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PREFAZIONE

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Ciao Amico Mio,


forse mi conosci, forse no. Mi presento: mi chiamo
Gianni Luppolata e sono il guardiano del faro di
Cantina della Birra. Il mare mi ha consegnato un
tesoro di birra artigianale che custodisco
gelosamente, minuziosamente catalogato per stile,
che voglio condividere con te.

Ed è proprio attorno allo stile che mi piacerebbe


accompagnarti, cercando di raccontarti qualcosa
che ancora non sai o di portarti sulla strada giusta
per godere al meglio di quella sacra bevanda che è
la birra. Nessuna lezione da impartire ma solo il
piacere di condividere un brindisi gustoso insieme.
GUIDA AGLI STILI - TRIPEL

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STILE TRIPEL / TRIPLE / TRIPPEL


LE ORIGINI.
Datare l’etimologia della locuzione “Tripel” è alquanto difficile e in qualche modo “ipotetica”,
benché una circostanza sembri più persuasiva di altre: era consuetudine medioevale chiamare la
birra “normale”, cioè quella che era consumata abitualmente dal popolo, con l’appellativo “Single”
e/o “Enkel” letteralmente “singolo”, termini ormai caduti in disuso.

A un certo punto, genti più abbienti e benestanti, cominciarono a richiedere un prodotto con
attributi diversi e più “forti”. Fu per questo motivo che alcuni birrifici e soprattutto Abbazie e
Monasteri, iniziarono a realizzare birre più robuste adoperando, di solito e in principio, quantità
maggiori di malto.
Coloro che recapitavano la birra e i gestori delle taverne, generalmente, non sapevano né leggere
né scrivere, quindi i produttori furono costretti a contrassegnare i barili che contenevano il “nettare”
con delle croci fatte con del gesso per indicare la “forza” della stessa. Una “X” indicava la birra
normale, piuttosto leggera (circa 3-5° chiamate dai monaci “Extra”), due “X” per le birre con
maggior carattere (Dubbel) la cui gradazione alcolica si assestava circa sui 6-7°, tre “X”
designava la birra più forte (Tripel) che assicurava più di 8°. Si noti che ai giorni nostri il termine
Tripel, nella maggior parte dei casi, è preceduto dalla parola “Abbazia” e associato alle birre
“Trappiste” proprio perché, in origine, si attribuiscono le prime sperimentazioni in materia proprio a
questi luoghi sacri.

È doveroso quindi soffermarsi un attimo a spiegare queste importanti e a volte mal interpretate
espressioni.
Di fatto, se ci riferisce al termine birre d’Abbazia, si fa’ riferimento a una tipologia birraia che
originariamente indicava le birre prodotte nei Monasteri belgi e olandesi.
Espressioni come birra Trappista e/o d’Abbazia sono molto conosciute da chiunque frequenti
l’ambiente dei pub e delle birrerie. Non è poi così strano o raro che possiate trovarle riportate sulle
etichette di birre esposte sugli scaffali di un supermercato.
L’errore più comune, complice un marketing spregiudicato, è quello di considerare
entrambi come degli stili birrai. Non è così! Definire una birra Trappista o d’Abbazia può far
nascere un po’ di confusione, poiché ciascuna denominazione individua birre tra loro varie e
variegate, spesso riconducibili a stili differenti e tra loro molto diversi come ad esempio le Strong
Ale, le Dubbel, le Tripel o le Quadrupel, termini spesso associati a fantomatiche doppie e triple
fermentazioni o all’invecchiamento della stessa. In realtà si riferiscono alla quantità e alla diversità
delle materie prime utilizzate e ai metodi di creazione.

L’impiego di un maggiore numero d’ingredienti, ad esempio una maggiore quantità di malti


utilizzati, determina una birra più complessa, dal corpo più “vigoroso” e a volte più graduata. Una
Dubbel è più forte di una singola ma non necessariamente è due volte più forte e non viene

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utilizzato il doppio degli ingredienti. Birra Trappista e d’Abbazia sono indicazioni utilizzate per
porre l’accento su come il prodotto abbia dovuto rispettare determinati parametri (tra l’altro non
sempre particolarmente restrittivi). Il problema è che queste definizioni innescano nel consumatore
un immediato richiamo all’immagine di un monastero, al monaco con la tonaca e la chierica che
produce birra e spesso l’etichetta di queste birre evoca, nel nome, l’idea monastica che si rifà a
località particolari (anche solo a ruderi e rovine di antichi conventi, chiese e santuari) o a santi.
Insomma ad un prodotto di assoluta e indiscutibile qualità, ed è su quest’associazione di figure che
puntano le grosse aziende birrarie ma anche i piccoli produttori, per destare l’attenzione e
promuovere i loro prodotti; in molti casi il tutto ha valore puramente commerciale!

