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IMPIANTI TERMOIDRAULICI

MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Ing. Luca Milandri


MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Leggi fondamentali per fluidi ideali


Ciò che va in primo luogo evidenziato è che la conoscenza delle leggi che governano il moto dei fluidi all’interno dei
condotti è indispensabile per comprendere i principali fenomeni fisici che avvengono negli impianti termoidraulici

Dopo aver fornito un accenno alle leggi che interessano quelli che vengono definiti fluidi ideali, si descriveranno
quantitativamente i fenomeni dissipativi, tipici, invece, dei fluidi reali, la cui conoscenza è indispensabile per
comprendere tutte le applicazioni che si svilupperanno.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Legge di conservazione della massa


Si consideri il tratto di condotto indicato in figura, che si suppone percorso inizialmente da un fluido incomprimibile, ad
esempio, acqua; si supponga, inoltre, che le sezioni siano di diametro piccolo, rispetto alla lunghezza complessiva del
condotto. Si trascurano tutti i fenomeni di attrito - sia quelli che si manifestano tra le pareti e il fluido sia quelli interni al
fluido: con tale ipotesi si può ritenere costante la velocità dell’acqua su tutti i punti di una sezione trasversale del
condotto, attribuendo un unico valore di velocità per ogni sezione.

Rappresentazione schematica di un condotto


FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Legge di conservazione della massa


Si definisce portata del condotto la massa di acqua che attraversa la sezione nel tempo unitario:

dove
G = portata in massa (kg/s)

p = densità (kg/m3)

c = velocità del fluido nella sezione (m/s)

S = area della sezione (m2).


FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Legge di conservazione della massa


Se il fluido è incomprimibile ovvero se il moto è stazionario, cioè se non varia­no i valori dei parametri nel tempo ma
solo in funzione della posizione lungo il condotto, la massa che entra nell’unità di tempo attraverso la sezione 1 (S1) è
uguale a quella che esce dalla sezione 2 (S2), vale a dire che la portata è indipendente dalla sezione:

Se la densità tra S1 e S2 rimane costante (cosa che può ritenersi ragionevolmen­te verificata per i fluidi incomprimibili,
anche in presenza di modesti apporti esterni di calore) la precedente relazione diventa:

che esprime, in sostanza, la costanza delle portate volumetriche per i fluidi incomprimibili.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Legge di conservazione dell’energia per fluidi incomprimibili


Equazione di Bernoulli
Si consideri un fluido incomprimibile ideale (di viscosità nulla) in moto nel condotto di figura; si ritengono inizialmente
trascurabili i fenomeni di attrito tra fluido e parete e all’interno del fluido, sono considerati, inoltre, nulli gli apporti di
calore o di energia meccanica dall’esterno.
In tali ipotesi, la densità del fluido è costante e il principio di conservazione dell’energia si riduce al principio di
conservazione dell’energia meccanica.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Legge di conservazione dell’energia per fluidi incomprimibili


Applicando il principio di conservazione dell’energia tra le sezioni 1 e 2 (S1 e S2) del condotto preso in esame si può
scrivere la seguente equazione:

dove
g = accelerazione di gravità = 9,81 m/s2

h = livello riferito ad una quota di riferimento (m)

c = velocità del fluido nella sezione (m/s)

p = pressione del fluido (N/m2)

ρ = densità (kg/m3).
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Legge di conservazione dell’energia per fluidi incomprimibili


L’equazione esprime, dunque, che la somma delle variazioni di energia cinetica (c12 - c22)/2 delle variazioni di energia
potenziale dovuta alla gravità g (h1 - h2) e della variazione di energia potenziale dovuta alla pressione (p1/ρ - p2/ρ) è nulla.

Quindi, in assenza di fenomeni di attrito, la somma dell’energia della pressione, dell’energia cinetica e dell’energia
potenziale gravitazionale si mantiene costante lungo il condotto: ciascuno dei termini di cui si compone l’equazione
rappresenta un’energia riferita all’unità di massa o, se si preferisce, una potenza meccanica per unità di portata.

La legge appena esposta governa il moto dei fluidi incomprimibili nei condotti: essa si può anche enunciare dicendo
che la somma dell’altezza geodetica h, dell’altezza piezometrica p/(ρg) e dell’altezza cinetica c2/2g di un fluido
incomprimibile è costante in assenza di attriti.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Principio di conservazione dell’energia per i sistemi aperti


Si consideri ora il caso generale di un fluido che si muove all’interno del condotto e si supponga che durante il moto tra
le sezioni S1 e S2 il fluido possa scambiare calore o lavoro con l’ambiente esterno e si stabilisca di considerare positivo il
calore Q e il lavoro L quando sono ceduti dal fluido all’ambiente.
Il principio di conservazione dell’energia (meccanica + termica) riferito ad 1 kg di fluido si esprime dicendo che la somma
delle variazioni di energia potenziale g (h1 – h2), di energia cinetica (c12 - c22)/2 e di entalpia E(i1 - i2) eguagliano l’energia
scambiata dal fluido con l’esterno sia come lavoro L, sia come calore Q:

dove
g = accelerazione di gravità (m/s2)
h = livello delle sezioni riferito ad una quota di riferimento (m)
c = velocità del fluido (m)
i = entalpia del fluido (kcal/kg)
E = equivalente meccanico del calore = 4184 J/kcal
L = lavoro ceduto all’esterno (J/kg)
Q - calore ceduto all’esterno (kcal/kg).
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Principio di conservazione dell’energia per i sistemi aperti


Si osservi che il terzo termine dell’equazione è una funzione complessa che comprende, oltre l’energia potenziale della
pressione, l’energia interna dell’unità di massa del fluido. Risulta:

Dove

U = l’energia interna dell’unità di massa del fluido (kcal/kg).

Cioè la massa unitaria in ingresso nella sezione Si dà due contributi energetici al volume di controllo:
•  L’energia interna U (kcal/kg);

•  L ’energia potenziale delle pressioni p/ρ, che può essere interpretata come il lavoro necessario per comprimere il
fluido interno al volume di controllo e consentire l’ingresso dell’unità di massa.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Principio di conservazione dell’energia per i sistemi aperti


Va tenuto presente che l’entalpia è definita a meno di una costante al pari dell’energia interna.
Usualmente, in cui il fluido è costituito da acqua o aria, la costante viene fissata convenzionalmente come segue: per
l’acqua si fissa i = 0 per ghiaccio fondente a 0°C, per l’aria si fissa il valore 0 in corrispondenza della pressione
atmosferica e temperatura di 0°C.

I valori dell’entalpia, nel caso dell’acqua, sono facilmente consultabili sulle tabelle delle proprietà termodinamiche
dell’acqua e del vapore.

Si può concludere affermando che la relazione

ha impiego generale e, a seconda del tipo di componente meccanico o del tratto di circuito che si conside­ra, assume
forme differenti. Si esamineranno di seguito alcuni casi comuni.
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Esempi applicazione dell’equazione di conservazione dell’energia


Pompa
Si consideri una pompa in cui circoli un fluido incomprimibile: può essere consi­derata nulla la variazione di energia
cinetica e la variazione di energia di posizio­ne. Si trascuri la variazione di energia interna (dovuta al riscaldamento
prodotto dalla pompa al fluido). Indicando con L il lavoro fornito al fluido, si scrive:

dove p = pressione (Pa)


ρ = densità (kg/m3).

La potenza fornita al fluido Pp si ottiene con facilità dall’equazione precedente: utilizzando le unità di misura, più
comunemente utilizzate nelle applicazioni, cioè la pressione in bar, la densità in kg/m3 ed esprimendo la portata G in kg/
h si scrive:
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Esempi applicazione dell’equazione di conservazione dell’energia


Soffiante
Nel caso in cui il fluido impiegato nel circuito sia un gas, la circolazione viene assicurata per mezzo di soffianti o
compressori. La soffiante, a differenza del compressore, fornisce incrementi di pressione limitati e, conseguentemente,
le variazioni di densità risultano contenute entro il 7%: in tal caso, l’effetto della comprimibilità del gas può essere
trascurato e la densità ρ è assunta costante.
Il lavoro ceduto al fluido può calcolarsi con l’espressione seguente:

in cui p = pressione (Pa)


ρ = densità (kg/m3)
c = velocità (m/s).
Per la potenza Pp trasferita al fluido, detta G la portata in kg/s, si ha:
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Esempi applicazione dell’equazione di conservazione dell’energia


Compressore
Si consideri il caso di un compressore e si ipotizzi che il fluido è in moto a velocità costante tra le sezioni di ingresso e di
uscita, si ritengano nulli gli apporti di energia termica fomiti dall’esterno e si trascurino anche le variazioni di energia di
posizione.
Con tali ipotesi il lavoro fornito ad un kg di fluido può calcolarsi con la seguente espressione:
L = 4184 (i2 – i1) J/kg

in cui i = entalpia (kcal/kg).

Questa espressione evidenzia che il lavoro fornito ad un chilogrammo di fluido in un compressore eguaglia il salto
entalpico fornito in condizioni adiabatiche, che può in molti casi pratici essere calcolato, note le proprietà
termodinamiche dei fluidi e le equazioni di stato.
Se si indica con G la portata di fluido in kg/h, con i l’entalpia (kcal/kg), si può esprimere la potenza fornita al fluido con la
seguente espressione:
FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Esempi applicazione dell’equazione di conservazione dell’energia


Turbina a vapore
Nel caso di una turbina, trascurando il calore scambiato con l ’esterno, la variazione di energia di posizione e la variazione
di energia cinetica, applicando il principio di conservazione dell’energia si scrivono equazioni del tutto analoghe alle
precedenti. In particolare, per la potenza prodotta si può scrivere:

dove
G = portata (kg/h)

i1 – i2 = salto entalpico (kcal/kg)


FLUIDI INCOMPRIMIBILI

Esempi applicazione dell’equazione di conservazione dell’energia


Scambiatore di calore
Nel caso di uno scambiatore di calore, essendo nullo il lavoro scambiato con l’esterno dal fluido e trascurando la
variazione di energia cinetica e di posizione, la relazione generale diventa:

Q = i1 – i2 kcal/kg

La precedente formula può altresì così enunciarsi: in uno scambiatore il calore trasmesso eguaglia il salto entalpico
subito dal fluido.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico per attrito: principio fisico


La viscosità delle particelle fluide e l’aderenza tra queste stesse e le pareti di un condotto richiedono che del lavoro
venga impiegato per produrre lo spostamento relativo di un filetto fluido elementare rispetto alle vene fluide che lo
circondano ovvero rispetto alle pareti.
Nel caso di un condotto chiuso, per mantenere il fluido in movimento, occorrerà servirsi di una pompa o di una soffiante,
a seconda che si tratti di un liquido o di un gas.

Si consideri, inizialmente, il caso di un fluido incomprimibile in moto nel


condotto di figura: alla luce di queste premesse, l’equazione

deve essere corretta, in quanto l’energia meccanica che il fluido possiede


nella sezione S2 è, per effetto degli attriti, inevitabilmente inferiore a
quella della sezione S1. Si deve perciò scrivere:

con R12 = la perdita di energia meccanica (sempre > 0) tra le sezioni S1 e S2.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico per attrito: principio fisico


Nel caso di fluido comprimibile, l’equazione generale di conservazione dell’energia, considerando che non ci sono
scambi di calore né di lavoro con l’esterno, può scriversi ancora:

L’integrale presente al terzo termine di questa espressione, sempre verificandosi le ipotesi poste, andrà calcolato per
una trasformazione adiabatica isoentropica, senza cioè fenomeni irreversibili, tra le pressioni iniziale e finale.

A causa degli attriti, una certa quantità di energia meccanica viene perduta, ritrovandosi sotto forma di calore che
riscalda e dilata il fluido.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico per attrito: principio fisico


R12 rappresenta la perdita di energia meccanica tra le sezioni S1 e S2, che corrisponde al lavoro che bisogna spendere
per mantenere 1 kg di fluido in movimento tra le predette sezioni.

Bisogna sottolineare che lo studio delle perdite di carico è ricondotto all’esame di due fenomeni differenti:

•  Le perdite di carico distribuite;

•  Le perdite di carico concentrate.

Pur avendo la stessa origine fisica, nei fenomeni dissipativi presenti all’interno del fluido e tra il fluido e le pareti del
condotto, è opportuno distinguere le perdite distribuite lungo il condotto da quelle concentrate, in presenza cioè di
discontinuità quali valvole, derivazioni, bruschi cambiamenti di direzione, ecc. perché le relazioni matematiche e alcuni
parametri che intervengono sono differenti.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico distribuite


Si ritiene che la perdita di pressione che un fluido in movimento in un condotto di sezione trasversale A subisce per
effetto dell’attrito è strettamente legata alla resistenza F, opposta al movimento, che viene esercitata sulla superficie
esterna della corrente stessa dalle pareti del condotto, secondo la relazione:

Prove sperimentali hanno mostrato che la resistenza F che si oppone al movimento di un fluido può essere espressa
mediante la relazione:

ove
fF = coefficiente di attrito di Fanning (adimensionale)
Sl = superficie laterale del condotto (m2)
ρ = densità (kg/m3)
c = velocità del fluido (m/s).
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico distribuite


Si consideri ora il caso più comune di condotto a sezione costante di lunghezza l e di perimetro P, combinando le
relazioni appena viste si può scrivere:

In un condotto a sezione circolare di diametro interno Di il rapporto A/P risulta pari a Di/4. La precedente relazione,
pertanto, si può esprimere anche:

dove f = 4 fF

Il coefficiente f è noto come coefficiente di attrito di Darcy-Weisbach.


MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico distribuite


Nel caso, invece, di condotti di sezione non circolare, si introduce il concetto di diametro equivalente idraulico indicato
con De è pari a 4 volte la sezione di pas­saggio diviso il perimetro bagnato, si pone cioè De = 4 A/P, riconducendo,
pertanto, le espressioni trovate al condotto circolare.

La relazione precedente può ancora essere utilizzata per evidenziare la perdita di energia meccanica per unità di massa
del fluido sotto la seguente forma:

Le formule precedenti mostrano come le perdite di carico dipen­dano dall’energia cinetica posseduta dal fluido.
Tali formule non risolvono il problema del calcolo delle perdite di carico, ma lo spostano a quello della valutazione del
coefficiente di attrito, che, nei casi di impiego pratico, deve essere ricavato da grafici o correlazioni sperimentali.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Valutazione del coefficiente di attrito


L’esperienza dimostra che il coefficiente di attrito f introdotto nelle relazioni precedenti è correlato al numero
adimensionale di Reynolds e alle caratteristiche di rugosità del condotto.
Il numero adimensionale di Reynolds, indicato con Re è così definito:

dove
De = diametro equivalente del condotto (m)
c = velocità del fluido (m/s)
µ = è la viscosità del fluido (kg/m s)
v = µ /ρ = la viscosità cinematica pari al rapporto tra il coefficiente di visco­sità e la densità (m2/s).

Si ricorda che la viscosità µ dipende dalla temperatura del fluido e che, in genere, per i liquidi diminuisce all’aumentare
della temperatura, mentre per i gas aumenta all’aumentare della temperatura.
La viscosità dell’acqua a 60°C vale 47 • 10-5 kg/m s, mentre a 20°C vale 100 • 10-5 kg/(m s).
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Valutazione del coefficiente di attrito


Per numeri di Reynolds inferiori a 2100, il regime del fluido è detto laminare e la distribuzione delle velocità del fluido
stesso nella sezione trasversale del tubo è del tipo parabolico.

Per numeri di Reynolds maggiori di 3000, il regime si dice turbolento e l’andamento delle velocità nella sezione
trasversale è carat­terizzato da tratti in forte pendenza in vicinanza delle pareti, mentre nella parte centrale del tubo la
velocità varia poco da punto a punto.

Per valori del numero di Reynolds compresi tra 2100 e 3000 si ha un regime intermedio fra i due regimi fondamentali.
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Valutazione del coefficiente di attrito


La scelta delle velocità dei fluidi nei condotti viene normalmente fatta sulla base del tipo di fluido e del servizio svolto:

•  Per gas e condotte di 7° specie (p ≤ 0,04 barg)2 la velocità è inferiore a 5 m/s;


•  Per gas e condotte di 6° specie (0,04 <p ≤ 0,5 barg) la velocità è di 10 ÷ 15 m/s;
•  Per acqua potabile con D = ½” c = 0,5 ÷ 0,7 m/s; con D = 1” c ≤ 1,2 m/s; con D = 2 ” c ≤ 2 m/s;
•  Per acqua dell’impianto di riscaldamento per reti di distribuzione è c = 0,2 ÷ 0,7 m/s;
•  Per aria di impianti di condizionamento per canali in edifici residenziali c = 2 ÷ 4 m/s;
•  Per aria per impianti di condizionamento per edifici industriali c = 6 ÷ 12 m/s;
•  Per aria compressa c = 7 ÷ 10 m/s;
•  Tubazioni vapore bassa pressione: 30 ÷ 40 m/s;
•  Tubazioni dell’olio: 0,5 ÷ 1,8 m/s.
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Valutazione del coefficiente di attrito


Nel caso di regime laminare il coefficiente di attrito è:

Nel caso di regime turbolento, invece, il coefficiente di attrito per tubi lisci si può ricavare da una delle seguenti formule
tra loro simili e a volte indifferentemente utilizzate:

La precedente relazione è valida a rigore per 4000 < Re < 105 e

che è preferita agli alti numeri di Reynolds e che è applicabile per Re > 104.
Queste formule presentano un’ampia casistica di impiego, in quanto in molte applicazioni il moto è turbolento e le
tubazioni possono essere considerate lisce, almeno tali sono le tubazioni in pvc e polietilene, nonché le tubazioni in
acciaio senza saldatura; non sono, invece, lisce, ad esempio, le tubazioni in calcestruzzo.
L’altro parametro da cui dipende il coefficiente di attrito è la rugosità relativa della superficie di una tubazione, indicata
con ε/De, dove ε rappresenta il valore medio dell’altezza della rugosità e De il diametro equivalente idraulico del
condotto.
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Valutazione del coefficiente di attrito


Studi sperimentali hanno condotto alla determinazione di correlazioni fra il diametro equivalente De, la rugosità relativa,
il numero di Reynolds e il coefficiente di attrito f.

Queste correlazioni sono rappresentate nelle figure che seguono, in particolare nella seconda, conosciuta come
diagramma di Moody, è rappresentata la correlazione tra il numero di Reynolds e il coefficiente di attrito f, mediante un
insieme di curve ciascuna caratterizzata da un proprio valore di rugosità relativa.

Ai bassi numeri di Reynolds il moto è laminare e la famiglia di curve degenera in una retta, corrispondente alla relazione

che non dipende più dalla rugosità delle tubazioni.


MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Valutazione del coefficiente di attrito

Rugosità relativa dei tubi in funzione del diametro per vari materiali
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Valutazione del coefficiente di attrito

Fattore di attrito di Darcy-Weisbach in funzione del numero di


Reynolds e della rugosità relativa
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Valutazione del coefficiente di attrito


Valori del coefficiente di attrito riferiti ad alcuni casi tipici sono:

•  Per tubazioni in acciaio per reti di riscaldamento e tubazioni di piccolo diametro (1/2”) si può assumere f ≈ 0,035;

•  Per tubazioni in polietilene reticolato, per riscaldamento o acqua potabile, di piccolo diametro (1/2”) si può ritenere f ≈
0,028;

•  Per una tubazione del vapore di un impianto termoelettrico da 6” in acciaio sarà f ≈ 0,012.
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Valutazione del coefficiente di attrito


In alternativa, al metodo grafico si riporta la cosiddetta formula di Colebrook, spesso impiegata per il calcolo del
coefficiente di attrito per moto turbolento in condotti circolari.

Il coefficiente di attrito f può calcolarsi in funzione del numero di Reynolds e della rugosità o scabrezza ε (m):

Tuttavia, va sottolineato che la formula di Colebrook non è facilmente utilizza­bile: in essa, infatti, il valore di f è espresso
implicitamente e, quindi, risulta determinabile solo con procedimenti di calcolo ad approssimazioni successive.
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Valutazione del coefficiente di attrito


Nella pratica si ricorre a relazioni meno complesse, che in genere sono derivate dalla stessa formula di Colebrook con
semplificazioni, ottenute limitando il suo campo di validità.

Le tabelle o le formule fomite dai costruttori - noto il diametro, la portata e il tipo di tubo - consentono di ricavare le
perdite di carico per metro di tubazione; invece, un problema inverso, che si deve affrontare frequentemente, in genere
con l’ausilio delle tabelle dei costruttori - dato il diametro e la lunghezza del tubo - consiste nel ricavare la portata
ammissibile per una determinata perdita di carico.

Nella maggior parte dei casi il dimensionamento di massima delle tubazioni per fluidi di processo si può eseguire sulla
base delle velocità ammesse nel condotto.

Dopo aver preliminarmente dimensionato il tubo, è necessario procedere alla verifica delle perdite di carico e, nel caso
non fossero accettabili, si deve incrementare la sezione del tubo.
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Perdite di carico concentrate


Oltre alle perdite di carico uniformemente distribuite nei tubi e nei condotti, un fluido in movimento è soggetto anche a
perdite di carico localizzate, quali quelle originate da brusche variazioni di sezione o bruschi cambiamenti di direzione
(valvole, raccordi, ecc.).

Il calcolo delle perdite di carico concentrate viene effettuato estendendo i concetti già espressi per le perdite
distribuite.

Nelle applicazioni si impiegano tre differenti metodi di calcolo:


•  Metodo delle costanti di attrito;
•  Metodo delle lunghezze equivalenti;
•  Metodo del Kv o del Cv per le valvole.

L’ordine di grandezza delle perdite concentrate in un circuito termoidraulico può essere pari o, in alcuni casi, anche
superiore alle perdite distribuite: il calcolo, caso per caso, evidenzia l’entità dei due fenomeni.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Metodo delle costanti di attrito


Le perdite di carico concentrate si esprimono con la seguente espressione:

Dove

Δpi = perdita di pressione della discontinuità i (Pa)

ρ = densità del fluido (kg/m3)

ki = costante di attrito della discontinuità i (adimensionale)

c = velocità del fluido (m/s).


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Metodo delle costanti di attrito


Nelle applicazioni le perdite di carico sono espresse in termini di cadute di pressione. In tali casi, la relazione
precedente, esprimendo le pressioni in Pa, diventa:

Tale relazione mostra che le perdite di carico concentrate sono la somma delle perdite di carico di ciascuna
discontinuità.
Per ogni discontinuità la perdita di carico è proporzionale all’energia cinetica posseduta dal fluido e la costante ki
rappresenta un coefficiente di attrito.

È opportuno porre l’accento sul fatto che la costante ki dipende principalmente dalla forma e dalla resistenza del
condotto e in minor misura dai parametri del fluido quali la densità, la velocità, la viscosità.
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Metodo delle lunghezze equivalenti


Il metodo delle lunghezze equivalenti sostituisce ad ogni discontinuità localizzata una lunghezza equivalente di tubo
dritto e le perdite di carico localizzate sono poi calcolate servendosi della relazione

Bisogna tenere ben presente che il metodo delle lunghezze equivalenti è poco preciso, in quanto può dare luogo ad
errori non trascurabili al variare delle condizioni di esercizio del fluido, per esempio, al variare della temperatura.
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Metodo delle lunghezze equivalenti


Si consideri un tubo liscio per riscaldamento e si calcoli il coefficiente di attrito f per le perdite di carico distribuite e le
corrispondenti perdite di pressione

Si può notare che al variare della temperatura dell’acqua da 10°C a 80°C, il valore del coefficiente diminuisce
considerevolmente (circa il 30%).

Le perdite di carico distribuite, cioè, dipendono fortemente dalle caratteristiche del fluido e, in particolare, dalla
viscosità dell’acqua.

L’esperienza mostra come le variazioni delle perdite di pressione per discontinuità concentrate, al variare della
temperatura dell’acqua tra 10°C e 80°C diminuiscono solo del 3% (corrispondente all’incirca alla variazione di densità) e
non del 30 ÷ 35% come risulterebbe facendo uso del concetto di lunghezza equivalente, che deve essere, in sostanza,
utilizzato con una certa cautela.
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Metodo del KV o del CV


Il metodo del Kv o del Cv, utilizzato per le valvole, è conosciuto anche come metodo dei coefficienti di portata e si basa
sulla determinazione della portata che passa attraverso l’orifizio di una valvola per una determinata differenza di
pressione tra monte e valle. Qui il metodo sarà riferito esclusivamente al caso di liquidi in regime turbolento.

Introducendo la portata volumetrica Q la formula può diventare:

dove
Q = portata (m3/s)
ρ = densità (kg/m3)
Δp = perdite di carico (Pa)
ki = costante di attrito adimensionale
K = coefficiente di portata (m2)
A = sezione di passaggio della valvola (m2).
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Metodo del KV o del CV


Si tenga presente che nella relazione appena indicata le grandezze fisiche sono espresse nel sistema internazionale di
unità di misura. Se si stabilisce di esprimere la portata in m3/h, la differenza di pressione in bar, e si misura la densità del
fluido come rapporto tra la densità del liquido alla temperatura effettiva e la densità dell’acqua a 15,6°C, la relazione
diventa:

dove ρg = gravità specifica e rappresenta la densità relativa all’acqua a 15,6°C;


Fp = fattore adimensionale relativo alla geometria, che tiene in conto l’ulteriore perdita di carico introdotta dai
collegamenti in ingresso e in uscita tra la val­vola e la tubazione;
A = l’area della sezione di ingresso della valvola a valle dell’eventuale riduzione (m2).

Per un condotto diritto, senza riduzioni di sezione si pone Fp = 1.

La relazione definisce il coefficiente di portata Kv, che rappresenta la por­tata in m3/h che passa attraverso la valvola, in
determinate condizioni di apertura, quando la differenza di pressione monte/valle è di 1 bar. Il valore di Kv viene in
genere determinato per via sperimentale e fornito dal costruttore della valvola.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Metodo del KV o del CV


Nel caso degli impianti di riscaldamento si ha a che fare con valvole che lavora­no con portate e differenze di pressione
limitate: si introduce allora il KV0,01, definito come la portata misurata in 1/h che passa attraverso la valvola quando la
differenza di pressione monte valle è di 0,01 bar.
Si pone, pertanto:

Se, infine, si misurano le portate in gpm (gallons per minute), le pressioni in psi (pound per square inch) la precedente
relazione si può ancora scrivere:

Questa relazione definisce il Cv della valvola che è un coefficiente maggior­mente utilizzato nell’industria rispetto al Kv.
Il valore degli altri coefficienti, in particolare di Fp, può essere calcolato anche teoricamente, note le caratteristiche
geometriche del condotto. L’area A nella prima parte della relazione è espressa in m2.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Metodo del KV o del CV


Il Cv di una valvola è la portata di acqua a 15,6°C, espressa in galloni per minuto, che fluisce attraverso l’orifizio della
valvola, supposta senza riduzioni sul condotto di ingresso e di uscita, quando la differenza di pressione tra monte e valle
è di una libbra per pollice quadrato.

Per il calcolo di Fp e per un quadro più completo sui coefficienti delle valvole si può fare riferimento alle norme
americane ISA, S75-01 (Flow Equations for sizing Control Valves).

Si ricorda che le equazioni precedenti sono valide quando il liquido non vaporizza nemmeno parzialmente tra l’ingresso
e l’uscita della valvola. Infatti, la formazione temporanea (cavitazione) o permanente (flashing) di bolle di vapore dà luogo
a forti perdite di carico che rendono le precedenti for­mule non più valide e che possono causare danni alla valvola o
alle apparecchiature immediatamente a valle.

Si ritiene, infine, che la tabella relativa alle costanti di attrito k (ultima tabella), abbia un’applicabilità generale,
consentendo una buona approssimazione in relazione alla ampiezza dei casi con essa valutabili.

Nel caso si utilizzino tubi di piccolo diametro (D < 2”) può essere opportuno consultare la letteratura specializzata per il
caso in esame o servirsi delle già citate tabelle fornite dai costruttori.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Metodo del KV o del CV

Velocità ammesse in tubazioni di acciaio zincato.


Fluido: acqua
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Metodo del KV o del CV

Principali proprietà dell’acqua


MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Perdite di carico concentrate.


Valori costanti di attrito k
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Dilatazione termica
La dilatazione termica è il fenomeno fisico per cui le dimensioni di un corpo aumentano o diminuiscono al variare della
sua temperatura.

La dilatazione termica si dice lineare, superficiale o cubica, a seconda che riguardi prevalentemente una, due o tutte tre
le dimensioni di un corpo.

Ad esempio si dice lineare la dilatazione termica di un filo o di un tubo.

Quando si progettano e si realizzano reti di distribuzione, interessa soprattutto conoscere, e tener sotto controllo, le
dilatazioni termiche delle tubazioni che trasportano fluidi ad elevata temperatura.

In particolare tali tubazioni devono potersi dilatare senza far nascere forze in grado di causare danni (deformazioni
permanenti o rotture) alle tubazioni stesse o ai supporti di ancoraggio.
MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Calcolo delle dilatazioni termiche lineari


Le dilatazioni termiche lineari possono essere calcolate con la formula:
ΔL = α · L · ΔT

dove: ΔL = dilatazione termica lineare, mm

α = coefficiente di dilatazione termica lineare, mm/m°C

L = lunghezza della tubazione, m

ΔT = differenza di temperatura, °C

Oppure tramite grafici.


MOTO DEI FLUIDI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI

Controllo delle dilatazioni termiche lineari


Negli impianti con reti di distribuzione a sviluppo limitato, le dilatazioni termiche dei tubi sono in genere assorbite dalla
elasticità “naturale” delle reti stesse.

Tale elasticità dipende soprattutto dal numero e dal tipo di curve inserite nella rete.

Le curve, infatti, si deformano facilmente e possono così assorbire in modo “naturale” l’allungamento e l’accorciamento
dei tubi.

Le curve che meglio assorbono le dilatazioni termiche dei tubi sono quelle che hanno diametri piccoli ed elevati raggi di
curvatura.

Al contrario, negli impianti a grande sviluppo, l’elasticità propria delle reti non è in genere sufficiente a garantire
l’assorbimento delle dilatazioni termiche.

In questi casi si deve provvedere alla messa in opera di appositi compensatori che possono essere di tipo naturale o
artificiale.
IMPIANTI TERMOIDRAULICI
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AD ACQUA CALDA

Ing. Luca Milandri


IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AD ACQUA CALDA

Generalità
La progettazione e la realizzazione include lo studio delle reti distribuzione, complementi, terminali, scarichi, ecc…

Particolare importanza riveste, inoltre, il controllo dei parametri tecnici, che assicurano il regolare funzionamento
dell’impianto: tra questi hanno rilievo l’entità delle emissioni in atmosfera e i rendimenti del generatore e dell’impianto.

Strettamente connesso alla costruzione e all’esercizio di un impianto termico è lo studio delle caratteristiche
dell’edificio e dei parametri atti a garantire un buon isolamento termico tale da ridurre i consumi di combustibile e
migliorare l’efficienza energetica del complesso edificio-impianto.
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AD ACQUA CALDA

Generalità
L’impianto di riscaldamento, nei casi più semplici, si compone di:
•  Generatore di calore;
•  Pompa di circolazione;
•  Vaso di espansione;
•  Accessori di sicurezza (tubo di sicurezza, valvola di sicurezza, ecc.);
•  Montanti e tubazioni di distribuzione;
•  Corpi scaldanti;
•  Canne fumarie e camini.

Gli impianti ad acqua calda si dividono in due grandi tipologie:


•  A vaso di espansione aperto;
•  A vaso di espansione chiuso.

Nel primo caso, il vaso di espansione è ubicato in sommità e comunica con l’atmosfera; nel secondo caso, invece, il
vaso è in pressione ed è generalmente ubicato in centrale termica.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
I generatori di calore ad acqua calda utilizzano il calore proveniente dalla combustione di gas o gasolio per riscaldare
l’acqua che successivamente è inviata per mezzo di apposite pompe ai corpi scaldanti.
I generatori di acqua calda si compongono delle seguenti parti:
•  Caldaia;
•  Bruciatore;
•  Sistema di alimentazione del bruciatore.

