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PREFAZIONE

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Ciao Amico Mio,


forse mi conosci, forse no. Mi presento: mi chiamo
Gianni Luppolata e sono il guardiano del faro di
Cantina della Birra. Il mare mi ha consegnato un
tesoro di birra artigianale che custodisco
gelosamente, minuziosamente catalogato per stile,
che voglio condividere con te.

Ed è proprio attorno allo stile che mi piacerebbe


accompagnarti, cercando di raccontarti qualcosa
che ancora non sai o di portarti sulla strada giusta
per godere al meglio di quella sacra bevanda che è
la birra. Nessuna lezione da impartire ma solo il
piacere di condividere un brindisi gustoso insieme.
GUIDA AGLI STILI - LAGER

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TERMINE LAGER
Prima di avventurarci alla scoperta dei vari stili birrai è doveroso fare una premessa: il termine
Lager non identifica uno stile e sebbene generalmente si definiscano Lager le birre più comuni e di
colore chiaro, in realtà in questa tipologia sono racchiuse birre totalmente diverse tra loro. Si
aggiunga che nessun altro termine che definisce una categoria di birre è mai stato così usato a
sproposito ed abusato. La sua enorme diffusione ha portato con sé, in certi paesi, anche una certa
dose di biasimo.
Denigrato e spesso non capito, talvolta è diventato sinonimo di tutto ciò che non va nella birra.
Le multinazionali, per far cassa, hanno spesso stravolto le caratteristiche fondamentali di questa
famiglia di birre, modificando o aggiungendo ingredienti, riducendo i tempi di stagionatura a
discapito dell’integrità e della rilevanza degli elementi di base. Il fatto che molte birre di scarsa
qualità appartengono a questa categoria, non significa che tutte le Lager siano di pessima qualità
anzi é doveroso portare un grande rispetto che esige anche uno studio molto approfondito, anche
perché le Lager differiscono per sapidità ed olfatto, possono presentarsi di colore paglierino ma
non di rado indossano anche un abito molto scuro; hanno, di solito, una gradazione alcolica
bassa ma ne esistono anche con un tenore alcolico molto elevato.

L’espressione Lager, in modo corretto, assimila tutte le birre che sono generate a “Bassa
Fermentazione”; cioè quelle che fruiscono nel processo di fermentazione di lieviti del ceppo
Saccharomyces Uvarum o Carlbergensis a lunga stagionatura. In questo caso la fermentazione,
cioè la trasformazione degli zuccheri in alcool etilico ed anidride carbonica attraverso l’azione del
lievito, avviene a temperature basse (vicino a 0°) e nella parte bassa delle vasche di
fermentazione. La storia delle Lager è la storia delle birre che governano il globo, almeno
numericamente parlando che sono state concepite in Germania circa nel 1600. Da qui deriva il
termine che in tedesco significa “deposito/cantina/magazzino”, questo perché, in tempi antichi, le
birre erano fatte maturare per parecchie settimane nelle cantine e nelle gallerie scavate sotto i
birrifici al riparo da fonti di calore e dalla luce. Al tempo in cui ancora non esisteva la refrigerazione
a gas, l’unica maniera per tenere la birra al fresco era metterla in barili sistemati in queste
cantine che mantenevano abbastanza bene le temperature. Non di rado erano scavate anche
nuove gallerie dove, verso la fine dell’inverno, era stipato del ghiaccio proveniente da laghi o dai
corsi d’acqua adiacenti che serviva chiaramente per mantenere gli ambienti freschi in previsione
della calda stagione. Tutto ciò permetteva di mantenere la temperatura delle birre vicino a zero
gradi Celsius che sono quelli necessari per un’ottima maturazione.

Circa il 90% delle birre presenti su scala mondiale sono prodotte utilizzando la bassa
fermentazione, Lager è pertanto un termine generico che a livello concettuale può creare
confusione e che comprende molti stili di birra come ad esempio le Bock e i suoi sotto stili, le
Märzen/Oktoberfestbier, le Dunkel, le Kellerbier etc. L’esempio di stile più indicativo di birre
appartenenti alla famiglia delle Lager è con certezza la Pils/Pilsner: dominatrice incontrastata nel
panorama birraio di molti paesi del mondo, Italia compresa. Ora vediamo di conoscerlo meglio:

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STILE EUROPEAN/ GERMAN PILS - LE ORIGINI.


