Sei sulla pagina 1di 9

La storia del contratto non può separarsi dalla storia delle tecnologie (IRTI, scambi senza

accordo)
CONTRATTAZIONE DI MASSA
Il contratto è divenuto strumento indispensabile per l’esercizio di ogni attività economica
organizzata anche in assenza di uno scambio di dichiarazioni verbali tra soggetti e di qualsiasi
contatto diretto fra gli stessi.
La necessità di garantire la sicurezza dei traffici e di accelerare la produzione spinge al
sacrificio della libertà delle parti di trattare e di concordare il contenuto del contratto, utili solo
a massificare le operazioni economiche.
Ciò si traduce nella semplificazione del modo di perfezionamento del contratto, nella riduzione
dei tempi usualmente impiegati e nell’abbattimento dei costi, nella possibilità di un accesso ad
un numero più ampio di utenti.

MONDO VIRTUALE
Si tratta di una realtà sempre meno definita da coordinate spaziali e temporali.
Falzea, op. cit., 3, ricorda come si dagli anni Cinquanta la dottrina si è mossa nel senso di una
riaffermazione della centralità del diritto civile in quanto “sistema normativo comune,
regolatore consolidato e momento di equilibrio perennemente ricomponibile, dell’intero sistema
di interessi della società giuridica”. Ne è nata una “dogmatica della mediazione” o delle
generalità intermedia, protesa all’affermazione di principi e di norme e sensibile alle
potenzialità dirompenti della postmodernità e, dunque, all’avvento dei valori posti non solo
dalla Costituzione, quanto altresì dalle “incalzanti convenzioni internazionali”, alla
proliferazione della normativa interna ed estera (europea in particolare), sullo sfondo di una
realtà dominata dalla nuova tecnologia e dalla nuova economia.
Il contratto, “quale raffinata tecnica di circolazione della ricchezza” non si è mai mostrato
insensibile, all’evoluzione della tecnica; al contrario, se ne è lasciato pervadere la struttura,
annullare gli elementi spazio-temporali, rimodulare la forma, arricchire i contenuti, fin quasi a
giustificare il sospetto se non la paura, appunto, che della categoria pensata dal legislatore
all’art. 1321 cod. civ. resti solo un nomen nudum.

I RAPPORTI NEGOZIALI ONLINE: la debolezza del consumatore virtuale


Le maggiori preoccupazioni del legislatore europeo:
- Garantire l'individuabilità del fornitore,
- accessibilità da parte del destinatario dei servizi delle condizioni economiche della
transazione
- modalità e procedure di perfezionamento dell'accordo attraverso gli applicativi software
- modalità di risoluzione e composizione di eventuali controversie.

La debolezza del consumatore, pertanto, non deriva dall'indisponibilità di un sufficiente


bagaglio informativo nella fase prenegoziale e, conseguentemente, obbligare il professionista a
fornirgli determinate informazioni minime non costituisce la miglior forma possibile di
riequilibrio delle posizioni negoziali delle parti.

Un forum di discussione tematico, una bacheca elettronica o i feedbak lasciati dagli utenti in
relazione ad un certo prodotto o servizio o, piuttosto, relativi ad un determinato fornitore sono,
generalmente, più utili, ricchi di informazioni e chiari di quanto non lo siano le informazioni
rilasciate attraverso le pagine degli e-marketplace
La debolezza del consumatore (rectius: cyberconsumatore) nei rapporti di consumo del
commercio elettronico risiede, piuttosto, nel disagio tecnologico, nell'impenetrabilità delle
dinamiche di funzionamento dell'applicativo software attraverso il quale il fornitore
commercializza i propri beni o servizi, nell'estrema difficoltà con cui esso può precostituirsi una
prova utilizzabile per far valere giudizialmente un proprio diritto o, infine, nella sproporzione
tra il valore della transazione commerciale perfezionata on line in pochi istanti e gli oneri
economici ed il tempo occorrenti per la risoluzione della controversia eventualmente insorta
con il fornitore.