La caldaia è composta da due parti: in una parte avviene la combustione con produzione di calore, mentre nell’altra
l’acqua, che attraverso le pareti metalliche riceve calore, aumenta la sua temperatura immagazzinando l’energia termica.

La camera di combustione può essere tenuta o a pressione atmosferica o a una pressione maggiore di quella
atmosferica.
Nel caso di caldaia a pressione atmosferica, si ha una maggiore durata dell’apparecchiatura, una maggiore facilità di
conduzione, a fronte però di minori rendimenti.
Se la camera di combustione è pressurizzata, si riescono ad ottenere rendimenti più elevati, ma la vita della caldaia
risulterà più breve.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
Un’altra distinzione importante riguarda le caratteristiche di umidità dei fumi emessi: infatti, le caldaie possono essere
tradizionali o a condensazione. In quest’ultimo tipo più recente, i fumi sono emessi a bassa temperatura e l’acqua
contenuta in essi è presente in forma condensata, con conseguente migliore sfruttamento del calore della
combustione: i rendimenti sono notevolmente più alti rispetto ai generatori di calore tradizionali, in quanto è utilizzato
anche il calore latente di condensazione dei fumi, che nelle caldaie tradizionali andava invece perduto, con un migliore
sfruttamento del calore della combustione.

Nei generatori di calore tradizionali i fumi sono emessi a temperatura superiore a quella di condensazione dell’acqua
che contengono, per evitare problemi di attacchi acidi sui materiali, ma con una perdita energetica, che fino a pochi
anni fa era ritenuta non recuperabile.
I fumi generati in camera di combustione passano nella caldaia vera e propria e lambiscono - lato mantello - una
serpentina entro la quale scorre acqua. In alternativa, passano attraverso condotti o tubi (cosiddetti nelle caldaie a tubi
di fumo), mentre l’acqua li raffredda dall’esterno: si realizza, in questo modo, il riscaldamento dell’acqua e il conseguente
raffreddamento dei fumi che sono poi inviati al camino.

Per impianti alimentati a gas, la camera di combustione può essere di dimensioni più limitate, in quanto la fiamma che si
genera irraggia più calore che nel caso di un combustibile liquido che ha una fiamma meno luminosa.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
II bruciatore è l’organo della caldaia nel quale avviene la combustione.

I bruciatori di gas si distinguono in due tipologie fondamentali:


•  Bruciatori ad aria aspirata;
•  Bruciatori ad aria soffiata.

I bruciatori ad aria aspirata sono costituiti da un tubo Venturi, all’interno del quale è iniettato il gas, che, raggiunta la
sezione di gola, aspira l’aria comburente con la quale si miscela.
Infatti, la velocità che il gas possiede nella sezione di gola (sezione ristretta del tubo) è sufficiente per aspirare una parte
dell’aria esterna che si miscela con il gas: la miscela di gas-aria risultante può facilmente essere incendiata sulla testa del
bruciatore, che è costituita da una piastra con una serie di aperture di passaggio del gas.

Nei bruciatori ad aria soffiata la miscelazione dell’aria con il gas viene realizzata con l’ausilio di un apposito ventilatore,
per cui la miscelazione del gas con l’aria è più precisa e può meglio essere controllata, inoltre, la quantità di aria
introdotta e la velocità di quest’ultima. Si ha un migliore controllo dei parametri che interessano per ottenere
l’ottimizzazione della combustione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
Schema funzionale tipico della rampa gas
Per il funzionamento dei generatori di calore è A = valvola di intercettazione
B = giunto antivibrante
necessario un apposito sistema di alimentazione C, G, L = Presa per manometro
del combustibile al bruciatore, specifico a seconda D = manometro
E = filtro del gas
del tipo di combustibile e di bruciatore utilizzato. F = valvola di regolazione della pressione
Per i generatori a gas, tale sistema comprende il H = pressostato di minima pressione del gas
I = valvola automatica di intercettazione a chiusura rapida (classe di
tratto di tubazione dalla rete del gas fino al sicurezza A)
bruciatore, che deve essere corredato da una serie J = valvola automatica di sfiato, aperta a bruciatore fermo
K = valvola automatica di regolazione a chiusura rapida (classe di
di valvole e dispositivi per la regolazione e la sicu­ sicurezza A o B)
N = serranda di regolazione sull’ingresso dell’aria
rezza. O = flussostato per accertare la presenza di portata di aria

Lo schema funzionale di tale sistema detto rampa


di alimentazione gas, per i bruciatori, può essere
desunto dettagliatamente dalle norme tecniche
(uni 8042 o uni en 676).

Un esempio indicativo di rampa gas è


schematizzato nella figura dove è riportato un caso
con bruciatore ad aria soffiata.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
La rampa gas comprende, in particolare, i seguenti elementi
fondamentali:
• Un filtro per il gas;
• Una valvola di regolazione della pressione;
• Un sistema di blocco rapido.

Il sistema di blocco può essere costituito da due valvole motorizzate,


più una terza valvola di sfiato. La doppia valvola garantisce il sicuro
funzionamento del sistema secondo il principio generale della
ridondanza dei sistemi rilevanti per la sicurezza. È necessario che lo
sfiato sia portato all’atmosfera in luogo sicuro esterno al fabbricato.

La rampa gas comprende, inoltre, almeno i seguenti sistemi di


controllo e sicurezza:
• Un pressostato sulla tubazione del gas per il controllo della minima
pressione;
• U n flussostato o dispositivo analogo per il controllo del
funzionamento del ventilatore.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
I bruciatori sono, inoltre, corredati da un dispositivo di controllo della
fiamma, che può essere del tipo ottico o di tipo termoelettrico.

È bene evidenziare che la maggior parte dei dispositivi di controllo e di


sicurezza presenti sull’impianto agiscono sul sistema di blocco rapido
del bruciatore (valvole I, K e J di figura).

II calore prodotto dal generatore riscalda l’acqua dell’impianto sia per


irraggiamento che per convezione attraverso i fumi della combustione,
quindi, i fumi in uscita dalla caldaia sono inviati attraverso un apposito
condotto al camino e fuoriescono all’atmosfera nel punto più alto
dell’edificio.

Al fine di mantenere elevato il rendimento della caldaia, è importante


che i fumi scaricati non abbiano temperatura troppo alta.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generatore di calore
Nel caso di utilizzo di combustibili liquidi e, in particolare, gasolio, la temperatura dei fumi non può però (almeno nelle
caldaie tradizionali) scendere al di sotto della temperatura di condensazione dell’acido solforico.
La temperatura dei fumi allo scarico del camino con combustibili contenenti zolfo non deve scendere al di sotto dei
140°C.

I camini devono essere adeguatamente coibentati, per evitare sia la condensazione dell’acqua contenuta nei fumi sia di
eventuali acidi che possono formarsi per effetto della reazione tra i prodotti della combustione e il vapore acqueo.

II dimensionamento della sezione dei camini avviene fondando il calcolo sul concetto che la pressione disponibile alla
base del camino deve essere tale da vincere le perdite di carico che i fumi incontrano nel loro percorso.

Le caldaie, dopo la costruzione e prima di essere messe in commercio, sono sottoposte ad una prova idraulica con
acqua, per accertare che non vi siano difetti di fabbricazione ed è necessario richiedere sempre al venditore di rilasciare
il certificato della prova idraulica del generatore (D.M. 1/12/1975).

Le caldaie attualmente in commercio sono, inoltre, dotate di marcatura CE di conformità ai requisiti minimi di sicurezza,
stabiliti da appositi atti di legge che recepiscono le direttive comunitarie.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Pompa di circolazione
La pompa di circolazione ha lo scopo di mantenere in circolazione l’acqua all’interno delle tubature, ha cioè lo scopo di
inviare l’acqua ai corpi scaldanti e da questi alla caldaia.

Deve essere dimensionata per vincere le perdite di carico che l’acqua incontra nel circuito: la pompa non richiede
perciò elevati valori di prevalenza.

La prevalenza di una pompa è una grandezza fisica che si misura in metri ed esprime l’incremento totale di pressione
fornito dalla pompa al fluido, espresso in metri di colonna di fluido.

Quindi è pari a:

dove
Lt = lavoro complessivo trasferito al fluido (J/kg)
g = accelerazione di gravità (m/s2).
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Pompa di circolazione
Un parametro importante di progetto che deve essere verificato prima dell’installazione di una pompa è la pressione
netta all’aspirazione della pompa o NPSH (Net Positive Suction Head) che deve essere maggiore del valore minimo
richiesto per la pompa e indicato dal costruttore.

dove
p = pressione sulla sezione di ingresso del condotto di aspirazione (Pa)
ps = tensione di vapore corrispondente alla temperatura del fluido nella pompa (Pa)
ρ = densità del fluido alla temperatura nella pompa (kg/m3)
g = accelerazione di gravità = 9,81 m/s2
h = altezza del condotto di aspirazione della pompa (m)
ha = perdite di carico nel condotto di aspirazione (m)
NPSH = valore della pressione minima netta all’aspirazione della pompa fornito dal costruttore (m).
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Pompa di circolazione
Affinché la pompa lavori regolarmente, senza il rischio di cavitazione, è necessario garantire una pressione minima sulla
sezione di ingresso dell’acqua alla pompa: tale pressione minima p si calcola con la relazione

che è una semplice applicazione dell’equazione di Bernoulli in funzione della minima pressione netta sulla girante per
cui non si ha cavitazione.

La relazione si può interpretare dicendo che la pressione minima accettabile p sulla sezione di ingresso alla pompa,
diminuita della tensione di vapore, più il battente statico tra la sezione di ingresso e la girante, diminuito delle perdite di
carico sul condotto di aspirazione, deve essere almeno pari all’NPSH della pompa e deve sempre essere garantita per
evitare fenomeni di cavitazione (cioè vaporizzazione parziale del liquido).

La pompa di circolazione è normalmente alimentata da un motore elettrico e nella pratica progettuale interessa spesso
conoscere la potenza elettrica assorbita.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Pompa di circolazione
La potenza di pompaggio W negli impianti di riscaldamento ad acqua calda può essere calcolata con la seguente
espressione semplificata:

dove

Q = portata volumetrica (m3/h)

H = prevalenza della pompa (m)

η = rendimento della pompa.


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Pompa di circolazione
Nel caso più generale la formula precedente può essere sostituita dalla seguente espressione:

dove
W = potenza di pompaggio (kW)
G = portata in massa (kg/h)
H = prevalenza (m)
Q = portata volumetrica (m3/h)
η = rendimento della pompa
ρ = densità (kg/m3).

Si sottolinea che la pompa, per un corretto funzionamento, richiede una pressione costante sull’aspirazione; si richiede,
inoltre che tale pressione sia maggiore della minima consentita. Per evitare sbalzi di pressione sull’aspirazione, si può
collegare l’aspirazione della pompa al vaso di espansione o disporre la pompa stessa sul ramo caldo del circuito, in
modo che risulti prossima al tubo di collegamento del generatore al vaso di espansione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Schemi termoidraulici di principio


Si riporta qualche schema

Nelle figure a e b è impiegata una sola


pompa disposta sul ramo caldo del
circuito all’uscita del generatore di calore.

a) Schema di processo con una pompa e vaso di espansione aperto


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Schemi termoidraulici di principio


Nelle figure a e b è impiegata una sola
pompa disposta sul ramo caldo del
circuito all’uscita del generatore di calore.

b) Schema di processo con valvola a tre vie


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Schemi termoidraulici di principio


Nello schema di figura è, invece, presentata una soluzione con due o più pompe in modo da scindere il circuito di
caldaia dal/i circuito/i utilizzatore/i.

Schema di processo con più circuiti utilizzatori


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Considerazioni generali sugli schemi di impianto


Si considerino inizialmente gli schemi delle figure a e b, che fanno uso di
una sola pompa e risultano, quindi, concettualmente più semplici: tale
pompa può essere disposta sul ramo caldo, all’uscita del generatore di
calore. Tale disposizione presenta il vantaggio di garantire una pressione
all’aspirazione della pompa costante (a parte il disturbo eventuale della a)
valvola a tre vie, la cui caduta di pressione dovrebbe essere uguale e
indipendente dalla posizione di parziale apertura) e un valore di pressione
sempre positivo su tutto l’impianto, pari in ogni punto alla pressione del
battente più quella della pompa e diminuita delle perdite di carico.
Invece, tra gli svantaggi che presenta questo schema, si segnalano le
maggiori sollecitazioni alla pompa per l’elevata temperatura dell’acqua e
la maggiore attenzione che il progettista deve porre nell’assicurare che la
pressione minima richiesta all’aspirazione sia maggiore dell’NPSH della
pompa, in quanto la tensione di vapore cresce all’aumentare della
temperatura.
L’eventuale disposizione alternativa della pompa sul ramo freddo, cioè
prima del generatore di calore, comporta la necessità di uno studio b)
attento delle pressioni all’interno del circuito, per evitare che le parti più
alte si possano trovare in depressione e quindi non siano raggiunte
dall’acqua. Di contro, se la pompa è disposta sul ramo freddo, è soggetta
a minori sollecitazioni.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Considerazioni generali sugli schemi di impianto


Nello schema di figura si propone il caso in cui sono impiegate almeno due pompe: si distinguono i circuiti utilizzatori
dal circuito della caldaia. Questa seconda disposizione consente di suddividere l’acqua calda in più circuiti, che, ad
esempio, alimentano edifici distinti serviti da un’unica centrale termica.

Si scinde, in sostanza, il circuito di caldaia dai circuiti utilizzatori: ciò è necessario quando sono presenti più circuiti con
lunghezze differenti delle tubazioni o con modalità di esercizio o orari differenti: se si vogliono alimentare, ad esempio,
due circuiti, uno per un museo e uno per gli uffici, situati nello stesso palazzo, ma con orari di funzionamento diversi.

Si può osservare che una valvola di bilanciamento collega la


tubazione di uscita dalla caldaia alla tubazione di aspirazione della
pompa sul circuito del generatore di calore: questa valvola è
parzialmente aperta e serve a garantire che un flusso di acqua
vada ad alimentare sempre la pompa e la caldaia.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Considerazioni generali sugli schemi di impianto


La portata di ricircolo non deve essere inferiore al 25% della portata nominale di funzionamento della pompa, per evitare
di danneggiare gli avvolgimenti del motore di quest’ultima. Sono possibili vari sistemi di bilanciamento idraulico e
quello rappresentato, costituito da una sola valvola manuale, è sicuramente uno dei più semplici.
Un sistema alternativo prevede un grosso serbatoio di accumulo, dove l’acqua di ritorno delle utenze e l’acqua della
caldaia possa confluire. È altrimenti possibile far uso di un sistema idraulico con controllo della pressione sui collettori
di mandata e ritorno.

Il vaso di espansione, di tipo chiuso, può essere posto a monte


della pompa di caldaia, come nello schema di figura: in tal caso,
il generatore di calore sarà dotato di un secondo e più piccolo
vaso di espansione dimensionato per il volume del solo
generatore e in modo da costituire una riserva supplementare di
spazio oppure si può porre l’unico vaso di espansione sul
condotto di uscita del generatore.
È opportuno sottolineare che, qualunque soluzione si scelga, è
necessario che la caldaia sia obbligatoriamente collegata,
attraverso una tubazione non intercettabile di diametro
adeguato, al vaso di espansione o all’atmosfera, per evitare che
le dilatazioni termiche del fluido che si scalda possano
provocare rotture.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Considerazioni generali sugli schemi di impianto


Sulla tubazione di uscita del generatore di calore e prima della valvola di intercettazione devono essere installati, inoltre,
alcuni accessori di sicurezza:

•  Termostato di regolazione;

•  Termostato di blocco;

•  Valvola di sicurezza (per impianti a vaso chiuso) o tubo di sicurezza (per impianti a vaso aperto);

•  Tubo di collegamento al vaso di espansione;

•  Termometro di controllo;

•  Pressostato (per impianti a vaso chiuso).


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Considerazioni generali sugli schemi di impianto


I generatori di calore devono essere corredati di un tubo di sicurezza o di una valvola di sicurezza, a seconda se
l’impianto è rispettivamente a vaso aperto o chiuso.

Il tubo di sicurezza, di opportuno diametro, collega il generatore di calore o la tubazione di uscita di quest’ultimo con
l’atmosfera, generalmente, attraverso il vaso di espansione. Il tubo di sicurezza non deve essere intercettabile, deve
avere diametro opportuno e deve rispondere ad alcune caratteristiche.

Se si colloca la pompa, nel caso di impiego di una sola pompa, dopo il generatore di calore si ha il vantaggio di
mantenere l’impianto ad una pressione sempre positiva (maggiore della pressione atmosferica) nelle tubazioni e di
evitare duplicati del tubo di collegamento con il vaso di espansione.

Il vaso di espansione aperto, durante l’esercizio dell’impianto, deve essere collegato attraverso un solo tubo al circuito
primario o circuito del generatore, per evitare ricircoli inutili e dispersioni di calore.

Se il tubo di carico dell’impianto (cioè il tubo di collegamento tra il vaso di espansione e il circuito primario) è distinto
dal tubo di sicurezza occorre valutare il livello a cui l’acqua arriva nel tubo di sicurezza che, generalmente, è diverso
dall’altezza dell’acqua nel vaso di espansione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generalità sulle valvole e altri dispositivi di sicurezza


Le valvole di sicurezza servono ad evitare che, a seguito di sopraelevazioni anomale della pressione si possano verificare
rotture o danni più gravi.

La valvola di sicurezza mette il generatore di calore in comunicazione con l’atmosfera, non appena la pressione
raggiunge il valore di taratura. Elemento che caratterizza le valvole di sicurezza è il diametro interno dell’orifizio,
attraverso cui può passare a valvola tutta aperta una determinata quantità di acqua calda o vapore.

Le valvole di sicurezza sono impiegate in impianti a vaso chiuso e svolgono funzione analoga alla funzione che il tubo di
sicurezza svolge negli impianti a vaso aperto.

La pressione di taratura di una valvola di sicurezza è la pressione alla quale la valvola inizia ad aprirsi, consentendo la
fuoriuscita di acqua o vapore: a valvola tutta aperta, la pressione è pari alla pressione di taratura più una sovrappressione
che è dell’ordine del 10% della pressione di taratura.

Le principali normative internazionali prescrivono che la pressione di progetto delle tubazioni sia non inferiore alla
pressione di taratura della valvola e consentono che durante il funzionamento della valvola esista una sovrappressione
transitoria.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Generalità sulle valvole e altri dispositivi di sicurezza


La valvola di scarico termico è simile alla valvola di sicurezza, ma, a differenza di quest’ultima, è sensibile alla
temperatura.

L’altezza dell’otturatore e, quindi, l’apertura della valvola è determinata dal superamento di un prefissato valore della
temperatura dell’acqua proveniente dalla caldaia: essa determina l’uscita verso lo scarico di acqua calda della caldaia e,
pertanto, simultaneamente produce l’ingresso di una corrispondente quantità di acqua fredda.

Possono essere presenti altri dispositivi, tra cui la valvola di blocco del combustibile: un dispositivo di chiusura della
tubazione del gas collegato attraverso una sonda di temperatura direttamente sull’uscita dell’acqua dal generatore di
calore.

La valvola di intercettazione del combustibile, senza interventi di energia esterna, è sensibile alla temperatura dell’acqua
nel generatore e impedisce che questa superi la temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica con
intercettazione diretta della tubazione del gas.

La sonda di temperatura del dispositivo deve essere immersa nell’acqua in uscita dalla caldaia quanto più vicino
possibile (meno di 0,5 m) dalla sezione di uscita del generatore di calore.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Valvola a tre vie e sonda climatica esterna


La valvola a tre vie è impiegata per dividere idraulicamente il circuito di centrale termica dal circuito o dai circuiti
utilizzatori ed è necessaria nel caso proposto nello schema di figura che ripetiamo, in cui sono presenti più circuiti
utilizzatori che possono funzionare simultaneamente o singolarmente e più pompe distinte, una per la centrale termica
e le altre ciascuna per un circuito utilizzatore.

La valvola a tre vie controlla la temperatura dell’acqua da inviare all’utenza in base a un set point proveniente da una
sonda esterna di temperatura ambiente.

Al fine di ridurre il consumo di combustibile nei periodi meno


freddi dell’anno o nelle giornate meno fredde, il complesso di
regolazione, costituito dalla valvola a tre vie e dalla sonda esterna,
varia convenientemente la temperatura dell’acqua inviata ai corpi
scaldanti in funzione della temperatura esterna: in tal modo, si
effettua la regolazione del calore immesso in ambiente, variando
la temperatura di mandata all’utenza e mantenendo, invece,
costante la portata.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Valvola a tre vie e sonda climatica esterna


Il calore scambiato dai corpi scaldanti è, in prima approssimazione, proporzionale alla differenza di temperatura tra
l’acqua nel corpo scaldante e la temperatura ambiente, perciò, riducendo opportunamente la temperatura dell’acqua, si
riduce proporzionalmente il calore fornito in tutti gli ambienti. Il sistema consente, dunque, una buona regolazione della
temperatura, anche in assenza di centraline di controllo locali.

La normativa tecnica precisa la correlazione tra la temperatura dell’acqua e la potenza termica fornita in relazione alla
tipologia di corpo scaldante utilizzato: tale relazione sarà meglio trattata successivamente, parlando della resa termica
dei corpi scaldanti.

Nella figura a lato la valvola a tre vie ha lo scopo di disgiungere la


regolazione della caldaia da quella del circuito di utilizzazione del
calore e di consentire che la regolazione nella caldaia venga fatta
variando la portata e la temperatura dell’acqua, con migliore
rendimento del generatore, almeno per alcuni modelli, in quanto
quest’ultimo lavora anche ai carichi ridotti sempre con temperatura
ottimale.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Valvola a tre vie e sonda climatica esterna


Nei casi più semplici, come quello di figura, la valvola a tre vie non è utilizzata e l’unica regolazione possibile in centrale
termica per modulare la potenza è quella di variare la temperatura di mandata dell’acqua all’uscita della caldaia, con
impostazione manuale (poco consigliabile) o con set point automatico fornito dalla sonda climatica esterna
direttamente sul termostato di regolazione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Vaso di espansione - Generalità


Il vaso di espansione è un recipiente necessario per consentire la dilatazione termica dell’acqua: per effetto del calore,
infatti, l’acqua aumenta di volume e, durante la fase di riscaldamento, parte dell’acqua risulterà in eccesso e andrà a
riempire il vaso di espansione. Il vaso di espansione, dunque, va dimensionato in base alla variazione di volume
complessivo che l’acqua subisce nel passaggio dalla condizione a freddo a quella a caldo.

È possibile valutare il volume di espansione necessario, approssimativamente, pari a circa il 7% del volume complessivo
dell’impianto. Per un calcolo rigoroso occorre considerare il prodotto, in litri, di acqua per il coefficiente di espansione
volumica dell’acqua, calcolato tra le temperature massime e minima a cui l’acqua può arrivare, per la predetta differenza
di temperatura.

Il vaso di espansione può essere di tipo aperto o di tipo chiuso: quello di tipo aperto è collocato in sommità all’edificio
ed è collegato alle tubazioni dell’impianto. Per ridurre la superficie direttamente in contatto con l’aria, il vaso è a contatto
con l’atmosfera attraverso il tubo di sfiato, ciò per ridurre le polveri e le impurità che possono entrare nell’acqua.

Può essere conveniente collegare il vaso di espansione aperto con la tubazione di uscita del generatore di calore e, in
questo caso, il tubo può assolvere anche la funzione di tubo di sicurezza del generatore e, pertanto, dovrà essere
dimensionato in accordo alle indicazioni fomite dalle norme relative a quest’ultimo componente.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Vaso di espansione - Generalità


Il vaso di espansione chiuso, almeno per pressioni fino a 5 bar, può essere di vario tipo: il vaso del tipo a membrana è
quello comunemente utilizzato.

Questo tipo di vaso è costituito da un recipiente, diviso in due parti da una membrana elastica, in una delle quali viene
immesso un gas (generalmente azoto, ma talvolta anche aria) sotto pressione. Per effetto del riscaldamento, l’acqua
dell’impianto aumenta di volume e accede alla metà del vaso ad essa destinata, comprimendo così la membrana e il gas
contenuto nell’altra cavità.

I vantaggi che questo tipo di vaso di espansione produce, oltre al fatto di poter installare il recipiente nel punto più
comodo, sono fondamentalmente dati dalla possibilità di evitare ogni contatto dell’acqua con l’aria atmosferica. Il suo
impiego, tuttavia, è limitato dal fatto che in un vaso chiuso non sono accettabili valori eccessivi della pressione
idrostatica e non si adatta bene, quindi, in edifici di notevole altezza. Il vaso chiuso impone, inoltre, l’uso di valvole di
sicurezza che determinano il collegamento dell’impianto con l’atmosfera, quando le pressioni di esercizio superano
determinati valori.

È opportuno notare, infine, che il vaso di espansione deve essere protetto contro l’azione del gelo, in quanto,
ghiacciandosi potrebbe ostruire la tubazione di adduzione o il contenuto del recipiente impedendo così all’acqua di
dilatarsi durante il riscaldamento, causando l’inevitabile rottura delle tubazioni.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Dimensionamento del vaso di espansione


Per il dimensionamento del vaso di espansione occorre, innanzi tutto, calcolare il volume di espansione E che la
capacità totale d’acqua dell’impianto subisce per effetto dell’aumento massimo di temperatura previsto in corso di
esercizio.
Il valore di E può calcolarsi dai dati di progetto dell’impianto: detto V il volume complessivo dell’impianto (1), tmax e tmin le
temperature rispettivamente massima e minima previste per l’acqua in °C, si può scrivere:

dove β = coefficiente di dilatazione volumica dell’acqua che va calcolato tra le tem­perature tmax e tmin.
Si ricorda che il coefficiente di dilatazione volumica può facilmente calcolarsi a partire dai valori delle densità, variabili in
funzione della temperatura dell’acqua, con la seguente espressione:

dove
ρ2 = densità dell’acqua a temperatura rispettivamente massima
ρ1 = densità dell’acqua a temperatura rispettivamente minima
Vm = il volume medio occupato dall’acqua.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Dimensionamento del vaso di espansione


Nel caso di un vaso di espansione chiuso con diaframma (o vaso a membrana), il volume Vi occupato dall’aria può
esprimersi con la formula seguente:

in cui
Vi = volume del vaso a membrana (1) che coincide con il volume occupato dal­l’aria alla pressione pi alla quale il vaso è
precaricato;
pi = pressione iniziale del vaso di espansione a cui è precaricato il cuscino d’a­ria;
pf = pressione finale corrispondente alla completa espansione di volume dell’ac­qua, da porre uguale alla massima
pressione di progetto dell’impianto nel punto ove è installato il vaso.

Si tenga, inoltre, presente che la pressione iniziale pi, non deve essere inferiore alla pressione idrostatica nel punto ove è
installato il vaso.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Dimensionamento del vaso di espansione


La pressione pmin minima occorrente deve essere determinata dal progettista tenendo conto di una serie di fattori:
•  Pressione idrostatica nel punto di installazione del vaso;
•  Pressione minima necessaria sulla pompa;
•  Pressione minima affinché il circuito utenze e il circuito caldaia non risultino in depressione rispetto all’atmosfera.

La pressione iniziale del vaso di espansione potrà porsi pari a pi = pmin + 0,3 (bar), assumendo cioè un margine di 0,3 bar
rispetto alla pressione minima necessaria.

Infatti non conviene aumentare artificiosamente e inutilmente la pressione oltre il valore necessario, in quanto ciò
potrebbe comportare maggiori costi per la realizzazione dell’impianto.

La pressione massima di esercizio che il vaso deve consentire dovrà risultare non inferiore alla pressione di taratura della
valvola di sicurezza dell’impianto, tenendo anche in debito conto l’eventuale dislivello tra vaso e valvola.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Elettropompe
Le elettropompe sono macchine che utilizzano l’energia meccanica fornita da un motore elettrico per sollevare un
liquido, oppure per farlo circolare in una tubazione.

In base al tipo di costruzione e al modo in cui trasmettono l’energia al fluido, le elettropompe possono essere:
volumetriche, centrifughe, ad elica e rotative.

Negli impianti idro-termosanitari si usano, in pratica, solo elettropompe centrifughe.


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Elettropompe
Le parti principali di una elettropompa centrifuga sono:

•  La girante a palette, che ruotando velocemente genera una depressione nella sua zona centrale (occhio della pompa)
e una pressione nella zona periferica: genera, cioè, le cause di moto del fluido;

•  La chiocciola, che serve a raccogliere l’acqua proveniente dai vari canali delimitati dalle palette della girante;

•  Il diffusore, che trasforma l’energia cinetica dovuta alla velocità in energia di pressione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Elettropompe a tenuta meccanica


Sono costituite da due parti ben differenziate fra loro: il motore elettrico e il corpo della
pompa.

Il motore elettrico è collegato alla girante per mezzo di un albero di trasmissione.

La tenuta idraulica fra l’albero e il corpo della pompa è assicurata da appositi supporti
meccanici o da premistoppa.

I settori di maggior utilizzo delle elettropompe a tenuta meccanica sono: gli impianti di
riscaldamento e di condizionamento, le reti di distribuzione dell’acqua sanitaria, gli impianti
di irrigazione e di smaltimento dei liquami.

Queste pompe possono funzionare in un vasto campo di prevalenze e di portate. Per


prevalenze elevate si usano elettropompe con più giranti montate sullo stesso albero e
disposte in modo da essere percorse in serie dal liquido pompato.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Circolatori
La caratteristica principale di queste elettropompe è che in esse il motore viene
alloggiato nel corpo della pompa.

In particolare la parte mobile del motore (il rotore) risulta immersa direttamente nel
liquido da pompare; non sono pertanto richiesti organi di tenuta idraulica su parti in
movimento.

Per questa loro caratteristica, i circolatori sono chiamati anche pompe a rotore bagnato.

I circolatori vengono utilizzati soprattutto in impianti di riscaldamento e di ricircolo


dell’acqua calda.

Si possono utilizzare anche in impianti di condizionamento e di circolazione dell’acqua


refrigerata; in questi casi, però, i circolatori devono avere caratteristiche costruttive tali
da renderli resistenti alla condensa.

Il motore dei circolatori è spesso ad avvolgimento multiplo e quindi queste


elettropompe possono funzionare a diverse velocità.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Curva caratteristica di elettropompa centrifuga


Rappresenta graficamente i valori delle grandezze (portata e prevalenza) che caratterizzano le prestazioni di una
elettropompa centrifuga.

Ogni elettropompa centrifuga ha una sua curva caratteristica ben definita, che viene determinata sperimentalmente.

Variando il numero di giri di una elettropompa centrifuga , varia anche la sua curva caratteristica; la nuova curva risulta
più alta o più bassa della primitiva a seconda che il numero di giri sia aumentato o diminuito.

Le varie curve caratteristiche di una elettropompa centrifuga risultano, inoltre, congruenti fra loro, cioè si possono
ottenere l’una dall’altra per semplice traslazione.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Curva caratteristica di elettropompe in serie


Le prevalenze si sommano, mentre la portata rimane costante.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Curva caratteristica di elettropompe in parallelo


Le portate si sommano, mentre la prevalenza rimane costante.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Rendimento di elettropompa centrifuga


E’ il rapporto fra la potenza resa dall’elettropompa e la potenza ad essa fornita.

Si può rappresentare graficamente in relazione al variare della portata.

Sovrapponendo la curva di rendimento a quella caratteristica, è possibile delimitare la zona in cui l’elettropompa
funziona in condizioni ottimali.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Potenza assorbita da una elettropompa


E’ una grandezza che dipende dalle caratteristiche di lavoro (portata e prevalenza) della pompa stessa e può essere
rappresentata graficamente con una curva che varia in funzione della portata.