Pils, Pilsener o Pilsner, come si vuol chiamare, è uno stile birraio nato nella città di Plzeň
(Pilsen in lingua tedesca), nella regione della Boemia, l’attuale Repubblica Ceca. Sin dagli inizi del
XIX secolo, anche se le prime sperimentazioni erano già iniziate molto tempo prima, i birrai
della Baviera avevano già cominciato, e con successo, a testare la creazione di birre in luoghi
freschi, facendo uso del lievito a bassa fermentazione che affinava la lucentezza, la saporosità e
la conservazione della birra. Viceversa, ma nello stesso periodo, in Boemia, erano prodotte
prevalentemente birre ad alta fermentazione che però risultavano torbide e scure, molto incostanti
e diverse l’una dall’altra. Assomigliavano più a dei liquidi scuri serviti in boccali di peltro (lega di
stagno 95%, Antimonio 3% e Rame 2%) o di coccio che non lasciavano scorgere il prodotto,
talmente incostanti ed instabili che, mentre alcune erano consumate abitualmente e in fretta, di
altre se ne buttavano via barili interi. Si aggiunga che negli anni ’30 del medesimo secolo, la città di
Pilsen era quasi fonte di vergogna ed imbarazzo per i birrai boemi. Le birre create erano derise e
canzonate dai produttori di birra di altre regioni, dove già si utilizzavano nuovi procedimenti di
maltazione e alcune innovazioni come l’utilizzo della bassa fermentazione, che avevano già
portato alla creazione d’interessanti birre. In particolare, la scarsa limpidezza, era una peculiarità
che non era proprio gradita da tutti; i lieviti rimanevano in sospensione all’interno della birra
facendola apparire non proprio invitante e soprattutto aveva una conservazione molto limitata.

La birra boema però, anche se considerata in questo periodo di scarsa fattura, poteva avvalersi di
un ingrediente la cui qualità non aveva paragoni nel resto d’Europa: il luppolo. Sin dal IX secolo
il duca di Boemia, Venceslao I (che fu poi perfino beatificato perché si preoccupò di cristianizzare il
suo paese con l’aiuto dei missionari della Chiesa tedesca), vietò l’esportazione dei luppoli boemi,
con l’intento di salvaguardare e
proteggere questa peculiarità e
tipicità del proprio territorio.
Uno dei più celebri luppoli è
sicuramente lo Žatec, coltivato
ancor oggi nell’omonima città e
conosciuto anche come il nome di
Saaz. Fu in quest’ambiente
storico e con queste premesse
che per proteggere il mercato
locale, nel 1839 un gruppo di
facoltosi imprenditori decise di
edificare un nuovo birrificio, il
Plzeňský Prazdroj (in origine
Burghers’ Brewery, foto1), i cui Foto 1
lavori che terminarono circa tre Plzeňský Prazdroj (Burghers’ Brewery)

anni dopo.

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Fu ingaggiato per la realizzazione del progetto un architetto chiamato Martin Stelzer, famoso per
aver progettato la sinagoga della città. Stelzer, prima di ogni altra cosa, si recò in Bavaria, visitò
parecchi birrifici che stavano sperimentando nuove
e più moderne tecniche di refrigerazione,
maltazione e come trarre energia dal vapore.
Raccolte le idee, reclutò al suo servizio un celebre
mastro birraio proveniente da Vilshofen an der
Donau, un piccolo comune della Baviera di nome
Josef Groll (1813-1887). Quest’ultimo aveva fama
di essere un esperto nella produzione di birre
Lager e fu incaricato di migliorare la qualità della
birra fino a quel momento prodotta. Una leggenda
narra che costui serbasse accuratamente un lievito
segreto (ancora oggi adoperato e chiamato in
codice Pilsner H), ottenut o da un monaco
benedettino per saldare un vecchio debito. Groll
(foto2) aveva la reputazione di un uomo irascibile e
taciturno ma cambiò radicalmente atteggiamento
quando si rese conto che gli strumenti e le materie
prime messe a disposizione (in particolare il luppolo
Foto 2 boemo Saaz invidiato in tutta Europa per la sua
Josef Groll (1813 – 1887)
finezza aromatica) erano di ottimo livello.