LA FORMAZIONE DELL’ACCORDO ONLINE


È importante rilevare come la contrattazione on line possa perfezionarsi attraverso due
principali sistemi: a) con lo scambio di manifestazioni di volontà attraverso l'utilizzo di nuovi
strumenti di comunicazione, quali e-mail, forum, newgroups (contratti a comunicazione
diretta); b) accedendo al sito di un e-shop, attraverso la sottoscrizione di form, e cioè tramite
la pressione virtuale del tasto negoziale "accetto", quindi attraverso il c.d. "point and clik"
(contratti a comunicazione indiretta).
Da una parte [6] si è posto l'accento sulla mancanza di "dialogo" tra le parti nella
predisposizione degli scambi on line, quale conseguenza diretta di un ordine economico del
mercato che, solo per pura astrazione, sostiene ancora la sussistenza di un consenso ridotto ad
una mera accettazione di condizioni unilateralmente predisposte e funzionalizzato alle esigenze
tecnico-informatiche che governano i contratti telematici.
Ad una tale opinione critica si è ribattuto dall'altra parte [7] argomentando sulla base di quelle
disposizioni contenute nel Codice del "42 che considerano l'accordo quale elemento del
contratto non legato al presupposto empirico di "due parti che contrattano" [8].
Il consenso non si formerà, dunque, sulla base della laboriosa elaborazione creativa delle parti,
ma sarà realizzato "istantaneamente".

Al contratto "artigianale" realizzato sulla base delle richieste e delle trattative tra le parti,
subentrerà sempre di più il contratto standardizzato, creato sulla base delle conoscenze
direttamente acquisite on line dall'impresa, con riguardo ai bisogni e alle necessità di un
mercato settoriale globalmente considerato [12].

LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO POINT AND CLICK


Il titolare del sito web di e-commerce secondo l'art. 13 deve, senza ritardo e per via
telematica, accusare di aver ricevuto l'ordine dell'utente riepilogando le condizioni generali e
particolari applicabili al contratto (comprese le caratteristiche essenziali del bene o del servizio,
l'indicazione del prezzo, dei mezzi di pagamento, delle modalità di recesso, dei costi di
consegna e dei tributi applicabili).

Opera, inoltre la c.d. "presunzione di conoscenza" nel senso che, nel comma 3 dell'art. 13,
viene ulteriormente specificato che "l'ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le
parti alle quali sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi ": si tratta di una scelta
peculiare del nostro legislatore, che rimanda implicitamente agli schemi dell'art. 1335 c.c.,
secondo il quale "la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta ad
una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del
destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne
notizia ".

L'art. 45 del Codice dell'Amministrazione Digitale (D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82) precisa che "il
documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato
al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo
elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a
disposizione dal gestore ".
Il titolare del sito di e-commerce dovrà, quindi, predisporre la sua offerta on line in modo da
consentire all'utente di avere piena consapevolezza del suo acquisto, sia nella fase
precontrattuale (con i doveri di informazione previsti nell'art. 12) sia nella fase successiva
all'inoltro dell'ordine (secondo l'art. 13).

IL PROBLEMA DELL’APPROVAZIONE DELLE CLAUSOLE VESSATORIE (come integrare


questo requisito online)
Cass., Sez. lav., 22 marzo 2006, n. 6314, in Dir. Internet, 2006, 445, con nota di D.
Minussi, Riproduzione di un documento informatico e clausole vessatorie.

Per quanto attiene, dunque, il problema costituito dalla apposizione di una specifica
sottoscrizione ad un contratto telematico, occorre registrare forti dubbi e perplessità in
relazione alla possibilità stessa di effettuare una stipulazione, con il rispetto di tale formalità, di
un contratto concluso in modalità c.d. point and click. [16]
Pur potendosi ritenere oggi realizzabile, anche in termini tecnici, operare un "espresso
richiamo" in forma telematica nei riguardi di determinate clausole (vessatorie), non è, tuttavia,
possibile, affermare che tale presa di conoscenza e specifica "approvazione" da parte del
cliente on line, mediante apposito riempimento di una web form contenente diciture del tipo
"accetto" o simili, sia da ritenersi assimilabile ad una vera e propria sottoscrizione.
Approvazione di una clausola e specifica sottoscrizione della stessa, non appaiono, difatti,
essere termini coincidenti, operando i due concetti su due piani differenti: l'uno sul piano della
manifestazione di volontà, l'altro sul diverso livello della formale individuazione soggettiva della
provenienza/imputabilità della dichiarazione.

È pacifico che, nei contratti cartacei, tale requisito della specifica sottoscrizione sia soddisfatto
tramite la sottoscrizione autografa del contraente debole in calce alla clausola vessatoria,
specificamente e addizionalmente rispetto alla firma utilizzata per la conclusione del contratto.
Nel caso dei contratti online, la giurisprudenza si è divisa sugli strumenti tecnici da considerare
idonei per replicare in rete lo stesso tipo di meccanismo.

