ +liquido
liquid 2800
Temperature,
Temperature,

1400 1320°C (2408°F)


2400
γ
Figura 9.24  Diagramma
1200
di fase WC-Co, fonte [7].
2000
WC + γ (Fonte: Fundamentals of
1000 Modern Manufacturing,
1600 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
0 25 50 75 100
to con il permesso di John
WC Peso percentuale
Weight percent di cobalto
cobalt Co Wiley & Sons, Inc.)
236 Tecnologia meccanica

La sinterizzazione di WC-Co comporta una sinterizzazione di fase liquida. Il processo


può essere descritto facendo riferimento al diagramma di fase riportato in Figura 11.6. Nel
diagramma è riportato l’intervallo di composizione tipica dei prodotti di carburo cemen-
tato commerciali. Le temperature di sinterizzazione per il WC-Co variano nell’intervallo
1370°C-1425°C, che sono inferiori al punto di fusione del cobalto, che è 1495°C. Il metallo
legante puro quindi non fonde alla temperatura di sinterizzazione. Però il WC si scioglie
nel Co allo stato solido, come mostra il diagramma di fase. Durante il riscaldamento, il
WC si scioglie gradualmente nella fase gamma e il suo punto di fusione si abbassa finché
si verifica finalmente la fusione. Con il procedere della fase liquida, si osserva un’ulterio-
re scomparsa del solido dovuta al Co che fluisce e bagna le particelle di WC. La presenza
del metallo fuso serve anche per eliminare i gas dalle regioni interne del composto. Questi
meccanismi si combinano per effettuare un riordinamento delle particelle rimanenti di
WC in un composto che risulta più compatto, denso e mostra una contrazione della massa
di WC-Co. Successivamente, durante il raffreddamento nel ciclo di sinterizzazione, il
carburo disciolto precipita e si deposita sui cristalli esistenti per formare uno skeleton di
WC, all’interno del quale si trova incluso il legante Co.

Operazioni secondarie  Dopo la sinterizzazione di solito occorre procedere con


successive lavorazioni per ottenere una maggiore precisione dimensionale dei prodotti
in carburo cementato. L’operazione secondaria eseguita più comunemente per questo
scopo è la rettifica con mola diamantata. Gli altri processi utilizzati per modificare la
forma finale dei prodotti in carburo cementati sono le lavorazioni a scariche elettriche
(electric discharge machine), le lavorazioni a due processi non tradizionali di asporta-
zione di materiale, che saranno discussi nel Capitolo 17.

9.9.2  Altri cermet e compositi a matrice ceramica


Oltre ai carburi cementati, altri cermet sono basati su ossidi ceramici come Al2O3 e
MgO. Il cromo è un legante metallico comunemente utilizzato in questi materiali com-
positi. La proporzione tra ceramica e metallo copre una gamma più ampia di quella dei
carburi cementati: in alcuni casi il metallo è l’ingrediente principale. Questi cermet
vengono realizzati con gli stessi metodi di base utilizzati per la formatura dei carburi
cementati.
La tecnologia attuale dei compositi a matrice ceramica include i materiali ceramici
(per esempio, Al2O3, BN, Si3N4 e vetro) rinforzati da fibre di carbonio, SiC, o Al2O3. Se
le fibre sono fibre corte discontinue (costituite da cristalli singoli), questi CMC possono
essere trattati con i metodi di lavorazione delle polveri utilizzati per le ceramiche di
nuova generazione.

9.10 Considerazioni per la progettazione dei prodotti

I materiali ceramici hanno particolari proprietà, che li rendono interessanti per deter-
minate applicazioni. Le seguenti linee guida per la progettazione, provenienti da Bralla
[2] e da altre fonti, si applicano sia alle ceramiche di nuova generazione che a quelle
tradizionali, anche se nella produzione è più probabile avere a che fare con le prime. In
generale, le stesse linee guida si applicano ai carburi cementati.

• I materiali ceramici sono molto più resistenti alla compressione che alla trazione; di
conseguenza, i componenti ceramici devono essere progettati per essere sottoposti
a tensioni di compressione e non di trazione.
Metallurgia delle polveri, cercamiche e cermets 237

• Le ceramiche sono fragili e hanno una duttilità quasi nulla. Gli oggetti di ceramica
non devono essere utilizzati in applicazioni che comportano urti o forti sollecitazio-
ni che potrebbero causarne la rottura.
• Sebbene molti dei processi di formatura della ceramica permettano di realizzare
forme complesse, è meglio usare forme semplici per ragioni sia economiche che
tecniche. È meglio evitare fori profondi, canali e sottosquadri, come anche grandi
zone a sbalzo.
• I bordi esterni e gli angoli devono avere raggi larghi o smussi, come anche gli an-
goli interni. Questa regola ovviamente non serve per gli utensili da taglio, in cui lo
spigolo del tagliente deve essere affilato per poter svolgere la sua funzione. Lo spi-
golo dei taglienti è spesso realizzato con un raggio di raccordo o uno smusso molto
piccoli, per proteggerlo da scheggiature microscopiche che potrebbero causarne la
rottura.
• Il ritiro del pezzo durante l’essiccazione e la cottura (per le ceramiche tradizionali)
o la sinterizzazione (per le ceramiche di nuova generazione) può essere significa-
tivo e deve essere tenuto in considerazione dal progettista per la definizione delle
dimensioni e delle tolleranze. Questo è un problema per lo più per gli ingegneri di
produzione, che devono identificare le dimensioni adeguate a fare in modo che le
dimensioni finali (dopo ritiro) siano interne ai limiti di tolleranza specificati.

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[9] Somiya, S. (ed.). Advanced Technical Ceramics. Academic Press, Inc., San Diego, Califor-
nia, 1989.

Domande di ripasso

  1. Elencare le ragioni a cui è dovuta l’importanza 15. Perché la tecnologia PM è particolarmente adatta


commerciale della tecnologia della metallurgia del- per la produzione di ingranaggi e cuscinetti?
le polveri. 16. Qual è la differenza tra ceramiche tradizionali e ce-
  2. Quali sono gli svantaggi dei metodi di PM? ramiche di nuova generazione per quanto riguarda
  3. Quali sono i metodi principali utilizzati per la produ- le materie prime?
zione delle polveri metalliche? 17. Descrivere i passaggi fondamentali della sequenza
  4. Quali sono i tre passaggi fondamentali nel proces- tradizionale di lavorazione della ceramica.
so tradizionale di formatura nella metallurgia delle 18. Qual è la differenza tecnica tra la frantumazione e
polveri? la macinazione per la preparazione delle materie
  5. Qual è la differenza tra la miscelazione e la combi- prime per le ceramiche tradizionali?
nazione nella metallurgia delle polveri? 19. Descrivere il processo di colata nella lavorazione
  6. Quali sono gli elementi che di solito vengono ag- della ceramica tradizionale.
giunti alle polveri metalliche durante la miscelazio- 20. Elencare e descrivere brevemente i metodi di for-
ne e/o la combinazione? matura della plastica utilizzati anche per modellare
  7. Che cosa si intende con il termine verde? le ceramiche tradizionale.
  8. Descrivere quello che accade alle singole particel- 21. Cosa succede ad un materiale ceramico quando
le durante la compattazione. viene sinterizzato?
  9. Quali sono le tre fasi del ciclo di sinterizzazione in PM? 22. Perché la fase di essiccazione, che è così impor-
10. Quali sono i motivi per cui si deve usare un forno tante nella lavorazione delle ceramiche tradiziona-
ad atmosfera controllata nella sinterizzazione? li, di solito non è necessaria nella lavorazione delle
11. Qual è la differenza tra l’impregnazione e l’infiltra- ceramiche di nuova generazione?
zione in PM? 23. Cos’è il processo di liofilizzazione usato per tra-
12. Come si distingue la pressatura isostatica dalla sformare in polvere alcune ceramiche di nuova
pressatura e sinterizzazione tradizionali? generazione?
13. Descrivere la sinterizzazione con fase liquida. 24. Descrivere il processo di modellazione a racla.
14. Quali sono le due classi fondamentali di polveri metalli- 25. Descrivere brevemente i suggermenti da seguire nel-
che dal punto di vista della composizione chimica? la progettazione di prodotti in materiali ceramici.
IV Formatura dei metalli e lavorazione
della lamiera
Nozioni di base sulla

Capitolo 10
formatura dei metalli

La formatura dei metalli comprende diversi processi di produzione che usano la defor-
mazione plastica per modificare la forma dei pezzi metallici. La deformazione è causata
da un sistema di utensili, genericamente chiamati stampi, che applicano uno stato ten-
sionale capace di superare la resistenza allo snervamento del metallo. Il metallo quindi
si deforma e assume permanentemente la forma imposta dagli stampi, che prendono il
nome di matrice se di forma concava o punzone se di forma convessa. La formatura
dei metalli è la classe più numerosa tra le operazioni di formatura introdotte nel Capitolo
1 sotto il nome di processi di deformazione (Figura 1.3).
Gli sforzi applicati per deformare plasticamente il metallo di solito sono di compres-
sione, soprattutto nel campo della deformazione plastica cosiddetta massiva, che si
contrappone alla deformazione di materiali a spessore sottile (lamiere e tubi). Nella
formatura di lamiere sono invece prevalenti gli sforzi di trazione, che allungano il me-
tallo, o di piegatura. Per permettere una buona formatura, il metallo deve possedere
determinate proprietà, tra cui una bassa resistenza meccanica e un’alta duttilità. Que-
ste proprietà dipendono dal tipo di materiale lavorato e, principalmente, dalla tem-
peratura di lavorazione. La duttilità aumenta e la resistenza si riduce se aumenta la
temperatura di lavorazione. L’effetto determinante della temperatura rende evidente un
secondo criterio di classificazione, potendo distinguere tra lavorazioni a freddo, a tiepi-
do e a caldo. Le lavorazioni a caldo solitamente avvengono su pezzi massivi, mentre
quelle a freddo sono più frequenti su pezzi a spessore sottile. L’attrito e la velocità di
deformazione sono due altri fattori che influiscono sulle prestazioni della formatura dei
metalli. In questo capitolo verranno esaminati tutti questi aspetti dopo aver fornito una
panoramica sui diversi processi.

10.1  Panoramica sulla formatura dei metalli

Le due grandi categorie di processi sopra citate (deformazione massiva e lavorazione


della lamiera) sono trattate in dettaglio rispettivamente nei Capitoli 11 e 12. Ogni cate-
goria include diverse classi di operazioni di formatura, come descritto brevemente in
questo paragrafo.

Processi di deformazione massivi  I processi di deformazione massivi riguarda-


no delle deformazioni significative o dei notevoli cambiamenti di forma di pezzi aventi
una superficie di lavoro relativamente piccola. Il termine massivo si riferisce a pezzi
caratterizzati da un rapporto superficie/volume molto piccolo. Tipiche forme iniziali
dei grezzi per questi processi sono billette cilindriche e le barre prismatiche a sezione
rettangolare. La Figura 10.1 illustra le operazioni di base nella deformazione massiva
che sono anche riportate qui di seguito.
242 Tecnologia meccanica

Cilindro

Pezzo Stampo superiore

Pezzo

Stampo inferiore

Figura 10.1  Processi di Cilindro


deformazione massivi
principali: (a) lamina-
zione, (b) forgiatura, (c)
estrusione e (d) trafilatu-
ra. Nelle varie operazio- Pistone
ni, le direzioni di velocità
Pezzo Pezzo
relativa sono indicate con
v e le forze con F. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Matrice Matrice
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Laminazione  È un processo di deformazione tramite compressione in cui si riduce


lo spessore di una lastra usando due utensili cilindrici contrapposti chiamati appunto
cilindri. I cilindri ruotano per attirare il pezzo nell’intercapedine vuota posta tra loro,
comprimendolo. La laminazione di elevati spessori avviene a caldo, mentre gli spessori
più sottili vengono laminati a freddo.

Forgiatura  Nella forgiatura, il pezzo viene compresso tra due stampi contrapposti,
in moto relativo di avvicinamento, in modo che il pezzo assuma la loro forma. La forgia-
tura è tradizionalmente un processo di lavorazione a caldo, ma molti tipi di forgiatura
vengono eseguiti a freddo, specie per pezzi di piccole dimensioni e materiali teneri.

Estrusione  È un processo di compressione in cui il metallo da lavorare viene spinto


a fluire attraverso una matrice dotata di un foro passante sagomato. La forma di questo
foro nella sezione trasversale di uscita della matrice viene conferita al pezzo. È un pro-
cesso che avviene normalmente a caldo.

Trafilatura  Questo processo di formatura serve a ridurre il diametro di un filo o una


barra rotonda tirandolo e costringendolo a passare attraverso l’apertura di una matrice
(detta anche trafila o filiera).

Lavorazione della lamiera  Sono processi di lavorazione che includono operazioni


di deformazione o taglio su lamiere disponibili inizialmente in fogli (sottili), nastri (più
spessi) o avvolta in rotoli. Il rapporto superficie-volume del metallo di partenza è alto; il
valore di questo rapporto è quindi un buon modo per distinguere i processi di deforma-
zione massivi da quelli di lavorazione della lamiera. Il termine che spesso viene generica-
mente usato per indicare le diverse operazioni di lavorazione della lamiera è stampaggio.
Nozioni di base sulla formatura dei metalli 243

Le operazioni sulle lamiere vengono sempre eseguite come processi di lavorazione a


freddo e di solito sono realizzate utilizzando una coppia di utensili chiamati punzone
e matrice. Le operazioni di base eseguite sulla lamiera sono illustrate in Figura 10.2 e
sono definite di seguito.

Piegatura  In piegatura si prevede di curvare un foglio o una lastra affinché assuma


un angolo e un raggio di curvatura desiderati, lungo un asse (solitamente) rettilineo.

Imbutitura  Nella lavorazione della lamiera, l’imbutitura si riferisce all’operazione di


formatura di una lamiera inizialmente piana in una forma concava, come un bicchiere
(Figura 10.2 (b)), tramite stiramento uniassiale. Si usa un premilamiera per mantenere
piana la zona ancora non imbutita del pezzo mentre il punzone lo spinge nella matrice,
che altrimenti tenderebbe a sollevarsi e formare grinze.

Tranciatura  Un’operazione di tranciatura taglia il pezzo utilizzando un punzone e una


matrice, come mostrato in Figura 10.2 (c). Questo processo viene solitamente accomunato
ai processi di formatura della lamiera, anche se comporta sforzi e deformazioni di taglio,
piuttosto che quelli tipici della formatura (stiramento uniassiale o biassiale, piegatura).
La classificazione delle lavorazioni della lamiera comprende anche diversi altri
processi di formatura che non utilizzano una coppia punzone-matrice come quella raf-
figurata in Figura 10.2, ma attrezzature variamente configurate. Alcuni esempi sono la
formatura per stiramento (con deformazioni di stiramento biassiale), la calandratura
(con deformazioni di piegatura), l’imbutitura al tornio (con deformazioni di piegatura e
taglio) e le operazioni di formatura dei tubi (piegatura, idroformatura ecc.).

Premilamiera Punzone
Punzone
Pezzo
Pezzo

Matrice
Matrice

Figura 10.2 Operazioni
di base nella lavorazione
della lamiera: (a) piega-
tura, (b) imbutitura e (c)
tranciatura: (1) contatto
del punzone con il fo-
glio prima del taglio e (2)
Punzone dopo il taglio. La forza e
Azione di taglio lo spostamento relativi a
tali operazioni vengono
indicati rispettivamente
con F e v. (Fonte: Fun-
Pezzo damentals of M odern
Matrice Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
244 Tecnologia meccanica

10.2  Comportamento dei materiali nella formatura dei metalli

Importanti considerazioni sul comportamento dei metalli durante la formatura derivano


dalla curva sforzo-deformazione. Tale curva per la maggior parte dei metalli è divisa
in una regione elastica e una regione plastica. Nella formatura del metalli, la regione
plastica è di maggior interesse perché in questi processi il materiale viene appunto de-
formato plasticamente e permanentemente.
La tipica relazione sforzo-deformazione di un metallo prevede un comportamento
elastico al di sotto del punto di snervamento e un incrudimento al di sopra. Le Figure
3.4 e 3.5 indicano questo comportamento su scala lineare e logaritmica. Nella regione
plastica, il comportamento del metallo è espresso dalla curva di flusso plastico, descritta
nel Capitolo 3, cui si rimanda:

dove K è il coefficiente di resistenza in MPa e n è l’esponente di incrudimento. La ten-


sione σ e la deformazione ε nella curva di flusso sono la tensione e la deformazione reali.
La curva di flusso di solito è la relazione che definisce il comportamento plastico di un
metallo nella lavorazione a freddo. I valori tipici di K e n per diversi metalli a tempera-
tura ambiente sono riportati in Tabella 3.4.

Sforzo di flusso  La curva di flusso plastico descrive la relazione tensione-defor-


mazione nella regione in cui avviene la formatura dei metalli. Indica la tensione di
flusso del metallo (proprietà che determina le forze e potenze richieste per ottenere una
particolare operazione di formatura). Per la maggior parte dei metalli a temperatura
ambiente, il grafico tensione-deformazione di Figura 3.5 indica che quando il metallo
si deforma la sua resistenza aumenta a causa dell’incrudimento. La tensione di flusso è
definita come il valore istantaneo della tensione necessaria per continuare a deformare
il materiale, per mantenere lo “scorrimento” del metallo. Nelle lavorazioni a freddo può
essere espressa in funzione della deformazione:
e (10.1)

dove Yf è la tensione di flusso in MPa.


Nelle singole operazioni di formatura, discusse nei due capitoli seguenti, si può
usare la tensione di flusso istantaneo per analizzare il processo man mano che si compie.
Ad esempio, in alcune operazioni di forgiatura, la forza istantanea durante la compres-
sione può essere determinata dal valore della tensione di flusso. La forza massima può
essere calcolata in base alla tensione di flusso che risulta dalla deformazione finale al
termine della fase di forgiatura.
È bene sottolineare che la tensione di flusso, così come definita in questo testo può
essere ricavata da una prova di trazione (prima della strizione) o di compressione, nelle
quali sia accettabile l’ipotesi di stato uniassiale di sforzo. In moltissimi casi reali però
il materiale che si deforma plasticamente è soggetto a sforzi non in un’unica direzione,
ma in tutte le direzioni dello spazio. Si dice quindi che lo stato di sforzo è triassiale. In
questi casi per rappresentare il legame tra sforzi e deformazioni si deve ricorrere a gran-
dezze cosiddette equivalenti, cioè in grado di rappresentare con un unico valore scalare
uno stato di sforzo o di deformazione che invece è tensoriale, non unidimensionale. Una
formulazione molto comune dello sforzo equivalente è quella secondo Von Mises:
1
𝑌𝑌! = 𝜎𝜎! − 𝜎𝜎! ! + 𝜎𝜎! − 𝜎𝜎! ! + 𝜎𝜎! − 𝜎𝜎! !   (10.2)
2
Nozioni di base sulla formatura dei metalli 245

in cui i tre valori indicati dai pedici 1, 2 e 3 rappresentano gli sforzi nelle 3 direzioni
principali. Si rimanda a un testo di meccanica dei solidi per la definizione di “direzioni
principali”. Analogamente, quando lo stato tensionale è triassiale anche le deformazioni
lo saranno, per cui Yf non può essere espresso tramite un semplice legame con un valore
unidirezionale e di deformazione. Piuttosto, lo sforzo di flusso che, lo ricordiamo, è
istantaneo ed equivalente, dovrà essere legato ad una deformazione equivalente e*:
2
𝜖𝜖e ∗ = e𝜖𝜖! − e𝜖𝜖! ! + 𝜎𝜎! − e𝜖𝜖! ! + e𝜖𝜖! − e𝜖𝜖! !   (10.3)
3
Il legame costitutivo di un materiale, che lega lo sforzo di flusso plastico Yf alla deforma-
zione equivalente e* tramite le costanti K e n.
L’analisi di alcuni processi può essere basata piuttosto che sul valore istantaneo di sforzo
di flusso (sia esso uniassiale o equivalente), sul suo valore medio, come nel caso della trafila-
tura riportata in Figura 10.1 (c). Quando la sezione trasversale della billetta viene ridotta per
passare attraverso l’apertura della matrice di estrusione, il metallo incrudisce gradualmente
fino a raggiungere un valore massimo nella sezione di uscita. Piuttosto che determinare una
sequenza di valori istantanei di tensione-deformazione durante la riduzione della sezione,
che sarebbero non solo difficili da ottenere ma anche poco interessanti, è più utile analizzare
il processo usando la tensione di flusso media durante la deformazione.

Tensione di flusso media  Lo sforzo di flusso medio è il valore medio della tensione sulla
curva tensione-deformazione dall’inizio della deformazione fino al valore finale (massimo) che
si verifica durante la deformazione. Il valore è illustrato nel grafico della tensione-deformazio-
ne in Figura 10.3. La tensione di flusso media si determina facendo l’integrale dell’equazione
della curva di flusso, l’Equazione (10,1), tra zero e il valore di deformazione finale. Nel caso in
cui la legge di flusso plastico sia regolata dalle costanti K e n, si ottiene l’equazione:
e
(10.4)

dove è la tensione di flusso media in MPa, ed e è il valore della deformazione massi-


ma durante il processo di deformazione.
Useremo molto la tensione di flusso media nello studio dei processi di deformazione
massivi nel capitolo seguente. Per ogni processo verranno indicati i valori di K e n dei
materiali in lavorazione insieme ai metodi di calcolo della deformazione finale. Sulla
base di questa deformazione, l’Equazione (10.4) può essere utilizzata per determinare la
tensione di flusso media a cui viene sottoposto il metallo durante l’operazione.

Figura 10.3  Curva ten-


Velocità di deformazione

sione-deformazione che
indica la posizione della
tensione di flusso media
in relazione alla tensione
di snervamento R s e alla
tensione di flusso fina-
le (massimo) Yf. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
e permesso di John Wiley
Tensione reale & Sons, Inc.)
246 Tecnologia meccanica

10.3 Temperature nella formatura dei metalli

La curva di flusso è una buona rappresentazione della relazione tensione-deformazione


di un metallo durante la deformazione plastica, in particolare per le lavorazioni a fred-
do. Per qualsiasi metallo, i valori di K e n dipendono dalla temperatura. A temperature
elevate, sia la forza che l’incrudimento si riducono, quindi si riducono i valori di K ed
n. Questi cambiamenti di proprietà sono importanti perché si traducono in una dimi-
nuzione delle forze e della potenza durante la formatura. Inoltre, a temperature più
elevate aumenta anche la duttilità, il che consente una maggiore deformazione plastica
del metallo da lavorare. Nella formatura dei metalli si possono distinguere tre intervalli
di temperatura: lavorazione a freddo, a tiepido e a caldo.

Lavorazione a freddo  La lavorazione a freddo (nota anche come formatura a


freddo) è una formatura metallica eseguita a temperatura ambiente o leggermente su-
periore. I vantaggi principali della formatura a freddo rispetto a quella a caldo sono: (1)
una maggiore precisione, che significa poter raggiungere tolleranze dimensionali più
strette, (2) una migliore finitura superficiale, (3) una maggiore resistenza e durezza del
pezzo dovuto all’incrudimento, (4) l’ottenimento delle proprietà direzionali desiderate
nel pezzo finale dovute al flusso dei grani durante la deformazione e (5) il risparmio sui
costi dei forni e del combustibile e le velocità di produzione più elevate dovuti all’as-
senza del riscaldamento del pezzo. Per questa combinazione di vantaggi, molti processi
di formatura a freddo sono oggi usati per operazioni di produzione massive importanti.
Essi forniscono tolleranze strette e buone finiture superficiali, riducendo al minimo la
quantità di lavorazioni meccaniche richieste, infatti possono essere classificati come
processi net shape o near net shape.
Ci sono però anche degli svantaggi e delle limitazioni associati alle operazioni
di formatura a freddo: (1) servono delle forze e delle potenze maggiori per eseguire
le operazioni, (2) occorre prestare attenzione al fatto che le superfici del pezzo di
partenza siano prive di incrostazioni o sporco e (3) la duttilità e l’incrudimento del
metallo limitano la quantità di deformazione massima che può essere applicata. In
alcune operazioni, il metallo deve essere ricotto prima di consentire un’ulteriore de-
formazione. In altri casi, semplicemente il metallo non è abbastanza duttile per essere
lavorato a freddo.
Per superare il problema dell’incrudimento e ridurre la forza e la potenza richieste,
molte operazioni di formatura vengono effettuate a temperature elevate. Ci sono due
intervalli di temperatura elevata, che danno luogo alle condizioni di lavoro a tiepido e
a caldo.

Lavorazione a tiepido  Poiché le proprietà di deformazione plastica vengono nor-


malmente migliorate aumentando la temperatura del pezzo, le operazioni di formatura
vengono talvolta eseguite a temperature più elevate rispetto alla temperatura ambiente,
ma comunque inferiori alla temperatura di ricristallizzazione (si veda anche il Capitolo
3). Il termine lavorazione a tiepido viene applicato a questo intervallo di temperatura.
La linea di demarcazione tra lavorazione a freddo e a tiepido di solito si esprime in fun-
zione del punto di fusione del metallo. La linea di divisione è posizionata approssimati-
vamente a 0.3 Tf, dove Tf, è il punto di fusione (temperatura assoluta) per il particolare
metallo.
La forza e l’incrudimento minori a queste temperature intermedie, nonché la mag-
giore duttilità, conferiscono alla lavorazione a tiepido i seguenti vantaggi rispetto lavo-
razione a freddo: (1) servono forze e potenza minori, (2) è possibile realizzare forme più
complesse e (3) non vi è praticamente necessità di una ricottura.
Nozioni di base sulla formatura dei metalli 247

Lavorazione a caldo  La lavorazione a caldo (chiamata anche formatura a cal-


do), comporta la deformazione a temperature al di sopra della temperatura di ricri-
stallizzazione. La temperatura di ricristallizzazione per un certo metallo è pari a circa
la metà (o poco più) del suo punto di fusione sulla scala assoluta. Nella pratica, la lavo-
razione a caldo viene effettuata a temperature più elevate di 0.5÷0.6∙Tf. Man mano che
la temperatura aumenta al di sopra di tale soglia di temperatura, il metallo continua
ad intenerirsi, migliorando così i vantaggi della lavorazione a caldo al di sopra di quel
livello. Tuttavia, il processo di deformazione stesso genera del calore, che fa aumenta-
re la temperatura in regioni localizzate del pezzo. Questo può provocare la fusione di
queste regioni, cosa da evitare. Inoltre, la formazione di dure e spesse croste di ossido
sulla superficie di lavoro è più frequente a temperature più elevate. Di conseguenza,
è meglio mantenere le temperature della lavorazione a caldo nell’intervallo compreso
tra 0.5∙Tf e 0.75∙Tf.
Il vantaggio più significativo della lavorazione a caldo è la capacità di produrre una
significativa deformazione plastica del metallo, assai più di quanto sia possibile con la
lavorazione a freddo o a tiepido. La ragione principale è che la curva di flusso del metal-
lo lavorato a caldo ha un coefficiente di resistenza che è molto inferiore rispetto a quello
a temperatura ambiente, l’esponente di incrudimento n è (teoricamente) pari a zero e
la duttilità del metallo è molto alta. Tutto questo comporta i seguenti vantaggi rispetto
alla lavorazione a freddo: (1) la forma del pezzo può essere alterata significativamente;
(2) occorrono delle forze e potenze minori per deformare il metallo; (3) i metalli che
di solito si fratturano durante la lavorazione a freddo possono essere formati a caldo;
(4) le caratteristiche meccaniche sono di solito isotropiche perché i grani metallurgici
continuano a riformarsi e non assumono la struttura orientata tipica invece nella lavo-
razione a freddo; (5) non si verifica un irrobustimento del pezzo per l’incrudimento.
Quest’ultimo punto potrebbe sembrare uno svantaggio, perché appunto la resistenza
meccanica del componente non aumenta con la lavorazione, ma ciò torna molto utile
qualora il materiale debba subire, come spesso accade, ulteriori operazioni di formatura
a freddo o di asportazione. Gli svantaggi della lavorazione a caldo sono (1) la riduzione
della precisione dimensionale, (2) la necessità di usare una maggior quantità di energia
totale (a causa dell’energia termica necessaria a riscaldare il pezzo), (3) l’ossidazione
della superficie in lavorazione (scorie), (4) la finitura superficiale più irregolare e (5) una
vita dell’utensile più breve.
Nelle lavorazioni in temperatura, sebbene non vi sia incrudimento (n≈0), e quindi
lo sforzo di flusso non aumenti con la deformazione complessiva, esso dipende dalla
𝑌𝑌! = 𝐾𝐾𝜀𝜀 ! 𝜀𝜀 !
velocità di deformazione   ricristallizzazione del metallo nella lavorazione a caldo
. La
comporta una diffusione atomica, un fenomeno piuttosto lento. All’aumentare della ve-
locità di deformazione (solitamente compresa tra 0.1 e 1000 s –1 nelle lavorazioni a cal-
do), diminuisce il tempo a disposizione del materiale per ricristallizzare e conseguente-
mente aumenta lo sforzo di flusso e il lavoro di deformazione. Il legame costitutivo del
materiale, ad una data temperatura superiore al punto di ricristallizzazione, può essere
in questo caso espresso da una legge più generale rispetto all’equazione 10.1:

𝑌𝑌! = 𝐾𝐾𝜀𝜀 ! 𝜀𝜀 !  (10.5)

in cui l’esponente n è molto piccolo (delle volte può essere posto n=0), mentre l’espo-
nente m è detto sensibilità del materiale alla velocità di deformazione e assume valori
solitamente compresi tra 0.01 e 0.4, a seconda dei materiali.
Tuttavia, poiché il pezzo permane ad alta temperatura anche dopo che il processo
è finito, alla fine la ricristallizzazione si verifica comunque: immediatamente dopo il
processo di formatura o durante il lento raffreddamento del pezzo.
248 Tecnologia meccanica

Formatura isotermica  Alcuni metalli, come molti acciai altolegati, le leghe di titanio
e alcune leghe di nichel, possiedono una buona durezza a caldo, proprietà che li rende utili
per essere usati ad alte temperature. Tuttavia, questa proprietà che per alcune applicazioni
è molto utile, li rende anche difficili da formare e da lavorare con metodi convenzionali.
Il problema è che quando questi metalli vengono riscaldati alle loro alte temperature di
lavoro e poi entrano a contatto con gli utensili da formatura relativamente più freddi, il
calore viene rapidamente asportato dalle superfici di contatto, aumentando così la forza
necessaria alla lavorazione. Le variazioni di temperatura e di forza nelle varie regioni del
pezzo causano percorsi irregolari di flusso nel metallo durante la deformazione plastica,
causando delle elevate tensioni residue e delle possibili crepe nella superficie.
La formatura isotermica si riferisce a operazioni di formatura che si svolgono
in modo tale da eliminare il raffreddamento superficiale e il conseguente gradiente
termico nel pezzo. Si realizza attraverso un preriscaldamento di stampi e attrezzature
che vengono a contatto con il pezzo per portarli alla stessa temperatura del metallo da
lavorare. Questo indebolisce gli utensili e ne riduce la durata, ma evita i problemi ap-
pena descritti per questi metalli non formabili con metodi convenzionali. In alcuni casi
la formatura isotermica rappresenta l’unico modo per poter formare questi materiali.

10.4 Attrito e lubrificazione nella formatura dei metalli

Nella formatura dei metalli, l’attrito deriva dal contatto tra l’utensile e la superficie del pezzo
e dalle pressioni elevate che agiscono sulle superfici in queste operazioni. Nella maggior
parte dei processi di formatura dei metalli, l’attrito va evitato per le seguenti ragioni:
(1) il flusso di metallo nel pezzo viene rallentato, causando tensioni residue e possibili
difetti nel pezzo finale.
(2) La deformazione plastica avviene con maggiori distorsioni del materiale. Il lavoro di defor-
mazione plastica può essere concettualmente suddiviso in tre aliquote: a) un lavoro ideale (o
rettangolare), quello strettamente necessario alla deformazione plastica del materiale senza
distorsioni (Fig. 10.4); b) un lavoro di attrito, necessario appunto a vincere le forze di attrito;
c) un lavoro cosiddetto ridondante (o di distorsione), che nasce proprio a causa delle forze di
attrito e che genera una indesiderata distorsione dei materiali in lavorazione.
(3) Le forze e la potenza necessarie per eseguire le operazioni aumentano.
(4) L’usura degli utensili può portare alla diminuzione della precisione dimensionale, causan-
do pezzi difettosi, e alla necessità di sostituzioni frequenti. Dato che gli utensili in metallo
per la formatura di solito sono costosi, l’usura degli utensili è uno dei principali problemi.
L’attrito e l’usura degli utensili si verificano soprattutto nella lavorazione a caldo.

Figura 10.4  Rappresen-


tazione schematica della Concio iniziale di materiale,
deformazione ideale e suddiviso in elementi
con lavoro di distorsione a sezione quadrata
di un concio di materiale,
inizialmente suddiviso in Deformazione ideale, senza distorsione
elementi a sezione qua-
drata. Se deformato con
solo lavoro ideale, gli
elementi diventeranno a
sezione rettangolare. Se
è presente lavoro ridon- Deformazione con distorsione
dante, causato dall’attri-
to, gli elementi subiranno
delle distorsioni.
Nozioni di base sulla formatura dei metalli 249

L’attrito che si verifica nella formatura dei metalli è diverso da quello dei cinematismi
meccanici, come ingranaggi, alberi, cuscinetti e altri componenti che coinvolgono un
movimento relativo di superfici rigide. Questi casi sono generalmente caratterizzati
da basse pressioni di contatto, temperature basse o moderate e lubrificazione abbon-
dante per minimizzare il contatto diretto tra i metalli. Al contrario, l’ambiente di
formatura del metallo comprende elevate pressioni tra un utensile duro e un pezzo
molto più tenero, spesso rammollito dalle temperature elevate (nella lavorazione a
caldo). Queste condizioni possono provocare dei coefficienti di attrito molto elevati
nella lavorazione dei metalli, anche in presenza di lubrificanti. I valori del coefficien-
te di attrito per le tre categorie di formatura sono elencati in Tabella 10.1; sono però
da considerarsi del tutto indicativi, poiché i valori effettivi dipendono da numerosi
fattori, tra cui la temperatura d’interfaccia, l’eventuale presenza di ossidi superficiali
sui pezzi in lavorazione, la finitura e la durezza superficiale degli stampi (che spesso
sono rivestiti di strati micrometrici anti-usura e anti-attrito), la pressione di contatto,
il tipo di lubrificante impiegato.
Se il coefficiente di attrito diventa molto grande, si verifica un fenomeno noto con il
nome di aderenza. L’aderenza nella formatura dei metalli è la tendenza di due superfici
in moto relativo ad incollarsi l’una sull’altra anziché scorrere. Questo significa che la
tensione di attrito tra le superfici è maggiore della tensione di taglio di flusso plastico
del metallo in lavorazione, cosicché il materiale si deforma per taglio sotto la superficie
di contatto anziché scivolare su di essa. L’aderenza si verifica specie nelle operazioni di
formatura a caldo dei metalli.
Per ridurre gli effetti dannosi dell’attrito, si applicano dei lubrificanti sugli utensili.
I benefici dei lubrificanti sono la riduzione dell’incollaggio, delle forze, della potenza e
dell’usura degli utensili e l’ottenimento di una migliore finitura superficiale del pezzo.
I lubrificanti svolgono anche altre funzioni, come la rimozione del calore dagli utensili.
Le considerazioni da fare per scegliere un lubrificante adeguato alla particolare lavora-
zione del metallo sono (1) il tipo di processo di formatura (laminazione, fucinatura, im-
butitura ecc.), (2) il tipo di lavorazione (a caldo o a freddo), (3) il materiale da lavorare,
(4) la reattività chimica con i metalli del pezzo e degli utensili (di solito il lubrificante
deve aderire bene alle superfici per essere più efficace nel ridurre l’attrito), (5) la facilità
di applicazione, (6) la tossicità, (7) l’infiammabilità e (8) il costo.
Esempi di lubrificanti utilizzati nelle operazioni di lavorazione a freddo sono gli
oli minerali, i grassi solidi e oleosi, le emulsioni a base di acqua e i saponi [4], [7]. La
lavorazione a caldo per certe operazioni e per certi materiali viene eseguita a secco
(ad esempio la laminazione a caldo dell’acciaio e l’estrusione dell’alluminio). Quando
necessari, i lubrificanti utilizzati nella lavorazione a caldo sono gli oli minerali, la
grafite e il vetro. Il vetro fuso è un efficace lubrificante per l’estrusione a caldo di
leghe di acciaio. La grafite contenuta nell’acqua o nell’olio minerale è un lubrificante
usato comunemente per la forgiatura a caldo di vari materiali. Una descrizione più
dettagliata dell’uso dei lubrificanti nella lavorazione dei metalli si può trovare nei
riferimenti [7] e [9].

TABELLA 10.1  Valori tipici di temperatura (riferiti al punto di fusione Tf) e coefficiente di attrito
nella lavorazione a freddo, a tiepido e a caldo.

Categoria Intervallo di temperatura Coefficiente di attrito


Lavorazione a freddo ≤ 0.3 Tf 0.1
Lavorazione a tiepido 0.3 Tf–0.5 Tf 0.2
Lavorazione a caldo 0.5 Tf–0.75 Tf 0.4–0.5

Tabella compilata usando varie fonti.


250 Tecnologia meccanica

Bibliografia

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[7] Nachtman, E. S., and Kalpakjian, S. Lubricants and Lubrication in Metalworking Opera-
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[8] Wagoner, R. H., and Chenot, J.-L. Fundamentals of Metal Forming. John Wiley&Sons, Inc.,
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[9] Wick, C.,et al. (eds.). Tool and Manufacturing Engineers Handbook, 4th ed., Vol. II, For-
ming. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1984.

Domande di ripasso

1. Quali sono le differenze tra i processi di deformazio- 5. Indicare i vantaggi della lavorazione a freddo rispet-
ne di massa e i processi di lavorazione della lamiera? to a quella a caldo e a tiepido.
2. Qual è la differenza tra trafilatura e imbutitura? 6. Che cos’è la formatura isotermica?
3. Descrivere l’equazione matematica della curva di flusso. 7. Perché in generale l’attrito va evitato nelle operazio-
4. In che modo l’aumento della temperatura influenza ni di formatura dei metalli?
i parametri del cosiddetto legame costitutivo, cioè 8. Che cos’è l’attrito di aderenza nella lavorazione dei
l’equazione della curva di flusso? metalli?

Problemi
1. Per un certo metallo il coefficiente di resistenza è alla lunghezza finale e la tensione di flusso media a cui
pari a 550 MPa e l’esponente di incrudimento a 0.22. il metallo è stato sottoposto durante la deformazione.
Durante un’operazione di formatura, la deformazione 4. Il coefficiente di resistenza e l’esponente di incrudi-
reale finale del metallo è 0.85. Determinare la tensio- mento di un certo metallo sono rispettivamente 400
ne di flusso a questa deformazione e la tensione di MPa e 0.19. Un campione cilindrico del metallo con
flusso media del metallo durante l’operazione. diametro di partenza di 25 mm e altezza di 30 mm
2. Un metallo ha una curva di flusso con coefficiente viene compresso fino a raggiungere un’altezza di 15
di resistenza pari a 850 MPa e un esponente di in- mm. Determinare la tensione di flusso alla lunghez-
crudimento pari a 0.30. Un campione di trazione di za finale e la tensione di flusso media a cui il metallo
lunghezza pari a 100 mm viene tirato fino ad una è stato sottoposto durante la deformazione.
lunghezza di 157 mm. Determinare la tensione di 5. Per un certo metallo, il coefficiente di resistenza è
flusso alla lunghezza finale e la tensione di flusso pari a 700 MPa e l’esponente di incrudimento a 0.27.
media a cui il metallo è stato sottoposto a durante Determinare la tensione di flusso media del metallo,
la deformazione. sapendo che viene sottoposto a una tensione pari al
3. Un certo metallo ha una curva di flusso con coeffi- suo coefficiente K.
ciente di resistenza pari a 350 MPa ed esponente di 6. Determinare il valore dell’esponente di incrudimento
incrudimento pari a 0.26. Un campione di trazione di di un metallo che comporta una tensione di flusso
lunghezza pari a 20 mm viene tirato fino ad una lun- media pari ai 3/4 della tensione di flusso finale dopo
ghezza di 33 mm. Determinare la tensione di flusso la deformazione.
Nozioni di base sulla formatura dei metalli 251

7. Per un metallo utilizzato in un’operazione di for- = 217 Mpa e deformazione reale = 0.35 e (2) tensio-
matura in cui si riduce per stiramento la sezione ne reale = 259 MPa e deformazione reale = 0.68.
trasversale del pezzo, il coefficiente di resistenza Sulla base di questi dati, determinare il coefficiente
è pari a 350 MPa e l’esponente di incrudimento a di resistenza e l’esponente di incrudimento.
0.40. Sapendo che la tensione di flusso media sul 9. Durante una prova di trazione effettuata su un nuovo
pezzo è 200 MPa, determinare la quantità di riduzio- metallo sperimentale, i seguenti valori di deformazione
ne della sezione trasversale del pezzo. sono stati misurati nella regione plastica: (1) tensione re-
8. In una prova di trazione, due coppie di valori di ten- ale = 436.08 MPa e deformazione reale = 0.27 e (2) ten-
sione e deformazione sono stati misurati per il me- sione reale = 520.48 MPa e deformazione reale = 0.85.
tallo campione dopo il cedimento: (1) tensione reale Sulla base di questi dati, determinare i coefficienti K e n.
Processi di deformazione

C a p i t o l o 11
plastica massiva dei metalli

I processi di deformazione descritti in questo capitolo causano dei cambiamenti signi-


ficativi della geometria dei pezzi metallici la cui forma iniziale è una massa in cui nes-
suna delle sue dimensioni è dominante rispetto alle altre, come invece avviene nelle
lamiere, in cui le dimensioni planari sono molto più elevate dello spessore. Le forme
iniziali comprendono barre e billette cilindriche, billette a sezione rettangolare e altre
forme elementari simili. I processi di deformazione massivi rifiniscono la forma iniziale,
talvolta migliorandone le proprietà meccaniche, e inserendo sempre del valore aggiunto.
I processi di deformazione applicano al metallo una tensione sufficiente a farlo scorrere
plasticamente nella forma desiderata.
I processi di deformazione massivi vengono eseguiti come operazioni di lavorazione a
freddo, a tiepido o a caldo. Le lavorazione a freddo e a tiepido sono più adatte quando la
variazione di forma è poco accentuata o vi è la necessità di migliorare le proprietà mec-
caniche o di ottenere una buona finitura sul pezzo. La lavorazione a caldo di solito si usa
per ottenere grandi deformazioni o per pezzi di dimensioni notevoli, che richiederebbero,
se lavorati a freddo, forze troppo elevate.
L’importanza commerciale e tecnologica dei processi di deformazione massivi deriva dai
fattori di seguito elencati.
• Se eseguiti come operazioni di lavorazione a caldo, possono determinare un cam-
biamento significativo della forma del pezzo, cioè valori molto alti di deformazione.
• Se eseguiti come operazioni di lavorazioni a freddo, possono essere utilizzati non
solo per modellare il pezzo, ma anche per aumentarne la sua resistenza attraverso il
fenomeno dell’incrudimento.
• Questi processi producono pochissimi sfridi. Alcune operazioni di deformazione
massive sono processi cosiddetti net shape o near net shape: danno cioè al pezzo
direttamente la forma finale senza richiedere l’impiego di altre lavorazioni meccani-
che successive.
I quattro processi fondamentali di deformazione massivi sono (1) la laminazione, (2) la
forgiatura, (3) l’estrusione e (4) la trafilatura di fili e barre. Questo capitolo illustra anche
le operazioni legate a questi quattro processi di base.

11.1 Laminazione

La laminazione è un processo di deformazione in cui viene ridotto lo spessore del pezzo


mediante delle forze di compressione esercitate da due cilindri contrapposti. I cilindri
sono controrotanti, cioè ruotano come illustrato in Figura 11.1 allo scopo di attirare il
pezzo nella luce di passaggio tra loro interposta e contemporaneamente schiacciarlo.
Il processo di base illustrato nella figura è la laminazione piana, usata per ridurre lo
254 Tecnologia meccanica

spessore di una sezione trasversale rettangolare. Un processo molto simile è la lamina-


zione di forma (profilatura o calibratura), in cui una sezione trasversale inizialmente
rettangolare viena trasformata, ad esempio in una trave a I o in un profilo complesso.
La laminazione, sia essa piana o di forma, generalmente facendo passare il laminando
attraverso una successione di coppie di cilindri, dette «gabbie di laminazione».
La maggior parte dei processi di laminazione richiede un alto investimento di capi-
tale, perchè necessitano di macchinari di grosse dimensioni, chiamati laminatoi. Il co-
sto elevato dell’investimento rende i laminatoi particolarmente adatti per la produzione
di grandi quantità di pezzi standard come nastri e lamiere. La maggior parte delle ope-
razioni di laminazione viene eseguita a caldo, a causa della grande quantità di deforma-
zione richiesta. Il metallo laminato a caldo è generalmente privo di tensioni residue e le
sue proprietà sono isotrope. Gli svantaggi della laminazione a caldo sono che il prodotto
non può essere progettato con tolleranze troppo strette e che la superficie è ricoperta da
uno strato di ossido.
L’applicazione più comune delle operazioni di laminazione è nel settore siderurgico.
Analizziamo la sequenza di passi nella laminazione dell’acciaio per illustrare la varietà
dei pezzi che si possono realizzare. Fasi del tutto simili si hanno nelle altre industrie dei
metalli di base. Il pezzo arriva sotto forma di lingotto di acciaio appena solidificato.
Mentre è ancora caldo, il lingotto viene posto in un forno cosiddetto «a pozzo», dove ri-
mane per molte ore fino a raggiungere una temperatura uniforme, in modo che il metallo
possa scorrere a velocità costante durante la laminazione. Per l’acciaio, la temperatura
usata per la laminazione è di circa 1200°C. L’operazione di riscaldamento viene chiama-
ta immersione e i forni in cui viene svolta sono chiamati forni a pozzo.
Dopo l’immersione, il lingotto viene portato al laminatoio, dove viene laminato in
una forma intermedia. I prodotti intermedi vengono successivamente laminati fino a
giungere alle forme dei semilavorati pronti per la spedizione. I prodotti della laminazio-
ne assumono nomi diversi a seconda delle dimensioni e proporzioni della loro sezione
trasversale, che può essere:

• rettangolare (bramme o slebi, billette rettangolari, bidoni);


• quadrata (blumi, billette);
• tonda (barra, vergella).

I blumi sono laminati in forme strutturali (travi) e rotaie per i binari delle ferrovie. Le
billette sono spesso laminate e trasformate in barre. Queste forme sono le materie prime
per le operazioni successive di trafilatura, forgiatura e gli altri processi di lavorazione
dei metalli. Le bramme sono laminate in lastre, fogli e strisce. Le lastre laminate a caldo
sono utilizzate nelle costruzioni navali, nei ponti, nelle caldaie, nelle strutture saldate di
vari macchinari pesanti, nei tubi e in molti altri prodotti. La Figura 11.2 illustra alcuni
di questi prodotti laminati. Di solito si esegue un’ulteriore assottigliamento delle lastre
e dei fogli già laminati a caldo mediante una laminazione a freddo, fino a ottenere dei
prodotti a spessore sottile (lamiere e piastre), della cui lavorazione ci occuperemo nel
Capitolo 12. La lamiera può essere fornita in forma piana (quadrotti, bandelle, fogli di
lamiera) oppure arrotolata in bobine che vanno sotto il nome di coils (per larghezze più
elevate) o nastri (per larghezze più contenute). La laminazione a freddo incrudisce il
metallo e permette di ottenere un controllo più preciso sulle dimensioni dello spesso-
re. Inoltre, la superficie della lamiera laminata a freddo non contiene incrostazioni e
ossidi ed è di solito di qualità superiore della corrispondente laminata a caldo. Queste
caratteristiche rendono i laminati a freddo ideali per pezzi stampati, pannelli esterni,
carrozzerie e carpenterie per molti settori, dai veicoli agli elettrodomestici, ai mobili e
accessori per ufficio.
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 255

Cilindro di laminazione

Direzione di laminazione Figura 11.1  Il processo


di laminazione. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
Pezzo (laminando) tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

11.1.1  Analisi della laminazione piana


La laminazione piana è illustrata nelle Figure 11.1 e 11.3. Essa consiste nella lamina-
zione di blumi, nastri, piastre e lamiere, tutti prodotti a sezione rettangolare, in cui la
larghezza è maggiore dello spessore. Nella laminazione piana, il materiale di partenza
viene schiacciato tra due cilindri in modo che il suo spessore venga ridotto di un valore
detto luce (o draft):

Dh t0 (11.1)

dove Dh è la luce in mm, t0 è lo spessore di partenza in mm e tf lo spessore finale in mm.


La luce a volte è espressa come una frazione dello spessore di partenza, in questo caso è
detta riduzione o rapporto di riduzione:
Dh
rl = t (11.2)
0

dove rl è la riduzione. Quando si eseguono più operazioni di laminazione, la riduzione è


data dalla somma dei draft divisa per lo spessore originale.

forma laminati intermedi forma arrotolata finale

Forme strutturali
Blumi
Rotaie

Bramme Nastri
Piastre, lamiere

Figura 11.2  Alcuni pezzi


in acciaio realizzati trami-
te laminazione. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Billetta Barre Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
256 Tecnologia meccanica

Oltre alla riduzione Dh dello spessore, la laminazione causa un aumento Db della


larghezza. Questo comportamento è chiamato diffusione ed è ostacolato dall’attrito,
per cui tende ad essere più evidente per rapporti larghezza-spessore e coefficienti di at-
trito più bassi. Nelle trattazioni analitiche semplificate del processo si preferisce consi-
derare Db di entità trascurabile, e comunque si ha sempre che Dh >> Db. Per il principio
della conservazione del volume in deformazione plastica, il volume del metallo uscente
dai cilindri deve essere uguale al volume entrante:
t0 le be = tf lu bu(11.3)
dove be e bu sono le larghezze iniziale e finale in mm ed le ed lu sono le lunghezze iniziali
e finali in mm. Allo stesso modo, le portate volumetriche di materiale in laminazione
devono essere costanti, per cui le velocità di ingresso e di uscita sono correlate:
t0vebe = tf vubu(11.4)
dove ve e vu sono le velocità in entrata ed uscita del pezzo.
I cilindri, di raggio R, entrano in contatto con il pezzo per un arco di lunghezza L
definito dall’angolo α, che è solitamente molto piccolo. La lunghezza di contatto, essen-
do piccolo α, è approssimabile con la corda ad essa sottesa, e può essere calcolata come:
Dh⋅R (11.5)
La velocità di rotazione del cilindro comporta una velocità superficiale tangenziale vc.
Questa velocità è maggiore della velocità iniziale ve del pezzo e inferiore alla velocità fi-
nale vu. Poiché il flusso di metallo è continuo, vi è un cambiamento graduale della velocità
del pezzo che scorre tra i cilindri. Tuttavia, vi è un punto lungo l’arco in cui la velocità del
pezzo è uguale alla velocità dei cilindri. Questo è chiamato punto di inversione o punto
neutrale. A valle e a monte di questo punto si verificano uno slittamento con attrito tra il
cilindro e il pezzo. La quantità di strisciamento tra i cilindri e il pezzo può essere misurata
mediante lo slittamento in avanti s, un termine usato nella laminazione definito come:
(v – v )
s = u v c (11.6)
c

dove vu è la velocità finale (di uscita) del pezzo in m/s e vc è la velocità tangenziale del
cilindro in m/s.
La deformazione reale subita dal pezzo durante la laminazione si calcola unicamen-
te grazie alla conoscenza degli spessori iniziali e finali, poiché si suppone che non vi sia
deformazione nel senso della larghezza Db:
en
(11.7)

La deformazione reale può essere utilizzata per determinare la tensione di flusso media appli-
cata al materiale in laminazione piana. Ricordiamo dal capitolo precedente l’Equazione 10.4

(11.8)

Lo sforzo di flusso medio può essere utilizzato per stimare la forza e la potenza di lami-
nazione.
L’attrito nella laminazione ha un ruolo determinante. La forza di compressione eser-
citata dai cilindri, moltiplicata per il coefficiente di attrito, provoca una forza di attrito
tra i cilindri e il pezzo. A monte del punto neutrale, la forza di attrito agisce in direzione
tale da favorire l’accelerazione del laminando, mentre all’uscita l’attrito si oppone al
moto relativo tra cilindro e pezzo, agendo così da freno. Le risultanti delle due forze di
attrito nei due archi di ingresso e uscita non sono però bilanciate. La forza di attrito che
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 257

Velocità del cilindro, vr


R = raggio del cilindro
p = pressione del cilindro
Figura 11.3  Vista latera-
le della laminazione, che
indica gli spessori e le
velocità del pezzo prima
e dopo il contatto con i
L = lunghezza cilindri, l’angolo di contat-
di contatto to e altre caratteristiche.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

agisce su tutto l’arco di ingresso è maggiore, in modo che la forza risultante attiri il pez-
zo attraverso i cilindri, garantisca cioè la cosiddetta «condizione di imbocco». Se non
fosse così, la laminazione non sarebbe possibile, il pezzo verrebbe rifutato dalla gabbia
di laminazione. C’è però un limite alla riduzione massima consentita in laminazione
piana, per un dato coefficiente di attrito. Tale limite è definito da:
Dhmax = μ2R(11.9)
dove Dhmax è la luce massima in mm, µ è il coefficiente di attrito ed R è il raggio del ci-
lindro in mm. L’equazione 11.8 esprime proprio la condizione di imbocco e indica che in
assenza di attrito sarebbe impossibile realizzare l’operazione di laminazione.

Dimostrazione equazione 11.8


Occorre calcolare la componente orizzontale delle forze agenti sul laminando.
Si può scomporre la generica forza F di laminazione in una componente nor-
male Fn e una tangenziale Ft. All’inizio del processo, quando il laminando si è
impegnato solo per un arco di contatto infinitesimo dL, si ha:
Fn = p dL b; Ft = µ p dL b
Delle due componenti ci interessa solo la proiezione orizzontale, ai fini
dα α
dell’imbocco:
Fn,o = p dL b sen α; Ft,o = µ p dL b cos a
μp
p
Perché si abbia l’imbocco, è necessario che Ft,o > Fn,o:
L dL
µ > tan α ≈ αo =
R
Poiché l’angolo α è comunque molto piccolo, la sua tangente si può approssimare
con l’angolo medesimo. La condizione di imbocco si può scrivere anche come:

Dh
µ=
R
Tenendo conto dell’equazione 11.5.
258 Tecnologia meccanica

Il coefficiente di attrito nella laminazione dipende dal tipo di lubrificazione,


dalle proprietà del materiale in lavorazione e dalla temperatura del materiale. Nella
laminazione a freddo il valore è di circa 0.1, nella laminazione a tiepido circa 0.2
e nella laminazione a caldo circa 0.4 [17]. La laminazione a caldo è spesso caratte-
rizzata da una condizione indesiderata chiamata incollaggio, in cui la superficie
calda del laminando si attacca ai cilindri e tale adesione prosegue anche oltre l’arco
di contatto, danneggiando il laminando e sporcando il cilindro. Questa condizione
si verifica spesso nella laminazione di acciai e leghe ad alte temperature. Quando
si verifica l’incollaggio, il coefficiente di attrito può arrivare a un valore di 0.7 o
superiore. La conseguenza dell’incollaggio è che il movimento degli strati superfi-
ciali del pezzo viene limitato alla velocità del cilindro vr, mentre sotto la superficie
vi è una deformazione maggiore per consentire il passaggio del pezzo attraverso lo
spazio tra i cilindri.
Dato un coefficiente di attrito sufficiente per effettuare la laminazione, la forza F
necessaria per eseguire la lavorazione può essere scomposta in una componente oriz-
zontale Fo e una verticale Fv. Sperimentalmente e teoricamente è facile dimostrare che
Fo<<Fv, per cui ci concentriamo sulla stima di quest’ultima ed è lecito dire che la forza
di laminazione F equivale circa alla sua componente verticale Fv. Tale forza può essere
calcolata con l’integrale della pressione (indicata con p in Figura 11.3) sull’area di con-
tatto. Questo può essere espresso come:

F = b⋅L⋅ ∫ o p(a)da(11.10)
α

dove F è la forza della laminazione in N, b la larghezza del pezzo laminato in mm, p la


pressione del cilindro in MPa ed L la lunghezza dell’arco di contatto tra i cilindri e il
pezzo in mm. Il calcolo dell’integrale richiede la separazione di due termini, uno per
ciascun lato del punto neutrale. Vi è una significativa variazione della pressione del
cilindro lungo la lunghezza di contatto, come si nota dal grafico riportato in Figura
11.4. La pressione raggiunge il valore massimo nel punto neutrale e poi diminuisce su
entrambi i lati di ingresso e di uscita. All’aumentare del coefficiente di attrito, la diffe-

Pressione
massima

Punto neutro

Figura 11.4  Variazione tipica della pressione lungo


la lunghezza di contatto nella laminazione piana. La Direzione di laminazione
pressione di picco si ha in corrispondenza del punto
neutrale. L’area sotto la curva, che rappresenta l’in-
tegrale dell’Equazione (11.9), è la forza dei cilindri.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.) Entrata Uscita
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 259

renza tra la pressione massima e i suoi valori di ingresso e di uscita aumenta. Se l’attrito
diminuisce, il punto neutrale si sposta più lontano dall’ingresso e più vicino all’uscita
per mantenere una forza netta di trazione nella direzione della laminazione, cioè per
rispettare la condizione di imbocco.
Si può calcolare un’approssimazione dell’Equazione (11.10) basandosi sulla tensio-
ne di flusso media del materiale in lavorazione nella luce tra i cilindri, cioè:

F = Y–f bL(11.11)

Dove Y–f è la tensione di flusso media dell’Equazione (11.8) in MPa e il prodotto bL è la


superficie di contatto in mm 2.
La coppia di laminazione M può essere stimata ipotizzando che la forza dei cilindri
sia centrata circa a metà dell’arco di contatto e quindi agisca con un braccio pari ad L/2.
Così, la coppia per ogni cilindro è

M = 0.5F L(11.12)

La potenza necessaria per azionare ciascun cilindro è il prodotto della coppia e della ve-
locità angolare. La velocità angolare è 2πN, dove N è la velocità di rotazione del cilindro
espressa in 1/s (o giri/min). Quindi la potenza di ogni cilindro è pari a 2πNM. Sostituen-
do l’Equazione (11.12) in questa espressione, e raddoppiando il valore per tenere conto
del fatto che un laminatoio è costituito da due cilindri motorizzati, si ottiene la seguente
espressione:

(11.13)

dove P è la potenza richiesta in J/s o W, N è la velocità di rotazione, F la forza di lamina-


zione ed L la lunghezza di contatto.

Esempio 11.1  Laminazione piana a freddo


Un nastro di larghezza pari a 300 mm e di spessore pari a 25 mm viene immesso
in una laminatoio a due cilindri motorizzati, ciascuno di raggio pari a 250 mm. Lo
spessore della striscia deve essere ridotto a 22 mm in una sola passata ad una ve-
locità dei cilindri di 50 giri/min. Il materiale ha una curva di flusso plastico definita da
K = 275 MPa e n = 0.15 e il coefficiente di attrito tra i cilindri e la lamiera è pari a 0.12.
Determinare se l’attrito è sufficiente a realizzare l’operazione di laminazione. In caso
affermativo, calcolare la forza dei cilindri, la coppia e la potenza.

Soluzione: La luce prevista per questa operazione di laminazione è

Dh = 25 – 22 = 3 mm

Dall’Equazione (11.9), la luce massima per il dato coefficiente di attrito è

Dhmax= (0.12)2(250) = 36 mm

Visto che la luce massima è maggiore del draft richiesto, si può asserire che l’opera-
zione di laminazione è fattibile. Per calcolare la forza dei cilindri occorre conoscere la
260 Tecnologia meccanica

lunghezza di contatto L e la tensione di flusso media. La lunghezza di contatto è data


dall’Equazione. (11.11):

L= 250(25 – 22) = 27.4 mm



Yf deriva dalla deformazione reale:
25
= In = 0.128
22
– 275(0.128) 0.15
Yf = = 175.7 MPa
1.15
La forza dei cilindri si calcola applicando l’Equazione (11.11):
F = 0.5(1,444,786)(27.4) = 1,444,786 N
La coppia necessaria per azionare ciascun cilindro è data dall’Equazione (11.12):
M = 0.5(1,444,786)(27,4)(10 –3) = 19,786 N-m
e la potenza si ottiene dall’Equazione (11.13):

P = 2p(50)(1,444,786)(27.4)(10 –3) = 12,432,086 N-m/min = 207,201 N-m/s(W)

Dall’esempio si può notare che nella laminazione occorrono forze e potenze notevo-
li. Le Equazioni (11.11) e (11.13) indicano che la forza e/o la potenza necessarie a lami-
nare una striscia di una certa larghezza e di un certo materiale possono essere ridotte
in uno di questi modi: (1) usando la laminazione a caldo piuttosto che la laminazione
a freddo per ridurre la resistenza del materiale, (2) riducendo la luce in ogni fase, (3)
usando cilindri di piccolo raggio per ridurre la forza o (4) usando una velocità inferiore
per ridurre la potenza.

11.1.2 Calibratura
Nella laminazione di forma, il pezzo viene deformato in una sezione trasversale sago-
mata. I prodotti realizzati tramite calibratura includono forme strutturali come le travi
a I e a L, i canali a U, le rotaie dei binari ferroviari, le barre tonde e quadrate (fare rife-
rimento alla Figura 11.2). Il processo si esegue facendo passare il pezzo attraverso una
successione di gabbie di laminazione. In ciascuna gabbia i cilindri (calibri) hanno forma
complementare a quella desiderata. Nella lavorazioni di calibratura se la sezione è ripar-
tita fra i due cilindri si parla di calibri aperti, si parla invece di calibri chiusi quando la
parte sporgente di un cilindro penetra nella gola dell’altro.
La maggior parte dei principi applicabili alla laminazione sono applicabili anche
allo shape rolling. I cilindri di formatura sono più complicati, perchè il pezzo parten-
do da una forma quadrata richiede una trasformazione graduale attraverso cilindri di
forma diversa per ciascuna gabbia. La definizione della sequenza di forme intermedie
del pezzo e dei cilindri corrispondenti si chiama progetto dei rollpass. Il suo scopo è
quello di realizzare una deformazione uniforme lungo tutta la sezione trasversale ad
ogni riduzione. Altrimenti, alcune parti sarebbero ridotte più di altre, causando un mag-
giore allungamento. Una riduzione non uniforme può causare inflessioni o cricche nel
prodotto laminato. Per ottenere la giusta riduzione del materiale in lavorazione si usano
sia cilindri orizzontali sia verticali.
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 261

Calcolo del numero di passaggi


Nel caso di laminazione piana con necessità di ottenere un rapporto di riduzione molto alto, che violi i vincoli di coppia,
potenza o la condizione di imbocco, è necessario comunque suddividere la laminazione tra gabbie successive. Per deter-
minare il numero ottimale di passaggi consecutivi tra i rulli, si procede considerando come la sezione all’i-esimo passag-
gio sia è legata alla sezione precedente:

Ai–1 = λ1 Ai

dove li è il valore dell’allungamento all’i-esimo passaggio. L’allungamento totale lt è dato da:

A0 = λ1 An

mentre l’allungamento medio lm è esprimibile come:

A0 = λ1λ2λ3...λ nAn = (λ m)nAn

da cui si ricava:

λ mn
λt

e quindi si può determinare il numero di passaggi sapendo che generalmente è 1.25 < lm < 1.8:
lnλ t lnA0 – lnAm
npassaggi = =
lnλ m lnλ m

11.1.3 Laminatoi
Sono disponibili diverse configurazioni di laminatoi per affrontare la varietà di applica-
zioni e i diversi problemi tecnologici del processo di laminazione. Il laminatoio di base
è costituito da due cilindri contrapposti, come mostrato in Figura 11.5 (a). I cilindri di
questi laminatoi hanno il diametro nell’intervallo 0.6-1.4 m. La configurazione a due
cilindri sovrapposti può essere reversibile o non reversibile. Nel laminatoio non rever-
sibile, i cilindri ruotano sempre nella stessa direzione e il pezzo passa sempre dallo stes-
so lato. Il laminatoio reversibile consente invece di invertire la direzione di rotazione
dei cilindri in modo che si possa eseguire una serie di riduzioni con la stessa coppia di
cilindri, semplicemente passando più volte attraverso la gabbia da direzioni diverse.
Lo svantaggio della configurazione reversibile è l’elevato momento angolare che hanno
cilindri rotanti di grosse dimensioni e le relative difficoltà tecniche per invertirne la
direzione.
La Figura 11.5 illustra altre configurazioni alternative. Nella configurazione a
tre cilindri sovrapposti, l’immagine (b), ci sono tre cilindri in verticale e la dire-
zione di rotazione di ogni cilindro rimane invariata. Per ottenere riduzioni succes-
sive della sezione, il pezzo viene fatto passare da entrambi i lati alzando o abbas-
sando la striscia dopo ogni passaggio. L’attrezzatura per i laminatoi a tre cilindri
sovrapposti è più complicata, perché serve un meccanismo per sollevare e abbassare
il pezzo.
Come indicato dalle equazioni precedenti, si possono ottenere dei vantaggi ridu-
cendo il diametro dei cilindri, perché si riduce la lunghezza dell’arco di contatto e di
conseguenza si riducono forze, coppie e potenze di laminazione. La configurazione a
quattro cilindri sovrapposti utilizza due cilindri di diametro piccolo a contatto con il
pezzo e due cilindri più grandi dietro, come mostrato in Figura 11.5 (c). A causa delle
grandi forze in gioco, i cilindri più piccoli subirebbero un’inflessione durante il passag-
262 Tecnologia meccanica

F i g u r a 11. 5  D i v e r s e gio del materiale se non fossero supportati e irrigiditi dai cilindri di supporto. Un’altra
configurazioni dei lami- configurazione che utilizza dei cilindri di piccolo diametro a diretto contatto con il pez-
natoi: (a) a due cilindri so-
zo è il laminatoio in cluster, riportato in Figura 11.5 (d).
vrapposti, (b) a tre cilindri
sovrapposti, (c) a quattro Per raggiungere tassi di produzione superiori, si può anche usare un laminatorio in
cilindri sovrapposti, (d) in tandem. Questa configurazione consiste di una serie di gabbie di laminazione, come
cluster e (e) in tandem. mostrato in Figura 11.5 (e). Anche se nell’immagine sono presenti solo tre gabbie di
(Fonte: Fundamentals of laminazione, un tipico laminatoio in tandem ne può avere anche otto o dieci, ognuna
Modern Manufacturing,
dedicata ad effettuare una riduzione di spessore o un perfezionamento della forma del
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam- pezzo. Ad ogni passo di laminazione, la velocità del pezzo aumenta e la sincronizzazio-
pato con il permesso di ne delle velocità dei cilindri in ogni gabbia diventa un problema molto rilevante.
John Wiley & Sons, Inc.)

11.1.4  Altri processi relativi alla laminazione


Molti altri processi di deformazione massivi usano dei cilindri per formare il pezzo.
Queste operazioni includono la laminazione con cilindri filettatori, la laminazione ad
anello, la laminazione di ingranaggi e la foratura per laminazione.

Laminazione con cilindri filettatori (thread rolling)  Il thread rolling viene usa-
to per eseguire filettature su pezzi cilindrici facendoli rotolare tra due matrici contro-
rotanti. È il processo commerciale più importante per la produzione di massa di com-
ponenti filettati esternamente (come bulloni e viti). Il suo processo concorrente è la
filettatura per asportazione (Capitolo 14). La maggior parte delle operazioni vengono
eseguite a freddo. Le matrici sono di forma, cioè dedicate al singolo tipo di filetto, di cui
determinano dimensione e forma. Le matrici sono di due tipi: (1) le matrici piane, dotate
di moto relativo di traslazione, come illustrato in Figura 11.6, e (2) le matrici circolari,
che ruotano una rispetto all’altra per realizzare l’azione di laminazione.
I tassi di produzione della laminazione con cilindri filettatori possono essere eleva-
ti, raggiungendo anche gli otto pezzi al secondo nel caso di bulloni e viti di piccole di-
mensioni. Rispetto alla filettatura, non solo si hanno tassi molto più elevati, ma si hanno
anche altri vantaggi: (1) sfridi di lavorazione molto ridotti, (2) produzione di filetti più
resistenti per via dell’incrudimento, (3) superficie più liscia e (4) una migliore resistenza
a fatica per le tensioni di compressione residue introdotte dalla laminazione.
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 263

Laminazione di anelli (ring rolling)  La laminazione di anelli è un processo di de-


formazione in cui un anello di spessore maggiore e diametro minore viene trasformato
in un anello di spessore minore e diametro maggiore. La Figura 11.7 mostra il risultato
prima e dopo il processo. Quando l’anello spesso viene compresso, la deformazione
causa l’allungamento del materiale e il conseguente aumento del diametro. La lami-
nazione ad anello di solito viene eseguita come un processo di lavorazione a caldo per
anelli di grandi dimensioni e di lavorazione a freddo per anelli di piccole dimensioni.
Le applicazioni della laminazione ad anello sono le sfere e le corone dei cuscinetti a
sfere e a cilindri, gli pneumatici in acciaio delle ruote ferroviarie, gli anelli dei tubi, re-
cipienti in pressione e rotori. Le pareti dell’anello non sono limitate a sezioni trasversali
rettangolari, ma il processo di laminazione permette di realizzare anche forme più com-
plesse. Ci sono diversi vantaggi nella laminazione ad anello rispetto ai metodi alterna-
tivi per realizzare gli stessi pezzi: sfridi di lavorazione contenuti, un’anisotropia indotta
che migliora le proprietà nelle applicazioni tipiche (orientamento favorevole dei grani
metallurgici) e l’aumento di resistenza dei componenti eventualmente laminati a freddo.

Laminazione di ingranaggi (gear rolling)  La laminazione di ingranaggi è un pro-


cesso di lavorazione a freddo per la produzione di determinati ingranaggi, soprattutto per
l’industria automobilistica. La configurazione di questa laminazione è simile a quella con
cilindri filettatori, a parte il fatto che le dimensioni da deformare del semilavorato cilin-
drico o del disco sono orientate parallelamente al suo asse (o a un suo angolo nel caso di
ingranaggi elicoidali) anzichè a spirale come nei filetti. I metodi alternativi di produzione
degli ingranaggi sono le lavorazioni meccaniche. I vantaggi della laminazione di ingra-
naggi sono simili a quelli della laminazione con cilindri filettatori: tassi di produzione
più elevati, maggiore robustezza e resistenza sotto sforzo e meno scarti di materiale.

Semilavorato di partenza Pezzo finale

Matrice fissa

Matrice mobile

Figura 11.6  Laminazione con cilindri filettatori con matrici piane: (1) inizio del ciclo e (2) fine del ciclo. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Cilindro tenditore

Cilindro
principale
Cilindri
Alimentazione
da bordatura

Figura 11.6  Laminazione di un anello utilizzata per ridurre lo spessore e aumentare il diametro di un pezzo: (1) inizio e (2)
completamento del processo.
264 Tecnologia meccanica

Cilindri laminatori
Forza di compressione

Cilindro di partenza
Tensioni di trazione Mandrino

Tubo finale

Figura 11.7  Laminazione Mannesmann: (a) formazione delle tensioni interne e della cavità per la compressione del pezzo
cilindrico e (b) configurazione del laminatoio Mannesmann per la produzione continua di tubi. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Foratura per laminazione (roll piercing)  Questa tecnica di foratura è un processo


di lavorazione a caldo adatto alla realizzazione in continuo di tubi con pareti spesse. È
classificata come un processo di laminazione perchè usa due cilindri contrapposti. Il pro-
cesso si basa sul principio che quando un pezzo cilindrico solido viene compresso sulla
sua circonferenza, come in Figura 11.8 (a), si sviluppano delle elevate tensioni di trazione
al centro. Se gli sforzi sono sufficientemente elevati, si forma una fessura interna. Nella
foratura per laminazione si sfrutta questo principio come mostrato in Figura 11.8 (b). Si
applicano delle tensioni di compressione radiale su una billetta cilindrica attraverso due
cilindri laminatori a forma di doppio cono, uniti per la base maggiore e disposti ad assi
sghembi, orientati secondo angoli molto piccoli (~ 6°) rispetto all’asse della billetta. La
loro rotazione tende a trascinare la billetta attraverso la gabbia di laminazione, per effetto
dell’attrito. La barra ha un moto risultante di rotazione intorno al suo asse e di avanza-
mento assiale, essendo spinta contro un’anima o spina assiale centrale, che contribuisce
alla foratura e alla calibrazione della dimensione del foro ottenuto. Nell’avanzare la bil-
letta incontra la spina posizionata tra i rulli che lacera il materiale al centro e genera il
tubo. In realtà l’azione di lacerazione è favorita dal particolare stato tensionale generato
dai due rulli. Per indicare questa operazione di creazione di tubi si usano anche il termine
«laminazione Mannesmann» o laminazione obliqua. La laminazione Mannessmann è
la prima di una serie di operazioni di laminazione che portano alla produzione di tubi
cosiddetti seamless (senza saldature) a partire da barre cilindriche. La stazione successi-
va al laminatoio Mannessmann è spesso il laminatoio a «passo di pellegrino», che ha la
funzione di allungare i tubi riducendone diametro e spessore (Fig. 11.8).

11.2 Forgiatura

La forgiatura è un processo di deformazione in cui il pezzo viene premuto tra due stam-
pi. È la più antica delle operazioni di formatura dei metalli, risalente circa al 3000 a.C.,
cioè all’età del bronzo, in cui armi e utensili metallici venivano prodotti comprimendo il
materiale riscaldato tra incudine e martello. Oggi, la forgiatura è un processo industria-
le importante usato per realizzare una varietà di componenti ad alta resistenza soprat-
tutto per il settore automobilistico e aerospaziale. Questi componenti comprendono gli
alberi a gomiti del motore, le bielle, gli ingranaggi, i componenti strutturali degli aerei e
parti dei motori a turbina dei jet. Inoltre, la siderurgia e altre industrie di metalli di base
utilizzano la forgiatura per dare una forma grezza ai componenti di grandi dimensioni
che poi vengono lavorati nelle forme e dimensioni definitive.
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 265

Figura 11.8 Laminazio-
ne a passo di pellegrino:
sequenza del processo
con moto assiale alter-
nato della barra interna,
solidale al tubo in lavora-
zione [7].

La forgiatura viene eseguita in molti modi diversi. Un modo per classificare le ope-
razioni è dividerle in base alla temperatura di funzionamento. La maggior parte delle
operazioni di forgiatura vengono eseguite a tiepido o a caldo, a causa della deformazio-
ne significativa richiesta dal processo e della necessità di ridurre la resistenza e aumen-
tare la duttilità del metallo da lavorare. Però in alcuni casi si utilizza anche la forgiatura
a freddo, per pezzi di piccole dimensioni. Il vantaggio della forgiatura a freddo è la
maggiore resistenza del pezzo dovuta all’incrudimento e le migliori tolleranze dimen-
sionali di lavorazione.
Nella forgiatura si usa un impatto (come farebbe un fabbro) o una pressione gradu-
ale. La distinzione deriva più che altro dal tipo di macchinario utilizzato che dalla tec-
nologia di processo. Una macchina da forgiatura che applica un carico impulsivo viene
chiamata maglio, mentre una che applica una pressione graduale è chiamata pressa di
forgiatura.
Un’altra differenza tra le operazioni di forgiatura è il grado in cui il flusso del
metallo viene vincolato e controllato geometricamente dagli stampi. Secondo questa
classificazione, ci sono tre tipi di operazioni di forgiatura, illustrati in Figura 11.10:
(a) forgiatura a stampi aperti, (b) forgiatura a stampi chiusi con bava e (c) forgiatura a
stampi chiusi senza bava (flashless). Nella forgiatura a stampi aperti, il pezzo viene
compresso tra due matrici piatte (o comunque non completamente sagomate sul pezzo
da ottenere), lasciando quindi il metallo libero di fluire senza vincoli lungo la direzio-
ne ortogonale al moto dello stampo superiore. Nella forgiatura con bava, le superfici
degli stampi contengono la forma da dare al pezzo durante il processo, limitando signi-
266 Tecnologia meccanica

Stampo superiore mobile

Pezzo
Punzone
Stampo inferiore (stazionario)

Pezzo

Pezzo Matrice
Stampo (stazionaria)
superiore
Sbavatura
Stampo inferiore (stazionario)

Figura 11.9 Illustrazione ficativamente il flusso laterale del metallo. In questo tipo di operazione, una parte di
delle sezioni trasversali metallo fluisce comunque oltre la forma della matrice e forma una bava (flash), come
di tre tipi di operazioni di
mostrato in figura. La bava è del metallo in eccesso che deve essere successivamente
forgiatura: (a) forgiatura
a matrice aperta, (b) for- tagliato. Nella forgiatura senza bava, il pezzo è completamente vincolato all’interno
giatura a stampi chiusi della matrice, quindi non possono formasi bave. Il volume del pezzo di partenza deve
con bava e (c) forgiatura essere controllato rigorosamente in modo che corrisponda al volume della cavità dello
a stampi chiusi senza stampo per non avere pezzi difettosi o sovraccarichi della pressa o maglio.
bava. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by 11.2.1  Forgiatura a stampi aperti
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per- Il caso più semplice della forgiatura a stampi aperti comporta la compressione di un
messo di John Wiley & pezzo di sezione trasversale circolare (o rettangolare) tra due matrici piane, in modo
Sons, Inc.)
molto simile a quanto avviene nelle prove di compressione (Capitolo 3). Questa opera-
zione di forgiatura, nota anche con il termine di upsetting, riduce l’altezza del pezzo e
ne aumenta il diametro (o i lati, se a sezione rettangolare).

Analisi della Forgiatura a stampi aperti  Se la forgiatura viene eseguita in con-


dizioni ideali senza attrito tra il pezzo e le superfici degli stampi, si verifica una de-
formazione omogenea e il flusso radiale del materiale è uniforme lungo la sua altezza,
come illustrato in Figura 11.9a. In queste condizioni ideali, la deformazione reale equi-
valente del pezzo durante il processo può essere determinata dalla formula seguente:

ε* = ln(hh )(11.14)
0

dove ho è l’altezza di partenza del pezzo in mm e h l’altezza in un punto intermedio nel


processo in mm. Alla fine della compressione, h raggiunge il suo valore finale hf, e la
deformazione reale equivalente raggiunge il suo valore massimo.
Si può calcolare la forza necessaria per eseguire la forgiatura. La forza necessaria
per continuare la compressione ad una certa altezza h si ottiene moltiplicando la corri-
spondente sezione trasversale per la tensione di flusso:
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 267

F = Yf A(11.15)

dove F è la forza in N, A l’area della sezione trasversale del pezzo in mm 2 e Yf lo sforzo


di flusso plastico corrispondente alla deformazione data dall’Equazione (11.14) in MPa.
L’area A aumenta continuamente mentre l’altezza si riduce. Anche la tensione di flusso
Yf flusso aumenta a seguito dell’incrudimento, a meno che il metallo non sia perfetta-
mente plastico (ad esempio, nella lavorazione a caldo). In questo caso, l’esponente di in-
crudimento n è pari a 0 e la tensione di flusso Yf è sempre uguale al carico di snervamen-
to iniziale del metallo. La forza raggiunge il valore massimo al termine della forgiatura,
quando sia l’area che la tensione di flusso raggiungono i loro valori massimi.
Un’operazione di forgiatura reale però non avviene mai come mostrato in Figura
11.11 perché l’attrito si oppone al flusso di metallo alle superfici dello stampo. Questo
crea un effetto di rigonfiamento come mostrato in Figura 11.12. Se eseguita su un pezzo
caldo con matrici fredde, l’effetto si fa ancora più marcato. Questo deriva dal fatto che
il coefficiente di attrito nella lavorazione a caldo è più alto e si verificano dei maggiori
trasferimenti di calore vicino alle superfici della matrice, che raffreddano il metallo e

Figura 11.10  Deformazione omogenea di un pezzo cilindrico in condizioni ideali in un’operazione


di forgiatura a stampi aperti: (1) inizio del processo con il pezzo alla sua lunghezza e diametro ori-
ginali, (2) compressione parziale e (3) dimensione finale. (Fonte: Fundamentals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons,
Inc.)

Figura 11.11  Deformazione effettiva di un pezzo cilindrico in un’operazione di forgiatura a matrice


aperta, che mostra un evidente rigonfiamento: (1) inizio del processo, (2) deformazione parziale e
(3) forma finale. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
268 Tecnologia meccanica

ne aumentano la sua resistenza alla deformazione. Il metallo caldo centrale scorre più
facilmente del metallo freddo alle estremità. Questi effetti diventano più significativi
per geometrie con elevato rapporto diametro/altezza, a causa della maggiore area di
contatto tra il pezzo e la matrice.
Tutti questi fattori causano una forza effettiva di forgiatura maggiore di quanto pre-
visto dall’Equazione (11.15). In prima approssimazione, si può applicare un coefficiente
di forma all’Equazione (11.15):

F = k pYf A(11.16)

dove F, Yf, e A sono definiti come in precedenza e kp è il coefficiente di forma della for-
giatura, definito come

(11.17)

dove µ è il coefficiente di attrito, D il diametro o un’altra dimensione rappresentativa


della lunghezza di contatto con la superficie della matrice in mm e h l’altezza del pezzo
in mm. Si vede chiaramente come la forza richiesta dal processo di forgiatura aumenti
al crescere del coefficiente di attrito e del rapporto D/h.

Esempio 11.2 Forgiatura a stampi aperti


Un pezzo cilindrico è sottoposto ad una operazione di forgiatura a stampi aperti a
freddo. Il pezzo di partenza è alto 75 mm e ha un diametro di 50 mm. Dopo l’opera-
zione, l’altezza si riduce a 36 mm. Il materiale in lavorazione ha una curva di flusso
definita da K = 350 MPa e n = 0.17. Si assuma un coefficiente di attrito pari a 0.1. De-
terminare la forza all’inizio del processo, alle altezze intermedie di 62 mm e 49 mm, e
all’altezza finale di 36 mm.

Soluzione: Il volume del pezzo è V = 75π (502/4) = 147.262 mm3. Prima dell’inizio la
forza è 0 e il contatto con la matrice superiore è a 75 mm. All’inizio dello snervamento,
h è leggermente inferiore a 75 mm e si può assumere che la deformazione sia pari a
0.002, e quindi la tensione di flusso è

Yf = Kεn = 350(0.002)0.17 = 121.7 MPa

0.4(0.1)(50)
Kf = 1 + = 1.027
75
La forza di forgiatura è

F = 1.027(121.7)(1963.5) = 245,410 N

All’altezza h = 62 mm,
75
= In = In(1.21) = 0.1904
62
Yf = 350(0.1904)17 = 264.0 MPa

Assumendo che il volume rimanga costante, e tralasciando il rigonfiamento,

4(2375.2)
A = 147,262/62 = 2375.2 mm2 e D = = 55.0 mm
p
0.4(0.1)(55)
Kf = 1 + = 1.035
62
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 269

F = 1.035(264)(2375.2) = 649,303 N

Analogamente, all’altezza h = 49 mm, la forza è F = 955,642 N, e all’altezza h = 36


mm, la forza è F = 1,467,422 N. Il profilo di forza di forgiatura riportato in Figura 11.12 è
stato disegnato usando i valori di questo esempio.

1500
N) N)
(1000

1000
force (1000
di forgiatura

Figura 11.12  Forza di


Forging

500 forgiatura in funzione


Forza

d e l l ’a l t e z z a h e d e l -
la riduzione di altezza
(h 0 – h). (Fonte: Funda-
mentals of Modern Ma-
0 nufacturing, 4th Edition by
75 62 49 36 h (mm) Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
0 13 26 39 (ho – h) Sons, Inc.)

Considerazioni pratiche sulla forgiatura a stampi aperti  La forgiatura a


stampi aperti a caldo è un processo industriale molto diffuso e importante. Le forme
generate da questo processo sono piuttosto semplici (alberi, dischi, anelli). In alcune
applicazioni, le matrici hanno superfici leggermente sagomate che aiutano a modellare
il pezzo. Inoltre, il pezzo può dover essere manipolato (ad esempio, ruotato dopo ogni
colpo) per realizzare il cambiamento di forma desiderato. L’abilità dell’operatore umano
è un fattore importante per il successo di queste operazioni. Un esempio nel settore si-
derurgico è la trasformazione di un lingotto laminato quadrato in una sezione circolare,
allo scopo di realizzare un grezzo per un albero di trasmissione. Le operazioni di for-
giatura a stampi aperti producono forme grezze che richiedono sempre delle operazioni
aggiuntive per ottenere geometria e dimensioni desiderate del pezzo finale.

11.2.2  Forgiatura a stampi chiusi con bava


La forgiatura a stampi chiusi con bava viene eseguita con stampi che contengono il ne-
gativo della forma del pezzo. Il processo è illustrato nella sequenza di tre fasi in Figura
11.14. Il pezzo di partenza ha una forma cilindrica simile a quella utilizzata nella prece-
dente operazione di forgiatura a matrice aperta. Quando la matrice si chiude nella sua
posizione finale, si forma una bava dovuta al metallo che esce dalla cavità dello stampo
nel piccolo spazio tra le matrici. Sebbene questa bava debba essere eliminata dal pezzo
attraverso una successiva operazione di taglio, essa ha una funzione molto importante.
Infatti quando si forma la bava nella cosiddetta camera scarta-bava, in quella zona si ha
un rapporto molto elevato tra superficie di contatto e altezza, per cui si ha elevata resi-
270 Tecnologia meccanica

Stampo
Pezzo iniziale superiore
Bava

Stampo
inferiore

Figura 11.13  Sequenza della forgiatura a in stampo chiuso: (1) subito prima del contatto con il
pezzo iniziale, (2) compressione parziale e (3) chiusura definitiva della matrice che causa la for-
mazione di bava nell’appostico canale e nella camera di bava. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)

stenza al flusso laterale di metallo nello spazio. In altre parole la camera scarta-bava e
soprattutto la zona periferica di minima distanza tra i due stampi funge da argine al ma-
teriale, forzandolo a rimanere per la maggior parte nella cavità dello stampo. Nella for-
giatura a caldo, il flusso del metallo è ulteriormente limitato in quanto la bava sottile si
raffredda rapidamente nella matrice, aumentando così la sua resistenza alla deformazio-
ne. Limitare il flusso di metallo nello spazio causa un aumento significativo degli sforzi
di compressione sul pezzo, costringendo così il materiale a riempire anche i recessi più
intricati e stretti della cavità dello stampo per garantirne un completo riempimento. Se
non ci fosse il canale scartabava di piccolo spessore, cioè se gli stampi fossero completa-
mente chiusi, per garantire il completo riempimento occorrerebbe calcolare con grande
precisione la massa della billetta da forgiare, per evitare eccessi o lacune di materiale.
Possono essere necessari diversi passaggi di forgiatura per trasformare il semilavo-
rato di partenza nella forma finale desiderata. Ad ogni passaggio servono stampi diffe-
renti o cavità differenti entro un unico stampo, il che fa naturalmente lievitare il costo
totale delle attrezzature. I passaggi iniziali sono progettati per distribuire il metallo nel
pezzo in maniera da ottenere nei passaggi successivi una deformazione uniforme e la
giusta struttura metallurgica. Le fasi finali conferiscono al pezzo la sua forma finale.
Inoltre, quando si usa una forgiatura al maglio, possono essere necessari diversi colpi di
maglio per ciascun passaggio del materiale entro una coppia di stampi.
A causa della formazione di bave e della maggiore complessità delle forme realiz-
zate con queste matrici, le forze richieste da questo processo sono significativamente
maggiori e più difficili da analizzare di quelle della forgiatura a matrice aperta. Spesso
per stimare le forze in questo tipo di forgiatura si usano formule semplificate e fattori di
correzione. La formula della forza è la stessa dell’Equazione (11.16) per la forgiatura in
stampi aperti, ma la sua interpretazione è leggermente diversa:

TABELLA 11.1  Valori tipici di kp per varie forme nella forgiatura a matrice semi-chiusa e senza
bave

Forgiatura in stampi chiusi kp Forgiatura in stampi chiusi kp


con bava senza bava
Forme semplici con bava  6.0 Coniatura (superfici superiore e inferiore) 6.0
Forme complesse con bava  8.0 Forme complesse 8.0
Forme molto complesse con bava 10.0
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 271

k p(11.18)

dove F è la forza massima dell’operazione in N, A l’impronta del pezzo sul piano di bava,
compresa la bava stessa in mm 2, Yf la tensione di flusso del materiale in MPa e k p il co-
efficiente di forma della forgiatura. Nella forgiatura a caldo, il valore di Yf è il carico di
snervamento del metallo a temperatura elevata. In altri casi è più difficile determinare il
valore corretto della tensione di flusso perché la deformazione varia attraverso il pezzo
nel caso di forme complesse. k p nell’Equazione (11.18) è un coefficiente che tiene conto
degli aumenti della forza necessari a forgiare forme di varia complessità. La Tabella 11.1
indica l’intervallo di valori di k p per forme diverse. Ovviamente, il problema di specifi-
care il valore corretto di k p per un certo pezzo limita la precisione della stima della for-
za. Nel caso di stampaggio con bava, esistono delle formule empiriche per la determina-
zone di kp che dipendono proprio dalle dimensioni (altezza minima l e lunghezza m) del
canale di bava, poiché questo determina la zona a massima resistenza allo scorrimento.
L’Equazione (11.18) si applica alla forza massima durante l’operazione, poiché que-
sto è il carico che determina la capacità che deve avere la pressa o il maglio utilizzato
nell’operazione. La forza massima viene raggiunta però solo al termine della corsa di
forgiatura, quando la superficie di contatto tra pezzo e stampi è massima e di conse-
guenza sono massime le forze di attrito.
La forgiatura con bava non è in grado di ottenere tolleranze molto strette e spes-
so serve una lavorazione meccanica successiva per ottenere le dimensioni giuste. Dal
processo di forgiatura si ottiene quindi una forma grezza del pezzo, e poi si esegue una
lavorazione più accurata delle parti che richiedono una certa precisione di finitura (ad
esempio fori, filetti o superfici di accoppiamento con altri componenti).
I miglioramenti nella tecnologia di forgiatura con bava permettono sempre più di
produrre pezzi con sezioni più sottili e geometrie più complesse, di ridurre i requisiti sui
progetti degli stampi, di avere tolleranze più strette e di eliminare quasi completamente
la necessità di successive lavorazioni meccaniche. I processi di forgiatura con queste
caratteristiche prendono il nome di forgiature di precisione. A seconda che sia più o
meno necessaria una lavorazione meccanica per completare la forma del pezzo, le for-
giature di precisione sono classificate come processi net shape o near net shape. I me-
talli comunementi utilizzati nella forgiatura di precisione sono l’alluminio e il titanio.

11.2.3  Forgiatura senza bava


Nella forgiatura senza bava ( flashless), illustrata in Figura 11.15, il pezzo iniziale è con-
tenuto completamente all’interno della cavità dello stampo, quindi durante la compres-
sione non si formano bave. In questa forgiatura i requisiti di controllo di processo sono
più stringenti che nella forgiatura con bava.
La regola più importante è che il volume del pezzo di partenza deve essere uguale
al volume dello spazio della cavità di stampo con una tolleranza molto stretta. Se il pez-
zo iniziale è troppo grande, l’eccessiva pressione può causare danni allo stampo o alla
pressa per sovraccarico. Se il pezzo è troppo piccolo, la cavità non si riempie comple-
tamente. A causa di queste particolari esigenze della forgiatura senza bave, il processo
si presta meglio a realizzare forme semplici e simmetriche e a lavorare materiali come
l’alluminio e il magnesio o le loro leghe. La forgiatura senza bave viene di solito classi-
ficata tra i processi di forgiatura di precisione [5].
Le forze nella forgiatura flashless raggiungono valori paragonabili a quelle della
forgiatura a matrice semi-chiusa e le stime di tali forze si possono calcolare con le stesse
modalità: Equazione (11.18) e Tabella 11.1.
La coniatura è un’applicazione speciale della forgiatura a matrice chiusa usata per
272 Tecnologia meccanica

Figura 11.14 Forgiatura
senza bava: (1) appena
prima del contatto inizia-
le con il pezzo, (2) com-
pressione parziale e (3)
compressione finale e
chiusura della matrice. I
simboli v ed F indicano Punzone
rispettivamente lo spo-
stamento (v = velocità) e
la forza applicata. (Fonte:
Fundamentals of Modern Pezzo iniziale
Pezzo finale
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Matrice
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

imprimere sulle superfici superiore e inferiore del pezzo i dettagli presenti sulla matri-
ce. Nella coniatura c’è poco flusso di metallo, ma le pressioni necessarie a riprodurre
i dettagli della superficie della cavità dello stampo sono molto alte, come indicato dal
valore di kp nella Tabella 11.1. Ciò è dovuto ad un rapporto molto alto tra superficie di
contatto e altezza del pezzo, quindi ad un rilevante effetto dell’attrito. Un’applicazio-
ne comune della coniatura è, ovviamente, la produzione di monete, mostrata in Figura
11.16. Il processo è utilizzato anche per fornire una buona finitura superficiale e preci-
sione dimensionale su pezzi prodotti con altre tecniche.

11.2.4 Magli, presse e matrici per la forgiatura


I sistemi per la forgiatura sono costituiti da: le macchine da deformazione per forgiatu-
ra, classificate in magli o presse, e gli stampi. Gli stampi sono detti punzoni, se di forma
prevalentemente convessa verso il pezzo, o matrici, se di forma prevalentemente conca-
va. Inoltre, servono anche delle apparecchiature ausiliarie, come i forni per riscaldare

Punzone

Pezzo finito
Semilavorato
iniziale

Matrice Fermo

Figura 11.15  Operazione di coniatura: (1) inizio del ciclo, (2) compressione e (3) espulsione del pezzo finito. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 273

i pezzi, i dispositivi meccanici per caricare e scaricare i pezzi e le stazioni di sbavatura


per tranciatura.

Magli  I magli funzionano applicando un carico d’urto contro il pezzo e sono mostrati
nelle Figure 11.16 e 11.17. I magli sono usati soprattutto nella forgiatura con bava. La
parte superiore della matrice è collegata alla mazza della macchina e la parte inferiore è
collegata all’incudine. Durante il funzionamento, il pezzo viene posizionato sullo stam-
po inferiore e la mazza viene sollevata e poi rilasciata. Quando la matrice superiore col-
pisce il pezzo, l’energia d’urto spinge il pezzo ad assumere la forma della cavità formata
tra gli stampi. Spesso servono diversi colpi di maglio per ottenere la forma completa de-
siderata. Uno degli svantaggi dei magli è la trasmissione di una grande quantità di ener-
gia d’urto attraverso l’incudine al pavimento della fabbrica. Sono macchine ad energia
limitata, poiché ad ogni colpo di maglio è nota appunto l’energia massima disponibile,
mentre la forza effettivamente applicata e la corsa dello stampo superiore dipendono
dalla forma del pezzo e dalle specifiche condizioni di lavoro.

Presse da forgiatura  Le presse esercitano una pressione graduale per compiere


l’operazione di forgiatura, anzichè dare dei colpi impulsivi come i magli. Le presse per
la forgiatura possono essere meccaniche, idrauliche o a vite. Le presse meccaniche
operano per mezzo di manovellismi snodo che convertono il moto di rotazione di un
motore in un movimento di traslazione del pistone. Questi meccanismi sono molto simi-
li a quelli utilizzati nelle presse di stampaggio lamiera (Capitolo 12). Le presse mecca-
niche tipicamente ottengono delle forze molto elevate nella parte finale della loro corsa.
Sono macchine a corsa delimitata, per le quali cioè è nota deterministicamente la corsa,
mentre la forza applicata è una risultante del processo e così anche l’energia.
Le presse idrauliche utilizzano un pistone ad azionamento idraulico per movimen-
tare lo stampo superiore. Si tratta di macchine a forza delimitata, poiché è generalmente
nota e controllabile la pressione entro il cilindro di spinta del pistone. Le presse a vite
usano una forza proveniente da un meccanismo a vite che serve a spingere il pistone
verticale. Sia le presse a vite che quelle idrauliche operano a una velocità di traslazione

Testa
Head (containing
(contenente
cylinder)
il cilindro)

Biella
Piston rod

Struttura
Frame
Ram
Pistone

Anvil
Incudine

Figura 11.16  Maglio alimentato da un con-


vogliatore con unità di riscaldamento sulla
destra. Foto per gentile concessione di Aja- Figura 11.17  Diagramma che mostra i dettagli di
x-Ceco. (Fonte: Fundamentals of Modern Ma- un maglio per la forgiatura a matrice semi-chiusa.
nufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing,
2010. Ristampato con il permesso di John Wi- 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato
ley & Sons, Inc.) con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
274 Tecnologia meccanica

dello stampo superiore relativamente bassa e possono fornire una forza costante per
tutta la corsa. Queste macchine sono quindi adatte per la forgiatura e altre operazioni di
formatura che richiedono una lunga corsa.

Stampi da forgiatura  Avere lo stampo adatto è un fattore molto importante per il


successo di un’operazione di forgiatura. Sono qui presentati alcuni dei termini utilizzati
e semplici linee guida per la progettazione dei processi di forgiatura e delle relative at-
trezzature. La progettazione delle matrici aperte di solito non è un problema perchè la
loro forma è molto semplice. Più critico è il progetto della forgiatura in stampo chiuso,
specie per quanto concerne la determinazione del numero e del tipo dei passaggi suc-
cessivi richiesti per arrivare dalla forma iniziale al finito. La Figura 11.19 illustra i ter-
mini principali di uno stampo con bava. La terminologia, i principi e le limitazioni che
devono essere tenuti in considerazione nella progettazione dei pezzi e nella selezione
del processo di forgiatura sono discussi di seguito [5].

Piano di bava  Detto anche piano di separazione degli stampi. Il suo posizionamento
entro il pezzo influenza significativamente il flusso del materiale nel pezzo, il fenome-
no di formazione della bava e di conseguenza il carico massimo richiesto dal processo.

Sformo  Lo sformo è la quantità di inclinazione necessaria sui lati del pezzo per po-
terlo rimuovere facilmente dalla matrice. Il termine si applica anche alla rastremazione
sui lati della cavità dello stampo. Gli angoli di sformo tipici sono di 3° per pezzi di allu-
minio e magnesio e da 5° a 7° per pezzi di acciaio. Gli angoli di sformo per forgiature di
precisione sono vicini allo zero.

Web e nervature  Un web è una parte sottile della forgiatura parallela al piano di
bava, mentre una nervatura è una parte sottile perpendicolare al piano di bava. Entram-
be queste parti causano delle difficoltà al flusso del metallo se diventano troppo sottili.

Raccordi  I raccordi concavi e convessi sono illustrati in Figura 11.19. Raggi piccoli
tendono a limitare il flusso di metallo e ad aumentare le tensioni sulle superfici della
matrice durante la forgiatura.

Bava (flash)  La formazione di bava ha un ruolo critico nella forgiatura a matrice


semi-chiusa perchè provoca un aumento di pressione all’interno dello stampo per riem-
pire la cavità. Questo accumulo di pressione è controllato progettando accuratamente le
dimensioni del canale e della camera scartabava, illustrati in Figura 11.18. Il canale de-
Angolo di sformo interno Angolo di sformo esterno

Camera
Raccordo Raccordo scarta-
Figura 11.18 Terminolo- concavo convesso bava Stampo superiore
gia usata nella forgiatu-
ra in stampo chiuso con
bava . (Fonte: Funda- Piano di bava
mentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by Nervatura Bava
Mikell P. Groover, 2010. Web
Ristampato con il per- Stampo inferiore
Canale
messo di John Wiley & di bava
Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 275

termina la superficie lungo cui avviene il flusso laterale del metallo, controllando in tal
modo l’aumento della pressione all’interno della matrice. La camera permette al metallo
in eccesso di fuoriuscire dalla cavità, scaricandone le tensioni.

11.2.5 Altri processi relativi alla forgiatura


In aggiunta alle operazioni di forgiatura convenzionali discusse nelle sezioni preceden-
ti, ci sono altre operazioni simili di formatura dei metalli.

Ricalcatura  La ricalcatura o upsetting è un’operazione di deformazione in cui viene


aumentato il diametro e ridotta la lunghezza di un pezzo cilindrico. Quest’operazione è
già stata analizzata nella forgiatura a matrice aperta (Capitolo 11.2.1), ma nella produzione
industriale può essere eseguita anche in stampi chiusi, come mostrato in Figura 11.20.
La ricalcatura è ampiamente usata nell’industria della minuteria metallica per for-
mare le teste di chiodi, viti, bulloni e altri elementi simili. La Figura 11.20 illustra una

Morsetto
Arresto
Punzone

Immis-
sione
Filo

Figura 11.19  Un’operazione di ricalcatura per formare la testa di un bullone o elementi simili. Il ciclo è il seguente: (1) il filo
viene immesso fino al punto di arresto, (2) le matrici vengono chiuse attorno al filo e l’arresto viene rimosso, (3) il punzone si
muove in avanti e (4) arriva fino al fondo per formare la testa. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Punzone Matrice
Pezzo (filo)

Figura 11.20  Diversi esempi di operazioni di ricalcatura: (a) testa di un chiodo con matrici aperte, (b) testa rotonda formata da un
punzone, (c) e (d) teste formata da una matrice e (e) testa di una vite formata da un punzone e una matrice. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
276 Tecnologia meccanica

varietà di applicazioni della ricalcatura indicando le possibili configurazioni della ma-


trice. Grazie all’elevata numerosità dei prodotti realizzati con queste applicazioni, la
ricalcatura è l’operazione che produce più pezzi di qualsiasi altra operazione di forgia-
tura. Viene eseguita come un’operazione di produzione massiva, a freddo, a tiepido o a
caldo, su macchine speciali chiamate ricalcatrici. Queste macchine di solito hanno delle
corse orizzontali, anzichè verticali come nei magli e nelle presse tradizionali. I fili o le
barre lunghe vengono immessi in queste macchine, un’estremità viene forgiata e poi il
pezzo viene tagliato della misura giusta per realizzare il prodotto finale. Per formare i
filetti dei bulloni e delle viti si usa la laminazione con cilindri filettatori.
Ci sono limiti alla quantità di deformazione che può essere raggiunta dalla ricalca-
tura, solitamente definita come la lunghezza massima del pezzo che è possibile forgiare.
La lunghezza massima che può essere forgiata in un colpo è pari a circa tre volte il dia-
metro del pezzo di partenza. Altrimenti il metallo si inflette sottoposto ad un eccessivo
carico di punta, piuttosto che riempire correttamente la cavità.

Conifica e forgiatura radiale  La conifica e la forgiatura radiale sono processi di


forgiatura utilizzati per ridurre il diametro di un tubo o di un albero. La conifica di
solito viene effettuata all’estremità di un pezzo per creare una sezione rastremata. Il
processo di conifica, mostrato in Figura 11.22, è realizzato per mezzo di matrici rotanti
che danno dei colpi al pezzo girando attorno ad esso. Per realizzare degli elementi tubo-
lari si può usare un’anima interna per controllare la forma e le dimensioni del diametro
interno. La forgiatura radiale è simile alla conifica nella sua azione sul pezzo e viene
utilizzata per creare forme simili. La differenza è che nella forgiatura radiale le matrici
non ruotano intorno al pezzo, ma è il pezzo che ruota dopo essere stato inserito nelle
matrici.

Forgiatura isotermica  Forgiatura isotermica è un termine applicato ad un’opera-


zione di forgiatura a caldo in cui durante la deformazione il pezzo viene mantenuto alla
sua temperatura iniziale elevata, generalmente riscaldando le matrici alla stessa tem-
peratura. Evitando il contatto del pezzo con superfici più fredde, come invece avviene
nella forgiatura tradizionale, il metallo scorre più facilmente e con una deformazione
più uniforme. Si riduce quindi il lavoro ridondante (Capitolo 10) e la forza necessaria ad
eseguire il processo. La forgiatura isotermica è più costosa della forgiatura tradizionale
e di solito è riservata ai metalli difficili da forgiare, come il titanio e le superleghe, e
ai pezzi di forma molto complessa. Il processo può essere effettuato sotto vuoto, per
evitare la rapida ossidazione della matrice. La forgiatura con matrici calde (hot-die) è
simile alla forgiatura isotermica, è piuttosto frequente per processi di forgiatura specie
di leghe pregiate, ma gli stampi sono riscaldati ad una temperatura leggermente inferio-
re a quella del metallo da lavorare. Questo limita ma non elimina lo scambio termico tra
pezzo e utensili.

Matrice

Pezzo
Figura 11.21  Processo di conifica per ri-
durre il diametro di un albero; le matrici
ruotano mentre colpiscono il pezzo. Nella
forgiatura radiale il pezzo ruota mentre Diametro
le matrici rimangono fisse nella loro po- Diametro iniziale
finale
sizione. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edition by Mikell P.
Direzione di avanzamento
Groover, 2010. Ristampato con il per-
messo di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 277

Pistone
della pressa
Figura 11. 2 2  O p e r a -
zione di tranciatura per
Bava
rimuovere la bava dopo
forgiatura. (Fonte: Fun-
Matrice damentals of M odern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Bordi taglienti & Sons, Inc.)

Tranciatura  La tranciatura è un’operazione che serve per rimuovere le bave dai pez-
zi prodotti mediante forgiatura. Nella maggior parte dei casi, la tranciatura viene rea-
lizzata tramite un’azione di taglio, come illustrato in Figura 11.23, in cui un punzone
spinge il pezzo in una matrice di tranciatura, che ha bordi affilati delle dimensioni del
pezzo finale. Di solito la tranciatura viene fatta mentre il pezzo è ancora caldo, il che
significa che in ogni maglio o pressa da forgia è inclusa anche una pressa da trancia. Nei
casi in cui il pezzo rischia di subire dei danneggiamenti durante il processo di trancia-
tura, questa può essere effettuata con metodi alternativi, come la rettifica o la fresatura.

11.3 Estrusione

L’estrusione è un processo di deformazione plastica massiva, in cui il metallo si trova


in stato di sforzo medio di compressione ed è forzato a fluire attraverso l’apertura di
una matrice per formare una determinata sezione trasversale. L’estrusione risale al 1800
circa. I processi moderni di estrusione presentano i seguenti vantaggi: (1) possono otte-
nere una grande varietà di forme, specialmente l’estrusione a caldo, (2) la struttura dei
grani e le proprietà di resistenza sono molto buone nell’estrusione a freddo e a tiepido,
(3) possono ottenere delle tolleranze abbastanza strette, specialmente nell’estrusione a
freddo e (4) in alcuni casi generano quantità di materiale di scarto molto basse o nulle.
La maggiore limitazione però è che i pezzi estrusi sono sempre a sezione trasversale
costante in tutta la loro lunghezza.

11.3.1 Tipi di estrusione


Ci sono diversi modi per effettuare l’estrusione. Una distinzione importante è tra l’estru-
sione diretta e l’estrusione inversa. Un’altra classificazione è quella fatta in base alla
temperatura di lavorazione: estrusione a freddo, a tiepido o a caldo (quest’ultima è la
più frequentemente impiegata). Infine, l’estrusione può essere eseguita come processo
continuo o processo discreto.

Estrusione diretta e inversa  L’estrusione diretta è illustrata in Figura 11.24. Una


billetta metallica viene caricata in un contenitore e un pistone comprime il materiale,
costringendolo a fluire attraverso una o più aperture in una matrice all’estremità op-
posta rispetto al contenitore. Quando il pistone arriva alla matrice, rimane una piccola
porzione della billetta che non viene spinta attraverso l’apertura della matrice. Questa
parte, chiamata calcio, viene tagliata via dal pezzo subito dopo l’uscita della matrice.
278 Tecnologia meccanica

Camera di estrusione

Pistone Forma finale del pezzo


Figura 11.23 Estrusione
diretta. (Fonte: Funda-
mentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010.
Matrice
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Sons, Inc.) Billetta iniziale

Uno dei problemi dell’estrusione diretta è l’attrito molto elevato che si verifica tra la
superficie in lavorazione e le pareti della camera, quando la billetta scorre verso l’aper-
tura della matrice. Questo attrito provoca un notevole aumento della forza necessaria
al pistone ed è causa di distorsione del materiale con conseguente lavoro ridondante.
Nell’estrusione a caldo, il problema dell’attrito è aggravato dalla presenza di uno strato
di ossido sulla superficie della billetta. Questo strato di ossido può causare dei difetti nel
prodotto estruso. Per risolvere questi problemi, spesso si posiziona un blocco aggiunti-
vo tra il pistone e la billetta, avente un diametro leggermente più piccolo di quello della
billetta, in modo che l’anello esterno del metallo in lavorazione (in pratica lo strato di
ossido) rimanga nel contenitore, lasciando il prodotto finale privo di ossidi. Questa ope-
razione viene definita estrusione con pelatura.
I profilati cavi (ad esempio i tubi) possono essere realizzati tramite estrusione diret-
ta tramite il processo mostrato in Figura 11.25. Si prepara la billetta di partenza facendo
un foro parallelo al suo asse. Questo permette il passaggio di una spina attaccata al bloc-
co di appoggio. Quando la billetta viene compressa, il materiale è costretto a fluire nello
spazio tra la spina e l’apertura della matrice. La sezione trasversale risultante è tubolare.
Anche le sezioni trasversali semi-cave vengono estruse nello stesso modo.
La billetta di partenza nell’estrusione diretta è generalmente a sezione circolare, ma
la forma finale è determinata dalla forma dell’apertura della matrice. Ovviamente, la
dimensione dell’apertura della matrice deve essere inferiore al diametro della billetta.

Camera di estrusione

Pistone Forma finale del pezzo

Spina
Figura 11.24  (a) Estru-
sione diretta per produrre Billetta iniziale
Matrice
una sezione trasversale
cava o semi-cava; se-
zioni trasversali cave (b)
e semicave (c). (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 279

Nell’estrusione inversa, Figura 11.26 (a), la matrice è posizionata sul pistone anzi-
chè dalla parte opposta del contenitore. Quando il pistone penetra nel pezzo, il metallo è
costretto a fluire attraverso lo spazio libero in direzione opposta rispetto al movimento
del pistone. Poiché la billetta non deve muoversi rispetto al contenitore, se non nella
zona immediatamente adiacente alla matrice, il lavoro speso per attrito è molto inferiore
e quindi la forza richiesta dal pistone è inferiore rispetto all’estrusione diretta. I limiti
dell’estrusione inversa sono causati dal fatto che il pistone cavo ha una rigidezza infe-
riore e dalla necessità di sostenere il prodotto estruso all’uscita della matrice.
L’estrusione inversa può produrre anche sezioni trasversali cave (tubolari), come
mostrato in Figura 11.26 (b). In questo metodo, il pistone viene spinto nella billetta,
costringendo il materiale a fluire attorno ad esso e prendere la forma di una coppa. Ci
sono delle limitazioni pratiche sulla lunghezza degli estrusi che si possono realizzare
con questo metodo. Il supporto del pistone diventa un problema all’aumentare della lun-
ghezza del pezzo.

Estrusione a caldo o a freddo  L’estrusione può essere effettuata a caldo o a freddo,


a seconda del metallo da lavorare e della quantità di deformazione a cui questo viene sot-
toposto durante la deformazione. I metalli che vengono tipicamente estrusi a caldo sono
l’alluminio, il rame, il magnesio, il titanio, lo zinco, lo stagno e le loro leghe. Questi stessi
metalli a volte sono estrusi anche a freddo. Le leghe di acciaio sono generalmente estruse
a caldo, anche se i gradi più morbidi e più duttili sono estrusi anche a freddo (ad esempio
gli acciai a basso contenuto di carbonio e l’acciaio inox). L’alluminio è probabilmente il
metallo ideale per l’estrusione (sia a caldo che a freddo) e molti prodotti commerciali in
alluminio sono ottenuti con questo processo (forme strutturali, serramenti ecc.).
L’estrusione a caldo comporta il riscaldamento iniziale della billetta ad una tem-
peratura superiore alla sua temperatura di ricristallizzazione. Questo riduce la resisten-
za e aumenta la duttilità del metallo, permettendo delle riduzioni delle dimensioni più
marcate e la realizzazione di forme più complesse. Gli altri vantaggi comprendono la
riduzione della forza necessaria al pistone, l’aumento della sua velocità e la riduzione
delle caratteristiche di flusso dei grani nel prodotto finale. Visto che il contatto della
billetta calda con le superfici fredde del contenitore può essere un problema, a volte si
usa l’estrusione isoterma. La lubrificazione è fondamentale nell’estrusione a caldo di
alcuni metalli (come gli acciai) e sono stati sviluppati dei lubrificanti speciali apposta
per essere efficaci nelle condizioni difficili dell’estrusione a caldo. Anche il vetro viene
utilizzato come lubrificante nell’estrusione a caldo: oltre a ridurre l’attrito, fornisce an-
che un efficace isolamento termico tra la billetta e il contenitore.

Camera Camera

F, v
v, F

Pistone cavo Pistone

Forma finale Matrice Billetta iniziale Forma finale Matrice Billetta iniziale
del pezzo del pezzo
(a) (b)
Figura 11.25  Estrusione inversa per produrre (a) una sezione trasversale piena e (b) una sezione trasversale cava. (Fonte: Fun-
damentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
280 Tecnologia meccanica

L’estrusione a freddo e a tiepido sono utilizzate di solito per la produzione di pezzi


di piccole dimensioni, spesso in forma finita (o quasi finita). Si usa il termine estru-
sione ad impatto per indicare un’estrusione a freddo eseguita ad alta velocità: si faccia
riferimento al Paragrafo 11.3.4 per i dettagli su questo processo. Alcuni importanti van-
taggi dell’estrusione a freddo includono una resistenza maggiore a causa dell’incrudi-
mento, delle tolleranze ristrette, delle finiture superficiali migliori, l’assenza di strati
di ossido e tassi di produzione più alti. L’estrusione a freddo a temperatura ambiente
elimina anche la necessità di riscaldare la billetta di partenza.

Estrusione continua o discreta  Un processo di lavorazione continuo opera in modali-


tà quasi stazionaria per un periodo di tempo indefinito. Alcune operazioni di estrusione si av-
vicinano a questo comportamento ideale producendo sezioni molto lunghe in un unico ciclo,
ma alla fine sono comunque limitate dalla dimensione della billetta che può essere inserita nel
contenitore di estrusione. Questi processi quindi appartengono più propriamente alle opera-
zioni semicontinue. In quasi tutti i casi, le sezioni lunghe vengono poi tagliate in lunghezze
più piccole. In un’operazione di estrusione discreta, ad ogni ciclo si produce un singolo pezzo
di lunghezza limitata. L’estrusione a impatto è un esempio di processo discreto.

11.3.2 Analisi dell’estrusione


Facciamo riferimento alla Figura 11.27 per discutere i parametri che entrano in gio-
co nell’estrusione e assumiamo che sia la billetta che l’estruso abbiamo una sezione
trasversale circolare. Un parametro importante è il rapporto di estrusione, chiamato
anche rapporto di riduzione. Il rapporto è definito come:
A0
(11.19)

dove r x è il rapporto di riduzione, A0 l’area della sezione trasversale della billetta di


partenza in mm 2 e Af l’area finale della sezione trasversale del profilo estruso in mm 2. Il
rapporto vale sia per l’estrusione diretta che inversa. Il valore di r x può essere utilizzato
per determinare la deformazione reale equivalente nell’estrusione, considerando che la
deformazione ideale si verifica senza attrito e senza lavoro ridondante:
A0
e (11.20)

Sotto l’ipotesi di deformazione ideale (nessun attrito e nessun lavoro ridondante), la


pressione applicata dal pistone per comprimere la billetta attraverso l’apertura della ma-
trice illustrata nella nostra figura può essere calcolata come segue:

(11.21)

dove è la tensione di flusso media durante la deformazione in MPa. Per comodità,


ricordiamo l’Equazione (10.2) dal capitolo precedente:

en

Però l’estrusione non è un processo senza attrito e le equazioni precedenti sottostimano


un po’ la deformazione e la pressione in un’operazione di estrusione. L’attrito si verifica
tra la matrice e il pezzo mentre la billetta si restringe e passa attraverso l’apertura della
matrice. Nell’estrusione diretta, esiste anche l’attrito tra la parete del contenitore e la
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 281

Lunghezza rimanente della billetta

Figura 11.26  La pres-


sione e le altre variabili
Pressione del pistone, p nell’estrusione diretta.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

superficie della billetta. L’effetto dell’attrito è quello di aumentare la tensione subita dal
metallo. Quindi la pressione effettiva è maggiore di quella data dall’Equazione (11.21)
che non considera l’attrito.
Ci sono vari metodi per calcolare la deformazione effettiva reale e la relativa pres-
sione del pistone nell’estrusione [1], [3], [6], [12], [13] e [20]. L’equazione empirica se-
guente è stata proposta da Johnson [12] per stimare la deformazione nell’estrusione ed è
universalmente accettata come valida:

ex (11.22)

dove ex è la deformazione dell’estrusione e a e b sono delle costanti empiriche per un


certo angolo della matrice. Valori tipici della costante a sono 0.8 e della costante b da
1.2 a 1.5. I valori di a e b tendono ad aumentare con l’aumento dell’angolo della matrice.
La deformazione ex è utile a tenere conto dell’effetto distorsivo dovuto a valori crescenti
dell’angolo matrice α (Figura 11.28).

Figura 11.27 Distrosio-
ne crescente del materia-
a le al crescere dell’angolo
matrice.
a
as

b a

c
a
282 Tecnologia meccanica

La pressione del pistone per effettuare l’estrusione può essere stimata sulla base
della formula di Johnson come segue:

ex(11.23a)

dove è calcolato sulla base della deformazione ideale dell’Equazione (11.20) anzichè
su quella dell’Equazione (11.22). L’Equazione (11.23a) fornisce una stima mediamen-
te corretta della pressione nel caso dell’estrusione inversa, ma sottostima leggermente
la pressione necessaria all’estrusione diretta. Nell’estrusione diretta, l’effetto dell’at-
trito tra le pareti del contenitore e la billetta richiede infatti una pressione del pisto-
ne superiore. Sulla base di questo ragionamento, per calcolare la pressione del pistone
nell’estrusione diretta si può usare la formula empirica seguente:

(11.23b)

dove il termine 2L/D0 quantifica l’incremento di pressione dovuto all’attrito tra la


camera e la billetta. L è la porzione di billetta che rimane ancora da estrudere e D0 è il
diametro originale della billetta. Si noti che p si riduce man mano che la lunghezza resi-
dua della billetta diminuisce durante il processo. La Figura 11.29 mostra i grafici tipici
della pressione del pistone in funzione della sua corsa per l’estrusione diretta e inversa.
L’Equazione (11.23b) probabilmente sovrastima la pressione del pistone. Effettuando
una buona lubrificazione, si riescono a raggiungere valori anche inferiori.
La forza del pistone nell’estrusione indiretta o diretta è semplicemente la pressione
p che deriva rispettivamente dall’Equazione (11.23a) o dall’Equazione (11.23b) moltipli-
cata per l’area A0 della billetta:

A0 (11.24)

dove F è la forza del pistone in N. La potenza necessaria per effettuare l’operazione di


estrusione è quindi

(11.25)

dove P è la potenza in J/s, F la forza del pistone in N e v la velocità del pistone in m/s.
Naturalmente nell’estrusione a caldo, un aumento di temperatura del massello fa dimi-
nuire la forza F di estrusione (poiché diminuisce lo sforzo di flusso) e di conseguenza

Estrusione diretta
Pressione del pistone

Figura 11.28  Grafici della pressione rispetto alla corsa del pi-
Formazione
stone (e alla lunghezza rimanente della billetta da estrudere)
Estrusione inversa del calcio
per l’estrusione diretta e inversa. I valori più elevati dell’estru-
sione diretta sono dovuti all’attrito con la parete della camera.
L’incremento iniziale di pressione delle curve dipende dall’an- Inizio effettivo dell’estrusione
golo della matrice (angoli maggiori causano rampe di pressio-
ne più ripide). L’aumento della pressione alla fine della corsa Corsa del pistone
è dovuto alla formazione del calcio. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Lunghezza della billetta rimanente, L
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 283

la potenza P. All’aumentare della temperatura T è quindi possibile estrudere a velocità v


maggiore (a parità di potenza P) e aumentare quindi la produttività dell’impianto. Tutta-
via, non è possibile aumentare indefinitamente la velocità v al crescere della temperatu-
ra T, poiché se il materiale si rammollisce troppo cominciano ad apparire dei difetti su-
perficiali sotto forma di cricche, per un eccesso di sforzi tangenziali assiali di trazione,
causati dall’attrito del materiale con la zona calibrata della matrice.

Esempio 11.3  Pressioni di estrusione


Una billetta lunga 75 mm con diametro di 25 mm viene sottoposta a un’operazione di
estrusione diretta con un rapporto di estrusione rx = 4.0. L’estruso ha una sezione tra-
sversale circolare. L’angolo della matrice è di 90°. Il metallo in lavorazione ha un coef-
ficiente di resistenza di 415 MPa e un esponente di incrudimento di 0.18. Utilizzare la
formula di Johnson con a = 0.8 e b = 1.5 per stimare la deformazione dell’estrusione.
Determinare la pressione applicata alla fine della billetta dal pistone che si muove in
avanti.

Soluzione: Calcoliamo la pressione del pistone per la billetta di lunghezza L = 75 mm


(valore iniziale), L = 50 mm, L = 25 mm, e L = 0. Calcoliamo la deformazione reale
ideale usando la formula di Johnson e la tensione di flusso media:

e = In rx = In 4.0 = 1.3863

ex = 0.8 + 1.5(1.3863) = 2.8795

– 415(1.3863)0.18
Yf = = 373 MPa
1.18
Per L = 75 mm: avendo un angolo di 90°, si può supporre che il metallo passi attra-
verso l’apertura della matrice quasi immediatamante, quindi la pressione massima
viene raggiunta alla lunghezza iniziale della billetta a 75 mm. Per angoli minori di 90°
la pressione sarebbe aumentata fino al valore massimo che viene raggiunto quando
la billetta ha occupato tutta la sezione conica della matrice, come nel grafico di Figura
11.29. Utilizzando l’Equazione (11.23b),

75
p = 373 2.8795 + 2 = 3312 MPa
25
50
L = 50 mm : p = 373 2.8795 + 2 = 2566 MPa
25
25
L = 25 mm : p = 373 2.8795 + 2 = 1820 MPa
25

Per L = 0: la lunghezza pari a zero è un valore ipotetico nell’estrusione diretta perchè


in realtà è impossibile far fluire tutto il metallo attraverso l’apertura della matrice. Al
contrario, una parte della billetta (il calcio) rimane fuori e la pressione aumenta rapi-
damente man mano che L tende a zero. Questo aumento di pressione alla fine della
corsa si vede nel grafico della pressione del pistone in Figura 11.29. Qui viene calco-
lato il valore minimo della pressione ipotetica del pistone che risulta a L = 0.
0
p = 373 2.8795 + 2 = 1074 MPa
25
Questo è anche il valore della pressione del pistone che sarebbe associata all’estru-
sione inversa per tutta la lunghezza della billetta.
284 Tecnologia meccanica

11.3.3  Matrici e presse da estrusione


Il rapporto di riduzione rx influenza in modo significativo quanta forza occorre per ese-
guire il processo. Inoltre, per rapporti di riduzione troppo alti o troppo bassi aumentano
i rischi di difetti nell’estruso, in primo luogo il rischio di cricche o microfessurazioni sia
sulla superficie esterna sia al centro dell’estruso.
A parità di rapporto di riduzione, le caratteristiche più importanti di una matrice di
estrusione sono l’angolo di inclinazione e la forma del foro. L’angolo, o più precisamente
il semiangolo, è indicato con α in Figura 11.30 (a). Per angoli piccoli, la superficie della
matrice aumenta, causando un aumento dell’attrito tra la billetta e la matrice. Se l’attrito
è più alto, serve una pressione del pistone maggiore. D’altro canto, un angolo grande
provoca una maggiore variazione delle linee di flusso assiale del metallo durante la ri-
duzione della sezione, aumentando anche in questo caso la forza del pistone necessaria,
per via del maggiore lavoro di distorsione. Quindi l’effetto complessivo dell’inclinazio-
ne della matrice sulla forza del pistone si traduce in una curva con un minimo, come
mostrato in Figura 11.30 (b). Esiste quindi un angolo ottimale, che dipende da diversi
fattori (come il materiale in lavorazione, la temperatura della billetta e la lubrificazione)
ed è quindi difficile da determinare in uno specifico processo di estrusione. I progettisti
delle matrici si basano su regole empiriche e su ipotesi per scegliere l’angolo giusto.
Le equazioni precedenti per la pressione del pistone, Equazioni (11.23a e 11.23b), si
applicano a una matrice con foro circolare. Ma anche la forma del foro influisce sulla
pressione del pistone richiesta per eseguire un’operazione di estrusione. Una sezione
trasversale complessa, come quella mostrata in Figura 11.30, richiede una pressione e
una forza maggiori rispetto a una forma circolare. L’effetto della forma del foro può
essere valutata mediante un fattore di forma, definito come il rapporto tra la pressione
necessaria per estrudere una sezione trasversale di una certa forma rispetto alla pres-
sione necessaria per estrudere una sezione circolare della stessa area. Il fattore di forma
può essere espresso come segue:

(11.26)

dove K x è il fattore di forma, Cx è il perimetro della sezione trasversale dell’estruso in


mm e Cc il perimetro di un cerchio della stessa area della forma estrusa in mm.
L’Equazione (11.26) si basa su dati empirici di Altan et al. [1] in un intervallo di va-
lori di Cx/Cc da 1.0 a 6.0 circa. L’equazione può essere valida anche molto oltre il limite
superiore di questo intervallo.

Figura 11.29  (a) Defini- Camera


zione dell’angolo della
matrice nell’estrusione
diretta, (b) effetto dell’an-
Forza (e lavoro) del pistone

golo della matrice sulla Attrito alto per α piccolo


forza del pistone. (Fonte: Angolo
Fundamentals of Modern della
Manufacturing, 4 th Edi- matrice Matrice
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Lavoro ridondante alto
permesso di John Wiley per α grande
& Sons, Inc.) Valore ottimale

Angolo della matrice (α)


Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 285

Figura 11.30 Sezione
trasversale di un estruso
complesso per un dis-
sipatore di calore. Foto
per gentile concessione
di Aluminum Company
of America. (Fonte: Fun-
damentals of M odern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Come indicato dall’Equazione (11.26), il fattore di forma è funzione del perimetro


della sezione trasversale dell’estruso divisa per il perimetro di una sezione trasversale
circolare di area uguale. La forma circolare è quella più semplice e, com’è noto, a mi-
nore perimetro possibile (K x = 1.0). Le sezioni cave o con pareti sottili hanno i fattori di
forma più elevati e sono più difficili da estrudere. Questo aumento della pressione non
è incluso nelle equazioni della pressione precedenti, (11.23a e 11.23b), che si applica-
no solo a sezioni trasversali circolari. Per le altre forme l’espressione per la pressione
nell’estrusione si ottiene moltiplicando i valori da esse forniti per K x. I valori della pres-
sione in queste equazioni possono essere utilizzati nell’Equazione (11.24) per determi-
nare la forza del pistone.
La velocità di efflusso nella matrice è legata all’attrito lungo il tratto calibrato della
matrice. Il rapporto tra area dell’estruso Af e relativo perimetro Cx è un indice di difficol-
tà del processo. Al diminuire di tale rapporto aumenta l’effetto frenante dell’attrito e lo
scambio termico con la matrice. Per questo motivo, profili estrusi che abbiano zone con
forti differenze di spessore tra zone adiacenti, rischiano di avere velocità di estrusione
diverse, per effetto di un diverso rapporto Af /Cx.
I materiali delle matrici utilizzati per l’estrusione a caldo comprendono gli acciai
per utensili e gli acciai legati. Le proprietà importanti di questi materiali per le matrici
sono l’elevata resistenza all’usura, l’elevata durezza a caldo e l’alta conducibilità termica
per rimuovere il calore dal processo. I materiali delle matrici per l’estrusione a freddo
comprendono gli acciai per utensili e i carburi cementati. Le proprietà importanti in
questi processi sono la resistenza all’usura e la capacità di mantenere la forma in con-
dizioni di forti sollecitazioni. I carburi vengono utilizzati quando sono richiesti tassi di
produzione elevati, durata lunga delle matrici e buoni controlli dimensionali.
Le presse di estrusione sono sia orizzontali che verticali, a seconda dell’orienta-
mento dell’asse di lavoro. Quelle orizzontali sono le più comuni. Le presse di estrusione
sono solitamente ad azionamento idraulico, perchè sono particolarmente adatte per la
produzione in semicontinuo di pezzi lunghi, come nell’estrusione diretta. Vengono an-
che usati degli azionamenti meccanici nell’estrusione a freddo di pezzi singoli, come
nell’estrusione a impatto, generalmente operata con presse verticali.

11.3.4  Altri processi di estrusione


L’estrusione diretta e inversa sono i principali metodi di estrusione, ma esistono anche
altre operazioni di estrusione, due delle quali sono esaminate in questa sezione.

Estrusione a impatto  L’estrusione a impatto viene eseguita a velocità più elevate e con
corse più brevi rispetto all’estrusione convenzionale ed è usata per realizzare componenti
286 Tecnologia meccanica

singoli. Come suggerisce il nome, il punzone colpisce il pezzo anzichè applicare una pres-
sione graduale. L’impatto può essere effettuato come estrusione diretta o inversa o attraver-
so una combinazione delle due. Alcuni esempi rappresentativi sono mostrati in Figura 11.32.
L’estrusione a impatto viene eseguita a freddo per diversi metalli. L’estrusione in-
versa è quella più comune. Alcuni prodotti realizzati tramite questo processo sono i
tubetti di dentifricio e gli involucri delle batterie. Come indicato da questi esempi, sugli
estrusi a impatto si possono ottenere delle pareti molto sottili. L’alta velocità consente di
ottenere notevoli riduzioni di sezione e tassi elevati di produzione, rendendo questo tipo
di estrusione un importante processo commerciale.

Estrusione idrostatica  Uno dei problemi dell’estrusione diretta è l’attrito tra la


billetta e il pistone e tra la billetta e la camera di estrusione. Il primo fenomeno non dis-
sipa lavoro per attrito, ma causa spesso incollaggio dell’estruso sul pistone. Per questo
motivo si usa spesso interporre tra pistone e materiale un disco di separazione, detto
dummy block, che viene rimosso al termine del processo. L’attrito con la camera invece
può essere risolto con l’estrusione idrostatica, mettendo cioè del fluido all’interno della
stessa e pressurizzandolo attraverso il movimento in avanti del pistone, come mostrato
in Figura 11.33. In questo modo, si riduce persino l’attrito all’inizio del tratto calibra-
to della matrice. Di conseguenza, la forza del pistone è nettamente inferiore rispetto
all’estrusione diretta convenzionale. Questa estrusione può essere effettuata a tempera-
tura ambiente o a temperature più elevate utilizzando fluidi speciali.

Punzone
Punzone
Pezzo
estruso
Pezzo
Matrice
iniziale
Pezzo
iniziale Matrice

Pezzo estruso

Punzone

Pezzo estruso

Pezzo iniziale Matrice

Figura 11.31  Vari esempi di estrusione a impatto: (a) diretta, (b) inversa e (c) una combinazione delle due. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 287

Camera

Pistone

Figura 11.32 Estrusio-
ne idrostatica. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Forma estrusa
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Matrice 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Fluido in pressione Billetta iniziale & Sons, Inc.)

Come anticipato nel Capitolo 10, la pressione idrostatica sul pezzo aumenta la dut-
tilità del materiale. Pertanto, questo processo può essere utilizzato su metalli che sareb-
bero troppo fragili per operazioni di estrusione tradizionali. Anche i metalli duttili si
possono estrudere idrostaticamente, raggiungendo degli alti rapporti di riduzione. Uno
degli svantaggi di questo processo è la preparazione della billetta iniziale, che deve es-
sere rastremata ad un’estremità per adattarsi all’angolo di entrata della matrice. Questo
serve ad impedire al fluido di fuoriuscire dal foro della matrice quando all’inizio del
processo il contenitore viene pressurizzato.

11.3.5  Difetti dei prodotti estrusi


Data la notevole deformazione che si verifica nelle operazioni di estrusione, nei prodotti
estrusi si possono verificare un certo numero di difetti, classificabili nelle tre seguenti
categorie, illustrate in Figura 11.34.

(a) Rotture interne. Questo difetto consiste in una sorta di crepa interna a forma di
V che si sviluppa a seguito di tensioni di trazione lungo la linea centrale del pez-
zo durante l’estrusione. Sebbene le tensioni di trazione sembrino irrilevanti in un
processo di prevalente compressione come l’estrusione, esse tendono a verificarsi
in particolari condizioni che provocano grandi deformazioni nelle regioni lontane
dall’asse centrale. Lo spostamento significativo di materiale in queste regioni ester-
ne stira il materiale lungo la linea centrale fino alla rottura nel caso le sollecitazioni
siano abbastanza forti. Condizioni che portano alla formazione di queste crepe sono
valori elevati di angolo matrice, rapporti di estrusione bassi e la presenza di impuri-
tà nel metallo in lavorazione che agiscono come punti di innesco di cricche. La cosa
difficile di questi difetti è la loro identificazione, perchè essendo interni non sono
rilevati da un’ispezione visiva.
(b) Cavità di ritiro. Questo è un difetto tipico dell’estrusione diretta. Come mostrato
in Figura 11.34 (b), si tratta della formazione di una cavità alla fine della billet-

Figura 11.33  Difetti di


estrusione: (a) rotture in-
terne, (b) cavità di ritiro
e (c) cricche superficiali.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
288 Tecnologia meccanica

ta, dovuta alla maggiore velocità di estrusione delle zone centrali, meno soggette
all’azione frenante dell’attrito. L’uso di un dummy block sagomato in maniera con-
cava aiuta a compensare questo ritiro.
(c) Cricche superficiali. Questo difetto è causato, come già anticipato, dalle tempe-
rature troppo elevate del pezzo, che provocano delle cricche sulla superficie del
pezzo, immediatamente a valle della matrice, per uno stato tensionale di trazione
causato dall’attrito. Spesso il problema si aggrava a velocità di estrusione alta, per-
chè causa un’elevata velocità di deformazione e la generazione rapida di calore con
ulteriore surriscaldamento del pezzo. Altri fattori che contribuiscono alla rottura
superficiale sono l’attrito elevato e il raffreddamento della superficie delle billette
ad alte temperatura nell’estrusione a caldo.

