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L’ORO NERO DI MODENA

L’Aceto Balsamico Tradizionale

Pellesi Giorgia
5°A
Anno scolastico 2017/2018
INDICE

INTRODUZIONE 3

ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA D.O.P & ACETO


BALSAMICO DI MODENA I.G.P 4

UVA, RACCOLTA E PIGIATURA 5

MOSTO 6
Trasformazioni chimiche, fisiche e biologiche 8

IL LEGNO E LE BOTTI 9
Funzione della botte 10
Pulizia e acetificazione della botte 10

FORMAZIONE DI UNA BATTERIA DI BOTTICELLE 11


Ambiente adatto dove accogliere una batteria 12
Periodo dell’anno ritenuto più idoneo per l’avviamento 13

BOTTE MADRE 14

LE TRE TRASFORMAZIONI DEL MOSTO COTTO 15

PRELIEVO TRAVASO E RINCALZO 17

ANALISI TECNICHE E SENSORIALI 18

CONCLUSIONI 19

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INTRODUZIONE

Ho deciso di intraprendere questo percorso sull’aceto balsamico dopo aver preso parte al pro-
getto scolastico “L’Oro nero di Modena” costituito da due lezioni teoriche e una visita al mu-
seo della Consorteria di Spilamberto. Grazie a questa esperienza ho appreso molte informa-
zioni nuove che mi hanno interessato molto e ho potuto scoprire tutto quello che si trova die-
tro un fantastico prodotto legato alla nostra tradizione, alla quale contribuisco con molto ono-
re e piacere poiché possiedo anche io, insieme alla mia famiglia, una piccola acetaia.
È quindi per interesse e importanza di questo prodotto che vorrei, “nel mio piccolo”, diffon-
dere attraverso questo percorso il processo di produzione dell’aceto balsamico tradizionale di
Modena, nel rispetto della tradizione, partendo dalla scelta dell’uva fino ad arrivare alle ana-
lisi per la determinazione della qualità.

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ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA D.O.P & ACETO
BALSAMICO DI MODENA I.G.P (2)

Per produrre l’aceto balsamico tradizionale di Modena si utilizza solo uva prodotta in provin-
cia di Modena, grazie alla quale si ottiene il mosto d’uva, che una volta cotto viene sottoposto
a fermentazioni naturali e fatto maturare in “vaselli” per almeno 12 anni. Viene poi venduto
in bottigliette di vetro da 100 ml, disegnate appositamente da Giorgetto Giugiaro acclamato
italian designer. Il prodotto viene declinato come affinato dai 12 anni in poi, fino ad arrivare a
25 anni dove da qui in avanti verrà definito extravecchio.

L’aceto Balsamico di Modena I.G.P. invece vede l’impiego di uva prodotta in tutto il mondo.
Viene ottenuto utilizzando miscele di aceto di vino e mosto concentrato e colorato con cara-
mello, per questo viene inserito nella categoria ACETI DI VINO. Ha un gusto agrodolce e
viene venduto in bottigliette da 250 ml.

Figura 1. Bottiglietta Aceto balsamico di Modena I.G.P Figura 2. Bottiglietta di Aceto balsamico tradizionale di
Modena

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UVE, RACCOLTA E PIGIATURA (1)

L’Aceto balsamico tradizionale di Modena, come già detto, è prodotto solo da uve provenien-
ti da vigneti della regione. Tra i tipi di uva che è possibile utilizzare troviamo:

TREBBIANO
LAMBRUSCO
SAUVIGNON
SGAVETTA
ANCELLOTTA

Il problema però non è tanto decidere che tipo di uva utilizzare, che è dettato anche un po’ dal
gusto personale, ma quando raccoglierla, per avere un giusto grado di maturazione. Per fuga-
re ogni dubbio infatti, è bene dire che tanto più si riesce a rimandare la raccolta tanto migliore
risulterà il mosto cotto.
Raccolta l’uva si passa poi alla pigiatura che consiste nella rottura della buccia per liberare la
parte liquida della polpa che dà il mosto crudo. Essa deve avvenire in modo delicato per evi-
tare al massimo la rottura dei vinaccioli che cederebbero tannini grezzi indesiderati.