Avvalendosi della sua esperienza, sperimentò e fece tesoro delle nuove tecniche brassicole; malti
più chiari (da poco disponibili) erano fatti essiccare nelle camere di maltazione secondo le più
moderne metodologie provenienti dall’Inghilterra. Perfezionò il procedimento che permetteva ai
lieviti in sospensione di depositarsi, separandosi così dalla birra. In altre parole la combinazione
tra bassi livelli di nitrati e un più lento ammostamento per decozione dava origine a una
birra molto più limpida. Le cantine e le gallerie del birrificio rappresentavano le condizioni ideali
affinché il lievito bavarese, volutamente richiesto, adempisse il suo lavoro. L’acqua della città ceca,
inoltre, era perfetta per produrre una determinata tipologia di birra perché povera di minerali.
Utilizzando inoltre un nuovo procedimento di tostatura del malto, basato sullo sfruttamento del
calore indiretto, nelle cinque settimane che intercorrono tra il 5 ottobre del 1842 e l’11 novembre
dello stesso anno, creò una variante più chiara, limpida e dalla sapidità delicatamente amarognola
e luppolata di birra, contraddistinta, inoltre, da una più lunga stagionatura e una più durevole
conservazione. In parole povere, ottenne il primo lotto dell’odierna Pilsner che tutti noi oggi
conosciamo e apprezziamo. Lo stile Pils cambiò in modo radicale il gusto dei consumatori
poiché la bevanda si presentava con una veste più chiara ed elegante, servita in bicchieri di
vetro trasparente (la reperibilità del vetro in Boemia non era mai stata un problema), affinché
anche l’occhio potesse godere della piacevole “pozione” che risultava decisa al gusto ma
equilibrata. Arduo ipotizzare che una sola birra sia stata in grado di cambiare in modo così radicale

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e profondo le consuetudini dei bevitori, di sicuro però la neonata di Groll giocò un ruolo di
primordine in questa trasformazione. Non sorprende quindi che questo periodo storico legato agli
avvenimenti rimane indelebile nella memoria e nella storia di un luogo e di una località che
inseparabilmente lega il suo nome al tipo di birra più diffuso al mondo. Nonostante il successo
ottenuto però, a Josef non fu rinnovato il contratto. Un vecchio detto sentenzia: “Per conoscere la
birra la devi bere e sono necessari frequenti assaggi!”. Josef purtroppo prese alla lettera questa
espressione e l’attitudine a lasciarsi andare a frequenti brindisi influenzò la sua vita e, di
conseguenza, la decisione degli azionisti della birreria ad allontanarlo a causa del costante stato di
ebrezza che ormai lo contraddistingueva. La ricetta era definitivamente in possesso della birreria e
gli aiutanti di Josef avevano appreso bene l’arte brassicola. Non avevano più bisogno di quel genio
che fino a poco tempo prima era stato il loro Mastro Birrario che però aveva una condotta ormai
inidonea. Insomma, la nascita della Pilsner si deve un po’ a una protesta e in po’ a un furto. Groll
tornò in Baviera nel 1845 e forte della fama conseguita, una volta ereditata la birreria del padre,
tentò di replicare la fortuna della sua “pozione magica”. D’altronde il segreto del lievito era ancora
anche in suo possesso. Sfortunatamente non ci riuscì mai, perché, e vale per qualsiasi cosa, un
eccellente prodotto non è solo frutto di una precisa ricetta ma dalla qualità e dall’origine degli
ingredienti che la costituiscono.