11.4 Trafilatura di fili e barre

Nel contesto della deformazione massiva, la trafilatura è un’operazione in cui si riduce la


sezione trasversale di una barra o un filo tirandoli attraverso l’apertura di una matrice (o
filiera), come mostrato in Figura 11.35. Le caratteristiche generali del processo sono simili
a quelle dell’estrusione. La differenza è che il pezzo viene tirato attraverso la matrice,
anzichè essere spinto. Sebbene la presenza di tensioni di trazione sia prevalente nella tra-
filatura, anche la compressione gioca un ruolo significativo perché il metallo viene com-
presso radialmente mentre passa attraverso l’apertura della matrice. Per questo motivo,
la deformazione che si verifica nella trafilatura viene anche indicata come compressione
indiretta. Visto che il termine trafilatura è anche usato nella lavorazione della lamiera (Se-
zione 14.3), qui è usato il termine trafilatura di fili e barre per distinguere i due processi.
La differenza fondamentale tra la trafilatura di barre e di fili è la dimensione del
pezzo iniziale che viene lavorato. La trafilatura di barre è il termine usato per barre o
alberi di diametro più grande, mentre la trafilatura di fili si applica a pezzi di diametro
più piccolo. Nella trafilatura di fili le dimensioni possono scendere fino a 0.03 mm nel
diametro. Anche se i meccanismi del processo sono uguali nei i due casi, i metodi, i
macchinari e anche la terminologia sono leggermente differenti.
La trafilatura di barre e tubi di solito è un’operazione di trafilatura discreta: un
pezzo viene tirato attraverso l’apertura di una matrice. Il pezzo iniziale ha diametro
molto grande ed è in forma di barra cilindrica. Al contrario, i fili sono trafilati a par-
tire da bobine costituite da diverse centinaia (o anche anche diverse migliaia) di metri
e vengono fatti passare attraverso una serie di filiere. Il numero di matrici di solito è
compreso tra 4 e 12. Per indicare questo tipo di operazione si usa il termine trafilatura
continua, a causa dei lunghi cicli di produzione che si possono raggiungere usando le
bobine di filo, che possono anche essere saldate tra loro per rendere l’operazione senza
soluzione di continuità.

Filiera

Pezzo iniziale
Figura 11.34 Trafilatu-
ra di barre, alberi o tubi.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.) Dimensione del pezzo finale
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 289

In un’operazione di trafilatura, la variazione delle dimensioni del pezzo di solito è


data dalla riduzione della superficie, definita come segue:
A0
(11.28)
A0
dove r è la riduzione dell’area nella trafilatura, A0 l’area originale del pezzo in mm 2 e
Af l’area finale in mm2. La riduzione dell’area è anche talvolta espressa in percentuale.

11.4.1  Analisi della trafilatura


In questa sezione si considerano i meccanismi della trafilatura di fili e barre, cioè come
calcolare le tensioni e le forze del processo. Saranno fatte anche delle considerazioni
sulle massime riduzioni raggiungibili in un processo di trafilatura.

Meccanica della Trafilatura  In assenza di attrito o di lavoro ridondante, la defor-


mazione reale si può calcolare come segue:
A0
e (11.29)

dove A0 e Af sono le aree iniziale e finale della sezione trasversale del pezzo come defi-
nite in precedenza e r è la riduzione di trafilatura come riportato nell’Equazione (11.28).
La tensione che deriva da questa deformazione ideale è data da
A0
e (11.30)

dove e è la tensione di flusso media in base al valore di deformazione ideale dato


dall’Equazione (11.29).
Poiché l’attrito è ovviamente presente nella trafilatura e il metallo subisce una de-
formazione non rettangolare, ma con distorsione, la tensione effettiva è maggiore di
quella data dall’Equazione (11.30). Oltre al rapporto A0 /Af, le altre variabili che influen-
zano lo sforzo di trafilatura sono l’angolo della matrice α e il coefficiente di attrito tra
pezzo e matrice. Sono stati proposti vari metodi per calcolare la tensione che subisce il
filo trafilato, quindi a valle della filiera, in base ai valori di questi parametri [1], [3] e
[20], tra cui riportiamo l’equazione proposta da Schey [20]:

A0
(11.31)

dove σd è la tensione di trafilatura in MPa, µ il coefficiente di attrito tra pezzo e matrice,


α l’angolo della matrice (semiangolo) come definito in Figura 11.33 e ϕ un fattore che
esprime la disomogeneità della deformazione, che per una sezione circolare è calcolato
nel modo seguente:

D
0,88 ± 0,12 (11.32)
Lc

dove D è il diametro medio del pezzo durante la trafilatura in mm ed Lc la lunghezza


della superficie di contatto del pezzo con la matrice in Figura 11.33 in mm. I valori di D
e Lc si possono calcolare come segue:

(11.33a)
290 Tecnologia meccanica

(11.33b)

La forza di trafilatura corrispondente è pari all’area della sezione trasversale trafilata Af


moltiplicata per la tensione:
A0
(11.34)

dove F è la forza in N e gli altri termini sono quelli già definiti in precedenza. La poten-
za necessaria in una operazione di trafilatura è pari alla forza moltiplicata per la velocità
di uscita del pezzo.

Esempio 11.4 Tensione e forza nella trafilatura di fili


Un filo viene trafilato usando una matrice con angolo di entrata di 15°. Il diametro
iniziale è di 2.5 mm e il diametro finale di 2.0 mm. Il coefficiente di attrito tra pezzo e
matrice è di 0.07. Il metallo ha un coefficiente K = 205 MPa e un esponente di incru-
dimento n = 0.20. Determinare la tensione di trazione e la forza di trafilatura di questa
operazione.

Soluzione: I valori di D e Lc per l’Equazione (11.32) si possono determinare usando le


Equazioni (11.33a e 11.33b): D = 2.25 mm e Lc = 0.966 mm. Quindi si ha che

2.25
φ = 0.88 + 0.12 = 1.16 MPa
0.966

Le aree prima e dopo la trafilatura sono A0 = 4.91 mm2 e Af = 3.14 mm2. La deforma-
zione reale risultante è = ln(4.91/3.14) = 0.446 e la tensione di flusso media:

– 205(0.446)0.20
Yf = = 145.4 MPa
1.20

La tensione di trafilatura è data dall’Equazione (11.31):

0.07
σd = (145.4) 1 + (1.16)(0.446) = 94.1 MPa
tan15

Infine, la forza di trafilatura si calcola moltiplicando questa tensione per l’area della
sezione trasversale del filo in uscita:

F = 94.1(3.14) = 295.5 N

Riduzione massima per passaggio  Occorre solitamente eseguire più di un pas-


saggio per ottenere la riduzione desiderata nella trafilatura. La motivazione è di seguito
chiarita. Dalle equazioni precedenti, è chiaro che all’aumentare della riduzione, la ten-
sione aumenta. Se la riduzione aumenta troppo, la tensione arriva a superare il carico di
snervamento del metallo in uscita. Quando questo si verifica, succede che il filo con-
tinua a plasticizzarsi dopo la trafilatura, allungandosi, anzichè continuare a scorrere e
comprimersi attraverso l’apertura della matrice. Affinchè la trafilatura abbia successo,
la tensione massima deve essere inferiore al carico di snervamento del metallo in uscita.
Determinare questa tensione massima e la corrispondente riduzione massima da
fare in un singolo passaggio è abbastanza semplice sotto determinate ipotesi. Supponia-
mo che un metallo sia perfettamente plastico (n = 0) e non si verifichi nessun attrito e
nessun lavoro ridondante. In questo caso ideale, la tensione massima possibile è uguale
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 291

al carico di snervamento del materiale in lavorazione. Questa quantità si può esprimere


utilizzando l’equazione per la tensione di trafilatura in condizioni di deformazione ide-
ale, l’Equazione (11.30), imponendo Yf = Y (perché n = 0),

A0 A0

Questo significa che ln(A0 /Af) = ln (1/(1 – r)) = 1. Cioè, emax = 1.0. Per rendere emax pari a
zero, A0 /Af = 1/(1 – r) deve essere pari al logaritmo naturale in base e. Di conseguenza, il
rapporto massimo possibile tra le aree è
A0
(11.35)

e la riduzione massima possibile è

(11.36)

Il valore dato dall’Equazione (11.36) è calcolato sotto due ipotesi stringenti, di seguito
discusse.
1) Assenza di incrudimento. Il valore teorico di rmax aumenterebbe se si considerasse
l’effetto del determinante ruolo che l’incrudimento assume nel processo, che viene
eseguito a freddo. L’incrudimento fa aumentare la riduzione massima possibile per-
ché il filo in uscita è più resistente di quello di partenza. Per un materiale metallico
con n>0 è facile dimostrare che si avrebbe:
1
rmax = 1 – (11.37)
e(n + 1)
2) Assenza di attrito e lavoro ridondante. Gli effetti dell’attrito e del lavoro ridondante
riducono drasticamente il valore massimo possibile, perché il lavoro compiuto dallo
sforzo di trafilatura deve eguagliare non soltanto il lavoro di deformazione ideale,
ma anche le componenti di lavoro ridondante e di atttrito. Questo richiede un valore
di sd più alto del teorico e un conseguente minor valore di riduzione massima am-
missibile. Questo aumento è difficile da stimare analiticamente.

I limiti di riduzione usati nella pratica industriali sono di 0.50 per la trafilatura di barre
e 0.30 per la trafilatura di fili.

11.4.2  Consigli pratici sulla trafilatura


La trafilatura di solito viene eseguita come un’operazione di lavorazione a freddo per
produrre sezioni circolari, anche se possono essere trafilate anche forme quadrate o al-
tre forme. La trafilatura di fili è un processo industriale importante, che consente la pro-
duzione di molti prodotti commerciali come i cavi e i fili elettrici, i fili per le recinzioni,
gli appendiabiti, i carrelli della spesa, i fili per la produzione di chiodi, viti, rivetti, mol-
le e altri elementi. La trafilatura di barre viene utilizzata per produrre barre metalliche
usate nella lavorazione meccanica, nella forgiatura e in altri processi.
I vantaggi della trafilatura in queste applicazioni includono (1) un buon controllo
dimensionale, (2) una buona finitura superficiale, (3) dei miglioramenti nelle proprietà
meccaniche come la resistenza e la durezza e (4) una buona adattabilità sia alla produ-
292 Tecnologia meccanica

zione economica discreta che di massa. Nei conduttori in rame si osserva anche una
diminuzione di resistenza elettrica nel materiale trafilato rispetto a quello originale. Le
velocità di trafilatura arrivano ai 50 m/s per i fili molto sottili. Nel caso di trafilatura
di barre per fornire i semilavorati per la lavorazione meccanica, l’operazione migliora
anche la lavorabilità della barra.
Preparazione del pezzo Prima di essere trafilato, il pezzo iniziale deve essere pre-
parato adeguatamente. La preparazione comprende tre fasi: (1) ricottura, (2) pulitura
e (3) preparazione della punta. Lo scopo della ricottura è quello di aumentare la dut-
tilità del pezzo per migliorare la deformazione durante la trafilatura. Come già detto
in precedenza, a volte è necessaria una ricottura tra i vari passaggi nella trafilatura
continua. La pulitura del pezzo è necessaria per evitare danni alla superficie del pezzo e
alla matrice. Essa comporta la rimozione dei contaminanti (come il calcare e la ruggine)
mediante decapaggio o sabbiatura. In alcuni casi, dopo la pulitura viene eseguita una
prelubrificazione della superficie da lavoro.
La preparazione della punta comporta la riduzione del diametro dell’estremità ini-
ziale del pezzo in modo che possa essere inserito attraverso la matrice all’inizio del
processo. Questo viene effettuato di solito tramite ricalcatura, laminazione o tornitura.
L’estremità appuntita del pezzo viene poi inserita nelle morse del carro o di un altro di-
spositivo per avviare il processo di trafilatura.

11.4.3  Macchine e utensili per la trafilatura


La trafilatura di barre è effettuata da una macchina chiamata trafilatrice, che è co-
stituita da una tavola di ingresso, un supporto della matrice (che contiene la matrice
stessa), un carro e un binario di uscita. La disposizione delle attrezzature è mostrata in
Figura 11.35. Il carro viene utilizzato per tirare il pezzo attraverso la matrice ed è ali-
mentato da cilindri idraulici o catene motorizzate. Il supporto della matrice di solito può
sostenere più matrici, in modo da poter tirare più barre contemporaneamente attraverso
le loro rispettive matrici.
La trafilatura di fili viene effettuata su macchine trafilatrici continue che consisto-
no di diverse filiere separate da tamburi di accumulo, come mostrato in Figura 11.36.
Ogni tamburo, chiamato cabestano, è motorizzato per fornire la forza di trazione ade-
guata per tirare il filo attraverso la matrice a monte. Il cabestano serve anche a mantene-
re una leggera tensione sul filo mentre avanza verso la matrice successiva. Ogni filiera
Pezzo iniziale Tavola di ingresso

Supporto della filiera

Barre estruse

Carro

Cilindro idraulico
Figura 11.35 Trafilatrice
ad azionamento idrauli- Binario di uscita
co per barre metalliche.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 293

produce una certa riduzione del filo, in modo che alla fine della serie si raggiunga la
riduzione totale desiderata. A seconda del metallo da lavorare e della riduzione da effet-
tuare, a volte è necessaria una ricottura del filo tra i gruppi di matrici di una serie. Prima
di ogni filiera il filo viene lubrificato nel passaggio attraverso una scatola contenente
appunto del lubrificante. Questo serve a ridurre lo sforzo di trafilatura, aumentare il
rapporto di riduzione e ridurre il rischio di difetti.

Matrici di trafilatura  La Figura 11.36 mostra le caratteristiche di una tipica filiera.


Si possono distinguere quattro regioni della matrice: (1) imbocco, (2) tratto conico, (3)
tratto calibrato e (4) rilascio. La regione di imbocco ha di solito una forma a campana
che non entra in contatto con il pezzo. Il suo scopo è quello di incanalare il lubrificante
nella matrice e impedire lo scheggiamento del pezzo e della superficie della matrice.
Il tratto conico è dove effettivamente avviene il processo di trafilatura. È a forma
di cono con un angolo (semiangolo α) che generalmente varia dai 6° ai 20° circa. Valori
troppo piccoli generano un non necessario aumento di forza (e corrispondente sforzo) di
trafilatura, per via dell’aumento della superficie di contatto e quindi del lavoro dissipato
per attrito. Valori troppo elevati di α generano rischi di difettosità del trafilato. La cor-
retta angolazione varia a seconda del materiale da lavorare e, come in estrusione esiste
un valore ottimo di α che minimizza il lavoro compiuto dal pistone, in trafilatura esiste
un valore ottimo che minimizza il lavoro compiuto dal carro. Analogamente a quanto
già visto al paragrafo 4.3.5, anche i prodotti trafilati non sono esenti da possibili difetti,
molti dei quali dipendono proprio dal valore di α. I più tipici sono:
– per bassi valori di riduzione, all’aumentare dell’angolo di matrice α si può assistere
prima alla formazione di cricche interne (simili a quelle di estrusione), poi alla for-
mazione di zona morta e infine alla pelatura del cavo, che in questo caso non viene
interamente trafilato, ma subisce un’asportazione di materiale in direzione radiale;
– per elevati valori di riduzione, all’aumentare dell’angolo di matrice α si può assiste-
re prima alla formazione di zona morta e poi alla frattura del filo trafilato.

Il tratto calibrato determina e stabilizza la dimensione dell’estruso finale. Un tratto


calibrato troppo lungo genera elevate forze di attrito, mentre un tratto troppo corto può
causare imprecisioni dimensionali del prodotto.
Infine, il rilascio posteriore è la zona di uscita e di solito ha un angolo (semiangolo)
di circa 30°. Le matrici di trafilatura sono realizzate in acciai per utensili o carburi ce-
Scatola di lubrificazione
Filo iniziale (in bobina)
Filiera

Cabestano (contiene diversi giri di filo)

Figura 11.36  Trafilatura continua di fili. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
294 Tecnologia meccanica

mentati. Le matrici per la produzione di fili ad alta velocità utilizzano spesso inserti in
diamante (sia sintetico che naturale) per le superfici che si usurano in fretta.

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Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 295

Domande di ripasso
13. Cosa si intende per rifilatura nel contesto della for-
 1. Quali sono le ragioni per cui i processi di deforma- giatura a matrice semi-chiusa?
zione massivi sono importanti commercialmente e 14. Q uali sono i due tipi fondamentali di attrezzatura
tecnologicamente? per la forgiatura?
 2. Elencare i quattro processi fondamentali della de- 15. Che cos’è la forgiatura isotermica?
formazione massiva. 16. Cosa si intende per estrusione?
 3. Cos’è la laminazione nel contesto dei processi di 17. Spiegare la differenza tra l’estrusione diretta e in-
deformazione massivi? versa.
 4. Elencare alcuni dei prodotti realizzati in un laminatoio. 18. Citare alcuni prodotti che vengono realizzati me-
 5. Che cos’è la luce in un’operazione di laminazione? diante estrusione.
 6. Che cos’è l’incollaggio in un’operazione di lamina- 19. Perché bisogna considerare l’attrito nel determi-
zione a caldo? nare la forza del pistone nell’estrusione diretta ma
 7. Identificare i modi con cui si può ridurre la forza nel- non in quella inversa?
la laminazione piana. 20. Cosa si intende per trafilatura di barre e trafilatura
 8. Che cos’è un laminatoio a due cilindri contrapposti? di fili?
 9. Che cos’è un laminatoio reversibile? 21. Anche se il pezzo in un’operazione di trafilatura è
10. Che cos’è la forgiatura? ovviamente sottoposto a tensioni di trazione, che
11. Un modo per classificare le operazioni di forgiatura ruolo svolgono le tensioni di compressione nel pro-
è il grado in cui viene vincolato il pezzo nella matri- cesso?
ce. Elencare le classi delle operazioni di forgiatura 22. In un’operazione di trafilatura, perché la tensione
secondo questa classificazione. non deve mai superare il carico di snervamento del
12. Perché nella forgiatura a matrice semi-chiusa è uti- metallo lavorato?
le la formazione del flash?

Problemi
efficiente di attrito tra i cilindri e il pezzo è di 0.15. La
1. Una piastra di acciaio a basso contenuto di carbonio luce è uguale ad ogni passaggio. Determinare (a) il
spessa 42.0 mm viene ridotta a 34.0 mm in un’uni- numero minimo di passaggi necessari e (b) la luce
ca laminazione. Poiché lo spessore si riduce, la lar- per ogni passaggio.
ghezza della piastra aumenta del 4%. La resistenza 4. Nel problema precedente, si supponga che ad ogni
allo snervamento della lamiera di acciaio è 174 MPa passaggio sia uguale la riduzione percentuale anzi-
e la resistenza alla trazione di 290 MPa. La velocità chè la luce. (a) Qual è il numero minimo di passaggi
di ingresso della piastra è 15.0 m/min. Il raggio del richiesto? (b) Qual è la luce ad ogni passaggio?
cilindro è 325 mm e la velocità di rotazione di 49.0 5. Una piastra larga 250 mm e spessa 25 mm viene
giri/min. Determinare (a) il coefficiente di attrito mi- ridotta ad uno spessore di 20 mm in un unico pas-
nimo richiesto per rendere possibile questa opera- saggio in laminatoio a due cilindri contrapposti. Il
zione di laminazione, (b) la velocità di uscita della cilindro ha un raggio di 500 mm e la sua velocità è
piastra e (c) lo slittamento in avanti. di 30 m/min. Il materiale in lavorazione ha un coef-
2. Una lastra è spessa 20 mm, larga 100 mm e lunga ficiente di resistenza di 240 MPa e di un esponente
120 mm. Lo spessore viene ridotto in tre passaggi in di incrudimento esponente di 0.2. Determinare (a) la
una operazione di laminazione a caldo. Ogni passo forza del cilindro, (b) la coppia del cilindro e (c) la
riduce la lastra al 75% del suo spessore preceden- potenza necessaria ad eseguire questa operazione.
te. Si sa che la lastra si allarga del 3% ad ogni pas- 6. Risolvere il Problema 11.5 per un cilindro di raggio
saggio. Se la velocità di ingresso della lastra nella di 250 mm.
prima passata è di 40 m/min e la velocità del cilindro 7. Un’unica passata di laminazione riduce una piastra
è la stessa per i tre passaggi, determinare: (a) la lun- da 20 mm a 18 mm. La piastra di partenza era larga
ghezza e (b) la velocità di uscita della lastra dopo la 200 mm. Il raggio del cilindro è 250 mm e la veloci-
riduzione finale. tà di rotazione 12 giri/min. Il materiale in lavorazione
3. Una serie di operazioni di laminazione a freddo ven- ha un coefficiente di resistenza di 600 MPa e un un
gono utilizzate per ridurre lo spessore di una piastra esponente di incrudimento di 0.22. Determinare (a)
da 50 mm fino a 25mm in un laminatorio inverso a la forza del cilindro, (b) la coppia del cilindro e (c) la
due cilindri. Il diametro dei cilindri è 700 mm e il co- potenza necessaria per questa operazione.
296 Tecnologia meccanica

 8. Una pezzo cilindrico è forgiato a tiepido in uno attrito è 0.1. Si consiglia di usare un foglio di calcolo
stampo aperto. Il diametro iniziale è di 45 mm e per risolvere il problema.
l’altezza iniziale di 40 mm. L’altezza dopo la for- 13. Un’asta di collegamento è progettata per essere
giatura è di 25 mm. Il coefficiente di attrito tra il forgiata a caldo in matrice semi-chiusa. La proie-
pezzo e la matrice è 0.20. La resistenza allo zione dell’area del pezzo è 6500 mm2. La forma
snervamento del materiale in lavorazione è di della matrice causa dei flash durante la forgiatura
285 MPa e la sua curva di flusso è definita da un e la proiezione dell’area comprensiva dei flash è
coefficiente di resistenza di 600 MPa e un espo- 9000 mm2. La forma del pezzo è considerata com-
nente di incrudimento di 0.12. Determinare la for- plessa. Se riscaldato, il materiale cede a 75 MPa e
za dell’operazione (a) quando viene raggiunto il non ha la tendenza a indurire. Determinare la forza
punto di snervamento (snervamento per deforma- massima necessaria per eseguire l’operazione.
zione = 0.002), (b) ad una altezza di 35 mm, (c) ad 14 U na billetta cilindrica lunga 100 mm di diame-
una altezza di 30 mm e (d) ad una un’altezza di 25 tro di 50 mm viene ridotta per estrusione indiretta
mm. Si consiglia di usare un foglio di calcolo per (all’indietro) ad un diametro di 20 mm. L’angolo di
risolvere il problema. inclinazione della matrice è di 90°. Nell’equazione
 9. Un’operazione di ricalcatura a freddo viene esegui- di Johnson, a = 0.8 e b = 1.4. Nella curva di flusso
ta per produrre la testa di un chiodo d’acciaio. Si sa del metallo in lavorazione, il coefficiente di resisten-
che il coefficiente di resistenza di questo acciaio è za è 800 MPa e l’esponente di incrudimento 0.13.
di 600 MPa e il suo esponente di incrudimento è Determinare (a) il rapporto di estrusione, (b) la de-
0.22. Il coefficiente di attrito tra il pezzo e la matrice formazione reale (deformazione omogenea), (c) la
è 0.14. Il filo di partenza da cui si produce il chio- deformazione dell’estrusione, (d) la pressione del
do ha un diametro di 5.00 mm. La testa deve avere pistone e (e) la forza del pistone.
un diametro di 9.5 mm e uno spessore di 1.6 mm. 15. Una billetta lunga 75 mm di diametro di 35 mm vie-
La lunghezza finale del chiodo è di 120 mm. (a) Di ne ridotta per estrusione diretta ad un diametro di
che lunghezza deve sporgere il filo dalla matrice in 20 mm. La matrice di estrusione ha un angolo di
modo da fornire un volume sufficiente di materiale 75°. Per il metallo in lavorazione, K = 600 MPa e
per questa operazione di forgiatura? (b) Calcolare n = 0.25. Nell’equazione di Johnson, a = 0.8 e b =
la forza massima che deve applicare il punzone per 1.4. Determinare (a) il rapporto di estrusione, (b) la
formare la testa del chiodo. deformazione reale (deformazione omogenea), (c)
10. Reperire un grosso chiodo comune (a testa piatta). la deformazione dell’estrusione e (d) la pressione
Misurare il diametro e lo spessore della testa, così e la forza del pistone a L = 70, 60, 50, 40, 30, 20 e
come il diametro del chiodo. (a) Che lunghezza del 10 mm. Si consiglia di usare un foglio di calcolo per
filo deve sporgere dalla matrice per avere materia- risolvere il punto (d).
le sufficiente per produrre il chiodo? (b) Utilizzando 16. Un pezzo a forma di tazza viene ottenuto per estru-
valori adeguati di resistenza ed esponente di incru- sione indiretta a partire da uno slebo di alluminio di
dimento per il metallo con cui è fatto il chiodo (Ta- 50 mm di diametro. Le dimensioni finali della tazza
bella 3.4), calcolare la forza massima nell’operazio- sono: OD = 50 mm, ID = 40 mm, altezza = 100 mm
ne di ricalcatura per formare la testa. e spessore della base = 5 mm. Determinare (a) il
11. Un’operazione di forgiatura a caldo viene eseguita rapporto di estrusione, (b) il coefficiente di forma
in uno stampo aperto. Il pezzo di partenza ha un e (c) l’altezza dello slebo di partenza necessaria a
diametro di 25mm e un’altezza di 50 mm. Il pez- raggiungere le dimensioni finali. (d) Sapendo che il
zo viene forgiato fino a raggiungere un diametro metallo ha come parametri della curva di flusso K
medio di 50 mm. Il metallo in lavorazione a questa = 400 MPa e n = 0.25, e le costanti dell’equazione
temperatura elevata cede a 85 MPa (n = 0). Il coef- di Johnson sono a = 0.8 e b = 1.5, determinare la
ficiente di attrito tra il pezzo e la matrice è di 0.40. forza dell’estrusione.
Determinare (a) l’altezza finale del pezzo e (b) la 17. D eterminare il coefficiente di forma per ognuna
forza massima dell’operazione. delle forme dei fori delle matrici di estrusione in Fi-
12. U na pressa idraulica da forgiatura è in grado di gura P11.24.
esercitare una forza massima di 1.000.000 N. Si 18. U n’operazione di estrusione diretta produce la
deve forgiare a freddo un pezzo cilindrico, che ini- sezione trasversale mostrata in Figura P11.24 (a)
zialmente ha un diametro 30 mm e un’altezza di 30 a partire da una billetta in ottone di diametro 125
mm. La curva di flusso del metallo è definita da K = mm e lunghezza 350 mm. I parametri della curva
400 MPa e n = 0.2. Determinare la riduzione massi- di flusso dell’ottone sono K = 700 MPa e n = 0.35.
ma di altezza a cui la pezzo può essere compresso Nell’equazione di Johnson, a = 0.7 e b = 1.4. Deter-
con questa pressa, sapendo che il coefficiente di minare (a) il rapporto di estrusione, (b) il coefficien-
Processi di deformazione plastica massiva dei metalli 297

Figura P11.24  Forme delle sezioni trasversali per il Problema 11.24 (le dimensioni sono in mm): (a) barra rettangolare, (b)
tubo, (c) canale e (d) alette di raffreddamento. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

te di forma, (c) la forza necessaria per azionare il 21. Un’operazione di estrusione diretta produce la se-
pistone in avanti durante l’estrusione al punto in cui zione trasversale mostrata in Figura P11.24 (d) a
la lunghezza della billetta rimanente nel contenito- partire da una billetta di alluminio di diametro di
re è 300 mm e (d) la lunghezza del pezzo estruso 150 mm e lunghezza di 900 mm. I parametri della
alla fine dell’operazione sapendo che il volume del curva di flusso per l’alluminio sono K = 240 MPa
calcio nel contenitore è di 600,000 mm3. e n = 0.16. Nell’equazione di Johnson, a = 0.8 e
19. Un’operazione di estrusione diretta produce la se- b = 1.5. Determinare (a) il rapporto di estrusione,
zione trasversale mostrata in Figura P11.24 (b) a (b) il coefficiente di forma, (c) la forza necessaria
partire da una billetta di rame di diametro di 100 per azionare il pistone in avanti durante l’estrusio-
mm e di lunghezza di 500 mm. Nella curva di flusso ne al punto in cui la lunghezza della billetta rima-
per il rame, il coefficiente di resistenza è 300 MPa nente nel contenitore è 850 mm e (d) la lunghezza
e l’esponente di incrudimento 0.50. Nell’equazione del pezzo estruso al termine dell’operazione sa-
di Johnson, a = 0.8 e b = 1.5. Determinare (a) il rap- pendo che il volume del calcio nel contenitore è di
porto di estrusione, (b) il coefficiente di forma, (c) 600,000 mm3.
la forza necessaria per azionare il pistone in avan- 22. Un rocchetto di filo ha un diametro iniziale di 2.5
ti durante l’estrusione al punto in cui la lunghezza mm. Esso viene fatto passare attraverso una matri-
della billetta rimanente nel contenitore è 450 mm ce con una apertura di 2.1 mm. L’angolo di ingresso
e (d) la lunghezza del pezzo estruso al termine della matrice è di 18°. Il coefficiente di attrito tra il
dell’operazione sapendo che il volume del calcio pezzo e la matrice è di 0.08. Il metallo in lavorazio-
nel contenitore è di 350,000 mm3. ne ha un coefficiente di resistenza di 450 MPa e
20. U n’operazione di estrusione diretta produce la un esponente di incrudimento di 0.26. La trafilatura
sezione trasversale mostrata in Figura P11.24 (c) viene eseguita a temperatura ambiente. Determi-
a partire da una billetta di alluminio di diametro di nare (a) la riduzione dell’area, (b) la tensione della
150 mm e lunghezza di 500 mm. I parametri della trafilatura e (c) la forza necessaria per l’operazione.
curva di flusso per l’alluminio sono K = 240 MPa 23. Una barra con diametro iniziale di 90 mm viene tra-
e n = 0.16. Nell’equazione di Johnson, a = 0.8 e filata con una riduzione di 15 mm. La matrice ha un
b = 1.2. Determinare (a) il rapporto di estrusione, angolo di ingresso di 18°. Il coefficiente di attrito tra
(b) il coefficiente di forma, (c) la forza necessaria il pezzo e la matrice è 0.08. Il metallo si comporta
per azionare il pistone in avanti durante l’estrusio- come un materiale perfettamente plastico con ten-
ne al punto in cui la lunghezza della billetta rima- sione di snervamento di 105 MPa. Determinare (a)
nente nel contenitore è 400 mm e (d) la lunghezza la riduzione dell’area, (b) la tensione della trafilatu-
del pezzo estruso al termine dell’operazione sa- ra, (c) la forza necessaria per l’operazione e (d) la
pendo che il volume del calcio nel contenitore è di potenza per poter eseguire l’operazione sapendo
600,000 mm3. che la velocità di uscita è 1.0 m/min.
Lavorazione della lamiera

Capitolo 12
La lavorazione della lamiera consiste nelle operazioni di taglio e di formatura eseguite
su fogli di metallo relativamente sottili. Gli spessori tipici delle lamiere sono tra gli 0.4
mm e i 6 mm. Quando lo spessore supera i 6 mm, la lamiera prende il nome di lastra. I
g- fogli e le lastre utilizzate nella lavorazione della lamiera sono prodotti mediante lamina-
li. zione. Il metallo più usato per le lamiere è l’acciaio a basso tenore di carbonio (di solito
di dallo 0.06% allo 0.15%). Il suo basso costo e la sua buona formabilità, combinati con la
resistenza sufficiente per molte applicazioni, lo rendono un materiale di partenza ideale.
ia La lavorazione della lamiera è molto significativa dal punto di vista economico. Si con-
sideri il numero di prodotti di consumo e industriali che includono pezzi fatti con lamiere
La
metalliche: parti di automobili e camion, aerei, vagoni, locomotive, macchinari da terra
la e agricoli, elettrodomestici, mobili per ufficio e molti altri. In questi prodotti l’uso delle
z- lamiere è evidente perché sono all’esterno, ma anche molti dei loro componenti interni
te sono realizzati in lamiere o lastre metalliche. I pezzi in lamiera di solito sono caratteriz-
ni zati da un’elevata resistenza, una buona precisione dimensionale, una buona finitura su-
e- perficiale e un costo relativamente basso. Per i componenti che devono essere realizzati
in in grandi quantità, si possono progettare delle operazioni di produzione di massa piut-
4) tosto economiche per realizzare i pezzi. Le lattine in alluminio sono un ottimo esempio.
le Il processo di lavorazione della lamiera di solito è eseguito a temperatura ambiente (la-
o vorazione a freddo), a eccezione di quando il pezzo è troppo spesso, se il metallo è fra-
gile o se serve raggiungere una notevole deformazione: in questi casi le lavorazioni sono
comunque eseguite a tiepido ma non a caldo. Infatti a caldo il materiale diventa troppo
tenero e dato lo spessore sottile tende a assottigliarsi e fratturarsi molto facilmente nei
processi convenzionali per deformazione di lamiere.
La maggior parte delle operazioni sulle lamiere vengono eseguite da macchine utensili
si- chiamate presse. Per distinguerle da quelle di estrusione o forgiatura, si usa il termine
he presse da stampaggio. L’utensile che esegue la lavorazione delle lamiere è chiama-
il to punzone o matrice, a seconda del ruolo e della forma. Le lamiere prodotte sono
mo chiamate stampaggi. Per facilitare la produzione di massa, le lamiere vengono spesso
usate in strisce lunghe o rotoli. I vari tipi di utensili e di presse di stampaggio sono de-
scritti nel Paragrafo 12.5. I paragrafi finali del capitolo riguardano varie operazioni che
a- non utilizzano gli utensili convenzionali e che per la maggior parte non sono eseguiti su
ta presse. Le tre categorie principali dei processi di lavorazione della lamiera sono (1) di
taglio, (2) di piegatura e (3) di imbutitura. Il taglio viene utilizzato per dividere i fogli di
ae
grandi dimensioni in pezzi più piccoli, per preparare gli spezzoni semilavorati prima di un
ce successivo processo, oppure per eliminare, dopo la formatura, delle parti esterne (tran-
in ciatura) o interne (punzonatura) al pezzo. La piegatura e l’imbutitura sono i due processi
fondamentali usati per modellare i pezzi di lamiera nelle forme richieste.
300 Tecnologia meccanica

12.1 Operazioni di tranciatura

La tranciatura della lamiera viene effettuata attraverso un’apposita azione di taglio tra
due bordi taglienti, illustrata nelle quattro immagini di Figura 12.1: il profilo tagliente
superiore (punzone) penetra all’interno di un profilo di taglio inferiore fisso (matrice).
Quando il punzone inizia a fare pressione sul pezzo, si verifica una deformazione pla-
stica sulla superficie della lamiera. Man mano che il punzone si muove verso il basso, si
verifica la fase di penetrazione in cui il punzone comprime la lamiera e infine comin-
cia a tagliare il metallo. Questa zona di penetrazione di solito è a circa un terzo dello
spessore della lamiera. Dopo la fase di penetrazione con deformazione inizia la fase di
formazione della superficie di frattura tra i due taglienti, con una cricca che inizia da
entrambi i taglienti e procede verso il centro. Se la distanza tra il punzone e la matrice è
corretta, le due linee di frattura si incontrano, causando una netta separazione del pezzo
in due parti.
I bordi della lamiera tagliata appaiono come mostrato in Figura 12.2. Nella parte
superiore della superficie di taglio c’è una regione arrotondata (detta anche “caduta”),
che corrisponde alla fase di pressione del punzone prima del taglio, cioè dove avviene
la deformazione plastica iniziale del pezzo. Appena sotto l’arrotondamento vi è una
regione relativamente liscia, che deriva dalla penetrazione del punzone nel pezzo prima
della frattura. Ancora più sotto vi è la zona di frattura, una superficie relativamente
ruvida del bordo di taglio, dove la discesa del punzone ha causato la frattura del metallo.
Infine, nella parte inferiore del bordo è presenta una bava, causata dall’allungamento
del metallo durante la separazione finale tra le due parti.

v v, F v, F v, F

Punzone
Punch
Deformazione
Plastic
Penetrazione
Penetration
deformation
plastica

gc Frattura
Fracture

Matrice
Die
(1) (2) (3) (4)

Figura 12.1  Taglio di una lamiera tra due profili taglienti: (1) appena prima che il punzone entri in contatto con la lamiera, (2)
il punzone comincia a fare pressione sulla lamiera, causando una deformazione plastica, (3) il punzone comprime e penetra
nella lamiera provocando una superficie liscia di taglio e (4) inizia la frattura ai due lati opposti dei bordi taglienti che separano
la lamiera. I simboli v ed F indicano rispettivamente la direzione di movimento e la forza applicata, t0 è lo spessore del pezzo
e c il gioco tra il punzone e la matrice. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Arrotondamento
Brunitura

Zona di frattura

Bava
Figura 12.2  Forma del bordo di un pezzo di lamiera tagliato. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 301

12.1.1  Cesoiatura, tranciatura e punzonatura


Le tre operazioni più importanti per tagliare il metallo usando il meccanismo di taglio
appena descritto sono la cesoiatura, la tranciatura e la punzonatura.
La cesoiatura è un’operazione di taglio lungo una linea retta tra due bordi taglienti,
come mostrato in Figura 12.3 (a). Di solito si utilizza per il taglio di lastre di grandi
dimensioni in sezioni più piccole da usare nelle successive operazioni di stampaggio.
Viene eseguito su una macchina chiamata cesoia elettrica o cesoia a lame quadrate.
La lama superiore della cesoia spesso viene inclinata, come mostrato in Figura 12.3 (b),
per ridurre la forza di taglio.
La tranciatura prevede il taglio della lamiera lungo un contorno chiuso in un unico
passaggio per separare il pezzo interno dal resto, come mostrato in Figura 12.4 (a). La
parte interna che viene tagliata è il prodotto finale ed è detta grezzo o spezzone. La
punzonatura è simile alla tranciatura solo che serve a produrre dei fori interni ai pezzi.
La parte di scarto interna al foro è detta sfrido. La distinzione tra tranciatura e punzo-
natura è illustrata in Figura 12.4 (b).

12.1.2  Analisi ingegneristica del taglio della lamiera


I parametri di processo nel taglio della lamiera sono il gioco g tra il punzone e la matri-
ce, lo spessore t0 della lamiera, il tipo di metallo e la sua resistenza, e la lunghezza del
taglio, cioè il perimetro l. Definiamo quindi questi parametri e le relazioni che ci sono
tra loro.

Figura 12.3 Operazione
di cesoiatura: (a) vista la-
terale dell’operazione di
Punzone cesoiatura, (b) vista fron-
di cesoiatura tale di una cesoia elettri-
ca con la lama di taglio
superiore inclinata. Il sim-
bolo v indica il movimen-
to. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing,
Matrice 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

Striscia (scarto)
Pezzo

Figura 12.4 Tranciatu-
ra (a) e punzonatura (b).
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
Pezzo grezzo 4th Edition by Mikell P.
Sfrido
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
302 Tecnologia meccanica

Gioco  In un’operazione di cesoiatura il gioco g è la distanza tra il punzone e la matri-


ce, come mostrato in Figura 12.1 (a). I giochi tipici nelle lavorazioni tradizionali sono tra
il 4% e l’8% dello spessore della lamiera t0. Il gioco corretto dipende dal tipo di lamiera
e dal suo spessore e può essere calcolato con la formula seguente:
g = Ag t0(12.1)
dove g è il gioco in mm, Ag è il margine di variazione del gioco e t0 è lo spessore della
lamiera in mm. La variazione del gioco si determina in base al tipo di metallo. Per co-
modità, i metalli sono classificati in tre gruppi indicati in Tabella 12.1, ognuno con un
valore specifico di margine di variazione. Il valore di Ac è direttamente proporzionale
alla radice quadrata della resistenza al taglio del materiale Rt.
Questi valori di gioco possono essere applicati anche alla tranciatura e alla punzo-
natura per determinare le dimensioni appropriate del punzone e della matrice. La ma-
trice deve essere sempre più grande del punzone (ovviamente). A causa della geometria
del bordo tagliato, la dimensione esterna del pezzo tagliato della lamiera è maggiore
della dimensione del foro. Quindi, le dimensioni di punzone e matrice per tranciare un
pezzo circolare di diametro Db sono determinate come segue:
Diametro del punzone di tranciatura = Db – 2g(12.2a)
Diametro della matrice di tranciatura = Db(12.2b)
Le dimensioni di punzone e matrice per un foro punzonato di diametro Dh sono deter-
minate come segue:
Diametro del punzone di punzonatura = Dh  (12.3a)
Diametro della matrice di punzonatura = Dh + 2g  (12.3b)
Affinché il pezzo tranciato o il foro vengano facilmente estratti dalla matrice, l’apertura
delle matrice deve avere una parete leggermente inclinata tra 0.25° e 1.5° da ogni lato
(vedere Figura 12.6).

Forze di taglio  Le stime della forza di taglio sono importanti perché questa forza
determina le dimensioni (tonnellaggio) della pressa necessaria. La forza di taglio F nella
lavorazione della lamiera è calcolata come
Fmax = Rt t0 l(12.4)
dove Rt è la resistenza al taglio della lamiera in MPa, t0 è lo spessore del pezzo in mm
ed l è la lunghezza del solco di taglio in mm. In tranciatura, punzonatura e operazioni
analoghe, l è la lunghezza del perimetro del pezzo o del foro da tagliare. L’effetto del
gioco nel determinare il valore di l può essere trascurato. Se la resistenza al taglio non è
nota, si ricordi che Rt è pari a circa 0.7 ÷ 0.8 Rm (la resistenza a trazione).
Queste equazioni per la forza di taglio Fmax ipotizzano che il taglio dell’intero perime-
tro di lunghezza l venga fatto in simultanea. In questo caso la forza di taglio assume il suo

TABELLA 12.1 Valori di gioco tra punzone e matrice per le tre categorie di metalli

Categoria di metalli Ac
Leghe di alluminio 1100S e 5052S, tutti i trattamenti 0.045
Leghe di alluminio 2024ST e 6061ST, tutti i trattamenti dell’ottone, acciaio tenero laminato a freddo, acciaio 0.060
inox tenero
Acciaio incrudito laminato a freddo, acciaio inox duro 0.075
Fonte [3].
Lavorazione della lamiera 303

Punzone

Lamiera

dimensione
Matrice
del punzone

= dimensione
della matrice

Pezzo tranciato

Figura 12.5  Le dimensioni della matrice determinano le dimensioni del pezzo tranciato D b e le
dimensioni del punzone determinano le dimensioni del foro Dh; g = gioco. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

valore massimo. È possibile ridurre la forza necessaria usando un bordo di taglio inclinato Parte dritta (per l’affilatura)
sul punzone o sulla matrice, come in Figura 12.3 (b). L’angolo (chiamato angolo di taglio),
distribuisce il taglio in un intervallo di tempo più lungo e riduce così la forza usata in un
singolo istante. Tuttavia, l’energia totale necessaria per il funzionamento è la stessa, sia Matrice Matrice
che sia concentrata in un momento sia che sia distribuita su un periodo di tempo più lungo,
ed è proporzionale al prodotto tra Fmax e t0. Nella punzonatura ad angolo retto la corsa del Gioco angolare
punzone è circa pari allo spessore del pezzo t0. Se invece il tagliente è inclinato, la corsa
dovrà essere leggermente più lunga, di una quantità che possiamo indicare col simbolo H Figura 12.6  Gioco ango-
lare. (Fonte: Fundamen-
(mm). In questo caso, la forza massima si riduce, diventando pari a:
tals of Modern Manufac-
F’max = Fmax t0 (12.5) turing, 4th Edition by Mikell
(H+ t0) P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Esempio 12.1  Gioco e forza di tranciatura
Si deve tranciare un disco di 150 mm di diametro da una striscia di 3.2 mm di acciaio
semiduro laminato a freddo la cui resistenza al taglio è 310 MPa. Determinare (a) le
opportune dimensioni di matrice e punzone e (b) la forza di tranciatura.

Soluzione: (a) Dalla Tabella 12.1 si ha che la variazione del gioco per l’acciaio semi-
duro laminato a freddo è Ac = 0.075. Di conseguenza,
c = 0.075(3.2 mm) = 0.24 mm
Il pezzo tranciato deve avere un diametro di 150 mm, quindi si ha che:
Diametro dell’apertura della matrice = 150.00 mm
Diametro del punzone = 150 – 2(0.24) = 149.52 mm
(b) Per determinare la forza di tranciatura, si assume che l’intero perimetro venga
tranciato in una sola volta. La lunghezza della linea di taglio è
L = pD b = 150p = 471.2
e la forza è
F = 310(471.2)(3.2) = 467,469 N (~ 53 tons)
304 Tecnologia meccanica

12.1 Operazioni di piegatura

Nella lavorazione della lamiera la piegatura è definita come la deformazione del metallo
intorno a un asse rettilineo, come mostrato in Figura 12.7. Durante l’operazione di pie-
gatura, il metallo interno rispetto al piano neutro (intradosso) subisce una compressio-
ne, mentre il metallo esterno (estradosso) subisce un allungamento. Queste condizioni
di deformazione sono mostrate in Figura 12.7 (b). Il metallo si deforma plasticamente e
rimane nella nuova condizione anche dopo che le tensioni che hanno causato la piega-
tura vengono rimosse. La piegatura produce una variazione trascurabile dello spessore
della lamiera.

12.2.1  Piegatura a V e piegatura ad angolo retto


Le operazioni di piegatura vengono eseguite usando come utensili un punzone e una
matrice. I due metodi di piegatura più comuni con i relativi utensili sono la piegatura a
V, eseguita con una matrice per l’appunto di forma a V su cui il punzone comprime la
lamiera, e la flangiatura, eseguita con una matrice rientrata, su cui il punzone striscia
con l’interposizione della lamiera. Questi due metodi sono illustrati in Figura 12.8.
Nella piegatura a V, la lamiera viene piegata usando una matrice e un punzone a
forma di V. Mediante le matrici a V si possono fare sia angoli molto ottusi sia molto
acuti. La piegatura a V di solito viene utilizzata per operazioni a bassi ritmi produttivi.
Spesso è eseguita su una pressa piegatrice (Paragrafo 12.5.2) e le matrici a V associate
sono relativamente semplici e poco costose. In alcuni casi la matrice non ha la forma a
V, ma fornisce solo i punti di appoggio al foglio, la piegatura avviene dunque in aria. In
questo caso si controlla l’angolo di curvatura tramite la corsa del punzone.

Figura 12.7  (a) Piega-


w Fibre
Metal tese
stretched
tura della lamiera, (b) b
compressione e allun- Piano dell’asse
Neutral axis
gamento che si verifica- plane
neutro Asse neutro
Neutral axis
R t0
no durante la piegatura.
(Fonte: Fundamentals of Fibre compresse
Metal compressed
α′
Modern Manufacturing, BendAsse
axis
di piegatura
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.) (a) (b)

Fbh Fbh

Punzone Punzone
Premilamiera

Matrice Matrice

Figura 12.8  Due metodi diffusi di piegatura: (a) piegatura a V e (b) flangiatura; (1) prima e (2) dopo la piegatura. Simboli: v =
movimento, F = forza di piegatura applicata, Fbh = Forza di contrasto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 305

La flangiatura prevede l’applicazione di un carico a un lato della lamiera. Si usa un pre-


milamiera per applicare una forza Fbh per tenere la base del pezzo a contatto con la matrice,
mentre il punzone spinge l’altra estremità del pezzo a piegarsi oltre il bordo della matrice.
Nella configurazione mostrata in Figura 12.8 (b), la piegatura è limitata ad angoli di 90° o
inferiori. Si possono progettare delle matrici con profili più complicati per avere angoli di
piegatura superiori ai 90°. A causa della presenza del blocco premilamiera, queste matrici
sono più complicate e costose di quelle a V e di solito si usano per ritmi produttivi più elevati.

12.2.2  Analisi ingegneristica della piegatura


I termini principali usati nella piegatura della lamiera sono identificati in Figura 12.7. Il
metallo di spessore t0 viene piegato di un angolo chiamato angolo di piegatura α. Questo
si traduce nell’ottenere un pezzo di lamiera inclinato di un angolo α’ tale che α’ + α =
180°. Il raggio di curvatura R di solito si riferisce al raggio interno del pezzo anziché
all’asse neutro ed è determinato dal raggio degli utensili usati per effettuare l’operazio-
ne, cioè dal punzone in piegatura a V e dalla matrice in flangiatura. La larghezza del
pezzo che viene piegato è indicata con b.

Allungamento in piegatura  Se il raggio di curvatura è piccolo rispetto allo spes-


sore del pezzo, il metallo tende complessivamente ad allungarsi durante la piegatura.
È importante essere in grado di stimare la quantità di deformazione, se presente, che si
verifica in modo che la lunghezza del pezzo finale corrisponda a quella specificata. Il
problema è determinare la lunghezza dell’asse neutro prima della piegatura per tenere
conto dello stiramento nel pezzo piegato finale. Questa lunghezza è chiamata margine
di allungamento di piegatura e può essere calcolata come segue:

(12.6)

dove Ab è il margine di allungamento di piegatura in mm, α è l’angolo di piegatura in gradi,


R il raggio di curvatura in mm, t0 lo spessore della lamiera in mm e Kba è un coefficiente che
stima l’allungamento. I valori di progetto consigliati il coefficiente Kba sono i seguenti [3]:
se R < 2t0, Kba = 0.33, e se R ≥ 2t0, Kba = 0.50. I valori di Kba prevedono che l’allungamento si
verifichi solo se il raggio di curvatura è piccolo rispetto allo spessore della lamiera.

Ritorno elastico  Quando al termine dell’operazione di deformazione si rimuove la


pressione di piegatura, l’energia elastica che rimane nel pezzo piegato causa una ten-
denza del pezzo a ritornare verso la sua forma iniziale. Questo fenomeno è chiamato
ritorno elastico ed è definito come l’aumento dell’angolo del pezzo piegato rispetto
all’angolo dell’utensile dopo che questo è stato rimosso. Questo fattore è illustrato in
Figura 12.9 e si esprime come:

(12.6)

dove SB è il ritorno elastico (o springback), α’ l’angolo del pezzo piegato in gradi e α’b
l’angolo dell’utensile di piegatura in gradi. A causa del ritorno elastico si verifica anche
un aumento del raggio di curvatura, da Rp (raggio utensile di piegatura) ad R, con un
rapporto tra Rp ed R circa pari al rapporto tra α’b ed α’. Il ritorno elastico aumenta all’au-
mentare del modulo di elasticità E e della resistenza allo snervamento R s del materiale.
Ci sono vari metodi per compensare gli effetti del ritorno elastico, quelli più comuni
sono la sovrapiegatura (overbending) e la stiro-piegatura. Nella sovrapiegatura, l’angolo
e il raggio del punzone sono leggermente inferiori all’angolo che deve avere il pezzo finale
306 Tecnologia meccanica

così che il pezzo assuma l’angolo giusto dopo il ritorno elastico. La stiro piegatura richie-
de la sovrapposizione di sforzi di trazione sul pezzo alla fine oppure durante la piegatura,
in modo da aumentare la componente plastica della deformazione. Un altro modo per
aumentare la plasticizzazione del materiale è aumentare la corsa del punzone, in modo che
esso comprima verticalmente la lamiera, schiacciandola contro la matrice.

Forza di piegatura  La forza necessaria per eseguire la piegatura dipende dalla for-
ma del punzone-matrice e dalla resistenza, dallo spessore e dalla lunghezza della lamie-
ra. La forza di piegatura massima può essere calcolata mediante la seguente equazione:
Rm
b 0
(12.8)

dove F è la forza di piegatura in N, Rm è la resistenza alla trazione della lamiera in MPa,


b è la larghezza del pezzo nella direzione dell’asse di curvatura in mm, t0 è lo spessore
del pezzo in mm e D è la dimensione dell’apertura della matrice, come definita in Fi-
gura 12.10, in mm. L’Equazione (12.8) si riferisce alla piegatura di una trave e Kbf è una
costante sperimentale che serve a rendere la formulazione più realistica. Il suo valore
dipende dal tipo di piegatura: per la piegatura a V Kbf = 1.33, per la piegatura ad angolo
Kbf = 0.33. In altre formulazioni della 12.8, si sostituisce lo snervamento R s ad Rm, utiliz-
zando differenti valori per la costante sperimentale.

Punzone

Matrice

Figura 12.9  Il ritorno elastico nella piegatura si manifesta come un aumento dell’angolo di piega-
tura e del raggio di curvatura: (1) durante l’operazione, il pezzo è costretto ad assumere il raggio
R p e l’angolo interno α’b determinati dallo strumento di piegatura (il punzone nella piegatura a V),
(2) dopo che il punzone viene rimosso, il pezzo assume il raggio R e l’angolo finale α’. Il simbolo F
indica la forza di piegatura applicata. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Punzone
38 w = 44.5

Matrice t = 3.2 R = 4.75


25

120°

(Vista
(Sidelaterale)
view) (Vista
(End finale)
view)

Figura 12.10 Dimensione D dell’apertura della matrice: (a) Figura 12.11  Lamiera dell’esempio 12.2 (misure in mm).
matrice a V, (b) matrice ad angolo. (Fonte: Fundamentals of (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edi-
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. tion by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permes-
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) so di John Wiley & Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 307

Esempio 12.2  Piegatura della lamiera


Una lamiera deve essere piegata come mostrato in Figura 12.11. Il metallo ha un coefficiente
di elasticità di 205 (103) MPa, una tensione di snervamento di 275 Mpa e una resistenza alla
trazione di 450 MPa. Determinare (a) la dimensione iniziale del pezzo e (b) la forza di piegatura
nel caso si usi una matrice a V con una dimensione dell’apertura di 25 mm.

Soluzione: (a) Il pezzo di partenza ha una larghezza di 44.5 mm. La sua lunghezza è 38 + A b
+ 25 (mm). Per l’angolo α’ = 120°, l’angolo di piegatura è α = 60°. Il valore di Kba nell’Equazione
(12.6) è 0.33 perché R/t0 = 4.75/3.2 = 1.48 (che è minore di 2.0).

Ab = 2p 60 (4.75 1 0.33 3 3.2) = 6.08


360
La lunghezza del pezzo è quindi 38 + 6.08 + 25 = 69.08 mm.
(b) La forza si ottiene dall’Equazione (12.8) con Kbf = 1.33.

F = 1.33(450)(44.5)(3.2) = 10,909 N
2

2.5

12.2.3  Altre operazioni di piegatura e formatura


Ci sono delle altre operazioni sulle lamiere che comportano una piegatura su un asse
curvo anzichè retto, o che hanno altre caratteristiche che li differenziano dalle opera-
zioni di piegatura appena descritte.

Flangiatura, orlatura, aggraffatura e arricciatura  La flangiatura è un’opera-


zione di piegatura in cui il bordo della lamiera viene piegato (solitamente) di 90° a
formare una flangia. Si usa per rafforzare o irrigidire la lamiera. La flangia può essere
formata su un asse di piegatura diritta, come in Figura 12.12 (a), o può comportare una
contrazione o un allungamento del metallo, come in Figura 12.12 (b) e 12.12 (c).
L’orlatura comporta la piegatura del bordo della lamiera su se stesso, attraverso più fasi di
piegatura. Questa operazione ha la funzione di eliminare il bordo tagliente del pezzo, aumen-
tare la rigidità e migliorare l’aspetto. L’aggraffatura è un’operazione simile usata per unire i
bordi di due lamiere. L’orlatura e l’aggraffatura sono illustrate in Figura 12.13 (a) e (b).
L’arricciatura, chiamata anche bordatura, forma i bordi del pezzo in un rotolo o
ricciolo, come mostrato in Figura 12.13 (c). Come l’orlatura, anche l’arricciatura è fatta
per migliorare la sicurezza, la resistenza e l’estetica del pezzo. Esempi di prodotti in cui
Figura 12.12  Flangiatu-
ra: (a) flangiatura dritta,
(b) flangiatura interna, e
(c) flangiatura esterna.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 12.13  (a) Orla-


tura, (b) aggraffatura e
(c) arricciatura. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
308 Tecnologia meccanica

viene utilizzata l’arricciatura sono le cerniere, le pentole e le padelle, e le casse degli


orologi da tasca. Questi esempi dimostrano che l’arricciatura può essere eseguita su assi
di piegatura sia diritti che curvi.

12.3 Imbutitura

L’imbutitura è un’operazione di lavorazione della lamiera usata per realizzare oggetti


a forma di bicchiere, scatola o altre forme concave più complesse. Viene eseguita po-
sizionando un pezzo di lamiera sulla cavità di una matrice e poi spingendo il metallo
nell’apertura della matrice usando un punzone, come mostrato in Figura 12.14. Il pezzo
iniziale è tenuto teso contro la matrice per mezzo di un premilamiera. Esempi di oggetti
realizzati con questa tecnica sono le lattine delle bevande, gli involucri dei proiettili, i
lavelli, le pentole e i pannelli della carrozzeria delle automobili.

12.3.1  Meccanica dell’imbutitura


Prendiamo come riferimento l’imbutitura di un pezzo a forma di bicchiere (imbutitura
cilindrica), con le dimensioni e i parametri illustrati in Figura 12.14. Una lamiera ini-
ziale di diametro D viene imbutita nella cavità di una matrice per mezzo di un punzone
di diametro dp. Il punzone e la matrice hanno degli angoli arrotondati, di raggio rispet-
tivamente Rp e Rd, perché se avessero degli spigoli vivi (Rp e Rd = 0) ne risulterebbe
un’operazione di punzonatura (peraltro di cattiva qualità) anziché di imbutitura. I lati
del punzone e della matrice sono separati da una distanza (gioco) g. Questo gioco deve
essere maggiore di circa il 10% dello spessore del pezzo.

g = C t0 (12.9)

Figura 12.14  (a) Imbuti-


tura di un pezzo a forma
Punzone
di bicchiere: (1) all’inizio
dell’opera zione prima
che il punzone entri in Premilamiera
contatto con la lamiera
e (2) quasi alla fine della
corsa; (b) pezzo corri-
spondente: (1) pezzo ini-
ziale e (2) pezzo imbutito. Matrice
I simboli sono: g = gioco,
D = diametro del pezzo
iniziale, d p = diametro
del punzone, R d = rag-
gio d’angolo della matri-
ce, R p = raggio d’angolo
del punzone, F = forza
di imbutitura, Fbh = forza
di ritenuta esercitata dal
premilamiera. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 309

dove C è una costante empirica che dipende dal materiale in lavorazione che vale circa 1.1. Il
punzone applica una forza F verso il basso per realizzare la deformazione del metallo e una for-
za di ritenuta verso il basso Fbh viene applicata dal premilamiera, come mostrato nell’immagine.
Man mano che il punzone procede verso la sua posizione finale, il pezzo subisce
una complessa sequenza di tensioni e deformazioni che lo formano nella forma definita
della cavità tra il punzone e la matrice. Le fasi del processo di deformazione sono illu-
strati in Figura 12.15. Quando il punzone inizia a premere sul pezzo, il metallo viene
sottoposto a un’operazione prevalente di piegatura. La lamiera viene piegata lungo
l’angolo del punzone e quello della matrice, come in Figura 12.15 (2). In questa prima
fase il perimetro esterno del pezzo comincia a spostarsi verso il centro.
Man mano che il punzone procede nella sua corsa, si verifica un’azione di raddrizza-
tura del metallo precedentemente piegato all’angolo della matrice, come mostrato in Figura
12.15 (3). Il metallo al fondo del bicchiere, nonché quello lungo il raggio del punzone, viene
spostato verso il basso assieme al punzone, ma il metallo che si era piegato lungo il raggio
della matrice a questo punto viene raddrizzato all’interno del gioco per formare la parete del
cilindro. Contemporaneamente nuovo materiale viene alimentato dalla zona della flangia
della matrice, per rimpiazzare quello che va a costituire la parete del cilindro. Questo tipo di
flusso di metallo attraverso uno spazio ristretto dà il nome di imbutitura al processo.
Durante questa fase del processo, l’attrito e la compressione giocano ruoli importanti
sulla flangia del pezzo iniziale. Affinché il materiale nella flangia si sposti verso l’aper-
tura della matrice, occorre che esso vinca l’attrito che si forma a contatto con le super-

Raddrizzatura
Piegatura

Compressione
e ispessimento
delle flange

Figura 12.15  Fasi della deformazione del pezzo nell’imbutitura: (1) appena prima del contatto iniziale tra il punzone e il pezzo,
(2) piegatura, (3) raddrizzatura, (4) attrito e compressione e (5) pezzo finale a forma di bicchiere che mostra gli effetti dell’assot-
tigliamento delle pareti. I simboli sono: v = movimento del pistone, F = forza del punzone, Fh = forza di ritenuta del premilamiera.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
310 Tecnologia meccanica

fici del premilamiera e della matrice. Inizialmente, si tratta di attrito statico prima che il
metallo inizi a scorrere; dopo l’inizio dello scorrimento, esso diventa attrito dinamico. Il
valore della forza di ritenuta applicata dal premilamiera, così come quello dell’attrito alle
due interfacce, sono i fattori determinanti per il successo di questa fase dell’imbutitura.
Per ridurre le forze di attrito di solito si usano dei lubrificanti. Oltre all’attrito tangenzia-
le, si verifica anche un fenomeno di compressione sulla flangia del pezzo, in direzione
verticale, cioè normale al piano della lamiera, e in direzione circonferenziale. Quando
il metallo viene imbutito verso il centro, il perimetro esterno diventa infatti sempre più
piccolo. Poiché il volume di metallo deve rimanere costante, man mano che il perimetro
si riduce il metallo viene schiacciato e tende a inspessire. Questo stato di compressione
circonferenziale può anche provocare la formazione di grinze sulla flangia, specie quando
si lavora una lamiera sottile, o quando la forza del premilamiera è troppo bassa. Questa è
una situazione che non può essere corretta a posteriori e le grinze possono anche essere
attirate nella parete cilindriche, rendendo il pezzo sicuramente difettoso. Gli effetti dell’at-
trito e della compressione sono illustrati in Figura 12.15 (4).
La forza del premilamiera diventa un fattore critico dell’imbutitura. Se è troppo
bassa, rischia di provocare grinze. Se è troppo alta, aumentano le forze di attrito che
impediscono al metallo di scorrere correttamente verso la cavità della matrice, provo-
cando un possibile eccessivo assottigliamento o addirittura la frattura della lamiera.
Occorre quindi determinare la forza Fbh corretta per trovare un compromesso tra questi
comportamenti opposti.
Lo spostamento progressivo verso il basso del punzone fa continuare il flusso del
metallo causato dall’imbutitura e dalla compressione, e causa anche un assottiglia-
mento della parete del cilindro, come mostrato in Figura 12.15 (5). La parete cilindrica
del pezzo si trova quindi in stato di sforzo di trazione in direzione verticale, perché è
soggetto alla spinta del punzone ma è frenato dall’attrito e dal premilamiera. In una nor-
male operazione di imbutitura, può verificarsi un assottigliamento della parete laterale
fino al 25%, soprattutto in prossimità del raggio del punzone.

12.3.2  Analisi ingegneristica dell’imbutitura


È importante valutare le limitazioni alla realizzazione di un’operazione di imbutitura,
che dipendono da alcune misure facilmente calcolabili. Due importanti variabili del
processo sono la forza di imbutitura e quella di ritenuta e anche la dimensione del pezzo
iniziale deve essere considerata.

Misure dell’imbutitura  Una delle misure del grado di difficoltà dell’imbutitura è il


rapporto di imbutitura DR (Drawing Ratio). Questo rapporto si definisce facilmente
per una forma cilindrica come il rapporto DR = D/Dp tra il diametro del pezzo iniziale
D e il diametro del punzone Dp.
Il rapporto di imbutitura fornisce un’indicazione, anche se grossolana, del grado di
difficoltà di una determinata operazione. Maggiore è il rapporto, più pesante è l’ope-
razione. Un limite superiore approssimativo del rapporto di imbutitura, chiamato LDR
(Limiting Drawing Ratio) è pari a circa LDR = 2.0. Il limite effettivo per un’operazione
specifica dipende da molti fattori, tra cui prima di tutto le caratteristiche meccaniche
del materiale, dai raggi di curvatura del punzone e della matrice (Rp e Rd), dalle condi-
zioni di attrito, dalla profondità dell’imbutitura. Le caratteristiche della lamiera che in-
fluenzano il valore di LDR sono la duttilità (per esempio espressa tramite il coefficiente
di incrudimento n, come definito al Capitolo 3) e l’anisotropia. Lamiere che abbiano
valori più elevati di n sono più formabili e mostrano minore tendenza alla formazione di
grinze nonché valori più elevati, per un dato processo, di LDR.
Lavorazione della lamiera 311

L’anisotropia della lamiere è causata dal processo di laminazione, ed è soprattutto


presente per lamiere sottili prodotte per laminazione a freddo. In questo caso la lamina-
zione deforma e orienta i grani metallurgici in direzione della laminazione. Si definisce
anisotropia normale la quantità:
eb
Ra = (12.10)
et
dove eb ed et sono rispettivamente la deformazione trasversale e nello spessore di un provino da
prova di trazione, mentre il pedice a indica l’angolo formato dall’asse del provino e la sua dire-
zione di laminazione. Tipicamente ra si può calcolare in direzione 0° (cioè in direzione di lami-
nazione), 45° o 90°. Per un materiale perfettamente isotropo, si ha r0= r45= r90=1. Se invece il
valor medio di anisotropia normale è maggiore di 1, la lamiera mostra una tendenza a opporsi
all’assottigliamento, cioè preferenzialmente si deforma nel suo piano piuttosto che nello spes-
sore, per cui ha maggiore formabilità in imbutitura e determina un valore più elevato di LDR.
Un altro parametro importante per misurare la difficoltà nel produrre un pezzo
sano è il rapporto spessore-diametro t0 /D. Questo rapporto spesso viene espresso in
percentuale, e deve essere almeno pari o maggiore dell’1%. Se il rapporto t0/D diminui-
sce, aumenta la tendenza del metallo a formare grinze (Paragrafo 12.3.4).
Nei casi in cui questi limiti sul rapporto di imbutitura DR o sul rapporto t0 /D non
vengano rispettati nella progettazione del pezzo imbutito, il pezzo iniziale dovrà essere
imbutito in due o più fasi, eventualmente effettuando una ricottura del pezzo tra di esse.

Forze La forza di imbutitura necessaria per eseguire una certa operazione può es-
sere stimata approssimativamente tramite la formula seguente:

Rm (12.11)

dove F è la forza di imbutitura in N, t0 è lo spessore del pezzo iniziale in mm, Rm è la resistenza


alla trazione in MPa e D e Dp sono il diametro del pezzo iniziale e quello del punzone in mm.
La costante 0.7 è un fattore di correzione per tenere conto dell’attrito. L’Equazione (12.11) stima
la forza massima dell’operazione. La forza di imbutitura varia durante la discesa del punzone
e di solito raggiunge il suo valore massimo a circa un terzo della lunghezza della sua corsa.
La forza di ritenuta è un fattore importante in un’operazione di imbutitura. In prima
approssimazione, la pressione esercitata dal premilamiera può essere impostata a un valore
di 0.015 del carico di snervamento della lamiera [8]. Questo valore viene poi moltiplicato per
la porzione di superficie del pezzo che viene tenuta dal premilamiera. In forma di equazione:
Rs (12.12)

Esempio 12.3 Imbutitura cilindrica


Si utilizza un’operazione di imbutitura per formare un bicchiere cilindrico di diametro interno di
75 mm e altezza di 50 mm. La dimensione del pezzo iniziale è 138 mm e il suo spessore è 2.4
mm. Sulla base di questi dati, determinare se l’operazione di imbutitura è fattibile.

Soluzione: Per valutare la fattibilità dell’operazione, bisogna determinare il rapporto di imbu-


titura e il rapporto spessore-diametro.
DR = 138/75 = 1.84
r = (138 – 75)/138 = 0.457 = 45.7%
t0/D = 2.4/138 = 0.017 = 1.7%
In base a queste misure, si può asserire che l’operazione di imbutitura è fattibile, perché il rap-
porto di imbutitura è inferiore a 2.0, e il rapporto t0 /D è superiore all’1%. Queste sono le linee
guida usate in generale per valutare la fattibilità tecnica dell’operazione.
312 Tecnologia meccanica

dove Fbh è la forza del premilamiera in N, R s è il carico di snervamento della lamiera in


MPa, t0 è lo spessore del pezzo iniziale in mm, Rd è il raggio di curvatura allo spigolo
della matrice in mm e gli altri termini come definiti in precedenza. La forza del premi-
lamiera di solito è pari a circa un terzo della forza di imbutitura [10].

Definizione delle dimensioni del pezzo iniziale  Per poter realizzare il pezzo fi-
nale delle giuste dimensioni, bisogna correttamente dimensionare il pezzo iniziale. Esso
deve essere sufficientemente grande per fornire metallo sufficiente a formare completa-
mente il bicchiere, ma non così grande da venire sprecato. Anche per realizzare forme non
cilindriche c’è sempre il problema di stimare la dimensione del pezzo iniziale, solo che la
sua forma può essere diversa da quella tonda (rettangolare, ovale o sagomata).
Un metodo ragionevole per valutare il diametro del pezzo iniziale per un’operazione
di imbutitura che produca una pezzo circolare (per esempio una tazza cilindrica o tron-
co-conica, ma anche forme più complesse purché siano assialsimmetriche) è il seguente.
Poiché il volume del pezzo finale deve essere uguale a quello della lamiera di partenza, il
diametro del pezzo iniziale può essere calcolato impostando il volume iniziale uguale al
volume finale e risolvendo l’equazione per trovare il diametro D. Per facilitare il calcolo,
spesso si assume che l’assottigliamento delle pareti sia trascurabile. In realtà la variazione
di spessore localmente non è mai trascurabile: le zone più esterne del disco iniziale si
ispessiscono e le zone più interne si assottigliano per effetto dell’imbutitura; complessiva-
mente si può approssimare lo spessore medio di tutto il pezzo come costante.

12.3.3  Altre operazioni di imbutitura


La nostra discussione finora si è concentrata sulle operazioni di imbutitura tradizionali
che producono una semplice forma cilindrica in un unico passaggio e utilizzano un pre-
milamiera per facilitare il processo. Prendiamo ora in considerazione alcune delle molte
varianti di questa operazione di base.

Re-imbutitura  Se la forma del pezzo richiesta dal progetto è troppo distante dalla
forma iniziale (cioè il rapporto di imbutitura è troppo alto), la formatura completa del
pezzo può richiedere più di una fase di imbutitura. La seconda fase di imbutitura e le
eventuali fasi successive sono indicate come re-imbutiture. Un’operazione di re-imbu-
titura è illustrata in Figura 12.16.
Un’operazione simile è l’imbutitura inversa, in cui un pezzo già imbutito viene po-
sizionato ribaltato sulla matrice in modo che la seconda operazione di imbutitura produca
una forma come quella mostrata in Figura 12.17. Anche se può sembrare che l’imbutitura

Esempio 12.4  Le forze nell’imbutitura


Per l’operazione di imbutitura dell’Esempio 12.3, determinare (a) la forza di imbutitura e (b) la
forza del premilamiera, sapendo che la resistenza alla trazione della lamiera (acciaio a basso
contenuto di carbonio) è 300 MPa e la tensione di snervamento è 175 MPa. Il raggio della ma-
trice è 6 mm.

Soluzione: (a) La forza massima dell’imbutitura è data dall’Equazione (12.11):

F = p(75)(2.4)(300) 138 – 0.7) = 193.396 N


75
(b) la forza di ritenuta si calcola usando l’Equazione (13.12):

Fh = 0.015(175)p(1382 2 (75 1 2.2 3 2.4 1 2 3 6)2) = 86,824 N


Lavorazione della lamiera 313

Figura 12.16  Re-imbu-


titura di una tazza: (1)
inizio della seconda im-
butitura e (2) fine della
corsa. I simboli sono: v =
velocità del punzone, F =
forza applicata dal pun-
zone, Fbh forza applicata
dal premilamiera. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Figura 12.17  Imbutitura


inversa: (1) inizio e (2)
fine. I simboli sono: v =
velocità del punzone, F
= forza applicata dal pun-
zone, Fbh forza applicata
dal premilamiera. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

inversa produca una deformazione maggiore rispetto alla re-imbutitura, in realtà è più
facile da eseguire. La ragione è che nell’imbutitura inversa la lamiera viene piegata nella
stessa direzione sugli angoli esterni e interni della matrice, mentre nella re-imbutitura la
lamiera è piegata in direzioni opposte ai due angoli. A causa di questa differenza, il metal-
lo subisce meno incrudimento nell’imbutitura inversa e la forza di imbutitura è inferiore.

Imbutitura di forme non assialsimmetriche  Molti prodotti richiedono l’imbutitura


di forme diverse dalla cilindrica. Si possono realizzare altri profili assialsimmetrici (coppe a
gradini, coni, coppe a base sferica anziché piatta) e non. La forme tipiche non assialsimme-
triche sono quadrate o rettangolari (come nei lavandini) e altre forme più irregolari (come i
pannelli della carrozzeria delle automobili). Nelle forme rettangolari o irregolari, è spesso
necessario che la matrice sia chiusa anche sul fondo e che il pezzo a fine lavorazione sia
completamente a contatto con essa. In questo caso il processo di imbutitura prende il nome
di “stampaggio”. Ogni forma diversa presenta specifici problemi tecnici da considerare.
Eary e Reed [2] forniscono una discussione dettagliata dell’imbutitura di questi tipi di forme.

12.3.4  Difetti nell’imbutitura


L’imbutitura delle lamiere è un’operazione più complessa di quanto lo sia il taglio o la
piegatura e ci sono più rischi di produrre dei pezzi difettosi. Nei pezzi imbutiti si pos-
sono verificare un certo numero di difetti, alcuni dei quali sono già stati descritti. Di
seguito sono riportati i difetti più comuni, i cui disegni sono mostrati in Figura 12.18:
314 Tecnologia meccanica

Figura 12.18  Difetti comuni dei pezzi imbutiti: grinze che possono verificarsi sia (a) nella flangia che (b) nel pezzo, (c) frattura,
(d) irregolarità del bordo (earing), (e) graffi e rigature superficiali. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

(a) Grinze sulla flangia. La grinzatura di un pezzo consiste di una serie di pieghe che
si formano radialmente nella flangia non utilizzata dal pezzo a causa di instabilità
plastica, dovuta a un eccesso di sforzo di compressione circonferenziale.
(b) Grinze sulle pareti. Se una flangia grinzata viene imbutita, cioè attirata dentro la
matrice, le grinze appariranno anche nella parete verticale.
(c) Frattura. Una cricca si può aprire nella parete verticale, di solito in prossimità del
fondo del bicchiere, a causa delle tensioni di trazione elevate che causano un assotti-
gliamento e un cedimento del metallo in quella posizione. Questo tipo di difetto può
verificarsi anche in prossimità dell’imbocco della matrice, se il raggio di spigolo in
matrice non è stato ben progettato, cioè è troppo piccolo.
(d) Irregolarità del bordo. Questo difetto riguarda la formazione di irregolarità (chia-
mate earing) sul bordo superiore di un bicchiere imbutito, causate dalla anisotropia
planare nella lamiera. Si ha anisotropia planare quando i valori di anisotropia nor-
male r0, r45 ed r90 sono diversi tra loro. Un materiale con r0 = r45= r90≠1 esibisce
certamente anisotropia normale, ma non planare, per cui non forma earing.
(e) Graffiature superficiali. Le graffiature superficiali si possono verificare se le super-
fici del punzone o della matrice non sono lisce o se la lubrificazione è insufficiente.

12.4 Altre operazioni di lavorazione della lamiera


Oltre alla piegatura e l’imbutitura, ci sono molte altre operazioni delle lamiere che possono
essere realizzate usando presse tradizionali, che si possono classificare nel modo seguente:
(1) operazioni eseguite con utensili di metallo e (2) operazioni eseguite con utensili flessibili.

12.4.1  Operazioni eseguite con utensili di metallo


Le operazioni eseguite con utensili di metallo includono (1) la stiratura, (2) la coniatura
e (3) l’incisione.

Figura 12.19  Operazione di sti-


ratura per ottenere uno spessore
uniforme nella bicchiere: (1) inizio
del processo, (2) durante il pro-
cesso. Notare l’assottigliamento e
l’allungamento delle pareti. I sim-
boli v e F indicano rispettivamente
il movimento e la forza applicata.
Matrice (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mi-
kell P. Groover, 2010. Ristampato
con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 315

Stiratura  Nell’imbutitura le parti più esterne della flangia tendono a inspessirsi, men-
tre le zone prossime al raggio punzone si assottigliano. Quindi lo spessore risultante del
pezzo non è uniforme. L’operazione di stiratura (ironing) serve a calibrare lo spessore del
bicchiere, rendendolo costante, eseguendo un’operazione di imbutitura, con gioco ridotto.
Molto spesso la stiratura viene eseguita come una fase separata che segue l’imbu-
titura. Questo caso è illustrato in Figura 12.19. La stiratura rende lo spessore di parete
del bicchiere cilindrico più uniforme. Il pezzo imbutito si allunga e il processo risulta
anche più efficiente in termini di consumo di materiale. Le lattine per le bevande e gli
involucri dei proiettili, due articoli di altissima produzione, includono la stiratura nelle
loro fasi di lavorazione per economizzare l’uso di materiale.

Coniatura  La coniatura è un’operazione di deformazione massiva già discussa nel ca-


pitolo precedente. Viene usata spesso nella lavorazione della lamiera per formare delle
rientranze o dei rilievi nei pezzi. Le rientranze causano un assottigliamento della lamiera,
mentre i rilievi causano un ispessimento. Può essere usata anche per creare rientranze nel-
la lamiera, come nervature di rinforzo, simili a quelle mostrate in Figura 12.20. In questa
operazione sono coinvolti degli stiramenti e degli assottigliamenti del metallo.

Incisione  L’incisione è un’operazione combinata di taglio e piegatura o taglio e for-


matura eseguita in un unico passaggio per separare una parte del metallo dalla lamiera.
Alcuni esempi sono mostrati in Figura 12.21. Tra le altre applicazioni, l’incisione viene
usata per realizzare le aperture delle prese d’aria per il riscaldamento e il condiziona-
mento degli edifici.

12.4.2  Processi di formatura con utensili in gomma


Le due operazioni descritte qui di seguito vengono eseguite su presse convenzionali,
ma con degli utensili insoliti in quanto sono elementi flessibili (in gomma o materiale
simile). Le operazioni sono (1) il processo Guerin e (2) l’idroformatura.

Figura 12.20 Coniatura:
(a) sezione trasversale
della configurazione di
punzone e matrice duran-
te la pressatura, (b) pezzo
finale con le nervature in
rilievo. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell
P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 12.21  Diverse for-


me di incisione: (a) taglio e
piegatura, (b) e (c) due tipi
di taglio e formatura. (Fon-
te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groo-
ver, 2010. Ristampato con
il permesso di John Wiley
(a) (b) (c) & Sons, Inc.)
316 Tecnologia meccanica

Processo Guerin  Il processo Guerin utilizza un blocco di gomma spessa poliureta-


nica (o altro materiale flessibile) per formare una lamiera posta sul blocco della forma
positiva, come mostrato in Figura 12.22. Il blocco in gomma è inserito in un contenitore
di acciaio. Quando il pistone scende, la gomma avvolge progressivamente la lamiera,
applicando una pressione per deformarla nella forma del punzone. Questa tecnica è li-
mitata a forme poco profonde, perché la pressione sviluppata dalla gomma, fino a circa
10 MPa, non è sufficiente per impedire la formazione di grinze.
Il vantaggio del procedimento Guerin è il costo relativamente basso degli utensili.
Il punzone può essere fatto di metalli facili da lavorare (o persino in plastica o legno),
e lo stesso blocco di gomma può essere utilizzato componendo più blocchi di forma
diversi. Questi fattori rendono la formatura in gomma molto usata per basse quantità
di produzione, specialmente nell’industria aeronautica, dove il processo è nato, o nella
produzione di prototipi.

Idroformatura della lamiera  L’idroformatura è simile al processo Guerin, con la


differenza che al posto del blocco di gomma c’è un diaframma più sottile di gomma, che
funge da vescica per un serbatoio di fluido idraulico pressurizzato, come illustrato in
Figura 12.23. Questo consente di aumentare la pressione applicata al pezzo a circa 100
MPa, impedendo così al pezzo di formare grinze. Infatti, con il processo di idroformatura
si possono ottenere dei pezzi più profondi rispetto all’imbutitura tradizionale e persino
con presenza di piccoli sottosquadri. Questo è possibile perché la pressione uniforme
nell’idroformatura mette a contatto il pezzo con il punzone lungo tutta la sua lunghezza,
aumentando così l’attrito e riducendo le tensioni di trazione che causano le fratture alla
base del bicchiere. Vi sono molte diverse varianti dell’idroformatura da lamiera, tra cui
l’imbutitura idromeccanica, nella quale alla matrice metallica tradizionale viene sostituita
una matrice fluida, un serbatoio di liquido, che viene conservato in tenuta idraulica grazie
all’azione del premilamiera.

Idroformatura dei tubi  L’idroformatura viene anche utilizzata per produrre tubi
deformati plasticamente dall’interno, in cui il fluido esercita una pressione fino a 400
MPa, costringendo il tubo ad assumere la forma dello stampo in cui esso è contenuto.
Le due estremità del tubo sono sigillate da dei pistoni idraulici, che comprimono assial-
mente il tubo durante il processo, favorendone l’espansione.

Figura 12.22  Processo Blocco


di Guerin: (1) all’inizio e di gomma
(2) alla fine. I simboli v
ed F indicano rispettiva-
mente il movimento e la
forza applicata. (Fonte: Blocco di forma
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 317

Valvola di apertura
Cavità

Diaframma
di gomma Fluido
idraulico

Pistone

Premilamiera

Figura 12.23  Processo di idroformatura (flexforming): (1) all’inizio nella cavità non c’è nessun liquido, (2) dopo che la pressa si
chiude, la cavità viene pressurizzata con un fluido idraulico, (3) il pistone effettua una pressione sul pezzo per formarlo. I sim-
boli sono: v = velocità, F = forza applicata, p = pressione idraulica. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

12.5  Stampi e presse per la lavorazione della lamiera


In questa sezione si esaminano gli utensili (punzoni e matrici) e le attrezzature di pro-
duzione utilizzati nella lavorazione tradizionale della lamiera.

12.5.1  Stampi
Quasi tutte le precedenti operazioni di lavorazione della lamiera vengono eseguite con gli
utensili convenzionali punzone-matrice, a cui ci si riferisce con il solo nome di stampo. Lo
stampo viene progettato su misura per il pezzo specifico da produrre. Si usa anche il termine
matrice di stampaggio per gli stampi usati nelle alte produzioni. I materiali tipici con cui
vengono realizzate le matrici di stampaggio sono gli acciai per utensili (Paragrafo 2.1.1).

Componenti di una matrice di stampaggio  I componenti di una matrice di


stampaggio per eseguire una semplice operazione di tranciatura sono illustrati in Figura
12.24. I componenti che effettuano il lavoro sono il punzone e la matrice. Essi sono

Collegamento
al pistone

Supporto del punzone

Boccola Punzone
Perni di guida Estrattore Figura 12.24 Compo -
nenti di una matrice di
Striscia di lamiera stampaggio per un’ope-
iniziale razione di tranciatura.
Dispositivo di arresto (Fonte: Fundamentals of
Matrice
Modern Manufacturing,
Supporto della matrice 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
Base della pressa
pato con il permesso di
Pezzo finale John Wiley & Sons, Inc.)
318 Tecnologia meccanica

fissati alle parti superiore e inferiore dello stampo, dette rispettivamente supporto del
punzone (o staffa superiore) e supporto della matrice (staffa inferiore). Lo stampo
comprende anche dei perni di guida e delle boccole per garantire il corretto allineamen-
to tra il punzone e matrice durante l’operazione di stampaggio. Il supporto della matrice
è attaccato alla base della pressa e il supporto del punzone è collegato al pistone. L’azio-
namento del pistone compie l’operazione di stampaggio.
In aggiunta a questi componenti, una matrice usata per la tranciatura o la punzo-
natura deve avere un sistema per evitare alla lamiera di attaccarsi al punzone quando
questo viene retratto verso l’alto dopo l’operazione. Infatti il pezzo tagliato ha la stessa
dimensione del punzone e tende ad attaccarsi a esso mentre si ritira. Il dispositivo nella
matrice che separa la lamiera dal punzone è chiamato estrattore, e spesso non è altro
che una semplice piastra fissata allo stampo con un foro leggermente più grande del
diametro del punzone, come mostrato in Figura 12.24.
Per gli stampi che lavorano strisce o rotoli di lamiera, serve anche un dispositivo per fer-
mare l’avanzamento continuo della lamiera sulla matrice tra un ciclo e l’altro. Questi disposi-
tivi di arresto possono essere dei semplici perni sul percorso della striscia che bloccano il suo
movimento in avanti, o dei meccanismi più complessi sincronizzati per alzarsi e abbassarsi in
base al funzionamento della pressa. Quello più semplice è mostrato in Figura 12.24.
Ci sono anche altri componenti nelle matrici di stampaggio, ma questa descrizione
fornisce un’introduzione sufficiente alla terminologia.

Tipi di matrici di stampaggio  A parte le differenze relative alle operazioni che


svolgono (taglio, piegatura, imbutitura), le altre differenze tra le matrici di stampaggio
riguardano il numero di operazioni che possono eseguire a ogni azionamento della pres-
sa e il modo in cui sono realizzate.
Lo stampo dell’esempio precedente esegue una sola operazione di tranciatura a ogni corsa
della pressa ed è chiamata una matrice semplice. Altre matrici che eseguono un’unica opera-
zione sono le matrici a V (Paragrafo 12.2.1). Matrici più complesse sono le matrici composte,
le matrici combinate e le matrici progressive. Una matrice composta esegue due operazioni in
una singola stazione, come la tranciatura e la punzonatura o la tranciatura e l’imbutitura [2]. Un
esempio di matrice composta è quella usata per tranciare e forare le rondelle. Una matrice com-
binata è meno comune, e serve a svolgere due operazioni in due stazioni diverse nello stesso
stampo. Esempi di applicazioni di questo tipo di matrice sono la tranciatura di due pezzi diversi
(per esempio uno a destra e uno a sinistra) o la tranciatura e la piegatura dello stesso pezzo [2].
Una matrice progressiva svolge due o più operazioni su una lamiera continua in
due o più stazioni a ogni corsa della pressa. Il pezzo viene fabbricato progressivamente.
La lamiera passa da una stazione all’altra e a ogni stazione viene eseguita un’operazione
diversa (per esempio, prima una punzonatura, poi un intaglio, poi una piegatura e poi
una tranciatura). Quando il pezzo esce dalla stazione finale, è completo e separato (tran-
ciato) dal resto della lamiera. La progettazione di uno stampo progressivo inizia con il
disegno del pezzo sulla striscia e poi con la determinazione delle operazioni che devono
essere eseguite in ogni stazione. Il risultato di questa procedura è chiamato sviluppo
della striscia. Un esempio di matrice progressiva e della striscia corrispondente sono
illustrati in Figura 12.25. Gli stampi progressivi possono avere una dozzina di stazioni
o più. Sono gli stampi più complessi e più costosi, e sono giustificati economicamente
solo per i pezzi complessi che richiedono molte operazioni ad alto tasso di produzione.

12.5.2  Presse
Una pressa per la lavorazione della lamiera utilizzata è una macchina utensile con una
base fissa e un pistone (o slitta) che può essere movimentato verticalmente sulla base per
Lavorazione della lamiera 319

Slitta

Punzoni (4)

Striscia
Matrice

Piastra inferiore

Striscia iniziale

Figura 12.25  (a) Matrice


progressiva e (b) striscia
associata. (Fonte: Fun-
Semi-dentellatura damentals of M odern
Pezzo Punzone quadrato Manufacturing, 4th Edi-
finito Punzone tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Divisione
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

eseguire varie operazioni di taglio e formatura. I componenti principali di una pressa sono
schematizzati in Figura 12.26. Le posizioni relative tra la base e il pistone sono stabilite
dal telaio e il pistone è azionato da una forza meccanica o idraulica. Quando nella pressa
viene montato uno stampo, il supporto del punzone viene collegato al pistone e il supporto
della matrice viene attaccato a una piastra di sostegno nella base della pressa.
Le presse sono disponibili in una varietà di capacità, sistemi di alimentazione e tipi di te-
laio. La capacità di una pressa indica quanta forza ed energia può erogare per realizzare l’ope-
razione di stampaggio, ed è determinata dalla dimensione fisica della pressa e dal suo sistema
di alimentazione. Il sistema di alimentazione si riferisce alla potenza meccanica o idraulica
che viene usata e al tipo di dispositivo utilizzato per trasmettere la potenza al pistone. Anche
il tasso di produzione è un aspetto importante della capacità. Il tipo di telaio si riferisce alla
struttura fisica della pressa. Di solito vengono usati due tipi di telai: telaio a C e telaio chiuso.

Impulso Volano

Telaio
Pistone Figura 12.26 Compo -
nenti di una pressa di
Piastra stampaggio (a trasmis-
di sostegno sione meccanica). (Fon-
te: Fundamentals of Mo-
Base dern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
320 Tecnologia meccanica

Presse con telaio a C  Questo telaio ha la forma della lettera C, da cui prende il
nome. Le presse con telaio a C forniscono un facile accesso allo stampo e sono solita-
mente aperte nella parte posteriore per agevolare l’espulsione dei pezzi stampati e degli
scarti. I tipi di presse con telaio a C sono (a) le presse a telaio monolitico, (b) le presse a
telaio inclinabile con apertura posteriore, (c) le presse piegatrici e (d) le presse a torretta.
La pressa a telaio monolitico (che viene chiamata semplicemente pressa a C)
è fatta di un unico pezzo, come mostrato in Figura 12.26. Le presse con questo tipo
di telaio sono rigide, ma la forma a C consente di accedere lateralmente per inserire
le strisce o i rotoli di lamiera. Queste presse sono disponibili in un’ampia gamma di
dimensioni, con capacità fino a 9.000 kN (1,000 tonnellate). La pressa inclinabile con
apertura posteriore ha un telaio a C assemblato a una base in modo tale che il telaio
possa essere inclinato di vari angoli cosicché i pezzi stampati possano uscire attraverso
l’apertura posteriore per gravità. Le capacità delle presse inclinabili oscillano tra una
tonnellata e circa 2.250 kN (250 tonnellate). Possono operare a velocità molto alte, fino
a circa 1.000 colpi al minuto.
La pressa piegatrice è una pressa a C con una base molto ampia. Il modello riportato
in Figura 12.27 ha una base molto lunga 9.15m. Questo consente di fissare alla base diversi
stampi separati (tipicamente semplici matrici di piegatura a V), per poter realizzare in modo
economico delle piccole quantità di pezzi. Queste piccole quantità di pezzi, che possono
richiedere curve multiple ad angoli diversi, richiedono anche delle operazioni manuali o
robotizzate. Infatti se un pezzo richiede una serie di piegature, serve un operatore o un robot
che sposti il pezzo di lamiera da uno stampo all’altro e azioni la pressa a ogni stampo.
Le presse piegatrici sono molto adatte per svolgere sequenze di operazioni di piegatura,
mentre le presse a torretta sono più adatte per sequenze che includono varie operazioni di
punzonatura, intaglio e altre operazioni di taglio della lamiera, come mostrato in Figura 12.28.
Le presse a torretta hanno un telaio a C, anche se in quella riportata in Figura 12.29 non è così
evidente. Il pistone e il punzone tradizionali sono sostituiti da una torretta contenente diversi
punzoni di varie forme e dimensioni. La torretta funziona ruotando fino a raggiungere la po-
sizione del punzone necessario a eseguire la specifica operazione. Sotto la torretta dei punzoni
c’è la corrispondente torretta delle matrici, che fa corrispondere la giusta apertura a ogni pun-
zone. Tra il punzone e la matrice viene inserita la lamiera che viene posizionata attraverso un
sistema di posizionamento x-y comandato da un controllo numerico computerizzato. Il pezzo
viene spostato nelle coordinate richieste per ciascuna operazione di taglio.

Figura 12.27  Pressa pie-


gatrice. Foto per gentile
concessione di Strippit,
Inc.
Lavorazione della lamiera 321

Figura 12.28  Pezzi di lamiera prodotti da una pressa a torretta, Figura 12.29  Pressa a torretta a controllo numerico compu-
che mostrano le varie forme dei fori che si possono ottenere. terizzato. Foto per gentile concessione di Strippit, Inc. (Fon-
Foto per gentile concessione di Strippit, Inc. (Fonte: Fundamen- te: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.) Wiley & Sons, Inc.)

Presse a struttura chiusa  Per i lavori che richiedono un alto tonnellaggio, ser-
vono dei telai con una struttura più rigida. Infatti le presse a C tendono a deflettere
elasticamente in maniera eccessiva, ad aprirsi, sotto l’azione del carico di stampaggio.
Queste presse hanno una forma compatta e scatolata, come quella mostrata in Figura
12.30. Questa struttura aumenta la resistenza e la rigidità del telaio, e permette di rag-
giungere delle capacità fino a 35.000 kN (4.000 tonnellate). Le presse di questo tipo di
grandi dimensioni sono usate anche per la forgiatura.

Figura 12.30  Pressa con


struttura chiusa. Foto per
gentile concessione di
Greenerd Press & Machi-
ne Company, Inc. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
322 Tecnologia meccanica

In queste presse a telaio a C o a telaio chiuso, la dimensione è strettamente correlata


al tonnellaggio. Le presse più grandi possono raggiungere forze più alte nella lavora-
zione della lamiera. La dimensione della pressa è anche legata alla velocità con cui può
operare. Le presse piccole di solito raggiungono tassi di produzione più elevati rispetto
alle presse più grandi.

Sistemi di alimentazione e di azionamento  I sistemi di alimentazione delle pres-


se sono idraulici o meccanici. Le presse idrauliche utilizzano un pistone idraulico che
scorre entro un cilindro di grandi dimensioni per guidare il pistone. Questo sistema di
alimentazione in genere fornisce delle corse superiori rispetto alle trasmissioni mecca-
niche ed è in grado di mantenere la forza costante durante l’intera corsa. Però è general-
mente più lento. La sua applicazione alla lavorazione delle lamiere normalmente si limita
all’imbutitura profonda, alla tranciatura fine e altre operazioni di formatura in cui servono
queste caratteristiche. Queste presse possono avere uno o più slitte che operano indipen-
dentemente e sono chiamate a singolo effetto (slitta singola), a doppio effetto (due slitte),
e così via. Le presse a doppio effetto sono utili nelle operazioni di imbutiture profonde in
cui serve controllare separatamente la forza del punzone e quella del premilamiera.
Sulle presse meccaniche si usano diversi sistemi di azionamento, tra cui quello a eccen-
trico, a biella-manovella e a ginocchiera, illustrati in Figura 12.31. Essi convertono il moto
rotatorio di un motore di azionamento nel movimento lineare del pistone. Per immagazzi-
nare l’energia del motore di azionamento e utilizzarla nello stampaggio si usa un volano. Le
presse meccaniche che utilizzano queste unità ottengono delle forze molto elevate alla fine
delle corse e sono quindi adatte per la tranciatura e la punzonatura. La forza elevata raggiun-
ta dalla ginocchiera le rende molto adatte anche per le operazioni di coniatura.

12.6 Operazioni di lavorazione della lamiera non eseguite


su presse
Un certo numero di operazioni di lavorazione della lamiera non vengono eseguite sulle
presse di stampaggio tradizionali. In questa sezione vengono esaminati alcuni di questi
processi: (1) la formatura per stiramento, (2) la calandratura e la rullatura, (3) la torni-
tura e (4) la formatura ad alta energia.

12.6.1  Piegatura per stiramento


La piegatura per stiramento (stretch bending) è un processo di deformazione in cui la
lamiera viene tirata e simultaneamente piegata per farle fare un cambiamento forma. Il
procedimento è illustrato in Figura 12.32 per una piegatura relativamente semplice e gra-
Albero eccentrico
Manovella
Albero
Figura 12.31  Tipi di azio- di trasmissione
namenti delle presse di
stampaggio della lamie- Albero Manovella
ra: (a) a eccentrico, (b) Barra di trasmissione
a biella-manovella e (c) di connessione
a ginocchiera. (Fonte:
Fundamentals of Modern Albero
Manufacturing, 4th Edi- di trasmissione
tion by Mikell P. Groover, Pistone Pistone Pistone
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 323

Ganasce

Matrice
v, Fdie

Figura 12.32  Formatura per stiramento: (1) all’inizio del processo e (2) quando la matrice viene
premuta contro il pezzo a una forza Fdie, causando l’allungamento e la piegatura sopra la forma del-
la matrice. F è la forza di stiramento. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

duale. Il pezzo viene fissato con due o più ganasce su ogni lato e poi stirato e piegato su
una matrice positiva contenente la forma desiderata. Il metallo viene sottoposto a una ten-
sione superiore al suo punto di snervamento. Quando il carico di trazione viene rilasciato,
il metallo si è deformato plasticamente. La combinazione di allungamento e piegatura
causa un ritorno elastico minimo nel pezzo. È quindi un processo adatto a realizzare raggi
di curvatura particolarmente ampi, dove il ritonro elastico in un processo convenzionale
sarebbe eccessivo. Una stima della forza richiesta nella formatura per allungamento si
ottiene moltiplicando la sezione trasversale della lamiera nella direzione di trazione per la
tensione di flusso del metallo. In forma di equazione:

Rs (12.13)

dove forza F è la forza delle ganasce in N, L la lunghezza della lamiera nella direzione
perpendicolare all’allungamento in mm, t lo spessore istantaneo del pezzo in mm ed R s
la tensione di flusso del metallo in MPa. La forza della matrice Fdie mostrata in figura
può essere determinata bilanciando il componente verticale della forza.
Usando la formatura per allungamento si possono anche realizzare forme più com-
plesse di quella mostrata nella figura, ma ci sono delle limitazioni alle curve che si
possono fare. La formatura per allungamento è molto usata nelle industrie aeronautiche
e spaziali per produrre in modo economico grandi pezzi di lamiera nelle basse quantità
caratteristiche di queste industrie.

12.6.2 Calandratura e rullatura


Le operazioni descritte in questa sezione usano dei rulli per formare le lamiere. La ca-
landratura è un’operazione che serve (di solito) a formare grandi pezzi di lamiera o pia-
stre metalliche con sezioni curve per mezzo di rulli. Una possibile disposizione dei rulli
è raffigurata in Figura 12.33. Quando la lastra passa tra i rulli, questi sono posizionati
in una configurazione tale da fare assumere alla lastra il raggio di curvatura desiderato.
I componenti per grandi serbatoi e recipienti a pressione sono fabbricati mediante ca-
Figura 12.33 Calandra-
landratura. Questa operazione può anche essere utilizzata per piegare forme strutturali, tura. (Fonte: Fundamen-
rotaie ferroviarie e tubi, anche a sezione non circolare. tals of Modern Manu-
Un’operazione correlata alla calandratura è la raddrizzatura, usata per raddrizzare facturing, 4th Edition by
delle lamiere (o altre forme di sezioni trasversali) facendoli passare tra una serie di rulli. Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
I rulli applicano una sequenza decrescente di piccole curvature opposte a quella del
messo di John Wiley &
pezzo, che alla fine lo rendono dritto. Sons, Inc.)
324 Tecnologia meccanica

La formatura a rulli è un processo continuo di piegatura in cui vengono utilizzati


dei rulli contrapposti per produrre sezioni lunghe di pezzi formati a partire da strisce
o rotoli. Di solito servono diverse coppie di rulli per realizzare progressivamente la
curvatura del pezzo nella forma desiderata. Il procedimento è illustrato in Figura 12.34
per una sezione a forma di U. Alcuni prodotti realizzati per rullatura sono i canali, le
grondaie, i rivestimenti in metallo (per le case), i tubi e le tubazioni con giunture e va-
rie sezioni strutturali. Sebbene la rullatura abbia l’aspetto generale di una operazione
di laminazione (e anche le attrezzature sembrano simili), la differenza è che rullatura
esegue una piegatura anziché una compressione del pezzo.

12.6.3  Imbutitura al tornio


L’imbutitura al tornio (spinning) è un processo di formatura dei metalli in cui un pezzo
assialsimmetrico viene modellato progressivamente su un mandrino o viene formato
mediante un utensile rotondo o un rullo. L’utensile o il rullo applicano una pressione
molto localizzata (quasi un unico punto di contatto) per deformare il pezzo usando
movimenti assiali e radiali sulla sua superficie. Le forme dei prodotti della tornitu-
ra comprendono coppe, coni, semisfere e tubi. Questa sezione descrive il processo di
imbutitura al tornio tradizionale. Come illustrato in Figura 12.35, un disco di lamiera
viene tenuto a contatto di un mandrino rotante che ha la forma interna del pezzo, men-
tre l’utensile o il rullo deforma il metallo contro il mandrino. Il pezzo di partenza può
anche non essere un disco. Il processo richiede una serie di passaggi successivi, come
indicato in figura, per completare la modellazione del pezzo. La posizione dell’utensile

Vista posteriore Vista


Sidelaterale
view

Figura 12.34  Rullatura di un profilato continuo: (1) rulli diritti, (2) forma parziale e (3) forma finale. (Fonte: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Mandrino

Chiusura

Figura 12.35  Imbutitura


al tornio tradizionale: (1)
la configurazione all’ini-
zio del processo, (2) du-
rante la deformazione e
(3) alla fine del processo.
(Fonte: Fundamentals of Utensile a rullo
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Lavorazione della lamiera 325

può essere controllata da un operatore umano, utilizzando un fulcro fisso per fare leva,
oppure da un controllo numerico automatico. Queste due alternative sono dette spin-
ning manuale e spinning elettrico. Nel processo controllato elettricamente si possono
applicare forze superiori, con conseguenti tempi ciclo più rapidi e capacità di fabbricare
pezzi più grandi. Il processo è naturalmente anche più controllabile e ripetibile.
Lo spinning tradizionale piega il metallo attorno a un asse circolare in movimento per
conformarsi alla superficie esterna del mandrino assialsimmetrico. Lo spessore del metallo
quindi rimane (più o meno) invariato rispetto allo spessore del disco di partenza. Il diametro
del disco deve essere molto più grande del diametro del corrispondente pezzo finale. Il dia-
metro iniziale può essere calcolato assumendo un volume costante prima e dopo il processo.
Le applicazioni dello spinning riguardano la produzione di forme coniche o curve
in piccole quantità. Attraverso l’imbutitura al tornio si possono realizzare pezzi di dia-
metro molto grande, fino a 5 m o più. I metodi alternativi di lavorazione della lamiera
richiederebbe costi troppo elevati per gli stampi. Il mandrino può essere fatto di legno o
altri materiali morbidi facili da modellare ed è quindi un utensile a basso costo rispetto
ai punzoni e alle matrici usate nell’imbutitura, uno dei suoi processi concorrenti.

12.6.4  Formatura ad alta energia


Per la formatura dei metalli sono stati sviluppati diversi processi che fanno uso di gran-
di quantità di energia per un tempo molto breve. Per questa caratteristica, vengono chia-
mati processi di formatura ad alta energia (high energy-rate forming, HERF). Questi
processi comprendono la formatura per esplosione, la formatura elettroidraulica e la
formatura elettromagnetica.

Formatura per esplosione  La formatura per esplosione usa una carica esplosiva per
formare le lamiere metalliche in una cavità di stampo. La Figura 12.36 mostra un esempio di
applicazione di questo processo. Il pezzo viene posto sopra la matrice e sigillato, e poi viene
creato un vuoto nella cavità sottostante. Questo sistema viene poi posto in un recipiente
pieno d’acqua e una carica esplosiva viene posizionata a una certa altezza sopra di esso. La
detonazione della carica causa un’onda d’urto la cui energia si trasmette attraverso l’acqua e
provoca la rapida formatura del pezzo nella cavità. La dimensione della carica esplosiva e la
distanza a cui porla vanno scelte accuratamente in base ai calcoli e all’esperienza. La forma-
tura per esplosione è riservata ai pezzi di grandi dimensioni, tipici del settore aerospaziale.

Formazione Pennacchio
Carica esplosiva della bolla di gas d’acqua dovuto
Onda d’urto alla bolla di gas

Chiusura

Matrice

Vuoto Linea di vuoto

Figura 12.36  Formatura per esplosione: (1) configurazione iniziale, (2) esplosione della carica e (3) onda d’urto che forma il
pezzo e pennacchio d’acqua che esce dalla superficie. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
326 Tecnologia meccanica

Formatura elettromagnetica  La formatura elettromagnetica, anche chiamata for-


matura a impulsi magnetici, è un processo in cui la lamiera viene deformata dalla
forza meccanica di un campo elettromagnetico indotto nel pezzo da una bobina sotto
tensione. La bobina, energizzata da un condensatore, produce un campo magnetico.
Questo genera delle correnti parassite nel pezzo che producono il loro campo magneti-
co. Il campo indotto si oppone al campo primario, producendo una forza meccanica che
deforma il pezzo nella cavità circostante. Il processo di formatura elettromagnetica fu
sviluppato nel 1960 ed è il più diffuso tra i processi HERF [10]. Viene usato tipicamente
per formare pezzi tubolari, come illustrato in Figura 12.37.

Bibliografia

[1] ASM Handbook, Vol. 14B, Metalworking: Sheet Forming. ASM International, Materials
Park, Ohio, 2006.
Figura 12.37  Formatu- [2] Eary, D. F., and Reed, E. A., Techniques of Pressworking Sheet Metal, 2nd ed. Prenti-
ra elettromagnetica: (1)
ce-Hall, Inc., Englewood Cliffs, New Jersey, 1974.
configurazione in cui la
[3] Hoffman, E. G., Fundamentals of Tool Design, 2nd ed. Society of Manufacturing Engineers,
bobina è inserita nel pez-
zo tubolare circondato Dearborn, Michigan, 1984.
dalla matrice, (2) pezzo [4] Hosford, W. F., and Caddell, R. M., Metal Forming: Mechanics and Metallurgy, 3rd ed.
finale. (Fonte: Funda- Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom, 2007.
mentals of Modern Ma- [5] Kalpakjian, S., Manufacturing Processes for Engineering Materials, 4th ed. Prentice Hall/
nufacturing, 4th Edition Pearson, Upper Saddle River, New Jersey, 2003.
by Mikell P. Groover, [6] Lange, K., et al. (eds.)., Handbook of Metal Forming. Society of Manufacturing Engineers,
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& Sons, Inc.)
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ciety of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 2003.
[10] Wick, C., et al. (eds.)., Tool and Manufacturing Engineers Handbook, 4th ed., Vol. II,
Forming. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1984.

Domande di ripasso
 7. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle presse
1. Descrivere i tre tipi fondamentali di operazioni di la- meccaniche e delle presse idrauliche nella lavora-
vorazione della lamiera. zione della lamiera?
2. Nelle operazioni di lavorazione della lamiera tradi-  8. Cos’è il ritorno elastico nella piegatura della lamiera?
zionali, (a) quali sono i nomi degli utensili e (b) qual  9. Descrivere il processo di imbutitura.
è il nome della macchina utensile utilizzata? 10. Quali sono le misure più semplici usate per valuta-
3. Nella tranciatura di una pezzo di lamiera circolare, il re la fattibilità di un’operazione di imbutitura?
gioco è applicato al diametro del punzone o a quello 11. Descrivere le differenza tra la re-imbutitura e l’im-
della matrice? butitura inversa.
4. Descrivere le differenze tra calandratura e rullatura. 12. Quali sono i difetti che possono verificarsi nei pez-
5. Cos’è il processo Guerin? zi imbutiti?
6. Descrivere i due tipi di piegatura della lamiera: la 13. Che cos’è la piegatura per stiramento?
piegatura a V e la piegatura ad angolo. 14. Quali sono le due categorie principali di telai utiliz-
zati nelle presse di stampaggio?
Lavorazione della lamiera 327

Problemi
6 mm. Determinare (a) la tolleranza di piegatura e
 1. Una cesoia elettrica viene utilizzata per tagliare un (b) la lunghezza dell’asse neutro del pezzo dopo la
acciaio tenero laminato a freddo spesso 4.75 mm. piegatura. (Suggerimento: la lunghezza dell’asse
Che gioco deve essere impostato tra le cesoie per neutro prima della piegatura è 100.0 mm)
ottenere il taglio migliore? 11. Determinare la forza di piegatura per il Problema 8
 2. Si deve eseguire un’operazione di tranciatura su una nel caso in cui la piegatura venga eseguita da una
lastra di acciaio laminato a freddo (semiduro) spes- matrice a V con un’apertura di 30 mm. Si sa che
sa 2.0 mm. Il pezzo è circolare con diametro di 75.0 il materiale ha una resistenza alla trazione di 600
millimetri. Determinare le opportune dimensioni di MPa e una resistenza al taglio di 430 MPa.
matrice e punzone per realizzare questa operazione. 12. Risolvere il Problema 11, con la differenza che l’ope-
 3. Si usa una matrice composta per tranciare e forare razione viene eseguita utilizzando una matrice scor-
una rondella in lega di alluminio spessa 3.50 mm. Il revole con un’apertura di 22 mm.
diametro esterno della rondella è 50.0 mm e il dia- 13. Un pezzo di lamiera spesso 3.0 mm e lungo 20.0
metro interno 15.0 mm. Determinare (a) le dimensio- mm viene piegato a un angolo interno di 60° e un
ni di punzone e matrice per realizzare l’operazione raggio di curvatura di 7.5 mm in una matrice a V. Il
di tranciatura e (b) le dimensioni di punzone e matri- metallo ha una resistenza allo snervamento di 220
ce per realizzare l’operazione di perforatura. MPa e una resistenza alla trazione di 340 MPa.
 4. Si deve progettare una uno stampo di tranciatura Calcolare la forza richiesta per piegare il pezzo,
per tagliare un pezzo rettangolare di 105 mm x 37.5 sapendo che l’apertura della matrice è 15 mm.
mm. La lamiera è spessa 4 mm ed è in acciaio inox 14. Scrivere una formula per esprimere la riduzione r
(semiduro). Determinare le dimensioni del punzone in funzione del rapporto di imbutitura DR.
e l’apertura della matrice. 15. Si deve realizzare un bicchiere mediante un’opera-
 5. Determinare la forza di tranciatura necessaria per il zione di imbutitura. L’altezza del bicchiere è 75 mm
Problema 2, sapendo che la resistenza al taglio dell’ac- e il suo diametro interno di 100 mm. Lo spessore
ciaio è 325 MPa e la resistenza alla trazione 450 MPa. della lamiera spessore è 2 mm. Sapendo che il
 6. Determinare il tonnellaggio minimo della pressa ne- diametro iniziale è 225 mm, determinare (a) il rap-
cessario a eseguire l’operazione di tranciatura e di porto di imbutitura, (b) la riduzione e (c) il rapporto
punzonatura del Problema 3. La lamiera di alluminio spessore-diametro (d). L’operazione è fattibile?
ha una resistenza alla trazione di 310 MPa, un coeffi- 16. Risolvere il problema di 15 per un diametro iniziale
ciente di resistenza di 350 Mpa e un esponente di in- di 175 mm.
crudimento di 0.12. (a) Si supponga che la tranciatura 17. Si esegue un’operazione di imbutitura in cui il dia-
e punzonatura si verifichino simultaneamente. (b) Si metro interno è di 80 mm e l’altezza di 50 mm. Lo
supponga che i punzoni siano sfalsati in modo che spessore del pezzo è di 3.0 mm e il diametro di
prima si verifichi la punzonatura e dopo la tranciatura. partenza di 150 mm. Il raggio d’angolo del punzone
 7. Determinare il requisito di tonnellaggio per l’opera- e della matrice è 4 mm. Per questa lamiera la resi-
zione di tranciatura del Problema 4, sapendo che stenza alla trazione è 400 MPa e il carico di sner-
l’acciaio ha una resistenza allo snervamento di 500 vamento di 180 MPa. Determinare (a) il rapporto di
MPa, una resistenza al taglio di 600 MPa e una imbutitura, (b) la riduzione, (c) la forza di trazione e
resistenza alla trazione di 700 MPa. (d) la forza del premilamiera.
 8. Si deve eseguire un’operazione di tranciatura sul 18. Si esegue un’operazione di imbutitura su una
pezzo mostrato in Figura 12.13, ma con le dimen- lamiera spessa 3.0 mm per realizzare un bicchiere
sioni seguenti: spessore = 5.0 mm anziché 3.2 cilindrica di altezza 50 mm e diametro interno 70
mm, raggio di curvatura interno = 8.0 mm anziché mm. Si supponga che il raggio d’angolo del pun-
4.75 mm e angolo interno di 65° anziché 120°. Le zone sia nullo. (a) Determinare la dimensione del
altre dimensioni rimangono invariate. Determinare pezzo iniziale D e (b) se l’operazione è fattibile.
la dimensione del pezzo finale. 19. Risolvere il problema 18 per un’altezza di 60 mm.
 9. Risolvere il Problema 8 per un raggio di curvatura 20. Risolvere Problema 19 per un raggio d’angolo del
interno R = 11.0 mm. punzone di 10 mm.
10. Si deve eseguire un’operazione di piegatura su 21. Il caposquadra della sezione di imbutitura del nego-
acciaio laminato a freddo spesso 4.0 mm, largo zio vi porta diversi campioni di pezzi che sono stati
25 mm e lungo 100 mm. La lamiera viene piegata imbutiti nel negozio. I campioni hanno vari difetti. Uno
lungo la direzione di 25 mm, in modo che la piega ha il bordo irregolare, un altro è grinzato e un terzo
sia lunga 25 mm. La parte di lamiera risultante ha ha una spaccatura alla base. Quali sono le cause di
un angolo acuto di 30° e un raggio di curvatura di ognuno di questi difetti e quali rimedi proporresti?
V Processi per asportazione
di truciolo
Teoria della lavorazione

Capitolo 13
per asportazione di truciolo

I processi per asportazione di truciolo sono un sottoinsieme delle operazioni di for-


matura (Figura 1.3) in cui il materiale in eccesso viene rimosso dal pezzo di partenza
affinché assuma la forma finale desiderata. Il ramo più importante di questa famiglia è
rappresentato dalle lavorazioni per asportazione di truciolo tradizionali, in cui si
utilizza un utensile da taglio per effettuare un’asportazione meccanica del materiale in
modo da realizzare la forma desiderata. I tre processi di lavorazione principali sono la
tornitura, la foratura e la fresatura. Altre lavorazioni comprendono la limatura, la piallatu-
ra, la brocciatura e la segatura. Questo capitolo inizia la trattazione delle lavorazioni per
asportazione di truciolo, che arriva fino al Capitolo 17.
Tra i processi di asportazione rientrano i processi abrasivi, che rimuovono meccanica-
mente il materiale attraverso l’uso di particelle abrasive. Questo gruppo di processi, tra
cui il più importante è la rettifica, sono descritti nel Capitolo 16. Infine, ci sono i processi
non tradizionali, che utilizzano varie forme di energia, diversa da quella prodotta dagli
utensili da taglio e dalle particelle abrasive, per asportare parte del materiale. I tipi di
energia usati in questi processi sono quella meccanica, quella elettrochimica, quella
termica e quella chimica1. I processi non tradizionali sono discussi nel Capitolo 17.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo sono processi che utilizzano un utensile
da taglio per asportare parte del materiale fino a ottenere la forma finale del pezzo.
L’azione di taglio predominante nella lavorazione per asportazione di truciolo comporta
una deformazione di taglio del materiale che forma un truciolo; il truciolo viene rimosso
e si forma una nuova superficie del pezzo. La lavorazione per asportazione di truciolo di
solito si usa per formare pezzi di metallo. Il processo è illustrato in Figura 13.1.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo rappresentano uno dei più importanti pro-
cessi produttivi. La Rivoluzione Industriale e la crescita delle economie basate sulla
produzione industriale di tutto il mondo possono essere ricondotte in larga misura allo
sviluppo delle varie tecniche della lavorazione per asportazione di truciolo. I motivi che
la rendono importante dal punto di vista commerciale e tecnologico sono i seguenti:
• Varietà di materiali lavorati. Le lavorazioni per asportazione di truciolo possono
essere applicate a una vasta gamma di materiali. Virtualmente tutti i metalli solidi
possono essere lavorati meccanicamente grazie a questa metodologia e a questi
si aggiungono anche le materie plastiche e i compositi a matrice plastica. Solo i
materiali ceramici presentano alcune difficoltà nella lavorazione a causa dell’elevata
durezza e fragilità, ma la maggior parte di questi materiali può essere comunque
lavorata attraverso lavorazioni abrasive (Capitolo 16).
• Varietà di forme e di geometrie dei pezzi. Le lavorazioni per asportazione di tru-
ciolo consentono di realizzare svariate forme geometriche regolari, come i piani, i

1
 Alcune delle forme di energia meccanica nei processi non tradizionali prevedono l’utilizzo di particelle
abrasive, che asportano il materiale per erosione, quindi si sovrappongono ai processi abrasivi descritti nel
Capitolo 18.
332 Tecnologia meccanica

Movimento del truciolo Truciolo Utensile


da taglio Movimento dell’utensile
g0
Petto (relativo al pezzo) g0 Utensile
Superficie di partenza da taglio
Fianco Superficie Angolo
lavorata di spoglia Angolo
superiore di spoglia
Deformazione
ortogonale inferiore
di taglio che forma
negativo a0 ortogonale
il truciolo

Tagliente dell’utensile Tagliente

Figura 13.1  (a) Vista della sezione trasversale del processo di asportazione di truciolo. (b) Utensile con angolo di spoglia su-
periore ortogonale negativo, a differenza di (a) in cui l’angolo di spoglia superiore ortogonale è positivo. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

fori e le forme cilindriche. Introducendo delle variazioni nelle forme degli utensili e
nei metodi di lavorazione, si possono creare anche forme irregolari, come filettature
e forme a T. Combinando varie operazioni di lavorazione in sequenza, si possono
ottenere forme di complessità a varietà praticamente illimitate.
• Precisione dimensionale. I pezzi ottenuti presentano tolleranze molto strette. Al-
cuni processi consentono di raggiungere tolleranze di ± 0.025 mm, che sono migliori
di quasi tutti gli altri processi industriali.
• Buone finiture superficiali. I valori di rugosità che si possono ottenere risultano
inferiori a 0.4 micron e grazie ad alcuni processi abrasivi si possono ottenere finiture
ancora migliori.

Nonostante gli aspetti positivi sopra elencati, i difetti associati alle lavorazioni per aspor-
tazione di truciolo sono i seguenti:

• Spreco di materiale. Il truciolo ottenuto dalle lavorazioni meccaniche costituisce


uno scarto della lavorazione. Anche se spesso possono essere riciclati, rappresen-
tano uno scarto delle operazioni che vengono eseguite.
• Tempo. Le lavorazioni per asportazione di truciolo richiedono generalmente un im-
piego di risorse temporali maggiore rispetto a processi di formatura alternativi come
la colata o la forgiatura.

Le lavorazioni per asportazione di truciolo sono generalmente eseguite in seguito ad


altri processi di lavorazione come la colata o la deformazione (forgiatura o trafilatura) in
modo che si realizzino forma, dimensioni e finitura desiderate sul pezzo.

13.1  Panoramica delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Le lavorazioni per asportazione di truciolo rappresentano un insieme di processi che


hanno come caratteristica comune l’utilizzo di un utensile da taglio per formare il
truciolo che viene rimosso dal pezzo. Per eseguire questa operazione è necessario un
movimento relativo tra l’utensile e il pezzo. Tale movimento è ottenuto nella maggior
parte delle lavorazioni per mezzo di un movimento primario, chiamato movimento di
taglio, e un movimento secondario, chiamato movimento di avanzamento. La forma
dell’utensile e la sua penetrazione sulla superficie del pezzo, in combinazione con que-
sti movimenti, producono la forma desiderata sulla superficie del pezzo finale.
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 333

Tipi di lavorazioni per asportazione di truciolo  Le lavorazioni per asportazione


di truciolo sono molteplici, a seconda della loro tipologia, sono in grado di generare
forme differenti del pezzo e una differente finitura superficiale. Queste operazioni sono
descritte in modo molto dettagliato nel Capitolo 16, ma qui in seguito sono descritte le
tre principali lavorazioni più comuni: la tornitura, la foratura e la fresatura, che sono
illustrati in Figura 13.2.
Nella tornitura, un utensile da taglio monotagliente viene usato per rimuovere il
materiale da un pezzo in rotazione in modo da produrre una forma cilindrica, come
mostrato in Figura 13.2 (a). Nella tornitura, il movimento di taglio è eseguito dal pezzo
in rotazione, mentre quello di avanzamento dall’utensile che si muove in direzione pa-
rallela all’asse di rotazione del pezzo. La foratura viene eseguita da un utensile rotante
che ha tipicamente due taglienti. L’utensile avanza in direzione parallela al suo asse di
rotazione dentro il pezzo per formare il foro, come mostrato in Figura 13.2 (b). Nella
fresatura, un utensile rotante a taglienti multipli viene fatto avanzare lentamente attra-
verso il pezzo per creare una superficie piana. La direzione del movimento di avanza-
mento è perpendicolare all’asse di rotazione dell’utensile. Il movimento di taglio deriva
dalla fresa in rotazione. Le due varianti principali della fresatura sono la fresatura peri-
ferica e la fresatura frontale, illustrate in Figura 13.2 (c) e 13.2 (d). Tra le restanti lavo-
razioni convenzionali per asportazione di truciolo troviamo la limatura, la piallatura, la
brocciatura e la segatura. Anche la rettifica e gli altri processi abrasivi vengono spesso
inclusi nella categoria delle lavorazioni per asportazione di truciolo. Questi processi di
solito sono effettuati in seguito ad altri processi e si usano per ottenere una migliore
finitura superficiale del pezzo.

Utensile da taglio  Un utensile da taglio ha uno o più bordi taglienti ed è costituito


da un materiale che è più duro del materiale da lavorare. Il bordo tagliente serve per

Movimento
Speed di taglio(tool)
motion (utensile)

Pezzo
Work Superficie
New surfacelavorata Punta
Drill
Movimento di taglio Movimento
Feed bit trapano
del
Speed motion (work)
(pezzo) di avanza-
motion
(tool)
mento
(utensile)

Feed motiondi avanzamento


Movimento
(tool)
(utensile)
Utensile da taglio
Cutting tool
Pezzo
Work
(a) (b)
Figura 13.2  I tre proces-
si principali di lavorazio-
ne per asportazione di
Movimento
Speed di taglio
motion truciolo: (a) tornitura, (b)
Rotazione
Rotation foratura e due forme di
Milling Fresa
cutter Superficie fresatura: (c) fresatura
Milling Fresa
cutter lavorata
Superficie
New surface New surface periferica e (d) fresatura
lavorata frontale. (Fonte: Funda-
Movimento
Feed
Movimento mentals of Modern Ma-
di avanza-
motion Feed motion
di avanzamento
(work) nufacturing, 4th Edition
(work)
mento
(pezzo) by Mikell P. Groover,
(pezzo)
2010. Ristampato con il
Pezzo
Work Work
Pezzo permesso di John Wiley
(c) (d) & Sons, Inc.)
334 Tecnologia meccanica

separare il truciolo dal pezzo principale, come mostrato in Figura 13.1. Al tagliente
sono collegate due superfici dell’utensile: il petto e il fianco. Il petto, che dirige il flusso
dei trucioli che si formano, è inclinato di un certo angolo chiamato angolo di spoglia
superiore ortogonale g0, misurato rispetto a un piano perpendicolare alla superficie
di lavoro. L’angolo di spoglia superiore può essere positivo, come in Figura 13.1 (a),
o negativo come in Figura 13.1 (b). Il fianco dell’utensile ha il compito di mantenere
una distanza tra l’utensile e la nuova superficie del pezzo generata, proteggendola così
dall’abrasione che ne degraderebbe la finitura. La superficie del fianco è orientata di un
angolo chiamato angolo di spoglia inferiore ortogonale a0.
La maggior parte degli utensili da taglio ha delle forme più complesse di quelle
mostrate in Figura 13.1. Ci sono due tipi di base di utensili, di cui la Figura 13.3 mostra
degli esempi: (a) monotagliente e (b) a taglienti multipli. Un utensile monotagliente ha
un solo tagliente ed è usato ad esempio nella tornitura. Oltre alle caratteristiche mostra-
te in Figura 13.1, questi utensili hanno una punta, da cui prendono il nome, che penetra
nella superficie del pezzo durante la lavorazione. La punta viene arrotondata secondo
un certo raggio, che prende il nome di raggio di punta. Gli utensili a taglienti multipli
hanno più di un bordo di taglio e di solito eseguono una rotazione relativa al pezzo.
La foratura e la fresatura usano utensili a taglienti multipli rotanti. La Figura 13.3 (b)
mostra una fresa elicoidale utilizzata nella fresatura periferica. Sebbene la forma sia
molto diversa da quella dell’utensile monotagliente, molti elementi dei due utensili sono
simili. I dettagli sugli utensili monotaglienti e a taglienti multipli, compresi i materiali
con cui sono realizzati, sono discussi nel Capitolo 15.

Parametri di taglio  Per eseguire una lavorazione per asportazione di truciolo oc-
corre che l’utensile e il pezzo siano in movimento uno rispetto all’altro. Il moto pri-
mario avviene ad una certa velocità di taglio vc. Inoltre, l’utensile si deve spostare
lateralmente attraverso il pezzo. Questo è un movimento molto più lento, chiamato
avanzamento f. L’ultima dimensione da considerare è la penetrazione dell’utensile nel-
la superficie del pezzo, definita profondità di passata ap. La velocità, l’avanzamento
e la profondità di passata sono quantità che prendono il nome di parametri di taglio.
Essi costituiscono le tre dimensioni del processo di lavorazione per asportazione di
truciolo, e per certe operazioni (come la maggior parte di quelle eseguite mediante
utensili monotaglienti) possono essere utilizzati per calcolare il tasso di asportazione
di materiale (material removal rate, MRR) del processo:
QMR = vcfd(13.1)

Bordo tagliente
Stelo
dell’utensile

Petto Direzione
di rotazione
Bordo tagliente

Punta dell’utensile Fianco


(raggio di punta)

Figura 13.3  (a) Un utensile monotagliente su cui è possibile notare il petto, il fianco e la punta e (b) una fresa elicoidale, come
esempio di utensile a taglienti multipli. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 335

dove Q è il tasso di asportazione di materiale in mm3/s, vc è la velocità di taglio in


m/s, che deve essere convertita in mm/s, f è l’avanzamento in mm e ap la profondità di
passata in mm.
I parametri di taglio per la tornitura sono mostrati in Figura 13.4. Le unità di misura
utilizzate per velocità di taglio di solito sono i m/s, per l’avanzamento i mm/giro e per
la profondità i mm. In altre operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo, la
disposizione dei parametri di taglio può essere diversa. Ad esempio, in un̕ operazione di
foratura, la profondità è quella del foro.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo si possono dividere in due categorie, a
seconda delle motivazioni del taglio e dei parametri di taglio: operazioni di sgrossatura e
operazioni di finitura. Le operazioni di sgrossatura sono utilizzati per rimuovere grandi
quantità di materiale dai pezzi il più rapidamente possibile, al fine di produrre una forma
più simile a quella finale, ma lasciando del materiale aggiuntivo sul pezzo per una succes-
siva operazione di finitura. Le operazioni di finitura vengono utilizzati per completare il
pezzo e raggiungere la dimensione, la tolleranza e la finitura superficiale finale. In produ-
zione, di solito si eseguono uno o più tagli di sgrossatura, seguiti da uno o due operazioni
di finitura. Le operazioni di sgrossatura vengono eseguite a valori elevati di avanzamenti
e profondità – tipicamente avanzamenti da 0.4 a 1.25 mm/giro e profondità da 2.5 a 20
mm. Invece le operazioni di finitura sono eseguite a valori bassi di avanzamenti e profon-
dità – tipicamente avanzamenti da 0.125 a 0.4 mm/giro e profondità da 0.75 a 2.0 mm. Le
velocità di taglio sono più basse nella sgrossatura che nella finitura.
A volte nelle lavorazioni per asportazione di truciolo si usa un fluido di taglio per
raffreddare e lubrificare l’utensile da taglio (i fluidi da taglio sono discussi in dettaglio
nel Paragrafo 15.4). La decisione di utilizzare un fluido da taglio e la scelta di quello più
appropriato rientrano tra le decisioni sui parametri di taglio. Dato il materiale del pezzo
e gli utensili da usare, la scelta di queste condizioni influisce molto nel determinare il
successo della lavorazione.

Macchine utensili  Le macchine utensili sono usate per sostenere il pezzo, posi-
zionare l’utensile rispetto al pezzo e fornire l’energia al processo di lavorazione per
raggiungere la velocità, l’avanzamento e la profondità che sono stati impostati. Con-
trollando l’utensile, il pezzo e i parametri di taglio, le macchine utensili permettono di
realizzare i prodotti finali con grande precisione e ripetibilità, arrivando a tolleranze
di 0.025 mm o inferiori. Il termine macchina utensile si applica a qualsiasi macchina
elettrica che esegue una lavorazione per asportazione di truciolo, compresa la rettifica.
Il termine si applica anche a macchine che eseguono operazioni di formatura del me-
tallo e pressatura.

Velocità di taglio vc

Figura 13.4  Velocità di taglio,


avanzamento e profondità di
passata in una lavorazione di tor-
Profondità nitura. (Fonte: Fundamentals of
di passata ap Modern Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover, 2010.
Avanzamento f Ristampato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
336 Tecnologia meccanica

Le macchine utensili tradizionali utilizzate per la tornitura, la foratura e la fresatura


sono rispettivamente i torni, i trapani e le fresatrici. Di solito queste macchine utensili
richiedono l’intervento di un operatore umano per caricare e scaricare i pezzi, cambiare
gli utensili e impostare i parametri di taglio. Le macchine utensili moderne sono proget-
tate per lavorare in modo automatico attraverso il controllo numerico computerizzato.

13.2 Teoria della formazione del truciolo nella lavorazione


per asportazione di truciolo

Le operazioni svolte nelle lavorazioni per asportazione di truciolo sono piuttosto com-
plesse. Esiste un modello semplificato di lavorazione per asportazione di truciolo, che
trascura molte delle complessità geometriche, ma descrive bene la meccanica del pro-
cesso. Si chiama modello di taglio ortogonale, ed è illustrato in Figura 13.5. Sebbene un
processo reale di lavorazione per asportazione di truciolo sia tridimensionale, il modello
ortogonale considera per l’analisi solo due dimensioni.

13.2.1  Il modello di taglio ortogonale


Per definizione, il taglio ortogonale considera un utensile a forma di cuneo in cui il
bordo tagliente è perpendicolare alla direzione della velocità di taglio. Quando l’utensile
penetra nel materiale, si forma un truciolo a causa della deformazione di taglio lungo il
piano chiamato piano di scorrimento, che è orientato di un angolo ϕ rispetto alla super-
ficie del pezzo. Il cedimento del materiale si verifica solo lungo il tagliente dell’utensile,
con conseguente distacco del truciolo dalla superficie. Lungo il piano di scorrimento,
dove si consuma la maggior parte dell’energia meccanica della lavorazione, il materiale
viene deformato plasticamente.
L’utensile nel taglio ortogonale ha solo due elementi geometrici: (1) l’angolo di spo-
glia superiore ortogonale g0 e (2) l’angolo di spoglia inferiore ortogonale a0. Come indi-
cato in precedenza, l’angolo di spoglia superiore determina la direzione in cui scorre il
truciolo e l’angolo di spoglia inferiore fornisce un piccolo gioco tra il fianco dell’utensi-

g0

hch
Truciolo Utensile

Truciolo
Utensile
ao
hch hD φ
b
Pezzo
hD ls

Pezzo

Figura 13.5  Taglio ortogonale: (a) visto come un processo tridimensionale e (b) approssimato in due dimensioni (vista latera-
le). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 337

le e la nuova superficie appena generata. Durante il taglio, il bordo tagliente dell’uten-


sile viene posizionato ad una certa distanza al di sotto della superficie del pezzo di par-
tenza. Ciò corrisponde allo spessore del truciolo indeformato (o spessore nominale
di taglio), ho. Man mano che il truciolo si forma lungo il piano di scorrimento, il suo
spessore aumenta a hch. Il rapporto di hD su hch è chiamato rapporto di compressione
dello spessore del truciolo o fattore di ricalcamento rc:
hD
rc = (13.2)
hch
Poiché lo spessore del truciolo dopo il taglio è sempre maggiore dello spessore corri-
spondente prima del taglio, il fattore di ricalcamento sarà sempre inferiore a 1.
Oltre allo spessore hD, il taglio ortogonale ha anche una dimensione di larghezza b,
come mostrato in Figura 13.5 (a), anche se questa dimensione non contribuisce molto
all’analisi del taglio ortogonale.
La geometria del modello di taglio ortogonale permette di stabilire una relazione tra
il fattore di ricalcamento del truciolo, l’angolo di spoglia superiore ortogonale e l’angolo
del piano di scorrimento. Sia lsh la lunghezza del piano di scorrimento. È possibile fare
le sostituzioni seguenti: hD = lsh sinϕ e Rch = Tsh cos(ϕ - α). Quindi si ha che:
lsh sin ϕ sin ϕ
rc = =
lsh cos (ϕ – g0) cos (ϕ – g0)
Questa formula può essere riorganizzate per determinare ϕ nel modo seguente:
rc cos g0
tan ϕ = (13.3)
1 – rc sin g0
La deformazione di taglio che si verifica lungo il piano di scorrimento può essere cal-
colata facendo riferimento alla Figura 13.6. L’immagine (a) mostra la deformazione di
taglio approssimata da una serie di piastre parallele scorrevoli una sull’altra per formare
il truciolo. Coerentemente con la definizione della deformazione di taglio, ogni pia-
stra subisce la deformazione di taglio mostrata in Figura 13.6 (b). Facendo riferimento
all’immagine (c), questo fatto si può esprimere come:

che può essere ridotto alla seguente definizione di deformazione di taglio nella lavora-
zione per asportazione di truciolo dei metalli:

γ = tan(ϕ – a) + cot φ(13.4)

Esempio 13.1  Taglio ortogonale


In una lavorazione per asportazione di truciolo che approssima il taglio ortogonale,
l’utensile da taglio ha un angolo di spoglia superiore ortogonale di 10°. Lo spessore
del truciolo indeformato è di 0.50 mm e dopo il taglio di 1.125 millimetri. Calcolare
l’angolo del piano di scorrimento e la deformazione di taglio nell’operazione.

