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Dopo aver fornito un accenno alle leggi che interessano quelli che vengono definiti fluidi ideali, si descriveranno
quantitativamente i fenomeni dissipativi, tipici, invece, dei fluidi reali, la cui conoscenza è indispensabile per
comprendere tutte le applicazioni che si svilupperanno.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
dove
G = portata in massa (kg/s)
p = densità (kg/m3)
Se la densità tra S1 e S2 rimane costante (cosa che può ritenersi ragionevolmente verificata per i fluidi incomprimibili,
anche in presenza di modesti apporti esterni di calore) la precedente relazione diventa:
che esprime, in sostanza, la costanza delle portate volumetriche per i fluidi incomprimibili.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
dove
g = accelerazione di gravità = 9,81 m/s2
ρ = densità (kg/m3).
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
Quindi, in assenza di fenomeni di attrito, la somma dell’energia della pressione, dell’energia cinetica e dell’energia
potenziale gravitazionale si mantiene costante lungo il condotto: ciascuno dei termini di cui si compone l’equazione
rappresenta un’energia riferita all’unità di massa o, se si preferisce, una potenza meccanica per unità di portata.
La legge appena esposta governa il moto dei fluidi incomprimibili nei condotti: essa si può anche enunciare dicendo
che la somma dell’altezza geodetica h, dell’altezza piezometrica p/(ρg) e dell’altezza cinetica c2/2g di un fluido
incomprimibile è costante in assenza di attriti.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
dove
g = accelerazione di gravità (m/s2)
h = livello delle sezioni riferito ad una quota di riferimento (m)
c = velocità del fluido (m)
i = entalpia del fluido (kcal/kg)
E = equivalente meccanico del calore = 4184 J/kcal
L = lavoro ceduto all’esterno (J/kg)
Q - calore ceduto all’esterno (kcal/kg).
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
Dove
Cioè la massa unitaria in ingresso nella sezione Si dà due contributi energetici al volume di controllo:
• L’energia interna U (kcal/kg);
• L ’energia potenziale delle pressioni p/ρ, che può essere interpretata come il lavoro necessario per comprimere il
fluido interno al volume di controllo e consentire l’ingresso dell’unità di massa.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
I valori dell’entalpia, nel caso dell’acqua, sono facilmente consultabili sulle tabelle delle proprietà termodinamiche
dell’acqua e del vapore.
ha impiego generale e, a seconda del tipo di componente meccanico o del tratto di circuito che si considera, assume
forme differenti. Si esamineranno di seguito alcuni casi comuni.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
La potenza fornita al fluido Pp si ottiene con facilità dall’equazione precedente: utilizzando le unità di misura, più
comunemente utilizzate nelle applicazioni, cioè la pressione in bar, la densità in kg/m3 ed esprimendo la portata G in kg/
h si scrive:
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
Questa espressione evidenzia che il lavoro fornito ad un chilogrammo di fluido in un compressore eguaglia il salto
entalpico fornito in condizioni adiabatiche, che può in molti casi pratici essere calcolato, note le proprietà
termodinamiche dei fluidi e le equazioni di stato.
Se si indica con G la portata di fluido in kg/h, con i l’entalpia (kcal/kg), si può esprimere la potenza fornita al fluido con la
seguente espressione:
FLUIDI INCOMPRIMIBILI
dove
G = portata (kg/h)
Q = i1 – i2 kcal/kg
La precedente formula può altresì così enunciarsi: in uno scambiatore il calore trasmesso eguaglia il salto entalpico
subito dal fluido.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
con R12 = la perdita di energia meccanica (sempre > 0) tra le sezioni S1 e S2.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
L’integrale presente al terzo termine di questa espressione, sempre verificandosi le ipotesi poste, andrà calcolato per
una trasformazione adiabatica isoentropica, senza cioè fenomeni irreversibili, tra le pressioni iniziale e finale.
A causa degli attriti, una certa quantità di energia meccanica viene perduta, ritrovandosi sotto forma di calore che
riscalda e dilata il fluido.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Bisogna sottolineare che lo studio delle perdite di carico è ricondotto all’esame di due fenomeni differenti:
Pur avendo la stessa origine fisica, nei fenomeni dissipativi presenti all’interno del fluido e tra il fluido e le pareti del
condotto, è opportuno distinguere le perdite distribuite lungo il condotto da quelle concentrate, in presenza cioè di
discontinuità quali valvole, derivazioni, bruschi cambiamenti di direzione, ecc. perché le relazioni matematiche e alcuni
parametri che intervengono sono differenti.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Prove sperimentali hanno mostrato che la resistenza F che si oppone al movimento di un fluido può essere espressa
mediante la relazione:
ove
fF = coefficiente di attrito di Fanning (adimensionale)
Sl = superficie laterale del condotto (m2)
ρ = densità (kg/m3)
c = velocità del fluido (m/s).
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
In un condotto a sezione circolare di diametro interno Di il rapporto A/P risulta pari a Di/4. La precedente relazione,
pertanto, si può esprimere anche:
dove f = 4 fF
La relazione precedente può ancora essere utilizzata per evidenziare la perdita di energia meccanica per unità di massa
del fluido sotto la seguente forma:
Le formule precedenti mostrano come le perdite di carico dipendano dall’energia cinetica posseduta dal fluido.
Tali formule non risolvono il problema del calcolo delle perdite di carico, ma lo spostano a quello della valutazione del
coefficiente di attrito, che, nei casi di impiego pratico, deve essere ricavato da grafici o correlazioni sperimentali.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
dove
De = diametro equivalente del condotto (m)
c = velocità del fluido (m/s)
µ = è la viscosità del fluido (kg/m s)
v = µ /ρ = la viscosità cinematica pari al rapporto tra il coefficiente di viscosità e la densità (m2/s).
Si ricorda che la viscosità µ dipende dalla temperatura del fluido e che, in genere, per i liquidi diminuisce all’aumentare
della temperatura, mentre per i gas aumenta all’aumentare della temperatura.
La viscosità dell’acqua a 60°C vale 47 • 10-5 kg/m s, mentre a 20°C vale 100 • 10-5 kg/(m s).
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Per numeri di Reynolds maggiori di 3000, il regime si dice turbolento e l’andamento delle velocità nella sezione
trasversale è caratterizzato da tratti in forte pendenza in vicinanza delle pareti, mentre nella parte centrale del tubo la
velocità varia poco da punto a punto.
Per valori del numero di Reynolds compresi tra 2100 e 3000 si ha un regime intermedio fra i due regimi fondamentali.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Nel caso di regime turbolento, invece, il coefficiente di attrito per tubi lisci si può ricavare da una delle seguenti formule
tra loro simili e a volte indifferentemente utilizzate:
che è preferita agli alti numeri di Reynolds e che è applicabile per Re > 104.
Queste formule presentano un’ampia casistica di impiego, in quanto in molte applicazioni il moto è turbolento e le
tubazioni possono essere considerate lisce, almeno tali sono le tubazioni in pvc e polietilene, nonché le tubazioni in
acciaio senza saldatura; non sono, invece, lisce, ad esempio, le tubazioni in calcestruzzo.
L’altro parametro da cui dipende il coefficiente di attrito è la rugosità relativa della superficie di una tubazione, indicata
con ε/De, dove ε rappresenta il valore medio dell’altezza della rugosità e De il diametro equivalente idraulico del
condotto.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Queste correlazioni sono rappresentate nelle figure che seguono, in particolare nella seconda, conosciuta come
diagramma di Moody, è rappresentata la correlazione tra il numero di Reynolds e il coefficiente di attrito f, mediante un
insieme di curve ciascuna caratterizzata da un proprio valore di rugosità relativa.
Ai bassi numeri di Reynolds il moto è laminare e la famiglia di curve degenera in una retta, corrispondente alla relazione
Rugosità relativa dei tubi in funzione del diametro per vari materiali
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
• Per tubazioni in acciaio per reti di riscaldamento e tubazioni di piccolo diametro (1/2”) si può assumere f ≈ 0,035;
• Per tubazioni in polietilene reticolato, per riscaldamento o acqua potabile, di piccolo diametro (1/2”) si può ritenere f ≈
0,028;
• Per una tubazione del vapore di un impianto termoelettrico da 6” in acciaio sarà f ≈ 0,012.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Il coefficiente di attrito f può calcolarsi in funzione del numero di Reynolds e della rugosità o scabrezza ε (m):
Tuttavia, va sottolineato che la formula di Colebrook non è facilmente utilizzabile: in essa, infatti, il valore di f è espresso
implicitamente e, quindi, risulta determinabile solo con procedimenti di calcolo ad approssimazioni successive.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Le tabelle o le formule fomite dai costruttori - noto il diametro, la portata e il tipo di tubo - consentono di ricavare le
perdite di carico per metro di tubazione; invece, un problema inverso, che si deve affrontare frequentemente, in genere
con l’ausilio delle tabelle dei costruttori - dato il diametro e la lunghezza del tubo - consiste nel ricavare la portata
ammissibile per una determinata perdita di carico.
Nella maggior parte dei casi il dimensionamento di massima delle tubazioni per fluidi di processo si può eseguire sulla
base delle velocità ammesse nel condotto.
Dopo aver preliminarmente dimensionato il tubo, è necessario procedere alla verifica delle perdite di carico e, nel caso
non fossero accettabili, si deve incrementare la sezione del tubo.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Il calcolo delle perdite di carico concentrate viene effettuato estendendo i concetti già espressi per le perdite
distribuite.
L’ordine di grandezza delle perdite concentrate in un circuito termoidraulico può essere pari o, in alcuni casi, anche
superiore alle perdite distribuite: il calcolo, caso per caso, evidenzia l’entità dei due fenomeni.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Dove
Tale relazione mostra che le perdite di carico concentrate sono la somma delle perdite di carico di ciascuna
discontinuità.
Per ogni discontinuità la perdita di carico è proporzionale all’energia cinetica posseduta dal fluido e la costante ki
rappresenta un coefficiente di attrito.
È opportuno porre l’accento sul fatto che la costante ki dipende principalmente dalla forma e dalla resistenza del
condotto e in minor misura dai parametri del fluido quali la densità, la velocità, la viscosità.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Bisogna tenere ben presente che il metodo delle lunghezze equivalenti è poco preciso, in quanto può dare luogo ad
errori non trascurabili al variare delle condizioni di esercizio del fluido, per esempio, al variare della temperatura.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Si può notare che al variare della temperatura dell’acqua da 10°C a 80°C, il valore del coefficiente diminuisce
considerevolmente (circa il 30%).
Le perdite di carico distribuite, cioè, dipendono fortemente dalle caratteristiche del fluido e, in particolare, dalla
viscosità dell’acqua.
L’esperienza mostra come le variazioni delle perdite di pressione per discontinuità concentrate, al variare della
temperatura dell’acqua tra 10°C e 80°C diminuiscono solo del 3% (corrispondente all’incirca alla variazione di densità) e
non del 30 ÷ 35% come risulterebbe facendo uso del concetto di lunghezza equivalente, che deve essere, in sostanza,
utilizzato con una certa cautela.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
dove
Q = portata (m3/s)
ρ = densità (kg/m3)
Δp = perdite di carico (Pa)
ki = costante di attrito adimensionale
K = coefficiente di portata (m2)
A = sezione di passaggio della valvola (m2).
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
La relazione definisce il coefficiente di portata Kv, che rappresenta la portata in m3/h che passa attraverso la valvola, in
determinate condizioni di apertura, quando la differenza di pressione monte/valle è di 1 bar. Il valore di Kv viene in
genere determinato per via sperimentale e fornito dal costruttore della valvola.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Se, infine, si misurano le portate in gpm (gallons per minute), le pressioni in psi (pound per square inch) la precedente
relazione si può ancora scrivere:
Questa relazione definisce il Cv della valvola che è un coefficiente maggiormente utilizzato nell’industria rispetto al Kv.
Il valore degli altri coefficienti, in particolare di Fp, può essere calcolato anche teoricamente, note le caratteristiche
geometriche del condotto. L’area A nella prima parte della relazione è espressa in m2.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Per il calcolo di Fp e per un quadro più completo sui coefficienti delle valvole si può fare riferimento alle norme
americane ISA, S75-01 (Flow Equations for sizing Control Valves).
Si ricorda che le equazioni precedenti sono valide quando il liquido non vaporizza nemmeno parzialmente tra l’ingresso
e l’uscita della valvola. Infatti, la formazione temporanea (cavitazione) o permanente (flashing) di bolle di vapore dà luogo
a forti perdite di carico che rendono le precedenti formule non più valide e che possono causare danni alla valvola o
alle apparecchiature immediatamente a valle.
Si ritiene, infine, che la tabella relativa alle costanti di attrito k (ultima tabella), abbia un’applicabilità generale,
consentendo una buona approssimazione in relazione alla ampiezza dei casi con essa valutabili.
Nel caso si utilizzino tubi di piccolo diametro (D < 2”) può essere opportuno consultare la letteratura specializzata per il
caso in esame o servirsi delle già citate tabelle fornite dai costruttori.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
Dilatazione termica
La dilatazione termica è il fenomeno fisico per cui le dimensioni di un corpo aumentano o diminuiscono al variare della
sua temperatura.
La dilatazione termica si dice lineare, superficiale o cubica, a seconda che riguardi prevalentemente una, due o tutte tre
le dimensioni di un corpo.
Quando si progettano e si realizzano reti di distribuzione, interessa soprattutto conoscere, e tener sotto controllo, le
dilatazioni termiche delle tubazioni che trasportano fluidi ad elevata temperatura.
In particolare tali tubazioni devono potersi dilatare senza far nascere forze in grado di causare danni (deformazioni
permanenti o rotture) alle tubazioni stesse o ai supporti di ancoraggio.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI
ΔT = differenza di temperatura, °C
Tale elasticità dipende soprattutto dal numero e dal tipo di curve inserite nella rete.
Le curve, infatti, si deformano facilmente e possono così assorbire in modo “naturale” l’allungamento e l’accorciamento
dei tubi.
Le curve che meglio assorbono le dilatazioni termiche dei tubi sono quelle che hanno diametri piccoli ed elevati raggi di
curvatura.
Al contrario, negli impianti a grande sviluppo, l’elasticità propria delle reti non è in genere sufficiente a garantire
l’assorbimento delle dilatazioni termiche.
In questi casi si deve provvedere alla messa in opera di appositi compensatori che possono essere di tipo naturale o
artificiale.
IMPIANTI TERMOIDRAULICI
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AD ACQUA CALDA
Generalità
La progettazione e la realizzazione include lo studio delle reti distribuzione, complementi, terminali, scarichi, ecc…
Particolare importanza riveste, inoltre, il controllo dei parametri tecnici, che assicurano il regolare funzionamento
dell’impianto: tra questi hanno rilievo l’entità delle emissioni in atmosfera e i rendimenti del generatore e dell’impianto.
Strettamente connesso alla costruzione e all’esercizio di un impianto termico è lo studio delle caratteristiche
dell’edificio e dei parametri atti a garantire un buon isolamento termico tale da ridurre i consumi di combustibile e
migliorare l’efficienza energetica del complesso edificio-impianto.
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AD ACQUA CALDA
Generalità
L’impianto di riscaldamento, nei casi più semplici, si compone di:
• Generatore di calore;
• Pompa di circolazione;
• Vaso di espansione;
• Accessori di sicurezza (tubo di sicurezza, valvola di sicurezza, ecc.);
• Montanti e tubazioni di distribuzione;
• Corpi scaldanti;
• Canne fumarie e camini.
Nel primo caso, il vaso di espansione è ubicato in sommità e comunica con l’atmosfera; nel secondo caso, invece, il
vaso è in pressione ed è generalmente ubicato in centrale termica.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Generatore di calore
I generatori di calore ad acqua calda utilizzano il calore proveniente dalla combustione di gas o gasolio per riscaldare
l’acqua che successivamente è inviata per mezzo di apposite pompe ai corpi scaldanti.
I generatori di acqua calda si compongono delle seguenti parti:
• Caldaia;
• Bruciatore;
• Sistema di alimentazione del bruciatore.
La caldaia è composta da due parti: in una parte avviene la combustione con produzione di calore, mentre nell’altra
l’acqua, che attraverso le pareti metalliche riceve calore, aumenta la sua temperatura immagazzinando l’energia termica.
La camera di combustione può essere tenuta o a pressione atmosferica o a una pressione maggiore di quella
atmosferica.
Nel caso di caldaia a pressione atmosferica, si ha una maggiore durata dell’apparecchiatura, una maggiore facilità di
conduzione, a fronte però di minori rendimenti.
Se la camera di combustione è pressurizzata, si riescono ad ottenere rendimenti più elevati, ma la vita della caldaia
risulterà più breve.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Generatore di calore
Un’altra distinzione importante riguarda le caratteristiche di umidità dei fumi emessi: infatti, le caldaie possono essere
tradizionali o a condensazione. In quest’ultimo tipo più recente, i fumi sono emessi a bassa temperatura e l’acqua
contenuta in essi è presente in forma condensata, con conseguente migliore sfruttamento del calore della
combustione: i rendimenti sono notevolmente più alti rispetto ai generatori di calore tradizionali, in quanto è utilizzato
anche il calore latente di condensazione dei fumi, che nelle caldaie tradizionali andava invece perduto, con un migliore
sfruttamento del calore della combustione.