Oltre agli ottimi luppoli impiegati, all’eccellente malto e il famigerato lievito, la Pils creata aveva ed
ha una caratteristica che la distingueva da tante altre località: l’acqua utilizzata, che proviene
dalla confluenza di ben quattro fiumi. Forse questo è il segreto che Groll non riuscì a portare con
sé, è lecito e poetico pensarlo; la stessa comunità di Pilsen lo credette o lo crede ancora oggi
fermamente. Nell’enciclopedico “The Oxford Companion to Beer” si legge che Groll morì nel 1887
mentre era seduto a uno dei tavoli del suo pub preferito. Il segreto e il successo di questa tipologia
di birra va ricercato quindi non solo nelle specifiche fasi di lavorazione ma anche nei suoi
ingredienti: la concomitanza della tinta dorata dovuta all’utilizzo di nuovi malti più chiari,
l’acqua oligominerale di sorgente particolarmente dolce di Plzeň, il celebre e pregiato
luppolo di Zatec, l’estro birraio, l’utilizzo della bassa fermentazione proveniente dalla scuola
bavarese hanno reso possibile la creazione di una birra “ruffiana”, facile da bere e
dall’aspetto molto accattivante. Il 1° marzo del 1859, il birrificio Plzeňský Prazdroj per
salvaguardare i propri interessi, registrò presso la Camera di Commercio a Pilsen il marchio
“Pilsner Bier”. La Pilsner era ormai richiestissima anche fuori dai confini nazionali e lo sviluppo
delle comunicazioni significò per questo nuovo fermentato una più celere disponibilità in tutta
l'Europa centrale, dove, però, venne anche rapidamente plagiato spesso con pessimi risultati
rovinandone la reputazione.

Ai giorni nostri la stragrande maggioranza delle birre in commercio, quindi si fa riferimento a birre
in commercio di tipo industriale, s’ispira alle Pils, sebbene spesso non siano altro che plebee
parodie. Sbarcò a Vienna nel 1865, qualche anno dopo raggiunse Parigi e, nel 1874, oltrepassò
l’Atlantico direzione Stati Uniti d’America verso cui venne largamente esportata. Agli inizi del
Novecento la Plzeňský Prazdroj produceva l’enorme volume di oltre un milione di ettolitri l’anno,

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non meraviglia quindi il fatto che il suo stile “Pilsner Brauart” fu copiato in tutto il mondo. L’assenza
di una paternità sull'aggettivo "Pilsener" (di Pilsen) consentì l’utilizzo, anche in maniera spesso non
proprio appropriata, di questa denominazione a tutte le fabbriche di birra che si rifacevano
all'originario metodo di fabbricazione di Josef Groll. Per tutelare e salvaguardare lo stile originale,
al marchio “Pilsner Bier” fu aggiunta e registrata presso la Camera di Commercio di Pilsen nel
1898, la denominazione “Pilsner Urquell” il cui nome in tedesco significa per l’appunto “fonte
originale di Pilsen”. Tutto ciò per proteggerne il marchio, al fine di porre l’accento sulla
primogenitura del metodo di fabbricazione. Questo nuovo stile di birra sconvolse il mondo,
minacciando la conservazione e la sopravvivenza di numerosi stili regionali e purtroppo, in
molteplici casi, provocandone l’estinzione.

