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IL Gene

Egoista

UN ANNO DI
POST
2021/22
Contributi di genere scientifico trasferiti
sotto forma di comunicazione
Il Gene
Egoista

UN ANNO DI
POST 2021/22

Contributi di genere scientifico trasferiti


sotto forma di comunicazione.

Chemical
Educational
School
Se non avessi ascoltato i miei cari
questo libro non l'avrei mai scritto
ed ovviamente
pubblicato
Premessa

INTRODUZIONE

Lo scopo di questo Ebook, è quello di essere un pratico strumento di


consultazione off-line per chi segue il Blog
(https://ilgeneegoista.blogspot.com) o è iscritto al Gruppo privato FB
https://www.facebook.com/groups/878179696471899 a cui è seguito
il relativo account Twitter (https://twitter.com/EgoistaIl). I Post sono
stati scritti a partire dallo scorso anno, ed essendo in piena
pandemia, gran parte dei contenuti sono ancora incentrati sul Sars-
CoV-2 e sulle caratteristiche della conseguente infezione. Ma il
disegno originale prevede, di "smarcarsi", da questa narrazione
monotematica, rivolgendo l'interesse altrove.

UN ANNO DI POST
2021/22
L'obiettivo è quello di, anzichè divulgare l'informazione
scientifica, fare in modo di riuscire a comunicarla. Quasi
trent’anni di lavoro nell’ambito chimico-farmaceutico, di
cui gli ultimi quindici come PS/MSL sono stati molto utili
nell’ apprendere cosa, a chi e come comunicare grazie ad
una tutto sommato ‘corposa’ serie di competenze. Quindi
una adeguata formazione sia durante il lancio che il post-
lancio di un farmaco, l’apprendimento degli strumenti
per interpretare le diverse tipologie di Studi Clinici (
https://www.scientific-european- federation-
osteopaths.org/differenti-tipi-di-studi-clinici/ e per i lettori
meno avvezzi http://www.ecranproject.eu/it ), il loro
disegno/contenuto e la relativa “valenza” scientifica
liberamente accertabile consultando le più rigorose
banche dati di bibliografia scientifica internazionali. E poi
mantenere i contatti con i Key Opinion Leaders ( KOLs ),
clinici ed altre figure professionali del panorama sanitario
ed instaurare con loro un rapporto preferenziale sulla
base delle conoscenze apprese circa l’offerta
farmacologica della farmaceutica, incluso l’utilizzo off-
label del farmaco ( farmaci registrati ed approvati ma
utilizzati per indicazioni terapeutiche diverse rispetto a
quelle per cui vengono prescritti ). Senza trascurare
ovviamente il partecipare ai Congressi nazionali e/o
internazionali ed agli Hospital meeting, con l’auspicio di
“individuare” nuovi esperti emergenti e con essi i centri
ospedalieri/universitari più adatti per iniziare nuovi Trials
Clinici. E tutto ciò facendo leva sulla comunicazione
scientifica e non sulla spesso assimilabile divulgazione.
Chi divulga ( generalmente un KOL, un clinico, un ricercatore ecc )
ha studiato lungamente ed approfonditamente una determinata
materia e si trova nella condizione di poter divulgare le proprie
conoscenze con un approccio tipicamente verticistico ( dall’alto in
basso... per farla semplice ). Chi comunica, invece, muove i propri
passi su di un asse orizzontale, allocentrico, facendo il possibile per
mantenere un atteggiamento equilibrato nel rapportare tra di loro
scienza, media e lettori.
Quanto al nesso con il libro da cui il nome sia del Gruppo che del
Blog: “ Così come il gene ha la capacità di creare copie di se stesso e
diffondersi attraverso la riproduzione degli organismi, così ciò che
apprendiamo e trasmettiamo si può diffondere ed i relativi livelli di
efficienza gli consentono di “sopravvivere” anche lungamente nel
tempo. Ma come il gene può subire una mutazione, così ciò che
comunichiamo è soggetto a tutta una serie di variabili le quali
possono decretarne la bontà trasferendosi da un lettore ad un altro,
oppure trovare scarsa diffusione ed “estinguersi”.
INDICE DEI POST
Post #1
Il Gene Egoista: ALZHEIMER, FDA APPROVA ADUCANUMAB
Post #2
Il Gene Egoista: ASTRAZENECA UN PO’ DI CHIAREZZA
Post #3
Il Gene Egoista: L’ITER REGISTRATIVO E LA SUCCESSIVA
APPROVAZIONE E POI COMMERCIALIZZAZIONE DI UN VACCINO
ANTI COVID (QUELLI IN USO QUALCUNO LI DEFINISCE
“FORZATAMENTE” SPERIMENTALI PUR AVENDO COMPLETATO
L’ITER RICHIESTO) ED IL CAMMINO DI UN FARMACO.
Post #4
Il Gene Egoista: UNA QUESTIONE DI PREVENZIONE PRIMARIA
Post #5
Il Gene Egoista: I VACCINI RAPPRESENTANO UN BENE PER LA
COLLETTIVITÀ.
Post #6
Il Gene Egoista: LOCKDOWN...NO GRAZIE!!! OGGI ABBIAMO I
VACCINI.
Post #7
Il Gene Egoista: PER UNA EFFICACE CAMPAGNA VACCINALE