Nei generatori di calore tradizionali i fumi sono emessi a temperatura superiore a quella di condensazione dell’acqua
che contengono, per evitare problemi di attacchi acidi sui materiali, ma con una perdita energetica, che fino a pochi
anni fa era ritenuta non recuperabile.
I fumi generati in camera di combustione passano nella caldaia vera e propria e lambiscono - lato mantello - una
serpentina entro la quale scorre acqua. In alternativa, passano attraverso condotti o tubi (cosiddetti nelle caldaie a tubi
di fumo), mentre l’acqua li raffredda dall’esterno: si realizza, in questo modo, il riscaldamento dell’acqua e il conseguente
raffreddamento dei fumi che sono poi inviati al camino.
Per impianti alimentati a gas, la camera di combustione può essere di dimensioni più limitate, in quanto la fiamma che si
genera irraggia più calore che nel caso di un combustibile liquido che ha una fiamma meno luminosa.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Generatore di calore
II bruciatore è l’organo della caldaia nel quale avviene la combustione.
I bruciatori ad aria aspirata sono costituiti da un tubo Venturi, all’interno del quale è iniettato il gas, che, raggiunta la
sezione di gola, aspira l’aria comburente con la quale si miscela.
Infatti, la velocità che il gas possiede nella sezione di gola (sezione ristretta del tubo) è sufficiente per aspirare una parte
dell’aria esterna che si miscela con il gas: la miscela di gas-aria risultante può facilmente essere incendiata sulla testa del
bruciatore, che è costituita da una piastra con una serie di aperture di passaggio del gas.
Nei bruciatori ad aria soffiata la miscelazione dell’aria con il gas viene realizzata con l’ausilio di un apposito ventilatore,
per cui la miscelazione del gas con l’aria è più precisa e può meglio essere controllata, inoltre, la quantità di aria
introdotta e la velocità di quest’ultima. Si ha un migliore controllo dei parametri che interessano per ottenere
l’ottimizzazione della combustione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Generatore di calore
Schema funzionale tipico della rampa gas
Per il funzionamento dei generatori di calore è A = valvola di intercettazione
B = giunto antivibrante
necessario un apposito sistema di alimentazione C, G, L = Presa per manometro
del combustibile al bruciatore, specifico a seconda D = manometro
E = filtro del gas
del tipo di combustibile e di bruciatore utilizzato. F = valvola di regolazione della pressione
Per i generatori a gas, tale sistema comprende il H = pressostato di minima pressione del gas
I = valvola automatica di intercettazione a chiusura rapida (classe di
tratto di tubazione dalla rete del gas fino al sicurezza A)
bruciatore, che deve essere corredato da una serie J = valvola automatica di sfiato, aperta a bruciatore fermo
K = valvola automatica di regolazione a chiusura rapida (classe di
di valvole e dispositivi per la regolazione e la sicu sicurezza A o B)
N = serranda di regolazione sull’ingresso dell’aria
rezza. O = flussostato per accertare la presenza di portata di aria
Generatore di calore
La rampa gas comprende, in particolare, i seguenti elementi
fondamentali:
• Un filtro per il gas;
• Una valvola di regolazione della pressione;
• Un sistema di blocco rapido.
Generatore di calore
I bruciatori sono, inoltre, corredati da un dispositivo di controllo della
fiamma, che può essere del tipo ottico o di tipo termoelettrico.
Generatore di calore
Nel caso di utilizzo di combustibili liquidi e, in particolare, gasolio, la temperatura dei fumi non può però (almeno nelle
caldaie tradizionali) scendere al di sotto della temperatura di condensazione dell’acido solforico.
La temperatura dei fumi allo scarico del camino con combustibili contenenti zolfo non deve scendere al di sotto dei
140°C.
I camini devono essere adeguatamente coibentati, per evitare sia la condensazione dell’acqua contenuta nei fumi sia di
eventuali acidi che possono formarsi per effetto della reazione tra i prodotti della combustione e il vapore acqueo.
II dimensionamento della sezione dei camini avviene fondando il calcolo sul concetto che la pressione disponibile alla
base del camino deve essere tale da vincere le perdite di carico che i fumi incontrano nel loro percorso.
Le caldaie, dopo la costruzione e prima di essere messe in commercio, sono sottoposte ad una prova idraulica con
acqua, per accertare che non vi siano difetti di fabbricazione ed è necessario richiedere sempre al venditore di rilasciare
il certificato della prova idraulica del generatore (D.M. 1/12/1975).
Le caldaie attualmente in commercio sono, inoltre, dotate di marcatura CE di conformità ai requisiti minimi di sicurezza,
stabiliti da appositi atti di legge che recepiscono le direttive comunitarie.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Pompa di circolazione
La pompa di circolazione ha lo scopo di mantenere in circolazione l’acqua all’interno delle tubature, ha cioè lo scopo di
inviare l’acqua ai corpi scaldanti e da questi alla caldaia.
Deve essere dimensionata per vincere le perdite di carico che l’acqua incontra nel circuito: la pompa non richiede
perciò elevati valori di prevalenza.
La prevalenza di una pompa è una grandezza fisica che si misura in metri ed esprime l’incremento totale di pressione
fornito dalla pompa al fluido, espresso in metri di colonna di fluido.
Quindi è pari a:
dove
Lt = lavoro complessivo trasferito al fluido (J/kg)
g = accelerazione di gravità (m/s2).
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Pompa di circolazione
Un parametro importante di progetto che deve essere verificato prima dell’installazione di una pompa è la pressione
netta all’aspirazione della pompa o NPSH (Net Positive Suction Head) che deve essere maggiore del valore minimo
richiesto per la pompa e indicato dal costruttore.
dove
p = pressione sulla sezione di ingresso del condotto di aspirazione (Pa)
ps = tensione di vapore corrispondente alla temperatura del fluido nella pompa (Pa)
ρ = densità del fluido alla temperatura nella pompa (kg/m3)
g = accelerazione di gravità = 9,81 m/s2
h = altezza del condotto di aspirazione della pompa (m)
ha = perdite di carico nel condotto di aspirazione (m)
NPSH = valore della pressione minima netta all’aspirazione della pompa fornito dal costruttore (m).
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Pompa di circolazione
Affinché la pompa lavori regolarmente, senza il rischio di cavitazione, è necessario garantire una pressione minima sulla
sezione di ingresso dell’acqua alla pompa: tale pressione minima p si calcola con la relazione
che è una semplice applicazione dell’equazione di Bernoulli in funzione della minima pressione netta sulla girante per
cui non si ha cavitazione.
La relazione si può interpretare dicendo che la pressione minima accettabile p sulla sezione di ingresso alla pompa,
diminuita della tensione di vapore, più il battente statico tra la sezione di ingresso e la girante, diminuito delle perdite di
carico sul condotto di aspirazione, deve essere almeno pari all’NPSH della pompa e deve sempre essere garantita per
evitare fenomeni di cavitazione (cioè vaporizzazione parziale del liquido).
La pompa di circolazione è normalmente alimentata da un motore elettrico e nella pratica progettuale interessa spesso
conoscere la potenza elettrica assorbita.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Pompa di circolazione
La potenza di pompaggio W negli impianti di riscaldamento ad acqua calda può essere calcolata con la seguente
espressione semplificata:
dove
Pompa di circolazione
Nel caso più generale la formula precedente può essere sostituita dalla seguente espressione:
dove
W = potenza di pompaggio (kW)
G = portata in massa (kg/h)
H = prevalenza (m)
Q = portata volumetrica (m3/h)
η = rendimento della pompa
ρ = densità (kg/m3).
Si sottolinea che la pompa, per un corretto funzionamento, richiede una pressione costante sull’aspirazione; si richiede,
inoltre che tale pressione sia maggiore della minima consentita. Per evitare sbalzi di pressione sull’aspirazione, si può
collegare l’aspirazione della pompa al vaso di espansione o disporre la pompa stessa sul ramo caldo del circuito, in
modo che risulti prossima al tubo di collegamento del generatore al vaso di espansione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Si scinde, in sostanza, il circuito di caldaia dai circuiti utilizzatori: ciò è necessario quando sono presenti più circuiti con
lunghezze differenti delle tubazioni o con modalità di esercizio o orari differenti: se si vogliono alimentare, ad esempio,
due circuiti, uno per un museo e uno per gli uffici, situati nello stesso palazzo, ma con orari di funzionamento diversi.
• Termostato di regolazione;
• Termostato di blocco;
• Valvola di sicurezza (per impianti a vaso chiuso) o tubo di sicurezza (per impianti a vaso aperto);
• Termometro di controllo;
Il tubo di sicurezza, di opportuno diametro, collega il generatore di calore o la tubazione di uscita di quest’ultimo con
l’atmosfera, generalmente, attraverso il vaso di espansione. Il tubo di sicurezza non deve essere intercettabile, deve
avere diametro opportuno e deve rispondere ad alcune caratteristiche.
Se si colloca la pompa, nel caso di impiego di una sola pompa, dopo il generatore di calore si ha il vantaggio di
mantenere l’impianto ad una pressione sempre positiva (maggiore della pressione atmosferica) nelle tubazioni e di
evitare duplicati del tubo di collegamento con il vaso di espansione.
Il vaso di espansione aperto, durante l’esercizio dell’impianto, deve essere collegato attraverso un solo tubo al circuito
primario o circuito del generatore, per evitare ricircoli inutili e dispersioni di calore.
Se il tubo di carico dell’impianto (cioè il tubo di collegamento tra il vaso di espansione e il circuito primario) è distinto
dal tubo di sicurezza occorre valutare il livello a cui l’acqua arriva nel tubo di sicurezza che, generalmente, è diverso
dall’altezza dell’acqua nel vaso di espansione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
La valvola di sicurezza mette il generatore di calore in comunicazione con l’atmosfera, non appena la pressione
raggiunge il valore di taratura. Elemento che caratterizza le valvole di sicurezza è il diametro interno dell’orifizio,
attraverso cui può passare a valvola tutta aperta una determinata quantità di acqua calda o vapore.
Le valvole di sicurezza sono impiegate in impianti a vaso chiuso e svolgono funzione analoga alla funzione che il tubo di
sicurezza svolge negli impianti a vaso aperto.
La pressione di taratura di una valvola di sicurezza è la pressione alla quale la valvola inizia ad aprirsi, consentendo la
fuoriuscita di acqua o vapore: a valvola tutta aperta, la pressione è pari alla pressione di taratura più una sovrappressione
che è dell’ordine del 10% della pressione di taratura.
Le principali normative internazionali prescrivono che la pressione di progetto delle tubazioni sia non inferiore alla
pressione di taratura della valvola e consentono che durante il funzionamento della valvola esista una sovrappressione
transitoria.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
L’altezza dell’otturatore e, quindi, l’apertura della valvola è determinata dal superamento di un prefissato valore della
temperatura dell’acqua proveniente dalla caldaia: essa determina l’uscita verso lo scarico di acqua calda della caldaia e,
pertanto, simultaneamente produce l’ingresso di una corrispondente quantità di acqua fredda.
Possono essere presenti altri dispositivi, tra cui la valvola di blocco del combustibile: un dispositivo di chiusura della
tubazione del gas collegato attraverso una sonda di temperatura direttamente sull’uscita dell’acqua dal generatore di
calore.
La valvola di intercettazione del combustibile, senza interventi di energia esterna, è sensibile alla temperatura dell’acqua
nel generatore e impedisce che questa superi la temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica con
intercettazione diretta della tubazione del gas.
La sonda di temperatura del dispositivo deve essere immersa nell’acqua in uscita dalla caldaia quanto più vicino
possibile (meno di 0,5 m) dalla sezione di uscita del generatore di calore.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
La valvola a tre vie controlla la temperatura dell’acqua da inviare all’utenza in base a un set point proveniente da una
sonda esterna di temperatura ambiente.
La normativa tecnica precisa la correlazione tra la temperatura dell’acqua e la potenza termica fornita in relazione alla
tipologia di corpo scaldante utilizzato: tale relazione sarà meglio trattata successivamente, parlando della resa termica
dei corpi scaldanti.
È possibile valutare il volume di espansione necessario, approssimativamente, pari a circa il 7% del volume complessivo
dell’impianto. Per un calcolo rigoroso occorre considerare il prodotto, in litri, di acqua per il coefficiente di espansione
volumica dell’acqua, calcolato tra le temperature massime e minima a cui l’acqua può arrivare, per la predetta differenza
di temperatura.
Il vaso di espansione può essere di tipo aperto o di tipo chiuso: quello di tipo aperto è collocato in sommità all’edificio
ed è collegato alle tubazioni dell’impianto. Per ridurre la superficie direttamente in contatto con l’aria, il vaso è a contatto
con l’atmosfera attraverso il tubo di sfiato, ciò per ridurre le polveri e le impurità che possono entrare nell’acqua.
Può essere conveniente collegare il vaso di espansione aperto con la tubazione di uscita del generatore di calore e, in
questo caso, il tubo può assolvere anche la funzione di tubo di sicurezza del generatore e, pertanto, dovrà essere
dimensionato in accordo alle indicazioni fomite dalle norme relative a quest’ultimo componente.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Questo tipo di vaso è costituito da un recipiente, diviso in due parti da una membrana elastica, in una delle quali viene
immesso un gas (generalmente azoto, ma talvolta anche aria) sotto pressione. Per effetto del riscaldamento, l’acqua
dell’impianto aumenta di volume e accede alla metà del vaso ad essa destinata, comprimendo così la membrana e il gas
contenuto nell’altra cavità.
I vantaggi che questo tipo di vaso di espansione produce, oltre al fatto di poter installare il recipiente nel punto più
comodo, sono fondamentalmente dati dalla possibilità di evitare ogni contatto dell’acqua con l’aria atmosferica. Il suo
impiego, tuttavia, è limitato dal fatto che in un vaso chiuso non sono accettabili valori eccessivi della pressione
idrostatica e non si adatta bene, quindi, in edifici di notevole altezza. Il vaso chiuso impone, inoltre, l’uso di valvole di
sicurezza che determinano il collegamento dell’impianto con l’atmosfera, quando le pressioni di esercizio superano
determinati valori.
È opportuno notare, infine, che il vaso di espansione deve essere protetto contro l’azione del gelo, in quanto,
ghiacciandosi potrebbe ostruire la tubazione di adduzione o il contenuto del recipiente impedendo così all’acqua di
dilatarsi durante il riscaldamento, causando l’inevitabile rottura delle tubazioni.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
dove β = coefficiente di dilatazione volumica dell’acqua che va calcolato tra le temperature tmax e tmin.
Si ricorda che il coefficiente di dilatazione volumica può facilmente calcolarsi a partire dai valori delle densità, variabili in
funzione della temperatura dell’acqua, con la seguente espressione:
dove
ρ2 = densità dell’acqua a temperatura rispettivamente massima
ρ1 = densità dell’acqua a temperatura rispettivamente minima
Vm = il volume medio occupato dall’acqua.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
in cui
Vi = volume del vaso a membrana (1) che coincide con il volume occupato dall’aria alla pressione pi alla quale il vaso è
precaricato;
pi = pressione iniziale del vaso di espansione a cui è precaricato il cuscino d’aria;
pf = pressione finale corrispondente alla completa espansione di volume dell’acqua, da porre uguale alla massima
pressione di progetto dell’impianto nel punto ove è installato il vaso.
Si tenga, inoltre, presente che la pressione iniziale pi, non deve essere inferiore alla pressione idrostatica nel punto ove è
installato il vaso.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
La pressione iniziale del vaso di espansione potrà porsi pari a pi = pmin + 0,3 (bar), assumendo cioè un margine di 0,3 bar
rispetto alla pressione minima necessaria.
Infatti non conviene aumentare artificiosamente e inutilmente la pressione oltre il valore necessario, in quanto ciò
potrebbe comportare maggiori costi per la realizzazione dell’impianto.
La pressione massima di esercizio che il vaso deve consentire dovrà risultare non inferiore alla pressione di taratura della
valvola di sicurezza dell’impianto, tenendo anche in debito conto l’eventuale dislivello tra vaso e valvola.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Elettropompe
Le elettropompe sono macchine che utilizzano l’energia meccanica fornita da un motore elettrico per sollevare un
liquido, oppure per farlo circolare in una tubazione.
In base al tipo di costruzione e al modo in cui trasmettono l’energia al fluido, le elettropompe possono essere:
volumetriche, centrifughe, ad elica e rotative.
Elettropompe
Le parti principali di una elettropompa centrifuga sono:
• La girante a palette, che ruotando velocemente genera una depressione nella sua zona centrale (occhio della pompa)
e una pressione nella zona periferica: genera, cioè, le cause di moto del fluido;
• La chiocciola, che serve a raccogliere l’acqua proveniente dai vari canali delimitati dalle palette della girante;
• Il diffusore, che trasforma l’energia cinetica dovuta alla velocità in energia di pressione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
La tenuta idraulica fra l’albero e il corpo della pompa è assicurata da appositi supporti
meccanici o da premistoppa.
I settori di maggior utilizzo delle elettropompe a tenuta meccanica sono: gli impianti di
riscaldamento e di condizionamento, le reti di distribuzione dell’acqua sanitaria, gli impianti
di irrigazione e di smaltimento dei liquami.