Occorre aggiungere che tra birra Trappista e d’Abbazia esiste una notevole differenza.
Le prime, in altre parole quelle che possono fregiarsi del famoso logo esagonale “Authentic
Trappist Product” (foto 1), devono rispettare criteri abbastanza rigidi.
Lo sanno bene i monaci del monastero olandese De Koningshoeven
(La Trappe), che videro ritirata loro l’autorizzazione all’uso del marchio
(poi riottenuto) dopo l’accordo stipulato con il gruppo industriale birrario
Bavaria.

Ancora più confusione genera l’indicazione delle seconde; difatti,


per essere definita tale deve semplicemente presumere l’esistenza
di un legame con un monastero o con un’Abbazia ancora esistente
o soppressa degli ordini Benedettini e Norbertini.
Sono birre che hanno una connessione storica con i metodi artigianali in
Foto 1 uso nelle numerose Abbazie belghe durante il Medioevo, Monasteri che
Logo Trappista ormai o sono scomparsi o sono stati ceduti a proprietà laiche vendendo
anche la ricetta della propria birra. Il termine Abbazia è quindi
un’espressione generica, che vuole solo indicare la provenienza antica e monasteriale del
metodo con il quale queste birre dovrebbero, ancor oggi, essere prodotte e non sono
necessariamente i monaci a occuparsi della produzione (solo in rarissimi casi come i fermentati
creati all’Abbaye du Val Dieu e all’Abbaye d’Aulne sono ancora prodotte nell’ambito dell’Abbazia
d’origine).
Anzi, comunemente si tratta di licenze concesse a produttori di birra per l’utilizzo del nome, del
marchio e/o della ricetta originaria. Basti pensare che il famoso marchio Leffe, che vanta di
produrre “birra d’Abbazia” riconducibile all’Abbazia Notre Dame de Leffe in Belgio, sia oggi
di proprietà della multinazionale birraria AB-InBev. Più fedelmente la dicitura “d’Abbazia” indica
una birra prodotta all’interno di un convento o all’esterno dello stesso ma su concessione o
richiesta dei monaci stessi, che ne controllano comunque il processo produttivo. In pratica il
monastero ha concesso o affidato il marchio a un birrificio esterno o ha fornito allo stesso
laboratorio l’antica ricetta. In altri casi devono esserci connessioni dimostrabili dal punto di vista
storico con l’Abbazia cui si riferisce la birra. Il birrificio deve anche pagare delle royalty
all’Abbazia che a sua volta può intervenire sulle campagne pubblicitarie del produttore di birra.

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Dopo la designazione specifica del termine birra Trappista e


con l’introduzione del logo nel 1997, per fare in modo che i
marchi non siano utilizzati solamente per scopi di marketing,
i Belgian Brewers, un’associazione di categoria che
sovrintende al controllo delle birre d’Abbazia belghe
certificate, hanno creato, nel 1999, un logo d’autenticità che
presenta la scritta “Erkend Moniteur Abdijbier / Certified
Abbey Belgian Beer” letteralmente “Birra d’Abbazia belga
riconosciuta” (foto 2).

I requisiti per la registrazione ai sensi del logo comprendono


i l legame con un’Abbazia esistente o estinta, destinare
una parte dei proventi ad associazioni benefiche o alla
protezione dell’eredità culturale dell’Abbazia oppure a
un’istituzione che rappresenta un’Abbazia non più in attività
e che il monastero o l’istituzione esistente abbia il controllo
su alcuni aspetti dell'operazione commerciale e sul
materiale pubblicitario. Ordini monastici diversi dai Trappisti Foto 2
possono essere e sono inseriti nel presente regime. È Logo Erkend Moniteur Abdijbier/Certified
Belgian Abbey Beer letteralmente “Birra
importante far notare che questo è un sistema di
d’Abbazia belga riconosciuta”
etichettatura belga e solamente le birre provenienti da
questo paese possono utilizzarla.