 DOPPIO CLICK:
Già nel 2002, il Giudice di Pace di Partanna1 risolveva la questione in maniera innovativa: il
proponente avrebbe dovuto prevedere un meccanismo di doppio click, uno di adesione e l’altro
di approvazione delle clausole vessatorie.

 FIRMA DIGITALE:
Il Tribunale di Catanzaro stabiliva che “nei contratti telematici a forma libera il contratto si
perfeziona mediante il tasto negoziale virtuale, ma le clausole vessatorie saranno efficaci e
vincolanti solo se specificamente approvate con la firma digitale”, mettendo i contraenti di
fronte alla necessità di utilizzare un meccanismo ancora oggi piuttosto complesso e poco
diffuso come la firma digitale per la conclusione dei contratti online contenenti clausole
vessatorie. Veniva in questo modo seguita una interpretazione restrittiva dell’art. 1341 c.c.,
che vedeva come necessaria una sottoscrizione che garantisse l’identità del soggetto
firmatario.

 USER NAME E PASSWORD (firma elettronica semplice)


Tribunale di Napoli ha affermato che richiedere la firma digitale per l’accettazione delle clausole
vessatorie finirebbe “col trasformare in via pretoria tutti i contratti telematici in contratti a
forma vincolata, imponendo per la loro stipula l’impiego di uno strumento sofisticato, ancora
non massivamente diffuso tra il pubblico, e così paralizzando, di fatto, lo sviluppo sul piano
nazionale di un intero settore di traffici sempre più importante a livello planetario”. Tale
pronuncia si inserisce nel filone di pensiero che ritiene sufficiente, per la specifica approvazione
scritta delle clausole vessatorie nei contratti online, la firma elettronica semplice, ovvero un
meccanismo di autenticazione del contraente mediante username e password sul sito del
proponente, e il click su una casella specifica per la clausola vessatoria.
Si è ipotizzato il sistema di attribuire all'acquirente una user id ed una password, previa
registrazione dei dati personali ed anagrafici del cliente. Sicché costituendo l'attribuzione della
user id e della password una forma embrionale di firma elettronica è possibile far sottoscrivere,
mediante l'autenticazione del cliente le condizioni generali di contratto contenute nella web
form; nonché, attraverso separata form (stante la impossibilità tecnica di doppia
sottoscrizione), le clausole vessatorie.
L'art. 20 comma 2 del Codice dell'Amministrazione Digitale, infatti, dispone che
esclusivamente: "il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con
firma digitale soddisfa il requisito legale della forma scritta " all'ulteriore condizione che esso
sia formato nel rispetto di regole tecniche "che garantiscano l'identificabilità dell'autore e
l'integrità del documento ".
Alla luce della legge di riforma il documento informatico, cui è apposta una mera firma
elettronica c.d. semplice, sul piano probatorio sarà, infatti, solo "liberamente valutabile in
giudizio", tenuto conto delle sue "caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza" e non potrà
più considerarsi ex lege costituente scrittura, salva comunque la possibilità di un "libero
convincimento" del giudice sulla fondatezza del credito azionato in via monitoria (desumibile
anche dal complesso delle prove offerte dal ricorrente).
Si giunge così al paradosso per cui è possibile per legge sottoscrivere con firma elettronica
"semplice" un documento informatico, che pur essendo ontologicamente scritto, non sarà
tuttavia ritenuto scrittura ai fini probatori.
In questo modo, sarebbe pienamente soddisfatta l’esigenza che funge da ratio alla
sottoscrizione richiesta dall’art. 1341 c.c., ossia l’accertamento dell’effettivo consenso del
soggetto debole e non anche necessariamente l’identificazione in senso “forte” del soggetto
accettante. Verrebbe inoltre salvaguardata la speditezza che nella pratica caratterizza i
contratti online e ne favorisce la diffusione, mentre la richiesta di una firma digitale
rischierebbe di violare il principio di non disparità di trattamento tra contratti cartacei e
contratti online previsto dall’art. 9 della Direttiva Europea sul Commercio Elettronico
2001/31/CE, imponendo un onere eccessivo in capo ai soggetti che volessero concludere i
contratti su internet. Tale disparità di trattamento è inoltre oggi del tutto anacronistica, visto lo
spostamento massiccio dei traffici commerciali sulla rete, incentivato anche dallo stesso
legislatore europeo e funzionale alle nuove esigenze derivanti dalla pandemia da Covid-19.