BASTEREBBE SEMPLICEMENTE UNA “SPINTA GENTILE”
Post #8
Il Gene Egoista: DI VIRUS, VACCINI, MUTAZIONI, VARIANTI...
Post #9
Il Gene Egoista: MUTAZIONI, PROTEZIONE DALL’INFEZIONE E/O
DALLO SVILUPPO DELLA MALATTIA E TEST DI NEUTRALIZZAZIONE
ANTICORPALE.
Post #10
Il Gene Egoista: SARS-COV-2: I VACCINI NON CAUSANO LA
SELEZIONI DI VARIANTI E MUTA SI, MA IN MODO LIMITATO
Post #11
Il Gene Egoista: SARS COV 2...DA DOVE VIENI?
Post #12
Il Gene Egoista: LA LITANIA INFONDATA CHE IL VACCINO CAUSI
MUTAZIONI E VARIANTI NONCHÉ RESISTENZE AL VIRUS
Post #13
Il Gene Egoista: VACCINI E FARMACI UN TEAM VINCENTE CONTRO
IL COVID-19 ( ma attenzione a non dar vita ad inutili “tifoserie”).
Post #14
Il Gene Egoista: IL DR R W MALONE E’ VERAMENTE L’ “INVENTORE”
DEI VACCINI A mRNA”?
Post #15
Il Gene Egoista: IL PARADOSSO TANTO CARO AI NO VAX, SPIEGATO
DA UNA SEMPLICE FRAZIONE TRA NUMERATORE E
DENOMINATORE CHE DIMOSTRA QUANTO SIANO EFFICACI I
VACCINI ( e non il contrario )
Post #16
Il Gene Egoista: CONFERME DELL’EFFICACIA DEL VACCINO A
mRNA, ANCHE NEL CASO DELLE BREAKTHROUGH INFECTIONS
ARRIVANO ANCHE DA QUESTO STUDIO CONDOTTO A SINGAPORE
Post #17
Il Gene Egoista: VACCINATI E CONTAGI, CARICA VIRALE E COME SI
MISURA E L’ESPERIENZA DI CIÒ CHE AVVIENE IN ISRAELE
Post #18
Il Gene Egoista: UN GRAFICO ED UNA TABELLA ESTREMAMENTE
SIGNIFICATIVI DAGLI USA
Post #19
Il Gene Egoista: UNA TABELLA CHE NECESSITA DI UNA
SPIEGAZIONE
Post #20
Il Gene Egoista: FACCIAMO IL PUNTO SULLE CURE DOMICILIARI
PER INFEZIONI
DA COVID-19
Post #21
Il Gene Egoista: CANCRO...COME “RESISTI” E PERCHÉ
Post #22
Il Gene Egoista: IMPORTANTE NOVITÀ NELL’AMBITO DELLA CURA PER
COVID-19
NEL PAZIENTE NON OSPEDALIZZATO
Post #23
Il Gene Egoista: TERZA DOSE: RAGIONARE BENE MA NON IN TERMINI
DI O BIANCO O NERO, PERCHÉ ALLO STATO ATTUALE NON È
(ANCORA) POSSIBILE.
Post #24
Il Gene Egoista: TEST SALIVARI GREEN PASS E DIFFERENZE TRA I
DIVERSI TEST ANTI-COVID-19
Post #25
Il Gene Egoista: RNA-DEPENDED RNA POLYMERASE
Post #26
Il Gene Egoista: PFIZER AVVIA LO STUDIO DI FASE II/III SUGLI
ANTIVIRALI ORALI
PER LA PREVENZIONE DEL COVID-19
Post #27
Il Gene Egoista: MOLNUPIRAVIR (LAGEVRIO di Merck) E PAXLOVID
(Pfizer) AI NASTRI DI PARTENZA
Post #28
Il Gene Egoista: VIA LIBERA TEMPORANEA AGLI ANTIVIRALI
MOLNUPIRAVIR (LAGEVRIO di Merck) E PAXLOVID (Pfizer)
Post #29
Il Gene Egoista: LE INDICAZIONI DI EMA PER L’UTILIZZO
DELL’ANTIVIRALE PAXLOVID (Pfizer)
Post #30
Il Gene Egoista: TRA USA ED ITALIA REGALI DI NATALE, RICCHI PREMI
E COTILLONS DI FINE ANNO
Post #31
Il Gene Egoista: AGGIORNAMENTO ANTICORPI MONOCLONALI ED
ANCORA DUE PAROLE SU PAXLOVID
Post #32
Il Gene Egoista: IL “DIETRO ALLE QUINTE”, CHE HA CONDOTTO
ALLA FORMULAZIONE DI PAXLOVID
Post #33
Il Gene Egoista: COME LA STRUTTURA CHIMICA DEGLI
ALLUCINOGENI PUO’ SPIANARE LA VIA PER LO SVILUPPO DI
NUOVI FARMACI ANTIDEPRESSIVI
Post #34
Il Gene Egoista: LE DIVISIONI INVISIBILI DELL’EUROPA ALL’EPOCA
DELLA COVID
Post #35
Il Gene Egoista: CHERNOBYL, I RUSSI CONTROLLANO LA
CENTRALE NUCLEARE MA PER GLI ESPERTI CIO’ NON
RAPPRESENTA UN PROBLEMA
Post #36
Il Gene Egoista: LA SVOLTA GREEN DELL’INDUSTRIA MARITTIMA
Post #37
Il Gene Egoista: FISCHI PER FIASCHI
Post #38
Il Gene Egoista: FRAMMENTI DI “VITA” REALE SENZA LA
PRESUNZIONE DI “VOLER CAMBIARE LA STORIA PER MIGLIORARE
IL PRESENTE”
Post #39
Il Gene Egoista: ACCOSTAMENTI SEMISERI TRA LE PASTIGLIE PER
LAVASTOVIGLIE ED I MISCUGLI MISTERIOSI DI H. POTTER ED
HERMIONE
Post #40
Il Gene Egoista: UNA “CLEARINGHOUSE” PER BIG PHARMA MA IN
POCHI SANNO COSA SIA
Post #41
Il Gene Egoista: LA RICERCA DEL PUNTO MEDIO PERDUTO
Post #42
Il Gene Egoista: PUO’ LA GUERRA FAVORIRE LA SCOPERTA DI
FARMACI?
Post #43
Il Gene Egoista:ULTIM’ORA: COMUNICATO CONGIUNTO EMA
ECDC SULLA 4° DOSE
Post #44
Il Gene Egoista: LA GENERAZIONE 2.0 DEGLI ANTIVIRALI CONTRO
LA COVID-19 /
(Part One)
Post #45
Il Gene Egoista: LA GENERAZIONE 2.0 DEGLI ANTIVIRALI CONTRO
LA COVID-19 / (Part Two)
Post #46
Il Gene Egoista: LA GENERAZIONE 2.0 DEGLI ANTIVIRALI CONTRO
LA COVID-19 / (Part Three)
Post #47
Il Gene Egoista: ADUCANUMAB: DELLA SERIE METTERCI UNA
PEZZA E FARE UNA TOPPA PEGGIORE DEL BUCO
Post #48
Il Gene Egoista: SARS-COV-2: ANALISI DELLA TRASMISSIONE PER
VIA AEREA DELLE INFEZIONI RESPIRATORIE VIRALI
Post #49
Il Gene Egoista: IL MICRORGANISMO INGEGNERIZZATO CHE
PROTEGGE IL MICROBIOMA INTESTINALE DAGLI ANTIBIOTICI
Post #50
Il Gene Egoista: HYBRID IMMUNITY
Post #51
Il Gene Egoista: FARMACI RADIOATTIVI MIRATI (RADIOFARMACI)
ALIMENTANO SPERANZE PER LA CURA DEL CANCRO (First Part of
Two)
Capitolo 1