Soluzione: Il fattore di ricalcamento del truciolo si può calcolare usando l’Equazione


(13.2):
0.50
rc = = 0.444
1.125
338 Tecnologia meccanica

L’angolo del piano di scorrimento è dato dall’Equazione (13.3):


0.444 cos 10
tan φ = = 0.4738
1 – 0.444 sin 10
φ = 25.4°

Infine, la deformazione di taglio è data dall’Equazione (13.4):


γ = tan(25.4 –10) + cot 25.4
γ = 0.275 + 2.111 = 2.836

g0
Spessore
Truciolo = serie di piastre della piastra
parallele

Utensile
φ

Piano di scorrimento Ampiezza della deformazione


di taglio del materiale

φ φ – g0

g0

Figura 13.6  Deformazione di taglio durante la formazione del truciolo: (a) formazione truciolo rappresentata come una serie di
piastre parallele scorrevoli una rispetto all’altra, (b) rappresentazione di una delle piastre per illustrare la definizione di defor-
mazione di taglio su questo modello a piastre parallela e (c) triangolo di deformazione di taglio utilizzato per derivare l’Equazio-
ne (13.4). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)

13.2.2  Formazione del truciolo


Si deve precisare che ci sono delle differenze tra il modello ortogonale e un processo di
lavorazione per asportazione di truciolo vero e proprio. Per prima cosa, un vero proces-
so di deformazione di taglio non si verifica lungo un piano, ma in una zona. Se il taglio
si verificasse su un piano di spessore nullo, vorrebbe dire che l’azione di taglio attra-
verserebbe istantaneamente il piano, anziché impiegarci un (seppur breve) intervallo di
tempo. Affinché sia realistica, la deformazione di taglio deve avvenire all’interno di una
zona sottile di deformazione. Un modello più realistico del processo di deformazione
di taglio è illustrato in Figura 13.7. Gli esperimenti di taglio su materiali metallici han-
no dimostrato che lo spessore della zona di deformazione è di soli pochi centesimi di
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 339

Figura 13.7  Una rap-


presentazione più rea-
listica della formazione
del truciolo, che mostra
una zona di deformazio-
Truciolo ne al posto del piano di
scorrimento. L’immagine
Utensile mostra anche la zona
Angolo φ effettivo
di deformazione secon-
daria dovuta all’attrito
Zona tra l’utensile e il truciolo.
di deformazione (Fonte: Fundamentals of
primaria Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Zona di deformazione secondaria John Wiley & Sons, Inc.)

millimetro. Poiché la zona di deformazione è così sottile, non vi è una grande perdita di
precisione facendo riferimento ad essa come a un piano.
In secondo luogo, oltre alla deformazione che si verifica nella zona di deforma-
zione, c’è un’altra azione di taglio che si verifica nel truciolo dopo che è stato formato.
Questo taglio è denominato taglio secondario per distinguerlo dal taglio primario. Il
taglio secondario deriva dall’attrito tra il truciolo e l’utensile, mentre il truciolo scorre
lungo il petto dell’utensile. Il suo effetto aumenta all’aumentare dell’attrito tra l’utensile
e il truciolo. Le zone primarie e secondarie di taglio sono riportate in Figura 13.7.
In terzo luogo, la formazione di truciolo dipende dal tipo di materiale da lavorare
e dai parametri di taglio dell’operazione. Si possono distinguere quattro tipi di base di
trucioli, illustrati in Figura 13.8:

• Truciolo discontinuo. Se materiali relativamente fragili (ad esempio, le ghise) sono


lavorati a basse velocità di taglio, i trucioli che si formano si possono dividere (o ri-
manere attaccati solo debolmente). Questo tende a conferire una struttura irregolare
alla superficie lavorata. Gli elevati attriti alti tra utensile e truciolo e i grandi valori di
avanzamento e profondità di taglio causano la formazione di questo tipo di truciolo.
• Truciolo continuo. Se i materiali lavorati sono duttili e vengono tagliati ad alte
velocità e ad avanzamenti e profondità relativamente bassi, si formano dei trucioli
lunghi e continui. Questo tipo di trucioli di solito dà origine a una buona finitura

Truciolo discontinuo Truciolo continuo Truciolo continuo


Zona ad elevata
deformazione
di taglio
Zona a bassa
Utensile Utensile Utensile deformazione Utensile
di taglio

Tagliente di riporto

Superficie irregolare dovuta Buona finitura Particelle di tagliente


alle discontinuità nel truciolo superficiale di riporto sulla superficie lavorata
(a) (b) (c) (d)
Figura 13.8  Quattro tipi di formazione del truciolo durante il taglio: (a) discontinuo, (b) continuo, (c), continuo con tagliente di
riporto, (d) segmentato. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con
il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
340 Tecnologia meccanica

superficiale. Questi trucioli si formano se l’utensile ha un tagliente affilato e se c’è


poco attrito tra l’utensile e il truciolo. I trucioli lunghi e continui (che ad esempio
si formano nella tornitura) possono causare dei problemi di smaltimento nel caso
in cui creino dei grovigli sull’utensile. Per risolvere questi problemi, gli utensili di
tornitura sono spesso dotati di rompitrucioli.
• Truciolo continuo con tagliente di riporto. Se materiali duttili vengono lavora-
ti a velocità di taglio medio-bassa, l’attrito tra l’utensile e il truciolo tende a fare
aderire parti di materiale al petto dell’utensile in prossimità del tagliente. Questa
formazione è chiamata tagliente di riporto (built-up edge, BUE). La formazione del
tagliente di riporto è ciclica: esso inizia a formarsi, si ingrandisce, diventa instabile
e si stacca. La parte del tagliente di riporto che si stacca viene portata via con il
truciolo, staccando talvolta anche pezzi del petto dell’utensile, cosa che riduce la
durata dell’utensile. Alcune parti del tagliente di riporto non vengono portate via
con il truciolo e si attaccano sulla nuova superficie lavorata del pezzo, facendola
diventare ruvida.

Questi tipi di truciolo sono stati classificati da Ernst [13] alla fine del 1930. Visto che da
allora le tipologie di metalli disponibili, i materiali degli utensili e le velocità di taglio
sono aumentati, adesso si può identificare un quarto tipo di truciolo:

• Truciolo segmentato (o a taglio localizzato). Questo tipo di truciolo è semicon-


tinuo nel senso che ha un aspetto a dente di sega dovuto alla formazione ciclica
di trucioli causata dall’alternarsi di tensioni di deformazioni alte e basse. Questo
quarto tipo di truciolo è associato ai metalli più difficili da lavorare come le leghe
di titanio, le superleghe a base di nichel e gli acciai inossidabili austenitici quando
sono lavorati a velocità di taglio elevate. Questo fenomeno si verifica anche con
altri materiali più comuni (ad esempio gli acciai) durante i tagli ad alta velocità
[13]2.

13.3 Relazioni tra le forze e equazione di Merchant

Rispetto al modello di taglio ortogonale si possono definire varie forze, sulla base delle
quali è possibile definire la tensione di taglio, il coefficiente di attrito e diverse altre
quantità.

13.3.1  Forze di taglio


Consideriamo le forze che agiscono sul truciolo durante il taglio ortogonale in Figura
13.9 (a). Le forze applicate al truciolo dall’utensile possono essere separate in due com-
ponenti perpendicolari: la forza tangente al petto dell’utensile e la forza normale al petto
dell’utensile. La forza tangente al petto dell’utensile Fg è la forza di attrito che si op-
pone al movimento del truciolo lungo il petto dell’utensile. La forza normale al petto
dell’utensile FgN è la forza perpendicolare alla forza di attrito. Queste due componenti
possono essere utilizzati per definire il coefficiente di attrito tra l’utensile e il truciolo:
Fg
m= (13.5)
FgN

2
  Una descrizione più completa del tipo di truciolo segmentato si può trovare in Trent & Wright [13], pp 348-
367.
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 341

Truciolo
Utensile
g0 Truciolo
Fg
φ Utensile
b

FgN
Fsh Fc

FshN Pezzo Ft Pezzo

Figura 13.9  Forze di taglio: (a) le forze che agiscono sul truciolo nel taglio ortogonale e (b) le forze che agiscono sull’utensile
che possono essere misurate. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

La forza tangente al petto dell’utensile e la forza normale al petto dell’utensile pos-


sono essere sommate vettorialmente per formare una forza risultante R che è orientata
di un angolo β, chiamato angolo di attrito. L’angolo di attrito è legato al coefficiente di
attrito dall’equazione seguente:

(13.6)

Oltre alle forze che l’utensile applica sul truciolo, ci sono anche due componenti di forza
applicate al truciolo dal pezzo: la forza sul piano di scorrimento e la forza normale al piano
di scorrimento. La forza sul piano di scorrimento Fsh è la forza che causa la deformazio-
ne di taglio sul piano di scorrimento e la forza normale al piano di scorrimento FshN è la
forza perpendicolare alla forza sul piano di scorrimento. Basandoci sulla forza sul piano di
scorrimento, possiamo definire lo sforzo di taglio che agisce lungo il piano di scorrimento
tra il pezzo e il truciolo: (tensione tangenziale media sul piano di scorrimento)
Fsh
rsh = (13.7)
Ash
dove Ash è l’area del piano di scorrimento. Quest’area del piano di scorrimento può es-
sere calcolata come:
ho b
Ash = (13.8)
sinϕ
La tensione di taglio nell’Equazione (13.7) rappresenta il livello di sforzo richiesto per
eseguire la lavorazione. Questo sforzo, quindi, è uguale alla resistenza al taglio del ma-
teriale da lavoro (τsh = τmax) nelle condizioni in cui avviene il taglio.
La somma vettoriale delle due componenti della forza Fsh e FshN dà la forza risultan-
te R’. Affinché le forze che agiscono sul truciolo si equilibrino, questa forza risultante
R’ deve essere uguale in valore assoluto, e in direzione opposta, alla forza R.
Nessuna delle quattro componenti della forza Fg, FgN, Fsh, e FshN può essere misurate
direttamente in una lavorazione, perché le direzioni in cui sono applicate variano a se-
conda della forma dell’utensile e dei parametri di taglio. Tuttavia, è possibile usare un
dispositivo di misurazione della forza chiamato dinamometro per poter misurare due
componenti di forza aggiuntive che agiscono sull’utensile: la forza di taglio e la forza di
342 Tecnologia meccanica

avanzamento. La forza di taglio Fc è nella direzione del moto di taglio, la stessa direzio-
ne della velocità vc di taglio, e la forza di avanzamento Ff è perpendicolare alla forza di
taglio e dipende dallo spessore del truciolo indeformato ho. La forza di taglio e la forza
di avanzamento sono mostrate in Figura 13.9 (b) assieme alla loro forza risultante R’’.
Le direzioni di queste forze sono note, quindi i trasduttori di forza del dinamometro
possono essere allineati di conseguenza.
Si possono quindi derivare le seguenti equazioni per correlare le quattro componen-
ti della forza che non possono essere misurate alle due forze che invece possono essere
misurate:

Fg Fc go Ff go (13.9)

FgN Fc go Ff go (13.10)

Fsh Fc Ff (13.11)

FshN Fc Ff (13.12)

Se la forza di taglio Fc e la forza di avanzamento Ff sono note, si possono usare queste


quattro equazioni per calcolare il valore della forza tangente al petto dell’utensile, della
forza normale al petto dell’utensile, della forza sul piano di scorrimento e della forza
normale al piano di scorrimento. Sulla base di queste forze, possono anche essere calco-
lati la tensione di taglio e il coefficiente di attrito.
Si noti che nel caso particolare in cui l’angolo di soglia superiore ortogonale go = 0,
le Equazioni (13.9) e (13.10) si riducono a Fg = Ff e FgN = Fc, rispettivamente. Quindi, in
questo caso particolare, la forza tangente al petto dell’utensile e la forza normale al petto
dell’utensile possono essere misurate direttamente dal dinamometro.

Esempio 13.2  Tensione di taglio nella lavorazione per asportazione di truciolo


Supponiamo che nell’Esempio 13.1 vengano misurate la forza di taglio e quella di
avanzamento durante un’operazione di taglio ortogonale: Fc = 1559 N e Ft = 1271 N.
La larghezza di taglio è b = 3.0 mm. Sulla base di questi dati, determinare la resisten-
za al taglio del materiale lavorato.

Soluzione: Dall’Esempio 13.1 si sa che l’angolo di spoglia superiore ortogonale è go


= 10° e l’angolo del piano di scorrimento φ = 25.4°. La forza di taglio può essere cal-
colata usando l’Equazione (13.11):

Fs = 1559 cos 25.4 – 1271 sin 25.4 = 863 N

L’area del piano di scorrimento è data dall’Equazione (13.8):


(0.5)(3.0)
A sh = = 3.497 mm2
sin 25.4
Quindi la tensione tangenziale media sul piano di scorrimento, che è pari alla resi-
stenza al taglio del materiale lavorato, è
863
tsh = tmax = = 247 N/mm2 = 247 MPa
3.497
Questo esempio dimostra che la forza di taglio e quella di avanzamento sono legate alla
resistenza al taglio del materiale lavorato. Queste relazioni possono essere definite in
modo più diretto. Ricordando dall’Equazione (13.7) che la forza sul piano di scorrimen-
to Fsh = tsh Ash, si possono derivare le seguenti equazioni:
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 343

hD b go Fsh go
Fc (13.13)
go go
e
hD b go Fsh go
Ft
go go (13.14)
Queste equazioni permettono di stimare la forza di taglio e la forza di avanzamento in
un’operazione di taglio ortogonale conoscendo la resistenza al taglio del materiale.

13.3.2  L’equazione di Merchant


Una delle relazioni più importanti nel taglio dei metalli è stata scoperta da Eugene
Merchant [10]. Questa relazione è basata sull’ipotesi del taglio ortogonale, ma la sua
validità si estende alle lavorazioni tridimensionali. Merchant iniziò con la definizione
della tensione tangenziale media sul piano di scorrimento espressa in forma di rapporto,
che deriva dalla combinazione delle Equazioni (13.7), (13.8) e (13.11):
Fsh Fc Ff
tsh = (13.15)
AD/sinϕ h Db
Poi proseguì il ragionamento constatando che tra tutte le possibili angolazioni del ta-
gliente dell’utensile a cui si può verificare la deformazione di taglio, c’è un angolo ϕ che
predomina. Questo è l’angolo a cui la tensione di taglio è pari alla resistenza al taglio
del materiale e quindi la deformazione di taglio avviene con questo angolo. Per tutti gli
altri angoli di taglio possibili, la tensione di taglio è inferiore alla resistenza al taglio,
quindi a questi altri angoli non si può verificare la formazione di truciolo. In effetti, il
materiale lavorato segue un angolo del piano di taglio piano che minimizza l’energia.
Questo angolo può essere determinato calcolando la derivata della tensione di taglio
S nell’Equazione (13.15) rispetto a ϕ e impostando il valore della derivata pari a zero.
Risolvendo per ϕ si ottiene la relazione che prende il nome di Merchant:
go
(13.16)

Tra le ipotesi dell’equazione di Merchant c’è il fatto che la resistenza al taglio del ma-
teriale lavorato sia una costante, influenzata dalla velocità di deformazione, dalla tem-
peratura e da altri fattori. Dato che questa ipotesi non è valida nelle reali lavorazioni,
l’Equazione (13.16) deve essere considerata come un rapporto approssimativo e non
un’equazione matematica precisa. Prendiamo comunque in considerazione la sua appli-
cazione nel seguente esempio.

Esempio 13.3  Calcolo dell’angolo di attrito


Utilizzando i risultati degli esempi precedenti, determinare (a) l’angolo di attrito e (b)
il coefficiente di attrito.

Soluzione: (a) Dall’Esempio 13.1, si ha che go = 10° e φ = 25.4°. Riorganizzando


l’Equazione (13.16), si ha che l’angolo di attrito può essere calcolato come:

b = 2(45) + 10 – 2(25.4) = 49.2°

(b) Il coefficiente di attrito è dato dall’Equazione (13.6):


m = tan 49.2 = 1.16
344 Tecnologia meccanica

Conseguenze dell’equazione di Merchant  Il vero valore dell’equazione di


Merchant è che essa definisce la relazione generale tra l’angolo di spoglia superiore or-
togonale, l’attrito tra utensile e truciolo e l’angolo del piano di scorrimento. L’angolo del
piano di scorrimento può essere aumentato (1) aumentando l’angolo di spoglia superiore
o (2) diminuendo l’angolo di attrito (o il coefficiente di attrito) tra l’utensile e il truciolo.
L’angolo di spoglia superiore può essere aumentato in fase di progettazione dell’utensile
e l’angolo di attrito può essere diminuito utilizzando un fluido lubrificante.
L’importanza di aumentare l’angolo del piano di scorrimento si nota in Figura 13.10. A
parità di tutti gli altri fattori, avere un angolo di piano di scorrimento maggiore causa un’area
del piano minore. Poiché la resistenza al taglio si applica a questa superficie, la forza di taglio
necessaria per formare il truciolo diminuisce al ridursi dell’area del piano di scorrimento. Un
angolo del piano di scorrimento maggiore causa una diminuzione dell’energia di taglio neces-
saria, una potenza minore e una temperatura più bassa. Questi sono tutti buoni motivi per cer-
care di rendere l’angolo del piano di scorrimento più grande possibile durante la lavorazione.

Approssimazione della tornitura tramite taglio ortogonale  Si può usare il modello


ortogonale per approssimare l’operazione di tornitura e altre lavorazioni effettuate con utensili
monotaglienti se si ha un avanzamento piccolo rispetto alla profondità di taglio. Quindi la mag-
gior parte del taglio avverrà nella direzione dell’avanzamento e il taglio sulla punta dell’utensi-
le sarà trascurabile. La Figura 13.11 indica il passaggio da una configurazione di taglio all’altra.
L’interpretazione dei parametri di taglio è diversa nei due casi. Lo spessore del trucio-
lo prima indeformato hD nel taglio ortogonale corrisponde all’avanzamento f nella torni-
tura e la larghezza di taglio b nel taglio ortogonale corrisponde alla profondità di passata
ap nella tornitura. Inoltre, la forza di avanzamento Ff nel modello ortogonale corrisponde
alla forza di avanzamento Ff nella tornitura. Le velocità e le forze di taglio hanno lo stesso
significato nei due casi. La Tabella 13.1 riassume le conversioni da effettuare.

13.4 Relazioni di potenza ed energia nella lavorazione


per asportazione di truciolo

Un’operazione di lavorazione per asportazione di truciolo richiede potenza. La forza di taglio


usata in una produzione industriale può superare i 1000 N (un centinaio di chilogrammi), come
si può notare dall’Esempio 13.2. Le velocità di taglio tipiche sono diverse centinaia di m/min. Il

Truciolo Truciolo Utensile


Utensile
hch hch

hD φ hD φ

Pezzo Pezzo

Figura 13.10  Effetto dell’angolo del piano di scorrimento φ: (a) se φ è maggiore, l’area del piano di scorrimento è inferiore, (b)
se φ è minore, l’area del piano di scorrimento maggiore. Si noti che l’angolo del piano di scorrimento aumenta all’aumentare
dell’angolo di spoglia superiore ortogonale (in (a) è maggiore) secondo l’equazione di Merchant. (Fonte: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 345

Pezzo
Fc

Truciolo
hD
vc

Ff
Pezzo
Fc
ap

Ff
vc

Utensile

Utensile

Figura 13.11 Approssi-
TABELLA 13.1 Conversioni tra tornitura e taglio ortogonale.
mazione della tornitura
con il modello ortogo-
Operazione di tornitura Modello di taglio ortogonale
nale: (a) tornitura e (b)
Avanzamento f = Spessore del truciolo taglio ortogonale corri-
Profondità di passata a p = Larghezza di taglio indeformato h D spondente. (Fonte: Fun-
Velocità di taglio vc = Velocità di taglio vc damentals of M odern
Manufacturing, 4th Edi-
Forza di taglio Fc = Forza di taglio Fc
tion by Mikell P. Groover,
Forza di avanzamento Ff = Forza di avanzamento Ff 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
prodotto della forza e della velocità di taglio costituisce la potenza (energia per unità di tempo) & Sons, Inc.)
necessaria ad eseguire un’operazione di lavorazione per asportazione di truciolo:
Pc = Fcvc(13.17)
dove Pc è la potenza di taglio in N-m/s o W, Fc la forza di taglio in N, vc la velocità di
taglio in m/s .
La potenza lorda necessaria al funzionamento della macchina utensile è maggiore
della potenza fornita al processo di taglio a causa delle perdite meccaniche del motore
e della trasmissione alla macchina. Queste perdite possono essere valutate con il rendi-
mento meccanico della macchina utensile:
Pc
Pg = (13.18)
E
dove Pg è la potenza lorda del motore della macchina utensile in W ed E l’efficienza mecca-
nica della macchina utensile. I valori tipici di E per macchine utensili sono circa del 90%.
Spesso è utile convertire la potenza in potenza per unità di volume di materiale
asportato. Questa grandezza viene chiamata potenza di taglio per unità di volume Pc
ed è definita come:
346 Tecnologia meccanica

Pc
pc = R (13.19)
Q

dove Q è il tasso di asportazione di materiale in mm3/s . Il tasso di asportazione di ma-


teriale può essere calcolato come il prodotto vchob, che non è altro che l’Equazione (13.1)
con le conversioni della Tabella 13.1. La potenza unitaria è anche nota come forza di
taglio per unità di superficie di taglio o pressione di taglio kc.
Pc Fcvc Fc
kc = pc = Q = v h b = h b (13.20)
c D D

Le unità di misura per la pressione di taglio di solito sono i N/mm 2 (o anche i Nm/mm3
= J/mm3).

Esempio 13.4 Relazioni tra potenze nella lavorazione per asportazione di truciolo


Continuando con l’esempio precedente, determiniamo la potenza di taglio e l’energia
specifica nella lavorazione descritta sapendo che la velocità di taglio è 100 m/min.
Riassumendo i dati e risultati degli esempi precedenti si ha che ho = 0.50 mm, b = 3.0
mm, Fc = 1557 N.

Soluzione: Dall’Equazione (13.17), si ha che la potenza richiesta dall’operazione è

Pc = (1557 N)(100 m/min) = 155,700 N-m/min =


= 155,700 J/min = 2595 J/s = 2595 W

La pressione di taglio si calcola dall’Equazione (13.20):

155,700 155,700
kc = = = 1038 N/min2
100(103)(3.0)(0.5) 150,000

La potenza di taglio per unità di volume e la pressione di taglio forniscono un’utile


misura della quantità di potenza (o energia) necessaria per rimuovere un volume unita-
rio di materiale durante una lavorazione per asportazione di truciolo. Utilizzando queste
misure, è possibile confrontare i vari materiali lavorati. La Tabella 13.2 presenta i valori
di potenza unitaria ed energia specifica di alcuni materiali.
I valori in Tabella 13.2 sono basati sulle seguenti due ipotesi: (1) l’utensile da taglio
è affilato e (2) lo spessore del truciolo indeformato ho è 0.25 mm. Se queste ipotesi non
fossero soddisfatte, bisognerebbe fare alcune modifiche ai valori. Infatti per gli utensili
usurati, la potenza necessaria per eseguire un taglio è maggiore e questo si riflette in
una maggiore pressione di taglio e potenza di taglio per unità di volume. In linea di
massima, i valori della tabella devono essere moltiplicati per un fattore compreso tra
1.00 e 1.25, a seconda del grado di usura dello strumento. Per gli utensili a spigolo vivo,
il fattore è 1.00. Per gli utensili utilizzati in operazioni di finitura che sono molto usurati
il fattore è di circa 1.10 e per gli strumenti utilizzati in operazioni di sgrossatura che
sono molto usurati il fattore è 1.25.
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 347

TABELLA 13.2  Valori di potenza di taglio per unità di volume e pressione di taglio per
alcuni materiali lavorati con utensili da taglio a spigolo vivo e con uno
spessore del truciolo indeformato pari a 0.25 mm.

Pressione di taglio kc o potenza


di taglio per unità di volume p c
Materiale Durezza Brinell N/mm2
Acciaio al carbonio 150-200 1600
201-250 2200
251-300 2800
Leghe di acciaio 200-250 2200
251-300 2800
301-350 3600
351-400 4400
Ghise 125-175 1100
175-250 1600
Acciaio inossidabile 150-250 2800
Alluminio 50-100 700
Leghe di alluminio 100-150 800
Ottone 100-150 2200
Bronzo 100-150 2200
Leghe di magnesio 50-100 400
Fonti [6], [8], [11] e altre.

Anche lo spessore del truciolo indeformato (ho) influisce sulla pressione di taglio e
sulla potenza di taglio per unità di volume. Se ho si riduce, la potenza unitaria richiesta
aumenta. Questa relazione viene indicata come effetto di scala. Ad esempio, la rettifi-
ca, in cui i trucioli sono molto piccoli rispetto a quelli delle altre operazioni di lavorazio-
ne per asportazione di truciolo, richiede dei valori molto elevati di pressione di taglio.
I valori in Tabella 13.2 possono essere usati per calcolare la potenza e l’energia anche
quando lo spessore ho non è 0.25 mm, applicando un fattore di correzione per tenere
conto della differenza di spessore del truciolo indeformato. La Figura 13.12 fornisce i
valori di questo fattore di correzione in funzione di ho. I valori della potenza di taglio
per unità di volume e dell’energia specifica della Tabella 13.2 devono essere moltiplicati
per il fattore di correzione appropriato quando lo spessore iniziale non è 0.25 mm.
Oltre all’affilatezza dell’utensile e all’effetto di scala, ci sono altri fattori che in-
fluenzano i valori della potenza di taglio per unità di volume e pressione di taglio di una
certa operazione. Questi fattori includono l’angolo di spoglia superiore, la velocità di
taglio e il fluido di taglio. Se l’angolo di spoglia superiore o la velocità di taglio aumen-
tano, o se si usa un fluido di taglio, i valori di U si riducono leggermente. Per i nostri
scopi, negli esercizi alla fine del capitolo, gli effetti di questi fattori aggiuntivi possono
essere ignorati.

13.5  Temperatura di taglio

Dell’energia totale consumata nella lavorazione per asportazione di truciolo, quasi tutta
(~ 98%) viene convertita in calore. Questo calore provoca una temperatura molto eleva-
ta sulla superficie di contatto tra l’utensile e il truciolo, spesso oltre i 600° C. L’energia
residua (~ 2%) viene trattenuta come energia elastica dal truciolo.
348 Tecnologia meccanica
Chip thickness before cut to (in.)
0.005 0.010 0.015 0.020 0.025 0.030 0.040 0.050

1.6

1.4

1.2

di correzione
Figura 13.12  Fattore di

factor
correzione per la poten-
1.0
za di taglio per unità di

Correction
volume e la pressione 0.8
di taglio nel caso in cui
lo spessore del truciolo Fattore 0.6
indeformato sia diver-
so da 0.25 mm. (Fonte: 0.4
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- 0.2
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il 0.125 0.25 0.38 0.50 0.63 0.75 0.88 0.1 1.25
permesso di John Wiley Spessore del truciolo indeformato h o (mm)
Chip thickness before cut to (mm)
& Sons, Inc.)

Le temperature di taglio sono importanti da considerare perché una temperatura alta (1)
riduce la durata dell’utensile, (2) produce dei trucioli caldi che possono rappresentare un pe-
ricolo per l’operatore e (3) può causare delle imprecisioni nelle dimensioni dei pezzo a causa
della dilatazione termica del materiale lavorato. In questa sezione vengono discussi i metodi
per calcolare e misurare le temperature nella lavorazione per asportazione di truciolo.

13.5.1 Metodi analitici di calcolo delle temperature di taglio


Ci sono diversi metodi analitici per calcolare la temperatura di taglio, come illustrato
nei riferimenti [3], [5], [9] e [15]. Prendiamo in considerazione il metodo di Cook [5],
che deriva dall’analisi dei dati sperimentali di vari materiali lavorati, per stabilire i
valori dei parametri dell’equazione risultante. L’equazione seguente si può utilizzare
per calcolare l’aumento della temperatura sulla superficie di contatto utensile-truciolo
durante la lavorazione per asportazione di truciolo:
kc vchD
(13.21)

dove ΔT è l’aumento della temperatura media sulla superficie di contatto utensile-tru-


ciolo in C°, kc è la pressione di taglio dell’operazione in Nm/mm3 = J/mm3 o J/mm3 , vc la
velocità di taglio in m/s , hD lo spessore del truciolo indeformato in m (in), ρC il calore
specifico volumetrico del materiale lavorato in J/mm3-C e K la sua diffusività termica
in m2/s .

13.5.2  Misura della temperatura di taglio


Per misurare la temperatura nelle lavorazioni per asportazione di truciolo sono stati svi-
luppati alcuni metodi sperimentali. La tecnica di misura più utilizzata è quella della ter-
mocoppia utensile-truciolo, che considera i due metalli diversi dell’utensile e del pezzo
come la giunzione della termocoppia. Attraverso l’opportuna connessione di conduttori
elettrici all’utensile e al pezzo (a sua volta collegato al truciolo), si può monitorare la ten-
sione generata sulla superficie di contatto tra utensile e truciolo durante il taglio utilizzan-
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 349

Esempio 13.5  Temperatura di taglio


Per la pressione di taglio ottenuta nell’Esempio 13.4, calcolare l’aumento di tempe-
ratura rispetto alla temperatura ambiente di 20°C. Fare riferimento ai dati degli altri
esempi di questo capitolo: vc = 100 m/min, ho =0.50 mm. Inoltre, si sa che il calore
specifico volumetrico specifico per il materiale lavorato è 3.0 (10-3) J/mm3-C, e la
diffusività termica 50 (10-6) m2/s (o 50 mm2/s).
Soluzione: Per prima cosa si devono convertire la velocità di taglio in mm/s, quindi vc
= (100 m/min) (103 mm/m)/(60 s/min) = 1667 mm/s. Poi si può usare l’Equazione (13.21)
per calcolare l’aumento della temperatura media e la pressione di taglio in N/m2, quindi
kc = 1038 N/mm2 = 1.038 Nm/mm2:

0.4(1.038) 1667(0.5)
DT = °C = (138.4)(2.552) = 353°C
3.0(10 –3) 50

do un potenziometro o un altro dispositivo idoneo alla raccolta di dati.


La tensione di uscita della termocoppia utensile-truciolo (misurata in mV) può es-
sere convertita nel valore di temperatura corrispondente mediante le equazioni di cali-
brazione per la particolare combinazione di utensile e pezzo.
La termocoppia utensile-truciolo è stata utilizzata dai ricercatori per scoprire il
rapporto tra la temperatura e i parametri di taglio, come la velocità e l’avanzamento.
Trigger [14] ha determinato la relazione tra velocità e temperatura, riportata nella for-
mula generale seguente:
T = Kvcm(13.22)
dove T è la temperatura di contatto utensile-truciolo e vc è la velocità di taglio. I parametri
K ed m dipendono dagli altri parametri di taglio (esclusa vc) e dal materiale. I grafici in
Figura 13.13 mostrano l’andamento della temperatura in funzione della velocità di taglio
per diversi materiali lavorati, ottenuti usando l’Equazione (13.22). Una relazione simi-
le esiste anche tra la temperatura e l’avanzamento, tuttavia, l’effetto della temperatura
sull’avanzamento non è così forte come quello sulla velocità di taglio. Questi risultati
empirici dimostrano la validità generale dell’equazione di Cook, l’Equazione (13.21).3

Titanio RC-130B
RC-130B Titanium (T
(T =
= 479v
0.182
479v 0.182) )
1600
°F
di taglio °F

1200 Figura 13 .13 Tempe -


Cutting temperature,

Acciaio
18-8 inossidabile
Stainless steel (T18-8 (T =0.361
= 135v 135v
)
0.361
) rature di taglio misurate
sperimentalmente a varie
velocità di taglio nella la-
Temperatura

800 vorazione di tre materiali.


Le curve sono in generale
coerenti con l’Equazione
AcciaioFree
B1113 ad alta lavorabilità
machining steelB1113 (T = 86.2v
(T = 86.2v 0.348) 0.348)
(13.22). I grafici sono ba-
400 sati sui dati riportati in [9]3.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
200 400 600 800 1000 Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Velocità
Cuttingdispeed
taglio(ft/min)
(ft/min)
Wiley & Sons, Inc.)

3
  Le unità riportate nell’articolo ASME di Loewen e Shaw [9] sono in °F per la temperatura di taglio e in ft/min
per la velocità di taglio. Le stesse unità di misura sono state mantenute nei grafici e nelle equazioni della figura.
350 Tecnologia meccanica

Bibliografia

[1] ASM Handbook, Vol. 16, Machining. ASM International, Materials Park, Ohio, 1989.
[2] Black, J, and Kohser, R. DeGarmo’s Materials and Processes in Manufacturing, 10th ed.
John Wiley & Sons, Inc. Hoboken, New Jersey, 2008.
[3] Boothroyd, G., and Knight, W. A. Fundamentals of Metal Machining and Machine Tools,
3rd ed. CRC Taylor and Francis, Boca Raton, Florida, 2006.
[4] Chao, B. T., and Trigger, K. J. Temperature Distribution at the Tool-Chip Interface in
Metal Cutting, ASME Transactions, Vol. 77, October 1955, pp. 1107–1121.
[5] Cook, N. «Tool Wear and Tool Life,» ASME Transactions, J. Engrg. for Industry, Vol. 95,
November 1973, pp. 931–938.
[6] Drozda, T. J., and Wick, C. (eds.). Tool and Manufacturing Engineers Handbook, 4th ed.,
Vol. I, Machining. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1983.
[7] Kalpakjian, S., and Schmid, R. Manufacturing Processes for Engineering Materials, 4th
ed. Prentice Hall/Pearson, Upper Saddle River, New Jersey, 2003.
[8] Lindberg, R. A. Processes and Materials of Manufacture, 4th ed. Allyn and Bacon, Inc.,
Boston, Massachusetts, 1990.
[9] Loewen, E. G., and Shaw, M. C. «On the Analysis of Cutting Tool Temperatures,» ASME
Transactions, Vol. 76, No. 2, February 1954, pp. 217–225.
[10] Merchant, M. E. «Mechanics of the Metal Cutting Process: II. Plasticity Conditions in Or-
thogonal Cutting,» Journal of Applied Physics, Vol. 16, June 1945 pp. 318–324.
[11] Schey, J. A. Introduction to Manufacturing Processes, 3rd ed. McGraw-Hill Book Com-
pany, New York, 1999.
[12] Shaw,M. C. Metal Cutting Principles, 2nd ed. Oxford University Press, Inc., Oxford, En-
gland, 2005.
[13] Trent, E. M., andWright, P. K. Metal Cutting, 4th ed. Butterworth Heinemann, Boston,
Massachusetts, 2000.
[14] Trigger, K. J. «Progress Report No. 2 on Tool-Chip Interface Temperatures,» ASME Tran-
sactions, Vol. 71, No. 2, February 1949, pp. 163–174.
[15] Trigger, K. J., and Chao, B. T. «AnAnalytical Evaluation of Metal Cutting Temperatures,»
ASME Transactions, Vol. 73, No. 1, January 1951, pp. 57–68.

Domande di ripasso
  8. Che cos’è una macchina utensile?
1. Quali sono le tre categorie di base dei processi di   9. Che cos’è un’operazione di taglio ortogonale?
rimozione di materiale? 10.  Perché il modello di taglio ortogonale è utile
2. Cosa distingue le lavorazioni per asportazione di nell’analisi della lavorazione dei metalli per aspor-
truciolo dagli altri processi produttivi? tazione di truciolo?
3. Elencare i motivi per cui le lavorazioni per asporta- 11. Elencare e descrivere brevemente le quattro tipo-
zione di truciolo sono importanti dal punto di vista logie di truciolo che si possono ottenere dal taglio
commerciale e tecnologico. dei metalli.
4. Descrivere i tre processi di lavorazione per asporta- 12. Descrivere le quattro forze che agiscono sul trucio-
zione di truciolo più comuni. lo nel modello ortogonale che non possono essere
5. Quali sono le due categorie fondamentali di utensili misurate direttamente in un’operazione.
da taglio usati nella lavorazione per asportazione 13. Descrivere le due forze che possono essere misu-
di truciolo? Per ciascuna delle due categorie, dare rate nel modello di taglio ortogonale.
due esempi di operazioni di lavorazione che la uti- 14. Qual è il rapporto tra il coefficiente di attrito e l’an-
lizzano. golo di attrito nel modello di taglio ortogonale?
6. Quali sono i parametri di una lavorazione per aspor- 15. Descrivere a parole il significato dell’equazione di
tazione di truciolo che si riferiscono all’operazione Merchant.
di taglio? 16. Qual è la relazione tra la potenza e la forza di taglio?
7. Spiegare la differenza tra sgrossatura e finitura nel- 17. Cos’è la pressione di taglio nella lavorazione dei
la lavorazioni per asportazione di truciolo. metalli?
Teoria della lavorazione per asportazione di truciolo 351

18. Che cosa significa il termine effetto di scala nel ta- 19. Che cos’è una termocoppia utensile-truciolo?
glio dei metalli?

Problemi
taglio = 30 m/min, spessore del truciolo indeforma-
1. In un’operazione di taglio ortogonale, l’utensile ha to = 0.4 mm e larghezza di taglio = 4 mm. Il fattore
un angolo di spoglia superiore ortogonale di 15°. Lo di ricalcamento risultante è 0.50. Determinare (a)
spessore del truciolo indeformato è 0.30 mm e il ta- l’angolo del piano di scorrimento, (b) la forza di ta-
glio produce un truciolo spesso 0.65 mm. Calcolare glio, (c) la forza di taglio misurabile e la forza di
(a) l’angolo del piano di scorrimento e (b) la defor- avanzamento e (d) la forza di attrito.
mazione di taglio dell’operazione.   8. Una barra di acciaio al carbonio di diametro di 194
2. In un’operazione di taglio ortogonale, l’utensile è mm ha una resistenza alla trazione di 448 MPa e
largo 6.4 mm e ha un angolo di spoglia superiore or- una resistenza al taglio di 310 MPa. Il diametro vie-
togonale di 5°. Il tornio è impostato su uno spessore ne ridotto mediante un’operazione di tornitura ad
del truciolo indeformato di 0.25 mm. Dopo il taglio, una velocità di taglio di 122 m/min. L’avanzamento
lo spessore del truciolo diventa 0.7 mm. Calcolare è di 0.28 mm/giro e la profondità di taglio è 3 mm.
(a) l’angolo del piano di scorrimento e (b) la defor- L’angolo di spoglia superiore ortogonale dell’uten-
mazione di taglio dell’operazione. sile nella direzione del truciolo è 13°. I parametri di
3. In un’operazione di tornitura, la velocità del mandrino taglio danno origine a un fattore di ricalcamento del
viene impostata per fornire una velocità di taglio di 1.8 truciolo di 0.52. Utilizzando il modello ortogonale
m/s. L’avanzamento e la profondità di taglio sono ri- come approssimazione della tornitura, determina-
spettivamente 0.30 mm e 2.6 mm. L’angolo di spoglia re (a) l’angolo del piano di scorrimento, (b) la forza
superiore ortogonale è 8°. Dopo il taglio, lo spessore di taglio, (c) la forza di taglio misurabile e la forza di
del truciolo è 0.49 mm. Determinare (a) l’angolo del avanzamento e (d) il coefficiente di attrito tra l’uten-
piano di scorrimento, (b) la deformazione di taglio e sile e il truciolo.
(c) la velocità di asportazione del materiale. Utilizzare   9. Un acciaio a basso contenuto di carbonio aven-
il modello di taglio ortogonale come approssimazione te una resistenza alla trazione di 300 MPa e una
del processo di tornitura. resistenza al taglio di 220 MPa viene tagliato me-
4. In una operazione di taglio ortogonale, la forza di diante un’operazione di tornitura con una velocità di
taglio e la forza di avanzamento sono rispettivamen- taglio di 3.0 m/s. L’avanzamento è di 0.20 mm/giro e
te 1470 N e 1589 N. L’angolo di spoglia superiore la profondità di taglio è di 3.0 mm. L’angolo di spo-
ortogonale è 5°, la larghezza di taglio è 5.0 mm, lo glia superiore ortogonale dell’utensile è di 5° nella
spessore del truciolo indeformato è 0.6 mm e il fat- direzione di scorrimento del truciolo. Il fattore di ri-
tore di ricalcamento del truciolo è 0.38. Determinare calcamento risultante è 0.45. Utilizzando il modello
(a) la resistenza al taglio del materiale lavorato e (b) ortogonale come approssimazione della tornitura,
il coefficiente di attrito nell’operazione. determinare (a) l’angolo del piano di scorrimento,
5. In una operazione di taglio ortogonale, la forza di taglio e (b) la forza di taglio, (c) la forza di taglio misurabile e
la forza di avanzamento sono rispettivamente 1335 kg e la forza di avanzamento.
1295 kg. L’angolo di spoglia superiore ortogonale è 10°, la 10. Un’operazione di tornitura ha un angolo di spoglia
larghezza di taglio di 5 mm, lo spessore del truciolo inde- superiore ortogonale di 10°, un avanzamento di
formato di 0.4 mm e il fattore di ricalcamento del truciolo 0.25 mm/giro e una profondità di taglio di 2.5 mm.
0.4. Determinare (a) la resistenza al taglio del materiale ai La resistenza al taglio del materiale è 345 MPa e
lavoro e (b) il coefficiente di attrito nell’operazione. il fattore di ricalcamento del truciolo misura 0.40.
6. In una operazione di taglio ortogonale, l’angolo di Determinare la forza di taglio misurabile e la forza
spoglia superiore ortogonale è –5°, lo spessore del di avanzamento. Utilizzare il modello di taglio or-
truciolo indeformato è 0.2 mm e la larghezza di taglio togonale come approssimazione del processo di
di 4.0 mm. Il fattore di ricalcamento del truciolo è 0.4. tornitura.
Determinare (a) lo spessore del truciolo dopo il taglio, 11. In un’operazione di tornitura di acciaio inossidabile
(b) l’angolo di taglio, (c) l’angolo di attrito, (d) il coeffi- con durezza 200 HB, velocità di taglio 200 m/min,
ciente di attrito e (e) la deformazione di taglio. avanzamento 0.25 mm/giro e profondità di taglio
7. La resistenza al taglio di un certo materiale è 345 MPa. 7.5 mm. Quanta potenza è richiesta dal tornio, sa-
Un’operazione di taglio ortogonale viene eseguita utiliz- pendo che la sua efficienza meccanica è del 90%.
zando un utensile con angolo di spoglia superiore orto- Utilizzare la Tabella 13.2 per avere il valore appro-
gonaledi 20° alle condizioni di taglio seguenti: velocità di priato della pressione di taglio.
352 Tecnologia meccanica

12. Facendo riferimento al Problema 11, calcolare i taglio viene misurato il fattore di ricalcamento, che
requisiti di potenza del tornio se l’avanzamento di- è pari a 0.45. (a) Utilizzando il valore appropriato di
venta 0.50 mm/giro. pressione di taglio dalla Tabella 13.2, calcolare la
13. In un’operazione di tornitura di alluminio, la veloci- potenza del motore di azionamento, sapendo che
tà di taglio è 274 m/min, l’avanzamento 0.5 in/giro il tornio ha un’efficienza dell’85%. (b) Sulla base
e la profondità di taglio 0.64 mm. Quanta potenza della potenza calcolata, dare la migliore stima pos-
serve nel motore di azionamento, sapendo che il sibile della forza di taglio richiesta per questa ope-
tornio ha un’efficienza meccanica dell’87%? Utiliz- razione di tornitura. Utilizzare il modello di taglio
zare la Tabella 13.2 per avere il valore appropriato ortogonale come approssimazione del processo di
della potenza unitaria. tornitura.
14. In un’operazione di tornitura su acciaio a carbonio 20. In un’operazione di tornitura su un pezzo in lega
semplice, la cui durezza Brinell HB è pari a 275, di alluminio, l’avanzamento è di 0.5 mm/giro e la
la velocità di taglio è fissata a 200 m/min e la pro- profondità di taglio di 6.4 mm. La potenza del mo-
fondità di taglio a 6.0 mm. Il motore del tornio ha tore del tornio è 15 kW e il rendimento meccanico è
una potenza di 25 kW e la sua efficienza mecca- del 92%. Il valore della potenza unitaria per questo
nica è del 90%. Utilizzando il valore appropriato di tipo di alluminio è 0.7 N-m/mm3. Qual è la velocità
pressione di taglio dalla Tabella 13.2, determinare di taglio massima che può essere raggiunta in que-
l’avanzamento massimo che può essere imposta- sta operazione?
to per questa operazione. Si raccomanda l’uso di 21. Si esegue un taglio ortogonale su un metallo il cui
un foglio di calcolo per svolgere i numerosi calcoli calore specifico è 1.0 J/g-C, la cui densità è 2.9
richiesti. g/cm3 e la cui diffusività termica è 0.8 cm2/s. La
15. Un’operazione di tornitura deve essere eseguita velocità di taglio è 4.5 m/s, lo spessore del truciolo
su un tornio 15 kW con efficienza 87%. Il taglio di indeformato è 0.25 mm e la larghezza di taglio è
sgrossatura viene effettuato su un acciaio legato 2.2 mm. La forza di taglio misurata è 1170 N. Utiliz-
con durezza nell’intervallo 325-335 HB. La velo- zando la formula di Cook, determinare la tempera-
cità di taglio è di 375 m/min, l’avanzamento 0.8 tura di taglio sapendo che la temperatura ambiente
mm/giro e la profondità di taglio 4 mm. In base a è 22°C.
questi valori, verificare se l’operazione può essere 22. Si consideri un’operazione di tornitura eseguita su
eseguita sul tornio da 15 kW. Utilizzare la Tabella un acciaio la cui durezza è 225 HB a velocità di 3.0
13.2 per ottenere il valore appropriato della poten- m/s, con un avanzamento di 0.25 mm e una pro-
za unitaria. fondità di 4.0 mm. Usando i valori delle proprietà
16. In un’operazione di tornitura di acciaio a basso te- termiche che si trovano nelle tabelle e nelle defini-
nore di carbonio (175 BHN), la velocità di taglio è zioni delle Sezioni 3.6 e 3.7, e il valore di pressione
122 m/min, l’avanzamento 0.25 mm/giro e la pro- di taglio dalla Tabella 13.2, calcolare la temperatu-
fondità di taglio di 1.9 mm. Il tornio ha un’efficien- ra di taglio usando l’equazione di Cook. Si assuma
za meccanica di 0.85. Sulla base dei valori della che la temperatura ambiente sia 20°C.
potenza unitaria in Tabella 13.2, determinare (a) 23. Un’operazione di taglio ortogonale viene eseguita
la potenza richiesta dalla tornitura e (b) la potenza su un certo metallo il cui calore specifico volume-
che deve essere generata dal tornio. trico è 0.0024 Nm/mm3-C e la cui diffusività termi-
17. Risolvere il Problema 16 per un avanzamento di ca è 12.25 mm2/sec. La velocità di taglio è 107 m/
0.19 mm/giro e con un acciaio inox come materiale min, lo spessore del truciolo indeformato 0.2 mm
lavorato (durezza Brinell = 240 HB). e la larghezza di taglio 2.5 mm. La forza di taglio
18. Un’operazione di tornitura viene eseguita su allu- misurata è 890 N. Utilizzando la formula di Cook,
minio (100 BHN). La velocità di taglio è 5.6 m/s, determinare la temperatura di taglio sapendo che
l’avanzamento 0.25 mm/giro e la profondità di ta- la temperatura ambiente è 21°C.
glio 2.0 mm. Il tornio ha un’efficienza meccanica 24. Durante un’operazione di tornitura, si usa una ter-
di 0.85. Sulla base dei valori di energia riportati in mocoppia utensile-truciolo per misurare la tempe-
Tabella 13.2, determinare (a) la potenza di taglio e ratura di taglio. I dati della temperatura seguenti
(b) la potenza lorda nella tornitura in Watt. corrispondono a tagli a tre diverse velocità di ta-
19. Un’operazione di tornitura viene eseguita su un glio (l’avanzamento e la profondità rimangono co-
tornio a motore che utilizza un utensile con angolo stante): (1) vc = 100 m/min e T = 505°C, (2) vc =
di spoglia superiore pari a zero nella direzione di 130 m/min e T = 552°C, (3) vc = 160 m/min e T =
scorrimento dei trucioli. Il materiale lavorato è una 592°C. Determinare un’equazione della tempera-
lega di acciaio di durezza Brinell pari a 325. L’avan- tura in funzione della velocità di taglio nella forma
zamento è di 0.4 mm/giro, la profondità di taglio di dell’equazione di Trigger (Equazione 13.22).
3.2 mm e la velocità di taglio di 91 m/min. Dopo il
Lavorazioni per asportazione

Capitolo 14
di truciolo e macchine
utensili

La lavorazione per asportazione di truciolo è il processo più versatile e accurato tra tutti i
processi di produzione per la sua capacità di produrre una varietà di forme e caratteristiche
geometriche dei pezzi. Anche la fonderia può produrre una grande varietà di forme, ma non
ha la stessa precisione e accuratezza. In questo capitolo vengono descritte le principali
operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo e le macchine utensili utilizzate per
eseguirle.

14.1 Forme dei pezzi nelle lavorazioni per asportazione


di truciolo

I pezzi da sottoporre a lavorazione per asportazione di truciolo possono essere classifi-


cati come rotazionali o non rotazionali, come illustrato in Figura 14.1. Un pezzo rota-
zionale ha la forma di un cilindro o di un disco. L’operazione tipica che produce questa
forma è prodotta da un utensile da taglio che asporta materiale da un pezzo che ruota.
Esempi di operazioni che producono pezzi rotazionali sono la tornitura e la barenatura. Figura 14.1  I pezzi da
La foratura è molto simile ma serve per creare una forma cilindrica interna ed è l’uten- lavorazione per aspor-
sile che ruota anziché il pezzo. Un pezzo non rotazionale (o prismatico) ha forma di tazione di truciolo sono
blocco o piastra, come in Figura 14.1 (b). Questa forma si ottiene tramite movimenti classificati come (a) ro-
tazionali o (b) non rota-
lineari del pezzo, abbinati a rotazioni o movimenti lineari dell’utensile. Le operazioni zionali (come i blocchi o
che producono pezzi prismatici includono la fresatura, la limatura, la piallatura e la le piastre illustrati in que-
segatura. sta immagine). (Fonte:
Ogni lavorazione produce una forma specifica in base a due fattori: (1) i movimenti Fundamentals of Modern
relativi tra l’utensile e il pezzo e (2) la forma dell’utensile da taglio. Classifichiamo que- Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
ste operazioni di produzione di forme in due categorie, di generazione e di formatura. 2010. Ristampato con il
Nelle operazioni di generazione, la forma del pezzo viene determinata dalla traietto- permesso di John Wiley &
ria di avanzamento dell’utensile da taglio. Il percorso seguito dall’utensile durante il Sons, Inc.)
354 Tecnologia meccanica

suo moto di avanzamento viene impartito alla superficie di lavoro in modo da creare la
forma. Esempi di operazioni di generazione sono la tornitura cilindrica, la tornitura co-
nica, la tornitura di copiatura, la fresatura periferica e la fresatura frontale, tutte opera-
zioni illustrate in Figura 14.2. In ognuna di queste operazioni, l’asportazione viene ese-
guita dal moto di taglio, ma la forma del pezzo è determinata dal moto di avanzamento.
La traiettoria di avanzamento può comportare delle variazioni di profondità o larghezza
di taglio durante l’operazione. Per esempio, nella tornitura di copiatura e nella fresatura
frontale indicate in figura, il movimento di avanzamento provoca delle variazioni di
profondità e di larghezza mentre il taglio procede.
Nelle operazioni di formatura, la forma del pezzo viene creata dalla forma
dell’utensile usato nel taglio. In effetti, il tagliente dell’utensile ha una forma comple-
Figura 14.2 Operazioni mentare rispetto al pezzo da produrre. Esempi di queste operazioni sono la tornitura
di generazione di forme con utensili di forma, la foratura e la brocciatura. In queste operazioni, illustrate in
nella lavora zione per Figura 14.3, la forma dell’utensile da taglio viene trasmessa al pezzo. Le condizioni di
asportazione di truciolo: taglio di formatura di solito comprendono un moto primario di taglio combinato con
(a) tornitura cilindrica,
un moto di avanzamento che è diretto all’interno del pezzo (lavorazione «a tuffo»). La
(b) tornitura conica, (c)
tornitura di copiatura, (d) profondità di passata di solito si riferisce alla penetrazione finale nel pezzo alla fine del
fresatura periferica e (e) movimento di avanzamento.
fresatura frontale. (Fonte: Formatura e generazione a volte si combinano in una sola operazione, come illustrato
Fundamentals of Modern in Figura 14.4, ad esempio nel caso di una filettatura eseguita su un tornio o la realizzazio-
Manufacturing, 4 th Edi-
ne di una cava di forma su una fresatrice. Nella filettatura, la forma appuntita dell’utensile
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il di taglio determina la forma dei filetti, ma è il moto di avanzamento che li genera. Nella
permesso di John Wiley & realizzazione di cave di forma («slot milling» o «slotting»), la larghezza dell’utensile de-
Sons, Inc.) termina la larghezza della cava mentre il moto di avanzamento crea la cava.

Superficie generata = cilindro


Superficie generata = cono Superficie generata

vc vc
vc

Pezzo Pezzo
Pezzo

Superficie generata = piano


vc Pezzo vc

Superficie generata
Pezzo
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 355

Superficie finale

vc

Superficie finale Pezzo


Pezzo

Pezzo Superficie finale Broccia

Utensile
di forma
vc

Figura 14.3  Operazioni di formatura nella lavorazione per asportazione di truciolo: (a) tornitura
con utensile di forma, (b) foratura e (c) brocciatura. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

La lavorazione per asportazione di truciolo è definita come un processo secondario.


In genere i processi secondari vengono effettuati dopo quelli di base, che hanno lo sco-
po di creare la forma iniziale di un pezzo. I processi di base sono ad esempio la fonderia,
la forgiatura e la laminazione (per la produzione di barre). Le forme prodotte da questi
processi di solito richiedono una finitura per mezzo di processi secondari. Le lavorazio-
ni per asportazione di truciolo servono per trasformare le forme di partenza in quelle
finali specificate dai progettisti. Ad esempio, si può ottenere un albero motore da una
barra dopo una serie di operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo.

vc Figura 14.4 Combina-
zione di generazione e
formatura per creare la
Fresatrice per cave a T forma del pezzo finale:
(a) filettatura su un tor-
nio e (b) realizzazione
Superficie formata di una cava di forma su
e generata una fresatrice. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
Pezzo

Pezzo Utensile filettatore Superficie generata e formata


356 Tecnologia meccanica

14.2 Tornitura

La tornitura è un processo di lavorazione per asportazione di truciolo in cui un utensile


monotagliente asporta del materiale dalla superficie di un pezzo in rotazione. L’utensile
viene fatto avanzare linearmente in direzione parallela all’asse di rotazione per generare
una forma cilindrica, come illustrato in Figura 14.2 (a) e 14.5. Gli utensili monotaglienti
utilizzati nella tornitura e in altre operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo
sono discussi nel Paragrafo 13.1. La tornitura viene tradizionalmente effettuata su una
macchina utensile chiamata tornio, che fornisce la potenza necessaria per ruotare il
pezzo a una certa velocità di rotazione e per muovere l’utensile a una specifica velocità
di avanzamento e profondità di passata.

14.2.1  Condizioni di taglio in tornitura


La velocità di rotazione nella tornitura è legata alla velocità di taglio che si deve avere
sulla superficie del pezzo cilindrico mediante la seguente equazione:

vc
n (14.1)
Do 

dove n è la velocità di rotazione in giri/min, v la velocità di taglio in m/min e Do il dia-


metro iniziale del pezzo in mm. L’operazione di tornitura riduce il diametro del pezzo
dal suo diametro iniziale Do a un diametro finale Df , come determinato dalla profondità
di passata ap:

Df Do ap(14.2)

Nella tornitura l’avanzamento si esprime di solito in mm/giro. Questo avanzamento può


essere convertito in una velocità di movimento lineare in mm/min dalla formula se-
guente:

vf nf (14.3)

dove vf è la velocità di avanzamento in mm/min e f l’avanzamento in mm/giro.

Pezzo (superficie da lavorare)


Superficie lavorata
ap
vc

Df n

Do

Figura 14.5 Operazio-
ne di tornitura. (Fonte:
Fundamentals of Modern Truciolo
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover, Utensile monotagliente
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 357

Il tempo impiegato per lavorare il pezzo da un’estremità del cilindro all’altra è dato da:

Tm (14.4)
vf 

dove Tm è il tempo di lavorazione in min e L la lunghezza del cilindro in mm. Una for-
mula più diretta del tempo di lavorazione è data dalla seguente equazione:

Do
Tm (14.5)
vc 

dove Do è il diametro del pezzo in mm, L la sua lunghezza in mm, f l’avanzamento


in mm/giro e vc la velocità di taglio in mm/min. Nella pratica si aggiunge una piccola
distanza (extracorsa) sia all’inizio sia alla fine del pezzo per consentire l’approccio e
l’uscita dell’utensile. Per questo motivo, la durata del movimento di avanzamento in
realtà è un po’ più lunga di Tm.
Il tasso di asportazione di materiale si può determinare con la seguente equa-
zione:

Q = vc fap(14.6)

dove Q è il tasso di asportazione del materiale in mm3/min. Usando questa equazione,


l’unità di misura di f si può esprimere semplicemente in mm, senza considerare il carat-
tere rotazionale della tornitura. Bisogna anche fare attenzione che l’unità della velocità
di taglio sia coerente con quelle di f e ap.

14.2.2  Operazioni legate alla tornitura


Oltre alla tornitura, ci sono varie altre operazioni di lavorazione per asportazione di
truciolo, descritte di seguito e illustrate in Figura 14.6, che possono essere eseguite su
un tornio:

(a) Sfacciatura. L’utensile avanza radialmente nel pezzo per creare una superficie pia-
na alla sua estremità.
(b) Tornitura conica. L’utensile non avanza parallelamente all’asse di rotazione del
pezzo, ma avanza secondo una direzione angolata rispetto ad esso, creando così una
forma conica.
(c) Tornitura di contornatura (o di copiatura). L’utensile non avanza parallelamente
all’asse di rotazione del pezzo come nella tornitura cilindrica, ma segue un contor-
no sagomato che dà la forma al pezzo finale.
(d) Tornitura di forma. In questa operazione, chiamata anche formatura, viene usato
un utensile che impartisce la propria forma al pezzo mediante un moto radiale di
avanzamento (operazione a tuffo).
(e) Smussatura. Si usa lo spigolo tagliente dell’utensile per eliminare l’angolo sul bor-
do del cilindro, creando il cosiddetto «smusso».
(f) Troncatura (cutoff). L’utensile viene fatto avanzare radialmente (a tuffo) a partire
da una certa posizione lungo il pezzo allo scopo di tagliarne un’estremità. Questa
operazione viene anche chiamata separazione.
(g) Filettatura. Un utensile a punta di forma avanza linearmente lungo la superficie
esterna del pezzo lungo una direzione parallela all’asse di rotazione a una velocità
di avanzamento molto alta, creando così la filettatura nel cilindro.
358 Tecnologia meccanica

Avanzamento

Avanzamento Avanzamento Avanzamento

Possibili avanzamenti Avanzamento


alternativi
Avanzamento

Avanzamento Avanzamento

Figura 14.6  Altre lavo- (h) Barenatura. Un utensile monotagliente avanza linearmente in direzione parallela
razioni per asportazione all’asse di rotazione sul diametro interno di un foro preesistente nel pezzo.
di truciolo eseguite su un
(i) Foratura. La foratura può essere eseguita su un tornio facendo avanzare una punta
tornio oltre alla tornitura
cilindrica: (a) sfacciatu- a forare nel pezzo in rotazione lungo il suo asse. Anche l’alesatura si può eseguire
ra, (b) tornitura conica, in modo simile.
(c) tornitura di contor- (j) Godronatura. Questa non è un’operazione di lavorazione per asportazione di tru-
natura (o di copiatura), ciolo vera e propria perché non comporta l’asportazione di materiale. È comunque
(d) tornitura di forma, (e)
un’operazione di formatura dei metalli usata per produrre una zigrinatura sulla su-
smussatura, (f) tronca-
tura, (g) filettatura, (h) perficie del pezzo lavorato.
barenatura, (i) foratura e
(j) godronatura. (Fonte: Gran parte delle operazioni al tornio utilizza un utensile monotagliente, come la sfac-
Fundamentals of Modern ciatura, la tornitura conica, la tornitura di contornatura, la smussatura e la barenatura.
Manufacturing, 4 th Edi-
L’operazione di filettatura viene eseguita utilizzando un utensile monotagliente che ha
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il una forma apposita per realizzare i filetti. Alcune operazioni richiedono utensili diversi
permesso di John Wiley & da quelli monotaglienti. La tornitura di forma viene eseguita con un utensile apposita-
Sons, Inc.) mente progettato, chiamato utensile di forma. Il profilo dell’utensile stabilisce la forma
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 359

del pezzo finale. Un utensile da troncatura è fondamentalmente un utensile di forma.


La foratura si ottiene mediante una punta a forare. La godronatura viene eseguita da un
utensile costituito da un rullo temprato, zigrinato e montato tra i centri. Per eseguire la
godronatura, l’utensile viene premuto contro il pezzo rotante con una pressione suffi-
cientemente elevata da imprimere la sua tessitura superficiale sulla superficie del pezzo.

14.2.3  Il tornio parallelo


Il tornio di base utilizzato per la tornitura e le operazioni assimilate è il tornio paralle-
lo. Si tratta di una macchina utensile versatile, azionata manualmente e molto utilizzata
per le produzioni medio-basse.

Tecnologia del tornio parallelo  La Figura 14.7 rappresenta lo schema di un tornio


parallelo che mostra le sue componenti principali. La testa motrice contiene l’unità che
aziona il mandrino, che a sua volta ruota il pezzo. Di fronte alla testa motrice c’è la con-
tropunta, che serve a supportare l’altra estremità del pezzo.
L’utensile viene posizionato in un portautensili fissato alla slitta trasversale, a
sua volta fissata al carro. Il carro può scorrere lungo le guide del tornio per fare avan-
zare l’utensile parallelamente all’asse di rotazione. Le guide rappresentano l’asse lungo
cui può scorrere il carro; esse devono essere molto precise per ottenere un elevato grado
di parallelismo rispetto all’asse del mandrino. Le guide sono fissate al basamento del
tornio, fornendo la struttura rigida per la macchina utensile.
Il carro è azionato da una vite che ruota alla velocità corretta per ottenere la velocità
di avanzamento desiderata. La slitta trasversale è progettata per avanzare in direzione
perpendicolare al movimento del carro. Muovendo il carro, l’utensile può essere fatto
avanzare parallelamente all’asse del pezzo per eseguire una tornitura cilindrica oppure,
muovendo la slitta trasversale, l’utensile può essere fatto avanzare radialmente verso
l’interno del pezzo per eseguire un’operazione di sfacciatura, di tornitura di forma o di
troncatura.
I torni paralleli tradizionali e molte delle altre macchine descritte in questa sezione
sono torni orizzontali, cioè con l’asse del mandrino orizzontale. Questa situazione è
appropriata per la maggior parte dei processi di tornitura, in cui la lunghezza del pezzo
è superiore al suo diametro. Per operazioni in cui il diametro del pezzo è relativamente

Testa motrice

Mandrino
Controllo della velocità
Avanzamento
Portautensili

Contropunta
Controllo
dell’avanzamento Figura 14.7  Schema di
un tornio parallelo con in-
dicazione delle sue com-
ponenti principali. (Fonte:
Slitta trasversale Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
Carro tion by Mikell P. Groover,
Guide 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Vite madre (filettata) Basamento & Sons, Inc.)
360 Tecnologia meccanica

grande rispetto alla sua lunghezza e il pezzo è pesante, è conveniente orientare il pezzo
in modo da ruotare attorno ad un asse verticale; per questo si usano i torni verticali.
La dimensione di un tornio si indica usando due valori, il diametro di tornitura e la
distanza tra le punte. Il massimo diametro di tornitura (swing) è il diametro massimo
del pezzo che può essere fatto ruotare dal mandrino, determinato come il doppio della
distanza tra l’asse del mandrino e le guide del tornio. In realtà la dimensione massima di
un pezzo cilindrico lavorato sul tornio è minore dello swing perché bisogna considerare
lo spazio occupato dal carro e dalla slitta trasversale. La distanza tra le punte indica la
lunghezza massima dei pezzi che si possono montare tra la testa motrice e la contropun-
ta. Ad esempio, un tornio 350 mm × 1.2 m indica che il diametro massimo vale 350 mm
e la distanza massima tra le punte 1.2 m.

Metodi di bloccaggio dei pezzi sul tornio  Nella tornitura ci sono quattro meto-
di possibili per fissare il pezzo al tornio. Questi metodi sono costituiti da vari meccani-
smi per afferrare il pezzo, centrarlo e supportarlo in posizione lungo l’asse del mandrino
Figura 14.8  Quattro me-
todi di bloccaggio utiliz-
facendolo ruotare. I metodi, illustrati in Figura 14.8, sono (a) il montaggio del pezzo tra
zati nei torni: (a) montag- le punte, (b) l’utilizzo di una pinza a griffe autocentranti, (c) l’utilizzo di una pinza ela-
gio tra le punte con brida stica e (d) l’utilizzo di una piattaforma a griffe indipendenti.
e menabrida, (b) pinza a Montare il pezzo tra le punte si riferisce all’uso di due punte, una sulla testa motri-
tre griffe autocentranti, ce e l’altra sulla contropunta, come in Figura 14.8 (a). Questo metodo è adatto per pezzi
(c) pinza elastica e (d)
piattaforma a griffe indi-
caratterizzati da grandi rapporti lunghezza-diametro. Sul mandrino viene montato un
pendenti per pezzi non dispositivo chiamato menabrida, utilizzato per spingere un altro dispositivo chiama-
cilindrici. (Fonte: Funda- to brida fissato all’esterno del pezzo; in questo modo il pezzo viene fatto ruotare dal
mentals of Modern Ma- mandrino. La contropunta ha una forma conica appuntita, che viene inserita in un foro
nufacturing, 4th Edition by rastremato all’estremità del pezzo. La contropunta può essere «viva» o «morta». Una
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
punta viva ruota in un cuscinetto nella contropunta, in modo che non vi sia alcuna rota-
messo di John Wiley & zione relativa tra il pezzo e la punta viva e, di conseguenza, nessun attrito tra la punta e
Sons, Inc.) il pezzo. Al contrario, una punta morta è fissata alla contropunta e non ruota, mentre il

Brida (fissata al pezzo e azionata


dalla menabrida)
Griffe (3), regolabili
Pezzo per fissare il pezzo

Contropunta (l’altra punta Pezzo


è sul mandrino)

Menabrida (azionata dal mandrino del tornio)

Piattaforma (solidale
al mandrino)

Pinza elastica con tre fessure


per stringersi al pezzo
Superficie tornita
Barra da lavorare

Pezzo

Ghiera (si sposta per stringere o allargare la pinza) Staffe o griffe (4)
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 361

pezzo ruota su di essa. A causa dell’attrito e dell’accumulo di calore che si forma, questa
configurazione viene normalmente utilizzata solo per basse velocità di rotazione. Una
punta viva invece può essere utilizzata a velocità più elevate.
La pinza raffigurata in Figura 14.8 (b), è disponibile in diverse versioni, con tre o
quattro griffe per afferrare il diametro esterno di un pezzo cilindrico. Le griffe sono
spesso progettate in modo che possano anche afferrare il diametro interno di un pezzo
tubolare. Una pinza autocentrante ha un meccanismo per poter muovere le griffe verso
l’interno o verso l’esterno contemporaneamente centrando il pezzo sull’asse del man-
drino. Altri tipi di pinze consentono il funzionamento indipendente di ogni griffa. Le
pinze possono essere utilizzate con o senza una contropunta. Per pezzi caratterizzati da
bassi rapporti lunghezza-diametro, di solito per resistere alle forze di taglio è sufficiente
fissare il pezzo a sbalzo nella pinza. Per pezzi più lunghi serve una contropunta.
Una pinza elastica è costituita da una boccola tubolare con fessure longitudinali
lungo metà della sua lunghezza e uniformemente distribuite lungo la sua circonferen-
za, come mostrato in Figura 14.8 (c). Il diametro interno della pinza può contenere un
pezzo cilindrico come una barra. Grazie alle fessure, il diametro della pinza può essere
ridotto per garantire un afferraggio sicuro del pezzo. Poiché vi è un limite alla riduzione
di diametro ottenibile, si deve disporre di pinze di diverse dimensioni in funzione delle
dimensioni dei pezzi da lavorare.
Una piattaforma, mostrata in Figura 14.8 (d), è un dispositivo di bloccaggio che si
fissa al mandrino del tornio e viene utilizzato per afferrare pezzi di forma irregolare, su
cui non si possono usare gli altri metodi di bloccaggio. La piattaforma è dotata di griffe
appositamente progettate per la forma specifica del pezzo.

14.2.4  Altri tipi di torni e macchine da tornitura


Oltre al tornio parallelo, esistono altri tipi di macchine da tornitura che sono state sviluppa-
te per adempiere particolari funzioni o per automatizzare il processo di tornitura. Tra queste
macchine si possono indicare (1) il tornio per utensili, (2) il tornio da legno, (3) il tornio a tor-
retta, (4) il tornio a morsetto, (5) il tornio da vite automatico e (6) il tornio a controllo numerico.
Il tornio per utensili e il tornio da legno sono molto simili al tornio parallelo. Il tor-
nio per utensili è più piccolo e ha una gamma più ampia di velocità e di avanzamenti.
Può anche raggiungere una maggiore accuratezza, coerente con il suo scopo di fabbri-
care componenti per utensili e altri dispositivi ad alta precisione.
Il tornio da legno ha una struttura più semplice rispetto al tornio parallelo. Non
ha né il carro né la slitta trasversale e di conseguenza nessuna vite per guidare il carro.
L’utensile da taglio è tenuto dall’operatore tramite un appoggio solidale al tornio. Le
velocità sono superiori, ma il numero di valori ottenibili è limitato. Le applicazioni di
questo tipo di macchina sono per lo più la tornitura del legno, lo spinning del metallo e
la lucidatura.
Un tornio a torretta è un tornio azionato manualmente in cui la contropunta è so-
stituita da una torretta che contiene fino a sei utensili da taglio. Questi utensili possono
essere azionati attraverso un movimento della torretta. Il portautensile convenzionale
del tornio parallelo, inoltre, è sostituito da una torretta rettangolare in grado di indiciz-
zare fino a quattro utensili. Per la sua capacità di cambiare rapidamente da un utensile al
successivo, il tornio a torretta viene utilizzato nelle elevate produzioni che richiedono di
effettuare sequenze di operazioni sul pezzo.
Come suggerisce il nome, un tornio a morsetto utilizza una pinza sul mandrino
per afferrare il pezzo. La contropunta è assente, quindi il pezzo non può essere montato
tra le punte. Questo limita l’uso di questa macchina a pezzi corti e leggeri. La configu-
razione e il funzionamento sono simili a un tornio a torretta, tranne il fatto che le azioni
362 Tecnologia meccanica

di avanzamento degli utensili da taglio sono controllate automaticamente anziché da un


operatore umano. La funzione dell’operatore è solo quella di caricare e scaricare i pezzi.
Un tornio da barre è simile a quello a morsetto tranne il fatto che usa una pinza elastica
(invece di una pinza a griffe), che permette di fare avanzare anche barre lunghe attraverso la
testa motrice. Alla fine di ogni ciclo di lavorazione, un’operazione di troncatura separa il pezzo
finito. La barra viene poi spostata in avanti per poter lavorare un nuovo pezzo. L’avanzamento
della barra e la registrazione degli utensili sono operazioni che vengono eseguite automatica-
mente. Grazie al suo elevato grado di automazione, questa macchina viene chiamata anche
tornio automatico. Una delle sue principali applicazioni è la produzione di viti e articoli simi-
li: le macchine usate in queste applicazioni sono chiamate torni automatici da viti.
I torni automatici si possono classificare in torni monomandrino o torni multimandrino.
Un tornio monomandrino ha un solo mandrino che consente di usare un solo utensile da
taglio per volta su un pezzo durante la lavorazione. Quindi, mentre un utensile sta tagliando
il pezzo, gli altri sono inattivi (anche i torni a torretta e a morsetto sono limitati a questo fun-
Figura 14.9  (a) Pezzo zionamento sequenziale anziché parallelo). Per aumentare l’utilizzo dell’utensile e il tasso
prodotto con un tornio di produzione, si usano i torni multimandrino. Queste macchine hanno più mandrini così
automatico a sei man- più pezzi possono essere lavorati contemporaneamente da utensili diversi. Ad esempio, un
drini e (b) sequenza di tornio automatico a 6 mandrini lavora su sei pezzi contemporaneamente, come mostrato in
operazioni per produrre
il pezzo: (1) inserimento
Figura 14.9. Alla fine di ogni ciclo di lavorazione, i mandrini (comprensivi di pinze e pez-
della barra fino all’ar- zi in lavorazione) vengono spostati (ruotati) nella posizione successiva. Nel nostro esempio
resto, (2) tornitura del ogni pezzo è tagliato in modo sequenziale da cinque set di utensili da taglio, occupando sei
diametro principale, (3) cicli (la posizione 1 non è una lavorazione ma è il fissaggio del pezzo al mandrino). Con
realizzazione del secon- questa configurazione, si ha il completamento di un pezzo alla fine di ogni ciclo. Un tornio
do diametro e del foro da
centro, (4) foratura, (5)
automatico a 6 mandrini ha una produttività molto elevata.
smussatura e (6) tron- Il sequenziamento e l’attuazione dei movimenti dei torni automatici o a morsetti
catura. (Fonte: Funda- sono stati tradizionalmente controllati da camme o altri dispositivi meccanici. La forma
mentals of Modern Ma- moderna di controllo è il controllo numerico computerizzato (CNC), con cui vengono
nufacturing, 4th Edition by controllate le operazioni della macchina utensile tramite un «programma di istruzioni»
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
costituito da codice alfanumerico. Il controllo numerico costituisce una modalità più
messo di John Wiley & sofisticata e versatile di controllo rispetto ai dispositivi meccanici. Il controllo numerico
Sons, Inc.) ha portato allo sviluppo di macchine utensili in grado di realizzare forme e cicli di la-

Utensile di forma

Punta da centro
Punta a forare

Utensile da tornitura Utensile da smussatura

Utensile da troncatura

Barra iniziale Arresto Pezzo finito


Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 363

vorazione più complessi e un più elevato numero di operazioni automatiche rispetto alle
macchine tradizionali. Il tornio a controllo numerico è un esempio di applicazione di
questa tecnologia nella tornitura. È particolarmente utile per le operazioni di tornitura
di profili e per pezzi con tolleranze strette. Oggi i torni automatici e a morsetti sono
equipaggiati con controllo numerico.

14.2.5  Macchine da barenatura


La barenatura è simile alla tornitura, perché anch’essa utilizza un utensile monotaglien-
te su un pezzo rotante. La differenza è che la barenatura viene eseguita sul diametro in-
terno di un foro nel pezzo anziché sul diametro esterno di un pezzo cilindrico. In effetti,
la barenatura è un’operazione di tornitura interna. Le macchine utensili utilizzate per
eseguire le operazioni di barenatura sono chiamate barenatrici. Ci si potrebbe aspetta-
re che le barenatrici abbiano degli elementi in comune con i torni: infatti, come già detto
in precedenza, anche i torni possono essere utilizzati per realizzare delle barenature.
Le barenatrici possono essere orizzontali o verticali, a seconda dell’orientamento dell’as-
se di rotazione del mandrino della macchina o del pezzo. In un’operazione di barenatura
orizzontale, si possono avere due configurazioni. La prima è quella in cui il pezzo è fissato
a un mandrino rotante e l’utensile è collegato a una barra di barenatura a sbalzo che avanza
nel pezzo, come illustrato in Figura 14.10 (a). La barra di barenatura in questa configurazione
deve essere molto rigida per non inflettersi o vibrare durante il taglio. Per ottenere un’elevata
rigidezza, le barre di barenatura sono realizzate spesso in metallo duro, il cui modulo di ela-
sticità è circa 620*103 MPa. La Figura 14.11 mostra una barra di barenatura in carburo.

Pezzo
Pinza (azionata dal mandrino) Brida (per ruotare la barra
Barra di barenatura
di barenatura)
(supportata
Pezzo
tra le punte)
Barra di barenatura (fatta
avanzare all’interno
del pezzo)
Moto di avanzamento Utensile
da taglio
Utensile da taglio Staffe
Tavola Moto di
avanzamento

Figura 14.10  Due forme di barenatura orizzontale: (a) la barra di barenatura avanza all’interno di un pezzo rotante e (b) il pezzo
avanza verso la barra di barenatura rotante. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 14.11 Barra di
barenatura in carburo
di tungsteno (WC- Co)
che utilizza inserti inter-
cambiabili in carburo di
tungsteno. Per gentile
concessione di Kenna-
metal Inc. (Fonte: Fun-
damentals of M odern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
364 Tecnologia meccanica

La seconda configurazione possibile è quella in cui l’utensile è montato su una bar-


ra di barenatura e la barra di barenatura è montata e fatta ruotare tra le punte. Il pezzo
è fissato a un meccanismo di avanzamento che lo fa avanzare lungo l’utensile. Questa
configurazione, mostrata in Figura 14.10 (b), può essere utilizzata per eseguire un’ope-
razione di barenatura su un tornio parallelo tradizionale.
La barenatrice verticale (vertical boring machine, VBM) è utilizzata per lavorare
pezzi larghi e pesanti con grande diametro; di solito il diametro del pezzo è maggiore
rispetto alla sua lunghezza. Come mostrato in Figura 14.12, il pezzo viene fissato ad un
piano di lavoro che ruota rispetto al basamento della macchina. I piani di lavoro arriva-
no a 40 m di diametro. Una barenatrice verticale standard può posizionare e muovere
più utensili da taglio contemporaneamente. Gli utensili sono montati su teste che posso-
no essere movimentate orizzontalmente o verticalmente rispetto al piano di lavoro. Una
o due teste sono montate su una slitta orizzontale trasversale assemblata al corpo della
macchina utensile sopra il piano di lavoro. Gli utensili da taglio montati sopra il pezzo
possono essere utilizzati per la sfacciatura o la barenatura. In aggiunta agli utensili sulla
slitta trasversale, si possono montare una o due teste aggiuntive sulle colonne laterali
della macchina per tornire il diametro esterno del pezzo.
Le teste per utensili utilizzate su una barenatrice verticale spesso sono delle torrette
che contengono diversi utensili. Questo in pratica elimina ogni differenza tra questa
macchina e un tornio a torretta verticale (vertical turret lathe, VTL). Alcuni costrutto-
ri di macchine utensili distinguono le due perché il tornio VTL è utilizzato per diametri
di pezzi fino a 2.5 m, mentre la barenatrice VBM viene utilizzata per diametri più gran-
di [9]. Inoltre, le barenatrici verticali sono spesso usate per la produzione di pezzi unici,
mentre i torni verticali sono usati per la produzione in serie.

14.3 Foratura

La foratura (Figura 14.3 (b)) è una lavorazione che si usa per creare un foro circolare
in un pezzo. Questa operazione è diversa dalla barenatura, che può essere utilizzata
solo per allargare un foro preesistente. La foratura viene generalmente eseguita con un
utensile rotante cilindrico dotato di due taglienti sulla faccia frontale. Questo utensile
si chiama punta a forare. La punta più comune è la punta elicoidale. La punta rotante

Slitta trasversale

Colonna laterale

Testa portautensile

Pezzo
Figura 14.12 Barena-
trice verticale. (Fonte: Testa portautensile
Piano di lavoro
Fundamentals of Modern laterale
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) Basamento
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 365

avanza nel pezzo fermo per realizzare un foro il cui diametro è uguale al diametro della
punta. La foratura di solito viene svolta su un trapano a colonna, anche se esistono altre
macchine utensili che eseguono questa operazione.

14.3.1  Condizioni di taglio in foratura


La velocità di taglio in un’operazione di foratura è la velocità superficiale corrisponden-
te al diametro esterno della punta. Questo parametro viene specificato in questo modo
per convenienza, anche se in realtà quasi tutto il taglio viene eseguito a velocità inferiori
vicino all’asse di rotazione. Per impostare la velocità di taglio desiderata in foratura, è
necessario determinare la velocità di rotazione della punta. Rappresentando con n i giri/
min del mandrino, si ha che

vc
n (14.7)


dove vc è la velocità di taglio in m/min e D il diametro della punta in mm. In alcune ope-
razioni di foratura è il pezzo che ruota e non l’utensile, ma la formula rimane invariata.
L’avanzamento al giro in foratura f è espresso in mm/giro. Gli avanzamenti con-
sigliati sono approssimativamente proporzionali al diametro della punta; a punte con
diametri maggiori corrispondono avanzamenti maggiori. Dato che la punta è dotata (di
solito) di due taglienti, l’avanzamento visto da ogni tagliente (avanzamento al dente fz) è
pari alla metà dell’avanzamento al giro. L’avanzamento può essere convertito in velocità
di avanzamento utilizzando la stessa equazione usata nella tornitura:

vf nf (14.8)

dove vf è la velocità di avanzamento in mm/min.


I fori generati possono essere fori passanti o fori ciechi, come mostrato in Figura
14.13. Nei fori passanti, la punta esce dalla parte opposta del pezzo, mentre non esce
nei fori ciechi. Il tempo di lavorazione richiesto per eseguire un foro può essere deter-
minato dalla formula seguente:

Tm (14.9)
vf 

Angolo dei taglienti, ε Angolo dei taglienti, ε

Figura 14.13 Due tipi


di fori: (a) foro passante
Spessore Profondità e (b) foro cieco. (Fonte:
del pezzo del foro Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
366 Tecnologia meccanica

dove Tm è il tempo di lavorazione (foratura) in min, t è lo spessore del pezzo in mm, f è la


velocità di avanzamento in mm/min e A l’extracorsa in ingresso che tiene conto dell’angolo
della punta; A rappresenta la distanza che la punta deve percorrere nel pezzo prima di rag-
giungere il diametro completo, come mostrato in Figura 14.13 (a). Questo valore è dato da:

ε (14.10)


dove A è l’extracorsa in ingresso in mm e ε è l’angolo dei taglienti della punta a forare.


Nella realizzazione di un foro passante, il moto di avanzamento normalmente procede
leggermente oltre la fine del pezzo, rendendo così la durata effettiva del taglio di poco
superiore a Tm nell’Equazione (14.9).
In un foro cieco, la profondità del foro d è definita come la distanza della superficie
del pezzo dal più profondo diametro completo realizzato, come mostrato in Figura 14.13
(b). Per un foro cieco, il tempo di lavorazione è dato dalla formula seguente:

Tm (14.11)
vf 

dove A è la stessa extracorsa dell’Equazione (14.10).


Il tasso di asportazione del materiale in foratura viene determinata dal prodotto tra
l’area della sezione trasversale della punta e la velocità di avanzamento:

vf (14.12)
Q


Questa equazione è valida soltanto a regime, dopo che la punta raggiunge il diametro
completo, e non considera il transitorio di ingresso nel pezzo.

14.3.2  Operazioni legate alla foratura


Le varie operazioni collegate alla foratura sono illustrate in Figura 14.14 e sono descritte in
questa sezione. La maggior parte delle operazioni sono successive alla foratura: prima si
crea un foro e poi si esegue una delle altre operazioni per modificarlo. La centrinatura e la
sfacciatura fanno eccezione a questa regola. Tutte le operazioni utilizzano utensili rotanti.

(a) Alesatura. L’alesatura si usa per allargare leggermente un foro, per fornire una mi-
gliore tolleranza sul suo diametro e per migliorarne la finitura superficiale. L’uten-
sile si chiama alesatore e di solito ha flute rettilinei.
(b) Maschiatura. Questa operazione viene eseguita tramite un utensile chiamato ma-
schio ed è utilizzata per filettare internamente un foro già esistente.
(c) Lamatura. La lamatura produce un foro a gradini in cui un diametro maggiore
segue un diametro minore. Un foro lamato viene utilizzato per inserire la testa di un
bullone nel pezzo in modo che la testa non sporga dalla superficie.
(d) Svasatura. È un’operazione simile alla lamatura, ma il gradino nel foro è a forma
conica per viti e bulloni a testa piatta.
(e) Centrinatura. Questa operazione, chiamata anche foratura da centro, realizza un
foro di partenza per stabilire con precisione la sua posizione per una successiva fo-
ratura. L’utensile si chiama punta da centro.
(f) Sfacciatura. La sfacciatura è simile alla fresatura e viene utilizzata per ottenere
una superficie piana in una zona precisa del pezzo.
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 367

Figura 14.14  O p e r a -
zioni di lavorazione per
asportazione di truciolo
legate alla foratura: (a)
alesatura, (b) maschiatu-
ra, (c) lamatura, (d) sva-
satura, (e) centrinatura
e (f) sfacciatura. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

14.3.3 Trapani
La macchina utensile standard usata nella foratura è il trapano. Ci sono vari tipi di tra-
pani; quello di base è il trapano a colonna verticale, illustrato in Figura 14.15. Il trapano
a colonna si appoggia al pavimento e comprende un tavola di lavoro che supporta il
pezzo, una testa di foratura con un mandrino motorizzato per muovere la punta, un ba-
samento e una colonna di sostegno. Un trapano simile, ma più piccolo, è il trapano da
banco, che è montato su un tavolo o un bancone anziché sul pavimento.
Il trapano radiale (o trapano a bandiera), mostrato in Figura 14.16, è un trapano
di grandi dimensioni progettato per eseguire fori in pezzi di grandi dimensioni. Ha un
braccio radiale lungo il quale si può muovere e bloccare la testa di foratura. La testa può

Testa
(potenza)

Testa regolabile
Colonna
Mandrino
Figura 14.15  Trapano a
colonna. (Fonte: Funda-
Tavola mentals of Modern Ma-
di lavoro nufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Basamento Sons, Inc.)
368 Tecnologia meccanica

Figura 14.16 Trapano
radiale. Per gentile con-
cessione di Willis Machi-
nery and Tools. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

quindi essere posizionata lungo il braccio in posizioni anche distanti dalla colonna per
lavorare pezzi di grandi dimensioni. Il braccio radiale può anche essere ruotato attorno
alla colonna per eseguire fori su entrambe le estremità del piano di lavoro.
Il trapano a gruppo di foratura è essenzialmente un trapano a colonna composto
da diverse punte verticali (da due a sei) disposte in linea. Ogni mandrino è azionato e
gestito in modo indipendente e condivide il piano di lavoro con gli altri, in modo da
poter fare in sequenza diverse forature o altre operazioni (ad esempio, centrinatura, fo-
ratura, alesatura e maschiatura) semplicemente facendo scorrere il pezzo lungo il piano
di lavoro da un mandrino all’altro. Una macchina simile è il trapano multimandrino,
che ha diversi mandrini collegati per forare contemporaneamente il pezzo.
Esistono anche dei trapani a controllo numerico computerizzato per controllare
il posizionamento dei fori nel pezzo. Questi trapani sono spesso dotati di torrette conte-
nenti vari utensili che possono essere selezionati usando degli appositi programmi. Per
indicare queste macchine utensili si usa il termine di trapano a torretta a controllo
numerico.
I pezzi vengono bloccati sul trapano con una morsa, un’attrezzatura di bloccaggio
o una maschera di foratura. Una morsa è un dispositivo di bloccaggio ad uso generale
che possiede due ganasce che tengono il pezzo in posizione. Un’attrezzatura di bloc-
caggio è un dispositivo solitamente progettato su misura per il pezzo specifico. Questo
dispositivo può essere progettato per ottenere una maggiore accuratezza nel posiziona-
mento del pezzo per la lavorazione, dei tempi di produzione più rapidi e una maggiore
comodità dell’operatore. Anche la maschera di bloccaggio è un dispositivo progettato
appositamente per il pezzo specifico, ma è diversa rispetto all’attrezzatura di bloccag-
gio perché fornisce anche una guida all’utensile durante la foratura. Una maschera di
bloccaggio usata per la foratura è chiamata anche maschera di foratura (o dima).

14.4 Fresatura

La fresatura è una lavorazione in cui il pezzo viene movimentato sotto un utensile ro-
tante cilindrico pluritagliente, come illustrato in Figura 14.2 (d) e 14.2 (e). In casi più rari
viene anche usato un utensile monotagliente, chiamato fresa monotagliente o fly-cut-
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 369

ter. L’utensile della fresatura è chiamato fresa e gli spigoli taglienti sono chiamati denti.
La macchina utensile standard che esegue questa operazione è la fresatrice.
La forma geometrica creata mediante fresatura è una superficie piana. Si possono
creare anche altre geometrie del pezzo regolando il percorso di taglio o la forma dei
taglienti. La fresatura è una delle lavorazioni per asportazione di truciolo più versa-
tili e diffuse proprio per la varietà di possibili forme e le produzioni elevate che può
ottenere.
La fresatura è un’operazione di taglio interrotto: i taglienti della fresa entrano e
escono dal pezzo a ogni giro. Questa azione di taglio interrotto espone i taglienti della
fresa a cicli di forze di impatto e shock termici a ogni rotazione. Il materiale dell’utensi-
le e la forma dei taglienti devono essere progettati per resistere a tali condizioni.

14.4.1  Tipi di fresatura


Esistono due tipi fondamentali di fresatura, illustrati in Figura 14.17: (a) la fresatura pe-
riferica e (b) la fresatura frontale. La maggior parte delle operazioni di fresatura creano
i pezzi per generazione di forma.

Fresatura periferica  Nella fresatura periferica, detta anche fresatura piana, l’asse
dell’utensile è parallelo alla superficie da lavorare e l’operazione viene eseguita dai ta-
glienti sulla superficie laterale della fresa. I diversi tipi di fresatura periferica sono mo-
strati in Figura 14.18: (a) fresatura periferica convenzionale (slab milling), la forma
di base della fresatura periferica, in cui la larghezza della fresa si estende oltre il pezzo
su entrambi i lati, (b) fresatura di scanalature (slotting), in cui la larghezza della fresa
è inferiore alla larghezza del pezzo, per creare una cava nel pezzo o anche, quando la
fresa è molto sottile, per tagliare un pezzo in due parti; in questo caso viene chiamata
fresatura di segatura, (c) fresatura laterale, in cui la fresa è applicata solo a un lato
del pezzo, (d) fresatura simultanea (straddle milling), simile a quella laterale, ma il
taglio avviene su entrambi i lati del pezzo e (e) fresatura di forma, in cui i taglienti
hanno un profilo particolare che determina la forma prodotta nel pezzo. La fresatura di
forma è quindi classificata come operazione di formatura.
Nella fresatura periferica, il senso di rotazione della fresa divide le operazioni di
fresatura in due tipi, la fresatura in discordanza (up milling) e la fresatura in concor-
danza (down milling), illustrate in Figura 14.19. Nella fresatura in discordanza, il

Moto di taglio
Fresa

Fresa Profondità
Moto di taglio
Profondità Figura 14.17  I due
tipi di operazioni di
fresatura: (a) fresatu-
ra periferica o piana
e (b) fresatura fron-
tale. (Fonte: Funda-
mentals of Modern
Manufacturing, 4 th
Edition by Mikell P.
Avanzamento Pezzo
Groover, 2010. Ri-
Pezzo stampato con il per-
Avanzamento
messo di John Wiley
& Sons, Inc.)
370 Tecnologia meccanica

Figura 14.18 Fresatura
periferica: (a) fresatura Pezzo Pezzo Pezzo
periferica convenziona-
le, (b) fresatura di sca-
nalature, (c) fresatura
laterale, (d) fresatura si-
multanea (straddle), (e)
fresatura di forma. (Fon-
te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4 th
Edition by Mikell P. Gro-
over, 2010. Ristampato Pezzo Pezzo
con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.) (e)

Verso di rotazione della fresa Verso di rotazione della fresa

Figura 14.19  Due forme


di fresatura periferica
con una fresa a 20 ta-
glienti: (a) fresatura in di-
scordanza e (b) fresatura
in concordanza. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi- Lunghezza
Lunghezza del truciolo Pezzo Pezzo
tion by Mikell P. Groover, del truciolo
2010. Ristampato con il Verso di avanzamento Verso di avanzamento
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

verso della forza esercitata dai taglienti della fresa sul pezzo nella direzione di avanza-
mento è opposta al verso dell’avanzamento conferito al pezzo. Si tratta di una fresatura
«contro l’avanzamento». Nella fresatura in concordanza il verso della forza esercitata
dai taglienti della fresa sul pezzo nella direzione di avanzamento è concorde al verso
dell’avanzamento conferito al pezzo. Si tratta di fresatura «con l’avanzamento».
La diversa configurazione geometrica di questi due tipi di fresatura causa una dif-
ferenza nelle due azioni di taglio. Nella fresatura in discordanza, il truciolo formato da
ogni dente è molto sottile all’ingresso e aumenta di spessore durante l’azione di taglio.
Nella fresatura in concordanza, il truciolo ha lo spessore massimo all’ingresso e si ridu-
ce di spessore durante il taglio. La lunghezza del truciolo nella fresatura in concordanza
è molto minore rispetto alla discordanza (questa differenza è stata esagerata nella figu-
ra). Questo significa che la fresa è impegnata nella lavorazione per un tempo inferiore
a parità di volume di materiale da tagliare; ciò tende ad aumentare la vita dell’utensile
nella fresatura in concordanza.
La direzione della forza di taglio è tangente alla superficie della fresa per i taglienti
che sono impegnati nel taglio. Nella fresatura in discordanza, ciò tende a sollevare il
pezzo quando i taglienti escono dal materiale in lavorazione (da cui up milling). Al con-
trario, nella fresatura in concordanza, la forza di taglio punta verso il basso quindi tende
a mantenere il pezzo contro il piano della fresatrice.
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 371

Fresatura frontale  Nella fresatura frontale, l’asse della fresa è perpendicolare alla
superficie del pezzo e la lavorazione viene eseguita dai taglienti sia sul fondo sia sulla
superficie periferica della fresa. Come nella fresatura periferica, esistono vari tipi di
fresatura frontale, molti dei quali sono illustrati in Figura 14.20: (a) fresatura frontale
convenzionale, in cui il diametro della fresa è maggiore della larghezza del pezzo da
fresare così che i bordi della fresa si estendano oltre il pezzo, (b) fresatura frontale
parziale, dove la fresa si estende solo su un lato del pezzo, (c) fresatura a candela (end
milling), in cui il diametro della fresa è inferiore alla larghezza del pezzo allo scopo di
creare delle cave, (d) fresatura di contornatura (o contornitura), in cui si effettua il
taglio sulla superficie esterna di un pezzo piano determinandone il contorno, (e) fresa-
tura di tasche, utilizzata per realizzare delle tasche poco profonde in pezzi piani e (f)
contornatura di una superficie, in cui una fresa a punta sferica (anziché quadrata)
viene fatta avanzare avanti e indietro a passo stretto lungo un percorso curvilineo per
creare una forma tridimensionale sulla superficie del pezzo (superficie free-form). Lo
stesso tipo di fresa si usa per sagomare le cavità degli stampi e in questo caso l’operazio-
ne prende il nome di fresatura di stampi (die sinking).

14.4.2  Condizioni di taglio in fresatura


Nella fresatura, la velocità di taglio dipende dal diametro esterno della fresa. La velocità
di taglio può essere convertita in velocità di rotazione del mandrino utilizzando una
formula che a questo punto dovrebbe essere familiare:

vc
n (14.13)


L’avanzamento in un’operazione di fresatura di solito è indicato come avanzamento al


dente della fresa fz: esso rappresenta la dimensione del truciolo formata da ogni taglien-

Pezzo Pezzo
Pezzo

Figura 14.20 Fresatu-
ra frontale: (a) fresatura
frontale convenzionale,
(b) fresatura frontale par-
ziale, (c) fresatura a can-
dela, (d) fresatura di con-
tornatura, (e) fresatura di
tasche e (f) contornatura
di una superficie. (Fonte:
Avanzamento Fundamentals of Modern
Avanzamento Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Avanzamento permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
372 Tecnologia meccanica

te. L’avanzamento al dente può essere convertito in velocità di avanzamento tenendo


conto della velocità del mandrino e del numero di taglienti della fresa come segue:

vf = nZfz(14.14)
dove vf è la velocità di avanzamento in mm/min, n è la velocità di rotazione in giri/min,
Z è il numero di taglienti della fresa e fz è l’avanzamento al dente in mm/dente.
Il tasso di asportazione del materiale nella fresatura è determinata dal prodotto
dell’area della sezione trasversale del taglio per la velocità di avanzamento. Pertanto,
in un’operazione di fresatura periferica convenzionale (Figura 14.18(a)) per tagliare un
pezzo con profondità di passata assiale ap pari alla larghezza del pezzo e una profondità
di passata radiale ae, il tasso di asportazione del materiale è:

Q ap aevf (14.15)

Questa formula trascura il transitorio di ingresso della fresa nel pezzo, prima che rag-
giunga l’impegno completo. L’Equazione 14.15 si può applicare anche alla fresatura a
candela, alla fresatura frontale parziale, alla fresatura frontale convenzionale e alle al-
tre, adattando il calcolo della sezione trasversale di taglio.
Il tempo necessario per fresare un pezzo di lunghezza L deve tenere conto del-
la distanza di avvicinamento necessaria a impegnare tutta la fresa. Consideriamo ad
esempio il caso di una fresatura periferica, mostrato in Figura 14.21. Per determinare
il tempo necessario a eseguire questa operazione, la distanza di avvicinamento A per
raggiungere la profondità finale è data da:
ae (D – ae) (14.16)

dove ae è la profondità di passata radiale in mm e D è il diametro della fresa in mm. Il


tempo Tm in cui la fresa è impegnata nella lavorazione del pezzo è:

Tm (14.17)
vf 

Per la fresatura frontale, consideriamo i due casi riportati in Figura 14.22. Il primo caso
si ha quando la fresa è allineata a un pezzo rettangolare come in Figura 14.22 (a). La fre-
sa avanza da destra a sinistra lungo tutto il pezzo. Affinché la fresa copra la larghezza
completa del pezzo, essa deve raggiungere la distanza:

ae (14.18)

dove D è il diametro della fresa in mm e ae è la profondità di passata radiale in mm. Se


D = ae, allora l’Equazione (14.18) si riduce a A = 0.5D. Anche nel caso in cui D < ae, cioè
quando viene realizzata una cava nel pezzo, si ha A = 0.5D.
Posizione della fresa alla fine Posizione della fresa all’inizio
del taglio del taglio

Figura 14.21 Fresatura vf
ae
periferica: ingresso della
fresa nel pezzo. (Fonte:
Fundamentals of Modern Avanzamento
Manufacturing, 4 th Edi- (relativo al pezzo) Pezzo
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) Vista laterale
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 373

Posizione della fresa all’inizio del taglio

ae
Posizione della fresa all’inizio del taglio Figura 14.22 Fresatura
frontale: distanze di av-
vicinamento e extracorsa
nei due casi: (a) fresa al-
ae lineata al pezzo e (b) fre-
sa su un lato del pezzo.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4 th Edition by Mikell P.
Vista dall’alto Vista dall’alto Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Il secondo caso si ha quando la fresa viene posta lateralmente e non allineata al pez-
zo, come in Figura 14.22 (b). In questo caso, la distanza di ingresso è data da:
ae (D – ae) (14.19)
dove ae è la profondità di passata radiale in mm. In entrambi i casi, il tempo di lavora-
zione è dato da:

Tm (14.20)
vf 
Va sottolineato che in tutti questi scenari di fresatura, Tm rappresenta il tempo in cui i
taglienti della fresa sono impegnati nel taglio del pezzo producendo i trucioli. Delle di-
stanze di avvicinamento e di extracorsa sono solitamente aggiunte all’inizio e alla fine
di ogni taglio per consentire di accedere al pezzo per il carico e lo scarico. La durata
effettiva del moto di avanzamento della fresa può quindi essere maggiore di Tm.

14.4.3 Fresatrici
Le fresatrici devono avere un mandrino rotante per la fresa e una tavola di lavoro per il
bloccaggio, il posizionamento e l’avanzamento del pezzo. Varie macchine utensili soddi-
sfano questi requisiti. Innanzitutto, le fresatrici possono essere classificate in orizzontali
o verticali. Una fresatrice orizzontale ha il mandrino orizzontale quindi è più adatta per
eseguire fresature periferiche (come la fresatura periferica convenzionale, di scanalature
e laterale) su pezzi che sono approssimativamente a forma di cubo. Una fresatrice ver-
ticale ha il mandrino verticale quindi è più adatta per la fresatura frontale, la fresatura
a candela, la contornatura e la fresatura free-form su pezzi relativamente piatti. A parte
l’orientamento del mandrino, le fresatrici possono essere classificate nelle seguenti tipolo-
gie: (1) ginocchio-e-colonna, (2) a banco fisso, (3) piana, (4) tracciante e (5) CNC.
La fresatrice ginocchio-e-colonna è la macchina utensile di base per la fresatura.
Il suo nome deriva dal fatto che i suoi due componenti principali sono una colonna che
supporta il mandrino e un ginocchio (molto simile a un ginocchio umano) che supporta
il piano di lavoro. Questo tipo di fresatrice è disponibile sia in configurazione orizzontale
sia verticale, come illustrato in Figura 14.23. Nella versione orizzontale di solito un albero
supporta la fresa. L’albero è fondamentalmente un’asta che sorregge la fresa ed è azionato
dal mandrino. Per sostenere l’albero si usa un braccio. Sulle fresatrici ginocchio-e-colonna
verticali la fresa può essere montata direttamente sul mandrino senza utilizzare l’albero.
Una delle caratteristiche della fresatrice ginocchio-e-colonna che le rende così versa-
tili è la loro capacità di movimento del piano di lavoro lungo tutti gli assi x-y-z. Il piano di
lavoro infatti può essere spostato lungo l’asse x, la slitta può essere spostata lungo l’asse y
374 Tecnologia meccanica

Moto di taglio

Testa
Braccio
Colonna
Albero Piano di lavoro
Piano di lavoro
Fresa Fresa
Moto di taglio
Slitta
Colonna Slitta
Ginocchio
Ginocchio
Avanzamento Avanzamento
Basamento Basamento
Moti della tavola

Figura 14.23  Due tipi di fresatrice ginocchio-e-colonna: (a) orizzontale e (b) verticale. (Fonte: Fundamentals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

e il ginocchio può essere spostato verticalmente per effettuare movimenti lungo l’asse z.
Si possono identificare due fresatrici ginocchio-e-colonna particolari. Una è la fresa-
trice universale, riportata in Figura 14.24 (a), dotata di una tavola che può essere ruotata nel
piano orizzontale (attorno ad un asse verticale) di qualsiasi angolo. Questo facilita il taglio
di eliche e forme inclinate sul pezzo. La seconda è la fresatrice a cannotto, riportata in Fi-
gura 14.24 (b), in cui la testa portautensile contenente il mandrino si trova all’estremità di un
cannotto orizzontale; il cannotto può essere regolato verso l’interno o verso l’esterno lungo il
piano di lavoro per posizionare nel modo più adatto la fresa rispetto al pezzo. Il portautensile
può anche essere ruotato per ottenere un orientamento inclinato della fresa rispetto al pezzo.
Queste caratteristiche forniscono una notevole versatilità per lavorare pezzi di diverse forme.
Le fresatrici a banco fisso sono progettate per elevate produzioni. Hanno una maggio-
re rigidità delle fresatrici ginocchio-e-colonna; ciò permette loro di raggiungere velocità di
avanzamento e profondità di passata maggiori quindi tassi di rimozione di materiale più ele-
vati. La configurazione tipica della fresatrice a banco fisso è mostrata in Figura 14.25. Il piano
di lavoro è montato direttamente sul basamento della macchina utensile invece di applicare

Regolazione del cannotto


Cannotto

Testa
portautensile
Tavola rotante Colonna
Mandrino Regolazione
Piano di lavoro della testa
Fresa portautensile
Slitta Slitta
Colonna Piano di lavoro

Ginocchio Ginocchio

Figura 14.24  Tipi speciali di fresatrice ginocchio-e-colonna: (a) universale (per maggiore chiarezza il braccio, l’albero e la
fresa non sono riportati) e (b) a cannotto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 375

il metodo meno rigido del ginocchio. Questa configurazione limita il movimento del tavolo a
un avanzamento longitudinale del pezzo sotto la fresa. La fresa è montata sulla testa del man-
drino, che può essere regolata verticalmente lungo la colonna della macchina. Le macchine
con un solo mandrino sono dette fresatrici simplex, come quella in Figura 14.25; sono dispo-
nibili modelli sia orizzontali sia verticali. Le fresatrici duplex hanno due mandrini e le teste
di solito sono posizionate orizzontalmente sui lati opposti del banco per eseguire operazioni
simultanee durante l’avanzamento del pezzo. Le fresatrici triplex hanno un terzo mandrino
montato verticalmente sopra il banco per aumentare ulteriormente la capacità di lavorazione.
Le fresatrici piane sono le fresatrici più grandi. Il loro aspetto e la loro architettura
sono molto simili a quelli delle piallatrici (mostrate in Figura 14.31); la differenza è che
viene eseguita una fresatura anziché una piallatura. Di conseguenza, una o più teste di
fresatura sono sostituite agli utensili monotaglienti utilizzati sulle piallatrici e il moto
del pezzo sotto l’utensile è un moto di avanzamento anziché di taglio. Le fresatrici piane
sono costruite per lavorare pezzi di grandi dimensioni. Il piano di lavoro e il basamento
della macchina sono pesanti e relativamente bassi rispetto a terra e le teste di fresatura
sono supportate da una struttura a ponte che si estende attraverso il piano di lavoro.
Una fresatrice a copiare, chiamata anche fresatrice di profilatura, è progettata per ri-
produrre la forma irregolare di un pezzo creata precedentemente su un modello. Utilizzando
un avanzamento manuale eseguito da un operatore umano o un avanzamento automatico, una
sonda di copiatura viene controllata per seguire il modello, mentre una testa di fresatura dupli-
ca il percorso seguito dalla sonda per lavorare la forma desiderata. Queste fresatrici si possono
dividere in due tipologie: (1) tracciatura x-y, in cui si realizza il contorno di un modello utiliz-
zando un controllo a due assi e (2) tracciatura x-y-z, in cui la sonda segue dei percorsi tridimen-
sionali usando un controllo a tre assi. Le fresatrici a copiare sono usate per creare forme che
non possono essere generate facilmente usando soltanto un movimento di avanzamento del
pezzo contro la fresa. Le applicazioni comprendono gli stampi e le matrici. Negli ultimi anni,
molte di queste applicazioni sono state riprese dalle fresatrici a controllo numerico (CNC).
Le fresatrici CNC sono fresatrici in cui il percorso dell’utensile viene controllato
da dati alfanumerici anziché da un modello fisico. Sono particolarmente adatte per ope-
razioni di fresatura di profili, fresatura di tasche, contornatura di superfici e fresatura
di stampi, in cui due o tre assi del piano di lavoro devono essere controllati contempora-
neamente per realizzare il percorso della fresa. Di solito è necessario l’intervento di un
operatore per cambiare la fresa e caricare e scaricare il pezzo.

14.5 Centri di lavoro e centri di tornitura

Un centro di lavoro, illustrato in Figura 14.26, è una macchina utensile altamente au-
tomatizzata in grado di eseguire lavorazioni multiple sotto controllo numerico, in un

Velocità di rotazione, n

Testa Figura 14.25 Fresatrice


Av del mandrino
an a banco fisso simplex
za
me con mandrino orizzonta-
nto
le. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell
Piano
P. Groover, 2010. Ri-
di lavoro Basamento stampato con il permes-
so di John Wiley & Sons,
Inc.)
376 Tecnologia meccanica

unico setup e richiedendo un intervento umano minimo. Gli operatori servono solo per
caricare e scaricare i pezzi, operazioni che di solito durano un tempo considerevolmente
inferiore al tempo ciclo della macchina, in modo che un unico operatore possa gestire
più macchine contemporaneamente. Le operazioni tipiche eseguite su un centro di lavo-
ro sono quelle che utilizzano degli utensili rotanti, come la fresatura e la foratura.
Le caratteristiche tipiche che distinguono i centri di lavoro dalle macchine utensili
tradizionali e li rendono così produttivi sono le seguenti:
• Operazioni multiple in un unico setup. La maggior parte dei pezzi richiede più di
un’operazione per essere prodotta nella forma finale. I pezzi più complessi possono
richiedere decine di operazioni di lavorazione diverse, ognuna delle quali richie-
de la propria macchina utensile, le proprie configurazioni e il proprio utensile da
taglio. I centri di lavoro sono in grado di eseguire pressoché tutte le operazioni in
un’unica sede, riducendo così al minimo il tempo di produzione.
• Cambio utensili automatico. Per passare da una lavorazione alla successiva, si
deve cambiare l’utensile da taglio. Su un centro di lavoro questo viene fatto sotto
il controllo di un programma CNC da un sistema automatico di cambio utensili
progettato per il cambio delle frese tra il mandrino della macchina utensile e un ma-
gazzino portautensili. La capacità di questi magazzini va da 16 a più di 80 utensili.
La macchina in figura 14.26 ha due magazzini sul lato sinistro della colonna.
• Cambio pallet. Alcuni centri di lavoro sono dotati di cambio pallet; i pallet vengo-
no trasferiti automaticamente dalla posizione del mandrino alla stazione di carico,
come illustrato in Figura 14.26. I pezzi sono fissati ai pallet, i quali sono a loro volta
fissati al cambio pallet. In questo caso l’operatore può scaricare il pezzo precedente
e caricare il successivo mentre la macchina è impegnata nella lavorazione del pezzo
corrente. In questo modo si riducono i tempi improduttivi della macchina.
• Posizionamento automatico del pezzo. Molti centri di lavoro hanno più di tre assi.
Uno degli assi addizionali viene spesso progettato come una tavola rotante per posi-
zionare il pezzo ad un angolo specifico rispetto al mandrino. La tavola rotante per-
mette alla fresa di eseguire lavorazioni sui quattro lati del pezzo in un unico setup.
I centri di lavoro sono classificati in orizzontali, verticali e universali. La denominazione
si riferisce all’orientamento del mandrino. I centri di lavoro orizzontali (horizontal machi-
ning centers, HMC) di solito effettuano lavorazioni di pezzi cubici in cui la fresa può lavo-
rare i quattro lati verticali del cubo. I centri di lavoro verticali (vertical machining centers,
VMC) sono adatti a pezzi piani su cui l’utensile può lavorare la superficie superiore. I
centri di lavoro universali hanno teste di lavoro che muovono il loro asse mandrino di
qualsiasi angolo tra l’orizzontale e la verticale, come mostrato in Figura 14.26.
Il successo di centri di lavoro a controllo numerico ha portato anche allo sviluppo
di centri di tornitura a controllo numerico. Un moderno centro di tornitura CNC, Fi-
Figura 14.26  Un centro
di lavoro universale, la
cui capacità di orientare
la testa di taglio lo rende
una macchina a cinque
assi. Per gentile con-
cessione di Cincinnati
Milacron. (Fonte: Funda-
mentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Sons, Inc.)
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 377

Figura 14.27  Centro di


tornitura-fresatura CNC
a quattro assi. Per gen-
tile concessione di Cin-
cinnati Milacron. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
gura 14.27, è in grado di eseguire diverse torniture e operazioni correlate, torniture di
profili e indicizzazione automatica degli utensili sotto controllo computerizzato. I centri
più sofisticati di tornitura possono anche eseguire (1) misurazione del pezzo (verifica
dimensionale dopo la lavorazione), (2) monitoraggio degli utensili (sensori per indica-
re quando gli utensili sono usurati), (3) cambio utensili automatico quando gli utensili
sono usurati e (4) cambio automatico del pezzo a completamento del ciclo di lavoro [16].
Un altro tipo di macchina utensile simile ai centri di lavoro e ai centri di tornitura è
il centro di tornitura-fresatura CNC. Questa macchina ha la configurazione generale
di un centro di tornitura, ma in aggiunta può posizionare un pezzo cilindrico ad un certo
angolo in modo che un utensile da taglio rotante (per esempio una fresa) possa produrre
delle fresature sulla sua superficie esterna, come illustrato in Figura 14.28. Un centro
di tornitura normale non ha la capacità di fermare il pezzo in una posizione angolare
definita e non possiede mandrini per utensili rotanti.
Ulteriori progressi nella tecnologia delle macchine utensili hanno permesso di compiere un
altro passo avanti ai centri di tornitura-fresatura integrando delle funzionalità aggiuntive in una
singola macchina. Le funzionalità aggiuntive includono (1) la combinazione delle operazioni
di fresatura, foratura e tornitura con quelle di rettifica, saldatura e ispezione, il tutto in una sola
macchina utensile, (2) l’utilizzo di più mandrini contemporaneamente, sia su un singolo pezzo
sia su due pezzi diversi e (3) l’automatizzazione della movimentazione del pezzo (carico-scarico)

n n
Utensile
Fresa Utensile
da tornitura Punta da troncatura
a forare
n n

Figura 14.28  Funzionamento di un centro di tornitura-fresatura: (a) esempio di pezzo con superfici tornite, fresate e forate e
(b) sequenza di operazioni su un centro di tornitura-fresatura: (1) tornitura del secondo diametro, (2) fresatura di un piano con
il pezzo nella posizione angolare programmata, (3) foratura con il pezzo nella stessa posizione programmata e (4) troncatura.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
378 Tecnologia meccanica

aggiungendo dei robot industriali alla macchina [2], [16]. Per indicare queste macchine utensili
si usano anche i termini di macchina multitasking e macchina multifunzione.

14.6 Altre operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo

Oltre alla tornitura, la foratura e la fresatura, ci sono diverse altre operazioni di lavo-
razione per asportazione di truciolo da considerare: (1) la limatura e la piallatura, (2) la
brocciatura e (3) la segatura.

14.6.1  Limatura e piallatura


La limatura e la piallatura sono operazioni simili, perché entrambe usano un utensile
monotagliente in movimento relativo lineare rispetto al pezzo per creare una superficie
piana. La differenza tra le due operazioni è illustrata in Figura 14.29. Nella limatura, il
moto di taglio è posseduto dall’utensile, mentre nella piallatura è posseduto dal pezzo.
Gli utensili da taglio utilizzati nella limatura e nella piallatura sono utensili monotaglienti.
A differenza della tornitura, nella limatura e nella piallatura viene eseguito un taglio interrotto
sottoponendo l’utensile a una forza di impatto all’ingresso nel pezzo. Queste macchine utensili,
inoltre, hanno delle velocità basse a causa del loro movimento intermittente. Le normali condi-
zioni di utilizzo rendono necessari utensili da taglio in acciaio super rapido.

Moto
Speed di motion
taglio
(lineare, utensile)
(linear, tool)

Moto
Feeddi avanzamento
motion
MotoFeed
di avanzamento
motion Superficie lavorata (intermittent, tool)
(intermittente, utensile)
New surface
(intermittente, pezzo)
(intermittent, work)

Superficie
New surface
lavorata

Pezzo
Workpart Speed
Moto di motion
taglio Pezzo
Workpart
(linear,pezzo)
(lineare, work)
(a) Shaping
(a) Limatura (b)
(b)Piallatura
Planing
Figura 14.29  (a) Limatura e (b) piallatura. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Moto di taglio Cannotto

Testa
portautensile

Moto di avanzamento Colonna

Figura 14.30 Compo-
nenti di una limatrice.
(Fonte: Fundamentals of
Pezzo Guida
Modern Manufacturing,
trasversale
4 th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam- Piano di lavoro
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.) Basamento
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 379

Limatura  La limatura viene eseguita su una macchina utensile chiamata limatrice, mo-
strata in Figura 14.30. I componenti della limatrice sono un cannotto, che si muove rispetto
a una colonna per fornire il moto di taglio, e un piano di lavoro che supporta il pezzo e
esegue il moto di avanzamento. Il moto del cannotto è costituito da una corsa di andata, per
realizzare il taglio, e una corsa di ritorno, durante la quale l’utensile viene sollevato legger-
mente per liberare il pezzo e riposizionarlo per la passata successiva. Alla fine di ogni corsa
di ritorno, il piano di lavoro avanza lateralmente rispetto alla traiettoria del cannotto per
sottoporre all’utensile una nuova porzione di pezzo da lavorare. L’avanzamento si misura
in mm/corsa. Il meccanismo di azionamento del cannotto può essere idraulico o meccani-
co. L’azionamento idraulico ha una maggiore flessibilità nella regolazione della lunghezza
della corsa e una velocità più uniforme durante la corsa in avanti, ma è più costoso di un
azionamento meccanico. Sia le unità meccaniche sia quelle idrauliche sono progettate per
avere delle velocità più elevate durante la corsa di ritorno rispetto a quella di andata (corsa di
taglio), aumentando così la percentuale di tempo usato per il taglio.

Piallatura  La macchina utensile per la piallatura è la piallatrice. Il moto di taglio è ese-


guito da un piano di lavoro a moto alternativo che muove il pezzo sottoponendolo a un uten-
sile monotagliente. La struttura e la capacità di movimento di una piallatrice permettono di
lavorare pezzi molto più lunghi rispetto a una limatrice. Le piallatrici si possono classificare
in piallatrici laterali aperte o piallatrici a doppia colonna. La piallatrice laterale aperta,
nota anche come piallatrice a singola colonna, mostrata in Figura 14.31, ha un’unica colon-
na di supporto alla guida trasversale su cui è montato il portautensili. Un altro portautensili
può essere montato lungo la colonna verticale. Portautensili multipli consentono di fare più
di un taglio a ogni passata. Al termine di ogni corsa, tutti i portautensili si spostano rispetto
alla guida trasversale (o alla colonna) per ottenere il moto di avanzamento intermittente. La
configurazione delle piallatrici laterali aperte permette la lavorazione di pezzi molto grandi.
Una piallatrice a doppia colonna ha due colonne, una per ogni lato del basamento
e del piano di lavoro. Le colonne supportano la guida trasversale, su cui sono montati
uno o più portautensili. Le due colonne danno una struttura più rigida, ma limitano la
larghezza del pezzo che può essere gestita.
La limatura e la piallatura possono anche essere usate per lavorare forme diverse
dalle superfici piane. L’unica limitazione è che la superficie di taglio deve essere ret-
tilinea. Questo permette il taglio di scanalature, fessure, dentature e altre forme, come
illustrato in Figura 14.32. Per alcune di queste forme occorrono delle macchine e degli
utensili particolari. Un esempio importante è la dentatrice, una limatrice verticale con
una tavola di alimentazione rotante appositamente progettata e un utensile da taglio sin-
cronizzato usato per generare i denti degli ingranaggi.

Guida trasversale
Colonna

Portautensile

Pezzo

Piano di lavoro Figura 14.31 Piallatrice


laterale aperta. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Moto di taglio
Basamento & Sons, Inc.)
380 Tecnologia meccanica

Figura 14.32  Tipi di forme che si possono realizzare tramite limatura e piallatura: (a) scanalatura
a V, (b) scanalatura quadrata, (c) scanalatura a T, (d) scanalatura a coda di rondine e (e) denti di
ingranaggio. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

14.6.2 Brocciatura
La brocciatura viene eseguita utilizzando un utensile da taglio a taglienti multipli, muo-
vendo l’utensile linearmente rispetto al pezzo nella direzione dell’asse dell’utensile,
come mostrato in Figura 14.33. La macchina utensile è chiamata brocciatrice e l’utensile
da taglio broccia. Nelle lavorazioni in cui è possibile applicarla, la brocciatura è un’ope-
razione molto produttiva. I vantaggi sono la buona finitura superficiale, le tolleranze ri-
strette e la varietà di forme che si possono realizzare sul pezzo. Però, a causa della forma
complessa e spesso personalizzata della broccia, è un’operazione molto costosa.
Ci sono due tipi principali di brocciatura: esterna (anche chiamata brocciatura di
superficie) e interna. La brocciatura esterna viene eseguita sulla superficie esterna del
pezzo per dare una certa forma alla sezione trasversale della superficie. La Figura 14.34
(a) mostra alcuni possibili sezioni trasversali che possono essere realizzate tramite una
brocciatura esterna. La brocciatura interna è realizzata sulla superficie interna di un
foro nel pezzo. Di conseguenza, nel pezzo deve essere già presente un foro in modo
da potervi inserire la broccia all’inizio della corsa di brocciatura. La Figura 14.34 (b)
mostra alcune delle forme che possono essere prodotte tramite una brocciatura interna.
La funzione principale di una brocciatrice è fornire un movimento lineare preciso
dell’utensile attraverso una posizione stazionaria del pezzo, ma ci sono vari modi in cui
questa funzione può essere assolta. Le brocciatrici si dividono in macchine verticali e
orizzontali. La brocciatrice verticale è progettata per spostare la broccia lungo un per-
corso verticale, mentre nella brocciatrice orizzontale l’utensile segue un percorso oriz-
zontale. La maggior parte delle brocciatrici tirano la broccia attraverso il pezzo, ma ci
sono delle eccezioni. Una di queste è un tipo relativamente semplice di macchina, chia-
mata pressa di brocciatura, usata solo per la brocciatura interna, che spinge l’utensile at-
traverso il pezzo. Un’altra eccezione è la brocciatrice continua, in cui i pezzi sono fissati
su un nastro continuo e si muovono rispetto a una broccia fissa. A causa del suo funziona-
mento continuo, questa macchina può essere utilizzata solo per brocciature di superficie.

Moto di taglio

Utensile

Figura 14.33 Operazio-
ne di brocciatura. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
tion by Mikell P. Groover, Materiale rimosso da un dente
Pezzo
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 381

Figura 14.34  Forme di pezzi che possono essere realizzate tramite (a) brocciatura esterna e (b) brocciatura interna. Il tratteg-
gio indica le superfici lavorate. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

14.6.3 Segatura
La segatura è un processo utilizzato per produrre un taglio sottile nel pezzo per mezzo
di un utensile costituito da una serie di denti vicini tra loro. La segatura viene nor-
malmente utilizzata per dividere un pezzo in due parti o per tagliare una porzione non
desiderata di un pezzo. Queste operazioni sono anche indicate come operazioni di tron-
catura. Dal momento che molte aziende richiedono queste operazioni in qualche punto
del processo di produzione, la segatura è un processo di produzione importante.
Nella maggior parte delle operazioni di segatura, il pezzo è mantenuto fermo e la
sega viene spostata rispetto ad esso. Ci sono tre tipi di base di segatura, come mostrato
in Figura 14.35, a seconda del tipo di movimento della sega: (a) alternato, (b) a nastro
e (c) circolare. La segatura alternata, Figura 14.35 (a), comporta un movimento lineare
alternato della sega sul pezzo. Questo metodo viene utilizzato spesso nelle operazioni
di troncatura. Il taglio viene eseguito solo nella corsa di andata della sega. A causa di
questa azione di taglio intermittente, la segatura alternativa è intrinsecamente meno
efficiente rispetto agli altri due metodi, che sono entrambi continui. La lama a seghetto
è un utensile sottile e dritto con i denti da taglio su un bordo. La segatura alternata può

Verso direction
Blade della sega
Telaio della sega Moto dimotion
Speed taglio
Sega
Saw blade

Avanzamento
Feed Moto di
Corsa
Cuttingdistroke
taglio Feed
avanzamento
Feed
Potenza
Power Pezzo
motrice
drive Pezzo

Piano di lavoro Piano di lavoro


Sega
Saw blade Pezzo Corsa di
Return ritorno
stroke
Sega (c)
Saw blade
Piano di lavoro

(a)
(b)
Figura 14.35  Tre tipi di operazioni di segatura: (a) segatura alternata, (b) segatura a nastro (verticale) e (c) segatura circolare.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
382 Tecnologia meccanica

essere eseguita manualmente o con un seghetto elettrico. Un seghetto elettrico fornisce


un meccanismo di azionamento per fare funzionare la sega alla velocità desiderata e
applica anche una determinata velocità di avanzamento o pressione di segatura.
La segatura a nastro comporta un movimento lineare continuo e utilizza una sega a
nastro sotto forma di un cerchio flessibile con i denti su un bordo. La segatrice a nastro
ha un meccanismo di azionamento simile a una puleggia per muovere continuamente la
sega e guidarla attraverso il pezzo. Le segatrici a nastro possono essere verticali o orizzon-
tali. La denominazione si riferisce alla direzione del moto della sega durante il taglio. Le
segatrici verticali vengono utilizzate per la troncatura e altre operazioni come la contorna-
tura e la scanalatura. La contornatura eseguita da una sega a nastro consiste nel taglio di
un profilo da un pezzo piatto. La scanalatura è il taglio di una piccola cava in un pezzo,
un’operazione per cui la sega a nastro è particolarmente adatta. La contornatura e la sca-
nalatura sono operazioni in cui il pezzo viene fatto avanzare contro la sega.
Le segatrici a nastro verticali possono essere azionate sia manualmente, se c’è un
operatore che guida il pezzo e lo avvicina al nastro, o automaticamente, caso in cui il
pezzo è avvicinato automaticamente alla lama. Le recenti innovazioni nella progetta-
zione delle seghe a nastro hanno permesso l’utilizzo del controllo numerico per ese-
guire il taglio di contorni molto complessi. Alcuni dettagli dell’operazione di segatura
a nastro verticale sono illustrati in Figura 14.35 (b). Le segatrici a nastro orizzontali di
solito sono utilizzate per le operazioni di troncatura in alternativa ai seghetti elettrici.
La segatura circolare, Figura 14.35 (c), utilizza una sega rotante per realizzare un
movimento continuo dell’utensile sul pezzo. La segatura circolare viene spesso utilizzata
per tagliare ad una lunghezza specifica barre lunghe, tubi e forme simili. L’azione di ta-
glio è simile a quelle della fresatura di scanalature, con la differenza che la lama è più sot-
tile e contiene molti più denti di taglio. Le segatrici circolari hanno dei mandrini per ruo-
tare la sega e un meccanismo di avanzamento per guidare la sega rotante lungo il pezzo.
Due operazioni relative alla segatura circolare sono la troncatura mediante disco
abrasivo e la segatura per attrito. Nel primo caso, si usa un disco abrasivo per eseguire
delle operazioni di taglio di materiali duri che sarebbero difficili da lavorare per una
sega tradizionale. Nella segatura per attrito, si usa un disco di acciaio che ruota contro
il pezzo a velocità molto elevate producendo calore per attrito e provocando l’ammorbi-
dimento del materiale necessario a permettere la penetrazione del disco nel pezzo. Le
velocità di taglio in entrambe queste operazioni sono molto più alte rispetto alla segatu-
ra circolare.

14.7  Lavorazione per asportazione di truciolo ad alta velocità

Una tendenza continua lungo tutta la storia della lavorazione per asportazione di trucio-
lo dei metalli è stata la ricerca di velocità di taglio sempre più elevate. Negli ultimi anni,
c’è stato un rinnovato interesse in questo settore a causa del suo potenziale nel raggiun-
gimento di tassi di produzione più alti, tempi di consegna più brevi, riduzione dei costi e
miglioramento della qualità dei pezzi. Nella sua definizione più semplice, lavorazione
per asportazione di truciolo ad alta velocità (high-speed machining, HSM) signifi-
ca usare delle velocità di taglio che sono significativamente superiori rispetto a quelle
utilizzate nelle lavorazioni tradizionali. Alcuni esempi di valori di velocità di taglio per
HSM sono riportati in Tabella 14.1, secondo i dati raccolti da Kennametal Inc.1
Sono state date altre definizioni delle lavorazioni HSM per includere l’ampia gam-
ma di materiali da lavorare e di utensili utilizzati in queste lavorazioni. Una definizione

1
  Kennametal Inc. è uno dei principali produttori di utensili da taglio.
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 383

TABELLA 14.1  Confronto tra le velocità di taglio utilizzate in lavorazioni convenzionali e in lavorazioni ad alta velocità
per diversi materiali da lavorare.

Utensili integrali (frese a candela, punte)a Utensili a inserti (frese frontali)a


Velocità Alta velocità Velocità Alta velocità
convenzionale di taglio convenzionale di taglio
Materiale da lavorare m/min m/min m/min m/min
Alluminio  300+ 3000+  600+  3600+
Ghisa morbida 150 360 360 1200
Ghisa duttile 105 250 250  900
Acciaio a elevata lavorabilità 105 360 360  600
Acciaio legato 75 250 210  360
Titanio 40  60  45   90
a
Gli utensili integrali sono realizzati in un unico pezzo, gli utensili a inserti usano degli inserti registrabili. I materiali per utensili adatti per tutti i
materiali da lavorare sono il carburo di tungsteno (e altri carburi), i carburi rivestiti di diversi gradi e le ceramiche; il diamantate policristallino è
adatto per l’alluminio e il nitruro di boro cubico è adatto per gli acciai. Fonte: Kennametal Inc. [3].

molto nota è data dal DN ratio, cioè il diametro del foro della pinza (mm) moltiplicato
per la velocità massima del mandrino (giri/min). Per le lavorazione ad alta velocità, il
rapporto DN tipico è tra 500,000 e 1,000,000. Questa definizione permette a mandrini
di diametro più grande di rientrare nel campo delle lavorazioni HSM anche se operano a
velocità di rotazione più basse. Le velocità dei mandrini in operazioni HSM sono com-
prese tra gli 8,000 e i 35,000 giri al minuto; alcuni mandrini moderni arrivano anche a
100,000 giri al minuto.
Un’altra definizione di lavorazione HSM è basata sul rapporto tra la potenza e la ve-
locità massima del mandrino in giri al minuto (W/rpm). Le macchine utensili tradizionali
di solito hanno un rapporto W/rpm maggiore di quelle per la lavorazione ad alta velocità.
La linea di demarcazione tra le lavorazioni convenzionali e le lavorazioni HSM secondo
questo indice è circa 3.7 W/rpm. Quindi le macchine di lavorazione ad alta velocità inclu-
dono sia mandrini da 37 kW in grado di ruotare a 10,000 giri al minuto (3.7 W/rpm) sia
mandrini da 15 kW in grado di ruotare a 30,000 giri al minuto (3.7 W/rpm).
I requisiti per la lavorazione ad alta velocità sono: (1) mandrini ad alta velocità che
utilizzino cuscinetti speciali progettati per operazioni a elevato numero di giri al minu-
to, (2) elevata velocità di avanzamento, tipicamente attorno a 50 m/min, (3) controllo nu-
merico con funzione «lookahead» che permetta al CNC di rilevare i cambi di direzione
successivi e di apportare le modifiche necessarie per evitare che il percorso dell’utensile
non si allontani eccessivamente dalla traiettoria desiderata, (4) utensili, portautensili e
mandrini bilanciati per ridurre al minimo le vibrazioni, (5) sistemi refrigeranti a pres-
sioni molto superiori rispetto alle lavorazioni convenzionali e (6) sistemi di controllo e
di rimozione del truciolo per gestire le quantità molto più elevate di materiale rimosso.
Sono anche importanti i materiali degli utensili da taglio. Come riportato in Tabella
14.1, vari materiali per utensili sono utilizzati nelle lavorazioni ad alta velocità; tali ma-
teriali saranno discussi nel capitolo seguente.

14.8 Tolleranze e finitura superficiale

Le lavorazioni per asportazione di truciolo vengono utilizzate per produrre pezzi di for-
me definite con tolleranze e finiture superficiali specificate dal progettista del prodotto.
In questa sezione vengono esaminati gli argomenti legati alle tolleranze e alla finitura
superficiale ottenibile nelle lavorazioni per asportazione di truciolo.
384 Tecnologia meccanica

14.8.1  Tolleranze nelle lavorazioni per asportazione di truciolo


In ogni processo di produzione c’è variabilità. Le tolleranze servono per definire dei li-
miti a questa variabilità Paragrafo 4.1.1. Le lavorazioni per asportazione di truciolo ven-
gono utilizzate di solito quando sono richieste tolleranze molto strette in quanto sono tra
i processi in grado di generare più accurati.
La Tabella 14.2 indica le tipiche tolleranze che si possono ottenere nelle varie ope-
razioni di lavorazione per asportazione di truciolo. Va ricordato che i valori di questa
tabella rappresentano delle condizioni ideali che si possono ottenere facilmente in uno
stabilimento moderno. Se la macchina utensile è vecchia e usurata la variabilità del pro-
cesso sarà probabilmente maggiore di quella ideale e difficilmente si otterranno queste
tolleranze. D’altra parte, le macchine utensili più recenti possono ottenere tolleranze
anche più strette di quelle riportate.
Avere tolleranze più strette di solito significa aumentare i costi. Ad esempio, se il
progettista specifica una tolleranza di ± 0.10 mm su un foro di diametro di 6.0 mm, que-
sta può essere ottenuta mediante un’operazione di foratura, secondo la Tabella 14.2. Ma
se il progettista specifica una tolleranza di ± 0.025 mm, serve un’operazione aggiuntiva
di alesatura per soddisfare questo requisito più stringente. Questo non vuol dire che tol-
leranze larghe siano necessariamente migliori. Infatti accade spesso che con tolleranze
più strette e minore variabilità nella lavorazione dei singoli componenti ci siano poi
meno problemi nell’assemblaggio, nella verifica del prodotto finale e nella soddisfazio-
ne dei clienti. Sebbene questi costi non siano sempre facili da quantificare come costi
industriali diretti, essi possono tuttavia essere significativi. Tolleranze più strette spin-
gono la fabbrica a migliorare il controllo sui propri processi di produzione e sul lungo
periodo possono portare a ridurre i costi operativi totali per l’azienda.

TABELLA 14.2  Tolleranze e valori di rugosità (media aritmetica) tipicamente raggiungibili nelle lavorazioni per asportazione
di truciolo

Tolleranza Rugosità Tolleranza Rugosità


tipica superficiale tipica superficiale
R a tipica R a tipica
Operazione mm mm Operazione mm mm
di lavorazione per di lavorazione per
asportazione di truciolo asportazione di truciolo
Tornitura, barenatura 0,8 Alesatura 0,4
Diametro D < 25 mm  ±0.025 Diametro D < 12 mm  ±0.025
25 mm < D < 50 mm ±0.05 12 mm < D < 25 mm ±0.05
Diametro D > 50 mm  ±0.075 Diametro D > 25 mm  ±0.075
Foratura* 0,8 Fresatura 0,4
Diametro D < 2.5 mm ±0.05 Periferica  ±0.025
2.5 mm < D < 6 mm  ±0.075 Frontale  ±0.025
6 mm < D < 12 mm ±0.10 A candela (end milling) ±0.05
12 mm < D < 25 mm  ±0.125 Limatura, scanalatura  ±0.025 1,6
Diametro D > 50 mm ±0.20 Piallatura  ±0.075 1,6
Brocciatura  ±0.025 0,2 Segatura ±0.50 6,0

* Le tolleranze della foratura di solito sono espresse come tolleranze bilaterali asimmetriche (ad esempio, + 0.010/ –0.002). I valori in questa
tabella sono espressi come i valori più prossimi di tolleranza bilaterale simmetrica (ad esempio ± 0.006). Compilato da varie fonti, tra cui [8], [9],
[10], [21] e altri.
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 385

14.8.2 Finitura superficiale nelle lavorazioni per asportazione


di truciolo
Poiché spesso la lavorazione per asportazione di truciolo è il processo produttivo che deter-
mina la forma e le dimensioni finali del pezzo, è anche quello che determina la trama della
superficie del pezzo (Paragrafo 4.2.2). La Tabella 14.2 riporta i valori tipici di rugosità su-
perficiale che si ottengono nelle varie lavorazioni. Questi gradi di finitura dovrebbero essere
raggiungibili facilmente da macchine utensili moderne e mantenute in buone condizioni.
Esaminiamo come si determina la finitura superficiale in una lavorazione per aspor-
tazione di truciolo. La rugosità di una superficie lavorata dipende da molti fattori, che pos-
sono essere raggruppati come segue: (1) fattori geometrici, (2) fattori relativi al materiale
da lavorare e (3) fattori relativi alle vibrazioni e alla macchina utensile. La discussione
sulla finitura superficiale in questa sezione esamina questi fattori e i loro effetti.

Fattori geometrici  Questi sono i parametri che determinano la geometria della su-
perficie di un pezzo lavorato e sono (1) il tipo di lavorazione, (2) la forma dell’utensile,
in particolare il raggio di punta e (3) l’avanzamento. La geometria che si otterrebbe in
assenza di materiale lavorato, di vibrazioni e di fattori legato alla macchina utensile è Figura 14.36  Effetto dei
fattori geometrici nella
detta rugosità superficiale «ideale» o «teorica».
d ete r m i na zi o n e d e l l a
Il tipo di lavorazione si riferisce al processo utilizzato per generare la superficie. Ad finitura teorica sulla su-
esempio, la fresatura periferica, la fresatura frontale e la piallatura producono tutte una per ficie del pezzo nel
superficie piana, tuttavia, la geometria della superficie è diversa per ogni operazione a caso di utensili mono-
causa delle differenze nella forma degli utensili e della modalità con cui l’utensile inte- taglienti: (a) effetto del
raggio di punta, (b) ef-
ragisce con la superficie. Un esempio di queste differenze è mostrato in Figura 4.4 che
fetto dell’avanzamento e
rappresenta le possibili disposizioni di una superficie. (c) effetto dell’angolo di
Gli effetti della geometria dell’utensile e dell’avanzamento si combinano per forma- registrazione del taglien-
re la geometria della superficie. La forma della punta dell’utensile è il fattore geometrico te secondario. (Fonte:
più importante. Gli effetti di un utensile monotagliente sono evidenti in Figura 14.36. A Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4 th Edi-
parità di avanzamento, un raggio di punta maggiore fa sì che le tracce dell’avanzamento
tion by Mikell P. Groover,
siano meno marcate, determinando in tal modo una finitura migliore. A parità di raggio 2010. Ristampato con il
di punta, un avanzamento maggiore aumenta la distanza tra le tracce dell’avanzamento, permesso di John Wiley
aumentando il valore della rugosità superficiale ideale. Se la velocità di avanzamento & Sons, Inc.)