IL REQUISITO DELLA APPOSITA NEGOZIAZIONE DELLA CLAUSOLA NEI RAPPORTI


B2C
In conclusione, è necessario dare conto di una recente pronuncia della Cassazione nella quale
la Corte ha evidenziato come, nel caso di contratti B2C, l’approvazione specifica per iscritto ai
sensi dell’articolo 1341 c.c. non basti a superare la presunzione di vessatorietà delle clausole ai
sensi dell’articolo 33 Codice del Consumo: al requisito del Codice Civile si aggiunge infatti la
necessità di un’apposita negoziazione della clausola. In una pronuncia più risalente, la Corte
aveva affermato che la prova dello svolgimento di una apposita trattativa può essere fornita
dimostrando che la clausola era stata “chiaramente e autonomamente evidenziata dal
predisponente, e specificatamente ed autonomamente sottoscritta dall’aderente”. Cosa che,
nei contratti online, potrebbe avvenire seguendo quell’approccio di legal design  a
progettazione del contratto da parte di un professionista che si concentri sulla chiarezza e
comprensibilità del contenuto del testo legale, in modo da permettere a entrambe le parti di
concludere l’accordo con la necessaria consapevolezza.
MARKETPLACE
I marketplace sono in generale il luogo reale o metaforico in cui avvengono degli scambi
commerciali paragonabili a dei veri e propri supermercati online. Nella lingua italiana i
marketplace servono tuttavia a indicare i siti internet di intermediazione per la
compravendita di un bene o un servizio; in altre parole il marketplace, che in lingua inglese
significa "luogo di mercato", è un mercato online in cui sono raggruppate le merci di diversi
venditori o diversi siti web. L'esempio più noto di marketplace, anche se anomalo, per il suo
tipo di vendita è eBay che oltre al normale sistema di vendita offre anche la modalità asta.
Il marketplace si differenzia dal negozio online perché al suo interno sono presenti
normalmente più venditori. È, per certi versi, la stessa differenza riscontrabile tra un negozio
di prossimità e un centro commerciale. Il marketplace oltre a fornire una gamma più elevata
di prodotti rispetto a un e-commerce singolo, offre all'utente finale maggiori garanzie
durante la finalizzazione dell'acquisto e la successiva ricezione del prodotto acquistato.
Infatti, la più gran parte dei marketplace esistenti, trattiene l'importo dell'ordine fino alla
consegna dello stesso, salvo poi trasferire l'importo dovuto al venditore, decurtato della
commissione di vendita. In questo modo l'utente finale, se non dovesse ricevere il prodotto o
dovesse ricevere un pacco non conforme a quanto acquistato, potrebbe contattare
direttamente il venditore, se ne conosce i recapiti oppure richiedere una mediazione al
marketplace.
In base al tipo di prodotto i marketplace si distinguono in:
 verticali: offrono un solo prodotto, specializzandosi anche nei prodotti di nicchia di
questo settore (p.es. Zalando, RobotItaly, JustEat);
 orizzontali: offrono prodotti e servizi di diverso tipo (p.es. eBay, Pixplace il
marketplace di Pixmania, o Amazon.com, o Alibaba, Averlo Marketplace, SOSJob Professionisti
24H , ProntoPro.it).
In base agli operatori che partecipano:
 Consumer to consumer (C2C), in cui utenti privati interagiscono tra loro ed
effettuano transazioni commerciali, in genere questo tipo di marketplace non offre garanzie
agli utenti, che si affidano spesso a un sistema di feedback per sapere in anticipo
l'attendibilità della controparte
 Business to consumer (B2C), in cui una o più aziende offrono cataloghi di prodotti
alla comunità di frequentatori, questo tipo di marketplace ricordano i grandi centri
commerciali (Mall). A differenza del precedente tipo, qui gli utenti hanno garanzie superiori,
supportate da sistemi di pagamento sicuri e certificazioni di qualità.
 Business to business (B2B): questo tipo di marketplace ha lo scopo di mettere in
contatto aziende manifatturiere o industriali con aziende commerciali. La merce trattata è in
genere per grandi stock, soprattutto container. È il canale alternativo principale per le
transazioni commerciali internazionali. Anche qui, gli utenti sono tutelati dai gestori dei
portali, che filtrano i pagamenti e garantiscono la consegna del prodotto.