ALZHEIMER,
FDA APPROVA
ADUCANUMAB

Ci sono voluti più di quindici anni, ma la ricerca ha prodotto


l’ennesima fonte di speranza.
[Legal & Regulatory
“Il farmaco è stato approvato utilizzando il percorso di approvazione
accelerato ed è il primo a ricevere parere positivo dal 2003”]
By Redazione Aboutpharma Online.
[...Il 7 giugno la Food and drug administration degli Stati Uniti ha
approvato aducanumab di Biogen per il trattamento dell’Alzheimer,
che interessa 6,2 milioni di americani. Il farmaco è stato approvato
utilizzando l'approvazione accelerata, che può essere utilizzata per
un farmaco attivo su di una malattia grave o pericolosa per la vita
che fornisce un significativo vantaggio terapeutico rispetto ai
trattamenti esistenti. L’approvazione accelerata può essere basata
sull’effetto del farmaco su un endpoint secondario che
ragionevolmente è probabile che preveda un beneficio clinico per i
pazienti, con uno studio post-approvazione richiesto per verificare
che il farmaco fornisca effettivamente il beneficio clinico atteso.
Lo studio
I ricercatori hanno valutato l’efficacia della molecola in tre studi
separati per un totale di 3.482 pazienti. Gli studi consistevano in
studi di dose-range in doppio cieco, randomizzati, controllati con
placebo in pazienti con malattia di Alzheimer. I pazienti che hanno
ricevuto il trattamento hanno avuto una significativa riduzione dose
e tempo-dipendente della placca amiloide-beta, mentre i pazienti
nel braccio di controllo degli studi non hanno avuto riduzione della
placca amiloide-beta. Il prodotto di Biogen, stando a quanto dice la
Fda stessa, è il primo trattamento unico nel suo genere approvato
per il morbo di Alzheimer dal 2003 ed è la prima terapia che mira
alla fisiopatologia fondamentale della malattia...]
Capitolo 2

ASTRAZENECA
UN PO’ DI
CHIAREZZA

Per chi, giustamente, si sente disorientato leggendo messaggi


comunicazionali non propriamente “illuminati”. Ed a tutti coloro i
quali, pur non avendo la benché minima conoscenza tecnica e
scientifica, a dispetto di una grammatica pressoché farlocca, si
ergono ad anatomopatologi emettendo sentenze prive di alcun
riscontro oggettivo.
«Non si tratta di un errore su cui si sta facendo dietrofront né di un
cambio repentino di idee.
Semplicemente stanno cambiando i tre parametri principali sui cui
Ema ha dichiarato fin dall’inizio di basarsi quando concesse il via
libera ad Astrazeneca e a tutti gli altri vaccini fino ad ora autorizzati.
Ai tempi del via libera Ema ha pubblicato tabelle molto chiare sui
criteri di autorizzazione chiarendo che avrebbero inciso sulla
decisione dell’utilizzo a seconda della situazione epidemiologica. Il
primo criterio è la circolazione del virus, attualmente siamo in quella
che nelle tabelle è definita come “bassa diffusione” con un tasso di
incidenza di 50 casi per 100 mila abitanti. Quando si arriva a una
condizione del genere i benefici e i rischi si modificano radicalmente.
Il potenziale rischio del vaccino aumenta e il potenziale beneficio
diminuisce perché diminuisce il rischio stesso di malattia. Questa
diminuzione avviene per fasce d’età. È quindi una questione di
proporzione, più il virus circola più è probabile che il rischio legato
all’infezione sia superiore a quello comportato dal vaccino. Se Covid-19
circola poco come in questo momento accade il contrario è cioè che il
rischio comportato dal vaccino, nelle fasce basse d’età, rischia di
essere identico a quello di Covid grave. Cosa che non succede negli
anziani, in cui gli effetti del virus rimangono enormemente superiori
rispetto a quelli del vaccino.
Il secondo è quello della disponibilità di altri vaccini. Un valore
decisamente cambiato rispetto a quello di qualche mese fa quando in
assenza di altri strumenti è stato fondamentale utilizzare anche
Astrazeneca, considerando un rischio assoluto molto basso. Il terzo
parametro che si è modificato drasticamente soprattutto nelle ultime
settimane è quello della terapie intensive. Le unità di rianimazione si
stanno svuotando. Per tutte queste ragioni ora vale la pena di iniziare
a personalizzare un po’ di più la somministrazione dei vaccini.”
Proff. Guido Rasi, per nove anni direttore di Ema e per tre anni di Aifa.
Capitolo 3

L’ITER REGISTRATIVO E
LA SUCCESSIVA
APPROVAZIONE E POI
COMMERCIALIZZAZIONE
DI UN VACCINO ANTI
COVID

Per quelli che “credo nella scienza e nei suoi progressi farmacologici
ma i vaccini anti covid sono un’altra cosa. “
Anche i vaccini ( nel caso i 2 a vettore adenovirale ed i 2 a vettore a
mRNA ) come ogni altro farmaco, sono sviluppati seguendo le
classiche fasi della sperimentazione pre-clinica e clinica.
Questo vale per i vaccini ma anche per i farmaci e porto ad esempio
i monoclonali tipo blinatumomab ( leucemia ), daratumumab (
mieloma ), bamlanivimab, casirivimab, imdevimab ( covid ), ma c’è
ne sono molti altri ( circa 60 ) già approvati o ancora in attesa di
approvazione.
Anche per questi farmaci biologici così come per i vaccini, sono
necessari rigorosi controlli post-produzione che garantiscano
elevata similarità tra i differenti lotti in termini di:
* struttura
* attività biologica
* profilo di efficacia, sicurezza e immunogenicità perché non ci sono
ancora congrui numeri di studi che indichino potenziali effetti a
lungo termine. ( ma nel frattempo impattano positivamente su
numerose patologie incurabili sino a pochi anni fa )
Prima di essere considerato per uso umano, ogni prodotto
medicinale deve essere sottoposto ad una serie di test per valutarne
l’attività e la tossicità sia in vitro sia in vivo in modelli animali.Tutti gli
studi condotti in vitro, in vivo sull’animale ed ex vivo, sono definiti
studi “non-clinici” e accompagnano parallelamente lo sviluppo
clinico di un medicinale, ivi compreso un vaccino.Di questi, quelli
“pre-clinici” sono condotti prima della sperimentazione clinica di
Fase 1 First In Human (FIH).Terminata la fase pre-clinica ha inizio la
vera e propria sperimentazione clinica sull’uomo che prevede 3 Fasi
di sviluppo:
Fase 1. Prima somministrazione del vaccino sull’uomo per valutare la
tollerabilità e la sicurezza del prodotto (il numero dei soggetti
coinvolti è molto ridotto);