In Germania la Pilsener comparve per la prima volta nel decennio del 1870 e chiaramente lo stile
fu ripreso dalla Pilsner Ceca ma la sua ricetta fu condizionata dalle regole vigenti nel territorio
tedesco (Il Reinheitsgebot, dettame di purezza promulgato nel 1516), dalle caratteristiche delle
acque con alti contenuti minerali e ricche di sali e dalle varietà di luppolo nazionali (ad esempio
l’Hallertau Mittelfruh, lo Spalt e il Tettnang) . Questa tipologia di birra divenne più popolare
dopo la seconda guerra mondiale quando le scuole brassicole tedesche cominciarono a servirsi
delle moderne tecniche di produzione. Ai giorni nostri le Pils tendono ad apparire più chiare,
più amare e più secche spostandosi dal Sud verso il Nord della Germania, il tutto spesso
dovuto alla maggiore quantità di solfati presenti nell’acqua oltre che alle diverse caratteristiche dei
luppoli nobili tedeschi.
Quelle bavaresi, invece, tendono ad avere una sapidità meno amara con un retrogusto più maltato
e luppolato. La luppolatura deve comunque donare sufficiente freschezza nel finale per distinguersi
dalle birre che appartengono allo stile Helles. In Germania, tuttavia, è più adoperato il termine Pils
rispetto a Pilsen, per differenziarsi e, qualcuno sostiene, per esibire deferenza nei confronti dello
stile ceco. Assieme alla sorella Pilsner ceca, rappresenta il modello capostipite degli stili birrari
maggiormente prodotti, imitati e apprezzati al mondo in questi anni. Le Pils, in modo abbastanza
pertinente, si possono suddividere in tre tipologie in base ad altrettante, differenti filosofie: quella
prodotta negli Stati Uniti, la boema e quella concepita in Germania, in Austria o comunque in
Europa che rappresentano nell’immaginario del consumatore medio e per non creare troppa
confusione, la tipologia più classica. È comunque doveroso rilevare che spesso sono utilizzate
altre classificazioni, come ad esempio quella prodotta in Belgio, Olanda e Danimarca, che volendo
hanno una ragione di fondamento. Di seguito analizziamo quella denominata “European German
Pils”.

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LAGER - DEGUSTAZIONE

ASPETTO VISIVO.

La sua veste può variare dal biondo paglierino al dorato chiaro e la sua diafanità da luminosa
a molto limpida. La schiuma deve apparire bianca, a trama fine, cremosa e persistente.

SENTORI OLFATTIVI.
Il profumo del cereale dolce deve essere da basso a medio-basso (frequentemente si
avvertono note di miele e cracker lievemente tostato). Naso molto pulito ma potrebbe presentarsi
una leggera nota sulfurea derivante dal tipo di acqua utilizzata ma anche dal lievito. La
luppolatura può spaziare da ponderatamente bassa a moderatamente alta ma non deve
sovrastare totalmente le note maltate e deve assumere toni floreali, speziati o erbacei. Gli esempi
con una sola di queste peculiarità sono da considerarsi di qualità inferiore rispetto a quando si
avvertono tutti gli ingredienti. Una leggerissima nota di fondo di DMS è accettabile (Il Dimetil
Solfuro o DMS è un composto aromatico prodotto dal mosto durante la bollitura e sprigionato dal
mosto stesso, è presente in molte birre ed è responsabile di un aroma cosiddetto di “vegetali cotti”,
tipo cavolo bollito).
Il fermentato inoltre non deve presentare nessun olezzo o sapore di Diacetile (componete
responsabile di un profumo “burroso”, il tipico odore che si rileva quando si annusa un sacchetto di
pop corn per microonde) o Esteri Fruttati (aroma e un gusto che richiama le banane, le fragole, le
mele, e/o altri frutti. Gli esteri sono composti organici prodotti dalla reazione di esterificazione di un
alcol o di un fenolo con acido carbossilico o un suo derivato. È prodotto dai lieviti durante la
fermentazione e la maturazione ed è generato sia dai lieviti ad alta che a bassa fermentazione).

NOTE GUSTATIVE.

In bocca si manifesta con un corpo medio-leggero e con una carbonatazione da media ad alta.
L’amaro donato dal luppolo (da medio ad alto), domina il palato e permane anche nel
retrogusto. La sapidità di malto, che spazia da moderatamente bassa a moderata, si manifesta con
un carattere dolce da cereale e bilancia la luppolatura che si presenta con toni floreali, speziati o
erbacei e s’interpone da leggera ad elevata. Una birra dal profilo pulito, con una sapidità secca o
medio-secca e con un retrogusto amaro e allo stesso tempo lievemente maltato.
Gli esempi realizzati servendosi di acqua ricca di solfati sono più secchi e con un finale più lungo,
questa caratteristica è ammissibile ma non obbligatoria. Altre versioni mostrano un finale più
morbido con un tono maltato più in evidenza ma deve comunque persistere un amaro
avvertibile.