Figura 3. Grappoli d’uva nera Figura 4. Grappoli d’uva bianca

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IL MOSTO (1)

Pigiata l’uva quindi si ottiene il mosto crudo, sostanza che si presenta come una soluzione
zuccherina contenente acidi organici, sali minerali, sostanze coloranti, sostanze proteiche.

La composizione chimica del mosto è la seguente:

acqua 70-85 %
zuccheri 12-25%
acidi organici 0,4-1,2%
sostanze minerali 2-3 g/l
tannini 0,1-2 g/l
sostanze coloranti 0,1-2 g/l
sostanze aromatiche 0,1- 0,5 g/l
sostanze azotate 0,5-1 g/l
vitamine 0,2-0,5 g/l
lieviti e acetobatteri 0,1-0,5 g/L

L’acqua del mosto serve solo da supporto per gli altri componenti. In parte viene eliminata
per evaporazione mediante la cottura del mosto stesso, durante la quale si compiono una serie
di trasformazioni che coinvolgono tutti gli altri costituenti del mostro crudo e ne modificano
sostanzialmente la composizione iniziale.

Ottenuto il mosto lo si lascia decantare per una notte. La mattina seguente si inizia la cottura
evitando così che si trasformi in vino.
La cottura del mosto crudo, anche detto “fiore” (cioè mosto pulito, che non presenta residui
di pigiatura, quasi limpido e che non abbia possibilmente subito un inizio di fermentazione e
quindi sia ancora in presenta di un elevato rapporto di frazione zuccherina e acidità fissa, me-
glio se accompagnato da una scarsa presenza di polifenoli), viene realizzata all’interno di
caldaie di rame, oggi più utilizzate in acciaio inox, e di capacità variabile. Inizialmente si agi-
sce in modo da mantenere la temperatura intorno ai 70-80 °C in tempi relativamente brevi
per consentire la “schiumatura”. Successivamente viene regolata la fonte di calore al fine di
assicurare una temperatura di cottura tra gli 85-90°C. È di opinione diffusa dire che all’inizio
della cottura si debbano raggiungere anche superare i 90°C per riuscire ad ottenere la cara-
mellizzazione degli zuccheri, indispensabile per infondere nella massa le caratteristiche
esclusive del buon mosto cotto da “balsamico”

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Dopo un periodo di tempo di 10-12 ore si effettuerà, con il mostimetro Babo, un primo con-
trollo del grado zuccherino raggiunto. È noto quanto la riduzione del mosto e per contro la
concentrazione zuccherina, rappresenti una scelta del tutto personale finalizzata alle esigenze
di “alimentazione” della propria batteria o del tipo di “balsamico” che si intende ottenere:
a. mosti cotti poco ridotti (da 24 a 26 °Babo) producono balsamici ad alto valore acetico e
al limite, aceto di mosto;
b. mosti cotti mediamente ridotti (28 a 34 °Babo) sono destinati ad una ampia gamma di
prodotti per i rincalzi, caratterizzati pur sempre da un buon livello di acidità;
c. mosti molto ridotti (da 38-42 °Babo) vengono prodotti per corregger eccessi di acidità,
ma anche per ottenere integrazioni o miglioramenti di tipo olfattivo e degustativo.

È da tenere presente che durante il raffreddamento la concentrazione zuccherina diminuisce


di un grado un grado e mezzo.
Raggiunta la concentrazione desiderata, si interrompere l’operazione di cottura.
Successivamente dopo aver lasciato raffreddare il mosto cotto in appositi recipienti, possono
verificarsi i seguenti casi:

a. utilizzo immediato mediante “botte madre”


b. inserimento in batteria in tempo debito (operazione di rincalzo dopo quella di prelievo e
travaso) previa adeguata e immediata inseminazione (10-20 % in fase fermentativa)
c. stivamento (in questo caso con mosto ancora bollente) in damigiane sterili, a collo stret-
to, pieno fino all’orlo e chiuse ermeticamente per evitare ogni successivo contato con
l’atmosfera.