Tutte le birre Trappiste rientrano nella categoria delle birre d’Abbazia poiché gli standard per
utilizzare il logo Trappista sono più severi rispetto a quelli delle birre d’Abbazia. La differenza
principale è che le birre d’Abbazia possono non essere prodotte all’interno o vicino l’Abbazia,
viceversa quelle Trappiste devono essere prodotte all’interno del Monastero e sotto il diretto
controllo dei Monaci e i proventi delle vendite devono essere destinati solo a opere caritatevoli e al
sostentamento dei Monaci. Resta il fatto che, comunque, anche bere una birra d’abbazia può
essere considerata una buona azione perché le royalty pagate dai birrifici vengono usate per
attività di beneficenza o culturali (almeno così dovrebbe essere). Inoltre, la loro partecipazione al
mercato non può essere ignorata: nel 2003 il resoconto numerico tra birre d’Abbazia e birre
Trappiste vendute è stato di 2,5 a 1 in Belgio e di più di 8 a 1 nel resto del mondo. Non c’è quindi
da stupirsi se le Abbazie non più occupate nell’arte brassicola, o addirittura quelle che non lo sono
mai state, sono ben contente di concedere la produzione a birrifici laici e se questi ultimi
ambiscono ad accordi per creare birre che possono essere qualificate d’Abbazia.

Fonte: http://www.birramoriamoci.it/birra-dabbazia-e-birra-trappista-quando-un-non-stile-diventa-stile/

Fonte: http://www.visitflanders.com/it/temi/la-birra/gli-stili-della-birrabelga/birra-trappista-e-birra-d-abbazia/

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Ritornando alla locuzione “Tripel” si può tranquillamente affermare che uno dei motivi/esigenze
cui far risalire la nascita e la diffusione di questo stile fu il Vandevelde Act del 1919; trattasi di una
legge belga, abrogata solo nel 1983, che proibiva la vendita e la somministrazione di alcolici e
superalcolici in alcuni esercizi commerciali, in particolare del gin.

Poiché la legge non presumeva “casualmente” nulla


r ig ua r do vi n o e b i r r a , c om i n ci ar on o a e ss er e
commercializzate birre sempre più forti. Nella storia della
produzione della birra, i monaci hanno da sempre raffigurato
un requisito indispensabile, una vera e propria “energia
rinnovatrice” senza antefatti. Tra gli stili a essi associati, non
si può non citare quello delle Tripel, anche se l’origine del
termine è di fatto sconosciuto, è certificato che la prima
brouwerij a usare questa espressione idiomatica per indicare
una propria birra fu il monastero Trappista dell’Abbaye Notre-
Dame du Sacré-Cœur de Westmalle (foto 3).

L’Abbazia, situata nei pressi di Anversa, è uno degli undici


monasteri (foto 4) sparsi in tutto il mondo, (sei si trovano in
Belgio) a potersi fregiare del celeberrimo logo Trappista,
riconosciuto dall’International Trappist Association, per
etichettare le proprie birre. In questo luogo la tradizione Foto 3
birraia affonda le proprie origini in un passato secolare, ed è Abdij der Trappisten Van Westmalle
mantenuta in vita da una ventina di monaci e da personale
laico impegnati all’interno di una solerte brewery.

NOME NAZIONE SITO WEB


Abbazia d’Achel (Sint-Benedictusabdij De Belgio www.achelsekluis.org
Achelse Kluis)
Abbazia di Scourmont (Abbaye De Belgio www.chimay.com
Scourmont Lez Chimay)
Abbazia di Koningshoeven (Abdij Onze Olanda www.latrappe.nl
Lieve Vrouw van Koningshoeven)
Abbazia di N o t r e Dame Belgio www.orval.be/en/8/Brewery
d'Orval (Abdij Notre-Dame d'Orval)
Abbaye Notre-Dame de Saint-Remy de Belgio www.abbaye-rochefort.be
Rochefort
Abbazia di Nostra Signora di St. Sixtus di Belgio www.sintsixtus.be
Westvleteren (Abdij Sint-Sixtus)
Abbazia di Westmalle (Abdij der Trappisten Belgio www.trappistwestmalle.be
van Westmalle)
Abbazia Stift Engelszell (Abbazia Santa Austria www.stift-engelszell.at
Maria de la Cella Angelorum / Engelszell)