Fase 2. Se la Fase 1 ha mostrato risultati soddisfacenti, il vaccino


viene somministrato ad un numero maggiore di soggetti
(nell’ordine delle centinaia) per valutare la risposta immunitaria
prodotta, la tollerabilità, la sicurezza e definire le dosi e i protocolli di
somministrazione più adeguati;
Fase 3. Se la Fase 2 ha mostrato risultati soddisfacenti, il vaccino
viene somministrato a un numero elevato di persone (nell’ordine
delle migliaia) allo scopo di valutare la reale funzione preventiva del
vaccino, dunque l’efficacia. Questi sono studi controllati (i soggetti
trattati con il vaccino in studio sono confrontati solitamente con
quelli riceventi il placebo) e randomizzati (la suddivisione dei
soggetti fra l’uno e l’altro braccio dello studio avviene in maniera
casuale). Questa tipologia di studi rappresenta lo strumento più
solido del metodo scientifico per dimostrare l’efficacia e la sicurezza
di un prodotto medicinale, inclusi i vaccini.Se tutte le fasi hanno
dato esito favorevole ( sono le stesse che si eseguono ad esempio
per i farmaci, quelli biologici inclusi ) seguirà:
Autorizzazione EMA (European Medicines Agency). I dati di tutte le
fasi precedenti e i risultati degli studi clinici vengono presentati
all'autorità di regolamentazione competente. Se le autorità
decidono che il nuovo farmaco è efficace, sicuro e incontra gli
standard di qualità, viene rilasciata l'autorizzazione all'immissione in
commercio o di licenza.Dopo di che: Autorizzazione AIFA (Agenzia
Italiana del Farmaco). Successivamente all’autorizzazione da parte
dell’EMA, l’Agenzia Italiana del farmaco opera le sue valutazioni
fornendo le indicazioni specifiche per l’utilizzo di quel determinato
farmaco.
Gli studi di Fase 4 (post-autorizzativi) rappresentano la fase di
controllo e sorveglianza, nota come farmacovigilanza (o
vaccinovigilanza), ma alcuni sono convinti o si dilettano a far credere
che sia una fase di sperimentazione in cui la popolazione viene
coinvolta, utilizzata come cavia.
Questi studi vengono condotti DOPO la commercializzazione però.
Dopo la commercializzazione, ogni sostanza con proprietà
curative/preventive viene monitorata tramite attività di controllo
permanente, per la verifica di diverse criticità, come il corretto uso
del farmaco, le eventuali reazioni avverse (ADR, Adverse Drug
Reaction) o gli eventuali eventi avversi che seguono
l'immunizzazione (AEFI, Adverse Events Following Immunization),
nel caso di un vaccino. L'obiettivo della farmacovigilanza è quello di
monitorare, in maniera costante e continuativa, il rapporto
rischio/beneficio, in modo tale da assicurare che il beneficio sia
sempre superiore. Questa attività è svolta sia dalle case produttrici,
sia da enti nazionali ed internazionali: in Italia ne è responsabile
l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ed è regolamentata da diversi
decreti legislativi nazionali e dalle direttive e dai regolamenti UE.
La farmacovigilanza non ha nulla a che fare con le fasi di
sperimentazione propriamente dette che i farmaci attraversano
prima di giungere nelle nostre case.
Come nelle sperimentazioni sui farmaci, anche in quelle sui vaccini,
l’esito da valutare viene osservato per un tempo prestabilito, tale da
poter rilevare nei diversi bracci dello studio (es. vaccino e placebo)
un numero di eventi sufficiente a evidenziare differenze
statisticamente significative tra i bracci stessi, come auspicato dal
disegno dello studio.
Fonte ISS Bioetica.
Link:
https://m.youtube.com/watch?
v=RGzQUbkUhSQ&fbclid=IwAR3K1sxwguAk0GWOUFha1FZqZU7MZ-
P3dQcf57xkm7xLkGbItmmnrB-5XCc .
Capitolo 4

UNA QUESTIONE DI
PREVENZIONE
PRIMARIA

Per quelli che il vaccino non è necessario perché il Sars-cov 2 e’