Figura 6. Caldaia in rame per cottura del mosto Figura 7. Caldaia in acciaio per cottura del mosto

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Trasformazioni chimiche, fisiche e biologiche
Durante la cottura all’interno del mosto avvengono molte trasformazioni, riconducibili a tre
tipologie:

Trasformazioni di tipo fisico, identificabili principalmente nell’eliminazione di particelle so-


lide in sospensione (attraverso la “schiumatura” e la successiva decantazione) e nella diminu-
zione di acqua per evaporazione, con conseguente aumento percentuale della gradazione zuc-
cherina, quindi della densità della massa. Un aspetto fondamentale riguarda la temperatura
che è bene che non superi i 90°C.

Figura 8. Fenomeno della schiumatura.

Trasformazioni di tipo biologico, la cui trasformazione più importante è la sterilizzazione del-


l’intera massa del mosto dovuta alla completa eliminazione della flora batterica presente sul-
l’uva matura. Con l’aumento di temperatura inoltre inizia la denaturazione delle proteine, so-
stanze organiche con molecole molto complesse e notoriamente termolabili; essendo gli en-
zimi di origine proteica la temperatura colpisce anche loro inibendo così ogni possibilità di
azione enzimatica.

Trasformazioni di tipo chimico, identificabili principalmente nella caramellizzazione parziale


degli zuccheri, nella denaturazione irreversibile delle sostanze coloranti e nella polimerizza-
zione e condensazione di molecole omologhe con formazione di nuovi prodotti. La caramel-
lizzazione degli zuccheri, o di una loro parte, dona una prima colorazione del mosto che è
inizialmente ambrata, ma può spingersi fino a raggiungere una sfumatura avvicinabile al ful-
vo ( colore giallognolo tendete al rosso)

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IL LEGNO E LE BOTTI (1)
Da sempre l’Aceto Balsamico tradizionale viene prodotto in contenitori di legno chiamati
barili, botticelle o vaselli. Questo perché il legno, per natura, consente l’ossigenazione del
liquido contenuto nei “vaselli”, ne favorisce l’evaporazione e contribuisce alla sua caratteriz-
zazione attraverso la sua essenza specifica.
Per la costruzione vengono usati solo legni nostrani, cioè derivati da piante coltivate in Euro-
pa. La tradizione ci ha tramandato l’uso del rovere, del castagno, del gelso e del ginepro. In
tempi recenti si sono aggiunti ciliegio, il frassino e la robinia. Essi si dividono in legni duri e
legni teneri e porosi.
I legni duri sono caratterizzati da un elevato peso specifico. Presentano una struttura compat-
ta e assicurano una lunga conservazione del liquido . In batteria la per la produzione del bal-
samico è opportuno porli in coda, cioè alla fine della batteria stessa. ove è contenuto il pro-
dotto più acido e più denso. Quelli teneri e porosi (gelso e ciliegio) a minore peso specifico,
andranno posti di conseguenza a monte della batteria, nelle botticelle di capacità maggiore.
La forma più usata e diffusa per le botti è quella che riporta i i fondi rotondi.

Figura 9. Batteria di botti con indicazione su tipo di legno Figura 10. Botte
e capacità.

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Funzione della botte.
È da tenere presente che le botticelle, oltre ad essere contenitori insostituibili, sono veri e
propri laboratori in grado di agevolare, al loro interno, trasformazioni molto complesse e di
vario tipo (alcoliche, acetiche, fisiche e fisico-chimiche) e a noi note solo in parte, racchiu-
dendo in sé tutto il mistero del “balsamico”.Nel loro insieme costituiscono una batteria, com-
posta da botticelle di diverse dimensioni e capacità a scalare

Figura 11. batteria di botticelle

Pulizia e acetificazione della botte


Una volta comprate le botti per creare una batteria, si effettua una pulizia dei “vaselli”, attra-
verso un lavaggio con soluzione salina al 10 %, successivamente si risciacqua a modo per
togliere il residuo di sale, e infine si lascia asciugare per una settimana.
Si passa poi all’acetificazione, che consiste nel lasciare da sei mesi ad un anno le botticelle
piene di aceto di vino perché le doghe si impregnino della sostanza e di tutti i suoi componen-
ti, in modo da assicurare una lavorazione ottimale.
Si svuotano così le botticelle dall’aceto di vino e si riempiono con il mosto cotto e inizia così
il processo del balsamico.
L’anno impiegato per l’acetificazione delle botti viene contato all’interno degli anni comples-
sivi che determinano il grado di vecchiaia dell’aceto balsamico.