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CONSIDERAZIONI GENERALI.
Prodotte utilizzando la tecnica della bassa fermentazione, si presentano con un colore dorato
e con un’elegante schiuma bianca dotata di un’eccellente persistenza.
Una birra fresca, pulita e rinfrescante con un raffinato aroma floreale, speziato o erbaceo da
luppolo; le dolci fragranze elargite dai malti rimangono in sottofondo. Le Pils, al palato, esibiscono
u n corpo leggero ed una carbonatazione mediamente alta. La sapidità contenuta di malto
consente al luppolo di diventare l’attore protagonista.
Domina l’amaro che porta a un lungo e secco retrogusto.

BICCHIERE CONSIGLIATO E TEMPERATURA DI ESERCIZIO OTTIMALE.


Il calice consigliato per degustare una birra Pils è il
flûte, letteralmente significa “flauto” ed è molto simile
a quello utilizzato per lo Champagne.
I l profilo conico, l a forma stretta ed allungata
facilita la formazione e tenuta della schiuma,
favorisce la salita dei profumi verso il naso ogni volta
ne viene bevuto un sorso ed esalta l’aspetto, in
particolare la trasparenza, la lucentezza e
l’effervescenza di queste birre. Lo stelo e lo spessore
del vetro consentono alla birra di restare fresca più a
lungo. La temperatura di esercizio ottimale per
assaporare una birra Pils si interpone tra i 5-7°.

Foto 3: Flûte

ABBINAMENTI CONSIGLIATI.
Ideale in ogni momento della giornata soprattutto in estate.
Per quanto riguarda gli abbinamenti culinari, le Pils accompagnano in maniera egregia quasi tutti i
piatti. Ottime in aperitivo con stuzzichini e tartine, affettati magri, formaggi freschi, a pasta
molle, filata, grassa e/o caprini. Si abbinano bene a primi piatti con paste bianche con
condimenti leggeri, sughi di verdure con un goccio d’olio e/o amari (pomodoro), al risotto,
oppure a zuppe delicate a base di verdure. Per quanto riguarda i secondi si accostano al

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coniglio, alla faraona, carni rosse alla brace, carni bianche con contorno di carciofi, spinaci
e insalate verdi condite con vinaigrette. In generale la grande famiglia delle Lager chiare e di
conseguenza delle birre Pils si abbina facilmente a numerose preparazioni a base di pesce.
Pesci bianchi cotti al vapore, bolliti, al forno o alla griglia, al salmone, ai molluschi o al fritto
misto di paranza con calamari e gamberi. Se l’amaro è più pronunciato, la Pilsner è
l’accompagnamento perfetto per piatti speziati come quelli indiani al curry. Perfetto
l’abbinamento con l’Hamburger e la pizza.

LAGER – DATI TECNICI


OG (Original Gravity) 1.044–1.050

FG (Final Gravity) 1.008–1.013

IBUs (International Bitterness Units) 22–40

EBC (European Brewery Convention) 4–8

SRM (Standard Reference Method) 2–5

ABV (Alcohol by Volume) 4,4 – 5,2%

OG.
L’OG (Original Gravity) o Gravità Iniziale è la quanttà di zuccheri present all’inizio della fermentazione
misurata con il densimetro, per questo rilevamento si utlizza anche un’altra scala deta gradi Plato. Il
densimetro o areometro è lo strumento che permete di misurare la densità di un liquido. Il suo
funzionamento è basato sulla spinta di Archimede, ovvero sulla spinta verso l'alto che un corpo riceve
quando è immerso in un liquido.
Esistono due tpi di densimetro: a peso e a volume costante. Il primo è più immediato nell'uso, mentre il
secondo consente una maggiore precisione.

FG.
L’FG (Final Gravity) o Gravità Finale è la quantità di zuccheri/alcool presenti alla fine della
fermentazione e viene misurata anch’essa con il densimetro.