Noto il rendimento, la potenza assorbita da una elettropompa può essere calcolata anche con la formula:

dove: P = potenza assorbita dalla pompa, kW

ρ = massa volumica del fluido, kg/dm3

G = portata, m3/h

H = prevalenza, m c.a.

η = rendimento, adimensionale
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Potenza assorbita da una elettropompa


Nel caso in cui il fluido pompato sia acqua, la formula precedente si trasforma:
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Punto di funzionamento elettropompa-circuito


Il punto di funzionamento (o di lavoro) di una elettropompa applicata ad un circuito è dato dalla intersezione tra la curva
caratteristica della pompa e la curva di resistenza del circuito.

La curva caratteristica di una elettropompa è fornita dal costruttore.

La curva di resistenza del circuito è rappresentabile (in coordinate portata-prevalenza) mediante una parabola.

In un circuito chiuso, tale parabola ha vertice nell’origine e passa per il punto teorico di funzionamento del circuito, cioè
per il punto che rappresenta la portata e la prevalenza di calcolo del circuito stesso.

Lo sviluppo a parabola della curva di resistenza è dovuto al fatto che, in un circuito, le perdite di carico, sia continue che
localizzate, sono sensibilmente proporzionali al quadrato delle portate
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Punto di funzionamento elettropompa-circuito


PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Scelta di un’elettropompa
La scelta di una elettropompa deve essere fatta in modo che il suo punto di lavoro risulti:.

1.  Vicino al punto di funzionamento teorico del circuito;

2.  Interno alla zona di rendimento ottimale della pompa stessa.

Si deve inoltre controllare che le caratteristiche e le prestazioni della elettropompa siano adeguate alle esigenze del
circuito utilizzatore.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Scelta di una elettropompa


Si deve verificare:

•  Il livello di rumorosità, in particolar quando la pompa è installata vicino ad ambienti per cui sono richiesti bassi valori
del livello sonoro;

•  La resistenza alla condensa, per i circuiti che convogliano acqua fredda o refrigerata;

•  La resistenza ai liquidi antigelo, specie quando si hanno circuiti esterni (ad esempio negli impianti a pannelli solari)
che richiedono miscele con elevate quantità di antigelo;

•  Il valore di NPSH, nei circuiti con bassa pressione sulla bocca di aspirazione, e quindi in particolar modo:

•  Negli impianti idrici, quando si pompa acqua aspirandola da un serbatoio a pelo libero;

•  Negli impianti di riscaldamento a vaso aperto con limitata pressione statica

•  Negli impianti di riscaldamento a vaso chiuso con centrale termica posta su terrazza.
PRINCIPALI COMPONENTI IMPIANTO DI RISCALDAMENTO

Messa in opera delle elettropompe


E’ consigliabile prevedere la messa in opera delle elettropompe con:

•  Valvole di intercettazione, da porre a monte e a valle di ogni pompa per facilitare interventi di manutenzione;

•  Giunti antivibranti (solo per pompe medio-grandi) al fine di evitare che le vibrazioni delle pompe possano essere
trasmesse alle reti di distribuzione;

•  Manometri, da installare prima e dopo ogni pompa per facilitare gli interventi di controllo e di manutenzione:

•  Una diminuzione della pressione differenziale segnala che la girante è logora o che i passaggi tra le palette sono
ostruiti;

•  L'oscillazione degli indici è generalmente segno della presenza di aria nell'impianto.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

L’acqua calda prodotta dalla centrale termica è inviata, attraverso la rete di distribuzione, all’interno dell’edificio per
alimentare i corpi scaldanti.

La rete di distribuzione comprende il complesso di tubazioni, valvole, apparecchiature poste a valle della pompa per la
distribuzione dell’acqua alle utenze.

La tubazione principale proveniente dalla centrale termica corre nel piano interrato dell’edificio e si dirama in più
colonne montanti: da ciascuna colonna, ad ogni piano, si dipartono le derivazioni per alimentare i corpi scaldanti
all’interno delle singole zone.

Sono possibili vari schemi di distribuzione: la distribuzione può essere realizzata unicamente per colonne ovvero
attraverso colonne e successivi anelli orizzontali.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dimensionamento delle tubazioni


Si consideri un impianto tradizionale, costituito da una prima distribuzione principale a pian terreno o piano interrato e
da una serie di colonne montanti dalle quali si dipartono le alimentazioni alle singole zone ovvero si potrà per semplicità
fare riferimento ad un edificio residenziale costituito da appartamenti.
All’interno degli appartamenti i corpi scaldanti possono essere collegati tra di loro in serie: la tubazione di uscita del
primo corpo scaldante alimenta il secondo, la tubazione di uscita del secondo alimenta il terzo e così via. L’uscita
dell’ultimo corpo scaldante termina sulla tubazione montante di ritorno: in tal caso, si parla di sistema distributivo ad
anello o a zona (figura).

Sistema di distribuzione ad anello


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dimensionamento delle tubazioni


Vi sono dei casi in cui su ciascuna colonna, ad ogni diramazione,
corrisponde un solo corpo scaldante: tale sistema predilige, in
sostanza, la distribuzione su più colonne, cosicché all’interno di un
appartamento i corpi scaldanti sono alimentati ciascuno da una
colonna diversa; si può parlare, in questo secondo caso, di
distribuzione a colonne (figura).

Sistema di distribuzione a colonne


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dimensionamento delle tubazioni


Nel caso di distribuzione ad anello, l’alimentazione ad ogni corpo scaldante avviene solitamente attraverso una valvola a
tre o a quattro vie, che consente così solo ad una parte della portata di alimentare il terminale di riscaldamento. La
valvola a tre vie impone l’uso di una tubazione di bypass con bilanciamento delle perdite di carico, la valvola a quattro
vie, invece, realizza da sé il bypass con bilanciamento delle pressioni. Ad ogni modo, entrambi i sistemi di distribuzione
(a zona o a colonna) possono essere considerati sistemi di distribuzione di tipo tradizionale.

Un ulteriore sistema di distribuzione di


zona da considerare è quello che attua la
distribuzione attraverso un collettore
con alimentazione attraverso tubi singoli
di andata e ritorno dal collettore a
ciascuno dei terminali (figura): questo
criterio si può chiamare distribuzione
con collettore o impianti a collettore.

Sistema di distribuzione a collettore


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dimensionamento delle tubazioni


Il salto termico dell’acqua che viene generalmente impiegata nella rete di distribuzione dipende dal tipo di impianto
secondo i seguenti criteri:

•  Negli impianti con caldaie tradizionali: 8 ÷ 15°C;

•  Negli impianti a pompe di calore: 5 ÷ 8°C;

•  Negli impianti a teleriscaldamento: 12 ÷ 20°C.

Maggiore è il salto termico che si utilizza, minore è la potenza richiesta per le pompe, per cui si comprende con facilità la
necessità di non utilizzare salti termici troppo piccoli, specie sui grandi impianti con funzionamento continuo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criterio dei circuiti semplici


Il calcolo delle tubazioni ha origine dal piano più alto o dove si trova
l’utenza più sfavorita e si comincia a dimensionare la tubazione che
congiunge l’ultimo radiatore o l’ultimo gruppo di radiatori alla colonna
montante.

Successivamente, si dimensiona il tratto di colonna dall’ultima alla


penultima diramazione ossia dal 5° piano al 4° piano (figura), quindi la
diramazione del penultimo terminale e via via a scendere.

Un criterio di progetto molto utilizzato è chiamato criterio del salto


termico massimo prestabilito: si fissa un salto termico (in genere 10 ÷ 12°C)
che si assume quale salto termico di progetto dell’acqua attraverso il
radiatore.

In realtà, con tale criterio, il salto termico prestabilito è un salto termico


massimo e, in realtà, il salto termico effettivo risulta inferiore a quello
prestabilito.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criterio dei circuiti semplici


Sostanzialmente, le tubazioni vengono dimensionate attraverso i seguenti passi:
•  Si determina la portata di acqua G in l/h, necessaria per fornire il calore Q all’ambiente con il salto termico fissato:
 

dove
Q = potenza termica (W)
Δθ = salto termico dell’acqua (°C);

•  Si dimensiona il diametro del tubo in base alla velocità ammessa del fluido. Il diametro interno D in mm può
determinarsi con la seguente formula:

G = portata (1/h)
vmax = velocità massima ammessa (m/s).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criterio dei circuiti semplici


In alternativa, si possono utilizzare le tabelle delle perdite di carico distribuite elaborate dai costruttori di impianti.

Fissato il valore della portata e la velocità dell’acqua nel tubo o in alternativa la perdita di carico distribuita ammessa, si
determina il diametro. Si devono però portare in conto anche le perdite di carico concentrate che sono mediamente
comprese tra il 40 ÷ 60% delle perdite di carico totali.

• Si
esegue il calcolo di verifica delle perdite di carico nel tubo, somma delle perdite di carico concentrate e distribuite. I
costruttori di impianti suggeriscono sia i valori delle costanti di attrito per le discontinuità di valvole, cambiamenti di
direzione, diramazioni, ecc. che si incontrano sia forniscono tabelle con le perdite di carico distribuite per vari tipi di
tubazioni e a differenti temperature dell’acqua sia suggeriscono varie correlazioni pratiche, reperibili nella letteratura
tecnica e nelle pubblicazioni, che possono essere impiegate nel caso di utilizzo dei calcolatori. In ogni caso è
necessario che le perdite di carico siano mantenute entro determinati valori, per non aumentare artificiosamente la
prevalenza da richiedere alla pompa e, quindi, i costi di pompaggio: un valore orientativo di riferimento per il
dimensionamento dei tubi, in particolare, delle colonne montanti può essere: r = 10 ÷ 20 mm c.a./m (millimetri colonna
d’acqua), ove con r si è indica la perdita di carico distribuita;

• Si ripete il ragionamento appena esposto per la diramazione del penultimo piano;
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criterio dei circuiti semplici


•  I circuiti vanno poi bilanciati alla differenza di pressione maggiore nel punto di congiunzione: alla confluenza delle
tubazioni provenienti dall’ultimo piano con quelle del penultimo piano saranno state, in generale, determinate le
per­dite di carico e le portate per entrambi i circuiti. Nel circuito più lontano vi sarà una perdita di carico maggiore
rispetto al circuito più breve. Si suppon­ga di aver calcolato nel punto di confluenza dei circuiti le perdite di carico
H1 e H2 con H1 > H2 a cui corrispondono le portate G1 e G2. Se in ciascuno dei due circuiti si vuole garantire una
portata non inferiore a quella calcolata, nel punto di confluenza si dovrà garantire una differenza di pressione tra
andata e ritorno non inferiore a H1. La portata del circuito 1 sarà così G1, mentre la portata del circuito 2 andrà
ricalcolata, essendo nota, in realtà, la portata G2 che produce la perdita di carico H2, quindi, differente dalle
condizioni di funzionamento effettive.
Si dice che il circuito 2 deve essere bilanciato alla differenza di pressione effettiva o voluta nel punto di
congiunzione dei rami. Si può adottare la seguente espressione per il calcolo della nuova portata G’2:

L’espressione si ricava ammettendo che le perdite di carico totali siano proporzionali alla portata elevato alla 1,9:
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criterio dei circuiti semplici


L’espressione o l’equivalente

è una formula empirica, che può essere giustificata, anche se in modo non rigoroso, ricordando le correlazioni generali
delle perdite di carico, rispettivamente per le perdite di carico distribuite e per quelle concentrate.

Nel caso di perdite di carico concentrate e tubi lisci, la teoria evidenzia che la perdita di pressione è proporzionale alla
portata volumetrica elevata alla 1,75.

Nel caso di perdite concentrate, la perdita di pressione è proporzionale alla portata volumetrica elevata al quadrato. Il
coefficiente 1,9 utilizzato nell’espressione

è in sostanza una sorta di valor medio, determinato empiricamente, tra le perdite concentrate e quelle distribuite.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criterio dei circuiti semplici


Il metodo di calcolo esposto è applicabile nella pratica per edifici di 3-4 piani, in quanto all’aumentare del numero dei
piani di cui si compone la colonna, può aumentare anche notevolmente la portata di acqua che occorre far circolare per
garantire che le utenze più lontane siano correttamente alimentate, con evidenti maggiori costi per la pompa di
circolazione.

L’aumento della portata nei rami di derivazione può causare velocità eccessive nei tubi, provocando a sua volta rumore
e possibili fenomeni di erosione.

All’aumentare del numero dei piani, risultano, inoltre, modificati i salti termici dell’acqua nei corpi scaldanti, con possibili
variazioni nelle rese termiche degli stessi.

Anche la regolazione dell’impianto attraverso la sonda esterna e la corrispondente valvola a tre vie, a causa del
differente salto di temperatura dell’acqua in ingresso e in uscita dai corpi scaldanti ai vari piani, può risultare meno
efficiente.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Bilanciamento idraulico dei circuiti


Nel caso si abbia un circuito principale con una serie di circuiti derivati, con un numero di derivazioni maggiore di 3 ÷ 4,
si deve adottare uno dei seguenti accorgimenti per far sì che le perdite di carico risultino uguali nei vari rami:

•  Utilizzo di una distribuzione con circuito a ritorno inverso (distribuzione a 3 tubi);

•  Impiego di valvole di taratura (regolano la perdita di carico);

•  Impiego di valvole auto-flow (regolano la portata).


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Bilanciamento idraulico dei circuiti


Progettare e realizzare circuiti bilanciati serve essenzialmente a:

•  Garantire il corretto funzionamento dei terminali;

•  Evitare velocità del fluido troppo elevate, possibile causa di rumori e azioni abrasive;

•  Impedire che le elettropompe lavorino in condizioni di scarsa resa e surriscaldamento;

•  Limitare il valore delle pressioni differenziali che agiscono sulle valvole di regolazione, per impedire trafilamenti e
irregolarità di funzionamento.

Negli impianti medio-piccoli a portata costante, un buon dimensionamento delle tubazioni è in genere sufficiente ad
assicurare circuiti bilanciati.

Al contrario, in impianti a reti estese o a portata variabile, per poter realizzare circuiti bilanciati è necessario prevedere
appositi dispositivi atti a regolare il flusso del fluido.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Bilanciamento idraulico dei circuiti – valvole di taratura


Sono valvole che consentono di opporre al passaggio del fluido perdite di carico
predeterminate e quindi rendono possibile regolare la quantità di fluido che passa
attraverso le derivazioni su cui sono poste.

Gli elementi che caratterizzano queste valvole sono: l’otturatore, lo stelo e le prese per
la misura della pressione.

L’otturatore deve essere in grado di assicurare un flusso regolare e uniforme, al fine di


evitare vibrazioni, rumori, fenomeni di cavitazione, erosione della sede e usura delle
guarnizioni.

Lo stelo deve avere un accoppiamento vite-madrevite di tipo micrometrico (cioè a


passo fine) e riferimenti di lettura atti a consentire un preciso posizionamento e
controllo dell’otturatore.

Le prese di pressione devono essere poste in zone a bassa turbolenza in modo da


consentire significative misure “in loco” dell’effettiva resistenza opposta dalla valvola al
passaggio del fluido.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Bilanciamento idraulico dei circuiti – valvole di taratura


Sono dispositivi in grado di mantenere automaticamente costante la portata di fluido che passa attraverso le derivazioni
su cui sono posti.

L’elemento regolatore di questi stabilizzatori di portata è un pistone mobile che ha, come sezioni di passaggio, un foro
di testa e aperture laterali a geometria variabile.

Tale regolatore - mosso dalla spinta del fluido e dalla controspinta di una molla a spirale - deve assicurare
automaticamente portate pressoché costanti entro un ampio campo di pressioni differenziali, così come rappresentato
dal seguente diagramma.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Bilanciamento idraulico dei circuiti – valvole di sovrappressione


Sono valvole che consentono di realizzare bypass limitatori di pressione
differenziale: cioè bypass atti ad impedire che la pressione differenziale fra due
punti di un circuito superi un determinato valore.

L’elemento regolatore di queste valvole è un otturatore a disco normalmente


chiuso sotto l’azione di una molla, che può essere tarata (in relazione alla
pressione differenziale massima voluta) mediante un’apposita manopola.

Il regolatore apre e attiva il circuito di by-pass (scaricando in tal modo le


sovrappressioni) solo quando è sottoposto ad una pressione differenziale che
genera una spinta superiore a quella della molla di contrasto.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Distribuzione con circuito a ritorno inverso


Sono circuiti il cui sviluppo consente di collegare determinate derivazioni (colonne, zone o terminali) con la stessa
lunghezza di tubi.

Compatibilmente ai diametri commerciali disponibili, i tubi di questi circuiti si dimensionano a perdite di carico lineari
costanti.

E’ così possibile assicurare pressioni differenziali pressochè uguali alle derivazioni servite con la stessa lunghezza di
tubi: alle derivazioni, cioè, collegate “a circuito inverso”.

Simile caratteristica consente di calcolare questi circuiti con metodi pratici relativamente semplici ed affidabili.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Distribuzione con circuito a ritorno inverso


Si può procedere nel seguente modo:

1.  Si individua un circuito secondario di riferimento (in genere l’ultimo dell’andata o quello che richiede la prevalenza più
elevata) e lo si dimensiona in base alla portata richiesta, determinandone:
•  Diametro,
•  Perdite di carico.

2. Si dimensionano gli altri circuiti secondari in base alla portata richiesta, determinandone:
•  Diametro,
•  Perdite di carico.

Portata e perdite di carico, così determinate, si devono poi bilanciare alla prevalenza disponibile agli attacchi del
circuito secondario di riferimento.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Distribuzione con circuito a ritorno inverso


3.  Si dimensionano i tronchi di andata del circuito principale in base:
•  Alla loro portata (si ottiene sommando le portate dei circuiti secondari serviti dai tronchi in esame),
•  Perdite di carico lineari costanti (ad esempio: r = 10 mm c.a./m).

4.  Si dimensionano i tronchi di ritorno del circuito principale con gli stessi criteri illustrati al punto 3.

6.  Si determinano le perdite di carico totali del circuito sommando fra loro:
a)  Le perdite di carico del circuito secondario di riferimento;
b)  Le perdite di carico continue (h) del circuito principale calcolate convenzionalmente moltiplicando fra loro le
seguenti grandezze:
r = valore assunto per le perdite di carico lineari (ved. al punto 3)
l = lunghezza dei tubi che servono il circuito di riferimento;
c)  Le perdite di carico localizzate (z) del circuito principale considerate convenzionalmente uguali ad una percentuale
delle perdite di carico continue (h).

Normalmente si considera:
z = 0,6 ˙ h per percorsi con poche curve,
z = 0,7 ˙ h per percorsi con molte curve.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Distribuzione con circuito a ritorno inverso


Se dimensionati a perdite di carico lineari costanti, questi circuiti sono in grado di assicurare pressioni differenziali
pressoché uguali agli attacchi delle loro derivazioni.

Essi consentono di realizzare distribuzioni bilanciate con circuiti derivati omogenei: cioè con circuiti derivati che
richiedono pressioni differenziali uguali, o comunque non molto diverse fra loro.

Questi circuiti non consentono di realizzare distribuzioni bilanciate nel caso di circuiti derivati fra loro non omogenei.

Non è possibile ottenere una distribuzione bilanciata quando lo stesso circuito inverso deve servire
contemporaneamente ventilconvettori e macchine di trattamento aria: cioè terminali che richiedono pressioni
differenziali sensibilmente diverse fra loro.

Improprio è quindi il termine “bilanciato” con cui talvolta vengono individuati questi circuiti.

E’ da tener presente che i circuiti a ritorno inverso sono molto più pesanti e ingombranti di quelli a due tubi.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Distribuzione con circuito a ritorno inverso


Negli impianti di climatizzazione i circuiti a ritorno inverso sono utilizzati soprattutto per garantire la stessa pressione
differenziale agli attacchi delle colonne, alle derivazioni di zona o ai terminali.

I circuiti con colonne servite a ritorno inverso servono ad assicurare pressioni differenziali uguali agli attacchi delle
colonne.

Squilibri nella ripartizione delle portate possono, comunque, determinarsi lungo le colonne, per i motivi evidenziati
nell’esame dei circuiti semplici. Per tale ragione, questi circuiti sono normalmente utilizzati in edifici che non superano i
5 o 6 piani.

I circuiti con terminali serviti a ritorno inverso sono in grado di assicurare pressioni differenziali uguali ad ogni terminale
del circuito.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con valvole di taratura


Sono circuiti con derivazioni (colonne, zone o terminali) dotate di valvole di taratura: cioè di valvole che consentono di
opporre al passaggio del fluido le perdite di carico volute.

Di norma questi circuiti si dimensionano con il calcolo teorico, il solo che consente di definire la corretta taratura delle
valvole.

Le fasi principali di tale calcolo possono essere così riassunte:

1. Si dimensiona l’ultimo circuito secondario in base alla portata richiesta, determinandone:
•  Diametro,
•  Perdite di carico.

2. Si dimensionano gli ultimi tronchi del circuito principale (cioè quelli compresi fra l’ultimo e il penultimo circuito
secondario) determinandone:
•  Portata (è uguale a quella dell’ultimo circuito secondario),
•  Diametro,
•  Perdite di carico.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con valvole di taratura


3.  Si dimensiona il penultimo circuito secondario in base alla portata richiesta, determinandone:
•  Diametro,
•  Perdite di carico (o prevalenza richiesta).
Se la prevalenza richiesta è inferiore alla prevalenza disponibile (cioè a quella calcolata agli attacchi del circuito), si
compensa tale differenza con la relativa valvola di taratura.
Se, invece, la prevalenza richiesta supera la prevalenza disponibile, si compensa tale differenza con la pretaratura
dell’ultimo circuito secondario e si calcola poi la nuova distribuzione delle pressioni.

4.  Si dimensionano i penultimi tronchi del circuito principale, determinandone:


•  Portata (si ottiene sommando le portate dei circuiti secondari serviti dai tronchi in esame),
•  Diametro,
•  Perdite di carico.

5.  Si dimensionano gli altri circuiti secondari e gli altri tronchi del circuito principale:
•  Per i circuiti secondari si procede come indicato al punto 3.
•  Per i tronchi del circuito principale si procede, invece, come indicato al punto 4.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con valvole di taratura


Sono circuiti che, mediante l’azione delle valvole di taratura, consentono di regolare la portata che passa attraverso le
loro derivazioni. Sono circuiti che possono assicurare distribuzioni bilanciate anche nel caso di impianti a sviluppo
complesso e a reti estese.

Va comunque considerato che per il corretto funzionamento di questi circuiti si richiede:


•  Un impegnativo lavoro di progettazione, dovuto al fatto che si deve calcolare la corretta posizione dell’otturatore di
ogni valvola;
•  Un’accurata e spesso molto laboriosa esecuzione delle opere di taratura;
•  Un buon servizio di manutenzione, in grado di effettuare verifiche e di provvedere a nuove operazioni di taratura.

Questi circuiti possono essere starati sia da operazioni poco accorte, sia da interventi interessati ad alterare la resa dei
terminali, specie dove l’energia termica è misurata in modo indiretto.

Si deve tener presente che in caso di varianti, questi circuiti devono essere di nuovo calcolati e tarati. Infatti le valvole di
taratura consentono solo una regolazione di tipo statico: cioè a pistone fisso.

Simile regolazione non è in grado di adeguarsi automaticamente a nuove condizioni di lavoro.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con valvole di taratura


Negli impianti di climatizzazione i circuiti con valvole di taratura sono utilizzati soprattutto per assicurare le pressioni
differenziali volute agli attacchi delle colonne, alle derivazioni di zona o ai terminali.

I circuiti con valvole di taratura a piede di colonna servono ad assicurare le pressioni differenziali volute agli attacchi
delle colonne.

Squilibri nella ripartizione delle portate possono, comunque, determinarsi lungo le colonne per i motivi evidenziati
nell’esame dei circuiti semplici.

Per tale ragione, questi circuiti sono normalmente utilizzati in edifici che non superano i 5 o 6 piani.

I circuiti con valvole di taratura ad ogni terminale sono in grado di assicurare le pressioni differenziali volute ad ogni
terminale del circuito.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con autoflow


Sono circuiti con derivazioni (colonne, zone o terminali) dotate di autoflow: cioè di dispositivi che consentono di
mantenere costante la portata che li attraversa.

Il fatto che questi circuiti siano dotati di dispositivi in grado di regolare automaticamente le portate richieste, consente
di adottare metodi di calcolo pratico particolarmente semplici e affidabili.

Si può procedere nel seguente modo:

1. Si scelgono gli autoflow di ogni circuito secondario in relazione alla portata richiesta.

2. Si dimensionano i tubi dei circuiti secondari e del circuito primario in base alla loro portata e con perdite di carico
lineari costanti (ad esempio: r = 10 mm c.a./m).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con autoflow


3.  Si determinano le perdite di carico totali del circuito sommando fra loro:

a)  Le perdite di carico dell’ultimo terminale servito;

b)  La pressione differenziale minima degli autoflow;

c)  Le perdite di carico continue (h) del circuito calcolate convenzionalmente moltiplicando fra loro le seguenti
grandezze:
r = valore assunto per le perdite di carico lineari (ved. al punto 2),
l = lunghezza dei tubi (del circuito principale e del circuito secondario) che servono l’ultimo terminale;

d)  Le perdite di carico localizzate (z) del circuito considerate convenzionalmente uguali ad una percentuale delle perdite
di carico continue (h).
Normalmente si considera:
z = 0,6 . h per percorsi con poche curve,
z = 0,7 . h per percorsi con molte curve.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con autoflow


Sono circuiti che, mediante l’azione di appositi dispositivi, consentono di regolare automaticamente la portata che
passa attraverso le loro derivazioni.

Sono, quindi, circuiti che possono assicurare distribuzioni bilanciate anche nel caso di impianti a sviluppo complesso e
a reti estese.

I circuiti con autoflow:


•  Sono semplici da calcolare;
•  Non richiedono operazioni di taratura;
•  Non temono interventi di staratura.

Si deve considerare che in caso di varianti questi circuiti possono facilmente adeguarsi alle nuove condizioni di lavoro.

Infatti gli autoflow - con una regolazione di tipo dinamico: cioè a pistone mobile - sono in grado di mantenere costanti
le portate dei terminali entro un ampio campo di pressioni differenziali.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Circuiti con autoflow


Negli impianti di climatizzazione i circuiti con autoflow sono utilizzati soprattutto per assicurare le portate richieste alle
colonne, alle derivazioni di zona o ai terminali.

I circuiti con autoflow a piede di colonna servono a far fluire, attraverso le colonne, le quantità di fluido richieste.

Squilibri nella ripartizione delle portate possono determinarsi lungo le colonne per i motivi evidenziati nell’esame dei
circuiti semplici.

I circuiti con autoflow ad ogni terminale sono in grado di far fluire, attraverso ogni terminale, le quantità di fluidi richieste.
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Distribuzione mediante collettori


Per approfondire le problematiche relative al dimensionamento delle reti di distribuzione, si ritiene utile esporre alcuni
criteri di calcolo dei collettori e dei circuiti che da essi si dipartono.

I collettori possono essere teoricamente impiegati in qualunque punto dell’impianto per suddividerlo in più circuiti
utilizzatori e qualche volta, ad esempio per ragioni architettoniche, si trovano grossi collettori, che suddividono la
portata in vari circuiti di distribuzione, senza impiego di pompe supplementari, con uno schema differente da quello
semplice esaminato precedentemente, costituito da un anello nel piano interrato e colonne montanti fino ai terminali.

Nelle applicazioni più comuni è frequente l’impiego di piccoli collettori utilizzati per la distribuzione dell’acqua al livello
locale di zona nei corpi scaldanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Caratteristiche generali e costruttive per collettori locali di zona


Nella distribuzione a collettore le tubazioni principali conducono l’acqua ad un collettore di zona, dal quale si dipartono
una serie di tubazioni di alimentazione con circuiti distinti per i singoli corpi scaldanti.

L’eventuale valvola di regolazione di zona è posta a monte del collettore.

La distribuzione a collettore è diffusa soprattutto in edifici residenziali e offre alcuni vantaggi rispetto al sistema
tradizionale di alimentazione in serie:
•  Maggiore uniformità nella temperatura dell’acqua, con ottimizzazione delle rese termiche dei radiatori;
•  Facilità di posa delle tubazioni installate sotto pavimento e facilità nella realizzazione dei collegamenti, in quanto le
tubazioni di piccolo diametro vengono collegate con giunzioni meccaniche;
•  Possibilità di realizzare impianti a più zone che possono, in teoria, essere costituite anche da ogni singolo corpo
scaldante;
•  Rapidità e uniformità nella messa a regime dei corpi scaldanti, in quanto l’acqua viene inviata simultaneamente a tutti
i terminali, mentre nel sistema tradizionale è richiesto un certo tempo per la messa a regime;
•  Perdita di carico lievemente minore rispetto a quella del sistema ad anello;
•  Migliore distribuzione del calore nei vari ambienti con terminali scaldanti che lavorano tutti alla stessa temperatura.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Caratteristiche generali e costruttive per collettori locali di zona


Di contro, richiedono maggiori opere murarie, perché sono costituiti da più tubi e necessitano di un vano per il
collettore; inoltre, va chiarito che gli impianti a collettore non possono essere realizzati in edifici preesistenti, a meno di
non rifare i pavimenti, a differenza degli impianti ad anello che possono essere installati anche in tracce murarie con un
onere accettabile.

I collettori sono installati in vani entro cassette ventilate, per consentire il buon funzionamento delle valvole e delle
sonde che temono temperature elevate.

La posizione dei collettori è, per quanto possibile, baricentrica rispetto ai corpi scaldanti da servire, le tubazioni di
derivazione, di andata e di ritorno, sono disposte in modo alternato per evitare incroci o accavallamenti nei tubi.

È preferibile optare per percorsi delle tubazioni attraverso le porte, in modo da limitare le tracce murarie ed è opportuno,
inoltre, avere cura di evitare interferenze con le tubazioni dell’impianto idrico. Gli attacchi ai corpi scaldanti sono, in
genere, previsti dallo stesso lato, in modo da avere percorsi identici di andata e ritorno.

I collettori sono in genere realizzati in ottone; in alternativa, esistono collettori in rame e alluminio; i diametri più utilizzati
vanno da 3/4” a 1”1/2.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


II dimensionamento dei circuiti nel caso di distribuzione a collettore può eseguirsi con gli stessi criteri già esposti per i
circuiti semplici: si fissa un salto termico guida, ad esempio, 10°C, si determinano le portate in prima approssimazione in
ogni ramo in base al calore da fornire, quindi, i diametri delle tubazioni. Si calcolano poi le perdite di carico di ogni
circuito e si esegue il bilanciamento delle portate alla differenza di pressione maggiore risultante. Si potrebbe definire
tale criterio metodo dei circuiti semplici. Di norma, si preferisce utilizzare altri procedimenti, in quanto il metodo dei
circuiti semplici risulta piuttosto laborioso.

Nella pratica, i procedimenti più utilizzati per dimensionare i circuiti nel sistema a collettore, prevedono di fissare una
differenza di pressione a monte o a valle del collettore e alternativamente un salto termico guida o diametri predefiniti.
In definitiva, ne risultano i seguenti metodi:
•  A differenza di pressione prestabilita al collettore e salto termico guida;
•  A differenza di pressione prestabilita al collettore e diametri predefiniti.

La differenza di pressione a monte del collettore per la distribuzione di zona può essere stabilita come segue:
•  Per impianti a radiatori senza valvole termostatiche circa 800 ÷ 1200 mm;
•  Per impianti a radiatori con valvole termostatiche circa 1000 ÷ 1500 mm;
•  Per impianti con convettori e ventilconvettori circa 1200 ÷ 2000 mm.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Per i collettori valgono le seguenti formule generali; saranno poi forniti anche dei criteri specifici ulteriori validi solo per i
collettori di zona:

valida per collettori ordinari.


Ovvero:

valida per collettori con circuito a ritorno inverso.


dove Sc, S1, S2, …, Sn sono rispettivamente le sezioni interne del collettore e dei tubi di derivazione (mm2).

