Sei sulla pagina 1di 5

COMUNITA’ PER

LA VIA DELLA CONOSCENZA

Voce nell’impermanenza

“Sentirsi indifesi di fronte all’accadere”

E. pontificale: Solo l'ansia di arrivare porta l'uomo a credere


che operando egli si trasforma o che volendo egli si trasforma o
che sforzandosi egli si trasforma. Arrivare, cioè giungere ad
una meta, e quando l'uomo pensa che è necessario adoperarsi e
sforzarsi immagina sempre che questo riguarda ciò che lui non
ha ancora. Ma, quando la mente dell’uomo tace, emerge ciò
che lui è, ed allora lui comprende che non serve sforzarsi. E già
dentro di voi nascono i commenti: "Ma, per raggiungere
qualsiasi cosa bisogna sforzarsi, perché se non possiedo quella
cosa o se non sono ancora in un certo modo, ‘devo’ darmi da
fare". Eppure muore il concetto di “sforzarsi” o di “darsi da
fare” nel momento in cui scoprite che avete già tutto dentro.
“Ma allora - vi domandate - serve o non serve la volontà? E
a chi serve o a chi non serve? E perché mai serve?”. E di
nuovo state commentando: "Serve, però forse non serve per chi
è nella realtà non-mente". No, serve anche per l’uomo che vive
la realtà non-mente nel momento in cui quell’individuo sente
nascere in sé una spinta ad impegnarsi, anche se per lui non è
più un impegnarsi. E’ in quel momento che sente emergere la
1
La Via della Conoscenza

volontà, che in lui è solo aderire a ciò che accade. Mentre


quando voi volete raggiungere qualcosa, l'impegno sta nel
prendere posizione, cioè scartare ciò a cui non intendete
aderire, ed è in questo il limite del vostro sforzarvi. Nello
sforzo voi piegate voi stessi a qualcosa che non siete, e quindi
aderite a ciò che pensate sia esterno a voi, scartando
qualcos'altro. Chi vive la realtà non-mente nulla scarta,
accoglie ciò che accade e nel ciò che accade non si dispiega lui
stesso ma l’accadere.
Per voi la volontà è fautrice di progresso ed è fautrice di
risultati, ed allora usate pure la volontà finché non vi
abbandona, e resta soltanto la sua scomparsa. Ed allora lì
emerge solo l’essere e restare indifesi di fronte all’accadere.
Essere indifesi significa abbandonarsi e quindi diventare inermi
anche a ciò che ostacola e che talvolta piega l’individuo, ed
inermi anche di fronte a delle forze che sembrano sovrastarlo.
Inermi non significa senza armi, ma significa senza forzare mai
nulla, aderendo a ciò che accade ma lasciando andare ciò che
accade. La forza sta nello staccarsi da ciò che accade ma anche
aderire a ciò che accade. Però aderire a ciò che accade implica
anche sprofondare dentro la realtà; ed allora la volontà può
essere utilizzata dall’uomo per piegarsi a verità che oggi gli
appaiono provocatorie e ricche di paradossi.
Però voi uomini accettate e non accettate: accettate perché
volete ancora mantenere la presa su ciò che queste voci vi
dicono e non accettate quando la presa vi sta sfuggendo di
mano. Ben sappiamo che voi proverete ad aderire, rifiutandovi
di quando in quando ed adducendo mille scuse o mille pretesti
al fatto che inciampate con la vostra mente di fronte a verità
che riconoscete, ma alle quali non vi piegate, perché non potete
che affermare il potere della vostra mente su di voi. Voi potete
anche affermare che per praticare la via della Conoscenza
2
Sentirsi indifesi di fronte all'accadere

utilizzate un vostro metodo di pensare, di mettere in pratica e di


interrogarvi. Ma questa non è una risposta, perché in tal modo
mai rinunciate ad utilizzare un metodo e mai rinunciate ad
interrogarvi per aderire semplicemente a ciò che accade. Ma
nell’aderire a ciò che accade ancora non sapete che cosa
succede poi nel vostro vivere se la vostra mente si ribella e
protesta quando dichiarate di voler lasciar andare.