Circolatori
La caratteristica principale di queste elettropompe è che in esse il motore viene
alloggiato nel corpo della pompa.
In particolare la parte mobile del motore (il rotore) risulta immersa direttamente nel
liquido da pompare; non sono pertanto richiesti organi di tenuta idraulica su parti in
movimento.
Per questa loro caratteristica, i circolatori sono chiamati anche pompe a rotore bagnato.
Ogni elettropompa centrifuga ha una sua curva caratteristica ben definita, che viene determinata sperimentalmente.
Variando il numero di giri di una elettropompa centrifuga , varia anche la sua curva caratteristica; la nuova curva risulta
più alta o più bassa della primitiva a seconda che il numero di giri sia aumentato o diminuito.
Le varie curve caratteristiche di una elettropompa centrifuga risultano, inoltre, congruenti fra loro, cioè si possono
ottenere l’una dall’altra per semplice traslazione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Sovrapponendo la curva di rendimento a quella caratteristica, è possibile delimitare la zona in cui l’elettropompa
funziona in condizioni ottimali.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Noto il rendimento, la potenza assorbita da una elettropompa può essere calcolata anche con la formula:
G = portata, m3/h
H = prevalenza, m c.a.
η = rendimento, adimensionale
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
La curva di resistenza del circuito è rappresentabile (in coordinate portata-prevalenza) mediante una parabola.
In un circuito chiuso, tale parabola ha vertice nell’origine e passa per il punto teorico di funzionamento del circuito, cioè
per il punto che rappresenta la portata e la prevalenza di calcolo del circuito stesso.
Lo sviluppo a parabola della curva di resistenza è dovuto al fatto che, in un circuito, le perdite di carico, sia continue che
localizzate, sono sensibilmente proporzionali al quadrato delle portate
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Scelta di un’elettropompa
La scelta di una elettropompa deve essere fatta in modo che il suo punto di lavoro risulti:.
Si deve inoltre controllare che le caratteristiche e le prestazioni della elettropompa siano adeguate alle esigenze del
circuito utilizzatore.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
• Il livello di rumorosità, in particolar quando la pompa è installata vicino ad ambienti per cui sono richiesti bassi valori
del livello sonoro;
• La resistenza alla condensa, per i circuiti che convogliano acqua fredda o refrigerata;
• La resistenza ai liquidi antigelo, specie quando si hanno circuiti esterni (ad esempio negli impianti a pannelli solari)
che richiedono miscele con elevate quantità di antigelo;
• Il valore di NPSH, nei circuiti con bassa pressione sulla bocca di aspirazione, e quindi in particolar modo:
• Negli impianti idrici, quando si pompa acqua aspirandola da un serbatoio a pelo libero;
• Negli impianti di riscaldamento a vaso chiuso con centrale termica posta su terrazza.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
• Valvole di intercettazione, da porre a monte e a valle di ogni pompa per facilitare interventi di manutenzione;
• Giunti antivibranti (solo per pompe medio-grandi) al fine di evitare che le vibrazioni delle pompe possano essere
trasmesse alle reti di distribuzione;
• Manometri, da installare prima e dopo ogni pompa per facilitare gli interventi di controllo e di manutenzione:
• Una diminuzione della pressione differenziale segnala che la girante è logora o che i passaggi tra le palette sono
ostruiti;
L’acqua calda prodotta dalla centrale termica è inviata, attraverso la rete di distribuzione, all’interno dell’edificio per
alimentare i corpi scaldanti.
La rete di distribuzione comprende il complesso di tubazioni, valvole, apparecchiature poste a valle della pompa per la
distribuzione dell’acqua alle utenze.
La tubazione principale proveniente dalla centrale termica corre nel piano interrato dell’edificio e si dirama in più
colonne montanti: da ciascuna colonna, ad ogni piano, si dipartono le derivazioni per alimentare i corpi scaldanti
all’interno delle singole zone.
Sono possibili vari schemi di distribuzione: la distribuzione può essere realizzata unicamente per colonne ovvero
attraverso colonne e successivi anelli orizzontali.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Maggiore è il salto termico che si utilizza, minore è la potenza richiesta per le pompe, per cui si comprende con facilità la
necessità di non utilizzare salti termici troppo piccoli, specie sui grandi impianti con funzionamento continuo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove
Q = potenza termica (W)
Δθ = salto termico dell’acqua (°C);
• Si dimensiona il diametro del tubo in base alla velocità ammessa del fluido. Il diametro interno D in mm può
determinarsi con la seguente formula:
G = portata (1/h)
vmax = velocità massima ammessa (m/s).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Fissato il valore della portata e la velocità dell’acqua nel tubo o in alternativa la perdita di carico distribuita ammessa, si
determina il diametro. Si devono però portare in conto anche le perdite di carico concentrate che sono mediamente
comprese tra il 40 ÷ 60% delle perdite di carico totali.
• Si
esegue il calcolo di verifica delle perdite di carico nel tubo, somma delle perdite di carico concentrate e distribuite. I
costruttori di impianti suggeriscono sia i valori delle costanti di attrito per le discontinuità di valvole, cambiamenti di
direzione, diramazioni, ecc. che si incontrano sia forniscono tabelle con le perdite di carico distribuite per vari tipi di
tubazioni e a differenti temperature dell’acqua sia suggeriscono varie correlazioni pratiche, reperibili nella letteratura
tecnica e nelle pubblicazioni, che possono essere impiegate nel caso di utilizzo dei calcolatori. In ogni caso è
necessario che le perdite di carico siano mantenute entro determinati valori, per non aumentare artificiosamente la
prevalenza da richiedere alla pompa e, quindi, i costi di pompaggio: un valore orientativo di riferimento per il
dimensionamento dei tubi, in particolare, delle colonne montanti può essere: r = 10 ÷ 20 mm c.a./m (millimetri colonna
d’acqua), ove con r si è indica la perdita di carico distribuita;
• Si ripete il ragionamento appena esposto per la diramazione del penultimo piano;
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
L’espressione si ricava ammettendo che le perdite di carico totali siano proporzionali alla portata elevato alla 1,9:
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
è una formula empirica, che può essere giustificata, anche se in modo non rigoroso, ricordando le correlazioni generali
delle perdite di carico, rispettivamente per le perdite di carico distribuite e per quelle concentrate.
Nel caso di perdite di carico concentrate e tubi lisci, la teoria evidenzia che la perdita di pressione è proporzionale alla
portata volumetrica elevata alla 1,75.
Nel caso di perdite concentrate, la perdita di pressione è proporzionale alla portata volumetrica elevata al quadrato. Il
coefficiente 1,9 utilizzato nell’espressione
è in sostanza una sorta di valor medio, determinato empiricamente, tra le perdite concentrate e quelle distribuite.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
L’aumento della portata nei rami di derivazione può causare velocità eccessive nei tubi, provocando a sua volta rumore
e possibili fenomeni di erosione.
All’aumentare del numero dei piani, risultano, inoltre, modificati i salti termici dell’acqua nei corpi scaldanti, con possibili
variazioni nelle rese termiche degli stessi.
Anche la regolazione dell’impianto attraverso la sonda esterna e la corrispondente valvola a tre vie, a causa del
differente salto di temperatura dell’acqua in ingresso e in uscita dai corpi scaldanti ai vari piani, può risultare meno
efficiente.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Evitare velocità del fluido troppo elevate, possibile causa di rumori e azioni abrasive;
• Limitare il valore delle pressioni differenziali che agiscono sulle valvole di regolazione, per impedire trafilamenti e
irregolarità di funzionamento.
Negli impianti medio-piccoli a portata costante, un buon dimensionamento delle tubazioni è in genere sufficiente ad
assicurare circuiti bilanciati.
Al contrario, in impianti a reti estese o a portata variabile, per poter realizzare circuiti bilanciati è necessario prevedere
appositi dispositivi atti a regolare il flusso del fluido.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Gli elementi che caratterizzano queste valvole sono: l’otturatore, lo stelo e le prese per
la misura della pressione.
L’elemento regolatore di questi stabilizzatori di portata è un pistone mobile che ha, come sezioni di passaggio, un foro
di testa e aperture laterali a geometria variabile.
Tale regolatore - mosso dalla spinta del fluido e dalla controspinta di una molla a spirale - deve assicurare
automaticamente portate pressoché costanti entro un ampio campo di pressioni differenziali, così come rappresentato
dal seguente diagramma.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Compatibilmente ai diametri commerciali disponibili, i tubi di questi circuiti si dimensionano a perdite di carico lineari
costanti.
E’ così possibile assicurare pressioni differenziali pressochè uguali alle derivazioni servite con la stessa lunghezza di
tubi: alle derivazioni, cioè, collegate “a circuito inverso”.
Simile caratteristica consente di calcolare questi circuiti con metodi pratici relativamente semplici ed affidabili.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
1. Si individua un circuito secondario di riferimento (in genere l’ultimo dell’andata o quello che richiede la prevalenza più
elevata) e lo si dimensiona in base alla portata richiesta, determinandone:
• Diametro,
• Perdite di carico.
2. Si dimensionano gli altri circuiti secondari in base alla portata richiesta, determinandone:
• Diametro,
• Perdite di carico.
Portata e perdite di carico, così determinate, si devono poi bilanciare alla prevalenza disponibile agli attacchi del
circuito secondario di riferimento.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
4. Si dimensionano i tronchi di ritorno del circuito principale con gli stessi criteri illustrati al punto 3.
6. Si determinano le perdite di carico totali del circuito sommando fra loro:
a) Le perdite di carico del circuito secondario di riferimento;
b) Le perdite di carico continue (h) del circuito principale calcolate convenzionalmente moltiplicando fra loro le
seguenti grandezze:
r = valore assunto per le perdite di carico lineari (ved. al punto 3)
l = lunghezza dei tubi che servono il circuito di riferimento;
c) Le perdite di carico localizzate (z) del circuito principale considerate convenzionalmente uguali ad una percentuale
delle perdite di carico continue (h).
Normalmente si considera:
z = 0,6 ˙ h per percorsi con poche curve,
z = 0,7 ˙ h per percorsi con molte curve.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Essi consentono di realizzare distribuzioni bilanciate con circuiti derivati omogenei: cioè con circuiti derivati che
richiedono pressioni differenziali uguali, o comunque non molto diverse fra loro.
Questi circuiti non consentono di realizzare distribuzioni bilanciate nel caso di circuiti derivati fra loro non omogenei.
Non è possibile ottenere una distribuzione bilanciata quando lo stesso circuito inverso deve servire
contemporaneamente ventilconvettori e macchine di trattamento aria: cioè terminali che richiedono pressioni
differenziali sensibilmente diverse fra loro.
Improprio è quindi il termine “bilanciato” con cui talvolta vengono individuati questi circuiti.
E’ da tener presente che i circuiti a ritorno inverso sono molto più pesanti e ingombranti di quelli a due tubi.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I circuiti con colonne servite a ritorno inverso servono ad assicurare pressioni differenziali uguali agli attacchi delle
colonne.
Squilibri nella ripartizione delle portate possono, comunque, determinarsi lungo le colonne, per i motivi evidenziati
nell’esame dei circuiti semplici. Per tale ragione, questi circuiti sono normalmente utilizzati in edifici che non superano i
5 o 6 piani.
I circuiti con terminali serviti a ritorno inverso sono in grado di assicurare pressioni differenziali uguali ad ogni terminale
del circuito.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Di norma questi circuiti si dimensionano con il calcolo teorico, il solo che consente di definire la corretta taratura delle
valvole.
1. Si dimensiona l’ultimo circuito secondario in base alla portata richiesta, determinandone:
• Diametro,
• Perdite di carico.
2. Si dimensionano gli ultimi tronchi del circuito principale (cioè quelli compresi fra l’ultimo e il penultimo circuito
secondario) determinandone:
• Portata (è uguale a quella dell’ultimo circuito secondario),
• Diametro,
• Perdite di carico.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
5. Si dimensionano gli altri circuiti secondari e gli altri tronchi del circuito principale:
• Per i circuiti secondari si procede come indicato al punto 3.
• Per i tronchi del circuito principale si procede, invece, come indicato al punto 4.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Questi circuiti possono essere starati sia da operazioni poco accorte, sia da interventi interessati ad alterare la resa dei
terminali, specie dove l’energia termica è misurata in modo indiretto.
Si deve tener presente che in caso di varianti, questi circuiti devono essere di nuovo calcolati e tarati. Infatti le valvole di
taratura consentono solo una regolazione di tipo statico: cioè a pistone fisso.
I circuiti con valvole di taratura a piede di colonna servono ad assicurare le pressioni differenziali volute agli attacchi
delle colonne.
Squilibri nella ripartizione delle portate possono, comunque, determinarsi lungo le colonne per i motivi evidenziati
nell’esame dei circuiti semplici.
Per tale ragione, questi circuiti sono normalmente utilizzati in edifici che non superano i 5 o 6 piani.
I circuiti con valvole di taratura ad ogni terminale sono in grado di assicurare le pressioni differenziali volute ad ogni
terminale del circuito.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Il fatto che questi circuiti siano dotati di dispositivi in grado di regolare automaticamente le portate richieste, consente
di adottare metodi di calcolo pratico particolarmente semplici e affidabili.
1. Si scelgono gli autoflow di ogni circuito secondario in relazione alla portata richiesta.
2. Si dimensionano i tubi dei circuiti secondari e del circuito primario in base alla loro portata e con perdite di carico
lineari costanti (ad esempio: r = 10 mm c.a./m).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
c) Le perdite di carico continue (h) del circuito calcolate convenzionalmente moltiplicando fra loro le seguenti
grandezze:
r = valore assunto per le perdite di carico lineari (ved. al punto 2),
l = lunghezza dei tubi (del circuito principale e del circuito secondario) che servono l’ultimo terminale;
d) Le perdite di carico localizzate (z) del circuito considerate convenzionalmente uguali ad una percentuale delle perdite
di carico continue (h).
Normalmente si considera:
z = 0,6 . h per percorsi con poche curve,
z = 0,7 . h per percorsi con molte curve.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Sono, quindi, circuiti che possono assicurare distribuzioni bilanciate anche nel caso di impianti a sviluppo complesso e
a reti estese.
Si deve considerare che in caso di varianti questi circuiti possono facilmente adeguarsi alle nuove condizioni di lavoro.
Infatti gli autoflow - con una regolazione di tipo dinamico: cioè a pistone mobile - sono in grado di mantenere costanti
le portate dei terminali entro un ampio campo di pressioni differenziali.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I circuiti con autoflow a piede di colonna servono a far fluire, attraverso le colonne, le quantità di fluido richieste.
Squilibri nella ripartizione delle portate possono determinarsi lungo le colonne per i motivi evidenziati nell’esame dei
circuiti semplici.
I circuiti con autoflow ad ogni terminale sono in grado di far fluire, attraverso ogni terminale, le quantità di fluidi richieste.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I collettori possono essere teoricamente impiegati in qualunque punto dell’impianto per suddividerlo in più circuiti
utilizzatori e qualche volta, ad esempio per ragioni architettoniche, si trovano grossi collettori, che suddividono la
portata in vari circuiti di distribuzione, senza impiego di pompe supplementari, con uno schema differente da quello
semplice esaminato precedentemente, costituito da un anello nel piano interrato e colonne montanti fino ai terminali.
Nelle applicazioni più comuni è frequente l’impiego di piccoli collettori utilizzati per la distribuzione dell’acqua al livello
locale di zona nei corpi scaldanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
La distribuzione a collettore è diffusa soprattutto in edifici residenziali e offre alcuni vantaggi rispetto al sistema
tradizionale di alimentazione in serie:
• Maggiore uniformità nella temperatura dell’acqua, con ottimizzazione delle rese termiche dei radiatori;
• Facilità di posa delle tubazioni installate sotto pavimento e facilità nella realizzazione dei collegamenti, in quanto le
tubazioni di piccolo diametro vengono collegate con giunzioni meccaniche;
• Possibilità di realizzare impianti a più zone che possono, in teoria, essere costituite anche da ogni singolo corpo
scaldante;
• Rapidità e uniformità nella messa a regime dei corpi scaldanti, in quanto l’acqua viene inviata simultaneamente a tutti
i terminali, mentre nel sistema tradizionale è richiesto un certo tempo per la messa a regime;
• Perdita di carico lievemente minore rispetto a quella del sistema ad anello;
• Migliore distribuzione del calore nei vari ambienti con terminali scaldanti che lavorano tutti alla stessa temperatura.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I collettori sono installati in vani entro cassette ventilate, per consentire il buon funzionamento delle valvole e delle
sonde che temono temperature elevate.
La posizione dei collettori è, per quanto possibile, baricentrica rispetto ai corpi scaldanti da servire, le tubazioni di
derivazione, di andata e di ritorno, sono disposte in modo alternato per evitare incroci o accavallamenti nei tubi.
È preferibile optare per percorsi delle tubazioni attraverso le porte, in modo da limitare le tracce murarie ed è opportuno,
inoltre, avere cura di evitare interferenze con le tubazioni dell’impianto idrico. Gli attacchi ai corpi scaldanti sono, in
genere, previsti dallo stesso lato, in modo da avere percorsi identici di andata e ritorno.