LA VENDITA DA APP
L’era attuale, intrisa di una sempre più spiccata propensione alla velocizzazione ed alla
semplificazione dei traffici e scandita, nel suo svolgersi, da un tempo a ritmo sempre più
digitale, ha superato, infatti, la rivoluzione rappresentata dal commercio elettronico da
web e, nel derubricarla al rango di una (tutto sommato) rassicurante ordinarietà disciplinata
e per ciò stesso domata dal d. legis. 9.4.2003, n. 70, l’ha sostituita con quella degli acquisti
da app o, per non indulgere a spesso criptiche abbreviazioni verbali, da applicazioni mobili.
Le app si differenziano dagli ormai tradizionali siti internet, di cui abbandonano il carattere
statico per assumere quello dinamico della facilità e rapidità di selezione e della utilizzazione
anche offline, a patto - beninteso - che l’utente compia una serie di ineliminabili
adempimenti preliminari.
Se poi, sul piano giuridico, l’irrompere delle tecnologie nelle dinamiche negoziali si traduca in
una ridefinizione dei contenuti tradizionali della compravendita o, più semplicemente, in un
adattamento degli stessi al mutare dei tempi è interrogativo che sembra conseguire de plano
all’osservazione del fenomeno e alla naturale attitudine del contratto a risentire del
progresso.

 I contratti atipici di licenza d’uso e di distribuzione di software quali momenti


prodromici alla conclusione del contratto di vendita da app

Allorquando a venire in rilievo è la compravendita, l’imprescindibile riferimento normativo


resta la disposizione dell’art. 1470 cod. civ. che la definisce quale il contratto con il quale
si realizza il trasferimento della proprietà della cosa o di altro diritto verso il corrispettivo di
un prezzo. E ciò anche quando, come nella specie, la sua conclusione avvenga con modalità
diverse da quelle pensate dal legislatore del 1942, in quanto direttamente legate all’uso
di smartphone, tablet, smartwatch[12].
La peculiarità del mezzo impiegato, infatti, sembra non scalfire la disciplina dettata dal
codice civile o ridefinire gli elementi essenziali della fattispecie ma incidere sul procedimento
che conduce alla sua conclusione.