Avanza- Avanzamento Avanza-


mento elevato mento

kre= 0°
Superficie Superficie
Raggio di lavorata Superficie lavorata
punta nullo lavorata

Avanza- Avanzamento Avanza-


mento ridotto mento

Superficie kre elevato Superficie


Superficie
Raggio di lavorata lavorata
lavorata
punta elevato

(a) (b) (c)


386 Tecnologia meccanica

è abbastanza grande e il raggio di punta è abbastanza piccolo affinché il tagliente se-


condario partecipi alla creazione della nuova superficie, allora l’angolo di direzione
del tagliente secondario in lavoro, comunemente chiamato angolo di registrazione
del tagliente secondario (end cutting edge angle, ECEA) influirà sulla geometria su-
perficiale. In questo caso, un angolo di registrazione del tagliente secondario maggiore
risulterà in un valore maggiore di rugosità superficiale. In teoria, un angolo pari a zero
andrebbe a creare una superficie perfettamente liscia, ma i difetti dello strumento, del
materiale da lavorare e del processo di lavorazione impediscono il raggiungimento di
questo risultato ideale.
Gli effetti del raggio di punta e dell’avanzamento si possono combinare in un’equazione
che calcola la rugosità media ideale per una superficie prodotta da un utensile monotaglien-
te. L’equazione si può applicare ad operazioni come la tornitura, la piallatura e la limatura:

Ri
32 rε (14.21)

dove Ri è la rugosità superficiale media ideale in mm, f è l’avanzamento in mm e rε è il


raggio di punta dell’utensile in mm. L’equazione presuppone che il raggio di punta non
sia nullo e che l’avanzamento e il raggio di punta siano i fattori principali che determi-
nano la forma della superficie. L’unità di misura di Ri sono i mm, che possono essere
convertiti in µm. L’Equazione (14.21) può essere utilizzata anche per calcolare la rugosi-
tà superficiale ideale nella fresatura frontale, usando f per rappresentare l’avanzamento
al dente.
L’Equazione (14.21) presuppone anche che l’utensile sia affilato. Se l’utensile si usu-
ra, la forma della sua punta cambia e ciò che si riflette nella geometria della superficie
del pezzo. Se l’usura è contenuta, l’effetto non è evidente. Ma quando l’usura dell’uten-
sile diventa significativa, specialmente in corrispondenza del raggio di punta, la rugosi-
tà superficiale si deteriora molto rispetto ai valori ideali dati dalle equazioni precedenti.

Fattori relativi al materiale da lavorare  Nelle maggior parte delle operazioni


di lavorazione per asportazione di truciolo non è possibile raggiungere la finitura su-
perficie ideale a causa dei fattori legati al materiale da lavorare e alla sua interazione
con l’utensile. I fattori relativi al materiale da lavorare che influiscono sulla finitura
sono (1) gli effetti del tagliente di riporto che ciclicamente si forma e si stacca, facendo
sì che delle particelle si depositino sulla superficie lavorata, facendole assumere una
trama tipo «carta vetrata», (2) i danni alla superficie causati dal truciolo che si arriccia
all’indietro sul pezzo, (3) lo strappamento della superficie del pezzo durante la forma-
zione del truciolo in caso di materiali duttili, (4) le cricche superficiali causate dalla
formazione di truciolo discontinuo in caso di materiali fragili e (5) l’attrito tra il fianco
dell’utensile e la superficie lavorata. Questi fattori relativi al materiale sono influenzati
dalla velocità di taglio e dall’angolo di spoglia superiore e un aumento della velocità o
dell’angolo di solito migliora la finitura superficiale.
I fattori relativi al materiale da lavorare rendono la finitura superficiale effettiva
peggiore di quella ideale. Si può calcolare un rapporto empirico per convertire il valore
ideale della rugosità in una stima del valore effettivo. Questo rapporto prende in consi-
derazione la formazione del tagliente di riporto, lo strappamento e altri fattori. Il valore
del rapporto dipende dalla velocità di taglio e dal tipo di materiale da lavorare. La Figu-
ra 14.37 mostra il rapporto effettivo tra rugosità superficiale reale e ideale in funzione
della velocità per vari tipi di materiali.
La procedura per predire la rugosità superficiale effettiva in una lavorazione con-
siste nel calcolare il valore della rugosità ideale e poi moltiplicarlo per il rapporto tra
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 387

rugosità reale e ideale della classe specifica di materiale. Questo procedimento è sinte-
tizzato nella formula seguente:

Ra = rai Ri(14.22)

dove Ra è il valore stimato della rugosità reale, rai è il rapporto tra rugosità reale e ideale
dato dalla Figura 14.37 e Ri è valore della rugosità ideale dato dall’Equazione (14.21).

Esempio 14.1 Rugosità superficiale


Un’operazione di tornitura viene eseguita su un acciaio C1008 (un materiale relativa-
mente duttile) utilizzando un utensile con un raggio di punta di 1.2 mm. La velocità di
taglio è 100 m/min e l’avanzamento 0.25 mm/giro. Calcolare una stima della rugosità
superficiale ottenuta da questa operazione.

Soluzione: La rugosità superficiale ideale può essere calcolata usando l’Equazione


(14.21):

Ri = (0.25)2/(32  1.2) = 0.0016 mm = 1.6 mm

Dal grafico in Figura 14.37 si ricava che il rapporto tra la rugosità reale e ideale per
metalli duttili a 100 m/min è di circa 1.25. Di conseguenza, la rugosità superficiale
reale per l’operazione è circa

Ra = 1.25  1.6 = 2.0 mm

2.4
Metalli duttili
2.2

2.0
Ideale
Reale

1.8
Ghise
Rapporto =

1.6

1.4

1.2 Leghe ad alta lavorabilità

1.0
0 30.5 61 91.5 122
Velocità di taglio in m/min
Figura 14.37  Rapporto tra la rugosità superficiale reale e ideale per diverse classi di materiali.
Fonte: General Electric Co. [19]. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
388 Tecnologia meccanica

Fattori relativi alle vibrazioni e alle macchine utensili  Questi fattori sono le-
gati alle macchine utensili, agli utensili e alla configurazione della lavorazione; essi
comprendono le vibrazioni e il fenomeno del «chatter» (vibrazione autoeccitata) nelle
macchine utensili o negli utensili da taglio, l’inflessione dell’attrezzatura di bloccag-
gio, che spesso si traduce in vibrazioni e i giochi nel meccanismo di avanzamento, in
particolare su macchine utensili vecchie. Anche se questi fattori relativi alle macchine
utensili potessero essere minimizzati o eliminati, la rugosità superficiale sarebbe sem-
pre determinata dai fattori geometrici e relativi al materiale lavorato già descritti in
precedenza.
In una lavorazione per asportazione di truciolo le vibrazioni possono provocare
un’ondulazione più marcata della superficie del pezzo. L’insorgenza di vibrazioni può
essere riconosciuta da qualsiasi operatore esperto per il rumore caratteristico che viene
prodotto. Alcuni metodi che si possono usare per ridurre o eliminare le vibrazioni sono
(1) aumentare la rigidità e/o lo smorzamento nel sistema, (2) eseguire l’operazione a
velocità che non causano forze cicliche le cui frequenze si avvicinano alla frequenza
naturale del sistema della macchina utensile, (3) ridurre l’avanzamento e la profondità di
passata in modo da ridurre le forze di taglio e (4) modificare la progettazione dell’uten-
sile per ridurre le forze di taglio. La geometria del pezzo può giocare un ruolo impor-
tante nell’insorgenza di vibrazioni. Sezioni sottili tendono ad aumentare la probabilità
che si verifichino vibrazioni e richiedono dei supporti ulteriori per evitare l’insorgenza
di questo fenomeno.

14.9 Considerazioni sulla progettazione dei prodotti


nelle lavorazioni per asportazione di truciolo

Diversi aspetti della progettazione dei prodotti sono già stati presi in considerazione
nelle sezioni precedenti relative alle tolleranze e alla finitura superficiale. In questa se-
zione vengono presentate alcune linee guida per la progettazione della lavorazione per
asportazione di truciolo, che derivano dalle fonti [5], [8] e [21].

• Quando è possibile, i pezzi dovrebbero essere progettati in modo tale che non preve-
dano una lavorazione per asportazione di truciolo. Se questo non è possibile, si deve

Sottosquadro

Mediocre Migliore

Figura 14.38  Due pezzi lavorati per


Sottosquadro
asportazione di truciolo con sotto-
squadri: sezioni trasversali di (a) una
staffa e (b) un pezzo rotazionale. Vie-
ne anche mostrato come potrebbe
essere migliorato il progetto del pez-
zo. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell
Mediocre Migliore
P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 389

comunque cercare di limitare la quantità di lavorazioni richieste sul pezzo. In genera-


le, il costo del prodotto è più basso se si usano dei processi «net shape» come la micro-
fusione, la forgiatura in stampo chiuso e lo stampaggio (per materie plastiche), oppure
processi «near net shape» come la forgiatura in stampo semi-chiuso. Le ragioni per
cui può essere necessario usare una lavorazione per asportazione di truciolo sono il
raggiungimento di tolleranze specifiche, una buona finitura superficiale e la necessità
di ottenere feature geometriche particolari come le filettature, i fori di precisione, le
sezioni cilindriche a elevato grado di circolarità e forme simili che non possono essere
realizzate se non mediante una lavorazione per asportazione di truciolo.
• Le tolleranze devono essere impostate per soddisfare le esigenze funzionali, ma oc-
corre anche tenendo conto delle caratteristiche del processo (si faccia riferimento
alla Tabella 14.2 per le tolleranze raggiungibili nelle lavorazioni per asportazione di
truciolo). Può succedere che impostare delle tolleranze eccessivamente strette faccia
aumentare i costi, ma non aggiunga valore al pezzo. Man mano che le tolleranze di-
ventano più strette, il costo del prodotto aumenta a causa della necessità di ulteriori
lavorazioni, attrezzature di bloccaggio, controlli, smistamenti, rilavorazioni e scarti.
• La finitura superficiale deve essere impostata in modo da soddisfare i requisiti
funzionali e/o estetici, ma anche il miglioramento della finitura causa un aumento
dei costi perché richiede operazioni aggiuntive come la rettifica o la lappatura.
• Alcune feature come angoli acuti, spigoli vivi e punte dovrebbero essere evitate,
perché sono difficili da realizzare tramite una lavorazione per asportazione di tru-
ciolo. Angoli interni acuti richiedono degli utensili da taglio appuntiti che si posso-
no rompere più facilmente durante la lavorazione. Angoli acuti e spigoli vivi esterni
stretti tendono a creare bave e sono pericolosi da maneggiare.
• I fori profondi che devono essere realizzati mediante barenatura dovrebbero essere
evitati. La barenatura di fori profondi richiede l’uso di una barra molto lunga; le
barre di barenatura devono essere rigide e questo implica l’uso di materiali molto
duri, come il carburo cementato, che sono costosi.
• I pezzi da sottoporre a lavorazione per asportazione di truciolo devono essere proget-
tati in modo che possano essere prodotti a partire dai grezzi standard disponibili. È
meglio scegliere delle dimensioni esterne uguali o molto simili alla dimensione stan-
dard del grezzo per ridurre al minimo l’entità della lavorazione; ad esempio, è meglio
progettare pezzi rotazionali con diametro esterno uguale a quello delle barre standard.
• I pezzi dovrebbero essere progettati per essere sufficientemente rigidi per resistere
alle forze di taglio e alle forze di bloccaggio. Di conseguenza è meglio evitare, se
possibile, la lavorazione di pezzi lunghi e sottili, estesi e di spessore ridotto, con
pareti sottili.
• I sottosquadri come quelli rappresentati in Figura 14.38 dovrebbero essere evitati
dal momento che spesso richiedono setup aggiuntivi e lavorazioni e/o utensili spe-
ciali e inoltre possono anche causare concentrazioni di tensioni.
• I progettisti dovrebbero scegliere dei materiali con buona lavorabilità. In linea di
massima, il grado di lavorabilità di un materiale è correlato alla velocità di taglio
ammissibile e al ritmo produttivo che può essere raggiunto. Quindi, i pezzi in ma-
teriali con lavorabilità più bassa sono più costosi da produrre. I pezzi che sono in-
duriti mediante trattamento termico di solito devono essere rettificati o lavorati con
utensili più costosi dopo l’indurimento per raggiungere la dimensione finale e la
tolleranza richiesta.
• I pezzi da sottoporre a lavorazione per asportazione di truciolo devono essere pro-
gettati con caratteristiche che possono essere prodotte con il minor numero di setup,
al limite in un unico setup. Questo solitamente implica che le feature da lavorare si
trovino tutte dallo stesso lato del pezzo (si faccia riferimento alla Figura 14.39).
390 Tecnologia meccanica

Figura 14.39  Due pezzi con fori simili: (a) i fori che devono essere realizzati su due facce del pezzo
richiedono due setup, mentre (b) i fori che sono su una sola faccia richiedono un unico setup. (Fon-
te: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

• I pezzi da lavorare devono essere progettati con caratteristiche che si possono ot-
tenere con utensili standard. Questo significa evitare fori o filetti con dimensioni
insolite o forme particolari che richiedono utensili di forma molto specifici. Inoltre,
è utile progettare i pezzi in modo da minimizzare il numero di utensili necessari;
questo spesso permette di poter produrre il pezzo in un unico setup su una macchi-
na come un centro di lavoro (Paragrafo 14.5)

Bibliografia

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Domande di ripasso
15. Che cosa è la fresatura di tasche?
  1. Quali sono le differenze tra pezzi rotazionali e pez- 16. Descrivere la differenza fresatura in concordanza e
zi prismatici nella lavorazione per asportazione di fresatura in discordanza.
truciolo? 17. In cosa si differenza una fresatrice universale ri-
  2. Descrivere le differenza tra la generazione e la for- spetto a una fresatrice tradizionale ginocchio-e-co-
matura in riferimento alla lavorazione per asporta- lonna?
zione di truciolo dei pezzi. 18. Che cos’è un centro di lavoro?
  3. Dare due esempi di lavorazioni per asportazione di 19. Q ual è la differenza tra un centro di lavoro e un
truciolo in cui la generazione e la formatura ven- centro di tornitura?
gono combinate per creare la geometria del pezzo. 20. Cosa può fare un centro di tornitura-fresatura che
  4. Descrivere il processo di tornitura. non può fare un centro di tornitura tradizionale?
  5. Qual è la differenza tra filettatura e maschiatura? 21. Qual è la differenza tra limatura e piallatura?
  6. In cosa differisce la barenatura dalla tornitura? 22. Qual è la differenza tra brocciatura interna e broc-
  7. Cosa si intende per tornio 300 x 910 mm? ciatura esterna?
  8. Descrivere i vari modi in cui un pezzo può essere 23. Descrivere le tre forme di base della segatura.
fissato su un tornio. 24. Perché i costi tendono ad aumentare se si richiede
  9. Q ual è la differenza tra punta viva e punta morta una migliore finitura superficiale del pezzo?
nel contesto delle lavorazioni al tornio? 25. Quali sono i fattori fondamentali che influenzano la
10. In cosa differisce un tornio a torretta rispetto a un finitura superficiale nella lavorazione per asporta-
tornio parallelo? zione di truciolo?
11. Che cos’è un foro cieco? 26. Q uali sono i parametri che hanno influenzato
12. Qual è la caratteristica distintiva di un trapano radiale? maggiormente la rugosità superficiale ideale Ri in
13. Qual è la differenza tra fresatura periferica e fresa- un’operazione di tornitura?
tura frontale? 27. Descrivere i metodi per ridurre o eliminare le vibra-
14. Descrivere la fresatura di contornatura. zioni durante lavorazione.

Problemi
un avanzamento di 0.30 mm/giro e una profondità
1. Un pezzo cilindrico di diametro 200 mm e lunghez- di passata di 4.0 mm, quale velocità di taglio si deve
za 700 mm viene tornito usando un tornio parallelo. utilizzare per soddisfare questo requisito sui tempi
La velocità di taglio è 2.30 m/s, l’avanzamento 0.32 di lavorazione?
mm/giro e la profondità di passata 1.80 mm. Deter- 3. Una superficie conica viene lavorata su un tornio
minare (a) il tempo di lavorazione e (b) il tasso di automatico. Il pezzo è lungo 750 mm con diametri
asportazione del materiale. minimo e massimo pari a 100 mm e 200 mm. I
2. Per una certa operazione di tornitura, il caposqua- comandi automatici del tornio consentono di man-
dra ha decretato che bisogna fare una singola pas- tenere una velocità di taglio costante di 200 m/
sata su un pezzo cilindrico in 5.0 min. Il pezzo è lun- min, regolando la velocità di rotazione in funzione
go 400 mm e ha un diametro di 150 mm. Usando del diametro del pezzo. L’avanzamento è di 0.25
392 Tecnologia meccanica

mm/giro e la profondità di passata è di 3.0 mm.   9. S i usa una lavorazione di fresatura frontale per
La sgrossatura del pezzo è già stata eseguita, asportare 6.0 mm dalla faccia superiore di un pez-
e l’operazione in esame rappresenta la finitura. zo rettangolare di alluminio lungo 300 mm e spes-
Determinare (a) il tempo necessario per tornire il so 125 mm in una sola passata. La fresa segue un
pezzo e (b) le velocità di rotazione all’inizio e alla percorso che è centrato sul pezzo, ha quattro ta-
fine del taglio. glienti e un diametro di 150 mm. La velocità di taglio
4. U na barra cilindrica di diametro di 110 mm e lun- è di 2.8 m/s e l’avanzamento al dente è pari a 0.27
ghezza 1.3 m viene messa su un tornio parallelo e mm/dente. Determinare (a) il tempo di lavorazione
supportata ad un’estremità con una punta viva. Una effettivo per eseguire una passata e (b) la velocità
porzione di lunghezza di 1.15 m deve essere ridot- massima di asportazione del materiale.
ta ad un diametro di 100 mm una singola passata a 10. Una lavorazione di fresatura periferica viene ese-
una velocità di 450 m/min. Il tasso di asportazione guita sulla faccia superiore di un pezzo rettangolare
del materiale è di 110 cm 3/min. Determinare (a) la di acciaio lungo 300 mm e largo 60 mm. La fresa
profondità di passata necessaria, (b) l’avanzamento elicoidale, che ha un diametro di 75 mm e dieci ta-
necessario e (c) il tempo di lavorazione. glienti, supera la larghezza del pezzo da entrambi
5. La parte finale di un pezzo tubolare deve essere sot- i lati. La velocità di taglio è di 38 m/min, l’avanza-
toposto a sfacciatura su una barenatrice verticale. Il mento di 0.15 mm/dente e la profondità di passata
pezzo ha un diametro esterno di 970 mm e un dia- radiale di 8 mm. Determinare (a) il tempo effettivo di
metro interno di 610 mm. Sapendo che l’operazione lavorazione per eseguire una passata e (b) la velo-
è eseguita ad una velocità di rotazione 40.0 giri/min, cità massima di asportazione del materiale. (c) Se vi
l’avanzamento è 0.4 mm/giro e la profondità di taglio fossero anche un’extracorsa in ingresso di 13 mm e
di 4.5 mm, determinare (a) il tempo necessario per un’extracorsa in uscita pari al raggio della fresa più
completare la lavorazione e (b) la velocità di taglio e 13 mm, quale sarebbe il tempo di lavorazione?
il tasso di asportazione del materiale all’inizio e alla 11. Una lavorazione di fresatura frontale viene effettu-
fine del taglio. ata sulla faccia superiore di un pezzo rettangolare
6. Un’operazione di foratura di un pezzo di acciaio vie- di acciaio lungo 300 mm e largo 60 mm. La fresa
ne eseguita con un trapano la cui punta elicoidale segue un percorso centrato sull’asse del pezzo, ha
ha un diametro di 12.7 mm. Il foro è un foro cieco con cinque taglienti e un diametro di 75 mm. La velo-
una profondità di 60 mm e un angolo di punta 118°. cità di taglio è 76 m/min, l’avanzamento 0.15 mm/
La velocità di taglio è di 25 m/min e l’avanzamento dente e la profondità di passata assiale 4 mm. De-
di 0.30 mm/giro. Determinare (a) il tempo necessa- terminare (a) il tempo effettivo di lavorazione per
rio per portare a termine la foratura e (b) il tasso di eseguire una passata e (b) la velocità massima di
asportazione del materiale, dopo che la punta ha asportazione del materiale. (c) Se vi fossero anche
raggiunto il diametro completo. un’extracorsa in ingresso di 13 mm e un’extracorsa
7. Una lavorazione di foratura viene impiegata per ese- in uscita pari al raggio della fresa più 13 mm, quale
guire un foro di diametro 3.6 mm fino ad una certa sarebbe il tempo di lavorazione?
profondità. Servono 4.5 minuti per eseguire l’opera- 12. Risolvere il Problema 14.11 per un pezzo largo 125
zione apportando un fluido refrigerante ad alta pres- mm usando una fresa posta lateralmente al pezzo
sione in corrispondenza della punta. La velocità del e sovrapposta per una larghezza di 25 mm. Que-
mandrino è 4000 giri/min e l’avanzamento di 0.04 sta è una lavorazione di fresatura frontale parziale,
mm/giro. Al fine di migliorare la finitura superficiale come nella Figura 14.20 (b).
del foro, si decide di aumentare la velocità del 20% 13. In una lavorazione di tornitura di un pezzo di ghisa,
e diminuire l’avanzamento del 25%. Quanto tempo il raggio di punta dell’utensile monotagliente è di
sarà necessario per eseguire la lavorazione con i 1.5 mm, l’avanzamento è di 0.22 mm/giro e la velo-
nuovi parametri di taglio? cità di taglio è di 1.8 m/s. Calcolare una stima della
8. Una lavorazione di fresatura periferica viene ese- rugosità superficiale ottenibile.
guita sulla faccia superiore di un pezzo rettangolare 14. In una lavorazione di tornitura viene utilizzato un
lungo 400 mm e largo 60 mm. La fresa, che ha un utensile con raggio di punta 0.8 mm per una la-
diametro di 80 mm e ha cinque taglienti, supera la vorazione di un acciaio ad alta lavorabilità con un
larghezza del pezzo da entrambi i lati. La velocità avanzamento di 0.25 mm/giro e una velocità di ta-
di taglio è pari a 70 m/min, l’avanzamento al dente è glio di 90 m/min. Determinare la rugosità superfi-
di 0.25 mm/dente e la profondità di passata radiale ciale ottenibile.
è di 5.0 mm. Determinare (a) il tempo di lavorazione 15. Un utensile monotagliente di acciaio super rapido
effettivo di una passata e (b) la velocità massima di (High Speed Steel, HSS) con un raggio di punta 1.2
asportazione del materiale. mm viene utilizzato in un’operazione di limatura su
Lavorazioni per asportazione di truciolo e macchine utensili 393

un pezzo di acciaio duttile. La velocità di taglio è sità a 0.9 μm.La fresa utilizza quattro inserti, il suo
di 35 m/min. L’avanzamento è 0.35 mm/corsa e la diametro è di 75 mm e la velocità di rotazione è pari
profondità di passata 3.5 mm. Determinare la rugo- a 475 giri/min. Per ottenere la migliore finitura possi-
sità superficiale ottenibile. bile, occorre usare un tipo di inserto in metallo duro
16. U n pezzo da tornire su un tornio parallelo deve con raggio di punta 1.6 mm. Determinare la velocità
avere una finitura superficiale di 1.6 μm. Il pezzo è di avanzamento (mm/min) che consente di ottenere
costituito da una lega di alluminio ad alta lavorabili- la finitura richiesta.
tà. La velocità di taglio è 150 m/min e la profondità 19. Una lavorazione di fresatura frontale non sta pro-
di passata è di 4.0 mm. Il raggio di punta dell’uten- ducendo la finitura superficiale richiesta sul pezzo.
sile è pari a 0.75 mm. Determinare l’avanzamento La fresa impiegata ha quattro taglienti. Il capo offi-
che permette di ottenere la finitura superficiale cina pensa che il problema sia dovuto al fatto che
specificata. il materiale da lavorare è troppo duttile, ma in real-
17. R isolvere il problema precedente per un pezzo tà esso si trova all’interno della gamma di duttilità
composto da ghisa anziché da alluminio e con una specificato dal progettista. Senza avere altre infor-
velocità di taglio di 100 m/min. mazioni sul pezzo, quali modifiche (a) ai parametri
18. Una lavorazione di fresatura frontale deve essere di taglio e (b) all’utensile si potrebbero suggerire
eseguita su un pezzo di ghisa per portare la rugo- per migliorare la finitura superficiale?
Utensili da taglio

Capitolo 15
Le lavorazioni per asportazione di truciolo vengono eseguite per mezzo degli utensili da taglio.
Le forze e le temperature elevate originate dall’interazione utensile-pezzo possono compro-
mettere la funzionalità dell’utensile stesso. Se le forze di taglio aumentano troppo, l’utensile
può subire danneggiamenti. A causa dell’incremento eccessivo delle temperature di taglio le
proprietà meccaniche dell’utensile possono subire importanti diminuzioni favorendone di fatto
il cedimento sotto l’azione delle forze. Anche quando non si verifica nessuna di queste due
condizioni, l’usura progressiva del tagliente ne compromette la funzionalità rendendo neces-
saria la sostituzione.
Lo sviluppo tecnologico degli utensili ha sempre puntato su due aspetti principali: il materiale
e l’ottimizzazione della geometria. I materiali devono infatti resistere alle sollecitazioni (forze
di taglio), ad alte temperature e devono esibire una buona resistenza all’usura. Anche l’otti-
mizzazione della geometria, fissata la lavorazione e il materiale, permette di incrementarne
la durata. La vita dell’utensile rappresenta infatti una caratteristica fondamentale per descri-
vere le prestazioni degli utensili. Questo capitolo si occupa inoltre, nelle diverse sezioni, dei
fluidi da taglio, della lavorabilità dei materiali e degli aspetti economici connessi.

15.1  Vita utile degli utensili


Come suggerito dal paragrafo di apertura, ci sono tre modi possibili attraverso i quali
un utensile da taglio può danneggiarsi durante la lavorazione:
1. Danneggiamento da frattura o scheggiatura. Si verifica quando la forza di taglio sul-
la punta dell’utensile diventa eccessiva provocandone una frattura o una scheggiatura.
2. Deformazione Plastica. Si verifica quando la temperatura di taglio è troppo alta, si
origina una riduzione delle proprietà meccaniche del materiale dell’utensile e una con-
seguente deformazione plastica che determina la perdita del bordo affilato.
3. Usura graduale. Si tratta sostanzialmente di un’usura progressiva dell’utensile
che, modificando la geometria iniziale, compromette l’efficienza e la qualità del
taglio. Il processo di usura viene quindi accelerato fino al manifestarsi di un dan-
neggiamento simile a quello legato alle eccessive temperature.
Scheggiatura e deformazione plastica determinano una messa fuori servizio prematura
dell’utensile e quindi sono situazioni da evitare. L’usura graduale è quella meno criti-
ca perché permette comunque l’uso prolungato dell’utensile con conseguenti vantaggi
economici e produttivi.
Considerando le modalità di guasto degli utensili, non bisogna dimenticare di va-
lutare anche la qualità dei pezzi lavorati. Infatti quando la punta dell’utensile si rompe
durante il taglio, provoca un danneggiamento della superficie del pezzo. Questi danneg-
giamenti possono costringere a rilavorare alcune superfici o addirittura, in alcuni casi, a
396 Tecnologia meccanica

scartare definitivamente il pezzo. Scegliendo opportunatamente le condizioni di taglio


è possibile cercare di evitare che l’utensile subisca scheggiature o danneggiamenti da
deformazione plastica. Anche in questo caso l’utensile dovrà comunque essere cambiato
prima che l’usura progressiva possa causare danneggiamenti all’utensile.

15.1.1 Usura dell’utensile


L’usura si concentra soprattutto in due punti dell’utensile da taglio: sulla faccia superiore (detta
comunemente petto) e sul fianco. Si distinguono quindi due zone usurate: il cratere di usura
che si forma sul petto dell’utensile e il labbro d’usura che si forma sul fianco dell’utensile, fare
riferimento alla Figura 15.1 per un utensile a punta singola (utensile per tornitura). Il cratere di
usura è costituito da una cavità su petto dell’utensile che si forma per l’azione del truciolo che
scorre sulla la superficie del petto. Le alte pressioni e temperature che si manifestano superficie
di contatto tra l’utensile e il truciolo favoriscono i meccanismi d’usura. Le misure di area e
profondità permettono di caratterizzare geometricamente il cratere. L’usura sul fianco si ma-
nifesta appunto sul fianco dell’utensile ed è dovuta allo sfregamento tra la superficie lavorata
del pezzo e il fianco dell’utensile. L’usura sul fianco viene descritta attraverso la misura della
larghezza della banda di usura, comunemente detta anche labbro d’usura.
Relativamente al labbro d’usura, si possono identificare alcune regioni caratteristiche.
Prima di tutto, si osserva una zona, in corrispondenza della posizione originale del pezzo
lavorato, dove l’usura è particolarmente pronunciata (usura ad intaglio). Essa si verifica per-
ché la superficie originale del pezzo lavorato è più dura e/o più abrasiva rispetto al materiale
interno, favorendo di fatto l’usura. L’effetto può essere causato da diverse ragioni: incrudi-
mento dovuto alla trafilatura a freddo, lavorazioni meccaniche precedentemente effettuate,
dalla presenza di particelle di sabbia sulla superficie legate al processo di colata o per altre
ragioni. La seconda zona in cui si concentra l’usura è quella che interessa il raggio di punta.
I meccanismi che causano l’usura sulle superfici di contatto tra l’utensile e il truciolo e tra
l’utensile e il pezzo durante la lavorazione meccanica possono essere riassunti come segue.
• Abrasione. Questa è un’azione di usura meccanica causata da particelle dure incluse
materiale lavorato che incrinano e rimuovono piccole porzioni dell’utensile. L’azione
abrasiva si manifesta prevalentemente sul fianco originando il labbro d’usura ma an-
che, in misura minore, determinando la formazione del cratere sul petto.
• Adesione. Quando due metalli entrano in contatto e le pressioni e le temperature in gioco
sono alte, si può originare un’adesione (saldatura) tra le relative superfici. Queste condizio-
ni si verificano tipicamente tra il truciolo e il petto dell’utensile. Man mano che il truciolo

Larghezza labbro
usura (VB)
Figura 15.1  Immagine
di un utensile da taglio
Cratere di usura
usurato, che mostra le Usura ad intaglio
regioni principali e i tipi
di usura che si verificano. Usura sul fianco
(Fonte: Fundamentals of
ità
Modern Manufacturing, d
on io
4th Edition by Mikell P. of gl
Pr ta
to

di
en

Groover, 2010. Ristam-


am

pato con il permesso di


nz
a

Usura del raggio di punta


Av

John Wiley & Sons, Inc.)


Utensili da taglio 397

scorre sul petto, piccole particelle dell’utensile aderiscono al truciolo e si staccano dalla
superficie dell’utensile modificandone la geometria e accelerandone l’usura.
• Diffusione. Questo è un processo in cui si verifica uno scambio di atomi sulla superfi-
cie di contatto tra due materiali. Nel caso dell’usura dell’utensile, la diffusione avviene
sulla superficie di contatto tra l’utensile e il truciolo e provoca la migrazione di atomi
dall’utensile determinandone una riduzione delle proprietà meccaniche. Man mano che
questo processo si sviluppa, la superficie dell’utensile diventa più vulnerabile all’abrasio-
ne e all’adesione. La diffusione è ritenuta una delle cause principali del cratere di usura.
• Reazioni chimiche. A causa delle alte temperature nelle zone di contatto tra uten-
sile e truciolo; sul petto dell’utensile possono aver luogo reazioni chimiche, in par-
ticolare delle reazioni di ossidazione. Lo strato di ossido, essendo più morbido del
materiale dell’utensile, si stacca dall’utensile esponendo di nuovo la superficie al
processo di reazione.
• Deformazione plastica. Un altro meccanismo che contribuisce all’usura dell’uten-
sile è la deformazione plastica del tagliente. Le forze di taglio che agiscono sul
tagliente, abbinate alle alte temperature causano la deformazione plastica del bordo,
rendendolo più vulnerabile ai meccanismi di usura. La deformazione plastica con-
tribuisce principalmente all’usura sul fianco.

La maggior parte di questi meccanismi di usura degli utensili vengono accelerati


dall’incremento della velocità di taglio e della temperatura. Soprattutto la diffusione e
le reazioni chimiche sono particolarmente sensibili alle temperature elevate.

15.1.2 Vita dell’utensile e equazione di Taylor


I vari meccanismi di usura causano l’aumento del livello di usura dell’utensile, man mano
che il taglio procede. La relazione generale che lega l’usura dell’utensile al tempo di ta-
glio è illustrata in Figura 15.2. Il grafico riportato fa riferimento all’usura sul fianco, an-
che l’usura sul petto (cratere) esibisce però un andamento simile. Nella curva di crescita
dell’usura si possono identificare tre regioni. La prima è la zona di rodaggio, in cui il ta-
gliente affilato dell’utensile subisce un’usura molto rapida all’inizio del suo utilizzo. Que-
sta prima fase si esaurisce nei primi minuti del taglio. Con il proseguire della lavorazione,
il tasso di usura si attesta su valori uniformi (usura stazionaria). Nell’andamento riportato
in figura, questa regione è rappresentata come una funzione lineare del tempo di lavoro.
L’andamento riportato è semplicemente qualitativo, se si pensasse di riportare sullo stes-

Usura iniziale (zona di rodaggio) Zona


cedimento
Fi gur a 15 . 2 Us ura
Usura sul fianco dell’utensile (FW)

dell'utensile
Regione di usura stazionaria Rottura dell’utensile in funzione
finale del tempo di taglio. In
questa figura si riporta
Tasso d’usura l’usura sul fianco (labbro
Velocità crescente
di usura d’usura) (FW larghez-
uniforme za labbro d’usura), ma
anche il cratere di usura
ha un andamento simile.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Usura iniziale veloce Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Tempo di taglio (min) John Wiley & Sons, Inc.)
398 Tecnologia meccanica

so grafico i dati sperimentali ricavati da prove di taglio, si potrebbero riscontare anche


significative deviazioni. Quando l’utensile comincia ad essere usurato, il tasso d’usura
(o velocità d’usura) torna a crescere. Questo indica l’inizio della zona di usura rapida o
zona di cedimento dell’utensile, in cui le temperature di taglio sono più alte e l’efficienza
generale del processo di lavorazione si riduce. Se si continua ad utilizzare l’utensile, è
molto probabile che avvenga un guasto a causa delle temperature troppo elevate.
La pendenza della curva dell’usura dell’utensile nella regione stazionaria dipende
dal materiale da lavorare e dalle condizioni di taglio. Per materiali più duri si osserva
un aumento della velocità di usura (rappresentata dalla pendenza della curva). Anche
l’aumento della velocità, dell’avanzamento e della profondità di taglio hanno un effetto
simile. La velocità di taglio è sicuramente il parametro che influenza maggiormente
l’usura. Rappresentando la curva di usura per diverse velocità di taglio, si ottiene un
grafico come quello mostrato in Figura 15.3. Se aumenta la velocità di taglio aumenta
anche la velocità di usura e quindi diminuisce il tempo per cui si raggiunge un certo
livello di usura.
La vita dell’utensile è definita come il periodo di tempo in cui l’utensile può essere
usato prima che si verifichi una rottura definitiva. Questo situazione è rappresentata,
facendo riferimento alla Figura 15.3, dall’estremità delle curve. Tuttavia, durante la
produzione, non si può portare un utensile a rottura, si potrebbero infatti riscontrare
danneggiamenti ai pezzi lavorati e sarebbe tuttavia impossibile pensare ad un’eventuale
e successiva riaffilatura per riutilizzare l’utensile. Si decide infatti di sostituire l’uten-
sile, di fatto stabilendo un criterio di fine vita utile, quando un parametro caratteristico
d’usura (per esempio la larghezza del labbro d’usura VB) raggiunge un determinato
valore. Questa condizione è rappresentata sul grafico da una retta orizzontale. L’in-
tersezione delle varie curve con la retta orizzontale rappresenta la fine della vita utile
dell’utensile: la durata può quindi essere determinata proiettando l’intersezione della
curva di usura e della retta orizzontale sull’asse delle ascisse.
Su un piano logaritmico (naturale) velocità di taglio-vita utile, il comportamento
dell’utensile è rappresentato dalla retta riportata in Figura 15.41. I vari punti sono asso-
ciati alla durata dell’utensile alle velocità riportate in Figura 15.3.

Figura 15.3  Effetto della


velocità (3 diverse velo-
sul fianco dell’utensile (VB)

cità) di taglio sull’usura Criterio di fine vita


7RROOLIHFULWHULRQJLYHQ
del fianco dell’utensile   utile utensile 
DVIODQNZHDUOHYHO
PP
Usura 7RROIODQNZHDU ):

(FW). Si mostrano i va-


Y 
lori ipotetici di velocità e
di durata dell’utensile fis-
sando un criterio di fine
vita dell’utensile che in
Y PPLQ
questo caso corrisponde
Y 
ad un labbro di usura dal-
la larghezza di 0.50 mm
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. 7  7  7 
Groover, 2010. Ristam-    
pato con il permesso di
Tempo di taglio (min)
7LPHRIFXWWLQJ PLQ
John Wiley & Sons, Inc.)

1
  Il lettore può aver notato che nella Figura 15.4 la variabile dipendente (la vita dell’utensile) è stata tracciata
sull’asse orizzontale e la variabile indipendente (la velocità di taglio) sull’asse verticale. Anche se è un
rovesciamento della normale rappresentazione, questo è il modo in cui viene di solito rappresentata la relazione
di Taylor.
Utensili da taglio 399

La scoperta di questa relazione tra vita utile e velocità di taglio risale al 1900 da parte di
F.W. Taylor. L’equazione caratteristica della retta è chiamata equazione di Taylor della
vita utensile.
vc (15.1)
dove vc è la velocità di taglio in m/min, T è la vita dell’utensile in min e n e C sono para-
metri i cui valori dipendono dall’avanzamento, dalla profondità di passata, dal materiale
lavorato, dall’utensile (in particolare il suo materiale) e dal criterio di fine vita utilizzato.
n dipende prevalentemente dal materiale dell’utensile, mentre C dipende dal materiale
dell’utensile, dal materiale di lavoro e dai parametri di taglio.
In sostanza, l’Equazione (15.1) afferma che l’adozione di velocità di taglio maggiori
determinano una riduzione della vita utile dell’utensile. In riferimento alla retta di Figu-
ra 15.4, i parametri n e C sono legati rispettivamente alla pendenza e all’intercetta della
retta con l’asse delle ordinate. C rappresenta la velocità di taglio alla quale l’utensile
durerebbe 1-min.
Il problema dell’Equazione (15.1) è che le unità sul lato destro dell’equazione non
sono coerenti con le unità sul lato sinistro. Per rendere le unità coerenti, l’equazione
deve essere espressa nella forma:
n
vc ref (15.2)
dove Tref è un valore di riferimento per C, che vale 1 min quando vc è espressa in m/
min e T in minuti. Il vantaggio dell’Equazione (15.2) è evidente quando bisogna usare
l’equazione di Taylor con unità diverse da m/min e minuti, per esempio se la velocità di
taglio è in m/sec e la vita dell’utensile in secondi. In questo caso, Tref sarebbe 60 sec e C
sarebbe quindi lo stesso valore della velocità dell’Equazione (15.1), anche se misurato in
m/sec. La pendenza n avrebbe lo stesso valore numerico dell’Equazione (15.1).
Si può formulare una versione estesa dell’Equazione (15.2) per includere gli effetti
dell’avanzamento, della profondità di passata e della durezza del materiale:
app n
ref
m
ref
apref
p q
ref (15.3)
dove f è l’avanzamento in mm, ap la profondità di passata in mm, HB la durezza espressa
in un’appropriata scala di durezza, m e p due esponenti i cui valori vengono determinati
sperimentalmente per le condizioni specifiche dell’operazione, K una costante analoga
a C dell’Equazione (15.2), e fref, ap e HBref i valori di riferimento per l’avanzamento, la
ref
profondità e la durezza. I valori di m e p e gli esponenti dell’avanzamento e della profon-


di taglio (m/min)
&XWWLQJVSHHG IWPLQ

  Y 7  Figura 15.4  Grafico ve-


  Y 7  locità di taglio in relazio-
ne alla vita dell’utensile

Velocità

in coordinate logaritmi-
 Y 7 
che (naturale). (Fonte:

Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
        
permesso di John Wiley
Vita dell’utensile (min)
7RROOLIH PLQ & Sons, Inc.)
400 Tecnologia meccanica

Esempio 15.1  Equazione della vita dell’utensile di Taylor


Determinare i valori di C e n nel grafico di Figura 15.4, utilizzando due dei tre punti
della curva e risolvendo le equazioni nella forma dell’Equazione (15.1).

Soluzione: Scegliendo i due punti estremi (vc = 160m/min, T = 5min) e (v = 100m/min,


T = 41 min), si ha:
160(5)n = C
100(41)n = C

Imponendo l’uguaglianza tra i due termini di sinistra:


160(5)n = 100(41)n
Facendo il logaritmo naturale di ogni termine
In(160) + nIN(5) = In(100) + nIn(41)
5.0752 + 1.6094n = 4.6052 + 3.7136n
0.4700 = 2.1042n
0.4700
n= = 0.223
2.1042
Sostituendo questo valore di n nelle due equazioni iniziali si ottiene il valore di C
C = 160(5)0.223 = 229
Oppure
C = 100(41)0.223 = 229
L’equazione di Taylor della vita dell’utensile per i dati in Figura 15.4 è quindi:
vcT 0.223 = 229

dità sono tutti valori minori di 1.0. Questo indica che la velocità di taglio ha un’influenza
maggiore rispetto agli altri parametri sulla durata dell’utensile (l’esponente di v è 1.0).
Dopo la velocità, il secondo parametro in ordine di importanza è l’avanzamento, per
cui m è più grande di p. Anche l’esponente della durezza del pezzo, q, è minore di 1.0.
Una delle più grandi difficoltà nell’applicare l’Equazione (15.3) in un contesto pratico è
l’enorme quantità di dati che sarebbero necessari per determinare i valori dei parametri. An-
che scostamenti, nelle caratteristiche del materiale lavorato o nelle condizioni delle prove,
possono determinare un incremento dell’incertezza statistica nella stima dei parametri del
modello. L’Equazione (15.3) in generale, è valida per indicare le dipendenze delle variabili,
ma non per calcolare con precisione la vita dell’utensile. Per limitare questi problemi e ren-
dere più semplice l’utilizzo dell’equazione, alcuni termini vengono eliminati. Per esempio,
omettendo la profondità e la durezza, l’Equazione (15.3) si riduce alla formula seguente:
n m
vc ref ref  (15.4)
dove i termini hanno lo stesso significato di prima, tranne la costante K che ha un signi-
ficato leggermente diverso.
Anche se la larghezza del labbro d’usura è il criterio scelto per la determinazione
della vita utile dell’utensile (da cui è poi originata l’equazione di Taylor), questo deter-
mina, per capire quando sostituire l’utensile, la necessità di misurare la dimensione del
labbro, procedura non ammissibile nella realtà produttiva. Vengono quindi usati dei criteri
alternativi: (1) l’ispezione visiva del tagliente da parte dell’operatore della macchina, (2)
la degradazione della finitura superficiale sul pezzo, (3) il conteggio del numero di pezzi
lavorati e (4) il tempo totale di taglio effettuato dall’utensile, in base ai quali si decide
quando cambiare l’utensile.
Utensili da taglio 401

15.2  Materiali degli utensili

Le tre modalità di guasto individuano tre importanti proprietà che devono possedere i
materiali con cui vengono realizzati gli utensili:
• Tenacità. Per evitare il guasto da frattura, il materiale dell’utensile deve possedere un’ele-
vata tenacità. La tenacità è la capacità di un materiale di assorbire energia senza rompersi.
Di solito è caratterizzata da una combinazione di resistenza e duttilità del materiale.
• Durezza a caldo. La durezza a caldo è la capacità di un materiale di mantenere la
sua durezza alle alte temperature. Questa caratteristica è necessaria a causa dell’alta
temperatura della zona di taglio.
• Resistenza all'usura. La durezza è la proprietà più importante necessaria per resistere
all’usura abrasiva. Tutti i materiali degli utensili da taglio devono possedere elevata du-
rezza. Tuttavia, nel taglio, la resistenza all’usura dipende anche da altri fattori che influen-
zano i vari meccanismi di usura dell’utensile, tra cui la finitura superficiale dell’utensile
(una superficie liscia implica un coefficiente di attrito inferiore), la composizione chimica
dell’utensile e dei materiali da lavoro e l’utilizzo o meno di un fluido da taglio.
I materiali degli utensili da taglio possiedono una combinazione di queste proprietà in vari
gradi. In questa sezione vengono discussi i seguenti materiali: (1) acciai rapidi e materiali che
li hanno preceduti, acciai semplici e bassolegati, (2) leghe di cobalto, (3) carburi cementati,
cermet e carburi rivestiti, (4) ceramiche, (5) diamante sintetico e nitruro di boro cubico. Prima
di esaminare singolarmente questi materiali, si effettuerà una descrizione di insieme e un bre-
ve confronto tra di loro. Dal punto di vista economico, i materiali per utensili più importanti
sono gli acciai rapidi, i carburi cementati, i cermet e i carburi rivestiti. Queste categorie danno
origine a più del 90% degli utensili utilizzati nelle lavorazioni per asportazione di truciolo.
La Tabella 15.1 e la Figura 15.5 presentano le proprietà di vari materiali per utensili:
durezza, tenacità e la durezza a caldo. La Tabella 15.1 riporta la durezza e la resistenza
alla rottura trasversale dei materiali a temperatura ambiente. La resistenza alla rottura
trasversale (Paragrafo 3.1.3) è una proprietà utilizzata per indicare la tenacità per i ma-
teriali duri. La Figura 15.5 mostra come varia la durezza in funzione della temperatura
per molti dei materiali per utensili discussi in questo paragrafo.
TABELLA 15.1  Valori di durezza tipici (a temperatura ambiente) e resistenza alla rottura trasversale
per vari materiali per utensilia.
Resistenza alla rottura
trasversale (TRS)
Materiale Durezza MPa
Acciaio al carbonio 60 HRC 5200
Acciaio rapido 65 HRC 4100
Lega al cobalto 65 HRC 2250
Carburi di tungsteno sinterizzati (WC)
Basso contenuto di Co 93 HRA, 1800 HK 1400
Alto contenuto di Co 90 HRA, 1700 HK 2400
Cermet (TiC) 2400 HK 1700
Allumina (Al2O3) 2100 HK 400
Nitruro di boro cubico 5000 HK 700
Diamante policristallino 6000 HK 1000
Diamante naturale 8000 HK 1500

Fonti [7], [12], [20] e altri.


a
I valori di durezza e TRS sono quelli tipici da usare per i confronti. Si possono verificare delle variazioni nei valo-
ri a seconda delle differenze nella composizione e nel processo di produzione primario.
402 Tecnologia meccanica

Figura 15.5 Andamen-
ti tipici della durezza a Ceramiche
caldo per alcuni mate-
riali per utensili. L’acciaio

Durezza (Rockwell C), HRC


al carbonio mostra una
rapida perdita di durez-
za all’aumentare della Carburi sinterizzati
temperatura. L’acciaio
rapido ha un andamento
notevolmente migliore e Leghe di cobalto
i metalli duri e le cerami-
che preservano maggior-
mente la durezza a tem-
perature elevate rispetto
agli altri materiali. (Fonte: Acciai rapidi
Fundamentals of Modern
Acciai al carbonio
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) Temperatura (°C)

In aggiunta a questi confronti sulle proprietà, è utile confrontare i materiali anche sui
parametri n e C dell’equazione della vita dell’utensile di Taylor. In generale, lo sviluppo
di nuovi materiali per utensili ha portato ad un aumento dei valori di questi due para-
metri. La Tabella 15.2 riporta i valori indicativi di n e C dell’equazione di Taylor che
descrive l’usura utensili di diverso materiale.
Lo sviluppo progressivo dei materiali per utensili ha anche permesso di raggiun-
gere velocità di taglio sempre più elevate. La Tabella 15.3 riporta, per alcuni materiali,
l’anno approssimativo in cui sono stati introdotti e le massime velocità di taglio a cui
possono essere utilizzati. Come indicato dalla tabella, i progressi nella tecnologia dei
materiali per utensili hanno permesso di aumentare considerevolmente la produttività
delle lavorazioni. Lo sviluppo delle macchine utensili non ha sempre tenuto il passo
con lo sviluppo dei materiali per gli utensili. I limiti nella potenza e nella rigidità delle
macchine utensili, nei cuscinetti dei mandrini e l’ampio uso di apparecchiature di vec-
chia generazione non hanno permesso di usare le velocità massime raggiungibili dagli
utensili da taglio disponibili.
I valori dei parametri sono calcolati per una tornitura con avanzamento di 0.25 mm/
giro e profondità di 2.5 mm. Quando si parla di “altri metalliˮ ci si riferisce a metalli
facilmente lavorabili, come l’alluminio, l’ottone e la ghisa. Il taglio di acciaio si riferisce
TABELLA 15.2  Valori indicativi di n e C dell’equazione della vita degli utensili di Taylor, Equazio-
ne (15.1), per alcuni materiali per utensili.

C
lavorazione altri metalli lavorazione acciaio
Materiale dell’utensile n m/min m/min
Acciaio al carbonio 0.1 70 20
Acciaio rapido 0.125 120 70
Carburo sintetizzato 0.25 900 500
Cermet 0.25 600
Carburo rivestito 0.25 700
Ceramica 0.6 3000
Fonti [7], [12] e altri.
Utensili da taglio 403

TABELLA 15.3  Materiali di utensili da taglio con le loro date approssimative di inizio di utilizzo e
le velocità di taglio raggiungibili.

Velocità di taglio raggiungibilea


lavorazione altri lavorazione acciaio
metalli
Materiale dell’utensile Anno di inizio utilizzo m/min m/min
Acciaio al carbonio 1800s Sotto 10 Sotto 5
Acciaio rapido 1900 25-65 17-33
Leghe di cobalto 1915 50-200 33-100
Carburo di tungsteno sin- 1930 330-650 100-300
terizzati (WC)
Cermet (TiC) 1950s 165-400
Ceramiche (Al2O3) 1955 330-650
Diamanti sintetici 1954, 1973 390-1300
Nitruro di boro cubico 1969 500-800
Carburi rivestiti 1970 165-400
a
Fonti [12], [16], [19], [21] e altri.

alla lavorazione di acciaio dolce (non temprato). Va ricordato che nella pratica si posso-
no verificare notevoli variazioni in tali valori.

15.2.1 Acciaio rapido e suoi predecessori


Prima dello sviluppo dell’acciaio rapido, i materiali più usati per gli utensili da taglio
erano l’acciaio al carbonio e l’acciaio Mushet. Oggi, questi acciai sono utilizzati rara-
mente in applicazioni industriali. Gli acciai al carbonio utilizzati per gli utensili da ta-
glio devono essere trattati termicamente per ottenere una durezza relativamente elevata
(Rockwell C 60), a causa del loro alto contenuto di carbonio. Tuttavia, a causa delle
basse concentrazioni degli elementi di lega, essi possiedono una scarsa durezza a caldo
(Figura 15.5), che li rende inutilizzabili nel taglio a patto di non adottare velocità trop-
po basse per gli standard odierni. L’acciaio Mushet contiene come elemento di lega il
tungsteno (da 4% al 12%) e il manganese (dal 2% al 4%) oltre al carbonio, e può essere
considerato un predecessore dell’acciaio rapido.
L’acciaio rapido (High Speed Steel, HSS) è un acciaio per utensili altamente lega-
to in grado di mantenere la durezza a temperature elevate meglio degli acciai ad alto
contenuto di carbonio o bassolegati. La sua buona durezza a caldo consente di usare gli
utensili HSS a velocità di taglio più elevate. Questo acciaio era veramente degno del
suo nome rispetto agli altri materiali per utensili disponibili al tempo del suo sviluppo.
Esistono vari acciai rapidi, che si possono dividere in due tipologie fondamentali: (1) al
tungsteno, indicato con qualità T dall’American Iron and Steel Institute (AISI) e (2) al
molibdeno, indicato con qualità M.
L’acciaio rapido al tungsteno contiene tungsteno (W) come elemento principale di
lega. Gli altri elementi della lega sono il cromo (Cr) e il vanadio (V). Uno degli acciai
più noti di questo tipo è il T1, o 18-4-1, che contiene il 18% di W, il 4% di Cr e l’1% di
V. L’acciaio rapido al molibdeno contiene una combinazione di tungsteno e molibdeno
(Mo), oltre agli stessi elementi aggiuntivi della lega di acciaio rapido al tungsteno. A
volte viene aggiunto anche il cobalto (Co) per migliorare la durezza a caldo. Natural-
mente, gli acciai rapidi contengono anche il carbonio, l’elemento comune a tutti gli
acciai. Le composizioni tipiche delle leghe HSS sono riportate in Tabella 15.4.
404 Tecnologia meccanica

TABELLA 15.4  Elementi di lega negli acciai rapidi HSS: proprietà.

Elemento Contenuto tipico in % Funzione dell’elemento


della lega di peso
Tungsteno T-type HSS: 12-20 Aumenta la durezza a caldo
M-type HSS: 1.5-6 Migliora la resistenza all’abrasione attraverso la formazio-
ne di carburi duri
Molibdeno T-type HSS: none Aumenta la durezza a caldo
M-type HSS: 5-10 Migliora la resistenza all’abrasione attraverso la forma-
zione di carburi
Cromo 3.75-4.5 Aumenta la profondità di tempra durante il trattamento
termico
Migliora la resistenza all’abrasione attraverso la forma-
zione di carburi e la resistenza alla corrosione (effetto
minore)
Vanadio 1-5 Combinato con il carbonio aumenta la resistenza all’usura
Ritarda la crescita dei grani per una migliore tenacità
Cobalto 0-12 Aumenta la durezza a caldo
Carbonio 0.75-1.5 Principale elemento di indurimento nell’acciaio
Fornisce carbonio per formare carburi con altri elementi
leganti per aumentare la resistenza all’usura
Fonti [1], [10], [12] e altri.

Dal punto di vista economico, l’acciaio rapido è uno dei materiali per utensili più
importanti in uso oggi, nonostante sia stato introdotto più di un secolo fa. L’HSS è
particolarmente adatto per realizzare forme complicate degli utensili, come trapani,
maschi, frese, e bareni. Di solito è più facile e meno costoso realizzare questi utensili di
forma complessa usando HSS non temprato piuttosto che altri materiali per utensili. In
seguito possono essere trattati termicamente in modo da migliorare ancora la durezza
del tagliente (Rockwell C 65) e la tenacità delle parti interne. Le frese HSS possiedono
la migliore tenacità rispetto a qualsiasi altro materiale più duro non di acciaio utilizzato
per la lavorazione, come i metalli duri e le ceramiche. L’HSS è molto usato anche per
gli utensili a punta singola, a causa della facilità con cui si può realizzare una qualsiasi
forma dell’utensile. Nel corso degli anni sono stati apportati diversi miglioramenti nella
formulazione metallurgica e nel trattamento dell’acciaio rapido tali da farlo rimanere
competitivo in molte applicazioni. Inoltre, gli utensili HSS, in particolare le punte a
forare, sono spesso rivestiti uno strato sottile di nitruro di titanio (TiN) per aumentare
ulteriormente le prestazioni degli utensili durante il taglio. I rivestimenti degli utensili
HSS di solito vengono effettuati attraverso un processo chiamato deposizione fisica di
vapore.

15.2.2 Leghe al cobalto


Gli utensili da taglio in lega di cobalto sono composti da cobalto, circa dal 40% al 50%,
cromo, dal 25% al 35% e tungsteno, dal 15% al 20%, con tracce di altri elementi. Que-
sti utensili sono realizzati mediante colate in stampi di grafite e poi rettificati sia per
raggiungere le dimensioni finali che per affilare il tagliente. La colata conferisce agli
utensili una durezza elevata, che rappresenta un vantaggio rispetto agli acciai HSS, che
invece richiedono un trattamento termico per ottenere durezze superiori. La resistenza
all’usura delle leghe di cobalto è migliore di quella dell’acciaio rapido, ma minore di
quella del carburo sinterizzato. La tenacità degli utensili in leghe al cobalto è migliore di
quella dei carburi, ma peggiore dell’acciaio rapido. Anche la durezza a caldo è compresa
tra quelle degli altri due materiali.
Utensili da taglio 405

Considerando le proprietà appena descritte, le applicazioni in cui vengono utilizzati


questi utensili sono intermedie rispetto a quelle degli altri due tipi di materiali. Sono
in grado di effettuare lavorazioni di sgrossatura a velocità superiori rispetto a quelle
adottate con gli utensili di HSS e con avanzamenti maggiori rispetto a quelli utilizzati
con gli utensili in carburo. I materiali potenzialmente processabili includono sia gli
acciai che altri materiali metallici ma anche materiali non metallici come la plastica e la
grafite. Allo stato attuale, gli utensili in lega di cobalto non sono così commercialmente
importanti come gli acciai rapidi o i carburi sintetizzati. Sono stati introdotti intorno al
1915 come materiali per utensili che consentivano velocità di taglio più elevate rispetto
agli HSS. Successivamente sono stati sviluppati i carburi sinterizzati che si sono rivelati
migliori delle leghe di cobalto nella maggior parte delle applicazioni per asportazione
di truciolo.

15.2.3 Carburi sinterizzati, cermet e carburi rivestiti


I cermet sono definiti come composti di materiali ceramici e metallici (Paragrafo
2.4.2). Tecnicamente parlando, anche i carburi sinterizzati sono inclusi in questa de-
finizione anche se i cermet composti da WC-Co, compreso il WC-TiC-TaC-Co, sono
noti come carburi (carburi sinterizzati) nel linguaggio comune. Nella terminologia degli
utensili da taglio, il termine cermet viene utilizzato per parlare dei compositi ceramica-
metallo contenenti TiC, TiN e altre ceramiche, escluse quelle WC. Uno dei progressi nei
materiali per gli utensili da taglio è stato l’applicazione di un rivestimento molto sottile
su un substrato di WC-Co. Questi utensili sono comunemente chiamati carburi rivestiti.
Si hanno quindi tre principali materiali per utensili che sono strettamente correlati tra
loro: (1) i carburi sinterizzati, (2) i cermet, e (3) i carburi rivestiti.

Carburi sinterizzati  I carburi sinterizzati sono una classe di materiali per utensili
dall’elevata durezza costituiti da carburo di tungsteno (WC), utilizzando tecniche di
metallurgia delle polveri, con del cobalto (Co) come elemento legante. Nella miscela
ci possono essere anche altri composti di carburo, come carburo di titanio (TiC) e/o il
carburo di tantalio (TaC).
I primi utensili di carburo sinterizzato furono fatti in WC-Co ed erano usati per
lavorare le ghise e altri materiali metallici non particolarmente difficili da lavorare
con velocità di taglio più elevate rispetto a quelle ottenibili con l’acciaio rapido e le
leghe al cobalto. Tuttavia, quando questi utensili WC-Co venivano usati per taglia-
re l’acciaio, si manifestava una craterizzazione che in poco tempo portava a rottura
l’utensile. Infatti l’affinità chimica che esiste tra l’acciaio e il carbonio in WC causa
una rapida usura per reazione chimica sulla superficie di contatto tra l’utensile e il
truciolo. Di conseguenza, gli utensili WC-Co non potevano essere utilizzati efficace-
mente per lavorare l’acciaio. Si è poi scoperto che l’aggiunta di carburo di titanio e di
carburo di tantalio (in aggiunta al WC-Co) ritardava significativamente il tasso usura
(formazione cratere) durante il taglio dell’acciaio. Questi nuovi utensili WC-TiC-TaC-
Co erano adatti alla lavorazione dell’acciaio. I carburi sinterizzati si dividono in due
gruppi fondamentali: (1) quelli per il taglio dei materiali metallici facilmente lavora-
bili, costituiti solo da WC-Co, e (2) quelli per il taglio degli acciai, che contengono
combinazioni di TiC e TaC, in aggiunta al WC-Co.
Le proprietà generali dei due tipi di carburi sinterizzati sono simili: (1) alta resisten-
za alla compressione, ma da bassa a moderata resistenza alla trazione, (2) elevata durez-
za (90-95 HRA), (3) buona durezza a caldo, (4) buona resistenza all’usura, (5) elevata
conducibilità termica, (6) elevato coefficiente elastico, con valori di E fino a circa 600 x
103 MPa e (7) durezza inferiore a quella dell’acciaio rapido.
406 Tecnologia meccanica

Qualità dei materiali per utensili per la lavorazione di materiali metallici fa-
cili da processare: si riferiscono a quei carburi sinterizzati che sono adatti per la
lavorazione di alluminio, ottone, rame, magnesio, titanio e altri metalli non ferrosi.
Stranamente anche la ghisa grigia viene inclusa in questo gruppo di materiali. In
questa categoria di materiali per utensili, la dimensione dei grani e la percentuale di
cobalto sono i fattori che influenzano le proprietà del carburo sisnterizzato. La gra-
nulometria tipicamente riscontrabile nei carburi sinterizzati è tra gli 0.5 e i 5 µm.
Con l’aumentare della granulometria, la durezza e la durezza a caldo diminuiscono
e la forza di rottura trasversale aumenta. Il contenuto tipico di cobalto nei carburi
sinterizzati utilizzati per gli utensili da taglio va dal 3% al 12%. All’aumentare del
contenuto di cobalto, il carico di rottura trasversale (TRS) aumenta a scapito della
durezza e della resistenza all’usura. I carburi sinterizzati caratterizzati da basse
percentuali di cobalto (dal 3% al 6%) hanno elevata durezza e TRS bassi, mentre
carburi ad alto contenuto di cobalto (dal 6% al 12%) hanno TRS alti ma durezze più
basse (Tabella 15.1). Pertanto, i carburi sinterizzati con più cobalto sono utilizzati
per operazioni di sgrossatura e taglio interrotto (come la fresatura), mentre i carburi
con meno cobalto (quindi, più duri e più resistenti all’usura) sono utilizzati per i
tagli di finitura.
Qualità dei materiali utensili per la lavorazione di acciai: sono utilizzati per gli
acciai a basso contenuto di carbonio, gli acciai inossidabili e altre leghe di acciaio. Per
queste tipologie di carburi, il carburo di titanio e/o di tantalio sostituiscono una parte
del carburo di tungsteno. TiC è l’additivo più comune nella maggior parte delle appli-
cazioni. Di solito dal 10% al 25% di WC può essere sostituito da combinazioni di TiC e
TaC. Questa composizione aumenta la resistenza alla formazione del cratere ma tende a
influire negativamente sulla resistenza all’usura sul fianco quando si lavorano materiali
metallici “facili da lavorare”. È per questa ragione che è necessario disporre di due ca-
tegorie distinte di carburi sinterizzati.
Uno degli sviluppi più importanti degli ultimi anni della tecnologia di produzio-
ne dei carburi sinterizzati è la possibilità di usare granulometrie molto fini (dimen-
sioni inferiori al micron) dei vari elementi di metallo duro (WC, TiC, e TaC). Anche
se le granulometria piccole di solito sono associate a una durezza maggiore e a un
carico di rottura trasversale minore, la diminuzione del TRS si riduce o addirittura
si elimina in caso di dimensioni delle particelle inferiori al micron. Pertanto, questi
carburi a grana ultrafine riescono a combinare un’elevata durezza ad una buona
tenacità.

TABELLA 15.5  Il sistema di classificazione ANSI, carburi sinterizzati qualità C.

Applicazione qualità materiali per lavora- qualità materiali per lavorazione Cobalto e Proprietà
zione materiali metallici acciai
Sgrossatura C1 C5 Contenuto di cobalto alto e
tenacità massima
Uso generale C2 C6 Contenuto di cobalto da
medio ad alto
Finitura C3 C7 Contenuto di cobalto medio
Finitura di precisione C4 C8 Contenuto di cobalto basso e
durezza massima
Materiali lavorato Alluminio, ottone, Ti,ghisa Acciaio al carbonio e leghe di
acciaio
Elementi tipici WC-Co WC–TiC–TaC–Co
Fonte [12].
Utensili da taglio 407

Poiché le due tipologie di carburo sinterizzato sono state introdotte nel 1920
e 1930, il crescente numero e la crescente varietà di materiali industriali hanno
complicato la scelta del carburo più appropriato per una specifica applicazione. Per
risolvere questo problema sono stati sviluppati due sistemi di classificazione: (1)
il sistema qualità C dell’ANSI (American National Standards Institute), sviluppa-
to negli Stati Uniti attorno al 1942 e (2) il sistema ISO R513-1975(E), introdotto
dall’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO) attorno al 1964.
Nel sistema qualità C, riassunto in Tabella 15.5, le qualità del carburo sinterizzato
sono da dividersi in due gruppi, corrispondenti alle categorie di taglio degli acciai
e dei materiali metallici che non siano acciai. All’interno di ogni gruppo ci sono
quattro livelli, corrispondenti alle operazioni di sgrossatura, uso generale, finitura
e finitura di precisione.
Il sistema R513-1975 ISO(E), intitolato “Applicazione dei Carburi alle Lavora-
zioni di Asportazione di Truciolo”, classifica la qualità dei carburi sinterizzati in
tre gruppi principali, ognuno con una sua lettera e un suo colore, come riportato in
Tabella 15.6. All’interno di ciascun gruppo, le qualità sono numerate su una scala
che va dalla durezza massima alla resistenza massima. La qualità che evidenzia
una durezza più elevata viene utilizzata per le operazioni di finitura (alte velocità,
piccoli avanzamenti e piccole profondità), mentre le qualità che esibiscono maggior
tenacità vengono utilizzate per le operazioni di sgrossatura. Il sistema di classifi-
cazione ISO può anche essere usato per scegliere le applicazioni dei cermet e dei
carburi rivestiti.

Cermet Anche se i carburi sinterizzati sono tecnicamente dei compositi cermet, il


termine cermet di solito si usa solo per le combinazioni di TiC, TiN e carbonitruro
di titanio (TiCN), con nichel e/o molibdeno come leganti. Alcune composizioni
chimiche dei cermet sono più complesse (ad esempio le ceramiche come Ta x Nby C
e i leganti come Mo2C), ma comunque non considerano mai i composti metallici
che sono principalmente basati su WC-Co. Le applicazioni dei cermet includono
la finitura ad alta velocità e la semifinitura di acciai, acciai inossidabili e ghise. Di
solito questi utensili possono raggiungere delle velocità più alte rispetto alle qualità
di carburi per il taglio degli acciai. Essi usano degli avanzamenti inferiori in modo
da ottenere una migliore finitura superficiale, eliminando spesso la necessità di una
rettifica successiva.

TABELLA 15.6  Sistema R513-1975 ISO(E) “Applicazione dei Carburi nelle Lavorazioni di Asportazione di Truciolo”.

Gruppo Tipo di carburo Materiali lavorati Numerazione (Cobalto e Proprietà)


P (blu) WC–TiC–TaC–Co alto legato Acciaio, colate in acciaio, ghise dut- Da P01 (basso contenuto di cobalto e du-
tili (metalli ferrosi a truciolo lungo) rezza massima)
a
M (giallo) leghe di WC–TiC–TaC–Co Acciaio facilmente lavorabile, ghisa P50 (alto contenuto di cobalto e tenacità
grigia, acciaio inossidabile auste- massima), da M10 (basso contenuto di
nitico, superleghe cobalto e durezza massima)
a
K (rosso) Solo WC-Co Metalli e leghe non ferrosi, ghise gri- M40 (alto contenuto di cobalto e tenacità
gie (metalli ferrosi con trucioli cor- massima), da K01 (basso contenuto di
ti), non metalli cobalto e durezza massima)
a
K40 (alto contenuto di cobalto e tenacità
massima)
Fonte [12].
408 Tecnologia meccanica

Carburi rivestiti  Lo sviluppo dei carburi rivestiti a partire dal 1970 ha rappresentato
un significativo passo avanti nella tecnologia degli utensili da taglio. I carburi rivestiti
sono ottenuti rivestendo un inserto di carburo sinterizzato con uno o più strati sottili di
materiale resistente all’usura, come il carburo di titanio, il nitruro di titanio o l’ossido
di alluminio (Al2O3). Il rivestimento viene applicato al substrato mediante deposizione
chimica a vapore o deposizione fisica a vapore. Lo spessore del rivestimento va dai 2.5
ai 13 µm, perché si è notato che strati più spessi tendono ad essere più fragili, con con-
seguente possibile rottura, scheggiatura o separazione dal substrato.
La prima generazione di carburi rivestiti possedeva un singolo strato di rivesti-
mento (TiC, TiN, o Al2O3). Più recentemente, sono stati sviluppati degli inserti che
possiedono strati multipli. Il primo strato applicato alla base WC Co di solito è il TiN
o il TiCN a causa delle buone proprietà di aderenza e il loro coefficiente di espansione
termica simile a quello del substrato. Successivamente si applicano altri strati di TiN,
TiCN, Al2O3 e TiAlN.
I carburi rivestiti sono utilizzati per lavorare le ghise e gli acciai nella tornitura e
nella fresatura. Sono i materiali migliori da usare ad elevate velocità di taglio in situa-
zioni in cui la forza dinamica e gli shock termici sono minimi. Se queste condizioni di-
ventano più consistenti, come in alcune operazioni di taglio interrotto, si possono causa-
re dei distaccamenti del rivestimento, con conseguente guasto prematuro dell’utensile.
In queste condizioni è meglio usare i carburi non rivestiti che esibiscono una migliore
tenacità. Se usati nelle condizioni giuste, gli utensili in carburi rivestiti consentono un
notevole aumento della velocità di taglio rispetto ai carburi non rivestiti.
L’uso di utensili in carburo rivestito si è esteso anche alle applicazioni che prevedo-
no la lavorazione di metalli non ferrosi e di materiali non metallici data la loro miglior
resistenza all’usura e dalla possibilità di adottare velocità di taglio più elevate. In questi
casi vengono usati altri materiali di rivestimento come il carburo di cromo (CrC), il
nitruro di zirconio (ZrN) e il diamante [15].

15.2.4 Utensili ceramici


Gli utensili da taglio di ceramica furono introdotti negli Stati Uniti a metà degli anni Cin-
quanta, anche se il loro uso in Europa risale ai primi del Novecento. Gli utensili da taglio
in ceramica oggi sono composti principalmente da ossido di alluminio (Al2O3) a grana
fine sinterizzato in inserti a pressioni e temperature elevate senza l’ausilio di legante. L’os-
sido di alluminio di solito è molto puro (tipicamente al 99%), sebbene alcuni produttori ag-
giungano altri ossidi (per esempio l’ossido di zirconio) ma comunque in piccole quantità.
Nella produzione di utensili in ceramica è importante utilizzare una granulometria molto
fine della polvere di allumina e massimizzare la densità della miscela attraverso un’alta
pressione di compattazione per migliorare la tenacità altrimenti molto bassa.
Gli utensili in ossido di alluminio sono molto usati nella tornitura ad alta velocità della
ghisa e dell’acciaio. Le loro applicazioni includono anche la tornitura di finitura di acciai
temprati ad elevate velocità di taglio, piccoli avanzamenti, basse profondità e macchine
utensili rigide. Fratture premature degli utensili di ceramica di solito sono causate da mac-
chine utensili non sufficientemente rigide, che sottopongono gli utensili a vibrazioni e urti
meccanici. Se usati correttamente, gli utensili da taglio in ceramica possono permettere di
ottenere una finitura superficiale molto buona. Invece è meglio non usarli per operazioni pe-
santi di taglio interrotto (come la fresatura di sgrossatura) a causa della loro scarsa tenacità.
Oltre a essere usato come inserto nelle operazioni di lavorazione tradizionali, l’ossido di al-
luminio è anche molto usato come abrasivo nelle mole da rettifica e in altri processi abrasivi.
Altri materiali per utensili da taglio in ceramica disponibili in commercio sono il
nitruro di silicio (SiN), il sialon (nitruro di silicio e ossido di alluminio, SiN- Al2O3),
Utensili da taglio 409

l’ossido di alluminio e carburo di titanio (TiC-Al2O3) e l’ossido di alluminio rinforzato


con cristalli di carburo di silicio. Questi utensili di solito sono destinati ad applicazioni
speciali, la cui discussione non rientra negli scopi di questo capitolo.

15.2.5 Diamanti sintetici e nitruro di boro cubico


Il diamante è il materiale più duro conosciuto, da tre a quattro volte più duro del carburo
di tungsteno o dell’ossido di alluminio a seconda della misura di durezza utilizzata. Poi-
ché l’elevata durezza è una delle proprietà necessarie a un utensile di taglio, è naturale
pensare di usare i diamanti per le lavorazioni meccaniche e di rettifica. Gli utensili da
taglio in diamanti sintetici sono realizzati in diamante policristallino sinterizzato (sin-
tered polycrystalline diamond, SPD), la cui introduzione risale ai primi anni Settanta.
Il diamante policristallino sinterizzato è fabbricato sinterizzando dei grani fini di
cristalli di diamante a temperature e pressioni elevate nella forma desiderata, senza o
quasi usare leganti. I cristalli hanno un orientamento casuale e questo migliora la resi-
stenza degli utensili SPD rispetto ai diamanti a cristallo singolo. Gli inserti sull’utensile
di solito si realizzano depositando uno strato di SPD di circa 0.5 mm sulla superficie di
un carburo sinterizzato. Inserti molto piccoli si possono anche fare interamente in SPD.
Le applicazioni degli utensili da taglio diamantati includono le lavorazioni ad alta
velocità di metalli non ferrosi e non metallici particolarmente abrasivi come ad esempio
la fibra di vetro, la grafite e il legno. Invece non vanno bene per l’acciaio e altri metalli
ferrosi o leghe a base di nichel a causa della affinità chimica che esiste tra questi metalli
e il carbonio (visto che un diamante, in pratica, è carbonio).
Dopo il diamante, il materiale più duro è il nitruro di boro cubico, che si usa per gli
inserti degli utensili usando la stessa procedura del diamante SPD, cioè mediante rivesti-
mento di WC-Co. Il nitruro di boro cubico (il cui simbolo è cBN) non reagisce chimica-
mente con il ferro e nichel come l’SPD, quindi tra le applicazioni previste per gli utensili
cBN vi sono anche le lavorazioni dell’acciaio e delle leghe a base di nichel. Sia l’SPD che
il cBN sono materiali molto costosi, come ci si può aspettare, quindi le applicazioni che ne
fanno uso devono effettivamente giustificare il costo elevato degli utensili.

15.3 Geometria degli utensili

Un utensile da taglio deve avere una forma adatta a rimuovere il materiale e perciò ad
effettuare la lavorazione. Gli utensili da taglio possono essere classificati in base al
processo per cui vengono usati. Ci sono quindi gli utensili da tornitura, le frese, le punte
per forare, gli alesatori, i maschi e molte altre tipologie che prendono il nome dall’opera-
zione in cui sono utilizzati, ciascuno con la propria forma, a volte creata appositamente.
Come indicato nel Paragrafo 15.1, gli utensili da taglio si possono dividere in utensili a
punta singola e utensili a taglienti multipli (o a più denti). Gli utensili a punta singola sono
utilizzati nella tornitura, nella barenatura, nella limatura e nella piallatura. Gli utensili a
taglienti multipli sono utilizzati nella foratura, l’alesatura, la maschiatura, la fresatura, la
brocciatura e la segatura. Molti dei principi che si applicano agli utensili a punta singola si
applicano anche agli utensili dell’altra tipologia, semplicemente perché il meccanismo di
formazione del truciolo è fondamentalmente lo stesso per tutte le lavorazioni.

15.3.1 Forma degli utensili a punta singola


La tipica geometria di un utensile a punta singola è illustrata in Figura 15.6 che mostra uno sche-
ma più dettagliato con piano di riferimento (Figura 15.6 a) e viste (Figura 15.6 b). I due taglienti
410 Tecnologia meccanica

(tagliente principale e tagliente secondario) convergono definendo la punta utensile caratterizza-


ta da un determinato raggio di raccordo, detto raggio di punta rε. L’angolo della punta dell’uten-
sile εr definisce l’orientamento angolare relativo dei due taglienti. L’orientamento del petto in
un utensile a punta singola è descritto da due angoli, che possono essere definiti sezionando con
un piano ortogonale sia il tagliente principale che il tagliente secondario. Se si fa riferimento alla

Direzione di taglio

Direzione di avanzamento Pr piano di riferimento


(esempio: tornitura
longitudinale)

Tagliente principale Tagliente secondario

Fianco principale
Petto

Fianco secondario

O-O

Vista S

Fi gur a 15 . 6 Ango-
li dell’utensile secondo
nomenclatura italiana
UNI-ISO 3002-1. La vista
principale è effettuata nel
piano di riferimento Pr.
Utensili da taglio 411

sezione del tagliente principale (sezione O-O), l’angolo di spoglia superiore ortogonale γ0 può
essere definito. L’inclinazione del petto dell’utensile influenza la direzione del flusso del trucio-
lo. Come già anticipato in 13.2.1, nel modello del processo di taglio ortogonale, l’angolo spoglia
dell’utensile è da considerarsi un parametro fondamentale per il meccanismo di formazione
del truciolo. L’inclinazione del tagliente primario λs può essere definito nella Vista S. In modo
del tutto analogo a quanto fatto per il petto anche l’orientamento del fianco del tagliente prin-
cipale e del tagliente secondario sono definiti nelle sezioni appena descritte attraverso l’angolo
di spoglia inferiore ortogonale α0 e l’angolo di spoglia inferiore secondario α'0. Questi angoli
determinano la distanza tra il fianco dell’utensile e la superficie appena tagliata. L’angolo β0 (an-
golo di penetrazione del cuneo normale, definito nella sezione O-O perpendicolare al tagliente
principale) determina la robustezza dell’utensile. L’angolo di direzione complementare del ta-
gliente ψr può essere scelto positivo per ridurre la forza d’urto a cui viene sottoposto l’utensile
quando entra a contatto con il pezzo. Il raggio di punta rε determina in larga misura la struttura
della superficie generata nell’operazione. Un utensile molto appuntito (raggio di punta piccolo)
determinerà inevitabilmente dei segni legati all’avanzamento molto pronunciati sulla superficie
lavorata. L’angolo di direzione del tagliente secondario κ'r determina la distanza tra il tagliente
secondario e la superficie del pezzo appena generata limitando l’attrito tra utensile e pezzo in
lavoro. Dettagli maggiori sulla nomenclatura degli angoli possono essere approfonditi nella
norma UNI ISO 3002-1. Si ricorda che la nomenclatura riportata in Fig. 15.6a secondo la norma
appena citata, fa riferimento al sistema di riferimento “utensile in mano” utile alla definizione
della geometria dell’utensile sia in fase di sua fabbricazione sia in fase di misurazione. In modo
del tutto equivalente, esiste un secondo sistema (sistema dell’utensile in lavoro) necessario per
specificare la geometria dell’utensile quando esso svolge un’operazione di taglio.

Effetto del materiale dell’utensile sulla sua forma Nella discussione dell’equa-
zione di Merchant (Paragrafo 13.3), si era notato che un angolo di spoglia positivo è
preferibile perché riduce le forze di taglio, la temperatura e il consumo energetico. Gli
utensili in acciaio rapido di solito hanno angoli di spoglia positivi, in genere compresi
tra +5° e +20°. Gli utensili HSS hanno una buona resistenza e tenacità, quindi il fatto di
avere una sezione trasversale più sottile a causa degli angoli postivi più elevati non cau-
sa problemi di guasti per frattura all’utensile. Gli utensili HSS di solito sono realizzati
in un unico pezzo. Il trattamento termico dell’acciaio rapido può essere controllato per
creare un tagliente duro e mantenere un nucleo interno tenace.
Con lo sviluppo dei materiali per utensili molto duri (ad esempio i carburi sinterizzati
e le ceramiche), si sono resi necessari dei cambiamenti nella forma degli utensili. Questi
materiali hanno una durezza maggiore e una tenacità inferiore rispetto agli HSS. Inoltre,
la loro resistenza al taglio e alla trazione sono basse in confronto alla loro resistenza alla

Rompitruciolo
(elemento
separato)

Utensile Figura 15.7  Due tipi di


Utensile
Rompitruciolo da taglio rompitrucioli per utensili
da taglio
Distanza del a singola punta: (a) gola
rompitruciolo e (b) piastrina rompitru-
Raggio ciolo. (Fonte: Fundamen-
dell’incavo tals of Modern Manu-
Distanza del
Tagliente rompitruciolo facturing, 4th Edition by
Tagliente Altezza del Mikell P. Groover, 2010.
rompitruciolo Ristampato con il per-
Profondità della gola
messo di John Wiley &
Sons, Inc.)
412 Tecnologia meccanica

compressione e le loro proprietà non possono essere modificate attraverso dei trattamenti
termici come gli HSS. Infine, il costo per unità di peso di questi materiali molto duri è su-
periore al costo degli HSS. Questi fattori hanno perciò influenzato la progettazione della
geometria degli utensili realizzati in queste tipologie di materiali in diversi modi.
Primo, i materiali molto duri devono essere progettati con un’inclinazione poco
negativa o leggermente positiva. Questa variazione fa sì che l’utensile sia sottoposto a
forze di compressione anziché di taglio, mettendo in luce così la resistenza alla com-
pressione di questi materiali. I carburi sinterizzati per esempio, sono usati con angoli
tipicamente nell’intervallo da –5° a +10°. Le ceramiche hanno angoli di spoglia tra –5° e
–15°. Gli angoli di spoglia inferiori devono essere i più piccoli possibili (tipicamente 5°)
per dare il maggior supporto possibile al tagliente (utensile più robusto).
Un’altra differenza è il modo in cui il tagliente dell’utensile viene fissato. Metodi di fis-
saggio alternativi sono illustrati in Figura 15.8. La forma degli utensili HSS è quella di uno
stelo integrale, come illustrato nell’immagine (a) della figura. Il costo elevato e le differenze
di proprietà e di lavorazione dei materiali più duri hanno reso necessario l’utilizzo di inserti
che sono saldo-brasati o inseriti meccanicamente su uno stelo portautensili. L’immagine (b)
mostra un inserto saldato, in cui un inserto in carburo sinterizzato viene brasato su uno stelo.
Lo stelo è in acciaio per utensili per le sue caratteristiche di resistenza e tenacità. L’imma-
gine (c) illustra una possibile configurazione per fissare meccanicamente un inserto in un
portautensile. Il bloccaggio meccanico viene utilizzato per i carburi sinterizzati, le cerami-
che e altri materiali duri. Il vantaggio significativo del bloccaggio è che permette di sfruttare
agevolmente i diversi taglienti presenti sullo stesso inserto. Quando un tagliente si consuma,
l’inserto viene sbloccato, indicizzato (ruotato nel portautensile) sul lato successivo e ribloc-
cato nel portautensile. Quando tutti i taglienti sono usurati, l’inserto viene tolto e sostituito.

Inserti  Gli inserti degli utensili da taglio vengono molto usati nella lavorazione perché sono
economici e adattabili a molti tipi di operazioni diverse come la tornitura, la barenatura, la
filettatura, la fresatura e anche la foratura. Esistono una varietà di forme e dimensioni degli
inserti dovute alla varietà di applicazioni possibili. In Figura 15.8(c) è mostrato un inserto
quadrato. Le altre forme più comuni utilizzate nelle operazioni di tornitura sono riportate in
Figura 15.9. In generale, si dovrebbero scegliere degli angoli di punta più grandi per avere più
resistenza e costi minori. Gli inserti rotondi hanno degli angoli di punta di grandi dimensioni
(e grandi raggi di punta) solo per la loro forma. Gli inserti con angoli di punta di grandi di-
mensioni sono intrinsecamente più robusti e hanno meno probabilità di rompersi durante il
taglio, ma richiedono una potenza di taglio più elevata e hanno una maggiore probabilità di

Stelo solido
dell’utensile Stelo porta inserti

Inserto brasa- Staffa Inserto a


to sullo stelo placchetta
dell’utensile
Supporto inserto
Utensile solido Inserto saldo-brasato Inserto fissato meccanicamente
Figura 15.8  Tre modi per bloccare e usare il bordo tagliente di un utensile a punta singola: (a) utensile solido, tipico degli HSS,
(b) inserto brasatp, uno dei modi per avere un inserto di carburo sinterizzato, e (c) un inserto bloccato meccanicamente, usato
per i carburi cementati, le ceramiche e altri materiali per utensili molto duri. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Utensili da taglio 413

D E F G H I J

Robustezza, richiesta potenza, tendenza alle vibrazioni


6WUHQJWKSRZHUUHTXLUHPHQWVYLEUDWLRQWHQGHQF\

Versatilità e facilità accesso


9HUVDWLOLW\DQGDFFHVVLELOLW\

Figura 15.9  Alcune forme comuni di inserti: (a) rotondo, (b) quadrato, (c) a rombo con due angoli di punta a 80°, (d) esagonale
con tre angoli di punta a 80° (e) a triangolo (equilatero), (f) a rombo con due angoli di punta a 55°, (g) a rombo con due angoli
di punta a 35°. Vengono anche mostrate le caratteristiche tipiche delle forme. La forza, la richiesta di potenza e la tendenza
all’aumento delle vibrazioni aumentano andando da destra a sinistra, mentre la versatilità e l’accessibilità tendono a migliorare
nelle forme più a destra. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato
con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

dare origini a vibrazioni. Il vantaggio economico degli inserti rotondi è che possono essere
indicizzati più volte per più tagli per inserto. Gli inserti quadrati presentano quattro taglienti,
quelli triangolari tre, e i rombi due. Avere meno bordi rappresenta uno svantaggio per il costo.
Se entrambi i lati dell’inserto possono essere utilizzati (ad esempio come nella maggior parte
delle applicazioni con angolo di spoglia negativo), il numero dei taglienti a disposizione è dop-
pio. Gli inserti a forma di rombo vengono utilizzati (specialmente con angoli di punta acuti)
per la loro versatilità quando si devono effettuare alcune operazioni. Queste geometrie posso-
no essere più facilmente utilizzate in spazi ristretti e possono essere adottate non solo per la
tornitura, ma anche per la spianatura, Figura 14.6 (a), e la tornitura di profili, Figura 16.6 (c).

15.3.2 Utensili a taglienti multipli


La maggior parte degli utensili a taglienti multipli sono utilizzati in operazioni di lavo-
razione in cui l’utensile viene ruotato. In questa sezione vengono descritti gli utensili da
taglio standard per la foratura e la fresatura.

Punte a forare  Esistono vari utensili per fare fori ma quello più comune è di sicuro la
punta elicoidale per foratura. Il suo diametro va da circa 0.15 mm a 75 mm. Le punte
elicoidali sono molto usate nell’industria per produrre fori velocemente e a basso costo.
La forma standard della punta elicoidale è mostrata in Figura 15.10. Il corpo dell’uten-
sile ha due scanalature a spirale (da cui deriva il nome di trapano elicoidale). L’angolo
delle scanalature a spirale è chiamato angolo d’elica e di solito è di 30°. Durante la foratu-
ra, le scanalature agiscono come passaggi per l’estrazione dei trucioli dal foro. Anche se è
utile che le aperture delle scanalature siano ampie per dare uno spazio maggiore ai trucio-
li, il corpo della punta deve essere sostenuta per tutta la sua lunghezza. Questo supporto è
fornito dal nocciolo, che è la dimensione della punta tra le scanalature.
La parte finale della punta elicoidale ha una forma conica, con un angolo di punta
tipicamente attorno ai 118°. La punta può essere configurata in vari modi, ma quello più
comune è il tagliente trasversale, come illustrato in Figura 15.10. Collegati al tagliente
trasversale ci sono altri due taglienti (a volte chiamati labbra) che favoriscono l’espulsio-
414 Tecnologia meccanica

Spoglia
Collo Tagliente
Angolo di punta Tagliente trasversale
Scanalatura
Codolo conico Angolo elicoidale
d’elica
Spessoro
Diametro punta
nocciolo

Lunghezza Corpo della punta Spigoli di guida


del codolo
Vista laterale Vista frontale

Figura 15.10  Forma standard di una punta elicoidale per forature. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

ne del truciolo attraverso le scanalature. La porzione di ciascuna scanalatura adiacente


al tagliente agisce come la spoglia dell’utensile.
L’azione di taglio della punta elicoidale è complessa. La rotazione e l’alimentazione della
punta causano un moto relativo tra i taglienti e il pezzo che forma il truciolo. La velocità di
taglio lungo i taglienti varia in funzione della distanza dall’asse di rotazione. Di conseguen-
za, varia anche l’efficacia del taglio, perché è più efficiente sul diametro esterno della punta
e meno al centro. Siccome la velocità relativa nel punto centrale della punta è zero, lì non si
verificherebbe nessun taglio. Invece, il tagliente trasversale della punta incrudisce il materiale
man mano che la punta penetra nel foro, azione che richiede una grande forza di spinta. Inol-
tre, all’inizio dell’operazione, il tagliente trasversale rotante tende a spostarsi sulla superficie
del pezzo prima di iniziare il foro, causando una perdita di precisione nel posizionamento. Per
risolvere questo problema sono state ideate varie alternative a questo tipo di punta.
In foratura l’asportazione del truciolo può rappresentare un problema. L’azione di taglio
avviene all’interno del foro e le scanalature devono fornire uno spazio sufficiente per tutta
la lunghezza della punta per consentire ai trucioli di fuoriuscire dal foro. Appena il truciolo
si forma viene forzato a scorrere attraverso le scanalature verso la superficie del pezzo.
L’attrito ostacola l’evacuazione in due modi, perché in aggiunta al normale attrito che si
verifica nelle operazioni di taglio tra il truciolo e la faccia inclinata del tagliente, c’è anche
un attrito risultante dallo sfregamento tra la superficie esterna della punta e il foro appena
formato. Questo aumenta la temperatura della punta e del pezzo. Risulta difficile erogare
del fluido di taglio per ridurre l’attrito durante la foratura e la generazione di calore perché
ci sono i trucioli che scorrono nella direzione opposta. A causa del moto dei trucioli e della
fonte produzione di calore, una punta elicoidale di solito si limita ad eseguire fori profondi
circa quattro volte il suo diametro. Esistono delle punte elicoidali che contengono dei fori
interni lungo la lunghezza attraverso cui si può immettere del fluido vicino alla zona in cui
il materiale viene rimosso, direttamente nella zona di taglio. Un approccio alternativo per
le punte elicoidali che non hanno fori interni è quello di usare una procedura di “beccata”
durante l’operazione di foratura. Con questa metodologia, la punta viene periodicamente
estratta dal foro per rimuovere i trucioli prima di procedere nella discesa.
Le punte elicoidali di solito sono realizzate in acciaio rapido. La forma della punta è realiz-
zata prima del trattamento termico la parte esterna (i taglienti e le superfici di scorrimento) vie-
ne temprata, pur mantenendo un nucleo interno relativamente tenace. L’affilatura dei taglienti e
la realizzazione della geometria della punta vengono effettuate attraverso processo di rettifica.
Informazioni più approfondite sugli utensili usati per fare operazioni di foratura (sia
punte elicoidali che altri tipi) possono essere trovate nei riferimenti bibliografici [3] e [12].

Frese  La classificazione delle frese è molto legata alla classificazione delle opera-
zioni di fresatura descritte nel Paragrafo 14.4. I principali tipi di frese sono le seguenti:
Utensili da taglio 415

• Frese per fresatura piana. Questi utensili sono usati per le fresature periferiche
o di spianatura. Come indicano le Figure 16.17 (a) e 16.18 (a), hanno una forma
cilindrica con diverse file di denti. I taglienti di solito sono orientati come un an-
golo d’elica (come mostrato nelle figure) per ridurre l’impatto sul pezzo all’inizio
dell’operazione e queste frese sono chiamate frese elicoidali. Gli elementi caratte-
rizzanti la forma di una fresa elicoidale sono mostrati in Figura 15.11.
• Frese di forma. Queste sono frese periferiche in cui i taglienti hanno un profilo
speciale che deve essere poi ottenuto sul pezzo. Esistono ad esempio utensili di
forma per la realizzazione di ingranaggi: la fresa è sagomata per rimuovere il ma-
teriale tra i denti adiacenti, lasciando la tipica forma dei denti degli ingranaggi.
• Frese per fresatura frontale. Queste frese sono progettate con denti che tagliano sia sulla
superficie periferica che sul fondo della fresa. Le frese per fresatura frontale possono esse-
re fatte in acciaio HSS, come quella in Figura 16.17 (b), oppure possono montare inserti in
carburo. La Figura 15.12 mostra una fresa a quattro denti che utilizza gli inserti in carburo.
• Frese per fresatura interna. Come mostrato in Figura 16.20 (c), una fresa interna
è fatta come una punta a forare, ma analizzandola più attentamente si osserva che
l’utensile esegue il taglio con i suoi taglienti periferici e non con la sua estremità (la
punta a forare effettua un taglio solo sull’estremità mentre penetra nel pezzo). Que-

Tagliente
Diametro
fresa
Raccordo alla base del dente

Figura 15.11 Elementi
Angolo spoglia caratterizzanti la forma
radiale Angolo scarico di una fresa elicoidale
a 18 denti. (Fonte: Fun-
damentals of M odern
Manufacturing, 4th Edi-
Angolo spoglia inferiore tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Angolo spoglia radiale

Inserto
Diametro utensile

Angolo registrazione
Scanalatura o angolo di comple-
per il
mentare direzione
truciolo
del tagliente in lavoro
Tagliente inserto

Sottoplacchetta

Angolo spoglia assiale

Figura 15.12  Elementi caratterizzanti la forma di una fresa frontale a 4 denti: (a) vista laterale e (b) vista posteriore. (Fonte: Funda-
mentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
416 Tecnologia meccanica

ste frese possono avere estremità quadrate, arrotondate o semisferiche. Vengono


usate per la fresatura frontale, la fresatura di profili e di tasche, il taglio di fessure,
l’incisione, la contornatura e la fresatura di matrici.

15.4  Fluidi da taglio

Un fluido di taglio è un qualsiasi liquido o gas applicato durante l’operazione di lavora-


zione per migliorare le prestazioni del taglio. I fluidi da taglio sono usati per gestire due
problemi principali: (1) la generazione di calore in corrispondenza della zona di taglio e
della zona di attrito e (2) l’attrito generato a causa del contatto tra l’utensile e il truciolo e
tra il truciolo e il pezzo in lavorazione. Oltre a rimuovere il calore e ridurre gli attriti, i flui-
di da taglio apportano dei vantaggi aggiuntivi, come aiutare a rimuovere il truciolo dalla
zona di lavoro (molto utile soprattutto in fresatura e rettifica), ridurre la temperatura del
pezzo per facilitarne la movimentazione, ridurre le forze di taglio e la potenza necessaria
alla lavorazione, migliorare la stabilità dimensionale del pezzo e la finitura superficiale.

15.4.1 Tipi di fluidi da taglio


Esistono diversi tipi di fluidi da taglio disponibili in commercio. È meglio classificarli
prima in base alla loro funzione e poi secondo la loro formulazione chimica.

Funzioni dei fluidi da taglio  Ci sono due categorie principali di fluidi da taglio, asso-
ciate sostanzialmente ai principali obiettivi dei fluidi da taglio: refrigeranti e lubrificanti.
I refrigeranti sono fluidi da taglio che servono a ridurre gli effetti del calore durante
la lavorazione. Hanno un effetto limitato sulla quantità di energia termica generata nel
taglio, ma servono a disperdere il calore che viene generato, riducendo così la tempera-
tura dell’utensile e del pezzo. Questo aiuta a prolungare la vita dell’utensile da taglio. La
capacità di un fluido da taglio di ridurre le temperature di lavorazione dipende dalle sue
proprietà termiche, in particolare il calore specifico e la conducibilità termica. L’acqua ha
un calore specifico e una conducibilità termica alta rispetto ad altri liquidi, motivo per cui
è usata come base nei fluidi refrigeranti. Queste proprietà consentono la dissipazione del
calore dell’operazione, riducendo così la temperatura del taglio.
Sembra che i fluidi refrigeranti siano più efficaci a velocità di taglio relativamente
elevate in cui la generazione di calore e l’innalzamento delle temperature costituisco-
no un problema. Sono più efficaci sui materiali per utensili che sono più suscettibili a
guasti dovuti a temperature elevate, come gli acciai rapidi e sono utilizzati spesso in
tornitura e in fresatura, operazioni che generano grandi quantità di calore.
I lubrificanti di solito sono fluidi a base di olio (perché l’olio possiede buone quali-
tà lubrificanti) usati per ridurre l’attrito sulla superficie di contatto utensile-truciolo e tru-
ciolo-pezzo. I fluidi da taglio lubrificanti usano una lubrificazione ad alta pressione, una
tipologia di lubrificazione che comporta la formazione di sottili strati di sale solidi sulle
superfici calde e lisce dei metalli per reazione chimica con il lubrificante. La formazione
di questi strati superficiali, che separano le due superfici metalliche (ad esempio quella del
pezzo da quella del truciolo), è causata dalla presenza di composti di zolfo, cloro e fosforo nel
lubrificante. La presenza di questi strati rende più efficace la riduzione dell’attrito rispetto ai
lubrificanti tradizionali, che si basano sulla presenza di pellicole di liquido tra le superfici.
I fluidi lubrificanti sono più efficaci per velocità di taglio basse. Essi tendono a perdere
la loro efficacia a velocità superiori ai 120 m/min a causa del movimento dei trucioli che,
a queste velocità, impedisce al fluido di raggiungere la superficie di contatto utensile-tru-
ciolo. Inoltre, le temperature di taglio elevate a queste velocità causano la vaporizzazione
Utensili da taglio 417

degli oli prima che questi possano effettuare l’azione lubrificante. Sono tipicamente usati
per esempio nelle operazioni di foratura e di maschiatura perché, in queste applicazioni, si
ritarda la formazione del tagliente di riporto e si riduce la coppia sull’utensile.
Sebbene lo scopo principale di un lubrificante sia quello di ridurre l’attrito, esso riduce
anche la temperatura in vari modi. Primo, il calore specifico e la conducibilità termica del
lubrificante aiutano a far disperdere il calore, riducendo la temperatura. Secondo, perché l’at-
trito si riduce e quindi anche il calore generato dall’attrito risulta ridotto. Terzo, perché avere
un coefficiente di attrito inferiore significa anche avere un angolo di attrito inferiore. Secondo
l’equazione di Merchant, Equazione (13.16), un angolo di attrito inferiore fa aumentare l’angolo
del tagliente, riducendo così la quantità di energia termica generata nella zona di taglio.
Di solito si cerca di sovrapporre gli effetti dei due tipi di fluido. I refrigeranti con-
tengono elementi che aiutano anche a ridurre l’attrito e i lubrificanti hanno delle pro-
prietà termiche che, sebbene non buone come quelle dell’acqua, servono a disperdere
il calore nelle operazioni di taglio. I fluidi da taglio (sia i refrigeranti che i lubrificanti)
hanno un effetto sull’equazione della durata della vita dell’utensile di Taylor aumen-
tando il valore di C, tipicamente del 10% al 40%. La pendenza della retta (associata al
parametro n) non è invece influenzata in modo significativo.

Composizione chimica dei fluidi da taglio  Considerando la composizione chimica,


ci sono quattro categorie di fluidi da taglio: (1) oli da taglio, (2) emulsioni, (3) fluidi semisin-
tetici e (4) fluidi sintetici. Tutti questi fluidi da taglio permettono sia di raffreddare che di lu-
brificare la zona di taglio. Gli oli da taglio sono più efficaci come lubrificanti, mentre le altre
tre categorie sono più efficaci come refrigeranti perché sono a base principalmente di acqua.
Gli oli da taglio sono a base di olio derivato dal petrolio, olio animale, olio marino
o olio di origine vegetale. Gli oli minerali (a base di petrolio) sono quelli principali
per la loro abbondanza e le buone caratteristiche lubrificanti. Per ottenere la massima
lubrificazione, si possono combinare diversi tipi di oli. Vengono anche mescolati degli
additivi chimici con gli oli lubrificanti per aumentarne le prestazioni. Questi additivi
contengono composti di zolfo, cloro e fosforo, e sono progettati per reagire chimicamen-
te con i trucioli e le superfici dell’utensile per formare pellicole solide (lubrificazione a
pressione elevata) che aiutano ad evitare il contatto dei due metalli.
Le emulsioni sono costituite da goccioline di olio in sospensione in acqua. Il fluido
si ottiene mescolando l’olio (di solito olio minerale) in acqua usando un agente emulsio-
nante per velocizzare la miscelazione e la stabilità dell’emulsione. Il tipico rapporto tra
acqua e olio è 30:1. Spesso vengono usati degli additivi chimici a base di zolfo, cloro e
fosforo per la lubrificazione ad alta pressione. Visto che contengono sia olio che acqua,
gli oli emulsionati svolgono sia l’azione di lubrificazione che di refrigerazione.
I fluidi sintetici sono composti da sostanze chimiche in una soluzione di acqua anziché
da oli in emulsione. Le sostanze chimiche disciolte sono composti di zolfo, cloro e fosforo,
con l’aggiunta di agenti bagnanti. Le sostanze chimiche servono a fornire un certo grado di
lubrificazione alla soluzione. I fluidi sintetici hanno delle buone proprietà refrigeranti, ma delle
qualità lubrificanti inferiori rispetto ad altri tipi di fluidi di taglio. I fluidi semisintetici hanno
delle piccole quantità di olio emulsionato in aggiunta per aumentare le caratteristiche lubri-
ficanti del fluido da taglio. In pratica sono una classe ibrida tra i fluidi chimici e le emulsioni.

15.4.2 Applicazioni dei fluidi da taglio


I fluidi da taglio vengono addotti in vari modi nelle diverse lavorazioni. In questa se-
zione sono descritte queste metodologie di adduzione dei fluidi da taglio. Prenderemo
anche in considerazione il problema della contaminazione del fluido da taglio e delle
misure da adottare per affrontare questo problema.
418 Tecnologia meccanica

Metodi di applicazione  Il metodo di applicazione più comune è quello ad inon-


dazione (tipicamente tramite getto), anche chiamato inondazione-raffreddamento
perché di solito è usato con i fluidi refrigeranti. Nell’inondazione, un flusso costante di
liquido viene diretto sulla superficie tra l’utensile e il pezzo o tra l’utensile e il truciolo.
Un altro metodo di adduzione tramite nebulizzazione, utilizzato principalmente per
fluidi da taglio a base di acqua. In questo caso il fluido viene applicato in forma di goc-
cioline ad alta velocità trasportate da un flusso d’aria pressurizzata. L’applicazione di
nebbie non è efficace come il raffreddamento per inondazione. A causa della elevata ve-
locità di flusso dell’aria, l’applicazione di nebbie può essere più efficace per raggiungere
aree che sarebbero difficilmente raggiungibili dalle inondazioni tradizionali.
A volte si può anche usare un’applicazione manuale mediante uno spruzzo o un
pennello per applicare dei lubrificanti nelle operazioni di maschiatura o altre in cui le
velocità di taglio sono basse e ci sono dei problemi di attrito. Non è molto usata nelle
operazioni industriali a causa della variabilità nella sua applicazione.
Filtri per fluidi da taglio e lavorazione a secco  Durante il loro utilizzo, i fluidi
da taglio possono essere contaminati con una varietà di sostanze, come ad esempio l’olio
di scarto (olio per macchine, olio idraulico ecc), i rifiuti (mozziconi di sigarette, cibo ecc),
piccolo trucioli, muffe, funghi e batteri. Oltre a causare odori e rischi per la salute, i fluidi
da taglio contaminati non svolgono correttamente la loro funzione lubrorefrigerante. I
metodi per risolvere questo problema sono: (1) sostituire il fluido da taglio ad intervalli
regolari e frequenti (due volte al mese), (2) utilizzare un filtro per pulire continuamente
o periodicamente il fluido e (3) lavorare, quando è possibile, a secco, cioè senza l’ausilio
di fluidi da taglio. A causa della crescente preoccupazione per l’inquinamento ambientale
e della relativa normativa, lo smaltimento dei fluidi vecchi è diventato piuttosto costoso.
Per risolvere il problema della contaminazione, in diverse officine sono stati installati dei si-
stemi di filtraggio. I vantaggi di questi sistemi sono (1) un prolungamento della durata del fluido:
invece di sostituire il fluido una volta o due al mese, può durare fino a 1 anno, (2) una riduzione
dei costi di smaltimento del fluido, dato che lo smaltimento si deve fare molto meno frequente-
mente, (3) un fluido da taglio più pulito con conseguente miglioramento dell’ambiente di lavoro
e minori rischi per la salute, (4) una manutenzione delle macchine utensili minore e (5) una
maggior durata degli utensili. Ci sono vari sistemi di depurazione per filtrare i fluidi da taglio.
I dettagli sui sistemi di filtrazione e i vantaggi di utilizzare questi sistemi sono descritti in [12].
La terza alternativa è detta lavorazione a secco, perché non è coadiuvata all’uso di nessun
fluido da taglio. La lavorazione a secco evita i problemi di contaminazione del fluido da taglio,
del suo smaltimento e della filtrazione, ma può causarne altri come: (1) il surriscaldamento
dell’utensile, (2) la necessità di lavorare a velocità di taglio e a tassi di produzione più bassi per
prolungare la vita dell’utensile e (3) l’assenza dei benefici apportati dai fluidi nella rimozione del
truciolo nella rettifica e nella fresatura. I produttori degli utensili da taglio hanno sviluppato del-
le speciali qualità di carburi e carburi rivestiti specifici per l’utilizzo nella lavorazione a secco.

15.5 Lavorabilità
Le proprietà del materiale del pezzo hanno un’influenza significativa sul successo della la-
vorazione. Queste proprietà unitamente alle altre caratteristiche del pezzo vengono riassunte
nel termine di “lavorabilità”. La lavorabilità denota la facilità relativa con cui un materiale
(di solito un metallo) può essere lavorato meccanicamente con determinati utensili e para-
metri di taglio [14].
Ci sono vari criteri per valutare la lavorabilità di un pezzo, il più importante dei
quali è (1) la durata dell’utensile, a causa del suo impatto economico nella lavorazione.
Gli altri criteri sono (2) le forze di taglio, (3) la potenza, (4) la finitura superficiale e (5)
Utensili da taglio 419

la facilità di smaltimento del truciolo. Sebbene la lavorabilità si riferisca di solito al


materiale da lavorare, va notato che le prestazioni di una lavorazione dipendono anche
da altri fattori, come il tipo di lavorazione, gli utensili e i parametri di taglio. I criteri di
lavorabilità possono dare luogo a valutazioni contrastanti: un materiale può causare una
vita dell’utensile più lunga, mentre un altro può dare origine a una finitura superficiale
migliore. Tutti questi fattori rendono difficile la valutazione della lavorabilità.
Le prove di lavorabilità di solito effettuano un confronto tra materiali: si misurano
le prestazioni in fase di lavorazione di un materiale di prova e le si confrontano con
quelle di un materiale di riferimento (standard). La performance relativa è espressa
come un indice, chiamato grado di lavorabilità (machinability rating MR). Il materiale
di base utilizzato come standard ha grado di lavorabilità pari a 1.00. Come materiale di
base di solito si usa l’acciaio B1112. I materiali più facili da lavorare rispetto al mate-
riale di base hanno valori maggiori di 1.00, mentre i materiali più difficili hanno valori
inferiori a 1.00. La lavorabilità viene di solito espressa in percentuali anziché in valori
assoluti. Illustriamo con un esempio come fare a determinare il grado di lavorabilità
utilizzando un test di durata dell’utensile come base per il confronto.
Esempio 15.5 Lavorabilità
Si effettuano una serie di prove di durata di un utensile su due materiali usando
gli stessi parametri di taglio, variando solo la velocità. Il primo materiale, definito
come materiale di base, determina una durata dell’utensile descritta dalla seguente
equazione di Taylor vcT0.28 = 350, mentre il secondo materiale (il materiale di prova)
porta alla seguente equazione vcT0.27 = 440, con velocità espressa in m/min e du-
rata dell’utensile in min. Si determina il grado di lavorabilità del materiale di prova,
considerando come base per il confronto, la velocità di taglio che produce una vita
dell’utensile pari a 60 min. Si denoti questa velocità con vc60.

Soluzione: Il materiale di base ha un grado di lavorabilità pari a 1.0. Il suo valore vc60
può essere determinato dall’equazione di vita dell’utensile di Taylor come segue:
vc60 = (350/600.26) 111 m/min
La velocità di taglio per una vita dell’utensile di 60 min per il materiale di prova si
calcola in modo simile:
vc60 = (440/600.27) 146 m/min
Di conseguenza, il grado di lavorabilità si calcola come:
146
MR (per il materiale di prova) = = 1.31 (131%)
111

Ci sono molti fattori dei materiali da lavorare che influenzano le prestazioni della lavo-
rabilità (ad esempio la durezza e la resistenza). All’aumentare della durezza, aumenta
l’usura da abrasione dell’utensile che causa la riduzione della durata della sua vita. La re-
sistenza al taglio e la resistenza alla trazione sono notoriamente correlate. Se la resistenza
del materiale del pezzo aumenta, aumentano anche le forze di taglio, l’energia specifica e
la temperatura di taglio, rendendo il materiale più difficile da lavorare. D’altra parte, una
durezza troppo bassa può essere dannosa per le prestazioni della lavorazione. Ad esempio,
l’acciaio al carbonio, che ha una durezza relativamente bassa, risulta troppo duttile per
essere lavorato. Un’alta duttilità provoca lo strappamento del materiale quando si forma il
truciolo, con conseguente scarsa finitura e problemi di rimozione dei trucioli. Le barre di
acciaio al carbonio vengono spesso trafilate a freddo per aumentare la durezza superficiale
e agevolare il distacco e la rottura dei trucioli durante il taglio.
La composizione chimica di un metallo ha un effetto importante sulle sue proprietà
e, in alcuni casi, influenza i meccanismi di usura che agiscono sul materiale dell’uten-
420 Tecnologia meccanica

sile. Attraverso queste relazioni si può affermare che la composizione chimica influen-
zi la lavorabilità. Il contenuto di carbonio ha un effetto significativo sulle proprietà
dell’acciaio. Se il carbonio aumenta, la resistenza e la durezza dell’acciaio aumentano, e
quindi le prestazioni della lavorazione si riducono. Molti elementi aggiunti nelle leghe
di acciaio per migliorare le sue proprietà hanno un effetto negativo sulla lavorabilità.
Il cromo, il molibdeno e il tungsteno formano i carburi nell’acciaio che causano un
aumentano dell’usura degli utensili e riducono la lavorabilità. Il manganese e il nichel
aumentano la forza e la tenacità dell’acciaio e contemporaneamente ne riducono la la-
vorabilità. Si possono però aggiungere degli elementi per migliorare le prestazioni della
lavorazione dell’acciaio, come il piombo, lo zolfo e il fosforo. Questi additivi hanno
l’effetto di ridurre il coefficiente di attrito tra l’utensile e il truciolo, riducendo così le
forze, la temperatura e la formazione di tagliente di riporto, e quindi di aumentare la
durata dell’utensile e migliorare la finitura superficiale. Le leghe di acciaio create per
migliorare la lavorabilità sono indicate con il termine acciai ad alta lavorabilità.
Delle considerazioni simili si possono fare anche per gli altri materiali da lavoro.
La Tabella 15.7 riporta i gradi di lavorabilità approssimativi per diversi metalli. Queste
valutazioni hanno lo scopo di riassumere le prestazioni di lavorazione dei materiali, con
particolare riguardo al criterio di durata dell’utensile.

TABELLA 15.7  Valori indicativi della durezza Brinell e dei gradi di lavorabilità per alcuni materiali.

Materiale lavorato Durezza Grado di Materiale lavorato Durezza Grado di


Brindell lavorabilitàa Brindell lavorabilitàa
Acciaio di base: B1112 180-220 1.00 Acciaio per utensili (non indurito) 200-250 0.30
Acciaio a basso contenuto di carbo- 130-170 0.50 Ghisa 60 0.70
nio: C1008, C1010, C1015 Soft
Acciaio ad alto contenuto di carbo- 180-230 0.55 Media durezza 200 0.55
nio: C1040, C1045, C1050
Leghe di acciaio 24b Duro 230 0.40
1320, 1330, 3130, 3140 170-230 0.55 Superleghe
4130 180-200 0.65 Inconel 240-260 0.30
4140 190-210 0.55 Inconel X 350-370 0.15
4340 200-230 0.45 Waspalloy 250-280 0.12
4340 (colato) 250-300 0.25 Titanio
6120, 6130, 6140 180-230 0.50 Puro 160 0.30
8620, 8630 190-200 0.60 Leghe 220-280 0.20
B1113 170-220 1.35 Alluminio
Acciai ad alta lavorabilità 160-220 1.50 2-S, 11-S, 17-S soft 5.00a
Acciaio inossidabile Leghe di alluminio (morbide) soft 2.00a
301, 302 170-190 0.50 Leghe di alluminio (dure) hard 1.25a
304 160-170 0.40 Rame soft 0.60
316, 317 190-200 0.35 Ottone soft 2.00a
403 190-210 0.55 Bronzo soft 0.65a
416 190-210 0.90
I valori sono calcolati come la media dei valori riportati in [2], [5], [6], [12] e altri. I gradi di lavorabilità rappresentano le velocità di taglio relative
per una determinata durata dell’utensile (vedere Esempio 15.2).
a
Il grado di lavorabilità di solito è espresso in percentuale (valore del grado x 100%).
b
L’elenco delle leghe di acciaio non è completo. Si è cercato di includere le leghe più comuni e di indicare l’intervallo di valori di lavorabilità di
questi acciai.
c
La lavorabilità dell’alluminio è molto variabile. Qui è riportata come MR = 5.00, ma l’intervallo va almeno da 3.00 a 10.00.
d
Anche le leghe di alluminio, gli ottoni e i bronzi variano in modo significativo in termini di prestazioni di lavorazione. Per ogni caso, si è cercato
di riportare il valore medio delle prestazioni per poterli confrontare con gli altri materiali.
Utensili da taglio 421

15.6 Economie delle lavorazioni per asportazione

Uno dei problemi pratici della lavorazione è la selezione delle condizioni di taglio ap-
propriate per una determinata operazione. Questo è uno dei compiti di chi si occupa di
pianificare i processi. Per ogni operazione, bisogna prendere delle decisioni in merito
al tipo di macchina utensile, al tipo di utensile/i da taglio e di parametri di taglio da
utilizzare. Queste decisioni devono essere prese in relazione alla lavorabilità del pezzo,
la forma del pezzo, la finitura superficiale ecc.

15.6.1 Scelta dell’avanzamento e della profondità di taglio


I parametri di taglio in un’operazione di asportazione sono la velocità di taglio, l’avanza-
mento, la profondità, e il fluido (è necessario decidere se occorre usare il fluido da taglio e
in caso affermativo è necessario decidere il tipo). La scelta del fluido di solito dipende da-
gli utensili. La profondità di taglio di solito dipende dalla forma del pezzo e dalla sequenza
di operazioni da eseguire. Molti lavori richiedono di effettuare una serie di operazioni di
sgrossatura seguite da un’operazione finale di finitura. Nelle operazioni di sgrossatura, la
profondità è la più grande possibile rispettando i limiti di potenza disponibile, consideran-
do inoltre la rigidezza della macchina, l’entità delle forze di taglio, ed altri aspetti. Nelle
operazioni di finitura, la profondità deve essere adeguata a garantire l’ottenimento di un
pezzo con le dimensioni finali corrette.
Il problema quindi si riduce alla scelta dell’avanzamento e della velocità. In generale,
i rispettivi valori devono essere decisi in quest’ordine: prima l’avanzamento e poi la velo-
cità. La scelta dell’avanzamento per una lavorazione specifica dipende dai fattori seguenti.

Utensili  Che tipo di utensili saranno utilizzati? Materiali per utensili più duri (come car-
buri sinterizzati e ceramiche) tendono a fratturarsi più facilmente rispetto agli acciai rapidi.
Questi utensili sono normalmente utilizzati con avanzamenti inferiori. Invece l’acciaio HSS
può sopportare avanzamenti più elevati a causa della sua maggiore tenacità.

Sgrossatura o finitura  Le operazioni di sgrossatura comportano degli avanzamen-


ti elevati, tipicamente da 0.5 a 1.25 mm/giro per la tornitura. Le operazioni di finitura
possono essere effettuati avanzamenti più bassi, come da 0.125 a 0.4 mm/giro per la
tornitura.

Vincoli sull’avanzamento nella sgrossatura  In caso di operazione di sgros-


satura, a quanto si può impostare l’avanzamento? Per aumentare al massimo l’aspor-
tazione di truciolo, l’avanzamento deve essere il più alto possibile. Ci sono dei limiti
superiori all’avanzamento che sono imposti dalle forze di taglio, dalla rigidità della
configurazione (macchina-pezzo-attrezzatura) e dalla potenza disponibile.

Requisiti di finitura superficiale  In caso di operazione di finitura, qual è la fi-


nitura superficiale che si vuole ottenere? L’avanzamento è un fattore importante nella
finitura superficiale e si possono effettuare delle stime per calcolare l’avanzamento che
produce una certa finitura superficiale finale.

15.6.2 Velocità di taglio


La scelta della velocità di taglio si basa sul migliore uso possibile che si può fare dell’uten-
sile, che normalmente significa scegliere una velocità che fornisca un’elevata velocità di
rimozione del metallo e una buona durata dell’utensile (sono esigenze contrastanti per cui
422 Tecnologia meccanica

è sensato pensare ad un’ottimizzazione). Si sono formulati degli approcci analitici per la


determinazione della velocità di taglio ottimale per una certa lavorazione considerando
che il tempo e il costo dei vari componenti dell’operazione sono noti. La prima formu-
lazione del problema delle economie di lavorazione è accreditata a W. Gilbert [13]. Le
formule consentono di calcolare la velocità di taglio ottimale per uno dei seguenti due
obiettivi: (1) massimizzare la velocità di produzione o (2) minimizzare il costo unitario.
Entrambi gli obiettivi cercano di raggiungere un compromesso fra la velocità di aspor-
tazione del materiale e la durata dell’utensile. Le formule si basano sull’equazione della
durata della vita dell’utensile di Taylor che si applica all’utensile utilizzato nell’operazio-
ne, così come l’avanzamento e la profondità di taglio e il materiale da lavorare. In questa
sezione vengono illustrate le formule per una lavorazione di tornitura, ma si possono svi-
luppare delle formule analoghe anche per tutti gli altri tipi di lavorazioni [4].

Massimizzazione della velocità di produzione  Per massimizzare i tassi di pro-


duzione, bisogna determinare la velocità che riduce al minimo il tempo ciclo di produ-
zione per ogni pezzo. Questo è equivalente a massimizzare la velocità di produzione.
Nella tornitura, ci sono tre contributi che vanno a costituire il tempo ciclo totale di
produzione di un pezzo:
1. Tempo di spostamento del pezzo Th. Questo è il tempo impiegato dall’operatore
per caricare il pezzo nella macchina all’inizio del ciclo di produzione e per scaricar-
lo alla fine. Include anche il tempo necessario a riposizionare l’utensile per l’inizio
del ciclo successivo.
2. Tempo di lavorazione Tm. Questo è il tempo effettivamente impiegato dall’utensile
per rimuovere il materiale del pezzo durante il ciclo.
3. Tempo di cambio dell’utensile Tt. Alla fine della vita dell’utensile, l’utensile deve
essere cambiato e questa è un’operazione che richiede tempo. Questo tempo deve
essere diviso per il numero di pezzi lavorati durante la vita dell’utensile. Indicando
con np il numero di pezzi lavorati durante la vita dell’utensile (il numero di pezzi ta-
gliati con un tagliente fino al cambio utensile), si ha che il tempo di cambio utensile
per pezzo è Tt/np.
La somma di questi tre tempi dà il tempo ciclo unitario totale per ciclo di produzione:
Tt
Tc Th Tm (15.5)

dove Tc è il tempo ciclo unitario di produzione in min e gli altri termini sono quelli
definiti in precedenza. Questo tempo ciclo è una funzione della velocità di taglio. Se la
velocità di taglio aumenta, Tm diminuisce e Tt/np aumenta; Th invece non è influenzato
dalla velocità di taglio. Queste relazioni sono illustrate in Figura 15.13.
Il tempo ciclo unitario viene minimizzato per un determinato valore della velocità
di taglio, che può essere calcolato riscrivendo l’Equazione (15.5) in funzione della ve-
locità di taglio. Il tempo di lavorazione in un’operazione di tornitura è dato dall’Equa-
zione (16.5):

Tm
vc f
dove Tm è il tempo di lavorazione in min, D è il diametro del pezzo in mm, L la lunghez-
za del pezzo in mm, f l’avanzamento in mm/giro e v la velocità di taglio in mm/min per
avere coerenza di unità di misura.
Anche il numero di pezzi per utensile, np, può essere espresso in funzione della
velocità. Infatti si può dimostrare che:
Utensili da taglio 423

Figura 15.13  Rappre-


Tempo totale per pezzo sentazione dei tempi di
un ciclo di lavorazione
in funzione della velocità
di taglio. Il tempo di ciclo
Tempo al pezzo

Tempo di cambio dell’utensile


totale per pezzo viene
minimizzato da un certo
valore della velocità di
taglio. Questa è la ve-
locità da impostare per
Tempo di spostamento del pezzo massimizzare la velocità
di produzione. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Tempo di lavorazione
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Vc max permesso di John Wiley
Velocità di taglio & Sons, Inc.)

Tm (15.6)

dove T è il tempo di vita utensile in min/utensile e Tm il tempo di lavorazione al pezzo in


min/pz. T e Tm sono funzioni della velocità, di conseguenza anche il rapporto seguente
è in funzione della velocità:

 (15.7)
v c1
Il significato di questa relazione è che il termine Tt/np nell’Equazione (15.5) aumenta
all’aumentare della velocità di taglio. Sostituendo le Equazioni (14.5) e (15.7) nell’Equa-
zione (15.5) e risolvendo per Tc, si ha:
Tt v c1/n – 1
Tc Th  (15.8)
vcc
Il tempo di ciclo unitario raggiunge il suo valore minimo alla velocità di taglio in cui la
derivata dell’Equazione (15.8) è pari a zero: dTc /dvc = 0. Risolvendo questa equazione si
ottiene la velocità di taglio corrispondente alla massimo tasso di produzione:

vcmax (15.9)
Tt
dove vcmax è espressa in m/min. La vita dell’utensile corrispondente al massimo tasso di
produzione

Tmax Tt (15.10)

Minimizzazione del costo unitario  Per minimizzare il costo unitario bisogna de-
terminare la velocità che riduce al minimo il costo di produzione al pezzo. Per definire
le equazioni necessarie, si deve iniziare a considerare i quattro componenti che determi-
nano il costo totale di produzione di un pezzo per una operazione di tornitura:
1. Costo di spostamento del pezzo. Questo è il costo associato al tempo impiegato
dall’operatore per caricare e scaricare il pezzo dalla macchina. Indicando con Co il
424 Tecnologia meccanica

costo al minuto (ad esempio in €/min) per un certo operatore e una certa macchina,
il costo di spostamento è quindi CoTh.
2. Costo di lavorazione. Questo è il costo associato al tempo necessario per la produ-
zione di un pezzo. Utilizzando nuovamente Co per rappresentare il costo al minuto
dell’operatore su una macchina utensile, il costo di lavorazione è CoTm.
3. Costo di cambio utensile. Il costo del tempo di cambio dell’utensile è CoTt /np.
4. Costo dell’utensile. Oltre al tempo necessario per cambiare l’utensile, esiste un
costo anche dell’utensile stesso che deve essere aggiunto al costo totale dell’opera-
zione. Questo è il costo per tagliente Ct, diviso per il numero di pezzi lavorati con
quel tagliente, np. Quindi, il costo dell’utensile al pezzo è dato da Ct/np.
Il costo dell’utensile richiede una descrizione più estesa, perché è influenzato dalle di-
verse condizioni di lavorazione. Per inserti non riaffilabili (come gli inserti in carburo
sinterizzato), il costo utensile si calcola come:

(15.11)

dove Ct è il costo per tagliente in €/vita dell’utensile, Pt il prezzo dell’inserto in €/inser-


to e numero di taglienti per inserto. Questo dipende dal tipo di inserto, ad esempio gli
inserti triangolari che possono essere utilizzati solo da un lato (utensili a spoglia posi-
tiva) hanno tre bordi/inserti; se gli inserti si possono usare da entrambi i lati (utensili a
spoglia negativa), ci sono sei bordi/inserti e così via.
Per gli utensili riaffilabili (ad esempio gli utensili a stelo in acciaio rapido), il costo
degli utensili include il prezzo di acquisto più il costo dell’affilatura:

(15.12)

dove Ct è il costo della durata dell’utensile in $/vita dell’utensile, Pt il prezzo di acquisto


dell’utensile in $/utensile e ng il numero di volte in cui l’utensile viene riaffilato prima di
risultare inutilizzabile (di solito da 5 a 10 volte per gli utensili da sgrossatura e da 10 a
20 volte per gli utensili da finitura), Tg il tempo per rettificare o affilare l’utensile in min/
vita dell’utensile e Cg il costo della rettifica/affilatura in $/min.
La somma delle quattro componenti di costo dà il costo totale unitario al pezzo Cc:

(15.13)

Cc è una funzione della velocità di taglio, così come Tc è una funzione di v. Le relazioni
dei singoli termini e del costo totale rispetto alla velocità di taglio sono mostrate in
Figura 15.14. L’Equazione (15.13) può essere riscritta in termini di v nel modo seguente:

 (15.14)

La velocità di taglio che minimizza il costo totale al pezzo può essere determinata cal-
colando la derivata dell’Equazione (15.14) rispetto a v, uguagliandola a zero, e ricavando
poi vcmin:

vcmin (15.15)

La durata dell’utensile corrispondente è data da:

Tmin (15.16)
Utensili da taglio 425

Costo totale per pezzo

Figura 15.14  Rappre-


sentazione dei compo-
nenti di costo di un’ope-
Costo al pezzo

razione di lavorazione in
Costo di cambio dell’utensile funzione della velocità di
taglio. Il costo totale per
pezzo viene minimizzato
Costo dell’utensile ad un certo valore della
velocità di taglio. Questa
è la velocità da impo-
Costo di spostamento del pezzo stare per minimizzare il
costo unitario. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Costo di lavorazione
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Vcmin permesso di John Wiley
Velocità di taglio & Sons, Inc.)

Esempio 15.3  Calcolo della velocità di taglio per le economie di produzione


Un’operazione di tornitura di un acciaio dolce viene eseguita con un utensile HSS. I
parametri della durata della vita dell’utensile (Taylor) sono i seguenti: n = 0.125, C = 70
m/min (Tabella 15.2). La lunghezza del pezzo è 500 mm e il diametro 100 mm. L’avan-
zamento è 0.25 mm/giro. Il tempo di spostamento di un pezzo è 5.0 min, e il tempo di
cambio utensile è 2.0 min. Il costo della macchina e dell’operatore è 30 €/hr e il costo
dell’utensile è 3 € al tagliente. Trovare: (a) la velocità di taglio per massimizzare la
velocità di produzione e (b) la velocità di taglio per minimizzare il costo.

Soluzione: (a) La velocità di taglio per massimizzare la velocità di produzione è data


dall’Equazione (15.9):
0.125 1
vcmax = 70 ⋅ = 50 m/min
0.875 2
(b) Convertendo Co da 30 €/hr a 0.5 €/min, la velocità di taglio per minimizzare il
costo è data dall’Equazione (15.15):
0.125
0.125 0.5
vcmin = 70 ⋅ = 42 m/min
0.875 0.5(2) + 3.00

Esempio 15.4 Tasso e costo di produzione per le economie di produzione


Determinare il tasso di produzione orario e il costo al pezzo per le due velocità di
taglio calcolate nell’Esempio 15.3.

Soluzione: (a) Per la velocità di taglio per la massima produzione, vmax = 50 m/min,
il tempo di lavorazione al pezzo e la vita utile dell’utensile sono calcolate nel modo
seguente:
π(0.5)(0.1)
Tempo di lavorazione Tm = = 12.57 min/pz
(0.25)(10 –3)(50)
8
70
Vita dell’utensile T = = 14.76 min/tagliente
50
426 Tecnologia meccanica

Da questi valori si può determinare il numero di pezzi realizzabili con un utensile: np


= 14.76/12.57 = 1.15. Si utilizzi np = 1 per evitare che il guasto dell’utensile si verifichi
durante la lavorazione del secondo pezzo. Dall’Equazione (15.5) si ha che il tempo
ciclo medio di produzione dell’operazione è:
Tc = 5.0 = 50 + 12.57 + 2.0/1 = 19.57 min/pz
La produzione oraria corrispondente Rp è 60/19.57 = 3.1 pz/hr. Dall’Equazione (15.13)
si ha che il costo medio al pezzo per l’operazione è:
Cc = 0.5(5.0) + 0.5(12.57) + 0.5(2.0)/1 + 3.00/1 €12.79/pz

(b) La velocità di taglio per minimizzare il costo di produzione al pezzo è vcmin = 42 m/


min e il tempo di lavorazione al pezzo e la durata dell’utensile sono i seguenti:
π(0.5)(0.1)
Tempo di lavorazione Tm = = 14.96 min/pz
(0.25)(10 –3)(42)
70 8
Vita dell’utensile T = = 59.54 min/tagliente
42
Il numero di pezzi realizzabile con un singolo utensile è np = 59.54/14.96 = 3.98. Si
utilizzi np = 3 per evitare che il guasto si verifichi nella lavorazione del quarto pezzo.
Il tempo ciclo medio è:
Tc = 5.0 + 14,96 + 2.0/3 = 20.63 min/pz
La produzione oraria corrispondente Rp è 60/20.63 = 2,9 pz/hr. Il costo medio al
pezzo è:
Cc = 0.5(5.0) + 0.5(14.96) + 0.5(2.0)/3 + 3.00/3 = €11.32/pz
Si noti che la velocità di produzione è maggiore per vmax e il costo al pezzo è minore
per vmin.

Considerazioni sulle economie di lavorazione  Si possono fare alcune consi-


derazioni pratiche su queste equazioni della velocità di taglio ottimale. In primo luogo,
se i valori di C e n aumentano nell’equazione di Taylor della vita utile dell’utensile,
aumenta anche il valore della velocità di taglio di entrambe le Equazioni (15.9) e (15.15).
Ne consegue, per quanto riportato in precedenza, che gli utensili da taglio in carburo
sinterizzato e in ceramica devono essere utilizzati a velocità nettamente superiori ri-
spetto a quelli in acciaio rapido.
In secondo luogo, all’aumentare del tempo di cambio utensile e/o del costo dell’uten-
sile (Ttc e Ct) si ottengono valori di velocità ottima più bassi. Velocità inferiori consentono
agli utensili di durare più a lungo: chiaramente, se il cambio utensile è oneroso (sia in ter-
mini di tempi che di costo ) conviene limitarne il numero scegliendo una velocità un po’
più bassa. Gli inserti non riaffilabili di solito hanno un sostanziale vantaggio economico
rispetto a quelli riaffilabili: anche se il costo per inserto è alto, il numero di taglienti per
inserto è abbastanza grande e il tempo richiesto per cambiare il tagliente è abbastanza
basso quindi è possibile ottenere tassi di produzione maggiori e costi unitari minori.
In terzo luogo, vcmax è sempre maggiore di vcmin. Il termine Ct/np nell’Equazione (15.15)
ha l’effetto di spostare a sinistra in Figura 15.14 il valore ottimale della velocità, risultando
in un valore inferiore rispetto a quello in Figura 15.13. Invece di rischiare di tagliare ad
una velocità superiore a vcmax o inferiore a vcmin, alcune industrie si sforzano di stare nell’in-
tervallo tra vcmin e vcmax, che viene chiamato anche “intervallo ad alta efficienza”.
Le procedure descritte per scegliere l’avanzamento e la velocità di lavorazione sono
spesso difficili da applicare in pratica. La velocità di avanzamento ottimale è difficile da
Utensili da taglio 427

determinare, perché le relazioni tra l’avanzamento e la finitura superficiale, la forza, la


potenza, e altri vincoli non sono sempre noti per ogni macchina utensile. L’avanzamen-
to ottimale si deve scegliere usando l’esperienza, il ragionamento e la sperimentazione.
La velocità di taglio ottimale è difficile da calcolare, perché i parametri C e n dell’equa-
zione di Taylor di solito sono ignoti prima di effettuare un test preliminare e i test di
questo tipo sono costosi in un ambiente di produzione.

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poration, 1954.
428 Tecnologia meccanica

Domande di ripasso

  1. Quali sono i due aspetti principali della tecnologia 13. Descrivere le due categorie principali di fluido da
degli utensili da taglio? taglio in base alla loro funzione.
  2. Descrivere le tre tipologie di guasto a cui può es- 14. Descrivere le quattro categorie di fluidi da taglio in
sere assoggettato l’utensile durante la lavorazione. base alla loro composizione chimica.
  3. Quali sono le due zone principali in cui si manifesta 15. Quali sono le modalità con cui vengono addotti i
l’usura negli utensili da taglio? fluidi da taglio in una lavorazione?
  4. Descrivere i meccanismi attraverso cui gli utensili 16. Per evitare le problematiche connesse ai fluidi da
da taglio si usurano durante la lavorazione. taglio, le industrie spesso effettuano le lavorazioni
  5. Qual è l’interpretazione fisica del parametro C a secco. Quali sono i problemi associati all’uso dei
nell’equazione di Taylor della vita utile dell’utensile? fluidi da taglio?
  6. Quali sono alcuni dei criteri di fine vita utensile uti- 17. Quali sono i problemi che si manifestano nella la-
lizzati in contesti produttivi? vorazione a secco?
  7. Descrivere le tre proprietà che dovrebbe avere un 18. Definire il concetto di lavorabilità.
materiale per utensili da taglio. 19. Quali sono i criteri con cui viene valutata la lavo-
  8. Quali sono gli elementi di lega principali negli ac- rabilità?
ciai rapidi? 20. Quali sono i fattori su cui si dovrebbe basare la
  9. Qual è la differenza di composizione nei carburi scelta dell’avanzamento in una lavorazione?
sinterizzati per il taglio dell’acciaio e degli altri ma- 21. Il costo unitario in un’operazione di lavorazione è la
teriali metallici più facili da lavorare? somma di quattro termini di costo. I primi tre termini
10. Descrivere i composti comuni che formano i rive- sono: (1) il costo di carico/scarico, (2) il costo di lavo-
stimenti sulla superficie degli inserti in carburo sin- razione del pezzo da parte dell’utensile e (3) il costo
terizzato. di cambio dell’utensile. Qual è il quarto termine?
11. Elencare i sette elementi geometrici che caratteriz- 22. Qual è la velocità di taglio che è sempre più bassa
zano la forma di un utensile a singola punta. in una determinata lavorazione, la velocità di taglio
12. Descrivere i modi con cui un utensile da taglio può per minimizzare il costo o la velocità di taglio per
essere tenuto in posizione durante la lavorazione. massimizzare la velocità di produzione? Perché?