I collettori sono in genere realizzati in ottone; in alternativa, esistono collettori in rame e alluminio; i diametri più utilizzati
vanno da 3/4” a 1”1/2.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Nella pratica, i procedimenti più utilizzati per dimensionare i circuiti nel sistema a collettore, prevedono di fissare una
differenza di pressione a monte o a valle del collettore e alternativamente un salto termico guida o diametri predefiniti.
In definitiva, ne risultano i seguenti metodi:
• A differenza di pressione prestabilita al collettore e salto termico guida;
• A differenza di pressione prestabilita al collettore e diametri predefiniti.
La differenza di pressione a monte del collettore per la distribuzione di zona può essere stabilita come segue:
• Per impianti a radiatori senza valvole termostatiche circa 800 ÷ 1200 mm;
• Per impianti a radiatori con valvole termostatiche circa 1000 ÷ 1500 mm;
• Per impianti con convettori e ventilconvettori circa 1200 ÷ 2000 mm.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Un altro criterio di dimensionamento dei collettori è quello di mantenere la velocità dell’acqua al di sotto di un
determinato valore, ad esempio 0,6 m/s: la perdita di carico attraverso il collettore nel circuito più sfavorito risulta, in tal
modo, estremamente limitata (non superiore a circa 50 ÷ 100 mm).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I circuiti interni possono essere dimensionati sia a salto termico guida (cioè con un salto medio di riferimento) sia a
diametri predefiniti.
Il dimensionamento a diametri predefiniti è utilizzato soprattutto per progettare impianti con circuiti interni a diametro
costante.
Tali impianti sono molto pratici da realizzare (perchè richiedono tubi e raccordi di un sol diametro) e possono
rappresentare una valida soluzione specie nell'edilizia civile, dove solitamente i corpi scaldanti hanno potenze termiche
non molto dissimili fra loro
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove:
ponendo:
f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche,
f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.
• Si calcolano le perdite di carico totali (Hct) di ogni circuito in base alla portata teorica, al diametro dei tubi, al percorso
dei circuiti (lunghezza e curve) e ai componenti da utilizzarsi (tipo valvole, detentori e corpi scaldanti).
• Si calcolano - in prima approssimazione - le portate dei circuiti, bilanciando le perdite di carico (relative alle portate
teoriche) ad una prevalenza convenzionalmente assunta uguale al 90% della prevalenza prestabilita.
• Nota la portata totale (in prima approssimazione) del collettore, si determina il suo diametro in modo che la velocità
del fluido non superi un limite prestabilito: ad esempio 0,6 m/s.
Anche l'eventuale valvola di zona e le valvole di intercettazione possono essere dimensionate con lo stesso criterio.
• Si calcola la prevalenza totale (Ht) richiesta agli attacchi del collettore per il passaggio delle portate di prima
approssimazione. Tale prevalenza si ottiene sommando fra loro le seguenti grandezze:
0,9 . H = prevalenza ipotizzata agli attacchi dei circuiti per il passaggio delle portate in esame,
Hcv = perdite di carico del collettore, dell'eventuale valvola di zona e delle valvole di intercettazione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
e dove:
dove:
• Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove:
ponendo:
f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche,
f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.
• Si calcola la portata totale che passa attraverso il collettore sommando fra loro le portate di ogni circuito.
• Si determina il diametro del collettore in base alla portata totale. Per i collettori normalmente in commercio, si
possono adottare le seguenti soluzioni:
• Diametro 3/4” per portate minori di 800 l/h
• Diametro 1” per portate comprese fra 800 e 1.600 l/h.
Per portate più elevate di 1.600 l/h, conviene generalmente sdoppiare il collettore. Anche l’eventuale valvola di zona e le
valvole di intercettazione possono essere dimensionate nello stesso modo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove:
tm = temperatura media del corpo scaldante, °C
tmax = temperatura massima di progetto, °C
• Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Si calcola la perdita di carico lineare media di ogni circuito in base alla prevalenza prestabilita. Con sufficiente
approssimazione tale valore può essere calcolato con la formula empirica:
ponendo: f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche, f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.
• Si calcolano le perdite di carico totali (Hct) di ogni circuito in base alla portata di prima approssimazione, al diametro
dei tubi, al percorso dei circuiti (lunghezza e curve) e ai componenti da utilizzarsi (tipo valvole, detentori e corpi
scaldanti).
• Si calcolano - in seconda approssimazione - le portate dei circuiti, bilanciando le perdite di carico (relative alle portate
di prima approssimazione) ad una prevalenza convenzionalmente assunta uguale al 90% della prevalenza prestabilita.
Tali portate possono essere calcolate con la formula:
• Nota la portata totale (in seconda approssimazione) del collettore, si determina il suo diametro in modo che la
velocità del fluido non superi un limite prestabilito: ad esempio 0,6 m/s. Anche l'eventuale valvola di zona e le valvole
di intercettazione possono essere dimensionate con lo stesso criterio.
• Si calcola la prevalenza totale (Ht) richiesta agli attacchi del collettore per il passaggio delle portate di seconda
approssimazione. Tale prevalenza si ottiene sommando fra loro le seguenti grandezze:
0,9 . H = prevalenza ipotizzata agli attacchi dei circuiti per il passaggio delle portate in esame,
Hcv = perdite di carico del collettore, dell'eventuale valvola di zona e delle valvole di intercettazione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove:
Ga3 = portata in terza approssimazione del circuito, l/h
Ga2 = portata in seconda approssimazione del circuito, l/h
H = prevalenza prestabilita agli attacchi del collettore, mm c.a.
Ht = prevalenza, mm c.a.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove:
tm = temperatura media del corpo scaldante, °C
tmax = temperatura massima di progetto, °C
Δt = salto termico del corpo scaldante, °C
Q = potenza termica richiesta, W
G = portata del circuito, l/h
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Si calcola la perdita di carico lineare media di ogni circuito in base alla prevalenza prestabilita. Con sufficiente
approssimazione tale valore può essere calcolato con la formula empirica:
ponendo: f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche, f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.
• Si calcola la portata totale che passa attraverso il collettore sommando fra loro le portate di ogni circuito.
• Si determina il diametro del collettore in base alla portata totale. Per i collettori normalmente in commercio, si
possono adottare le seguenti soluzioni:
Per portate più elevate di 1.600 l/h, conviene generalmente sdoppiare il collettore.
Anche l’eventuale valvola di zona e le valvole di intercettazione possono essere dimensionate nello stesso modo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Prevalenza di zona;
• Temperatura massima di progetto;
• Salto termico;
• Diametro dei circuiti interni;
• Potenza termica richiesta;
• Temperatura ambiente;
• Lunghezza di adduzione collettore-corpi scaldanti;
• Caratteristiche fluidodinamiche del tubo, del collettore e delle valvole;
• Caratteristiche fluidodinamiche e termiche dei corpi scaldanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Con caldaie a condensazione e pompe di calore un salto termico contenuto serve ad aumentare la resa termica dei
corpi scaldanti.
Al contrario col teleriscaldamento (cioè con un sistema che impone, per esigenze tecniche ed economiche del
fornitore, basse temperature di ritorno: ad esempio minori di 60°C) un salto termico elevato consente di aumentare la
temperatura di mandata e quindi la resa termica dei corpi scaldanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
• Rumori,
Tali sistemi consentono una migliore utilizzazione del calore e rispondono, pertanto, all’esigenza del miglioramento
sull’utilizzo delle risorse energetiche.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
L’utilizzo più diffuso delle valvole di zona è con impianti a zone e con corpi scaldanti costituiti da radiatori, pannelli a
pavimento, termoconvettori a circolazione naturale. Nel caso di utilizzo di ventilconvettori, la regolazione del calore
immesso può facilmente ottenersi variando la velocità del ventilatore: non è, pertanto, strettamente necessario ricorrere
anche alla regolazione sulla portata dell’acqua.
Per il dimensionamento di un impianto con valvole di zona, si deve considerare innanzitutto il caso in cui le valvole siano
completamente aperte, riconducendo, pertanto, il problema a quello del dimensionamento di circuiti semplici, solo
successivamente vanno analizzati gli squilibri introdotti dall’azione delle valvole.
L’installazione delle valvole a tre vie richiede l’installazione di una valvola di bilanciamento sul circuito di bypass, in tal
modo la perdita di carico è sempre la stessa e non vi sono squilibri sul circuito principale. È importante notare che la
mancanza del bypass può provocare squilibri di portata sulle diramazioni, con formazione di percorsi privilegiati,
velocità troppo elevate, rumore e fenomeni di erosione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Le valvole a tre vie possono essere del tipo on/off ovvero del tipo modulante: le prime a loro volta possono essere
deviatrici (un ingresso e due uscite) ovvero miscelatrici (una uscita e due ingressi). Le valvole a tre vie di tipo modulante
lavorano, invece, meglio come miscelatrici. Le valvole di zona sono, in genere, valvole on/off e non richiedono elevati
salti di pressione.
Un esempio di valvola modulante a tre vie è la valvola asservita alla sonda climatica esterna, che consente di modulare
la temperatura dell’acqua da inviare ai corpi scaldanti in funzione della temperatura esterna. Tale valvola è installata
congiuntamente ad una valvola di taratura che opponga sul circuito di bypass perdite di carico uguali a quelle del
circuito disattivato (circuito di caldaia).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Il procedimento di dimensionamento di tale circuito è analogo a quelli già trattati: si dimensionano prima i circuiti
supponendo tutte le valvole aperte con i criteri precedentemente esposti, introducendo ovviamente anche una perdita
di carico per la valvola; successivamente, si esaminano le situazioni che si possono creare in seguito alla chiusura di
tutte o parte delle valvole di regolazione.
L’impiego di valvole a due vie sulle diramazioni richiede sempre la realizzazione di un bypass sulla colonna o sul circuito
principale: tale bypass può, ad esempio, essere realizzato immediatamente a valle della pompa principale e deve
consentire il ricircolo della portata in eccesso.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Nel caso di impianti grandi e in caso utilizzo di valvole di sovrappressione, i costruttori consigliano l’impiego di più
valvole da installare alla base delle colonne montanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
È necessario tenere presente che l’impiego di valvole a due vie o a tre vie modulanti introduce delle ulteriori perdite di
carico di cui si deve tener conto nel dimensionare la pompa.
L’ordine di grandezza dipende dalla velocità dell’acqua nella tubazione e può così valutarsi:
• Per valvole di controllo di zona inserite in tubazioni di piccolo diametro: 0,1 ÷ 0,2 bar;
• Per valvole inserite sulle tubazioni principali con velocità dell’acqua di 1 ÷ 1,5 m/s: 0,2 ÷ 0,5 bar.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove
ΔL = dilatazione della tubazione (mm)
α = coefficiente lineare di dilatazione (mm/m°C)
Δθ = differenza di temperatura (°C).
I coefficienti di dilatazione termica lineare, nel campo di temperature di interesse negli impianti termoidraulici in edilizia,
hanno i seguenti valori:
• Acciaio: α = 0,0114 mm/m°C;
• Rame: α = 0,0170 mm/m°C;
• Polietilene reticolato: α = 0,1400 mm/m °C.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove
σ = tensione di trazione o compressione nell’acciaio (N/mm2);
ε = deformazione pari a ΔL/L (adimensionale);
E = modulo di elasticità che per l’acciaio vale E = 210.000 N/mm2, mentre per il rame incrudito è E = 132.000 N/mm2.
È facile rendersi conto che la tensione che si originerebbe in caso di vincoli impediti è indipendente dalla lunghezza e
per l’acciaio vale: σ = (85 - 5) • 0,0114 • 210 = 191 N/mm2, avendo supposto una differenza di temperatura massima (80°C) a
cui l’acqua può essere soggetta: dunque, la tensione calcolata è superiore alla tensione di snervamento, quindi, tale da
poter creare rotture.
Se si moltiplica il valore della tensione trovato per la sezione, si determina la forza che agisce sul vincolo nel caso di
deformazione impedita; anche tale valore è elevato e, nella maggior parte dei casi, non è accettabile. Quindi emerge
che le tubazioni devono poter essere libere di dilatarsi. Occorre, inoltre, verificare che le dilatazioni non provochino
sollecitazioni eccessive in caso di curve e cambiamenti di direzione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Negli impianti a sviluppo limitato non occorre, in genere, prendere precauzioni specifiche, in quanto le dilatazioni lineari
sono assorbite dalle curve che le tubazioni incontrano: spesso, cioè, è sufficiente prestare attenzione ad utilizzare vincoli
che consentano lo scorrimento del tubo.
Nel caso di lunghi tratti di tubazioni dritte, occorre eseguire dei calcoli e utilizzare appositi sistemi in grado di assorbire
tali dilatazioni.
Uno dei sistemi più utilizzati per assorbire le dilatazioni è l’utilizzo di compensatori naturali con forma ad L, ad U e a Z.
Una curva ad L della tubatura è per sua stessa natura in grado di assorbire la dilatazione lineare: il comportamento della
curva ad L può, in sostanza, essere assimilato a quello di una trave a mensola sollecitata a flessione, la cui deformazione
nell’estremo libero è pari alla deformazione lineare prodotta dal tubo; la deformazione massima che la L potrà assorbire
dipende, quindi, dalla lunghezza del braccio (ortogonale alla direzione della dilatazione), dall’altezza della sezione, dal
momento di inerzia della sezione rispetto all’asse ortogonale al piano del tubo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
Compensatore di dilatazione ad U
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
in cui
w = spostamento dell’estremo libero della mensola (mm)
F = forza applicata all’estremo libero (N)
b = lunghezza della mensola (mm)
E = modulo di elasticità del materiale in (N/mm2)
I = momento di inerzia della sezione rispetto ad un asse ortogonale al piano della mensola (mm4)
D = diametro della sezione (mm)
σamm = tensione ammissibile del materiale (N/mm2).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
dove
b = lunghezza minima necessaria del braccio del compensatore (mm)
D = diametro esterno (mm)
ΔL = allungamento (mm) del tratto di tubo in cui è inserito il dilatatore
E = modulo di elasticità del materiale (N/mm2)
σamm = tensione ammissibile (N/mm2).
È opportuno osservare, che, talvolta, i compensatori naturali vengono posti in opera con uno stato di pretensione di
valore opposto alle sollecitazioni prodotte dalle dilatazioni termiche: ciò consente, infatti, di ridurre le dimensioni e i
costi dei dilatatori.
I compensatori ad L e a Z vengono spesso ricavati semplicemente scegliendo opportunamente il percorso delle
tubazioni.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I compensatori a soffietto metallico sono costituiti da un tubo a soffietto metallico deformabile e, a seconda del tipo di
movimento che assorbono, possono essere classificati in angolari o assiali, inoltre, si evidenzia che sono quelli
maggiormente utilizzati tra i compensatori artificiali.
I compensatori in gomma hanno scarsa resistenza alle alte temperature e, pertanto, trovano impiego prevalentemente
come giunti antivibranti.
I compensatori telescopici sono costituiti da tubi coassiali, liberi di scorrere tra loro: la tenuta è realizzata con apposita
guarnizione in gomma.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I punti fissi vincolano in modo completo la tubazione, vengono introdotti per impedire il movimento di determinati
punti della tubazione. Nel caso di due punti fissi di una medesima tubazione rettilinea, dovrà essere introdotto un giunto
di dilatazione, in grado di assorbire le deformazioni che si originano per il riscaldamento.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO
I sostegni consentono movimenti assiali e laterali e hanno lo scopo di sostenere il peso proprio dei tubi; possono essere
del tipo a mensola o del tipo pensile.
Le tubazioni vengono ancorate alla muratura con supporti distanti tra di loro 2 ÷ 4 m: si adottano le distanze più piccole
per i diametri minori (1/2 ÷ 1”) e distanze maggiori al crescere dei diametri (4 ÷ 6”).
Le tubazioni interrate sono posate sul fondo dello scavo sopra un letto di sabbia dello spessore di 10 cm e ricoperte da
sabbia, per evitare danneggiamenti nel contatto con il terreno o con l’eventuale soletta di calcestruzzo realizzata alla
base del cunicolo. La profondità di interramento è generalmente compresa tra i 50 e i 100 cm, anche in relazione ai
percorsi attraversati.
Le tubazioni calde devono essere convenientemente coibentate per ridurre le perdite di calore, conseguendo il
risparmio energetico, come è anche richiesto dalla legislazione nazionale e dalle norme di buona tecnica.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Gli aerotermi sono corpi scaldanti che cedono calore per convezione forzata.
• Un ventilatore elicoidale,
• Un involucro di contenimento.
In base alla direzione dei loro getti d’aria, gli aerotermi possono essere suddivisi in due categorie: a proiezione
orizzontale e a proiezione verticale.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Gli aerotermi a proiezione orizzontale sono chiamati anche aerotermi “a parete” e servono a riscaldare locali non molto
alti.
Per la regolazione del flusso d’aria, sono dotati di alette mobili orizzontali o verticali.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Gli aerotermi a proiezione verticale sono chiamati anche aerotermi “pensili”. Servono a riscaldare locali alti fino a circa
20÷25 metri.