La modernità, per l’esattezza, ridisegna il percorso che porta all’incontro dei consensi, il quale, in altri termini, nella
compravendita al pari che in ogni altro contratto perfezionato a mezzo app, passa necessariamente attraverso un
momento prodromico rappresentato dall’installazione di specifici software e dal rispetto di precise procedure di
autenticazione. Quanto alla prima (l’installazione del software, appunto), essa implica la conclusione di
distinti contratti di licenza d’uso e di distribuzione, laddove le seconde, che si sostanziano nella creazione di un
apposito account, rispondono all’esigenza di identificare la persona del possessore del dispositivo mobile e di
accertare la sua legittimazione a disporne. I contratti di licenza d’uso, invece, hanno la finalità differente di
autorizzare l’uso del software occorrente per sfruttarne tutte le potenzialità e tra queste quella di accedere alle
piattaforme (note anche come store) in cui sono esposte, dagli sviluppatori (ma più di frequente dai loro
committenti nella veste di venditori), le app e, per quanto qui d’interesse, le app che permettono di concludere
validi contratti di compravendita. Essi, per l’esattezza, sono due distinti; tra l’uno e l’altro si frappone quello di
distribuzione, dando vita ad un complessivo collegamento negoziale caratterizzato dalla triangolazione delle
rispettive parti: ed, infatti, a quello di licenza d’uso [13], che vede come contraenti il titolare del dispositivo mobile e il
suo produttore (perlopiù una persona giuridica), fa pendant il contratto di distribuzione che lega quest’ultimo agli
sviluppatori di app (o a coloro che ne abbiano commissionato la creazione), per effetto del quale vengono rese
fruibili e note le applicazioni destinate sia ad arricchire le potenzialità di smartphone e tablet sia a consentire agli
utenti di selezionare quelle preferite. Ed è appunto quando si verifica il download della app che tra il possessore del
dispositivo mobile e il titolare del programma di software viene stipulato un ulteriore e distinto contratto di licenza
d’uso, avente ad oggetto lo specifico servizio di cui il primo intende avvalersi. La atipicità della figura è accentuata
dall’assenza, almeno nella generalità dei casi, di un corrispettivo [14]; assenza che, se stride con la prassi in materia
di commercializzazione dei programmi informatici (connotata, appunto, dalla presenza di una controprestazione
economica che ne giustifica la riconduzione alla vendita [15] o, secondo la tesi più accreditata, alla locazione [16]), si
spiega in ragione della finalità che anima il concedente di mettere a disposizione del licenziatario uno strumento che
lo ponga successivamente nella condizione di acquistare beni o servizi a pagamento presso il suo negozio
virtuale[17].
Onerosità e gratuità si atteggiano, così, diversamente in presenza della medesima vicenda negoziale del contratto di
licenza d’uso (nel duplice sembiante in cui è proposto alla parte non predisponente) in quanto rimesse, in definitiva,
alla valutazione, rispettivamente, del produttore e del titolare di app, ben potendo anche quest’ultimo decidere di
includere nel costo del dispositivo quello del software ovvero di farne omaggio all’acquirente per consentirgli il
miglior uso del prodotto. Che del resto il programma informatico rappresenti un bene - ancorché immateriale [18] -
distinto dall’hardware è indubbio[19], come conferma la giurisprudenza nel ritenere che il rifiuto ad avvalersi del
primo non si ripercuota sulla validità del contratto che ha ad oggetto il secondo [20] e ciò nonostante il nesso
funzionale che li lega.
Di là da tali profili, che attestano il ruolo preponderante ascritto all’autonomia privata, i due  contratti di licenza
convergono, invece, sia nell’oggetto (che resta, in entrambi in casi, il diritto di godere per un tempo indeterminato
del bene ma non di disporne) sia nella modalità di conclusione, che di regola avviene
mediante point and click sulla schermata del dispositivo del tasto virtuale di accettazione, ad opera dell’utente,
delle condizioni d’uso predisposte unilateralmente dal fornitore o, meno di frequente, mediante  shrink-wrap
license o top-box license[21], ossia mediante la tacita approvazione, manifestata attraverso lo “strappo” della
confezione al cui interno è sigillato il supporto magnetico contenente il programma di software.
Più complessa si presenta, invece, la ricostruzione del ricordato contratto di distribuzione e non solo perché - come
già appuntava la dottrina in passato - la sua “unica ragionevole certezza” è di essere un negozio attinente al
processo di distribuzione commerciale (vale a dire relativo “ai complessi meccanismi che colmano le distanze tra
produzione e consumo”[22]) - quanto, altresì, per la sua idoneità a soddisfare, con il medesimo bene, l’interesse di
entrambi i contraenti: quello del fornitore a vedere distribuita e pubblicizzata su specifiche e diffuse piattaforme
le app che gli consentiranno, poi, di svolgere l’attività principale di vendita di cose e servizi; quello del distributore
ad avere la disponibilità delle app in grado di arricchire l’offerta (e con essa il valore) dei dispositivi mobili che
commercializza. Di guisa che il carattere oneroso del vincolo risente della sua concreta strutturazione e degli
accordi, altresì pubblicitari, che ne precedono la conclusione [23]. La difficoltà, anzi, di incasellare con certezza le
fattezze del negozio in esame in una delle molteplici fattispecie astratte che il legislatore ha predisposto (si pensi al
mandato in rem propriam o al contratto di agenzia o a quello di commissione [24]) spiega la soluzione, in vero datata
ma non per questo meno attuale, di definirlo come “un contratto quadro” in forza del quale “un operatore economico
assume, verso contropartita consistente nelle opportunità di guadagno che si legano alla commercializzazione delle
merci contrattuali, l’obbligo di promuovere la rivendita di prodotti forniti dalla controparte” [25].
Si tratta, nella specie, di beni dal contenuto non omogeneo: a dispetto, infatti, della comune natura, rappresentata
dall’essere programmi informatici, le app per tale via messe a disposizione dell’utente divergono quanto a
funzionalità che assicurano, altro essendo, ad esempio, l’applicazione mobile che ospita al suo interno negozi virtuali
e vetrine dei più svariati brands o di diversi gestori di servizi [26], altro quella che espone singole res di differenti
produttori, altro, ancora, quella che rappresenta la traduzione digitale del punto vendita reale, giacché, in relazione
a ciascuna, per l’acquirente sarà ora come trovarsi in un grande centro commerciale, ora come visitare
contestualmente più magazzini alla velocità ed alla distanza di un click, ora come girare tra gli scaffali della
rivendita che gli interessa senza muoversi “da casa”.