Un altro criterio di dimensionamento dei collettori è quello di mantenere la velocità dell’acqua al di sotto di un
determinato valore, ad esempio 0,6 m/s: la perdi­ta di carico attraverso il collettore nel circuito più sfavorito risulta, in tal
modo, estremamente limitata (non superiore a circa 50 ÷ 100 mm).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Metodo con prevalenza prestabilita al collettore
Con questo metodo si dimensiona ogni circuito interno e lo si bilancia poi alla prevalenza prestabilita agli attacchi del
collettore.

I circuiti interni possono essere dimensionati sia a salto termico guida (cioè con un salto medio di riferimento) sia a
diametri predefiniti.

Il dimensionamento a diametri predefiniti è utilizzato soprattutto per progettare impianti con circuiti interni a diametro
costante.

Tali impianti sono molto pratici da realizzare (perchè richiedono tubi e raccordi di un sol diametro) e possono
rappresentare una valida soluzione specie nell'edilizia civile, dove solitamente i corpi scaldanti hanno potenze termiche
non molto dissimili fra loro
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Metodo con prevalenza prestabilita al collettore
Per il dimensionamento degli impianti col metodo a prevalenza prestabilita al collettore, si affrontano quattro procedure
di calcolo, due teoriche e due pratiche:

•  Calcolo teorico a salto termico guida;

•  Calcolo pratico a salto termico guida;

•  Calcolo teorico a diametri predefiniti;

•  Calcolo pratico a diametri predefiniti.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
Si suddivide l'analisi e lo sviluppo di questo metodo nelle seguenti fasi:

1.  Determinazione dei diametri relativi ai circuiti interni,

2. Determinazione delle portate in prima approssimazione,

3. Dimensionamento del collettore,

4. Determinazione delle portate effettive,

5. Dimensionamento dei corpi scaldanti.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si calcola la portata teorica di ogni circuito, cioè la portata richiesta per poter garantire il salto termico guida:

dove:

Gt = portata teorica del circuito, l/h

Q = potenza termica richiesta, W

Δt = salto termico guida, °C


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si calcola la perdita di carico lineare media di ogni circuito in base alla prevalenza prestabilita. Con sufficiente
approssimazione tale valore può essere calcolato con la formula empirica:

ponendo:
f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche,
f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.

e dove: rm = perdita di carico lineare media del circuito, mm c.a./m


H = prevalenza agli attacchi del collettore, mm c.a.
L = lunghezza del circuito (andata e ritorno), m
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si determina il diametro commerciale di ogni circuito, scegliendo il valore che, in base ad rm, consente di meglio
avvicinare la portata teorica Gt.

•  Si calcolano le perdite di carico totali (Hct) di ogni circuito in base alla portata teorica, al diametro dei tubi, al percorso
dei circuiti (lunghezza e curve) e ai componenti da utilizzarsi (tipo valvole, detentori e corpi scaldanti).

•  Si calcolano - in prima approssimazione - le portate dei circuiti, bilanciando le perdite di carico (relative alle portate
teoriche) ad una prevalenza convenzionalmente assunta uguale al 90% della prevalenza prestabilita.

Tali portate possono essere calcolate con la formula:

dove: Ga1 = portata in prima approssimazione del circuito, l/h


Gt = portata teorica del circuito, l/h
H = prevalenza prestabilita al collettore, mm c.a.
Hct = perdite di carico, mm c.a.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si determina la somma delle portate in prima approssimazione (Ga1), definite e calcolate al punto precedente.

•  Nota la portata totale (in prima approssimazione) del collettore, si determina il suo diametro in modo che la velocità
del fluido non superi un limite prestabilito: ad esempio 0,6 m/s.
Anche l'eventuale valvola di zona e le valvole di intercettazione possono essere dimensionate con lo stesso criterio.

•  Si calcola la prevalenza totale (Ht) richiesta agli attacchi del collettore per il passaggio delle portate di prima
approssimazione. Tale prevalenza si ottiene sommando fra loro le seguenti grandezze:

0,9 . H = prevalenza ipotizzata agli attacchi dei circuiti per il passaggio delle portate in esame,

Hcv = perdite di carico del collettore, dell'eventuale valvola di zona e delle valvole di intercettazione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si calcolano - in seconda approssimazione - le portate dei circuiti, bilanciando la prevalenza sopra determinata a
quella effettivamente disponibile.

Tali portate possono essere calcolate con la formula:

e dove:

Ga2 = portata in seconda approssimazione del circuito, l/h


Ga1 = portata in prima approssimazione del circuito, l/h
H = prevalenza prestabilita agli attacchi del collettore, mm c.a.
Ht = prevalenza, mm c.a.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si assumono le portate effettive dei circuiti uguali a quelle calcolate in seconda approssimazione.

•  Si calcola la temperatura media di ogni corpo scaldante con le formule:

dove:

tm = temperatura media del corpo scaldante, °C


tmax = temperatura massima di progetto, °C
Δt = salto termico del corpo scaldante, °C
Q = potenza termica richiesta, W
G = portata del circuito, l/h
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e salto termico guida
•  Si calcola il fattore di resa di ogni corpo scaldante

•  Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e salto termico 10°C
•  Si calcola la portata di ogni circuito, in base al salto termico di progetto:

dove:

G = portata del circuito, l/h

Q = potenza termica richiesta al circuito, W


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e salto termico 10°C
•  Si calcola la perdita di carico lineare media di ogni circuito in base alla prevalenza prestabilita, utilizzando la formula
empirica:

ponendo:
f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche,
f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.

dove: rm = perdita di carico lineare media del circuito, mm c.a./m


H = prevalenza agli attacchi del collettore, mm c.a.
L = lunghezza del circuito (andata e ritorno), m
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e salto termico 10°C
•  Si determina il diametro di ogni circuito, scegliendo (con le tabelle delle perdite di carico continue) il valore che, in
base ad rm, consente di meglio avvicinare la portata richiesta.

•  Si calcola la portata totale che passa attraverso il collettore sommando fra loro le portate di ogni circuito.

•  Si determina il diametro del collettore in base alla portata totale. Per i collettori normalmente in commercio, si
possono adottare le seguenti soluzioni:
•  Diametro 3/4” per portate minori di 800 l/h
•  Diametro 1” per portate comprese fra 800 e 1.600 l/h.

Per portate più elevate di 1.600 l/h, conviene generalmente sdoppiare il collettore. Anche l’eventuale valvola di zona e le
valvole di intercettazione possono essere dimensionate nello stesso modo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e salto termico 10°C
•  Si calcola la temperatura media dei corpi scaldanti con la formula:

dove:
tm = temperatura media del corpo scaldante, °C
tmax = temperatura massima di progetto, °C

•  Si calcola il fattore di resa dei corpi scaldanti

•  Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Considerando le normali prevalenze adottate e un salto termico massimo di 15°C, risulta conveniente adottare i
seguenti diametri interni:
D int = 8 mm per Q inferiore a 1.400 W
D int = 10 mm per Q compreso fra 1.400 e 2.500 W

•  Si calcola la perdita di carico lineare media di ogni circuito in base alla prevalenza prestabilita. Con sufficiente
approssimazione tale valore può essere calcolato con la formula empirica:

ponendo: f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche, f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.

e dove: rm = perdita di carico lineare media del circuito, mm c.a./m


H = prevalenza agli attacchi del collettore, mm c.a.
L = lunghezza del circuito (andata e ritorno), m
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si calcolano - in prima approssimazione - le portate dei circuiti, in base al loro diametro e al relativo valore di rm.

•  Si calcolano le perdite di carico totali (Hct) di ogni circuito in base alla portata di prima approssimazione, al diametro
dei tubi, al percorso dei circuiti (lunghezza e curve) e ai componenti da utilizzarsi (tipo valvole, detentori e corpi
scaldanti).

•  Si calcolano - in seconda approssimazione - le portate dei circuiti, bilanciando le perdite di carico (relative alle portate
di prima approssimazione) ad una prevalenza convenzionalmente assunta uguale al 90% della prevalenza prestabilita.
Tali portate possono essere calcolate con la formula:

dove: Ga2 = portata in seconda approssimazione del circuito, l/h


Ga1 = portata in prima approssimazione del circuito, l/h
H = prevalenza prestabilita al collettore, mm c.a.
Hct = perdite di carico, mm c.a.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si determina la somma delle portate in seconda approssimazione (Ga2), definite e calcolate al punto precedente.

•  Nota la portata totale (in seconda approssimazione) del collettore, si determina il suo diametro in modo che la
velocità del fluido non superi un limite prestabilito: ad esempio 0,6 m/s. Anche l'eventuale valvola di zona e le valvole
di intercettazione possono essere dimensionate con lo stesso criterio.

•  Si calcola la prevalenza totale (Ht) richiesta agli attacchi del collettore per il passaggio delle portate di seconda
approssimazione. Tale prevalenza si ottiene sommando fra loro le seguenti grandezze:

0,9 . H = prevalenza ipotizzata agli attacchi dei circuiti per il passaggio delle portate in esame,
Hcv = perdite di carico del collettore, dell'eventuale valvola di zona e delle valvole di intercettazione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si calcolano - in terza approssimazione - le portate dei circuiti, bilanciando la prevalenza sopra determinata a quella
effettivamente disponibile.
Tali portate possono essere calcolate con la formula:

dove:
Ga3 = portata in terza approssimazione del circuito, l/h
Ga2 = portata in seconda approssimazione del circuito, l/h
H = prevalenza prestabilita agli attacchi del collettore, mm c.a.
Ht = prevalenza, mm c.a.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si assumono, infine, le portate effettive dei circuiti uguali a quelle calcolate in terza approssimazione.

•  Si calcola la temperatura media di ogni corpo scaldante con le formule:

dove:
tm = temperatura media del corpo scaldante, °C
tmax = temperatura massima di progetto, °C
Δt = salto termico del corpo scaldante, °C
Q = potenza termica richiesta, W
G = portata del circuito, l/h
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo teorico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si calcola il fattore di resa di ogni corpo scaldante

•  Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Considerando le normali prevalenze adottate e un salto termico massimo di 15°C, risulta conveniente adottare i
seguenti diametri interni:

D int = 8 mm per Q inferiore a 1.400 W


D int = 10 mm per Q compreso fra 1.400 e 2.500 W.

•  Si calcola la perdita di carico lineare media di ogni circuito in base alla prevalenza prestabilita. Con sufficiente
approssimazione tale valore può essere calcolato con la formula empirica:

ponendo: f = 0,6 per circuiti senza valvole termostatiche, f = 0,4 per circuiti con valvole termostatiche.

e dove: rm = perdita di carico lineare media del circuito, mm c.a./m


H = prevalenza agli attacchi del collettore, mm c.a.
L = lunghezza del circuito (andata e ritorno), m
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si calcolano - in prima approssimazione - le portate dei circuiti, in base al loro diametro e al relativo valore di rm.

•  Si calcola la portata totale che passa attraverso il collettore sommando fra loro le portate di ogni circuito.

•  Si determina il diametro del collettore in base alla portata totale. Per i collettori normalmente in commercio, si
possono adottare le seguenti soluzioni:

•  diametro 3/4” per portate minori di 800 l/h


•  diametro 1” per portate comprese fra 800 e 1.600 l/h.

Per portate più elevate di 1.600 l/h, conviene generalmente sdoppiare il collettore.

Anche l’eventuale valvola di zona e le valvole di intercettazione possono essere dimensionate nello stesso modo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Calcolo pratico con prevalenza prestabilita e diametri predefiniti
•  Si calcola la temperatura media di ogni corpo scaldante con le formule:

dove: tm = temperatura media del corpo scaldante, °C


tmax = temperatura massima di progetto, °C
Δt = salto termico del corpo scaldante, °C
Q = potenza termica richiesta, W
G = portata del circuito, l/h

•  Si calcola il fattore di resa di ogni corpo scaldante

•  Si determina la configurazione dei corpi scaldanti in base alla potenza richiesta e alla loro effettiva resa termica.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Parametri di progetto
PARAMETRI RICHIESTI PER IL DIMENSIONAMENTO DELL'IMPIANTO

•  Prevalenza di zona;
•  Temperatura massima di progetto;
•  Salto termico;
•  Diametro dei circuiti interni;
•  Potenza termica richiesta;
•  Temperatura ambiente;
•  Lunghezza di adduzione collettore-corpi scaldanti;
•  Caratteristiche fluidodinamiche del tubo, del collettore e delle valvole;
•  Caratteristiche fluidodinamiche e termiche dei corpi scaldanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Parametri di progetto
PARAMETRI DA DETERMINARE E VERIFICARE

•  Diametri dei tubi (se non predefinito);


•  Diametri del collettore e delle valvole;
•  Velocità del fluido;
•  Dimensioni dei corpi scaldanti;
•  Portata dei circuiti e del collettore.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Prevalenza di zona
È la prevalenza che si ipotizza disponibile a monte del collettore. Generalmente conviene che questa grandezza sia
variabile da:

•  800 a 1.200 mm c.a. per impianti a radiatori senza valvole termostatiche;

•  1.000 a 1.500 mm c.a. per impianti a radiatori con valvole termostatiche;

•  1.200 a 2.000 mm c.a. per impianti con convettori e ventilconvettori.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Temperatura massima di progetto
È la temperatura massima del fluido inviato ai corpi scaldanti. Per questa grandezza è consigliabile assumere valori
variabili da:

•  70 a 80°C con caldaie tradizionali;

•  50 a 60°C con caldaie a condensazione e pompe di calore;

•  60 a 75°C con teleriscaldamento.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Salto termico
È la differenza tra la temperatura di andata del fluido e quella di ritorno nelle condizioni di progetto.

Generalmente sono adottati valori variabili da:


•  10 a 15°C negli impianti con caldaie tradizionali;
•  5 a 10°C negli impianti con caldaie a condensazione e pompe di calore;
•  15 a 20°C negli impianti collegati al teleriscaldamento.

Con caldaie a condensazione e pompe di calore un salto termico contenuto serve ad aumentare la resa termica dei
corpi scaldanti.

Al contrario col teleriscaldamento (cioè con un sistema che impone, per esigenze tecniche ed economiche del
fornitore, basse temperature di ritorno: ad esempio minori di 60°C) un salto termico elevato consente di aumentare la
temperatura di mandata e quindi la resa termica dei corpi scaldanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Velocità del fluido
È consigliabile evitare soluzioni che comportano velocità del fluido superiori a 0,70÷0,80 m/s. Velocità troppo elevate
possono causare:

•  Rumori,

•  Danni alle valvole,

•  Erosione dei tubi in rame, specie in corrispondenza delle curve strette.


RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Criteri generali di dimensionamento e calcolo per collettori


Dimensioni dei corpi scaldanti
Si deve verificare che le dimensioni dei corpi scaldanti siano compatibili con lo spazio a disposizione. In caso contrario
si deve cambiare tipo di corpo scaldante o ricorrere ad un suo sdoppiamento.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Valvole di regolazione del calore


Taluni sistemi di riscaldamento prevedono un controllo locale della temperatura con sonda climatica locale che
comanda una valvola di zona a due o a tre vie sulla tubazione di adduzione dell’acqua.

Tali sistemi consentono una migliore utilizzazione del calore e rispondono, pertanto, all’esigenza del miglioramento
sull’utilizzo delle risorse energetiche.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Valvole a tre vie


I sistemi con valvola a tre vie sono i più diffusi e sono impiegati per impianti a zone per consentire o interrompere la
portata nei corpi scaldanti e/o in congiunzione di batterie di scambio termico acqua/aria di regolazione climatica.

L’utilizzo più diffuso delle valvole di zona è con impianti a zone e con corpi scaldanti costituiti da radiatori, pannelli a
pavimento, termoconvettori a circolazione naturale. Nel caso di utilizzo di ventilconvettori, la regolazione del calore
immesso può facilmente ottenersi variando la velocità del ventilatore: non è, pertanto, strettamente necessario ricorrere
anche alla regolazione sulla portata dell’acqua.

Per il dimensionamento di un impianto con valvole di zona, si deve considerare innanzitutto il caso in cui le valvole siano
completamente aperte, riconducendo, pertanto, il problema a quello del dimensionamento di circuiti semplici, solo
successivamente vanno analizzati gli squilibri introdotti dall’azione delle valvole.

L’installazione delle valvole a tre vie richiede l’installazione di una valvola di bilanciamento sul circuito di bypass, in tal
modo la perdita di carico è sempre la stessa e non vi sono squilibri sul circuito principale. È importante notare che la
mancanza del bypass può provocare squilibri di portata sulle diramazioni, con formazione di percorsi privilegiati,
velocità troppo elevate, rumore e fenomeni di erosione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Valvole a tre vie


Dunque, appare chiaro come la necessità di bilanciare il bypass nelle valvole a tre vie sia un criterio generale di idraulica:
tutte le volte che vi sono due circuiti in parallelo sono, infatti, le perdite di carico che determinano la portata in ciascun
ramo. Se si impiegano valvole a tre vie, forzando, quindi, il percorso dell’acqua, è necessario che i due rami abbiano la
stessa caduta di pressione, per non provocare squilibri al sistema.
In alternativa all’uso delle valvole di bilanciamento sui bypass, al fine di evitare squilibri del sistema, si può in linea di
principio installare degli autoflow sui circuiti principali: va osservato che la valvola a tre vie lavora, tuttavia, meno bene.

Le valvole a tre vie possono essere del tipo on/off ovvero del tipo modulante: le prime a loro volta possono essere
deviatrici (un ingresso e due uscite) ovvero miscelatrici (una uscita e due ingressi). Le valvole a tre vie di tipo modulante
lavorano, invece, meglio come miscelatrici. Le valvole di zona sono, in genere, valvole on/off e non richiedono elevati
salti di pressione.

Un esempio di valvola modulante a tre vie è la valvola asservita alla sonda climatica esterna, che consente di modulare
la temperatura dell’acqua da inviare ai corpi scaldanti in funzione della temperatura esterna. Tale valvola è installata
congiuntamente ad una valvola di taratura che opponga sul circuito di bypass perdite di carico uguali a quelle del
circuito disattivato (circuito di caldaia).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Valvole a due vie


La regolazione del calore immesso negli ambienti può essere realizzata anche con l’impiego di valvole a due vie, anche
se meno usate nell’edilizia civile. Le valvole a due vie vanno installate immediatamente a valle delle derivazioni alle
utenze, in serie sulle tubazioni, e modulano o interrompono la portata di acqua inviata a queste ultime, in relazione al
segnale proveniente dalla sonda ambiente.

Il procedimento di dimensionamento di tale circuito è analogo a quelli già trattati: si dimensionano prima i circuiti
supponendo tutte le valvole aperte con i criteri precedentemente esposti, introducendo ovviamente anche una perdita
di carico per la valvola; successivamente, si esaminano le situazioni che si possono creare in seguito alla chiusura di
tutte o parte delle valvole di regolazione.

L’impiego di valvole a due vie sulle diramazioni richiede sempre la realizzazione di un bypass sulla colonna o sul circuito
principale: tale bypass può, ad esempio, essere realizzato immediatamente a valle della pompa principale e deve
consentire il ricircolo della portata in eccesso.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Valvole a due vie


La portata in eccesso, cioè nel caso in cui una o più valvole siano chiuse, deve essere indirizzata nel bypass che può
essere realizzato con uno dei seguenti sistemi:
•  Il ricircolo può essere realizzato con valvola di regolazione asservita a un sistema di controllo della pressione
differenziale sui rami di andata e ritorno; tale sistema è vantaggioso per l’elevata precisione: all’aumentare della
pressione tra i rami del circuito, la valvola di regolazione apre il bypass, consentendo il ricircolo dell’acqua;
•  Il bypass può essere realizzato mediante valvola automatica ad angolo di sovrappressione da collocare a valle della
pompa o alla base di ciascuna colonna;
•  Il bypass può essere, infine, realizzato con auto-flow o con orifizio tarato. Il bypass, in questo caso, deve garantire una
portata fissa di ricircolo almeno del 25% della portata nominale per non bruciare gli avvolgimenti delle elettropompe.

Nel caso di impianti grandi e in caso utilizzo di valvole di sovrappressione, i costruttori consigliano l’impiego di più
valvole da installare alla base delle colonne montanti.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Valvole a due vie


La pressione di taratura delle valvole è opportuno sia maggiore del 10% rispetto alla pressione differenziale prevista nel
punto di installazione. La portata del bypass, per non sollecitare eccessivamente le pompe, deve essere assunta non
inferiore al 60% della portata complessiva.

È necessario tenere presente che l’impiego di valvole a due vie o a tre vie modulanti introduce delle ulteriori perdite di
carico di cui si deve tener conto nel dimensionare la pompa.

L’ordine di grandezza dipende dalla velocità dell’acqua nella tubazione e può così valutarsi:
•  Per valvole di controllo di zona inserite in tubazioni di piccolo diametro: 0,1 ÷ 0,2 bar;
•  Per valvole inserite sulle tubazioni principali con velocità dell’acqua di 1 ÷ 1,5 m/s: 0,2 ÷ 0,5 bar.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


Un fenomeno di cui occorre tenere conto nella progettazione degli impianti di riscaldamento è il fenomeno delle
dilatazioni termiche, vale a dire la variazione della lunghezza delle tubazioni nel passaggio da freddo a caldo.
Infatti, le tubazioni, dilatandosi, producono delle tensioni interne e delle forze sui vincoli che se, troppo elevate, ad
esempio, perché la tubazione è erroneamente vincolata, possono provocarne anche la rottura.
Le dilatazioni provocate dall’aumento della temperatura si calcolano con la formula:

dove
ΔL = dilatazione della tubazione (mm)
α = coefficiente lineare di dilatazione (mm/m°C)
Δθ = differenza di temperatura (°C).

I coefficienti di dilatazione termica lineare, nel campo di temperature di interesse negli impianti termoidraulici in edilizia,
hanno i seguenti valori:
•  Acciaio: α = 0,0114 mm/m°C;
•  Rame: α = 0,0170 mm/m°C;
•  Polietilene reticolato: α = 0,1400 mm/m °C.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


Le sollecitazioni che si originano nel tubo, qualora le deformazioni siano impedite, sono proporzionali alle deformazioni
stesse e, quindi, alla differenza di tem­peratura a cui il tubo è sottoposto. Vale in sostanza la seguente espressione:

dove
σ = tensione di trazione o compressione nell’acciaio (N/mm2);
ε = deformazione pari a ΔL/L (adimensionale);
E = modulo di elasticità che per l’acciaio vale E = 210.000 N/mm2, mentre per il rame incrudito è E = 132.000 N/mm2.

È facile rendersi conto che la tensione che si originerebbe in caso di vincoli impediti è indipendente dalla lunghezza e
per l’acciaio vale: σ = (85 - 5) • 0,0114 • 210 = 191 N/mm2, avendo supposto una differenza di temperatura massima (80°C) a
cui l’acqua può essere soggetta: dunque, la tensione calcolata è superiore alla tensione di snervamento, quindi, tale da
poter creare rotture.
Se si moltiplica il valore della tensione trovato per la sezione, si determina la forza che agisce sul vincolo nel caso di
deformazione impedita; anche tale valore è elevato e, nella maggior parte dei casi, non è accettabile. Quindi emerge
che le tubazioni devono poter essere libere di dilatarsi. Occorre, inoltre, verificare che le dilatazioni non provochino
sollecitazioni eccessive in caso di curve e cambiamenti di direzione.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


Nel caso di tubazioni interrate, la lunghezza ammissibile senza prendere provvedimenti dipenderà dall’interazione con il
terreno e dalla possibilità della tubazione di potersi espandere almeno parzialmente.

Negli impianti a sviluppo limitato non occorre, in genere, prendere precauzioni specifiche, in quanto le dilatazioni lineari
sono assorbite dalle curve che le tubazioni incontrano: spesso, cioè, è sufficiente prestare attenzione ad utilizzare vincoli
che consentano lo scorrimento del tubo.

Nel caso di lunghi tratti di tubazioni dritte, occorre eseguire dei calcoli e utilizzare appositi sistemi in grado di assorbire
tali dilatazioni.

Uno dei sistemi più utilizzati per assorbire le dilatazioni è l’utilizzo di compensatori naturali con forma ad L, ad U e a Z.

Una curva ad L della tubatura è per sua stessa natura in grado di assorbire la dilatazione lineare: il comportamento della
curva ad L può, in sostanza, essere assimilato a quello di una trave a mensola sollecitata a flessione, la cui deformazione
nell’estremo libero è pari alla deformazione lineare prodotta dal tubo; la deformazione massima che la L potrà assorbire
dipende, quindi, dalla lunghezza del braccio (ortogonale alla direzione della dilatazione), dall’altezza della sezione, dal
momento di inerzia della sezione rispetto all’asse ortogonale al piano del tubo.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


In figura è rappresentato un tipico dilatatore ad U. Il principio fisico in prima approssimazione può spiegarsi con
semplicità: quando il tubo subisce un allungamento, il braccio A si deforma comportandosi come una trave incastrata
nel punto P intersezione dei segmenti A e B.
Il punto P è, pertanto, il punto più sol­lecitato che si romperà nel caso di deformazioni eccessive. Una schematizzazione
di seconda approssimazione per un dilatatore ad U può essere quella di un telaio piano. Nei dilatatori commerciali la
lunghezza dei segmenti A e B è fornita direttamente dai costruttori, in relazione alla deformazione massima che i
dilatatori possono assorbire e al diametro della tubazione.

Compensatore di dilatazione ad U
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


In accordo alla teoria più semplice, il dilatatore naturale può essere assimilato ad una trave a mensola (dilatatore ad L o a
due mensole se di tipo ad U o Z). Come è noto dalla scienza delle costruzioni, la freccia di una trave a mensola
sollecitata a flessione da una forza concentrata posta sull’estremo libero è data da:

in cui
w = spostamento dell’estremo libero della mensola (mm)
F = forza applicata all’estremo libero (N)
b = lunghezza della mensola (mm)
E = modulo di elasticità del materiale in (N/mm2)
I = momento di inerzia della sezione rispetto ad un asse ortogonale al piano della mensola (mm4)
D = diametro della sezione (mm)
σamm = tensione ammissibile del materiale (N/mm2).
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


Risolvendo la precedente relazione in funzione di b, si ricava la lunghez­za del braccio necessario ad assorbire un
allungamento w = ΔL:

dove
b = lunghezza minima necessaria del braccio del compensatore (mm)
D = diametro esterno (mm)
ΔL = allungamento (mm) del tratto di tubo in cui è inserito il dilatatore
E = modulo di elasticità del materiale (N/mm2)
σamm = tensione ammissibile (N/mm2).

È opportuno osservare, che, talvolta, i compensatori naturali vengono posti in opera con uno stato di pretensione di
valore opposto alle sollecitazioni prodotte dalle dilatazioni termiche: ciò consente, infatti, di ridurre le dimensioni e i
costi dei dilatatori.
I compensatori ad L e a Z vengono spesso ricavati semplicemente scegliendo opportunamente il percorso delle
tubazioni.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: compensatori


Oltre ai compensatori naturali, esistono vari tipi di dilatatori artificiali tra i quali si ricordano:
•  I compensatori a soffietto metallico;
•  I compensatori in gomma;
•  I compensatori telescopici.

I compensatori a soffietto metallico sono costituiti da un tubo a soffietto metallico deformabile e, a seconda del tipo di
movimento che assorbono, possono essere classificati in angolari o assiali, inoltre, si evidenzia che sono quelli
maggiormente utilizzati tra i compensatori artificiali.

I compensatori in gomma hanno scarsa resistenza alle alte temperature e, pertanto, trovano impiego prevalentemente
come giunti antivibranti.

I compensatori telescopici sono costituiti da tubi coassiali, liberi di scorrere tra loro: la tenuta è realizzata con apposita
guarnizione in gomma.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: vincoli delle tubazioni


Va chiarito a questo punto che i vincoli servono a fissare le tubazioni e ad assorbirne le forze che su di esse agiscono e
devono essere dimensionati tenendo conto:
•  Del peso proprio dei tubi e accessori vari ad essi collegati (valvole, strumenti di misura, ecc.);
•  Di sollecitazioni dipendenti da deformazioni per effetto della variazione di temperatura;
•  Delle forze di carattere dinamico dovute al moto del fluido, in corrispondenza di variazioni di direzione o conseguenti
a transitori;
•  Delle forze di attrito originate tra i vincoli stessi e le tubazioni;
•  Delle forze dovute alla pressione interna (generalmente trascurabili).

I vincoli, inoltre, sono classificati come:


•  Punti fissi o incastri;
•  Guide;
•  Sostegni.

I punti fissi vincolano in modo completo la tubazione, vengono introdotti per impedire il movimento di determinati
punti della tubazione. Nel caso di due punti fissi di una medesima tubazione rettilinea, dovrà essere introdotto un giunto
di dilatazione, in grado di assorbire le deformazioni che si originano per il riscaldamento.
RETI DI DISTRIBUZIONE: CRITERI DI PROGETTO

Dilatazioni termiche delle tubazioni: vincoli delle tubazioni


Le guide consentono alla tubazione di muoversi lungo una direzione prefissata, generalmente coincidente con l’asse
del tubo: sono costituite da un collare fissato attraverso guide mobili di vario tipo ad un supporto fisso.

I sostegni consentono movimenti assiali e laterali e hanno lo scopo di sostenere il peso proprio dei tubi; possono essere
del tipo a mensola o del tipo pensile.

Le tubazioni vengono ancorate alla muratura con supporti distanti tra di loro 2 ÷ 4 m: si adottano le distanze più piccole
per i diametri minori (1/2 ÷ 1”) e distanze maggiori al crescere dei diametri (4 ÷ 6”).

Le tubazioni interrate sono posate sul fondo dello scavo sopra un letto di sabbia dello spessore di 10 cm e ricoperte da
sabbia, per evitare danneggiamenti nel contatto con il terreno o con l’eventuale soletta di calcestruzzo realizzata alla
base del cunicolo. La profondità di interramento è generalmente compresa tra i 50 e i 100 cm, anche in relazione ai
percorsi attraversati.

Le tubazioni calde devono essere convenientemente coibentate per ridurre le perdite di calore, conseguendo il
risparmio energetico, come è anche richiesto dalla legislazione nazionale e dalle norme di buona tecnica.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Gli aerotermi sono corpi scaldanti che cedono calore per convezione forzata.

Sono costituiti essenzialmente da:

•  Una batteria alettata di scambio termico,

•  Un ventilatore elicoidale,

•  Un involucro di contenimento.

In base alla direzione dei loro getti d’aria, gli aerotermi possono essere suddivisi in due categorie: a proiezione
orizzontale e a proiezione verticale.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Gli aerotermi a proiezione orizzontale sono chiamati anche aerotermi “a parete” e servono a riscaldare locali non molto
alti.

Per la regolazione del flusso d’aria, sono dotati di alette mobili orizzontali o verticali.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Gli aerotermi a proiezione verticale sono chiamati anche aerotermi “pensili”. Servono a riscaldare locali alti fino a circa
20÷25 metri.

Il flusso d’aria di questi aerotermi può essere regolato con diffusori ad alette, a cone-jet, a tronco di cono o ad
anemostato.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Una corretta scelta di questi corpi scaldanti richiede l’esame dei seguenti fattori:

•  Tipo e collocazione degli aerotermi,

•  Temperatura di uscita dell’aria,

•  Livello sonoro.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Sia il tipo che la collocazione di questi terminali devono essere scelti in modo da evitare il formarsi di zone troppo
fredde o troppo calde.