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Abbazia di Zundert (Abdij Maria Toevlucht) Olanda www.zunderttrappist.nl
Saint Joseph's Abbey Stati Uniti www.spencerbrewery.com

Abbazia delle Tre Fontane Italia www.abbaziatrefontane.it

Foto 4
Elenco Monasteri Trappisti autorizzati a produrre birra

Il Monastero di Westmalle, chiamato solennemente “Abdij Onze-Lieve-Vrouw van het Heilig Hart
van Jezus”, testualmente “Abbazia di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù”, è stato fondato il 6
giugno del 1794 da una decina di monaci in fuga dai turbini della Rivoluzione Francese e
provenienti dall’Abbazia di Notre-Dame de la Trappe situata nella bassa Normandia in Francia.
Inizialmente decisi, dopo una lunga odissea, a imbarcarsi per l’America, furono convinti dall’allora
vescovo di Anversa, Monsignor Cornelio Francesco
Nelis a restare e prendono possesso di una fattoria (foto
5) che un ricco signore del luogo, R. De Wolf, mette loro
a disposizione, ubicata nel comune belga di Malle a
Nord-Est di Anversa, nella regione delle Fiandre dove
tuttora sorge l’Abbazia. Il nome di questa fattoria è
alquanto evocativo: “Nooit Rust”, “senza riposo”
letteralmente tradotto. Sembra fosse chiamata così
perché la particolare conformazione del terreno
costringeva chi la possedeva a un lavoro senza riposo
per farla fruttare. E senza posa i monaci si mettono
Foto 5
foto storica fattoria/Abbazia di Westmalle
subito al lavoro in questa nuova sede, come incessante
è la loro ricerca di Dio attraverso la vita di preghiera.

La vita di questa comunità monastica, all’inizio, fu molto intricata: costretti più volte ad
abbandonare la tenuta e i fabbricati appena costruiti, i monaci poterono farvi definitivamente ritorno
solo il 21 agosto del 1814, data ufficiale della definitiva rinascita del monastero. Le alterne vicende
politiche però non condizionano la vita spirituale della comunità, che vide aumentare sempre più il
numero dei propri membri. Il 22 aprile del 1836 il monastero che era, per diritto canonico, ancora
solo un Convento, fu elevato al rango di Abbazia da Papa Gregorio XVI; contestualmente, il primo
abate ufficiale di Westmalle, Martinus Dom, è nominato anche vicario generale dei Trappisti in
Belgio. La produzione interna di birra inizia in questo stesso anno, sotto la supervisione del primo
abate, che delibera la costruzione di un ambiente ad essa preposto.

I lavori cominciarono il 1° agosto e terminano entro la fine dell’anno stesso; il 10 dicembre fu


servita la prima cotta nel refettorio del monastero e fino al 1860 la produzione e il consumo
rimasero un’esclusiva dei padri e degli ospiti, solo occasionalmente alcune bottiglie di birra erano
vendute fuori dai cancelli del monastero. I primi due monaci addetti alla birrificazione furono Padre

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Bonaventura Hermans (foto 6), un ex farmacista e grande conoscitore
di erbe e piante e Padre Albericus Kemp, che aveva già lavorato in
una fabbrica di birra prima di scegliere la vita monastica. La
produzione di birra aumentò gradualmente, in parallelo ai progressivi
ampliamenti e ammodernamenti dell’impianto di produzione, fino al
1918, quando l’impianto è temporaneamente chiuso per i danni
provocati dall’esercito tedesco.

Riaperto ufficialmente nel 1921, il birrificio interno ricomincia a


produrre a pieno regime e i monaci scelgono di avvalersi di distributori
esterni per la commercializzazione delle loro birre, che iniziano a farsi
conoscere in tutto il Belgio. In questo periodo l’Abbazia di Westmalle Foto 6
Padre Bonaventura Hermans
produceva due birre scure denominate Extra Gersten e Dubbel Bruin
ma qualche problema a livello qualitativo di quest’ultima aveva
persuaso i monaci a interpellare Hendrik Verlinden, ingegnere birraio e autore del primo trattato
sull’importanza del lievito nella produzione birraria e proprietario del birrificio Drie Linden, per delle
consulenze in merito. Verlinden è ritenuto da alcuni, compreso Michael Jackson forse il più grande
scrittore e critico inglese, autore di svariati libri sulla birra e il whisky (da non confondere con il
cantante), come l’ideatore della prima Tripel belga, immessa sul mercato nel 1932 con il nome di
Witkap Pater, letteralmente “cappuccio bianco”. E’ facile quindi supporre che ci sia il suo “zampino”
dietro alla ricetta della Westmalle Triple, una Strong Ale dorata la cui formula è stata elaborata
insieme a frate Thomas dal 1931 per poi “debuttare” nel 1934
nel corso delle celebrazioni per festeggiare i fini lavori del
nuovo impianto di brassaggio, con l’appellativo di “Superbier”.
Tuttavia la ricetta fu modificata negli anni ’50, quando fu
aggiunta una quantità leggermente superiore di luppolo. Dal
1956 la birra prese il nome certificato di Westmalle Tripel (foto
7) e la ricetta risulta praticamente immutata fino ai giorni nostri.