Il flusso d’aria di questi aerotermi può essere regolato con diffusori ad alette, a cone-jet, a tronco di cono o ad
anemostato.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Una corretta scelta di questi corpi scaldanti richiede l’esame dei seguenti fattori:
• Livello sonoro.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Sia il tipo che la collocazione di questi terminali devono essere scelti in modo da evitare il formarsi di zone troppo
fredde o troppo calde.
• Verificare che la somma delle portate orarie dei ventilatori non sia inferiore a 3,5 volte il volume dell’ambiente da
riscaldare;
• Disporre gli aerotermi a proiezione orizzontale con getti d’aria diretti verso le pareti esterne. Le soluzioni migliori sono
quelle con getti fra loro concatenati e diretti tangenzialmente alle pareti;
• Disporre gli aerotermi a proiezione verticale con getti d’aria che si compenetrano fra loro;
• Dirigere i getti d’aria calda contro ampie zone vetrate o contro grandi porte;
• Evitare l’interferenza dei getti d’aria con colonne, macchine o altri ostacoli.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
E’ bene che la temperatura dell’aria in uscita dagli aerotermi sia compresa:
Tali valori consentono di raggiungere un buon compromesso fra due esigenze diverse:
• Evitare che le correnti d’aria, generate dagli aerotermi stessi, possano provocare sensazioni di freddo,
Aerotermi
Solitamente la temperatura dell’aria in uscita dagli aerotermi è riportata sulle specifiche tecniche del costruttore. In caso
contrario può essere calcolata con le formule:
La prima formula vale per aerotermi a proiezione orizzontale, cioè per aerotermi il cui ventilatore invia aria fredda alla
batteria.
La seconda formula vale per aerotermi a proiezione verticale, cioè per aerotermi il cui ventilatore aspira aria calda dalla
batteria.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
La temperatura dell’aria in entrata nell’aerotermo (tae) si considera:
• Uguale alla temperatura esterna, quando tutta l’aria che passa attraverso l’aerotermo è derivata dall’esterno;
• Uguale alla temperatura dell’aria di miscela, quando l’aria che passa attraverso l’aerotermo è in parte presa dall’interno
e in parte dall’esterno. La temperatura dell’aria miscelata può essere determinata con la formula:
Aerotermi
La potenza termica nominale di un aerotermo è la potenza termica scambiata da un aerotermo con l’ambiente esterno
nelle condizioni di prova.
• Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Negli impianti ad uso civile, è bene che la temperatura di progetto del fluido scaldante sia compresa fra 60 a 90°C.
Valori più elevati (anche fino a 150, 160°C) possono essere adottati in impianti ad uso industriale.
La potenza termica effettiva è la potenza termica scambiata da un aerotermo con l’ambiente esterno nelle effettive
condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:
dove:
Aerotermi
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:
dove:
Aerotermi
Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite. Inoltre, per la
determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:
dove:
La formula è da ritenersi valida (con buona approssimazione) per temperature medie del fluido scaldante variabili da 60
a 100°C.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
aerotermo quando la temperatura dell’aria in entrata (tae) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da
quelle di prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:
Quindi:
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Aerotermi
Il fattore correttivo per effetto dell’altitudine è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un aerotermo
quando la sua installazione non avviene a livello del mare. Tiene conto del fatto che la densità dell’aria, e quindi la sua
capacità di trasportare calore, diminuisce man mano che cresce l’altitudine.
Il valore di Po è uguale a 101,3 kPa, mentre il valore di P può essere calcolato con la relazione:
Aerotermi
Il fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante è il fattore che serve a determinare la potenza termica
di un aerotermo quando la velocità del fluido scaldante è diversa da quella di prova.
Il suo valore dipende dalle caratteristiche costruttive dell’aerotermo ed è, in pratica, determinabile solo per via
sperimentale.
Normalmente i costruttori si limitano ad indicare la velocità (o la portata) minima necessaria per poter considerare nullo
l’effetto correttivo di questo fattore.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
I radiatori sono corpi scaldanti (ad elementi, a piastra, a tubi o a lamelle) che cedono calore per convezione naturale ed
irraggiamento.
In base al materiale con cui sono costruiti, i radiatori possono essere suddivisi nei tipi: in ghisa, in acciaio e in alluminio
(puro o in lega).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori in ghisa
Sono costituiti da elementi realizzati per fusione e assemblati con nipples.
Al tradizionale modello a colonne si è aggiunto, negli anni Settanta, il modello a piastre che presenta anteriormente
un’ampia superficie radiante e posteriormente una sezione atta a limitare lo scambio termico passivo con le pareti.
Gli aspetti positivi sono: non temono fenomeni corrosivi, dilatandosi non causano rumori, sono sempre componibili.
Gli aspetti negativi sono: maggior costo, elevato peso, fragilità, elevata inerzia termica
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori in acciaio
Sono realizzati mediante saldatura di lamiere stampate o di tubi.
Gli aspetti positivi sono: costo contenuto, limitato peso. facile inserimento ambientale, bassa inerzia termica nei tipi a
piastra.
Gli aspetti negativi sono: elevata inerzia termica nei tipi a colonne e a tubi, non sono componibili nei tipi a piastra, a
lamelle e a colonne con elementi saldati; possibili fenomeni di corrosione.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori in alluminio
Sono costituiti da elementi realizzati per estrusione o pressofusione e assemblati con nipples.
Gli aspetti positivi sono: costo relativamente contenuto, leggerezza, sono sempre componibili, limitata inerzia termica.
Radiatori
E’ consigliabile installare i radiatori sotto finestra o lungo le pareti esterne perché in tal modo:
• Si possono contrastare meglio le correnti d’aria fredda che si formano in corrispondenza di tali superfici;
• Si migliorano le condizioni di benessere fisiologico limitando l’irraggiamento del corpo umano verso le zone fredde;
• Si evita o si riduce, nell’intorno del corpo scaldante, l’eventuale formazione di condensa superficiale interna.
• Per sporgenze al di sopra o a fianco del radiatore (mensole, nicchie, ripiani, ecc..) è consigliabile garantire “distanze di
rispetto” non inferiori a 10 cm.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
La potenza nominale di un radiatore è la potenza termica scambiata da un radiatore (o da un suo elemento) con
l’ambiente esterno nelle condizioni di prova.
Tali condizioni possono essere così riassunte:
• Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
Normalmente conviene che i valori della temperatura di progetto del fluido scaldante siano compresi fra
65 e 75°C. Non sono consigliabili temperature più elevate in quanto possono:
• Attivare forti moti convettivi e quindi contribuire al formarsi di zone con aria più calda a soffitto e più fredda a
pavimento;
• Determinare una sensibile “cottura” del pulviscolo atmosferico e quindi causare irritazioni all’apparato respiratorio,
nonché l’annerimento delle pareti dietro e sopra i corpi scaldanti.
D’altra parte, temperature di progetto troppo basse fanno aumentare notevolmente il costo dell’impianto e l’ingombro
dei radiatori.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
La potenza termica effettiva di un radiatore è la potenza termica scambiata da un radiatore (o da un suo elemento) con
l’ambiente esterno nelle effettive condizioni di utilizzo.
dove:
Radiatori
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:
dove:
Ft = fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi
Fal = fattore correttivo per effetto dell’altitudine
Fpr = fattore correttivo per protezione del radiatore
Fat = fattore correttivo in relazione agli attacchi del radiatore
Fvr = fattore correttivo per effetto della verniciatura
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite.
Inoltre, per la determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:
dove:
La formula è da ritenersi valida (con buona approssimazione) per temperature medie del fluido scaldante variabili da 40
a 100°C.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
radiatore quando la temperatura ambiente (ta) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da quelle di
prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:
Quindi
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Radiatori
Il fattore correttivo per effetti dell’altitudine è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un radiatore
quando non viene installato a livello del mare. Tiene conto del fatto che la densità dell’aria, e quindi la sua capacità di
trasportare calore, diminuisce man mano che cresce l’altitudine. Tale fattore può essere calcolato con la seguente
formula:
Il valore di Po è uguale a 101,3 kPa, mentre il valore di P può essere calcolato con la relazione:
Radiatori
Il fattore correttivo per protezione del radiatore è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un radiatore
installato in nicchia, sotto mensola o con mobiletto. Il suo valore tiene conto del fatto che simili protezioni limitano, e
talvolta anche in modo molto rilevante, gli scambi termici fra radiatore e ambiente circostante.
Radiatori
Il fattore correttivo in relazione agli attacchi del radiatore è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
radiatore non alimentato secondo le condizioni di prova: non alimentato, cioè, con l’entrata in alto e l’uscita in basso sul
lato opposto.
Praticamente il suo valore si considera solo nel caso di radiatori con entrambi gli attacchi bassi.
Mediamente il fattore Fat - sia per attacchi bassi posti sullo stesso lato, sia per attacchi contrapposti - può assumere i
seguenti valori:
Radiatori
Il fattore correttivo per effetto della verniciatura è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un radiatore
quando (dopo la prova di resa nominale) viene verniciato. Il suo valore tiene conto del fatto che le vernici possono
ridurre sensibilmente l’energia termica emessa per irraggiamento.
Termoconvettori
I termoconvettori sono corpi scaldanti che cedono calore soprattutto per convezione.
Sono realizzati con batterie alettate e con dispositivi di “tiraggio” naturale atti ad aumentare la resa termica delle batterie
stesse.
Termoconvettori a mobiletto
Sono costituiti da una batteria di tubi alettati e da un mobiletto che serve ad
attivare l’effetto “camino”.
Termoconvettori a zoccolo
Sono costituiti da tubi alettati e da piccoli carter, così come indicato nella figura sotto riportata.
Dimensioni e forme di questi termoconvettori sono realizzate in modo da consentire un’agevole messa in opera a
“zoccolo”, cioè lungo la fascia inferiore delle pareti.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termoconvettori
La potenza termica nominale è la potenza termica scambiata da un termoconvettore con l’ambiente esterno
nelle condizioni di prova.
Tali condizioni possono essere così riassunte:
• Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termoconvettori
La temperatura di progetto del fluido scaldante normalmente conviene che i valori di questa temperatura siano
compresi fra 60 e 70 °C.
D’altra parte, temperature di progetto troppo basse fanno aumentare notevolmente il costo dell’impianto e l’ingombro
dei termoconvettori.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termoconvettori
La potenza termica effettiva è la potenza termica scambiata da un termoconvettore con l’ambiente esterno nelle
effettive condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:
dove:
Termoconvettori
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:
Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite. Inoltre, per la
determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:
Termoconvettori
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
termoconvettore quando la temperatura ambiente (ta) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da
quelle di prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:
Quindi:
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termoconvettori
Il fattore correttivo per effetto dell’altitudine è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
termoconvettore quando non viene installato a livello del mare. Tiene conto del fatto che la densità dell’aria, e quindi la
sua capacità di trasportare calore, diminuisce man mano che cresce l’altitudine. Tale fattore può essere calcolato con la
seguente formula:
Il valore di Po è uguale a 101,3 kPa, mentre il valore di P può essere calcolato con la relazione:
Termoconvettori
Il fattore correttivo per effetto del tipo di installazione è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
termoconvettore installato in nicchia, sotto pavimento o con mobiletto.
Il suo valore tiene conto del fatto che questi sistemi di installazione possono far variare gli scambi termici fra
termoconvettore e ambiente circostante.
Mediamente, per termoconvettori ad alette semplici e a canali alettati, il fattore Fin può essere considerato uguale ai
seguenti valori:
Termoconvettori
Il fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante è il fattore che serve a determinare la potenza termica
di un termoconvettore quando la velocità del fluido scaldante è diversa da quella di prova.
Il suo valore dipende dalle caratteristiche costruttive del termoconvettore ed è, in pratica, determinabile solo per via
sperimentale.
Normalmente i costruttori si limitano ad indicare la velocità (o la portata) minima necessaria per poter considerare nullo
l’effetto correttivo di questo fattore.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termostrisce
Le termostrisce sono corpi scaldanti che cedono calore per convezione naturale e per irraggiamento. Sono costituite
essenzialmente da griglie di tubi sulle quali vengono fissate delle piastre metalliche.
Normalmente tali piastre hanno lunghezze variabili da 4 a 9 metri e sono sormontate da materassini in lana minerale che
servono a limitare la cessione di calore verso l’alto.
Le stesse piastre possono essere dotate anche di scossaline, atte a ridurre i moti convettivi laterali.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termostrisce
In molti casi le termostrisce costituiscono una valida alternativa ad altri corpi scaldanti ed in particolare agli aerotermi,
rispetto ai quali, esse possono offrire i seguenti vantaggi:
• Costi di gestione più contenuti (circa il 10-20%) per la minor stratificazione dell’aria;
• Moti convettivi molto più limitati, e pertanto migliori condizioni fisiologiche negli ambienti con aria inquinata da
processi industriali;
• Funzionamento senza motori elettrici, e quindi nessun problema di rumorosità, di manutenzione dei motori e di
sicurezza antincendio (aspetto questo da considerarsi soprattutto in locali con sostanze infiammabili e esplosive).
• Possibili difficoltà di collocazione, dovute agli spazi e alle strutture architettoniche disponibili.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termostrisce
La potenza termica nominale la potenza termica scambiata da una termostriscia con l’ambiente esterno nelle condizioni
di prova.
In Italia, attualmente, non sono in vigore norme di prova specifiche per questi corpi scaldanti e di fatto si procede per
analogia con quanto prescritto dalla norma UNI 6514 (Corpi scaldanti alimentati ad acqua e vapore - prova termica). In
particolare si fa riferimento alle seguenti condizioni:
La temperatura di progetto del fluido scaldante negli impianti ad uso civile è bene che sia compresa fra 60 e 90°C.
Valori più elevati (anche fino a 170, 180°C) possono, invece, essere adottati in impianti ad uso industriale.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termostrisce
La potenza effettiva termica scambiata da una termostriscia con l’ambiente esterno nelle effettive condizioni di utilizzo
si può esprimere come:
dove:
Termostrisce
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:
Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite. Inoltre, per la
determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:
Termostrisce
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di una
termostriscia quando la temperatura ambiente (ta) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da
quelle di prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:
Quindi
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Termostrisce
Il fattore correttivo per effetto dell’altezza di installazione è il fattore che serve a determinare la potenza termica di una
termostriscia in rapporto all’altezza (H) di installazione.
Il suo valore tiene conto del fatto che al crescere dell’altezza (H) diminuisce l’effetto radiante utile della termostriscia
stessa.
Il fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante è il fattore che serve a determinare la potenza termica
di una termostriscia quando la velocità del fluido scaldante è diversa da quella di prova. Il suo valore dipende dalle
caratteristiche costruttive della termostriscia ed è, in pratica, determinabile solo per via sperimentale.
Solitamente i costruttori indicano la velocità minima del fluido (riferita ai tubi delle termostrisce) necessaria per poter
considerare nullo l’effetto correttivo di questo fattore.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
I ventilconvettori sono terminali che cedono o sottraggono calore all’ambiente per convezione forzata.
• Un filtro dell’aria,
• Un involucro di contenimento.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
I ventilconvettori possono essere classificati secondo i seguenti criteri:
Ventilconvettori
I ventilconvettori possono essere classificati secondo i seguenti criteri:
Ventilconvettori
E’ consigliabile installare i ventilconvettori sotto finestra o lungo le pareti esterne perché in tal modo:
• Si possono contrastare meglio le correnti d’aria fredda che si formano in corrispondenza di tali superfici;
• Si evita o si riduce, nell’intorno del corpo scaldante, l’eventuale formazione di condensa superficiale interna.
Una corretta scelta di questi corpi scaldanti, richiede l’esame dei seguenti fattori:
• Livello sonoro.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
In locali medio-grandi è consigliabile suddividere la potenza termica richiesta su più ventilconvettori.
Potenze termiche troppo concentrate possono determinare temperature interne non uniformi.
Per garantire una buona distribuzione del calore è bene, inoltre, che la portata d’aria dei ventilconvettori non sia inferiore
a 3,5 volte il volume del locale da riscaldare.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
E’ conveniente che, in fase di riscaldamento, la temperatura dell’aria in uscita dai ventilconvettori sia compresa tra 35 e
50°C.
Tali valori consentono di raggiungere un buon compromesso fra due esigenze diverse:
• Evitare che le correnti d’aria, generate dai ventilconvettori stessi, possano provocare sensazioni di freddo,
• Impedire il formarsi di una forte stratificazione dell’aria.
Solitamente la temperatura dell’aria in uscita dai ventilconvettori è riportata sulle specifiche tecniche del costruttore. In
caso contrario può essere calcolata mediante le seguenti formule:
Ventilconvettori
La prima formula vale per ventilconvettori con ventilatore sulla mandata, cioè con ventilatore che invia aria alla batteria.
La seconda formula, invece, vale per ventilconvettori con ventilatore sull’aspirazione, cioè con ventilatore che aspira aria
dalla batteria.
• Uguale alla temperatura esterna, quando tutta l’aria che passa attraverso il ventilconvettore è derivata dall’esterno;
• Uguale alla temperatura dell’aria di miscela, quando l’aria che passa attraverso il ventilconvettore è in parte presa
dall’interno e in parte dall’esterno.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
Il rumore prodotto dai ventilconvettori - di norma riportato sulle relative specifiche tecniche - non deve superare il
livello sonoro ammissibile nell’ambiente.