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IBU.
L’IBU (International
B i t t e r n e s s U n i t s)
rappresenta uno dei
termini birrai che ha
suscitato negli ultimi
anni più interesse e
fama verso gli
appassionati di birre
artigianali, grazie
soprattutto al successo
delle birre luppolate. Il
motivo è semplice:
rappresenta l a s c a l a
internazionale per
misurare l’amaro di
una birra.
Birre poco amare
avranno un IBU di 4-10,
birre notevolmente
amare possederanno
un IBU di 60-70. 100
IBU indicano il limite di
percezione nell’essere
umano, oltre il quale
non si riesce più ad
avvertire l’aumento di
amaro. Pertanto valori
più alti designano
birre più amare, ma il
ragionamento non è
così semplice perché
nella percezione del
gusto subentrano altri fattori. Se una birra è, molto maltata (dolce), la parte amara sarà meno
evidente anche a fronte di un valore di IBU molto alto. Per di più il valore è spesso teoretico e non
sempre preciso o indicativo al 100%, anche perché esistono diversi sistemi per quantificarlo.
È lampante perciò che l’IBU possa essere adoperato più come strumento di marketing che come
indicazione valida per il consumatore, specialmente quando sono ostentati in maniera palese.

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EBC.
L’EBC (European Brewery Convention) e l’SRM (Standard Reference Method) non sono altro che
le scale per misurare il grado di colorazione di una birra. Il colore di una birra è determinato
dal tipo di malto impiegato e, nelle birre più scure, dal suo grado di tostatura. Tenendo presente
che l'acqua è sia inodore che incolore, che il luppolo coadiuva il grado di amarezza e che i lieviti
sono i delegati alla fermentazione, ne deriva che il malto rimane il solo elemento in grado di
dare il colore alla birra. Quando l'orzo viene maltato ed essiccato, cambia di colore a seconda
della temperatura raggiunta per l'essiccazione. Nel caso delle birre scure il malto viene tostato e
tenderà a divenire più scuro con una temperatura più alta di essiccazione e una maggiore
tostatura. Il colore della birra deriverà dalla quantità e dalla proporzione dei malti utilizzati, ad
esempio tra chiari e scuri.

Per misurare il colore della birra sono impiegate tre scale: la Lovibond (°L) che rappresenta
la storia della stima del colore della birra, nata nel 1883 quando Joseph W. Lovibond utilizzò per la
prima volta dei vetrini colorati per raffrontarli al colore della birra. La SRM, impiegata generalmente
negli Stati Uniti, che determina quanta luce con un’intensità regolata a 430 nm riesce a passare
attraverso un centimetro di birra all'interno di un fotometro (sostanzialmente non c'è una grande
diversità tra Lovibond e SRM, molti usano la prima per disegnare quanto è scura la birra, mentre
adoperano la SRM per definire il colore vero e proprio), ed infine la scala denominata EBC che
viene impiegata in Europa e si basa sull’utilizzo di uno spettrofotometro per la misurazione del
colore. Il rapporto tra scala EBC e scala SRM è di circa 2:1 (10 EBC = 5 SRM).

Per convertire i risultati delle diverse scale, di seguito queste pratiche formule:

Da SRM a Lovibond: °L = (SRM + 0.6) / 1.3546


Da Lovibond a SRM: SRM = (1.35 x °L) - 0.76
Da EBC a SRM: SRM = EBC × 0.508
Da SRM a EBC: EBC = SRM × 1.97

Fonte: http://www.giornaledellabirra.it/produzione/i-colori-della-birra-le-scale-di-misura/

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I COLORI DELLA BIRRA E LE SCALI EBC, SRM E LOVIBOND

ABV.
L’ABV (Alcohol by Volume) è la definizione stabilita in ambito internazionale per designare la
percentuale in volume del contenuto di etanolo in una bevanda alcolica. In Italia prende il
nome di titolo alcolometrico o di gradazione alcolica e si esprime col simbolo “% vol.”.

ESEMPI PRESENTI SUL SITO DI CANTINA DELLA BIRRA:


NAZIONE NOME DEL BIRRIFICIO NOME DELLA BIRRA
Italia Lambrate American Magut
Germania Schönram Schönramer Pils
Danimarca To Øl Hop Love Pils
Germania Riedenburger Brauhaus Pils
Germania Reitberg Kloster Pils
Stati Uniti Speakeasy Pop gun Pils
Repubblica Cieca Malastrana Original Pils

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