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FORMAZIONE DI UNA BATTERIA DI BOTTICELLE (1)
Per formare una batteria non esiste una regola fissa e i modi di procedere sono diversi. È noto
che tre sono le fasi principali attraverso le quali il mosto cotto e ridotto, si trasforma in bal-
samico:
Fermentazione alcolica e biossidazione acetica che nel balsamico avvengono quasi contem-
poraneamente.
Maturazione, intensa come periodo durante il quale si attuano trasformazioni molto comples-
se a carattere prevalentemente enzimatico.
Invecchiamento, fase durante la quale le varie componenti il balsamico acquistano il loro giu-
sto equilibrio e rendono prezioso il prodotto. Di norma avvengono separatamente. Questo è
vero in particolare per la prima fase che si incentiva annualmente nel momento del rabbocco
della botticella col mosto cotto.
Si potrebbe pertanto pensare che una batteria composta da sole tre botticelle costituisca
l’ideale, riservandone una per ogni fase. Ma così non è, perché ognuna di esse non ha uguale
tempo di attuazione. Ne consegue che tre botticelle sono insufficienti. La Consorteria indivi-
dua in cinque il numero minimo necessario allo scopo, rilevandone alle 2 di capacità maggio-
re l’onore della fermentazione alcolica e della biossidazione acetica, alle intermedie la fase
della maturazione e alla più piccola, la quinta, l’invecchiamento.

Figura 12. Struttura di una batteria di botti

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Ambiente adatto dove accogliere una batteria
Esso viene da tutti sempre individuato nel sottotetto di casa, “al tasel” e questo per le sue par-
ticolari caratteristiche dovute alla forte escursione termica tra il periodo estivo e quello inver-
nale: la temperatura estiva, elevata e secca consente ai microrganismi lievi e acetobatteri di
lavorare adeguatamente, mentre quella rigida e secca del periodo invernale permette il loro
riposo e la decantazione del prodotto. Il locale dovrà sempre essere areato in quanto la pre-
senza di ossigeno è assolutamente necessaria soprattutto durante la fase di biossidazione ace-
tica.

Figura 13. Acetaia in un sottotetto

Figura 14. Acetaia in un sottotetto

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Periodo dell’anno ritenuto più idoneo per l’avviamento
Per assicurare una buona fermentazione alcolica ed una conseguente e contemporanea biossi-
dazione acetica del mosto cotto ridotto una variabile importante e determinante è rappresenta-
ta dalla temperatura. Sappiamo con certezza che lieviti e acetobatteri, responsabili di tali fer-
mentazioni, rallentano il loro lavoro fino ad interrompere la loro attività quando la temperatu-
ra scende al di sotto dei 10 °C e quando va oltre i 35°C.
Il periodo dell’anno più idoneo per usufruire di una temperatura al di sopra dei 15°C, con la
certezza di poter mantenere per un periodo abbastanza prolungato e idoneo a fornire le tra-
sformazioni fermentative, è sicuramente individuabile nella stagione primaverile (primi gior-
ni di marzo). È da questo momento che i lieviti e gli aceto batteri si moltiplicheranno e lavo-
reranno favorendo in modo egregio la fermentazione alcolica e la biossidazione acetica. Que-
ste due fasi raggiungeranno il massimo nei mesi di luglio e agosto, quando la temperatura
toccherà i 32-35°C.
Durante i mesi invernali, dicembre, gennaio e febbraio, la temperatura all’interno dei barili di
regola permane al di sotto dei 15°C e permette ai lieviti e agli acetobatteri di lavorare seppure
lentamente. Questa temperatura rigida è indispensabile per il “balsamico” perché un lungo
periodo di freddo favorisce la deposizione di particelle in sospensione che altrimenti produr-
rebbero velatura assicurando così al prodotto quella limpidezza che rappresenta una delle doti
più prestigiose.