Tale valore dipende essenzialmente dalla destinazione d’uso dei locali e può essere stabilito in base ai valori consigliati
dalla letteratura tecnica.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
La potenza termica nominale è la potenza termica ceduta da un ventilconvettore all’ambiente esterno nelle condizioni di
prova.
Tali condizioni possono essere così riassunte:
• Differenza di pressione statica tra l’entrata e l’uscita dell’aria dal ventilconvettore: nulla;
• Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
Di norma è conveniente che questa temperatura sia compresa fra 50 e 75°C.
La potenza termica effettiva in fase di riscaldamento è la potenza termica ceduta da un ventilconvettore all’ambiente
esterno nelle effettive condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:
dove:
Ventilconvettori
Il fattore correttivo globale F può essere espresso con la seguente funzione:
Ventilconvettori
La potenza termica nominale in fase di raffreddamento la potenza termica sottratta da un ventilconvettore all’ambiente
esterno nelle condizioni di prova.
• Differenza di pressione statica tra l’entrata e l’uscita dell’aria dal ventilconvettore: nulla;
• Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE
Ventilconvettori
La scelta della temperatura del fluido di raffreddamento normalmente è compresa fra 7 e 15 °C dipende dalla quantità
di vapore acqueo che si intente sottrarre all’aria che passa attraverso i ventilconvettori.
La potenza termica effettiva in fase di raffreddamento è il calore (sensibile e latente) sottratto da un ventilconvettore
all’ambiente esterno nelle effettive condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:
dove:
Ventilconvettori
Il fattore correttivo globale F può essere espresso con la seguente funzione:
dove:
La determinazione analitica di questa funzione è molto complessa. In pratica il suo valore è determinabile solo
sperimentalmente.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Vantaggi
Benessere termico: per poter assicurare in un locale condizioni di benessere termico si devono mantenere zone
leggermente più calde a pavimento e più fredde a soffitto.
Gli impianti che meglio si prestano a offrire tali condizioni sono quelli a pavimento radiante per i seguenti motivi:
2. Il fatto che essi cedono calore soprattutto per irraggiamento, evitando così il formarsi di correnti convettive d'aria
calda a soffitto e fredda a pavimento.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Vantaggi
Qualità dell’aria: il riscaldamento a pannelli è in grado di evitare due inconvenienti tipici degli impianti a corpi scaldanti:
1. La combustione del pulviscolo atmosferico , che può causare senso di arsura e irritazione alla gola;
2. L'elevata circolazione di polvere, che (specie nei locali poco puliti) può esser causa di allergie e difficoltà respiratorie.
Condizioni igieniche: gli impianti a pannelli esercitano un'azione positiva nel mantenimento di buone condizioni
igieniche ambientali, in quanto evitano:
1. Il formarsi di zone umide a pavimento, sottraendo pertanto il loro ambiente ideale ad acari e batteri;
2. L'insorgere di muffe (e della relativa fauna batterica) sulle pareti che confinano coi pavimenti caldi.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Vantaggi
Impatto ambientale: nelle costruzioni nuove e negli interventi di recupero con rifacimento dei pavimenti, gli impianti a
pannelli sono gli impianti a minor impatto ambientale perchè:
1. Non pongono vincoli di natura estetica. La non visibilità dei pannelli risulta molto importante soprattutto quando si
devono climatizzare edifici di rilievo storico o architettonico, dove la presenza di corpi scaldanti può compromettere
l'equilibrio delle forme originali;
2. Non limitano la libertà d'arredo, consentendo così il più razionale utilizzo dello spazio disponibile;
Vantaggi
Calore utilizzabile a bassa temperatura: per merito della loro elevata superficie disperdente, gli impianti a pannelli
possono riscaldare con basse temperature del fluido termovettore.
Questa caratteristica rende conveniente il loro uso con sorgenti di calore la cui resa (termodinamica o economica)
aumenta al diminuire della temperatura richiesta, come nel caso di:
• Pompe di calore,
• Caldaie a condensazione,
• Pannelli solari,
• Sistemi di teleriscaldamento, con costo del calore legato (direttamente o indirettamente) alla temperatura di ritorno
del fluido primario.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Svantaggi
Temperatura superficiale del pavimento: calcolo specifico di questo fattore;
Inerzia termica e tipo di utilizzo dell’impianto: gli impianti a pannelli sono caratterizzati dall'avere un'elevata inerzia
termica in quanto, per cedere calore, utilizzano le strutture in cui sono annegati i pannelli stessi.
In ambienti riscaldati con una certa continuità (e con buon isolamento sotto i pannelli) l'inerzia termica di questi impianti
non pone alcun problema e consente:
• Un buon adeguamento dell'impianto alle condizioni climatiche esterne;
• Interruzioni o rallentamenti di funzionamento, con tempi di attivazione e disattivazione dell'impianto che vanno
normalmente anticipati di due ore.
Per contro in ambienti riscaldati solo per brevi periodi (ad esempio case di fine settimana) l'inerzia termica degli impianti
a pannelli comporta sensibili sfasamenti tra i tempi di avviamento e quelli di effettivo utilizzo. Pertanto in questi casi
conviene ricorrere ad altri sistemi di riscaldamento.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Svantaggi
Aspetti progettuali: gli impianti a pannelli richiedono:
• Maggior impegno per la determinazione dei parametri di progetto . Infatti oltre ai parametri necessari per determinare
le dispersioni termiche dei locali, la progettazione degli impianti a pannelli richiede anche la conoscenza dettagliata di
tutti gli elementi costruttivi che riguardano i pavimenti e le solette.
• Calcoli più complessi e laboriosi, anche se in merito il maggior impegno può essere sensibilmente ridotto con l'uso
del calcolo automatico.
• Minor adattamento a varianti in corso d'opera o ad impianto ultimato, in quanto non è possibile togliere o aggiungere
porzioni di pannello come invece è possibile con i radiatori.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Svantaggi
Raffrescamento: gli impianti a pannelli consentono anche il raffrescamento dei locali. Si deve tuttavia considerare che
essi presentano in merito due limiti ben precisi:
2. L'incapacità di deumidificare.
La bassa resa frigorifera dipende dal fatto che negli impianti a pannelli non è possibile abbassare troppo la temperatura
del pavimento senza provocare fenomeni di condensa superficiale. Per questo motivo risulta difficile ottenere potenze
frigorifere superiori a 40-50 W/m2.
L'incapacità di deumidificare dipende invece dalla natura stessa degli impianti a pannelli i cui terminali (cioè i pavimenti)
non possono far condensare ed evacuare parte dell'acqua contenuta nell'aria.
Condizioni igrometriche di benessere si possono pertanto ottenere solo con l'aiuto di deumidificatori: vale a dire con
integrazioni dell'impianto a pannelli che comportano costi ed ingombri non sempre accettabili.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Posa
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
dove:
B = B0 = 6,7 W/m2K per tubi con: - s t0 = 0,002 spessore, m λt0 = 0,350 conducibilità termica, W/mK
Per tubi con diverso spessore e diversa conducibilità termica, il fattore (B) si calcola con la formula
e dove:
dove il fattore AI è determinabile mediante tabelle e l'esponente x (per interasse dei tubi variabile fra 0,050 e 0,375 m) è
calcolabile con la relazione:
dove il fattore Am è determinabile mediante tabelle e l'esponente y (per spessore del massetto sopra i tubi maggiore di
0,015 m) è calcolabile con la relazione:
dove il fattore AD è determinabile mediante tabelle e l'esponente z (per diametri compresi fra 0,010 e 0,030 m) è
calcolabile con la relazione:
dove:
H. prevalenza di zona.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Deve essere:
dove:
Q = potenza termica richiesta al pannello, W
Qmax = potenza massima cedibile dal pannello, W
S = superficie coperta dal pannello, m2
qmax = potenza specifica massima cedibile dal pannello, W/m2
essendo:
qmax = 100 W/m2 in ambienti dove ci si sofferma in permanenza;
qmax = 150 W/m2 in locali bagno, docce e piscine;
qmax = 175 W/m2 in zone perimetrali o in locali dove si accede raramente.
Se Q è maggiore di Qmax, si deve cedere col pannello una potenza termica inferiore o uguale a Qmax e ricorrere, per la
potenza mancante, ad un corpo scaldante integrativo.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Noti i parametri:
• potenza termica richiesta,
• superficie del pannello,
• temperatura massima di progetto,
• temperatura ambiente,
• spessore e conducibilità del massetto,
• resistenza termica del pavimento,
• diametro esterno, spessore e conducibilità del tubo,
• interasse di posa,
3 casi:
In questo caso il pannello non è in grado di emettere il calore richiesto, è cioè un terminale sottodimensionato.
Come soluzione alternativa si può:
• Scegliere (se possibile) un pannello con interasse più piccolo: cioè un pannello con maggior resa termica;
3 casi:
• Scegliere (se possibile) un pannello con interasse più grande: cioè un pannello con minor resa termica;
3 casi:
In questo caso il valore della temperatura di ritorno non pone (almeno dal punto di vista teorico) alcun limite
all'accettabilità della soluzione in esame.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Noti i parametri definiti al punto precedente, la temperatura di ritorno (tu), la resistenza termica sotto pannello e la
temperatura del locale o del terreno sottostante, la portata del pannello si può calcolare con le formule viste
precedentemente.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Si calcola come:
dove:
%
L = lunghezza del pannello, m
Le perdite di carico totali del pannello si calcolano sommando fra loro le perdite di carico continue e localizzate, il cui
valore si determina come segue:
• Le perdite di carico continue si calcolano moltiplicando la lunghezza del pannello per le perdite di carico unitarie;
• Le perdite di carico localizzate si calcolano sommando fra loro le perdite di carico dovute:
• Alle curve del pannello (mediamente queste perdite si considerano comprese fra il 20 e il 30% delle perdite di carico
continue).
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
In base al valore della prevalenza richiesta agli estremi del pannello (che coincide con le perdite di carico sopra
determinate) sono possibili due casi:
Inoltre, per poter procedere al dimensionamento del generatore di calore e degli altri pannelli si devono determinare
anche i seguenti parametri:
Possono variare fino a 30 cm in applicazioni di tipo civile o comunque in ambienti dove ci si sofferma in permanenza.
Possono invece variare fino a 40 cm in applicazioni di tipo industriale o commerciale (ad esempio in capannoni,
magazzini o garages).
La griglia (o la serie) di interassi possibili dipende dai supporti di fissaggio (rete o profilati) o dai pannelli preformati che
si intendono adottare.
• 1.200 a 1.500 mm c.a. per gruppi termici murali, in quanto dotati di circolatori a limitata prevalenza;
Tali valori consentono di ottenere un buon compromesso fra due diverse esigenze:
• Limitare la lunghezza (e quindi il costo) dei pannelli,
• Ottimizzare il rendimento della sorgente di calore.
Va comunque considerato che il riscaldamento con basse temperature è possibile solo con pavimenti a limitata
resistenza termica
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Potenza richiesta al pannello per poter far fronte al fabbisogno termico del locale da riscaldare.
Tale fabbisogno deve essere calcolato considerando due aspetti tipici dei locali riscaldati con impianti a pannelli:
Temperatura dell'aria che si deve assicurare all'interno del locale. Il suo valore è generalmente imposto da norme o da
clausole contrattuali.
A pari temperatura ambiente, va comunque considerato che in un locale riscaldato con pannelli la temperatura
operante (cioè la temperatura che con buona approssimazione misura il comfort termico del locale) è mediamente
superiore di 1÷1,5°C rispetto a quella ottenibile con un riscaldamento a corpi scaldanti
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Temperatura del locale o del terreno posti sotto la struttura di contenimento dei pannelli. Per la sua determinazione si
considerano due casi:
1. Locale posto sotto la soletta di contenimento dei pannelli: la sua temperatura si determina con gli stessi criteri
adottati per il calcolo delle dispersioni termiche.
Pari a:
dove:
Resistenza termica della struttura compresa fra il piano tangente superiore dei tubi e l’ambiente sottostante.
e dove:
Rs = resistenza termica sotto pannello, m2 K/W
sd = distanza fra la tangente superiore dei tubi e l’isolante, m
λm = conducibilità termica del massetto, W/mK
s is = spessore del materiale isolante, m
λis = conducibilità termica del materiale isolante, W/mK
Rsl = resistenza termica del solaio, m2K/W
s in = spessore dell’intonaco, m
λin = conducibilità termica dell’intonaco, W/mK
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Si calcola come:
dove:
Per evitare condizioni di malessere fisiologico, è necessario che la temperatura superficiale a pavimento sia inferiore a:
• 29°C in ambienti dove ci si sofferma in permanenza,
• 33°C in locali bagno, docce e piscine,
• 35°C in zone perimetrali o in locali dove si accede raramente.
Il rispetto di tali valori comporta precisi limiti alla potenza termica cedibile da un pannello.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
È dato dalla differenza fra la temperatura di entrata e quella di uscita del fluido scaldante. È consigliabile che il suo valore
non sia troppo elevato per:
• Non abbassare troppo la temperatura media del fluido e quindi la resa termica del pannello;
• Evitare temperature superficiali troppo diverse fra loro, specie quando i pannelli sono a serpentine;
La differenza fra queste due prevalenze si compensa con la valvola di regolazione micrometrica del pannello.
È consigliabile che la differenza fra la prevalenza prestabilita e quella richiesta (cioè il valore della compensazione per
taratura) sia almeno di 200 ÷ 300 mm c.a..
È così possibile (aprendo la valvola micrometrica) incrementare la portata del pannello e quindi la sua potenza termica
quando le condizioni di esercizio sono più impegnative di quelle considerate: ad esempio quando vengano posti sul
pavimento tappeti, non previsti, che coprono estese superfici.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Non esistono particolari limiti in merito al valore di questa grandezza. Nelle applicazioni civili, è però consigliabile non
andare oltre le lunghezze commerciali dei rotoli di tubo (120 ÷ 150 metri).
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
È consigliabile non accettare soluzioni con velocità del fluido troppo basse, essenzialmente per due motivi: impedire il
ristagno di bolle d’aria, evitare che il flusso del fluido avvenga in regime laminare, dato che le formule di emissione
dei pannelli sono valide solo in regime turbolento.
Normalmente sono accettabili velocità superiori a 0,1 m/s. Velocità più elevate devono essere previste quando si
realizzano pannelli con contropendenze
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI
Potenza totale emessa dal pannello: serve a determinare la potenza termica che deve essere fornita dal generatore di
calore.
Potenza termica emessa verso il basso: si determina come differenza fra la potenza termica totale e quella ceduta verso
l’alto dal pannello. Serve a determinare l’effettivo fabbisogno termico dell’ambiente posto sotto il pannello.
Potenza termica media emessa verso l’alto da un metro di tubo: si calcola dividendo la potenza termica emessa verso
l’alto dal pannello per la sua lunghezza. Serve a determinare l’apporto di calore dei tubi di adduzione ai locali da essi
attraversati.
Potenza termica media emessa verso il basso da un metro di tubo: si calcola dividendo la potenza termica emessa verso
il basso dal pannello per la sua lunghezza. Serve a determinare l’apporto di calore dei tubi di adduzione ai locali
sottostanti.
IMPIANTI TERMOIDRAULICI
IMPIANTI IDROSANITARI
Generalità
Gli impianti idrosanitari hanno lo scopo di assicurare l’acqua corrente all’interno degli edifici, nonché lo scarico delle
acque usate e meteoriche.
Si compongono di:
• Impianto idrico di alimentazione;
• Impianto di scarico.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
La quantità di acqua occorrente, che dipende dal numero di utenti da servire, dal tenore e dalle abitudini di vita degli
occupanti e che può variare considerevolmente da caso a caso, viene generalmente prelevata da un acquedotto
pubblico in pressione.
I valori della pressione che si adottano negli acquedotti, generalmente 5 ÷ 6 bar, sono tali da consentire la distribuzione
cittadina nella maggior parte delle abitazioni senza ricorrere a sistemi di soprelevazione della pressione.
Anche la pressione dell’acqua nella rete di distribuzione interna all’edificio deve essere opportunamente determinata in
modo che la pressione residua all’utenza consenta un getto convenientemente configurato. La pressione a monte del
rubinetto deve cioè essere compresa, a seconda del tipo di utenza, entro determinati valori, che ne consentano una
regolazione e utilizzo.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
La pressione non deve, inoltre, eccedere eccessivamente, in quanto causerebbe il malfunzionamento dei rubinetti,
creando getti eccessivamente intensi che provocherebbero usura dei componenti, rumore, vibrazioni e sollecitazioni sui
tubi.
L’impianto di alimentazione dell’acqua ha origine generalmente da un acquedotto o da un’altra sorgente di acqua (pozzo
o serbatoio di accumulo a valle di un eventuale impianto di trattamento) e comprende le reti tubiere, le apparecchiature
di intercettazione, di regolazione della pressione, di sfiato dell’aria e di sicurezza necessarie per il corretto esercizio della
rete.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
La valvola di ritegno può essere costituita da un disco (detto clapet) che, per effetto della corrente, ruota intorno ad un
perno, permettendo il passaggio dell’acqua, mentre in senso inverso è compresso nella sede dell’otturatore,
impedendo il riflusso all’indietro (così detta valvola a clapet).