Problemi
3. Alcune prove di durata dell’utensile effettuate su un
1. Durante una serie di prove di tornitura vengono raccolti tornio hanno prodotto i seguenti risultati: (1) ad una
i dati di usura sul fianco usando un utensile di carburo velocità di taglio di 375 m/min, la durata è stata di
rivestito su un pezzo in lega di acciaio indurito con un 5.5 min, (2) ad una velocità di taglio di 275 m/min, la
avanzamento di 0.30 mm/giro e una profondità di 4.0 durata è stata 53 min. (a) Determinare i parametri n
mm. Ad una velocità di 125 m/min, l’usura è 0.12 mm e C dell’equazione della durata dell’utensile di Taylor.
a 1 min, 0.27 mm a 5 min, 0.45 mm a 11 min, 0.58 (b) Sulla base dei valori di n e C, quale può essere il
mm a 15 min, 0.73 mm a 20 min e 0.97 mm a 25 min. materiale dell’utensile utilizzato in questa operazio-
Ad una velocità di 165 m/min, l’usura è 0.22 mm a 1 ne? (c) Utilizzando questa equazione, calcolare la
min, 0.47 mm a 5 min, 0.70 mm a 9 min, 0.80 mm a durata dell’utensile corrispondente ad una velocità di
11 min e 0.99 mm a 13 min. L’ultimo valore in entram- taglio di 300 m/min. (d) Calcolare la velocità di taglio
bi i casi corrisponde al guasto finale dell’utensile. (a) corrispondente ad una vita dell’utensile T = 10 min.
Disegnare l’usura dell’utensile in funzione del tempo 4. Alcune prove di durata dell’utensile in tornitura han-
per entrambe le velocità su un foglio di carta millime- no prodotto i seguenti risultati: (1) quando la veloci-
trata. Impostando un criterio di guasto pari a 0.75 mm tà di taglio è 100 m/min, la durata dell’utensile è 10
di usura sul fianco, determinare la vita dell’utensile per minuti, (2) quando la velocità di taglio è 75 m/min, la
le due velocità di taglio. (b) Convertire i risultati prece- durata dell’utensile è 30 min. (a) Determinare i valori
denti per rappresentarli su scala logaritmica. Dal nuo- di n e C dell’equazione della vita dell’utensile di Tay-
vo grafico, determinare i valori di n e C dell’equazione lor. Sulla base di questa equazione, calcolare (b) la
di vita dell’utensile di Taylor. (c) Come confronto, cal- durata dell’utensile ad una velocità di 110 m/min e
colare i valori di n e C dell’equazione Taylor risolvendo (c) la velocità corrispondente ad una vita dell’uten-
entrambe le equazioni. I valori di n e C sono gli stessi? sile di 15 min.
2. Risolvere il Problema 15.1 per un criterio di durata 5. Delle prove di tornitura hanno dato come risultato una
dell’utensile di 0.50 mm anziché 0.75 mm. vita dell’utensile di 1 min ad una velocità di taglio di
Utensili da taglio 429

4.0 m/s ed una vita di 20 min a una velocità di 2.0 essere cambiato ogni 3 pezzi, se la velocità di ta-
m/s. (a) Trovare i valori di n e C nell’equazione glio è 2.5 m/s, l’utensile può essere utilizzato per la
della durata dell’utensile di Taylor. (b) Calcolare produzione di 20 pezzi prima di essere cambiato.
quanto tempo durerebbe l’utensile ad una velocità Determinare la velocità di taglio che permette l’uso
di 1.0 m/s. dell’utensile per 50 parti prima di cambiarlo.
  6. In un’operazione di tornitura usata in produzione, 12. Si vuole tornire il diametro esterno di un cilindro di
si lavora un pezzo con un diametro di 125 mm e una lega di acciaio. Il diametro di partenza è di 300
lungo 300 mm. Si utilizza un avanzamento di 0.225 mm e la lunghezza del pezzo è 625 mm. l’avanza-
mm/giro. Se la velocità di taglio è 3.0 m/s, l’utensile mento è 0.35 mm/giro e la profondità di taglio è 2.5
deve essere cambiato ogni 5 pezzi, se la velocità è mm. Il taglio viene effettuato con un utensile da ta-
2.0 m/s, l’utensile può essere utilizzato per la pro- glio in carburo cementato i cui parametri dell’equa-
duzione di 25 pezzi prima di essere cambiato. De- zione di Taylor sono: n = 0.24 e C = 450. Le unità di
terminare l’equazione di vita dell’utensile di Taylor misura dell’equazione di Taylor sono i minuti per la
per questa operazione. durata e i m/min per la velocità di taglio. Calcolare la
  7. Per il grafico della durata dell’utensile in Figura velocità di taglio che permette all’utensile di durare
15.4, dimostrare che il punto medio dei dati (v = il tempo necessario per tagliare tre di questi pezzi.
130 m/min, T = 12 min) è coerente con l’equazione 13. In una operazione di tornitura con utensile in accia-
di Taylor calcolata nell’Esempio 15.1. io rapido, la velocità di taglio è 110 m/min. L’equa-
  8. Nel grafico dell’usura dell’utensile in Figura 15.3, zione della vita dell’utensile di Taylor ha i parametri
il guasto finale dell’utensile di taglio è indicato dal- n = 0.140 e C = 150 (m/min) quando l’operazione
la fine di ogni curva di usura. Utilizzando il guasto viene effettuata a secco. Se si usa un fluido refri-
finale come criterio di durata dell’utensile anziché gerante, il valore di C aumenta del 15%. Determi-
gli 0.50 mm dell’usura sul fianco, i risultati ottenuti nare l’aumento percentuale della durata risultante,
sono: (1) v = 160 m/min, T = 5.75 min; (2) v = 130 m/ mantenendo la velocità di taglio a 110 m/min.
min, T = 14.25 min; (3) v = 100 m/min, T = 47 min. 14. Un’operazione di tornitura di un pezzo di accia-
Determinare i parametri n e C nell’equazione della io viene eseguita normalmente a una velocità di
vita dell’utensile di Taylor per questi risultati. taglio di 125 m/min usando un utensile in acciaio
  9. Una serie di prove di tornitura vengono eseguite rapido senza usare fluidi da taglio. I valori di n e
per determinare i parametri n, m e K della versione C dell’equazione di Taylor sono riportati in Tabella
estesa dell’equazione di Taylor, Equazione (15.4). 15.2. Si sa che l’utilizzo di un fluido refrigerante può
Nel corso delle prove si sono ottenuti i seguenti ri- consentire un incremento di 25 ft/min nella veloci-
sultati: (1) velocità di taglio = 1.9 m/s, avanzamento tà mantenendo la stessa durata dell’utensile. Sup-
= 0.22 mm/giro, durata dell’utensile = 10 min, (2) ponendo che l’effetto del fluido da taglio sia solo
velocità di taglio = 1.3 m/s, avanzamento = 0.22 quello di aumentare il valore di C di 25, quale sarà
mm/giro, durata dell’utensile = 47 min, e (3) velo- l’aumento della durata dell’utensile mantenendo la
cità di taglio = 1.9 m/s, avanzamento = 0.32 mm/ velocità di taglio iniziale di 125 ft/min?
giro, durata dell’utensile = 8 min. (a) Determinare n, 15. Si vuole determinare il grado di lavorabilità di un
m, e K. (b) Usando l’equazione ottenuta, calcolare materiale utilizzando la velocità di taglio che de-
la durata dell’utensile quando la velocità di taglio è termina una durata dell’utensile di 60 minuti come
1.5 m/s e l’avanzamento è 0.28 mm/giro. base di confronto. Per il materiale di base (acciaio
10. Si vuole tornire il diametro esterno di un cilindro in B1112), i dati dei test hanno prodotto come valori
lega di titanio, che ha un diametro iniziale di 400 dei parametri dell’equazione di Taylor n = 0.29 e
mm e una lunghezza di 1100 mm. L’avanzamento C = 500, dove la velocità è in m/min e la durata
è di 0.35 mm/giro e la profondità di passata di 2.5 dell’utensile in min. Per il nuovo materiale, i valori
mm. Il taglio viene effettuato con un utensile da ta- dei parametri sono n = 0.21 e C = 400. Questi risul-
glio in carburo cementato i cui parametri dell’equa- tati sono stati ottenuti utilizzando degli utensili in
zione di Taylor sono: n = 0.24 e C = 450. Le unità carburo sinterizzato. (a) Calcolare il grado di lavo-
di misura dell’equazione di Taylor sono i “minuti” rabilità per il nuovo materiale. (b) Si supponga che
per la durata e i “m/min” per la velocità di taglio. il criterio di lavorabilità sia la velocità di taglio per
Calcolare la velocità di taglio che determina una una vita dell’utensile di 10 minuti. Calcolare il gra-
vita dell’utensile esattamente uguale al tempo che do di lavorabilità in questo nuovo caso. (c) Come
occorre per tagliare questo pezzo. si possono interpretare le differenze di lavorabilità
11. Il pezzo usato in un’operazione di tornitura ha un nei due casi?
diametro di 88 mm ed è lungo 400 mm. L’avanza- 16. Si vuole determinare il grado di lavorabilità di un
mento utilizzato nell’operazione è 0.25 mm/giro. nuovo materiale da lavoro. Per il materiale di base
Se la velocità di taglio è 3.5 m/s, l’utensile deve (B1112), i dati di test producono i seguenti valori dei
430 Tecnologia meccanica

parametri di Taylor: n = 0.29 e C = 490. Per il nuovo si stima che possa essere utilizzato per un totale
materiale, i parametri di Taylor sono n = 0.23 e C = di 15 volte prima di essere sostituito. Il tempo di
430. Le unità di misura in entrambi i casi sono i m/ cambio dell’utensile è 3.0 min. Il tempo standard
min per la velocità e i minuti per la durata dell’uten- per rettificare o riaffilare la punta dell’utensile è di
sile. Questi risultati sono stati ottenuti utilizzando 5.0 min e il costo della rettificatrice è di 20.00 €/hr.
utensili di carburo. (a) Calcolare il grado di lavo- Il tempo macchina del tornio costa 24.00 €/ora. Il
rabilità per il nuovo materiale alla velocità di taglio pezzo da utilizzare per il confronto è lungo 375 mm
che determina una vita dell’utensile di 30 min come e ha un diametro di 62.5 mm e il tempo di carico e
base di confronto. (b) Se il criterio lavorabilità fosse scarico dalla macchina è di 2.0 min. L’avanzamen-
stata la vita utensile ad una velocità di taglio di 150 to è 0.30 mm/giro. Per i due casi di lavorazione,
m/min, quale sarebbe stato il grado di lavorabilità confrontare (a) la velocità di taglio che minimizza il
del nuovo materiale? costo, (b) la vita dell’utensile, (c) il tempo ciclo e il
17. Un utensile in acciaio rapido viene usato per tornire costo unitario di produzione. Quale dei due utensili
un pezzo di acciaio lungo 300 mm e di diametro pari consigliereste di usare?
a 80 mm. I parametri dell’equazione di Taylor sono: 22. Risolvere il Problema 15.22 per determinare le ve-
n = 0.13 e C = 75 (m/min) per un avanzamento di 0.4 locità di taglio che massimizza la velocità di pro-
mm/giro. Il costo dell’operatore e della macchina è duzione.
di 30.00 €/ora, e il costo per tagliente dell’utensile è 23. Si vogliono confrontare tre materiali per utensili
4.00 €. Occorrono 2.0 min per caricare e scaricare sulla stessa operazione di tornitura di finitura su un
il pezzo e 3.50 min per cambiare l’utensile. Deter- lotto di 150 pezzi di acciaio: un utensile è in acciaio
minare (a) la velocità di taglio per massimizzare la rapido, uno in carburo cementato e uno in cerami-
velocità di produzione, (b) la durata dell’utensile in ca. Per l’acciaio rapido, i parametri dell’equazione
minuti di taglio e (c) il tempo ciclo e il costo unitario di Taylor sono: n = 0.130 e C = 80 (m/min). Il prezzo
al pezzo. dell’utensile è 20.00 € e si stima che possa esse-
18. Risolvere il Problema 15.18 per determinare la ve- re riaffilato per 15 volte ad un costo di affilatura di
locità che minimizza il costo. 2.00 €. Il tempo di cambio dell’utensile è di 3 min.
19. Un utensile in carburo cementato viene utilizzato Entrambi gli utensili in carburo e in ceramica sono
per tornire un pezzo lungo 14.0 in e di diametro pari sotto forma di inserti e possono essere inseriti nel-
a 4.0 in. I parametri dell’equazione di Taylor sono: n lo stesso portautensile. I parametri dell’equazione
= 0.25 e C = 1000 (ft/min). Il costo dell’operatore e di Taylor per l’utensile in carburo cementato sono
della macchina utensile è 45.00€/ora e il costo per n = 0.30 e C = 650 (m/min), mentre per quello in
tagliente dell’utensile è 2.50€. Occorrono 2.5 min ceramica sono n = 0.6 e C = 3500 (m/min). Il costo
per caricare e scaricare il pezzo 1.50 min per cam- del carburo è di 8.00 € a inserto, e quelli della ce-
biare l’utensile. L’avanzamento è 0.015 in/giro. De- ramica 10.00 € per inserto. In entrambi i casi ogni
terminare (a) la velocità di taglio per massimizzare inserto contiene 6 taglienti, e per entrambi il tempo
la velocità di produzione, (b) la durata dell’utensile in di cambio utensile è di 1.0. Il tempo per cambiare il
minuti e (c) il tempo ciclo e il costo unitario al pezzo. pezzo è 2.5 min. L’avanzamento è 0.30 mm/giro e
20. Risolvere il Problema 15.20 per determinare la ve- la profondità di taglio di 3.5 mm. Il costo del tempo
locità che minimizza il costo. macchina è 40€/ora. Il pezzo ha un diametro di
21. Si vuole fare un confronto tra utensili non riaffila- 73.0 mm e una lunghezza di 250 mm di lunghezza.
bili e utensili riaffilabili. Lo stessa qualità di car- Il tempo di configurazione del lotto è 2.0 ore. Per i
buro cementato è disponibile nelle due forme di tre casi di lavorazione, confrontare: (a) la velocità
utensili per un’operazione di tornitura in una certa di taglio che minimizza il costo, (b) la vita utensile,
macchina: inserti non riaffilabili, inserti riaffilabili. (c) il tempo ciclo, (d) il costo per unità di produzio-
I parametri dell’equazione di Taylor per questo ti- ne, (e) il tempo totale per completare il lotto e la
pologia sono: n = 0.25 e C = 300 (m/min) per le velocità di produzione. (f) Qual è la percentuale di
condizioni di taglio considerate. Per gli inserti non tempo trascorso effettivamente impiegato nell’ope-
riaffilabili, il prezzo di ogni inserto è 6.00 €, ogni razione di taglio da ogni utensile? Si raccomanda
inserto contiene quattro taglienti e il tempo di cam- l’uso di un foglio di calcolo.
bio utensile è 1.0 min (inteso come una media del 24. Risolvere il Problema 24, determinando in (a) e (b)
tempo per ruotare l’inserto e quello per sostituirlo la velocità di taglio e la vita degli utensili per mas-
quando tutti i taglienti sono stato utilizzati). Per l’in- simizzare la velocità di produzione. Si raccomanda
serto riaffilabile, il prezzo dell’utensile è 30.00 € e l’uso di un foglio di calcolo.
Rettifica e altri processi di

Capitolo 16
asportazione con abrasivi

Le lavorazioni mediante processi abrasivi si basano sulla rimozione di materiale per


mezzo di particelle dure abrasive che sono di solito agglomerate in una mola. La rettifica
è il processo abrasivo più diffuso. Gli altri processi di asportazione con abrasivi sono
la levigatura, la lappatura, la superfinitura, la lucidatura e la brillantatura. I processi di
asportazione con abrasivi vengono di solito usati come operazioni di finitura, anche se
alcuni permettono di raggiungere alte velocità di rimozione di materiale rendendoli con-
correnti dei processi di asportazione di truciolo convenzionali.
I processi di asportazione con abrasivi sono probabilmente i più antichi metodo di lavo-
razione basato sulla di rimozione di materiale. I processi abrasivi sono importanti sia dal
punto di vista tecnologico che economico per le seguenti ragioni:

• Possono essere usati su una vasta gamma di materiali, dalle leghe leggere, agli
acciai e ai materiali non metallici, come la ceramica e silicio.
• Alcuni di questi processi possono produrre finiture superficiali estremamente spinte,
fino a Ra = 0.025 μm.
• Con alcuni processi abrasivi si possono ottenere delle tolleranze dimensionali molto
strette.

Pur non essendo normalmente annoverati in questa categoria anche le lavorazioni a


getto d’acqua con abrasivo e le lavorazioni ad ultrasuoni, sfruttano l’azione abrasiva per
rimuovere materiale. Questi processi però sono comunemente classificati come proces-
si non convenzionali e come tali verranno descritti nei capitoli seguenti.

16.1 Rettifica

La rettifica è un processo che rimuove materiale grazie all’azione di particelle abrasive


agglomerate in una mola che viene messa in rotazione garantendo elevate velocità su-
perficiali. La mola di solito ha la forma di un disco ed è bilanciata accuratamente per
poter ruotare ad alte velocità.
L’operazione di rettifica può essere paragonata alla fresatura. Il taglio può verifi-
carsi sia sull’estremità che sui lati della mola, analogamente alla fresatura periferica e
frontale. La rettifica periferica è molto più diffusa di quella frontale. Le particelle di
abrasivo della mola di fatto svolgono la funzione di una moltitudine di taglienti che
asportano materiale dal pezzo. Il pezzo tipicamente viene fatto avanzare alimentando
continuamente il processo. Nonostante queste analogie, ci sono anche notevoli differen-
ze tra la rettifica e la fresatura: (1) i grani abrasivi nella mola sono molto più piccoli e
più numerosi dei taglienti della fresa, (2) la velocità di taglio nella rettifica è molto più
elevata che nella fresatura, (3) i granelli abrasivi in una mola sono orientati casualmente
432 Tecnologia meccanica

e possiedono un angolo di spoglia molto negativo e (4) la mola può essere considerata
auto-affilante (man mano che la mola si usura asportando materiale), le particelle abra-
sive si smussano, si fratturano o si staccano dalla mola creando di fatto nuovi taglienti
o lasciando il posto a nuovi grani.

16.1.1  La mola
Una mola è fatta di particelle abrasive e materiale legante. Il legante tiene le particelle
abrasive in posizione e determina la forma e la struttura della mola. Le seguenti cinque
specifiche permettono di classificare le mole: (1) il materiale abrasivo, (2) la dimensione
dei grani, (3) il materiale legante, (4) il grado della mola e (5) la struttura della mola.
Per ottenere un ottimo risultato in una certa applicazione, ogni parametro deve essere
scelto in modo specifico.

Materiale abrasivo  Esistono diversi materiali abrasivi a seconda del materiale da


lavorare. Le caratteristiche generali di un materiale abrasivo usato nelle mole sono l’ele-
vata durezza, la resistenza all’usura, la tenacità e la friabilità. La durezza, la resistenza
all’usura e la tenacità sono proprietà importanti anche per i materiali degli utensili da ta-
glio. La friabilità si riferisce in modo particolare alla capacità del materiale abrasivo di
spezzarsi quando il tagliente del grano si smussa, in modo da creare un nuovo tagliante.
Lo sviluppo degli abrasivi per la rettifica è descritto nella nota storica. Oggi i mate-
riali abrasivi di maggiore importanza commerciale sono l’ossido di alluminio, il carburo
di silicio, il nitruro di boro cubico e il diamante. Questi materiali sono brevemente de-
scritti in Tabella 16.1, che fornisce anche il valore di durezza ad essi associato.

Dimensione del grano  La dimensione del grano delle particelle abrasive è impor-
tante nel determinare la finitura superficiale e la velocità di rimozione del materiale. I
grani piccoli producono una finitura migliore, ma i grani più grandi permettono delle
velocità di rimozione maggiori. Di conseguenza quando si sceglie la dimensione dei
grani, bisogna scegliere quale dei due aspetti enfatizzare. La scelta della dimensione
dei grani dipende anche dal grado di durezza del materiale da lavorare. Lavorare mate-
riali più duri richiede dei grani più piccoli, invece materiali con durezza meno elevata
richiedono grani più grossi.

TABELLA 16.1 Abrasivi più importanti nella rettifica.

Abrasivo Descrizione Durezza Knoop


Ossido di alluminio (Ai2O3) Il materiale abrasivo più comune, usato per rettificare acciaio e altre leghe 2100
di ferro ad alta resistenza.
Carburo di silicio (SiC) Più duro dell’Ai2O3, ma non altrettanto tenace. Le sue applicazioni inclu- 1800
dono i metalli duttili, come l’alluminio, l’ottone, l’acciaio inossidabile e i
materiali fragili, come alcune ghise e ceramiche. Non può essere utiliz-
zato per la rettifica dell’acciaio a causa della forte affinità chimica tra il
carbonio nel SiC e il ferro nell’acciaio.
Nitruro di boro cubico (cBN) Quando viene utilizzato come abrasivo, il cBN è prodotto sotto il nome 5000
commerciale Borazon dalla General Electric Company. Le mole in cBN
sono utilizzate per materiali duri come gli acciai per utensili anche dopo
trattamenti termici e le leghe aerospaziali.
Diamante I diamanti abrasivi sono presenti in natura o sono prodotti sinteticamente. Le 7000
mole diamantate di solito vengono utilizzate in applicazioni di rettifica su
materiali duri e abrasivi, come la ceramica, i carburi cementati e il vetro.
Fonte [11] e altre.
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 433

La dimensione dei grani si misura sfruttando una procedura che vede l’utilizzo di
setacci. Usando questa procedura, ad esempio, ai grani dalle dimensioni più piccole
viene quindi associato un numero elevato che di fatto è legato al numero di maglie del
setaccio con cui i grani vengono selezionati. Viceversa numeri piccoli sono associati a
grani più grandi. La dimensione dei grani usati nelle mole di solito è nell’intervallo tra
8 e 250. Una dimensione 8 indica dei grani molto grossi, mentre una dimensione 250
indica dei grani molto fini. Nella lappatura e nella superfinitura si usano grani ancora
più fini (Paragrafo 16.2)

Materiali leganti  I materiali leganti tengono insieme i grani abrasivi e stabiliscono


la forma e l’integrità strutturale della mola. Le proprietà che deve avere un materiale
legante sono la resistenza, la tenacità, la durezza e la resistenza termica. Il materiale
legante deve sostenere le forze centrifughe e le alte temperature a cui è sottoposta la
mola, resistere alla scheggiatura nell’urto di caricamento e mantenere i grani abrasivi
in posizione per compiere l’azione di taglio, lasciando inoltre staccare quelli che sono
consumati affinché vengano sostituiti dai nuovi grani. I materiali leganti comunemente
usati nelle mole sono riportati in Tabella 16.2.

Struttura e classe della mola  La struttura è una caratteristica associata alla po-
rosità della mola che dipende dalla distanza presente tra i grani abrasivi. Oltre ai grani
abrasivi e al materiale legante, le mole contengono infatti aperture o porosità, come
illustrato in Figura 16.1. La proporzione volumetrica di grani, materiale legante e pori
può essere espressa nel modo seguente:

Pg + Pb + Pp = 1.0 (16.1)

dove Pg è la proporzione di grani abrasivi nel volume complessivo della mola, Pb la pro-
porzione di materiale legante e Pp la proporzione di porosità.
La struttura della mola è misurata su una scala i cui estremi vanno da «aperto» a
«chiuso». Una struttura aperta è una in cui Pp è relativamente grande e Pg è relativamen-
te piccolo, cioè ci sono più pori e meno grani per unità di volume. Al contrario, in una
struttura chiusa Pp è relativamente piccolo e Pg è più grande.

TABELLA 16.2 Materiali leganti usati nelle mole.

Materiale legante Descrizione


Legante vetrificato È composto prevalentemente da argilla cotta e materiali ceramici. La maggior parte delle mole
o ceramico comuni hanno un legante vetrificato. Sono robuste e rigide, resistenti alle alte temperature,
e relativamente immuni all’acqua e agli oli che potrebbero essere utilizzati nei fluidi da taglio.
Legante al silicio È composto da silicato di sodio (Na2SO3). Le sue applicazioni sono in genere limitate alle
situazioni in cui serve ridurre al minimo la generazione di calore, come nella rettifica degli
utensili da taglio.
Legante in gomma È il più flessibile dei materiali leganti e viene utilizzato come materiale legante nelle mole da
taglio.
Legante resinoide È costituito da varie resine termoindurenti, come il fenolo-formaldeide. Ha una resistenza mol-
to elevata e viene utilizzato per operazioni di sgrossatura e di taglio.
Legante in gommalacca Abbastanza resistente ma non particolarmente rigido; viene usato spesso in applicazioni che
richiedono una buona finitura.
Legante metallico I metalli, specialmente il bronzo, sono i materiali leganti più comuni per le mole diamantate e di
cBN. Per legare il metallo e i grani abrasivi sulla superficie della mola si usano le tecniche
di lavorazione di particolato, per risparmiare i costosi materiali abrasivi.
Fonte [11] e altre.
434 Tecnologia meccanica

Figura 16.1  Struttura ti- Porosità


pica di una mola. (Fonte: Materiale (vuoti d’aria)
Fundamentals of Modern legante
Manufacturing, 4th Edi- Grani
tion by Mikell P. Groover, abrasivi
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Di solito le strutture aperte si usano nelle operazioni che richiedono di fornire al ma-
teriale rimosso una zona in cui fluire; ovvero si dà spazio al truciolo prodotto affinché non
interferisca, nella zona di taglio, con il processo vero e proprio. Le strutture chiuse sono
usate per ottenere una migliore finitura superficiale e un miglior controllo dimensionale.
Il grado o durezza della mola indica la capacità del legante di trattenere i grani abrasi-
vi durante il taglio. Questo dipende in gran parte dalla proporzione di legante presente nella
struttura della mola – Pb nell’Equazione (16.1). Il grado viene misurato su una scala che va da
«morbida» a «dura». Mole morbide perdono i grani in fretta, mentre mole dure conservano i
loro grani abrasivi per più tempo. Le mole morbide di solito vengono usate per applicazioni
che richiedono una rimozione minima di materiale e per la rettifica di materiali difficili da
lavorare. Le mole dure vengono usate tipicamente per raggiungere degli alti tassi di rimozio-
ne di materiale e nella rettifica di materiali relativamente facili da lavorare.

Specifiche delle mole  I parametri precedenti si possono riportare sinteticamente in


un sistema standard di marcatura delle mole definito dall’American National Standards
Institute (ANSI) [3]. Questo sistema di codifica usa numeri e lettere per specificare il
tipo abrasivo, la dimensione dei grani, il grado della mola, la struttura e il materiale
legante. La Tabella 16.3 riporta la versione abbreviata dello standard ANSI indicando
come interpretare i numeri e le lettere. Lo standard fornisce anche delle indicazioni
aggiuntive per i costruttori delle mole. Lo standard ANSI per le mole di diamante e di
nitruro di boro cubico è leggermente diverso da quello delle mole tradizionali. Il sistema
di codifica per queste mole più recenti è riportato in Tabella 16.4.
Esistono mole di diverse forme e dimensioni, come mostrato in Figura 16.2. Le
immagini (a), (b) e (c) riportano mole per rettifiche periferiche, nelle quali la rimozione

TABELLA 16.3 Sistema di codifica per le mole tradizionali come definito dallo Standard ANSI B74.13-1977.

30 A 46 H 6 V XX
Simbolo del produttore della
mola (opzionale).
Tipo di legante: B = in resinoide, BF = in resina
rinforzata, E = in gommalacca, R = in gomma,
RF = in gomma rinforzata, S = silicato,
V = vetrificato.
Struttura: La scala varia da 1 a 15: 1 = struttura molto chiusa,
15 = struttura molto aperta.
Grado: La scala va da A a Z: A = molto morbida, M = media M, Z = dura.
Dimensione dei grani: Grossa = grani da 8 a 24, Media = grani da 30 a 60, Fine = grani da
70 a 180, Molto fine = grani da 220 a 600.
Tipo di abrasivo: A = ossido di alluminio, C = carburo di silicio.
Prefisso: Simbolo del costruttore per l’abrasivo (opzionale).
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 435

TABELLA 16.4 Sistema di codifica per le mole in diamante e nitruro di boro cubico come definito dallo Standard ANSI B74.13-1977.

30 A 46 H 6 V XX
Profondità abrasiva = profondità della
regione abrasiva in mm, come mostrato
in Figura 16.2 (c).
Modifica di legante = notazione del costruttore sul
tipo di legante speciale o sua modifica.
Tipo di legante: B = resinoide, M = metallo, V = vetrificato.
Concentrazione: Notazione del costruzione. Può essere un numero o un
simbolo.
Grado: La scala va da A a Z: A = morbida, M = media M, Z = dura.
Dimensione dei grani: Grossa = grani da 8 a 24, Media = grani da 30 a 60, Fine = grani da 70 a
180, Molto fine = grani da 220 a 600.
Tipo di abrasivo: D = diamante, B = nitruro di boro cubico.
Prefisso: Simbolo del costruttore per l’abrasivo (opzionale).

Diametro dell’incavo
Diametro della mola
Profondità dell’incavo
Faccia che
Spessore
esegue la
della mola
rettifica
Diametro del foro per il montaggio
Faccia che esegue
la rettifica

Struttura metallica della mola


Profondità
della superficie
abrasiva Lato che
sull’esterno esegue
della mola la rettifica

Faccia che esegue


la rettifica

Spessore
della faccia Faccia che esegue la rettifica
che esegue
Faccia la rettifica
che esegue
la rettifica

Figura 16.2  Alcune forme standard delle mole: (a) diritta, (b) a due incavi, (c) struttura metallica con abrasivo disposto sulla
circonferenza esterna, (d) mola per operazioni di taglio, (e) mola cilindrica, (f) mola a coppa dritta e (g) mola a coppa svasata.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
436 Tecnologia meccanica

di materiale è effettuato dall’abrasivo presente sulla circonferenza esterna della mola.


L’immagine (d) mostra una tipica mola abrasiva da taglio, che permette quindi anche di
effettuare un taglio periferico. Le mole nelle immagini (e), (f) e (g) usate nella rettifica
frontale, in cui la rimozione del materiale è effettuata dalla superficie piatta della mola.

16.1.2  Analisi del processo di rettifica


I parametri di taglio nella rettifica sono caratterizzati da una velocità molto alta e una
bassa quantità di materiale asportato se confrontata con la fresatura e le altre lavorazio-
ni meccaniche tradizionali. Prendendo la rettifica periferica come esempio, la Figura
16.3 mostra le principali fasi del processo. La velocità periferica della mola è determi-
nata dalla velocità di rotazione della mola:

v = p×D×n(16.1)

dove v è la velocità periferica della mola in m/min, n la velocità del mandrino in giri/
min e D il diametro della ruota in m.
La profondità di taglio d è chiamata, in relazione all’operazione di rettifica consi-
derata, avanzamento (infeed) o profondità di passata della mola ed è la penetrazione
della mola nel pezzo da lavorare. Durante l’operazione, a ogni passata la mola avanza la-
teralmente sulla superficie del pezzo. Questo movimento viene chiamato avanzamento
trasversale (crossfeed) ed è quello che determina l’ampiezza della mola impegnata nel
taglio w, Figura 16.3 (a). Questa quantità, moltiplicata per la profondità, determina la
sezione trasversale del taglio. In molte operazioni di rettifica il pezzo si muove rispetto
alla mola con una certa velocità v w, cosicché la formula del tasso di rimozione del ma-
teriale si può esprimere come:

(16.3)

Ogni grano della mola taglia un truciolo diverso la cui forma longitudinale prima del
taglio è rappresentata in Figura 16.3 (c) e che si assume essere di forma triangolare.
All’uscita del grano dal pezzo, quando la sezione del truciolo è più larga, questo trian-
golo ha altezza t e larghezza w’.
In un’operazione di rettifica, bisogna studiare bene come i parametri di taglio si
combinano con i parametri della mola e influenzano (1) la finitura superficiale, (2) le
forze e l’energia, (3) la temperatura della superficie del pezzo e (4) l’usura della mola.

Finitura superficiale  La operazioni di rettifica vengono eseguite per ottenere fini-


ture superficiali superiori a quelle ottenibili con le lavorazioni meccaniche tradizionali.
La finitura superficiale del pezzo è influenzata dalle dimensioni dei singoli trucioli
che si formano durante la rettifica. Un fattore ovvio che determina la dimensione dei
trucioli è ovviamente la dimensione dei grani: più i grani sono piccoli, migliore sarà la
finitura.
Esaminiamo le dimensioni di un singolo truciolo. Dalla rappresentazione del pro-
cesso di rettifica in Figura 16.3, si può notare che la lunghezza media di un truciolo è
data dalla formula:
(16.4)

dove lc è la lunghezza media del truciolo in mm, D il diametro della mola in mm e d


la profondità di passata, in mm. Questo presuppone che il truciolo venga formato da un
grano che agisce lungo tutto l’arco mostrato nel disegno.
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 437

Velocità di rotazione
Asse di rotazione della mola del mandrino N

(cross-feed)
tc
Avanzamento trasversale

Mola
Mola

Pezzo

Vista frontale Vista posteriore

Figura 16.3  (a) Rappresentazione geometrica di un’operazione di rettifica, che mostra i parametri di taglio; (b) l’impegno tra-
sversale della mola (c) vista della sezione trasversale di un singolo truciolo. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

La Figura 16.3 (c) mostra la sezione trasversale presunta di un truciolo durante la


rettifica. La forma è triangolare di larghezza w’, essendo maggiore dello spessore tc di
un fattore chiamato rapporto di forma del grano, rg, definito come:

(16.5)
tc
I valori tipici di questo rapporto sono tra 10 e 20.
Il numero di grani attivi (denti di taglio) per unità di superficie sulla periferia
esterna della mola viene indicato con la lettera C. Di solito a granulometrie più
piccole sono associati valori di C più alti. C è anche legato alla struttura della mola.
Una struttura più densa significa che ci sono più grani per unità di superficie. Sulla
base del valore di C, si calcola il numero di trucioli che si formano nell’unità di
tempo, nc, come:

Cg(16.6)

dove v è la velocità della mola in mm/min, w è l’avanzamento trasversale in mm e Cg il


numero di grani per unità di superficie sulla mola in grani/mm2. È ovvio che la finitura
superficiale migliora aumentando il numero di trucioli formati sulla superficie di una
data larghezza w per unità di tempo. Quindi, secondo l’Equazione (16.6), la finitura
superficiale migliora aumentando v e/o C.

Forze ed energia  Se la forza necessaria per effettuare un operazione è nota, si può


calcolare l’energia specifica della rettifica:

Uv (16.7)
438 Tecnologia meccanica

Dove Uv è l’energia specifica in J/mm3, Fc la forza di taglio, che è la forza per gui-
dare il pezzo attraverso la mola in N, v la velocità della mola in m/min, v w la velocità
del pezzo in mm/min, w l’impegno trasversale della mola in mm e d la profondità di
taglio, mm (in).
In rettifica, per diversi motivi, l’energia specifica è molto maggiore che nelle lavo-
razioni tradizionali. Il primo è relativo all’effetto di dimensione. Come già descritto
in precedenza, lo spessore del truciolo nella rettifica è molto più piccolo che nelle altre
operazioni di asportazione, come ad esempio in fresatura. A causa di questo effetto,
le dimensioni più piccole dei trucioli fanno sì che l’energia necessaria per rimuovere
un’unità di volume di materiale sia significativamente superiore (circa 10 volte) a quella
di una lavorazione tradizionale.
In secondo luogo, i grani nella mola hanno degli angoli di spoglia molto negativi, in
media all’incirca –30°, ma possono raggiungere anche i –60°. Questi angoli di spoglia
provocano una bassa inclinazione del piano di scorrimento e delle alte tensioni di taglio,
che quindi danno origine a valori più alti di energia.
Il terzo motivo per cui l’energia specifica è maggiore nella rettifica è perché non
tutti i grani sono impegnati nell’operazione di taglio. A causa della disposizione e
dell’orientamento casuale dei grani nella mola, alcuni sono troppo lontani dal piano
di taglio per essere coinvolti nell’operazione. Ci sono tre tipi di azioni dei grani, come
illustrato in Figura 16.4: (a) di taglio, in cui il grano penetra abbastanza a fondo nel
pezzo per formare un truciolo e rimuovere del materiale, (b) di incisione, in cui i grani
penetrano nel pezzo ma non abbastanza per effettuare il taglio, quindi deformano solo
la superficie e si verifica un consumo di energia senza asportazione di materiale e (c)
di sfregamento, in cui i grani entrano in contatto con la superficie durante l’operazione
ma si verifica solo uno sfregamento per attrito, una dissipazione di energia ma senza
rimozione di materiale.
L’effetto di dimensione, gli angoli di spoglia negativi e l’azione poco efficace dei
grani si combinano rendendo il processo di rettifica poco efficiente in termini di consu-
mo di energia per volume di materiale rimosso.
Usando la formula dell’energia specifica dell’Equazione (16.7), e supponendo che la
forza di taglio che agisce su un singolo grano della mola sia proporzionale a rgt, si può
dimostrare [10] che:

K1 (16.8)

dove F’c è la forza di taglio che agisce su un singolo grano, K1 è una costante di propor-
zionalità che dipende dalla resistenza del materiale da tagliare e dalla forma dei grani
e da altri termini già definiti in precedenza. Il significato pratico di questa formula è

Struttura del legante Grano


singolo

Truciolo

Pezzo Attrito sulla


Parte deformata superficie del pezzo

Figura 16.4  Tre tipi di azioni dei grani nella rettifica: (a) di taglio, (b) di incisione e (c) di sfregamento. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 439

che F’c determina se un certo grano verrà staccato dalla mola che rappresenta un fattore
importante nella capacità della mola di auto affilarsi.
Facendo riferimento alla discussione sul grado della mola, una mola dura può esse-
re resa più morbida aumentando la forza di taglio che agisce sui grani attraverso oppor-
tune modifiche di vw, v, d, secondo l’Equazione (16.8).

Temperature sulla superficie del pezzo  A causa dell’effetto di dimensione,


degli angoli di spoglia negativi, dell’incisione e dello sfregamento dei grani sulla su-
perficie del pezzo, il processo di rettifica è caratterizzato da temperature molto alte.
A differenza delle altre lavorazioni meccaniche in cui la maggior parte del calore
generato nel processo viene disperso dai trucioli, nella rettifica la maggior parte del
calore rimane sulla superficie del pezzo. Le temperature superficiali elevate possono
causare diversi effetti indesiderati, soprattutto bruciature e cricche sulla superficie.
Le bruciature si presentano come macchie bluastre sulla superficie causate dal feno-
meno dell’ossidazione ad alta temperatura. Le bruciature da rettifica spesso indicano
anche un’alterazione metallurgica. Le crepe superficiali sono perpendicolari alla di-
rezione della velocità della mola e indicano un danneggiamento termico significativo
della superficie del pezzo.
Il secondo effetto negativo legato alle alte temperature è il rinvenimento. Le opera-
zioni di rettifica vengono infatti spesso eseguite dopo aver sottoposto i pezzi a dei trat-
tamenti termici per incrementarne la durezza: le alte temperature della rettifica possono
causare un rinvenimento e un addolcimento (con riduzione di durezza) della superficie.
Infine, gli sbalzi termici possono originare delle tensioni residue nella parte superficiale
del pezzo, diminuendone quindi la resistenza meccanica.
È importante conoscere i fattori che influenzano la temperatura della superficie
del pezzo. Sperimentalmente, si è osservato che la temperatura dipende dall’energia
per unità di superficie (legata all’energia specifica Uv). Poiché questa quantità varia in
modo inversamente proporzionale allo spessore del truciolo, si può dimostrare che la
temperatura superficiale Ts dipende dai parametri della rettifica secondo la seguente
relazione [10]:

Cgv
K2 (16.9)

dove K2 è una costante di proporzionalità. L’implicazione pratica di questa formula è che


il danno causato dalle alte temperature alla superficie del pezzo può essere attenuato
riducendo la profondità di taglio d, la velocità della mola v e il numero di grani attivi per
pollice quadrato Cg, o aumentando la velocità del pezzo v w. Inoltre, le mole consumate e
quelle che hanno una struttura di tipo duro e denso tendono a causare problemi termici.
Naturalmente, la temperatura può anche essere ridotta utilizzando un fluido da taglio.

Usura della mola  Le mole si usurano, come tutti gli utensili da taglio tradizionali.
Ci sono tre meccanismi principali responsabili dell’usura delle mole: (1) la rottura dei
grani, (2) l’usura per attrito e (3) la rottura del legante. La rottura dei grani si verifica
quando un pezzo di grano si rompe, ma il resto rimane fissato alla mola. I bordi della
zona fratturata diventano i nuovi taglienti della mola. La tendenza del grano a fratturar-
si prende il nome di friabilità. Un’alta friabilità significa che i grani si fratturano più
facilmente a causa delle forze di taglio sui grani F’c.
L’usura per attrito causa uno smussamento dei grani, con conseguente formazione
di zone piatte e spigoli arrotondati. L’usura da attrito è analoga all’usura che si manife-
sta negli utensili da taglio tradizionali. È causata sia da meccanismi fisici simili come
440 Tecnologia meccanica

ad esempio l’attrito e la diffusione, sia da diffusione chimica tra il materiale abrasivo e


il materiale del pezzo che avvengono in presenza di temperature elevate.
La rottura del legante si verifica quando i singoli granuli si staccano dal materiale
che li teneva insieme. Il verificarsi di questo meccanismo dipende tra gli altri fattori
dal grado della mola. Le rotture del legante di solito si verificano perché il grano si è
smussato a causa dell’usura per attrito e la forza di taglio risultante diventa così troppo
alta. Se infatti i grani sono affilati, tagliano in modo più efficiente originando forze di
taglio più basse e conseguentemente rimangono più facilmente vincolati nella legante.
I tre meccanismi si combinano causando un’usura della mola come illustrato in
Figura 16.5. Si possono identificare tre regioni di usura. Nella prima regione, all’inizio
i grani sono affilati e l’usura è accelerata dal fenomeno di rottura dei grani. Questo
corrisponde alla fase di «rodaggio» nell’usura tradizionale. Nella seconda regione, la
velocità con cui la mola si usura è abbastanza costante; si osserva una relazione lineare
tra l’usura della mola e il volume di materiale rimosso. Questa regione è caratterizzata
dall’usura da attrito, con quantità minime di rottura dei grani e rottura di legante. Nella
terza regione della curva di usura della mola, i grani sono ormai arrotondati e la quantità
dell’effetto di incisione e l’attrito aumentano in proporzione al taglio. Inoltre, una parte
dei trucioli intasa i pori della mola. Questo effetto prende il nome di impastamento
della mola e causa un indebolimento dell’azione di taglio della mola e un aumento del
calore e della temperatura superficiale del pezzo. Di conseguenza, l’efficienza della
rettifica diminuisce e il volume di cui si riduce la mola aumenta rispetto al volume del
metallo rimosso.
Il rapporto di rettifica è il termine utilizzato per indicare la pendenza della curva
di usura della mola, cioè

(16.10)

dove GR è l’indice di rettifica, Vw il volume di materiale rimosso e Vg il corrispondente


volume della mola che si consuma nel processo. Il rapporto di rettifica ha più signifi-
cato nella regione di usura lineare della Figura 16.5. I valori tipici di GR vanno da 95
a 125 [5] e sono circa cinque ordini di grandezza inferiori rispetto all’indice analogo
nella lavorazione tradizionale. Il rapporto di rettifica di solito aumenta all’aumentare
della velocità della mola v. La ragione di questo effetto è che la dimensione dei trucioli
formati da ogni grano è più piccola per velocità più elevate, quindi la quantità di rot-
tura dei grani è ridotta. Poiché le alte velocità delle mole migliorano anche la finitura
superficiale, vi è un vantaggio generale ad eseguire rettifiche ad alte velocità. Tuttavia,
quando la velocità diventa troppo alta, l’usura per attrito e la temperatura superficiale

Figura 16. 5  Cur va di


usura tipica di una mola.
Volume di usura della mola

L’usura di solito viene


rappresentata in funzio-
ne del volume di mate-
riale rimosso anzichè del
tempo. Grafico basato su
[16]. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Sons, Inc.) Volume di materiale rimosso
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 441

Velocità periferica della mola m/s Finitura


superficiale

Figura 16.5  Rapporto di


Rapporto di rettifica

rettifica e finitura superfi-


ciale espressi in funzione
della velocità della mola.
Rapporto di rettifica Grafici ottenuti sulla base
di dati in Krabacher [14].
Finitura superficiale (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Velocità periferica della mola ft/min John Wiley & Sons, Inc.)

aumentano, con conseguente riduzione del rapporto di rettifica e degrado della finitura
superficiale. Questo effetto, mostrato in Figura 16.6, è stato notato per la prima volta
da Krabacher [14].
Quando la mola è nella terza regione della curva di usura, deve essere affilata da
una procedura chiamata ravvivatura, che consiste nel (1) rimuovere i grani smussati
sulla periferia esterna della mola in modo da far apparire dei nuovi grani affilati e nel
(2) rimuovere i trucioli che hanno intasato la mola. Questa operazione è eseguita da un
disco rotante, delle barrette abrasive, o un’altra mola ad alta velocità, che vengono mes-
se a contatto con la mola per effettuare la ravvivatura. Anche se la ravvivatura affila la
mola, non garantisce la sua forma. Per quello si usa l’operazione di centratura che non
solo affila la ruota, ma ripristina anche la sua forma cilindrica e il suo perimetro ester-
no. Questa procedura utilizza un utensile con punta di diamante (o altri tipi di utensili
di centraggio) che viene fatto avanzare lentamente e precisamente lungo il profilo della
mola posta in rotazione, ad una profondità molto piccola (0.025 mm o meno).

16.1.3  Considerazioni sull’applicazione della rettifica


In questa sezione si cercheranno di fornire delle considerazioni pratiche partendo dalle
nozioni dei parametri della mola e dall’analisi teorica effettuate sulla rettifica. Verranno
anche descritti i fluidi lubrorefrigeranti che vengono usati nelle operazioni di rettifica.

Linee guida delle applicazione  Ci sono molti fattori che influenzano le presta-
zioni delle operazioni di rettifica. Le linee guida riportate in Tabella 16.5 sono utili
per avere una panoramica sulle varie criticità e le loro possibili soluzioni scegliendo i
parametri corretti della mola e le corrette condizioni di lavorazione.

Fluidi da rettifica  Una corretta applicazione dei fluidi da taglio si è dimostrata ef-
ficace nel ridurre gli effetti termici e le alte temperature superficiali del pezzo, come
descritto in precedenza. Se vengono usati in operazioni di rettifica, i fluidi da taglio
sono chiamati fluidi da rettifica. Le funzioni svolte da questi fluidi sono simili a quelle
dei fluidi da taglio: riducono l’attrito e aiutano a disperdono il calore del processo. Inol-
tre, contribuiscono a portare via i trucioli e a ridurre la temperatura della superficie del
pezzo, azioni sicuramente molto importanti in rettifica.
I fluidi da rettifica sono oli da rettifica e oli emulsionati. Gli oli da rettifica sono
principalmente derivati ​​dal petrolio. Questi prodotti sono molto comuni perché l’at-
442 Tecnologia meccanica

TABELLA 16.5 Linee guida per le applicazioni della rettifica.

Problema applicativo e obiettivo Linee guida e raccomandazioni


Rettifica di acciaio e ghise Usare l’ossido di alluminio come abrasivo
Rettifica di metalli non ferrosi Usare il carburo di silicio come abrasivo
Rettifica di acciaio per utensili induriti e alcune leghe aero- Usare il nitruro di boro cubico come abrasivo
spaziali
Rettifica di materiali duri abrasivi come ceramiche, carburi Usare il diamante come abrasivo
cementati e vetro
Rettifica di materiali morbidi Usare dei grani di dimensione più grossa e un grado della
mola più duro
Rettifica di materiali duri Usare dei grani di dimensione più piccola e un grado della
mola più morbido
Ottimizzazione della finitura superficiale Usare dei grani di dimensione più piccola e una struttura del-
la mola più chiusa, delle velocità della mola (v) maggiori e
delle velocità del pezzo (vw) minori
Massimizzazione della velocità di rimozione del materiale Usare dei grani di dimensione più grossa, una struttura della
mola più aperta e un legante vetrificato
Minimizzazione delle problematiche legate alle alte tempe- Mantenere la mola affilata e ravvivarla frequentemente, utilizza-
rature, delle cricche e della deformazione della superficie re delle profondità di taglio (d) più piccole, delle velocità della
del pezzo mola (v) più basse e delle velocità dei pezzi (vw) più alte
Se la mola si impasta e si brucia Usare una mola con un grado più morbido e una struttura
più aperta
Se la mola si frattura troppo rapidamente Usare una mola con un grado più duro e una struttura più chiusa
Fonti [8], [11] e [16].

trito è un fattore importante nella rettifica. Tuttavia, essi costituiscono un rischio per
l’infiammabilità e l’incolumità degli operatori e il loro costo è elevato rispetto agli oli
emulsionati. Inoltre, la loro capacità di disperdere il calore è minore rispetto ai fluidi a
base acqua. Quindi di solito si preferisce usare delle miscele di olio in acqua come fluidi
da rettifica, in modo da aumentare la riduzione dell’attrito.

16.1.4  Operazioni di rettifica e macchine da rettifica


La rettifica viene usata tradizionalmente per rifinire dei pezzi le cui forme sono già
state create da altre operazioni. Le rettificatrici sono quindi progettate per lavorare
semplici superfici piane, cilindri esterni ed interni e ad esempio filettature (rettifica di
forma). Le rettifiche di forma sono spesso create da mole speciali che hanno la forma
opposta del profilo che va ricavato sul pezzo. La rettifica è utilizzata anche per lavorare
gli utensili da taglio. In aggiunta a questi tipici utilizzi, le applicazioni della rettifica si
stanno diffondendo includendo anche delle operazioni ad alta velocità e ad alto tasso di
rimozione del materiale. In questa sede verranno trattate le seguenti applicazioni: (1)
rettifica per piani, (2) rettifica in tondo, (3) rettifica senza centri, (4) rettifica ad avanza-
mento lento e (5) altre operazioni di rettifica.

Rettifica per piani  La rettifica per piani viene usata per rettificare delle semplici su-
perfici piane. Viene eseguita utilizzando la periferia o la faccia piana della mola. Poiché
il pezzo viene disposto orizzontalmente, la rettifica periferica viene eseguita facendo
ruotare la mola su un asse orizzontale e la rettifica frontale viene eseguita ruotando la
mola su un asse verticale. In entrambi i casi, il movimento relativo del pezzo si ottiene
muovendo di moto alterno il pezzo lungo la mola o ruotandolo. Queste combinazioni di
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 443

orientamenti delle mole e movimenti del pezzo danno origine ai quattro tipi di macchi-
ne rettificatrici illustrate in Figura 16.7.
Tra questi quattro tipi, rettificatrice tangenziale, mostrata in Figura 16.8, è la più
comune. La rettifica si ottiene muovendo il pezzo longitudinalmente alimentando la
mola, la profondità di passata è molto piccola e la mola viene fatta avanzare trasversal-
mente. In queste operazioni, la larghezza della mola è solitamente inferiore a quella del
pezzo.
In aggiunta alla sua applicazione tradizionale, una rettificatrice tangenziale può
essere anche utilizzata per formare dei contorni sagomati speciali usando una mola sa-
gomata. Invece di alimentare la ruota trasversalmente in modo alternato, la mola viene

Velocità della mola v Velocità della mola v

Profondità
Profondità Avanzamento di passata
di passata trasversale w Avanzamento
della mola d
della mola trasversale w

vw
Velocità
Work speed, Velocità
Work speed, vw
del pezzo vw del pezzo vw

Figura 16.7  Quattro tipi


di rettifica per piani: (a)
man dr in o or iz zont al e
con tavola traslante, (b)
Velocità della mola v
mandrino orizzontale con
Profondità Profondità
tavola rotante, (c) man-
di passata di passata
Velocità drino verticale con tavola
della mola d della mola d
della mola v traslante e (d) mandrino
verticale con tavola rotan-
te. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Velocità
Work speed, vw Groover, 2010. Ristampa-
del pezzo vw Velocità
Work speed, vw to con il permesso di John
del pezzo vw Wiley & Sons, Inc.)

Testa della mola


Profondità di passata
della mola
Profondità di passata della mola Colonna
(avanzamento in profondità)
Velocità
Work speed
del pezzo
Mola Figura 16.8 Rettificatri-
Avanzamento
trasversale Pezzo ce per piani a mandrino
orizzontale e piano di la-
Piano di lavoro voro alternato (rettificatri-
ce tangenziale). (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Basamento 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
444 Tecnologia meccanica

fatta affondare verticalmente nel pezzo. Questo tipo di lavorazione si chiama rettifica
a tuffo ed è caratterizzata da una certa velocità di affondamento (in-feed). La sagoma
della mola viene quindi impartita alla superficie del pezzo.
Le rettificatrici a mandrino verticale e tavola traslante (frontali) sono configurate in
modo che il diametro della mola sia maggiore della larghezza del pezzo. Quindi queste
operazioni possono essere eseguite senza utilizzare un movimento trasversale di avan-
zamento. La rettifica viene eseguita muovendo il pezzo longitudinalmente alimentando
la mola. Inoltre la mola viene fatta avanzare verticalmente nel pezzo fino a raggiungere
profondità desiderata. Questa tipologia di rettifica permette di ottenere superfici piane
di ottima qualità
Tra i due tipi di rettifica a piano rotante in Figura 16.7 (b) e (d), quelle a mandrino
verticale sono le più comuni. A causa della superficie relativamente ampia di contatto
tra la mola e il pezzo, le rettificatrici con piano a mandrino verticale possono raggiun-
gere degli elevati tassi di rimozione di materiale se equipaggiate da opportune mole.

Rettifica in tondo  Come suggerisce il nome, la rettifica cilindrica viene usata per
pezzi cilindrici. Queste operazioni di rettifica si dividono fondamentalmente in due
tipi, che sono mostrati in Figura 16.9: (a) la rettifica in tondo esterna e (b) la rettifica in
tondo interna.
La rettifica in tondo esterna (chiamata anche rettifica con centri per distinguerla
dalla rettifica senza centri) è molto simile a un’operazione di tornitura. Le rettificatrici
utilizzate per queste operazioni assomigliano a un tornio in cui il portautensile è sostituito
da un motore ad alta velocità per ruotare la mola. Il pezzo cilindrico ruota tra i centri per
fornire una velocità periferica da 18 a 30 m/min [16], e la mola, che ruota da 1200 a 2000
m/min, esegue la lavorazione. Ci sono due tipi di movimento di avanzamento possibili,
trasversale e di affondamento (che determina poi la profondità di passata), mostrati in Fi-
gura 16.10. Nell’avanzamento trasversale, la mola avanza in direzione parallela all’asse di
rotazione del pezzo. La profondità di passata di solito è nell’intervallo 0.0075-0.075 mm.
A volte sia il pezzo che la mola eseguono un movimento longitudinale alternato, per mi-
gliorare la finitura superficiale. Nell’affondamento, la mola avanza radialmente nel pezzo.
Per questo tipo di movimento di solito si usano delle mole sagomate.
La rettifica in tondo esterna viene usata per effettuare la finitura dei i pezzi che
sono stati precedentemente lavorati al tornio e successivamente trattati termicamente
per raggiungere la durezza desiderata. Tra i componenti lavorabili ci sono ad esempio
gli assi, gli alberi motore, i mandrini, i cuscinetti, le boccole e i rulli per i laminatoi.
L’operazione di rettifica produce la dimensione finale e la finitura superficiale richiesta
su questi pezzi induriti.

Velocità del pezzo

Profondità
di passata Profondità di passata
io: della mola della mola
di
del
Velocità
Figura 16.9  Due tipi di Velocità
a- della mola
rettifica in tondo: (a) ester- della mola
in
na e (b) interna. (Fonte: Movimento di avan-
ci-
Fundamentals of Modern Velocità zamento trasversale
Manufacturing, 4th Edi- del pezzo
tion by Mikell P. Groover, Superficie rettificata
2010. Ristampato con il Superficie originale
permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 445

Velocità Velocità
della mola della mola

Figura 16.10  Due tipi di


Avanzamento Avanzamento movimento di avanza-
della mola Profondità radiale della mola mento nella rettifica in
di passata (in-feed) tondo esterna: (a) avan-
zamento trasversale e (b)
rettifica a tuffo. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Velocità Velocità
2010. Ristampato con il
del pezzo del pezzo
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

La rettifica in tondo interna è simile alla barenatura. Il pezzo viene fissato a una
morsa e ruotato per raggiungere una velocità superficiale da 20 a 60 m/min [16]. Le ve-
locità superficiali della mola sono simili a quelle della rettifica in tondo esterna. La mola
può avanzare in due modi: avanzamento trasversale, Figura 16.9 (b), o avanzare radial-
mente (a tuffo). Ovviamente, il diametro della mola nella rettifica in tondo interna deve
essere inferiore al foro iniziale. Questo spesso significa che il diametro della mola deve
essere molto piccolo, fatto che richiede delle velocità di rotazione molto elevate per ottene-
re le velocità superficiali desiderate. La rettifica in tondo interna viene usata per la finitura
delle superfici interne indurite delle sedi dei cuscinetti e delle superfici delle boccole.

Rettifica senza centri  La rettifica senza centri è un processo alternativo per la rettifica
di superfici cilindriche esterne ed interne. Come suggerisce il nome, il pezzo non è tenuto
tra i centri. Questo comporta una riduzione del tempo di lavoro di spostamento del pezzo e
di conseguenza, un impiego di questo tipo di rettifica nelle operazioni ad alta produzione.
La configurazione della rettifica senza centri esterna (Figura 16.11) consiste di due ruote:
la mola e la mola conduttrice, di guida o di regolazione. I pezzi, che possono essere diversi
pezzi singoli corti o barre lunghe (3-4 m), sono supportati da una lama di supporto e fatti
avanzare attraverso le due ruote. La mola esegue l’asportazione, con velocità superficiali
che vanno da 1200 a 1800 m/min. La mola conduttrice ruota a velocità molto inferiori ed è
leggermente inclinata, di un angolo I, per controllare l’avanzamento del pezzo. Per calcolare
la velocità della linea di avanzamento, si può usare l’equazione seguente [16]:
(16.11)

Mola Direzione
Pezzo dell’avanzamento
Mola conduttrice
operatrice

Figura 16.11 Rettifica
senza centri esterna.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Lama di supporto Angolo Groover, 2010. Ristam-
del pezzo di inclinazione I pato con il permesso di
(Vista posteriore) (Vista laterale) John Wiley & Sons, Inc.)
446 Tecnologia meccanica

Pezzo

Figura 16.12 Rettifica
s enza c entr i inter na .
(Fonte: Fundamentals of Rulli di
Modern Manufacturing, regolazione
4th Edition by Mikell P. Mola di guida
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di Mola
John Wiley & Sons, Inc.)

dove fr è la velocità di avanzamento in mm/min, Dr il diametro della mola di guida


in mm, nr la velocità di rotazione della mola di guida in giri/min e I l’angolo di inclina-
zione della mola di guida.
La configurazione tipica della rettifica senza centri interna è mostrata in Figura
16.12. Al posto della lama di supporto del pezzo ci sono due rulli di regolazione che
mantengono i pezzi in posizione. La mola di guida è sempre leggermente inclinata per
controllare l’avanzamento dei pezzi. A causa della necessità di sostenere la mola, non è
possibile ottenere gli stessi avanzamenti trasversali utilizzati nella rettifica senza cen-
tri esterna, di conseguenza non si possono raggiungere tassi di produzione elevati. Il
vantaggio della lavorazione di rettifica senza centri interna è che permette di ottenere
una concentricità molto stretta tra diametro interno ed esterno del pezzo. Applicazione
tipica è sicuramente la lavorazione di cuscinetti a rulli.

Rettifica ad avanzamento lento o profonda  Una tipologia abbastanza recente


di rettifica è la rettifica ad avanzamento lento (creep-feed), che è stata ideata e messa
a punto intorno al 1958. Questo tipo di rettifica viene eseguita con profondità di taglio
molto elevate e velocità di avanzamento molto basse, da cui prende il nome (avanzamen-
to lento). Il confronto con la rettifica per piani tradizionale è mostrato in Figura 16.13.
Le profondità di taglio nella rettifica profonda sono da 1000 a 10.000 volte superiori
a quelle utilizzate nella rettifica per piani tradizionale e le velocità di avanzamento sono
ridotte di circa la stessa proporzione. Il tasso di asportazione di materiale e la produtti-
vità sono maggiori nella rettifica ad avanzamento lento perché la mola esegue un’azione

Lunghezza della corsa

Profondità Lunghezza della passata


Mola Velocità
di passata d della Velocità
mola Mola della mola
Materiale
da Profondità d
rimuovere
Pezzo Pezzo

Velocità del pezzo Velocità del pezzo (lento)

Figura 16.13  Confronto tra (a) rettifica per piani tradizionale e (b) rettifica ad avanzamento lento. (Fonte: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 447

di taglio continuo. Questo contrasta con la rettifica per piani tradizionale in cui il moto
alternato del pezzo causa una perdita significativa di tempo per ogni corsa.
La rettifica profonda può essere applicata sia alla rettifica per piani che alla rettifica
in tondo esterna. Le applicazioni del primo caso includono rettifica di scanalature e
profili. Questo processo è particolarmente adatto per quei casi in cui il rapporto tra pro-
fondità e larghezza è relativamente grande. Le applicazioni della rettifica in tondo com-
prendono la lavorazione di filettature, degli ingranaggi e di altri componenti cilindrici.
In Europa si usa il termine rettifica in profondità per indicare queste applicazioni di
rettifica in tondo esterna ad avanzamento lento.
L’introduzione delle rettificatrici progettate appositamente per la rettifica profon-
da ha stimolato l’interesse per questo processo. Le caratteristiche di una rettificatrice
sono [11]: elevata stabilità statica e dinamica, slitte ad alta precisione, elevata potenza
del mandrino (fino a due o tre volte superiore a quella delle altre rettificatrici), tavola a
ridotti avanzamenti, sistemi di erogazione di fluidi da rettifica ad alta pressione e dei
sistemi di ravvivatura per ravvivare la mola durante il processo. I vantaggi principali
della rettifica ad avanzamento lento sono (1) gli alti tassi di rimozione del materiale, (2)
una maggior precisione nella formatura delle superfici e (3) una riduzione delle tempe-
rature sulle superfici dei pezzi lavorati.

Altre operazioni di rettifica  Si possono ancora citare brevemente altre operazioni


di rettifica per completare la nostra trattazione. Queste includono la rettifica per uten-
sili, la rettifica a dima, la rettifica a disco, le molatrici (per eliminare bave) e la rettifica
a nastro abrasivo.
Gli utensili da taglio sono fatti in acciaio indurito o altri materiali duri. Le affila-
trici per utensili sono rettificatrici speciali con varie configurazioni usate per affilare
e rigenerare gli utensili da taglio. Hanno dispositivi per il posizionamento e l’orienta-
mento degli utensili per poter rettificare determinate superfici a specifici angoli e raggi.
Alcune rettificatrici per utensili sono di uso generale, mentre altre sono progettate per
lavorare le forme specifiche di alcuni utensili. Le rettificatrici «general purpose» hanno
degli attacchi speciali e delle regolazioni per poter gestire una vasta gamma di utensili.
Le rettificatrici specifiche includono quelle per l’affilatura degli utensili per gli ingra-
naggi, le rettificatrici per le frese, le affilatrici delle brocce e le rettificatrici delle punte
dei trapani.
Le rettificatrici a dima vengono usate di solito per rettificare ad alta precisione i
fori nei pezzi di acciaio temprato. Le applicazioni originali erano le matrici e i punzoni
delle presse. Anche se queste applicazioni sono ancora importanti, queste rettificatrici
oggi sono utilizzate in una vasta gamma di applicazioni che richiedono una precisione
e finitura su componenti temprati. Molte di queste macchine moderne sono contrallate
da dispositivi computerizzati (controllo numerico) in modo automatico.
Le rettificatrici a disco sono rettificatrici con grandi dischi abrasivi montati alle
due estremità di un mandrino orizzontale, come mostrato in Figura 16.14. Il pezzo è
tenuto (di solito manualmente) contro la superficie piana della ruota che esegue l’ope-
razione di rettifica. Alcune macchine hanno due mandrini opposti. Impostando i dischi
alla giusta distanza, il pezzo può essere fatto avanzare automaticamente tra essi da lati
opposti. I vantaggi della rettificatrice a disco sono buona planarità e un buon paralleli-
smo anche per tassi di produzione elevati.
La molatrice è simile a quella a disco. La differenza è che la rettifica viene ef-
fettuata sulla periferia esterna della ruota anziché sulla superficie laterale piatta. Le
mole sono quindi diverse da quelle della rettifica a disco. È utilizzata per operazioni
come la rimozione delle bave dalle colate e dalle forgiature o la lisciatura dei giunti
saldati.
448 Tecnologia meccanica

Protezione

Disco abrasivo
(entrambi i lati)
Mandrino
Figura 16.14  Configura- Tavolo da lavoro
zione tipica di una retti-
ficatrice a disco. (Fonte:
Fundamentals of Modern Macchina
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

La rettifica a nastro abrasivo utilizza particelle abrasive inglobate in un nastro


flessibile, come illustrato in Figura 16.15. Serve avere un supporto per il nastro quando
il pezzo viene premuto contro di esso e questo supporto è fornito da un rullo o una
piastra posti dietro il nastro. Si usa una piastra piatta per i pezzi che devono avere una
superficie piana, mentre si usa una piastra morbida se si vuole che il nastro segua il
contorno del pezzo durante la rettifica. La velocità del nastro dipende dal materiale
da lavorare e in genere è nell’intervallo 750-1700 m/min [16]. Grazie al miglioramento
dei materiali abrasivi e adesivi, la rettifica a nastro abrasivo viene usata sempre più
frequentemente per le applicazioni ad elevati tassi di asportazione. Il termine levigatura
a nastro si riferisce alle applicazioni di rettifica leggera in cui i pezzi vengono premuti
contro il nastro per rimuovere le sbavature e le imprecisioni e per migliorare in modo
rapido e manuale la finitura superficiale.

16.2 Altri processi abrasivi

Oltre alla rettifica, gli altri processi abrasivi sono la levigatura, la lappatura, la super-
finitura, la brillantatura e la lucidature. Questi processi sono utilizzati esclusivamente
come operazioni di finitura. La forma iniziale del pezzo viene creata da un altro pro-
cesso e per migliorare la finitura superficiale si usa uno di questi processi abrasivi. Le
forme tipiche e i valori di rugosità superficiale ottenibili sono indicati in Tabella 16.6.
Si riportano anche i corrispondenti dati della rettifica per poter fare un confronto tra i
processi.
Esiste un’altra classe di operazioni di finitura, detta vibrofinitura, che viene usata
per rifinire insiemi di pezzi anziché pezzi singoli. Questi metodi di finitura di massa
sono anche utilizzati per la pulizia e la rimozione delle bave dai pezzi.

Puleggia folle

v = velocità
del nastro
Figura 16.15  Rettifica a Piastra Pezzo
nastro abrasivo. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- Nastro abrasivo
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley Mandrino
& Sons, Inc.) di azionamento
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 449

TABELLA 16.6 Forme tipiche dei pezzi usati nei processi di levigatura, lappatura, superfinitura, lucidatura e brillantatura.

Rugosità superficiale
Processo Forma tipica mm
Rettifica con grani di dimensione media Superfici piane, cilindri esterni, fori rotondi 0.4-1.6
Rettifica con grani di dimensione piccola Superfici piane, cilindri esterni, fori rotondi 0.2-0.4
Levigatura Fori rotondi (es. dei motori) 0.1-0.8
Lappatura Superfici piane o leggermente sferiche (es. lenti) 0.025-0.4
Superfinitura Superfici piane, cilindri esterni 0.013-0.2
Lucidatura Forme varie 0.025-0.8
Brillantatura Forme varie 0.013-0.4
Fonti [4], [7], [16] e altre.

16.2.1  Levigatura (honing)


La levigatura è un processo abrasivo eseguito da un insieme di barre abrasive. Una
sua tipica applicazione è quella di rifinire i fori dei motori a combustione interna: altre
applicazioni includono i cuscinetti, i cilindri idraulici e le canne dei fucili. Queste ap-
plicazioni raggiungono finiture superficiali di circa 0.12 µm o anche migliori. Inoltre, la
levigatura produce una caratteristica superficie a linee incrociate che tende a mantenere
il lubrificante durante il funzionamento del componente, contribuendo così alla sua
funzionalità e alla sua durata.
Il processo di levigatura di una superficie cilindrica interna è illustrato in Figura
16.16. L’utensile da levigatura consiste di un insieme di barre/elementi abrasivi legate
insieme. In figura è mostrato un utensile a quattro elementi, ma il numero dipende dalla
dimensione del foro. Per fori di piccole dimensioni si usano da due a quattro elementi
(come per le canne dei fucili), mentre per fori più grandi si usano anche più di una
dozzina di elementi. Il movimento dell’utensile in levigatura è una combinazione di
movimenti rotatori e lineari alternati, regolati in modo tale che ogni punto delle barre
abrasive non faccia più volte lo stesso percorso. Questo movimento piuttosto complesso
spiega il disegno a linee incrociate che si vede sulla superficie del foro. Le velocità di
levigatura vanno dai 15 ai 150 m/min [4]. Durante il processo, le barre sono premute
verso l’esterno contro la superficie del foro per produrre l’azione di taglio abrasivo. Le

Azionamento

Giunti cardanici Figura 16.16  Il processo


di levigatura: (a) l’utensile
usato per levigare la su-
perficie interna di un foro
e (b) il disegno superi fia-
le a linee incrociate crea-
Barre o elementi to dall’azione dell’utensi-
abrasivi (4) le durante la levigatura.
Movimento (Fonte: Fundamentals of
alternato Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Movimento rotatorio Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
450 Tecnologia meccanica

pressioni di levigazione vanno da 1 a 3 MPa. L’utensile da levigatura è supportato da


due giunti cardanici, in modo che l’utensile possa seguire l’asse del foro. La levigatura
può allargare e rifinire il foro, ma non può cambiare la sua posizione.
La dimensione dei grani nella levigatura va dai 30 ai 600, e si osserva lo stesso
trade-off tra una migliore finitura e una maggiore velocità di rimozione del materiale
che in rettifica. La quantità di materiale rimosso dalla superficie del pezzo durante
un’operazione di levigatura può arrivare ai 0.5 mm, ma di solito è molto inferiore. Nella
levigatura occorre usare un fluido da taglio per raffreddare e lubrificare l’utensile e
agevolare la rimozione dei trucioli.

16.2.2  Lappatura (lapping)


La lappatura è un processo abrasivo utilizzato per ottenere finiture superficiali di estre-
ma precisione e arrotondamento. Viene utilizzata nella produzione di lenti ottiche, su-
perfici portanti metalliche, estensimetri e altri componenti che necessitano di ottime
finiture. I pezzi metallici soggetti a carichi di fatica e le superfici che devono essere
accoppiate ad altre vengono spesso sottoposti a lappatura.
Anziché usare un utensile con un legante abrasivo, la lappatura utilizza una sospen-
sione fluida di particelle abrasive molto piccole tra il pezzo e l’utensile di lappatura. Il
processo è illustrato in Figura 16.17, dove la lappatura è applicata alla finitura di una
lente. Il fluido con abrasivi è indicato come un composto per lappatura e ha l’aspetto
generale di una pasta gessosa. I fluidi usati per realizzare questi composti sono gli oli e
il cherosene. Gli abrasivi più usati sono l’ossido di alluminio e il carburo di silicio, con
dimensioni dei grani tra 300 e 600. L’utensile di lappatura ha la forma complementare
rispetto a quella del pezzo. Per realizzare il processo, l’utensile viene premuto contro il
pezzo e spostato avanti e indietro sulla superficie seguendo un percorso a otto, sottopo-
nendo tutte le porzioni della superficie alla stessa azione. La lappatura è anche eseguita
a mano, ma le lappatrici meccaniche realizzano il processo con maggiore accuratezza
ed efficienza.
I materiali utilizzati nella lappatura vanno dal ferro alla ghisa, al rame e al piom-
bo. Vengono effettuate anche lappature a componenti in legno. Visto che si utilizza un
composto per lappatura anziché un classico utensile abrasivo, il meccanismo con cui si
svolge questo processo è un po’ diverso da quello della rettifica e della levigatura. Nella
lappatura ci sono due meccanismi alternativi di taglio [4]. Il primo è che le particelle
abrasive ruotano e scorrono tra l’utensile e il pezzo, effettuando tagli molto piccoli su
entrambe le superfici. Il secondo è che gli abrasivi vengono incorporati sulla superficie
esterna dell’utensile, effettuando un’azione di taglio molto simile alla rettifica. Ogni
operazione di lappatura consiste in una combinazione di questi due meccanismi, a se-
conda delle durezze relative del pezzo e dell’utensile. Per utensili in materiali morbidi
predomina il meccanismo per il quale i grani si incorporano nell’utensile, per utensili in
materiali duri predomina quello di rotazione e scorrimento dei grani.

Figura 16.17  Il processo Percorso dell’utensile


di lappatura per la finitu-
ra di una lente. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- Utensile da lappatura
Composto per lappatura
tion by Mikell P. Groover, (con dimensioni dei grani e dei
2010. Ristampato con il pori ingrandite rispetto alla realtà)
permesso di John Wiley Lente iniziale (pezzo)
& Sons, Inc.)
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 451

Moto alternato dell’elemento Barra abrasiva


abrasivo (frequenza alta
e ampiezza bassa) Figura 16.18  Superfini-
tura di una superficie ci-
lindrica esterna. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Pezzo Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Rotazione del pezzo (lenta) & Sons, Inc.)

16.2.3  Superfinitura (superfinishing)


La superfinitura è un processo abrasivo simile alla levigatura. Entrambi i processi uti-
lizzano un barra o un elemento abrasivo in moto alternato e premuto contro la superficie
da rifinire. La superfinitura differisce dalla levigatura per i seguenti aspetti [4]: (1) le
barre sono più brevi, di circa 5 mm, (2) si usano frequenze più alte, fino a 1500 corse al
minuto, (3) si applicano pressioni inferiori tra l’utensile e la superficie del pezzo, sotto
i 0.28 MPa, (4) le velocità del pezzo sono inferiori, minori o uguali a 15 m/min e (5) le
granulometrie sono più piccole. Il movimento relativo tra la barra abrasiva e la super-
ficie del pezzo varia in modo che i singoli grani non percorrano sempre lo stesso per-
corso. Per raffreddare la superficie del pezzo e portare via i trucioli si usa un fluido da
taglio. Il fluido tende ad allontanare la barra abrasiva dalla superficie del pezzo quando
si raggiunge un certo livello di scorrevolezza, impedendo l’ulteriore azione di taglio.
Il risultato di queste condizioni provoca le finiture a specchio con valori di rugosità
superficiale intorno agli 0.025 µm. La superfinitura può essere utilizzata per la finitura
di superfici piane e cilindriche esterne. Il procedimento è illustrato in Figura 16.18 per
una superficie cilindrica esterna.

16.2.4  Lucidatura (polishing) e pulitura (buffing)


La lucidatura viene utilizzata per rimuovere graffi e sbavature e per lisciare delle su-
perfici ruvide mediante grani abrasivi fissati ad un disco di lucidatura rotante ad alta
velocità, circa 2300 m/min. I dischi sono realizzati in tela, pelle, feltro e persino carta,
quindi sono molto flessibili. I grani abrasivi sono incollati sulla superficie esterna del
disco. Quando gli abrasivi sono usurati e consumati, il disco viene rifornito di nuovi
grani. Le dimensioni dei grani sono da 20 a 80 per una lucidatura grezza, da 90 a 120
per una lucidatura fine e oltre 120 per una rifinitura fine. Le operazioni di lucidatura
sono spesso eseguite manualmente.
La pulitura in apparenza è simile alla lucidatura, ma la sua funzione è diversa, per-
ché viene usata per rendere brillanti le superfici. I dischi da brillantatura sono fatti con
materiali simili a quelli utilizzati per la lucidatura – pelle, feltro, cotone ecc. – ma sono
più morbidi. Gli abrasivi sono molto fini e sono contenuti in un composto che viene
premuto sulla superficie esterna della disco mentre ruota, al contrario della lucidatura
in cui i grani abrasivi sono incollati sulla superficie del disco. Come nella lucidatura, le
particelle abrasive devono essere periodicamente reinserite. Anche la pulitura viene di
solito eseguita manualmente, anche se esistono delle macchine che possono eseguire il
processo automaticamente. Le velocità in genere sono di 2400-5200 m/min.
452 Tecnologia meccanica

Bibliografia

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Domande di ripasso
  7. In rettifica la temperatura nella zona di lavoro può
1. Perché i processi abrasivi sono importanti sia tec- essere molto elevata. Perché può essere è dan-
nologicamente che commercialmente? noso?
2. Quali sono i cinque parametri di base che caratte-   8. Quali sono i tre meccanismi di usura della mola?
rizzano una mola?   9. Cosa si intende per ravvivatura della mola?
3. Quali sono i principali materiali abrasivi utilizzati nel- 10. Cosa si intende per centratura della mola?
le mole? 11. Quale materiale abrasivo si può usare per la retti-
4. Cos’è la struttura della mola? fica di un utensile da taglio in carburo cementato?
5. Cos’è di grado della mola? 12. Quali sono le funzioni dei fluidi da taglio in rettifica?
6. Perché i valori di energia specifici sono molto più alti 13. Che cos’è la rettifica senza centri?
nella rettifica che nei processi di lavorazione tradi- 14. In cosa differisce la rettifica ad avanzamento lento
zionali, come ad esempio in fresatura? o profonda rispetto alla rettifica tradizionale?
Rettifica e altri processi di asportazione con abrasivi 453

15. In cosa differisce le rettifica a nastro abrasivo ri- 16. Descrivere altri processi abrasivi che si possono
spetto a un’operazione di rettifica per piani tradi- usare per ottenere delle finiture superficiali molto
zionale? buone.

Problemi
5. In un’operazione di rettifica senza centri, la mola ha
1. In un’operazione di rettifica il diametro della mola è un diametro di 200 mm e la ruota di regolazione di 125
150 mm e la profondità di passata è 0.07 mm. La ve- mm. La mola ruota a 3000 giri/min e la mola di guida
locità della mola è 1450 m/min, la velocità del pezzo o di regolazione a 200 giri/min. L’angolo di inclinazione
di 0.25 m/s e l’avanzamento trasversale di 5 mm. Il della ruota di regolazione è 2.5°. Determinare la veloci-
numero di grani attivi per unità di superficie della tà di avanzamento attraverso la mola di pezzi cilindrici
mola è 0.75 grani/mm2. Determinare (a) la lunghez- di diametro di 25.0 mm e lunghi 175 mm.
za media dei trucioli, (b) il tasso di asportazione di 6. In un’operazione di rettifica senza centri, la ruota di
materiale e (c) il numero di trucioli che si formano guida ha un diametro di 150 mm e ruota a 500 giri/
per unità di tempo quando la mola esegue l’opera- min. A quale angolo di inclinazione delle essere im-
zione nel pezzo. postata, se si desidera fare passare attraverso la
2. In un’operazione di rettifica si impostano i seguenti mola un pezzo lungo 3.5 m con diametro di 18 mm
parametri: diametro della mola = 152,4 mm, profon- in esattamente 30 secondi?
dità di passata = 7,62 × 10 –3 m, velocità della mola 7. Si vogliono confrontare i tempi ciclo necessari per
= 1,45 m/min, velocità del pezzo = 15,24 m/min, rettificare un certo pezzo utilizzando la rettifica per
avanzamento trasversale = 5,08 mm. Il numero gra- piani tradizionale e la rettifica ad avanzamento len-
ni attivi per pollice quadrato di superficie della ruota to. Il pezzo è lungo 200 mm, largo 30 mm e spesso
è 500. Determinare (a) la lunghezza media dei tru- 75 mm. Per poter effettuare il confronto, la mola in
cioli, (b) il tasso di asportazione di materiale e (c) il entrambi i casi ha un diametro di 250 mm, una lar-
numero di trucioli che si formano per unità di tempo ghezza di 35 mm e una velocità di 1500 giri/min. Si
quando la mola esegue l’operazione nel pezzo. vuole rimuovere 25 mm di materiale dalla superficie.
3. Si usa un’operazione di rettifica cilindrica interna Usando la rettifica tradizionale, la profondità è pari
per finire un foro interno da un diametro iniziale di a 0.025 mm e la mola attraversa due volte (avanti e
250.00 mm a un diametro finale di 252.5 mm. Il foro indietro) tutto il piano di lavoro ad ogni passata pri-
è lungo 125 mm. Nell’operazione si usa una mola ma di impostare nuovamente l’avanzamento. Non c’è
con un diametro di 150.00 mm e larga 20,00 mm. avanzamento trasversale perché la larghezza della
Dopo l’operazione, il diametro della mola si è ridotto mola è maggiore della larghezza del pezzo. La velo-
a 149.75 mm. Determinare l’indice di rettifica di que- cità del pezzo ad ogni passata è di 12 m/min, ma la
sta operazione. mola oltrepassa i suoi lati esterni da entrambe le par-
4. In un’operazione di rettifica superficiale eseguita su ti. Considerando l’accelerazione e la decelerazione,
acciaio al carbonio temprato, la mola ha un diametro la mola è impegnata nel lavoro per il 50% del tempo
di 200 mm e una larghezza di 25 mm. La mola ruota ad ogni passata. Usando la rettifica ad avanzamento
a 2400 giri/min, con una profondità di taglio (pro- lento, l’avanzamento in profondità aumenta di 1000 e
fondità) di 0.05 mm/passata e un avanzamento tra- l’avanzamento in avanti diminuisce di 1000. Quanto
sversale di 3.50 mm. La velocità del pezzo in moto tempo serve per completare l’operazione (a) con la
alternato è 6 m/min e l’operazione viene eseguita a rettifica tradizionale e (b) con la rettifica profonda?
secco. Determinare (a) la lunghezza del contatto tra 8. Si vuole rettificare una lega di alluminio mediante
la ruota e il pezzo e (b) la percentuale in volume del un’operazione di rettifica cilindrica esterna per ot-
metallo rimosso. (c) Sapendo che ci sono 64 grani/ tenere una buona finitura superficiale. Descrivere i
cm2 attivi sulla superficie della mola, stimare il nu- parametri appropriati della mola e le condizioni di
mero di trucioli che si formano per unità di tempo. rettifica per questa operazione.
(d) Qual è il volume medio per truciolo? (e) Sapendo 9. Si vuole riaffilare una broccia in acciaio (temprato)
che la forza di taglio tangenziale sul pezzo è di 25 N, per ottenere una buona finitura. Descrivere i para-
calcolare l’energia specifica di questa operazione. metri appropriati della mola per questa operazione.
Processi di lavorazione

Capitolo 17
non convenzionali

I processi di lavorazione tradizionali (come la tornitura, la foratura e la fresatura) utilizzano


un utensile da taglio affilato per rimuovere dei trucioli di materiale dal pezzo attraverso una
deformazione a taglio. Oltre a questi processi tradizionali, esiste un gruppo di processi
g- che utilizza altri meccanismi di rimozione del materiale. Il termine lavorazione non con-
li. venzionale si riferisce a questo gruppo di processi che rimuovono il materiale in eccesso
di mediante varie tecniche che utilizzano energia meccanica, termica, elettrica o chimica (o
una loro combinazione). Questi processi non fanno uso di utensili da taglio tradizionali.
ia I processi non convenzionali sono stati sviluppati durante la Seconda Guerra Mondiale
in gran parte come risposta alle nuove esigenze di lavorazione che non potevano essere
La
soddisfatte con i metodi tradizionali. I requisiti e la conseguente importanza commercia-
la le e tecnologica dei processi non convenzionali sono i seguenti.
z-
te • La necessità di lavorare metalli e non metalli innovativi. Questi nuovi materiali hanno
ni proprietà speciali (elevata resistenza, durezza e tenacità) che li rendono difficili o
impossibili da lavorare con i metodi tradizionali.
e-
• La necessità di realizzare delle forme particolari e/o complesse che sono quasi
in
impossibili da realizzare mediante i metodi di lavorazione tradizionali.
4) • La necessità di evitare i danni superficiali che spesso si verificano per le tensioni
le create dalle lavorazioni tradizionali.
o
Molti di questi requisiti sono associati all’industria aerospaziale e elettronica, che sono diventate
sempre più importanti negli ultimi decenni. Ci sono letteralmente dozzine di processi di lavora-
zione non convenzionali, la maggior parte dei quali sono unici nella loro gamma di applicazioni.
In questo capitolo, vengono discussi quelli più importanti dal punto di vista commerciale. Una
trattazione più dettagliata di questi metodi non convenzionali si può trovare nei riferimenti citati.
si- I processi non convenzionali si possono classificare in base alla forma di energia princi-
he pale che utilizzano per effettuare la rimozione del materiale. Secondo questa classifica-
il zione, ci sono quattro tipi di processi di lavorazione non convenzionali.
mo
1. Meccanici. Questi processi usano l’energia meccanica in una forma diversa
dall’azione di un utensile da taglio tradizionale. Un tipico esempio di azione mecca-
nica usata in questi processi è l’erosione del materiale da parte di un flusso ad alta
a- velocità di fluidi o particelle abrasive (o entrambi).
ta 2. Elettrici. Questi processi utilizzano l’energia elettrochimica per rimuovere il mate-
ae riale, attraverso un meccanismo che è l’opposto dell’elettrodeposizione.
ce 3. Termici. Questi processi utilizzano l’energia termica per tagliare o modellare il pez-
in zo. L’energia termica viene generalmente applicata a una porzione molto piccola
della superficie del pezzo, provocando la rimozione per fusione e/o vaporizzazione.
L’energia termica è generata tramite conversione di energia elettrica.
4. Chimici. La maggior parte dei materiali (in particolare i metalli) sono suscettibili
all’attacco chimico da parte di acidi o altri mordenti. Nei processi chimici, si usano
delle sostanze chimiche che rimuovono selettivamente delle parti di materiale, men-
tre il resto viene protetto da una maschera.
456 Tecnologia meccanica

17.1  Processi meccanici

In questa sezione esaminiamo i processi non convenzionali che utilizzano l’energia


meccanica in modo diverso dagli utensili da taglio: (1) la lavorazione a ultrasuoni, (2) i
processi a getto d’acqua e (3) altri processi abrasivi.

17.1.1  Lavorazione a ultrasuoni


La lavorazione a ultrasuoni (ultrasonic machining, USM) è un processo di lavorazione
non convenzionale in cui degli abrasivi contenuti in un fluido vengono diretti ad alta
velocità contro il pezzo da un utensile vibrante a bassa ampiezza e alta frequenza. Le
ampiezze sono circa 0,075 mm e le frequenze circa 20000 Hz. L’utensile oscilla in
direzione perpendicolare alla superficie lavorata e viene fatto avanzare lentamente nel
pezzo, in modo da imprimere la propria forma. Tuttavia, è l’azione degli abrasivi, che
urtano la superficie, a eseguire l’asportazione di materiale. La configurazione generale
del processo USM è illustrata in Figura 17.1.
I materiali per utensili usati di solito nella lavorazione a ultrasuoni sono l’acciaio
dolce e l’acciaio inossidabile. I materiali abrasivi includono il nitruro di boro, il carburo
di boro, l’ossido di alluminio, il carburo di silicio e il diamante. La granulometria è
compresa tra 100 e 2000. L’ampiezza delle vibrazioni va impostata circa uguale alla
granulometria e la dimensione del gap tra utensile e pezzo deve essere mantenuta pari
a circa due volte la dimensione dei grani. La dimensione dei grani determina la finitura
superficiale sulla nuova superficie del pezzo. Oltre alla finitura superficiale, anche il
tasso di rimozione di materiale è una variabile importante nella valutazione delle pre-
stazioni della lavorazione a ultrasuoni. Fissato il materiale target, il tasso di rimozione
aumenta all’aumentare della frequenza e dell’ampiezza della vibrazione.
L’azione di taglio a ultrasuoni agisce sia sull’utensile sia sul pezzo. Mentre le par-
ticelle abrasive erodono la superficie del pezzo, erodono allo stesso modo l’utensile,
modificando così la sua forma. È quindi importante conoscere il volume di materiale
rimosso del pezzo e dell’utensile durante il processo, analogamente all’indice di retti-
fica. Questo rapporto tra il materiale rimosso dal pezzo e l’usura dell’utensile varia a
seconda del materiale da lavorare e va da circa 100:1 per il taglio del vetro fino a circa
1:1 per il taglio dell’acciaio per utensili.
Il fluido abrasivo è costituito da una miscela di acqua e particelle abrasive. La
concentrazione degli abrasivi nell’acqua varia dal 20% al 60% [5]. Il fluido abrasivo
deve essere fatto scorrere in modo continuo per avere sempre grani nuovi in azione tra
l’utensile e il pezzo. Il fluido serve anche a portare via i trucioli e i grani usurati dal
processo di taglio.

Vibrazioni ad alta frequenza

Fluido
abrasivo

Utensile Flusso

Figura 17.1  Lavorazione a ul-


trasuoni. (Fonte: Fundamentals Pezzo
of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permes-
so di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 457

Lo sviluppo della lavorazione a ultrasuoni è stato motivato dalla necessità di lavo-


rare materiali duri e fragili, come la ceramica, il vetro e i carburi. Questa lavorazione
è anche usata su alcuni metalli come l’acciaio inossidabile e il titanio. Le forme che si
possono ottenere con la lavorazione a ultrasuoni sono i fori non rotondi, i fori lungo
un asse curvo e le forme che derivano da operazioni di coniatura, in cui si imprime il
disegno dell’utensile su una superficie piana.

17.1.2  Processi a getto d’acqua


I due processi descritti in questa sezione rimuovono il materiale mediante flussi d’acqua
pura o flussi di acqua e abrasivi a alta velocità.

Taglio a getto d’acqua  Il taglio a getto d’acqua (water jet cutting, WJC) usa un
sottile flusso d’acqua ad alta velocità diretto sulla superficie del pezzo per produrre il
taglio, come illustrato in Figura 17.2. Per ottenere il flusso di acqua si usa un ugello con
un diametro molto piccolo, da 0.1 a 0.4 mm. Per fornire l’energia sufficiente per il taglio,
si usano pressioni fino a 600 MPa e il getto raggiunge velocità fino a 900 m/s. Il liquido
è pressurizzato al valore desiderato da una pompa idraulica.
Il componente ugello è costituito da un supporto in acciaio inox e da un ugello vero
e proprio in zaffiro, rubino o diamante. Il diamante dura più a lungo, ma è più costoso.
Si deve usare un sistema di scarico o una vasca di raccolta per rimuovere i trucioli
prodotti durante il taglio.
I fluidi da taglio nel WJC sono acqua pura o soluzioni polimeriche, particolarmente
adatte per la loro tendenza a produrre un flusso coerente. I fluidi da taglio sono già
stati discussi nel contesto della lavorazione tradizionale, ma il termine non è mai stato
appropriato come nel WJC.
I parametri di processo più importanti includono la distanza di stand-off, il diametro
dell’ugello, la pressione dell’acqua e la velocità di avanzamento della testa taglio. Come
mostrato in Figura 17.2, la distanza di stand-off è la distanza tra l’uscita dell’ugello e la
superficie del pezzo. Di solito si cerca di mantenere piccola questa distanza per minimiz-
zare la defocalizzazione del fluido prima che arrivi sulla superficie del pezzo. Una tipica
distanza di stand-off è 2-3 mm. La dimensione del foro dell’ugello influisce sull’accura-
tezza del taglio: diametri più piccoli vengono usati per effettuare tagli di precisione su
materiali sottili. Per effettuare tagli su materiali più spessi, si devono usare getti d’acqua

Acqua
ad alta pressione Valvola

Ugello

Distanza di stand-off Getto d’acqua

Figura 17.2  Taglio a getto d’acqua. (Fon-


Pezzo
te: Fundamentals of Modern Manufac-
turing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
Scarico 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
458 Tecnologia meccanica

più grandi e pressioni maggiori. La velocità di avanzamento si riferisce alla velocità con
cui l’ugello si sposta per seguire il percorso di taglio. Velocità di avanzamento tipiche
variano dai 5 mm/s a più di 500 mm/s, a seconda del materiale lavorato e del suo spessore
[5]. Il processo WJC di solito è automatizzato mediante il controllo numerico o l’uso di
robot industriali per muovere la testa di taglio lungo la traiettoria desiderata.
Il taglio a getto d’acqua può essere utilizzato in modo efficace per tagliare fessure
sottili su pezzi piani in plastica, tessuti, materiali compositi, piastrelle per pavimenti,
moquette, cuoio o cartone. Esistono delle celle robotizzate in cui il getto d’acqua viene
usato come utensile per realizzare tagli complessi in tre dimensioni, come il taglio e la
rifilatura dei cruscotti delle automobili prima del montaggio [9]. In queste applicazioni,
i vantaggi del WJC sono: (1) non deforma e non brucia la superficie del pezzo, come
invece accade per altri processi meccanici o termici, (2) si ha una perdita di materiale
minima in quanto il diametro del getto è molto piccolo, (3) non si produce nessun in-
quinamento ambientale e (4) il processo è facile da automatizzare. Una limitazione del
WJC è che il processo non è adatto per il taglio di materiali fragili (come il vetro) a
causa della loro tendenza a rompersi (in questi casi è necessario un getto idroabrasivo).

Taglio a getto d’acqua abrasivo  Quando il WJC è usato su pezzi metallici, di


solito per permettere il taglio si devono aggiungere particelle abrasive al fluido. Que-
sto processo prende quindi il nome di taglio a getto idroabrasivo (abrasive water jet
cutting, AWJC). L’introduzione delle particelle abrasive nel flusso complica il processo
incrementando il numero di parametri che devono essere controllati. I parametri che
si aggiungono sono la dimensione dei grani e la portata del flusso di abrasivo, oltre al
diametro di un ulteriore ugello, detto focalizzatore, posizionato a valle della camera in
cui l’abrasivo viene miscelato al getto d’acqua (camera di miscelazione) e utilizzato per
focalizzare il getto idroabrasivo e renderlo coerente. I materiali abrasivi solitamente
usati sono l’ossido di alluminio, il biossido di silicio e il granato (un minerale silicato),
che hanno delle granulometrie comprese tra 60 e 120. Le particelle abrasive vengono
aggiunte al flusso dell’acqua a circa 0,25 kg/min.
Gli altri parametri del processo sono gli stessi del WJC: il diametro dell’ugello, la
pressione dell’acqua e la distanza di stand-off. Il diametro dell’ugello va da 0,25 a 0,63
mm, quindi è un po’ più grande rispetto al taglio a getto d’acqua, per dare al flusso una
portata e un’energia superiori prima dell’iniezione degli abrasivi. Le pressioni dell’ac-
qua e la distanza di stand-off sono circa uguali al WJC.

17.1.3  Altri processi abrasivi non convenzionali


Altri due processi meccanici usano degli abrasivi per effettuare la rimozione di bave,
la lucidatura e altre operazioni che consistono nella rimozione di piccolissime quantità
di materiale.

Lavorazione a getto abrasivo  Da non confondere con l’AWJC, il processo chia-


mato lavorazione a getto abrasivo (abrasive jet machining, AJM), è un processo di rimo-
zione di materiale che usa un flusso di gas ad alta velocità contenente piccole particelle
abrasive, come mostrato in Figura 17.3. Il gas è secco e vengono utilizzate pressioni da
0,2 a 1,4 MPa per farlo uscire da un ugello di diametro da 0,075 a 1,0 mm a una velocità
da 2,5 a 5,0 m/s. Il gas può essere aria secca, azoto, anidride carbonica o elio.
Il processo viene di solito eseguito manualmente da un operatore che dirige l’ugello
sul pezzo. Le distanze tipiche tra l’uscita dell’ugello e la superficie del pezzo variano
tra i 3 mm e i 75 mm. La postazione di lavoro deve garantire una ventilazione adeguata
per l’operatore.
Processi di lavorazione non convenzionali 459

Miscela di gas e abrasivi Valvola

Sistema di scarico
Testa di taglio
manuale Figura 17.3  Lavorazione
a getto abrasivo. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
Flusso di gas e abrasivi tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Pezzo permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

L’AJM viene usato come processo di finitura e non come processo di taglio per la
produzione. Le sue applicazioni sono la rimozione di bave, la rifilatura, la pulitura e la
lucidatura. I materiali su cui ha un effetto migliore sono quelli duri e fragili (come il
vetro, il silicio, la mica e la ceramica) in forme piatte e sottili. Gli abrasivi tipici usati
in AJM sono l’ossido di alluminio (per l’alluminio e l’ottone), il carburo di silicio (per
l’acciaio inox e la ceramica) e le sfere di vetro (per la lucidatura). I grani sono piccoli,
di diametro da 15 a 40 μm, e devono essere di dimensioni uniformi. Gli abrasivi non
si possono riciclare in quanto i grani utilizzati si rompono (e quindi diminuiscono di
dimensione), si usurano e si contaminano.

Lavorazione a flusso abrasivo  Questo processo è stato sviluppato nel 1960


per rimuovere le bave e lucidare le parti difficili da raggiungere usando delle parti-
celle abrasive miscelate con un polimero viscoelastico, che viene forzato a scorrere
attraverso o attorno alle superfici e ai bordi del pezzo. Il polimero ha la consistenza
di uno stucco. L’abrasivo che viene usato di solito è il carburo di silicio. La lavora-
zione a flusso abrasivo (abrasive flow machining, AFM) è particolarmente adatta
per le superfici interne che spesso sono inaccessibili agli altri metodi tradizionali.
Il composto di abrasivo e polimero scorre lungo le superfici del pezzo a pressioni
comprese tra 0,7 e 20 MPa. Oltre a rimuovere le bave e a lucidare, le altre applica-
zioni dell’AFM includono la formazione di raggi sui bordi taglienti, la rimozione
delle superfici ruvide dalle colate e altre operazioni di finitura. Queste applicazioni
vengono usate nei settori aerospaziale e automobilistico e per la realizzazione di
stampi. Il processo può essere automatizzato per rifinire centinaia di pezzi all’ora
a costi contenuti.
Una tipica configurazione è quella in cui il pezzo viene posizionato tra due cilindri
contrapposti, uno contenente il flusso e l’altro vuoto. Il flusso è costretto a scorrere
attraverso il pezzo da un cilindro all’altro, continuando così fino a rimuovere tutto il
materiale necessario e a raggiungere la finitura finale.

17.2  Processi elettrochimici

Un gruppo importante di processi non convenzionali utilizza l’energia elettrica per ri-
muovere il materiale. Questo gruppo è identificato con il termine di processi elettro-
chimici perché l’energia elettrica è utilizzata in combinazione con reazioni chimiche
per realizzare la rimozione. In effetti questi processi sono l’opposto dell’elettrodeposi-
zione. In questi processi il materiale lavorato deve essere un buon conduttore.
460 Tecnologia meccanica

17.2.1  Lavorazione elettrochimica


Il processo di base di questo gruppo è la lavorazione elettrochimica (electrochemical
machining, ECM). La lavorazione elettrochimica rimuove delle parti di un metallo elet-
tricamente conduttivo per dissoluzione anodica: la forma del pezzo si ottiene mediante
un utensile che funge da elettrodo posizionato in prossimità, ma non a contatto, del pez-
zo e da un elettrolita che scorre rapidamente. L’ECM è fondamentalmente l’operazione
opposta alla deposizione. Come illustrato in Figura 17.4, il pezzo è l’anodo e l’utensile
è il catodo. Il principio alla base del processo di deposizione consiste nella rimozione
di materiale dall’anodo (polo positivo) e nella deposizione sul catodo (polo negativo)
all’interno di un bagno elettrolitico. La differenza è che il bagno elettrolitico dell’ECM
scorre a alta velocità tra i due poli per portare via il materiale rimosso, in modo che non
si depositi sull’utensile.
L’utensile elettrodo, generalmente di rame, ottone o acciaio inossidabile, è proget-
tato per avere una forma approssimativamente complementare a quella del pezzo finale.
Si deve prevedere una certa differenza di forma per la distanza esistente tra l’utensile
e il pezzo. Per realizzare la rimozione del metallo, l’elettrodo viene fatto avanzare nel
pezzo a una velocità pari alla velocità di rimozione del metallo. La rimozione del me-
tallo segue la prima legge di Faraday, in cui si afferma che la quantità di variazione
chimica prodotta da una corrente elettrica (cioè, la quantità di metallo disciolto) è pro-
porzionale alla quantità di carica passata (corrente x tempo):

V = CIt(17.1)

dove V è il volume di metallo rimosso in mm3, C è una costante chiamata tasso di


rimozione specifica, che dipende dal peso atomico, dalla valenza e dalla densità del
materiale lavorato, in mm3/As, I la corrente in A e t il tempo in s.
In base alla legge di Ohm, è noto che la corrente I = E/R, dove E è la di tensione e R
la resistenza. Nell’ECM, la resistenza è data da:

(17.2)

dove g è la distanza tra l’elettrodo e il pezzo da lavorare in mm, r la resistività dell’elet-


trolita in Ωm e A l’area della superficie della distanza tra il pezzo e l’utensile in mm 2.

Avanzamento dell’utensile
Supporto dell’utensile
e meccanismo
di avanzamento

Flusso elettrolitico
Utensile (catodo)
Isolamento

Elettrolita

Figura 17.4  Lavorazione


elettrochimica. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- Pezzo (anodo)
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 461

TABELLA 17.1  Valori tipici del tasso di rimozione specifico di materiale C nella lavorazione elettrochimica.

Tasso di rimozione Tasso di rimozione


specifico specifico
Materiale lavoratoa mm3/amp-sec Materiale lavoratoa mm3/amp-sec
Alluminio (3) 3.44 × 10–2 Acciai:
Rame (1) 7.35 × 10–2 Bassolegati  3.0 × 10–2
Ferro (2) 3.69 × 10 –2
Altolegati 2.73 × 10–2
Nichel (2) 3.42 × 10 –2
Inossidabili 2.46 × 10–2
Titanio (4) 2.73 × 10–2
Fonte [8].
a
La valenza più comune usata per determinare C è indicata tra parentesi. Per valori di valenza diversi bisogna
moltiplicare C per la valenza più comune e dividerlo per la valenza effettiva.

Sostituendo questa espressione di R nella legge di Ohm, si ha:

(17.3)

E sostituendo nuovamente questa equazione nell’equazione della legge di Faraday:

(17.4)

Conviene convertire questa equazione in un’espressione in funzione della velocità di


avanzamento, ossia la velocità con cui l’elettrodo (utensile) viene fatto avanzare nel pez-
zo. Questa conversione può essere fatta in due passi. Primo, dividere l’Equazione (17.4)
per At (Area x tempo) per convertire il volume del metallo rimosso in un tasso lineare:

fr (17.5)

dove fr è la velocità di avanzamento in mm/s. Secondo, sostituire I/A al posto di E/(gr),


come deriva dall’Equazione (17.3). Quindi, la velocità di avanzamento in ECM è:

fr (17.6)

dove A è l’area frontale dell’elettrodo in mm 2, cioè l’area dell’utensile proiettata nella


direzione di avanzamento. I valori della velocità specifica di rimozione C per diversi
materiali sono riportati in Tabella 17.1. È da notare che questa equazione assume che
l’efficienza di rimozione del metallo sia il 100%. In realtà il rendimento reale è compre-
so tra il 90% e il 100% e dipende dalla forma dell’utensile, dalla tensione, dalla densità
di corrente e da altri fattori.

Esempio 17.1 Lavorazione elettrochimica


Si vuole utilizzare l’ECM per eseguire un foro in una piastra di alluminio spessa 12 mm.
Il foro ha una sezione trasversale rettangolare, di 10 mm per 30 mm. L’operazione ECM
è realizzata con una corrente di 1200 A. L’efficienza è del 95%. Determinare la velocità
di avanzamento e il tempo necessario per tagliare la piastra da parte a parte.

Soluzione: Dalla Tabella 17.1, si ha che il tasso specifico C per l’alluminio è 3,44 3
10 –2 mm3/As. L’area frontale dell’elettrodo è A = 10 mm 3 30 mm = 300 mm2. A un
livello di corrente di 1200 A, la velocità di avanzamento è la seguente:

fr = 0.034 mm3/A-s 1200 A/mm2 = 0.1376 mm/s


300
462 Tecnologia meccanica

A un’efficienza del 95%, la velocità di avanzamento è:


fr = 0.1376 mm/s(0.95) = 0.1307 mm/s
Il tempo necessario a eseguire il taglio sulla piastra da 12 mm è quindi:

Tm = 12.0 = 91.8 s = 1.53 min


0.1307

Le equazioni precedenti mostrano i parametri di processo che sono importanti per


determinare la velocità di rimozione del materiale e la velocità di avanzamento nella
lavorazione elettrochimica: la distanza g, la resistività dell’elettrolita r, la corrente I
e l’area frontale dell’elettrodo A. La distanza di separazione g deve essere molto ben
controllata. Se g è troppo grande, il processo elettrochimico rallenta. Ma se l’elettro-
do entra in contatto con il pezzo, si verifica un cortocircuito, che arresta il processo.
Quindi nella pratica la distanza di separazione di solito viene mantenuta nell’intervallo
0,075-0,75 mm.
Nell’ECM la base dell’elettrolita è costituita da acqua. Per ridurre la resistività
dell’elettrolita, vengono aggiunti alla soluzione dei sali come NaCl o NaNO3. Oltre a
asportare il materiale che è stato rimosso dal pezzo, l’elettrolita ha anche la funzione di
rimuovere il calore e le bolle di idrogeno che si creano durante le reazioni chimiche del
processo. Il materiale rimosso dal pezzo è in forma di particelle microscopiche che de-
vono essere asportate dall’elettrolita attraverso una centrifuga, la sedimentazione o altri
mezzi. Le particelle rimosse formano una sostanza fangosa densa il cui smaltimento
rappresenta uno dei problemi dell’ECM.
Per svolgere l’ECM servono grandi quantità di energia elettrica. Come indicano le
equazioni precedenti, la velocità di rimozione del metallo è determinata dalla potenza
elettrica, in particolare dalla densità di corrente che può essere fornita all’operazione.
La tensione deve essere mantenuta relativamente bassa per minimizzare la formazione
di archi attraverso la distanza di separazione.
La lavorazione elettrochimica di solito viene utilizzata in applicazioni in cui il me-
tallo è molto difficile da lavorare o dove si ha una forma del pezzo particolarmente com-
plessa che sarebbe difficile (se non impossibile) da ottenere con i metodi di lavorazione
tradizionali. La durezza del pezzo non è rilevante nell’ECM, perché la rimozione di
metallo non è meccanica. Le applicazioni tipiche dell’ECM sono: (1) la produzione di
stampi (die sinking), che comporta la lavorazione di forme e contorni irregolari per gli
stampi di forgiatura, gli stampi per la plastica e altri utensili di formatura, (2) la foratura
multipla, in cui si realizzano più fori in parallelo, al contrario della foratura tradizionale,
che li realizza in sequenza e (3) l’esecuzione di fori non rotondi, in quanto l’ECM non
utilizza una punta rotante.
I vantaggi dell’ECM sono (1) la minimizzazione dei danni alla superficie del pezzo,
(2) l’assenza di bave che invece vengono prodotte durante le lavorazioni tradizionali,
(3) l’usura ridotta dell’utensile (l’usura è causata solo dall’elettrolita che scorre) e (4) il
tasso di rimozione di materiale relativamente elevato anche per metalli duri e difficili
da lavorare. Gli svantaggi dell’ECM sono (1) il costo significativo dell’energia elettrica
necessaria al suo funzionamento e (2) i problemi di smaltimento dei fluidi di scarto.

17.2.2  Rimozione di bave e rettifica elettrochimiche


La rimozione elettrochimica di bave (electrochemical deburring, ECD) è un adatta-
mento dell’ECM progettato per rimuovere le bave e per arrotondare gli spigoli taglienti
dei pezzi metallici attraverso una dissoluzione anodica. Una configurazione possibile
Processi di lavorazione non convenzionali 463

dell’ECD è mostrata in Figura 17.5. Il foro nel pezzo presenta una bava tagliente di
quelle tipicamente prodotte da una foratura che realizza un foro passante. L’utensile
elettrodo è progettato per dirigere l’azione di rimozione del metallo sulla bava. Le parti
dell’utensile che non sono usate per la lavorazione vengono isolate. L’elettrolita scorre
attraverso il foro per trasportare le particelle di bava. I principi di funzionamento sono
gli stessi dell’ECM. Tuttavia, poiché nell’ECD viene rimosso molto meno materiale,
i tempi ciclo sono molto più brevi (meno di un minuto). Il tempo può aumentare se si
vuole anche arrotondare lo spigolo oltre a rimuovere la bava.
La rettifica elettrochimica (electrochemical grinding, ECG) è una forma particolare
di ECM in cui si usa una mola rotante con un legante conduttivo per aumentare la disso-
luzione anodica della superficie del pezzo metallico, come illustrato in Figura 17.6. Gli
abrasivi utilizzati in ECG sono l’ossido di alluminio e il diamante. Il materiale legante
è metallico (per abrasivi diamantati) o resina impregnata con particelle di metallo per
renderlo elettricamente conduttivo (per l’ossido di alluminio). I grani abrasivi sporgenti
dalla mola a contatto con il pezzo stabiliscono la distanza di separazione nell’ECG.
L’elettrolita scorre attraverso lo spazio tra i grani per svolgere il suo ruolo nell’elettrolisi.
L’asportazione elettrochimica è responsabile di almeno il 95% della rimozione di
materiale nell’ECG e l’azione abrasiva della mola rimuove il restante 5%, per lo più
in forma di pellicola di sale che si forma durante le reazioni elettrochimiche sulla su-
perficie del pezzo. Poiché la maggior parte della lavorazione viene eseguita dall’azione
elettrochimica, la mola usata nell’ECG dura molto di più di una mola tradizionale da ret-
tifica. Il risultato si traduce in un indice di rettifica molto più elevato. Inoltre, la ravviva-
tura della mola deve essere eseguita molto meno frequentemente. Questi sono i vantaggi
del processo ECG. Le sue applicazioni includono l’affilatura degli utensili in carburo
cementato e la rettifica degli aghi chirurgici, di tubi con pareti sottili e di pezzi fragili.

Utensile (catodo)

Bava Elettrolita
Figura 17.5 Rimozione
Pezzo (anodo) elettrochimica di bave.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Flusso elettrolitico
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Isolamento John Wiley & Sons, Inc.)

Flusso elettrolitico Mola (catodo)


Figura 17. 6 Ret tifi c a
elettrochimica. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Elettrolita
Manufacturing, 4th Edi-
Pezzo (anodo) tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Tavolo di lavoro permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
464 Tecnologia meccanica

17.3  Processi termici

I processi di rimozione di materiale basati sull’energia termica sono caratterizzati da


temperature locali molto elevate, per rimuovere il materiale per fusione o vaporizzazio-
ne. A causa delle alte temperature, questi processi causano danni fisici e metallurgici
alla superficie del pezzo. In alcuni casi, il risultato finale è così scarso che serve una
lavorazione successiva per finire la superficie. In questa sezione si esaminano i proces-
si non convenzionali che usano l’energia termica, i più importanti dei quali sono: (1)
l’elettroerosione e l’elettroerosione a filo, (2) la lavorazione a fascio elettronico e (3) la
lavorazione a fascio laser.

17.3.1  Processi di elettroerosione


I processi di elettroerosione rimuovono il metallo attraverso una serie di scariche elet-
triche (scintille) che provocano un aumento locale della temperatura sulla superficie del
pezzo sufficiente per fondere o vaporizzare il metallo nelle immediate vicinanze della
scarica. I due processi principali di questa categoria sono (1) l’elettroerosione e (2) l’elet-
troerosione a filo. Questi processi possono essere utilizzati solo su materiali conduttori.

Elettroerosione  L’elettroerosione (electric discharge machining, EDM) è uno dei


processi non convenzionali più utilizzati. Una configurazione tipica dell’EDM è illu-
strata in Figura 17.7. La forma finale della superficie del pezzo viene prodotta da un
elettrodo sagomato. Le scariche si verificano in un piccolo spazio tra l’utensile e la su-
perficie del pezzo (gap). Il processo EDM deve avvenire in presenza di un fluido dielet-
trico, che crea un percorso per ogni scarica nel momento in cui si ionizza. Le scariche
sono generate da un generatore di tensione collegato al pezzo e all’utensile.
La Figura 17.7 (b) mostra una vista ingrandita dello spazio tra l’utensile e il pezzo.
La scarica avviene nel punto in cui le due superfici sono più vicine. Il fluido dielettrico
si ionizza in questa posizione per creare un percorso per la scarica. La regione in cui si
produce la scarica si scalda a temperature estremamente elevate, tanto da fondere una
piccola porzione di materiale sulla superficie del pezzo (chiamata “truciolo”) che poi

Avanzamento dell’utensile
Tool feed

Usura dell’utensile
Utensile –

Utensile Fluido Scarica


Fluido
Dielectric
elettrodo ionizzato
dielettrico
fluid
Metallo Flusso di fluido dielettrico

rimosso
Cavità creata
dalla cavità
Gap dalla scarica
Pezzo +
+ Pezzo
Work Metallo rifuso
(b)

Sovrataglio
Overcut
(a)

Figura 17.7  Elettroerosione (EDM): (a) configurazione generale e (b) ingrandimento del gap, che mostra come avvengono le
scariche e la rimozione di materiale. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 465

viene evacuata dal dielettrico. Dato che la superficie del pezzo in corrispondenza della
scarica precedente risulta più distante dall’utensile, è meno probabile che si sviluppi
un’altra scarica in quella posizione finché le regioni circostanti non siano state ridotte
allo stesso livello. Sebbene le scariche individuali rimuovano il metallo in punti molto
localizzati, dato che si verificano centinaia o migliaia di scariche al secondo, in pratica
si verifica un’erosione progressiva della superficie del pezzo.
Due importanti parametri del processo EDM sono la corrente delle scariche e la
frequenza delle scariche. Se uno di questi parametri aumenta, aumenta anche il tasso
di rimozione di materiale. Anche la rugosità superficiale è influenzata dalla corrente e
dalla frequenza. Operando a frequenze elevate e a basse correnti si ottiene la migliore
finitura superficiale. Quando l’elettrodo penetra nel pezzo, si verifica un sovrataglio. Il
sovrataglio è la distanza di cui la cavità creata nel pezzo supera la dimensione dell’uten-
sile su ogni lato, come illustrato in Figura 17.7 (a). Viene prodotto poiché le scariche
elettriche si verificano sia ai lati dell’utensile sia sulla sua superficie frontale. La di-
mensione del sovrataglio è alcuni centesimi di millimetro, aumenta all’aumentare della
corrente e diminuisce all’aumentare della frequenza.
Le temperature elevate delle scariche che fondono il pezzo causano anche la fu-
sione dell’utensile, creando una piccola cavità sulla sua superficie, opposta della cavità
prodotta nel pezzo. L’usura dell’utensile viene di solito misurata come il rapporto tra il
materiale rimosso dal pezzo e il materiale rimosso dall’utensile (come nella rettifica).
Questo rapporto di usura di solito varia tra 1,0 e 100 o poco più, a seconda della combi-
nazione dei materiali del pezzo e dell’elettrodo. Gli elettrodi sono fatti di grafite, rame,
ottone, leghe tungsteno-rame, tungsteno-argento e altri. La scelta dipende dal tipo di
circuito di alimentazione disponibile, dal materiale del pezzo e se si tratta di sgrossatura
o finitura. La grafite è usata in molte applicazioni per le sue caratteristiche termiche.
Infatti, la grafite non fonde, ma evapora a temperature molto elevate e la cavità creata
dalle scariche è più piccola se confrontata con la maggior parte degli altri materiali per
elettrodi. Di conseguenza, con gli utensili in grafite si ottengono elevati rapporti tra il
materiale rimosso dal pezzo e il materiale rimosso dall’utensile.
La durezza e la resistenza del materiale da lavorare non sono parametri di interesse
per l’EDM, poiché il processo non riguarda il confronto tra la durezza dell’utensile e
quella del pezzo. Invece il punto di fusione del materiale da lavorare è una proprietà
importante. Il tasso di rimozione di materiale dipende dal punto di fusione come riporta
la seguente formula empirica, sulla base dell’equazione descritta da Weller [16]:

RMR (17.7)
Tm
dove RMR è il tasso di rimozione di materiale in mm3/s, K una costante di proporzionalità
il cui valore è 664 in unità SI, I la corrente delle scariche in A e Tm la temperatura di
fusione del metallo lavorato in °C. I punti di fusione di alcuni metalli sono riportati in
Tabella 3.10.

Esempio 17.2  Elettroerosione


Si usa un’operazione di EDM per lavorare del rame. Sapendo che la corrente è 25 A,
qual è il tasso di rimozione del metallo?

Soluzione: Dalla Tabella 3.10 si ha che il punto di fusione del rame è 1083 °C. Utiliz-
zando l’Equazione (17.7), si ha che il tasso di rimozione previsto è:

R MR = 664(25) = 3.07 mm3/s


10831.23
466 Tecnologia meccanica

I fluidi dielettrici utilizzati in EDM includono gli oli di idrocarburi, il kerosene e


l’acqua distillata o deionizzata. Il fluido dielettrico serve come isolante nell’intercape-
dine tranne quando avviene la ionizzazione in presenza delle scariche. Serve anche a
evacuare i detriti e a rimuovere il calore dall’utensile e dal pezzo.
Le applicazioni dell’elettroerosione comprendono sia la fabbricazione degli utensili
sia la produzione di pezzi. Gli utensili usati in molti dei processi meccanici discussi in
questo libro sono realizzati tramite EDM, come gli stampi per lo stampaggio a iniezio-
ne di materie plastiche, le matrici di estrusione, trafilatura, forgiatura e stampaggio di
lamiere. Come nell’ECM, si usa il termine produzione di stampi (die sinking) per indica-
re le operazioni in cui viene prodotta una cavità di uno stampo. Per molte applicazioni, i
materiali utilizzati per fabbricare gli utensili sono difficili (se non impossibili) da lavo-
rare usando i metodi convenzionali. Anche alcuni pezzi devono essere realizzati tramite
EDM. Per esempio i pezzi delicati che non sono sufficientemente rigidi per resistere alle
forze di taglio, i fori i cui assi formano un angolo acuto con la superficie quindi non sono
realizzabili tramite foratura tradizionale, e la lavorazione di metalli duri particolari.

Elettroerosione a filo  L’elettroerosione a filo (electric discharge wire cutting, EDWC)


è una forma particolare di elettroerosione che utilizza un filo di ridotto diametro come
elettrodo per effettuare un taglio sottile nel pezzo. L’azione di taglio si ottiene mediante
l’energia termica delle scariche elettriche tra il filo e il pezzo. L’elettroerosione a filo è
illustrata in Figura 17.8. Il pezzo viene fatto avanzare verso il filo seguendo il percorso di
taglio desiderato, in modo simile a un’operazione di sega a nastro. I movimenti del pezzo
durante il taglio sono controllati tramite il controllo numerico. Mentre effettua il taglio, il
filo avanza lentamente in modo continuo da una bobina di alimentazione a una di avvolgi-
mento in modo da tagliare il pezzo sempre con lo stesso diametro. Questo aiuta a mantene-
re una larghezza costante di taglio. Come per l’EDM, anche nell’EDWC serve la presenza
di un dielettrico. Questo è applicato da ugelli rivolti sulla superficie di contatto tra l’utensile
e il pezzo, come mostrato in figura, oppure il pezzo viene immerso in un bagno dielettrico.
I diametri del filo variano nell’intervallo 0,076-0,30 mm, a seconda dell’ampiezza
di taglio desiderata. I materiali utilizzati per i fili sono l’ottone, il rame, il tungste-
no e il molibdeno. I fluidi dielettrici di solito sono l’acqua deionizzata o l’olio. Come
nell’EDM, si verifica un sovrataglio che rende il solco più grande rispetto al diametro
del filo, come illustrato in Figura 17.9. Questo sovrataglio di solito varia nell’intervallo
0,020-0,050 mm. In ogni caso, fissate le condizioni di taglio, il sovrataglio rimane ab-
bastanza costante ed è prevedibile.
Anche se l’EDWC sembra simile a un’operazione di segatura a nastro, la sua ac-
curatezza è di molto superiore. Il taglio è molto più sottile, si possono fare degli angoli

Bobina di alimentazione del filo

Filo elettrodo

Flusso di fluido dielettrico


Pezzo

Figura 17.8 Elettroero-
sione a filo. (Fonte: Fun- Percorso di taglio
damentals of M odern
Bobina di raccolta del filo
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) Assi del moto di avanzamento
Processi di lavorazione non convenzionali 467

Pezzo

Figura 17.9 Definizio-
ne di solco e sovrataglio
Solco Avanzamento
Diametro del filo nell’elettroerosione a filo.
di taglio
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
Sovrataglio John Wiley & Sons, Inc.)

più acuti e le forze di taglio sul pezzo sono nulle. Inoltre, la durezza e la tenacità del
materiale lavorato non influenzano le prestazioni del taglio. L’unico requisito è che il
materiale sia elettricamente conduttivo.
Le caratteristiche speciali dell’elettroerosione a filo la rendono ideale per la produ-
zione di componenti per stampi. Poiché il taglio è così sottile, spesso è possibile fabbri-
care il punzone e la matrice in un unico taglio su un unico blocco di acciaio per utensili.
Con l’elettroerosione a filo si possono realizzare anche altri utensili e pezzi di forme
complesse, come gli utensili di tornitura e le matrici di estrusione.

17.3.2  Lavorazione a fascio elettronico


La lavorazione a fascio elettronico (electron beam machining, EBM) è uno dei vari pro-
cessi industriali che utilizzano dei fasci di elettroni. Oltre all’asportazione di materiale, le
altre applicazioni che usano questa tecnica sono il trattamento termico e la saldatura. La
lavorazione a fascio elettronico utilizza un flusso di elettroni ad alta velocità diretto sulla
superficie del pezzo per rimuovere il materiale tramite fusione e vaporizzazione. Lo
schema dell’EBM è illustrato in Figura 17.10. Un cannone elettronico genera un flusso
continuo di elettroni che viene accelerato a circa il 75% della velocità della luce e diretto
attraverso una lente elettromagnetica sulla superficie del pezzo. La lente è in grado di
ridurre l’area del fascio a un diametro più piccolo 0,025 mm. Quando il flusso raggiunge
la superficie, l’energia cinetica degli elettroni viene convertita in energia termica a al-
tissima densità che fa fondere o vaporizzare il materiale in una zona molto localizzata.
La lavorazione a fascio elettronico viene usata per una varietà di applicazioni di taglio
ad alta precisione su qualsiasi materiale. Esempi di applicazioni sono la realizzazione di
fori con diametri estremamente piccoli, fino a 0.05 mm, o con un altissimo rapporto pro-
fondità-diametro (oltre i 100:1), e il taglio di fessure ampie soltanto 0,025 mm. Questi tagli
possono essere realizzati con tolleranze molto strette senza usare forze di taglio o causare
usura dell’utensile. Il processo è ideale per la microlavorazione e di solito si limita a opera-
zioni di taglio di pezzi sottili nell’intervallo 0,25-6,3 mm di spessore. L’EBM deve essere
effettuata in una camera a vuoto per evitare la collisione degli elettroni con le molecole di
gas. Le altre limitazioni sono gli elevati livelli di energia necessari e le attrezzature costose.

17.3.3  Lavorazione a fascio laser


I laser sono usati in una varietà di applicazioni industriali, compresi il trattamento ter-
mico, la saldatura e la misurazione, così come la marcatura, il taglio e la foratura, che
sono descritti di seguito. Il termine laser è l’acronimo di “light amplification by stimu-
468 Tecnologia meccanica

Cavo ad alta tensione

Camera a vuoto
:,

Cannone elettronico Griglia catodo

Anodo
Valvola

Fascio di elettroni
Figura 17.10  Lavorazio-
ne a fascio elettronico.
Lenti magnetiche
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, Bobina di deflessione
4th Edition by Mikell P. magnetica
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di Pezzo
John Wiley & Sons, Inc.)

lated emission of radiation”, cioè amplificazione di luce mediante emissione stimolata


di radiazioni. Un laser è un trasduttore ottico che converte l’energia elettrica in un fascio
di luce coerente. Un fascio di luce laser ha diverse proprietà che lo distinguono da altre
forme di luce. È monocromatico (teoricamente il laser ha una singola lunghezza d’onda)
e altamente collimato (i raggi di luce nel fascio sono quasi perfettamente paralleli).
Queste proprietà permettono alla luce generata da un laser di concentrarsi, utilizzando
delle comuni lenti ottiche, su un punto molto piccolo con conseguente densità di poten-
za elevate. In funzione della quantità di energia contenuta nel fascio laser e il suo grado
di focalizzazione, si possono realizzare vari processi laser.
La lavorazione a fascio laser (laser beam machining, LBM) utilizza l’energia della
luce di un laser per rimuovere il materiale tramite vaporizzazione e ablazione. La confi-
gurazione del LBM è illustrata in Figura 17.11. I tipi di laser utilizzati sono i laser a CO2

Specchio riflettente al 100%

Lampada flash (entrambi i lati)

Laser

Cavità risonante

Specchio parzialmente riflettente

Fascio laser

Figura 17.11  Lavorazio- Lente


ne a fascio laser. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- Distanza focale
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley Pezzo
& Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 469

e i laser allo stato solido (di cui esistono diversi tipi). Nella lavorazione a fascio laser,
l’energia del fascio di luce coerente viene concentrato non solo otticamente ma anche in
termini di tempo. Il fascio di luce viene pulsato in modo che l’energia sia rilasciata in un
impulso contro la superficie del pezzo producendo una combinazione di evaporazione e
di fusione che rimuovono velocemente il materiale dalla superficie.
La lavorazione LBM viene utilizzata per eseguire vari tipi di foratura, taglio, in-
cisione e marcatura. Si possono realizzare fori di piccolo diametro, fino a 0,025 mm.
Per fori più grandi, di diametro superiore a 0,50 mm, il raggio laser viene controllato
per tagliare il contorno del foro. La gamma di materiali che possono essere lavorati
mediante LBM è potenzialmente illimitata. Le proprietà ideali dei materiali target sono
l’elevato assorbimento di energia, la scarsa riflettività, la buona conducibilità termica,
il basso calore specifico, il basso calore di fusione e il basso calore di vaporizzazione.
Naturalmente, nessun materiale presenta tutte queste proprietà ideali. I materiali che
vengono comunemente lavorati con LBM sono i metalli con elevata durezza e resisten-
za, i metalli teneri, le ceramiche, il vetro, le resine epossidiche, le materie plastiche, le
gomma, la stoffa e il legno.

17.4  Processi chimici

La lavorazione chimica (chemical machining, CHM) è un processo non convenzionale


in cui il materiale viene rimosso per mezzo di un mordente chimico. Le applicazioni di
questa tecnica nei processi industriali sono iniziate poco dopo la Seconda Guerra Mon-
diale nel settore aeronautico. L’utilizzo di sostanze chimiche per rimuovere il materiale
in eccesso da un pezzo può essere realizzato in diversi modi e sono stati sviluppati dei
termini diversi per distinguere le applicazioni, come la fresatura chimica, la tranciatura
chimica, l’incisione chimica e la lavorazione fotochimica (photochemical machining,
PCM). Tutte queste operazioni utilizzano lo stesso meccanismo di rimozione del ma-
teriale, quindi è meglio esaminare prima le caratteristiche generali della lavorazione
chimica e poi definire i singoli processi.

17.4.1  Meccanica e chimica dei processi chimici


Il processo di lavorazione chimica consiste di diverse fasi. Le differenze nelle applica-
zioni e nelle modalità in cui sono svolte le varie fasi danno origine alle diverse forme
di CHM.
Le fasi sono le seguenti:
1. Pulitura. La prima fase è un’operazione di pulitura per garantire che il materiale
venga rimosso uniformemente dalla superficie da lavorare.
2. Mascheratura. Si applica un rivestimento protettivo chiamato maschera alle parti
del pezzo che non devono essere rimosse. Le maschere sono fatte di un materiale
chimicamente resistente al mordente (per indicare questo materiale della maschera
si usa il termine “resistˮ).
3. Attacco chimico. Questa è la fase di rimozione. Il pezzo viene immerso nel mor-
dente, che attacca chimicamente le parti della superficie del pezzo che non sono
protette dalla maschera. Il metodo più comune di attacco è quello di convertire il
materiale da lavorare (per esempio, un metallo) in un sale, che si scioglie nel mor-
dente e viene quindi rimosso dalla superficie. Quando la quantità desiderata di ma-
teriale è stata rimossa, il pezzo viene tolto dal mordente e lavato per interrompere
il processo.
4. Rimozione della maschera. La maschera viene rimossa dal pezzo.
470 Tecnologia meccanica

Le due fasi della lavorazione chimica che comportano delle variazioni significative nei
metodi, nei materiali e nei parametri di processo sono l’applicazione della maschera e l’at-
tacco chimico, cioè le fasi 2 e 3. I materiali di cui sono fatte le maschere sono il neoprene,
il polivinilcloruro, il polietilene e altri polimeri. La maschera può essere eseguita in uno
dei tre modi seguenti: (1) il metodo taglia e stacca, (2) il metodo fotografico e (3) il meto-
do serigrafico. Il metodo taglia e stacca applica la mascheratura sull’intero pezzo tramite
immersione, verniciatura o spruzzatura. Lo spessore risultante della mascheratura va da
0,025 a 0,125 mm. Dopo che la maschera si è indurita, viene tagliata con un coltello da in-
cisione e staccata nelle zone della superficie del pezzo che devono essere lavorate. L’ope-
razione di taglio della mascheratura viene eseguita a mano, di solito guidando il coltello
con un modello. Il metodo taglia e stacca di solito viene usato per pezzi grandi e limitate
quantità da produrre e dove la precisione non è un fattore critico. Questo metodo non può
raggiungere tolleranze più strette di ± 0,125 mm se non in casi particolari.
Come suggerisce il nome, il metodo fotografico (detto anche fotoresist) utilizza tec-
niche fotografiche per eseguire la fase di mascheratura. I materiali della maschera con-
tengono sostanze chimiche fotosensibili. Vengono applicati alla superficie del pezzo ed
esposti alla luce attraverso un’immagine negativa delle parti che devono essere rimosse.
Queste zone della maschera possono quindi essere rimosse dalla superficie utilizzando
tecniche di sviluppo fotografico. Questa procedura lascia le superfici desiderate protette
dalla maschera e le altre non protette vulnerabili all’attacco chimico. Le tecniche di ma-
scheramento fotoresist vengono normalmente applicate a pezzi piccoli prodotti in grandi
quantità, che richiedono delle tolleranze strette, anche minori di ± 0,0125 mm [16].
Il metodo serigrafico applica la mascheratura usando tecniche di serigrafia. In questi
metodi, la maschera viene verniciata sulla superficie del pezzo attraverso griglie di seta
o acciaio inossidabile, che contengono lo stencil che protegge le aree da attaccare chimi-
camente dalla verniciatura. La maschera viene applicata sulle aree che non devono essere
lavorate. Il metodo serigrafico viene generalmente utilizzato in applicazioni comprese tra
quelle dei due metodi precedenti in termini di precisione, dimensione dei pezzi e quantità
di pezzi da produrre. Con questo metodo si raggiungono tolleranze di ± 0,075 mm.
La scelta del mordente dipende dal materiale da lavorare, dalla profondità che si
vuole raggiungere, dal tasso di rimozione del materiale e dalla finitura superficiale. Il
mordente deve essere abbinato al tipo di maschera utilizzata per assicurare che il ma-
teriale della maschera non venga attaccato chimicamente. La Tabella 17.2 elenca alcuni
dei materiali lavorati tramite CHM con i relativi mordenti. Nella tabella sono anche
riportati i tassi di penetrazione e il fattore di attacco, che sono spiegati di seguito.
I tassi di rimozione di materiale in CHM di solito vengono indicati come tassi di
penetrazione in mm/min, dato che l’attacco chimico al pezzo da parte del mordente è
diretto verso l’interno della superficie. Il tasso di penetrazione dipende dall’area della
superficie. Quelli elencati in Tabella 17.2 sono dei valori tipici per il materiale e il mor-
dente specifici.
La profondità di taglio nella lavorazione chimica arriva fino a 12.5 mm per i pan-
nelli degli aerei fatti di lastre metalliche. Molte applicazioni però richiedono profondità
di soli pochi centesimi di millimetro. Oltre alla penetrazione superficiale, l’attacco chi-
mico si espande anche lateralmente sotto la maschera, come illustrato in Figura 17.12.
Questo effetto prende il nome di sottosquadro e deve essere considerato nella progetta-
zione della maschera in modo che il taglio risultante abbia le giuste dimensioni. Per un
certo materiale da lavorare, il sottosquadro è direttamente proporzionale alla profondità
di taglio. La costante di proporzionalità per il materiale viene chiamata fattore di attac-
co, ed è definita come:

Fe (17.8)
Processi di lavorazione non convenzionali 471

TABELLA 17.2  Materiali da lavoro e mordenti tipici in CHM, con relativi tassi di penetrazione e
fattori di attacco.

Tassi di penetrazione
Materiale lavorato Mordente mm/min Fattore di etch
Alluminio FeCl3 0.020 1.75
e sue leghe NaOH 0.025 1.75
Rame e sue leghe FeCl3 0.050 2.75
Magnesio e sue leghe H2SO4 0.038 1.0
Silicio HNO3: HF: H2O molto basso NA
Acciaio dolce HCl:HNO3 0.025 2.0
FeCl3 0.025 2.0
Titanio HF 0.025 1.0
e sue leghe HF:HNO3 0.025 1.0

Fonti [5], [8] e [16].


NA = dati non disponibili.

Bordo della
maschera Figura 17.12  Sottosquadro nella lavorazione
Maschera
chimica. (Fonte: Fundamentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
Pezzo 2010. Ristampato con il permesso di John Wi-
ley & Sons, Inc.)

dove Fe è il fattore di attacco, d la profondità di taglio in mm e u il sottosquadro in mm


(in). Le grandezze u e D sono definite in Figura 17.12. Nella lavorazione chimica, mate-
riali da lavoro diversi hanno fattori di attacco diversi. Alcuni valori tipici sono riportati in
Tabella 17.2. Il fattore di attacco può essere utilizzato per determinare la dimensione dei
sottosquadri delle maschere, in modo da poter ottenere le dimensioni giuste delle super-
fici erose sul pezzo.

17.4.2  Processi CHM


In questa sezione vengono descritte le principali lavorazioni chimiche: (1) la fresatura chi-
mica, (2) la tranciatura chimica, (3) l’incisione chimica e (4) la lavorazione fotochimica.

Fresatura chimica  La fresatura chimica è stata il primo processo CHM a essere


commercializzato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, una società aeronautica ame-
ricana iniziò a usare la fresatura chimica per rimuovere il metallo dai componenti degli
aeromobili. Oggi, la fresatura chimica viene ancora molto usata nell’industria aeronau-
tica, per rimuovere il materiale dalle ali e dai pannelli della fusoliera per ridurre il peso
degli aerei. Questo processo è applicabile a pezzi grandi in cui vengono rimossi notevoli
quantità di metallo. Di solito si usa il metodo di applicazione di mascheratura taglia e
stacca e si usa un modello che tiene conto del sottosquadro causato dall’erosione. La
sequenza delle fasi di lavorazione della fresatura chimica è illustrata in Figura 17.13.