Fonte: http://www.inbirrerya.com/2007/12/18/i-trappisti-e-le-birre-
abbazia-di-nostra-signora-del-sacro-cuore-di-westmalle/

Il termine Tripel era quindi l’appellativo che,


originariamente, era utilizzato dai mastri birrai Trappisti del
Belgio per descrivere la loro birra più forte. Grazie al suo
straordinario standard di qualità, la Westmalle Tripel non solo è
divenuta la birra simbolo dell’Abbazia ma ha anche incoraggiato
numerosi birrai a cimentarsi per realizzare ricette affini. Una
Foto 7
birra capostipite di uno stile spesso trascurato. Vediamo di
Westmalle Tripel
conoscerlo un po’ meglio.

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TRIPEL - DEGUSTAZIONE

ASPETTO VISIVO.

Esibiscono una veste il cui tono s’interpone tra il giallo intenso e il dorato carico con una
diafanità discreta/buona. Schiuma bianca, persistente, cremosa e compatta che lascia sul
bicchiere i caratteristici “merletti di Bruxelles”/archetti. La persistenza della schiuma, di solito, è
abbastanza buona ma può essere osteggiata dalla gradazione alcolica alta presente in alcune
versioni.

SENTORI OLFATTIVI.

Elargiscono un bouquet complesso con fragranze fenoliche, da moderate a rilevanti, di spezie,


pepe e talvolta di chiodi di garofano (oltre agli esteri, durante la fermentazione il lievito produce
dei composti organici chiamati fenoli che sono parenti degli alcoli. I fenoli sono composti da gruppi
aromatici che generano diverse fragranze).
Moderati aromi di esteri fruttati che spesso si mostrano con reminiscenze agrumate (arancia) ma
possono presentarsi anche con un lieve profumo di banana (gli esteri sono dei composti volatili
organici prodotti dalla reazione di esterificazione di un alcol o di un fenolo con acido carbossilico o
un suo derivato, si formano durante la fermentazione e la maturazione; la loro quantità e qualità
dipendono dal tipo di lievito e dalla temperatura di fermentazione). Da contenuta a sintomatica la
percezione alcolica; spesso è rilevabile un lieve ma distinto carattere luppolato che si
manifesta con fragranze floreali. Le fragranze maltate esibiscono morbide suggestioni di
cereale e dolci aromi di miele.
I migliori esempi sono quelli che presentano un’armoniosa e uniforme attinenza tra le
caratteristiche conferite dai lieviti, dai luppoli, dal malto e dall’elemento alcolico.
No Diacetile (componete responsabile di un profumo “burroso”, il tipico odore che si rileva quando
si annusa un sacchetto di pop corn per microonde).

NOTE GUSTATIVE.

Al palato rileva un corpo che si frappone da medio-leggero a medio, anche se l’OG (Original
Gravity o Gravità Iniziale) suggerirebbe il contrario; tutto merito dello zucchero candito chiaro
(trattasi di una tipologia di zucchero costituito da grossi cristalli che viene miscelato con acqua e
scaldato fino alla caramellizzazione. Usato nella birrificazione, essendo uno zucchero
fermentabile, serve per aumentare il grado alcolico senza influire o far accrescere il corpo
della birra. Le varianti più chiare di questo zucchero sono adoperate, di solito, nelle Blond Ale e
nelle Tripel, mentre quelle più brune nelle Dubbel e nelle Ale scure) e dell’alta carbonatazione che