La “meccanica ritualità” che connota “i luoghi degli scambi silenziosi”, tuttavia, lungi dal
tradursi in una passiva accettazione del contenuto del contratto, risulta essere, piuttosto, il
neologismo che il progresso insegna e, sotto certi aspetti, impone alle parti.
Da un lato, infatti, è la struttura della app ad esigere un linguaggio in linea con la celerità
dei traffici che deve assicurare; dall’altro, sono i contraenti stessi che accettano anzi vogliono
la sintesi linguistica in quanto imprescindibile per ottenere condizioni più vantaggiose. Del
resto, ove si consideri che - a ben vedere - il solo elemento sul quale potrebbe esserci
confronto è il prezzo, è agevole comprendere come la rinuncia, sul punto, al confronto sia
espressione diretta della maggiore convenienza economica legata alla conclusione del
contratto a mezzo app, che consente, appunto, la riduzione dei costi (del personale, dei locali
e via enumerando) e l’eliminazione di ogni intermediazione.
Di guisa che l’assenza di dialogo, nel suo ordinario significato intesa, null’altro è se non il
corollario della inutilità di quella trattativa che “in altro contesto, condurrebbe, se del caso, a
quella diminuzione del prezzo” che, nella specie, il compratore “ottiene senza alcuna
discussione”.
Questi, pertanto, opta per una formula contrattuale che incontra i suoi desiderata e risponde
ad essi, rispetto alla quale manifesta non già una mera adesione ma un’accettazione piena
ancorché resa mediante la pressione di tasti virtuali sul  touch screen o la digitazione delle
informazioni (si pensi ai dati personali o al numero della carta di credito) richiesti
dall’applicazione per siglare l’accordo.

Non v’è dubbio che la vendita da app sia riconducibile al più generale schema dell’offerta
al pubblico, di cui ripete la natura per così dire rigida, derivante sia dal suo essere
insuscettibile di trattativesia dal suo rivolgersi ad una pluralità indistinta di potenziali
acquirenti[48] ai quali è richiesto, unicamente, ove intendano procedere all’acquisto, di
effettuare il login, vale a dire di identificarsi con le credenziali prescelte in sede di
registrazione, all’atto dell’accesso al marketplace.
La proposta, infatti, deve essere completa, contenere, cioè, tutti gli estremi del contratto
alla cui conclusione è diretta (art. 1336, comma 1°, cod. civ.): dunque non soltanto
l’analitica descrizione di “immagini di cose assenti” (Immagine Irtiana) che il compratore può
visionare attraverso lo schermo del suo dispositivo mobile, ma la precisazione di ogni profilo
attinente al contratto, fino al suo eventuale scioglimento per recesso dell’acquirente che, una
volta ricevuta la merce acquistata e una volta visionata, non la reputi rispondente al suo
interesse (ius poenitendi. Elementi caratteristici del diritto di recesso sono la sua gratuità,
l’assenza di un obbligo di motivazione, la natura potestativa) La finalità di riequilibrare le
posizioni delle parti è, anzi, a tal punto avvertita che il legislatore (altresì comunitario   la
dir. n. 83/2011 UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 “sui diritti dei
consumatori”. In Italia la direttiva, come è noto, è stata recepita dal d. legis. 21.2.2014, n.
21, che ha modificato il Capo I (Titolo III, parte III) del d. legis. 6.9.2005, n. 206, meglio
noto come Codice del Consumo) impone al venditore di rendere edotto il compratore di ogni
aspetto utile ad una presa di coscienza delle condizioni negoziali, onde ridurre il cd. effetto
sorpresa derivante dall’assenza del contatto fisico con il bene.
L’accettazione del compratore segue i “binari” obbligati tracciati dalla app, lungo i quali la
volontà corre tra tasti virtuali di adesione e campi di informazione da riempire o precisare,
senza che la tecnologia la salvi dal rischio di inciampare nell’errore (nella selezione del bene
o della sua quantità o nella precisazione dell’indirizzo di consegna, e via enumerando) e di
incorrere, quindi, nell’invalidità del negozio. Sfugge a questa regola l’indicazione della carta
di credito, rispetto alla quale il sistema è in grado di verificare la rispondenza degli elementi
inseriti a quelli effettivamente nella titolarità del disponente e di autorizzare il buon fine
dell’operazione se nei limiti di spesa del plafond.
La circostanza che la vendita da app si perfezioni solo dopo il pagamento del compratore e
l’invio della conferma d’ordine da parte del venditore induce, peraltro, ad interrogarsi sul
valore che questi due elementi hanno nell’economia negoziale.
Ove, infatti, si attribuisca, come vuole parte della dottrina, natura di comportamento
solutorio alla digitazione del numero di carta di credito, deve conseguentemente
ritenersi che il contratto si perfezioni secondo il meccanismo indicato all’art. 1327 cod. civ. x
cui il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione.
L’indicazione dei dati della carta di credito, tuttavia, non comporta - a ben vedere - un
immediato pagamento e, quindi, un inizio di esecuzione ma semplicemente un’autorizzazione
a riscuotere 1presso l’emittente la cifra corrispondente. In tal senso, essa costituisce una
mera “conferma” di un’accettazione preesistente manifestata dal suo titolare in sede di
compravendita2 ciò sempre che egli decida di avvalersi di questo e non di altri strumenti di
pagamento.
A conclusioni non dissimili sembra potersi pervenire in relazione alla conferma d’ordine che
il venditore è tenuto a far pervenire all’acquirente per iscritto o su supporto duraturo (art. 52
cod. cons.)