A tal fine conviene seguire le seguenti indicazioni di ordine generale:

•  Installare non meno di due aerotermi in ogni locale;

•  Verificare che la somma delle portate orarie dei ventilatori non sia inferiore a 3,5 volte il volume dell’ambiente da
riscaldare;

•  Disporre gli aerotermi a proiezione orizzontale con getti d’aria diretti verso le pareti esterne. Le soluzioni migliori sono
quelle con getti fra loro concatenati e diretti tangenzialmente alle pareti;

•  Disporre gli aerotermi a proiezione verticale con getti d’aria che si compenetrano fra loro;

•  Dirigere i getti d’aria calda contro ampie zone vetrate o contro grandi porte;

•  Evitare l’interferenza dei getti d’aria con colonne, macchine o altri ostacoli.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
E’ bene che la temperatura dell’aria in uscita dagli aerotermi sia compresa:

•  Tra 40 e 45°C per aerotermi a proiezione orizzontale,

•  Tra 30 e 45°C per aerotermi a proiezione verticale.

Tali valori consentono di raggiungere un buon compromesso fra due esigenze diverse:

•  Evitare che le correnti d’aria, generate dagli aerotermi stessi, possano provocare sensazioni di freddo,

•  Impedire il formarsi di una forte stratificazione dell’aria.


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Solitamente la temperatura dell’aria in uscita dagli aerotermi è riportata sulle specifiche tecniche del costruttore. In caso
contrario può essere calcolata con le formule:

dove: tau = temperatura dell’aria in uscita dall’aerotermo, °C


tae = temperatura dell’aria in entrata nell’aerotermo, °C
Q = potenza termica resa nelle condizioni considerate, kcal/h
G = portata d’aria del ventilatore riferita a 15°C, m3/h

La prima formula vale per aerotermi a proiezione orizzontale, cioè per aerotermi il cui ventilatore invia aria fredda alla
batteria.

La seconda formula vale per aerotermi a proiezione verticale, cioè per aerotermi il cui ventilatore aspira aria calda dalla
batteria.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
La temperatura dell’aria in entrata nell’aerotermo (tae) si considera:

•  Uguale alla temperatura ambiente, quando si ha un ricircolo totale dell’aria interna;

•  Uguale alla temperatura esterna, quando tutta l’aria che passa attraverso l’aerotermo è derivata dall’esterno;

•  Uguale alla temperatura dell’aria di miscela, quando l’aria che passa attraverso l’aerotermo è in parte presa dall’interno
e in parte dall’esterno. La temperatura dell’aria miscelata può essere determinata con la formula:

dove: tam = temperatura dell’aria di miscela, °C


test = temperatura dell’aria esterna, °C
tint = temperatura dell’aria interna, °C
Gest = portata d’aria esterna, m3/h
Gint = portata d’aria interna, m3/h
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
La potenza termica nominale di un aerotermo è la potenza termica scambiata da un aerotermo con l’ambiente esterno
nelle condizioni di prova.

Tali condizioni possono essere così riassunte:

•  Apparecchiature e strumentazione di misura;

•  Temperature dei fluidi:


•  Te = 80°C, temperatura di entrata del fluido scaldante,
•  Tu = 70°C, temperatura di uscita del fluido scaldante,
•  Tae = 15°C, temperatura dell’aria in entrata nell’aerotermo;

•  Velocità di rotazione del ventilatore: massima prevista;

•  Differenza di pressione statica tra l’entrata e l’uscita dell’aria dall’aerotermo: nulla;

•  Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Negli impianti ad uso civile, è bene che la temperatura di progetto del fluido scaldante sia compresa fra 60 a 90°C.

Valori più elevati (anche fino a 150, 160°C) possono essere adottati in impianti ad uso industriale.

La potenza termica effettiva è la potenza termica scambiata da un aerotermo con l’ambiente esterno nelle effettive
condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:

dove:

Qeff = potenza termica effettiva, W o kcal/h


Qnom = potenza termica nominale, W o kcal/h
F = fattore correttivo globale, adimensionale
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:

dove:

Ft = fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi


Fal = fattore correttivo per effetto dell’altitudine
Fv = fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite. Inoltre, per la
determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:

dove:

Q’ = potenza termica dell’aerotermo, W o kcal/h


B = costante caratteristica dell’aerotermo W/°C o kcal/(h˙°C)
tm = temperatura media del fluido scaldante, °C
tae = temperatura dell’aria in entrata nell’aerotermo, °C

La formula è da ritenersi valida (con buona approssimazione) per temperature medie del fluido scaldante variabili da 60
a 100°C.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
aerotermo quando la temperatura dell’aria in entrata (tae) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da
quelle di prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:

Q’eff e Q’nom possono essere così espressi:

Quindi:
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Il fattore correttivo per effetto dell’altitudine è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un aerotermo
quando la sua installazione non avviene a livello del mare. Tiene conto del fatto che la densità dell’aria, e quindi la sua
capacità di trasportare calore, diminuisce man mano che cresce l’altitudine.

Tale fattore può essere calcolato con la seguente formula:

dove: Po = pressione atmosferica a livello del mare, kPa


P = pressione atmosferica del luogo di installazione, kPa

Il valore di Po è uguale a 101,3 kPa, mentre il valore di P può essere calcolato con la relazione:

dove: H = altezza sul livello del mare


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Aerotermi
Il fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante è il fattore che serve a determinare la potenza termica
di un aerotermo quando la velocità del fluido scaldante è diversa da quella di prova.

Il suo valore dipende dalle caratteristiche costruttive dell’aerotermo ed è, in pratica, determinabile solo per via
sperimentale.

Normalmente i costruttori si limitano ad indicare la velocità (o la portata) minima necessaria per poter considerare nullo
l’effetto correttivo di questo fattore.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
I radiatori sono corpi scaldanti (ad elementi, a piastra, a tubi o a lamelle) che cedono calore per convezione naturale ed
irraggiamento.

In base al materiale con cui sono costruiti, i radiatori possono essere suddivisi nei tipi: in ghisa, in acciaio e in alluminio
(puro o in lega).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori in ghisa
Sono costituiti da elementi realizzati per fusione e assemblati con nipples.

Al tradizionale modello a colonne si è aggiunto, negli anni Settanta, il modello a piastre che presenta anteriormente
un’ampia superficie radiante e posteriormente una sezione atta a limitare lo scambio termico passivo con le pareti.

Gli aspetti positivi sono: non temono fenomeni corrosivi, dilatandosi non causano rumori, sono sempre componibili.

Gli aspetti negativi sono: maggior costo, elevato peso, fragilità, elevata inerzia termica
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori in acciaio
Sono realizzati mediante saldatura di lamiere stampate o di tubi.

Possono essere a piastra, a colonne, a tubi o a lamelle.

Gli aspetti positivi sono: costo contenuto, limitato peso. facile inserimento ambientale, bassa inerzia termica nei tipi a
piastra.

Gli aspetti negativi sono: elevata inerzia termica nei tipi a colonne e a tubi, non sono componibili nei tipi a piastra, a
lamelle e a colonne con elementi saldati; possibili fenomeni di corrosione.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori in alluminio
Sono costituiti da elementi realizzati per estrusione o pressofusione e assemblati con nipples.

Gli aspetti positivi sono: costo relativamente contenuto, leggerezza, sono sempre componibili, limitata inerzia termica.

Gli aspetti negativi sono: possibili fenomeni di corrosione interna.


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
E’ consigliabile installare i radiatori sotto finestra o lungo le pareti esterne perché in tal modo:

•  Si possono contrastare meglio le correnti d’aria fredda che si formano in corrispondenza di tali superfici;

•  Si migliorano le condizioni di benessere fisiologico limitando l’irraggiamento del corpo umano verso le zone fredde;

•  Si evita o si riduce, nell’intorno del corpo scaldante, l’eventuale formazione di condensa superficiale interna.

Per la corretta installazione dei radiatori si devono assicurare le seguenti distanze:

•  Distanza dal pavimento = 10 ÷ 12 cm;

•  Distanza dalla parete = 4 ÷ 5 cm;

•  Per sporgenze al di sopra o a fianco del radiatore (mensole, nicchie, ripiani, ecc..) è consigliabile garantire “distanze di
rispetto” non inferiori a 10 cm.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
La potenza nominale di un radiatore è la potenza termica scambiata da un radiatore (o da un suo elemento) con
l’ambiente esterno nelle condizioni di prova.
Tali condizioni possono essere così riassunte:

•  Apparecchiature e strumentazione di misura;

•  Temperature dei fluidi:


•  Te = 85°C, temperatura di entrata del fluido scaldante,
•  Tu = 75°C, temperatura di uscita del fluido scaldante,
•  Ta = 20°C, temperatura dell’aria;

•  Installazione del corpo scaldante:


•  Distanza dalla parete = 5 cm,
•  Distanza dal pavimento = 10 ÷ 12 cm;

•  Alimentazione del corpo scaldante: entrata in alto e uscita in basso;

•  Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Normalmente conviene che i valori della temperatura di progetto del fluido scaldante siano compresi fra
65 e 75°C. Non sono consigliabili temperature più elevate in quanto possono:

•  Attivare forti moti convettivi e quindi contribuire al formarsi di zone con aria più calda a soffitto e più fredda a
pavimento;

•  Determinare una sensibile “cottura” del pulviscolo atmosferico e quindi causare irritazioni all’apparato respiratorio,
nonché l’annerimento delle pareti dietro e sopra i corpi scaldanti.

D’altra parte, temperature di progetto troppo basse fanno aumentare notevolmente il costo dell’impianto e l’ingombro
dei radiatori.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
La potenza termica effettiva di un radiatore è la potenza termica scambiata da un radiatore (o da un suo elemento) con
l’ambiente esterno nelle effettive condizioni di utilizzo.

Il suo valore può essere calcolato con la formula:

dove:

Qeff = potenza termica effettiva, W o kcal/h


Qnom = potenza termica nominale, W o kcal/h
F = fattore correttivo globale, adimensionale
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:

dove:
Ft = fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi
Fal = fattore correttivo per effetto dell’altitudine
Fpr = fattore correttivo per protezione del radiatore
Fat = fattore correttivo in relazione agli attacchi del radiatore
Fvr = fattore correttivo per effetto della verniciatura
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite.
Inoltre, per la determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:

dove:

Q’ = potenza termica del radiatore, W o kcal/h


B = costante caratteristica del radiatore, W/°C 1,3 o kcal/(h˙°C 1,3)
tm = temperatura media del fluido scaldante, °C
ta = temperatura ambiente, °C

La formula è da ritenersi valida (con buona approssimazione) per temperature medie del fluido scaldante variabili da 40
a 100°C.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
radiatore quando la temperatura ambiente (ta) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da quelle di
prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:

Q’eff e Q’nom possono essere così espressi:

Quindi
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Il fattore correttivo per effetti dell’altitudine è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un radiatore
quando non viene installato a livello del mare. Tiene conto del fatto che la densità dell’aria, e quindi la sua capacità di
trasportare calore, diminuisce man mano che cresce l’altitudine. Tale fattore può essere calcolato con la seguente
formula:

dove: Po = pressione atmosferica a livello del mare, kPa


P = pressione atmosferica del luogo di installazione, kPa

Il valore di Po è uguale a 101,3 kPa, mentre il valore di P può essere calcolato con la relazione:

dove: H = altezza sul livello del mare, m


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Il fattore correttivo per protezione del radiatore è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un radiatore
installato in nicchia, sotto mensola o con mobiletto. Il suo valore tiene conto del fatto che simili protezioni limitano, e
talvolta anche in modo molto rilevante, gli scambi termici fra radiatore e ambiente circostante.

Mediamente si possono ritenere validi i seguenti valori:


Fpr = 0,95 ÷ 0,97 per installazione con mensola.
Fpr = 0,92 ÷ 0,94 per installazione in nicchia.
Fpr = 0,75 ÷ 0,85 per installazione con lamiera forata.
Fpr = 0,95 ÷ 1,00 per installazione con carter aperto.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Il fattore correttivo in relazione agli attacchi del radiatore è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
radiatore non alimentato secondo le condizioni di prova: non alimentato, cioè, con l’entrata in alto e l’uscita in basso sul
lato opposto.

Praticamente il suo valore si considera solo nel caso di radiatori con entrambi gli attacchi bassi.

Mediamente il fattore Fat - sia per attacchi bassi posti sullo stesso lato, sia per attacchi contrapposti - può assumere i
seguenti valori:

Fat = 1,00 per h inferiore a 1,20 m.


Fat = 0,97 ÷ 0,95 per h compreso fra 1,20 e 1,80 m.
Fat = 0,95 ÷ 0,90 per h superiore a 1,80 m.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Radiatori
Il fattore correttivo per effetto della verniciatura è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un radiatore
quando (dopo la prova di resa nominale) viene verniciato. Il suo valore tiene conto del fatto che le vernici possono
ridurre sensibilmente l’energia termica emessa per irraggiamento.

Mediamente si possono ritenere validi i seguenti valori:

Fvr = 1,00 per vernici ad olio

Fvr = 0,85 ÷ 0,90 per vernici a base di alluminio o di bronzo


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
I termoconvettori sono corpi scaldanti che cedono calore soprattutto per convezione.

Sono realizzati con batterie alettate e con dispositivi di “tiraggio” naturale atti ad aumentare la resa termica delle batterie
stesse.

Rispetto ai radiatori, questi corpi scaldanti possono offrire i seguenti vantaggi:


•  A pari potenza sono più leggeri e meno costosi;
•  Hanno minor inerzia termica;
•  Possono risolvere meglio specifici problemi d’arredo.

Per contro presentano i seguenti svantaggi:


•  Sono difficili da pulire, e pertanto non devono essere utilizzati in locali polverosi o dove non è assicurata una
soddisfacente pulizia;
•  Non sono componibili;
•  Non consentono di adottare una regolazione climatica perché la loro curva di resa termica presenta un
“ginocchio” (cioè una forte variazione di pendenza) per temperature del fluido comprese fra 45 e 50°C.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori ad alette semplici


Sono costituiti da una batteria di tubi ad alette piane e da un
dispositivo di “tiraggio”.

Il dispositivo di tiraggio può essere realizzato sfruttando nicchie e


rientranze delle pareti oppure può essere ottenuto utilizzando
appositi rivestimenti e schermature.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori a canali alettati


Sono costituiti da tubi con alette “a greca” disposte in modo da formare piccoli camini convettivi. Di struttura compatta
e robusta, questi termoconvettori possono essere installati lungo le pareti esterne, in nicchie o sottopavimento.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori a mobiletto
Sono costituiti da una batteria di tubi alettati e da un mobiletto che serve ad
attivare l’effetto “camino”.

E’ possibile regolare l’emissione termica di questi termoconvettori agendo su


apposite serrande atte a variare la quantità d’aria che attraversa le batterie.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori a zoccolo
Sono costituiti da tubi alettati e da piccoli carter, così come indicato nella figura sotto riportata.

Dimensioni e forme di questi termoconvettori sono realizzate in modo da consentire un’agevole messa in opera a
“zoccolo”, cioè lungo la fascia inferiore delle pareti.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
La potenza termica nominale è la potenza termica scambiata da un termoconvettore con l’ambiente esterno
nelle condizioni di prova.
Tali condizioni possono essere così riassunte:

•  Apparecchiature e strumentazione di misura;

•  Temperature dei fluidi:


•  Te= 85°C, temperatura di entrata del fluido scaldante,
•  Tu= 75°C, temperatura di uscita del fluido scaldante,
•  Ta= 20°C, temperatura dell’aria;

•  Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
La temperatura di progetto del fluido scaldante normalmente conviene che i valori di questa temperatura siano
compresi fra 60 e 70 °C.

Non sono consigliabili temperature più elevate in quanto possono:


•  Attivare forti moti convettivi e quindi contribuire al formarsi di zone con aria più calda a soffitto e più fredda a
pavimento;
•  Determinare una sensibile “cottura” del pulviscolo atmosferico e quindi causare irritazioni all’apparato respiratorio,
nonché l’annerimento delle pareti sopra i corpi scaldanti.

D’altra parte, temperature di progetto troppo basse fanno aumentare notevolmente il costo dell’impianto e l’ingombro
dei termoconvettori.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
La potenza termica effettiva è la potenza termica scambiata da un termoconvettore con l’ambiente esterno nelle
effettive condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:

dove:

Qeff = potenza termica effettiva, W o kcal/h

Qnom = potenza termica nominale, W o kcal/h

F = fattore correttivo globale, adimensionale


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:

dove: Ft = fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi


Fal = fattore correttivo per effetto dell’altitudine
Fin = fattore correttivo per effetto del tipo di installazione
Fv = fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante

Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite. Inoltre, per la
determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:

dove: Q’ = potenza termica del termoconvettore, W o kcal/h


B = costante caratteristica del termoconvettore, W/°C 1,4 o kcal/(h˙°C 1,4)
tm = temperatura media del fluido scaldante, °C
ta = temperatura ambiente, °C
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
termoconvettore quando la temperatura ambiente (ta) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da
quelle di prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:

Q’eff e Q’nom possono essere così espressi:

Quindi:
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
Il fattore correttivo per effetto dell’altitudine è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
termoconvettore quando non viene installato a livello del mare. Tiene conto del fatto che la densità dell’aria, e quindi la
sua capacità di trasportare calore, diminuisce man mano che cresce l’altitudine. Tale fattore può essere calcolato con la
seguente formula:

dove: Po = pressione atmosferica a livello del mare, kPa


P = pressione atmosferica del luogo di installazione, kPa

Il valore di Po è uguale a 101,3 kPa, mentre il valore di P può essere calcolato con la relazione:

dove: H = altezza sul livello del mare, m


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
Il fattore correttivo per effetto del tipo di installazione è il fattore che serve a determinare la potenza termica di un
termoconvettore installato in nicchia, sotto pavimento o con mobiletto.

Il suo valore tiene conto del fatto che questi sistemi di installazione possono far variare gli scambi termici fra
termoconvettore e ambiente circostante.

Mediamente, per termoconvettori ad alette semplici e a canali alettati, il fattore Fin può essere considerato uguale ai
seguenti valori:

Fin = 0,95 ÷ 1,03 per installazione in nicchia.

Fin = 0,80 ÷ 0,85 per installazione sotto pavimento.

Fin = 1,05 ÷ 1,10 per installazione con mobiletto ad effetto camino.


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termoconvettori
Il fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante è il fattore che serve a determinare la potenza termica
di un termoconvettore quando la velocità del fluido scaldante è diversa da quella di prova.

Il suo valore dipende dalle caratteristiche costruttive del termoconvettore ed è, in pratica, determinabile solo per via
sperimentale.

Normalmente i costruttori si limitano ad indicare la velocità (o la portata) minima necessaria per poter considerare nullo
l’effetto correttivo di questo fattore.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
Le termostrisce sono corpi scaldanti che cedono calore per convezione naturale e per irraggiamento. Sono costituite
essenzialmente da griglie di tubi sulle quali vengono fissate delle piastre metalliche.

Normalmente tali piastre hanno lunghezze variabili da 4 a 9 metri e sono sormontate da materassini in lana minerale che
servono a limitare la cessione di calore verso l’alto.

Le stesse piastre possono essere dotate anche di scossaline, atte a ridurre i moti convettivi laterali.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
In molti casi le termostrisce costituiscono una valida alternativa ad altri corpi scaldanti ed in particolare agli aerotermi,
rispetto ai quali, esse possono offrire i seguenti vantaggi:

•  Costi di gestione più contenuti (circa il 10-20%) per la minor stratificazione dell’aria;

•  Moti convettivi molto più limitati, e pertanto migliori condizioni fisiologiche negli ambienti con aria inquinata da
processi industriali;

•  Funzionamento senza motori elettrici, e quindi nessun problema di rumorosità, di manutenzione dei motori e di
sicurezza antincendio (aspetto questo da considerarsi soprattutto in locali con sostanze infiammabili e esplosive).

Per contro presentano i seguenti svantaggi:

•  Costi di realizzazione più elevati;

•  Possibili difficoltà di collocazione, dovute agli spazi e alle strutture architettoniche disponibili.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
La potenza termica nominale la potenza termica scambiata da una termostriscia con l’ambiente esterno nelle condizioni
di prova.

In Italia, attualmente, non sono in vigore norme di prova specifiche per questi corpi scaldanti e di fatto si procede per
analogia con quanto prescritto dalla norma UNI 6514 (Corpi scaldanti alimentati ad acqua e vapore - prova termica). In
particolare si fa riferimento alle seguenti condizioni:

•  Te = 85°C, temperatura di entrata del fluido scaldante,

•  Tu= 75°C, temperatura di uscita del fluido scaldante,

•  Ta = 20°C, temperatura dell’aria.

La temperatura di progetto del fluido scaldante negli impianti ad uso civile è bene che sia compresa fra 60 e 90°C.

Valori più elevati (anche fino a 170, 180°C) possono, invece, essere adottati in impianti ad uso industriale.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
La potenza effettiva termica scambiata da una termostriscia con l’ambiente esterno nelle effettive condizioni di utilizzo
si può esprimere come:

dove:

Qeff = potenza termica effettiva, W o kcal/h

Qnom = potenza termica nominale, W o kcal/h

F = fattore correttivo globale, adimensionale


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
Il fattore correttivo globale F è determinabile con la relazione:

dove: Ft = fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi


Fin = fattore correttivo per effetto dell’altezza di installazione
Fv = fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante

Tali fattori correttivi sono di seguito determinati in base alle condizioni di prova sopra definite. Inoltre, per la
determinazione del fattore Ft, si considera valida la formula:

dove: Q’ = potenza termica della termostriscia, W o kcal/h


B = costante caratteristica della termostriscia, W/°C 1,15 o kcal/(h˙°C 1,15)
tm = temperatura media del fluido scaldante, °C
ta = temperatura ambiente, °C
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
Il fattore correttivo per la diversa temperatura dei fluidi è il fattore che serve a determinare la potenza termica di una
termostriscia quando la temperatura ambiente (ta) e la temperatura media del fluido scaldante (tm) sono diverse da
quelle di prova. Per definizione il suo valore è dato dal rapporto:

Q’eff e Q’nom possono essere così espressi:

Quindi
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Termostrisce
Il fattore correttivo per effetto dell’altezza di installazione è il fattore che serve a determinare la potenza termica di una
termostriscia in rapporto all’altezza (H) di installazione.

Il suo valore tiene conto del fatto che al crescere dell’altezza (H) diminuisce l’effetto radiante utile della termostriscia
stessa.

Il fattore correttivo dipendente dalla velocità del fluido scaldante è il fattore che serve a determinare la potenza termica
di una termostriscia quando la velocità del fluido scaldante è diversa da quella di prova. Il suo valore dipende dalle
caratteristiche costruttive della termostriscia ed è, in pratica, determinabile solo per via sperimentale.

Solitamente i costruttori indicano la velocità minima del fluido (riferita ai tubi delle termostrisce) necessaria per poter
considerare nullo l’effetto correttivo di questo fattore.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
I ventilconvettori sono terminali che cedono o sottraggono calore all’ambiente per convezione forzata.

Sono costituiti essenzialmente da:

•  Una o due batterie alettate di scambio termico,

•  Uno o due ventilatori centrifughi o tangenziali,

•  Un filtro dell’aria,

•  Una bacinella di raccolta condensa,

•  Un involucro di contenimento.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
I ventilconvettori possono essere classificati secondo i seguenti criteri:

in base al luogo di messa in opera:


•  A pavimento,
•  A parete,
•  A controsoffitto,
•  A soffitto;

secondo il tipo di protezione:


•  Con mobiletto,
•  Ad incasso;
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
I ventilconvettori possono essere classificati secondo i seguenti criteri:

in base alla posizione del ventilatore:


•  Sulla mandata (il ventilatore invia aria alla batteria),
•  Sull’aspirazione (il ventilatore aspira aria dalla batteria);

in relazione alle caratteristiche del flusso d’aria:


•  A percorso libero,
•  A percorso canalizzato;

in base al numero di batterie:


•  A batteria singola (in impianti a 2 tubi),
•  A doppia batteria (in impianti a 4 tubi, cioè in impianti in cui circola contemporaneamente sia il fluido caldo che il
fluido freddo).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
E’ consigliabile installare i ventilconvettori sotto finestra o lungo le pareti esterne perché in tal modo:

•  Si possono contrastare meglio le correnti d’aria fredda che si formano in corrispondenza di tali superfici;

•  Si evita o si riduce, nell’intorno del corpo scaldante, l’eventuale formazione di condensa superficiale interna.

Una corretta scelta di questi corpi scaldanti, richiede l’esame dei seguenti fattori:

•  Potenza termica e portata d’aria dei ventilconvettori,

•  Temperatura di uscita dell’aria,

•  Livello sonoro.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
In locali medio-grandi è consigliabile suddividere la potenza termica richiesta su più ventilconvettori.

Potenze termiche troppo concentrate possono determinare temperature interne non uniformi.

Per garantire una buona distribuzione del calore è bene, inoltre, che la portata d’aria dei ventilconvettori non sia inferiore
a 3,5 volte il volume del locale da riscaldare.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
E’ conveniente che, in fase di riscaldamento, la temperatura dell’aria in uscita dai ventilconvettori sia compresa tra 35 e
50°C.

Tali valori consentono di raggiungere un buon compromesso fra due esigenze diverse:
•  Evitare che le correnti d’aria, generate dai ventilconvettori stessi, possano provocare sensazioni di freddo,
•  Impedire il formarsi di una forte stratificazione dell’aria.

Solitamente la temperatura dell’aria in uscita dai ventilconvettori è riportata sulle specifiche tecniche del costruttore. In
caso contrario può essere calcolata mediante le seguenti formule:

dove: tau = temperatura dell’aria in uscita dal ventilconvettore, °C


tae = temperatura dell’aria in entrata dal ventilconvettore, °C
Q = potenza termica resa nelle condizioni considerate, kcal/h
G = portata d’aria riferita a 20°C, m3/h
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
La prima formula vale per ventilconvettori con ventilatore sulla mandata, cioè con ventilatore che invia aria alla batteria.

La seconda formula, invece, vale per ventilconvettori con ventilatore sull’aspirazione, cioè con ventilatore che aspira aria
dalla batteria.

La temperatura dell’aria in entrata nel ventilconvettore (tae) si considera:

•  Uguale alla temperatura ambiente, quando si ha un ricircolo totale dell’aria interna;

•  Uguale alla temperatura esterna, quando tutta l’aria che passa attraverso il ventilconvettore è derivata dall’esterno;

•  Uguale alla temperatura dell’aria di miscela, quando l’aria che passa attraverso il ventilconvettore è in parte presa
dall’interno e in parte dall’esterno.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
Il rumore prodotto dai ventilconvettori - di norma riportato sulle relative specifiche tecniche - non deve superare il
livello sonoro ammissibile nell’ambiente.

Tale valore dipende essenzialmente dalla destinazione d’uso dei locali e può essere stabilito in base ai valori consigliati
dalla letteratura tecnica.
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
La potenza termica nominale è la potenza termica ceduta da un ventilconvettore all’ambiente esterno nelle condizioni di
prova.
Tali condizioni possono essere così riassunte:

•  Apparecchiature e strumentazione di misura;

•  Temperature dei fluidi (riferite a tre condizioni di prova):


•  Te = 50, 60, 70°C, temperature di entrata del fluido scaldante,
•  Tu = 40, 50, 60°C, temperature di uscita del fluido scaldante,
•  Tae= 20°C, temperatura dell’aria in entrata nel ventilconvettore;

•  Velocità di rotazione del ventilatore: massima prevista;

•  Differenza di pressione statica tra l’entrata e l’uscita dell’aria dal ventilconvettore: nulla;

•  Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
Di norma è conveniente che questa temperatura sia compresa fra 50 e 75°C.

La potenza termica effettiva in fase di riscaldamento è la potenza termica ceduta da un ventilconvettore all’ambiente
esterno nelle effettive condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:

dove:

Qeff = potenza termica effettiva, W o kcal/h

Qnom = potenza termica nominale, W o kcal/h

F = fattore correttivo globale, adimensionale


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
Il fattore correttivo globale F può essere espresso con la seguente funzione:

dove: tm = temperatura media del fluido scaldante, °C


tae = temperatura dell’aria in entrata nel ventilconvettore, °C
vr = velocità di rotazione del ventilatore, giri/min
h = altezza sul livello del mare, m
v = velocità del fluido scaldante, m/s.

La determinazione analitica di questa funzione è molto complessa.

In pratica il suo valore è determinabile solo sperimentalmente.


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
La potenza termica nominale in fase di raffreddamento la potenza termica sottratta da un ventilconvettore all’ambiente
esterno nelle condizioni di prova.

Tali condizioni possono essere così riassunte:

•  Apparecchiature e strumentazione di misura;

•  Temperature dei fluidi:


•  Te = 7°C, temperatura di entrata del fluido di raffreddamento,
•  Tu = 12°C, temperatura di uscita del fluido di raffreddamento,
•  Tae (s) = 27°C, temperatura al bulbo secco dell’aria in entrata nel ventilconvettore,
•  Tae (u) = 19°C, temperatura al bulbo umido dell’aria in entrata nel ventilconvettore;

•  Velocità di rotazione del ventilatore: massima prevista;

•  Differenza di pressione statica tra l’entrata e l’uscita dell’aria dal ventilconvettore: nulla;

•  Pressione atmosferica di prova: uguale alla pressione atmosferica esistente a livello del mare (101,3 kPa).
TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
La scelta della temperatura del fluido di raffreddamento normalmente è compresa fra 7 e 15 °C dipende dalla quantità
di vapore acqueo che si intente sottrarre all’aria che passa attraverso i ventilconvettori.

La potenza termica effettiva in fase di raffreddamento è il calore (sensibile e latente) sottratto da un ventilconvettore
all’ambiente esterno nelle effettive condizioni di utilizzo. Il suo valore può essere calcolato con la formula:

dove:

Qeff = potenza termica effettiva, W o kcal/h

Qnom = potenza termica nominale, W o kcal/h

F = fattore correttivo globale, adimensionale


TERMINALI DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE

Ventilconvettori
Il fattore correttivo globale F può essere espresso con la seguente funzione:

dove:

tm = temperatura media del fluido di raffreddamento, °C


tae (u) = temperatura al bulbo umido dell’aria in entrata nel ventilconvettore, °C
vr = velocità di rotazione del ventilatore, giri/min
h = altezza sul livello del mare, m
v = velocità del fluido di raffreddamento, m/s.

La determinazione analitica di questa funzione è molto complessa. In pratica il suo valore è determinabile solo
sperimentalmente.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Vantaggi
Benessere termico: per poter assicurare in un locale condizioni di benessere termico si devono mantenere zone
leggermente più calde a pavimento e più fredde a soffitto.

Gli impianti che meglio si prestano a offrire tali condizioni sono quelli a pavimento radiante per i seguenti motivi:

1.  La specifica posizione (cioè a pavimento) dei pannelli;

2. Il fatto che essi cedono calore soprattutto per irraggiamento, evitando così il formarsi di correnti convettive d'aria
calda a soffitto e fredda a pavimento.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Vantaggi
Qualità dell’aria: il riscaldamento a pannelli è in grado di evitare due inconvenienti tipici degli impianti a corpi scaldanti:
1.  La combustione del pulviscolo atmosferico , che può causare senso di arsura e irritazione alla gola;
2. L'elevata circolazione di polvere, che (specie nei locali poco puliti) può esser causa di allergie e difficoltà respiratorie.