Tranciatura chimica  La tranciatura chimica utilizza l’erosione chimica per tagliare


lamiere molto sottili – fino a 0,025 mm di spessore e/o per schemi di taglio intricati. In
entrambi i casi, i metodi taglia e stacca non sono adeguati perché le forze di stampag-
gio danneggerebbero la lamiera o il costo dell’utensile sarebbe proibitivo, o entrambi i
472 Tecnologia meccanica

Maschera
Pezzo grezzo

Mordente

Pezzo finito

Figura 17.13  Sequenza delle fasi di lavorazione della fresatura chimica: (1) pulitura del pezzo, (2) applicazione della masche-
ra, (3) taglio e rimozione della mascheratura dalle superfici da lavorare, (4) attacco chimico e (5) e rimozione della mascheratu-
ra per produrre il pezzo finito. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

motivi. La tranciatura chimica produce dei pezzi che sono privi di bave, un vantaggio
rispetto alle operazioni di taglio convenzionali.
I metodi utilizzati per l’applicazione della mascheratura nella tranciatura chimica
sono sia il fotografico sia il serigrafico. Per tagli piccoli e/o intricati e tolleranze stret-
te, si preferisce il metodo fotografico. Per pezzi spessi 0,025 mm, usando il metodo
fotografico si ottengono tolleranze prossime a ± 0,0025 mm. Se lo spessore aumenta,
devono essere impostate delle tolleranze più larghe. Il metodo serigrafico è un po’ meno
preciso di quello fotografico. La dimensione ridotta dei pezzi lavorati mediante trancia-
tura chimica esclude l’applicazione del metodo taglia e stacca.
Utilizzando il metodo serigrafico, le fasi della lavorazione della tranciatura chimica
sono quelle mostrate in Figura 17.14. Poiché l’attacco chimico avviene su entrambi i lati
del pezzo, è importante che la procedura di mascheratura lasci lo spazio giusto tra le due
parti, altrimenti le erosioni che partono da direzioni opposte potrebbero non allinearsi.
Questo è un aspetto che diventa critico nei pezzi di piccole dimensioni e nei tagli intricati.
Le applicazioni della tranciatura chimica di solito si limitano ai materiali sottili e/o
ai disegni complessi per i motivi di cui sopra. Lo spessore massimo dei pezzi è di circa
0,75 mm. Inoltre, i materiali induriti e fragili, che si fratturerebbero se lavorati meccani-
camente, possono essere lavorati mediante tranciatura chimica. La Figura 17.15 mostra
degli esempi di prodotti realizzati tramite tranciatura chimica.

Pezzo
Maschera
grezzo

Mordente

Pezzo finito

Figura 17.14  Sequenza delle fasi di lavorazione della tranciatura chimica: (1) pulitura del pezzo, (2)
applicazione della maschera attraverso serigrafia, (3) attacco chimico (parzialmente completato),
(4) attacco chimico (completato), (5) rimozione della maschera e pulitura finale. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 473

Figura 17.15  Pezzi realizzati mediante


tranciatura chimica. Per gentile con-
cessione di Buckbee-Mears St. Paul.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by Mikell P. Groo-
ver, 2010. Ristampato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Incisione chimica  L’incisione chimica è un processo di lavorazione chimica per la


realizzazione di targhe e altre lastre piatte con scritte e/o disegni su un lato. Queste la-
stre possono anche essere realizzate mediante una macchina convenzionale di incisione
o altri procedimenti simili. L’incisione chimica viene utilizzata per realizzare lastre con
scritte sia incassate sia in rilievo, semplicemente invertendo le parti di lastra da incide-
re. La mascheratura è realizzata con il metodo fotografico o serigrafico. La sequenza
delle fasi dell’incisione chimica è simile a quella degli altri processi CHM, a meno del
fatto che esiste una fase di riempimento dell’incisione che serve ad applicare vernici o
altri rivestimenti sulle superfici incise. Alla fine la lastra viene immersa in una soluzio-
ne che dissolve la maschera, ma non attacca il materiale di rivestimento. Così, quando
viene rimossa la maschera, il rivestimento rimane nelle zone incise ma non in quelle che
erano state mascherate, con l’effetto di evidenziare il disegno.

Lavorazione fotochimica  La lavorazione fotochimica (photochemical machining,


PCM) è una lavorazione chimica in cui si usa il metodo di mascheratura fotografico. Il
termine può quindi riferirsi sia alla tranciatura chimica sia all’incisione chimica quando
questi metodi utilizzano il metodo fotografico. Il PCM è impiegato nella lavorazione
dei metalli, per eseguire delle tolleranze strette e/o dei disegni complessi in pezzi piani.
I processi fotochimici sono molto usati nell’industria elettronica per la produzione di
circuiti intricati su piastre di semiconduttori.
La Figura 17.16 mostra la sequenza delle fasi della lavorazione fotochimica, appli-
cata alla tranciatura chimica. Ci sono vari modi per esporre fotograficamente l’imma-
gine desiderata sul fotoresist. La figura mostra il metodo della stampa a contatto, in
cui si mette il negativo della forma da ottenere a contatto con la superficie del fotore-
sist durante l’esposizione. Esistono anche altri metodi di lavorazione fotochimica che
espongono il negativo attraverso un sistema di lenti per ingrandire o ridurre le dimen-
sioni del disegno stampato sulla superficie. I materiali fotoresist di uso comune sono
sensibili alla luce ultravioletta, ma non alla luce di altre lunghezze d’onda. Quindi, se in
fabbrica c’è una normale illuminazione, non vi è alcuna necessità di effettuare le fasi di
lavorazione al buio. Una volta che l’operazione di mascheratura è terminata, i passaggi
rimanenti della procedura sono simili agli altri metodi di lavorazione chimici.
Nella lavorazione fotochimica, il termine corrispondente al fattore di attacco è
l’anisotropia, che è definita come la profondità di taglio d divisa per il sottosquadro u
(vedere Figura 17.12). Questa è la stessa definizione dell’Equazione (17.8).
474 Tecnologia meccanica

Pezzo grezzo Fotoresist

Negativi Luce ultravioletta

Mordente
Maschera fotoresist

Pezzo finale

Figura 17.16  Sequenza delle fasi di lavorazione della lavorazione fotochimica: (1) pulitura del pezzo, (2) applicazione della
maschera per immersione, spruzzo o verniciatura, (3) applicazione del negativo sulla superficie, (4) esposizione alla luce ul-
travioletta, (5) rimozione del resist dalle superfici che devono essere erose, (6) attacco chimico (parziale), (7) attacco chimico
(completato), (8) rimozione della maschera e pulitura del pezzo finale.

TABELLA 17.3  Caratteristiche geometriche dei pezzi e relativi processi non convenzionali.

Caratteristica geometrica Processo appropriato

Fori molto piccoli. Diametri inferiori a 0,125 mm, in alcuni casi fino a EBM, LBM
0,025 mm, di solito inferiore al diametro delle punte per foratura tradi-
zionale.

Fori con grandi rapporti profondità-diametro, come d/D > 20. A ECM, EDM
parte la foratura con punta a cannone, questi fori non possono essere
realizzati tramite operazioni di foratura tradizionali.

Fori non circolari. I fori non circolari che non possono essere realiz- EDM, ECM
zati tramite una punta rotante.

Fessure strette in lastre e piastre di vari materiali. Le fessure non de- EBM, LBM, WJC,
vono essere necessariamente dritte e in alcuni casi hanno delle forme EDWC, AWJC
molto complesse.

Microlavorazione. Oltre al taglio di fori piccoli e fessure strette, ci PCM, LBM, EBM
sono altre applicazioni in cui la rimozione di materiale dal pezzo o da
sue parti è molto limitata.

Tasche poco profonde e dettagli superficiali su pezzi piani. I pezzi CHM


di questa categoria possono avere varie dimensioni, dai chip micro-
scopici dei circuiti integrati ai grossi pannelli degli aerei.

Particolari forme sagomate per stampi e matrici. Queste applica- EDM, ECM
zioni sono quelle chiamate anche di produzione di stampi (die sinking).
Processi di lavorazione non convenzionali 475

TABELLA 17.4  Applicabilità dei processi di lavorazione non convenzionali a vari materiali da lavorare. Per poter fare un con-
fronto, sono riportati anche i processi tradizionali di fresatura e rettifica.

Processi non convenzionali Processi


Meccanici Elettrici Termici Chimici tradizionali
Materiale lavorato USM WJC ECM EDM EBM LBM PAC CHM Fresatura Rettifico
Alluminio C C B B B B A A A A
Acciaio B D S S B B A A A A
Superleghe C D A A B B A B B B
Vetro A D D D A A D C D C
Silicioa D D B B D B D B
Plastica B B D D B B D C B C
Cartoneb D A D D D D D D
Tessutic D A D D D D D D

Fonti [16] e altri.


Legenda: A = buona applicazione, B = media applicazione, C = scarsa applicazione, D = non applicabile. Gli spazi vuoti indicano assenza di dati
disponibili per la compilazione.
a
Si riferisce al silicio utilizzato nella fabbricazione dei chip dei circuiti integrati.
b
Comprende anche altri prodotti cartacei.
c
Comprende anche feltro, pelle e materiali simili.

17.5  Considerazioni sulle applicazioni

Le applicazioni tipiche dei processi non convenzionali sono quelle che riguardano i pez-
zi con particolari caratteristiche geometriche e i materiali che sono difficili da lavorare
mediante le tecniche tradizionali. Alcune delle forme particolari dei pezzi per cui non
si possono usare i processi tradizionali sono elencati in Tabella 17.3, assieme ai processi
non convenzionali appropriati.
I processi non convenzionali si possono applicare a quasi tutti i materiali da lavorare,
sia metallici sia non metallici. Tuttavia, alcuni processi non sono adatti a lavorare alcuni
materiali specifici. La Tabella 17.4 illustra l’applicabilità dei processi non convenzionali ai
vari tipi di materiali. Molti processi possono essere utilizzati sui metalli ma non sui non
metalli. Per esempio, l’ECM e l’EDM possono essere usati solo su conduttori elettrici.
Questo limita la loro applicabilità ai pezzi metallici. La lavorazione chimica dipende dalla
disponibilità di un mordente appropriato per lo specifico materiale del pezzo. Poiché i
metalli sono più suscettibili all’attacco chimico dei vari mordenti, il CHM di solito viene
usato sui metalli. A parte alcune eccezioni, l’USM, l’AJM, l’EBM e il LBM possono esse-
re utilizzati sia sui metalli sia sui non metalli. Il WJC di solito si limita al taglio di materie
plastiche, cartoni, tessuti e altri materiali che non possiedono la resistenza dei metalli.

17.6  Tecniche di microfabbricazione

Ultimamente nella progettazione e nella produzione vengono sempre più usati prodotti
e/o componenti le cui dimensioni si misurano in micrometri (1 µm = 10 -3 mm = 10 -6 m).
Esistono vari termini per indicare questi elementi miniaturizzati. La Figura 17.17 mo-
stra le dimensioni e gli altri fattori associati a questi termini. Il termine generico che si
riferisce a questi prodotti e alle tecnologie usate per la loro produzione è tecnologia dei
microsistemi (microsystem technology, MST). Con il termine sistemi microelettro-
meccanici (MEMS) si sottolinea la miniaturizzazione di sistemi che comprendono sia
componenti elettronici sia meccanici. Per indicare questi dispositivi si può anche usare
la parola micromacchine.
476 Tecnologia meccanica

Scala logaritmica
Dimensioni, m 10 –10 m 10 –9 m 10 –8 m 10 –7 m 10 –6 m 10 –5 m 10 –4 m 10 –3 m 10 –2 m 10 –1 m 1m
Altre unità Angstrom 1 nm 10 nm 100 nm 1 m 10 m 100 m 1 mm 10 mm 100 mm 1000 mm

Esempi Atomo Molecola Virus Batteri Capelli Denti Mani Gambe di una
di oggetti persona alta

Terminologia Nanotecnologia Tecnologia dei microsistemi Dimensioni lineari dell’ingegneria tradizionale


Ingegneria di precisione

Come osservare Microscopio a fascio elettronico Microscopio ottico Lente di ingrandimento Occhio nudo
Microscopi a scansione di sonda

Metodi Processi di nanofabbricazione Tecnologie del silicio


di fabbricazione Processi LIGA
Lavorazione meccanica di precisione
Lavorazione meccanica tradizionale
Colata, deformazione plastica, lavorazione
della lamiera
Legenda: nm = nanometri, μm = micron o micrometri, mm = millimetri, m = metri

Figura 17.17  Terminologia e dimensioni dei microsistemi e delle tecnologie correlate. (Fonte: Fundamentals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Il termine nanotecnologia si riferisce, invece, alla produzione di entità ancora


più piccole le cui dimensioni variano da meno di 1 nm a 100 nm (1 nm = 10 -3 µm =
10 -6 mm = 10 -9 m)1. Queste entità possono essere film, rivestimenti, punti, linee, fili,
tubi, strutture e sistemi. La nanoscienza è la materia che si occupa dello studio degli
oggetti di queste dimensioni. La nanoscala si riferisce alle dimensioni all’interno o
leggermente al di sotto di questa gamma, i cui estremi inferiori sono usati per misura-
re le dimensioni degli atomi e delle molecole. Per esempio, il più piccolo atomo è l’elio
e ha un diametro di 0,1 nm. L’uranio ha un diametro di circa 0,22 nm ed è il più grande
degli atomi naturali. Le molecole tendono a essere più grandi perché sono costituite
da atomi multipli. Le molecole costituite da una trentina di atomi hanno una dimen-
sione di circa 1 nm, a seconda degli elementi coinvolti. La nanoscienza è lo studio
della materia a livello atomico e molecolare e le nanotecnologie sono l’applicazione
della nanoscienza per creare dei prodotti.
La nostra descrizione delle tecnologie di microfabbricazione consiste in due sezioni
dedicate ai prodotti dei microsistemi e ai relativi processi di fabbricazione.

17.7  Prodotti basati su microsistemi

La progettazione dei prodotti di piccole dimensioni, composti da pezzi ancora più pic-
coli e sottoassemblaggi, comporta l’utilizzo di meno materiale, requisiti di potenza mi-
nori, una maggiore funzionalità per unità di spazio e l’accessibilità a zone non raggiun-
gibili da prodotti più grandi. Si può quindi pensare che i prodotti più piccoli abbiano
anche dei prezzi più bassi perché usano meno materiale. Il prezzo di un prodotto però è
influenzato anche dai costi di ricerca, di sviluppo e produzione e da come questi costi
possono essere ripartiti sulla quantità di unità vendute. Le economie di scala che si
traducono in prodotti di prezzo inferiore non sono ancora state pienamente realizzate
nelle tecnologie dei microsistemi, a eccezione di un numero limitato di casi che vengono
esaminati in questa sezione.

1
  La linea di demarcazione tra nanotecnologie e tecnologie dei microsistemi è considerata essere 100 nm = 0,1
µm [8], come illustrato in Figura 17.17.
Processi di lavorazione non convenzionali 477

17.7.1  Tipi di dispositivi basati su microsistemi


I prodotti dei microsistemi si possono classificare secondo il tipo di dispositivo (come
sensori o attuatori) o secondo l’area di applicazione (medica, automobilistica ecc.). I tipi
di dispositivi sono i seguenti [6]:

Microsensori  Un sensore è un dispositivo che rileva e misura alcuni fenomeni fi-


sici come il calore o la pressione. Comprende un trasduttore che converte una certa
variabile fisica in un’altra forma (come un dispositivo piezoelettrico che converte una
forza meccanica in una corrente elettrica), il contenitore fisico e le connessioni esterne.
La maggior parte dei microsensori sono fabbricati su substrati di silicio utilizzando
le stesse tecniche di lavorazione usate per i circuiti integrati. I sensori di dimensioni
microscopiche sono stati sviluppati per misurare la forza, la pressione, la posizione,
la velocità, l’accelerazione, la temperatura, il flusso e una varietà di altre variabili ot-
tiche, chimiche, ambientali e biologiche. La Figura 17.18 mostra la micrografia di un
micro-accelerometro sviluppato da Motorola Co.

Microattuatori  Come un sensore, un attuatore converte una grandezza fisica di un


tipo in una grandezza di un altro tipo, ma la variabile convertita di solito riguarda
un’azione meccanica (come un dispositivo piezoelettrico che oscilla a causa di un cam-
po elettrico alternato). Un attuatore provoca un cambiamento nella posizione o nell’ap-
plicazione della forza. Esempi di microattuatori sono le valvole, i posizionatori, gli in-
terruttori, le pompe e i motori rotazionali e lineari [6].

Microstrutture e microcomponenti  Questi termini sono usati per indicare un pezzo


microscopico che non è né un sensore né un attuatore. Esempi di microstrutture e micro-
componenti sono gli ingranaggi, le lenti, gli specchi e gli ugelli microscopici. Questi ele-
menti devono essere combinati con altri componenti (microscopici o non) per avere una fun-
zione utile. La Figura 17.19 mostra un ingranaggio microscopico vicino a un capello umano.

Microsistemi e microstrumenti  Questi termini sono usati per indicare delle


aggregazioni di diversi componenti descritti precedentemente, incluso il contenitore
elettronico, per formare un sistema o uno strumento in miniatura. I microsistemi e i
microstrumenti tendono a essere specifici per le applicazioni, come i microlaser, gli
analizzatori chimici ottici e i microspettrometri. Gli elevati prezzi di fabbricazione di
questi sistemi tendono a limitarne la diffusione commerciale.

Figura 17.18  Cricco mi-


croscopico fabbricato
in silicio (Foto per gen-
tile concessione di Paul
McWhorter).
478 Tecnologia meccanica

Figura 17.19  Un ingranaggio microscopico e un capello umano. L’immagine è stata realizzata


usando un microscopio elettronico a scansione. L’ingranaggio è in polietilene ad alta densità mo-
dellato mediante un processo simile al processo LIGA, a parte il fatto che la cavità dello stampo è
stata creata usando un fascio ionico focalizzato invece dei raggi X. Foto per gentile concessione di
M. Ali, Università Internazionale Islamica della Malesia.

17.7.2  Applicazioni dei microsistemi


I dispositivi e i sistemi microscopici descritti sono stati applicati in una grande varietà
di campi. Alcuni esempi importanti sono i seguenti:

Testine di stampa a getto di inchiostro  Questa è attualmente una delle più grandi
applicazioni MST, in quanto una stampante a getto di inchiostro usa diverse cartucce ogni
anno. Le stampanti di oggi possiedono risoluzioni di 1200 punti per pollice (dpi), che corri-
spondono a una distanza tra ugelli di soli 21 µm, senza dubbio nel range dei microsistemi.

Testine magnetiche per film sottili  Le testine di lettura-scrittura sono compo-


nenti chiave dei dispositivi di memorizzazione magnetici. Lo sviluppo delle testine ma-
gnetiche per film sottili della IBM Corporation è stato un importante passo avanti nella
tecnologia di archiviazione digitale, così come un successo significativo per le tecnolo-
gie di microfabbricazione. La dimensione in miniatura della testina di lettura-scrittura
ha permesso un aumento significativo della densità dei bit nei supporti di memorizza-
zione magnetici. Le testine di lettura-scrittura vengono prodotte ogni anno in centinaia
di milioni di unità, con un mercato di diversi miliardi di dollari l’anno.

Compact disc e DVD  Oggi i compact disk (CD) e i digital versatile discs (DVD)2
sono prodotti commerciali importanti, come supporto di memorizzazione per appli-
cazioni audio e video, per giochi e software. Un CD, stampato in policarbonato, ha un
diametro di 120 mm e uno spessore di 1,2 mm. I dati consistono di piccoli incavi lungo
una traccia elicoidale che inizia da un diametro di 46 mm e termina a circa 117 mm. Le
tracce della spirale sono separate di circa 1,6 µm. Ogni incavo è largo circa 0,5 µm e
lungo da 0,8 µm a 3,5 µm. Le rispettive dimensioni dei DVD sono ancora più piccole e
permettono una capacità di memorizzazione di dati molto più elevata.

Applicazioni automotive  I microsensori e gli altri microdispositivi sono molto utiliz-


zati nei veicoli a motore, anche a causa del largo uso dell’elettronica di bordo per funzioni
di sicurezza e di controllo del veicolo. Queste funzioni includono il controllo elettronico
del motore, il regolatore della velocità, i sistemi di frenata antibloccaggio, il funzionamen-
2
  Il DVD in origine era chiamato “digital video discˮ, perché le sue applicazioni principali erano i video di
film. Oggi invece si usano DVD di vari formati per la memorizzazione dei dati e altre applicazioni per compu-
ter, videogiochi e audio di alta qualità.
Processi di lavorazione non convenzionali 479

to degli air-bag, il controllo del cambio automatico, il servosterzo, la trazione, il controllo


automatico della stabilità, i sistemi di navigazione on-board, il bloccaggio e lo sbloccaggio
remoto. Questi sistemi di regolazione e di sicurezza richiedono sensori e attuatori, un nume-
ro crescente dei quali sono di dimensioni microscopiche. In un’automobile moderna ci sono
da 20 a 100 sensori, mentre nel 1970 non ce n’era praticamente nessuno.

Applicazioni mediche  Le possibilità di utilizzare la tecnologia dei microsistemi


in questo settore sono moltissime. Infatti, sono già stati fatti dei passi significativi in
questa direzione e molti dei metodi medici e chirurgici tradizionali sono già stati sosti-
tuiti dai metodi MST. Una delle forze che spingono all’uso di dispositivi microscopici
è il principio della terapia mini-invasiva, che prevede di usare incisioni molto piccole,
o addirittura fori già presenti nel corpo umano, per risolvere lo specifico problema me-
dico. Una delle tecniche basate sulla miniaturizzazione della strumentazione medica è
l’endoscopia3, che oggi viene usata principalmente per scopi diagnostici e sempre più
anche nella chirurgia. Per esempio, nella medicina standard per la riparazione dell’ernia
e la rimozione di colecisti e appendici, si effettua un esame endoscopico accompagnato
da una chirurgia laparoscopica. Un uso crescente di procedure simili sta avvenendo
anche nella chirurgia cerebrale, in cui si eseguono le operazioni attraverso uno o più
fori praticati nel cranio.

Applicazioni chimiche e ambientali  Il ruolo principale dei microsistemi nelle


applicazioni chimiche e ambientali è l’analisi delle sostanze per misurare le tracce delle
sostanze chimiche o degli agenti contaminanti nocivi. Per questo sono stati sviluppati
diversi microsensori chimici, che sono in grado di analizzare campioni molto piccoli
della sostanza di interesse.

Microscopio a scansione di sonda  Si tratta di una tecnologia per la misurazione


dei dettagli microscopici delle superfici, che permette l’analisi nanometrica delle strut-
ture di superficie. Per operare in questa fascia dimensionale, gli strumenti richiedono
delle sonde lunghe pochi µm che scansionano la superficie con distanze misurate in nm.
Queste sonde sono prodotte utilizzando le tecniche di microfabbricazione.

17.8  Processi di microfabbricazione


Molti prodotti dei microsistemi sono basati sul silicio e la maggior parte delle tecni-
che di trasformazione utilizzate per fabbricare microsistemi provengono dall’industria
microelettronica, che produce da anni circuiti integrati con dimensioni misurate in mi-
cron. Ci sono diverse ragioni per cui il silicio è un materiale importante nella MST: (1)
i dispositivi microscopici spesso includono circuiti elettronici, quindi sia il circuito sia
il dispositivo possono essere fabbricati sullo stesso substrato. (2) In aggiunta alle sue
proprietà elettroniche, il silicio possiede anche delle buone proprietà meccaniche, come
l’elevata resistenza ed elasticità, la buona durezza e la densità relativamente bassa. (3)
Le tecnologie per la lavorazione del silicio sono ben definite, grazie al loro ampio utiliz-
zo nella microelettronica. (4) L’uso del silicio monocristallino consente la produzione di
caratteristiche dimensionali con tolleranze molto strette.
La tecnologia dei microsistemi richiede spesso che il silicio sia accompagnato da
altri materiali per ottenere un particolare microdispositivo. Per esempio, i microattua-
tori sono di solito costituiti da più componenti di materiali differenti. Per questo le

3
  L’uso di uno strumento piccolo (un endoscopio) per esaminare visivamente l’interno di un organo cavo come
il retto o il colon.
480 Tecnologia meccanica

tecniche di microfabbricazione non riguardano soltanto la lavorazione del silicio. La


nostra trattazione dei processi di microfabbricazione è organizzata in tre sezioni: (1) i
processi di stratificazione del silicio, (2) il processo LIGA e (3) gli altri processi di scala
microscopica.

17.8.1  Processi di stratificazione del silicio


La prima applicazione del silicio nei microsistemi è stata per la fabbricazione di sensori
piezoresistivi al silicio per la misura della tensione, della deformazione e della pressione
nel 1960 [13]. Oggi il silicio è molto utilizzato nella MST per la produzione di sensori,
attuatori e altri microdispositivi. I processi di base sono quelli utilizzati per la produzio-
ne dei circuiti integrati. Va però notato che esistono delle differenze tra la produzione
dei circuiti integrati e quella dei microdispositivi.
1. I rapporti di forma nella microfabbricazione sono di solito maggiori rispetto a quelli
dei circuiti integrati (IC). Il rapporto di forma (aspect ratio) è definito come il
rapporto tra altezza e larghezza delle dimensioni dei pezzi prodotti, come illustrato
in Figura 17.20. I tipici rapporti di forma nella lavorazione dei semiconduttori sono
pari o inferiori a 1,0, mentre nella microfabricazione i rapporti di forma possono
essere molto più elevati, anche 400 [13].
2. Le dimensioni dei dispositivi realizzati mediante microfabbricazione di solito sono
molto più grandi rispetto a quelli realizzati per i circuiti integrati, mentre la tenden-
za che si ha nella microelettronica è quella della miniaturizzazione e della crescente
densità dei circuiti.
3. Le strutture prodotte nella microfabbricazione spesso includono cantilever, ponti e
altre forme che richiedono degli spazi vuoti tra gli strati. Questi tipi di strutture non
sono molto comuni nella fabbricazione dei circuiti integrati.
Nonostante queste differenze, bisogna riconoscere che la maggior parte delle fasi della
lavorazione del silicio impiegate nella microfabbricazione sono uguali o molto simili a
quelle utilizzate per la produzione di circuiti integrati. In fondo, il silicio è sempre lo
stesso materiale, sia che venga utilizzato per i circuiti integrati o per i microdispositivi.
Le fasi di lavorazione sono elencate in Tabella 17.5, assieme a una loro breve descrizio-
ne. Molte di queste fasi di lavorazione sono già state discusse nei capitoli precedenti,
come indicato in tabella. Come nella produzione dei circuiti integrati, i processi ag-
giungono, alterano o rimuovono degli strati di materiale da un substrato, in base ai dati

Larghezza
Width
Larghezza
Width

Height
Altezza Height
Altezza

Substrato
Substrate

(a)
(b)
Figura 17.20  Rapporto di forma (altezza/larghezza) tipico (a) nella fabbricazione dei circuiti integrati e (b) nella fabbricazione
di microcomponenti. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 481

TABELLA 17.5  Processi di stratificazione del silicio usati nella microfabbricazione.

Processo Breve descrizione


Litografia Processo utilizzato per esporre un rivestimento di resist sulla superficie di silicio o un altro
substrato (per esempio il biossido di silicio) a radiazioni. Una maschera contenente il modello
richiesto impedisce alle radiazioni di investire il resist, in modo che solo le parti non protette dalla
maschera siano esposte. In questo modo il modello della maschera viene trasferito al resist,
che è un polimero la cui solubilità in alcune sostanze chimiche viene alterata dalla radiazione. Il
cambiamento di solubilità permette di rimuovere le parti del resist corrispondenti al modello della
maschera per lavorare il substrato (per esempio, tramite incisione o rivestimento). La tecnica
che si usa di solito nella microfabbricazione è la fotolitografia, in cui si usa la luce visibile o
ultravioletta (UV) come sorgente delle radiazioni. Per una descrizione più dettagliata si può
fare riferimento alla Paragrafo 17.4. Le tecniche alternative di litografia sono i raggi X e i fasci di
elettroni.
Ossidazione termica (Aggiunta di strati) Ossidazione della superficie del silicio per formare uno strato di biossido di
silicio.
Deposizione chimica di (Aggiunta di strati) Formazione di un film sottile sulla superficie di un substrato mediante reazioni
vapore chimiche o decomposizione di gas.
Deposizione fisica di (Aggiunta di strati) Famiglia di processi di deposizione in cui un materiale viene convertito in fase
vapore vapore e poi condensato sulla superficie di un substrato nella forma di un film sottile.
Galvanostegia e (Aggiunta di strati) Processo elettrolitico in cui degli ioni metallici in soluzione vengono depositati
elettroformatura su un materiale target che funge da catodo.
Placcatura senza (Aggiunta di strati) Deposizione in una soluzione acquosa contenente ioni del metallo di
elettrolisi placcatura senza corrente elettrica esterna. La superficie del pezzo agisce da catalizzatore
della reazione.
Diffusione termica (Alterazione di strati) Processo fisico in cui gli atomi migrano dalle regioni ad alta concentrazione
(drogaggio) verso le regioni a bassa concentrazione.
Impianto ionico (Alterazione di strati) Incorporamento di atomi di uno o più elementi in un substrato utilizzando un
(drogaggio) fascio ad alta energia di particelle ionizzate.
Attacco in umido (Rimozione di strati) Applicazione di un mordente chimico in soluzione acquosa per agire su un
materiale target, di solito in combinazione con una maschera.
Attacco a secco (Rimozione di strati) Attacco a secco mediante un plasma (gas ionizzato) per incidere un materiale
target.

Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.

geometrici contenuti in maschere litografiche. La litografia è la tecnica fondamentale


che determina la forma del microdispositivo fabbricato.
Per quanto riguarda il nostro precedente elenco delle differenze tra fabbricazione di
circuiti integrati e microdispositivi, soprattutto il punto sul rapporto di forma deve es-
sere trattato in modo più dettagliato. Le strutture della lavorazione dei circuiti integrati
sono sostanzialmente planari, mentre quelle dei microsistemi è più probabile che siano
tridimensionali. Le dimensioni dei microdispositivi di solito hanno elevati rapporti tra
altezza e larghezza.
Queste caratteristiche tridimensionali possono essere prodotte nel silicio monocri-
stallino mediante un attacco chimico in umido, purché la struttura cristallina sia orien-
tata per consentire al processo di attacco di procedere anisotropicamente. L’attacco chi-
mico in umido del silicio policristallino è isotropo. Tuttavia, nel silicio monocristallino,
il tasso di attacco dipende dall’orientamento della struttura reticolare. In Figura 17.21
sono mostrate le tre facce cristalline della struttura a reticolo cubico del silicio. Certe
soluzioni di attacco, come l’idrossido di potassio (KOH) e l’idrossido di sodio (NaOH),
hanno un tasso di attacco molto basso nella direzione della faccia (111). Questo permette
la formazione di strutture geometriche distinte con bordi taglienti su un substrato di Si
482 Tecnologia meccanica

Figura 17.21  Tre facce z z z


cristalline nella struttu-
ra reticolare cubica del
silicio: (a) faccia cristal-
lina (100), (b) faccia cri-
stallina (110) e (c) faccia
cristallina (111). (Fonte: y y y
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover, x x x
2010. Ristampato con il (a) (b) (c)
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Faccia cristallina
(111 Crystal (111)
face)

Faccia
(111 cristallina
Crystal face)(111)

Figura 17.22 Strutture
che si possono formare
nel substrato di silicio
monocristallino usando
il bulk micromachining:
(a) silicio (110) e (b) silicio
(100). (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Substrato
Substrate
Ristampato con il per-
messo di John Wiley &
Sons, Inc.) (a) (b)

monocristallino il cui reticolo sia orientato per favorire la penetrazione verticale nel
substrato o secondo un angolo acuto. Usando questa procedura si possono creare strut-
ture come quelle riportate in Figura 17.22. Per indicare il processo di attacco in umido
relativamente profondo nel substrato di silicio monocristallino (wafer di Si) si usa il
termine bulk micromachining; per indicare la strutturazione planare della superficie
del substrato, con processi di stratificazione meno penetranti, si usa il termine surface
micromachining.
Il bulk micromachining può essere usato per creare delle membrane sottili in una
microstruttura. Però serve un metodo per controllare la profondità di penetrazione nel
silicio, in modo da lasciare lo strato di membrana. Un metodo comune utilizzato per
questo scopo è quello di drogare (diffondere) degli atomi di boro nel substrato di silicio,
che riducono significativamente il tasso di attacco del silicio. La sequenza di lavorazio-
ne è mostrata in Figura 17.23. Nella fase (2) si usa una deposizione epitassiale per appli-
care lo strato superiore di silicio in modo che abbia la stessa struttura monocristallina
e orientamento del reticolo cristallino del substrato. Questo è un requisito della bulk
micromachining che serve per creare la regione profondamente incisa nella lavorazione
successiva.
La surface micromachining può essere usata per costruire travi a sbalzo, sporgenze
e altre strutture simili su un substrato di silicio, come illustrato nella fase (5) della Fi-
gura 17.24. Le travi a sbalzo nella figura sono parallele ma leggermente separate dalla
superficie del silicio.
Processi di lavorazione non convenzionali 483

SiO2 Membrana
Membrane
Si
Strato drogato
Boron-doped
dilayer
boro

Si

SiO2
(1) (2) (3) (4) (5)
Figura 17.23  Formazione di una membrana sottile in un substrato di silicio: (1) il substrato di silicio viene drogato con boro,
(2) si applica uno strato piuttosto spesso di silicio sulla parte superiore dello strato drogato per deposizione epitassiale, (3) en-
trambe le parti vengono ossidate termicamente per formare un resist di SiO2 sulla superficie, (4) il resist viene modellato tramite
litografia e (5) si usa un attacco anisotropo per rimuovere il silicio tranne nello strato drogato con boro. (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Travi a sbalzo
Cantilevers
SiO2 Si

Si

(1) (2) (3) (4) (5)


Figura 17.24  Surface micromachining per formare una trave a sbalzo: (1) si forma uno strato di biossido di silicio sul substrato
di silicio, il cui spessore determina la dimensione del gap della trave a sbalzo, (2) delle parti dello strato di SiO 2 sono incise
usando la litografia, (3) viene applicato uno strato di polisilicio, (4) delle parti dello strato di polisilicio vengono incise utilizzando
la litografia e (5) lo strato di SiO2 sotto le travi a sbalzo viene inciso selettivamente. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufac-
turing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

La dimensione della separazione e lo spessore della trave sono nell’ordine dei mi-
cron. Il ciclo di fabbricazione di questo tipo di struttura è mostrato in Figura 17.24.
Nella microfabbricazione viene usata una procedura chiamata tecnica di lift-off
per modellare i metalli come il platino su un substrato. Queste strutture sono usate in al-
cuni sensori chimici, ma sono difficili da produrre mediante attacco chimico in umido.
La sequenza di lavorazione della tecnica di lift-off è illustrata in Figura 17.25.

17.8.2  Processo LIGA


Il processo LIGA è un processo di MST molto importante. È stato sviluppato in Germa-
nia nei primi anni Ottanta. L’acronimo LIGA è l’acronimo delle parole tedesche LItho-
graphie (litografia, Tabella 17.5, in particolare la litografia a raggi X, anche se vengono
utilizzati anche altri metodi di esposizione litografica, come i fasci di ioni in Figura
17.3), Galvanoformung (galvanostegia o elettroformatura) e Abformtechnik (stampag-
gio plastico).
Le fasi di lavorazione del processo LIGA sono illustrate in Figura 17.26. Commen-
tiamo più in dettaglio le brevi descrizioni delle didascalie della figura. (1) Uno strato
abbastanza spesso di resist sensibile alle radiazioni (raggi X) viene applicato su un sub-
strato. Lo spessore dello strato può variare da diversi micron ai centimetri, a seconda
delle dimensioni del pezzo da produrre. Il materiale più comune di resist usato nei pro-
cessi LIGA è il polimetilmetacrilato (PMMA, un termoplastico acrilico). Il substrato
deve essere un materiale conduttore per permettere le fasi successive di galvanostegia.
Il resist viene esposto, attraverso una maschera, a dei raggi X ad alta energia. (2) Le
aree irradiate del resist vengono rimosse chimicamente dalla superficie del substrato,
484 Tecnologia meccanica

Resist Pt

Si

(1) (2) (3)


Figura 17.25  La tecnica di lift-off: (1) il resist viene applicato sul substrato e strutturato tramite litografia, (2) viene depositato il
platino sulle superfici e (3) il resist viene rimosso, portando via il platino sulla sua superficie ma lasciando la microstruttura di
platino desiderata. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Radiazioni di raggi X
x-ray radiation

Maschera
Mask
(a)

Resist (PMMA)

Substrato
Substrate (conduttore)
(conductive)

(1) (2) (b)

(3) (4)
Figura 17.26  Fasi di lavorazione LIGA: (1) uno spesso strato di resist viene applicato ed esposto ai raggi X usando una ma-
schera, (2) le parti esposte del resist vengono rimosse, (3) le cavità del resist vengono riempite mediante galvanostegia e (4)
il resist viene tolto per lasciare (a) uno stampo o (b) un pezzo metallico. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

lasciando le parti non esposte a formare una struttura plastica tridimensionale. (3) Le
regioni in cui il resist è stato rimosso sono riempite di metallo usando la galvanostegia.
Il nichel è il metallo di placcatura più usato nel processo LIGA. (4) Il resist rimasto
viene tolto e si ottiene una struttura metallica tridimensionale. In funzione della geome-
tria creata, questa struttura può essere (a) lo stampo da utilizzare per la produzione di
pezzi di plastica mediante stampaggio a iniezione, stampaggio a iniezione di reazione
o stampaggio a compressione. Nel caso di stampaggio a iniezione, in cui vengono pro-
dotti pezzi in materiale termoplastico, che possono essere usati come stampi a perdere
nella microfusione. In alternativa, (b) la struttura metallica può costituire un modello
per fabbricare degli stampi di plastica da usare per produrre pezzi metallici mediante
galvanostegia.
Come indicato dalla nostra descrizione, il processo LIGA può produrre pezzi usan-
do diversi metodi. Questo è uno dei più grandi vantaggi di questo processo di micro-
fabbricazione: (1) il LIGA è un processo versatile. Gli altri vantaggi sono (2) gli alti
rapporti di forma possibili, cioè gli elevati rapporti altezza/larghezza dei pezzi prodotti,
(3) la vasta gamma di dimensioni possibili, con altezze che variano dai micrometri ai
centimetri e (4) le tolleranze strette che si possono raggiungere. Uno svantaggio signi-
ficativo del processo LIGA è che è un processo molto costoso quindi può essere usato
solo per grandi quantità di pezzi. Anche l’uso dei raggi X rappresenta uno svantaggio.
Processi di lavorazione non convenzionali 485

17.8.3  Altri processi di microfabbricazione


La ricerca nel campo MST sta fornendo diverse nuove tecniche di fabbricazione, la
maggior parte delle quali sono variazioni della litografia o adattamenti dei processi
macroscopici. In questa sezione vengono discusse alcune di queste nuove tecniche.

Litografia soft  Questo termine è usato per i processi che utilizzano uno stampo
elastomerico piatto (simile a un timbro di gomma per inchiostro) per creare un modello
sulla superficie di un substrato. La sequenza per creare lo stampo è illustrata in Figura
17.27. Un modello master è fabbricato su una superficie di silicio mediante un processo
di litografia, come la fotolitografia ultravioletta. Questo modello master viene quindi
utilizzato per produrre lo stampo piatto per il processo di litografia soft. Il materiale con
cui viene di solito realizzato lo stampo è il polidimetilsilossano (PDMS, una gomma di
silicio). Dopo che il PDMS si è polimerizzato, viene staccato dal modello e fissato a un
substrato per sorreggerlo e muoverlo.
I due processi di litografia soft sono la litografia micro-imprint e la micro-contact
printing. Nella litografia micro-imprint, lo stampo viene premuto sulla superficie di
un resist morbido per spostare il resist da certe regioni del substrato per l’attacco succes-
sivo. Il processo è illustrato in Figura 17.28. Lo stampo piatto consiste di zone più alte
e zone più basse; quelle più alte corrispondono alle aree sulla superficie del resist che
saranno rimosse per esporre il substrato. Il materiale del resist è un polimero termopla-
stico ammorbidito mediante riscaldamento prima della pressatura. L’alterazione dello
strato di resist viene eseguita mediante deformazione meccanica anziché radiazione
elettromagnetica, come nei più tradizionali metodi di litografia. Le regioni compresse
dello strato di resist vengono rimosse successivamente mediante incisione. Il processo

PDMS non Stampo piatto finale


Uncured PDMS
polimerizzato Cured
di PDMS
PDMS flat mold
polimerizzato
Modellopattern
Master master

(1) (2) (3)


Figura 17.27  Fasi della costruzione di stampi mediante litografia soft: (1) il modello master viene fabbricato mediante litografia
tradizionale, (2) lo stampo piatto di polidimetilsilossano viene colato dal modello principale e (3) lo stampo piatto reticolato
viene staccato dal modello per essere usato. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Stampo
PDMSpiatto PDMS
flat mold

Resist

Substrato
Substrate
(1) (2) (3) (4)
Figura 17.28  Fasi della litografia micro-imprint: (1) lo stampo viene posizionato sopra e (2) poi premuto sul resist, (3) lo stampo
viene sollevato e (4) il resist rimanente viene rimosso dalla superficie del substrato nelle regioni definite. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
486 Tecnologia meccanica

di incisione riduce anche lo spessore dello strato di resist rimanente, che però rimane
in quantità sufficiente per proteggere il substrato per la successiva lavorazione. La lito-
grafia micro-imprint può essere configurata per sostenere alti tassi di produzione a un
costo modesto. La procedura non richiede l’uso di una maschera, anche se la fabbrica-
zione dello stampo richiede una preparazione analoga.
Lo stesso tipo di stampo piatto può essere utilizzato in modalità di stampa, nel qual
caso il processo è chiamato micro-contact printing. In questa forma di litografia soft,
lo stampo viene utilizzato per trasferire un modello di una sostanza sulla superficie di
un substrato, come un inchiostro che viene trasferito su una superficie di carta. Questo
processo permette di produrre strati molto sottili sul substrato.

Processi non convenzionali e convenzionali nella microfabbricazione Nel-


la microfabbricazione ci sono diversi importanti processi di lavorazione non convenzio-
nali e convenzionali. La lavorazione fotochimica (PCM) è un processo essenziale nella
lavorazione dei circuiti integrati e nella microfabbricazione: nella nostra trattazione abbia-
mo fatto riferimento a essa con il termine di attacco chimico in umido (in combinazione
con la fotolitografia). La PCM è spesso usata con i processi tradizionali di galvanostegia,
elettroformatura, e/o placcatura senza elettrolisi per aggiungere strati di materiali me-
tallici in funzione dei modelli delle maschere microscopiche.
Altri processi non convenzionali in grado di lavorare a livello microscopico sono
[13]: (1) la elettroerosione, utilizzata per eseguire fori fino a 0,3 mm di diametro
con rapporti di forma (profondità-diametro) fino a 100, (2) la lavorazione a fascio
elettronico, per realizzare fori di diametro inferiore a 100 µm in materiali difficili
da lavorare, (3) la lavorazione a raggio laser, che può produrre profili complessi e
fori con diametro minore di 10 µm con rapporti di forma (profondità/larghezza o pro-
fondità/diametro) di circa 50, (4) la lavorazione a ultrasuoni, in grado di praticare
fori con diametri fino a 50 µm in materiali duri e fragili e (5) l’elettroerosione a filo,
o wireEDM, che può tagliare pareti molto sottili con rapporti di forma (profondità/
larghezza) maggiori di 100.
Le lavorazioni convenzionali hanno migliorato la loro capacità di realizzare tagli
sottili con tolleranze strette. Queste tecniche, che prendono il nome di lavorazioni mec-
caniche di ultra precisione, usano utensili in diamante a cristallo singolo per il taglio
e sistemi di controllo di posizione con risoluzione fino a 0,01 µm [13]. La Figura 17.29
illustra una loro applicazione, la fresatura di scanalature in un foglio di alluminio con

Utensile in diamante
Diamond-cutting tool

Toolholder
Porta utensile

Mandrino
Spindle
Foglio
Aluminum
Figura 17.29 Fresatu- di alluminio
foil
ra di ultra precisione di
scanalature in un foglio
di alluminio. (Fonte: Fun-
damentals of M odern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Fissaggio a
Vacuum chuck
permesso di John Wiley depressione
& Sons, Inc.)
Processi di lavorazione non convenzionali 487

una fresa in diamante a punta singola. Il foglio di alluminio ha uno spessore di 100 µm
e le scanalature sono larghe 85 µm e profonde 70 µm. Lavorazioni simili vengono usate
per la produzione di prodotti come gli hard disk dei computer, i tamburi delle fotoco-
piatrici, gli inserti degli stampi per le testine di lettura dei compact disk e le lenti dei
proiettori a alta definizione.

Tecnologie di prototipazione rapida  Vari metodi di prototipazione rapida (RP)


sono stati adattati per la produzione di componenti microscopici [20]. I metodi RP uti-
lizzano un approccio additivo per costruire i componenti tridimensionali basandosi su
un modello CAD del componente. Ogni strato è molto sottile, spesso fino a 0,05 mm,
molto vicino alla scala delle tecniche di microfabbricazione. Rendendo gli strati ancora
più sottili, si possono fabbricare dei microcomponenti.
Uno di questi approcci RP è detto fabbricazione elettrochimica (electrochemical
fabrication EFAB) e prevede la deposizione elettrochimica di strati metallici in aree
specifiche determinate da maschere create sezionando il modello CAD dell’oggetto da
produrre. Gli strati depositati sono spessi in genere da 5 a 10 µm, con larghezze di 20
µm. La EFAB si esegue a temperature inferiori a 60 °C e non richiede un ambiente ste-
rile. Tuttavia, il processo è lento in quanto richiede circa 40 minuti per applicare ogni
strato, o applica circa 36 strati ogni 24 ore (l’altezza di ogni strato è compresa tra i 180
µm e i 360 µ​m). Per superare questo inconveniente, la maschera di ogni livello può con-
tenere più copie del modello, in modo da poter produrre più pezzi contemporaneamente
in un processo batch.
Un altro approccio RP, chiamato microstereolitografia, si basa sulla stereolito-
grafia (STL), con una scala di dimensioni molto ridotta. Mentre lo spessore degli strati
nella stereolitografia tradizionale varia tra 75 µm e 500 µm, gli spessori nella micro-
stereolitografia (MSTL) variano tra i 10 µm e 20 µm, o anche meno. La dimensione
del diametro del laser nella STL vale tipicamente circa 250 µm mentre, nel caso della
MSTL, circa 1 o 2 µm. Un’altra differenza della MSTL è che il materiale da lavorare
non è solo un polimero fotosensibile, ma ci sono casi in cui sono usati anche materiali
ceramici e metallici. La differenza è che il materiale di partenza è una polvere anziché
un liquido.

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Domande di ripasso
10. Descrivere le quattro fasi principali della lavorazio-
1. Perché i processi di lavorazione non convenzionali ne chimica.
sono importanti? 11. Quali sono i tre metodi per eseguire la fase di ma-
2. Descrivere le quattro categorie di processi di lavo- scheratura nella lavorazione chimica?
razione non convenzionali, ognuna basata su una 12. Che cos’è un fotoresist nella lavorazione chimica?
diversa forma di energia. 13. Definire il termine sistema microelettromeccanico.
3. Come funziona il processo di lavorazione a ultra- 14. Qual è la scala approssimativa delle dimensione
suoni? nelle tecnologie dei microsistemi?
4. Descrivere il processo di taglio a getto d’acqua. 15. Perché è ragionevole credere che i prodotti dei
5. Qual è la differenza tra il taglio a getto d’acqua, il ta- microsistemi abbiano dei costi inferiori rispetto ai
glio a getto idroabrasivo e il taglio a getto abrasivo? prodotti delle dimensioni più grandi tradizionali?
6. Descrivere i tre tipi principali di lavorazione elettro- 16. Quali sono i principali tipi di dispositivi dei microsistemi?
chimica. 17. Citare alcuni prodotti rappresentativi delle tecnolo-
7. Descrivere i due svantaggi della lavorazione elettro- gie dei microsistemi.
chimica. 18. Perché è il silicio un materiale da lavoro usato nei
8. In che modo l’aumento di corrente delle scariche microsistemi?
influisce sul tasso di rimozione di materiale e sulla 19. Cosa si intende con il termine rapporto di forma?
finitura superficiale nell’elettroerosione? 20. Qual è la differenza tra la bulk micromachining e
9. Che cosa si intende con il termine sovrataglio nell’elet- surface micromachining?
troerosione? 21. Quali sono le tre fasi del processo LIGA?

problemi
3. Per l’applicazione seguente, individuare uno o più
1. Per l’applicazione seguente, individuare uno o più pro- processi di lavorazione non convenzionale che
cessi di lavorazione non convenzionale che possono possono essere utilizzati e argomentare la scelta.
essere utilizzati e argomentare la scelta. Si assuma Si assuma che la forma o il materiale del pezzo (o
che la forma o il materiale del pezzo (o entrambi) im- entrambi) impediscano l’impiego della lavorazione
pediscano l’impiego della lavorazione tradizionale. Si tradizionale. Si deve realizzare un foro a forma di
deve realizzare una matrice di fori di 0,1 mm di diame- lettera L su una lastra di vetro spessa 12,5 mm. La
tro su una piastra spessa 3,2 mm in acciaio temprato. dimensione della L è 25 per 15 mm e la larghezza
La matrice è rettangolare, di dimensioni 75 per 125 del foro è 3 mm.
mm e la distanza tra i fori è di 1,6 mm da ogni parte. 4. Per l’applicazione seguente, individuare uno o più
2. Per l’applicazione seguente, individuare uno o più processi di lavorazione non convenzionale che
processi di lavorazione non convenzionale che pos- possono essere utilizzati e argomentare la scelta.
sono essere utilizzati e argomentare la scelta. Si Si assuma che la forma o il materiale del pezzo (o
assuma che la forma o il materiale del pezzo (o en- entrambi) impediscano l’impiego della lavorazione
trambi) impediscano l’impiego della lavorazione tra- tradizionale. Si deve realizzare un foro a forma di
dizionale. Si deve realizzare una lastra di alluminio lettera G in un cubo di acciaio spesso 50 mm. La
incisa da utilizzare in una macchina per la stampa dimensione della lettera G è 25 per 19 mm, la pro-
offset, per realizzare dei poster dell’indirizzo di Get- fondità del foro è di 3,8 mm e la sua larghezza di
tysburg Lincoln del formato 275 per 350 mm. 3 mm.
490 Tecnologia meccanica

  5. Un’industria che produce mobili che realizza pol- 11. Si esegue un’operazione di elettroerosione su due
trone e divani deve tagliare grandi quantità di tes- materiali: ferro e zinco. Determinare la quantità di
suti. Molti di questi tessuti sono duri e resistenti metallo rimossa nell’operazione per ognuno dei
all’usura, caratteristiche che li rendono difficili da due metalli dopo un’ora, sapendo che la corrente
tagliare. Quale/i processo/i non convenzionali con- delle scariche è di 15 A. Utilizzare le unità di misura
sigliereste alla società per questa applicazione? americane ed esprimere i risultati in in3/ore. Utiliz-
Giustificare la risposta indicando le caratteristiche zare la Tabella 3.10 per la temperatura di fusione
del processo che lo rendono adatto. del ferro e dello zinco.
  6. La zona frontale dell’elettrodo in un’operazione 12. Si supponga di dover realizzare il foro descritto nel
ECM è di 2000 mm2. La corrente applicata è 1800 Problema 17.9 tramite EDM anziché ECM. Sapen-
A e la tensione 12 V. Il materiale da tagliare è il ni- do che la corrente delle scariche è 20 A (il valore ti-
chel (valenza = 2). (a) Sapendo che il processo ha pico dell’EDM), quanto tempo ci vuole per eseguire
un’efficienza del 90%, determinare il tasso di rimo- il foro? Utilizzare la Tabella 3.10 per la temperatura
zione del metallo in mm3/min. (b) Sapendo che la di fusione del ferro puro.
resistività dell’elettrolita è 140 Ωmm, determinare 13. In un’operazione EDM si raggiunge un tasso di ri-
la distanza di separazione del pezzo (gap). mozione di materiale di 160 mm3/min su un certo
  7. In un’operazione di lavorazione elettrochimica, la pezzo di rame puro. Quale tasso di rimozione si
zona frontale dell’elettrodo è di 1600 mm2. La cor- avrebbe per un pezzo di nichel nella stessa lavora-
rente applicata è 1500 A e la tensione di 12 V. Il zione EDM usando la stessa corrente? Utilizzare la
materiale da lavorare è l’alluminio puro. (a) Sapendo Tabella 3.10 per la temperatura di fusione del rame
che il processo ha un’efficienza del 90%, determi- e del nichel.
nare il tasso di rimozione del metallo in mm3/ora. (b) 14. In un’operazione di elettroerosione a filo eseguita
Sapendo che la resistività dell’elettrolita è 160 Ωin, su un pezzo di acciaio C1080 spesso 7 mm usando
determinare la distanza di separazione del pezzo. un filo di tungsteno come elettrodo il cui diametro
  8. Si vuole tagliare un foro quadrato in una lastra di è 0,125 mm, è stato rilevato che si verifica un so-
rame puro (valenza = 1) spessa 20 mm con un’ope- vrataglio di 0,02 mm, quindi la larghezza del solco
razione di ECM. Il foro è di 25 mm su ciascun lato, del taglio è di 0,165 mm. Utilizzando una corrente
ma l’elettrodo utilizzato per tagliare il foro è legger- di 10 A, qual è la velocità di avanzamento ammis-
mente inferiore ai 25 mm per considerare il sovra- sibile che può essere raggiunta nell’operazione?
taglio e ha un foro in mezzo per permettere il flusso Utilizzare una temperatura di fusione di 1500°C per
dell’elettrolita e per ridurre l’area di taglio. Questo l’acciaio 1080.
utensile ha una superficie frontale risultante di 200 15. Si vuole eseguire un’operazione di elettroerosio-
mm2. La corrente applicata è 1000 A. Sapendo che ne a filo su una lastra spessa 3/4 di alluminio con
il rendimento è del 95%, determinare quanto tempo un filo in ottone come elettrodo avente un diame-
ci vuole per realizzare il foro. tro di 0,13 mm. Si prevede che il sovrataglio sia di
  9. Si vuole tagliare un foro passante di diametro di 90 0,0025 mm, quindi larghezza del solco del taglio
mm un blocco di ferro puro (valenza = 2) mediante sarà 0,17 mm. Utilizzando una corrente di 7 A, qual
lavorazione elettrochimica. Il blocco è spesso 50 è la velocità di avanzamento ammissibile che può
mm. Per accelerare il processo di taglio, l’utensile essere raggiunta nell’operazione? La temperatura
elettrodo ha un foro centrale di 75 mm che forma di fusione dell’alluminio è 1220 °F.
un nucleo che può essere rimosso dopo che l’uten- 16. In un impianto aereo si usa una fresatura chimi-
sile abbia passatoil pezzo da parte a parte. Il dia- ca per creare delle tasche sui profili alari in lega
metro esterno dell’elettrodo è sottodimensionato di alluminio. Lo spessore iniziale del pezzo è 20
per consentire il sovrataglio. Il sovrataglio dovreb- mm. Si vuole eseguire una serie di tasche rettan-
be essere di 0,13 mm su ogni lato. Sapendo che golari profonde 12 mm di dimensioni 200 per 400
l’efficienza dell’operazione ECM è del 90%, quale mm. Gli angoli di ogni rettangolo sono raccordati
corrente è richiesta per completare l’operazione di a 15 mm. Il materiale lavorato è una lega di allu-
taglio in 20 minuti? minio e il mordente è NaOH. Utilizzare la Tabella
10. Si esegue un’operazione di elettroerosione su 17.2 per determinare il tasso di penetrazione e il
due materiali: tungsteno e stagno. Determinare fattore di attacco per questa combinazione. De-
la quantità di metallo rimossa nell’operazione per terminare (a) la velocità di rimozione del metallo
ognuno dei due metalli dopo un’ora, sapendo che in mm3/min, (b) il tempo necessario eseguire l’at-
la corrente delle scariche è di 20 A. Usare le unità tacco chimico alla profondità specificata e (c) le
di misura metriche ed esprimere i risultati in mm3/ dimensioni richieste dell’apertura nella maschera
ora. Utilizzare la Tabella 3.10 per la temperatura di taglia e stacca per ottenere la dimensione giusta
fusione del tungsteno e dello stagno. della tasca nel pezzo.
Processi di lavorazione non convenzionali 491

17. In un’operazione di fresatura chimica su una pia- glio è spesso 0,25 mm. Si usa il metodo serigra-
stra di acciaio dolce, si vuole tagliare una tasca fico per disporre la maschera per riuscire a rag-
a forma di ellisse a una profondità di 10 mm. I se- giungere dei tassi di produzione elevati. Si è visto
miassi dell’ellisse sono a = 10 mm e b = 150 mm. che il processo produce una grande percentuale
Come mordente si usa una soluzione di acido di scarti e non riesce a raggiungere la tolleranza
cloridrico e nitrico. Utilizzare la Tabella 17.2 per di ± 0.025 mm. Il caposquadra pensa che ci sia
determinare il tasso di penetrazione e il fattore di qualcosa di sbagliato con l’acido solforico, forse la
attacco per questa combinazione. Determinare (a) concentrazione sbagliata. Analizzare il problema e
la velocità di rimozione del metallo in mm3/ora, (b) consigliare una soluzione.
il tempo necessario eseguire l’attacco chimico alla 19. In un’operazione di tranciatura chimica, lo spes-
profondità specificata e (c) le dimensioni richieste sore della lastra di alluminio è 0,4 mm. Si vuole
dell’apertura nella maschera taglia e stacca per tagliare una matrice di fori di 2,5 mm di diametro.
ottenere la dimensione desiderata della tasca nel Sapendo che si usa la lavorazione fotochimica
pezzo. per realizzare questi fori e il metodo della stam-
18. In una operazione di tranciatura chimica, si usa pa a contatto per la mascheratura, determinare il
come mordente acido solforico per rimuovere del diametro dei fori che devono essere impostati nel
materiale da una lastra in lega di magnesio. Il fo- modello.
VI Processi di giunzione
e assemblaggio
Concetti di base

Capitolo 18
della saldatura e processi
di saldatura

Questa parte del libro è dedicata ai processi utilizzati per unire due o più pezzi in un’unica
entità. Questi processi sono rappresentati nell’ultimo ramo della Figura Il termine giunzione
viene usato per indicare in generale i processi di saldatura, brasatura, brasatura dolce e
incollaggio, tutti processi che formano una giunzione permanente tra i pezzi, che non si può
scomporre facilmente. Il termine assemblaggio invece si riferisce ai metodi di fissaggio.
Alcuni di questi metodi consentono uno smontaggio facile, a differenza di altri. La nostra trat-
tazione inizia con due capitoli sulla saldatura. La brasatura, la brasatura dolce, l’incollaggio e
l’assemblaggio meccanico sono descritti nel Capitolo 19.
La saldatura è un processo di giunzione in cui le superfici di contatto di due o più pezzi ven-
gono fuse insieme mediante l’applicazione di calore e/o pressione. Molti processi di saldatura
vengono eseguiti solo mediante calore senza applicare nessuna pressione, altri mediante una
combinazione di calore e pressione e altri ancora solo mediante pressione senza usare calore.
In alcuni processi di saldatura si aggiunge un materiale di apporto per facilitare la giunzione. Il
termine saldatura si usa anche per indicare l’assemblaggio di pezzi che vengono uniti mediante
saldatura. Il processo di saldatura di solito si applica a pezzi metallici, anche se è applicabile
anche a pezzi di plastica. La nostra discussione sulla saldatura si concentra sui metalli. L’impor-
tanza commerciale e tecnologica della saldatura deriva dalle seguenti ragioni.
• La saldatura crea un legame permanente: i componenti saldati diventano un’unica entità.
• Il giunto saldato può essere più forte dei materiali di base se si usa un materiale
di apporto con proprietà di resistenza superiori a quelle dei pezzi e se si usano le
tecniche di saldatura appropriate.
• La saldatura è di solito il modo più economico per unire componenti in termini di
utilizzo dei materiali e costi di fabbricazione. I metodi alternativi meccanici richie-
dono delle modifiche di forma più complesse (ad esempio realizzazione di fori) e
l’aggiunta di elementi di fissaggio, come rivetti o bulloni. L’assemblaggio risultante
meccanico è quindi più pesante della corrispondente saldatura.
• La saldatura non deve essere per forza eseguita in fabbrica, ma può anche essere
fatta «sul campo».
Sebbene la saldatura presenti molti vantaggi, essa comporta anche delle limitazioni:
• La maggior parte delle operazioni di saldatura sono eseguite manualmente e sono
costose in termini di costo del lavoro. Molte operazioni di saldatura sono considerate
«lavori specializzati» e la manodopera per eseguirle potrebbe non essere disponibile.
• La maggior parte dei processi di saldatura sono pericolosi perché comportano l’uso
di energie elevate.
• Poiché la saldatura realizza un legame permanente tra i componenti, è poi difficile sepa-
rarli. Se serve che il pezzo venga smontato occasionalmente (ad esempio per la ripara-
zione o la manutenzione), non si può usare la saldatura come metodo di assemblaggio.
• Il giunto saldato può soffrire di difetti qualitativi che sono difficili da rilevare e che ne
riducono la resistenza.
496 Tecnologia meccanica

18.1 Panoramica della saldatura

La saldatura comporta l’unione o la giuntura localizzata di due pezzi metallici ai loro


piani di contatto. I piani di contatto sono le superfici dei pezzi che si trovano a contatto
tra di loro o a breve distanza. La saldatura viene di solito effettuata su pezzi fatti dello
stesso metallo, ma alcune operazioni possono essere usate anche per unire pezzi fatti
di metalli diversi.

18.1.1  Tipi di processi di saldatura


Ci sono circa 50 diversi processi di saldatura catalogati dalla American Welding So-
ciety. Essi utilizzano vari tipi di energia per fornire la potenza richiesta. Possiamo di-
videre i processi di saldatura in due gruppi principali: (1) saldatura per fusione e (2)
saldatura allo stato solido.

Saldatura per fusione  I processi di saldatura per fusione usano il calore per fonde-
re i metalli di base. In molte operazioni di saldatura per fusione, si aggiunge al bagno di
fusione un metallo di apporto per facilitare il processo e aumentare la massa e la forza
del giunto. Un’operazione di saldatura per fusione in cui non viene aggiunto nessun
materiale di apporto è detta saldatura autogena. I processi di saldatura per fusione più
usati si possono classificare nei seguenti gruppi (le iniziali nelle parentesi sono le desi-
gnazioni della American Welding Society).
• Saldatura ad arco (AW). La saldatura ad arco si riferisce al un gruppo di processi
di saldatura in cui il riscaldamento dei metalli si realizza tramite un arco elettrico,
come mostrato in Figura 18.1. Alcune operazioni di saldatura ad arco applicano
anche una pressione durante il processo e la maggior parte usano un materiale di
apporto.
• Saldatura a resistenza (RW). La saldatura a resistenza esegue la fusione utiliz-
zando il calore di una resistenza elettrica dovuto al flusso di corrente tra i piani di
contatto dei due pezzi tenuti uniti sotto pressione.
• Saldatura a ossicombustibile (OFW). Questi processi di giunzione utilizzano un
gas ossicombustibile, ad esempio una miscela di ossigeno e acetilene, per produrre
una fiamma che fonde i metalli dei pezzi e del materiale di apporto, se utilizzato.
• Gli altri processi di saldatura per fusione sono la saldatura a fascio di elettroni e
la saldatura a fascio laser.

Elettrodo
Metallo di apporto
Arco
Giunto saldato
Gas di schermatura Pozza di fusione

Metallo di base Penetrazione


Due pezzi da saldare
(1) Vista frontale (2) Vista trasversale (3) Vista frontale
(prima della saldatura) (durante la saldatura) (al termine della saldatura)

Figura 18.1  Configurazione generale della saldatura ad arco: (1) prima della saldatura, (2) durante la saldatura (il metallo di
base è fuso e il materiale di apporto viene aggiunto al bagno di fusione) e (3) a saldatura completata. Esistono molte varianti del
processo di saldatura ad arco. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 497

Saldatura allo stato solido  La saldatura allo stato solido si riferisce ai processi in
cui la giunzione si verifica solo attraverso l’applicazione di una pressione o una combi-
nazione di calore e pressione. Se si usa anche il calore, la temperatura del processo deve
essere inferiore al punto di fusione dei metalli da saldare. In questi casi non si usano
materiali di apporto. I processi di saldatura rappresentativi di questo gruppo sono:
• Saldatura per diffusione (DFW). Due superfici sono tenute insieme sotto pressio-
ne ad una temperatura elevata e si uniscono mediante diffusione allo stato solido.
• Saldatura per attrito (FRW). L’unione si ottiene mediante il calore di attrito tra le
due superfici.
• Saldatura a ultrasuoni (RSU). Si applica una pressione moderata ai due pezzi e
si usa un movimento oscillante a frequenze ultrasoniche in direzione parallela alle
superfici di contatto. La combinazione delle forze normali e di vibrazione causa
delle tensioni di taglio che rimuovono le pellicole superficiali e causano un’adesio-
ne atomica delle superfici.
Questa panoramica fornisce il quadro necessario a comprendere la terminologia e i
concetti generali della saldatura trattati in questo capitolo.

18.1.2  La saldatura come operazione commerciale


Le principali applicazioni commerciali della saldatura sono (1) le costruzioni, ad esempio
di edifici e ponti, (2) le tubature, i recipienti a pressione, le caldaie e i serbatoi di stoccag-
gio, (3) le costruzioni navali, (4) le applicazioni aeronautiche e aerospaziali e (5) le appli-
cazioni automobilistiche e ferroviarie [1]. La saldatura viene eseguita in diversi luoghi e in
diverse industrie. Grazie alla loro versatilità come tecniche di assemblaggio per i prodotti
commerciali, le operazioni di saldatura vengono eseguite in molte fabbriche. Inoltre, molti
dei processi tradizionali, come la saldatura ad arco e la saldatura a ossicombustibile, usa-
no delle attrezzature che possono essere spostate facilmente, quindi queste operazioni non
sono limitate alle fabbriche, ma possono essere eseguite nei cantieri edili e navali, negli
impianti dei clienti e nelle officine di riparazione degli autoveicoli.
La maggior parte delle operazioni di saldatura richiede un’alta intensità di ma-
nodopera. Per esempio, la saldatura ad arco viene solitamente eseguita da personale
esperto, ovvero dai saldatori che controllano manualmente il percorso della saldatura
e il posizionamento dei pezzi. Nelle operazioni di fabbrica in cui la saldatura ad arco
viene svolta manualmente, il saldatore lavora spesso con un secondo operaio, chiamato
montatore. È compito del montatore preparare i singoli componenti per il saldatore
prima di effettuare la saldatura. A questo scopo vengono usati delle dime di saldatura e
dei posizionatori. Una dima di saldatura è un dispositivo di bloccaggio e di tenuta dei
componenti in posizione fissa. Si fabbrica apposta per la particolare saldatura e il suo
costo elevato deve essere giustificato da alti volumi di produzione. Un posizionatore
di saldatura è un dispositivo che supporta i pezzi e li muove nella posizione richiesta
per la saldatura. Differisce dalla dima di saldatura perché questa regge solo i pezzi in
un’unica posizione fissa. La posizione in cui vanno tenuti i pezzi di solito è quella in cui
il percorso di saldatura è piano e orizzontale.

Problemi di sicurezza  La saldatura è un’operazione pericolosa per gli operai, che de-
vono prendere le opportune misure di sicurezza. Le alte temperature dei metalli fusi nella
saldatura sono un grave pericolo. Nella saldatura a ossicombustibile, i combustibili (come
l’acetilene) sono un rischio di incendio. La maggior parte dei processi utilizzano una ele-
vata energia per provocare la fusione delle superfici del pezzo da unire. In molti processi
di saldatura, l’energia elettrica è la fonte di energia termica, che implica il rischio di scosse
498 Tecnologia meccanica

elettriche. Alcuni processi di saldatura hanno anche altri rischi specifici. Ad esempio, la
saldatura ad arco emette radiazioni ultraviolette che sono dannose per gli occhi. I saldatori
devono indossare un casco speciale che include una maschera oscurata. Questa maschera
filtra la radiazione pericolosa, ma è così scura che rende il saldatore praticamente cieco,
tranne quando si accende l’arco. Altri rischi nelle operazioni di saldatura sono le scintille,
gli schizzi di metallo fuso, il fumo e i vapori. Servono degli impianti di ventilazione per
eliminare i fumi pericolosi generati dai fondenti e dai metalli fusi. Se l’operazione viene
eseguita in un locale chiuso, è obbligatorio usare delle cappe di ventilazione.

Saldatura automatica  A causa dei rischi che comporta la saldatura manuale, e nel
tentativo di aumentare la produttività e migliorare la qualità dei prodotti, sono state
sviluppate varie forme di meccanizzazione ed automazione. Queste comprendono le
macchine saldatrici, la saldatura automatica e la saldatura robotizzata.
La macchina saldatrice è un macchinario che esegue una saldatura meccanizzata
sotto lo stretto controllo di un operatore. Normalmente è realizzata da una testa di sal-
datura che viene mossa meccanicamente rispetto a un pezzo fisso, oppure muovendo il
pezzo verso la testa di saldatura fissa. Un operatore deve continuamente monitorare e
interagire con la macchina per controllarne il funzionamento.
Se la macchina è in grado di eseguire l’operazione senza il controllo dell’operatore,
viene chiamata saldatura automatica. Di solito c’è sempre un operaio che sorveglia il pro-
cesso e rileva le eventuali anormalità di funzionamento. Quello che distingue la saldatura
automatica dalla macchina saldatrice è il fatto che la saldatura automatica possiede un ciclo
di controllo per regolare il movimento dell’arco e il posizionamento dei pezzi che non richie-
de l’intervento umano. La saldatura automatica ha bisogno di una dima di saldatura e/o un
posizionatore per posizionare il pezzo rispetto alla testa di saldatura. È anche necessario che
i componenti utilizzati abbiano un grado di precisione e coerenza maggiore, quindi l’utilizzo
della saldatura automatica è giustificata solo per le alte produzioni.
Nella saldatura robotizzata, si usa un robot industriale o un manipolatore program-
mabile per controllare automaticamente il movimento della testa di saldatura rispetto al
pezzo. L’ampia portata del braccio robotizzato consente l’uso di apparecchi di saldatura
relativamente semplici. La possibilità di riprogrammare il robot secondo le caratteristiche
dei pezzi giustifica l’uso di questa forma di automazione anche per le basse produzioni.
Una tipica cella robotizzata per la saldatura ad arco è composta da due dime di saldatura,
un operaio montatore che carica e scarica i pezzi e un robot che esegue la saldatura. Oltre
alla saldatura ad arco, i robot industriali vengono utilizzati anche negli impianti di assem-
blaggio finale delle automobili per eseguire la saldatura a resistenza delle carrozzerie.

18.2  Il giunto saldato

La saldatura produce una solida connessione tra due pezzi, che viene chiamata giunto sal-
dato. Un giunto saldato è la giunzione dei bordi o delle superfici dei pezzi che sono uniti
mediante saldatura. Questa sezione descrive due classificazioni relative ai giunti saldati:
(1) i tipi di giunti e (2) i tipi di saldature utilizzate per unire i pezzi che formano i giunti.

18.2.1  Tipi di giunti


Ci sono cinque tipi fondamentali di giunti per tenere insieme due pezzi. Questi cinque
tipi non si riferiscono solo alla saldatura, ma si applicano anche alle altre tecniche di
giunzione e di fissaggio. Facendo riferimento alla Figura 18.2, i cinque tipi di giunti
possono essere definiti come segue:
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 499

Figura 18.2  I cinque tipi di base dei giunti: (a) di testa, (b) di spigolo, (c) di sovrapposizione, (d) a T e (e) di bordo. (Fonte: Funda-
mentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

(a) Giunto di testa. In questo tipo di giunto, i pezzi giacciono sullo stesso piano e
vengono uniti lungo i bordi.
(b) Giunto di spigolo. In questo giunto i pezzi formano un angolo retto e vengono uniti
lungo lo spigolo.
(c) Giunto di sovrapposizione. Questo giunto unisce due pezzi che sono sovrapposti.
(d) Giunto a T. In questo tipo di giunto un pezzo è perpendicolare all’altro e ha la for-
ma approssimativa della lettera «T».
(e) Giunto di bordo. In questo tipo di giunto i pezzi sono paralleli con almeno un bor-
do in comune e la giunzione è effettuata sul bordo comune (o i bordi comuni).

18.2.2  Tipi di saldature


Tutti i giunti descritti possono essere realizzati mediante saldatura. Si deve però fare una di-
stinzione tra il tipo di giunto e il modo in cui è stato saldato, cioè il tipo di saldatura. Le diffe-
renze tra i tipi di saldatura sono nella forma (per il tipo di giunto) e nel processo di saldatura.
La saldatura d’angolo viene utilizzata per unire i bordi dei pezzi mediante giunti
di spigolo, di sovrapposizione e a T, come mostrato in Figura 18.3. Si usa un metallo
di apporto per avere una sezione trasversale nella forma approssimativa di un triangolo
rettangolo. Questo è il tipo di saldatura più usato nella saldatura ad arco e in quella a ossi-
combustibile perché non richiede praticamente nessuna preparazione dei bordi dei pezzi,
perché si usano i bordi quadrati. La saldature d’angolo può essere singola o doppia (cioè,
fatta su una lato solo o su due) e può essere continua o intermittente (cioè, fatta lungo
l’intera lunghezza del giunto o a intermittenza e quindi contenente delle parti non saldate).

Giunto saldato

Figura 18.3  Varie forme della saldatura


d’angolo: (a) giunto di spigolo interno singolo,
(b) giunto di spigolo esterno singolo, (c) giun-
Giunto saldato to di sovrapposizione doppio e (d) giunto a
T doppio. Il tratteggio indica i bordi originali.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
500 Tecnologia meccanica

La saldatura a scanalatura richiede che i bordi delle parti siano modellate secon-
do una scanalatura per facilitare il processo. Le forme delle scanalature sono il quadra-
to, il bisello, la V, la U, la J, su uno o due lati, come mostrato in Figura 18.4. Di solito si
usa un metallo di apporto per effettuare la giunzione e la saldatura è ad arco o a ossi-
combustibile. Serve anche effettuare una lavorazione sui bordi dei pezzi, per giunti non
quadrati, per aumentare la resistenza del giunto o se si devono saldare pezzi più spessi.
Questo tipo di saldatura di solito si usa per i giunti di testa, ma può anche essere usato
per gli altri tipi di giunti a parte quello di sovrapposizione.
La saldatura a foro e la saldatura a fessura sono usate per saldare delle lastre
piane, come mostrato in Figura 18.5, utilizzando uno o più fori o fessure nel pezzo su-
periore che permette al metallo di apporto di fluire e unire i due pezzi.
La saldatura puntuale e la saldatura a cordone, utilizzate per i giunti di sovrappo-
sizione, sono illustrate in Figura 18.6. Un punto di saldatura è una piccola sezione
fusa tra le superfici delle due lastre. Di solito servono dei punti di saldatura multipli
per tenere insieme i due pezzi. Questo metodo è simile alla saldatura a resistenza. Un
cordone di saldatura è simile a un punto di saldatura, ma consiste in una sezione fusa
più o meno continua tra le due lastre.

Giunto saldato

Figura 18.4  Esempi di saldature a scanalatura:


(a) quadrata su un solo lato, (b) a singolo bisel-
lo, (c) a singola V, (d) a singola U, (e) a singola J
e (f) a doppia V per saldare pezzi a sezioni più
spesse. Il tratteggio indica i bordi originali. (Fon-
te: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato
con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Fessura nella parte


Figura 18.5  (a) Saldatu- Saldatura a foro superiore per la
ra a fori e (b) saldatura saldatura a fessura
a fessura. (Fonte: Fun- Foro nella parte
damentals of Modern superiore
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

Punti di saldatura Spaccato che


mostra la parte
Due pezzi Cordone di saldatura fusa (saldatura)
Spaccato di lamiera
parziale
Spaccato che mostra
la parte fusa (saldatura) Regione
di sovrappo-
sizione

Figura 18.6  (a) Saldatura puntuale e (b) saldatura a cordone. (Fonte: Funda- Pezzo di lamiera
mentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ri-
stampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 501

La Figura 18.7 illustra la saldatura a flangia e la saldatura di affioramento. La sal-


datura a flangia è realizzata sui bordi di due (o più) pezzi, di solito lamiere o piastre
sottili e almeno uno dei pezzi è flangiato come in Figura 18.7 (a). La saldatura di affio-
ramento non viene usata per unire dei pezzi, ma per depositare del metallo aggiuntivo
sulla superficie di un pezzo alla base di uno o più cordoni di saldatura. I cordoni di
saldatura possono essere effettuati in una serie di passaggi paralleli sovrapposti, rico-
prendo grandi aree del pezzo di base. Lo scopo della saldatura di affioramento è quello
di aumentare lo spessore della piastra di base o fornire un rivestimento protettivo sulla
sua superficie.

18.3  Fisica della saldatura

Anche se esistono diversi metodi per realizzare la saldatura, la fusione è di gran lunga
quello più comune. In questa sezione, vengono descritti i meccanismi fisici che servono
a realizzare la saldatura per fusione. Per prima cosa si esamina la densità di potenza,
e poi si definiscono le equazioni del calore e della potenza che descrivono un processo
di saldatura.

18.3.1  Densità di potenza


Per realizzare la fusione, si deve fornire una fonte di energia termica ad alta densità ai
piani di contatto, in modo che le temperature risultanti siano sufficienti a causare la
fusione localizzata dei metalli di base. Se si aggiunge un metallo di apporto, la densità
di calore deve essere sufficientemente alta da fondere anch’esso. La densità di potenza
può essere definita come la potenza termica ceduta al pezzo per unità di superficie, in
W/mm2. Il tempo per fondere il metallo è inversamente proporzionale alla densità di
potenza. Per densità di potenza basse, serve molto tempo per realizzare la fusione. Se la
densità di potenza è troppo bassa, il calore viene trasmesso al pezzo alla stessa rapidità
con cui raggiunge la superficie, quindi la fusione non si verifica. È stato provato che la
densità di potenza minima necessaria nella saldatura per fondere la maggior parte dei
metalli è di circa 10 W/mm2. All’aumentare della densità di potenza, si riduce il tempo
di fusione. Se la densità di potenza è troppo alta, al di sopra dei 105 W/mm 2, le tempera-
ture localizzate causano la vaporizzare del metallo. Quindi, in pratica c’è un intervallo
di valori ben definito della densità di potenza entro cui si può eseguire la saldatura. Le
differenze tra i processi di saldatura in questo intervallo sono (1) la velocità a cui può
essere eseguita la saldatura e/o (2) la dimensione della regione che può essere saldata.
La Tabella 18.1 riporta le densità di potenza dei principali processi di saldatura per fu-
sione. La saldatura a ossicombustibile è in grado di sviluppare grandi quantità di calore,
ma la densità di potenza è relativamente bassa perché riguarda una superficie vasta. Il

Saldatura
a flangia
Saldatura di
affioramento Figura 18.7  (a) Saldatu-
ra a flangia e (b) sal-
datura di affioramento.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Due pezzi Pezzo singolo
Groover, 2010. Ristam-
di lamiera
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
502 Tecnologia meccanica

gas ossiacetilenico, il più caldo dei combustibili di questo tipo di saldatura, brucia ad
una temperatura massima di circa 3500°C. In confronto, la saldatura ad arco produce
energia su una superficie più piccola, con conseguenti temperature locali di 5500°C –
6600°C. Per ragioni metallurgiche, è meglio fondere il metallo con la minima energia e
con un’alta densità di potenza.
La densità di potenza può essere calcolata come la potenza che entra nella superfi-
cie divisa per la superficie corrispondente:

(18.1)

dove PD è la densità di potenza in W/mm 2, P la potenza che entra nella superficie in W,


e A l’area della superficie in cui entra l’energia in mm 2. Il problema in realtà è più com-
plesso di quanto indicato dall’Equazione (18.1). Una complicazione è data dal fatto che
la fonte di potenza (ad esempio, l’arco) in molti processi di saldatura è mobile, e quindi
c’è da eseguire un preriscaldamento prima e un postriscaldamento dopo. Un’altra com-
plicazione è che la densità di potenza non è uniforme su tutta la superficie interessata,
ma viene distribuita in funzione dell’area, come illustrato dal seguente esempio.
TABELLA 18.1  Confronto di vari processi di saldatura per fusione sulla
base delle densità di potenza.

Densità di potenza approssimativa


Processo di saldatura w/mm2
Oxyfuel welding
Saldatura ad arco 10
Saldatura a resistenza 50
Saldatura a fascio laser 1000
Saldatura a fascio di elettroni 9000
Fonte [1] e altri.

Esempio 18.1 Densità di potenza nella saldatura


Una fonte di calore trasferisce 3000 W sulla superficie di un pezzo metallico. Il calore
impatta sulla superficie in un’area circolare, con intensità variabile all’interno del cer-
chio. La distribuzione è la seguente: il 70% della potenza impatta sul cerchio più in-
terno di diametro = 5 mm e il 90% sul cerchio concentrico di diametro = 12 mm. Quali
sono le densità di potenza (a) sul cerchio interno di diametro di 5 mm e (b) sull’anello
esterno al cerchio interno di diametro di 12 mm?

Soluzione: π(5)2
(a) Il cerchio interno ha una superficie A = = 19.63 mm2.
4
La potenza all’interno di quest’area è P = 0.70 x 3000 = 2100 W

2100
Quindi, la densità di potenza è PD = = 107 W/mm2.
19.63
π(122 – 52)
(b) L’area dell’anello esterno è A = = 93.4 mm2.
4
La potenza all’interno di quest’area è P = 0.9(3000) – 2100 = 600 W.
600
Quindi, la densità di potenza è PD = = 6.4 W/mm2.
93.4
Osservazione: La densità di potenza sembra essere sufficiente per la fusione nel
cerchio interno, ma probabilmente non sufficiente per l’anello esterno.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 503

18.3.2  Bilanciamento termico nella saldatura per fusione


La quantità di calore necessaria per fondere un dato volume di metallo dipende (1) dal
calore necessario ad aumentare la temperatura del metallo fino al punto di fusione, che
dipende dal calore specifico volumetrico del metallo, (2) dal punto di fusione del me-
tallo e (3) dal calore necessario a trasformare il metallo da solido a liquido, che dipende
dal calore di fusione del metallo. Assumendo una ragionevole approssimazione, questa
quantità di calore può essere stimata dalla seguente equazione [5]:

(18.2)

dove Um è l’energia per unità di fusione (cioè la quantità di calore necessaria per fondere
una unità di volume di metallo a partire dalla temperatura ambiente) in J/mm3, Tm è il
punto di fusione del metallo sulla scala assoluta delle temperatura in K e K una costante
il cui valore è 3.33 x 10 -6 se si usa la scala Kelvin. Le temperature di fusione assolute di
alcuni metalli sono riportate in Tabella 18.2.
Non tutta l’energia generata dalla fonte di calore viene usata per fondere il metallo
saldato. Ci sono due meccanismi di trasferimento di calore sul pezzo che riducono la
quantità di calore generato che viene utilizzato dal processo di saldatura. Il primo
meccanismo è il trasferimento di calore tra la fonte di calore e la superficie del pezzo.
Questo processo ha un certo coefficiente di trasferimento di calore f1, definito come
il rapporto tra il calore effettivo ricevuto dal pezzo e il calore totale generato dalla
fonte. Il secondo meccanismo è la dissipazione del calore dalla zona di saldatura,
che quindi rende disponibile per la fusione solo una parte del calore trasferito sulla
superficie. Questo coefficiente di fusione f2 è la percentuale di calore alla superficie
del pezzo che può essere utilizzata per la fusione. L’effetto combinato di questi due
fattori è quello di ridurre l’energia termica disponibile secondo la formula seguente:

(18.3)

dove Hw è il calore netto disponibile per la saldatura in J, f1 il coefficiente di trasferi-


mento di calore, f2 il coefficiente di fusione e H il calore totale generato dal processo di
saldatura in J.

TABELLA 18.2  Temperature di fusione di alcuni metalli sulla scala assoluta delle temperature.

Temperatura di fusione Temperatura di fusione


Metallo Ka °Ra Metallo Ka °Ra
Leghe di alluminio 930 1680 Acciai
Ghisa 1530 2760 Basso contenuto di carbonio 1760 3160
Rame e sue leghe Medio contenuto di carbonio 1700 3060
Puro 1350 2440 Alto contenuto di carbonio 1650 2960
Ottone 1160 2090 Basso legati 1700 3060
Bronzo (90 Cu–10 Sn) 1120 2010 Acciai inossidabili
Inconel 1660 3000 Austenitici 1670 3010
Magnesio 940 1700 Martensitici 1700 3060
Nichel 1720 3110 Titanio 2070 3730

Basati sui valori riportati in [12].


a
Scala Kelvin = temperatura Celsius + 273.
504 Tecnologia meccanica

I coefficienti f1 e f2 assumono dei valori compresi tra zero e uno. Anche se


i due fattori agiscono contemporaneamente durante il processo di saldatura, è
opportuno tenerli separati concettualmente. Il coefficiente di trasferimento di ca-
lore f1 è determinato principalmente dal processo di saldatura e dalla capacità di
convertire la sorgente di potenza (ad esempio l’energia elettrica) in calore utiliz-
zabile sulla superficie del pezzo. I processi di saldatura ad arco sono relativamen-
te efficienti da questo punto di vista, mentre quelli a ossicombustibili sono più
inefficienti.
Il coefficiente di fusione f2 dipende dal processo di saldatura, ma è anche influenza-
to dalle proprietà termiche del metallo, dalla configurazione del giunto e dallo spessore
del pezzo. I metalli ad elevata conducibilità termica, come l’alluminio e il rame, sono
problematici per la saldatura a causa della rapida dissipazione del calore dalla zona di
contatto termico. Il problema è aggravato in caso di fonti di calore a bassa densità di
potenza (come la saldatura ossiacetilenica) perché l’apporto di calore riguarda una su-
perficie maggiore e quindi facilita la conduzione nel pezzo. In generale, una densità di
potenza elevata combinata con un materiale del pezzo a bassa conducibilità provoca un
coefficiente di fusione più elevato.
Possiamo quindi scrivere un’equazione di equilibrio tra l’energia iniziale e quella
necessaria per la saldatura:

(18.4)

dove Hw è l’energia termica netta usata dall’operazione di saldatura in J, Um è l’ener-


gia unitaria necessaria a fondere il metallo in J/mm 3 e V il volume del metallo fuso
in mm 3.
La maggior parte delle operazioni di saldatura sono processi a velocità fissa,
perché l’energia termica netta Hw viene emessa ad una certa velocità e il cordone di
saldatura è effettuato ad una certa velocità. Questa è una caratteristica della mag-
gior parte delle operazioni di saldatura ad arco, di molte operazioni di saldatura a
ossicombustibile e anche di qualche operazione di saldatura a resistenza. È quindi
opportuno esprimere l’Equazione (18.4) come un’equazione di bilanciamento di ve-
locità:

(18.5)

dove R Hw è la velocità dell’energia termica fornita al processo di saldatura in J/s


= W, e RWV la velocità a cui il volume di metallo si salda in mm 3/s. Nella saldatu-
ra di un cordone continuo, la velocità del volume di metallo saldato è il prodotto
dell’area di saldatura Aw e della velocità di traslazione v. Sostituendo questi termini
nell’equazione precedente, l’equazione di bilanciamento delle velocità si può espri-
mere come:

(18.6)

dove f1 e f2 sono i coefficienti di trasferimento di calore e di fusione, R H la velocità


dell’energia iniziale generata dalla sorgente della potenza della saldatura in W, Aw la
sezione trasversale della saldatura in mm 2 (in2) e v la velocità di traslazione dell’opera-
zione di saldatura in mm/s.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 505

Esempio 18.2  Velocità di traslazione della saldatura


La sorgente di potenza in una particolare configurazione di saldatura genera 3500W
che possono essere trasferiti alla superficie del pezzo con un coefficiente di trasferi-
mento di calore pari a 0.7. Il metallo da saldare è un acciaio al carbonio, la cui tempe-
ratura di fusione, dalla Tabella 18.2, è 1760°K. Il coefficiente di fusione dell’operazio-
ne è 0.5. Si deve effettuare un saldatura d’angolo continua di sezione trasversale pari
a 20 mm2. Determinare la velocità di traslazione della saldatura a cui si può eseguire
l’operazione di saldatura.

Soluzione: Prima di tutto bisogna trovare l’energia unitaria Um necessaria a fondere


il metallo dall’Equazione. (18.2).

Um = 3.33(10 –6) × 17602 = 10.3 J/mm3


f1f2RH
Riorganizzando l’Equazione (18.6) per trovare la velocità, si ha che v = , e inse-
UmAw
0.7(0.5)(3500)
rendo i dati del problema si ha che v = = 5.95 mm/s.
10.3(20)

18.4  Caratteristiche di un giunto saldato per fusione

La maggior parte dei giunti sono saldati per fusione. Come illustrato nella vista trasver-
sale della Figura 18.8 (a), un tipico giunto saldato per fusione in cui è stato aggiunto del
metallo di apporto è composto da diverse zone: (1) la zona di fusione, (2) l’interfaccia
di saldatura, (3) la zona di influenza termica e (4) la zona del metallo di base inalterato.
La zona di fusione consiste in una miscela di metallo di apporto e metallo di base
completamente fusi. Questa zona è caratterizzata da un elevato grado di omogeneità tra
i metalli componenti che sono stati fusi durante la saldatura. La miscelazione di questi
componenti è causata principalmente dal moto di convezione nel bagno di saldatura.
La solidificazione della zona di fusione ha delle analogie con la colata. Nella saldatura,
lo stampo è formato dai bordi non fusi o dalle superfici dei componenti da saldare. La
differenza principale tra la solidificazione in una colata e in una saldatura è la crescita
epitassiale dei grani che si verifica nella saldatura. Il lettore ricorderà che nella colata i
grani metallici si formano per nucleazione delle particelle solide a contatto con la parete
dello stampo, seguite dalla crescita dei grani. Nella saldatura, invece, la fase di nuclea-
zione non viene effettuata a causa del meccanismo di crescita epitassiale dei grani, in
cui gli atomi del bagno fuso solidificano su siti reticolari preesistenti del metallo solido
adiacente. Di conseguenza, la struttura dei grani nella zona di fusione vicino alla zona
di influenza termica tende ad imitare l’orientamento cristallografico della zona circo-
stante. Più internamente alla zona di fusione, si verifica un orientamento preferenziale
dei grani approssimativamente perpendicolare ai confini dell’interfaccia saldatura. La
struttura risultante nella zona di fusione solidificata tende ad essere a grani grezzi co-
lonnari, come illustrato in Figura 18.8 (b). La struttura dei grani dipende da vari fattori,
tra cui il tipo di saldatura, i metalli che sono saldati (se sono gli stessi metalli o se sono
diversi), la presenza di un materiale di apporto e la velocità a cui avviene la saldatura.
Lo scopo di questo libro non è quello di fornire una discussione dettagliata della metal-
lurgia della saldatura, ma i lettori interessati possono consultare i riferimenti [1], [4] e
[5] per approfondimenti.
La seconda zona del giunto saldato è l’interfaccia di saldatura, cioè il confine
sottile che separa la zona di fusione dalla zona di influenza termica. L’interfaccia è co-
506 Tecnologia meccanica

Grani colonnari
della zona di fusione
Zona di fusione Grani grezzi nella zona
HAZ vicino all’interfaccia
Zona
di saldatura
di influenza
di saldatura

Grani più fini nella zona


Interfaccia

termica (HAZ)
HAZ più lontana dall’in-
Metallo
terfaccia di fusione
di base
Grani originali lavorati
inalterato
a freddo

Figura 18.8  Sezione trasversale di un tipico giunto di saldatura per fusione: (a) le zone principali del giunto e (b) la struttura
tipica dei grani. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il per-
messo di John Wiley & Sons, Inc.)

stituita da una sottile striscia di metallo di base che si fonde totalmente o parzialmente
(fusione localizzata all’interno dei grani) durante il processo di saldatura, ma poi si
solidifica subito prima di mescolarsi con il metallo della zona di fusione. La sua com-
posizione chimica è quindi identica a quella del metallo base.
La terza zona della saldatura di fusione è la zona di influenza termica (he-
at-affected zone, HAZ). Il metallo in questa zona è sottoposto a temperature che
sono al di sotto del suo punto di fusione, ma sufficienti a causare dei cambiamenti
microstrutturali nel metallo solido. La composizione chimica della zona influenzata
dal calore è la stessa del metallo di base, ma questa regione risulta trattata termi-
camente quindi le sue caratteristiche e la sua struttura sono alterate. La quantità
di danni metallurgici nella zona HAZ dipende da alcuni fattori, in particolare la
quantità di calore immesso e il picco delle temperature raggiunte, la distanza dalla
zona di fusione, il periodo di tempo in cui il metallo è stato sottoposto a temperature
elevate, la velocità di raffreddamento e le proprietà termiche del metallo. L’effetto
della zona di influenza termica sulle proprietà meccaniche del pezzo di solito è
negativo, ed è in questa regione del giunto che spesso si verificano i difetti di sal-
datura. Man mano che aumenta la distanza dalla zona della fusione, si raggiunge la
zona del metallo di base inalterato, in cui non si è verificato nessun cambiamento
metallurgico. Tuttavia, è probabile che il metallo di base che circonda la zona HAZ
sia in uno stato di alta tensione residua, a causa della contrazione che avviene nella
zona di fusione.

18.5  Processi di saldatura

I processi di saldatura si dividono in due categorie principali: (1) la saldatura per fusio-
ne, in cui l’unione dei pezzi è realizzata tramite fusione, a volte aggiungendo un metallo
di apporto, e (2) la saldatura allo stato solido, in cui per unire i pezzi si usano il calore
e/o la pressione, ma i pezzi non si fondono e non viene aggiunto nessun materiale di
apporto.
La saldatura per fusione è di gran lunga la categoria più importante. Essa compren-
de (1) la saldatura ad arco, (2) la saldatura a resistenza, (3) la saldatura a ossicombusti-
bile e (4) altri processi di saldatura per fusione che non rientrano nei tre casi precedenti.
I processi di saldatura per fusione sono discussi nelle prime quattro sezioni di questo
capitolo. La quinta si occupa la saldatura allo stato solido e le ultime due della qualità e
della progettazione della saldatura.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 507

18.6 Saldatura ad arco

La saldatura ad arco (arc welding, AW) è un processo di saldatura per fusione in cui
l’unione dei metalli è causata dal calore di un arco elettrico che si forma tra un elettrodo
e il pezzo. Lo stesso principio è usato anche nel taglio ad arco. La configurazione di
un generico processo AW è mostrata in Figura 18.9. Un arco elettrico è una scarica di
corrente elettrica in un circuito che attraversa uno spazio vuoto. L’arco si mantiene a
causa della presenza di una colonna di gas ionizzato termicamente (chiamato plasma)
attraverso cui fluisce la corrente. Per creare l’arco, l’elettrodo viene portato a contat-
to con il pezzo e poi separato rapidamente di una breve distanza. L’energia elettrica
dall’arco così formato produce delle temperature di 5500°C o superiori, sufficienti per
fondere qualsiasi metallo. Vicino alla punta dell’elettrodo si forma un bagno di metallo
fuso, composto dai metalli dei pezzi da unire e dall’eventuale metallo di apporto. Nella
maggior parte dei processi di saldatura ad arco, si aggiunge del metallo di apporto per
aumentare il volume e la forza del giunto saldato. Man mano che l’elettrodo si sposta
lungo il giunto, il bagno di saldatura si solidifica.
Il movimento dell’elettrodo rispetto al pezzo può essere eseguito da un saldato-
re umano (nella saldatura manuale) o mediante mezzi meccanici (macchine saldatri-
ci, saldatura automatica o saldatura robotizzata). Uno degli aspetti problematici della
saldatura ad arco manuale è che la qualità del giunto saldato dipende dall’abilità del
saldatore. Anche la produttività è un problema, perché di solito viene misurata come
il tempo d’arco (o tempo di attivazione dell’arco), cioè la percentuale di ore in cui
l’arco è attivo:
Tempo d’arco = (tempo in cui l’arco è attivo)
(18.7)
(ore di lavorazione)
Questa definizione può essere applicata sia a un saldatore umano sia a una stazione di
lavoro meccanica. Per la saldatura ad arco manuale, questo tempo di solito si aggira
intorno al 20%, perché il saldatore deve riposarsi di frequente a causa della notevole
concentrazione richiesta per mantenere la coordinazione occhio-mano nelle condizioni
di stress a cui è sottoposto durante l’operazione. Il tempo d’arco aumenta a circa il 50%
(a seconda dell’operazione) nella saldatura meccanica.

18.6.1  Tecnologia generale della saldatura ad arco


Prima di descrivere i singoli processi di saldatura ad arco, esaminiamo le questioni
tecniche generali che si applicano a tutti i processi.

Elettrodi  Gli elettrodi utilizzati nei processi di AW possono essere fatti di materiali
consumabili o non consumabili. Gli elettrodi consumabili forniscono direttamente il
Supporto dell’elettrodo
Elettrodo (consumabile
Cavo dell’elettrodo Figura 18.9  Configura-
o non consumabile)
Metallo zione di base di un pro-
di apporto Saldatrice cesso di saldatura ad
Direzione del movimento se necessario arco. (Fonte: Fundamen-
Arco tals of Modern Manu-
Metallo Sorgente
di potenza
facturing, 4th Edition by
saldato
Pezzo solidificato continua Mikell P. Groover, 2010.
o alternata Ristampato con il per-
Metallo fuso messo di John Wiley &
Morsetto Cavo del pezzo Sons, Inc.)
508 Tecnologia meccanica

metallo di apporto alla saldatura. Questi elettrodi sono disponibili in due forme prin-
cipali: barre (aste) e fili. Le barre di saldatura di solito sono lunghe 450 mm. Il loro
problema, soprattutto in produzione, è che devono essere sostituite periodicamente, ri-
ducendo il tempo d’arco della saldatura. I fili invece hanno il vantaggio di poter essere
immessi in modo continuo nel bagno di saldatura attraverso delle bobine, evitando così
le interruzioni più frequenti che si verificano quando si usano le barre. In entrambe le
forme, l’elettrodo si consuma durante il processo di saldatura perché viene inserito nel
giunto saldato come metallo di apporto.
Gli elettrodi non consumabili sono in tungsteno (o più raramente in carbonio), e
non fondono durante la saldatura ad arco. Nonostante il loro nome, anche gli elettrodi
non consumabili si riducono gradualmente durante il processo di saldatura (soprattut-
to per vaporizzazione), analogamente all’usura che si verifica negli utensili da taglio
durante la lavorazione. Per i processi che usano elettrodi non consumabili, il metallo
di apporto deve essere fornito mediante un altro filo che viene immesso nel bagno di
saldatura.

Schermatura dell’arco  Alle alte temperature a cui si esegue la saldatura ad arco, i


metalli che vengono uniti sono chimicamente reattivi all’ossigeno, all’azoto e all’idro-
geno presenti nell’aria. Le proprietà meccaniche del giunto saldato possono degrada-
re molto a causa di queste reazioni. Quindi servono dei metodi per schermare l’arco
dall’aria circostante. La schermatura dell’arco si ottiene coprendo la punta dell’elet-
trodo, l’arco e il bagno di saldatura con uno strato di gas o fondente, o entrambi, che
inibiscono l’esposizione dei metalli all’aria.
I gas di schermatura più comuni sono l’argon e l’elio, che sono entrambi inerti. In
alcuni processi di saldatura di metalli ferrosi, si usano anche l’ossigeno e l’anidride car-
bonica, combinati con Ar e/o He, per produrre un’atmosfera ossidante o per controllare
la forma della saldatura.
Un fondente è una sostanza utilizzata per impedire la formazione di ossidi e di
altri contaminanti indesiderati, o per scioglierli e facilitarne la rimozione. Durante
la saldatura, il fondente si fonde e diventa una scoria liquida, che copre e protegge
il metallo fuso. La scoria indurisce per raffreddamento e deve essere rimossa per
scheggiatura o spazzolatura. Il fondente di solito è usato anche per altri motivi: (1)
fornire un’atmosfera protettiva per la saldatura, (2) stabilizzare l’arco e (3) ridurre
gli schizzi.
Il metodo di applicazione del fondente varia a seconda del processo. Le tecniche
di applicazione possono essere (1) la versata del fondente granulare sulla saldatura, (2)
l’uso di un elettrodo a barra rivestito di fondente in cui il rivestimento si scioglie durante
la saldatura e (3) l’uso di un elettrodo tubolare che contiene il fondente e lo rilascia man
mano che l’elettrodo si consuma. Queste tecniche sono discusse meglio nelle sezioni
relative ai singoli processi AW.

Sorgente di potenza nella saldatura ad arco  Nella saldatura ad arco sono usate
sia la corrente continua (CC o DC dall’inglese direct current) che quella alternata (CA o
AC dall’inglese alternating current). I macchinari a corrente AC sono meno costosi da
acquistare e mantenere, ma di solito si limitano alla saldatura dei metalli ferrosi. Quelli
a corrente DC possono essere usati per tutti i metalli e hanno un controllo migliore
dell’arco di saldatura.
In tutti i processi di saldatura ad arco, la potenza per svolgere l’operazione è il
prodotto della corrente che passa attraverso l’arco e la tensione ai suoi capi. Questa
potenza viene convertita in calore, ma non tutto viene trasferito alla superficie del
pezzo, perché una parte si disperde per convezione, conduzione, radiazione o dagli
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 509

schizzi. Le perdite di calore sono rappresentate dal coefficiente di trasferimento di


calore f1. Alcuni valori rappresentativi di f1 per i processi di AW sono riportati in
Tabella 18.3. I coefficienti di trasferimento di calore sono maggiori per i processi
che utilizzano elettrodi consumabili perché la maggior parte del calore consumato
per fondere l’elettrodo viene successivamente trasferito al pezzo come metallo fuso.
Il processo con il più basso valore di f1 in Tabella 18.3 è la saldatura ad arco in tun-
gsteno protetto da gas, che utilizza un elettrodo non consumabile. Il coefficiente di
fusione f2 riduce ulteriormente il calore disponibile per la saldatura. Il bilanciamen-
to di potenza nella saldatura ad arco è definito dalla formula seguente:

(18.8)

Dove E è la tensione in V, I la corrente in A e gli altri termini come già definiti nel Pa-
ragrafo 18.3. Le unità di misura di R Hw sono i Watt (corrente moltiplicata per tensione),
cioè J/s, che possono anche essere convertiti in Btu/sec, ricordando che 1 Btu = 1055 J,
e quindi 1 Btu/sec = 1055 W.

TABELLA 18.1  Coefficienti di trasferimento di calore per alcuni processi di saldatura


ad arco

Coefficiente di trasferimento
Processo di saldatura ad arco di calore f1 tipico
Saldatura ad arco metallico schermato 0,9
Saldatura ad arco metallico protetto da gas 0,9
Saldatura ad arco con fondente interno 0,9
Saldatura ad arco sommerso 0,95
Saldatura ad arco in tungsteno protetto da gas 0,7

Fonte [1]

Esempio 18.3  Potenza nella saldatura ad arco


Si usa un’operazione di saldatura ad arco di tungsteno protetto da gas con una cor-
rente di 300 A e una tensione di 20 V. Il coefficiente di fusione f2 è 0.5 e l’energia uni-
taria di fusione del metallo Um è 10 J/mm3. Determinare (a) la potenza dell’operazione,
(b) la velocità di generazione di calore nella saldatura e (c) la velocità di saldatura
volumetrica.

Soluzione: (a) La potenza di questa operazione di saldatura ad arco è:

P = IE = (300 A)(20 V) = 600 W


(b) Dalla Tabella 18.3, il coefficiente di trasferimento di calore f1 è 0.7. La velocità di
utilizzo di calore è data da:

RHw = f1f2IE = (0.7)(0.5)(6000) = 2100 W = 2100 J/s


(c) La velocità a cui il volume di metallo viene saldato è:

RWV = (2100 J/s)(10 J/mm3) = 210 mm3/s


510 Tecnologia meccanica

18.6.2  Processi di saldatura ad arco – elettrodi consumabili


Molti processi di saldatura ad arco utilizzano elettrodi consumabili. Questi processi
sono descritti in questa sezione e i simboli usati per rappresentarli sono quelli utilizzati
dalla American Welding Society.

Saldatura ad arco metallico schermato  La saldatura ad arco metallico scher-


mato (shielded metal arc welding, SMAW) è un processo AW che utilizza un elettrodo
consumabile costituito da una barra di metallo di apporto rivestito di sostanze chimiche
per il fondente e la schermatura. Il procedimento è illustrato nelle Figure 18.10 e 18.11.
L’elettrodo (la saldatura SMAW è anche chiamata saldatura ad elettrodo fusibile) di
solito è lunga 225-450 mm e ha un diametro di 2.5-9.5 mm. Il metallo di apporto uti-
lizzato deve essere compatibile con il metallo da saldare, con una composizione molto
simile. Il rivestimento è costituito da polveri di cellulosa (ad esempio di cotone o di
legno) miscelate con ossidi, carbonati e altri elementi, e tenute insieme da un legante di
silicio. A volte si aggiungono anche delle polveri metalliche per aumentare la quantità
di materiale di apporto e aggiungere elementi alla lega. Il calore del processo provoca
la fusione del rivestimento e quindi la formazione di un’atmosfera protettiva per la sal-
datura. In questo modo anche l’arco risulta più stabile e si può regolare la velocità di
fusione dell’elettrodo.
Durante l’operazione di saldatura l’estremità finale dell’elettrodo (opposta alla pun-
ta di saldatura) è fissata ad un portaelettrodo che è collegato alla sorgente di potenza. Il
portaelettrodo ha una maniglia isolante in modo che possa essere afferrato e spostato da
un saldatore umano. Le correnti usate di solito sono tra i 30 e i 300 A e le tensioni tra 15
e 45 V. La scelta dei parametri di potenza adeguati dipende dai metalli da saldare, dal
tipo di elettrodo e dalla lunghezza e dalla profondità di penetrazione della saldatura. La
sorgente di potenza, i cavi di collegamento e l’elettrodo possono essere acquistati per
poche migliaia di dollari.

Figura 18.10 Saldatura
ad arco metallico scher-
mato (saldatura ad elet-
trodo fusibile) eseguita
da un saldatore manua-
le. Foto per gentile con-
cessione della società
Hobart Brothers. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 511

Elettrodo consumabile

Direzione della saldatura Figura 18.11 Saldatura


Rivestimento dell’elettrodo
ad arco metallico scher-
Gas protettivo derivatre Scoria mato. (Fonte: Fundamen-
dal rivestimento tals of Modern Manu-
dell’elettrodo facturing, 4th Edition by
Metallo Mikell P. Groover, 2010.
saldato Ristampato con il per-
solidificato messo di John Wiley &
Metallo di base Metallo saldato fuso Sons, Inc.)

La saldatura ad arco schermato di solito viene eseguita manualmente. Le applica-


zioni più comuni sono per le costruzioni, le tubazioni, le strutture dei macchinari, le
costruzioni navali e le riparazioni. Questa saldatura va meglio rispetto a quella a ossi-
combustibile per saldare sezioni più spesse, superiori a 5 mm, a causa della sua maggio-
re densità di potenza. L’attrezzatura non costa molto e può essere spostata facilmente,
quindi la saldatura ad arco schermato è molto versatile e probabilmente la più usata
delle saldature ad arco. I metalli di base su cui è usata sono gli acciai, gli acciai inossi-
dabili, le ghise e alcune leghe non ferrose. Invece viene usata raramente per l’alluminio
e le sue leghe, le leghe di rame e il titanio.
Uno svantaggio della saldatura ad arco metallico schermato come operazione di
produzione è il fatto che usa un elettrodo consumabile a barra. Quando l’elettrodo si
esaurisce, deve essere rimpiazzato e questo riduce il tempo d’arco. Un’altra limitazione
è il livello di corrente che può essere utilizzato. Poiché la lunghezza dell’elettrodo varia
durante l’operazione, e la lunghezza influenza la resistenza di riscaldamento dell’elet-
trodo, i livelli di corrente devono essere mantenuti entro un certo intervallo di sicurezza
altrimenti il rivestimento si surriscalda e si scioglie prematuramente. Ci sono degli altri
processi AW che superano i limiti della saldatura ad arco metallico schermato usando
un elettrodo a filo continuo.

Saldatura ad arco metallico protetto da gas  La saldatura ad arco metallico pro-


tetto da gas (gas metal arc welding, GMAW) è un processo AW in cui l’elettrodo è un
filo consumabile di metallo semplice e la schermatura si ottiene ricoprendo l’arco con
un gas. Il filo viene immesso in modo continuo e automatico da una bobina attraverso
una pistola per saldatura, come illustrato in Figura 18.12. I diametri dei fili vanno da
0.8 mm a 6.5 mm, a seconda dello spessore dei pezzi da saldare e dalla velocità di sal-
datura. I gas utilizzati per la schermatura possono essere sia gas inerti, come l’argon e

Immissione dalla bobina

Gas di schermatura

Elettrodo a filo Direzione della saldatura

Figura 18.12 Saldatura
Ugello ad arco metallico protetto
da gas. (Fonte: Funda-
Gas di schermatura mentals of Modern Ma-
nufacturing, 4th Edition
Metallo saldato solidificato by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Metallo di base Metallo saldato fuso & Sons, Inc.)
512 Tecnologia meccanica

l’elio, sia gas attivi, come l’anidride carbonica. Le scelta del gas (o delle miscele di gas)
dipende dal metallo da saldare e da altri fattori. I gas inerti sono usati per la saldatura
delle leghe di alluminio e dell’acciaio inossidabile, mentre la CO2 viene usata di solito
per gli acciai a basso e medio contenuto di carbonio. La combinazione di elettrodo a filo
e gas di protezione elimina la presenza della scoria che ricopre il cordone di saldatura,
e quindi elimina la necessità di eseguire una rettifica e la pulitura manuale della scoria.
Nel processo di saldatura GMAW è quindi ideale eseguire più passate di saldatura su
uno stesso giunto.
I diversi metalli per cui è usata questa saldatura e le varianti nel processo stesso
hanno dato luogo ad una varietà di nomi per questa saldatura. Quando il processo fu
introdotto nel 1940, venne applicato alla saldatura dell’alluminio usando un gas inerte
(l’argon) per la schermatura. Il nome con cui ci si riferiva a questo processo era sal-
datura MIG (metal inert gas). Quando questo processo venne applicato all’acciaio, ci si
accorse che i gas inerti erano troppo costosi e quindi si passò all’uso di CO2. Il termine
usato per indicare questa saldatura era saldatura CO2. I perfezionamenti nella tecnica
per la saldatura dell’acciaio hanno portato all’uso finale di miscele di gas, come CO2 e
argon, o ossigeno e argon.
La saldatura GMAW è molto utilizzata, in produzione, per la saldatura di metalli
ferrosi e non. Il fatto di usare un filo continuo anziché delle barre come elettrodo costi-
tuisce un vantaggio significativo rispetto alla SMAW in termini di tempo d’arco per le
operazioni eseguite manualmente. Per la stessa ragione, si presta bene anche all’auto-
mazione. Visto che la saldatura SMAW spreca parti di elettrodo che rimangono dopo la
saldatura, si ha che l’utilizzo di materiale dell’elettrodo è maggiore nella GMAW. Altre
caratteristiche della GMAW sono la velocità di deposizione più elevata rispetto alla
SMAW e una buona versatilità.

Saldatura ad arco con fondente interno  Questo processo di saldatura ad arco


è stato sviluppato nei primi anni del 1950 come una modifica della saldatura ad arco
metallico schermato per superare i limiti degli elettrodi a barre. La saldatura ad arco
con fondente interno (flux-cored arc welding, FCAW) è un processo in cui l’elettrodo
è un tubo continuo consumabile che contiene gli elementi del fondente al suo interno.
Altri elementi che sono aggiunti al fondente sono i disossidanti e degli elementi legan-
ti. Il filo tubolare con fondente interno è flessibile e può quindi essere alimentato in
modo continuo per mezzo di bobine attraverso la pistola di saldatura ad arco. Ci sono
due versioni della FCAW: (1) auto-schermata e (2) schermata da gas. Nella prima ver-
sione, la schermatura dell’arco deriva dal fondente interno, da cui il nome di saldatu-
ra ad arco con fondente interno auto-schermata. In questo caso il riempimento del
tubo non comprende solo i fondenti ma anche altri elementi che generano dei gas di
protezione per l’arco. La seconda versione, sviluppata per la saldatura degli acciai,
implica la schermatura dell’arco mediante gas esterni, ed è simile alla saldatura ad
arco protetto da gas. Questa versione si chiama saldatura ad arco con fondente in-
terno schermata da gas. Poiché utilizza un elettrodo contenente il fondente assieme
ai vari gas di protezione, può essere considerata un ibrido tra SMAW e GMAW. I gas
protettivi usati di solito sono il biossido di carbonio per gli acciai dolci e le miscele
di argon e anidride carbonica per gli acciai inossidabili. La Figura 18.13 illustra il
processo FCAW, con la parte di immissione di gas esterno opzionale per distinguere
i due tipi.
I vantaggi della FCAW sono simili a quelli della GMAW, a causa dell’alimentazione
continua dell’elettrodo. Viene utilizzata principalmente per la saldatura di acciai e ac-
ciai inossidabili in una vasta gamma di spessori. È nota per la sua capacità di produrre
giunti saldati di altissima qualità, molto lisci e uniformi.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 513

Immissione dalla bobina

Elettrodo tubolare Gas di schermatura


Fondente interno
Ugello (opzionale)
Direzione della saldatura
Tubo di guida
Gas di schermatura (opzionale)
Scoria
Arco
Metallo saldato solidificato

Metallo di base Metallo saldato fuso

Figura 18.13  Saldatura ad arco con fondente interno. La presenza o l’assenza dell’immissione
esterna di gas di protezione distingue i due tipi di processo: (1) auto-schermato, in cui il riempi-
mento fornisce direttamente gli elementi per la schermatura (2) schermato da gas, in cui i gas di
protezione sono immessi dall’esterno. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Saldatura a elettrogas  La saldatura a elettrogas (electrogas welding, EGW) è un


processo AW che utilizza un elettrodo consumabile continuo (o un tubo riempito di
fondente o un filo semplice con immissione di gas di protezione esterni) e dei pattini di
sostegno per il metallo fuso. Il processo si applica principalmente per saldature a testa
verticale, come illustrato in Figura 18.14. Quando si usa l’elettrodo con fondente interno
senza usare gas esterni, il processo può essere considerato una particolare applicazione
della FCAW auto-schermata. Quando si usa un elettrodo a filo normale con dei gas di
protezione esterni, può essere considerato un caso particolare della GMAW. I pattini
vengono raffreddati ad acqua per evitare che si fondano nel bagno di saldatura. Assie-
me ai bordi dei pezzi da saldare, i pattini formano come una cavità di stampo, in cui i
metalli fusi dei pezzi e dell’elettrodo fluiscono gradualmente. Il processo viene eseguito
in modo automatico, con una testa di saldatura mobile che si muove verticalmente verso
l’alto riempiendo la cavità in un unico passaggio.
Le principali applicazioni della saldatura a elettrogas sono sugli acciai (a basso e
medio contenuto di carbonio, bassolegati e alcuni acciai inossidabili) per la costruzione di
serbatoi di stoccaggio di grandi dimensioni e per la cantieristica navale. Gli spessori dei F
pezzi vanno dai 12 mm ai 75 mm. Oltre che per i giunti di testa, può essere utilizzata an-
T
T
Immissione dell’elettrodo
tubolare con fondente interno
Figura 18.14 Saldatura
Pattini di a elettrogas con elettro-
supporto al do tubolare con fondente
metallo fuso interno: (a) vista frontale
Testa di saldatura mobile
(da entrambi senza pattini per chiarez-
(verso l’alto)
i lati) za e (b) vista laterale che
Ingresso mostra i pattini di sup-
Pezzo di base

dell’acqua per il porto su entrambi i lati.


Scoria fusa raffreddamento (Fonte: Fundamentals of
Metallo saldato solidificato Modern Manufacturing,
Metallo saldato fuso 4th Edition by Mikell P.
Uscita Groover, 2010. Ristam-
dell’acqua pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
514 Tecnologia meccanica

che per saldature d’angolo e di scanalature, sempre in un orientamento verticale. I pattini


a volte devono essere progettati appositamente per le forme dei giunti specifici.

Saldatura ad arco sommerso  Questo processo, sviluppato nel 1930, è stato uno dei
primi processi AW ad essere automatizzato. La saldatura ad arco sommerso (submerged
arc welding, SAW) è un processo di saldatura ad arco che utilizza un elettrodo a filo sem-
plice continuo consumabile e la schermatura dell’arco è realizzata tramite copertura con
un fondente granulare. L’elettrodo a filo è immesso automaticamente tramite una bobina.
Il fondente viene immesso nel giunto poco prima che si formi l’arco di saldatura per caduta
verticale da una tramoggia, come mostrato in Figura 18.15. Il flusso granulare sommerge
completamente l’operazione di saldatura, impedendo il sollevamento di scintille, schizzi e
radiazioni che costituiscono un grave pericolo negli altri processi AW. Quindi, nella SAW
non serve che il saldatore indossi la complessa maschera di protezione per il viso necessaria
negli altri processi (gli occhiali e i guanti protettivi però sono sempre obbligatori). La parte
di fondente vicino all’arco si fonde e si mischia con i metalli fusi per rimuovere le impurità
e poi solidifica sopra il giunto saldato formando una scoria vetrosa. La scoria e i grani di
fondente non fusi forniscono una buona protezione dall’atmosfera circostante e un buon
isolamento termico alla zona di saldatura, con conseguente raffreddamento relativamente
lento e alta qualità del giunto saldato, che è noto per la sua tenacia e la sua duttilità. Come
illustrato nel disegno, il fondente che non condensa può essere recuperato e riutilizzato. La
scoria solida che copre la saldatura deve poi essere rimossa, di solito con metodi manuali.
La saldatura ad arco sommerso è molto usata nella fabbricazione di acciaio per forme
strutturali (ad esempio, le travi a I), le saldature longitudinali e circonferenziali di tubi di
grandi diametri, i serbatoi e i recipienti a pressione, e la saldatura di componenti per mac-
chinari pesanti. In questo tipo di applicazioni, vengono saldate lastre di acciaio spesse anche
25 mm e molto pesanti. Gli acciai a basso contenuto di carbonio, gli acciai bassolegati e gli
acciai inossidabili possono essere facilmente saldati tramite SAW, ma non gli acciai ad alto
contenuto di carbonio, gli acciai per utensili e la maggior parte dei metalli non ferrosi. A
causa dell’immissione del fondente granulare per gravità, i pezzi devono essere sempre in
posizione orizzontale, e spesso serve una piastra di rinforzo sotto il giunto durante l’opera-
zione di saldatura.

18.6.3  Elettrodi non consumabili


I processi AW descritti nella sezione precedente usano elettrodi consumabili. Al con-
trario, la saldatura ad arco di tungsteno protetto da gas e la saldatura ad arco al plasma
utilizzano elettrodi non consumabili.

Saldatura ad arco di tungsteno protetto da gas  La saldatura ad arco di tung-


steno protetto da gas (gas tungsten arc welding, GTAW) è un processo AW che utilizza

Elettrodo
Fondente granulare Sistema di aspirazione
consumabile
proveniente per il recupero
dalla tramoggia del fondente granulare
Rivestimento
di fondente
Figura 18.15 Saldatura Direzione della saldatura granulare
ad arco sommerso. (Fon-
te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th Scoria (fondente fuso)
Edition by Mikell P. Gro- Metallo saldato
over, 2010. Ristampato Metallo di base
solidificato
con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.) Fondente fuso Metallo saldato fuso
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 515

un elettrodo non consumabile di tungsteno e una schermatura dell’arco a gas inerte. Per
questo processo si usa spesso il termine saldatura TIG (tungsten inert gas welding), o
WIG, perché in Europa il simbolo del tungsteno è la lettera W, da Wolfram. La GTAW
può essere con o senza materiale di apporto. La Figura 18.16 illustra questo secondo caso.
Se si usa un metallo di apporto, viene aggiunto al bagno di saldatura attraverso una
barra o un filo separato, che viene fuso dal calore dell’arco anziché trasferito attraverso
l’arco come nei processi con elettrodo consumabile. Il tungsteno è un buon materiale per
gli elettrodi per il suo elevato punto di fusione di 3410°C. I gas che vengono usati per la
schermatura sono l’argon, l’elio o una loro miscela.
La GTAW è applicabile a quasi tutti gli spessori esistenti. Può anche essere usata
per saldare varie combinazioni di metalli diversi. Le sue applicazioni più comuni sono
per l’alluminio e l’acciaio inossidabile. Invece la ghisa, il ferro battuto e ovviamente il
tungsteno sono difficili da saldare con questo metodo. Nelle applicazioni di saldatura
dell’acciaio, la GTAW di solito è più lenta e più costosa rispetto ai processi con elettrodi
consumabili, tranne quando è applicata a sezioni sottili e quando sono richieste saldatu-
re di qualità molto alta. Quando si usa la saldatura TIG per ottenere delle tolleranza
strette, di solito non si usa metallo di apporto. Il processo può essere effettuato manual-
mente o meccanicamente e ci sono dei metodi automatizzati per tutti i tipi di giunti. I
vantaggi della GTAW nelle applicazioni per cui è adatta sono l’alta qualità dei giunti,
l’assenza di schizzi perché il metallo di apporto non viene immesso attraverso l’arco e
il fatto di non richiedere una pulitura dopo la saldatura perché non si usano fondenti.

Saldatura ad arco al plasma  La saldatura ad arco al plasma (plasma arc welding,


PAW) è una forma speciale di saldatura ad arco di tungsteno protetto da gas in cui si
usa un arco al plasma diretto sulla zona di saldatura. Nella PAW, si usa un elettrodo
di tungsteno contenuto in un ugello appositamente progettato che concentra un flusso
di gas inerte (argon o miscele di argon-idrogeno) ad alta velocità nella zona dell’arco
per formare un flusso di arco al plasma ad alta velocità molto caldo, come mostrato in
Figura 18.17. I gas di protezione dell’arco sono l’argon, l’argon misto a idrogeno e l’elio.

Elettrodo di tungsteno Gas di schermatura


(non consumabile)
Ugello del gas Figura 18.16 Saldatu-
Direzione della saldatura
ra ad arco di tungsteno
Punta dell’elettrodo protetto da gas. (Fonte:
Gas di schermatura Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
Metallo saldato solidificato tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Metallo di base Metallo saldato fuso & Sons, Inc.)

Elettrodo di tungsteno Gas del plasma

Gas di schermatura
Direzione della saldatura
Figura 18.17 Saldatura
ad arco al plasma. (Fon-
Gas di schermatura te: Fundamentals of Mo-
Flusso di plasma dern Manufacturing, 4th
Metallo saldato solidificato Edition by Mikell P. Gro-
Metallo di base over, 2010. Ristampato
con il permesso di John
Metallo saldato fuso Wiley & Sons, Inc.)
516 Tecnologia meccanica

Le temperature dell’arco al plasma superano i 17.000°C, e sono abbastanza elevate


per fondere qualsiasi metallo noto. Il motivo per cui le temperature sono così alte nella
PAW (molto superiori a quelle della GTAW), è il modo con cui si genera l’arco. Sebbene
i valori di potenza generalmente usati nella PAW siano inferiori a quelli della GTAW, la
potenza è molto più concentrata per produrre un getto di plasma di piccolo diametro e
densità di potenza molto elevata.
La saldatura ad arco al plasma è stata introdotta intorno al 1960, ma si è diffusa
lentamente. Negli ultimi anni il suo utilizzo è aumentato come processo alternativo alla
GTAW in applicazioni per la produzione di componenti automotive, armadi metallici,
telai di porte e finestre ed elettrodomestici. Per le caratteristiche particolari della PAW,
i suoi vantaggi in queste applicazioni includono una buona stabilità dell’arco e un con-
trollo migliore della penetrazione che nella maggior parte degli alti processi AW, delle
elevate velocità e una qualità di saldatura eccellente. Il processo può essere utilizzato
per saldare quasi tutti i metalli, compreso il tungsteno. I metalli più difficili da saldare
con questa tecnica sono il bronzo, la ghisa, il piombo e il magnesio. Gli altri limiti sono
il costo elevato delle attrezzature e le loro dimensioni più grandi rispetto agli altri pro-
cessi, fattori che tendono a limitarne l’uso a saldature particolari.

18.7 Saldatura a resistenza

La saldatura a resistenza (resistance welding, RW) è un gruppo di processi di saldatura


per fusione che utilizza una combinazione di calore e pressione per realizzare la giunzio-
ne, e il calore è generato da una resistenza elettrica al flusso della corrente nella giunzio-
ne. I componenti principali della saldatura a resistenza sono mostrati in Figura 18.18 per
un’operazione di saldatura a punti, il processo più utilizzato di questo gruppo. I compo-
nenti sono i pezzi da saldare (di solito pezzi di lamiera), due elettrodi opposti, un mezzo
per applicare la pressione per spingere i pezzi tra gli elettrodi e un alimentatore di corrente
alternata attraverso cui controllare la corrente fornita al processo. L’operazione causa la
fusione di una zona tra i due pezzi, chiamata nocciolo di saldatura nella saldatura a punti.
In confronto alla saldatura ad arco, la saldatura a resistenza non utilizza gas di pro-
tezione, fondenti e metalli di apporto, e gli elettrodi che conducono l’energia elettrica al
processo sono non consumabili. La RW è inclusa nella saldatura per fusione perché il
calore applicato causa la fusione dei piani di contatto.

Forza

Corrente
Elettrodo
Nocciolo di saldatura
Pezzi di lamiera

Figura 18.18  Saldatura a resistenza,


che mostra i componenti della sal-
datura a punti, il processo più comune
Elettrodo della categoria. (Fonte: Fundamentals
of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristam-
Forza pato con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 517

18.7.1  Sorgente di potenza nella saldatura a resistenza


L’energia termica fornita all’operazione di saldatura dipende dal flusso di corrente, dal-
la resistenza del circuito e dal periodo di tempo in cui viene applicata la corrente. Que-
sto può essere espresso dall’equazione

(18.9)

dove H è il calore generato in J (per convertirlo in Btu bisogna dividerlo per 1055), I la
corrente in A, R la resistenza elettrica in Ω, t il tempo in s.
La corrente utilizzata nelle operazioni di saldatura a resistenza è molto elevata (da
5,000 a 20,000 A), anche se la tensione è relativamente bassa (inferiore a 10 V). Il tempo
di applicazione della corrente t di solito è breve, sugli 0,1-0,4 secondi per un’operazione
standard di saldatura a punti.
I motivi per cui si usa una corrente così elevata sono (1) perché il termine al quadrato
dell’Equazione (18.9) amplifica l’effetto della corrente e (2) perché la resistenza è molto
bassa (circa 0.0001 Ω). La resistenza nel circuito di saldatura è data dalla somma dei se-
guenti termini: (1) la resistenza degli elettrodi, (2) la resistenza dei pezzi, (3) la resistenza
di contatto tra elettrodi e pezzi e (4) la resistenza di contatto tra i piani di contatto. Quindi
si ha una generazione di calore in tutte queste regioni di resistenza elettrica. La situazione
ideale è avere la resistenza maggiore tra i piani di contatto, perché questo è il punto in
cui avviene la saldatura. La resistenza degli elettrodi viene minimizzata usando metalli a
bassa resistività, come il rame. Inoltre, gli elettrodi vengono spesso raffreddati ad acqua
per dissipare il calore che viene generato. La resistenza dei pezzi dipende dalla resistività
dei metalli di base e dallo spessore dei pezzi. La resistenza di contatto tra gli elettrodi e i
pezzi dipende dalle superfici di contatto (cioè dalle dimensioni e dalle forme degli elettro-
di) e dallo stato delle superfici (come la pulizia delle superfici dei pezzi e dell’elettrodo).
Infine, la resistenza ai piani di contatto dipende dalla finitura superficiale, dalla pulizia,
dalla superficie di contatto e dalla pressione. Non dovrebbero essere presenti vernici, oli,
sporcizia o altri contaminanti che separino le superfici di contatto.

Esempio 18.4 Saldatura a resistenza


Si esegue una saldatura a resistenza a punti per unire due pezzi di lamiera spessi 1,5
mm usando una corrente di 12,000 A per 0,20 s. Gli elettrodi hanno un diametro di 6
mm sulle superfici di contatto. La resistenza è di 0,0001 Ω, e il nocciolo di saldatura
risultante è di 6 mm di diametro e 2,5 mm di spessore. L’energia unitaria per la fusione
del metallo Um è 12.0 J/mm3. Quale percentuale di calore generato è stata utilizzata
per formare il nocciolo di saldatura e quale invece è stata dissipata nel pezzo, negli
elettrodi e nell’aria circostante?

Soluzione: Il calore generato nell’operazione è dato dall’Equazione (18.9):

H = (12,000)2(0.0001)(0.2) = 2880 J
Il volume del nocciolo di saldatura (considerato di forma circolare) è

π(6)2
v = 2.5 = 70.7 mm3
4
Il calore necessario per fondere questo volume di metallo è Hw = 70,7 (12.0) = 848 J.
Il calore residuo, ovvero 2880-848 = 2032 J (il 70,6% del totale), si dissipa nel pezzo,
negli elettrodi e nell’aria circostante. In effetti, questa perdita rappresenta l’effetto
combinato dei coefficienti di trasferimento del calore f1 e di fusione f2.
518 Tecnologia meccanica

Il successo nella saldatura a resistenza dipende dalla pressione e dal calore. Le fun-
zioni principali della pressione nella saldatura RW sono (1) di forzare il contatto tra gli
elettrodi e i pezzi e tra le due superfici dei pezzi quando viene applicata la corrente e (2)
di tenere insieme i piani di contatto per realizzare la giunzione al raggiungimento della
giusta temperatura di saldatura.
I vantaggi generali della saldatura a resistenza sono (1) il fatto che non serve il me-
tallo di apporto, (2) gli elevati tassi di produzione, (3) la possibilità di meccanizzazione,
(4) il fatto che non richiede un livello di abilità dell’operatore alto come quello necessa-
rio per la saldatura ad arco e (5) una buona ripetibilità e affidabilità. Gli svantaggi sono
(1) il costo elevato delle attrezzature, di solito molto più costose rispetto alla maggior
parte delle operazioni di saldatura ad arco, e (2) le limitazioni nei tipi di giunti che si
possono ottenere, che di solito sono solo quelli di sovrapposizione.

18.7.2  Processi di saldatura a resistenza


I processi di saldatura a resistenza più importanti dal punto di vista commerciale sono
la saldatura a punti, la saldatura a cordone e la saldatura a proiezione.

Saldatura a resistenza a punti  La saldatura a resistenza a punti (resistance spot


welding, RSW) è di gran lunga il processo più importante di questo gruppo. È molto
usata nella produzione di massa delle automobili, degli elettrodomestici, dei mobili me-
tallici e di altri prodotti in lamiera. Se si considera che un singolo corpo macchina ha
bisogno di circa 10,000 punti di saldatura, e che la produzione annua mondiale di auto-
mobili si misura in decine di milioni di unità, si capisce bene l’importanza economica
della saldatura a punti.
La saldatura a punti è un processo RW in cui la fusione dei piani di contatto di un
giunto a sovrapposizione si ottiene mediante il posizionamento di due elettrodi oppo-
sti. Il processo viene utilizzato per unire pezzi in lamiera di spessore minore di 3 mm,
utilizzando una serie di punti di saldatura, nei casi in cui non serva un assemblag-
gio ermetico. La dimensione e la forma del punto di saldatura dipendono dalla punta
dell’elettrodo: la forma più comune è quella rotonda, ma esistono anche forme esagona-
li, quadrate e altre. Il nocciolo saldatura risultante ha un diametro tra i 5 mm e i 10 mm,
con una zona di influenza termica leggermente più estesa. Se il giunto viene effettuato
correttamente, la sua forza è paragonabile a quella del metallo circostante. Le fasi di un
ciclo di saldatura a punti sono illustrate in Figura 18.19.
I materiali usati per gli elettrodi RSW si dividono in due gruppi principali: (1) leghe
a base di rame e (2) composizioni di metalli refrattari, come le combinazioni di rame e
tungsteno. Il secondo gruppo è importante per la sua buona resistenza all’usura. Come
nella maggior parte dei processi di fabbricazione, gli utensili per realizzare i punti di
saldatura si usurano man mano che vengono utilizzati. Se possibile, gli elettrodi sono
progettati per contenere dei canali interni per consentire il passaggio dell’acqua per il
raffreddamento.
A causa della sua diffusione industriale, esistono diverse macchine e metodi per
la saldatura a punti. I macchinari per realizzare una saldatura a punti sono le saldatri-
ci a bilanciere, le saldatrici a pressa e le pistole di saldatura portatili. Le saldatrici a
bilanciere, mostrate in Figura 18.20, hanno un elettrodo inferiore fisso e un elettrodo
superiore mobile che può essere sollevato e abbassato quando si carica o scarica il
pezzo. L’elettrodo superiore è montato su un bilanciere (da cui il nome) il cui mo-
vimento è comandato da un pedale azionato dall’operatore. Le macchine moderne
possono essere programmate per controllare sia la forza sia la corrente durante il ciclo
di saldatura.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 519

Figura 18.19  (a) Fasi del


ciclo di una saldatura a
Elettrodo
punti e (b) grafico della
Nocciolo forza di compressione
della e della corrente durante
Metallo il ciclo. Le fasi del ciclo
saldatura
fuso sono: (1) i pezzi vengo-
no inseriti tra gli elettro-
di aperti, (2) gli elettrodi
vengono chiusi e si ap-
plica la forza, (3) inizia
la saldatura e si attiva la
corrente, (4) la corrente si
spegne ma la forza viene
mantenuta o anche au-
mentata (a volte verso la
fine di questa fase si ap-
Forza plica una corrente ridotta
Forza, corrente

per eliminare le tensioni


residue nella zona di sal-
Corrente datura) e (5) gli elettrodi
vengono aperti e il giunto
saldato viene rimosso.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Ciclo di saldatura a punti Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Le saldatrici a punti a pressa si usano per pezzi più grandi. L’elettrodo superiore
ha un movimento rettilineo fornito da una pressa verticale ad azionamento pneumatico
o idraulico. L’azione di pressa consente di applicare forze molto elevate e di solito i con-
trolli permettono la programmazione di cicli complessi di saldatura.
I due tipi di macchinari precedenti sono entrambi fissi, in cui i pezzi devono essere
portati alla macchina. I pezzi molto grandi e molto pesanti sono difficili da spostare e
posizionare in macchine fisse. In questi casi, si utilizzano delle pistole di saldatura
portatili, che sono disponibili in varie dimensioni e configurazioni. Sono costituite di
due elettrodi opposti inseriti in un meccanismo a tenaglia. L’apparecchio è leggero e

Sporgenza superiore
Bilanciere

Elettrodi
Cilindro pneumatico per
azionare il bilanciere
Figura 18.20 Saldatrice
a punti a bilanciere. (Fon-
Sporgenza inferiore te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Gro-
Pedale azionato over, 2010. Ristampato
Tubo dell’aria
dall’operatore con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
520 Tecnologia meccanica

può essere spostato e usato facilmente da un operatore umano o un robot industriale. La


pistola è collegata al generatore di potenza e al controllo automatico attraverso cavi elet-
trici flessibili e tubi dell’aria. Se necessario, gli elettrodi possono essere raffreddati at-
traverso un tubo dell’acqua. Le pistole di saldatura portatili sono molto utilizzate negli
impianti di assemblaggio finale di automobili per saldare le carrozzerie. Alcune di que-
ste pistole sono gestite da operai, ma la maggior parte sono usate da robot industriali.