curabile.Certamente!!! Il Covid è una patologia che si può anche
curare (sul come ci sarebbe molto da discutere purtroppo, anche se
fortunatamente i MONOCLONALI) hanno dimostrato di agire alla
grande e quindi TRIPLO YEAH!!! ).
Ma sfortunatamente per tutti, ha implicazioni non uniformi. C’è chi
lo contrae e risulta asintomatico ( ma in grado di trasmetterlo
egualmente ), chi accusa sintomi lievi o poco più’, chi deve ricorrere
al ricovero in ospedale in un reparto di terapia semi intensiva, chi
deve essere intubato in un reparto di rianimazione ed infine, chi
muore. Per questo motivo trovo riduttivo e ( opinione personale)
sbagliato il concetto che essendo anche curabile, il vaccino non sia
necessario. Il vaccino è prima di tutto prevenzione.
In Sanità la PREVENZIONE PRIMARIA è la forma classica e
principale di prevenzione e comprende tutti gli interventi destinati
ad ostacolare l’insorgenza delle malattie nella popolazione,
combattendo le cause e i fattori predisponenti. Il tutto per ridurre la
circolazione virale tra quei soggetti a rischio che per un motivo o per
l’altro non sono protetti dalla vaccinazione, ricordando che nessun
vaccino è efficace al 100% o somministrabile al 100% dei soggetti. Ed
al contempo per ridurre la circolazione virale tra la popolazione
generale, e quindi proteggendo anche soprattutto se stessi,
ricordando che questo significa ridurre il rischio di selezione di
varianti di SARS- CoV-2 resistenti ai vaccini. Non dimentichiamo, che
vaccinarsi, nell’ambito di una pandemia come questa, è comunque
pur sempre un atto di responsabilità, civiltà e rispetto verso il
singolo individuo e tutta la collettività ( il detto prevenire è meglio
che curare, rende perfettamente l’idea). Per chi fosse interessato ad
approfondimenti su base scientifica seria, certificata e
costantemente revisionata e non attinti da fonti quali Fb, Twitter,
Telegram ecc ecc, ricordo che per aiutare gli operatori sanitari e i
ricercatori, Lancet ha creato il Covid- 19 Resource Centre che
riunisce gli articoli sull'epidemia di Covid-19 contenuti in tutte le
riviste del network. Tutti i contenuti sono accessibili gratuitamente.
Vi potete accedere anche da questo link:http://www.nbst.it/615-
novel-nuovo-coronavirus-2019-ncov-lancet-resource- centre.html#
Capitolo 5

I VACCINI
RAPPRESENTANO
UN BENE PER LA
COLLETTIVITÀ

Oggi alla "scienza" (che è cosa assai diversa dagli "scienziati" e, a


differenza di molti scienziati, non è politicamente schierata, non va
in TV a recitare una parte e non prende soldi da nessuno) sembra
essere riconosciuta un'autorevolezza inferiore rispetto alle idiozie
che emergono dalla "public opinion” che strombazza indisturbata
sui social (prova ne siano tutti coloro che non si fidano dei vaccini,
che il vaccini fa male, che il vaccino è sperimentale e che contiene
un elenco infinito quanto delirante di componenti fianco i feti
abortiti o addirittura non credono che il Covid semplicemente
"esista", ma si bevono tutte le fesserie clamorose di qualche
improvvisato sciamano del web.
Ovviamente la “scienza”, essendo per definizione una conoscenza
"in progress" e come tale imperfetta e provvisoria, procede
attraverso errori e soluzioni perfettibili, ma sicuramente sufficienti a
relegare la ciarlataneria nei luoghi che merita ed esistono criteri
oggettivi per definire ciò che è scienza e ciò che non lo è.Finché il
“salotto buono” non porterà, documenti alla mano, confutazioni
scientifiche valide, presenti in letteratura e con almeno un doveroso
numero di citazioni, mi sento tranquillo che sto condividendo
pubblicazioni dai contenuti ragionevoli ;)
Piccola premessa: in sintesi [...la Carta Costituzionale - oltre ad
attribuirci diritti e libertà, richiede a ciascun cittadino di fare la
propria parte...]. Rimanendo equidistanti tra chiusuristi, oltranzisti e
riduzionisti se non veri e propri negazionisti:

[...è finalmente venuto il momento di riconoscere ai vaccinati le


doverose prerogative che da mesi suggeriamo di assegnare, che si
riassumono nel messaggio semplice e diretto che ne da il CDC -
USA : “sei vaccinato? Puoi tornare a tutte le attività che svolgevi
prima della pandemia”...]....capito?

[...il vaccino non è un’azione individuale che si esegue per


proteggere solamente se stessi. Il vaccino va inteso come una
meravigliosa possibilità offerta dalla ricerca biomedica che non
soltanto promette di proteggerci dalla malattia, ma è in grado di
ridurre significativamente la circolazione del virus, tutelando in
questo modo anche chi non può vaccinarsi o chi, pur vaccinandosi,
ha una risposta inferiore agli altri e sviluppa una minore protezione.
Il vaccino è quindi un “bene comune”, perché chi si vaccina pensa
non solo a se stesso, ma contribuisce a tutelare i suoi cari e l’intera
comunità...]
[... Non si tratta di discriminare cittadini di serie A e cittadini di serie
B (locuzione ad effetto tanto cara ai no-vax o agli scettici), ma di
prendere oggettivamente atto che il completamento del ciclo
vaccinale ha effetti concreti e tangibili che consentono, ben lungi da
rappresentare un “premio per i più bravi” il riconoscimento di
prerogative dettate dal livello di sicurezza (o se si preferisce di
rischio) raggiunto...]
[... Resistono ancora gli irriducibili che non vogliono vaccinarsi, restii
a comprendere l’effettiva portata dei benefici della vaccinazione e
orientati unicamente in ottica individuale (“tanto io sto attento”
oppure “tanto se me lo prendo lo prendo in forma lieve e in
ospedale non ci finisco” oppure “io mi curo a casa” oppure “tanto è
un'influenza senza conseguenze”), “siamo in una sperimentazione e
non voglio fare da cavia”, ecc. Trattasi, appunto, di scelte
unicamente individuali, avulse dal contesto sociale nel quale
viviamo e del quale anche ci avvaliamo, che tuttavia hanno un
impatto rilevante sull’intera comunità, sul SSN di cui tutti
indistintamente usufruiamo, sui nostri cari, sui nostri amici, sui
nostri concittadini...]
Eppure è di una semplicità e logica disarmante ( nonché supportata
da numerose evidenze scientifiche). Se si riesce ad interrompere la
correlazione tra numero di contagiati e ospedalizzazioni/decessi
(anche se la variante si chiama Delta ), il passo fondamentale verso
l’abbandono di ogni forma di chiusura forzata è compiuto. [... Così
recita l’art. 2 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”: i diritti sono inviolabili e i doveri
INDEROGABILI. Significa che la Carta Costituzionale - oltre ad
attribuirci diritti e libertà, richiede a ciascun cittadino di fare la
propria parte...]
Fonti:
Early Evidence of the Effect of SARS-CoV-2 Vaccine at One Medical Center
May 20, 2021
N Engl J Med 2021; 384:1962-1963
DOI: 10.1056/NEJMc2102153
Initial report of decreased SARS-CoV-2 viral load after inoculation with the
BNT162b2 vaccine
* Matan Levine-Tiefenbrun, Idan Yelin, [...]Roy Kishony Nature Medicine volume
27,
pages 790–792
https://www.nbst.it/615-novel-nuovo-coronavirus-2019-ncov-lancet-resource-?
fbclid=IwAR0UuDBSTr1S7HpF8qfjcTIMIJZ8Dh27RCDHoGNfAlXqZ8uGzpvj47YSGQc

https://www.advisory.com/daily-briefing/2021/03/04/vaccine-transmission?
fbclid=IwAR1q3Fn5D34xItYPHnLGqv_4IpDyuDWhpwMn2Mf43ElOTOu4iNWl_lQYh
nQ