Condizioni igieniche: gli impianti a pannelli esercitano un'azione positiva nel mantenimento di buone condizioni
igieniche ambientali, in quanto evitano:
1.  Il formarsi di zone umide a pavimento, sottraendo pertanto il loro ambiente ideale ad acari e batteri;
2. L'insorgere di muffe (e della relativa fauna batterica) sulle pareti che confinano coi pavimenti caldi.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Vantaggi
Impatto ambientale: nelle costruzioni nuove e negli interventi di recupero con rifacimento dei pavimenti, gli impianti a
pannelli sono gli impianti a minor impatto ambientale perchè:

1.  Non pongono vincoli di natura estetica. La non visibilità dei pannelli risulta molto importante soprattutto quando si
devono climatizzare edifici di rilievo storico o architettonico, dove la presenza di corpi scaldanti può compromettere
l'equilibrio delle forme originali;

2. Non limitano la libertà d'arredo, consentendo così il più razionale utilizzo dello spazio disponibile;

3.  Non contribuiscono al degrado di intonaci, pavimenti in legno e serramenti, in quanto:


•  Non sporcano le pareti di nerofumo,
•  Non consentono il formarsi di umidità a pavimento,
•  Limitano sensibilmente i casi di condensa interna in quanto aumentano la temperatura delle pareti vicine alle solette
con pannelli.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Vantaggi
Calore utilizzabile a bassa temperatura: per merito della loro elevata superficie disperdente, gli impianti a pannelli
possono riscaldare con basse temperature del fluido termovettore.
Questa caratteristica rende conveniente il loro uso con sorgenti di calore la cui resa (termodinamica o economica)
aumenta al diminuire della temperatura richiesta, come nel caso di:

•  Pompe di calore,

•  Caldaie a condensazione,

•  Pannelli solari,

•  Sistemi di recupero del calore,

•  Sistemi di teleriscaldamento, con costo del calore legato (direttamente o indirettamente) alla temperatura di ritorno
del fluido primario.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Svantaggi
Temperatura superficiale del pavimento: calcolo specifico di questo fattore;

Inerzia termica e tipo di utilizzo dell’impianto: gli impianti a pannelli sono caratterizzati dall'avere un'elevata inerzia
termica in quanto, per cedere calore, utilizzano le strutture in cui sono annegati i pannelli stessi.

In ambienti riscaldati con una certa continuità (e con buon isolamento sotto i pannelli) l'inerzia termica di questi impianti
non pone alcun problema e consente:
•  Un buon adeguamento dell'impianto alle condizioni climatiche esterne;
•  Interruzioni o rallentamenti di funzionamento, con tempi di attivazione e disattivazione dell'impianto che vanno
normalmente anticipati di due ore.

Per contro in ambienti riscaldati solo per brevi periodi (ad esempio case di fine settimana) l'inerzia termica degli impianti
a pannelli comporta sensibili sfasamenti tra i tempi di avviamento e quelli di effettivo utilizzo. Pertanto in questi casi
conviene ricorrere ad altri sistemi di riscaldamento.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Svantaggi
Aspetti progettuali: gli impianti a pannelli richiedono:

•  Maggior impegno per la determinazione dei parametri di progetto . Infatti oltre ai parametri necessari per determinare
le dispersioni termiche dei locali, la progettazione degli impianti a pannelli richiede anche la conoscenza dettagliata di
tutti gli elementi costruttivi che riguardano i pavimenti e le solette.

•  Calcoli più complessi e laboriosi, anche se in merito il maggior impegno può essere sensibilmente ridotto con l'uso
del calcolo automatico.

•  Minor adattamento a varianti in corso d'opera o ad impianto ultimato, in quanto non è possibile togliere o aggiungere
porzioni di pannello come invece è possibile con i radiatori.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Svantaggi
Raffrescamento: gli impianti a pannelli consentono anche il raffrescamento dei locali. Si deve tuttavia considerare che
essi presentano in merito due limiti ben precisi:

1.  La limitata resa frigorifera,

2. L'incapacità di deumidificare.

La bassa resa frigorifera dipende dal fatto che negli impianti a pannelli non è possibile abbassare troppo la temperatura
del pavimento senza provocare fenomeni di condensa superficiale. Per questo motivo risulta difficile ottenere potenze
frigorifere superiori a 40-50 W/m2.

L'incapacità di deumidificare dipende invece dalla natura stessa degli impianti a pannelli i cui terminali (cioè i pavimenti)
non possono far condensare ed evacuare parte dell'acqua contenuta nell'aria.

Condizioni igrometriche di benessere si possono pertanto ottenere solo con l'aiuto di deumidificatori: vale a dire con
integrazioni dell'impianto a pannelli che comportano costi ed ingombri non sempre accettabili.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Posa
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Flusso di calore emesso – parametri di calcolo


1.  Parametri relativi alle condizioni al contorno:
•  T a temperatura ambiente, °C
•  T s temperatura del locale o del terreno sottostante, °C

2.  Parametri relativi alla configurazione dei pannelli:


•  S superficie coperta dal pannello, m2
•  I interasse di posa dei tubi, m

3.  Parametri relativi al tipo di tubo:


•  De diametro esterno del tubo, m
•  Di diametro interno del tubo, m
•  λt conducibilità termica del tubo, W/mK
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Flusso di calore emesso – parametri di calcolo


4.  Parametri relativi alla struttura di contenimento dei pannelli:
•  Rp resistenza termica del pavimento, m2K/W
•  sm spessore del massetto sopra i tubi, m
•  λm conducibilità termica del massetto, W/mK
•  Rs resistenza termica sotto pannello, m2K/W

5.  Parametri relativi alla temperatura del fluido termovettore:


•  Te temperatura di entrata del fluido termovettore, °C
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Flusso di calore verso l’alto emesso


%
%
dove:
Q = flusso di calore verso l'alto emesso dal pannello, W

S = superficie coperta dal pannello, m2

Δt = media logaritmica fra la temperatura del fluido e la temperatura ambiente, °C

B = fattore relativo alle caratteristiche del tubo, W/m2K

Fp = fattore relativo alla resistenza termica del pavimento, adimensionale

FI = fattore relativo all'interasse dei tubi, adimensionale

Fm = fattore relativo allo spessore del massetto sopra i tubi, adimensionale

FD = fattore relativo al diametro esterno del tubo, adimensionale


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Flusso di calore verso l’alto emesso


La media logaritmica fra la temperatura del fluido e la temperatura ambiente si calcola come:

dove:

Δt = media logaritmica fra la temperatura del fluido e la temperatura ambiente, °C

t e = temperatura di entrata del fluido scaldante, °C

tu = temperatura di uscita del fluido scaldante, °C

t a = temperatura dell'aria ambiente, °C


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Fattore relativo alle caratteristiche del tubo


Si indica col simbolo B e si considera:

B = B0 = 6,7 W/m2K per tubi con: - s t0 = 0,002 spessore, m λt0 = 0,350 conducibilità termica, W/mK

Per tubi con diverso spessore e diversa conducibilità termica, il fattore (B) si calcola con la formula

dove: B0, s t0, λt0 = simboli e valori sopra definiti


Fp = fattore relativo alla resistenza termica del pavimento, adimensionale
FI = fattore relativo all'interasse dei tubi, adimensionale
Fm = fattore relativo allo spessore del massetto sopra i tubi, adimensionale
FD = fattore relativo al diametro esterno del tubo, adimensionale
I = interasse tubi, m
De = diametro esterno del tubo, m
λt = conducibilità termica del tubo, W/mK
s t = spessore del tubo, m
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Fattore relativo alle caratteristiche del tubo


Il fattore relativo alla resistenza termica del pavimento è:

ponendo: α = 10,8 W/m2K


sm0 = 0,045 m
λm0 = 1,0 W/mK

e dove:

λm = conducibilità termica del massetto, W/mK


Rp = resistenza termica del pavimento, m2K/W
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Fattore relativo alle caratteristiche del tubo


Il fattore relativo all’interasse dei tubi è:

dove il fattore AI è determinabile mediante tabelle e l'esponente x (per interasse dei tubi variabile fra 0,050 e 0,375 m) è
calcolabile con la relazione:

essendo: I = interasse tubi, m


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Fattore relativo alle caratteristiche del tubo


Il fattore relativo allo spessore del massetto sopra i tubi:

dove il fattore Am è determinabile mediante tabelle e l'esponente y (per spessore del massetto sopra i tubi maggiore di
0,015 m) è calcolabile con la relazione:

essendo: sm = spessore del massetto sopra i tubi, m


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Fattore relativo alle caratteristiche del tubo


Il fattore relativo al diametro esterno del tubo

dove il fattore AD è determinabile mediante tabelle e l'esponente z (per diametri compresi fra 0,010 e 0,030 m) è
calcolabile con la relazione:

essendo: De = diametro esterno del tubo, m


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Flusso di calore totale emesso

dove:

Qt = flusso di calore totale emesso da un pannello, W

t e = temperatura di entrata del fluido scaldante, °C

tu = temperatura di uscita del fluido scaldante, °C

G = portata del pannello, l/h


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Flusso di calore totale emesso


La portata del pannello può essere determinata con la formula:

ponendo: α = 10,8 W/m2K

e dove: G = portata del pannello, l/h


Q = flusso di calore emesso verso l'alto da un pannello, W
t e = temperatura di entrata del fluido scaldante, °C
tu = temperatura di uscita del fluido scaldante, °C
sm = spessore del massetto, m
λm = conducibilità termica del massetto, W/mK
Rp = resistenza termica del pavimento, m2K/W
Rs = resistenza termica sotto pannello, m2K/W
S = superficie coperta dal pannello, m2
t a = temperatura dell'aria ambiente, °C
t s = temperatura del locale o del terreno sottostante, °C
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Si segue un metodo di calcolo teorico con prevalenza prestabilita agli estremi del pannello.
Si suddivide in:

A. verifica delle condizioni di benessere fisiologico,

B. determinazione della temperatura di ritorno,

C. determinazione della portata,

D. determinazione della lunghezza del pannello,

E. determinazione delle perdite di carico del pannello,

F. verifica di accettabilità della prevalenza richiesta,

G. determinazione e verifica di altri parametri,

H. prevalenza di zona.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Verifica delle condizioni di benessere fisiologico

Deve essere:

dove:
Q = potenza termica richiesta al pannello, W
Qmax = potenza massima cedibile dal pannello, W
S = superficie coperta dal pannello, m2
qmax = potenza specifica massima cedibile dal pannello, W/m2

essendo:
qmax = 100 W/m2 in ambienti dove ci si sofferma in permanenza;
qmax = 150 W/m2 in locali bagno, docce e piscine;
qmax = 175 W/m2 in zone perimetrali o in locali dove si accede raramente.

Se Q è maggiore di Qmax, si deve cedere col pannello una potenza termica inferiore o uguale a Qmax e ricorrere, per la
potenza mancante, ad un corpo scaldante integrativo.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione della temperatura di ritorno

Noti i parametri:
•  potenza termica richiesta,
•  superficie del pannello,
•  temperatura massima di progetto,
•  temperatura ambiente,
•  spessore e conducibilità del massetto,
•  resistenza termica del pavimento,
•  diametro esterno, spessore e conducibilità del tubo,
•  interasse di posa,

La temperatura si trova con le formule precedentemente viste.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione della temperatura di ritorno

3 casi:

1.  La temperatura di ritorno non è inferiore a quella di andata.

In questo caso il pannello non è in grado di emettere il calore richiesto, è cioè un terminale sottodimensionato.
Come soluzione alternativa si può:

•  Scegliere (se possibile) un pannello con interasse più piccolo: cioè un pannello con maggior resa termica;

•  Prevedere un corpo scaldante d'integrazione.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione della temperatura di ritorno

3 casi:

2. La temperatura di ritorno non è superiore a quella ambiente.


In questo caso il pannello partecipa solo parzialmente allo scambio termico con l'ambiente, è cioè un terminale
superdimensionato.

Come soluzione alternativa si può:

•  Scegliere (se possibile) un pannello con interasse più grande: cioè un pannello con minor resa termica;

•  Prevedere un pannello con minore superficie di emissione.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione della temperatura di ritorno

3 casi:

3. La temperatura di ritorno è compresa fra la temperatura di andata e quella ambiente.

In questo caso il valore della temperatura di ritorno non pone (almeno dal punto di vista teorico) alcun limite
all'accettabilità della soluzione in esame.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione della portata

Noti i parametri definiti al punto precedente, la temperatura di ritorno (tu), la resistenza termica sotto pannello e la
temperatura del locale o del terreno sottostante, la portata del pannello si può calcolare con le formule viste
precedentemente.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione della lunghezza del pannello

Si calcola come:

dove:
%
L = lunghezza del pannello, m

La = lunghezza di adduzione (andata e ritorno) fra il collettore e il pannello, m

S = superficie coperta dal pannello, m2

I = interasse del pannello, m


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione delle perdite di carico del pannello

Le perdite di carico totali del pannello si calcolano sommando fra loro le perdite di carico continue e localizzate, il cui
valore si determina come segue:

•  Le perdite di carico continue si calcolano moltiplicando la lunghezza del pannello per le perdite di carico unitarie;

•  Le perdite di carico localizzate si calcolano sommando fra loro le perdite di carico dovute:

•  Alla valvola di intercettazione del pannello,

•  Alle curve del pannello (mediamente queste perdite si considerano comprese fra il 20 e il 30% delle perdite di carico
continue).
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Verifica di accettabilità della prevalenza richiesta

In base al valore della prevalenza richiesta agli estremi del pannello (che coincide con le perdite di carico sopra
determinate) sono possibili due casi:

1.  La prevalenza richiesta è inferiore a quella prestabilita.


In questo caso il pannello risulta accettabile e la differenza, fra la prevalenza richiesta e quella prestabilita, si compensa
mediante taratura della valvola di regolazione prevista per ogni pannello.

2. La prevalenza richiesta è superiore a quella prestabilita.


In questo secondo caso la soluzione elaborata non risulta accettabile.

Come soluzione alternativa si può:


•  Scegliere (se possibile) un pannello con interasse minore;
•  Analizzare la possibilità di cedere al locale una potenza termica leggermente inferiore, dato che anche pochi watts in
meno possono portare la prevalenza richiesta al di sotto di quella prestabilita;
•  Prevedere un corpo scaldante d'integrazione.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Determinazione e verifica di altri parametri

Si devono anche evitare soluzioni con velocità troppo basse

Inoltre, per poter procedere al dimensionamento del generatore di calore e degli altri pannelli si devono determinare
anche i seguenti parametri:

Qt = potenza termica totale emessa dal pannello,

Qs = potenza termica emessa dal pannello verso il basso,

ep = potenza termica media emessa verso l'alto da un metro di tubo,

es = potenza termica media emessa verso il basso da un metro di tubo.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Prevalenza di zona

Si calcola sommando fra loro le seguenti grandezze:

Hp = prevalenza prestabilita agli attacchi dei pannelli,

Hc = perdite di carico dovute al collettore,

Hz = perdite di carico dovute alla possibile presenza della valvola di zona,

Hi = perdite di carico delle valvole di intercettazione generale.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti per il dimensionamento

•  Interasse o interassi (nel caso di pannelli ad interasse variabile);


•  Diametro esterno, spessore e conducibilità termica del tubo;
•  Prevalenza prestabilita;
•  Temperatura massima di progetto;
•  Potenza termica richiesta;
•  Lunghezza di adduzione collettore-pannello;
•  Temperatura ambiente;
•  Temperatura del locale o del terreno sottostante;
•  Superficie coperta dal pannello;
•  Spessore e la conducibilità del massetto;
•  Resistenza termica del pavimento;
•  Resistenza termica sotto pannello;
•  Caratteristiche fluidodinamiche del collettore e delle valvole.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti per il dimensionamento: interassi

Possono variare fino a 30 cm in applicazioni di tipo civile o comunque in ambienti dove ci si sofferma in permanenza.
Possono invece variare fino a 40 cm in applicazioni di tipo industriale o commerciale (ad esempio in capannoni,
magazzini o garages).

La griglia (o la serie) di interassi possibili dipende dai supporti di fissaggio (rete o profilati) o dai pannelli preformati che
si intendono adottare.

Le griglie più utilizzate sono le seguenti:


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti per il dimensionamento: prevalenza prestabilita

È la prevalenza che si ipotizza disponibile agli estremi del pannello.

Generalmente conviene che questa grandezza sia variabile da:

•  1.200 a 1.500 mm c.a. per gruppi termici murali, in quanto dotati di circolatori a limitata prevalenza;

•  1.500 a 2.500 mm c.a. per caldaie a terra, scambiatori o pompe di calore.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti: temperatura massima di progetto

Temperatura massima del fluido scaldante che circola nei pannelli.

Per questa grandezza conviene adottare valori variabili da:


•  45 a 55°C con caldaie tradizionali;
•  40 a 45°C con teleriscaldamento, caldaie a condensazione, pompe di calore;
•  32 a 38°C con pannelli solari.

Tali valori consentono di ottenere un buon compromesso fra due diverse esigenze:
•  Limitare la lunghezza (e quindi il costo) dei pannelli,
•  Ottimizzare il rendimento della sorgente di calore.

Va comunque considerato che il riscaldamento con basse temperature è possibile solo con pavimenti a limitata
resistenza termica
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti: potenza termica richiesta

Potenza richiesta al pannello per poter far fronte al fabbisogno termico del locale da riscaldare.

Tale fabbisogno deve essere calcolato considerando due aspetti tipici dei locali riscaldati con impianti a pannelli:

•  La mancanza di dispersioni termiche attraverso i pavimenti,

•  Il contributo termico di eventuali pannelli posti al piano superiore.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti: temperatura ambiente

Temperatura dell'aria che si deve assicurare all'interno del locale. Il suo valore è generalmente imposto da norme o da
clausole contrattuali.

A pari temperatura ambiente, va comunque considerato che in un locale riscaldato con pannelli la temperatura
operante (cioè la temperatura che con buona approssimazione misura il comfort termico del locale) è mediamente
superiore di 1÷1,5°C rispetto a quella ottenibile con un riscaldamento a corpi scaldanti
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti: temperatura del locale o terreno sottostante

Temperatura del locale o del terreno posti sotto la struttura di contenimento dei pannelli. Per la sua determinazione si
considerano due casi:

1.  Locale posto sotto la soletta di contenimento dei pannelli: la sua temperatura si determina con gli stessi criteri
adottati per il calcolo delle dispersioni termiche.

2.  Terreno posto sotto il getto di contenimento dei pannelli:


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti: resistenza termica del pavimento

Pari a:

dove:

Rp = resistenza termica del pavimento, m2K/W (si ricava tramite tabelle)

sp = spessore del pavimento, m

λp = conducibilità termica del pavimento, W/mK (si ricava tramite tabelle)


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri richiesti: resistenza termica sotto pannello

Resistenza termica della struttura compresa fra il piano tangente superiore dei tubi e l’ambiente sottostante.

ponendo: α = 5,9 W/m2K

e dove:
Rs = resistenza termica sotto pannello, m2 K/W
sd = distanza fra la tangente superiore dei tubi e l’isolante, m
λm = conducibilità termica del massetto, W/mK
s is = spessore del materiale isolante, m
λis = conducibilità termica del materiale isolante, W/mK
Rsl = resistenza termica del solaio, m2K/W
s in = spessore dell’intonaco, m
λin = conducibilità termica dell’intonaco, W/mK
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare

Si devono determinare per il dimensionamento:

•  Temperatura superficiale del pavimento;


•  Salto termico del fluido scaldante;
•  Portata del pannello;
•  Prevalenza richiesta;
•  Lunghezza del pannello;
•  Velocità del fluido;
•  Potenza termica totale emessa dal pannello;
•  Potenza termica emessa verso il basso;
•  Potenza termica media emessa verso l’alto da un metro di tubo;
•  Potenza termica media emessa verso il basso da un metro di tubo.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: temperatura superficiale del pavimento

Si calcola come:

dove:

tp = temperatura superficiale del pavimento, °C


ta = temperatura ambiente, °C
q = potenza termica specifica (verso l’alto) del pannello, W/m2

Per evitare condizioni di malessere fisiologico, è necessario che la temperatura superficiale a pavimento sia inferiore a:
•  29°C in ambienti dove ci si sofferma in permanenza,
•  33°C in locali bagno, docce e piscine,
•  35°C in zone perimetrali o in locali dove si accede raramente.

Il rispetto di tali valori comporta precisi limiti alla potenza termica cedibile da un pannello.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: salto termico del fluido scaldante

È dato dalla differenza fra la temperatura di entrata e quella di uscita del fluido scaldante. È consigliabile che il suo valore
non sia troppo elevato per:

•  Non abbassare troppo la temperatura media del fluido e quindi la resa termica del pannello;

•  Evitare temperature superficiali troppo diverse fra loro, specie quando i pannelli sono a serpentine;

Di norma è consigliabile adottare salti termici inferiori a 8 ÷ 10°C.


GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: portata del pannello

Si calcola come (formula già vista):

Considerando che la portata massima di un pannello è mediamente compresa fra:


•  200 ÷ 220 l/h, per tubi con Di = 16 mm
•  120 ÷ 130 l/h, per tubi con Di = 13 mm
è possibile determinare (seppur approssimativamente) la massima potenza termica che un pannello può cedere in
relazione al suo diametro interno.

In particolare, considerando un salto termico di 8°C, risulta:


•  QG.max = ( 200 ÷ 220 ) . 8 . 1,16 = 1.856 ÷ 2.042 W per Di = 16 mm
•  QG.max = ( 120 ÷ 130 ) . 8 . 1,16 = 1.114 ÷ 1.206 W per Di = 13 mm
Tali valori possono essere utilizzati come parametri guida per stabilire (in prima approssimazione) se un locale deve
essere servito con uno o più pannelli.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: prevalenza richiesta

Si calcola come visto precedentemente e non deve superare la prevalenza stabilita

La differenza fra queste due prevalenze si compensa con la valvola di regolazione micrometrica del pannello.

È consigliabile che la differenza fra la prevalenza prestabilita e quella richiesta (cioè il valore della compensazione per
taratura) sia almeno di 200 ÷ 300 mm c.a..

È così possibile (aprendo la valvola micrometrica) incrementare la portata del pannello e quindi la sua potenza termica
quando le condizioni di esercizio sono più impegnative di quelle considerate: ad esempio quando vengano posti sul
pavimento tappeti, non previsti, che coprono estese superfici.
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: lunghezza del pannello

Si calcola come visto precedentemente.

Non esistono particolari limiti in merito al valore di questa grandezza. Nelle applicazioni civili, è però consigliabile non
andare oltre le lunghezze commerciali dei rotoli di tubo (120 ÷ 150 metri).
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: velocità del fluido

È consigliabile non accettare soluzioni con velocità del fluido troppo basse, essenzialmente per due motivi: impedire il
ristagno di bolle d’aria, evitare che il flusso del fluido avvenga in regime laminare, dato che le formule di emissione
dei pannelli sono valide solo in regime turbolento.

Normalmente sono accettabili velocità superiori a 0,1 m/s. Velocità più elevate devono essere previste quando si
realizzano pannelli con contropendenze
GLI IMPIANTI A PANNELLI RADIANTI

Calcolo dei pannelli


Parametri da determinare: potenze

Potenza totale emessa dal pannello: serve a determinare la potenza termica che deve essere fornita dal generatore di
calore.

Potenza termica emessa verso il basso: si determina come differenza fra la potenza termica totale e quella ceduta verso
l’alto dal pannello. Serve a determinare l’effettivo fabbisogno termico dell’ambiente posto sotto il pannello.

Potenza termica media emessa verso l’alto da un metro di tubo: si calcola dividendo la potenza termica emessa verso
l’alto dal pannello per la sua lunghezza. Serve a determinare l’apporto di calore dei tubi di adduzione ai locali da essi
attraversati.

Potenza termica media emessa verso il basso da un metro di tubo: si calcola dividendo la potenza termica emessa verso
il basso dal pannello per la sua lunghezza. Serve a determinare l’apporto di calore dei tubi di adduzione ai locali
sottostanti.
IMPIANTI TERMOIDRAULICI
IMPIANTI IDROSANITARI

Ing. Luca Milandri


IMPIANTI IDROSANITARI

Generalità
Gli impianti idrosanitari hanno lo scopo di assicurare l’acqua corrente all’interno degli edifici, nonché lo scarico delle
acque usate e meteoriche.

Si compongono di:
• Impianto idrico di alimentazione;
• Impianto di scarico.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Generalità e descrizione dei principali componenti


L’impianto idrico ha lo scopo di assicurare la distribuzione dell’acqua all’interno degli edifici sia per uso alimentare che
per gli usi igienici sanitari: comprende dunque la distribuzione dell’acqua fredda e calda.

La quantità di acqua occorrente, che dipende dal numero di utenti da servire, dal tenore e dalle abitudini di vita degli
occupanti e che può variare considerevolmente da caso a caso, viene generalmente prelevata da un acquedotto
pubblico in pressione.

I valori della pressione che si adottano negli acquedotti, generalmente 5 ÷ 6 bar, sono tali da consentire la distribuzione
cittadina nella maggior parte delle abitazioni senza ricorrere a sistemi di soprelevazione della pressione.

Anche la pressione dell’acqua nella rete di distribuzione interna all’edificio deve essere opportunamente determinata in
modo che la pressione residua all’utenza consenta un getto convenientemente configurato. La pressione a monte del
rubinetto deve cioè essere compresa, a seconda del tipo di utenza, entro determinati valori, che ne consentano una
regolazione e utilizzo.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Generalità e descrizione dei principali componenti


È necessario garantire una pressione minima di esercizio che assicuri un getto sufficientemente intenso e variabile, a
seconda dell’utenza: ad esempio, è necessario 1,5 bar a monte dei rubinetti a passo rapido di scarico dei wc, mentre la
pressione a monte di un rubinetto di un lavandino di uso domestico deve essere di almeno 0,5 bar semplicemente per
poter assicurare la regolazione dell’acqua.

La pressione non deve, inoltre, eccedere eccessivamente, in quanto causerebbe il malfunzionamento dei rubinetti,
creando getti eccessivamente intensi che provocherebbero usura dei componenti, rumore, vibrazioni e sollecitazioni sui
tubi.

L’impianto di alimentazione dell’acqua ha origine generalmente da un acquedotto o da un’altra sorgente di acqua (pozzo
o serbatoio di accumulo a valle di un eventuale impianto di trattamento) e comprende le reti tubiere, le apparecchiature
di intercettazione, di regolazione della pressione, di sfiato dell’aria e di sicurezza necessarie per il corretto esercizio della
rete.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dispositivi di allaccio dell’impianto idrico ad un acquedotto


Nel caso di distribuzione di acqua potabile con allaccio da acquedotto pubblico è necessario che nel punto di
consegna all’utente siano installati una serie di dispositivi
Si notano in sequenza:
• Una valvola di intercettazione;
• Una valvola di ritegno;
• Il contatore;
• Un manometro;
• Una presa di acqua per il prelievo campioni;
• Ancora una valvola di intercettazione.

Schema minimo di allaccio dell’impianto idrico all’acquedotto


IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dispositivi di allaccio dell’impianto idrico ad un acquedotto


La valvola di ritegno o valvola di non ritorno è necessaria per evitare eventuali rientri di acqua all’interno
dell’acquedotto, con possibilità di inquinamento delle tubazioni con acqua proveniente dall’utente.

La valvola di ritegno può essere costituita da un disco (detto clapet) che, per effetto della corrente, ruota intorno ad un
perno, permettendo il passaggio dell’acqua, mentre in senso inverso è compresso nella sede dell’otturatore,
impedendo il riflusso all’indietro (così detta valvola a clapet).

Al posto della semplice valvola di non ritorno si utilizzano, in molti casi, dispositivi più complessi chiamati disconnettori:
tali dispositivi sono costituiti schematicamente da due valvole di non ritorno tra le quali è posta una valvola automatica
di scarico all’esterno.

Il dispositivo è formato in sostanza da tre zone distinte e separate tra loro dalle due valvole di non ritorno:
• Zona a monte;
• Zona intermedia, separata dalla prima valvola di non ritorno;
• Zona a valle, separata dalla seconda valvola di non ritorno.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dispositivi di allaccio dell’impianto idrico ad un acquedotto


La valvola di scarico è situata nella zona intermedia, cioè tra le valvole di non ritorno, ed è costituita da un meccanismo a
molla collegato ad uno stelo che apre un otturatore su un condotto di scarico.
Quando la pressione della zona intermedia è maggiore della pressione della zona a monte e vi è, quindi, potenziale
pericolo di rientro di acqua nell’acquedotto, la molla è sollecitata e si apre il condotto di scarico.

Ciò vuol dire che il meccanismo di apertura della valvola di scarico è dipendente dalla pressione differenziale tra la zona
centrale e quella a monte della valvola.

Il disconnettore può, inoltre, essere dotato di prese per la misura della pressione.

In sostanza, il disconnettore è decisamente migliorativo in termini di sicurezza rispetto alla semplice valvola di ritegno, in
quanto è basato sul concetto di doppia sicurezza più scarico ed è tale che possa essere sollecitata per periodi
prolungati solo la seconda valvola di ritegno.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dispositivi di allaccio dell’impianto idrico ad un acquedotto


Il contatore è generalmente del tipo a turbina con asse di rotazione perpendicolare al condotto.

L’elemento sensibile è costituito da una turbina posta in rotazione dal passaggio dell’acqua.

Il numero di giri effettuato dalla turbina è proporzionale alla quantità di acqua che vi passa attraverso, per cui è
sufficiente contare il numero di giri, attraverso sistemi meccanici a ruote dentate, per misurare la quantità di acqua che
ha attraversato il contatore.

I contatori a turbina, che sono utilizzati per utenze medio-piccole, possono essere a quadrante asciutto o bagnato e con
indicatore a lancette o con quadrante numerico.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dispositivi di allaccio dell’impianto idrico ad un acquedotto


Per utenze medio-grandi (superiori ai 100 m3/h e/o ai 500 m3/giorno), invece è usato il contatore Woltmann, il cui
elemento di misura è costituito da una turbina di forma elicoidale con l’asse di rotazione coincidente con l’asse del
condotto: la quantità di acqua che lo attraversa è determinata in base al numero di giri effettuato.

Quando interessa, più che un consumo, la misurazione diretta della portata, specie sulle condotte di grandi dimensioni,
si utilizzano i contatori a venturimetro o a disco tarato. Entrambe le tipologie misurano la differenza di pressione che si
produce per effetto del restringimento nella sezione di gola.

Il manometro serve per verificare che la pressione di consegna sia adeguata; la pressione di esercizio dell’acquedotto è
generalmente intorno ai 5 bar, per cui è ragionevole alimentare palazzi di 5 ÷ 6 piani senza dover ricorrere a sistemi di
soprelevazione della pressione.

L’attacco all’acquedotto è generalmente concesso in ragione di 1 attacco per ogni numero civico, salvo il caso di palazzi
con fronte superiore ai 40 m, per i quali può essere richiesto un secondo attacco. Il contatore generale è situato ad una
distanza non superiore ai 15 m dalla strada.

A valle del contatore si sviluppa la rete utente che si compone, in genere, di collettori orizzontali, colonne verticali e
collettori di distribuzione alle utenze nei singoli piani.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Riduttori e stabilizzatori di pressione


I riduttori e gli stabilizzatori servono per regolare le pressioni della rete distributiva o mediante introduzione di perdite di
carico fisse e costanti (regolatori) ovvero variabili (stabilizzatori) al fine di regolare o mantenere costante la pressione di
mandata.

Lo stabilizzatore di pressione è un apparecchio che consente di mantenere costante una pressione a valle,
indipendentemente da possibili fluttuazioni della pressione a monte. Per questo lo stabilizzatore può essere inserito in
prossimità dell’allaccio all’acquedotto, in modo da regolare ad un valore costante la pressione di mandata all’utente.

Lo stabilizzatore è costituito da una valvola dotata di una speciale membrana elastica solidale con lo stelo della valvola
sulla quale agisce la pressione del fluido a valle della valvola. Quando la pressione del fluido a valle scende sotto il
valore di taratura voluto, la pressione sulla membrana diminuisce e la molla provoca la discesa dello stelo e una
maggiore apertura della valvola, viceversa nel caso di pressione superiore a quella voluta la pressione sulla membrana
provoca la chiusura dell’orifizio di passaggio con aumento della perdita di carico della valvola.

La pressione di mandata dell’impianto deve essere convenientemente regolata, tenendo conto delle perdite di carico
concentrate e distribuite e delle altezze a cui l’acqua deve essere portata. Un valore medio indicativo di pressione in
corrispondenza di ciascun piano può essere di 2,5 ÷ 3 bar, anche se è opportuno eseguire i necessari calcoli di
dimensionamento per ottimizzare il funzionamento delle rubinetterie e degli apparecchi.
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Ammortizzatori del colpo di ariete


II colpo di ariete è un’onda di pressione che si genera all’interno della tubazione per l’arresto brusco del fluido in
movimento, causato, ad esempio, dalla chiusura rapida di una valvola, dall’arresto improvviso di una pompa, dalla
chiusura brusca di un rubinetto, ecc.: si manifesta come un colpo secco all’interno della tubazione ed è perciò detto
colpo d ’ariete.