Dubbio che dinanzi allo scambio senza accordo, rectius allo scambio in cui l’accordo è frutto
di un dialogo telematico si sia, in realtà, in presenza di un modello differente da quello
tipizzato dal legislatore?
Per certo, in più di un punto emerge una non perfetta coincidenza tra le fattispecie
richiamate, a cominciare dal ricordato incontro dei consensi che, come detto, non assume,
nella specie, le fattezze di un dialogo che, lungo la strada a volta tortuosa a volte scorrevole
delle trattative, giunge all’in idem placitum, ma si presenta nella veste ruvida di un’adesione
ad uno schema stilato dall’alienante, scandita da passaggi essenziali e tasti virtuali. Lo stesso
oggetto del contratto non è più percepito dall’acquirente nella sua “immediata fisicità”[60]
ma è visto sub specie di immagine di cosa assente[61], esposta nelle vetrine virtuali di
altrettanti negozi virtuali resi fruibili da un’applicazione informatica installata su un
dispositivo mobile.
Si parla di procedimentalizzazione della vicenda contrattuale, in cui il percorso
dell’incontro di proposta e accettazione perde la sua usuale linearità e si articola in un
succedersi di operazioni e di atti negoziali che rispondono al diverso (ma non per questo
muto) linguaggio del mondo digitale.
In simile scenario, allora, la ridefinizione del tradizionale contratto di compravendita null’altro
risulta essere se non una riconsiderazione delle sue modalità di conclusione.

1 Autorevolmente Oppo, Disumanizzazione del contratto, in Riv. dir. civ., 1998, 531, ricorda come la digitazione della
carta di credito non sia a rigore né pagamento né rilascio di un mezzo di pagamento, ma unicamente autorizzazione a
riscuotere presso l’emittente della carta.
2 Come opportunamente afferma Pennasilico, La conclusione dei contratti on-line tra continuità e innovazione, cit.,
810.
Le leggi del mercato e della tecnica non possono, infatti, cancellare (o cancellare del tutto) la
concretezza delle relazioni contrattuali o privarle del loro volto umano, sovrapponendosi alla
decisione dei singoli.

CERCA
- Cerdonio Chiaromonte, Specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie e
contrattazione online, in questa Rivista, 2018, II, 404 ss.
- Messineo, voce «Contratto (dir. priv.)», in Enc. del dir., IX, Giuffrè, 1961, 857. Come
ricorda Distaso, I contratti in generale, I, nella Giurisprudenza Bigiavi, Utet, 1980, 121,
l’indeterminatezza dei destinatari - tratto tipico della figura disciplinata dall’art. 1336 cod. civ.
e va intesa in termini di variabilità dei componenti la cerchia di persone cui l’offerta è
indirizzata.
- Benedetti, Autonomia privata procedimentale e formazione del contratto virtuale, cit., 78.
- Trabucchi, Il contratto come fatto giuridico. L’accordo. L’impegno, in Silloge per Oppo, I,
Cedam, 1992, 4.
- FALZEA, Il civilista e le sfide d’inizio millennio (Ricerca giuridica ed etica dei valori), cit., 29
- G. Scorza, Il contratto del commercio elettronico, in G. Cassano-I.P. Cimino, Diritto
dell'Internet e delle nuove tecnologie telematiche, Padova, 2009, 145.

Potrebbero piacerti anche