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?
abstract_id=3790399&fbclid=IwAR0f2SI7IGAjgKhpp4qEIzoV79ihDl4phBr7dHW8Xv
tklb1FtTe7tlukuF0

https://www.fda.gov/media/144453/download?
fbclid=IwAR3i22qchjpX8YmIKFoOLB2Y8_ybl_i0ATNR0q__A0K41j6Gmx1wBBGkxHE

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.02.25.21252415v1.full?
fbclid=IwAR1q3Fn5D34xItYPHnLGqv_4IpDyuDWhpwMn2Mf43ElOTOu4iNWl_lQYh
nQ

https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/70/wr/mm7013e3.htm?
fbclid=IwAR1GlxbLuPAygfdW25-wT3ZsMGn5nns0DeSgGkLF-
D5LevTh_5vbaSXdxpg

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.02.15.21251623v3?
fbclid=IwAR1WigR_wEMk5TZhauAYOj4p3lnXWBD8tO4og3LCpu_VzVrIajZktvQfaBw

https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/Risk-of-transmission-
and-reinfection-of-SARS-CoV-2-following-vaccination.pdf?
fbclid=IwAR2ag9_G8lIAQ4aDZLe5J42-
5_ovJcZfVpWXP0WJQWumddb3mn5OBwbe0nc

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.02.06.21251283v1?
fbclid=IwAR0HWBl0r4UwvtCyt85xx9fsJo2C_HihhnqA_wvUbUEEhojDLtci_4fQnAA

https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/vaccines/stay-up-to-date.html?
CDC_AA_refVal=https%3A%2F%2Fwww.cdc.gov%2Fcoronavirus%2F2019-
ncov%2Fvaccines%2Ffully-vaccinated.html

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?
abstract_id=3825573&fbclid=IwAR0UuDBSTr1S7HpF8qfjcTIMIJZ8Dh27RCDHoGNf
AlXqZ8uGzpvj47YSGQc

https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-
display/docweb/9550331?
fbclid=IwAR3iWBm5fJmR0F94eer6ZPcTzr7vlf0XpSM59_ejztbp9fmA7_FHjVyroCA

https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda45263.htm?
fbclid=IwAR2OheBHQglqQ_O5jZqGFzmZ_dPquXYNmyf2obrI_nMbCBZnFPv5r53NY
R4
Capitolo 6

LOCKDOWN...NO
GRAZIE!!! OGGI
ABBIAMO I
VACCINI.

Eppure è molto semplice. Se si riesce ad interrompere la


correlazione tra numero di contagiati e ospedalizzazioni/decessi il
passo fondamentale verso l’abbandono di ogni forma di chiusura
forzata è compiuto. Paradossalmente è proprio chi sceglie di non
vaccinarsi a rischiare un eventuale dannosissimo lockdown. Per cui
ben venga la libertà di scelta, ma facciamo in modo di non mandare
“tutto in vacca” se la scelta non ha fondate basi scientifiche cui far
riferimento.
Partendo dalla certezza che al 95% i vaccini ( chi più chi un po’
meno ) hanno attività immunizzante ( proteggono l’individuo dal
contrarre l’infezione, così come avviene per il comune vaccino
antinfluenzale, per cui chi lo ha fatto, per poco meno del 100% non
contrarrà sul totale, l’influenza e la percentuale che sarà più
“sfortunata” si ammalerà si, ma in forma molto più lieve ), altrettanto
onestamente possiamo ammettere che gli stessi vaccini abbiano
una capacità sterilizzante ( capacità di diffondere l’infezione ) ad
oggi ancora scientificamente oggetto di discussione ( per cui nella
scelta sul cosa fare, personalmente non conterei ancora su questa
caratteristica). Detto questo, è di una chiarezza disarmante il fatto
che, se il 75/80 % della popolazione fosse vaccinata, “si rischierebbe”
di tramutare il temuto Sars Cov 2 in una banale influenza ( che
peraltro causerà sempre un certo numero di decessi, come
dimostrato dalle statistiche annuali).
A dimostrazione di ciò, basta osservare cosa è avvenuto
recentemente in UK: (i dati sono disponibili da Luglio 2021).
“i nuovi casi sono arrivati a oltre 27 mila in un giorno con un
incremento del 53% in una settimana. Ma con una fondamentale
differenza: oggi ci sono solo 1900 persone in ospedale col Covid,
mentre a gennaio erano 40mila. E mentre allora un contagiato su
dieci finiva in ospedale, adesso capita a meno di uno su 50. È
l’effetto dei vaccini: in Gran Bretagna due terzi della popolazione
adulta è completamente immunizzata e l’85 per cento ha ricevuto
almeno una dose. ( Non a caso, infatti, i contagi si concentrano
soprattutto fra i giovani, che risultano ancora in buona parte
scoperti.)”
[Cit Luigi Ippolito - Corriere della Sera]
Capitolo 7

PER UNA EFFICACE


CAMPAGNA VACCINALE
BASTEREBBE
SEMPLICEMENTE UNA
“SPINTA GENTILE”

