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Analogamente a Janusz Korczak (vedi Essere adulti), anche Joseph Rudyard Kipling ha composto una famosissima
poesia intitolata “Se” e nota al grande pubblico come “Lettera al figlio”.
Si tratta di un testo a valore educativo che vuole suggerire quelle virtù, quei valori, che una volta integrati
consentono a ciascuno di definirsi veramente Uomo.
Se
Se saprai mantenere la calma quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne
dubitano, tenendo però considerazione anche del
loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con la calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all’odio,
senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo da saggio;
Si introduce da subito quella che io definisco responsabilità. È possibile mantenere la calma quando tutti attorno
l’hanno persa (e te ne fanno colpa) solo se si è responsabili del proprio sentire. Il nostro sentire, il nostro “stare”, è
sempre in nostro potere e qualunque cosa capiti “al di fuori da noi”, abbiamo sempre il potere di scegliere come
reagire.
La fiducia in se stessi, qui, viene descritta in maniera bilanciata: si tratta di qualcosa di sacro, che va alimentata senza
però scadere nell’ottusità. Ecco dunque che veniamo invitati a non dubitare di noi stessi, ma non per questo
dobbiamo “tapparci le orecchie” e fuggire da un confronto attivo.
L’attesa qui viene descritta come una virtù. Sapere attendere è un’abilità che deve essere sviluppata con pazienza e
perseveranza, poiché qui si intente un’attesa attiva, consapevole, e non un’attesa passiva di chi vive con ignavia.
L’ultimo passaggio richiama tanto il concetto di responsabilità, quanto quello di mappa del territorio: ognuno di noi,
senza eccezioni, ha una sua personale mappa del territorio (ne parlo qui), ovvero un proprio filtro, normalmente
inconsapevole, attraverso il quale interpretare la realtà. Questo filtro veicola continuativamente la nostra percezione
di noi e dell’ambiente circostante e, nondimeno, le nostre emozioni. Una persona responsabile è consapevole di ciò,
poiché sa che ciò che prova è sua responsabilità (e, di riflesso, sa che ciò prova il prossimo non è di sua
responsabilità), quindi sa difendere il proprio giusto confine senza eccedere né in sentimenti di basso livello, né in
sentimenti di eccessivo alto livello. Ancora una volta, è l’equilibrio la chiave.
Restando in tema di equilibrio, l’invito successivo è quello di coltivare sia la sfera razionale (il “pensiero”), sia la sfera
sensoriale (il “sogno”), laddove il sogno non è inteso necessariamente come attività onirica notturna, quanto come
capacità di vedere oltre. La raccomandazione di Kipling è dunque quella di conoscere e padroneggiare entrambe le
abilità senza indugiare troppo solo su una.
“Trionfo” e “Rovina” vengono maestralmente dipinti come impostori, poiché il vero Uomo sa che nella vita esistono
solo risultati e non trionfi o rovine. Dire di qualcosa che è un successo o un insuccesso è semplicemente volerle dare
un’etichetta, e quindi giudicarla. L’uomo saggio sa che ogni esperienza va vissuta per quella che è senza giudicarla.
Può risultare difficile, specie all’inizio, ma una volta presa questa strada si comincia a vedere la propria vita per quella
che è veramente. Questo concetto è reso bene da una famosa storia di cui parlo qui.
Gli ultimi due passaggi, apparentemente distanti, a mio avviso descrivono sfumature differenti di uno stesso tipo di
dinamica, ovvero la capacità di accettare e quella di discernere tre ciò che è in nostro potere e tra ciò che non lo è.
L’accettazione è una capacità attiva e non fa confusa con un atteggiamento passivo quale, per esempio, la
rassegnazione. Accettare è sapere accogliere ciò che ci succede senza rifiutarlo. Significa subire in silenzio?
Assolutamente no! Il punto è che non è possibile trasmutare ciò che si rifiuta. Accettare la realtà in cui ci si trova è il
primo passaggio per potere poi, se lo si desidera, lavorare per trasmutarla. E questo ci porta alla seconda
considerazione, ovvero sapere discernere tra ciò che è in nostro potere e ciò che non lo è. Di questa abilità parlava
già Epitteto nel 120 d.C. nel suo celebre Manuale: possiamo agire solo su ciò che in nostro potere, pertanto
preoccuparsi, a qualsiasi titolo, di ciò che non è in nostro potere, oltre ad essere vano, è anche dannoso. È in nostro
potere, senz’altro, tutto ciò che è al nostro interno, quindi possiamo sempre cominciare da lì.
L’ultimo passaggio invita a quella che, oggi in particolare, viene definita comunemente resilienza. L’invito è quello di
accettare che tutto ciò che ci succede capita per una ragione e che a noi è richiesto, innanzitutto, di prendere
coscienza di ciò. Anche quando il mondo sembra cascarci addosso c’è un motivo, e noi abbiamo sempre la possibilità
di indagarlo, di trasmutarlo e di ricominciare.
Nella seconda metà si approfondisce il senso della fede in ciò che si fa. Quando sembra troppo, quando il gioco
sembra troppo duro e quando sembra che ormai non resti altra possibilità che gettare la spugna, lì bisogna ricordarsi
di serrare cuore, nervi e tendini, ovvero di farli lavorare assieme, all’unisono. L’azione richiede gesti e richiede
anche cuore per potere essere valida. L’invito, nei momenti difficili, è quello di tenere duro e ad avere fede, e questo
è l’invito che la Vita stessa ci rivolge.
Nel parlare alle folle, così come nel passeggiare coi re, si rischia di perdere di vista il proprio cuore e di cedere alle
dinamiche dell’Ego. È importante rimanere sempre nel ricordo di chi siamo veramente. Da una posizione centrata
non svilupperemo nemmeno attaccamento o dipendenza dall’approvazione delle persone esterne, riuscendo a
vedere il bello -ma soprattutto il senso– di ogni persona che incrociamo nella nostra vita senza per questo
corrompere il nostro potere personale.
Da una posizione centrata non si può che riconoscere con enorme gratitudine il valore di ogni singolo istante, poiché
è solo nel singolo istante che abbiamo potere e che possiamo cogliere la bellezza della vita.
Rispetto all’ultimo passaggio, ritengo inutile un mio commento e ti invito ad osservare come reagisce il tuo Cuore
alle ultime due righe.