Soggetto: Nell’uomo che si sofferma a pensare a che cos'è


la vita nasce un'obiezione: “Perché mai, di fronte alla vita,
‘devo’ aderire semplicemente a ciò che accade? Non è questo
forse un disimpegnarsi dalla vita ed un aderire alla non
problematicità?”.
Quando l'uomo, di fronte ad un passaggio obbligato, si
interroga sulla vita, può dubitare di se stesso perché la vita è
continua provocazione rispetto ad ognuno di coloro che si
riconoscono in una mente duale. Dato che la vita ripropone
sovente la sua provocazione all’uomo, allora non c'è possibilità
di sfuggire a quella logica ferrea nell’accostarsi alla vita. Per
l’uomo che si racconta che è giunto il tempo di porre fine ai
propri interrogativi ed alle proprie aspettative perché “deve”
soltanto aprirsi a ciò che è, la risposta è che non c'è possibilità
di cambiare nulla e non c'è possibilità di trasformare se stessi e
gli altri. No, a nulla serve cambiare, trasformarsi ed incidere
sulla realtà, poiché non c’è che aderire a ciò che accade e
presentarsi di fronte a ciò che è spogliati di ogni valutazione,
facendo piazza pulita di ciò che la vostra mente ha costruito
fino ad ora, proprio a partire dall’affermazione: “Io ho bisogno
di cambiare, noi tutti abbiamo bisogno di cambiare, il mondo
deve essere cambiato”.
Il mondo è ciò che è. E ciò che è accade attorno a voi così
come si presenta; quindi non ha alcun senso sforzarsi di
3
La Via della Conoscenza

trasformare, né voler cambiare e né di volersi migliorare per


ricondurre tutto al concetto di perfezione inscritto nella vostra
mente duale. Ma voi non comprendete e vi domandate a che
serve tutto ciò che è stato detto sull'evoluzione e sulla
trasformazione. A nulla, ma può condurvi di fronte ad un nuovo
dilemma: se continuare a fare i passettini o se consegnarvi
indifesi al ciò che è. Il consegnarsi inermi significa riconoscere
ciò che accade, cioè usare un altro metro che non è quello del
cambiare o del trasformare, ma che è quello del lasciare che da
dentro maturi ciò che è già.
Nulla c’è da cambiare, nulla c’è da trasformare e non c’è da
trasformarsi ma soltanto da consegnarsi. Questo non richiede
un lavorio su se stessi in modo da riuscire a coniugare gli
opposti, ma solo l’accettazione della scomparsa del proprio
“io” ed un consegnarsi all’accadere. Quindi non c’è da
perseguire una trasformazione ma ci si riconosce come non-io,
che è uno scompaginare ciò che è superficie e riconoscersi
come nubi che coprono la realtà. Ma in questo scompaginare
l’uomo può incontrare il rischio di improvvisarsi come il nuovo
autore di se stesso per far sì che la propria individualità
scompaia. Non è questo il modo di affrontare la radicalità della
propria scomparsa, anche se occorre sfidare il proprio io, ed è
in questo sfidare che l’uomo può perdersi.
La vostra mente non appena percepisce la possibilità del
salto tenta di condurvi lì di fronte, e qualcuno lo vive come
prossimo, qualche altro lo teme, però è sempre la vostra mente
a portarvi lì, facendovi intendere che siete già predisposti al
salto. Eppure, fin quando vi identificate nella vostra mente, il
salto non accade. Quindi prima è necessario sfidare la vostra
mente in tutte le insinuazioni che essa continuamente vi
ripropone, trascurandola e non lasciandovi ingannare dai
diversi pensieri che vi appaiono. Questo ricordatelo, perché il
4
Sentirsi indifesi di fronte all'accadere

punto centrale del contro-processo che propone la via della


Conoscenza vi dice che non c'è strada, non c'è mezzo, ma c’è
solo il silenzio della vostra mente.
Ma che cosa succede all’uomo che è tuttora ancorato al
passettino dopo passettino? Lui continuerà a pensare di poter
cambiare, di potersi trasformare e quindi di avvicinarsi al
momento in cui non sarà più lui e sarà il Tutto. Però, dentro a
questa aspettativa, c'è già la possibilità di ritrovarsi nella
prospettiva del salto. Il nucleo che può favorire il salto è che
l'uomo che fa il passettino dopo passettino, e che si protende
dentro se stesso per scavare o per analizzare, rimane sempre
insoddisfatto perché più scava e più nota i limiti, più nota i
limiti e più scava, fino a quando l'insoddisfazione diviene tale
che lui non può che dire: "Io non sono, che altro sia e agisca!".
E questa è la premessa per incontrare il salto, perché tutti
coloro che fanno il passettino dopo passettino scavano,
scendono, sfidano e così riescono ad incontrare il proprio limite
e la propria insoddisfazione.

Potrebbero piacerti anche