[...Esiste una via di mezzo pratica ed efficace, fra l’obbligo poliziesco


e un mero appello alle buone intenzioni dei cittadini?Si, una via di
mezzo esiste, e si chiama ‘spinta gentile’ (‘Nudge’, in inglese).L’idea
della ‘spinta gentile’ è stata inizialmente proposta da due studiosi
americani di scienze sociali, uno dei quali – Richard Thaler
dell’Università di Chicago - insignito del Premio Nobel per
l’Economia nel 2017.Si tratta di una strategia di paternalismo
libertario. Lo Stato favorisce o semplicemente rende più comodo ed
immediato il comportamento desiderato, mentre rende più
complesso, o meno vantaggioso, quello non desiderato.
In campi diversi da quello vaccinale, i risultati ottenuti sono stati
sorprendenti. E’ sufficiente, ad esempio, variare la presentazione dei cibi
disponibili in una mensa per ottenere buoni risultati in termini di
comportamenti alimentari corretti. Oppure, comunicare sulle bollette
elettriche quanto una famiglia è stata ‘sprecona’ nel mese precedente
genera buoni risultati il mese successivo (ben oltre la mera e prevedibile
‘regressione verso la media’). Prevedere ‘di default’ che (salvo scelta
contraria) una persona possa donare i propri organi dopo la morte o destini
una piccola parte del proprio reddito a un fondo pensionistico integrativo
sono due ulteriori esempi. Ma ve ne sono molti altri.
Tutte queste strategie di ‘spinta gentile’ presentano un vantaggio collaterale
importante ovunque, e sicuramente ancora più importante nel contesto
italiano: per funzionare, non richiedono burocrazia, agenti di polizia,
procedimenti sanzionatori. Non rischiano di intasare la macchina pubblica,
perché si tratta di sistemi (o di stratagemmi, se volete) miranti ad indurre un
adeguamento ‘spontaneo’ da parte delle persone.
Certo, perché la strategia funzioni in ambito vaccinale occorre che l’incentivo
sia importante. Così, ad esempio, come è stato recentemente suggerito, una
sorta di ‘certificato vaccinale’ contro Covid-19 potrebbe per un certo periodo
divenire necessario per:
- ottenere o mantenere determinati tipi di impieghi o di mansioni, ad
esempio nel settore sanitario;
- frequentare determinati eventi sportivi o culturali, ovvero palestre, cinema,
teatri e altri luoghi di ritrovo;
- ottenere una riduzione nei tempi di accesso a prestazioni sanitarie (non
salva vita).
Altri esempi di possibile ‘spinta gentile’ in ambito vaccinale potrebbero
essere agevolmente individuati, anche attraverso una consultazione
dell’opinione pubblica...]
[...CONCLUSIONI: Sono convinto che, per superare l’esitazione vaccinale in
ambito Covid-19, una strategia di ‘Nudging’ come quella descritta sarebbe
legalmente sostenibile, relativamente semplice da attuare ed efficace nei
risultati. Naturalmente, dovrà trattarsi di una strategia sempre
proporzionata rispetto al rischio che si vuole prevenire.Nessun rilievo contro
una possibile normativa nazionale di ‘spinta gentile’ per il vaccino Anti-
Covid-19 potrà avere la sentenza 2 ottobre 2020 del TAR Lazio, che ha
annullato analoghe previsioni della Regione Lazio, relative al vaccino contro
l’influenza.
Il TAR infatti non ha censurato nel merito questo tipo di misure, ha
soltanto evidenziato (correttamente) che la loro adozione spetta allo
Stato, non alle Regioni.
Non avrebbe poi alcun fondamento etico né costituzionale
un’opposizione di principio a questo tipo di misure, magari basata
su un presunto diritto assoluto alla ‘obiezione di coscienza’. Da
quando è nata con Antigone, l’obiezione di coscienza non è mai
stata indolore. E la nostra libertà non è assoluto, quando il suo
esercizio può nuocere – in modo scientificamente dimostrato – ad
altri. Quando un vaccino efficace arriva, approvato dalle autorità
sanitarie nazionali e internazionali, rifiutarlo pregiudizialmente
sarebbe del resto molto ‘stonato’ in un contesto mondiale nel quale
la vera sfida sarà quella di riuscire a distribuire il vaccino ai miliardi
di presone che – avendone necessità – ne avranno diritto. Non certo
quella di rincorrere minoranze animate da pregiudizi
antiscientifici...]
Da una intervista rilasciata a PDO da parte di Luciano Butti - giurista
Capitolo 8

DI VIRUS, VACCINI,
MUTAZIONI,
VARIANTI...

[...La circolazione di varianti che progressivamente hanno sostituito


quelle precedenti hanno mostrato una maggiore capacità diffusiva
(si trasmettono meglio da individuo a individuo), ma non sembrano
DOTATE DI MAGGIORE AGGRESSIVITÀ’ (capacità di causare una
malattia più grave)...] ( per cui, sino a qui... nulla di così eclatante )!!!
Così scriveva, giorni, or sono il Proff. Aldo Manzin.
Saggiamente l’Autore ha successivamente poi chiarito alcuni punti,
su cui, per superficialità o per me incomprensibili motivi, parecchia
gente preferisce fare orecchie da mercante e che cerco di
riassumere:
[... Una delle leggende metropolitane che hanno accompagnato sin dagli
esordi della pandemia la narrazione su SARS-CoV-2 è che questo virus sia
un mostro in grado di mutare in continuazione e che, in virtù di questa
proprietà “marziana”, sia in grado di eludere qualsiasi tentativo di
arrestare la sua corsa verso lo sviluppo di nuove varianti aggressive.
Parallelamente, la stessa narrazione ritiene che l’immunizzazione estesa
della popolazione sia un fattore determinante nel forzare il virus a mutare
con lo scopo di difendersi dall’attacco degli anticorpi indotti dai vaccini o
dall’infezione naturale: in poche parole, si narra che i vaccini “producono”
le varianti. Si è detto ormai fino alla noia che i virus, e in particolare i virus
con genoma a RNA (come il coronavirus responsabile di Covid-19),
mutano in continuazione e lo fanno in modo casuale, perché si
riproducono grazie all’attività di un enzima che può introdurre degli errori
che, se conferiscono un vantaggio evolutivo al virus, ad esempio
rendendolo più facilmente trasmissibile, vengono fissati e conservati in
varianti che sostituiscono quelle che sono circolate precedentemente...]
[... SARS-CoV-2, a differenza di quanto si narra, in realtà muta molto poco:
molto meno rispetto a coronavirus simili o rispetto ad altri virus
ampiamente diffusi nella popolazione, come morbillo, parotite, epatite B,
influenza, epatite C, HIV. Per questi ultimi virus, inoltre, l’efficacia dei
vaccini in uso (tranne HCV e HIV per i quali non esistono vaccini, e
influenza, ma per motivi che ora sarebbe troppo lungo spiegare) è
ESTREMAMENTE elevata...].
[... Le varianti si sono sviluppate a partire da diverse regioni geografiche
(da cui le precedenti denominazioni: inglese, indiana, sudafricana,
brasiliana...) ed ora vengono convenzionalmente designate in base alle
lettere dell’alfabeto greco (alfa, beta, delta, ecc.) .Quando hanno
cominciato a diffondersi, presumibilmente, tali varianti?
Alfa: settembre 2020; beta: maggio 2020; gamma: novembre 2020;
delta (quella che ora sta soppiantando tutte le altre): ottobre 2020;
epsilon: marzo 2020; zeta: aprile 2020; lamba: agosto 2020...... ben
PRIMA che iniziasse la somministrazione dei vaccini, in contesti
dove il virus circolava ampiamente perché non contrastato da
misure di contenimento efficaci, o perché queste risultavano
disattese, e nonostante l’acquisizione dell’immunità da parte di chi
aveva avuto l’infezione naturale...]
[...Non essendo quindi i vaccini responsabili della selezione di
varianti, è l’aver consentito al virus di circolare ad elevata intensità a
determinare una maggiore chance per favorire varianti a più facile
diffusione. E al di là degli interventi non farmacologici (lockdown,
distanziamenti senza se e senza ma, uso indiscriminato delle
mascherine), spesso ritenuti a torto gli unici capaci di contenere la
circolazione del virus, la modalità più efficace rimane la
VACCINAZIONE, la più estesa possibile, per tutte le categorie
attualmente ritenute idonee, in uno sforzo di impegno globale
(mondiale) in cui si riconosca da parte della collettività il valore
sociale oltre che sanitario di questo fondamentale presidio
medico...]
Segue link: www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.2017726117
Commento: estratto di una intervista rilasciata a PDO da Aldo
Manzin, Professore Ordinario di Microbiologia e Microbiologia
clinica, presso l’Università di Cagliari, (UniCA) Facoltà di Medicina e
Chirurgia, Dipartimento di Scienze Biomediche e responsabile del
Laboratorio di Microbiologia applicata, Presidio “D. Casula”, Azienda
Ospedaliero-Universitaria di Cagliari.
Capitolo 9