Saldatura a resistenza a cordone  La saldatura a resistenza a cordone (resistance


seam welding, RSEW), al posto degli elettrodi a barra usati nella saldatura a punti,
usa degli elettrodi a ruote girevoli, come mostrato in Figura 18.21, e realizza una serie
di punti di saldatura sovrapposti. Il processo è in grado di produrre giunti a tenuta
stagna e le sue applicazioni industriali includono la produzione di serbatoi di benzina,
di marmitte di automobili e vari altri fabbricati in lamiera. Tecnicamente, la RSEW è
la stessa operazione della saldatura a punti, tranne per il fatto che gli elettrodi a ruo-
te introducono alcune complessità. Poiché l’operazione viene solitamente effettuata in
continuo, anziché in discreto, le saldature avvengono lungo una linea retta o una linea
curva continua. Gli angoli acuti e le discontinuità sono difficili da eseguire. Inoltre,
la deformazioni dei pezzi diventa un fattore critico in questo tipo di saldatura e per
evitarlo occorre predisporre degli infissi per mantenere i pezzi in posizione e ridurre al
minimo la distorsione.
La spaziatura tra i noccioli di saldatura dipende dal moto degli elettrodi a ruota
relativo all’applicazione della corrente di saldatura. Nel processo più comune, chiamato
saldatura a moto continuo, gli elettrodi girano in modo continuo a velocità costante
e la corrente è attivata ad intervalli temporali coerenti con la spaziatura desiderata tra
i punti di saldatura lungo il cordone. La frequenza delle scariche di corrente di solito
è impostata in modo che i punti di saldatura risultino sovrapposti. Ma se la frequenza
è abbastanza bassa, si lasciano degli spazi vuoti tra i punti di saldatura: in questo caso
la saldatura è chiamata saldatura a rullo. In un’altra variante, la corrente di saldatura
rimane ad un livello costante (anziché essere pulsata) in modo da produrre una saldatura
veramente continua. Queste varianti sono illustrate in Figura 18.22.
Un’alternativa alla saldatura a moto continuo è la saldatura a moto intermittente,
in cui l’elettrodo a ruota viene periodicamente fermato per eseguire il punto di saldatu-
ra. La quantità di rotazione della ruota tra le interruzioni determina la distanza tra i
punti di saldatura lungo il cordone, creando percorsi simili a quelli delle immagini (a)
e (b) in Figura 18.22.

Elettrodo a ruota

Pezzi di lamiera Movimento dei pezzi


dopo la saldatura
Figura 18.21 Saldatura
a resistenza a cordone.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 521

Elettrodo a ruota
Noccioli di Noccioli Cordone
saldatura di saldatura di saldatura
sovrapposti separati continuo
Pezzi
di lamiera

Figura 18.22  Diversi tipi di cordoni prodotti da elettrodi a ruote: (a) saldatura a resistenza a cordone tradizionale, che produce
punti sovrapposti, (b) saldatura a rullo e (c) saldatura a cordone continuo. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Le saldatrici a cordone sono simili alle saldatrici a punti, a parte l’uso degli elettrodi
a ruota al posto di quelli a barra. Di solito è necessario effettuare un raffreddamento
dei pezzi e degli elettrodi e questo viene realizzato immettendo dell’acqua nella parte
superiore e inferiore delle superfici dei pezzi vicino agli elettrodi.

Saldatura a resistenza a proiezione  La saldatura a resistenza a proiezione (re-


sistance projection welding, RPW) è un processo in cui la giunzione si verifica in una
zona (o più zone) di piccole dimensioni di contatto tra i pezzi. Questi punti di contatto
dipendono dai pezzi da unire e possono essere proiezioni, rilievi o intersezioni localiz-
zate dei pezzi. Un esempio tipico di questo tipo di saldatura è illustrato in Figura 18.23.
Il pezzo superiore è fabbricato con due parti in rilievo che sono poste a contatto con
l’altro pezzo all’inizio del processo. Anche se la produzione dei rilievi sul pezzo può
essere più costosa, questo costo è ampiamente compensato dal risparmio che si ottiene
sul costo della saldatura.
Esistono delle varianti della saldatura a proiezione tradizionale, due delle quali sono
mostrate in Figura 18.24. Una è costituita dalla giunzione di un apparecchio di fissaggio
che ha delle sporgenze a un foglio o una lastra, facilitando le operazioni successive di
assemblaggio. Un’altra, detta saldatura tra fili, viene usata per fabbricare prodotti di
fili saldati come le reti metalliche, i carrelli della spesa e le griglie. In questo processo,
le superfici di contatto dei fili sono come le proiezioni che localizzano il calore per la
saldatura.

Figura 18.23 Saldatura
Forza
a resistenza a proiezio-
ne: (1) all’inizio dell’ope-
razione i due pezzi sono
Elettrodo a contatto attraverso le
proiezioni e (2) quando
viene applicata la corrente
Pezzi si formano dei noccioli di
di lamiera saldatura sulle proiezioni
Nocciolo simili a quelli che si han-
Proiezione di saldatura no nella saldatura a punti.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
522 Tecnologia meccanica

Forza Vista dall’alto


Figura 18.24  Due va-
rianti della saldatura a
resistenza a proiezio- Fermo
ne: (a) di saldatura di un Nocciolo
dispositivo di fissaggio di saldatura
su una lamiera e (b) sal-
datura tra fili. (Fonte: Pezzo Fili Noccioli di
Fundamentals of Modern di base saldatura
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Prima Dopo Sezione trasversale A-A
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

18.8 Saldatura a ossicombustibile

La saldatura a ossicombustibile (oxyfuel gas welding, OFW) è il termine che si usa per
descrivere il gruppo di processi FW che bruciano varie miscele di combustibili misti a
ossigeno per eseguire la saldatura. I processi OFW usano diversi tipi di gas, da cui si
originano le differenze tra i processi specifici. La saldatura a ossicombustibile si usa
anche nelle torce da taglio che servono a tagliare e separare le lastre di metallo e altri
pezzi. Il processo di OFW più importante è la saldatura ossiacetilenica.

18.8.1  Saldatura ossiacetilenica


La saldatura ossiacetilenica (oxyacetylene welding, OAW) è un processo di saldatura
per fusione eseguito da una fiamma ad alta temperatura derivante dalla combustione di
acetilene e ossigeno. La fiamma è diretta da una torcia di saldatura. A volte si aggiunge
un metallo di apporto o si applica una pressione alle superfici dei pezzi a contatto. Una
tipica operazione OAW è rappresentata in Figura 18.25. Se si usa del metallo di apporto,
la sua forma è quella di barre con diametro da 1.6 mm a 9.5 mm. La composizione del
metallo di apporto deve essere simile a quella dei metalli di base. Il metallo di apporto
spesso viene rivestito con un fondente che aiuta a pulire le superfici e prevenire l’ossi-
dazione, creando così un giunto saldato migliore.
L’acetilene (C2H2) è il combustibile più usato, perché è in grado di produrre tem-
perature più elevate rispetto agli altri, fino a 3480°C. La fiamma viene prodotta dalla
reazione chimica tra l’acetilene e l’ossigeno in due fasi. La prima fase è definita dalla
reazione seguente:
C2H2 + O2 → 2CO + H2 + calore (18.10a)
i cui prodotti sono entrambi combustibili, quindi si ottiene la seconda reazione:
2CO + H2 + 1.5O2 → 2CO2 + H2O + calore (18.10b)
Le due fasi di combustione sono visibili nella fiamma ossiacetilenica emessa dalla torcia.
Quando la miscela di acetilene e ossigeno è nel rapporto di 1:1, come descritto nell’Equa-
zione (18.10), si ha la fiamma neutra mostrata in Figura 18.26. Il primo stadio di reazione
è rappresentato dal cono interno della fiamma (che è bianco brillante), mentre il secondo
stadio è visibile nella parte esterna (che è quasi incolore ma con riflessi che vanno dal blu
all’arancione). La temperatura massima della fiamma viene raggiunta in corrispondenza
della punta del cono interno; la temperatura della seconda fase è leggermente inferiore a
quella del cono interno. Durante la saldatura, la parte esterna della fiamma si diffonde e
copre le superfici dei pezzi da unire, schermandoli dall’atmosfera circostante.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 523

Miscela di C2H2 + O2

Direzione della saldatura


F i g u r a 18 . 2 5   T i p i c a
operazione di saldatura
Barra di metallo Punta della torcia di saldatura ossiacetilenica. (Fonte:
di apporto Fundamentals of Modern
Fiamma Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Metallo di base Metallo saldato solidificato 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Metallo saldato fuso & Sons, Inc.)

Involucro esterno 1260 °C

Figura 18.26  La fiamma neutra in uscita da


un cannello ossiacetilenico, incluse le tempe-
rature che raggiunge. (Fonte: Fundamentals of
Zona di acetilene 2090 °C Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di
Cono interno 3480 °C John Wiley & Sons, Inc.)

Il calore totale liberato durante le due fasi della combustione è di 55 3 106 J/m3.
Tuttavia, a causa della distribuzione della temperatura nella fiamma, del modo in cui
la fiamma si propaga sulla superficie del pezzo, e delle dispersioni nell’aria, le densità
di potenza e i coefficienti di trasferimento di calore nella saldatura ossiacetilenica sono
relativamente bassi ( f1 va da 0,10 a 0,30).
La combinazione di acetilene e ossigeno è facilmente infiammabile, quindi l’am-
biente in cui viene eseguita la OAW è pericoloso. Alcuni dei rischi sono relativi in
particolare all’acetilene. Il gas C2H2 puro è incolore e inodore. Per motivi di sicurezza,
l’acetilene commerciale viene lavorato per avere un odore caratteristico simile all’aglio.
Una delle limitazioni fisiche del gas è che è instabile a pressioni superiori a 1 atm (0.1
MPa). Di conseguenza, le bombole per lo stoccaggio di acetilene sono confezionate con
un materiale di riempimento poroso (come l’amianto, il legno di balsa o altri) saturo di
acetone (CH3COCH3). L’acetilene si dissolve nell’acetone liquido: l’acetone dissolve cir-
ca 25 volte il proprio volume di acetilene, fornendo così un mezzo relativamente sicuro
per immagazzinare questo gas. Il saldatore deve indossare delle protezioni per gli occhi
e per la pelle (occhiali, guanti e indumenti protettivi) come misure di sicurezza aggiun-
tive e sulle bombole di acetilene e di ossigeno ci sono delle filettature diverse per evitare
la connessione accidentale del gas sbagliato. Bisogna sempre effettuare una corretta
manutenzione delle attrezzature. I macchinari per la OAW sono relativamente poco
costosi e facili da trasportare. Questo tipo di saldatura è quindi un processo economico
e versatile, che ben si adatta alla bassa quantità di produzione e ai lavori di riparazione.
Viene usato raramente per saldare lamiere e piastre più spesse di 6.4 mm perché in quei
casi si preferisce usare la saldatura ad arco. La OAW può essere meccanizzata, ma di
solito viene eseguita manualmente: la qualità della saldatura dipende quindi dall’abilità
del saldatore.

18.8.2  Altri gas nella saldatura a ossicombustibile


Esistono vari processi OFW che si basano su gas diversi dall’acetilene. I combustibili
alternativi più comuni sono elencati in Tabella 18.4, assieme alle relative temperature
524 Tecnologia meccanica

e calori di combustione. Anche l’acetilene è riportato nell’elenco per facilitare il con-


fronto. L’ossiacetilene è il combustibile OFW più comune, ma tutti gli altri gas possono
essere utilizzati in applicazioni di saldatura, in particolare la saldatura di lamiere e
metalli a basse temperature di fusione e la brasatura. Inoltre, alcuni gas sono preferiti
per ragioni di sicurezza.
Il combustibile che compete di più con l’acetilene per il raggiungimento di alti valo-
ri di temperature e di calore è il metilacetilene-propadiene. Si tratta di un combustibile
sviluppato dalla Dow Chemical Company venduto con il nome commerciale di MAPP
(si ringrazia la Dow per aver fornito questa abbreviazione). Il MAPP (C3H4) ha caratte-
ristiche termiche simili all’acetilene e può essere immagazzinato sotto pressione come
un liquido, evitando così i problemi di stoccaggio associati al C2H2.
Quando si usa la fiamma prodotta dall’idrogeno che brucia con l’ossigeno, il proces-
so prende il nome di saldatura ossidrica (oxyhydrogen welding, OHW). Come mostra-
to in Tabella 18.4, la temperatura di saldatura nella OHW è inferiore a quella raggiunta
nella saldatura ossiacetilenica. Inoltre, il colore della fiamma non è influenzato dalle
differenze nella miscela di idrogeno e ossigeno e quindi la regolazione della torcia risul-
ta più difficile per il saldatore.
Altri combustibili utilizzati nella OFW sono il propano e il gas naturale. Il propa-
no (C3H8) di solito è usato per la brasatura, la brasatura dolce e il taglio più che per la
saldatura. Il gas naturale è costituito per lo più da etano (C2H6) e da metano (CH4). Se
miscelato con l’ossigeno si ottiene una fiamma ad alta temperatura, per questo motivo
il suo impiego sta diventando sempre più comune nei negozi di saldatura di piccole
dimensioni.

18.9 Altri processi di saldatura per fusione

Ci sono dei processi di saldatura per fusione che non rientrano nelle tre categorie prece-
denti di saldatura ad arco, a resistenza e a ossicombustibile. Ognuno di questi altri pro-
cessi utilizza una tecnologia particolare per sviluppare il calore necessario alla fusione,
e di solito è usato per una specifica applicazione.

TABELLA 18.4  Gas usati nella saldatura e/o nel taglio a ossicombustibile,
con le relative temperature e calori di combustione.

Temperaturaa Calore di combustione


Combustibile °C MJ/m3
Acetilene (C2H2) 3087 54.8
MAPP (C3H4)
b
2927 91.7
Idrogeno (H2) 2660 12.1
Propilenec (C3H6) 2900 89.4
Propano (C3H8) 2526 93.1
Gas naturale d
2538 37.3

Fonte [10].
a
Il confronto è basato sulle temperature della fiamma neutra perché questa è la
fiamma più usata nella saldatura.
b
MAPP è l’abbreviazione commerciale del metilacetilene-propadiene.
c
Il propilene viene utilizzato principalmente nel taglio a fiamma.
d
I dati sono basati sul gas metano (CH4). Visto che il gas naturale è costituito da eta-
no (C2H6) e metano, la temperatura della fiamma e il calore di combustione variano
a seconda della composizione.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 525

Saldatura a fascio di elettroni  La saldatura a fascio di elettroni (electron-beam


welding, EBW) è un processo di saldatura per fusione in cui il calore viene prodotto da
un fascio di elettroni molto concentrati e ad alta intensità diretto contro la superficie
del pezzo. L’apparecchiatura è simile a quella utilizzata per la lavorazione a fascio di
elettroni. La pistola a fascio di elettroni funziona ad alta tensione per accelerare gli
elettroni (tra i 10 e i 150 kV) e le correnti sono molto basse (misurate in milliampere).
La potenza non è molto elevata, ma la densità di potenza si. L’alta densità di potenza si
ottiene dirigendo il fascio di elettroni su una superficie molto piccola, in modo che la
densità di potenza PD sia calcolata nel modo seguente:

(18.11)

dove PD è la densità di potenza in W/m 2, f1 il coefficiente di trasferimento di calore (i


valori tipici per la EBW sono nell’intervallo 0,8-0,95 [9]), E la tensione di accelerazione
in V, I la corrente del fascio in Ampere e A la superficie del pezzo su cui si focalizza il
fascio di elettroni in mm2. Le superfici tipiche vanno dai 13 x 10 -3 ai 2000 x 10 -3 mm2.
Questo processo è stato introdotto nel 1950 nel settore dell’energia atomica. All’ini-
zio, la saldatura doveva essere effettuata in una camera a vuoto per ridurre al minimo
l’interruzione del fascio di elettroni da parte delle molecole d’aria. Questo requisito è
stato, ed è ancora, un grave inconveniente per la produzione, a causa del tempo neces-
sario per svuotare la camera prima della saldatura, che può richiedere fino a un’ora, a
seconda delle dimensioni della camera e del livello di vuoto richiesto. Oggi, la tecnolo-
gia EBW è progredita e alcune delle operazioni possono essere effettuate senza vuoto.
Si possono distinguere tre categorie di questo tipo di saldatura: (1) la saldatura ad
alto vuoto (high-vacuum welding, EBW-HV), in cui la saldatura viene eseguita nella
stessa camera a vuoto in cui è stato generato il fascio, (2) la saldatura a medio vuoto
(medium-vacuum welding, EBW-MV), in cui l’operazione viene eseguita in una camera
separata dove si crea soltanto un vuoto parziale e (3) la saldatura senza vuoto (non-
vacuum welding, EBW-NV), in cui la saldatura si esegue praticamente alla pressione
atmosferica. Il tempo di svuotamento della camera si riduce negli ultimi due metodi,
ma non senza costo, infatti in queste operazioni i macchinari devono comprendere uno
o più divisori di vuoto (fori molto piccoli che impediscono il flusso dell’aria ma per-
mettono il passaggio del fascio di elettroni) per separare il generatore del fascio (che
richiede un ambiente più vuoto) dalla camera in cui si esegue la saldatura. Inoltre, nella
saldatura senza vuoto, il pezzo deve essere sistemato vicino al foro del cannone del
fascio elettronico, al massimo a 13 mm. Infine, i processi a livello di vuoto più basso
non raggiungono la qualità di saldatura elevata e i rapporti profondità-larghezza a cui
arrivano i processi EBW-HV.
La saldatura EBW può essere usata sia per saldare i metalli che possono essere
saldati anche ad arco, sia per saldare i metalli refrattari e quindi più difficili che non
sono adatti per la saldatura ad arco. Le dimensioni dei pezzi vanno dai fogli sottili alle
lamiere più spesse. La EBW si applica principalmente nei settori automobilistico, aero-
spaziale e nucleare. Nel settore automobilistico, alcuni esempi di gruppi saldati a fascio
di elettroni sono i collettori in alluminio, i convertitori di coppia in acciaio, i catalizza-
tori e i componenti di trasmissione. In queste e altre applicazioni, la saldatura a fascio
di elettroni è nota per i suoi giunti di alta qualità per profili profondi e/o stretti, zone
limitate di influenza termica e bassa distorsione termica. Le velocità di saldatura sono
più elevate rispetto alle altre operazioni di saldatura in continuo. Non si usano metalli
di apporto e non sono necessari fondenti o gas protettivi. Gli svantaggi della EBW sono
il costo elevato delle attrezzature, la necessità di una precisa preparazione del giunto e
dell’allineamento dei pezzi e le limitazioni associate all’esecuzione sotto vuoto già di-
526 Tecnologia meccanica

scusse. In aggiunta, ci sono dei problemi di sicurezza dovuti al fatto che la EBW genera
dei raggi X, e quindi bisogna prevedere le opportune protezioni per gli operatori.

Saldatura a fascio laser  La saldatura a fascio laser (laser-beam welding, LBW) è


un processo di saldatura per fusione in cui la giunzione dei pezzi si ottiene dall’energia
di un fascio di luce coerente molto concentrata diretto sul giunto da saldare. Il termine
laser infatti deriva dall’acronimo di light amplification by stimulated emission of ra-
diation. Questa stessa tecnologia è utilizzata nella lavorazione meccanica a fascio laser.
La LBW di solito si esegue usando dei gas di schermatura (come l’elio, l’argon, l’azoto
e l’anidride carbonica) per prevenire l’ossidazione. Di solito non si aggiungono metalli
di apporto.
La LBW produce saldature di alta qualità, penetrazioni profonde e zone di influ-
enza termica strette. Queste caratteristiche sono simili a quelle ottenute dalla saldatura
a fascio di elettroni, infatti i due processi vengono spesso messi a confronto. Ci sono
diversi vantaggi nella LBW rispetto alla EBW: non serve una camera a vuoto, non ven-
gono emessi raggi X e i fasci laser possono essere focalizzati e diretti attraverso lenti
ottiche e specchi. D’altra parte però, la LBW non raggiunge la profondità di saldatura e
i rapporti profondità-larghezza della EBW. La massima profondità raggiungibile dalla
saldatura laser è di circa 19 mm, mentre quella a fascio di elettroni supera i 50 mm, e
i rapporti profondità-larghezza sono in genere limitati a circa 5:1. A causa dell’energia
molto concentrata nella piccola area del fascio laser, questa tecnica viene usata per lo
più per unire dei pezzi di piccole dimensioni.

Saldatura Thermit Il Thermit è il nome di un marchio che si riferisce alla termite,


una miscela di polvere di alluminio e ossido di ferro che produce una reazione esotermi-
ca. Viene usata per le bombe incendiarie e per la saldatura. Come processo di saldatura,
l’uso della termite risale al 1900. La saldatura Thermit (Thermit welding, TW) è un pro-
cesso di saldatura per fusione in cui il calore per la saldatura viene prodotto dal surri-
scaldamento dal metallo fuso dalla reazione chimica del Thermit. Il metallo di apporto
deriva dal metallo liquido. Anche se questo processo è classificato come saldatura, ha
molte più caratteristiche in comune con la colata.
Le polveri fini di alluminio e ossido di ferro (in rapporto 1:3 nella miscela), se espo-
ste a una temperatura di circa 1300°C, producono la seguente reazione chimica:

8Al + 3Fe3O4 → 9Fe + 4Al2O3 + calore (18.12)

La temperatura della reazione di circa 2500°C causa il surriscaldamento del ferro e


il galleggiamento dell’ossido di alluminio sulla sua superficie per proteggerlo dall’at-
mosfera. Nella saldatura Thermit, il ferro (o l’acciaio) surriscaldato è contenuto in un
crogiolo situato sopra il giunto da saldare, come indicato nel diagramma del processo
TW riportato in Figura 18.27. Al termine della reazione (circa 30 secondi, indipenden-
temente dalla quantità di Thermit usato), il crogiolo viene aperto e il metallo liquido
fluisce in uno stampo costruito appositamente per circondare il giunto saldato. Poiché
il metallo che fluisce è molto caldo, i bordi dei pezzi da saldare si sciolgono e creano
la giunzione per solidificazione. Dopo il raffreddamento, lo stampo viene staccato, e i
canali e i montanti vengono rimossi usando il cannello ossiacetilenico o altri metodi.
La saldatura Thermit viene usata per i giunti delle rotaie delle ferrovie (come nel
caso della figura) e per la riparazione delle crepe nelle colate e nelle forgiature di pezzi
di acciaio di grandi dimensioni come stampi per lingotti, alberi di grande diametro, telai
di macchine e timoni delle navi. La superficie della saldatura in queste applicazioni è
spesso sufficientemente regolare da non richiedere una successiva finitura.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 527

Figura 18.27 Saldatura
Thermit: (1) Thermit riscal-
dato, (2) crogiolo aperto,
Acciaio Scoria il metallo surriscaldato
molto
Crogiolo fluisce nello stampo, (3)
caldo per la Scoria il metallo si solidifica e
reazione Thermit Dispositivo di chiusura
produce il giunto saldato.
Stampo di chiusura Stampo (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

18.10 Saldatura allo stato solido

Nella saldatura allo stato solido, l’unione delle superfici dei pezzi si ottiene (1) solo
tramite pressione o (2) per mezzo dell’azione combinata di calore e pressione. Per alcuni
processi di saldatura allo stato solido, anche il tempo rappresenta un fattore. Se si usano
sia il calore che la pressione, la quantità di calore da sola non è sufficiente a provocare la
fusione delle superfici dei pezzi. In alcuni casi, la combinazione di calore e pressione, o
il modo particolare in cui viene applicata la pressione da sola, genera energia sufficiente
a provocare la fusione localizzata dei piani di contatto. In questo tipo di saldatura non
vengono aggiunti metalli di apporto.

18.10.1  Considerazioni generali sulla saldatura allo stato solido


Nella maggior parte dei processi di saldatura allo stato solido, si crea un legame me-
tallurgico senza o quasi fondere i metalli di base. Per legare metallurgicamente due
metalli simili o diversi, i due metalli devono essere messi a stretto contatto in modo che
le loro forze coesive atomiche li attraggano l’un l’altro. Nel contatto fisico normale tra
due superfici, non si verifica uno stretto contatto a causa della presenza di film chimici,
gas, oli ecc. Affinché il legame atomico abbia successo, queste sostanze devono essere
rimosse. Nella saldatura per fusione (così come negli altri processi di giunzione come la
brasatura e la saldobrasatura), le pellicole vengono disciolte o bruciate dalle alte tempe-
rature e il legame atomico è stabilito dalla fusione e dalla solidificazione dei metalli. Ma
nella saldatura in stato solido, i film e gli altri contaminanti devono essere rimossi con
altri mezzi per consentire il legame metallurgico. In alcuni casi si effettua una pulitura
accurata delle superfici subito prima del processo di saldatura, mentre in altri l’azione
di pulitura viene eseguita come parte integrante del processo di avvicinamento delle
due superfici. Riassumendo, le condizioni essenziali per il successo della saldatura allo
stato solido sono che le due superfici devono essere molto pulite e devono essere messe
a stretto contatto fisico l’una con l’altra per consentire il legame atomico.
I processi di saldatura che non comportano la fusione hanno diversi vantaggi ri-
spetto ai processi basati sulla fusione. Se non si verifica fusione, non ci sono zone in-
fluenzate dal calore e quindi il metallo che circonda il giunto conserva le sue proprietà
originali. Molti di questi processi producono giunti saldati che si estendono sull’intera
interfaccia di contatto tra i due pezzi, anziché in singoli punti o cordoni, come nella
maggior parte delle operazioni di saldatura per fusione. Inoltre, alcuni di questi processi
sono applicabili senza problemi alla giunzione di metalli molto diversi, senza preoccu-
parsi dei diversi punti di fusione, delle diverse dilatazioni termiche, delle diverse con-
ducibilità e di altri problemi che di solito sorgono quando vengono fusi e poi solidificati
metalli diversi.
528 Tecnologia meccanica

18.10.2  Processi di saldatura allo stato solido


Il gruppo di processi di saldatura allo stato solido comprende il più antico processo di
saldatura, nonché alcuni tra i più moderni. Ogni processo in questo gruppo ha il suo
modo unico di creare il legame tra i piani di contatto. La nostra discussione inizia con
la saldatura per forgiatura, il più antico processo di saldatura.

Saldatura per forgiatura  La saldatura per forgiatura ha un’importanza storica nel-


lo sviluppo delle tecnologie di produzione. Il processo risale circa al 1000 a.C., quando
i fabbri del mondo antico scoprirono come unire due pezzi di metallo. La saldatura per
forgiatura è un processo di saldatura in cui i componenti da unire vengono riscaldati a
una certa temperatura di lavoro e poi forgiati insieme usando un martello o altri metodi.
Erano richieste delle notevoli abilità agli artigiani che la praticavano per ottenere una
buona qualità di saldatura. Anche se il processo ha un’importanza storica, oggi non è
molto importante dal punto di vista commerciale, tranne che nelle varianti descritte di
seguito.

Saldatura a freddo  La saldatura a freddo (cold welding, CW) è un processo di sal-


datura allo stato solido che viene eseguito applicando un’alta pressione su due superfici
pulite a contatto a temperatura ambiente. I piani di contatto devono essere molto puliti
e la pulitura di solito si effettua con uno sgrassaggio e una spazzolatura subito prima
della saldatura. Inoltre, almeno uno dei metalli da saldare, ancora meglio se entrambi,
deve essere molto duttile e non incrudito. I metalli come l’alluminio e il rame morbi-
di possono essere saldati a freddo facilmente. La forza di compressione applicata nel
processo causa una lavorazione a freddo dei pezzi metallici, riducendone lo spessore di
circa il 50% e causando anche una deformazione plastica localizzata sulle superfici a
contatto, che provoca la giunzione. Per pezzi piccoli, le forze possono essere applicate
da semplici utensili ad azionamento manuale. Per pezzi più pesanti, servono delle presse
alimentate da corrente per esercitare la forza necessaria. Non viene applicato nessun
calore da fonti esterne, anche se il processo di deformazione può causare un aumento
della temperatura dei pezzi. Le applicazioni della CW sono principalmente i collega-
menti elettrici.

Saldatura a rulli  La saldatura a rulli è una variante della saldatura per forgiatura
o della saldatura a freddo, a seconda che avvenga o meno un riscaldamento esterno
dei pezzi prima del processo. La saldatura a rulli (roll welding, ROW) è un processo
di saldatura allo stato solido in cui la pressione per provocare la giunzione viene tra-
smessa per mezzo di rulli, con o senza applicazione di calore esterno. Il procedimento
è illustrato in Figura 18.28. Se non viene fornito calore esterno, il processo è chiamato
saldatura a rulli a freddo, se viene fornito calore, si chiama saldatura a rulli a caldo.
Le applicazioni della saldatura a rulli sono i rivestimenti in acciaio inox su acciaio dolce
o bassolegato per aumentare la resistenza alla corrosione, le strisce bimetalliche per la
misurare della temperatura e le monete a «sandwich» per la zecca statunitense.

Saldatura a pressione a caldo  La saldatura a pressione a caldo (hot pressure


welding, HPW) è un’altra variante della saldatura per forgiatura in cui la giunzione
si verifica per l’applicazione di calore e pressione sufficienti a causare delle notevoli
deformazioni dei metalli di base. La deformazione interrompe la pellicola di ossido
superficiale, lasciando un metallo pulito che permette di stabilire un buon legame tra
i due pezzi. Affinché si verifichi la diffusione tra i piani di contatto deve passare del
tempo. L’operazione viene solitamente effettuata in una camera a vuoto o in presenza
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 529

Rullo

Figura 18.28 Saldatura
Giunto a rulli. (Fonte: Fundamen-
Pezzi da saldare Pezzi saldati tals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell
P. Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

di un mezzo di schermatura. Le applicazioni principali della saldatura HPW sono nel


settore aerospaziale.

Saldatura per diffusione  La saldatura per diffusione (diffusion welding, DFW) è


un processo di saldatura allo stato solido che deriva dall’applicazione di calore e pres-
sione, di solito in atmosfera controllata, per un tempo sufficiente affinché si verifichino
la diffusione e la giunzione. Le temperature sono molto al di sotto dei punti di fusione
dei metalli (al massimo 0,5 Tm) e vi è una minima deformazione plastica delle superfici.
Il meccanismo principale della giunzione è la diffusione allo stato solido, che prevede
la migrazione degli atomi attraverso l’interfaccia tra le superfici. Le applicazioni della
DFW sono la giuntura di metalli molto resistenti e refrattari nelle industrie aerospaziali
e nucleari. Il processo è utilizzato per unire metalli sia simili che diversi e in quest’ulti-
mo caso si inserisce uno strato di metallo diverso di apporto tra i due metalli di base per
accelerare la diffusione. Il tempo necessario alla diffusione tra i piani di contatto può
essere significativo, in alcune applicazioni è più di un’ora [10].

Saldatura per esplosione  La saldatura per esplosione (explosion welding, EXW)


è un processo di saldatura allo stato solido in cui la giunzione di due superfici metal-
liche è provocata dall’energia di un esplosivo. Questo metodo viene usato per unire
due metalli diversi, in particolare per rivestire un metallo con un altro metallo su una
superficie estesa. Le applicazioni includono la produzione di lastre e piastre resistenti
alla corrosione per la realizzazione di impianti di lavorazione nelle industrie chimiche e
del petrolio. In questo contesto si usa il termine di rivestimento per esplosione. Nella
EXW non si usano metalli di apporto e non si applica calore esterno. Inoltre, la diffusio-
ne non si verifica durante il processo (il tempo è troppo breve). La natura del legame è
metallurgico, combinato, in molti casi, con un incastro meccanico che deriva da un’in-
terfaccia increspata o ondulata tra i metalli.
Il processo per effettuare il rivestimento di una piastra di metallo su un’altra piastra
può essere descritto facendo riferimento alla Figura 18.29. In questa configurazione, le
due piastre sono parallele, separate da una certa distanza, con la carica esplosiva posta
sopra la piastra superiore, detta piastra volante. Spesso si usa uno strato paracolpi
(ad esempio, di gomma o di plastica) tra l’esplosivo e la piastra volante per protegge-
re la sua superficie. La piastra inferiore, chiamata la piastra sostenitrice, poggia su
un’incudine di supporto. Quando inizia la detonazione, la carica esplosiva si propaga
da una estremità della piastra volante all’altra, come mostrato in Figura 18.29(2). Una
delle difficoltà nel capire quello che accade nella EXW è data dell’equivoco per cui si
crede che si verifichi un’esplosione istantaneamente; in realtà si tratta di una reazione
progressiva, anche se molto rapida, perché si propaga a tassi più elevati di 8500 m/s.
La zona ad alta pressione risultante spinge la piastra volante a collidere con quella so-
stenitrice ad alta velocità in modo progressivo, cosicché assume una forma angolare
all’avanzare dell’esplosione, come illustrato nella nostra figura. La piastra superiore
530 Tecnologia meccanica

Esplosione

Esplosivo
Detonatore Piano
Paracolpi
volante
Gioco Piastra volante
Piastra sostenitrice Piano
sostenitore
Incudine Giunto Espulsione
di film superficiali

Figura 18.29  Saldatura per esplosione: (1) configurazione in parallelo e (2) durante la detonazione della carica esplosiva.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

rimane nella posizione originaria nei punti in cui la carica non è ancora esplosa. L’alta
velocità di collisione, che si verifica in modo progressivo e angolare, rende fluide le
superfici nel punto di contatto e le pellicole superficiali sono espulse dal movimento in
avanti del vertice dell’angolo. Le superfici collidenti sono quindi chimicamente pulite e
il comportamento fluido del metallo, che coinvolge delle fusioni all’interfaccia, forni-
sce uno stretto contatto tra le superfici, causando il legame metallurgico. Le variazioni
nelle velocità di collisione e nell’angolo di impatto durante il processo possono causare
un’interfaccia ondulata o increspata tra i due metalli. Questo tipo di interfaccia rafforza
il legame perché aumenta l’area di contatto e tende a realizzare incastri meccanici tra
le due superfici.

Saldatura per attrito  La saldatura per attrito è un processo molto utilizzato dal
punto di vista commerciale e adatto ad essere automatizzato. Questo processo è stato
sviluppato nell’Ex Unione Sovietica e introdotto negli Stati Uniti intorno al 1960. La
saldatura per attrito (friction welding, FRW) è un processo di saldatura allo stato solido
in cui la giunzione è realizzata da una combinazione di calore di attrito e pressione.
L’attrito è indotto dallo sfregamento meccanico tra le due superfici, di solito mediante
la rotazione di un pezzo rispetto all’altro, per aumentare la temperatura all’interfaccia
alla temperatura di lavorazione dei metalli coinvolti. Poi i pezzi sono compressi l’uno
contro l’altro per formare un legame metallurgico. La sequenza delle fasi del processo
è mostrata in Figura 18.30 per la saldatura di due pezzi cilindrici, che è la sua applica-
zione tipica. La forza di compressione assiale unisce i pezzi e si formano delle bave di
materiale. Eventuali pellicole superficiali che potevano essersi formate sulle superfici
di contatto vengono rimosse durante il processo. Le bave devono poi essere tagliate per
lasciare una superficie liscia nella regione di saldatura. Se il processo viene eseguito
correttamente, non si verifica nessuna fusione sui piani di contatto. Di solito non ven-
gono usati metalli di apporto, fondenti o gas protettivi.
Quasi tutte le operazioni FRW utilizzano la rotazione per sviluppare il calore di
attrito necessario alla saldatura. Ci sono due sistemi di azionamento principali, che cau-
sano la presenza di due tipi di FRW: (1) la saldatura per attrito ad azionamento continuo
e (2) la saldatura per attrito di inerzia. Nella saldatura per attrito ad azionamento
continuo, un pezzo viene azionato ad una velocità di rotazione costante e posto a con-
tatto con il pezzo fisso applicando un certo livello di forza in modo che si generi del
calore di attrito all’interfaccia di contatto. Quando si raggiunge la giusta temperatura di
lavorazione a caldo, si interrompe la rotazione e contemporaneamente i pezzi vengono
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 531

Morsetto Morsetto non


rotante rotante
Assialmente
mobile
Pezzi a contatto
per sviluppare
l’attrito

Interruzione
della rotazione Forza assiale
e applicazione applicata
della forza

Formatura
del giunto

Figura 18.30  Saldatura per attrito: (1) pezzi che ruotano non a contatto, (2) pezzi a contatto per generare calore di attrito, (3)
interruzione della rotazione e applicazione di una pressione assiale e (4) giunto finale. (Fonte: Fundamentals of Modern Manu-
facturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

compressi insieme. Nella saldatura per attrito a inerzia, il pezzo rotante è collegato
ad un volano, che viene portato fino ad una certa velocità. Poi viene interrotto il contat-
to tra volano e il motore di azionamento e i pezzi vengono messi a contatto. L’energia
cinetica accumulata nel volano viene dissipata sotto forma di calore di attrito che causa
la giunzione delle superfici. Il ciclo totale per queste operazioni è di circa 20 secondi.
Le macchine per saldatura ad attrito hanno l’aspetto di un tornio a motore. Esse ri-
chiedono un mandrino motorizzato per ruotare un pezzo ad alta velocità e un mezzo di
applicazione di una forza assiale tra il pezzo rotante e il pezzo non rotante. Con i suoi brevi
tempi cicli, il processo si adatta bene alla produzione di massa. Si applica alla saldatura di
alberi e vari pezzi tubolari nei settori delle automobili, degli aerei, delle macchine agricole,
del petrolio e del gas naturale. Il processo produce una stretta zona di influenza termica e
può essere utilizzato per unire metalli diversi. Tuttavia, almeno uno dei pezzi deve essere
rotazionale, si formano delle bave che vanno rimosse e la compressione riduce le lunghezze
dei pezzi (cosa che deve essere tenuta in considerazione nella progettazione dei prodotti).
Le operazioni tradizionali di saldatura per attrito appena discusse utilizzano un
movimento rotatorio per sviluppare l’attrito necessario ai piani di contatto. Una versio-
ne più recente del processo è la saldatura per attrito lineare, in cui viene utilizzato un
movimento lineare alternato per generare il calore di attrito tra i pezzi. Questo elimina
la necessità di avere pezzi rotazionali.

Saldatura per attrito e agitazione  La saldatura per attrito e agitazione (friction


stir welding, FSW), illustrata in Figura 18.31, è un processo di saldatura allo stato solido
in cui si usa un utensile rotante che avanza lungo la linea di giunzione tra i due pezzi,
generando del calore di attrito e agitando meccanicamente il metallo per formare il
cordone di saldatura. Il processo prende il nome da questa azione di agitazione o misce-
lazione. La FSW si distingue dalla FRW tradizionale per il fatto che il calore di attrito
è generato da un utensile separato resistente all’usura anziché dai pezzi stessi. La FSW
è stata sviluppata nel 1991 presso il Welding Institute di Cambridge, nel Regno Unito.
532 Tecnologia meccanica

Rotazione
(Tool rotation) N
dell'Utensile

f
N

Figura 18.31 Saldatura
ff (Avanzamento
(Tool feed)
per attrito e agitazione: (1) dell’utensile)
utensile rotante appena
prima di essere inserito
nel giunto e (2) saldatura
parzialmente completata.
Tool
Utensile
Legenda: N = rotazione
dell’utensile, f = avanza-
mento dell’utensile. (Fon-
te: Fundamentals of Mo-
dern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groo-
ver, 2010. Ristampato con
Probe
Sonda Shoulder
Spalla Cordone di saldatura
Weld seam
il permesso di John Wiley
& Sons, Inc.) (1) (2)

L’utensile rotante è a scalino, perché è costituito da una spalla cilindrica e una


piccola sonda sporgente sotto. Durante la saldatura, la spalla sfrega contro le superfici
superiori dei due pezzi, sviluppando gran parte del calore di attrito, mentre la sonda
genera del calore aggiuntivo miscelando meccanicamente il metallo lungo le teste delle
superfici. La sonda ha una forma specifica per facilitare l’azione di miscelazione. Il ca-
lore prodotto dalla combinazione di attrito e di miscelazione non fa fondere il metallo,
ma lo ammorbidisce in una condizione molto plastica. Man mano che l’utensile avanza
lungo il giunto, la superficie anteriore della sonda rotante agisce sul metallo circostante
nella sua scia, sviluppando delle forze che forgiano il metallo in un cordone di saldatura.
La spalla serve per costringere il metallo in stato plastico a fluire intorno alla sonda.
Il processo FSW è utilizzato nei settori aerospaziale, automobilistico, ferroviario e
di cantieristica navale. Le applicazioni tipiche sono i giunti di testa su pezzi in alluminio
di grandi dimensioni. Anche altri metalli, come l’acciaio, il rame e il titanio, come pure i
polimeri e i compositi vengono saldati mediante FSW. I vantaggi di queste applicazioni
sono: (1) le buone proprietà meccaniche del giunto saldato, (2) l’assenza di fumi tossici,
deformazioni, problemi di schermatura e altri problemi relativi alla saldatura ad arco,
(3) le distorsioni e i ritiri minimi e (4) la buona qualità della saldatura. Gli svantaggi
sono (1) la presenza di un foro di uscita quando l’utensile viene ritirato dal pezzo e (2)
la necessità di un serraggio molto forte tra i pezzi.

Saldatura a ultrasuoni  La saldatura a ultrasuoni (ultrasonic welding, USW) è un


processo di saldatura allo stato solido in cui i due pezzi sono tenuti insieme da una
modesta forza e vengono applicate delle tensioni di taglio oscillatorio a frequenza ultra-
sonica sulla superficie di contatto per realizzare la giunzione. L’operazione è mostrata
in Figura 18.32 per un giunto di sovrapposizione, che è l’applicazione tipica. Il moto
oscillatorio tra i due pezzi rompe le pellicole superficiali e permette la formazione di un
forte legame metallurgico tra le superfici. Sebbene si verifichi un riscaldamento delle
superfici a contatto a causa dello sfregamento e della deformazione plastica, le tempe-
rature risultanti sono molto al di sotto del punto di fusione. In questo processo non sono
necessari metalli di apporto, fondenti e gas di schermatura.
Il moto oscillatorio viene trasmesso al pezzo superiore mediante un sonotrodo, che
è accoppiato ad un trasduttore ultrasonico. Questo dispositivo converte l’energia elettri-
ca in un moto vibratorio ad alta frequenza. Le frequenze tipiche sono tra i 15 e i 75 kHz,
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 533

Forza verso il basso


Figura 18.32 Saldatura
a ultrasuoni: (a) configu-
Trasduttore Punta del Moto razione generale di un
a ultrasuoni sonotrodo vibratorio giunto di sovrapposizione
Punta del e (b) primo piano della
sonotrodo zona di saldatura. (Fonte:
Pezzi Fundamentals of Modern
da saldare Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010.
Incudine Incudine Ristampato con il permes-
so di John Wiley & Sons,
Inc.)

con ampiezze da 0.018 a 0.13 mm. Le pressioni di serraggio sono molto inferiori a quelle
utilizzate nella saldatura a freddo e non producono deformazioni plastiche significative
tra le superfici. I tempi di saldatura in queste condizioni sono minori di 1 secondo.
Le operazioni USW di solito si limitano ai giunti di sovrapposizione su materiali
morbidi come l’alluminio e il rame. Materiali di saldatura più duri provocano una rapida
usura del sonotrodo a contatto con il pezzo superiore. I pezzi di solito sono piccoli e
lo spessore della saldatura è tipicamente inferiore a 3 mm. Le applicazioni della USW
sono le terminazioni e le giunzioni dei cavi nelle industrie elettriche ed elettroniche
(elimina la necessità di saldobrasatura), l’assemblaggio di pannelli di alluminio, la sal-
datura dei tubi nei pannelli solari e altre operazioni per l’assemblaggio di pezzi piccoli.

18.11  Qualità dei giunti

Lo scopo di ogni processo di saldatura è quello di unire due o più componenti in una
singola struttura. L’integrità fisica della struttura così formata dipende dalla qualità
del giunto. La nostra discussione sulla qualità dei giunti si occupa principalmente della
saldatura ad arco, che è il processo più utilizzato e quello per cui la definizione della
qualità è più critica e complessa.

Tensioni residue e distorsione  I rapidi riscaldamenti e raffreddamenti di zone


localizzate dei pezzi durante la saldatura per fusione, in particolare la saldatura ad arco,
causano delle espansioni e delle contrazioni termiche che provocano delle tensioni resi-
due. Queste tensioni, a loro volta, possono causare una distorsione o deformazione del
gruppo saldato.
La saldatura è un’operazione complicata in quanto (1) il riscaldamento è molto lo-
calizzato, (2) la fusione dei metalli di base avviene in queste zone molto localizzate e (3)
il riscaldamento e la fusione sono fatti in movimento (almeno nella saldatura ad arco). Si
consideri ad esempio la giuntura di testa di due piastre saldate tramite saldatura ad arco,
come mostrato in Figura 18.33 (a). L’operazione inizia ad una estremità dei pezzi e ter-
mina all’estremità opposta. Mentre l’operazione procede, si forma un bagno di fusione
di metallo di base (e di metallo di apporto, se utilizzato) che solidifica rapidamente dopo
che l’arco si è spostato. Le zone dei pezzi immediatamente adiacenti al cordone di sal-
datura si surriscaldano e si espandono, mentre le altre rimangono relativamente fredde.
Il bagno di fusione solidifica rapidamente nella cavità tra i due pezzi e, man mano che
si raffredda e si contrae, si verifica un ritiro attraverso la larghezza del cordone di sal-
datura, come mostrato in Figura 18.33 (b). Lo stesso cordone di saldatura ha delle ten-
sioni residue e le zone più lontane dalla saldatura hanno delle tensioni di compressione
534 Tecnologia meccanica

reazionarie. Anche lungo il cordone di saldatura si verificano delle tensioni residue e dei
ritiri. Poiché le regioni esterne dei pezzi rimangono relativamente fredde e non variano
di dimensione, al contrario del cordone di saldatura che solidifica da una temperature
molto elevata e quindi si contrae, lungo il cordone di saldatura rimangono delle tensioni
di trazione residue. Queste tensioni trasversali e longitudinali sono mostrate in Figura
18.33 (c). Il risultato finale di queste tensioni residue, trasversali e longitudinali, può
causare una deformazione nel giunto saldato, come quella mostrata in Figura 18.33 (d).
La saldatura ad arco del giunto di testa del nostro esempio rappresenta solo uno
dei tipi di giunti e di saldature. Le tensioni residue indotte termicamente e la relativa
distorsione sono un problema potenziale in quasi tutti i processi di saldatura per fusione
e in alcune operazioni di saldatura allo stato solido in cui avviene un riscaldamento si-
gnificativo. Di seguito riportiamo alcune tecniche per minimizzare la deformazione di
un giunto: (1) dispositivi di fissaggio, per impedire fisicamente il movimento dei pezzi
durante la saldatura, (2) dissipatori di calore, per rimuovere rapidamente calore dalle
zone saldate per ridurre la distorsione, (3) saldatura per puntatura, per realizzare pun-
ti multipli lungo il giunto per creare una struttura più rigida prima di creare il cordone
continuo, (4) particolari condizioni di saldatura (velocità, quantità di materiale di
apporto utilizzato ecc.) da selezionare per ridurre le deformazioni, (5) preriscaldamen-
to dei pezzi di base, per ridurre il livello di tensioni termiche sui pezzi, (6) trattamento
termico di distensione delle tensioni, da eseguire sul giunto saldato, in un forno per
giunti piccoli o con altri metodi per giunti di dimensioni più grandi, (7) corretta pro-
gettazione della saldatura, che può ridurre il grado di deformazione.

Difetti di saldatura  Oltre alle tensioni residue e alle distorsioni nel giunto finale, si
possono verificare anche altri difetti nella saldatura. Di seguito una breve descrizione
delle categorie di difetti principali, sulla base della classificazione di Cary [3]:

Cricche  Le cricche sono fratture che si verificano sul giunto stesso o nelle regioni
dei pezzi adiacenti al giunto. Questo è probabilmente il difetto più grave delle saldature

Barra diWelded rod


saldatura Weldedsaldato
Giunto joint

V Afterlawelding
Dopo saldatura
Original originale
Larghezza width

(a) (b)
Figura 18.33  (a) Giunto
di testa tra due piastre,
(b) ritiro sulla larghezza
del gruppo di saldatura,
(c) tensioni residue tra-
sversali e longitudinali, (d) –
0
deformazione risultante 0 – +
nel giunto saldato. (Fonte: +
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition – – Longitudinaldella
Andamento
by Mikell P. Groover, 2010. + 0 0 + stress pattern
tensione longitudinale
Ristampato con il permes-
Transverse stress
Andamento pattern trasversale
della tensione
so di John Wiley & Sons,
Inc.) (c) (d)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 535

perché costituisce una discontinuità nel metallo che riduce molto la resistenza del giun-
to. Le cricche di saldatura sono causate dall’infragilimento o dalla bassa duttilità del
giunto e/o dei metalli di base combinati con un’alta restrizione durante la contrazione.
Questo è un difetto che deve essere riparato.

Cavità  Questi difetti includono la porosità e i vuoti ritiro. La porosità consiste di pic-
coli vuoti nel metallo del giunto formati dai gas che rimangono intrappolati durante la
solidificazione. La forma dei vuoti può essere sferica o allungata. La porosità deriva so-
litamente dall’inclusione di gas atmosferici o zolfo nel metallo saldato, o dalla presenza
di contaminanti sulle superfici. I vuoti di ritiro sono cavità formate dal ritiro durante
la solidificazione. Entrambi questi difetti di cavità sono simili a quelli che si hanno nelle
colate e indicano lo stretto legame tra i processi di saldatura e di colata.

Inclusioni solide  Questi difetti sono dovuti alla presenza di materiali non me-
tallici solidi che rimangono intrappolati all’interno del giunto. La forma più comune
sono le inclusioni di scorie generate durante i processi di saldatura ad arco che uti-
lizzano un fondente. Anziché galleggiare sopra il bagno di saldatura, alcuni grani
di scoria vengono inglobati nel metallo durante la solidificazione. Un’altra forma di
inclusione è quella degli ossidi metallici che si formano durante la saldatura di alcuni
metalli, come l’alluminio, che di solito hanno un rivestimento superficiale, ad esem-
pio di Al 2O3.

Fusione incompleta  Anche conosciuto come carenza di fusione, questo difetto si


ha quando si forma un cordone di saldatura in cui non si è verificata la fusione lungo
l’intera sezione del giunto. Questo difetto è legato alla carenza di penetrazione, il che
significa che la fusione non è penetrata abbastanza profondamente nel giunto.

Forma imperfetta o contorno inaccettabile  Il cordone deve avere un certo pro-


filo per avere la massima resistenza, come indicato in Figura 18.34 (a) per un giunto a V.
Questo profilo massimizza la resistenza del giunto saldato ed evita la fusione incomple-
ta e la carenza di penetrazione. Alcuni dei difetti di forma e contorno più comuni sono
illustrati in Figura 18.34.

Difetti vari  Questa categoria comprende i colpi d’arco, in cui il saldatore colpisce
accidentalmente con l’elettrodo il metallo di base vicino al giunto, lasciando un segno
sulla superficie, e gli eccessi di schizzi, in cui rimangono delle gocce di metallo fuso
sulla superficie dei pezzi saldati.

Riempimento Sovrapposizione
Profilo corretto Sottotaglio
insufficiente

Figura 18.34  (a) Profilo di saldatura desiderato per un giunto a V. Lo stesso giunto con diversi
difetti di saldatura: (b) sottotaglio, in cui una parte del pezzo viene portata via, (c) riempimento
insufficiente, che causa una depressione nella saldatura al di sotto del livello della superficie
del metallo di base adiacente e (d) sovrapposizione, in cui si ha una fuoriuscita di metallo oltre il
giunto sulla superficie dei pezzi, senza che avvenga la fusione. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
536 Tecnologia meccanica

Metodi di controllo e di test  Esistono una varietà di metodi di controllo e di test


per verificare la qualità del giunto saldato. Sono state sviluppate delle procedure stan-
dardizzate nel corso degli anni dalle società industriali e commerciali, come la Ameri-
can Welding Society (AWS). Questi metodi possono essere raggruppati in tre categorie:
(1) visive, (2) non distruttive e (3) distruttive.
L’ispezione visiva è sicuramente il metodo più utilizzato di controllo di un giunto.
Un ispettore esamina visivamente il giunto per verificare (1) la conformità alle specifi-
che dimensionali del progetto, (2) la deformazione e (3) la presenza di cricche, cavità,
fusioni incomplete e altri difetti visibili. L’ispettore del giunto determina anche se si
devono eseguire delle prove supplementari, di solito tra quelle non distruttive. Il limite
dell’ispezione visiva è che rileva solo i difetti superficiali, ma non quelli interni.
I metodi di valutazione non distruttivi (nondestructive evaluation, NDE) inclu-
dono vari metodi che non danneggiano il campione ispezionato. Questi metodi sono
liquidi coloranti o fluorescenti che rilevano piccoli difetti, come crepe e cavità che
arrivano in superficie. I fluorescenti sono visibili se esposti alla luce ultravioletta e il
loro uso è più sensibile dei coloranti.
Esistono anche altri metodi NDE. Ad esempio esistono delle prove magnetiche
per i materiali ferromagnetici. Si crea un campo magnetico sulla superficie del pezzo,
e delle particelle magnetiche (ad esempio, limatura di ferro) vengono spruzzate sulla
superficie. In questo modo emergono i difetti presenti subito sotto la superficie, come
le cricche e le inclusioni, perché distorcono il campo magnetico e causano delle con-
centrazioni di particelle in alcune regioni sulla superficie. Ci sono anche delle prove
ultrasoniche che usano delle onde sonore ad alta frequenza (> 20 kHz) dirette attra-
verso il campione. Le discontinuità (come cricche, inclusioni e porosità) sono rilevate
dalle perdite di trasmissione del suono. Le prove radiografiche utilizzano dei raggi X
o delle radiazioni gamma per rilevare i difetti interni al metallo saldato, fornendo una
registrazione degli eventuali difetti.
I metodi di valutazione distruttivi sono quelli in cui il giunto viene distrutto du-
rante la prova o per la preparazione del campione di prova. Essi comprendono le prove
meccaniche e le prove metallurgiche. Le prove meccaniche hanno uno scopo simile a
quelli delle prove tradizionali di trazione e di taglio. La differenza è che il campione di
prova è un giunto saldato. La Figura 18.35 illustra degli esempi delle prove meccaniche
più usate. Le prove metallurgiche implicano la preparazione di campioni metallurgici
del giunto per poter esaminare la sua struttura metallica, i suoi difetti, la sua estensio-
ne, le condizioni della zona influenzata dal calore, la presenza di altri elementi e altre
caratteristiche simili.

Posizione Forza di
originale spellemento
Punto
di saldatura
Nocciolo
Saldatura della saldatura
d’angolo
Forza
di serraggio

Figura 18.34  Prove meccaniche utilizzate nella saldatura: (a) prova tensione-deformazione per la saldatura ad arco, (b) prova
di rottura del giunto, (c) prova tensione-deformazione per la saldatura a punti, (d) prova di spellamento per la saldatura a punti.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 537

18.12 
Considerazioni sulla progettazione
delle saldature

Se si deve realizzare un assemblaggio permanente, il progettista deve seguire alcu-


ne linee guida (derivate da [2], [3] e altri):
• Progettazione della saldatura. La linea guida principale è che il prodotto deve
essere progettato fin dall’inizio come un giunto saldato e non come una fusione
o una forgiatura di altre forme.
• Numero minimo di pezzi. I giunti saldati devono essere composti dal minor
numero di pezzi possibile. Ad esempio, di solito è meglio effettuare semplici
operazioni di piegatura di un pezzo anziché un giunto di lastre o fogli.
Le seguenti linee guida si applicano alla saldatura ad arco.
• È importante avere le giuste dimensioni dei pezzi da saldare per mantenere il
controllo dimensionale e minimizzare la distorsione. A volte è necessario ese-
guire una lavorazione meccanica per ottenere le dimensioni giuste.
• Il gruppo dei pezzi assemblati deve garantire uno spazio sufficiente affinché la
pistola di saldatura raggiunga la zona da saldare.
• Quando possibile, la progettazione del gruppo deve consentire la saldatura in
piano, perché questa è la posizione di saldatura più veloce e più conveniente. Le
altre posizioni possibili della saldatura sono illustrate in Figura 18.36. Quella
sottosopra è la più difficile.
Le seguenti linee guida si applicano alla saldatura a resistenza a punti.
• Il metallo ideale per questo tipo di saldatura è la lamiera di acciaio a basso con-
tenuto di carbonio di spessore fino a 3,2 mm.
• Una resistenza e una rigidità maggiori si possono ottenere per le lastre più gran-
di per mezzo di (1) una puntatura di rinforzo o (2) una formazione di flange o
rilievi.
• Il gruppo saldato deve permettere agli elettrodi di raggiungere la zona di sal-
datura.
• Serve che ci sia una sufficiente sovrapposizione dei pezzi in lamiera affinché
la punta dell’elettrodo faccia contatto per la saldatura a punti. Ad esempio, per
l’acciaio a basso contenuto di carbonio, la distanza di sovrapposizione dovrebbe
variare da circa sei volte lo spessore per le lastre spesse circa 3.2 mm a circa 20
volte lo spessore per i fogli sottili circa 0.5 mm.

Figura 18.36  Posizioni di saldatura (definite per i


giunti a scanalatura): (a) in piano, (b) orizzontale,
(c) verticale e (d) sottosopra. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mi-
kell P. Groover, 2010. Ristampato con il permes-
so di John Wiley & Sons, Inc.)
538 Tecnologia meccanica

Bibliografia

[1] ASM Handbook, Vol. 6, Welding, Brazing, and Soldering. ASMInternational, Materials
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[2] Cary, H. B., and Helzer, S. C. Modern Welding Technology, 6th ed. Pearson/Prentice-Hall,
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Michigan, 1987.

Domande di ripasso
 9. Descrivere e schematizzare con un disegno una
1. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della saldatura saldatura d’angolo.
rispetto agli altri tipi di assemblaggio? 10. Descrivere e schematizzare con un disegno una
2. Che cosa si intende con il termine piano di contatto? saldatura a fessura.
3. Definire il termine saldatura per fusione. 11. Perché la saldatura di affioramento è diversa dagli
4. Qual è la differenza fondamentale tra una saldatura altri tipi di saldatura?
per fusione e una saldatura allo stato solido? 12. Perché nella saldatura è meglio usare fonti di ener-
5. Che cos’è una saldatura autogena? gia che hanno un’alta densità di calore?
6. Descrivere le ragioni per cui la maggior parte delle 13. Cos’è l’energia unitaria di fusione nella saldatura e
operazioni di saldatura sono pericolose. quali sono i fattori da cui dipende?
7. Qual è la differenza tra una macchina saldatrice e 14. Descrivere e spiegare le differenze tra il coeffi-
una saldatura automatica? ciente di trasferimento di calore e il coefficiente di
8. Elencare e descrivere i cinque tipi di giunti. fusione.
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 539

15. Cos’è una zona di influenza termica (HAZ) in una 30. Descrivere la saldatura tra fili.
saldatura per fusione? 31. Perché il processo di saldatura ossiacetilenica è
16. Elencare i principali gruppi di processi apparte- quello più usato tra i processi di saldatura a ossi-
nenti alla saldatura per fusione. combustibile?
17. Qual è la caratteristica fondamentale che distingue 32. La saldatura a fascio di elettroni ha un grosso
la saldatura per fusione dalla saldatura allo stato svantaggio nelle alte produzioni. Qual è questo
solido? svantaggio?
18. Definire un arco elettrico. 33. La saldatura a fascio di elettroni e la saldatura a fa-
19. Che cos’è il tempo d’arco? scio laser sono simili perché entrambe producono
20. Gli elettrodi per la saldatura ad arco si dividono in una densità di potenza molto elevate. Quali sono i
due categorie. Elencarle e descriverle. vantaggi che presenta la LBW rispetto alla EBW?
21. Quali sono i due metodi di base di schermatura 34. Descrivere le varie varianti moderne della saldatu-
dell’arco? ra per forgiatura.
22. Perché il coefficiente di trasferimento del calore 35. Che cos’è la saldatura per attrito e agitazione (FSW)
nei processi di saldatura ad arco che utilizzano e in cosa differisce dalla saldatura per attrito?
elettrodi consumabili è maggiore di quelli che uti- 36. Che cos’è un sonotrodo nella saldatura a ultrasuoni?
lizzano elettrodi non consumabili? 37. La distorsione è un grave problema nella saldatu-
23. Descrivere il processo della saldatura ad arco me- ra per fusione, in particolare la saldatura ad arco.
tallico schermato (SMAW). Quali sono alcune delle tecniche che possono es-
24. Perché la saldatura ad arco metallico schermato sere adottate per ridurre l’incidenza e l’entità della
(SMAW) è un processo difficile da automatizzare? distorsione?
25. Descrivere la saldatura ad arco sommerso (SAW). 38. Quali sono i principali difetti che si possono verifi-
26. Perché le temperature nella saldatura ad arco al care in una saldatura?
plasma sono molto più alte rispetto agli altri pro- 39. Quali sono le tre categorie di base di ispezione e di
cessi di AW? prove utilizzate per controllare la qualità dei giunti?
27. Definire saldatura a resistenza. Fare degli esempi per ogni categoria.
28. Descrivere la sequenza delle fasi di un’operazione 40. Quali sono le linee guida da seguire nella proget-
di saldatura a resistenza a punti. tazione dei giunti realizzati mediante saldatura ad
29. Che cosa è la saldatura a resistenza a proiezione? arco?

problemi
4. Calcolare l’energia unitaria per fondere i seguenti
1. Una fonte di calore può trasferire 3500 J/sec sulla metalli: (a) rame e (b) titanio.
superficie di un pezzo metallico. La zona riscaldata 5. Una saldatura d’angolo ha una sezione trasversale di
è circolare e l’intensità del calore diminuisce all’au- 25.0 mm2 e una lunghezza di 300 mm. (a) Quale quan-
mentare del raggio nel modo seguente: il 70% del tità di calore (in joule) è necessario per eseguire la sal-
calore si è concentrato in un’area circolare di dia- datura, se il metallo da saldare è un acciaio a basso
metro di 3.75 mm. La densità di potenza risultante è contenuto di carbonio? (b) Quanto calore deve essere
sufficiente per fondere il metallo? generato dalla sorgente se il coefficiente di trasferi-
2. Una fonte di calore può trasferire 158.259 kJ/min mento di calore è 0.75 e il coefficiente di fusione 0.63?
sulla superficie di un pezzo metallico. La zona ri- 6. Una saldatura a fessura ha una sezione trasversa-
scaldata è approssimativamente circolare e l’inten- le di 29,0322 mm2 ed è lunga 25.4 mm. (a) Quale
sità del calore diminuisce al crescere del raggio nel quantità di calore (in mm) è necessario per eseguire
modo seguente: il 50% della potenza viene trasfe- la saldatura, se il metallo da saldare è un acciaio
rita in un cerchio di diametro di 2.54 mm e il 75% a medio contenuto di carbonio? (b) Quanto calore
viene trasferita in un cerchio concentrico di diame- deve essere generato dalla sorgente se il coefficien-
tro di 6.35 mm. Quali sono le densità di potenza te di trasferimento di calore è 0.9 e il coefficiente di
(a) nel cerchio interno di diametro di 2.54 mm e (b) fusione 0.7?
nell’anello attorno al cerchio interno di diametro di 7. Risolvere il problema precedente per un metallo di
6.35 mm? (c) Queste densità di potenza sono suffi- alluminio il cui coefficiente di fusione è la metà di
cienti per fondere il metallo? quello dell’acciaio.
3. Calcolare l’energia unitaria per fondere i seguenti 8. La potenza generata in un’operazione di saldatura
metalli: (a) alluminio e (b) acciaio a basso contenuto ad arco è 3000 W. Questo viene trasferito alla su-
di carbonio. perficie del pezzo con un coefficiente di trasferimen-
540 Tecnologia meccanica

to di calore di 0.9. Il metallo da saldare è il rame il 15. Un’operazione di saldatura ad arco con fondente
cui punto di fusione è riportati in Tabella 18.2. Si as- interno per realizzare un giunto di testa tra due pia-
suma che il coefficiente di fusione sia 0.25. Si deve stre di acciaio inossidabile austenitico. La tensione
effettuare una saldatura d’angolo con una sezione di saldatura è 21 V e la corrente 185 A. La sezione
trasversale di 15.0 mm2. Determinare la velocità di trasversale del cordone di saldatura è 75 mm2 e
traslazione a cui l’operazione di saldatura può es- il coefficiente di fusione dell’acciaio inossidabile è
sere eseguita. 0.60. Utilizzando i dati tabulari e le equazioni ri-
 9. Risolvere il problema precedente per un metallo di portate in questo e nel capitolo precedente, deter-
acciaio ad alto contenuto di carbonio, una sezione minare il valore più probabile della velocità della
trasversale della saldatura di 25.0 mm2 e un coeffi- saldatura in questa operazione.
ciente di fusione di 0.6. 16. Si effettua una prova di saldatura ad arco metallico
10. Si esegue una saldatura a fessura su una lega di schermato da gas per determinare il valore del co-
alluminio. La sezione trasversale della saldatura è efficiente di fusione f2 per un certo metallo in una
30.0 mm2. La velocità di saldatura è di 4.0 mm/sec. certa operazione. La tensione di saldatura è 25 V,
Il coefficiente di trasferimento di calore è 0.92 e il la corrente di 125 A e il coefficiente di trasferimento
coefficiente di fusione è 0.48. La temperatura di fu- di calore 0.90. La velocità a cui viene aggiunto il
sione della lega di alluminio è 650°C. Determinare materiale di apporto nella saldatura è 8193.5 mm3
la velocità di generazione di calore necessaria per al minuto e le misurazioni indicano che il cordone
realizzare questa saldatura. di saldatura finale consiste per il 57% i metallo di
11. La sorgente di potenza in una operazione di sal- apporto e per il 43% di metallo di base. L’energia
datura genera 131.88 kJ/mm, che viene trasferita unitaria di fusione del metallo è 4,829 J/mm3. (a)
alla superficie di lavoro con un coefficiente di tra- Determinare il coefficiente di fusione. (b) Qual è
sferimento di calore di 0.8. Il punto di fusione del la velocità delle saldatura sapendo che la sezione
metallo da saldare è 1255.37 K e il suo coefficiente trasversale del cordone di saldatura 32.26 mm2?
di fusione 0.5. Si esegue una saldatura d’angolo 17. Si effettua una saldatura continua attorno alla cir-
con una sezione trasversale di 25.8 mm2. Determi- conferenza di un tubo di acciaio di diametro di 6.0
nare la velocità a cui si può eseguire la saldatura. m, utilizzando una saldatura ad arco sommerso
12. In un’operazione di saldatura d’angolo, la sezione controllata automaticamente ad una tensione di
trasversale è 16.13 mm2 e la velocità di 381 mm/ 25 V e una corrente di 300 A. Il tubo viene ruo-
min. Sapendo che il coefficiente di trasferimento tato lentamente sotto una testa di saldatura sta-
di calore è 0.95, il coefficiente di fusione 0.5 e il zionaria. Il coefficiente di trasferimento di calore
punto di fusione del metallo da saldare 1366.5 K, è 0.95 e il coefficiente di fusione 0.7. La sezione
determinare la velocità di generazione di calore trasversale del cordone di saldatura è 77.42 mm2.
necessaria alla sorgente di calore per poter ese- Sapendo che l’energia unitaria di fusione dell’ac-
guire questa saldatura. ciaio è 9.658 J/mm3, determinare (a) la velocità di
13. Si esegue un’operazione di saldatura ad arco me- rotazione del tubo e (b) il tempo necessario per
tallico schermato su acciaio a una tensione di 30 completare la saldatura.
V e una corrente di 225 A. Il coefficiente di trasfe- 18. Si esegue un’operazione RSW per fare una serie
rimento di calore è 0.90 e il coefficiente di fusione di punti di saldatura tra due pezzi di alluminio dello
0.75. L’energia unitaria di fusione per l’acciaio è spessore di 2.0 mm. L’energia unitaria di fusione
10.2 J/mm3. Determinare (a) il tasso di generazio- dell’alluminio è 2.90 J/mm3. La corrente di saldatu-
ne di calore nel giunto e (b) il tasso di volume di ra è 6.000 A e l’operazione dura 0.15 s. Si assuma
metallo saldato. che la resistenza sia di 75 micro-ohm. il nocciolo di
14. Si esegue un’operazione di GTAW su acciaio a saldatura risultante misura 5.0 mm di diametro ed
basso contenuto di carbonio, la cui energia unitaria è spesso 2.5 mm. Quale percentuale dell’energia
di fusione è 10.3 J/mm3. La tensione di saldatura è totale generata viene utilizzata per formare il noc-
di 22 V e la corrente è 135 A. Il coefficiente di tra- ciolo di saldatura?
sferimento di calore è 0.7 e il coefficiente di fusione 19. L’energia unitaria di fusione per una certa lamiera è
0.65. Se si aggiunge come metallo di apporto un 9.5 J/mm3. Lo spessore di ognuna delle due lamie-
filo di 3.5 mm di diametro, il cordone di saldatura ra da saldare è 3.5 mm. Per realizzare un giunto
finale è composto dal 60% del volume di metallo di abbastanza resistente si vuole formare un noccio-
apporto e dal 40% del metallo di base. Sapendo lo di saldatura di diametro di 5.5 mm e spesso 5.0
che la velocità della saldatura è di 5 mm/sec, de- mm. La saldatura dura 0.3 s. Se si assume che la
terminare (a) la sezione trasversale del cordone di resistenza elettrica tra le superfici sia di 140 mi-
saldatura e (b) la velocità di avanzamento (in mm/ cro-ohm, e che solo un terzo dell’energia elettrica
sec) del filo di metallo di apporto. generata venga utilizzata per formare il nocciolo
Concetti di base della saldatura e processi di saldatura 541

della saldatura (il resto è dissipata), determinare il fusione dell’acciaio inossidabile utilizzando le for-
livello minimo di corrente richiesta da questa ope- mule del capitolo precedente, (b) la percentuale di
razione. energia generata usata per la formazione di ogni
20. Si esegue un’operazione di saldatura a resistenza nocciolo di saldatura e (c) la velocità di rotazione
su due pezzi di acciaio (basso contenuto di carbo- degli elettrodi a ruota.
nio) spesso 1.016 mm. L’energia unitaria di fusione 22. La tensione in un’operazione EBW è di 45 kV e la
dell’acciaio è 9.658 J/mm3. La corrente utilizzata è corrente del fascio è di 60 mA. Il fascio di elettro-
9500 A e l’operazione dura 0.17 s. Il risultato è la ni viene diretto su un’area circolare di 0.25 mm di
produzione di un nocciolo di saldatura di diametro diametro. Il coefficiente di trasferimento di calore è
di 4.826 mm e spessore 1.524 mm. Si assuma che 0.87. Calcolare la densità media di potenza nella
la resistenza sia di 100 micro-ohm. Determinare zona di saldatura espressa in Watt/mm2.
(a) la densità media di potenza nella zona di inter- 23. Si utilizza la saldatura a fascio elettronico per re-
faccia definita dal nocciolo di saldatura e (b) la per- alizzare un giunto di testa tra due pezzi di lamiera
centuale di energia generata che è stata utilizzata spessi 3.0 mm. L’energia unitaria di fusione è 5.0 J/
per la formazione del nocciolo di saldatura. mm3. Il giunto saldato deve essere largo 0.35 mm,
21. Si esegue un’operazione saldatura a cordone a così la sezione trasversale del metallo fuso diventa
resistenza su due pezzi spessi 2.5 mm di acciaio di 0.35 mm per 3.0 mm. Sapendo che la tensione
inossidabile austenitico per fabbricare un conteni- di accelerazione è 25 kV, la corrente del fascio di
tore. La corrente utilizzata è 10.000 A, la durata 30 mA, il coefficiente di trasferimento di calore f1
della saldatura di 0.3 s e la resistenza all’interfaccia di 0.85 e il coefficiente di fusione f2 di 0.75, deter-
di 75 micro-ohm. Si usa una saldatura a moto con- minare la velocità della saldatura a cui può essere
tinuo con elettrodi a ruota di 200 mm di diametro. I svolta questa operazione.
noccioli di saldatura formati da questa operazione 24. Si utilizza la saldatura a fascio di elettroni con i
RSEW hanno un diametro di 6 mm e uno spessore seguenti parametri di processo: tensione di acce-
di 3 mm (si assuma che i noccioli abbiano una for- lerazione = 25 kV, corrente del fascio = 100 mA,
ma circolare). I noccioli di saldatura devono essere diametro della superficie circolare su cui si focaliz-
contigui in modo da formare una giunzione sigilla- za il fascio = 0.51 mm. Sapendo che il coefficiente
ta. Il generatore di potenza richiede un tempo di di trasferimento di calore è 90%, determinare la
spegnimento di 1.0 s tra punti di saldatura. In base densità media di potenza nella zona di saldatura
a questi dati determinare (a) l’energia unitaria di in J/5 mm2.
Brasatura, brasatura

Capitolo 19
dolce, incollaggio
e assemblaggio meccanico

In questo capitolo, si considerano tre processi di giunzione che sono simili alla saldatura
per alcuni aspetti: la brasatura, la brasatura dolce e l’incollaggio. Sia la brasatura che
la brasatura dolce utilizzano dei metalli di apporto per realizzare un giunto permanente
tra due (o più) pezzi metallici. È difficile, anche se non impossibile, separare i pezzi
dopo che è stato realizzato un giunto brasato. Nella gamma dei processi di giunzione,
la brasatura e la brasatura dolce si trovano tra la saldatura per fusione e la saldatura
allo stato solido. Nella brasatura e nella brasatura dolce viene aggiunto un metallo di
apporto, come nella maggior parte delle operazioni di saldatura per fusione, però non
si verifica nessuna fusione dei metalli di base, come succede nella saldatura allo stato
solido. Nonostante queste caratteristiche, la brasatura e la brasatura dolce sono consi-
derate diverse dalla saldatura. Esse sono preferite alla saldatura nei casi in cui (1) i me-
talli hanno una scarsa saldabilità, (2) si devono unire metalli diversi, (3) il calore intenso
della saldatura potrebbe danneggiare i componenti da unire, (4) la forma del giunto non
si presta a nessuno dei metodi di saldatura, e/o (5) quando il giunto non deve avere una
resistenza molto forte.
L’incollaggio ha delle caratteristiche in comune con la brasatura e la brasatura dolce,
perché anch’esso utilizza le forze di fissaggio tra un materiale di apporto e due superfici
vicine per unire i pezzi. Le differenze sono che il materiale di riempimento nell’incollag-
gio non è metallico e il processo di giunzione viene effettuato a temperatura ambiente
o poco superiore.

19.1 Brasatura

La brasatura è un processo di giunzione in cui un metallo di apporto viene fuso e distribuito


per azione capillare tra i piani di contatto dei pezzi metallici da unire. Nella brasatura il me-
tallo di apporto fonde, ma i metalli di base no. Il metallo di apporto (chiamato anche metallo
brasante) ha una temperatura di fusione (liquidus) che è superiore a 450° C, ma al di sotto
del punto di fusione (solidus) dei metalli di base da unire. Se il giunto viene progettato cor-
rettamente e l’operazione di brasatura viene eseguita nel modo giusto, il giunto brasato sarà
più forte del metallo di apporto da cui si è formato dopo la solidificazione. Questo risultato
piuttosto notevole è dovuto alla piccola distanza tra i pezzi, al legame metallurgico che si
verifica tra i metalli di base e quello di apporto e alle costrizioni geometriche che vengono
imposte al giunto dai pezzi di base.
La brasatura ha diversi vantaggi rispetto alla saldatura: (1) si possono unire tutti i metal-
li, compresi quelli diversi tra loro, (2) alcuni metodi possono essere eseguiti in modo rapido
e costante, permettendo così un’alta velocità dei cicli e l’automatizzazione della produzione,
(3) alcuni metodi consentono la brasatura simultanea di più giunti, (4) la brasatura può es-
544 Tecnologia meccanica

sere applicata per fare aderire pezzi sottili che non possono essere saldati, (5) in generale,
richiede calore e potenza minori rispetto alla saldatura per fusione, (6) i problemi della zona
di influenza termica (ZTA) nel metallo di base in prossimità del giunto sono ridotti e (7) le
zone di giunzione che sono inaccessibili per molti processi di saldatura possono essere bra-
sate, perché l’azione capillare attira il metallo di apporto fuso nel giunto.
Gli svantaggi e i limiti della brasatura sono che (1) la resistenza del giunto è minore
rispetto a quella di un giunto saldato, (2) anche se la resistenza di un buon giunto brasato
è maggiore di quella del metallo di apporto, è probabile che sia inferiore a quella dei
metalli di base, (3) le temperature elevate possono indebolire il giunto brasato e (4) il
colore del metallo nel giunto brasato può non corrispondere al colore dei metalli di base
e quindi costituire un problema estetico.
La brasatura come processo di produzione è ampiamente utilizzata in una varietà
di settori industriali, tra cui quello automobilistico (ad esempio per unire tubi), delle
apparecchiature elettriche (ad esempio per unire fili e cavi), degli utensili di taglio (ad
esempio per unire gli inserti di carburo cementato agli steli), e dei gioielli. Inoltre, an-
che l’industria chimica e gli impianti idraulici e di riscaldamento usano la brasatura per
unire i tubi metallici. Il processo è molto utilizzato per lavori di riparazione e manuten-
zione in quasi tutti i settori.

19.1.1  Giunti brasati


I giunti brasati vengono comunemente classificati in due tipi: giunti di testa e giunti di so-
vrapposizione. Questi due tipi sono stati adattati per il processo di brasatura in diversi modi.
Il giunto di testa tradizionale fornisce un’area limitata per la brasatura, che compromette-
rebbe la resistenza del giunto. Per aumentare le aree di contatto, i pezzi vengono ammorsati
o tagliati a scalini o in altri modi per aumentare la superficie di contatto, come mostrato in
Figura 19.1. Di solito serve quindi una lavorazione aggiuntiva per dare queste forme ai pezzi.
Una delle principali difficoltà associate al giunto ad ammorsatura è il problema di mantene-
re l’allineamento dei pezzi prima e durante la brasatura.
Nella brasatura sono molto usati i giunti di sovrapposizione, perché forniscono una
superficie di contatto dei pezzi relativamente grande. Una sovrapposizione di almeno
tre volte lo spessore del pezzo più sottile è considerata una buona sovrapposizione.
Le modifiche al giunto di sovrapposizione tradizionale fatte per renderlo più consono
alla brasatura sono illustrate in Figura 19.2. Un vantaggio della brasatura sui giunti di
sovrapposizione è che il metallo di apporto è legato ai pezzi di base lungo tutta la su-

Giunto brasato Giunto brasato

Figura 19.1  (a) Giunto di testa tradizionale e adattamenti del giunto di testa per la brasatura: (b)
giunto ad ammorsatura, (c) giunto di testa a scalini e (d) aumento della sezione trasversale del
pezzo in corrispondenza del giunto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by
Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 545

Figura 19.2  (a) Giunto


di sovrapposizione tradi-
zionale e adattamenti del
giunto di sovrapposizio-
ne per la brasatura: (b)
pezzi cilindrici, (c) pezzi a
Giunto
Giunto sandwich e (d) uso di una
brasato
brasato bussola per convertire un
Bussola giunto di testa in un giun-
to di sovrapposizione.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

perficie di contatto anziché solo ai bordi (come nei giunti ad angolo realizzati mediante
saldatura ad arco) o in singoli punti (come nella saldatura a resistenza a punti).
La distanza tra le superfici di contatto dei pezzi di base è importante nella brasatu-
ra. Il gioco deve essere abbastanza grande da non impedire al metallo di apporto fuso
di fluire lungo l’intera superficie. Tuttavia, se il gioco è troppo largo, l’azione capillare
risulta ridotta e si verificano delle zone prive di metallo di apporto. La resistenza del
giunto dipende dalla distanza tra i pezzi, come illustrato in Figura 19.3. Vi è un valore di
gioco ottimale che massimizza la resistenza del giunto. La sua determinazione è com-
plicata dal fatto che il valore ottimale dipende dal tipo dei metalli di base e di apporto,
dalla configurazione del giunto e dalle condizioni di lavorazione. Le distanze tipiche in
pratica sono tra 0.025 mm e 0.25 mm. Questi valori rappresentano la distanza ottimale
alla temperatura di brasatura, che può essere diversa da quella a temperatura ambiente,
perché dipende dall’espansione termica dei metalli di base.
È molto importante che le superfici del giunto vengano pulite prima della brasa-
tura. Le superfici devono essere prive di ossidi, oli e altri contaminanti per consentire
l’impregnamento e l’attrazione capillare durante il processo, nonché il legame lungo
la superficie di contatto. Per pulire le superfici vengono eseguiti dei trattamenti chi-
mici come la pulitura con solventi o trattamenti meccanici come la spazzolatura e la
Resistenza del giunto

Resistenza
del metallo di apporto
nel giunto brasato Figura 19.3  Resisten-
za del giunto in funzione
della distanza tra i pezzi.
Resistenza del metallo di apporto (Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Distanza
Distanza Groover, 2010. Ristampa-
ottimale to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)
546 Tecnologia meccanica

sabbiatura. Dopo la pulitura e durante l’operazione di brasatura, vengono usati dei


fondenti per mantenere le superfici pulite e favorire l’azione capillare nello spazio
del giunto.

19.1.2  Metalli di apporto e fondenti


I metalli di apporto più usati nella brasatura sono elencati in Tabella 19.1 assieme ai
metalli di base su cui vengono utilizzati. Un buon metallo da brasatura deve avere le
seguenti caratteristiche: (1) la temperatura di fusione deve essere compatibile con quella
metallo di base, (2) la tensione superficiale in fase liquida deve essere bassa per ga-
rantire una buona bagnabilità, (3) la fluidità del metallo fuso deve essere elevata per
penetrare nella superficie di contatto, (4) il metallo deve essere scelto per realizzare
un giunto con la resistenza adeguata per l’applicazione per cui è progettato e (5) non
deve reagire chimicamente o fisicamente con il metallo di base (ad esempio la reazione
galvanica). I metalli di apporto vengono immessi nelle operazioni di brasatura in vari
modi, sotto forma di fili, barre, fogli, strisce, polveri, paste o pezzi preformati progettati
per adattarsi a una particolare configurazione del giunto e rivestire una delle superfici
da brasare. Alcuni di questi metodi sono illustrati in Figura 19.4.
I fondenti nella brasatura svolgono un ruolo simile a quelli nella saldatura: si dis-
solvono e si combinano o inibiscono gli ossidi e gli altri contaminanti indesiderati nel
processo di brasatura. L’uso di un fondente però non sostituisce le fasi di pulitura sopra
descritte. Le caratteristiche di un buon fondente sono (1) la bassa temperatura di fusio-
ne, (2) la bassa viscosità in modo che possa essere spostato dal metallo di apporto, (3) la
facilitazione della bagnatura e (4) la protezione del giunto fino alla solidificazione del
metallo di apporto. Il fondente dovrebbe anche essere facile da rimuovere dopo la bra-
satura. Gli elementi che di solito costituiscono i fondenti per la brasatura sono il borace,
i borati, i fluoruri e i cloruri. Nella miscela vengono già inclusi degli agenti bagnanti
per ridurre la tensione superficiale del metallo di apporto fuso e per migliorarne la ba-
gnabilità. I fondenti sono sotto forma di polveri o impasti. In alternativa all’utilizzo dei
fondenti, si può eseguire l’operazione nel vuoto o in un’atmosfera riducente che inibisce
la formazione di ossido.

19.1.3  Metodi di brasatura


Esistono vari metodi di brasatura, che differiscono per la sorgente di calore che usano.

TABELLA 19.1  Metalli di apporto usati nella brasatura con i relativi metalli di base.

Temperatura
approssimativa
di brasatura
Metallo di apporto Composizione chimica °C Metalli di base
Alluminio e silicio 90 Al, 10 Si 600 Alluminio
Rame 99,9 Cu 1120 Rame nichelato
Rame e fosforo 95 Cu, 5 P 850 Rame
Rame e zinco 60 Cu, 40 Zn 925 Acciai, ghise, nichel
Oro e argento 80 Au, 20 Ag 950 Acciaio inossidabile, leghe di nichel
Leghe di nichel Ni, Cr, others 1120 Acciaio inossidabile, leghe di nichel
Leghe di argento Ag, Cu, Zn, Cd 730 Titanio, Monel, Inconel, acciaio
per utensili, nichel
Fonti [5] e [7].
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 547

Barra di metallo di apporto

Torcia Gioco Giunto brasato

Pezzi da unire

Anello di metallo
Pezzi da unire Figura 19.4  Varie tecni-
di apporto Giunto brasato
che di applicazione di me-
tallo di apporto nella bra-
satura: (a) torcia e asta
Gioco di metallo di apporto, (b)
anello di metallo di appor-
to all’inizio del gioco tra
i pezzi e (c) foglio di me-
tallo di apporto tra le su-
Foglio di metallo perfici di due pezzi piatti.
di apporto Giunto brasato Le sequenze mostrano
(1) prima della brasatura
e (2) dopo la brasatura.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
Pezzi da unire 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John
Wiley & Sons, Inc.)

Brasatura a torcia  Nella brasatura a torcia, si applica un fondente alle superfici del pezzo
e si usa una torcia per dirigere la fiamma sul pezzo in prossimità del giunto. Di solito si usa una
fiamma riducente per non causare l’ossidazione. Dopo che le superfici del giunto sono state
riscaldate alla temperatura adatta, si aggiunge il metallo di apporto, di solito in forma di filo
o barra. I combustibili utilizzati nella brasatura a torcia sono l’acetilene, il propano e altri gas,
assieme all’aria o l’ossigeno. La scelta della miscela di combustibili dipende dal fabbisogno
termico dell’operazione. La brasatura a torcia spesso viene eseguita manualmente e servono
dei lavoratori qualificati per controllare la fiamma, manipolare le torce portatili e valutare le
temperature; le applicazioni sono soprattutto i lavori di riparazione. Il metodo può essere uti-
lizzato anche in operazioni di produzione meccanizzate, in cui i pezzi e il metallo di apporto
vengono caricati su nastri trasportatori o tavoli rotanti e passati sotto una o più torce.

Brasatura in forno  La brasatura in forno utilizza un forno per produrre il calore


per la brasatura ed è adatta per la produzione medio-alta. Per le produzioni medie, ge-
neralmente in lotti, i pezzi e il metallo di apporto vengono immessi nel forno, riscaldati
a temperatura di brasatura, e poi raffreddati e rimossi. Le operazioni per le alte pro-
duzioni utilizzano un nastro trasportatore su cui vengono collocati i pezzi e trasportati
attraverso varie stazioni di riscaldamento e di raffreddamento. Nella brasatura in forno
è importante controllare la temperatura e l’atmosfera a cui sono eseguite le operazioni;
l’atmosfera deve essere neutra o riducente. A volte si usano dei forni a vuoto. A seconda
dell’atmosfera e dei metalli brasati, può non essere necessario usare un fondente.
548 Tecnologia meccanica

Brasatura a induzione  La brasatura a induzione utilizza il calore di una resistenza


elettrica e una corrente ad alta frequenza indotta nel pezzo. I pezzi sono precaricati as-
sieme al metallo di apporto e posti in un campo AC ad alta frequenza. I pezzi non sono
a contatto diretto con la bobina di induzione. Le frequenze vanno dai 5 kHz ai 5 MHz.
Le sorgenti di potenza ad alta frequenza tendono a fornire calore superficiale, mentre
quelle a frequenze più basse provocano una penetrazione del calore più in profondità
nel pezzo e sono più adatte per i pezzi più spessi. Questo processo può essere utilizzato
dalle basse alle alte produzioni.

Brasatura a resistenza  In questo processo il calore necessario a fondere il metallo di


apporto si ottiene usando una resistenza al flusso di corrente elettrica che passa attraverso
il pezzo. A differenza dalla saldatura a induzione, in questo caso i pezzi sono collega-
ti direttamente al circuito elettrico. L’apparecchiatura è simile a quella utilizzata nella
saldatura a resistenza, a parte il fatto che nella brasatura basta un livello di potenza più
basso. I pezzi assieme al metallo di apporto già posizionato vengono messi a contatto con
gli elettrodi e intanto si applicano la pressione e la corrente. Sia la brasatura per induzione
che per resistenza hanno dei riscaldamenti rapidi e vengono usate per pezzi relativamente
piccoli. La saldatura a induzione sembra essere il processo più usato tra i due.

Brasatura a immersione  Nella brasatura a immersione il riscaldamento è causato


da un bagno di sale fuso o di metallo fuso. In entrambi i metodi, i pezzi assemblati
vengono immersi nei bagni contenuti in un recipiente di riscaldamento. Quando i pez-
zi vengono rimossi dal bagno si verifica la solidificazione. Nel metodo del bagno di
sale, la miscela fusa contiene i fondenti, mentre il metallo di apporto è già posizionato
sul gruppo. Nel metodo del bagno di metallo, il metallo di apporto fuso è il mezzo di
riscaldamento e penetra per capillarità nel giunto durante l’immersione. Si mantiene
un rivestimento di fondente sulla superficie del bagno di metallo fuso. La brasatura a
immersione ha dei cicli di riscaldamento veloci e può essere utilizzata per la brasatura
di molti giunti anche su più pezzi contemporaneamente.

Brasatura a infrarossi  Questo metodo utilizza il calore proveniente da una lampa-


da ad alta intensità di raggi infrarossi. Alcune lampade sono in grado di generare fino
a 5000 W di energia termica radiante, che può essere diretta sui pezzi per effettuare la
brasatura. Il processo è più lento rispetto alla maggior parte degli altri processi descritti,
e generalmente si applica solo a sezioni sottili.

Saldobrasatura  Questo processo si differenzia dagli altri processi di brasatura nel


tipo di giunto a cui si applica. Come illustrato in Figura 19.5, la saldobrasatura viene
utilizzata per riempire un giunto normale, come il classico giunto a V. Si deposita una
quantità di materiale di apporto maggiore rispetto alla brasatura e non si verificano
azioni capillari. Nella saldobrasatura, il giunto consiste interamente di materiale di ap-
porto; il metallo di base non fonde e non si mischia con il metallo di apporto, a diffe-
renza dei processi di saldatura per fusione tradizionali. La principale applicazione della
saldobrasatura è nelle riparazioni.

19.2 Brasatura dolce

La brasatura dolce è simile alla brasatura e può essere definita come il processo di
giunzione con cui un metallo di apporto con punto di fusione (liquidus) non superiore
ai 450°C viene fuso e distribuito per azione capillare tra i piani di contatto dei pezzi
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 549

metallici da unire. Come nella brasatura, non si verifica la fusione dei metalli di base, Metallo
ma il metallo di apporto fonde e si combina con il metallo di base per formare un lega- di apporto
me metallurgico. I dettagli della brasatura dolce sono simili a quelli della brasatura, e
molti dei metodi di riscaldamento sono uguali. Le superfici da saldare devono essere
pulite prima per liberarle da ossidi oli ecc. Ai piani di contatto si applica un fondente Metallo
di base
e le superfici vengono riscaldate. Il metallo di apporto viene aggiunto al giunto e si
distribuisce sui pezzi vicini. Figura 19.5  Saldobrasa-
In alcuni casi il metallo di apporto è già posizionato su una o entrambe le superfici. tura. Il giunto è costituito
dal metallo di apporto;
Questo processo prende il nome di stagnatura, indipendentemente dal fatto che la lega il metallo di base non è
contenga o meno dello stagno. Le distanze che vengono di solito lasciate tra i pezzi fuso nel giunto. (Fonte:
nella saldatura dolce vanno dagli 0.075 mm agli 0.125 mm, tranne quando le superfici Fundamentals of Modern
sono già stagnate, nel qual caso viene lasciata una distanza di circa 0.025 mm. Dopo la Manufacturing, 4th Edi-
solidificazione, il fondente residuo deve essere rimosso. tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
Come processo industriale, la brasatura dolce è molto simile ad un assemblaggio permesso di John Wiley
elettronico. Viene anche utilizzata per giunti meccanici, ma non per giunti sottoposti a & Sons, Inc.)
elevate tensioni o temperature. I vantaggi della saldatura dolce sono (1) la minore ener-
gia richiesta rispetto alla brasatura e saldatura per fusione, (2) la varietà di metodi di
riscaldamento disponibili, (3) la buona conducibilità elettrica e termica nel giunto, (4) la
capacità di realizzare giunti per contenitori a tenuta stagna di aria e liquidi e (5) la facile
riparazione e rilavorazione.
I maggiori svantaggi della brasatura dolce sono (1) la bassa resistenza del giunto a
meno che non sia rinforzato con mezzi meccanici e (2) il possibile indebolimento o la
fusione del giunto se usato a temperature elevate.

19.2.1  Progettazione dei giunti nella brasatura dolce


Come nella brasatura, anche nella brasatura dolce i giunti sono solo di testa o di sovrap-
posizione: i giunti di testa però non devono essere utilizzati per sostenere carichi pesanti.
Alcuni degli adattamenti di questi giunti per la brasatura si applicano anche alla brasatura
dolce e in più ci sono altre varianti specifiche per far fronte alle forme particolari che
servono per le connessioni elettriche. Nei giunti meccanici di lamiere realizzati tramite
brasatura dolce, i bordi dei fogli spesso vengono piegati e interbloccati prima di essere
saldati, come mostrato in Figura 19.6, per aumentare la resistenza del giunto.

Bullone o rivetto
Figura 19.6 Interblocco
meccanico nei giunti di
saldatura dolce per avere
una resistenza maggiore:
Giunto di brasatura dolce (a) cordone a blocco piat-
to, (b) giunto imbullonato
o rivettato, (c) raccordi
di tubi - giunto di sovrap-
Giunto di brasatura posizione cilindrico e (d)
dolce Crimpatura
Giunto di brasatura crimpatura (formatura) di
dolce un giunto di sovrapposi-
zione cilindrico. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
550 Tecnologia meccanica

Per le applicazioni elettroniche, la funzione principale del giunto saldato è quella di


fornire un percorso elettricamente conduttivo tra due pezzi da unire. Altre considera-
zioni sulla progettazione in questi tipi di giunti comprendono i problemi di generazione
di calore (dalla resistenza elettrica del giunto) e la forza di vibrazione. La resistenza
meccanica in una connessione elettrica spesso è realizzata deformando uno o entrambi
i pezzi metallici per realizzare un giunto meccanico tra essi, o aumentando la superficie
di contatto per fornire il massimo supporto al metallo di apporto. Queste diverse tipolo-
gie sono mostrate in Figura 19.7.

19.2.2  Metalli di apporto e fondenti


I materiali usati nella saldatura dolce sono i metalli di apporto e i fondenti. Entrambi
sono fattori critici del processo di giunzione.

Metalli di apporto  Molti metalli di apporto nella brasatura dolce sono leghe di sta-
gno e piombo, perché entrambi questi metalli hanno dei punti di fusione bassi. Le loro
leghe possiedono una gamma di temperature liquidus e solidus sufficienti a garantire
un buon controllo del processo di brasatura per una varietà di applicazioni. Visto che il
piombo è tossico, la sua percentuale viene ridotta al minimo nella maggior parte delle
composizioni. Lo stagno è chimicamente attivo alle temperature di brasatura e pro-
muove l’azione bagnante necessaria per la giunzione. Nella brasatura dolce del rame,
che è molto comune nei collegamenti elettrici, si usano dei composti intermetallici di
rame e stagno che rafforzano il legame. Anche l’argento e l’antimonio sono utilizzati
nelle leghe di brasatura dolce. La Tabella 19.2 elenca varie composizioni di leghe usate
nella brasatura dolce, indicando le temperature approssimative a cui vengono usate e
le loro applicazioni principali. Le brasature senza piombo stanno diventando sempre
più importanti da quando è stata emanata la legge che vieta l’uso del piombo nelle
brasature dolci.

Giunto di brasatura Foro passante placcato


dolce

a- Circuito stampato Filo Circuito stampato Filo

Giunto di brasatura
dolce
Filo Isolamento
Terminale

Giunto di brasatura
dolce

Figura 19.7  Tecniche per fissare il giunto con mezzi meccanici prima della brasatura dolce nelle
connessioni elettriche: (a) filo di piombo aggraffato su una scheda, (b) foro passante placcato per
massimizzare la superficie di contatto per la brasatura, (c) filo agganciato sul terminale e (d) fili
intrecciati. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 551

TABELLA 19.2  Alcune composizioni tipiche delle leghe usate nella brasatura dolce con le loro temperature di fusione e applicazioni.

Temperatura di fusione
approssimativa
Composizione
Metallo di apporto approssimativa °C Applicazioni principali
Piombo-argento 96 Pb, 4 Ag 305 Giunti a temperature elevate
Stagno-antimonio 95 Sn, 5 Sb 238 Impianti idraulici e di riscaldamento
Stagno-piombo 63 Sn, 37 Pb 183a Elettriche/Elettroniche
60 Sn, 40 Pb 188 Elettriche/Elettroniche
50 Sn, 50 Pb 199 General purpose
40 Sn, 60 Pb 207 Radiatori di automobili
Stagno-argento 96 Sn, 4 Ag 221 Contenitori alimentari
Stagno-zinco 91 Sn, 9 Zn 199 Giunzioni di alluminio
Stagno-argento-rame 95.5 Sn, 3.9 217 Elettroniche: superfici di supporto
Ag, 0.6 Cu
Fonti [2], [3], [4] e [13].
a
Composizione eutettica - composizioni a più basso punto di fusione di stagno-piombo.

Fondenti  I fondenti della brasatura dolce devono (1) fondersi alla temperatura della
brasatura dolce, (2) rimuovere le pellicole di ossido e contaminanti dalle superfici dei
pezzi di base, (3) impedire l’ossidazione durante il riscaldamento, (4) facilitare la ba-
gnatura dei piani di contatto, (5) rimanere separati dalla lega fusa durante il processo
e (6) lasciare un residuo che non sia corrosivo né conduttivo. Purtroppo, non esiste un
fondente singolo che può svolgere perfettamente tutte queste funzioni per tutte le com-
binazioni di metalli di apporto e metalli di base. La composizione del fondente deve
essere scelta a seconda dell’applicazione.
I fondenti nella saldatura dolce si possono classificare in organici o inorgani-
ci. I fondenti organici sono fatti di colofonia (cioè, una resina naturale come la
gomma del legno, che non è solubile in acqua) o altri elementi idrosolubili (come
gli alcoli, gli acidi organici o i sali alogenati). Quelli solubili in acqua facilitano
la pulitura dopo la saldatura. I fondenti organici sono più usati per i collegamenti
elettrici ed elettronici. Essi tendono ad essere chimicamente reattivi alle elevate
temperature di saldatura, ma relativamente non corrosivi a temperatura ambiente.
I fondenti inorganici sono costituiti da acidi inorganici (come l’acido muriatico)
e sali (ad esempio, combinazioni di zinco e cloruro di ammonio) e sono utilizzati
per ottenere un f lusso rapido e attivo dove le pellicole di ossido costituiscono un
problema. I sali diventano attivi quando si sciolgono, ma sono meno corrosivi
degli acidi. I fili di materiali di apporto con un nucleo acido rientrano in questa
categoria.
Sia i fondenti organici che inorganici devono essere rimossi dopo la brasatura, so-
prattutto nel caso di acidi inorganici per evitare che corrodano le superfici metalliche.
La rimozione del fondente di solito è realizzata utilizzando soluzioni acquose, tranne
nel caso delle colofonie che richiedono solventi chimici. Le recenti tendenze nel set-
tore favoriscono l’uso di fondenti idrosolubili perché i solventi chimici utilizzati con
le colofonie sono dannosi per l’ambiente e per l’uomo.

19.2.3  Metodi di brasatura dolce


Molti dei metodi utilizzati nella brasatura dolce sono gli stessi utilizzati nella brasatura,
a parte il fatto che utilizzano meno calore e temperature minori. Questi metodi sono la
552 Tecnologia meccanica

torcia di brasatura, la brasatura in forno, la brasatura per induzione, la brasatura a resi-


stenza, la brasatura a immersione e la brasatura a infrarossi. Ci sono anche altri metodi
per effettuare la brasatura dolce, non utilizzati nella brasatura, che vengono descritti di
seguito. Questi metodi sono la brasatura manuale, la brasatura a onda e la brasatura a
rifusione.

Brasatura manuale  La brasatura manuale viene eseguita a mano utilizzando


un attrezzo saldatore. Il saldatore ha una punta di rame con cui esegue l’operazione.
Le sue funzioni sono (1) fornire calore ai pezzi da brasare, (2) fondere il metallo di
apporto, (3) trasmettere il metallo fuso al giunto e (4) ritirare l’eccesso di metallo
fuso. La maggior parte dei saldatori moderni sono riscaldati mediante resistenza
elettrica. Alcuni sono progettati come saldatori elettrici istantanei sotto forma di
pistola, molto usati nell’assemblaggio per le operazioni intermittenti (on-off) azio-
nate da un trigger. Essi sono in grado di realizzare un giunto di brasatura in circa
un secondo.

Brasatura a onda  La brasatura a onda è una tecnica meccanizzata che permette


di saldare più fili conduttori ad un circuito stampato usando un’onda di metallo bra-
sante fuso. La configurazione tipica è quella in cui si posiziona un circuito stampato,
i cui componenti elettronici sono già inseriti con i loro fili conduttori che si esten-
dono attraverso i fori della scheda, su un nastro trasportatore che passa attraverso
il macchinario che esegue la brasatura a onda. Il trasportatore sostiene il circuito
stampato ai lati, in modo che la parte inferiore sia esposta alle fasi di lavorazione, che
consistono delle operazioni seguenti: (1) si applica un fondente utilizzando uno dei
vari metodi disponibili, come la schiumatura, la spruzzatura o la spazzolatura, (2) si
preriscalda il circuito (utilizzando lampadine, bobine di riscaldamento o dispositivi a
infrarossi) per far evaporare i solventi, attivare il fondente e aumentare la temperatura
del gruppo e (3) si esegue la brasatura a onda, in cui il metallo di apporto fuso viene
pompato da un bagno fuso attraverso una fessura sulla parte inferiore del circuito
stampato per effettuare i collegamenti tra i cavi e il circuito metallico della scheda.
Questa terza fase è illustrata in Figura 19.8. La scheda di solito viene leggermente
inclinata, come mostrato nel disegno, e si aggiunge un olio di stagnatura al metallo
fuso per abbassare la tensione superficiale. Entrambe queste misure aiutano a inibire
l’accumulo di metallo fuso in eccesso e la formazione di «stalattiti» sul fondo della
scheda. La saldatura a onda è molto usata in elettronica per la produzione di assem-
blaggi di circuiti stampati.

Brasatura a riflusso  Anche questo processo è molto usato in elettronica per assem-
blaggi superficiali di componenti su circuiti stampati. In questo processo si usa un me-

Componenti

Figura 19.5  Saldatura ad onda, in cui il


metallo di apporto fuso viene immesso
Circuito attraverso una stretta fessura sul lato
stampato inferiore di un circuito stampato per col-
legare i fili conduttori dei componenti.
Metallo di (Fonte: Fundamentals of Modern Manu-
apporto fuso facturing, 4th Edition by Mikell P. Groo-
ver, 2010. Ristampato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 553

tallo di apporto in forma di pasta costituita da polveri di metallo in un fondente legante


che viene applicato a macchie sul circuito su cui devono avvenire i contatti elettrici tra
i componenti superficiali e il circuito di rame. I componenti vengono poi collocati sulle
macchie, e la scheda viene riscaldata per fondere la pasta e formare i legami meccanici
ed elettrici tra i componenti e il circuito.
I metodi di riscaldamento usati nella brasatura a riflusso sono il riflusso di
fase vapore e il riflusso a infrarossi. Nella brasatura a riflusso di fase vapore un
liquido inerte idrocarburico fluorurato viene vaporizzato mediante riscaldamento
in forno; successivamente si condensa sulla superficie del circuito in cui cede il
suo calore di vaporizzazione per fondere la pasta di brasatura e formare i giunti sul
circuito stampato. Nella brasatura a riflusso a infrarossi si usa il calore di una
lampada a raggi infrarossi per fondere la pasta e formare i giunti. Altri metodi di
riscaldamento a riflusso della pasta brasante sono le piastre di cottura, l’aria calda
e il laser.

19.3 Incollaggio

Gli adesivi sono utilizzati in un’ampia gamma di applicazioni di incollaggio e sigillatu-


ra per unire materiali simili e diversi come metalli, plastiche, ceramiche, legno, carta e
cartone. Anche se è definito come una tecnica di giunzione, l’incollaggio è considerato
un settore in crescita tra le tecnologie di assemblaggio a causa delle enormi opportunità
di estensione delle applicazioni.
L’incollaggio è un metodo in cui si usa un materiale di apporto per unire due (o più)
pezzi molto vicini mediante un attaccamento delle superficie. Il materiale di apporto
che lega i pezzi è un adesivo. Un adesivo è una sostanza non metallica, di solito un poli-
mero. I pezzi che vengono uniti sono chiamati aderendi. Gli adesivi di maggior interes-
se nell’industria sono gli adesivi strutturali, che sono in grado di formare giunti forti e
permanenti tra aderendi forti e rigidi. Esistono diversi adesivi disponibili in commercio
che vengono reticolati mediante vari meccanismi e resi adatti al collegamento di vari
materiali. La reticolazione si riferisce al processo in cui le proprietà fisiche dell’ade-
sivo vengono modificate da liquido a solido, di solito mediante reazione chimica, per
realizzare il fissaggio delle superfici dei pezzi. La reazione chimica può coinvolgere la
polimerizzazione, la condensazione o la vulcanizzazione. La reticolazione avviene per
il calore e/o un catalizzatore e a volte si applica anche una pressione ai due pezzi per at-
tivare il legame. Se si usa del calore, le temperature di reticolazione sono relativamente
basse e quindi i materiali da unire rimangono inalterati - un vantaggio per l’incollaggio.
La reticolazione o l’indurimento dell’adesivo richiede del tempo, chiamato tempo di
reticolazione o tempo di presa. In alcuni casi questo tempo è significativo, quindi è
uno svantaggio nella produzione.
La resistenza del giunto nell’incollaggio è determinata dalla resistenza dell’adesivo
stesso e la forza di legame tra l’adesivo e ognuno degli aderendi. Uno dei criteri utiliz-
zati per definire un buon giunto adesivo è che nel caso in cui si verifichi un guasto a
causa di tensioni eccessive, si deve verificare in uno degli aderendi anziché nell’ade-
sivo o nei punti di contatto tra adesivo e aderendi. La resistenza del giunto è data da
vari meccanismi, tutti dipendenti dall’adesivo specifico e dagli aderendi specifici: (1)
legame chimico, in cui l’adesivo si unisce agli aderendi e forma un legame chimico pri-
mario sopra l’indurimento, (2) interazioni fisiche, in cui risultano delle forze di legame
secondario tra gli atomi delle superfici contrapposte e (3) interblocco meccanico, in cui
la rugosità superficiale degli aderendi provoca degli agganci con le asperità superficiali
microscopiche dell’adesivo indurito.
554 Tecnologia meccanica

Affinché questi meccanismi agiscano nel modo migliore, si devono verificare le


seguenti condizioni: (1) le superfici dei pezzi devono essere pulite, prive di sporco, oli,
e film di ossido che potrebbero interferire con la realizzazione del contatto tra adesivo
e aderendo: di solito serve una preparazione speciale delle superfici; (2) l’adesivo in
forma liquida deve impregnare la superficie degli aderendi; (3) è meglio che le superfici
non siano perfettamente lisce, ma leggermente ruvide per aumentare l’area di contatto
effettivo e promuovere l’interblocco meccanico. Inoltre, il giunto deve essere progettato
per sfruttare i punti di forza dell’incollaggio e evitare i suoi limiti.

19.3.1  Progettazione del giunto


I giunti adesivi di solito non sono così resistenti come quelli realizzati tramite saldatura,
brasatura o brasatura dolce. Di conseguenza, si deve tener conto di questa caratteristica
per la progettazione dei giunti di incollaggio. I principi da applicare sono i seguenti: (1)
l’area di contatto deve essere massimizzata; (2) i giunti adesivi sono più resistenti al ta-
glio e alla trazione, come mostrato in Figura 19.9 (a) e (b), quindi i giunti devono essere
progettati in modo che debbano resistere solo a tensioni di questi due tipi; (3) i giunti
adesivi non resistono alla scissione o alla spellatura, come mostrato in Figura 19.9 (c) e
(d), quindi i giunti devono essere progettati per evitare questi tipi di tensioni.
Le configurazioni tipiche che illustrano i principi della progettazione dei giunti
di incollaggio sono mostrate in Figura 19.10. Alcune configurazioni combinano l’in-
collaggio con altri metodi di giunzione per aumentare la forza e/o la sigillatura tra i
due componenti. Alcune delle possibilità sono illustrate in Figura 19.11. Ad esempio, la
combinazione di incollaggio e saldatura a punti è chiamato saldoincollaggio.
Oltre alla configurazione meccanica del giunto, le applicazioni vanno anche scelte
in modo che le proprietà fisiche e chimiche dell’adesivo e degli aderendi siano compati-
bili con le condizioni di uso a cui l’assemblato sarà sottoposto. I materiali degli aderendi
sono i metalli, la ceramica, il vetro, la plastica, il legno, la gomma, il cuoio, la stoffa, la
carta e il cartone. Si noti che questo elenco comprende dei materiali che sono rigidi e
flessibili, porosi e non porosi, metallici e non metallici e che si possono incollare insie-
me sia materiali simili che diversi.

(a) (b) (c) (d) (e) (f)

(g) (h)

(i) (j)

Figura 19.9  Alcune configurazioni tipiche di giunti di incollaggio: da (a) a (d) giunti di testa, (e) ed (f) giunti a T, da (g) a (j) giunti
ad angolo. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 555

Rivetto
Nocciolo del punto
di saldatura
Adesivo

Figura 19.10  Incollaggio combinato con altri metodi di giunzione: (a) saldoincollaggio: saldatura a punti e incollaggio, (b) incol-
laggio con rivetto (o bullone) e (c) formatura e incollaggio. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell
P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Adesivo
Adesivo

Figura 19.11  Tipi di tensioni da considerare per la progettazione di giunti incollati: (a) trazione, (b) taglio, (c) scissione e (d)
spellatura. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)

19.3.2  Tipi di adesivi


Esistono un gran numero di adesivi commerciali disponibili, che si possono classificare
in tre categorie: (1) naturali, (2) inorganici e (3) sintetici.
Gli adesivi naturali sono derivati da fonti naturali (come piante o animali), ad
esempio le gomme, l’amido, la destrina, la farina di soia e il collagene. Gli adesivi di
questa categoria di solito si limitano ad applicazioni a basse tensioni, come le scatole
di cartone, i mobili o le rilegature, oppure con superfici molto larghe (ad esempio il
compensato). Gli adesivi inorganici si basano principalmente sul silicato di sodio e
il magnesio ossicloruro. Anche se costano poco, hanno anche una resistenza limitata,
quindi non vanno bene come adesivi strutturali.
Gli adesivi sintetici sono la categoria più importante nella produzione. Essi com-
prendono una varietà di polimeri termoplastici e termoindurenti, che vengono reticolati
mediante vari meccanismi, come (1) la miscelazione di un catalizzatore o un ingrediente
reattivo con il polimero immediatamente prima dell’applicazione, (2) il riscaldamento per
innescare la reazione chimica, (3) la fotoreticolazione, ad esempio mediante luce ultra-
violetta e (4) la reticolazione per evaporazione di acqua dal liquido o dalla pasta adesiva.
Inoltre, alcuni adesivi sintetici vengono applicati come film o come rivestimenti sensibili
alla pressione sulla superficie di uno degli aderendi.

19.3.3  Tecniche di applicazione degli adesivi


Le applicazioni industriali dell’incollaggio sono molto diffuse e in crescita. Gli utilizza-
tori principali sono i settori automobilistici, aeronautici, di prodotti per l’edilizia e degli
imballaggi. Altre industrie che ne fanno uso sono quelle delle calzature, dei mobili,
dell’editoria, elettriche e la cantieristica navale. In questa sezione consideriamo alcuni
problemi riguardanti le tecniche di applicazione degli adesivi.
556 Tecnologia meccanica

Preparazione della superficie  Affinché l’incollaggio abbia successo, le superfici


dei pezzi devono essere estremamente pulite. La forza del legame dipende dal grado
di adesione tra l’adesivo e l’aderendo e questo dipende dalla pulizia della superficie.
Nella maggior parte dei casi, sono necessarie delle fasi di lavorazione aggiuntive per la
pulitura e la preparazione delle superficie, i cui metodi variano a seconda dei materiali
aderendi. Per i metalli, di solito si usa una pulitura con solvente e un’abrasione mediante
sabbiatura o altro metodo per migliorare l’adesione. Per i pezzi non metallici, si usa una
pulitura con solvente e le superfici a volte vengono abrase meccanicamente o incise chi-
micamente per aumentare la rugosità. Il processo di incollaggio va eseguito subito dopo
questi trattamenti, perché l’accumulo di ossidazione superficiale e di sporco aumentano
con il tempo.

Metodi di applicazione  L’effettiva applicazione dell’adesivo alla superficie di uno


o entrambi i pezzi si può realizzare in vari modi. L’elenco che segue, anche se incomple-
to, fornisce una panoramica delle tecniche utilizzate nell’industria.

• La spazzolatura, eseguita manualmente, utilizza un pennello rigido. I rivestimenti


risultano spesso irregolari.
• Il flusso, azionato manualmente mediante pistole a pressione, ha un controllo più
preciso rispetto alla spazzolatura.
• I rulli manuali, simili a quelli usati per imbiancare, vengono usati per applicare un
adesivo da un contenitore.
• La serigrafia consiste nell’applicazione dell’adesivo con un pennello attraverso le
aree aperte di una maschera posta sulla superficie del pezzo, in modo che solo alcu-
ne sezioni vengano rivestite.
• La spruzzatura utilizza una pistola a spruzzo ad aria (o senza aria) per un’applica-
zione rapida su zone grandi o difficili da raggiungere.
• Gli applicatori automatici includono vari distributori automatici e ugelli per le
applicazioni a media o alta velocità di produzione.
• Il rivestimento a rullo è una tecnica meccanizzata in cui un rullo rotante viene
parzialmente immerso in una vaschetta di adesivo liquido per prendere l’adesivo e
poi trasferirlo alla superficie dei pezzi. Il rivestimento a rullo viene utilizzato per
applicare l’adesivo su materiali sottili e flessibili (come carta, tessuto e cuoio) oltre
a legno, cartone e materiali simili di grandi superfici.

Vantaggi e svantaggi  I vantaggi dell’incollaggio sono che (1) il processo è applica-


bile ad un’ampia gamma di materiali, (2) si possono unire pezzi di diverse dimensioni e
sezioni – anche i pezzi fragili possono essere unite tramite incollaggio, (3) l’incollaggio
si verifica su tutta la superficie del giunto, anziché solo su singoli punti o cordoni come
nella saldatura per fusione, quindi le tensioni si distribuiscono su tutta la superficie, (4)
alcuni adesivi sono flessibili dopo l’incollaggio e sono quindi tolleranti a carichi ciclici
e alle espansioni termiche degli aderendi; (5) la bassa temperatura della reticolazione
non provoca danni ai pezzi da unire, (6) si possono realizzare giunti sigillati e (7) la
progettazione dei giunti risulta spesso semplificata (ad esempio, due superfici piane
possono essere unite senza aggiungere forme speciali come fori per le viti).
I limiti principali di questa tecnologia sono che: (1) i giunti non sono così forti come
negli altri metodi di giunzione, (2) l’adesivo deve essere compatibile con i materiali da
unire, (3) le temperature di utilizzo del giunto sono limitate, (4) è importante effettuare
una preparazione e una pulitura delle superfici prima di applicare l’adesivo, (5) i tempi
di reticolazione influiscono sui tassi di produzione e (6) è difficile ispezionare il giunto
di incollaggio.
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 557

19.4 Assemblaggio meccanico

L’assemblaggio meccanico consiste di vari metodi per collegare meccanicamente due


(o più) pezzi. Nella maggior parte dei casi, i metodi prevedono l’utilizzo di componenti,
chiamati elementi di fissaggio, che vengono aggiunti ai pezzi durante l’operazione. In
altri casi, i metodi eseguono una sagomatura o un rimodellamento dei pezzi da assem-
blare senza usare elementi di fissaggio separati. Molti prodotti di consumo vengono
prodotti attraverso il montaggio meccanico: automobili, grandi e piccoli elettrodomesti-
ci, telefoni, mobili, computer e anche gli articoli di abbigliamento vengono «assembla-
ti» con metodi meccanici. Inoltre, i prodotti industriali come gli aerei, le macchine uten-
sili e le attrezzature per l’edilizia quasi sempre utilizzano l’assemblaggio meccanico.
I metodi di assemblaggio meccanico possono essere divisi in due classi principali:
(1) quelli che consentono lo smontaggio e (2) quelli che creano una giunzione perma-
nente. Gli elementi di fissaggio filettati (come le viti, i bulloni e i dadi) sono esempi
della prima classe, mentre i rivetti della seconda. I motivi principali che determinano la
preferenza dell’assemblaggio meccanico rispetto agli altri processi di giunzione discus-
si nei capitoli precedenti sono (1) la facilità di assemblaggio e (2) la facilità di smontag-
gio (per i metodi che lo consentono).
Il montaggio meccanico di solito è eseguito da lavoratori non specializzati che usa-
no poche attrezzature e in un tempo relativamente breve. La tecnologia è semplice, e i
risultati sono facilmente ispezionabili. Questi fattori possono essere considerati vantag-
giosi non solo in fabbrica, ma anche durante le operazioni sul campo. I prodotti di gran-
di dimensioni che sono troppo grandi e pesanti per essere trasportati completamente
assemblati possono essere spostati in piccoli sottogruppi e poi assemblati direttamente
presso il cliente.
La facilità di smontaggio vale, naturalmente, solo per i metodi di fissaggio mec-
canico che consentono lo smontaggio. Per molti prodotti è necessario eseguire uno
smontaggio periodico per consentire le manutenzioni e le riparazioni, ad esempio per
sostituire i componenti usurati, fare delle regolazioni ecc.. Le tecniche di giunzione
permanenti come la saldatura non consentono lo smontaggio.
Nella nostra trattazione, i metodi di assemblaggio meccanici sono divisi nelle se-
guenti categorie: (1) elementi di fissaggio filettati, (2) rivetti, (3) accoppiamenti con
interferenza, (4) altri metodi di fissaggio meccanico e (5) inserti di stampaggio ed ele-
menti di fissaggio integrali. Queste categorie sono descritte nei Paragrafi dal 19.1 al
19.5. Nel Paragrafo 19.6, viene discusso un altro argomento importante per l’assemblag-
gio: la progettazione dell’assemblaggio.

19.5 Elementi di fissaggio filettati

Gli elementi di fissaggio filettati sono componenti discreti che hanno dei filetti esterni
o interni per consentire l’assemblaggio dei pezzi. In quasi tutti i casi permettono lo
smontaggio successivo. Gli elementi di fissaggio filettati sono la categoria più impor-
tante dei metodi di assemblaggio meccanico; i tipi più comuni di fissaggio filettati sono
le viti, i bulloni e i dadi.

19.5.1  Viti, bulloni e dadi


Le viti e i bulloni sono elementi di fissaggio filettati che hanno filettature esterne.
C’è una differenza tecnica tra una vite e un bullone che spesso non viene rispettata
nel linguaggio comune. Una vite è un elemento di fissaggio filettato esternamente che
558 Tecnologia meccanica

viene assemblato con un foro cieco filettato. Alcuni tipi, chiamati viti autofilettanti,
hanno delle forme che permettono loro di formare direttamente i filetti corrispondenti
nel foro. Un bullone è un dispositivo di fissaggio filettato esternamente che viene in-
serito attraverso dei fori nei pezzi e «avvitato» su un dado all’estremità opposta. Un
dado è un dispositivo di fissaggio filettato internamente avente filettature standard che
corrispondono a quelli dei bulloni con lo stesso diametro, passo e forma dei filetti. Gli
assemblaggi tipici che derivano dall’uso di viti e bulloni sono illustrati in Figura 19.12.
Le viti e i bulloni sono disponibili in una gamma di dimensioni, filetti e forme stan-
dard, sia in unità metriche (standard ISO) che in unità americane (standard ANSI).1 Le
specifiche sono costituite dalla misura del diametro maggiore nominale in mm, seguito
dal passo in mm. Ad esempio, una specifica di 4-0.7 significa che il diametro maggiore
è 4.0 mm e il passo di 0.7 mm. Lo standard ANSI prevede di specificare o un numero
che indica il diametro maggiore (fino a 0.2160 in) o il diametro maggiore nominale in
pollici seguito dal numero di filetti per pollice. Ad esempio, la specifica 1/4-20 indica
che il diametro maggiore è di 0.25 in e che ci sono 20 filetti per pollice.
I dati tecnici relativi agli elementi di fissaggio filettati standard si possono trovare
nei manuali di progettazione e nei cataloghi degli elementi di fissaggio. Gli Stati Uniti
si sono a poco a poco convertiti alle unità metriche, consentendo di ridurre la prolifera-
zione delle specifiche. Va notato che le differenze tra gli elementi di fissaggio filettati
hanno delle implicazioni sugli utensili usati nella produzione. Per utilizzare un partico-
lare tipo di vite o bullone, l’assemblatore deve avere gli utensili adatti per quel tipo di
elemento. Ad esempio, ci sono diversi tipi di teste di viti e bulloni possibili, i più comuni
dei quali sono illustrati in Figura 19.13. Le forme di queste teste, così come la varietà
delle dimensioni disponibili, richiedono degli utensili diversi (come i cacciaviti): non
si può usare un bullone a testa esagonale con un tradizionale cacciavite a punta piatta.

Pezzi assemblati Vite


Figura 19.12 Assem-
blaggi meccanici tipici: (a)
bullone e dado, (b) vite.
(Fonte: Fundamentals of
Bullone
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampa-
to con il permesso di John Dado
Wiley & Sons, Inc.)

Figura 19.12  Vari tipi di


teste disponibili per viti
e bulloni. Esistono molti Testa piatta Testa a bottone Testa rotonda Testa esagonale
più tipi di quelli riportati.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.) Testa Philips Testa esagonale interna Testa quadrata interna

1
  ISO è l’acronimo di International Standards Organization. ANSI è l’abbreviazione di American National
Standards Institute.
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 559

Vite di fermo

Collare
Albero

Vite senza testa Testa quadrata, Testa esagonale Testa scanalata


con fessura punta piatta punta ovale incassata, punta incassata, punta
conica cilindrica

Figura 19.14  (a) Assemblaggio di un collare su un albero mediante una vite di fermo, (b) varie forme delle viti di fermo (vari tipi
di testa e di punta). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Ci sono molte più varietà di viti che di bulloni, perché le loro funzioni variano di
più. I tipi di viti sono le viti macchina, le viti a testa cilindrica, le viti di fermo e le viti
autofilettanti. Le viti macchina sono il tipo più generico, progettate per il montaggio in
fori filettati. Talvolta sono assemblate a dei dadi e in questo caso hanno la stessa funzio-
ne dei bulloni. Le viti a testa cilindrica hanno la stessa forma delle viti macchina ma
sono fatte di metalli più resistenti e hanno delle tolleranze più strette. Le viti di fermo
sono indurite e progettate per le funzioni di assemblaggio come i collari di fissaggio,
gli ingranaggi e le pulegge per gli alberi, come mostrato in Figura 19.13 (a). Esse sono
disponibili in varie forme, alcune delle quali sono illustrate in Figura 19.13 (b). Una vite
autofilettante (anche detta vite filettante) è progettata per formare o tagliare i filetti in
un foro preesistente in cui viene inserita. La Figura 19.15 mostra due delle forme tipiche
dei filetti creati da viti autofilettanti.
La maggior parte dei dispositivi di fissaggio filettati sono prodotti tramite formatura
a freddo. Alcuni sono lavorati meccanicamente, ma questo di solito è un processo più
costoso. I dispositivi di fissaggio filettati sono realizzati in vari materiali, gli acciai sono
i più comuni per la loro buona resistenza e basso costo. Gli acciai più usati sono quelli a
basso e medio contenuto di carbonio e gli acciai legati. Gli elementi di fissaggio in acciaio
di solito vengono rivestiti o placcati per aumentare la resistenza alla corrosione superfi-
ciale. I materiali per rivestimenti più usati sono il nichel, il cromo, lo zinco, l’ossido nero e
altri materiali simili. Se i fattori di corrosione o altri fattori impediscono di usare elementi
di fissaggio in acciaio, si usano altri materiali, tra cui gli acciai inossidabili, le leghe di
alluminio, le leghe di nichel e le materie plastiche (le materie plastiche però sono adatte
solo per applicazioni a basse tensioni).

19.5.2  Altri elementi di fissaggio filettati


Gli altri elementi di fissaggio filettati sono le viti prigioniere, gli inserti filettati e le
rondelle. La vite prigioniera è un dispositivo di fissaggio filettato esternamente, ma
senza la testa che di solito hanno le viti. Possono essere usate per assemblare due pezzi
usando due dadi, come illustrato in Figura 19.16 (a). Sono disponibili con filettature a
una sola estremità o a entrambe le estremità come mostrato in Figura 19.16 (b) e (c).
Gli inserti filettati sono degli elementi con filetti interni fatti per essere inseriti Figura 19.15  Viti autofi-
lettanti: (a) formatura dei
in un foro non filettato ed essere agganciati a un dispositivo di fissaggio filettato ester- filetti e (b) taglio dei filetti.
namente. Essi vengono inseriti in materiali deboli (come la plastica, il legno e i metalli (Fonte: Fundamentals of
leggeri come il magnesio) per fornire delle filettature più forti. Ci sono vari tipi di Modern Manufacturing,
inserti filettati, un esempio dei quali è illustrato in Figura 19.17. Dopo che la vite stata 4th Edition by Mikell P.
assemblata nell’inserto, la canna dell’inserto si espande nelle pareti del foro, fissando Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
il gruppo. John Wiley & Sons, Inc.)
560 Tecnologia meccanica

Vite prigioniera
Dado Figura 19.16  (a) Vite prigioniera
e dadi utilizzati per il montaggio.
Vari tipi di viti prigioniere: (b) con
filetti solo da un lato e (c) da en-
trambi i lati. (Fonte: Fundamen-
tals of Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P. Groover,
Dado
2010. Ristampato con il permes-
so di John Wiley & Sons, Inc.)

Una rondella è un componente che si usa spesso con gli elementi di fissaggio per
assicurare la tenuta del giunto meccanico. Nella sua forma più semplice è un anello
sottile di lamiera. Le rondelle svolgono molte funzioni: (1) distribuiscono le tensioni
che altrimenti si concentrerebbero sulla testa del bullone o della vite e sul dado, (2)
forniscono il supporto per i fori passanti di grandi dimensioni nei pezzi assemblati, (3)
aumentano la tensione della molla, (4) proteggono le superfici del pezzo, (5) sigillano la
giunzione e (6) impediscono lo sganciamento accidentale [13]. La Figura 19.17 illustra
tre tipi di rondella.

19.5.3  Tensioni e resistenze dei giunti imbullonati


Le tensioni tipiche che insistono sui giunti imbullonati o avvitati sono sia quella di tra-
zione che quella di taglio, come illustrato in Figura 19.25, che mostra un assemblaggio
con un bullone e un dado. Una volta serrato, il bullone è sottoposto a trazione e i pezzi
a compressione. Inoltre, le forze possono agire in direzioni opposte sui pezzi, il che si
traduce in una tensione di taglio sulla sezione trasversale del bullone. Infine, vi sono
delle tensioni applicate sulle filettature per tutta la loro lunghezza in direzione parallela
all’asse del bullone. Queste tensioni di taglio possono causare una spellatura dei filetti.
(Questo guasto si può verificare anche sui filetti interni di un dado).
La resistenza di un elemento di fissaggio filettato di solito si indica con due mi-
sure: (1) la resistenza alla trazione, come già definita e (2) snervamento di prova. Lo
snervamento di prova è praticamente uguale alla resistenza allo snervamento, cioè è
la tensione di trazione massima alla quale un dispositivo di fissaggio filettato esterna-
mente può essere sottoposto senza riportare deformazioni permanenti. I valori tipici
delle tensioni di trazione e di snervamento per i bulloni di acciaio sono riportati in
Tabella 19.3.

Filetti interni

Inserto pressato
Vite
Figura 19.17  Inserti fi- nel foro
lettati: (a) prima dell’in-
serimento e (b) dopo Pezzo fissato
l’inserimento nel foro e Materiale di base
il posizionamento della
vite nell’inserto. (Fonte:
Le sporgenze
Fundamentals of Modern
dell’inserto spingono
Manufacturing, 4th Edi-
sulle pareti del foro
tion by Mikell P. Groover,
mentre la vite viene
2010. Ristampato con il
inserita
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 561

Spessore Altezza Spessore

Figura 19.18  Tipi di rondelle: (a) rondella piatta, (b), rondella elastica utilizzate per smorzare le
vibrazioni o compensare l’usura e (c) rondella di sicurezza progettata per impedire l’allentamento
del bullone o della vite. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Il problema che può verificarsi durante l’assemblaggio è che gli elementi di fissag-
gio filettati vengono serrati eccessivamente, causando delle tensioni che superano la
resistenza del materiale. Considerando il giunto bullone-dado mostrato in Figura 19.19,
i guasti si possono verificare nei modi seguenti: (1) le filettature esterne (ad esempio del
bullone o della vite) si possono spellare, (2) le filettature interne (ad esempio del dado)
si possono spellare o (3) il bullone si può rompere a causa di una tensione di trazione
eccessiva sulla sua sezione trasversale. I guasti (1) e (2) si verificano a causa di una rot-
tura di taglio quando la lunghezza dell’innesto è troppo breve (meno di circa il 60% del
diametro nominale del bullone). Questo si può evitare progettando meglio la filettatura
dell’elemento di fissaggio. Il guasto di trazione (3) è il problema più comune. Il bullone
si rompe a circa l’85% della sua resistenza alla trazione nominale a causa della combi-
nazione della tensione di trazione e quella di torsione durante il fissaggio [2].
La tensione di trazione a cui è sottoposto un bullone si calcola come il carico di
trazione diviso per l’area su cui si applica:

(19.1)

dove σ è lo sforzo in MPa, F il carico in N e As l’area dello sforzo di trazione in mm 2.


Questa tensione deve essere confrontata con i valori di resistenza dei bulloni riportati
in Tabella 19.3. L’area di trazione per un elemento di fissaggio filettato è la sezione tra-
sversale del diametro minore. Quest’area può essere calcolata direttamente da una delle

Bullone
Filetti interni
(sulla sezione trasversale)
Tensione di trazione (sulla sezione trasversale)

Tensione di compressione
(sui pezzi)
Figura 19.19 Tensioni
che agiscono su un giun-
to imbullonato. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
Dado 2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
Tensione di taglio (sui filetti) & Sons, Inc.)
562 Tecnologia meccanica

seguenti equazioni [2], a seconda che il bullone sia misurato nello standard metrico o
americano. Per la metrica standard (ISO), la formula è:

(19.2)

dove D è la dimensione nominale (del diametro maggiore) del bullone o della vite in
mm e p il passo della filettatura in mm. Per lo standard americano (ANSI), la formula è:

(19.3)

dove D/4 è la dimensione nominale (del diametro maggiore) del bullone o della vite in
mm e n il numero di filetti per pollice.

19.5.4  Utensili per gli elementi di fissaggio filettati e loro utilizzo


La funzione di base degli utensili e degli strumenti per l’assemblaggio dei dispositivi
filettati è quella di fornire la rotazione relativa tra le filettature esterne e interne e di
applicare una coppia sufficiente per fissare il gruppo. Gli utensili disponibili vanno dai
semplici cacciaviti o chiavi inglesi portatili agli utensili motorizzati con sofisticati sen-
sori elettronici per garantire il corretto fissaggio. È importante che l’utensile corrispon-
da alla forma e alle dimensioni della vite o del bullone e/o del dado, visto che ci sono
tante forme e dimensioni possibili. Gli utensili manuali di solito sono a punta o lama
singola, mentre gli utensili motorizzati sono progettati per utilizzare punte intercambia-
bili. Gli utensili motorizzati funzionano per energia pneumatica, idraulica o elettrica.
Il funzionamento di un elemento di fissaggio filettato dipende in larga misura dalla
quantità di coppia applicata per avvitarlo. Una volta che il bullone o la vite (o il dado)
è stato ruotato fino ad essere posizionato contro la superficie del pezzo, l’ulteriore av-
vitamento aumenta la tensione del dispositivo di fissaggio (e contemporaneamente la
compressione nei pezzi tenuti insieme); il serraggio si oppone all’aumento della coppia.
Vi è quindi un legame tra la coppia richiesta per il dispositivo di fissaggio e la tensione
di trazione sperimentata da esso. Per ottenere il buon funzionamento del giunto assem-
blato (ad esempio, migliorando la resistenza allo sforzo) e per bloccare gli elementi di
fissaggio filettati, il progettista spesso specifica la forza di tensione che deve essere
applicata. Questa forza è chiamata precarico. Per determinare la coppia richiesta per
ottenere un determinato precarico si può usare la formula seguente [13]:

(19.4)

dove T è la coppia in N-mm, Ct il coefficiente di coppia, il cui valore varia tipicamente


tra 0.15 e 0.25, a seconda delle condizioni della superficie del filetto, D il diametro no-
minale del bullone o della vite in mm e F la forza specifica di precarico in N.

TABELLA 19.3  Valori tipici di tensioni di trazione e di snervamento per bulloni e viti in acciaio, per
una gamma di diametri da 6.4 mm a 38 mm.

Tensione di snervamento Tensione di trazione


Materiale MPa MPa
Acciaio basso/medio C 228 414
Leghe di acciaio 830 1030
Fonte [13].
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 563

Si usano vari metodi per applicare la coppia richiesta, tra cui (1) l’esperienza
dell’operatore – un metodo non molto preciso, ma sufficiente per la maggior parte degli
assemblaggi, (2) le chiavi dinamometriche, che misurano la coppia mentre si avvita il
dispositivo di fissaggio, (3) i motori di stallo, che sono chiavi inglesi motorizzate che si
fermano quando si raggiunge la coppia richiesta e (4) gli utensili di fissaggio a scatti, in
cui il dispositivo di fissaggio viene inizialmente serrato con una coppia di livello basso
e poi ruotato di una quantità aggiuntiva specifica (ad esempio un quarto di giro).