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palesa un carattere effervescente e non disturba l’armoniosa indole della birra.
Il sapore complesso, accattivante e incisivo, è un matrimonio tra una sapidità speziata, fruttata
e alcolica, sorrette da un tono maltato morbido e rotondo di cereale dolce, congiunto in
alcuni casi da leggere note di miele. Fenoli pepati da bassi a moderati; gli esteri si manifestano
con sensazioni agrumate quali l’arancia e talvolta il limone e si frappongono da bassi a moderati.
Una speziatura tipo chiodi di garofano è presente in molti esemplari, anche se non sono
tradizionali le aggiunte di spezie ma se si vogliono utilizzare, devono rimanere in sottofondo.
La dolcezza è bilanciata da un amaro abbastanza deciso che deriva dalla combinazione dei toni
elargiti dai luppoli con i fenoli prodotti dal lievito.
I migliori esemplari hanno un tono alcolico secondario e non facilmente avvertibile (sono
birre pericolosamente beverine), a differenza di altre che ne hanno una presenza molto marcata
che dona una sensazione di calore. La decisa carbonatazione e l’amaro portano a un finale
relativamente secco, con un retrogusto moderatamente amaro insieme alle caratteristiche
note speziate e fruttate del lievito. Il gusto di malto dolce e di cereale, non rilascia nessuna
dolcezza residua. No Diacetile.

CONSIDERAZIONI GENERALI.
Il termine Tripel è “l’epiteto” che, in origine, era utilizzato dai mastri birrai Trappisti del Belgio per
indicare la loro birra più forte. Anche se la provenienza della locuzione è di fatto sconosciuto, è
certificato che la prima brouwerij a fare uso di questa espressione per indicare una propria birra, la
Westmalle Tripel, fu il monastero Trappista dell’Abbaye Notre-Dame du Sacré-Cœur de
Westmalle. Prodotte utilizzando la tecnica dell’alta fermentazione e tradizionalmente rifermentate
in bottiglia, si mostrano con un colore dorato e con una copiosa e compatta schiuma bianca dotata
di un’eccellente persistenza. Una birra molto aromatica dove troviamo un connubio di note
speziate, fruttate, luppolate e leggermente alcoliche che si combinano con il carattere pulito
del malto per creare a una bevanda sorprendentemente beverina considerati gli elevati
livelli alcolici. La carbonazione elevata contribuisce a esprimere i molteplici gusti e ad
aumentare la percezione di secchezza e un amaro pulito nel lungo finale. Una birra
capostipite di uno stile spesso trascurato e, come spesso accade, a volte ingiustamente
disdegnato da sedicenti esperti.

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BICCHIERE CONSIGLIATO E TEMPERATURA DI ESERCIZIO OTTIMALE.


I calici consigliati per degustare una Tripel sono il Ballon e il calice a Tulipano; la temperatura di
esercizio ottimale è compresa tra i 10 e i 14°C.

Il Ballon (foto 8), utilizzato di solito per il cognac, è un tipo di bicchiere a


stelo corto fabbricato con un vetro sottile, di forma semisferica a chiudere,
simile alla coppa per l’ampia superficie di contatto. La parte inferiore è più
larga per poi restringersi man mano che si sale verso l’alto con
un’apertura di poco inferiore alla pancia. La sua conformazione è
studiata in funzione degli aromi e sapori che deve manifestare la
birra: la parte sottostante serve per racchiudere tutte le caratteristiche
della birra che man mano che la stessa si riscalda, salgono
progressivamente verso l’alto.
La parte leggermente più stretta in alto permette lo sprigionarsi degli aromi
ed esalta la schiuma. L’ampia superfice di contatto e il vetro sottile
favoriscono lo scambio termico tra la mano ed il calice (questa è la
Foto 8 sua caratteristica peculiare). Afferrandolo e facendolo scivolare tra le dita
Bicchiere Ballon sul palmo della mano, si contribuisce a riscaldare leggermente la bevanda
e quindi anche a esaltarne le complesse caratteristiche aromatiche.

Il calice a Tulipano (foto 9 e 10) con il suo stelo corto è un bicchiere attuale che non ha precedenti
storici, ma in realtà è il miglior calice per degustare una birra complessa e strutturata. Ha la
peculiarità di riuscire a “rinchiudere” le fragranze nella parte più stretta posta quasi sulla sua
sommità, agevolandone, invece, la risalita attraverso l’ampia base.