Figura 15. Schema delle temperature

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BOTTE MADRE (1)
La botte madre costituisce il primo e più importante laboratorio posto in acetaia. In essa infat-
ti avvengono le principali trasformazioni del mosto cotto ed è dal suo modo di lavorare e dal
suo contenuto che dipende il futuro dell’intera acetaia e delle proprietà specifiche del balsa-
mico.
Di dimensioni ragguardevoli è per lo più costituita di legno di rovere o di castagno e colloca-
ta, naturalmente, al di fuori della batteria. Ogni anno è destinata ad essere rinnovata almeno
per metà del suo contenuto.
Conserva un prodotto giovane e sempre vivo nelle sue principali trasformazioni. In essa si
creano nel tempo condizioni particolarissime: si selezionano i lieviti e gli acetobatteri e si ca-
ratterizza l’acetaia nella sua realtà.
Anche questa botte non può essere abbandonata a sé stessa. Le grandezze da tenere sotto con-
trollo sono rappresentate dalla densità, dall’acidità, dalla presenza di lieviti e acetobatteri che
dovranno comunque essere sempre presenti in abbondanza.

Figura 16. Schema sulla funzione della botte madre

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LE TRE TRASFORMAZIONI DEL MOSTO COTTO (1)
Le fasi di trasformazione del mosto cotto sono tre: la fermentazione (alcolica e acetica), la
maturazione e l’invecchiamento. Poiché non esiste una precisa linea di demarcazione tra di
loro si può ritenere che la batteria possa essere approssimativamente divisa in tre settori cor-
rispondenti alle fasi stesse. Alle tre botticelle di capacità maggiore sarà riservata la prima, alle
due centrali la seconda, mentre alle ultime due viene assegnato il compito di portare il pro-
dotto all’invecchiamento.

Fermentazione
La fermentazione alcolica avviene a opera di microrganismi unicellulari (lieviti: saccaromice-
ti o zigosaccaromiceti) i quali, in assenza di ossigeno, trasformano una parte degli zuccheri in
alcol etilico e anidride carbonica unitamente a altri composti. Visibili solo al microscopio
sono naturalmente presenti nell’aria. Vivono e lavorano bene a temperature compresa fra i 15
e i 30 °C, prediligono mosti non troppi ridotti e spesso non tollerano acidità superiore a 3-4
gradi acetici. È bene fare in modo che la trasformazione alcolica avvenga il più lentamente
possibile per permette il formarsi di prodotti secondari di altissimo pregio nei confronti delle
proprietà organolettiche del prodotto.
Durante questa fase la concentrazione zuccherina diminuisce proporzionalmente al formarsi
dell’alcol etilico. La seconda fase fermentativa, contemporaneamente alla prima, viene chia-
mata “biossidazione acetica”. Avviene ad opera di acetobatteri che in presenza di ossigeno,
provocano l’ossidazione dell’alcol e lo trasformano prevalentemente in acido acetico. Anche
durante questa fase si producono alcuni prodotti secondari importanti. Gli acetobatteri come i
lieviti sono visibili soltanto al microscopio. Si trovano nell’aria e vivono bene a una tempera-
tura di 15-30 °C. In presenza di forti concentrazioni zuccherine ed alcoliche rallentano la loro
attività. Anche in questo caso la lentezza del loro processo determina notevoli pregi nel bal-
samico. Li troviamo in quantità limitata anche durante tutta la prima fase di trasformazione
insieme ai lieviti. Continuano la loro attività in tutti i barili appartenenti alla seconda fase per
confinare a volte nella terza

Maturazione
Si tratta di una fase caratterizzata da una forte attività enzimatica: lieviti e acetobatteri, termi-
nano la loro funzione, liberano col tempo e per autosili, una forte quantità di enzimi. Una cel-
lula può contenerne anche centocinquanta ed ognuno di essi diventa responsabile di una sola
trasformazione. In questa fase l’acidità può aggirarsi introno ai 6-7 gradi acetici. La matura-
zione può svilupparsi compiutamente nel corso di 10-12 anni al termine dei quali il prodotto
viene considerato a livelli apprezzabili. Compaiono infatti sia i profumi che i sapori caratteri-
stici.