19.6 I rivetti

I rivetti sono molto utilizzati per realizzare giunzioni meccaniche permanenti. La ri-
vettatura è un metodo di fissaggio che offre elevati tassi di produzione, semplicità di
esecuzione, affidabilità e basso costo. Nonostante questi apparenti vantaggi, le sue
applicazioni sono diminuite negli ultimi decenni a favore degli elementi di fissaggio
filettati, delle saldature e dell’incollaggio. La rivettatura è uno dei processi primari di
fissaggio nelle industrie aeronautiche e aerospaziali per fissare dei rivestimenti agli
elementi strutturali.
Un rivetto è un perno non filettato con una testa, che viene usato per unire due (o
più) pezzi passando attraverso dei fori nei pezzi e poi formando (per ricalcatura) una se-
conda testa sul lato opposto del perno. L’operazione di deformazione può essere esegui-
ta a caldo o a freddo (lavorazione a caldo o lavorazione a freddo) da un martellamento
o una pressatura costanti. Una volta che il rivetto è stato deformato, non può più essere
rimosso, se non rompendo una delle teste. I parametri dei rivetti sono la lunghezza, il
diametro, la testa e il tipo. Il tipo di rivetto indica una delle cinque forme di base che
influenzano il modo in cui il rivetto viene ricalcato sulla seconda testa. I cinque tipi di
rivetto sono illustrati in Figura 19.20. Oltre a quelli, esistono dei rivetti particolari per
determinate applicazioni.
I rivetti sono utilizzati principalmente per giunti di sovrapposizione. Il foro passan-
te in cui è inserito il rivetto deve essere vicino al diametro del rivetto. Se il foro è troppo
piccolo, l’inserimento del rivetto sarà difficile, riducendo così i tassi di produzione. Se
il foro è troppo grande, il rivetto non riempie tutto il foro e potrebbe piegarsi o compri-
mersi durante la ricalcatura. Esistono delle apposite tabelle di progettazione dei rivetti
che specificano le dimensioni ottimali dei fori.

Rivetto Giunto rivettato Rivetto Giunto rivettato Rivetto Giunto rivettato

Figura 19.20  Cinque tipi


di base di rivetti, assie-
me alla configurazione
Rivetto Giunto rivettato assemblata: (a) solido,
(b) tubolare, (c) semitu-
bolare, (d) biforcato e (e)
Positivo di compressione. (Fonte:
Rivetto Giunto rivettato
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
Negativo tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
564 Tecnologia meccanica

Gli utensili e i metodi utilizzati nella rivettatura si dividono nelle seguenti catego-
rie: (1) di impatto, in cui un martello pneumatico esegue una successione di colpi sul
rivetto, (2) di compressione costante, in cui l’utensile rivettatore applica una pressione
continua sul rivetto e (3) una combinazione di impatto e compressione. Gran parte delle
apparecchiature utilizzate nella rivettatura sono portatili e manuali. Esistono anche del-
le macchine automatiche di foratura-rivettatura per eseguire prima i fori e poi inserire
e ricalcare i rivetti.

19.7  Metodi di assemblaggio basati sull’interferenza

Molti metodi di assemblaggio si basano sull’interferenza meccanica tra i due pezzi da


unire. Questa interferenza che tiene insieme i pezzi può avvenire in fase di assem-
blaggio o dopo che i pezzi sono già stati assemblati. I metodi che rientrano in questa
categoria sono il calettamento, gli accoppiamenti di espansione e contrazione, gli ac-
coppiamenti a scatto e gli anelli di tenuta.

Calettamento  Un calettamento è un assemblaggio in cui i due componenti presen-


tano un accoppiamento per interferenza tra loro. Il caso tipico è quello di un perno
(ad esempio, un perno cilindrico) di un certo diametro che viene premuto in un foro
di un diametro leggermente inferiore. I perni disponibili in commercio hanno delle
dimensioni standard per compiere una varietà di funzioni, come (1) il posizionamento
e il bloccaggio dei componenti, utilizzati in aggiunta agli elementi filettati per tenere i
pezzi allineati tra di loro, (2) i punti di articolazione, per consentire la rotazione di un
componente rispetto all’altro e (3) le spine tranciabili. Tranne quelli del caso (3), i perni
di solito sono induriti. Le spine tranciabili sono fatte di metalli più morbidi in modo da
rompersi sotto un carico di taglio improvviso o pesante per salvare il resto dell’assem-
blaggio. Altre applicazioni del calettamento sono l’assemblaggio di collari, ingranaggi,
pulegge e componenti simili su alberi.
Le pressioni e le tensioni in un accoppiamento con interferenza si possono calcolare
utilizzando diverse formule. Se l’accoppiamento è costituito da un perno tondo o un
albero all’interno di un collare (o componente simile), come illustrato in Figura 19.21, e
i componenti sono realizzati dello stesso materiale, la pressione radiale tra il perno e il
collare può essere determinata nel modo seguente [13]:

(19.5)

dove pf è la pressione dell’accoppiamento radiale o di interferenza in MPa, E il modu-


lo di elasticità del materiale, l’interferenza tra il perno e il collare, cioè la differenza

Collare

Perno

Figura 19.21  Sezione trasversale di un perno o albe-


ro assemblato ad un collare per interferenza. (Fonte:
Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition
by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permes-
so di John Wiley & Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 565

iniziale tra il diametro interno del collare e il diametro esterno del perno in mm, Dc il
diametro esterno del collare in mm e Dp il diametro del perno in mm.
Lo sforzo massimo si verifica nel collare al suo diametro interno e può essere cal-
colato come:

(19.6)

dove Max σe è lo sforzo massimo effettivo in MPa e pf la pressione di interferenza cal-


colata dall’Equazione (19.5).
In situazioni in cui il perno viene pressato nel foro di un pezzo molto largo con una
forma diversa da quella di un collare, le equazioni precedenti si possono modificare
imponendo il diametro esterno Dc uguale a infinito; l’equazione della pressione di in-
terferenza si riduce a:

(19.7)

e il corrispondente sforzo massimo effettiva diventa:

(19.8)

Nella maggior parte dei casi, in particolare per i metalli duttili, la tensione massima
effettiva deve essere confrontata con il carico di snervamento del materiale, applicando
un opportuno fattore di sicurezza, come nel caso seguente:

(19.9)

dove Y è il carico di di snervamento del materiale, e SF è il fattore di sicurezza applicato.


Ci sono varie forme dei perni disponibili per gli accoppiamenti con interferenza. Il
tipo di base è un perno dritto, di solito fatto con fili o barre di acciaio al carbonio trafi-
lati a freddo, con diametri che vanno da 1.6 a 25 mm. Non sono rettificati e hanno delle
estremità smussate o quadrate (le estremità smussate facilitano il montaggio). Le spine
di centraggio sono fabbricate secondo delle specifiche più precise rispetto ai perni di-
ritti e possono essere rettificate e indurite. Sono utilizzate per fissare l’allineamento dei
pezzi assemblati nelle matrici, negli infissi e nei macchinari. Le spine coniche hanno
una conicità di 6.4 mm per parte e sono inserite nel foro per stabilire una posizione fissa
relativa tra i pezzi. Il loro vantaggio è che possono essere tolte facilmente dal foro.

Accoppiamenti di contrazione e di espansione  Questi termini si riferiscono


all’assemblaggio di due pezzi con un accoppiamento con interferenza a temperatura
ambiente. Il caso tipico è quello di un perno cilindrico o un albero assemblati a un
collare. Nell’assemblaggio mediante accoppiamento di contrazione, il pezzo esterno
viene riscaldato in modo che si allarghi per dilatazione termica, mentre il pezzo interno
rimane a temperatura ambiente o viene raffreddato in modo che la sua dimensione si
contragga. Poi i due pezzi vengono assemblati e riportati a temperatura ambiente, così
il pezzo esterno si restringe e, se era stato raffreddato, il pezzo esterno si espande per
formare un forte accoppiamento con interferenza. Un accoppiamento di espansione
si verifica quando solo il pezzo interno viene raffreddato per contrarlo prima del mon-
taggio e, una volta inserito nel componente di accoppiamento, viene scaldato a tempe-
ratura ambiente e si espande creando l’accoppiamento di interferenza. Questi metodi
di assemblaggio vengono utilizzati per adattare ingranaggi, pulegge, manicotti e altri
componenti su alberi pieni e cavi.
566 Tecnologia meccanica

Vengono usati diversi metodi per riscaldare e/o raffreddare i pezzi. Le attrezza-
ture per il riscaldamento includono le torce, i forni, i riscaldatori elettrici a resistenza
e i riscaldatori elettrici a induzione. I metodi di raffreddamento usati di solito sono la
refrigerazione, l’imballaggio in ghiaccio secco e l’immersione in liquidi freddi, tra cui
l’azoto liquido. Il conseguente cambiamento di diametro dipende dal coefficiente di
dilatazione termica e dalla differenza di temperatura che viene applicata al pezzo. Se
assumiamo che il riscaldamento o il raffreddamento produca una temperatura uniforme
su tutto il pezzo, allora la variazione di diametro è data da:

(19.10)

dove è il coefficiente di dilatazione termica lineare in mm/mm-°C del materiale (fare


riferimento alla Tabella 3.10), T2 la temperatura a cui i pezzi vengono riscaldati o raf-
freddati in °C, T1 la temperatura ambiente iniziale, D2 il diametro del pezzo alla tempe-
ratura T2 in mm e D1 il diametro del pezzo alla temperatura T1.
Le formule dall’Equazione (19.5) alla (19.9) per calcolare le pressioni di interferen-
za e le tensioni effettive possono essere usate per determinare i valori corrispondenti
per gli accoppiamenti di contrazione e di espansione.

Accoppiamenti a scatto e anelli di tenuta  Gli accoppiamenti a scatto sono una


variante degli accoppiamenti di interferenza. Un accoppiamento a scatto consiste
nell’unione di due pezzi in cui gli elementi di accoppiamento possiedono una interfe-
renza temporanea mentre vengono premuti insieme, ma una volta assemblati si unisco-
no per mantenere l’assemblaggio. Un esempio tipico è mostrato in Figura 19.22. Mentre
i pezzi sono pressati insiemi, gli elementi di accoppiamento si deformano elasticamente,
e una volta in posizione, gli elementi scattano e i pezzi risultano collegati meccanica-
mente in modo che non siano facilmente smontabili. I pezzi sono progettati in modo che
rimanga una leggera interferenza dopo il montaggio.
I vantaggi dell’assemblaggio a scatto sono che (1) i pezzi possono essere proget-
tati con caratteristiche autoallineanti, (2) non serve nessuna attrezzatura speciale e (3)
il montaggio può essere realizzato molto rapidamente. Il montaggio a scatto era nato
originariamente come metodo ideale per le applicazioni di robotica industriale, ma non
deve stupire che le tecniche di assemblaggio più facili per i robot siano anche più facili
per gli assemblatori umani.
Un anello di tenuta, noto anche come anello elastico, è un dispositivo di fissaggio
che scatta in una scanalatura circolare sulla circonferenza di un albero o un tubo per

Figura 19.22 Montag-
gio a scatto, che mostra
le s ezi oni tra sver s ali
dei due pezzi dell’ac -
coppiamento: (1) prima
dell’assemblaggio e (2)
pezzi assemblati dopo
lo scatto. (Fonte: Fun-
damentals of M odern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 567

formare una spalla, come illustrato in Figura 19.23. L’assemblaggio può essere utiliz-
zato per localizzare o limitare il movimento dei pezzi montati sull’albero. Gli anelli di
tenuta sono disponibili sia per applicazioni esterne (alberi) che interne (fori). Possono
essere fatti di fili o di lamiere, e possono essere trattati termicamente per aumentare la
durezza e la rigidità. Per assemblare un anello di tenuta serve uno speciale utensile a
pinza per deformare elasticamente l’anello in modo che si adatti all’albero (o al foro) e
poi rilasciato nella scanalatura.

19.8 Altri metodi di fissaggio meccanico

Oltre alle tecniche di assemblaggio meccanico discusse nelle sezioni precedenti, ci sono
diversi altri metodi che implicano l’uso di dispositivi di fissaggio. Questi sono la graf-
fatura, la pinzatura, la cucitura e le coppiglie.
La graffatura e la pinzatura industriali sono operazioni simili che comportano
l’uso di elementi di fissaggio in metallo a forma di U. La graffatura è un’operazione
di fissaggio in cui viene utilizzata una macchina di graffatura per formare i punti
a U uno alla volta da un filo di acciaio e inserirli nei due pezzi da unire. La Figura
19.24 illustra diversi tipi di punti. I pezzi da unire devono essere relativamente sottili,
coerenti con la dimensione del punto e il gruppo può coinvolgere varie combinazioni
di metalli e materiali non metallici. Le applicazioni della graffatura industriale inclu-
dono gli assemblaggi di lamiere sottili, le cerniere in metallo, i collegamenti elettrici,
le scatole di cartone ondulato e il confezionamento dei prodotti finiti. Le condizioni
che favoriscono la graffatura in queste applicazioni sono (1) l’alta velocità, (2) il fatto
che non serve forare prima i pezzi e (3) la possibilità di usare elementi di fissaggio
che circondano i pezzi.
Nella pinzatura, delle graffe preformate a U vengono inserite nei pezzi da uni-
re. Le graffe sono fornite in strisce. Le graffe singole sono unite insieme per formare
la striscia, ma vengono facilmente separate dall’utensile di pinzatura. Le graffe sono
dotate di vari tipi di punte per facilitare il loro ingresso nel pezzo. Vengono di solito
applicate mediante pistole pneumatiche portatili, in cui vengono caricate delle strisce
contenenti diverse centinaia di graffe. Le applicazioni della pinzatura industriale sono
i mobili, i rivestimenti, il montaggio dei sedili delle auto e vari lavori di assemblaggi di
infissi leggeri di metallo o plastica.

Figura 19.23  Anello di tenuta mon-


Scanalatura tato in una scanalatura su un albe-
dell’albero Albero ro. (Fonte: Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edition by Mikell
P. Groover, 2010. Ristampato con
il permesso di John Wiley & Sons,
Anello di tenuta
Inc.)

Figura 19.24  Tipi comuni di punti nella graffatura: (a) non graffato, (b) ad anello standard, (c) a ci-
clo bipasso e (d) punto piatto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell
P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
568 Tecnologia meccanica

La cucitura è un metodo comune per unire dei pezzi morbidi e flessibili, come il
panno e la pelle. Il metodo prevede l’utilizzo di un lungo filo o corda intrecciata con
i pezzi in modo da produrre un giunto continuo tra loro. Il processo è molto usato nel
settore della produzione di vestiti.
Le coppiglie sono elementi di fissaggio formate da un filo semicircolare su un unico
gambo a due estremità, come mostrato in Figura 19.25. Variano a seconda della dimensio-
ne del diametro, tra gli 0.8 mm e i 19 mm e del tipo di punta, alcuni dei quali sono mostrati
in figura. Le coppiglie sono inserite nei fori dei pezzi e le due estremità vengono divise
per bloccare il gruppo. Vengono usate per bloccare i pezzi su alberi e applicazioni simili.

19.9 Inserti di stampaggio e fissaggi integrali

Questi metodi di assemblaggio formano un giunto permanente tra i pezzi attraverso il


modellamento o il rimodellamento di uno dei componenti attraverso un processo come
la colata, lo stampaggio o la formatura di lamiere.

Inserti nello stampaggio e nella colata  Questo metodo comporta il posiziona-


mento di un componente aggiuntivo nello stampo prima dello stampaggio plastico o
della colata metallica, in modo che diventi parte permanente e integrante del pezzo.
L’inserimento di un componente separato si può fare se servono delle proprietà (ad
esempio di forza) migliori del materiale dell’inserto o se la forma ottenuta attraverso
l’uso dell’inserto è troppo complessa da incorporare nello stampo. Esempi di inserti in
pezzi stampati o colati sono le boccole e i dadi filettati internamente, i perni filettati
esternamente, i cuscinetti e i contatti elettrici. Due esempi di questi sono illustrati in
Figura 19.26. Gli inserti filettati internamente devono essere inseriti nello stampo con
dei perni inseriti per impedire al materiale fuso di fluire al loro interno.

Lunghezza
Figura 19.25 Coppiglie:
(a) testa asimmetrica,
punta standard, (b) testa
simmetrica, punta ham-
merlock, (c) punta qua- Lunghezza Diametro
drata, (d) punta a mitra
e (e) punta a scalpello.
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing,
4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristam-
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

Materiale da stampaggio o colata


Filetti esterni
en- Figura 19.26  Esempi di Filetti interni
inserti inseriti nello stam-
po: (a) boccola filettata e
(b) perno filettato. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Sezione zigrinata
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 569

Posizionare degli inserti in uno stampo presenta alcuni svantaggi per la produzione:
(1) la progettazione dello stampo diventa più complicata, (2) lo spostamento dell’inserto
e il suo posizionamento nella cavità richiede del tempo che riduce il tasso di produzione
e (3) gli inserti introducono un materiale estraneo all’interno della colata o dello stam-
paggio e in caso di difetti il metallo fuso o la plastica non possono essere facilmente
recuperati o riciclati. Nonostante questi svantaggi, l’uso degli inserti è spesso la scelta
progettuale più funzionale e meno costosa come metodo di produzione.

Elementi di fissaggio integrali  Gli elementi di fissaggio integrali causano la defor-


mazione dei componenti in modo che si uniscano e creino un giunto fissato meccanica-
mente. Questo metodo di assemblaggio è usato per lo più per pezzi di lamiere. Le possibi-
lità, illustrate in Figura 19.27, comprendono: (a) le linguette lanceolate per collegare i fili
o gli alberi ai pezzi di lamiera, (b) le sporgenze in rilievo, in cui su un pezzo si formano

Utensile per fare le sporgenze

Filo
Linguetta
lanceolata

Sporgenza Appiattimento sull’altro pezzo

Bordi ripiegati dei due Un bordo ripiegato sull’altro Aggraffatura piegata e appiattita
pezzi

Fossette in vari
Bordo lungo tutta
punti lungo la
la circonferenza
Flangia di lamiera circonferenza
Scanalatura
sull’albero

Albero

Prima della bordatura Dopo la bordatura

Figura 19.27  Elementi di fissaggio integrale: (a) linguetta lanceolata per collegare cavi o alberi a pezzi di lamiera, (b) sporgen-
ze in rilievo, simili ai rivetti, (c) aggraffatura a singolo blocco, (d) bordatura e (e) formatura di fossette. I numeri nelle parentesi
indicano la sequenza delle operazioni in (b), (c) e (d). (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P.
Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
570 Tecnologia meccanica

delle sporgenze che poi vengono appiattite sull’altro pezzo, (c) l’aggraffatura, in cui i
bordi di due pezzi diversi di lamiera o i due bordi opposti della stessa lamiera vengono
ripiegati per formare il fissaggio; il metallo deve essere duttile affinché si possa realizzare
l’aggraffatura, (d) la bordatura, in cui un pezzo tubolare viene fissato ad un albero più
piccolo (o un altro pezzo rotondo) deformando il diametro esterno verso l’interno per
causare un’interferenza lungo tutta la circonferenza, e (e) la formazione di fossette, cioè
semplici rientranze rotonde nel pezzo esterno per trattenere il pezzo interno.
La crimpatura, in cui i bordi di un pezzo sono deformati su un componente di ac-
coppiamento, è un altro esempio di assemblaggio integrale. Un tipico esempio è quando
un cavo viene schiacciato su un connettore per garantire un buon contatto elettrico.

19.10  Progettazione dell’assemblaggio

La progettazione dell’assemblaggio ha ricevuto un’attenzione crescente negli ultimi


anni, perché le operazioni di assemblaggio costituiscono un alto costo per molte azien-
de manifatturiere. Un assemblaggio è progettato in modo corretto se [3]: (1) il prodotto
ha il minor numero di pezzi possibili e (2) i pezzi sono facili da assemblare. Il costo
del montaggio viene determinato principalmente durante la progettazione del prodotto,
perché in quella fase viene determinato il numero di pezzi che compongono il prodotto
e si decide come questi pezzi devono essere assemblati. Una volta che queste decisioni
sono state prese, non si può fare molto per influenzare i costi dell’assemblaggio (ad
eccezione, ovviamente, della buona gestione delle operazioni).
In questa sezione consideriamo alcuni dei principi che possono essere applicati du-
rante la fase di progettazione del prodotto per facilitare l’assemblaggio. La maggior par-
te dei principi sono stati sviluppati nel contesto dell’assemblaggio meccanico, anche se
alcuni di essi applicano anche ai processi di giunzione (saldatura, brasatura ecc). Gran
parte della ricerca nella progettazione del montaggio è stata motivata dal crescente uti-
lizzo dei sistemi di assemblaggio automatizzati nel settore industriale. Di conseguenza,
la nostra discussione è divisa in due sezioni, la prima riguarda i principi generali della
progettazione dell’assemblaggio e la seconda la progettazione specifica per l’assem-
blaggio automatico.

19.10.1  Principi generali della progettazione dell’assemblaggio


La maggior parte dei principi generali si applicano sia all’assemblaggio manuale che a
quello automatico. Il loro obiettivo è quello di raggiungere la funzione di progettazione
desiderata con i mezzi più semplici e di costo più basso. Le raccomandazioni che seguo-
no sono state raccolte sulla base di [1], [3], [4] e [6].

• Utilizzare il minor numero di pezzi possibili per ridurre la quantità di assem-


blaggio necessario. Questo principio si applica combinando più funzioni nello stesso
pezzo anziché realizzarle separatamente in pezzi separati (ad esempio, utilizzando un
unico pezzo di plastica stampata invece di un assemblaggio di pezzi di lamiera).
• Ridurre il numero di elementi di fissaggio necessari. Invece di utilizzare vari di-
spositivi di fissaggio filettati, è meglio progettare il componente in modo che usi
accoppiamenti a scatto, anelli di tenuta, fissaggi integrali e meccanismi simili che
possono essere eseguiti più rapidamente. Gli elementi di fissaggio filettati vanno usa-
ti solo se necessari (ad esempio quando è richiesto lo smontaggio o la regolazione).
• Standardizzare gli elementi di fissaggio. Questo ha lo scopo di ridurre il numero
di dimensioni e modi diversi di fissaggio nel prodotto. In questo modo si riducono i
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 571

problemi di ordinazione e inventario, l’assemblatore non deve perdere tempo a fare


distinzioni tra elementi di fissaggio diversi, la stazione di lavoro risulta semplifica-
ta e il numero di utensili necessari al fissaggio viene ridotto.
• Ridurre le difficoltà di orientamento dei pezzi. I problemi di orientamento ven-
gono ridotti utilizzando dei pezzi simmetrici e minimizzando il numero di caratte-
ristiche asimmetriche. Questo consente una gestione e degli inserimenti più facili
in fase di assemblaggio. Questo principio è illustrato in Figura 19.28.
• Evitare che i pezzi si aggroviglino. Alcune forme dei pezzi hanno più probabilità
di rimanere incastrate nei contenitori, causando del lavoro aggiuntivo per gli ope-
ratori o bloccando i macchinari automatici. Pezzi con ganci, fori, asole e riccioli
presentano questa tendenza più di pezzi che non li hanno (vedere la Figura 19.29).

19.10.2  Progettazione dell’assemblaggio automatico


I metodi adatti per l’assemblaggio manuale non sono necessariamente i migliori anche
per l’assemblaggio automatico. Alcune operazioni di assemblaggio che sono facili per
un operatore umano possono essere difficili da automatizzare (ad esempio l’uso di viti
e dadi). Per automatizzare il processo di assemblaggio, nella fase di progettazione del
prodotto devono essere specificati i metodi di fissaggio che si prestano all’inserzione
meccanica e alle tecniche di giunzione senza richiedere l’abilità manuale, la destrezza
e l’intelligenza degli assemblatori umani. Di seguito sono riportate alcuni principi e
raccomandazioni che si possono applicare nella progettazione dei prodotti per facilitare
l’assemblaggio automatizzato [6], [10]:

Figura 19.28  I pezzi simmetrici di solito sono più facili da inserire e assemblare: (a) un solo orien-
tamento di rotazione possibile per l’inserimento, (b) due orientamenti possibili, (c) quattro orienta-
menti possibili e (d) infiniti orientamenti rotazionali. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufactu-
ring, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Figura 19.29  (a) Pezzi che tendono ad aggro-


vigliarsi e (b) pezzi progettati per evitare grovi-
gli. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufac-
turing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010.
Ristampato con il permesso di John Wiley &
Sons, Inc.)
572 Tecnologia meccanica

• Progettare prodotti modulari. Se si aumenta il numero delle operazioni diverse


che devono essere fatte da un sistema di assemblaggio automatizzato si riduce l’af-
fidabilità del sistema. Per ridurre il problema dell’affidabilità, Riley [10] suggerisce
di rendere la progettazione del prodotto modulare e di assegnare a ogni modulo o
sottogruppo un massimo di 12 o 13 pezzi da produrre sullo stesso sistema di assem-
blaggio. Inoltre, il sottogruppo dovrebbe essere progettato iniziando da un pezzo di
base a cui man mano vengono aggiunti gli altri componenti.
• Ridurre il numero di componenti da gestire contemporaneamente. La prati-
ca da seguire nell’assemblaggio automatico è quella di separare le operazioni su
stazioni diverse anziché gestire contemporaneamente più componenti sulla stessa
stazione.
• Limitare le direzioni di accesso. Questo significa che il numero di direzioni in
cui vengono aggiunti nuovi componenti al sottogruppo esistente deve essere mi-
nimizzata. Idealmente, tutti i componenti se possibile dovrebbero essere aggiunti
verticalmente dall’alto.
• Componenti di alta qualità. Le buone prestazioni di un sistema di assemblaggio
automatizzato richiedono una buona qualità dei componenti che vengono usati ad
ogni postazione di lavoro. La scarsa qualità dei componenti causa degli inceppa-
menti nei meccanismi di inserimento e di assemblaggio che si traducono in tempi
più lunghi di inattività.
• Uso del fissaggio a scatto. Questo elimina l’uso dei dispositivi di fissaggio fi-
lettati, perché l’assemblaggio diventa un semplice inserimento, di solito dall’alto.
Questo richiede che i pezzi siano progettati con speciali caratteristiche positive e
negative per facilitare l’inserimento e il fissaggio.

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Quality Control and Assembly. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michigan, 1987.

Domande di ripasso
 8. Quali caratteristiche deve avere un fondente per
1. In cosa differiscono la brasatura e la brasatura dol- la brasatura?
ce dai processi saldatura per fusione?  9. Definire la brasatura a immersione.
2. In cosa differiscono la brasatura e la brasatura dol- 10. Definire la saldobrasatura.
ce dai processi di saldatura allo stato solido? 11. Quali sono gli svantaggi e i limiti della brasatura?
3. Qual è la differenza tra la brasatura e la brasatura 12. A cosa serve la punta di un saldatore nella brasa-
dolce? tura dolce manuale?
4. In quali casi la brasatura o la brasatura dolce vanno 13. Che cos’è la brasatura dolce a onda?
meglio della saldatura? 14. Elencare i vantaggi attribuiti alla brasatura dolce
5. Quali sono i due tipi di giunti più usati nella brasa- come processo industriale.
tura? 15. Quali sono gli svantaggi e gli inconvenienti della
6. Per migliorare la resistenza della brasatura, si ese- brasatura dolce?
guono alcuni cambiamenti nella configurazione dei 16. Cosa si intende con il termine adesivo strutturale?
giunti. Quali sono questi cambiamenti? 17. Un adesivo deve reticolare per incollare. Cosa si
7. Il metallo di apporto fuso nella brasatura viene di- intende con il termine reticolazione?
stribuito lungo tutto il giunto per capillarità. Che 18. Quali sono i metodi più utilizzati per reticolare gli
cos’è l’azione capillare? adesivi?
574 Tecnologia meccanica

19. Descrivere le tre categorie di base degli adesivi 28. Cosa sono gli utensili di fissaggio a scatti?
commerciali. 29. Definire la resistenza allo snervamento nel conte-
20. Qual è il presupposto principale per il successo di sto degli elementi di fissaggio filettati.
un’operazione di incollaggio? 30. Quali sono i tre modi in cui un dispositivo di fis-
21. Quali sono i metodi utilizzati per applicare gli ade- saggio filettato può non funzionare durante il fis-
sivi nelle operazioni di produzione industriale? saggio?
22. Descrivere i vantaggi della tecnica dell’incollaggio 31. Che cos’è un rivetto?
rispetto ai metodi alternativi di giunzione. 32. Qual è la differenza tra un accoppiamento a con-
23. Quali sono i limiti dell’incollaggio? trazione e uno a espansione?
24. In cosa differisce l’assemblaggio meccanico dagli 33. Quali sono i vantaggi del fissaggio a scatto?
altri metodi di assemblaggio discussi nei capitoli 34. Qual è la differenza tra la graffatura e la pinzatura
precedenti (saldatura, brasatura ecc.)? industriali?
25. Quali sono i motivi per cui può essere necessario 35. Cosa sono i dispositivi di fissaggio integrali?
che gli assemblaggi debbano essere smontati? 36. Descrivere i principi generali e le linee guida per la
26. Qual è la differenza tecnica tra una vite e un bul- progettazione di un assemblaggio.
lone? 37. Descrivere i principi generali e le linee guida che
27. Che cos’è un perno (nel contesto degli elementi di si applicano specificamente per l’assemblaggio
fissaggio filettati)? automatizzato.

problemi
esterno dell’albero e il diametro interno del collare è
1. Si usa un bullone di 5 mm di diametro per produrre di 0.03 mm. (b) Determinare l’effetto dell’aumento del
un precarico di 250 N. Sapendo che il coefficiente diametro esterno del collare a 39.0 mm sulla pressio-
di coppia è 0.23, determinare la coppia che deve ne radiale e sulla tensione massima effettiva.
essere applicata.  7. Un ingranaggio di alluminio (modulo di elasticità di
2. Una vite in lega di acciaio Metric 10 3 1.5 (di dia- 69,000 MPa) è inserito a pressione su un albero di
metro di 10 mm e passo di 1.5 mm) deve essere alluminio. L’ingranaggio ha un diametro di 55 mm
avvitata in un foro filettato e serrata alla metà del alla base dei denti. Il diametro nominale interno
suo limite di snervamento. In base alla Tabella 19.3, dell’ingranaggio è 30 mm e l’interferenza è 0.10
si ha che il carico di snervamento è 830 MPa. De- mm. Calcolare: (a) la pressione radiale tra l’albe-
terminare la coppia massima che deve essere uti- ro e l’ingranaggio e (b) lo sforzo massima effettiva
lizzata sapendo che il coefficiente di coppia è 0.18. nell’ingranaggio al suo diametro interno.
3. Un bullone Metric 16 3 2 (16 mm di diametro e 2  8. Un collare di acciaio è inserito a pressione su un
mm di passo) è sottoposta ad una coppia di 4448 albero in acciaio. Il modulo di elasticità dell’acciaio
N durante il serraggio. Sapendo che il coefficiente è 210.000 MPa. Il collare ha un diametro interno di
di coppia è 0.24, determinare la tensione di trazione 63,45 mm e l’albero ha un diametro esterno di 63,5
sul bullone. mm. Il diametro esterno del collare è 101,6 mmin.
4. Si vuole precaricare una vite 1/2-13 a una forza di Determinare la pressione radiale (interferenza)
tensione di 453,6 kg. Il coefficiente di coppia è 0.22. sull’assemblaggio e (b) lo sforzo massimo effettiva
Determinare la coppia che deve essere utilizzata sul collare al suo diametro interno.
per serrare il bullone.  9. La resistenza allo snervamento di un certo metallo
5. Il progettista ha precisato che un bullone 3/8-16 a è 236,75 MPa e il suo modulo di elasticità è 22 x
basso contenuto di carbonio (3/8-1 di diametro no- 16,08 MPa. Questo metallo viene usato per realiz-
minale 5 filetti/mm) in una determinata applicazione zare l’anello esterno di un montaggio a pressione
deve essere sottoposto a una tensione fino al suo li- con un albero di accoppiamento fatto dello stesso
mite di snervamento di 228 MPa (dalla Tabella 19.3). metallo. Il diametro nominale interno dell’anello è
Determinare la coppia massima che deve essere uti- 25,4 mm e il suo diametro esterno è 63,5 mm. Uti-
lizzata sapendo che il coefficiente di coppia è 0.25. lizzo un fattore di sicurezza pari a 2.0, determinare
6. Un perno di guida in acciaio (modulo di elasticità di l’interferenza massima che si può avere con que-
209.000 MPa) è inserito a pressione in un collare di sto assemblaggio.
acciaio. Il perno ha un diametro nominale di 16.0 mm 10. Un albero di alluminio ha un diametro di 40.0 mm a
e il collare ha un diametro esterno di 27.0 mm. (a) temperatura ambiente (21°C). Il suo coefficiente di dila-
Calcolare la pressione radiale e la massima tensio- tazione termica è 24.8·10–6 mm/mm per °C. Sapendo
ne effettiva sapendo che l’interferenza tra il diametro che deve essere ridotto di 0.20 mm per essere assem-
Brasatura, brasatura dolce, incollaggio e assemblaggio meccanico 575

blato per espansione in un foro, determinare la tempe- 13. Un collare di acciaio il cui diametro esterno è di 76,2
ratura alla quale l’albero deve essere raffreddato. mm in a temperatura ambiente deve essere fissato
11. Un anello in acciaio ha un diametro interno di 30 per contrazione su un albero in acciaio mediante
mm e un diametro esterno di 50 mm a temperatu- riscaldamento ad una temperatura elevata, mentre
ra ambiente (21°C). Sapendo che il coefficiente di l’albero rimane a temperatura ambiente. Il diametro
dilatazione termica dell’acciaio è 12.1·10 –6 mm/mm dell’albero è 38,1 mm. Per facilitare il fissaggio del
per °C, determinare il diametro interno dell’anello collare quando viene riscaldato ad una temperatura
quando viene riscaldato a 500°C. di 810,93 K, il gioco tra l’albero ed il collare deve
12. Un collare in acciaio deve essere riscaldato dal- essere di 0.0178 mm. Determinare (a) il diametro
la temperatura ambiente (294,26 K) a 644,26 K. Il interno iniziale del la tensione massima effettiva
suo diametro interno è 25,4 mm e il suo diametro sull’accoppiamento di interferenza risultante a tem-
esterno di 41,27 mm. Sapendo che il coefficiente peratura ambiente (294,26 K). Per questo acciaio, il
di dilatazione termica dell’acciaio è 10,72·10 –6 mm/ coefficiente elastico è 210.000 MPa e il coefficiente
mm per K, determinare l’aumento del diametro in- di dilatazione termica 10,72·10 –6 mm/mm per K.
terno del collare.
VII Sistemi di produzione
Sistemi di produzione

Capitolo 20
e pianificazione dei processi

Quest’ultima parte del libro si occupa delle tematiche relative ai sistemi e alle procedure
utilizzate nella produzione. Questi sistemi comprendono le attrezzature di produzione
automatizzate ed informatizzate che eseguono operazioni singole, i gruppi di macchine
e di operatori che eseguono sequenze di operazioni, le pratiche che migliorano l’efficien-
za operativa e i sistemi di supporto alla produzione per la progettazione e controllo delle
operazioni di produzione e la qualità del loro output. In questo capitolo, viene fornita una
panoramica dei sistemi di produzione e della loro organizzazione secondo i diversi tipi
di produzione. In seguito viene esaminata la pianificazione di processo, che si occupa
di determinare come un certo pezzo o prodotto deve essere fabbricato. Infine, questo
capitolo comprende anche due argomenti molto legati alla pianificazione di processo: la
producibilità e la concurrent engineering.

20.1  Panoramica dei sistemi di produzione

Per funzionare in modo efficace, un’azienda di produzione deve avere dei sistemi
che permettono di realizzare efficientemente il suo tipo di produzione. I sistemi di
produzione sono composti dalle persone, le attrezzature e le procedure messe a pun-
to per gestire i processi e i materiali che costituiscono le operazioni di produzione
dell’azienda. I sistemi di produzione possono essere suddivisi in due categorie: (1) gli
impianti di produzione e (2) i sistemi di supporto alla produzione, come mostrato in
Figura 20.1. Gli impianti di produzione si riferiscono alle attrezzature fisiche e alla
loro disposizione nell’azienda. I sistemi di supporto alla produzione sono le proce-
dure utilizzate dall’azienda per gestire la produzione e risolvere i problemi tecnici e
logistici relativi agli ordini dei materiali, allo spostamento dei pezzi nella fabbrica e
alla garanzia che i prodotti soddisfino determinati standard di qualità. Entrambe le
categorie necessitano delle persone per fare funzionare questi sistemi. In genere, ci
sono dei lavoratori diretti che sono responsabili del funzionamento degli impianti
di produzione, e del personale professionale che gestisce i sistemi di supporto alla
produzione.

20.1.1  Impianti di produzione


Gli impianti di produzione sono costituiti dalla fabbrica e dalle attrezzature presenti
nella fabbrica, che comprendono le macchine di produzione, i dispositivi per lo spo-
stamento dei materiali ed altri macchinari. Le attrezzature entrano in contatto fisi-
co diretto con i pezzi e/o i prodotti realizzati. Si può dire che gli impianti «toccano»
i prodotti. Gli impianti comprendono anche il modo in cui le attrezzature vengono
580 Tecnologia meccanica

Sistema di produzione

Figura 20.1  Panoramica Sistemi di supporto Supporto


del sistema di produzione alla produzione alla produzione
diviso nelle sue compo-
nenti: sistemi di supporto Sistemi di controllo
alla produzione, sistemi di qualità
di controllo di qualità e Sistemi
sistemi di produzione. di produzione
(Fonte: Fundamentals of
Modern Manufacturing, Impianti
4th Edition by Mikell P. Materie Prodotti
Groover, 2010. Ristam- Processi di produzione e operazioni di assemblaggio
prime finiti
pato con il permesso di
John Wiley & Sons, Inc.)

disposte all’interno della fabbrica, cioè il layout dell’impianto. Le attrezzature di


solito sono organizzate in gruppi logici, chiamati sistemi di produzione. Questi
comprendono le macchine utensili automatiche, le celle costituite da diverse mac-
chine di produzione e i metodi usati per ridurre gli sprechi nella produzione (come
la produzione snella).
Un’azienda di produzione cerca di progettare i propri sistemi di produzione e orga-
nizzare i propri stabilimenti per gestire ogni impianto nel modo più efficiente. Nel corso
degli anni, alcuni tipi di impianti di produzione sono stati riconosciuti come il modo
più appropriato per gestire una certa combinazione di prodotti e quantità di produzione.
Sono necessari diversi tipi di impianti a seconda della gamma di quantità di produzione:
bassa, media e alta.

Quantità di produzione bassa  Per le basse quantità di produzione (da 1 a 100


unità/anno), il tipo di impianto che viene usato prende il nome di job shop. Un job
shop produce pochi prodotti molto specializzati e personalizzati. I prodotti sono in
genere complessi, come le capsule spaziali, i prototipi degli aerei e i macchinari spe-
ciali. Le attrezzature dei job shop sono general purpose e la forza lavoro è molto
qualificata.
Un job shop deve essere progettato con la massima flessibilità per far fronte
alle ampie variazioni di prodotto richieste (alta varietà di prodotto). Se il prodotto è
grande e pesante, e quindi difficile da spostare, di solito rimane nello stesso posto
durante la fabbricazione e il montaggio. Gli operatori e le attrezzature di lavorazione
sono portati presso il prodotto, anziché spostare il prodotto verso le attrezzature.
Questo tipo di layout prende il nome di layout a punto fisso, ed è mostrato in Figura
20.2 (a). Nel caso estremo, il prodotto può rimanere nello stesso posto durante tutta
la sua produzione. Esempi di questi prodotti sono le navi, gli aerei, le locomotive e
i mezzi pesanti. Nella pratica industriale, questi prodotti vengono di solito costruiti
in moduli di grandi dimensioni in posti fissi e poi riuniti per l’assemblaggio finale
mediante delle gru.
I singoli componenti di questi prodotti di grandi dimensioni di solito vengono re-
alizzati in impianti in cui le attrezzature sono disposte secondo le loro funzionalità o
la tipologia. Questa disposizione è chiamata layout per processo. In questo layout, i
torni sono in un reparto, le fresatrici sono in un altro reparto, e così via, come mostrato
in Figura 20.2 (b). I vari prodotti, ognuno dei quali richiede una diversa sequenza di
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 581

operazioni, vengono mandati ai reparti, di solito in lotti, secondo l’ordine specifico ne-
cessario per la loro produzione. Il layout per processo è noto per la sua flessibilità e può
gestire una grande varietà di sequenze di operazioni per diversi prodotti. Lo svantaggio
è che le macchine e metodi di produzione non sono progettati per raggiungere un’alta
efficienza.

Quantità di produzione media  Per le medie quantità di produzione (da 100 a


10.000 unità all’anno), vengono usati due diversi tipi di impianto, a seconda della varietà
dei prodotti. Quando la varietà dei prodotti è alta, l’approccio più comune è quello della
produzione in lotti, in cui prima viene realizzato un lotto di un certo prodotto e poi
le attrezzature vengono cambiate e si produce un lotto di un altro prodotto, e così via.
Il tasso di produzione delle macchine è maggiore della domanda dei singoli prodotti,
quindi la stessa macchina può essere usata per più prodotti. Il passaggio da un ciclo
di produzione all’altro richiede tempo, il tempo per cambiare gli utensili e impostare
le macchine. Questo tempo di riattrezzaggio risulta tempo sprecato nella produzione,
e costituisce lo svantaggio della produzione in lotti. Questo tipo di produzione viene
usato in situazioni make-to-stock, cioè per realizzare le scorte di magazzino man mano
che i prodotti vengono venduti. Le macchine di solito sono disposte secondo un layout
per processo, come in Figura 20.2 (b).
Se la varietà di prodotti non è molto alta, si può usare un approccio alternativo per
la media produzione. In questo caso infatti non è necessario effettuare molti cambi tra
un prodotto e il successivo. Spesso è possibile configurare il sistema di produzione in
modo che gruppi di prodotti simili possano essere fatti sugli stessi macchinari senza
elevate perdite di tempo dovute alla loro configurazione. La lavorazione o l’assemblag-

Unità Macchinari
Reparti di lavoro di produzione
Prodotto

Attrezzatura
(mobile)
Operatori

(a) (b)

Operatore Stazione di lavoro Macchinari Trasportatore

Cella Cella
(c) Operatori
(d)

Figura 20.2  Vari tipi di layout di impianto: (a) layout a punto fisso, (b) layout per processo, (c) layout a celle e (d) layout per
prodotto. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso
di John Wiley & Sons, Inc.)
582 Tecnologia meccanica

gio di pezzi o di prodotti diversi avviene in celle costituite da più postazioni di lavoro o
più macchine. Il termine spesso utilizzato per indicare questo tipo di produzione è cel-
lular manufacturing. Ogni cella è progettata per produrre un certo numero di varietà
di parti, cioè ogni cella è specializzata nella produzione di un certo insieme di pezzi
simili, secondo i principi della group technology. Il layout prende il nome di layout a
celle, ed è mostrato in Figura 20.2 (c).

Quantità di produzione alta  L’alta quantità di produzione (da 10,000 a milio-


ni di unità l’anno) viene anche definita produzione di massa, specialmente se le
quantità annue superano i 100,000. Questa produzione è caratterizzata da un tasso
di domanda molto alto per il prodotto, e il sistema di produzione è dedicato alla rea-
lizzazione di quel prodotto specifico. Si possono distinguere due categorie della pro-
duzione di massa: la produzione di quantità e la linea di produzione. La produzione
di quantità comporta la produzione di massa di singoli pezzi su singole macchine.
Si tratta di macchine standard (come ad esempio le presse di stampaggio) dotate di
utensili speciali (come stampi e dispositivi di spostamento dei materiali), dedicate
alla produzione di un pezzo specifico. Nella produzione di quantità il layout tipico è
quello per processo.
La linea di produzione coinvolge più macchine o stazioni di lavoro disposte in
sequenza, e le unità di lavoro vengono fisicamente spostate attraverso la sequenza
per completare il prodotto. Le postazioni di lavoro e le attrezzature sono progettate
specificamente per massimizzare l’efficienza della produzione del singolo prodotto.
Il layout è chiamato un layout per prodotto, e le stazioni di lavoro sono disposte in
una lunga fila, come mostrato in Figura 20.2 (d), o in una serie di segmenti di linea
collegati. Il pezzo di solito viene spostato tra le stazioni attraverso un trasporto mec-
canizzato. Ad ogni stazione, viene eseguita una piccola quantità di lavoro su ciascuna
unità di prodotto.
L’esempio più familiare di linea di produzione è la catena di montaggio, associata ai
prodotti come le automobili o gli elettrodomestici. Il caso di linea di produzione pura si
verifica quando non vi è alcuna variazione nei prodotti realizzati sulla linea. Ogni pro-
dotto è identico agli altri, e la linea è nota come linea di produzione a singolo modello.
Spesso però, per vendere meglio un certo prodotto, è utile introdurre delle variazioni di
funzionalità e di modello, in modo che ogni cliente possa scegliere quello che preferi-
sce. Da un punto di vista produttivo, le differenze di funzionalità rappresentano un caso
di leggera varietà di prodotto. Nei casi in cui vi è una leggera varietà di prodotto sulla
linea si usa il termine di linea di produzione a modello misto. Il montaggio moderno
delle automobili ne è un esempio. Le auto che escono dalla catena di montaggio hanno
delle variazioni nelle opzioni e nelle finiture che rappresentano i diversi modelli dello
stesso progetto dell’auto di base.

20.1.2  Sistemi di supporto alla produzione


Per gestire in modo efficiente i suoi impianti, un’azienda deve organizzarsi per pro-
gettare i processi e le attrezzature, pianificare e controllare gli ordini di produzione
e soddisfare i requisiti di qualità del prodotto. Queste funzioni sono realizzate dai
sistemi di supporto alla produzione, cioè le persone e le procedure con cui una so-
cietà gestisce le sue operazioni di produzione. In particolare, i sistemi di supporto
alla produzione sono l’insieme delle procedure e dei sistemi utilizzati da un’azien-
da per risolvere i problemi tecnici e logistici incontrati nella pianificazione dei pro-
cessi, nell’ordine dei materiali, nel controllo della produzione e nella garanzia che
i prodotti siano conformi alle specifiche di qualità richieste. Come per i sistemi
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 583

di produzione delle fabbriche, i sistemi di supporto alla produzione comprendono


le persone che li fanno funzionare. A differenza dei sistemi di produzione delle
fabbriche, la maggior parte dei sistemi di supporto alla produzione non entrano in
contatto diretto con il prodotto durante la sua lavorazione. Invece, essi pianificano
e controllano le attività che vengono svolte in fabbrica per garantire che i prodotti
vengano completati e consegnati in tempo al cliente, nelle giuste quantità e agli
standard di qualità più elevati.
Le funzioni dei sistemi di supporto alla produzione di solito vengono svolte da per-
sonale organizzato in reparti, come le seguenti:
• Ingegneria della produzione. Il dipartimento di ingegneria della produzione è
responsabile della pianificazione dei processi, cioè di decidere quali processi di
produzione devono essere utilizzati per fabbricare i pezzi e assemblare i prodotti.
La pianificazione di processo e l’ingegneria della produzione sono trattati nel para-
grafo 20.2.
• Pianificazione e controllo della produzione. Questo dipartimento è responsa-
bile della logistica nella produzione, cioè l’approvvigionamento dei materiali e
dei componenti, la pianificazione della produzione e la garanzia che i reparti
operativi abbiano la capacità necessaria per soddisfare la programmazione della
produzione.
• Controllo di qualità. La produzione di prodotti di alta qualità dovrebbe essere una
priorità assoluta di qualsiasi azienda di produzione nell’ambiente competitivo di
oggi. Questo significa progettare e costruire prodotti conformi alle specifiche in
grado di soddisfare o superare le aspettative dei clienti.

20.2  Pianificazione di processo

La pianificazione di processo consiste nel determinare i processi di fabbricazione più


appropriati e l’ordine in cui devono essere eseguiti per produrre un pezzo o un prodot-
to secondo le specifiche stabilite dall’ingegneria della produzione. Se si tratta di un
prodotto assemblato, la pianificazione di processo comprende la decisione della giusta
sequenza di fasi di assemblaggio. Il ciclo di lavorazione deve essere sviluppato entro i
limiti imposti dalle attrezzature disponibili per la lavorazione e dalla capacità produtti-
va della fabbrica. I pezzi o i sottogruppi che non possono essere fabbricati internamente
devono essere acquistati da fornitori esterni. In alcuni casi, anche i componenti che
possono essere prodotti internamente vengono acquistati da fornitori esterni per ragioni
economiche o di altro tipo.
La pianificazione del processo di solito viene fatta dal dipartimento di ingegneria
della produzione di un’azienda. L’ingegneria della produzione è una funzione tecnica
di staff che riguarda la pianificazione dei processi di fabbricazione per la produzione
economica di prodotti di alta qualità. Il suo ruolo principale è quello di progettare il pas-
saggio dalle specifiche di progetto al prodotto fisico. Si tratta di una funzione di suppor-
to alla produzione il cui obiettivo principale è ottimizzare la produzione nell’azienda. Il
dipartimento di ingegneria della produzione di solito fa capo al manager della produzio-
ne. In alcune aziende questo dipartimento può assumere nomi diversi, come ingegneria
di processo. Nell’ingegneria della produzione di solito sono incluse la progettazione de-
gli utensili, la fabbricazione degli utensili, e varie altre funzioni di supporto tecnico. Il
campo di applicazione dell’ingegneria della produzione include molte attività e respon-
sabilità che dipendono dal tipo dei processi di produzione eseguiti dall’organizzazione.
Queste attività sono descritte in questa sezione. I tipi di attività della produzione sono
già stati discussi nel Paragrafo 20.1.1.
584 Tecnologia meccanica

TABELLA 20.1  Decisioni ed elementi analizzati nella pianificazione di processo.

Processi e sequenze. Il ciclo di lavorazione deve descrivere sommariamente tutte le fasi di lavorazione utilizzate per l’unità
di lavoro (pezzo o assemblaggio) nell’ordine in cui vengono eseguite.
Selezione delle risorse. Gli ingegneri della produzione cercano di sviluppare dei piani di processo che utilizzano le risorse
esistenti. Se questo non è possibile, il componente in questione deve essere acquistato dall’esterno o devono essere instal-
late nuove attrezzature nell’impianto.
Utensili, matrici, stampi, attrezzi e calibri. Il pianificatore di processo deve decidere quali utensili sono necessari per ogni
processo. La progettazione vera e propria di solito è delegata al reparto di progettazione di utensili.
Utensili da taglio e condizioni di taglio per le lavorazioni con asportazione di truciolo. Questi sono definiti dagli ingegneri
di processo, dagli ingegneri industriali, dai capi officina o dagli operatori delle macchine, spesso con riferimento ai manuali
degli standard.
Metodi. I metodi comprendono i movimenti delle mani e del corpo, la configurazione del luogo di lavoro, la piccola strumen-
tazione, i montacarichi per il sollevamento di pezzi pesanti, e così via. I metodi devono essere specificati per le operazioni
manuali (come l’assemblaggio) e per le parti manuali dei cicli macchina (come il carico e lo scarico del pezzo da una mac-
china). La pianificazione dei metodi viene fatta di solito dagli ingegneri industriali.
Standard di lavoro. Le tecniche per misurare il carico di lavoro sono usate per stabilire i tempi standard di ogni operazione.
Stima dei costi di produzione. Questo di solito viene effettuato da estimatori di costo con l’aiuto del progettista di processo.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

20.2.1  Pianificazione di processo tradizionale


La pianificazione di processo di solito viene fatta dagli ingegneri della produzione che
sono a conoscenza dei processi particolari utilizzati in fabbrica e sono in grado di leg-
gere i disegni tecnici. Sulla base delle loro conoscenze, della loro abilità e della loro
esperienza, sviluppano le fasi di processo nella sequenza più logica necessaria per re-
alizzare ogni pezzo. La Tabella 20.1 elenca i diversi elementi e decisioni che di solito
sono inclusi nel campo di applicazione della pianificazione di processo. Alcune di que-
ste informazioni sono spesso delegate a specialisti, come ad esempio i progettisti degli
utensili, ma l’ingegneria di produzione è responsabile per loro.

Pianificazione di processo dei prodotti  I processi necessari a produrre un certo


prodotto dipendono principalmente dal materiale di cui deve essere fatto. Il materiale è
scelto dal progettista di prodotto in base ai requisiti funzionali che deve avere. Una volta
che il materiale è stato selezionato, la scelta dei processi possibili è notevolmente ridotta.
Una sequenza di lavorazione tipica per fabbricare un pezzo comprende (1) un proces-
so di base, (2) uno o più processi secondari, (3) delle operazioni per migliorare le proprietà
fisiche e (4) delle operazioni di finitura, come illustrato in Figura 20.3. I processi di base
e secondari sono quelli di formatura (Paragrafo 1.2.1) che creano e/o modificano la forma
di un pezzo di partenza. Un processo di base stabilisce la geometria iniziale del pezzo.
Esempi di questi processi sono la fonderia dei metalli, la forgiatura e la laminazione. Nella
maggior parte dei casi, la forma iniziale deve poi essere ulteriormente lavorata tramite
una serie di processi secondari. Queste operazioni trasformano la forma di base nella
forma finale. Vi è una correlazione tra i processi secondari che possono essere utilizzati
e il processo di base che crea la forma iniziale. Ad esempio, quando i processi di base
sono la colata in sabbia o la forgiatura, i processi secondari di solito sono le lavorazioni
per asportazione di truciolo. Se come operazione di base si esegue una laminazione per
produrre strisce o bobine da lamiere di metallo, i processi secondari sono delle operazioni
di stampaggio come la tranciatura, la punzonatura o la piegatura. Le scelta di particolari
processi di base minimizza la necessità di processi secondari.
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 585

Processi
Materia prima Processi Processi Operazioni Prodotto
di miglioramento
iniziale di base secondari di finitura finale
delle proprietà

Figura 20.3  Sequenza tipica di processi necessari alla fabbricazione di un pezzo. (Fonte: Fundamentals of Modern Manufac-
turing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Ad esempio, se come processo di base si esegue uno stampaggio a iniezione pla-


stica, di solito non sono necessarie delle operazioni secondarie perché lo stampaggio
forma già delle caratteristiche geometriche con una buona precisione dimensionale.
Le operazioni di formatura di solito sono seguite da operazioni volte a migliorare le
proprietà fisiche e/o a rifinire il prodotto. Le operazioni per migliorare le proprietà com-
prendono i trattamenti termici su componenti di metallo o di vetro. In molti casi, queste
operazioni di miglioramento non sono necessarie nella loro sequenza di lavorazione dei
pezzi, come indicato dalla freccia alternativa nella figura. Le operazioni di finitura sono le
operazioni finali della sequenza, e di solito sono quelle che rivestono la superficie del pezzo
(o dell’assemblaggio). Esempi di questi processi sono la galvanostegia e la verniciatura.
In alcuni casi, i processi di miglioramento delle proprietà sono seguiti da ulteriori
operazioni secondarie prima di procedere alla finitura, come mostra il circuito di ritor-
no in Figura 20.3. Un esempio di questo caso è un pezzo lavorato meccanicamente che
viene indurito mediante trattamento termico. Prima del trattamento termico, il pezzo
viene lasciato leggermente sovradimensionato per consentire la distorsione. Dopo l’in-
durimento viene ridotto alle dimensioni e tolleranze finali mediante una rettifica di
finitura. Un altro esempio, sempre nella fabbricazione di pezzi metallici, è quando si
utilizza una ricottura per rendere di nuovo duttile il metallo dopo la lavorazione a fred-
do per consentire un’ulteriore deformazione del pezzo.
La Tabella 20.2 presenta alcune delle sequenze di lavorazione tipiche di vari ma-
teriali e processi di base. Il compito del pianificatore di processo inizia generalmente
dopo che il processo di base ha dato la forma iniziale al pezzo. I pezzi lavorati sono in-
zialmente stock di barre o colate o forgiature, e i processi di base che creano queste for-
me iniziali di solito sono esterni all’impianto di fabbricazione. I pezzi stampati iniziano
come bobine o strisce di lamiere acquistate dai laminatoi. Queste sono le materie prime
consegnate dai fornitori esterni per i processi secondari e le successive operazioni da
eseguire in fabbrica. Determinare i processi più appropriati e l’ordine con cui realizzarli

TABELLA 20.2  Alcune sequenze tipiche di processo

Processi di miglioramento Operazioni


Processo di base Processi secondari delle proprietà di finitura
Colata in sabbia Asportazione di truciolo (nessuno) Verniciatura
Colata in stampo (nessuno, net shape) (nessuno) Verniciatura
Colata di vetro Pressatura, stampaggio per soffiatura (nessuno) (nessuno)
Stampaggio a iniezione (nessuno, net shape) (nessuno) (nessuno)
Laminazione di barre Asportazione di truciolo Trattamento termico (opzionale) Galvanostegia
Laminazione di lamiere Tranciatura, piegatura, imbutitura (nessuno) Galvanostegia
Forgiatura Lavorazione (near net shape) (nessuno) Verniciatura
Estrusione di alluminio Taglio in lunghezza (nessuno) Anodizzazione
Atomizzazione di polveri metalliche Pressatura del pezzo PM Sinterizzazione Verniciatura
Fonte [4].
586 Tecnologia meccanica

si basa sulla competenza, l’esperienza e il giudizio del pianificatore di processo. Alcune


delle linee guida di base e delle considerazioni utilizzate dai progettisti di processo per
prendere queste decisioni sono riportate in Tabella 20.3.

Scheda di lavorazione  Il ciclo di lavorazione viene preparato su un apposito mo-


dulo, chiamato scheda di lavorazione (route sheet), di cui la Figura 20.4 mostra un
esempio (alcune aziende usano anche altri nomi per questo modulo). La scheda di la-
vorazione specifica la sequenza delle operazioni e delle attrezzature che saranno usate
per produrre il pezzo. La scheda di lavorazione è per il pianificatore di processo quello
che il disegno di progetto è per il progettista di prodotto. È il documento ufficiale che
specifica i dettagli del piano di lavoro. La scheda di lavorazione deve includere tutte
le operazioni di produzione che devono essere eseguite sul pezzo, elencate nel giusto
ordine in cui devono essere eseguite. Per ogni operazione devono essere elencati i dati
seguenti: (1) una breve descrizione dell’operazione che indica il lavoro da svolgere, le
superfici da lavorare con riferimento al disegno del pezzo e le dimensioni da raggiunge-
re (incluse le tolleranze se non sono specificate sul disegno del pezzo), (2) le macchine
su cui deve essere eseguito il lavoro, e (3) tutti gli utensili e le attrezzature speciali
necessari, come ad esempio matrici, stampi, utensili da taglio, maschere ecc. Inoltre,
alcune aziende aggiungono alla scheda di lavorazione anche gli standard di tempo ciclo,
i tempi di attrezzaggio e altri dati.

TABELLA 20.3  Linee guida e considerazioni per la scelta dei processi e della loro sequenza nella progettazione di processo.

Requisiti di progetto. La sequenza dei processi deve soddisfare le dimensioni, le tolleranze, la finitura superficiale e le altre
specifiche stabilite nella progettazione del prodotto.
Requisiti di qualità. I processi devono essere selezionati in modo da soddisfare i requisiti di qualità in termini di tolleranze, inte-
grità della superficie, coerenza e ripetibilità, e altre misure di qualità.
Volume di produzione e ritmo produttivo. Il prodotto si trova nella categoria di produzione bassa, media o alta? La scelta dei
processi e dei sistemi di produzione dipende molto dai volumi e dai tassi di produzione richiesti.
Processi disponibili. Se il prodotto e i suoi componenti devono essere fatti in casa, il progettista di processo deve selezionare i
processi e le attrezzature già presenti in fabbrica.
Utilizzo del materiale. È auspicabile che la sequenza del processo faccia un uso efficiente dei materiali per minimizzare gli spre-
chi. Se possibile, è meglio usare processi net shape o near net shape.
Vincoli di precedenza. Questi sono requisiti di sequenza tecnologica che determinano o limitano l’ordine in cui si possono ese-
guire le fasi della lavorazione. Ad esempio, un foro deve prima essere forato e dopo filettato, una polvere metallica deve prima
essere pressata e poi sinterizzata, una superficie deve essere prima pulita e poi verniciata, e così via.
Superfici di riferimento. Alcune superfici del pezzo devono essere formate (solitamente per asportazione di truciolo) all’inizio
della sequenza in modo che facciano da riferimento per localizzare altre superfici che vengono formate in seguito. Ad esempio,
per realizzare un foro ad una certa distanza dal bordo di un certo pezzo, quel bordo deve prima essere lavorato per asportazione.
Ridurre al minimo gli attrezzaggi. Il numero di attrezzaggi diversi dei macchinari va minimizzato. Dove possibile, le operazioni
vanno eseguite sulla stessa stazione di lavoro. Questo consente di risparmiare tempo e riduce lo spostamento dei materiali.
Eliminare i passaggi inutili. La sequenza di processo deve essere progettata usando il minimo numero di fasi di lavorazione,
evitando quindi le operazioni inutili. Si possono richiedere delle variazioni di progetto per rimuovere le caratteristiche del prodotto
non assolutamente necessarie, in modo da eliminare le fasi di lavorazione associate a queste caratteristiche.
Flessibilità. Se possibile, il processo deve essere sufficientemente flessibile per adattarsi ai cambiamenti di progettazione. Que-
sto spesso è un problema se si devono progettare degli utensili speciali per produrre il pezzo. Se il progetto del pezzo viene
modificato, probabilmente andranno cambiati anche gli utensili per realizzarlo.
Sicurezza. Nella scelta dei processi va considerata anche la sicurezza dei lavoratori, sia per un ritorno economico, sia perché così
stabilisce la legge sulla sicurezza sul lavoro e sulla salute.
Costo minimo. La sequenza di processo ottimale è quella che soddisfa tutti i requisiti sopra elencati e permette di fabbricare il
prodotto a costo minimo.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 587

Figura 2 0.4  Esempio


di scheda per un ciclo
di lavorazione. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi-
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)

A volte viene prodotta anche una scheda di funzionamento più dettagliata per ogni
operazione elencata nella scheda di lavorazione. Questa viene trattenuta nel reparto
specifico di lavorazione del pezzo. Indica i dettagli specifici dell’operazione, come la
velocità di taglio, l’avanzamento, gli utensili e altre istruzioni utili per l’operatore. A
volte include anche degli schizzi utili per l’attrezzaggio.

Pianificazione di processo per l’assemblaggio  Per le basse produzioni, l’as-


semblaggio viene eseguito direttamente nelle singole postazioni di lavoro dove un la-
voratore singolo o un gruppo di lavoratori realizzano i componenti che formano il pro-
dotto. Per le produzioni medie e alte, l’assemblaggio viene invece eseguito sulle linee di
produzione. In entrambi i casi c’è un ordine di precedenze da rispettare.
La pianificazione del processo di assemblaggio riguarda la preparazione delle
istruzioni di assemblaggio che devono essere eseguite. Per le stazioni singole, il piano
è simile alla scheda di lavorazione riportata in Figura 20.4. Contiene un elenco delle
fasi dell’assemblaggio nell’ordine in cui devono essere eseguite. Per l’assemblaggio in
linea, la pianificazione di processo consiste nell’assegnare i lavori alle stazioni speci-
fiche lungo la linea, secondo una procedura chiamata bilanciamento della linea (line
balancing). In effetti, la linea di assemblaggio sposta le unità di lavoro attraverso le
singole stazioni, e il bilanciamento della linea determina quali fasi di assemblaggio de-
vono essere eseguite da ogni stazione. Come nella pianificazione di processo dei pezzi,
anche per la pianificazione dell’assemblaggio bisogna decidere gli utensili e i dispositivi
necessari a realizzare un determinato assemblaggio, oltre alla progettazione del layout
del luogo in cui avviene l’assemblaggio.

20.2.2  Scelta di Make or buy


Inevitabilmente ci si pone la domanda se convenga acquistare un pezzo da un fornitore
esterno o produrlo internamente. Intanto si può dire che quasi tutti i produttori acquista-
no i loro materiali iniziali da fornitori esterni. Un costruttore di macchinari compra gli
588 Tecnologia meccanica

stock di barre da un fornitore di metalli e i pezzi grezzi da una fonderia. Un’azienda che
stampa plastiche compra i composti da stampaggio da una società chimica, chi stampa
lamiere le acquista da un laminatoio. Pochissime aziende sono integrate verticalmente
lungo tutto la filiera dalle materie prime al prodotto finito.
Dato che una società acquista almeno alcune delle sue materie prime da fornitori
esterni, è ragionevole chiedersi se converrebbe acquistare anche alcuni dei pezzi che usa
anziché realizzarli internamente. La risposta a questa domanda è data dalla scelta di
Make or buy. Questa scelta va fatta praticamente per ogni componente usato dall’azienda.
Il costo è il fattore più importante nel decidere se un pezzo debba essere fatto in
casa o acquistato. Se c’è un fornitore esterno che è molto più abile nei processi necessari
a produrre il componente in esame, è probabile che il suo costo di produzione interna
all’azienda sarà maggiore del prezzo di acquisto anche considerando l’utile del vendito-
re. D’altra parte, se l’acquisto esterno causa un’inattività delle attrezzature interne, allo-
ra un vantaggio di costo apparente può rivelarsi uno svantaggio per l’azienda. Vediamo
come prendere queste decisioni considerando l’esempio seguente.

Esempio 20.1 Confronto tra i costi di Make or buy


Supponiamo che il prezzo richiesto da un fornitore esterno per un certo componente
sia di $ 8.00 al pezzo per 1000 unità. Lo stesso pezzo realizzato internamente sareb-
be costato $ 9.00. La ripartizione del costo dell’alternativa di realizzazione interna è
la seguente:
Costo del materiale = $ 2.25 per unità
Costo diretto del lavoro = $ 2.00 per unità
Costi indiretti legati al lavoro al 150% = $ 3.00 per unità
Costo fisso delle attrezzature = $ 1.75 per unità
Totale = $ 9.00 per unità
Sulla base di questi dati, è più conveniente comprare il componente o farlo in casa?

Soluzione: Sebbene il costo del venditore sembri favorire la decisione dell’acquisto,


consideriamo anche il suo effetto sulla fabbrica. Il costo delle attrezzature fisse è un
costo di ammortamento relativo ad un investimento che è già stato fatto. Se si decides-
se di acquistare il pezzo, l’attrezzatura rimarrebbe inutilizzata ed il costo fisso di $ 1.75
andrebbe comunque considerato. Allo stesso modo, anche il costo aggiuntivo di $ 3.00
rimarrebbe perché comprende gli spazi sul pavimento, la manodopera indiretta e gli altri
costi che continuerebbero ad essere presenti anche se il pezzo venisse acquistato. Se-
condo questo ragionamento, la decisione di acquistare il pezzo costerebbe all’azienda
se le attrezzature non venissero utilizzate $ 8.00 + $ 1.75 + $ 3.00 = $ 12.75.
D’altra parte, se invece le attrezzature potessero essere utilizzate per produrre
altri componenti per cui il costo di produzione interno risultasse inferiore a quello di
acquisto esterno, allora la decisione di acquisto sarebbe giustificata dal punto di vista
economico.

Le decisioni Make or buy di solito non sono così semplici come quelle descritte
nell’Esempio 20.1. Ci sono altri fattori che influenzano la decisione, alcuni dei quali
sono riportati in Tabella 20.4. Sebbene questi fattori sembrino essere molto specifici,
hanno tutti delle implicazioni di costo sia diretti che indiretti. Negli ultimi anni, le
grandi aziende hanno investito molto nella creazione di stretti rapporti con i fornitori.
Questa tendenza si è diffusa particolarmente nel settore automobilistico, in cui sono
stati raggiunti accordi a lungo termine tra ogni casa automobilistica e un certo numero
di fornitori in grado di fornire componenti di alta qualità nei tempi previsti.
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 589

TABELLA 20.4  Fattori decisivi per la decisione Make or buy.

Fattore Spiegazione ed effetto sulla decisione Make or buy


Processo disponibile in casa Se un certo processo non è disponibile internamente, la decisione ovvia è quella di com-
prarlo da fornitori esterni. I fornitori spesso sviluppano competenze su una serie limitata
di processi che li rende competitivi sui costi. Ci sono delle eccezioni a questa linea guida,
ad esempio quando una società decide che, nella sua strategia a lungo termine, dovrà
sviluppare una competenza specifica su una tecnologia di processo di produzione che
attualmente non possiede.
Quantità di produzione Numero di unità richieste. I volumi alti tendono a favorire la scelta del Make, mentre quelli
bassi la scelta del Buy.
Vita del prodotto Una vita lunga del prodotto è a favore della produzione interna.
Articoli standard Gli articoli che sono standard di catalogo, come i bulloni, le viti, i dadi, e molti altri tipi di
componenti, sono prodotti molto più economicamente da fornitori specializzati. Quindi è
quasi sempre meglio optare per l’acquisto esterno di questi articoli standard.
Affidabilità del fornitore Se il fornitore è affidabile gli si può affidare il lavoro.
Alternative In alcuni casi, le aziende acquistano dei pezzi da fornitori esterni in alternativa ad usare
i propri impianti di produzione. Questo può servire ad assicurare un flusso continuo di
pezzi o a gestire al meglio la produzione nei periodi di picco della domanda.
(Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

20.2.3  Pianificazione di processo computer-aided


Negli ultimi decenni vi è stato un notevole interesse nella computer-aided process
planning (CAPP), cioè nell’automatizzazione della pianificazione mediante sistemi
informatici. Per non perdere le competenze delle persone quando queste vanno via
dall’azienda, si sono sviluppati i sistemi CAPP. I sistemi CAPP sono progettati secondo
uno dei due approcci seguenti: sistemi varianti e sistemi generativi.

Sistemi CAPP varianti  I sistemi CAPP varianti si basano sulla group technology e
sulla codifica e classificazione dei pezzi. In questi sistemi, un piano di lavoro standard viene
memorizzato in archivi informatici per ogni codice articolo. Il numero di codice identifica
le caratteristiche di un pezzo, come il tipo di materiale, la forma, le dimensioni principali,
le tolleranze e la quantità di produzione. Questi dati sono la base per determinare quale
sequenza di processi di produzione deve essere utilizzata per produrre il pezzo. I piani stan-
dard sono basati sulle schede di lavorazione utilizzate correntemente in fabbrica, o su un
piano ideale che viene preparato per ogni codice articolo. I sistemi CAPP varianti operano
come indicato in Figura 20.5. L’utente inizia identificando il codice GT del pezzo per cui si
deve determinare il ciclo di lavoro. Viene eseguita una ricerca sulla famiglia del prodotto per
vedere se esiste già una sequenza standard per quel codice. Se l’archivio contiene un ciclo
di lavorazione per il pezzo, questo viene aperto e visualizzato dall’utente. Il ciclo di lavoro
standard viene quindi esaminato per decidere se devono essere fatte delle modifiche. Anche
se il nuovo pezzo ha lo stesso codice, ci potrebbero essere delle piccole differenze nei pro-
cessi di produzione. Il ciclo standard viene quindi modificato di conseguenza. La capacità
di modificare un ciclo di lavorazione esistente per la fabbricazione del pezzo in analisi è il
motivo per cui questi sistemi sono chiamati CAPP varianti.
Se l’archivio non contiene un ciclo di lavorazione standard per il codice specificato,
l’utente può cercare se esiste un ciclo standard per un codice simile. Modificando un
ciclo esistente oppure partendo da zero, l’utente sviluppa il ciclo di lavorazione per il
nuovo pezzo, che diventa il piano di lavoro standard per quel codice.
Il passo finale è la formattazione del ciclo di lavorazione, che consente di stampare la sche-
da di lavorazione nel formato corretto. In questa fase è possibile richiamare altri programmi
applicativi, ad esempio per determinare le condizioni di taglio per le operazioni delle macchine
utensili, per calcolare i tempi standard per i cicli di lavorazione o stimare i costi di lavorazione.
590 Tecnologia meccanica

File della File del ciclo Altri


famiglia di lavorazione programmi
del pezzo standard applicativi

Ricerca del file Recupero Modifica del Ciclo


Identificazione Formattazione di lavorazione
della famiglia del ciclo piano esistente
del codice GT del ciclo (scheda
del pezzo per di lavorazione o creazione
del pezzo di lavorazione di lavorazione)
il codice GT standard del nuovo piano

Figura 20.5  Funzionamento di un sistema CAPP variante. Fonti: [3], [4] . (Fonte: Fundamentals of Modern Manufacturing, 4th
Edition by Mikell P. Groover, 2010. Ristampato con il permesso di John Wiley & Sons, Inc.)

Sistemi CAPP generativi  I sistemi CAPP generativi sono un’alternativa ai sistemi


CAPP varianti. Anziché cercare e modificare dei piani esistenti in un database, un si-
stema generativo crea il ciclo di lavorazione usando delle procedure sistematiche simili
a quelle che potrebbero essere seguite da un pianificatore umano. In un sistema CAPP
totalmente generativo, la sequenza dei processi di lavorazione viene pianificata senza
alcun intervento umano e senza usare cicli standard predefiniti.
La progettazione di un sistema CAPP generativo è un problema nel campo dei si-
stemi esperti, a loro volta parte dell’intelligenza artificiale. I sistemi esperti sono pro-
grammi in grado di risolvere problemi complessi che normalmente sono risolti da un
essere umano con anni di formazione e di esperienza. La pianificazione di processo
rispecchia pienamente questa definizione. Ad un sistema CAPP totalmente generativo
sono necessari molti elementi.
1. Base di conoscenze. Le conoscenze tecniche sulla produzione e le logiche utilizzate dagli
esperti progettisti di processo devono essere identificate e codificate in un programma
software. Un sistema esperto applicato alla pianificazione di processo richiede che la co-
noscenza e la logica dei pianificatori umani siano immagazzinate in una base di cono-
scenze. I sistemi CAPP generativi fanno poi uso di questa base di conoscenze per risolvere
i problemi di pianificazione di processo, cioè per creare le schede di lavorazione.
2. Descrizione del pezzo compatibile per computer. La pianificazione di processo
generativa richiede che il pezzo sia descritto in modo adatto per essere interpretato
da un computer. La descrizione deve contenere tutti i dati pertinenti necessari alla
pianificazione della sequenza di processo per un nuovo pezzo. Esistono due possi-
bili descrizioni (1) il modello geometrico del pezzo sviluppato con un sistema CAD
durante la progettazione del prodotto o (2) un codice di group technology del pezzo
che definisce le sue caratteristiche in modo sufficientemente dettagliato.
3. Motore di inferenza. Un sistema CAPP generativo richiede la capacità di applicare
la logica di pianificazione e la conoscenza dei processi contenuta nella base di co-
noscenze per una certa descrizione di prodotto. Il sistema CAPP applica la propria
base di conoscenze per risolvere un problema specifico di nuova pianificazione di
processo. Questa procedura di risoluzione dei problemi è denominata motore di
inferenza nella terminologia dei sistemi esperti. Utilizzando la base di conoscenze
e il motore di inferenza, il sistema CAPP è in grado di creare un nuovo ciclo di
lavorazione per ogni nuovo pezzo analizzato.

Vantaggi del CAPP  I vantaggi dei sistemi CAPP sono i seguenti: (1) una razionaliz-
zazione e standardizzazione dei processi – l’automatizzazione del processo di pianifi-
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 591

cazione porta alla creazione di cicli di lavorazione più logici e coerenti rispetto a quelli
creati con il metodo tradizionale, (2) una maggiore produttività dei pianificatori di pro-
cesso – l’approccio sistematico e la disponibilità di cicli standard negli archivi consen-
tono agli utenti di sviluppare più velocemente i cicli di lavorazione, (3) dei tempi ridotti
di consegna dei cicli di lavorazione, (4) una migliore leggibilità rispetto alle schede di
lavorazione compilate manualmente e (5) la capacità dei sistemi CAPP di interfacciarsi
con altri programmi applicativi, come il calcolo dei costi, gli standard di lavoro e altri.

20.2.4  Problem solving e miglioramento continuo


Durante la produzione sorgono dei problemi che richiedono il supporto di personale
tecnico più di quanto sia disponibile nell’organizzazione dei reparti produttivi. Fornire
questo supporto tecnico è responsabilità dell’ingegneria della produzione. I problemi
di solito sono specifici per le particolari tecnologie dei processi eseguiti nei reparti
operativi. Nelle lavorazioni per asportazione di truciolo, i problemi possono riguardare
la scelta degli utensili da taglio, le attrezzature che non funzionano correttamente, i
pezzi con dimensioni che non rispettano le tolleranze, o le condizioni non ottimali di
taglio. Nello stampaggio plastico, i problemi possono essere le bave eccessive, i pezzi
incollati allo stampo o qualsiasi dei numerosi difetti che possono verificarsi in un pezzo
stampato. Questi problemi sono di carattere tecnico e per risolverli spesso servono delle
competenze ingegneristiche.
In alcuni casi, la soluzione può richiedere una modifica del progetto, ad esempio
modificare la tolleranza di una dimensione di un pezzo per eliminare un’operazione di
rettifica di finitura sempre mantenendo la funzionalità del pezzo. L’ingegnere della pro-
duzione è responsabile di trovare le giuste soluzioni ai problemi e proporre le modifiche
al reparto di progettazione.
Oltre a risolvere i problemi tecnici che si verificano (in pratica un «sistema antin-
cendio»), il reparto di ingegneria della produzione è anche responsabile dei progetti di
miglioramento continuo. Miglioramento continuo significa essere costantemente alla
ricerca e alla sperimentazione di metodi per ridurre i costi, migliorare la qualità e au-
mentare la produttività della produzione. Il miglioramento si realizza un progetto alla
volta. A seconda del tipo di problematica, può coinvolgere un team di progetto la cui
appartenenza include non solo gli ingegneri della produzione, ma anche altro personale
come i progettisti, gli ingegneri della qualità e gli operai della produzione.
Una delle aree che necessita di miglioramenti è il tempo di attrezzaggio. Le proce-
dure per il passaggio da una configurazione di produzione alla successiva (come nella
produzione a lotti) sono lunghe e costose. Gli ingegneri della produzione sono respon-
sabili dell’analisi di procedure alternative e di trovare i modi per ridurre il tempo neces-
sario alla loro esecuzione.

20.3 Concurrent engineering e producibilità

Gran parte della funzioni della pianificazione di processo descritte nel Paragrafo 20.2
sono limitate dalle decisioni prese in fase di progettazione del prodotto. Infatti le decisioni
sul materiale, la geometria, le tolleranze, la finitura superficiale, il raggruppamento di
componenti in sottoassiemi e le tecniche di assemblaggio limitano i processi di produ-
zione che possono essere usati per realizzare un certo pezzo. Se l’ingegnere di prodotto
progetta una colata in sabbia di alluminio con caratteristiche che possono essere raggiunte
solo tramite una successiva lavorazione per asportazione di truciolo (come delle superfici
piane con ottime finiture, delle tolleranze strette o dei fori filettati), il progettista di pro-
cesso non ha altra scelta che pianificare la colata in sabbia seguita dalle lavorazioni richie-
592 Tecnologia meccanica

ste. Se il progettista specifica che un insieme di pezzi stampati in lamiera siano assemblati
con dispositivi di fissaggio filettati, il progettista di processo deve pianificare la serie di
tranciature, punzonature e altri processi di formatura per fabbricare gli stampati e poi as-
semblarli. In entrambi questi esempi, se si fosse progettato uno stampaggio in plastica sa-
rebbe stato meglio sia funzionalmente che economicamente. È importante che l’ingegnere
della produzione agisca anche come consulente per il progettista di prodotto per gli aspetti
di producibilità, importanti non solo per i reparti produttivi ma anche per l’ingegnere di
prodotto. Il progetto di un prodotto che è superiore dal punto di vista funzionale e allo
stesso tempo può essere prodotto ad un costo minore ha più possibilità di avere successo
sul mercato. Inoltre, una buona carriera nel campo dell’ingegneria di progettazione si basa
su prodotti che hanno successo sul mercato.
I termini che vengono associati a questo tentativo di influenzare favorevolmente
la producibilità di un prodotto sono il design for manufacturing (DFM) ed il design
for assembly (DFA). Naturalmente, il DFM ed il DFA sono molto legati, quindi faremo
riferimento sempre a entrambi come DFM/A. Il campo di applicazione degli approcci
DFM/A si è espanso in alcune aziende tanto da includere non solo i problemi di pro-
ducibilità, ma anche quelli di commerciabilità, testabilità, funzionalità, manutenibilità
e così via. Questa visione più ampia richiede gli input da molti reparti, oltre alla pro-
gettazione e all’ingegneria della produzione. L’approccio viene chiamato concurrent
engineering. In questa sezione la discussione è organizzata intorno a questi due temi:
DFM/A e concurrent engineering.

20.3.1  Design for manufacturing e Design for assembly


Il DFM/A è un approccio alla progettazione prodotto che include sistematicamente delle
considerazioni aggiuntive sulla convenienza della produzione e dell’assemblaggio già
dalle prime fasi di progettazione. Il DFM/A implica dei cambiamenti organizzativi e dei
principi di progettazione e linee guida.
Per implementare una progettazione DFM/A, un’azienda deve cambiare la sua
struttura organizzativa, formalmente o informalmente, per fornire una più stretta in-
terazione e una migliore comunicazione tra il personale della progettazione e della
produzione. Questo viene spesso realizzato formando dei team di progetto composti
da progettisti di prodotto, ingegneri della produzione e altre figure (come ingegneri
della qualità o esperti di materiali) che si occupano della progettazione del prodotto. In
alcune aziende, i progettisti devono passare parte della loro carriera nella produzione
per diventare consapevoli dei problemi che si incontrano nella realizzazione pratica dei
prodotti. Un’altra possibilità è quella di assegnare degli ingegneri della produzione ai
reparti di progettazione del prodotto come consulenti a tempo pieno.
Il DFM/A comprende anche i principi e le linee guida che indicano come effettuare
la progettazione di un certo prodotto per ottenere la massima producibilità. Molti di
questi sono consigli generali di progettazione, come quelli presentati in Tabella 20.5. Si
tratta di regole pratiche che possono essere applicate a quasi tutti i casi di progettazione
di prodotto. Inoltre, molti dei nostri capitoli sui processi produttivi includono dei prin-
cipi di DFM/A specifici per ogni processo.
A volte può succedere che le linee guida siano in conflitto. Ad esempio, una delle
linee guida per la progettazione di un pezzo è quello di rendere la forma più semplice
possibile. Invece nel design for assembly, è meglio combinare caratteristiche diverse in
un unico componente per ridurre il numero di pezzi e il tempo di assemblaggio. Però
tale scelta porta ad avere una forma risultante più complessa. In questi casi, il design for
manufacturing è in conflitto con il design for assembly, e bisogna trovare un compro-
messo per ottenere l’equilibrio migliore tra i due requisiti opposti.
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 593

I vantaggi della DFM/A sono (1) il minor tempo richiesto per fare uscire il prodot-
to sul mercato, (2) la transizione graduale verso la produzione, (3) il minor numero di
componenti nel prodotto finale, (4) la facilitazione del montaggio, (5) la riduzione dei
costi di produzione, (6) la qualità superiore del prodotto e (7) la maggiore soddisfazione
del cliente [1].

20.3.2  Concurrent enegineering


La concurrent engineering si riferisce ad un approccio alla progettazione di prodotto in
cui le imprese cercano di ridurre il tempo necessario a lanciare un nuovo prodotto sul
mercato, integrando le funzioni di progettazione del prodotto, della produzione e altre
funzioni. L’approccio tradizionale per lanciare un nuovo prodotto tende a separare le
due funzioni, come illustrato in Figura 20.6 (a). Il reparto di progettazione del prodotto
sviluppa il nuovo progetto, spesso senza tenere conto delle tecnologie produttive. Di

TABELLA 20.5  Principi generali e linee guida nel design for manufacturing e design for assembly.

Minimizzare il numero dei componenti. Questo riduce i costi di assemblaggio e il prodotto finale è più affidabile perché
ci sono meno connessioni. Lo smontaggio per le manutenzioni è più facile. Il ridotto numero di componenti di solito porta ad
una maggiore facilità di implementazione dell’automazione. Il processo di lavorazione si riduce e ci sono meno problemi di
controllo dei magazzini. Si deve acquistare un numero minore di componenti e questo riduce i costi di approvvigionamento.
Utilizzare componenti standard disponibili in commercio. In questo modo il tempo e il lavoro di progettazione si riduce.
La progettazione di componenti ad hoc non è concessa. Ci sono meno codici articolo e la gestione dei magazzini risulta più
facile. Inoltre, si possono ottenere sconti sulle grandi quantità.
Utilizzare gli stessi componenti su più linee di prodotto. La group technology può essere applicata per questo scopo. Si
possono creare delle celle di produzione. Si possono ottenere sconti sulle grandi quantità.
Progettare pezzi facili da produrre. Processi net shape o near net shape possono essere utilizzati. La geometria del pez-
zo risulta semplificata e si devono evitare forme inutili. Occorre evitare di impostare dei requisiti di finitura superficiale non
necessari, per non dover aggiungere delle lavorazioni successive.
Progettare pezzi facili con tolleranze realizzabili. Si deve evitare di impostare delle tolleranze più rigorose rispetto alla
capacità del processo, altrimenti si causa l’aggiunta di altre fasi di lavorazione o smistamento. Meglio specificare delle tol-
leranze bilaterali.
Progettare il prodotto per un semplice assemblaggio a prova di errore. L’assemblaggio deve risultare chiaro. I compo-
nenti devono essere progettati in modo che possano essere assemblati in un unico modo. A volte devono essere aggiunte ai
componenti delle particolari caratteristiche geometriche per permettere un assemblaggio a prova di errore.
Ridurre al minimo l’uso di componenti flessibili. I componenti flessibili includono i pezzi di gomma, le cinghie, le guarni-
zioni, i cavi, ecc. e sono generalmente più difficili da manipolare e assemblare.
Progettare pezzi facili da assemblare. Sugli accoppiamenti devono essere previsti degli smussi e delle conicità. L’as-
semblaggio va progettato usando dei pezzi di base a cui aggiungere man mano gli altri componenti. Il gruppo deve essere
progettato in modo che i componenti vengano aggiunti da un’unica direzione, di solito verticale. Si deve cercare di evitare,
per quanto possibile, l’uso di elementi di fissaggio filettati (viti, bulloni e dadi), specialmente quando si usa l’assemblaggio
automatizzato. È meglio usare tecniche di assemblaggio veloci come l’accoppiamento a scatto o l’incollaggio. Il numero di
elementi di fissaggio diversi va minimizzato.
Utilizzare una progettazione modulare. Ogni sottogruppo deve essere composto da un numero di pezzi compreso tra
cinque e quindici. In questo modo la manutenzione e la riparazione sono facilitate. L’assemblaggio automatico e manuale
vengono implementati più facilmente. I requisiti di magazzino sono ridotti. Il tempo di assemblaggio finale è ridotto al minimo.
Progettare pezzi e prodotti facili da confezionare. Il prodotto deve essere progettato in modo che si possano usare i
cartoni da imballaggio standard, compatibili con le macchine di confezionamento automatico. Così la spedizione al cliente
è più facile.
Eliminare o ridurre la regolazione. Le operazioni di regolazione richiedono molto tempo durante il montaggio ed aumen-
tano inoltre le possibilità di regolazioni sbagliate.
Fonti [1], [8].
594 Tecnologia meccanica

solito c’è poca interazione tra i progettisti e gli ingegneri della produzione che potreb-
bero fornire consigli sulle tecnologie produttive e su come modificare il progetto del
prodotto per tenerne conto. È come se ci fosse un muro tra le due funzioni: quando la
progettazione completa il progetto, passa i disegni e le specifiche dall’altra parte del
muro e solo in quel momento può iniziare la pianificazione di processo.
In un’azienda che pratica la concurrent engineering, la pianificazione della produ-
zione inizia mentre è ancora in corso la progettazione del prodotto, come illustrato in
Figura 20.6 (b). L’ingegneria della produzione viene coinvolta nelle prime fasi del ciclo
di sviluppo del prodotto. Vengono anche coinvolte altre funzioni, come il servizio sul
campo, l’ingegneria della qualità, i reparti della produzione, i fornitori che forniscono
i componenti critici e in alcuni casi anche i clienti che utilizzeranno il prodotto. Tut-
te queste funzioni possono contribuire ad una progettazione di prodotto che non solo
abbia delle buone caratteristiche funzionali, ma sia anche realizzabile, assemblabile,
ispezionabile, verificabile, utilizzabile, di facile manutenzione, privo di difetti e sicuro.
Tutti i punti di vista vengono integrati per la progettazione di un prodotto di alta qualità
che consentirà di ottenere la soddisfazione del cliente. È attraverso un coinvolgimento
iniziale, piuttosto che mediante una procedura di revisione finale del progetto che ar-
riverebbe troppo tardi per realizzare in modo conveniente delle modifiche, che l’intero
ciclo di sviluppo del prodotto viene notevolmente ridotto.

Muro

Pianificazione di processo Produzione


Progettazione di prodotto
dell’ingegneria della produzione e assemblaggio

Servizio
sul campo Fornitori

Ingegneri
della qualità

Progettazione di prodotto

Figura 20.6  Confronto


tra: (a) ciclo tradizionale Pianificazione di processo Produzione
di sviluppo del prodot- dell’ingegneria della produzione e assemblaggio
to e (b) ciclo di sviluppo
del prodotto con concur- Disponibilità
Inizio della progettazione del prodotto
rent engineering. (Fonte:
Fundamentals of Modern
Manufacturing, 4th Edi- Tempo
Tempo di lancio del prodotto, concurrent engineering
tion by Mikell P. Groover,
2010. Ristampato con il Tempo di lancio del prodotto, ciclo tradizionale di progettazione e produzione
permesso di John Wiley
& Sons, Inc.)
Sistemi di produzione e pianificazione dei processi 595

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[10] Tanner, J. P. Manufacturing Engineering, 2nd ed. CRC Taylor & Francis, Boca Raton,
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[11] Usher, J. M., Roy, U., and Parsaei, H. R. (eds.). Integrated Product and Process Develop-
ment. John Wiley & Sons, Inc., New York, 1998.
[12] Veilleux, R. F., and Petro, L. W. Tool and Manufacturing Engineers Handbook, 4th ed.,
Vol. V, Manufacturing Management. Society of Manufacturing Engineers, Dearborn, Michi-
gan, 1988.

Domande di ripasso
  9 Qual è la differenza tra un processo di base e un
1 Dare una definizione del termine sistemi di produzione. processo secondario?
2 Quali sono le due categorie di sistemi di produzione? 10 Che cos’è un vincolo di precedenza nella pianifica-
3 Descrivere i quattro tipi di layout di impianti più diffusi zione di processo?
nelle fabbriche. Quali tipi di produzione sono di solito 11 Nella decisione di Make or buy, perché può succe-
associate ad ogni layout? dere che l’acquisto di un componente da un forni-
4 Dare una definizione del termine sistemi di supporto tore esterno potrebbe essere più costoso che pro-
alla produzione. durlo internamente, anche se il prezzo richiesto dal
5 Che cos’è la pianificazione di processo? fornitore è inferiore al prezzo interno?
6 Dare una definizione del termine ingegneria della 12 Identificare i fattori che devono essere presi in con-
produzione. siderazione nella decisione di Make or buy.
7 Descrivere nel dettaglio la pianificazione di processo 13 Descrivere almeno tre principi generali e linee gui-
e le decisioni ad essa connesse. da nella progettazione design for.
8 Che cos’è una scheda di lavorazione? 14 Che cos’è la concurrent engineering?
indice analitico

Acciai Argilla, 8, 39-40, 150-151, 198, 209, 226-231, 234, 433


ad alta lavorabilità, 349, 392, 420 Arricciatura, 307-308
debolmente legati ad alta resistenza, 29 Assemblaggio, 4, 10, 13-15, 85, 93, 114, 117, 384, 495, 497-498,
inossidabili austenitici, 30, 340, 503 518, 520-521, 533, 537, 549, 552-553, 557, 559-562, 564-572,
inossidabili ferritici, 30 580, 583-585, 587, 591-594
inossidabili martensitici, 30, 503 automatico, 570-572, 593
maraging, 24 automatizzato, 571-572, 593
super-rapidi, 31 meccanico, 14-15, 495, 557, 567, 570,
Acciaio inossidabile, 29, 64, 66, 69, 77, 87, 217, 223, 347, 349, Atomizzazione, 211-212, 585
420, 432, 456, 460, 470, 512, 515, 546 a gas, 211-212
Acciaio zincato, 37 ad acqua, 211-212
Accoppiamento centrifuga, 212
a scatto, 566, 593 Attacco a secco, 481
di contrazione, 565 Attacco chimico, 455, 469-470, 472, 474-475, 481, 483, 486
di espansione, 565 Attacco in umido, 481
Accuratezza (definizione), 100 Austenite, 21-23, 25-26
Acetilene, 496-497, 522-524, 547 Austenitizzazione, 22-24
Acrilici, 48 Autoclave, 156
Acrilonitrile-butadiene-stirene, 48
Affilatrici per utensili, 447 Bacino di colata, 11, 132, 134, 153, 161
Aggraffatura, 307, 569-570 Bainite, 21-22
Alesatore, 366 Barenatrice verticale, 364
Alesatura, 98, 358, 366-368, 384, 409 Barenatura, 98, 353, 358, 363-364, 384, 389, 409, 412, 445
Allumina, 8, 39-41, 44, 56, 64, 77, 84, 87, 228, 232, 401, 408 Bauxite, 33, 40-41, 232
Alluminio, 8, 13, 24-25, 31, 33-41, 53-56, 64, 66, 69, 77, 84, 87, Bave, 106, 112, 133, 159, 166, 229, 266, 270-271, 277, 389, 447-
94, 97, 142, 156, 159, 161, 164-165, 170-171, 210, 214, 216, 448, 459, 462, 463, 472, 530-531, 591
222-223, 231-232, 249, 271, 274, 279, 299, 302, 347, 383, 402, Bilanciamento della linea, 587
406, 408-409, 420, 432, 434, 442, 450, 456, 458-459, 461, 463, Billetta, 12, 161, 221, 245, 255, 264, 277-284, 286-287
471, 475, 486, 503-504, 511-512, 515, 525-526, 528, 533, 535- Blocchetti pianparalleli, 100
536, 546, 551, 559, 585, 591 Blumi, 254-255
Allungamento in piegatura, 305 Borazon, 42, 432
Aminoresine, 50 Bordatura, 263, 307, 569-570
Anello di tenuta (anello elastico), 566-567 Bramme, 254-255
Angolarità, 92 Brasatura, 14-15, 495, 524, 527, 533, 543-554, 570
Angolo a immersione, 548, 552
del piano di scorrimento, 337-338, 342, 344, a induzione, 548
di spoglia inferiore ortogonale, 334, 336-337 a infrarossi, 548, 552
di spoglia superiore ortogonale, 332, 334, 336-337, 342, 344, a onda, 552
347 a resistenza, 548, 552
Anima (colata), 132, 134, 147, 149, 151-152, 157, 166-168, 171, a riflusso, 552-553
264, 276 a torcia, 547
Anodizzazione, 13, 585 dolce, 495, 524, 543, 548
Aramidi, 48 in forno, 547, 552
Arenaria, 40, 43 manuale, 552
598 Tecnologia meccanica

Brocciatura, 331, 333, 354-355, 378, 380-381, 384, 409 407, 411-412, 421, 432, 442, 469, 553
Bronzo, 36, 164, 170, 217-218, 264, 347, 420, 433, 503, 516 Cermet, 42, 54, 56, 209, 225, 234, 236, 401-403, 405
Bulk micromachining, 482 Chiavi dinamometriche, 563
Bulloni, 14, 31, 262, 275-276, 366, 495, 549, 555, 557-562, 589, Cilindricità, 92
593 Circolarità (o Rotondità) , 92, 389
CNC - Numerical Control, 362, 373, 375-377, 383
Cabestano, 292-293 Cobalto, 9, 38, 42, 56, 212, 234-236, 401-407
CAD, 487, 590 Coefficiente
Calandratura, 191, 243, 322-323, 326 di dilatazione termica, 43, 45, 85, 141, 566
Calettamento, 564 di elasticità, 61, 64, 68, 74, 83, 307
Calibratura, 218, 254, 260 di resistenza, 68-69, 244, 247, 283, 297
Calibro, 101-103, 260, 584 Colata
a corsoio, 102 a cera persa, 153-154
Vernier, 102 a rigetto, 157-158
Calore centrifuga, 156, 161-162
latente di fusione, 85, 134-135, 140 di barbottina, 228-229
specifico volumetrico, 87, 348-349, 503 di metalli semisolidi, 160-161
specifico, 87-88, 134-135, 140, 416-417, 469 in bassa pressione, 158
Canale di colata, 11, 132, 134, 136-137, 149, 152-154, 164, 194- in ceramica, 156
195, 201-202 in forma permanente, 133, 147, 156-158, 161, 171
Canale distributore, 132, 134 in forma semipermanente
Caolinite, 39 in gesso, 155-156, 171
Capacità di processo, 108-109 in polistirolo espanso, 152-153
Capacità di produzione, 6-7 in sabbia, 8, 97-98, 133-134, 141, 147-148, 151, 155, 167,
Carbonio, 8, 20-23, 25-33, 40, 42, 45, 47, 51, 54-57, 141-142, 171, 584-585, 591
155, 169, 212, 236, 299, 312, 347, 401-406, 409, 419-420, 432, solida, 228
503, 505, 508, 512-514, 537, 559, 565 sotto vuoto, 157-158
Carbonitrurazione, 25-26, 407 Comminuzione, 227
Carburi, 8-9, 25, 28-30, 39, 41-42, 76, 209-210, 231, 235, 285, Compact disc, 4, 478
303, 401, 404-408, 411, 418, 457 Comparatore a quadrante, 103
rivestiti, 383, 401, 403, 405, 407-408, 418 Comparatori meccanici, 103
sinterizzati, 402, 405-407, 411-412, 421 Compasso, 101
Carburo Compattazione, 168, 196,-197, 213-216, 219, 221, 235, 408
cementato, 42, 54, 56, 234, :236, 285, 401, 412, 432 Compositi, 9, 42, 50, 53-57, 72, 131, 175, 195, 198-199, 225,
di cromo, 30, 42, 56, 101, 234, 408 234-236, 331, 405, 407, 458, 532
di silicio, 8, 40-42, 54-56, 64, 77, 409, 432, 434, 442, 450, a matrice ceramica, 54-56, 236
456, 459 a matrice metallica, 54-56, 225, 234
di tantalio, 42, 56, 405 a matrice polimerica, 54-57, 131, 175, 199
di titanio, 9, 42, 56, 77, 234, 405-406, 408-409 Concentricità, 92, 446
di tungsteno,9, 42, 56, 64, 77, 101, 210, 229, 234, 363, 383, Concurrent engineering, 579, 592-594
403, 405-406, 409 Condizioni di taglio in (foratura), 365
Carico di rottura trasversale, 72, 406 Condizioni di taglio in tornitura, 356
Carico di rottura, 64-65, 69, 72, 77 Condizioni di taglio in fresatura, 371
Carta di controllo, 109-110, 112-113 Conducibilità termica, 23, 41, 58, 87-88, 140, 285, 405, 416-417, 469,
Cavità di ritiro, 141, 167, 187 504
Cellular manufacturing, 582 Configurazione della matrice, 185
Cementazione, 25 Coniatura, 218, 270-272, 314-315, 322, 457
a gas, 25 Conifica, 276
in cassetta, 25 Considerazioni sulla progettazione del prodotto , 108, 147, 570-
liquida, 25 572, 586, 590-594
Cementite, 21-22, 26-27, 33 Contornatura, 357-358, 371, 373, 375, 382, 416
Centraggio, 441, 565 Controllo
Centratura (rettifica), 441 di qualità, 15, 107, 109, 580, 583
Centri di tornitura, 375-377 numerico computerizzato, 320-321, 336, 362, 368
Centrinatura, 366-368 statistico di processo, 107, 109, 114
Centro di lavoro, 375-376 Coppiglie, 567-568
Centro di tornitura CNC, 376 Cordone di saldatura, 567-568
Centro di tornitura-fresatura CNC, 377 Corindone, 40
Ceramiche, 5, 8-9, 11, :13-15, 19-20, 32, 39-43, 45-46, 48, 53, Cottura, 39-40, 150-151, 155, 226, 228, 230-231, 233, 237
55-56, 64-66, 72, 76-78, 80, 84, 87-88, 93, 131-132, 134, 175, Crescita dendritica, 138
202, 209-211, 220, 225-229, 231-234, 236-237, 383, 401-405, Cricche superficiali, 93, 287-288, 386
Indice analitico 599

Crimpatura, 549, 570 a impatto, 280, 285-286


Cromo, 8, 23, 25, 27-30, 38, 42, 56, 101, 142, 219, 234, 236, a rullo freddo, 190
403-404, 408, 420, 559 con matrice a fessura, 189-190
Cucitura, 567-568 continua, 280
Curing, 50-51 delle polveri, 221
Curva di flusso plastico, 68-69, 74, 79, 244, 259 di film per soffiaggio, 190
Curva TTT, 21-23, 291 diretta, 277-287
discreta, 280
Dadi, 557, 559-560, 568-571, 589, 593 idrostatica, 286-287
Deformazione plastica, 11-12, 20, 32-36, 61, 65-66, 87, 93, 97, inversa, 277, 279, 282-283, 286
241, 246-248, 256, 300, 395-397, 476, 528-529, 532
Deformazione reale, 66-68, 256, 260,266, 280, 283, 289-290 Fabbricazione elettrochimica, 487
Densità di potenza (saldatura), 468, 501-502, 504, 511, 516, 523, Fattore di attacco, 470-471, 473
525 Fattore di forma, 183-184, 284-285
Densità, 84-87, 134-136, 141, 162, 210, 213-216, 218-219, 222- Fattore di taglio, 74
223, 233-235, 408, 460, 467 Feldspato, 40
Dentatrice, 379 Fenolo-formaldeide, 50, 64, 78, 433
Deposizione chimica di vapore, 481 Ferrite, 21-22, 26-27
Deposizione fisica di vapore, 404, 481 Ferro, 4, 8, 21-22, 26-28, 30,32-33, 36-38, 40, 64, 84, 8, 94, 155,
Design dei prodotti, 202 164, 210, 212, 216-218, 222-223, 232, 409, 432, 450, 461, 515,
Design for assembly, 572, 592-593 526, 536
Design for manufacturing, 592-593 Fibre continue, 54-55
Devetrificazione, 43 FIbre di ceramica, 56
Diamante policristallino sinterizzato, 409 Fibre di Kevlar, 54
Diamante policristallino, 401, 409 Fibre di vetro, 9, 44, 198
Diamanti sintetici, 294, 401, 409 Fibre discontinue, 55, 236
Diamanti, 42, 64, 76-77, 106, 401, 408-409, 432, 434-435, 441- Fibre ottiche, 44
442, 456-457, 463, 486-487 Fibre, 9, 44, 48-49, 54-57, 175-176, 178, 304
Difetti nell’estrusione, 186 Filamenti, 54, 176, 178, 185, 209
Difetto a bambù, 188 Filettatura, 179, 262, 354-355, 357-358, 412, 561-562
Diffusività termica, 88, 348-349 Film termoplastici, 188
Disco abrasivo, 382, 448 Finitura di precisione, 406-407
Distorsione (barreling), 30, 71, 248, 278, 284, 289, 520, 533- Finitura elettrochimica, 97
534, 537, 585 Finitura, 109, 132, 151, 156, 165-166, 218-219, 234, 249, 253,
Draft (o luce), 255, 259 332, 334-335, 339, 346, 355, 385, 389, 406-408, 419, 421, 424,
Drogaggio, 481 431-433, 436, 444, 447-448, 450-451, 459, 465, 526, 584-585
Durezza superficiale, 93-98, 104-105, 118, 131, 150-151, 154, 156,
a caldo, 28, 30-31, 38, 41, 56, 78-79, 285, 401-406 159, 161, 171, 191, 198, 234, 246-247, 249, 272, 291, 299,
Brinell, 74, 76-78, 347, 420 333, 335, 339, 366, 380, 383, 385-387, 389, 400-401, 407-
Knoop, 75-77, 106, 432 408, 416, 418-421, 427, 432, 434, 436-437, 440-442, 444,
Rockwell, 22, 24, 74-77, 402-404 448, 456, 465, 470, 517, 586, 591, 593
Vickers, 75-77, 106 Fissaggi integrali, 568, 570
Duttilità, 12, 19-20, 23, 28, 30, 33-34, 48, 55, 61, 65-66, 68, 78, Flangiatura, 304-305, 307
237, 241, 246-247, 265, 279, 287, 292, 310, 401, 419, 514, 535 Fluidi da rettifica, 441-442, 447
Fluidi da taglio, 335, 395, 416-418, 433, 441, 457
Elastomeri, 9, 46-48, 50-53, 57, 66, 83, 178-179, 191, 199-200, Fluidità, 43, 79, 167-170, 228, 546
202, 219, 485 Fluido newtoniano, 81, 89, 176-177
Elastomeri termoplastici, 53 Fondente interno, 509, 512-513
Elementi di fissaggio, 223, 495, 557-560, 567-568, 570, 593 Fonderia, 27, 34-38, 61, 85, 87, 132, 163, 165-166, 169-170,
filettati, 14, 557-559, 561-563, 570, 593 209, 353, 355, 584, 588
integrali, 557, 569 Foratura per laminazione, 262, 264
Elettroerosione, 97-98, 464-466, 486 Foratura, 12-13, 97-98, 262, 264, 331, 333-336, 353-355, 358-
Elettroformatura, 481, 483, 486 359, 362, 364-368, 376-378, 384, 409, 412-414, 417, 455, 462-
Equazione di Merchant, 340, 343-344, 411, 417 463, 466-467, 469, 474, 564
Equazione di Taylor, 397, 399-400, 402, 419, 426-427 Forgiatura
Espansione termica, 84-85, 195, 408, 545 a stampi aperti, 265-269
Esponente di incrudimento, 68-69, 79, 244, 247, 267, 283, 290 a stampi chiusi, 265-266, 269
Essiccazione, 226, 228-231, 234-235 delle polveri, 220-221
Estrusione di metallo liquido, 161
a caldo, 249, 277-279, 282, 285, 288 isotermica, 276
a freddo, 31, 98, 277, 280, 285 radiale, 276
600 Tecnologia meccanica

senza bava, 266, 271-272 freddi, 167, 169


di precisione, 271, 274 imbullonati, 549, 560-561
Fori passanti, 224, 242, 365-366, 463, 550, 560, 563 Giunto saldato, 447, 495-496, 498-500, 505, 507-508, 512, 514,
Forma permanente, 133, 147, 156-158, 161, 166-167, 170-171 522, 526-527, 532, 534-537, 544, 550
Forma transitoria, 133, 147, 151, 156, 167-168, 170 Giunzione, 10, 15, 88, 348, 495-500, 516, 518, 521, 526-532,
Formatura 543-544, 548, 550, 553-557, 570
a freddo, 88, 246-247, 559 Godronatura, 358-359
ad alta energia, 322, 325 Gomma, 5, 31, 41, 45, 49, 51-53, 55, 57, 66, 156, 191, 219-220,
dei metalli, 15, 71, 79, 220-221, 241, 244, 246, 248-49, 264, 315-317, 433-434, 469, 485, 529, 551, 554, 593
275, 324-325, 358 butadiene, 48, 52
elettroidraulica, 325 butilica, 52
elettromagnetica, 325-326 cloroprene, 52
isotermica, 248 etilene-propilene, 52, 524
per esplosione, 325 naturale, 9, 45-46, 51-53, 55, 84, 87
plastica, 228-229 sintetica, 87
Formazione di fossette, 570 stirene butadiene, 87
Fornace, 231 Goniometro, 104
Forni Grado (o durezza) della mola, 432, 434, 439-440, 442
a combustibile a riscaldamento diretto, 163-164 Graffatura, 567
a combustibile a riscaldamento indiretto, 164 Gravità specifica, 85
a crogiolo, 163-164 Group technology, 582, 589-590, 593
a cupola, 163
a induzione, 163, 165 Idroformatura, 243, 315-317
a pozzo, 254 dei tubi, 316
elettrici ad arco, 163, 165 della lamiera, 316
Fori ciechi, 224. 365-366, 558 Imbutitura, 98, 243, 249, 299, 308-316, 318, 322, 324-325, 585
Forze di taglio, 302, 340-341, 344, 361, 388-389, 395, 397, 411, al tornio, 243, 324-325
416, 418-419, 421, 439-440, 466-467 inversa, 312-313
Frattura del fuso, 186-188 Immersione, 159, 218, 254, 470, 474, 548, 552, 566
Fresa monotagliente, 368 Impianto ionico, 481
Fresatrice, 336, 354-355, 369-370, 373-375, 380 Impregnazione, 218-219
a banco fisso, 374-375 Incisione chimica, 469, 471, 473
a cannotto, 374 Incisione, 314-315, 416, 438-440, 469-471, 473, 481, 485-486
a copiare, 375 Incollaggio, 14-15, 159, 232, 249, 258, 286, 495, 543, 553-556, 563,
di profilatura, 375 593
ginocchio e colonna, 373-374 Incrudimento, 20-21, 30, 34-35, 61, 64, 66, 68-69, 77, 79, 94,
orizzontale, 373 97, 244, 246-247, 253, 262, 267, 280, 283, 290-291, 310, 313,
universale, 374-375 396
CNC, 375 Indurimento
piana, 375 per invecchiamento, 25
Fresatura per precipitazione, 20, 24-25, 38
chimica, 98, 469, 471-472 superficiale, 20, 25
di forma, 369-370 Infiltrazione, 218-219
di scalanature, 369-370, 382, 486 Ingegneria della produzione, 583, 591-592, 594
frontale, 333, 354, 369, 371-373, 385-386, 415-416 Inserti
in concordanza, 369-370 Inserti di stampaggio, 557
in discordanza, 369-370 Inserti filettati, 559-560, 568
laterale, 369-370 Integrità superficiale, 93-94, 96-97, 104-105
periferica convenzionale, 369-370, 372-373 ISO 9000, 114, 118
simultanea (straddle), 369-370 Ispezione ad ultrasuoni, 120, 125, 169
Frizione, 122 Ispezione ai raggi X, 125

Galvanostegia, 481, 483-484, 486, 585 Job shop, 580


Geometria degli utensili, 412
Ghisa duttile, 32-33 Kevlar, 9, 48, 54-55, 57
Ghisa grigia, 8, 32-33
Ghisa, 8, 26-27, 32-33 Lamatura, 366-367
Ghise bianche, 32-33 Laminatoi, 7, 14, 125, 221, 254, 259, 261-262, 264, 444, 585,
Ghise malleabili, 32-33 588
Giunti Laminazione
brasati, 543-545, 547 a caldo, 98, 249, 254, 258,260
Indice analitico 601

a freddo, 98, 254, 258, 260 Macinazione a impatto, 227


con cilindri filettatori, 262-263, 276 Magnesio, 8, 24, 33-35, 39-40, 44, 54, 56, 64, 66, 77, 87, 142,
di anelli, 263 156, 159, 161, 170-171, 271, 274. 279, 347, 406, 471, 503. 516,
di ingranaggi, 262-263 555, 559
Mannesmann, 264 Make or Buy, 587-589
piana, 253, 255-259, 261 Manganese, 8, 23, 27-29, 34-3, 37, 40, 403, 420
Lappatura (lapping), 97-98, 389, 431, 433, 448-450 Maraging, 24
Lavorabilità, 20, 29, 33, 61, 218, 232, 292, 349, 383, 387, 389, Martensite, 21-24, 28, 38
395, 418-421 Maschera di bloccaggio, 368
Lavorazione Maschera di foratura, 368
a caldo, 79,241- 242, 247-249,253, 263-264, 267, 530, 563 Mascheratura, 469-473
a fascio elettronico, 464, 467, 469, 486, 525 Maschiatura,, 366-368, 409, 417-418
a fascio laser, 464, 467-469 Materiali fragili, 65, 68, 72, 75, 227. 386, 432, 458
a flusso abrasivo, 459 Materozza, 132, 134, 137, 140, 142-143, 1481-149
a freddo, 243-244, 246-247, 249, 253, 263, 291, 299, 528, 563, 585 Matrice di estrusione, 178, 185, 187, 205, 245, 284
a getto abrasivo, 458-459 Matrici di trafilatura, 293
a secco, 418 Melammina-formaldeide, 50
a tiepido, 246, 249 Metalli
a ultrasuoni, 456-457, 487 ferrosi, 8, 26, 38, 42, 76, 407, 409, 508, 512
chimica, 97, 469-471, 473, 475 non ferrosi, 8, 24, 26, 33, 42, 76, 164, 406, 408-409, 442,
elettrochimica, 460-462 514
fotochimica, 469, 471, 473-474, 486 Metallo
per asportazione di truciolo, 108, 170, 218, 331, 333-337, fuso, 11, 15, 26, 33, 40, 61, 80, 86, 131-142, 147, 149-154,
342, 344,-348, 353-358, 367, 378, 382, 383-386, 388-389, 157-165, 167-169, 188, 211, 218, 222 , 236, 498, 504, 507-
393, 401, 584, 591 509, 513, 519, 526, 535, 546, 548, 552, 569
Layout dell’impianto, 580 in polvere, 26
Lega eutettica, 86, 139 semi-lavorato, 26
Legge di continuità, 136 Metallurgia delle polveri , 11-12, 26, 56, 209.210, 213, 216, 218-
Legge di Hooke, 64-65, 67, 69, 82 220, 222-224, 226, 231-233, 405
Leghe Metodo fotografico (fotoresist), 470, 472-474
a base di stagno, 170 Metodo serigrafico, 470, 472
al cobalto, 404-405 Micro-contact printing, 485-486
di alluminio, 34-35, 64, 66, 69, 77, 142, 156, 170, 302, 347, Microattuatori, 477, 479
420, 503, 512, 559 Microcomponenti, 477, 480, 487
di nichel, 36-37, 170, 248, 546, 559 Microfabbricazione, 475-476, 478-481, 483-487
di rame, 36, 64, 66, 69, 77, 156, 170-171, 223, 511 Microfusione, 98, 153-155, 389, 484
di titanio, 37, 64, 170, 248, 340 Micromacchine, 475
Levigatura (honing), 97-98, 431, 448-451 Micromachining, 482-483
Limatura, 98, 331, 333, 353, 378-380, 384, 386, 409, 536 Micrometro, 102-103
Limite elastico, 65 Microsensori, 477-479
Limiti di tolleranza naturale, 109 Microsistemi, 475-481
Linea di produzione, 120, 582 Microstereolitografia, 487
Lingotto, 131, 139, 254, 269 Microstrumenti, 477
Linguette lanceolate, 569 Microstrutture, 20, 33, 45, 89, 94, 106, 477, 482, 484
Liquido sottoraffreddato, 86 Miglioramento continuo, 114, 591
Liquidus, 86, 135, 138-139, 161, 543, 548, 550 Misurazione (definizione), 100
Litografia, 481, 483-485 Misurazione delle superfici
ai raggi X, 481 Modelli, 124, 141, 148-149, 153, 181, 375, 486, 582
micro-imprint, 485-486, Mola, 15, 41, 236, 299, 431-447, 455, 463
soft, 485 Molatrice, 447
Lubrificazione, 32, 156, 248-249, 258, 278-279, 282, 284, 292- Molibdeno, 8, 23, 27-29, 31, 38, 159, 210, 223, 403-404, 407, 420,
293, 314, 416-417 466
Lucidatura (polishing), 98, 361, 431, 449, 451, 458-459 Mordente chimico, 469, 481
Lunghezza di taglio, 96 Morsa, 368, 445
Movimento di avanzamento, 332-333, 354, 375, 444-445
Macchina multitasking (o macchina multifunzione), 378 Movimento di taglio, 332-333
Macchina saldatrice, 498 Mulino a rulli, 227
Macchine Mulino a sfere, 227-228, 232, 235
da barenatura, 363
da tornitura, 361-362, 377, 409 Nanoscala, 476
di misura a coordinate, 107, 120-122 Nanoscienza, 476
602 Tecnologia meccanica

Nanotecnologia, 476 Poliesteri, 46, 49-50, 54, 57, 198


Nastro abrasivo, 447-448 Polietilene tereftalato, 49
Near net shape, 13, 131, 154, 209, 223, 246, 253, 271, 389, 585- Polietilene, 9, 46-47, 49-50, 64, 78, 81,84, 87, 97, 177, 180, 188,
586, 593 190, 196, 203, 220, 470, 478
Neoprene, 9, 52, 470 Polimeri, 8-9, 15, 19, 43, 45-58, 64-66, 76, 78-79, 81-84, 86-87,
Nerofumo, 52, 55-57, 198 132, 175-183, 185-202, 218-220, 233, 457, 459, 481, 485, 487,
Net shape, 13, 46, 131, 154, 161, 175, 191, 209, 223, 246, 253, 532, 553, 555
271, 389, 585-596, 593 fusi, 81-82, 84, 176-183, 185-187, 189, 192-194, 196-197, 202
Nichel, 8, 23-24, 27-30, 33, 36-38, 42, 56, 64, 66, 77, 84, 87, lineari, 47
139, 142, 147, 170, 210, 212, 219, 223, 234-235, 248, 340, 407, ramificati, 47
409, 420, 461, 484, 503, 546, 559 reticolati, 47-48, 50
Nitrurazione a gas, 26 termoindurenti, 9, 46, 48-51, 66, 83, 199-200, 220
Nitrurazione liquida, 26 termoplastici, 9, 45-46, 48, 66, 81, 188, 197, 220, 555
Nitrurazione, 25-26 rinforzatI con fibre, 57
Nitruro Polimetilmetacrilato, 48, 483
di boro cubico, 77, 383, 401, 403, 409, 432, 434-435, 442, Polipropilene, 46, 49, 78, 177, 188
456 Polistirolo, 58, 152-153
di boro, 9, 42, 56 Poliuretani, 9, 50, 52, 58, 198, 316
di silicio, 42, 56, 408 Polivinilcloruro (PVC), 9, 46, 49, 57, 78, 180, 470
di titanio, 9, 42, 77, 404, 408 Polivinile, 188
di zirconio, 408 Polveri metalliche, 11, 209-220, 222, 510, 585
Normalizzazione, 20 Precisione (definizione), 100
Nylon, 9, 46, 48, 57, 64, 78, 84, 177, 180, 196 Pressa piegatrice, 304, 320
Formatura elettromagnetica, 325-326
Ondulazione, 94 Pressatura, 12, 209-210, 214-216, 218-225, 228-229, 232-233,
Orlatura, 307 235, 315, 335, 485, 563, 585
Ossidazione termica, 481 Pressatura a caldo, 221-222, 232, 235
Ossidi, 39, 41, 43, 94, 135,165, 209, 212, 218, 231, 236,249, a secco, 228-229, 232
254, 278, 408, 508, 510, 535, 545-546, 549 a semisecco, 228-229
Ossido d’alluminio, 39-40, 54-55, 408, 432, 434 isostatica, 219-221, 233, 235
Ossido di ferro, 526 Presse
Ottone, 14, 66, 77, 142, 159, 217, 347, 406, 420, 460, 465, 503 a telaio inclinabile, 320
a torretta, 320-321
Parallelismo, 92, 103, 122, 359, 447 con telaio a C, 320
Perlite, 20-23 da estrusione, 284
Perni di supporto, 149 da stampaggio, 299
Perpendicolarità, 92 per forgiatura
Piallatura, 98, 331, 333, 353, 375, 378-380, 384-386 Pressofusione, 38, 97-98, 133, 141, 156, 158-161, 170-171, 191
Piani di contatto, 496, 501, 516-518, 527-531, 543, 548-549, 551 Principi di ispezione
Pianificazione di processo, 579, 583-584, 587, 589-591, 594 Problem solving, 591
Pianificazione di processo computer-aided, 583, 589 Processi
Pianificazione e controllo della produzione, 583 a getto d’acqua, 456-457
Piano di riscontro, 101, 103 chimici, 211, 455, 469,
Piano di scorrimento, 336-339, 341-344, 438 CHM (Chemical Machining), 211, 469-471, 473-475
Piattaforma, 360-361 di deformazione massivi, 241-242, 245, 253, 262
Piegatura, 31,72, 241, 243, 299, 304-309, 313-315, 318, 320, di deformazione plastica, 11-12, 20
322-324, 537, 584 di formatura, 81, 86, 131, 175-176, 202, 226, 228, 230, 232,
a V, 304-306,320 237, 243, 246, 248, 315, 325, 332, 592
ad angolo retto, 306 di modifica delle proprietà, 13
per stiramento, 322 di produzione, 47, 9, 19, 79, 93, 97-98, 114, 209, 223, 241,
Pinza a griffe, 360, 362 353, 384, 580, 583, 589, 591
Pinza autocentrante, 361 di pulizia
Pinza elastica, 360-362 di solidifcicazione, 15, 45, 131, 225
Pinza, 360-363, 567 di stratificazione, 480-482
Pinzatura, 567 net-shape, 46
Pistole di saldatura, 512, 518-520, 537 non tradizionali, 236, 331
Placcatura senza elettrolisi, 481, 486 per asportazione di truciolo, 331
Planarità, 92, 103, 122, 447 termici, 464
Poliammidi, 48, 57 Processo
Polibutadiene, 52 abrasivo, 431, 449-451
Policarbonato, 49, 57,196, 478 Bayer, 232
Indice analitico 603

di Antiochia, 155 di rigonfiamento, 178


di solidificazione resistenza-peso, 29, 33, 35, 37, 46, 49, 57, 85, 170
Guerin, 315-316, 326 Ravvivatura (rettifica), 441, 447, 463
LIGA, 478, 480, 483-484 Re-imbutitura, 312-313, 326
Prodotti abrasivi, 40 Refrigeranti (fluidi da taglio), 80, 88, 383, 416-418
Prodotti refrattari, 40 Regola Chvorinov, 140, 142-143
Prodotto Interno Lordo (PIL), 3, 6 Resine epossidiche, 9, 46, 50, 54, 198, 200, 469
Produzione di massa, 14, 37, 44, 124, 131, 152-153, 209, 262, Resine fenoliche, 50, 54, 57, 84, 150, 220
299, 518, 531, 582 Resistenza al taglio, 74, 302-303, 341-344, 411, 419
Produzione di stampi, 462, 466, 474 Reticolazioni,28, 38, 52, 54-56, 62, 64-65, 74, 85, 169, 306-307,
Produzione in serie, 6, 364 311-312, 405, 519, 561
Profondità di passata, 334-335, 344-345, 354, 356, 372, 374, Rettifica
388, 399, 436, 444-446 a nastro abrasivo, 447-448
Progettazione dell’assemblaggio, 557, 570-571 ad avanzamento lento, 442, 446-447
Proprietà elettrochimica, 463
dei fluidi, 79 in profondità, 447
di compressione, 70 in tondo, 442, 444-445, 447
di durezza, 25 per piani, 442-443, 446-447
di taglio, 72 senza centri, 442, 444-446
meccaniche, 8, 13, 19-20, 26, 28, 39, 45, 48-49, 53, 57, 61- Rettificatrici a dima, 447
62, 78, 91, 93, 96, 131, 147, 158, 169, 197, 253, 291, 395, Rettificatrici a disco, 447-448
397, 481, 506, 508, 534 Rettilineità, 92, 100, 103
termiche, 61, 87, 135, 138, 140, 416-417, 504, 506 Rheocasting, 161
Prototipazione rapida, 487 Ricalcatura, 275-276, 292, 563
Prova di flessione, 72 Ricottura completa, 20
Prova di torsione, 73-74 Ricottura, 13, 21, 25, 246, 292-293, 311, 585
Prova di trazione, 62-63, 65, 68, 70-71, 76, 244, 311 da lavorazione, 21
Prova Jominy, 24 di distensione, 21
Pseudoplasticità, 177 parziale, 21
Pulitura (buffing), 13, 20, 148, 150, 292, 451, 459, 469, 472, 474, Ricristallizazione, 20-21, 69, 79, 246-247, 279
515, 527-528, 545-546, 551 Riga in acciaio, 101
Punta a forare, 358-359, 362, 364, 366, 377, 415 Rigonfiamento, 84, 177-178, 185-187, 267-268
Punta elicoidale per foratura, 413-414 Rimozione di bave, 458-459, 462
Punta morta, 360 Rimozione elettrochimica di bave, 462-463
Punta viva, 360-361 Ritiro di solidificazione, 140-142, 167
Punto Ritiro, 132, 134, 137, 140-142, 148-149, 151, 153, 161, 167, 170,
di congelamento, 85-86 194-197, 203, 216, 228, 230-231, 235, 237, 287-288, 533-535
di fusione, 9, 12, 33, 37, 43, 49, 79, 84-86, 134-135, 138- Ritorno elastico, 305-306, 323
140, 157, 159, 169-170, 180, 209, 213, 216, 222, 236, 246- Rivestimento, 13, 20, 42, 55, 153, 163-164, 176, 186-187, 198,
247, 249, 465, 497, 503, 506, 515, 532, 543, 548, 551 219,231, 405, 408-409, 469, 473, 481, 501, 508, 510, 514, 529,
di saldatura,500, 518, 520, 536, 555 535, 548, 556
di Snervamento, 12, 61, 65, 67, 69, 71, 78, 82, 244, 323 a rullo, 556
Punzonatura, 31, 74, 299, 301-303, 308, 318, 320, 322, 584 di conversione chimica
Punzone, 210, 213-215, 225, 243, 266, 272, 275, 277, 286, 300- di fili e cavi, 186
306, 308-311, 313-320, 322, 467 Rivetti, 14, 291, 495, 557, 563-564, 569
Rondella, 560-561
Qualità dei grezzi, 166 Rottura del legante, 439-440
Qualità totale, 114-115 Rotture interne, 287
Quantità di produzione, 159, 191, 316, 523, 580-582, 589 Rugosità di una superficie, 95-98, 105, 171, 384-388, 448-449,
Quarzo, 4, 39-40, 43, 209 451, 465, 553
Quotature, 91 Rullatura, 322-324, 326
Quote limite, 92
Sabbiatura, 13, 166, 198, 292, 546, 556
Rame, 8, 20, 24, 33-38, 64, 66, 68-69, 77, 84, 87-88, 139, 156, Saldatrici a bilanciere, 518
162, 164-165, 170-171, 210, 212, 217-219, 223, 279, 292, 406, Saldatrici a punti , 519, 521
420, 450, 460-462, 465-466, 503-504, 511, 517-518, 528, 532- Saldatura
533, 546, 550-553 a cordone, 500, 518, 521
Rapporto a elettrogas, 513
di compressione dello spessore del truciolo, 337 a fascio di elettroni, 525-526
di imbutitura, 310-312 a fascio elettronico
di rettifica, 440-441 a fascio laser, 496, 502, 526
604 Tecnologia meccanica

a fessura, 500 Sistemi


a flangia, 501 di produzione, 15, 131, 579-581
a foro, 500 di supporto alla produzione, 579-580, 582-583
a freddo, 528, 533 esperti, 590
a ossicombustibile (OFW), 496-497, 501, 504, 506, 522-523 micro-elettromeccanici (MEMS), 475
a pressione a caldo, 528 Siviere, 160, 164-166
a resistenza (RW), 496, 498, 500, 502, 504, 506, 516-518, Smussatura, 357-358, 362
520-522, 537, 545, 548 Solidus, 86, 135, 138-139, 161, 543, 550
a proiezione, 521-522 Sottoquadro, 224, 388, 470-471
a resistenza a punti, 517-518, 537, 541 Spinning elettrico, 325
a rulli, 528-529 Spinning manuale, 325
a scanalaturalanatura, 500 Sporgenze in rilievo, 569
a ultrasuoni, 497, 532-533 Squeeze casting, 160-161
ad arco (AW), 98, 124, 496-499, 502, 504, 506-516, 518, Stagnatura549, 552
523-525, 532, 545 Stagno, 8, 34, 36-37, 84, 87, 142, 158-159, 170, 223, 279, 549-
ad arco al plasma, 514-516 551
ad arco con fondente interno, 509, 512-513 Stampaggio
ad arco metallico protetto da gas, 509, 511 a compressione, 198-200, 202-203, 484
ad arco metallico schermato, 509-512 a iniezione dei termoindurenti, 198
ad arco sommerso, 509, 514 a iniezione di metallo, 220
autogena, 496 a iniezione di polveri, 219-220, 233
automatica, 498, 507 a iniezione di reazione, 198-199, 484
d’angolo, 499, 505, 536, a iniezione di schiume termoplastiche, 197
di affioramento, 501 a iniezione, 161, 191-203, 219-220, 233, 466, 484, 585
MIG (metal inert gas), 512 per trasferimento, 201-203
ossiacetilenica, 504, 522-524 Stampo
per attrito e agitazione, 531-532 a canale caldo, 195
per attrito, 497, 530-532 a due piani, 193-194
per diffusione, 497, 529 a tre piani, 194-195
per esplosione, 529-530 aperto, 132-133, 140, 157
per forgiatura, 528 chiuso, 132-133, 192, 218, 270, 274, 389
per fusione, 496, 501-503, 506-507, 516, 522, 524-527, 534, Stato di sforzo e deformazione, 244
543-544, 548-549, 556 Stereolitografia, 487
robotizzata, 498, 507 Stiratura, 314-315
Thermit, 526-527 Stratificazione del silicio, 480-481
TIG, 515 Strizione, 63, 65-68, 71, 178, 244, 535
tra fili, 521-522 Structural foam molding, 197
Saldobrasatura, 527, 533, 548 Struttura non-cristallina, 39
Saldoincollaggio, 554-555 Substrato, 93-94, 96, 105-106, 408, 479-486
Scanallanatura, 380, 382, 384, 500, 537, 566-567 Superfinitura, 98, 431, 433, 448-449, 451
Scheda di funzionamento, 587 Superleghe, 26, 36, 38, 276, 340, 407, 475
Scheda di lavorazione, 586-587, 589 Surface micromachining, 482-483
Schermatura dell’arco, 508, 512, 514-515 Surriscaldamento, 135, 179, 288, 418, 526
Sega a nastro, 382, 466 Svasatura, 366-367
Segatura, 98, 331, 333, 353, 378, 381-382, 384, 409, 466
Segatura per attrito, 382 Tagliente di riporto, 339-340, 386, 417, 420
Seghetto, 381-382 Taglio
Segregazione a lingotto, 139 a getto d’acqua abrasivo, 458
Sei Sigma, 107, 109, 114-115 a getto d’acqua, 457-458
Sfacciatura, 357-359, 364, 366-367 ortogonale, 336-337, 340-345, 411
Sforzo di flusso, 79, 244-245, 247, 256, 267, 282 Tecnica di lift-off, 483-484
Sgrossatura, 335, 346, 405-408, 421, 424, 433, 465 Tecnologia delle superfici, 93
Shark skin, 187-188 Temperatura
Shell molding, 151-152 di colata, 134-135, 137, 139-140, 167
Sialon, 408 di ricristallizazione, 20, 79, 246-247, 279
Silice, 39-40, 43-44, 149, 154-155, 228 di taglio, 61, 347-349, 395, 419
Sinterizzazione a scintilla, 221-222 eutettica, 139
Sinterizzazione con fase liquida, 222 Tempo di solidificazione, 137-138, 140, 143
Sinterizzazione, 12-13, 45, 86, 209, 213-214, 216-222, 224, 228, locale, 138
231-237, 585 totale, 138, 140, 142-143
Sistema ferro-carbonio, 27 Tempra, 20, 22-25, 28, 31, 404
Indice analitico 605

Temprabilità, 23-25, 28 Trattamenti termici, 13, 20, 22, 26, 29-30, 34, 61, 85, 87, 93, 95,
Tensione 219, 233, 412, 432, 439, 585
di flusso media, 245, 256, 259-260, 280, 283, 289-290 Troncatura, 357-359, 362, 377, 381-382
Tensione-deformazione ideale, 62-63, 67 Truciolo
Tensione-deformazione reale, 62, 66-68 continuo con tagliente di riporto, 340
Teorema di Bernoulli, 135 continuo, 339-340
Termocoppia utensile-truciolo, 348-349 discontinuo, 339, 386
Testine di stampa a getto d’inchiostro, 478 segmentato, 340
Testine magnetiche per film sottili, 478 Tungsteno, 9, 31, 38, 42, 56, 64, 77, 84, 101, 159, 209-210, 212,
Thixocasting, 161 217-218, 223, 229, 234, 363, 383, 401, 403-406, 409, 420, 465-
Thixomolding, 161 466, 508-509, 514-516, 518
Titanio, 8-9, 33, 36-38, 42, 56, 64, 66, 77, 88, 147, 170, 212, 223,
234, 248, 271, 276, 279, 340, 349, 383, 404-409, 457, 461, 471, Urea-formaldeide, 50, 198, 200
511, 532, 546 Usura ad intaglio (utensili), 396
Tolleranza bilaterale, 92, 108, 384 Usura dell’utensile, 120, 386, 396-398, 401, 456, 464-465, 467
Tolleranza unilaterale, 92 Usura sul fianco (utensili, 396-398, 406)
Tornio, 243, 324-325, 354-364, 444, 531 Utensile monotagliente, 13, 334, 356, 358, 363, 368, 378-379,
a controllo numerico, 361, 363 385-386
a morsetto, 361 Utensili da taglio, 6, 9, 12, 14-15, 28, 30-31, 41-42, 56, 95, 223,
a torretta verticale, 364 225, 235, 237, 331, 334, 347, 361-362, 364, 378, 382-383, 388-
a torretta, 361-362, 364 389, 395, 401-406, 408-409, 413, 418, 426, 432-433, 439, 442,
automatico da viti, 362 447, 455-456, 508, 584, 586, 591
automatico, 362-363 Utensili di fissaggio a scatti, 563
da barre, 362
da legno, 361 Vanadio, 28-29, 35, 37, 403-404
monomandrino, 362 Varietà di prodotto, 6-7, 580, 582
multimandrino, 362 Velocità di taglio, 31, 80, 334-336, 339-340, 344-349, 356-3357,
parallelo, 359, 361, 364 365, 37, 382-383, 386-387, 389, 397-400, 402-403, 405, 408,
per utensili, 361 414, 416, 418-427, 431, 587
Tornitura Vetratura, 231
conica, 354, 357-358 Vetro, 4-5,8, 20, 39-40, 42-46, 48, 50, 55-57, 64, 79, 81, 84, 86,
di contornatura, 357-358 131, 175, 198, 210, 225-226, 236, 249, 279, 409, 432, 442, 456-
di forma, 357-359 459, 469, 475, 554, 585
Traccia della lavorazione, 94-96, 105 Vetroceramiche, 20, 39, 45
Trafilatrice, 292 Viscoelasticità, 65, 82-84, 176-178, 180, 459
Trafilatura di barre, 288, 291-292 Viscosità, 79-82, 84, 161, 176-177, 181-184, 186, 192, 194, 196,
Trafilatura di fili, 253, 288-292 211, 546
Trafilatura, 56, 242-242, 245, 253, 284, 288-293, 332, 396, 466 Visione artificiale, 107, 120, 122-124
Tranciatura chimica, 469, 471-473 Vita utile (degli utensili), 395, 398-400, 425-426
Tranciatura, 31, 74, 133, 166, 243, 273, 277, 299-303, 317-319, Viti, 14, 179-180, 262, 275-276, 362, 366, 556-560, 562, 571,
322, 326, 469, 471, 584-585 589, 593
Trapano, 367-368, 413 Viti prigioniere, 559-560
a colonna, 365, 367-368 Vulcanizzazione, 51-52, 553
a gruppo di foratura, 368
a torretta WC-Co, 56, 234-236, 363, 405-407, 409
a torretta a controllo numerico, 368
da banco, 367 Zinco, 8, 33, 38, 66, 77, 84, 87, 142, 158-159, 165, 170, 214,
radiale (trapano a bandiera), 367-368 219, 279, 546, 551, 559
a controllo numerico computerizzato, 368 Zona di influenza termica, 505-506, 518, 531, 544
Trattamenti di superficie, 11 Zona pastosa, 139

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