La scampanatura terminale facilita l’esame olfattivo, racchiude la copiosa schiuma che hanno
determinate tipologie di birra e consente di “guidare” la stessa verso il centro della lingua in
maniera da poter assaporare al meglio tutte le sapidità, in particolare quelle dolci. Inoltre, come
accade anche con i Ballon, la sua conformità favorisce il contatto della mano con il calice
favorendo il raggiungimento delle temperature ideali di servizio.

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Foto 10
Foto 9
Calice a Tulipano svasato
Calice a Tulipano Alto

ABBINAMENTI CONSIGLIATI.
In aperitivo con insaccati stagionati come la finocchiona, oppure con un bel piatto di frutti di
mare intensi (granchio). Le Tripel si abbinano in modo eccellente a primi piatti decisi,
strutturati e saporiti con ripieno di carne (ravioli e tortelli) ma anche a minestre con fave e
cicoria, bucatini all’Amatriciana, zuppa di legumi (Cicerchie), pasta al forno (ottima quella con
sugo di pomodoro, polpettine, besciamella, provola, parmigiano e uva sode) e polenta con
porcini. Per quanto riguarda i secondi di pesce, meglio scegliere quelli alla griglia o al
cartoccio.

Le birre Tripel, per tradizione, sono molto più prossime ai “cibi di terra”: e allora arrosto di
maiale, stufati, stracotti e spezzatini (Carbonade alla fiamminga), carni rosse alla brace,
agnello e montone, pasticci di carne, pollo, maiale, selvaggina da pelo in salmì, salsicce di
cinghiale, selvaggina da piuma insaporita con erbe e salse di frutta, barbecue, carni
bianche salsate e, per contorno, asparagi, spinaci e carciofi alla giudea.

Le birre Tripel sono un vero must abbinate a formaggi erborinati (Gorgonzola e Castelmagno), a
media e lunga stagionatura, a crosta fiorita (Brie), a pasta filata (Caciocavallo e Provolone),
cr u da (Taleggio), pressata (Canestrato pugliese e Raschera), semidura (Pecorino), dura
(Cheddar, Grana e Parmigiano Reggiano) e formaggi di malga con cristalli di sale e soufflé
alle noci. Se vogliamo, invece, scegliere la pizza meglio se sapide tipo prosciutto o prosciutto
e funghi. La pizza ai formaggi piuttosto grassi e aromi intensi e articolati si sposano
perfettamente.

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E infine, le Tripel, si abbinano a dolci da forno, a quelli molto zuccherini (babà, cassata e cannoli) e
a dolci cremosi come la Crème Brûlée.

TRIPEL – DATI TECNICI


OG (Original Gravity) 1.075–1.085

FG (Final Gravity) 1.008–1.014

IBUs (International Bitterness Units) 20–40

EBC (European Brewery Convention) 8–12

SRM (Standard Reference Method) 04/05/07

ABV (Alcohol by Volume) 7,5–9,5%

OG.
L’OG (Original Gravity) o Gravità Iniziale è la quantità di zuccheri fermentabili nella mistura di
malto e di acqua presenti all’inizio della fermentazione misurata con il densimetro (foto 11). Il
densimetro o areometro è lo strumento che permette di misurare la densità di un liquido. Il suo
funzionamento è basato sulla spinta di Archimede, ovvero sull’impulso verso l'alto che un corpo
riceve quando è immerso in un liquido.

Esistono due tipi di densimetro: a peso e a volume costante. Il primo è più immediato nell'uso,
mentre il secondo consente una maggiore precisone. Per questo rilevamento si utilizza anche
un’altra scala detta gradi Plato che è una misura della densità riferita ad una soluzione zuccherina
(mosto) ed equivale alla percentuale di estratto (zuccheri in soluzione) in una data quantità di
acqua. Quindi ad esempio una soluzione avente 10° Plato è una soluzione contenente il 10% circa
di zuccheri disciolti, quindi 100g ogni 1000g di soluzione. Per la sua misurazione s’impiega il
saccarometro (foto 12).

Fonte: http://www.hbsardi.it/index.php?page=glossario

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Foto 11 Foto 12
Il densimetro Il saccarometro

FG.
FG (Final Gravity) o Gravità Finale è la quantità di zuccheri/alcool presenti alla fine della
fermentazione ed è misurata anch’essa con il densimetro. Sta significando che tutti gli zuccheri
fermentabili sono stati convertiti.