Al posto della semplice valvola di non ritorno si utilizzano, in molti casi, dispositivi più complessi chiamati disconnettori:
tali dispositivi sono costituiti schematicamente da due valvole di non ritorno tra le quali è posta una valvola automatica
di scarico all’esterno.
Il dispositivo è formato in sostanza da tre zone distinte e separate tra loro dalle due valvole di non ritorno:
• Zona a monte;
• Zona intermedia, separata dalla prima valvola di non ritorno;
• Zona a valle, separata dalla seconda valvola di non ritorno.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Ciò vuol dire che il meccanismo di apertura della valvola di scarico è dipendente dalla pressione differenziale tra la zona
centrale e quella a monte della valvola.
Il disconnettore può, inoltre, essere dotato di prese per la misura della pressione.
In sostanza, il disconnettore è decisamente migliorativo in termini di sicurezza rispetto alla semplice valvola di ritegno, in
quanto è basato sul concetto di doppia sicurezza più scarico ed è tale che possa essere sollecitata per periodi
prolungati solo la seconda valvola di ritegno.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
L’elemento sensibile è costituito da una turbina posta in rotazione dal passaggio dell’acqua.
Il numero di giri effettuato dalla turbina è proporzionale alla quantità di acqua che vi passa attraverso, per cui è
sufficiente contare il numero di giri, attraverso sistemi meccanici a ruote dentate, per misurare la quantità di acqua che
ha attraversato il contatore.
I contatori a turbina, che sono utilizzati per utenze medio-piccole, possono essere a quadrante asciutto o bagnato e con
indicatore a lancette o con quadrante numerico.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Quando interessa, più che un consumo, la misurazione diretta della portata, specie sulle condotte di grandi dimensioni,
si utilizzano i contatori a venturimetro o a disco tarato. Entrambe le tipologie misurano la differenza di pressione che si
produce per effetto del restringimento nella sezione di gola.
Il manometro serve per verificare che la pressione di consegna sia adeguata; la pressione di esercizio dell’acquedotto è
generalmente intorno ai 5 bar, per cui è ragionevole alimentare palazzi di 5 ÷ 6 piani senza dover ricorrere a sistemi di
soprelevazione della pressione.
L’attacco all’acquedotto è generalmente concesso in ragione di 1 attacco per ogni numero civico, salvo il caso di palazzi
con fronte superiore ai 40 m, per i quali può essere richiesto un secondo attacco. Il contatore generale è situato ad una
distanza non superiore ai 15 m dalla strada.
A valle del contatore si sviluppa la rete utente che si compone, in genere, di collettori orizzontali, colonne verticali e
collettori di distribuzione alle utenze nei singoli piani.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Lo stabilizzatore di pressione è un apparecchio che consente di mantenere costante una pressione a valle,
indipendentemente da possibili fluttuazioni della pressione a monte. Per questo lo stabilizzatore può essere inserito in
prossimità dell’allaccio all’acquedotto, in modo da regolare ad un valore costante la pressione di mandata all’utente.
Lo stabilizzatore è costituito da una valvola dotata di una speciale membrana elastica solidale con lo stelo della valvola
sulla quale agisce la pressione del fluido a valle della valvola. Quando la pressione del fluido a valle scende sotto il
valore di taratura voluto, la pressione sulla membrana diminuisce e la molla provoca la discesa dello stelo e una
maggiore apertura della valvola, viceversa nel caso di pressione superiore a quella voluta la pressione sulla membrana
provoca la chiusura dell’orifizio di passaggio con aumento della perdita di carico della valvola.
La pressione di mandata dell’impianto deve essere convenientemente regolata, tenendo conto delle perdite di carico
concentrate e distribuite e delle altezze a cui l’acqua deve essere portata. Un valore medio indicativo di pressione in
corrispondenza di ciascun piano può essere di 2,5 ÷ 3 bar, anche se è opportuno eseguire i necessari calcoli di
dimensionamento per ottimizzare il funzionamento delle rubinetterie e degli apparecchi.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Gli ammortizzatori del colpo di ariete sono apparecchi obbligatori secondo gli standard normativi europei e servono per
assorbire le sovrappressioni generate dai transitori, dovuti all’arresto brusco del fluido in movimento..
Tale sovrappressione, che dipende dalla velocità di chiusura della valvola, dalle caratteristiche elastiche del materiale
dei tubi, dalla lunghezza del tratto di tubo interessato, dalla velocità iniziale del fluido può risultare pericolosa e produrre
danni e rotture sulle tubazioni, rotture dei vasi di espansione, rumore, incrinatura dei rubinetti.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Il fenomeno del colpo d’ariete è causato dalla brusca variazione di quantità di moto che si produce in tutto il tratto di
tubazione interessato dall’arresto improvviso del fluido.
La pressione che si produce nel punto di arresto è assorbita dalle proprietà elastiche del fluido e delle pareti del
condotto ed, ovviamente, dall’ammortizzatore.
L’ammortizzatore del colpo di ariete viene installato in sommità di ogni colonna montante.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Le valvole di sicurezza vengono installate su tratti di tubazione in cui il fluido può essere soggetto a dilatazioni termiche
per effetto del riscaldamento, senza che queste possano avvenire liberamente. La valvola di sicurezza interviene quando
la pressione supera il valore di taratura.
Un caso tipico è quello di un tratto di tubazione posto all’aperto, soggetto a riscaldamento solare, se il tratto di tubo
può essere isolato dal resto dell’impianto. Si ipotizza cioè che il tratto di tubo possa rimanere al sole, pieno di acqua e
isolato tra due valvole di intercettazione chiuse, ad esempio, per effettuare una manutenzione. In tal caso, l’aumento di
volume dell’acqua dovuto al riscaldamento potrebbe provocare la rottura del tubo in assenza di valvola di sicurezza.
Le valvole di sicurezza utilizzate per liquidi sono piccole, generalmente, con diametri da 3/4” e si impiegano quando non
sono previsti altri dispositivi che consentano l’espansione del fluido (vasi di espansione, ammortizzatori del colpo
d’ariete se idonei, ecc.).
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
La valvole di intercettazione sono installate obbligatoriamente all’origine dell’impianto e alla base delle colonne
montanti, in modo da consentire l’intercettazione e lo svuotamento della colonna.
Sono, inoltre, installate per consentire lo smontaggio di componenti quali filtri, pompe, ecc., o per i punti di prelievo
campioni e per lo scarico dell’impianto.
Le valvole a saracinesca a corpo piatto o quelle a globo sono mediamente più diffuse, mentre le valvole a sfera si
preferisce adottarle sui piccoli diametri.
Le valvole di sfiato dell’aria sono previste per la messa in esercizio delle tubazioni, e vanno installate alla sommità delle
colonne montanti: si raccomanda particolarmente la loro adozione in tutte le reti di acqua calda a protezione dei circuiti
di ricircolo e vanno ovviamente installate nei punti più alti.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Fasi preliminari
Comprende la definizione dello schema geometrico dell’intera rete tubiera a partire dall’acquedotto, la distribuzione
verticale, la distribuzione orizzontale ai piani, le diramazioni finali alle singole utenze da servire.
È necessario redigere un disegno indicando i valori delle quote, per determinare fin dall’inizio, sia pure
approssimativamente le pressioni all’interno delle tubazioni.
Quindi, si deve procedere all’indicazione delle portate e delle pressioni volute su ciascuna utenza, che devono essere
alimentate garantendo determinati valori di portata (dipendenti dal tipo di utenza) con una pressione residua minima a
monte del rubinetto variabile, dipendente dal tipo di utenza.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Fasi preliminari
Per edifici civili, la portata e la
pressione di progetto sono riportate
nella tabella, dove si riportano le
utenze per uso igienico-sanitario.
Fasi preliminari
Va segnalato che il tempo medio di utilizzo di ciascuna utenza è differente: per esempio, un lavabo viene mediamente
utilizzato per 2 minuti, una doccia per 5 minuti, un rubinetto a passo rapido per wc solo per 10 secondi.
Occorre distinguere il tipo di edificio a cui corrisponde una diversa frequenza di utilizzo: in genere si considerano le
seguenti categorie indicate in ordine crescente di fattore di contemporaneità:
È opportuno distinguere il caso in cui sono installati vasi con rubinetto a passo rapido o flussometro dal caso in cui non
vi siano tali apparecchi, per cui in modo sia pure approssimato, le varie utenze possono nei casi più comuni essere
considerate quasi uguali tra di loro. È sempre distinto il caso in cui vi sono tra le utenze rubinetti a passo rapido o
flussometro dal caso in cui vi sono solo vasi a cassetta.
Un criterio molto semplice è suggerito dall’uso dei grafici contenuti nella norma europea EN 806-3, ripresi e utilizzati
anche sotto forma di tabelle, da diversi costruttori: in essi le portate di progetto da assumere sono correlate
direttamente alla somma delle portate teoriche supposte contemporanee. I suddetti grafici presentano varie curve
dipendenti dalla massima intensità di prelievo prevista: la scelta della curva da utilizzare e, quindi, la portata di progetto
risultante, è funzione del rapporto tra la massima e la minima intensità di prelievo prevista dalle varie tipologie di utenze.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Le norme UNI 9182, invece, suggeriscono per la determinazione della portata di progetto un criterio che si basa sul
concetto di unità di carico: cioè per ogni utenza o gruppo di utenze viene fissato il corrispondente valore dell’unità di
carico.
Tale valore non è necessariamente proporzionale alla portata dell’apparecchio, perché le utenze possono differire, non
solo per portata, ma anche per tempo medio di erogazione e frequenza di utilizzo. Le norme, per quanto attiene le unità
di carico da attribuire ai singoli apparecchi, inoltre, sembrano basarsi su un criterio empirico, tenendo conto che quello
che interessa ai fini della determinazione del fattore di contemporaneità è la combinazione di apparecchi e i diversi
modi possibili di combinazioni e non l’apparecchio singolo.
Per determinare la portata di progetto occorre determinare la somma delle unità di carico relative ad ogni tronco di
tubo, quindi, attraverso le relative tabelle si determina la portata di progetto.
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Il coefficiente di contemporaneità f, nell’ipotesi di uso intermittente, è assunto, nel criterio empirico pari alla seguente
espressione:
dove
n = il numero di apparecchi supposti identici.
Nel caso vi siano anche rubinetti a passo rapido oltre le altre utenze, un criterio orientativo può essere dedotto
dall’espressione, ponendo al posto di n un espressione del tipo (n - α), con α numero intero pari al rapporto tra la portata
del vaso a passo rapido e la portata di base del rubinetto.
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dove
Qi = la portata dell’i-esimo apparecchio utilizzatore misurata in 1/s
Q = portata di progetto in 1/s.
Con il precedente criterio, tuttavia, quando la somma delle portate degli utilizzatori è superiore a 30 1/s, le precedenti
espressioni sovradimensionano eccessivamente l’impianto, pertanto, non sono più applicabili.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Una volta calcolato il diametro, è necessario eseguire la verifica delle perdite di carico lungo il condotto e accertare che
non siano eccessive: in ogni caso, la pressione residua in ciascuna utenza dovrà risultare sempre superiore alla minima
accettabile.
A dimensionamento ultimato, infine, basandosi sulla pressione effettivamente disponibile nel punto di consegna
all’utente, è opportuno calcolare le perdite di carico distribuite lungo le tubazioni e verificare che risultino comprese tra
20 e 100 mm c.a./m.
Valori superiori della perdita di carico distribuita, infatti, indicano che la velocità dell’acqua è elevata e si può incorrere in
fenomeni di vibrazione e rumori: in questi casi potrebbe essere opportuno utilizzare dei riduttori di pressione. Valori
inferiori della perdita di carico indicano, invece, che la velocità dell’acqua è bassa e la pressione di alimentazione
potrebbe non essere sufficiente: in questo caso, può essere opportuno prevedere un sistema meccanico di
soprelevazione della pressione.
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dove
Put = pressione residua all’utenza (m c.a.);
Pac - pressione dell’acquedotto o pressione di progetto (m c.a.);
ΔH = differenza di quota (m);
Σhap = perdita di carico di apparecchiature specifiche (m c.a.) (si veda tabella precedente);
J = perdita di carico uniformemente distribuita di progetto o risultante dalla scelta della velocità massima all’interno del
tubo in mm c.a./m;
L = lunghezza della tubazione (m) fino all’utenza;
F = fattore adimensionale: rapporto tra le perdite di carico uniformemente distribuite e le perdite di carico totali (escluse
quelle degli apparecchi specifici). Si può assumere F = 0,6 ÷ 0,7.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Nel primo caso, infatti, la rete dell’acqua calda possiede uno sviluppo limitato, cioè è costituita semplicemente dalle
tubazioni che collegano il boiler dell’acqua alle utenze; nel secondo caso, invece, lo sviluppo della rete dell’acqua calda
è esteso e occorre, se non si vuole attendere un tempo significativo, una distribuzione a doppia tubazione, necessaria al
riscaldamento delle tubazioni.
Risulta quasi ovvia la considerazione che quando si apre un rubinetto si desidera poter disporre immediatamente di
acqua calda e affinché ciò avvenga in un sistema centralizzato di produzione è necessario disporre di un ricircolo con
acqua sempre in movimento alla temperatura voluta.
Il sistema con ricircolo richiede, naturalmente, l’impiego di un’elettropompa per mantenere in movimento il fluido. Sarà
inoltre necessario introdurre le necessarie valvole di bilanciamento delle perdite di carico, se la rete è ramificata, e gli
altri eventuali dispositivi tipici delle reti di tubazioni già discussi: valvole dell’aria, saracinesche, ecc.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Si sottolinea che esistono anche speciali cavi elettrici detti autoregolanti, che consentono il passaggio della corrente
solo quando le temperature superficiali del tubo scendono al di sotto di quella prevista
Si tratta di cavi elettrici con contatti separati da una speciale sostanza plastica contenente grafite: la dilatazione termica
della sostanza plastica, al raggiungimento della temperatura sulla superficie del tubo di 40 45°C, produce il
distanziamento dei contatti di grafite e impedisce, quindi, il passaggio della corrente tra i cavi.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Valori di riferimento delle dispersioni termiche nei tubi percorsi da acqua calda a 50°C in funzione del diametro e della
temperatura esterna possono essere ricavati dalle normative (UNI 9182 appendice P) o, meglio, possono essere calcolati
dal progettista in funzione dello spessore e del tipo di coibente utilizzato.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
dove
Gr = portata di ricircolo (kg/h)
Q = quantità di calore disperso dalla tubazione (kcal/h)
Δθ = differenza di temperatura ammessa per l’acqua (°C)
cp = calore specifico dell’acqua pari a 1 kcal/kg °C
l = lunghezza delle tubazioni (m).
Con il procedimento appena esposto si è calcolata la portata minima necessaria in una rete di ricircolo. La formula
afferma che la portata di ricircolo deve essere di 5 l/h per ogni metro di tubazione.
Per il dimensionamento della pompa occorre effettuare in aggiunta al calcolo delle portate anche quello delle perdite di
carico. Nel caso di più rami potrà essere opportuno aggiungere delle valvole di bilanciamento delle perdite di carico o
delle valvole di portata (solo sui ricircoli). La pompa va dimensionata per vincere le perdite di carico che equivalgono
alla somma delle perdite concentrate e di quelle distribuite.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Per gli edifici di civile abitazione di tipo residenziale di medio livello di 3 ÷ 4 vani, se non si dispone di informazioni più
precise, considerando 3 ÷ 4 persone per alloggio, si possono assumere i seguenti dati di progetto:
• per un solo servizio: 250 l di acqua calda a 40°C;
• per due servizi: 300 ÷ 350 l di acqua calda a 40°C.
Si consideri inoltre, che la durata del periodo di punta per appartamenti e alberghi è generalmente di 2 ÷ 2,5 h; per gli
ospedali e le cliniche, invece, il periodo di punta da considerare è di almeno 3 h. In qualche particolare caso, ad
esempio, per gli alberghi in montagna nella stagione invernale, alcuni costruttori consigliano di ridurre il periodo di
punta ad 1,5 h; per gli uffici, ancora, il periodo di punta è da considerarsi di 1 ora.
Il tempo di preriscaldamento, invece, può essere fissato a 1,5 - 2,5 h o anche superiore, se è necessario limitare la
potenza di riscaldamento.
Il consumo di acqua nell’ora di punta, parametro che interessa ai fini del dimensionamento del boiler e del sistema di
riscaldamento, risulta minore del consumo giornaliero, per una quantità mediamente inferiore al 10 ÷ 20%, a seconda del
tipo di utenza.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Il fattore di contemporaneità, da applicare riferito all’unità abitativa (e non alla persona) può essere determinato dalle
tabelle della normativa o calcolato con la seguente espressione valida fino a 50 utenze:
dove
Generalmente, l’acqua calda è prodotta e conservata ad una temperatura di 60°C o superiore, sia per ridurre le
dimensioni dei serbatoi di accumulo sia per evitare la formazione di batteri, che è favorita quando la temperatura
dell’acqua è inferiore ai 50°C.