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Invecchiamento
È in questa fase che attraverso una serie di trasformazioni fisiche e chimico-fisiche alquanto
complesse viene a compiersi il miracolo del “balsamico “. Il tempo occorrente non è definibi-
le e può anche ritenersi infinito in quanto l’Aceto balsamico tradizionale è tenuto in vita nei
secoli attraverso i travasi. In questo periodo la densità potrà raggiungere valori ottimali into-
no ai 72° Brix, limite questo ritenuto insormontabile. Olfattivamente i profumi risulteranno
immediati, persistenti, fini e l’acidità volatile si presenterà molto forte, ma equilibrata in per-
fetta armonia con i profumi. Dal punto di vista gustativo il “balsamico” risulterà pieno, equi-
librato e armonico.

Figura 17. Schema di trasformazione del mosto in batteria

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PRELIEVO TRAVASO E RINCALZO (1)
Una volta all’anno devono essere effettuate tre importanti operazioni chiamate prelievo, tra-
vaso e rincalzo.

PRELIEVO: si tratta di una operazione che non può essere effettuata nei primi 10-12 anni di
vita delle batterie in quanto il prodotto non è da ritenersi ancora idoneo. Consiste in un’ope-
razione di prelievo dal barile più piccolo del frutto di tutto il lavoro compiuto.

TRAVASO: con questo termine si intende il passaggio del liquido da un barile all’altro della
stessa batteria. Serve per ripristinare il livello integrando quanto è venuto a mancare sia per
l’evaporazione che per il quantitativo prelevato.

RINCALZO: consiste nell’immissione di mosto cotto e ridotto nel barile a monte di ogni
batteria riportando al livello consueto.

Figura 18. Sequenza rincalzo travaso e prelievo

Figura 19. Prelievo di aceto balsamico

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ANALISI TECNICHE E SENSORIALI (1)
La norma del disciplinare dell’Aceto balsamico tradizionale di Modena precisa che: “La tipi-
cità del prodotto deve essere accertata tramite un esame visivo olfattivo e degustativo, da ap-
posite commissioni di esperti assaggiatori”. È quindi opportuno sottoporre periodicamente il
prodotto dei vari contenitori ad un attento esame organolettico. Esso è infatti l’unico modo
per valutare il “balsamico”.

Figura 20. Scheda di valutazione consorteria Figura 21.Tavolo mastri assaggiatori

L’analisi organolettica non è però l’unica ad essere effettuata sul prodotto finito. Esso infatti
viene analizzato anche tecnicamente tramite una serie di analisi chimico-fisiche che però non
andranno a fare una valutazione del “balsamico” ma saranno un aiuto per il produttore per-
mettendogli di tenere sotto controllo l’evoluzione nel tempo dell’acetaia.
I parametri chimico-fisici da valutare sono tre e tra loro assolutamente inscindibili:
acidità totale (espressa in peso su volume) (A)
grado zuccherino-densità (B)
R= rapporto A/B fra il grado zuccherino B e l’acidità totale A

Figura 22.Scheda analisi chimico fisiche


Figura 23. Lettura mostimetro Babo

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CONCLUSIONI
Il percorso complessivo che ho svolto sull’Aceto balsamico tradizionale di Modena, sia il
progetto fatto a scuola con la consorteria di Spilamberto sia le mie ricerche, è stato utile per
comprendere tutta l’evoluzione dell’Oro Nero e in particolare la sua tradizione.
È stata l’importanza che riveste il tramandare e informare le persone appartenenti a questo
territorio e non solo, a portarmi a compiere questo percorso.
Sono quindi orgogliosa di aver potuto svolgere questo percorso e tramandare anche io un
poco di storia dell’aceto balsamico.
Infine voglio ringraziare mio padre che mi ha fatto il dono di una meravigliosa batteria, inve-
stendo tempo, amore e pazienza per la produzione di questo prezioso liquido: l’oro nero di
Modena.

figura 24.Foto di una botte della batteria

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BIBLIOGRAFIA

1.Vincenzo Ferrari Amoretti, Francesco Saccani, IL BALSAMICO TRADIZIONALE DEL-


LA TRADIZIONE SECOLARE. Modena: Tipolitografia Artestampa srl. Novembre 1999.
Stampa

2. Presentazione fornita dalla Consorteria dell’Aceto balsamico tradizionale di Modena, Co-


mune di Spilamberto grazie al progetto l’Oro nero di Modena.

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