Gli ammortizzatori del colpo di ariete sono apparecchi obbligatori secondo gli standard normativi europei e servono per
assorbire le sovrappressioni generate dai transitori, dovuti all’arresto brusco del fluido in movimento..

Tale sovrappressione, che dipende dalla velocità di chiusura della valvola, dalle caratteristiche elastiche del materiale
dei tubi, dalla lunghezza del tratto di tubo interessato, dalla velocità iniziale del fluido può risultare pericolosa e produrre
danni e rotture sulle tubazioni, rotture dei vasi di espansione, rumore, incrinatura dei rubinetti.
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Ammortizzatori del colpo di ariete


L’ammortizzatore del colpo di ariete è costituito da un barilotto con un elemento ammortizzante che può essere:
•  Semplicemente ad aria: la sovrappressione è assorbita dal cuscino di aria;
•  Ad aria separata da una membrana: la sovrappressione è assorbita dalla membrana elastica che separa il cuscino
d’aria dall’acqua;
•  A molla: a sovrappressione è assorbita da uno smorzatore a molla.

Il fenomeno del colpo d’ariete è causato dalla brusca variazione di quantità di moto che si produce in tutto il tratto di
tubazione interessato dall’arresto improvviso del fluido.

La pressione che si produce nel punto di arresto è assorbita dalle proprietà elastiche del fluido e delle pareti del
condotto ed, ovviamente, dall’ammortizzatore.

L’ammortizzatore del colpo di ariete viene installato in sommità di ogni colonna montante.
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Valvole di sicurezza, di intercettazione e valvole dell’aria


Negli impianti idrici sono impiegati vari tipi di valvole, in aggiunta a quelle necessarie per regolare la pressione. A
seconda della funzione che svolgono, possono essere definite:
•  Valvole di sicurezza;
•  Valvole di intercettazione;
•  Valvole dell’aria.

Le valvole di sicurezza vengono installate su tratti di tubazione in cui il fluido può essere soggetto a dilatazioni termiche
per effetto del riscaldamento, senza che queste possano avvenire liberamente. La valvola di sicurezza interviene quando
la pressione supera il valore di taratura.

Un caso tipico è quello di un tratto di tubazione posto all’aperto, soggetto a riscaldamento solare, se il tratto di tubo
può essere isolato dal resto dell’impianto. Si ipotizza cioè che il tratto di tubo possa rimanere al sole, pieno di acqua e
isolato tra due valvole di intercettazione chiuse, ad esempio, per effettuare una manutenzione. In tal caso, l’aumento di
volume dell’acqua dovuto al riscaldamento potrebbe provocare la rottura del tubo in assenza di valvola di sicurezza.

Le valvole di sicurezza utilizzate per liquidi sono piccole, generalmente, con diametri da 3/4” e si impiegano quando non
sono previsti altri dispositivi che consentano l’espansione del fluido (vasi di espansione, ammortizzatori del colpo
d’ariete se idonei, ecc.).
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Valvole di sicurezza, di intercettazione e valvole dell’aria


Le valvole di intercettazione, invece, possono essere del tipo:
• A saracinesca;
• A globo o a tappo;
• A sfera;
• A farfalla.

La valvole di intercettazione sono installate obbligatoriamente all’origine dell’impianto e alla base delle colonne
montanti, in modo da consentire l’intercettazione e lo svuotamento della colonna.
Sono, inoltre, installate per consentire lo smontaggio di componenti quali filtri, pompe, ecc., o per i punti di prelievo
campioni e per lo scarico dell’impianto.

Le valvole a saracinesca a corpo piatto o quelle a globo sono mediamente più diffuse, mentre le valvole a sfera si
preferisce adottarle sui piccoli diametri.

Le valvole di sfiato dell’aria sono previste per la messa in esercizio delle tubazioni, e vanno installate alla sommità delle
colonne montanti: si raccomanda particolarmente la loro adozione in tutte le reti di acqua calda a protezione dei circuiti
di ricircolo e vanno ovviamente installate nei punti più alti.
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Dimensionamento delle reti di distribuzione


Il progetto della rete tubiera in senso stretto consiste, una volta note le utenze da servire, nel definire lo schema della
rete e nel calcolo delle relative tubazioni.

Il dimensionamento si compone dei seguenti passi:


•  Esatta definizione dello schema dell’impianto, con evidenziati i collettori, le colonne verticali, le diramazioni e le
utenze finali;
•  Indicazione delle quote delle utenze e delle diramazioni;
•  Indicazione per ogni punto di erogazione della portata richiesta e della pressione minima necessaria;
•  Determinazione per ogni tratto di tubo della portata di progetto, tenendo conto del fattore di contemporaneità come
sarà spiegato successivamente;
•  Determinazione del diametro della tubazione, con il metodo delle velocità ammissibili o con metodi empirici;
•  Verifica delle perdite di carico e calcolo delle pressioni lungo la rete fino alle utenze;
•  Introduzione di eventuali valvole riduttrici di pressione o sistemi di soprelevazione, se necessari.
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Fasi preliminari
Comprende la definizione dello schema geometrico dell’intera rete tubiera a partire dall’acquedotto, la distribuzione
verticale, la distribuzione orizzontale ai piani, le diramazioni finali alle singole utenze da servire.

È necessario redigere un disegno indicando i valori delle quote, per determinare fin dall’inizio, sia pure
approssimativamente le pressioni all’interno delle tubazioni.

Quindi, si deve procedere all’indicazione delle portate e delle pressioni volute su ciascuna utenza, che devono essere
alimentate garantendo determinati valori di portata (dipendenti dal tipo di utenza) con una pressione residua minima a
monte del rubinetto variabile, dipendente dal tipo di utenza.
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Fasi preliminari
Per edifici civili, la portata e la
pressione di progetto sono riportate
nella tabella, dove si riportano le
utenze per uso igienico-sanitario.

Per utenze diverse, è consigliabile


incrementare la pressione a 10 m c.a.
(metro colonna d’acqua) a monte
dell’erogatore o, se necessario, a
valori superiori in dipendenza dal
tipo di apparecchio.

Portate nominali e pressioni a monte dei rubinetti di uso sanitario


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Fasi preliminari
Va segnalato che il tempo medio di utilizzo di ciascuna utenza è differente: per esempio, un lavabo viene mediamente
utilizzato per 2 minuti, una doccia per 5 minuti, un rubinetto a passo rapido per wc solo per 10 secondi.

Occorre distinguere il tipo di edificio a cui corrisponde una diversa frequenza di utilizzo: in genere si considerano le
seguenti categorie indicate in ordine crescente di fattore di contemporaneità:

•  Edifici residenziali, utilizzo intermittente;

•  Ospedali e cliniche, utilizzo intermittente;

•  Alberghi, pensioni, utilizzo intermittente;

•  Uffici e simili, uso continuativo;

•  Scuole, uso continuativo.


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Determinazione della portata di progetto


La determinazione della portata di progetto, in ogni singolo tronco della rete, dovrebbe a rigore tenere conto della
diversa tipologia delle utenze, caratterizzate da differenti tempi di erogazione e differenti frequenze di uso. La
determinazione di un fattore di contemporaneità minore di 1, per cui moltiplicare la somma delle portate, basato sulla
ipotesi di utenze tutte uguali o riconducibili ad utenze elementari di uguali caratteristiche non è un criterio, quindi,
scientificamente esatto.
Studi di contemporaneità possono compiersi servendosi del calcolo delle probabilità, esaminando il caso di gruppi di n
utenze e1, e2, ..., en di diverse portate q1, q2, ..., qn e con differenti caratteristiche di tempi t1, t2, ..., tn e frequenze m1, m2, ..., mn
di erogazioni.

È opportuno distinguere il caso in cui sono installati vasi con rubinetto a passo rapido o flussometro dal caso in cui non
vi siano tali apparecchi, per cui in modo sia pure approssimato, le varie utenze possono nei casi più comuni essere
considerate quasi uguali tra di loro. È sempre distinto il caso in cui vi sono tra le utenze rubinetti a passo rapido o
flussometro dal caso in cui vi sono solo vasi a cassetta.
Un criterio molto semplice è suggerito dall’uso dei grafici contenuti nella norma europea EN 806-3, ripresi e utilizzati
anche sotto forma di tabelle, da diversi costruttori: in essi le portate di progetto da assumere sono correlate
direttamente alla somma delle portate teoriche supposte contemporanee. I suddetti grafici presentano varie curve
dipendenti dalla massima intensità di prelievo prevista: la scelta della curva da utilizzare e, quindi, la portata di progetto
risultante, è funzione del rapporto tra la massima e la minima intensità di prelievo prevista dalle varie tipologie di utenze.
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Determinazione della portata di progetto


Anche i costruttori distinguono sempre almeno due casi:
•  Presenza di prelievi superiori a 0,5 l/s;
•  Presenza esclusiva di prelievi inferiori a 0,5 l/s.
Inoltre, le tabelle proposte dai costruttori sono spesso distinte a seconda del tipo di edificio.

Le norme UNI 9182, invece, suggeriscono per la determinazione della portata di progetto un criterio che si basa sul
concetto di unità di carico: cioè per ogni utenza o gruppo di utenze viene fissato il corrispondente valore dell’unità di
carico.

Tale valore non è necessariamente proporzionale alla portata dell’apparecchio, perché le utenze possono differire, non
solo per portata, ma anche per tempo medio di erogazione e frequenza di utilizzo. Le norme, per quanto attiene le unità
di carico da attribuire ai singoli apparecchi, inoltre, sembrano basarsi su un criterio empirico, tenendo conto che quello
che interessa ai fini della determinazione del fattore di contemporaneità è la combinazione di apparecchi e i diversi
modi possibili di combinazioni e non l’apparecchio singolo.

Per determinare la portata di progetto occorre determinare la somma delle unità di carico relative ad ogni tronco di
tubo, quindi, attraverso le relative tabelle si determina la portata di progetto.
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Determinazione della portata di progetto


In tabella si riportano degli esempi di unità di carico. Le tabelle delle portate di progetto sono ulteriormente distinte a
seconda che vi siano vasi con rubinetti a passo rapido o vi siano esclusivamente vasi a cassetta.

Unità di carico per le abitazioni


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Determinazione della portata di progetto


Un criterio empirico, talvolta, utilizzato per il calcolo delle portate di progetto è basato sul concetto di coefficiente di
contemporaneità. Si evidenzia che tale criterio va utilizzato con cautela, nel senso che le utenze non dovrebbero
differire tra di loro per portata e caratteristiche di utilizzo. Dunque, il metodo appena menzionato può essere utilizzato
nel caso non vi siano vasi con flussometro o rubinetti a passo rapido o altre utenze con proprie caratteristiche peculiari.

Il coefficiente di contemporaneità f, nell’ipotesi di uso intermittente, è assunto, nel criterio empirico pari alla seguente
espressione:

dove
n = il numero di apparecchi supposti identici.

Nel caso vi siano anche rubinetti a passo rapido oltre le altre utenze, un criterio orientativo può essere dedotto
dall’espressione, ponendo al posto di n un espressione del tipo (n - α), con α numero intero pari al rapporto tra la portata
del vaso a passo rapido e la portata di base del rubinetto.
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Determinazione della portata di progetto


Se assumiamo la portata elementare di un’utenza pari a 0,1 l/s, detta Q la portata di progetto e Qi la portata
dell’apparecchio i-esimo la correlazione precedente per il calcolo della portata di progetto diventa:

dove
Qi = la portata dell’i-esimo apparecchio utilizzatore misurata in 1/s
Q = portata di progetto in 1/s.

Con il precedente criterio, tuttavia, quando la somma delle portate degli utilizzatori è superiore a 30 1/s, le precedenti
espressioni sovradimensionano eccessivamente l’impianto, pertanto, non sono più applicabili.
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Determinazione del diametro delle tubazioni


Per la determinazione del diametro delle tubazioni, una volta note le portate di progetto, in accordo al metodo generale
relativo alla progettazione delle tubazioni con fluidi in pressione, è sufficiente fissare una velocità massima consentita
all’interno della tubazione e dimensionare conseguentemente il diametro del tubo, rimandando ad un secondo
momento la verifica della validità dell’ipotesi iniziale relativa alla velocità dell’acqua.

Una volta calcolato il diametro, è necessario eseguire la verifica delle perdite di carico lungo il condotto e accertare che
non siano eccessive: in ogni caso, la pressione residua in ciascuna utenza dovrà risultare sempre superiore alla minima
accettabile.

A dimensionamento ultimato, infine, basandosi sulla pressione effettivamente disponibile nel punto di consegna
all’utente, è opportuno calcolare le perdite di carico distribuite lungo le tubazioni e verificare che risultino comprese tra
20 e 100 mm c.a./m.

Valori superiori della perdita di carico distribuita, infatti, indicano che la velocità dell’acqua è elevata e si può incorrere in
fenomeni di vibrazione e rumori: in questi casi potrebbe essere opportuno utilizzare dei riduttori di pressione. Valori
inferiori della perdita di carico indicano, invece, che la velocità dell’acqua è bassa e la pressione di alimentazione
potrebbe non essere sufficiente: in questo caso, può essere opportuno prevedere un sistema meccanico di
soprelevazione della pressione.
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Determinazione del diametro delle tubazioni


Le perdite di carico concentrate di alcuni elementi tipici degli impianti idrici, quali contatori, disconnettori, ecc. sono
significative e devono essere verificate singolarmente in base all’apparecchio da installare. In prima approssimazione,
nei calcoli tali perdite di carico possono essere evidenziate a parte con il massimo valore ammesso, considerato
indipendente dalla portata: in tabella ne sono forniti gli ordini di grandezza.

Perdite di carico di dispositivi


specifici degli impianti idrici
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Determinazione del diametro delle tubazioni


La verifica della pressione all’utenza più sfavorita può calcolarsi in via semplificata con la seguente espressione:

dove
Put = pressione residua all’utenza (m c.a.);
Pac - pressione dell’acquedotto o pressione di progetto (m c.a.);
ΔH = differenza di quota (m);
Σhap = perdita di carico di apparecchiature specifiche (m c.a.) (si veda tabella precedente);
J = perdita di carico uniformemente distribuita di progetto o risultante dalla scelta della velocità massima all’interno del
tubo in mm c.a./m;
L = lunghezza della tubazione (m) fino all’utenza;
F = fattore adimensionale: rapporto tra le perdite di carico uniformemente distribuite e le perdite di carico totali (escluse
quelle degli apparecchi specifici). Si può assumere F = 0,6 ÷ 0,7.
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Produzione e distribuzione dell’acqua calda


La produzione e distribuzione dell’acqua calda avviene differentemente a seconda se l’acqua calda è prodotta
localmente attraverso uno scaldabagno o se è prodotta in modo centralizzato.

Nel primo caso, infatti, la rete dell’acqua calda possiede uno sviluppo limitato, cioè è costituita semplicemente dalle
tubazioni che collegano il boiler dell’acqua alle utenze; nel secondo caso, invece, lo sviluppo della rete dell’acqua calda
è esteso e occorre, se non si vuole attendere un tempo significativo, una distribuzione a doppia tubazione, necessaria al
riscaldamento delle tubazioni.

Risulta quasi ovvia la considerazione che quando si apre un rubinetto si desidera poter disporre immediatamente di
acqua calda e affinché ciò avvenga in un sistema centralizzato di produzione è necessario disporre di un ricircolo con
acqua sempre in movimento alla temperatura voluta.

Il sistema con ricircolo richiede, naturalmente, l’impiego di un’elettropompa per mantenere in movimento il fluido. Sarà
inoltre necessario introdurre le necessarie valvole di bilanciamento delle perdite di carico, se la rete è ramificata, e gli
altri eventuali dispositivi tipici delle reti di tubazioni già discussi: valvole dell’aria, saracinesche, ecc.
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Produzione e distribuzione dell’acqua calda


L’allaccio della tubazione di ricircolo al sistema riscaldante avviene attraverso una valvola di miscelazione, che può
essere di tipo termostatico o motorizzata: in entrambi i casi la grandezza regolata è la temperatura di mandata dell’acqua
calda. Uno schema tipico di allaccio alla centrale di riscaldamento delle tubazioni è indicato in figura.

Boiler: schema con 2 attacchi


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Produzione e distribuzione dell’acqua calda


L’elemento riscaldante è costituito da un serbatoio, chiamato boiler, dove confluiscono le tubazioni:
•  Acqua fredda di alimentazione (in basso);
•  Acqua calda in uscita (in alto);
•  Tubazioni in ingresso e in uscita del circuito di riscaldamento.
I boiler, inoltre, sono corredati:
•  Di un termostato che agisce interrompendo l’alimentazione di calore (per esempio, fermando la pompa del circuito
di riscaldamento);
•  Di una valvola di sicurezza o meglio un gruppo di sicurezza e scarico che scarica il liquido in caso di aumento della
pressione nel boiler e lo convoglia in fogna.

Si preferisce, in genere, mantenere separato il circuito dell’acqua


calda sanitaria dal circuito di produzione del calore, che può essere
prodotto da una centralina termica indipendente o in comune con
l’impianto di riscaldamento e le cui tubazioni sono inviate allo
scambiatore presente nel boiler.
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Produzione e distribuzione dell’acqua calda


In figura è rappresentato uno schema con tre attacchi, cioè con collegamento indipendente della tubazione di ricircolo
tiepida, che viene immessa a 2/3 dell’altezza del boiler.
Lo schema qui sotto, in particolare, evidenzia lo schema di allaccio concettuale delle tubazioni al boiler per la massima
resa termodinamica.

La valvola di sicurezza, attualmente costituita da un


gruppo di sicurezza specifico per riscaldatori
d’acqua, ha lo scopo di limitare l’aumento di
pressione del fluido dovuto al normale aumento di
v o l u m e c h e s i v e r i fi c a p e r e f f e t t o d e l
riscaldamento e di convogliare in fogna l’acqua in
eccesso.
Il gruppo viene installato in corrispondenza
dell’attacco dell’acqua fredda e comprende anche
una valvola di non ritorno che impedisce rientri
nella tubazione di adduzione dell’acqua fredda.

Boiler: schema con 3 attacchi


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Produzione e distribuzione dell’acqua calda


Un altro sistema che può essere utilizzato per mantenere calde le tubazioni è la tracciatura con fili elettrici.

Si sottolinea che esistono anche speciali cavi elettrici detti autoregolanti, che consentono il passaggio della corrente
solo quando le temperature superficiali del tubo scendono al di sotto di quella prevista

Si tratta di cavi elettrici con contatti separati da una speciale sostanza plastica contenente grafite: la dilatazione termica
della sostanza plastica, al raggiungimento della temperatura sulla superficie del tubo di 40 45°C, produce il
distanziamento dei contatti di grafite e impedisce, quindi, il passaggio della corrente tra i cavi.
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Dimensionamento della rete di ricircolo


La tubazione di ricircolo è più piccola della tubazione di mandata e può essere dimensionata o per via empirica,
mediante tabelle riportate dalle normative in funzione delle colonne da servire o del numero delle utenze, oppure con
calcoli più rigorosi, basati sulla massima dispersione termica accettabile sulla rete di alimentazione.

Un metodo semplificato può essere:


si supponga di voler limitare il raffreddamento dell’acqua a qualche grado centigrado (ad esempio, 2°C).
si può ammettere una perdita media di calore di 10 kcal/h per m di tubo: tale valore è da ritenere un ordine di grandezza,
sottostimato mediamente per grandi diametri, sovrasti­mato per diametri piccoli
si può procedere a dimensionare opportunamente lo strato di coibente per limitare la dispersione termica al valore
voluto.

Valori di riferimento delle dispersioni termiche nei tubi percorsi da acqua calda a 50°C in funzione del diametro e della
temperatura esterna possono essere ricavati dalle normative (UNI 9182 appendice P) o, meglio, possono essere calcolati
dal progettista in funzione dello spessore e del tipo di coibente utilizzato.
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Dimensionamento della rete di ricircolo


Nota la lunghezza della tubazione l (per ottenere la quale occorre sommare la lunghezza di andata e quella di ricircolo) e
stabilita la perdita di calore prevista per ogni metro di tubo, si calcolerà prima la quantità complessiva Q di calore
disperso ogni ora dalla tubazione, quindi, la portata Gr di ricircolo con la seguente espressione:

dove
Gr = portata di ricircolo (kg/h)
Q = quantità di calore disperso dalla tubazione (kcal/h)
Δθ = differenza di temperatura ammessa per l’acqua (°C)
cp = calore specifico dell’acqua pari a 1 kcal/kg °C
l = lunghezza delle tubazioni (m).
Con il procedimento appena esposto si è calcolata la portata minima necessaria in una rete di ricircolo. La formula
afferma che la portata di ricircolo deve essere di 5 l/h per ogni metro di tubazione.
Per il dimensionamento della pompa occorre effettuare in aggiunta al calcolo delle portate anche quello delle perdite di
carico. Nel caso di più rami potrà essere opportuno aggiungere delle valvole di bilanciamento delle perdite di carico o
delle valvole di portata (solo sui ricircoli). La pompa va dimensionata per vincere le perdite di carico che equivalgono
alla somma delle perdite concentrate e di quelle distribuite.
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Fabbisogni di acqua calda


I fabbisogni di acqua calda dipendono dal tipo di edificio, se edificio adibito ad abitazione, albergo, ufficio, ospedale,
ecc., oltre che dalle abitudini delle persone, e si tratta, ovviamente, di valori empirici che occorre conoscere.
In tabella si riportano i consumi medi per persona e per giorno per alcuni tipi di edifici, generalmente assunti nei calcoli.

Consumi di progetto di acqua calda sanitaria a 40°C

* per gli Alberghi sono da intendere esclusi i consumi per la cucina


ed il ristorante
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Fabbisogni di acqua calda


In questa tabella, invece, sono indicati i consumi per apparecchio riferiti ad un singolo uso. Altre tabelle possono essere
trovate sulle specifiche normative o sui manuali dei costruttori ai quali conviene riferirsi per un rapido
dimensionamento.

Consumi di acqua calda per singolo apparecchio ed utilizzo


IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Fabbisogni di acqua calda


Di seguito si espone un procedimento semplificato di calcolo, che si basa sul consueto criterio di cercare un rapido
risultato progettuale piuttosto che un risultato esatto che discenda da lunghi calcoli matematici.

Per gli edifici di civile abitazione di tipo residenziale di medio livello di 3 ÷ 4 vani, se non si dispone di informazioni più
precise, considerando 3 ÷ 4 persone per alloggio, si possono assumere i seguenti dati di progetto:
•  per un solo servizio: 250 l di acqua calda a 40°C;
•  per due servizi: 300 ÷ 350 l di acqua calda a 40°C.

Si consideri inoltre, che la durata del periodo di punta per appartamenti e alberghi è generalmente di 2 ÷ 2,5 h; per gli
ospedali e le cliniche, invece, il periodo di punta da considerare è di almeno 3 h. In qualche particolare caso, ad
esempio, per gli alberghi in montagna nella stagione invernale, alcuni costruttori consigliano di ridurre il periodo di
punta ad 1,5 h; per gli uffici, ancora, il periodo di punta è da considerarsi di 1 ora.

Il tempo di preriscaldamento, invece, può essere fissato a 1,5 - 2,5 h o anche superiore, se è necessario limitare la
potenza di riscaldamento.
Il consumo di acqua nell’ora di punta, parametro che interessa ai fini del dimensionamento del boiler e del sistema di
riscaldamento, risulta minore del consumo giornaliero, per una quantità mediamente inferiore al 10 ÷ 20%, a seconda del
tipo di utenza.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Fabbisogni di acqua calda


La quantità di acqua a 40°C di cui occorre disporre nell’ora di punta dipende, inoltre, dalla contemporaneità di richiesta
tra le unità abitative.

Il fattore di contemporaneità, da applicare riferito all’unità abitativa (e non alla persona) può essere determinato dalle
tabelle della normativa o calcolato con la seguente espressione valida fino a 50 utenze:

dove

n da riferire al numero di unità abitative

per n > 50 può assumersi cautelativamente fc = 0,30.


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Dimensionamento del boiler


Per dimensionare il boiler occorre calcolare il volume e la potenza termica del riscaldatore per una data temperatura di
intervento del termostato.

Generalmente, l’acqua calda è prodotta e conservata ad una temperatura di 60°C o superiore, sia per ridurre le
dimensioni dei serbatoi di accumulo sia per evitare la formazione di batteri, che è favorita quando la temperatura
dell’acqua è inferiore ai 50°C.

Per ridurre le dimensioni dei boiler si assumono temperature massime di 80 ÷ 90°C, anche se ciò comporta la necessità
di porre particolare attenzione nel realizzare un efficace isolamento termico del serbatoio.

Inoltre, l’aumento della temperatura oltre i 60°C se da un lato favorisce i fenomeni di precipitazione dei sali, dall’altro,
comunque, migliora l’efficienza termodinamica del boiler.

L’acqua calda accumulata nel boiler viene mischiata con acqua fredda per essere inviata all’utenza alla temperatura
voluta di 40°C.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dimensionamento del boiler


Si indichi con C la massa in kg o il volume in 1 di acqua calda a 40°C che occorre fornire nell’ora di punta all’insieme
delle unità abitative e che si può assumere pari all’85% del fabbisogno giornaliero di acqua calda dell’unità abitativa,
moltiplicato per il numero di unità abitative e ridotto secondo il fattore di contemporaneità.

La massa M di acqua (kg) o il volume (l) da accumulare con un boiler, a seconda se con C si intende una massa o un
volume, si calcola con la seguente espressione, nella quale si è assunta una temperatura massima dell’acqua pari a θ °C;
sia ipotizzata, inizialmente, la temperatura di intervento del termostato a 60°C, anche al fine di ricavare gli ordini di
grandezza relativi ai volumi e ai tempi:

dove
tpr = il tempo di preriscaldamento (h), cioè il tempo necessario ad accumulare l’acqua calda
tu = il tempo di durata dell’ora di punta (h)
θf = temperatura dell’acqua fredda di alimento (°C), ad esempio 15°C.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dimensionamento del boiler


La formula precedente, in sostanza, evidenzia che la quantità di acqua da accumulare ad alta temperatura si ottiene
moltiplicando il fabbisogno di acqua tiepida per due fattori minori di 1: il primo rapporto è il quoziente delle differenze di
temperatura, il secondo è un quoziente di tempi.

Il primo rapporto esprime la quantità di acqua a 8 °C che ha lo stesso contenuto di energia termica di un litro di acqua a
40°C (principio di conservazione dell’energia).
 
Per comprendere appieno il significato del secondo rapporto, occorre tenere presente che la produzione dell’acqua
calda avviene per un tempo (tu + tpr) maggiore del tempo di consumo pari a tu.

Quindi, per ogni litro di acqua che si consuma bisogna averne da parte un certo quantitativo.

Il rapporto tpr/(tu + tpr) rappresenta, dunque, la frazione di acqua che occorre accumulare rispetto al consumo
complessivo.

Viceversa, la frazione tu/(tu + tpr) rappresenta la frazione del consumo che viene prodotta simultaneamente al consumo
stesso.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dimensionamento del boiler


Per quanto riguarda la potenza termica W da fornire, essa si calcola con la seguente espressione:

dove
θ = temperatura di intervento del termostato (°C)
θf = temperatura dell’acqua fredda di alimento (°C)
M = volume.

sarebbe applicabile se il sistema di produzione di acqua calda fosse costituito da un serbatoio di accumulo a volume
variabile, tipo vaso di espansione chiuso, e il riscaldamento avvenisse durante il prelievo dell’acqua calda sulla frazione
residua di acqua nel serbatoio.
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Dimensionamento del boiler


Nei boiler, in realtà, per evitare eccessive complicazioni impiantistiche, l’acqua calda prelevata e inviata all’utenza è
rimpiazzata da un corrispondente volume di acqua fredda.

L’equazione

rappresenta solo un bilancio di energia, ma nulla dice sulla temperatura a cui viene scaldata l’acqua nel boiler al passare
del tempo né dice alcunché sulla distribuzione delle temperature interne al serbatoio né che il calore fornito durante la
fase di prelievo avvenga ad una temperatura superiore a quella utile di utilizzo dell’acqua, cioè non assicura, in sintesi,
che sia soddisfatto il secondo principio della termodinamica.

Al termine di un ciclo di utilizzo del boiler, l’acqua calda in alto si troverà ad una temperatura di 40°C, quella fredda in
basso alla temperatura θf e all’interno vi sarà acqua parzialmente riscaldata che non ha potuto raggiungere la
temperatura di 40°C a causa della permanenza troppo breve nel boiler.
IMPIANTI ALIMENTAZIONE ACQUA FREDDA E CALDA

Dimensionamento del boiler


Alla luce di queste ultime considerazioni, per dimensionare un boiler con passaggio continuo di acqua occorre
applicare la seguente equazione:

dove
θ = temperatura di intervento del termostato
θmin = temperatura minima accettabile residua a fine ciclo utile di erogazione; è, in sostanza, la temperatura media del
boiler a fine ciclo di erogazione;
θf = temperatura dell’acqua fredda;
MB = volume effettivo da richiedere al boiler.
La temperatura θmin dipende dalle modalità di prelievo dell’acqua calda e, ovviamente, dai fenomeni dissipativi per cui
l’acqua nel serbatoio tende a portarsi tutta alla medesima temperatura e non è facilmente determinabile se non con
misure o prove.

Ai fini dei calcoli di dimensionamento per serbatoi medio piccoli, si suggerisce l’utilizzo di questa relazione ponendo
θmin = 30°C. Tale valore di temperatura scaturisce dall’osservazione che quando la temperatura media dell’acqua nel
boiler è uniforme e pari a 40°C, con resistenza spenta, è ancora utilizzabile parte dell’acqua calda accumulata.
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Dimensionamento del boiler


Come si vede dalla relazione

i boiler sono apparecchi che si rivelano piuttosto inefficienti: pertanto, se non si vuole perdere eccessivamente sul
contenuto termico, in ogni ciclo di erogazione, occorre necessariamente fare in modo che le temperature del
termostato siano il più elevate possibile.
Di contro, elevare la temperatura del termostato del boiler comporta inevitabilmente l’aumento delle perdite attraverso
l’involucro, specie se si lascia l’acqua calda inutilizzata per ore al suo interno, come a volte si fa nelle abitazioni.
In genere, nella maggior parte degli apparecchi per le abitazioni le temperature del termostato sono fissate a 75 ÷ 80°C.
Si può definire rendimento termodinamico di un boiler, indicandolo con ηb il rapporto tra la quantità di calore
effettivamente utilizzabile e quella complessiva immagazzinata:

Si noti che ηb è anche il rapporto tra le quantità M/MB, cioè si potrebbe dire tra i volumi teorici ed effettivi occorrenti.

Anche per il calcolo della potenza termica da richiedere ad un boiler tradizionale si dovrà correggere la relazione,

utilizzando il volume effettivo MB al posto del volume teorico M.


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Sistemi di sopraelevazione della pressione


I sistemi di soprelevazione della pressione sono necessari quando la pressione dell’acquedotto non è sufficiente per
raggiungere tutte le utenze: questa evenienza si può verificare negli edifici oltre i 25 ÷ 30 metri di altezza dal piano
stradale.

Un’altra causa piuttosto frequente per cui occorre far uso di sistemi di soprelevazione è l’insufficienza, in alcune zone, di
acqua proveniente dall’acquedotto in determinati orari, per cui è necessario provvedere ad un accumulo, per esempio,
nelle ore notturne, e al successivo pompaggio all’utenza durante l’ora di punta.