Per ridurre le dimensioni dei boiler si assumono temperature massime di 80 ÷ 90°C, anche se ciò comporta la necessità
di porre particolare attenzione nel realizzare un efficace isolamento termico del serbatoio.
Inoltre, l’aumento della temperatura oltre i 60°C se da un lato favorisce i fenomeni di precipitazione dei sali, dall’altro,
comunque, migliora l’efficienza termodinamica del boiler.
L’acqua calda accumulata nel boiler viene mischiata con acqua fredda per essere inviata all’utenza alla temperatura
voluta di 40°C.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
La massa M di acqua (kg) o il volume (l) da accumulare con un boiler, a seconda se con C si intende una massa o un
volume, si calcola con la seguente espressione, nella quale si è assunta una temperatura massima dell’acqua pari a θ °C;
sia ipotizzata, inizialmente, la temperatura di intervento del termostato a 60°C, anche al fine di ricavare gli ordini di
grandezza relativi ai volumi e ai tempi:
dove
tpr = il tempo di preriscaldamento (h), cioè il tempo necessario ad accumulare l’acqua calda
tu = il tempo di durata dell’ora di punta (h)
θf = temperatura dell’acqua fredda di alimento (°C), ad esempio 15°C.
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Il primo rapporto esprime la quantità di acqua a 8 °C che ha lo stesso contenuto di energia termica di un litro di acqua a
40°C (principio di conservazione dell’energia).
Per comprendere appieno il significato del secondo rapporto, occorre tenere presente che la produzione dell’acqua
calda avviene per un tempo (tu + tpr) maggiore del tempo di consumo pari a tu.
Quindi, per ogni litro di acqua che si consuma bisogna averne da parte un certo quantitativo.
Il rapporto tpr/(tu + tpr) rappresenta, dunque, la frazione di acqua che occorre accumulare rispetto al consumo
complessivo.
Viceversa, la frazione tu/(tu + tpr) rappresenta la frazione del consumo che viene prodotta simultaneamente al consumo
stesso.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
dove
θ = temperatura di intervento del termostato (°C)
θf = temperatura dell’acqua fredda di alimento (°C)
M = volume.
sarebbe applicabile se il sistema di produzione di acqua calda fosse costituito da un serbatoio di accumulo a volume
variabile, tipo vaso di espansione chiuso, e il riscaldamento avvenisse durante il prelievo dell’acqua calda sulla frazione
residua di acqua nel serbatoio.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
L’equazione
rappresenta solo un bilancio di energia, ma nulla dice sulla temperatura a cui viene scaldata l’acqua nel boiler al passare
del tempo né dice alcunché sulla distribuzione delle temperature interne al serbatoio né che il calore fornito durante la
fase di prelievo avvenga ad una temperatura superiore a quella utile di utilizzo dell’acqua, cioè non assicura, in sintesi,
che sia soddisfatto il secondo principio della termodinamica.
Al termine di un ciclo di utilizzo del boiler, l’acqua calda in alto si troverà ad una temperatura di 40°C, quella fredda in
basso alla temperatura θf e all’interno vi sarà acqua parzialmente riscaldata che non ha potuto raggiungere la
temperatura di 40°C a causa della permanenza troppo breve nel boiler.
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dove
θ = temperatura di intervento del termostato
θmin = temperatura minima accettabile residua a fine ciclo utile di erogazione; è, in sostanza, la temperatura media del
boiler a fine ciclo di erogazione;
θf = temperatura dell’acqua fredda;
MB = volume effettivo da richiedere al boiler.
La temperatura θmin dipende dalle modalità di prelievo dell’acqua calda e, ovviamente, dai fenomeni dissipativi per cui
l’acqua nel serbatoio tende a portarsi tutta alla medesima temperatura e non è facilmente determinabile se non con
misure o prove.
Ai fini dei calcoli di dimensionamento per serbatoi medio piccoli, si suggerisce l’utilizzo di questa relazione ponendo
θmin = 30°C. Tale valore di temperatura scaturisce dall’osservazione che quando la temperatura media dell’acqua nel
boiler è uniforme e pari a 40°C, con resistenza spenta, è ancora utilizzabile parte dell’acqua calda accumulata.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
i boiler sono apparecchi che si rivelano piuttosto inefficienti: pertanto, se non si vuole perdere eccessivamente sul
contenuto termico, in ogni ciclo di erogazione, occorre necessariamente fare in modo che le temperature del
termostato siano il più elevate possibile.
Di contro, elevare la temperatura del termostato del boiler comporta inevitabilmente l’aumento delle perdite attraverso
l’involucro, specie se si lascia l’acqua calda inutilizzata per ore al suo interno, come a volte si fa nelle abitazioni.
In genere, nella maggior parte degli apparecchi per le abitazioni le temperature del termostato sono fissate a 75 ÷ 80°C.
Si può definire rendimento termodinamico di un boiler, indicandolo con ηb il rapporto tra la quantità di calore
effettivamente utilizzabile e quella complessiva immagazzinata:
Si noti che ηb è anche il rapporto tra le quantità M/MB, cioè si potrebbe dire tra i volumi teorici ed effettivi occorrenti.
Anche per il calcolo della potenza termica da richiedere ad un boiler tradizionale si dovrà correggere la relazione,
Un’altra causa piuttosto frequente per cui occorre far uso di sistemi di soprelevazione è l’insufficienza, in alcune zone, di
acqua proveniente dall’acquedotto in determinati orari, per cui è necessario provvedere ad un accumulo, per esempio,
nelle ore notturne, e al successivo pompaggio all’utenza durante l’ora di punta.
La soprelevazione della pressione si realizza mediante una pompa opportunamente inserita nel circuito dell’impianto
idrico. È bene evidenziare subito che non è consentito attaccare la pompa direttamente all’acquedotto, in quanto l’avvio
e l’arresto della pompa provocherebbe fluttuazioni di pressione con disturbi e ripercussioni nell’acquedotto stesso; è
possibile procedere, invece, all’allaccio con l’acquedotto in una delle seguenti maniere:
Il sistema con preautoclave è sostanzialmente un serbatoio dimensionato per limitare le sovrappressioni indotte dalla
pompa, da valutarsi con criteri analoghi al colpo d’ariete.
A valle della pompa si posiziona un dispositivo che ha lo scopo di accumulare l’acqua per evitare continui avvii e
partenze della pompa.
La pompa, infatti, dovrebbe mettersi in moto ad ogni apertura di rubinetto e fermarsi alla chiusura, ma, in tal modo, si
rischierebbe di bruciare gli avvolgimenti del motore.
La soluzione più utilizzata per evitare questo rischio è quello di far uso di un serbatoio di accumulo, a membrana o con
cuscino d’aria, limitando così il numero di partenze orarie della pompa: si tratta della cosiddetta autoclave.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
L’autoclave a cuscino d’aria è costituita da un serbatoio nella cui parte superiore vi è aria in pressione; durante la fase di
accensione della pompa l’acqua viene inviata nel serbatoio, il cuscino di aria viene compresso per far posto ad un certo
volume utile di accumulo di acqua. Successivamente, durante la fase di erogazione alle utenze, la pompa è ferma, la
pressione dell’aria diminuisce e l’acqua viene erogata, secondo la richiesta.
L’autoclave funziona, pertanto, a pressione variabile tra il valore di precarica dell’aria pmin che avviene con un
compressore, e il valore di massima compressione previsto per l’aria pmax alla quale interviene il pressostato della
pompa. È, inoltre, periodicamente necessario ripristinare l’aria che inevitabilmente viene assorbita dall’acqua, perciò è
opportuno che l’autoclave sia dotata anche di compressore fisso corredato al gruppo.
Il valore è pari alla pressione minima necessaria da fornire alla rete idrica, mentre pmax può essere determinato
assumendo una differenza di pressione di lavoro dell’autoclave compresa tra 10 ÷ 20 m c.a.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Il volume E di acqua che occorre immagazzinare nell’autoclave si calcola con la seguente espressione:
dove
G = portata di progetto (l/s)
n = numero di avviamenti massimi ammessi in un’ora (h-1).
Il 2 al denominatore si giustifica facilmente tenendo conto che la richiesta di acqua all’utenza è variabile tra 0 l/s fino ad
un massimo di G l/s. Nel caso di assenza di richiesta di acqua, l’autoclave è piena e la pompa rimane ferma; nel caso di
richiesta massima dell’utenza l’autoclave non si riempie mai e la pompa funziona in modo continuo. La condizione più
gravosa, per cui si hanno maggiori fermate e partenze della pompa, pertanto - come è facile comprendere - si ha per
una richiesta dell’utenza pari a G/2 l/s.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Il volume occupato dall’aria o volume complessivo dell’autoclave Va può essere ricavato dalla seguente espressione che
si ottiene uguagliando la variazione di volume dell’aria al volume di acqua che si accumula:
dove
Va = volume dell’autoclave coincide con il volume di aria in 1 (alla pressione di precarica)
E - volume utile di acqua dell’autoclave (1)
pmin = pressione di precarica (m c.a.)
pmax = pressione di intervento del pressostato della pompa (m c.a.).
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Per il dimensionamento del compressore ci si può avvalere del seguente criterio empirico: la portata di aria in Nm3/h o
in 1/h, se riferita alla pressione atmosferica, può essere pari a tre volte il volume dell’autoclave per ora.
Questo significa che in 2 ore si è in grado di caricare a 6 bar il cuscino di aria; si noti che, in genere, la pressione di
progetto della rete pmin è inferiore a questo valore.
La pressione di produzione dell’aria compressa dovrà ovviamente essere almeno pari alla pressione massima di
funzionamento dell’autoclave.
Per quanto riguarda l’autoclave a membrana, è costituito da un serbatoio dotato di una membrana in gomma naturale o
artificiale e precaricato con azoto. La pressione di precarica dovrà uguagliare, entro un 10% di tolleranza, la pressione di
progetto minima della rete idrica.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA
Di contro, l’autoclave a membrana non necessita di un compressore di aria e richiede controlli e manutenzione più
semplici e meno frequenti.
Le formule e
per il dimensionamento, come tutte le considerazioni per ricavarle, sono valide anche per l’autoclave a membrana.
Il dimensionamento della pompa dovrà essere fatto in modo da fornire la portata di progetto con la prevalenza data
dalla pressione massima di funzionamento dell’autoclave pmax.
IMPIANTO DI SCARICO DELLE ACQUE USATE
La raccolta e lo smaltimento delle acque meteoriche, dette anche acque bianche, avviene in genere separatamente
dalle acque sanitarie e solo al momento dello scarico nella fogna pubblica i due sistemi possono collegarsi.
In edifici esistenti, in alcuni grandi centri urbani, anche su costruzioni relativamente recenti, fino ad alcuni decenni fa, i
due sistemi a volte erano in comune: tale criterio costruttivo non è opportuno e non è più accettato dalla normativa.
Il sistema fognario cittadino di alcune città italiane prevede un solo collettore di raccolta sia per le acque chiare che per
le acque nere.
Tale tipo di sistema fognario è detto misto: in assenza di pioggia, il sistema fognario raccoglie le acque nere e le
convoglia all’impianto di depurazione; in presenza di pioggia, un sistema di sfioro delle acque pluviali permette di
convogliare le acque direttamente allo scarico finale, senza passare per rimpianto di depurazione che non potrebbe
assolvere più la sua funzione, dato il diverso tipo e quantità di acque presenti nella rete.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
Il collegamento degli apparecchi all’impianto di scarico avviene attraverso guardie idrauliche costituite da almeno 5 cm
di acqua pulita, aventi lo scopo di evitare che i cattivi odori, provocati dalla putrefazione delle sostanze organiche
presenti nei collettori di scarico, rientrino nell’ambiente.
Le guardie idrauliche, dette anche sifoni, costituiscono, in sostanza, dei tappi della rete fognaria e impediscono la
comunicazione diretta dei collettori di scarico con l’ambiente. I sifoni possono essere parte dell’apparecchio, come, ad
esempio, generalmente è il caso dei wc, ovvero possono essere costituite da scatole a forma di imbuto all’interno delle
quali l’acqua percorre un percorso verticale a labirinto, o, ancora, possono anche semplicemente essere realizzati
mediante una opportuna conformazione ad U della tubazione di scarico.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
Bisogna osservare che la ventilazione diretta delle colonne di scarico o ventilazione primaria è necessaria, in quanto
durante lo scarico si produce all’interno della colonna un risucchio, con aspirazione in alto e compressione a valle della
massa scaricata: in mancanza di ventilazione, pertanto, ne risulterebbe l’aspirazione dei sifoni.
Oltre la ventilazione primaria nelle colonne di scarico, si realizza generalmente anche un sistema di ventilazione
secondaria, costituita da una seconda colonna, parallela alla colonna di scarico, e di diametro uguale o più piccolo
rispetto alla prima, collegata ad ogni piano con la colonna principale e con le diramazioni di scarico, a valle dei sifoni
degli apparecchi utilizzatori.
La ventilazione secondaria ha lo scopo di garantire una adeguata ventilazione alle diramazioni di scarico ai singoli piani,
in quanto anche le diramazioni sono soggette ad aspirazione del sifone, specie se i vari apparecchi non sono collegati
singolarmente con la colonna di scarico.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
L’elemento formato dalle parti troncoconiche è posto a protezione dal vento della
sezione di scarico della colonna ed è agganciato alla colonna in modo da
consentire il passaggio dell’aria nell’atmosfera verso il suolo: tale elemento, quindi,
impedisce che il vento possa investire direttamente la colonna. Esempio di un impianto con ventilazione
secondaria: tubazioni in PVC
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
Questo pozzetto può essere dotato di una presa di ingresso di aria distinta dal
condotto di espulsione; il condotto di ingresso dell’aria è dotato di valvola a
clapet, azionata dalla depressione prodotta dalla mitra a banderuola che crea un
flusso continuo di aria su tutto il condotto di scarico: la valvola si chiude e la
ventilazione si interrompe per effetto dello scarico.
La massa di acqua in movimento all’interno della colonna verticale produce movimenti di aria con velocità di qualche
decina di m/s, che non devono investire le diramazioni secondarie per evitare il rischio di aspirare i sifoni.
Inoltre, è opportuno tenere presente che, in corrispondenza della curva alla base della colonna e negli eventuali
cambiamenti di direzione della colonna, il fenomeno di compressione dell’aria è maggiormente accentuato, per il
rallentamento e l’ostruzione che inevitabilmente si genera al passaggio del refluo.
In sostanza, è bene evitare cambiamenti di direzione nelle colonne e considerare che nell’ultimo tratto della colonna,
per circa 3 ÷ 4 m, e sul collettore di scarico, entro 1 m di distanza dall’innesto della colonna, è particolarmente importante
la corretta realizzazione della ventilazione secondaria; in assenza di ventilazione secondaria, infatti, non si possono
allacciare diramazioni di scarico alla colonna nelle zone suddette di maggiore pressione idrostatica.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
Prima dell’innesto sul collettore fognario è presente il pozzetto, che serve per l’ispezione, la pulizia e lo spurgo del
collettore e delle colonne: è dotato di ventilazione atmosferica con lo scopo di aerare il condotto di scarico, consentire
l’ispezione e la manutenzione e assorbire le sovrappressioni generate dal passaggio del refluo.
Il pozzetto ha, generalmente, il fondo più basso delle tubazioni di ingresso e uscita, in modo tale che i materiali pesanti
possano decantare.
All’interno del pozzetto o immediatamente a valle è realizzato un sifone che costituisce il tappo idraulico verso la fogna.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
Negli impianti di scarico riveste particolare importanza il sistema di ventilazione e, in particolare, è da ritenere quasi
sempre preferibile l’utilizzo della ventilazione secondaria, salvo qualche caso più semplice, in edifici con pochi
apparecchi e con non più di qualche piano.
Pur non essendo obbligatoria la ventilazione secondaria, essa, dunque, è altamente raccomandabile: le normative
illustrano le metodologie progettuali specifiche, le distanze, i criteri costruttivi ammessi con e senza ventilazione
secondaria.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
La colonna di ventilazione può anche essere più piccola (60 ÷ 80 mm di diametro), anche se nella pratica costruttiva si
preferisce a volte usare due colonne uguali per la maggiore facilità di acquisto e montaggio.
Anche se il collegamento dei wc alla colonna di scarico richiede tubazioni minime d. 80, si preferisce però utilizzare
comunque il d. 100: appare chiaro che il diametro viene scelto in base all’esperienza differentemente da tutti gli altri
apparecchi, per i quali è necessario un dimensionamento rigoroso sulla base delle portate da scaricare e dei principi
fisici precedentemente illustrati.
Le portate massime ammissibili attraverso le tubazioni di scarico, siano esse diramazioni e/o collettori di scarico al
fondo dell’edificio, dipendono dal tipo di tubazioni utilizzate e dal grado di riempimento ammesso in progetto.
Le portate di scarico, come si intuisce, possono in prima approssimazione essere correlate alle portate dell’impianto
idrico di adduzione, osservando che l’acqua pulita ricevuta da un apparecchio viene utilizzata e, quindi, scaricata in
fogna.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE
Per quanto attiene il fattore di contemporaneità da considerare, essendo gli scarichi meno frequenti rispetto
all’alimentazione, è possibile ipotizzare un fattore di contemporaneità inversamente proporzionale alla radice quadrata
del