IBU.
L’IBU (International Bitterness Units) rappresenta uno dei termini birrai che ha suscitato negli ultimi
anni più interesse e fama verso gli appassionati di birre artigianali, grazie soprattutto al successo
delle birre luppolate. Il motivo è semplice: rappresenta la scala internazionale per misurare
l’amaro di una birra. Birre poco amare avranno un IBU di 4-10, birre notevolmente amare
possederanno un IBU di 60-70. 100 IBU indicano il limite di percezione nell’essere umano, oltre il
quale non si riesce più ad avvertire l’aumento di amaro.
Pertanto valori più alti designano birre più amare ma il ragionamento non è così semplice perché
nella percezione del gusto subentrano altri fattori. Se una birra è, molto maltata (dolce), la parte
amara sarà meno evidente anche a fronte di un valore di IBU molto alto. Per di più il valore è
spesso teoretico e non sempre preciso o indicativo al 100%, anche perché esistono diversi sistemi
per quantificarlo. È lampante perciò che l’IBU possa essere adoperato più come strumento di
marketing che come indicazione valida per il consumatore, specialmente quando sono ostentati in
maniera palese.

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EBC.
L’EBC (European Brewery Convention) e la SRM (Standard Reference Method) non sono altro che
le scale per misurare il grado di colorazione di una birra.

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Il colore di una birra è determinato dal tipo di malto impiegato e, nelle birre più scure, dal suo
grado di tostatura. Tenendo presente che l'acqua è sia inodore che incolore, che il luppolo
coadiuva il grado di amarezza e che i lieviti sono i delegati alla fermentazione, ne deriva che il
malto rimane il solo elemento in grado di dare il colore alla birra. Quando l'orzo viene maltato ed
essiccato, cambia di colore a seconda della temperatura raggiunta per l'essiccazione. Nel caso
delle birre scure il malto è tostato e tenderà a divenire più scuro con una temperatura più alta di
essiccazione e una maggiore tostatura.

Il colore della birra deriverà dalla quantità e dalla proporzione dei malti utilizzati, ad esempio
tra chiari e scuri. Per misurare il colore della birra sono impiegate tre scale: la Lovibond (°L) che
rappresenta la storia della stima del colore della birra, nata nel 1883 quando Joseph W. Lovibond
utilizzò per la prima volta dei vetrini colorati per raffrontarli al colore della birra. La SRM, impiegata
generalmente negli Stati Uniti, che determina quanta luce con un’intensità regolata a 430 nm
riesce a passare attraverso un centimetro di birra all'interno di un fotometro (sostanzialmente non
c'è una grande diversità tra Lovibond e SRM, molti usano la prima per disegnare quanto è scura la
birra, mentre adoperano la SRM per definire il colore vero e proprio), ed infine la scala denominata
EBC che viene impiegata in Europa e si basa sull’utilizzo di uno spettrofotometro per la
misurazione del colore. Il rapporto tra scala EBC e scala SRM è di circa 2:1 (10 EBC = 5 SRM).

Per convertire i risultati delle diverse scale, di seguito queste pratiche formule:

Da SRM a Lovibond: °L = (SRM + 0.6) / 1.3546


Da Lovibond a SRM: SRM = (1.35 x °L) - 0.76
Da EBC a SRM: SRM = EBC × 0.508
Da SRM a EBC: EBC = SRM × 1.97

Fonte: http://www.giornaledellabirra.it/produzione/i-colori-della-birra-lescale-di-misura/

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I COLORI DELLA BIRRA E LE SCALI EBC, SRM E LOVIBOND

ABV.
L’ABV (Alcohol by Volume) è la definizione stabilita in ambito internazionale per designare la
percentuale in volume del contenuto di etanolo in una bevanda alcolica. In Italia prende il
nome di titolo alcolometrico o di gradazione alcolica e si esprime col simbolo “% vol.”.

ESEMPI PRESENTI SUL SITO DI CANTINA DELLA BIRRA:


NAZIONE NOME DEL BIRRIFICIO NOME DELLA BIRRA
Belgio De Glazen Toren Ondineke Tripel
Belgio Het Anker Gouden Carolus Tripel
Belgio Westmalle Westmalle Tripel
Belgio Achel Achel Blonde Extra
Olanda De Molen Heen & Weer
Belgio Brasserie Dupont Avec Les Bons Voeux

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