La soprelevazione della pressione si realizza mediante una pompa opportunamente inserita nel circuito dell’impianto
idrico. È bene evidenziare subito che non è consentito attaccare la pompa direttamente all’acquedotto, in quanto l’avvio
e l’arresto della pompa provocherebbe fluttuazioni di pressione con disturbi e ripercussioni nell’acquedotto stesso; è
possibile procedere, invece, all’allaccio con l’acquedotto in una delle seguenti maniere:

•  Mediante serbatoio atmosferico;

•  Mediante serbatoio preautoclave.


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Sistemi di sopraelevazione della pressione


II serbatoio atmosferico è un serbatoio di accumulo dotato di rubinetto a galleggiante che interrompe l’afflusso
dell’acqua al raggiungimento del livello previsto di riempimento: tale sistema presenta il solo svantaggio di perdere la
pressione esistente nell’acquedotto, che dovrà poi essere fornita nuovamente dalla pompa.

Il sistema con preautoclave è sostanzialmente un serbatoio dimensionato per limitare le sovrappressioni indotte dalla
pompa, da valutarsi con criteri analoghi al colpo d’ariete.

A valle della pompa si posiziona un dispositivo che ha lo scopo di accumulare l’acqua per evitare continui avvii e
partenze della pompa.

La pompa, infatti, dovrebbe mettersi in moto ad ogni apertura di rubinetto e fermarsi alla chiusura, ma, in tal modo, si
rischierebbe di bruciare gli avvolgimenti del motore.

La soluzione più utilizzata per evitare questo rischio è quello di far uso di un serbatoio di accumulo, a membrana o con
cuscino d’aria, limitando così il numero di partenze orarie della pompa: si tratta della cosiddetta autoclave.
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Sistemi di sopraelevazione della pressione


L’autoclave, come si è accennato, può essere di due tipi:
•  Con serbatoio a cuscino d’aria;
•  Con serbatoio a membrana.

L’autoclave a cuscino d’aria è costituita da un serbatoio nella cui parte superiore vi è aria in pressione; durante la fase di
accensione della pompa l’acqua viene inviata nel serbatoio, il cuscino di aria viene compresso per far posto ad un certo
volume utile di accumulo di acqua. Successivamente, durante la fase di erogazione alle utenze, la pompa è ferma, la
pressione dell’aria diminuisce e l’acqua viene erogata, secondo la richiesta.

L’autoclave funziona, pertanto, a pressione variabile tra il valore di precarica dell’aria pmin che avviene con un
compressore, e il valore di massima compressione previsto per l’aria pmax alla quale interviene il pressostato della
pompa. È, inoltre, periodicamente necessario ripristinare l’aria che inevitabilmente viene assorbita dall’acqua, perciò è
opportuno che l’autoclave sia dotata anche di compressore fisso corredato al gruppo.

Il valore è pari alla pressione minima necessaria da fornire alla rete idrica, mentre pmax può essere determinato
assumendo una differenza di pressione di lavoro dell’autoclave compresa tra 10 ÷ 20 m c.a.
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Sistemi di sopraelevazione della pressione


Il sistema è corredato dei seguenti ulteriori dispositivi di controllo e sicurezza:
•  Un pressostato che attiva o disattiva la pompa per regolare il normale esercizio;
•  Un livellostato che agisce sul compressore attivandolo quando l’acqua supera il livello massimo previsto;
•  Una valvola di sicurezza installata sulla parte inferiore del serbatoio che interviene al valore di progetto stabilito per
l’autoclave.

Il volume E di acqua che occorre immagazzinare nell’autoclave si calcola con la seguente espressione:

dove
G = portata di progetto (l/s)
n = numero di avviamenti massimi ammessi in un’ora (h-1).
Il 2 al denominatore si giustifica facilmente tenendo conto che la richiesta di acqua all’utenza è variabile tra 0 l/s fino ad
un massimo di G l/s. Nel caso di assenza di richiesta di acqua, l’autoclave è piena e la pompa rimane ferma; nel caso di
richiesta massima dell’utenza l’autoclave non si riempie mai e la pompa funziona in modo continuo. La condizione più
gravosa, per cui si hanno maggiori fermate e partenze della pompa, pertanto - come è facile comprendere - si ha per
una richiesta dell’utenza pari a G/2 l/s.
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Sistemi di sopraelevazione della pressione


Per richieste dell’utenza inferiori alla metà della portata di progetto, il numero di avvii e fermate orarie della pompa è
determinato dal tempo necessario allo svuotamento dell’autoclave (piccoli prelievi); invece, per richieste dell’utenza
superiori alla metà della portata di progetto, il numero di avvii della pompa è determinato dal tempo di riempimento che
aumenta all’aumentare della portata richiesta.

Il volume occupato dall’aria o volume complessivo dell’autoclave Va può essere ricavato dalla seguente espressione che
si ottiene uguagliando la variazione di volume dell’aria al volume di acqua che si accumula:

dove
Va = volume dell’autoclave coincide con il volume di aria in 1 (alla pressione di precarica)
E - volume utile di acqua dell’autoclave (1)
pmin = pressione di precarica (m c.a.)
pmax = pressione di intervento del pressostato della pompa (m c.a.).
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Sistemi di sopraelevazione della pressione


La precedente equazione si giustifica facilmente tenendo conto che deve risultare:

Per il dimensionamento del compressore ci si può avvalere del seguente criterio empirico: la portata di aria in Nm3/h o
in 1/h, se riferita alla pressione atmosferica, può essere pari a tre volte il volume dell’autoclave per ora.
Questo significa che in 2 ore si è in grado di caricare a 6 bar il cuscino di aria; si noti che, in genere, la pressione di
progetto della rete pmin è inferiore a questo valore.
La pressione di produzione dell’aria compressa dovrà ovviamente essere almeno pari alla pressione massima di
funzionamento dell’autoclave.

Per quanto riguarda l’autoclave a membrana, è costituito da un serbatoio dotato di una membrana in gomma naturale o
artificiale e precaricato con azoto. La pressione di precarica dovrà uguagliare, entro un 10% di tolleranza, la pressione di
progetto minima della rete idrica.
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Sistemi di sopraelevazione della pressione


L’autoclave a membrana presenta una maggior numero di parametri progettuali, rispetto al semplice volume di aria: la
scelta del serbatoio è vincolata, in sostanza, anche alla pressione di precarica, che deve essere uguale a quella prevista
per la rete idrica o maggiore, ma senza eccedere la tolleranza ammessa.

Di contro, l’autoclave a membrana non necessita di un compressore di aria e richiede con­trolli e manutenzione più
semplici e meno frequenti.

Le formule e

per il dimensionamento, come tutte le considerazioni per ricavarle, sono valide anche per l’autoclave a membrana.

Il dimensionamento della pompa dovrà essere fatto in modo da fornire la portata di progetto con la prevalenza data
dalla pressione massima di funzionamento dell’autoclave pmax.
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Impianto di scarico delle acque più usate


L’impianto di scarico ha lo scopo di raccogliere e allontanare le acque sanitarie usate e le acque meteoriche.

La raccolta e lo smaltimento delle acque meteoriche, dette anche acque bianche, avviene in genere separatamente
dalle acque sanitarie e solo al momento dello scarico nella fogna pubblica i due sistemi possono collegarsi.

In edifici esistenti, in alcuni grandi centri urbani, anche su costruzioni relativamente recenti, fino ad alcuni decenni fa, i
due sistemi a volte erano in comune: tale criterio costruttivo non è opportuno e non è più accettato dalla normativa.

Il sistema fognario cittadino di alcune città italiane prevede un solo collettore di raccolta sia per le acque chiare che per
le acque nere.

Tale tipo di sistema fognario è detto misto: in assenza di pioggia, il sistema fognario raccoglie le acque nere e le
convoglia all’impianto di depurazione; in presenza di pioggia, un sistema di sfioro delle acque pluviali permette di
convogliare le acque direttamente allo scarico finale, senza passare per rimpianto di depurazione che non potrebbe
assolvere più la sua funzione, dato il diverso tipo e quantità di acque presenti nella rete.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE

Descrizione del sistema


L’impianto di scarico interno raccoglie le acque sanitarie usate degli apparecchi sanitari e degli elettrodomestici e li
convoglia all’esterno dell’edificio.

L’impianto si compone sinteticamente di:


•  Collettori orizzontali di raccordo tra gli apparecchi utilizzatori e le colonne di scarico, chiamati diramazioni di scarico;
•  Una o più colonne verticali di scarico;
•  Collettori orizzontali di scarico al piede dell’edificio, che raccolgono i liquami delle colonne e li convogliano in fogna
o all’impianto di depurazione.

Il collegamento degli apparecchi all’impianto di scarico avviene attraverso guardie idrauliche costituite da almeno 5 cm
di acqua pulita, aventi lo scopo di evitare che i cattivi odori, provocati dalla putrefazione delle sostanze organiche
presenti nei collettori di scarico, rientrino nell’ambiente.

Le guardie idrauliche, dette anche sifoni, costituiscono, in sostanza, dei tappi della rete fognaria e impediscono la
comunicazione diretta dei collettori di scarico con l’ambiente. I sifoni possono essere parte dell’apparecchio, come, ad
esempio, generalmente è il caso dei wc, ovvero possono essere costituite da scatole a forma di imbuto all’interno delle
quali l’acqua percorre un percorso verticale a labirinto, o, ancora, possono anche semplicemente essere realizzati
mediante una opportuna conformazione ad U della tubazione di scarico.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE

Descrizione del sistema


Affinché i sifoni degli apparecchi possano funzionare regolarmente, le colonne verticali di scarico devono essere
adeguatamente ventilate mediante comunicazione con l’atmosfera: ciò si ottiene prolungando le colonne stesse oltre la
sommità dell’edificio e, nel caso di terrazzi di copertura praticabili, oltre la quota del solaio aumentata dell’altezza di una
persona (2 m).

Bisogna osservare che la ventilazione diretta delle colonne di scarico o ventilazione primaria è necessaria, in quanto
durante lo scarico si produce all’interno della colonna un risucchio, con aspirazione in alto e compressione a valle della
massa scaricata: in mancanza di ventilazione, pertanto, ne risulterebbe l’aspirazione dei sifoni.

Oltre la ventilazione primaria nelle colonne di scarico, si realizza generalmente anche un sistema di ventilazione
secondaria, costituita da una seconda colonna, parallela alla colonna di scarico, e di diametro uguale o più piccolo
rispetto alla prima, collegata ad ogni piano con la colonna principale e con le diramazioni di scarico, a valle dei sifoni
degli apparecchi utilizzatori.

La ventilazione secondaria ha lo scopo di garantire una adeguata ventilazione alle diramazioni di scarico ai singoli piani,
in quanto anche le diramazioni sono soggette ad aspirazione del sifone, specie se i vari apparecchi non sono collegati
singolarmente con la colonna di scarico.
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Descrizione del sistema


In figura si riporta uno schema tipico di sistema di scarico con ventilazione
secondaria.
La colonna di ventilazione secondaria si innesta alla base di un pozzetto sifonato di
scarico, ai piedi della colonna (se è presente un pozzetto per colonna) ovvero alla
colonna stessa in mancanza del pozzetto; in alto si innesta alla colonna al di sopra
dell’ultimo scarico e prima che quest’ultima sbocchi all’aperto.

In alto, la colonna di scarico è dotata di uno speciale cappello esalatore detto


mitra che può essere di tipo fisso antipioggia, con aperture perimetrali di
aerazione e cappuccio conico, o ancora di tipo fisso antivento, ovvero, in qualche
caso, anche di tipo girevole con banderuola. Il cappello fisso antivento è dotato di
uno speciale elemento formato da due parti troncoconiche di cui la superiore
capovolta e sormontata da un coperchio conico antipioggia.

L’elemento formato dalle parti troncoconiche è posto a protezione dal vento della
sezione di scarico della colonna ed è agganciato alla colonna in modo da
consentire il passaggio dell’aria nell’atmosfera verso il suolo: tale elemento, quindi,
impedisce che il vento possa investire direttamente la colonna. Esempio di un impianto con ventilazione
secondaria: tubazioni in PVC
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Descrizione del sistema


L’esalatore di tipo a banderuola, invece, consente di mantenere una aspirazione
costante all’interno della colonna di scarico: per effetto del vento, il cappello ruota
e consente lo sfiato della colonna nella direzione in cui soffia il vento, che crea
quindi una depressione e protegge parimenti la sezione di uscita dal vento che
proviene in direzione opposta. La mitra a banderuola, inoltre, viene impiegata per
la chiusura dei condotti di ventilazione provenienti dal pozzetto terminale di
scarico.

Questo pozzetto può essere dotato di una presa di ingresso di aria distinta dal
condotto di espulsione; il condotto di ingresso dell’aria è dotato di valvola a
clapet, azionata dalla depressione prodotta dalla mitra a banderuola che crea un
flusso continuo di aria su tutto il condotto di scarico: la valvola si chiude e la
ventilazione si interrompe per effetto dello scarico.

Le colonne possono essere anche chiuse da speciali valvole di ventilazione, che si


aprono, consentendo il passaggio dell’aria, quando il sistema fognario va in
depressione per effetto del passaggio di uno scarico.
Esempio di un impianto con ventilazione
secondaria: tubazioni in PVC
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE

Descrizione del sistema


La rete di ventilazione degli scarichi, correttamente dimensionata, permette il passaggio del necessario quantitativo di
aria fino all’uscita dei sifoni degli apparecchi idrosanitari.

La massa di acqua in movimento all’interno della colonna verticale produce movimenti di aria con velocità di qualche
decina di m/s, che non devono investire le diramazioni secondarie per evitare il rischio di aspirare i sifoni.

Inoltre, è opportuno tenere presente che, in corrispondenza della curva alla base della colonna e negli eventuali
cambiamenti di direzione della colonna, il fenomeno di compressione dell’aria è maggiormente accentuato, per il
rallentamento e l’ostruzione che inevitabilmente si genera al passaggio del refluo.

In sostanza, è bene evitare cambiamenti di direzione nelle colonne e considerare che nell’ultimo tratto della colonna,
per circa 3 ÷ 4 m, e sul collettore di scarico, entro 1 m di distanza dall’innesto della colonna, è particolarmente importante
la corretta realizzazione della ventilazione secondaria; in assenza di ventilazione secondaria, infatti, non si possono
allacciare diramazioni di scarico alla colonna nelle zone suddette di maggiore pressione idrostatica.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE

Descrizione del sistema


Alla base, le colonne di scarico, dopo due curve a 45 gradi o una 90 gradi chiamate braga o curva tecnica, si innestano
sul collettore di scarico o su un pozzetto sifonato.

Il collettore di scarico confluisce poi nel collettore fognario.

Prima dell’innesto sul collettore fognario è presente il pozzetto, che serve per l’ispezione, la pulizia e lo spurgo del
collettore e delle colonne: è dotato di ventilazione atmosferica con lo scopo di aerare il condotto di scarico, consentire
l’ispezione e la manutenzione e assorbire le sovrappressioni generate dal passaggio del refluo.

Il pozzetto ha, generalmente, il fondo più basso delle tubazioni di ingresso e uscita, in modo tale che i materiali pesanti
possano decantare.

All’interno del pozzetto o immediatamente a valle è realizzato un sifone che costituisce il tappo idraulico verso la fogna.
IMPIANTO DI SCARICO INTERNO ACQUE SANITARIE

Descrizione del sistema


Il pozzetto sifonato costituisce il punto di
separazione idraulica tra il sistema di
scarico interno, costituito dalle colonne e
dal collettore di scarico, e la fogna
esterna.

Sono possibili diversi sistemi costruttivi


che prevedono uno più pozzetti per
fabbricato: se il pozzetto terminale è
realizzato in corrispondenza di ogni
colonna, il sistema di scarico è detto
sistema a sifone multiplo; se, invece, il
pozzetto è unico per tutto il fabbricato, il
sistema è detto a sifone unico: le figure a
e b illustrano entrambi i sistemi.

a) Impianto di scarico di un edificio:


sistema a sifone multiplo
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Descrizione del sistema


Il pozzetto sifonato costituisce il punto di
separazione idraulica tra il sistema di
scarico interno, costituito dalle colonne e
dal collettore di scarico, e la fogna
esterna.

Sono possibili diversi sistemi costruttivi


che prevedono uno più pozzetti per
fabbricato: se il pozzetto terminale è
realizzato in corrispondenza di ogni
colonna, il sistema di scarico è detto
sistema a sifone multiplo; se, invece, il
pozzetto è unico per tutto il fabbricato, il
sistema è detto a sifone unico: le figure a
e b illustrano entrambi i sistemi.

b) Impianto di scarico di un edificio:


sistema a sifone singolo
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Descrizione del sistema


Si ricorda, inoltre, che alla base di ogni colonna di scarico, nel caso di sistema a sifone unico, è necessario prevedere
sempre almeno un tappo di ispezione con spazi sufficienti per poter operare con i normali attrezzi di spurgo.

Negli impianti di scarico riveste particolare importanza il sistema di ventilazione e, in particolare, è da ritenere quasi
sempre preferibile l’utilizzo della ventilazione secondaria, salvo qualche caso più semplice, in edifici con pochi
apparecchi e con non più di qualche piano.

Pur non essendo obbligatoria la ventilazione secondaria, essa, dunque, è altamente raccomandabile: le normative
illustrano le metodologie progettuali specifiche, le distanze, i criteri costruttivi ammessi con e senza ventilazione
secondaria.
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Criteri di progetto di massima


Si premette che le colonne verticali di scarico, in edifici di 5-6 piani, sono costituite spesso da due condotti paralleli,
uno di scarico e uno di ventilazione, con diametro di 100 mm per entrambe le colonne.

La colonna di ventilazione può anche essere più piccola (60 ÷ 80 mm di diametro), anche se nella pratica costruttiva si
preferisce a volte usare due colonne uguali per la maggiore facilità di acquisto e montaggio.

Anche se il collegamento dei wc alla colonna di scarico richiede tubazioni minime d. 80, si preferisce però utilizzare
comunque il d. 100: appare chiaro che il diametro viene scelto in base all’esperienza differentemente da tutti gli altri
apparecchi, per i quali è necessario un dimensionamento rigoroso sulla base delle portate da scaricare e dei principi
fisici precedentemente illustrati.

Le portate massime ammissibili attraverso le tubazioni di scarico, siano esse diramazioni e/o collettori di scarico al
fondo dell’edificio, dipendono dal tipo di tubazioni utilizzate e dal grado di riempimento ammesso in progetto.

Le portate di scarico, come si intuisce, possono in prima approssimazione essere correlate alle portate dell’impianto
idrico di adduzione, osservando che l’acqua pulita ricevuta da un apparecchio viene utilizzata e, quindi, scaricata in
fogna.
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Criteri di progetto di massima


Tuttavia, è utile evidenziare che le portate di scarico sono caratterizzate da una maggiore intensità rispetto all’adduzione
e da una minore frequenza: con esclusione dei wc, si possono ritenere, mediamente, gli scarichi più intensi della
corrispondente linea di alimentazione di acqua fredda di un fattore 2,5 e, conseguentemente, si può fissare l’unità di
scarico minima pari a U = 0,25 l/s.

Per quanto attiene il fattore di contemporaneità da considerare, essendo gli scarichi meno frequenti rispetto
all’alimentazione, è possibile ipotizzare un fattore di contemporaneità inversamente proporzionale alla radice quadrata
del numero degli scarichi n, supposti uguali o - meglio - multipli dell’unità di scarico elementare.
Per un edificio adibito ad abitazione può essere impiegata, quindi, la seguente espressione:

Dove
f = fattore di contemporaneità
Q= portata complessiva da scaricare, somma delle portate elementari (l/s).
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Criteri di progetto di massima


Per i wc, si può ritenere approssimativamente una portata di scarico pari a 1,5 ÷ 2,0 l/s, pari o di poco superiore a quella
immessa in un vaso con rubinetto a passo rapido, tenendo conto che, in realtà, lo scarico avviene in modo non costante
con portate istantanee massime anche più elevate.

Nel caso di alberghi, ristoranti, ospedali, scuole, edifici con uso frequente dei servizi, il fattore di contemporaneità è pari
al prodotto di quello per le abitazioni, dato dalla relazione precedente

e moltiplicato per 1,4.


Si osservi che la formula, introdotta con semplici considerazioni è la medesima formula assunta a base delle norme
europee che verrà semplificata successivamente.

Si tratterà nello specifico, partendo dal basso dell’edificio:


•  Il dimensionamento dei collettori di scarico;
•  Le diramazioni di scarico;
•  Le colonne di scarico.
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Dimensionamento dei collettori di scarico


Il dimensionamento dei collettori di scarico ai piedi delle colonne è immediato, una volta fissata la pendenza, il tipo di
tubazione e il grado di riempimento ammesso che può essere H/D = 50% o H/D = 70%: la portata di progetto si
determina utilizzando il fattore di contemporaneità dato dall’espressione

Fissata quindi la pendenza si determina con la formula di Colebrook-White o con le tabelle da essa ricavate il diametro
minimo necessario.

Nel caso il dimensionamento del collettore di scarico sia eseguito applicando direttamente i principi fisici che sono alla
base del moto dei fluidi nelle condotte di scarico non si può eseguire il progetto a sezione interamente piena in quanto
un margine sul grado di riempimento deve essere sempre lasciato per tener conto di incrostazioni, depositi, usura delle
tubazioni, approssimazioni e insicurezza delle ipotesi del calcolo e di quanto altro non viene e non può essere
considerato nella teoria.
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Diramazioni di scarico
Per le diramazioni di scarico ai piani, esclusi i wc, è opportuno distinguere tra gli scarichi a terra (doccia e vasca da
bagno), da quelli a parete o comunque sopraelevati da terra, per i quali si può tenere conto del maggiore dislivello
complessivo esistente nel condotto, tra il livello dell’apparecchio di scarico e la quota di imbocco nella colonna o nella
scatola sifonata.

Per quanto riguarda gli scarichi soprelevati da terra, quando la portata di scarico è bassa, il tratto orizzontale della
diramazione di scarico lavora con sezione parzialmente piena e l’acqua defluisce per il solo effetto della modesta
pendenza con cui tale tratto di tubazione è realizzato.

Quando, tuttavia, la portata di scarico aumenta, la sezione della tubazione orizzontale posta sotto il pavimento si riempie
completamente e si riempie anche, almeno in parte, il tratto verticale.

Si tenga presente che la velocità dell’acqua, in queste condizioni, è uguale sia sul tratto orizzontale che sul tratto
verticale. La determinazione della velocità e, quindi, della portata ammissibile si può ottenere ancora con la formula di
Colebrook, tenendo in conto la presenza del battente idraulico verticale.
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Diramazioni di scarico
Assumendo che il 50% del battente di progetto sia disperso nelle perdite di carico concentrate, assumendo di disporre
cautelativamente di 20 cm complessivi di battente (è l’esempio di un bidet) e di avere una tubazione di scarico di 3 m di
lunghezza, ne risulta un gradiente idraulico da considerare nella formula di Colebrook del 3%.

Nel calcolo, la tubazione deve essere considerata totalmente piena.

I valori della portata ammessa possono essere quindi dedotti, in funzione del diametro che si intende utilizzare,
semplicemente dalla tabella apposita, raddoppiando i valori ivi contenuti facendo riferimento alla riga corrispondente a
J = 3%.
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Diramazioni di scarico
In questa tabella si riportano, a titolo di esempio, i diametri delle diramazioni di scarico e dei condotti di ventilazione
secondaria comunemente utilizzati.
Si consideri, poi, che la pendenza delle diramazioni di scarico, in particolare se gli scarichi sono a terra, non sono mai
inferiori all’ 1%.
I diametri delle diramazioni di scarico si riferiscono alla tubazione dall’apparecchio alla colonna, immediatamente a valle
del sifone, che in qualche caso può essere di diametro inferiore: ad esempio, per il lavello di una cucina si utilizza un
sifone con tubo dn 32 e una diramazione di scarico dn 40.

Diametri tipici delle diramazioni di scarico


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Colonne di scarico
Le colonne di scarico alle quali, oltre gli altri apparecchi, sono raccordati i wc, hanno diametro minimo dn 100 e possono
essere impiegate in edifici fino a 5 ÷ 6 piani e portate di acque usate, tenuto in conto del fattore di contemporaneità e,
nell’ipotesi di impiego della ventilazione secondaria, di 5,5 l/s.

La dimensione minima delle colonne di ventilazione è di dn 60, se la colonna primaria è da 100 mm e da 75 mm per
colonne dn 125.

Nel caso di progetti senza ventilazione secondaria, è opportuno servirsi delle normative o delle indicazioni dei
costruttori e la portata ammissibile risulta ridotta mediamente del 25 ÷ 30% rispetto al caso con ventilazione secondaria.
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Criteri di progetto convenzionali


Tra i criteri progettuali si deve distinguere tra:
•  Progettazione con sezione delle tubazioni piena a metà;
•  Sezione parzialmente piena (rapporto H/D = 0,7);
•  Sezione interamente piena.

Inoltre, tra i predetti criteri costruttivi si distingue se la colonna di scarico dei wc è separata dagli altri scarichi e se è
presente o meno il sistema di ventilazione secondaria.

I criteri progettuali sono metodologie convenzionali che, a partire dalle ipotesi assunte sulle portate di scarico di
progetto e specifiche per ciascun sistema, conducono al dimensionamento delle diramazioni, colonne e collettori,
secondo tabelle e note tecniche specifiche per ciascuna metodologia di calcolo e criterio costruttivo scelto.
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Criteri di progetto convenzionali


Il calcolo della portata Qmax a base del dimensionamento di uno scarico (diramazione o collettore di scarico), secondo le
norme europee, è pari alla maggiore portata tra quella dell’apparecchio con unità di scarico più alta e quella che si
ottiene dalla seguente formula:

dove
Qww = portata di acqua usata (l/s) tenuto conto della contemporaneità
DUi= unità di scarico o portata di scarico dell’apparecchio i-esimo (l/s)
k = coefficiente di contemporaneità pari ai seguenti valori:
• Per edifici di civile abitazione (uso intermittente): 0,5;
• Per alberghi, ospedali, ristoranti, scuole (uso frequente): 0,7;
• Per servizi e/o docce a disposizione del pubblico (uso molto frequente): 1,0.

Le unità di scarico di progetto per i singoli apparecchi vanno ricavate dalle tabelle delle normative di riferimento e
dipendono, oltre che dal tipo di apparecchio e dal tipo di criterio costruttivo, anche dalla metodologia di calcolo che si
intende adottare.
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Criteri di progetto convenzionali


Sono possibili le seguenti metodologie:
•  Sezione della diramazione piena a metà o sistema I;
•  Sezione della diramazione di piccolo diametro (con rapporto di riempimento H/D = 0,7) o sistema II;
•  Sezione della diramazione completamente piena o sistema III;
•  Sistema con doppia colonna di scarico per wc e per gli altri scarichi o sistema IV.

Tali metodologie sono da intendere criteri convenzionali di progetto e non sempre corrispondono all’andamento dei
fenomeni fisici, dettagliatamente illustrato nelle pagine precedenti.

Se sul collettore fognario vi sono delle portate continue, per esempio, se è prevista la raccolta di acque piovane o di
pompaggio con portata pari a Qc la portata totale per il dimensionamento è data da:

Qtot = Qmax + Qc l/s


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Criteri di progetto convenzionali


Nella tabella, a titolo esemplificativo, si riportano gli ordini di grandezza delle unità di scarico di progetto dei singoli
apparecchi.
Si afferma, infine, che, anche facendo uso delle metodologia convenzionale, la portata ammissibile sul collettore
fognario va calcolata con la formula di Colebrook-White di cui si è già ampiamente discusso.

Valori convenzionali delle unità di scarico


PRODUZIONE DI ACQUA CALDA SANITARIA
CON COLLETTORI SOLARI

Generalità
Data la limitatezza delle risorse energetiche tradizionali disponibili in natura diviene indispensabile la ricerca di fonti
alternative di cui servirsi.

L’energia solare come altre fonti rinnovabili (come, per esempio, l ’energia eolica, l’energia associata alle maree, ecc.) si
presentano in una forma estremamente diluita, ossia dispersa sull’intero globo terrestre e con bassa intensità sugli spazi
di grandezza tecnologicamente utilizzabile; sono inoltre caratterizzate da una aleatorietà e variabilità nel tempo e nello
spazio scarsamente prevedibile.

L’energia solare termica utilizza il calore proveniente dal sole per scaldare l’acqua, raccolta in un serbatoio di accumulo,
attraverso un dispositivo di captazione chiamato collettore solare. Si ipotizzi che l’acqua calda prodotta debba essere
impiegata come acqua sanitaria domestica, in quanto questa è da ritenere l’applicazione più congeniale con l’attuale
tecnologia basata sui collettori piani.
PRODUZIONE DI ACQUA CALDA SANITARIA
CON COLLETTORI SOLARI

Generalità
Purtroppo l’installazione di un pannello solare non consente di avere acqua calda gratuitamente quando si vuole e dove
si vuole: infatti, durante le ore notturne il pannello solare non funziona, come anche durante i temporali la produzione di
calore è praticamente nulla; inoltre, poiché il sole raggiunge una temperatura elevata solo durante le ore centrali della
giornata, la produzione di acqua calda è limitata a queste ore del giorno. Durante l’inverno, poi, la quantità di calore
inviata dal sole è considerevolmente ridotta rispetto a quella estiva: le temperature esterne sono più basse e, pertanto,
la possibilità di raccogliere l’energia solare diventa decisamente più difficoltosa.

Parimenti, in luoghi freddi e in montagna la possibilità di ricorrere ai pannelli solari termici è piuttosto limitata e
decisamente non conveniente. Infatti, per alcune caratteristiche intrinseche dell’energia solare, che saranno spiegate di
seguito, non è possibile elevare la temperatura dell’acqua oltre qualche decina di gradi rispetto alla temperatura
ambiente esterna, senza perdere drasticamente sul rendimento del collettore: in sostanza, conviene operare con 25 ÷ 35
gradi di soprelevazione della temperatura dell’acqua rispetto a quella ambiente e con rendimenti del pannello di circa il
50%.

Da quanto appena detto, si può dedurre che l’energia termica proveniente dal sole e incidente su un collettore piano
correttamente installato è scarsa: durante l’estate la potenza incidente su un pannello nel centro Italia è circa 0,65 kWt/
m2 media (e si riduce a circa la metà in inverno) e occorre una progettazione termodinamica rigorosa che, in sintesi,
richiede competenze specifiche sia nella costruzione del pannello sia nell’installazione sia nella definizione
dell’architettura dell’impianto, in relazione alle condizioni del luogo e al tipo di fabbricato da servire.
PRODUZIONE DI ACQUA CALDA SANITARIA
CON COLLETTORI SOLARI

Generalità
Particolare attenzione deve essere rivolta per evitare la presenza di ostacoli intorno al pannello che riducano il tempo di
esposizione diretta al sole o la presenza di ombre che si proiettano sul pannello, limitando così l’irraggiamento alla sola
radiazione diffusa, con conseguente funzionamento del tutto inadeguato.
A proposito delle caratteristiche di variabilità dell’energia solare, discende che il collettore solare e il relativo circuito
dell’acqua dovranno essere corredati da sistemi tradizionali di produzione del calore, opportunamente collegati al resto
dell’impianto, con lo scopo di sopperire a tutte quelle situazioni in cui il pannello non è sufficientemente efficiente.

In generale, quindi, l’energia solare deve essere utilizzata in combinazione con sistemi di riscaldamento tradizionali
dell’acqua quali boiler elettrici o a gas, si tratta cioè di sistemi integrati.
Per i sistemi integrati si definisce frazione solare il rapporto tra il calore prodotto annualmente dal pannello solare e il
fabbisogno totale annuo, evidenziando in questo modo la capacità di produzione per via solare rispetto al totale. È utile
osservare che i valori tipici della frazione solare per impianti di acqua calda per uso sanitario superano il 50 ÷ 60%.
Anche la valutazione economica va fatta tenendo conto del sistema integrato e della frazione solare prodotta.
Grazie.

Per qualsiasi informazione sono disponibile al seguente indirizzo:


assistenzadidattica@betaformazione.com

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