MUTAZIONI, PROTEZIONE
DALL’INFEZIONE E/O
DALLO SVILUPPO DELLA
MALATTIA E TEST DI
NEUTRALIZZAZIONE
ANTICORPALE

PREMESSA
Mi rendo sempre più conto che si dovrebbe porre la giusta
attenzione a cosa e come leggiamo/ascoltiamo, interpretando
notizie/articoli/interviste che ogni giorno rimbalzano tra quotidiani e
televisione. Faccio un esempio: se uno studio dimostra che gli
anticorpi indotti dalla vaccinazione hanno una diminuita capacità
“in vitro” di neutralizzare le VARIANTI di Sars Cov 2, NON SI
SOSTIENE che tali varianti siano capaci di eludere il vaccino e che gli
anticorpi prodotti non abbiano attività su tali varianti!!!
Significa semplicemente che se ci si trova in presenza di una
variante, la capacità di neutralizzazione può essere ridotta, pur
rimanendo parecchio significativa.

PERCHÉ?
1. In laboratorio vengono pre incubati campioni di siero a diluizioni
diverse uniti ad una quantità conosciuta di virus (coltura cellulare
infetta).

2. Questi campioni vengono poi posti a contatto con le cellule in


grado di contrarre l’infezione.

3. RISULTATO A: se il siero NON manifesta anticorpi neutralizzanti—-


> il virus non è neutralizzato—-> il virus infetta la cellula—-> il virus
causa l’effetto patologico (citotossicita’).

4. RISULTATO B: se il siero presenta anticorpi neutralizzanti l’effetto


patologico non si manifesta e si riesce a capire quindi quale sia la
diluizione maggiore, capace di neutralizzare il virus.

SPIEGAZIONE
I campioni di siero possono avere una capacità neutralizzante a
diluizioni diverse, del tipo: 1:40, 1:80, 1:160, 1:320 ecc. Ovviamente un
campione di siero neutralizzante ad una diluizione di 1:320 sarà “ più
potente” del campione di siero che neutralizza ad una diluizione
1:40 ma tuttavia ancora capace di impedire l’infezione cellulare,
contenendo anticorpi neutralizzanti sia pure ad attività ridotta ma
non assente, rispetto ai campioni di siero “più potenti”.
COSA SUCCEDE “IN VIVO”.

Ci sono due eventualità:


a] il nostro corpo entra in contatto con il virus (infezione naturale)
b] il nostro corpo entra in contatto ( indotto ) con una parte della
proteina Spike ( vaccinazione ).

In questo ultimo caso, ANCHE IN PRESENZA DI MUTAZIONI, che


complicano il riconoscimento, produrremo anticorpi neutralizzanti
in grado di riconoscere almeno 5/6 parti della proteina Spike, per cui
anche una minima quantità di anticorpi neutralizzanti ( i sopra
indicati campioni di siero che “in vitro” hanno capacità
neutralizzante con bassa diluizione, tipo 1:40 ) è sufficiente a fornire
una protezione dall’infezione e/o una protezione dallo sviluppo della
patologia.

NOTA A MARGINE
Secondo molteplici studi, diversi agenti virali, sono in grado di
reinfettare. In questo caso tuttavia:
- l’infezione resta ( di solito) asintomatica.
- La reinfezione diminuisce di molto la capacità dell’individuo
infetto di trasmettere a sua volta l’infezione.
- Si stimola maggiormente l’immunità, predisponendo ad una
maggiore capacità di difesa.
Senza dimenticare il ruolo della risposta mediata dai linfociti T, che
hanno il compito di riconoscere le cellule infettate e di eliminarle (e
con esse il virus).
Capitolo 10

SARS-COV-2: I VACCINI
NON CAUSANO LA
SELEZIONI DI
VARIANTI E MUTA SI, MA
IN MODO LIMITATO

Le leggende metropolitane del “salotto buono”, la cui definizione


troverete consultando l’Ordine del Giorno del Blog omonimo, a
confronto con una ricca bibliografia.
[... Una delle leggende metropolitane che hanno accompagnato sin
dagli esordi della pandemia la narrazione su SARS-CoV-2 è che
questo virus sia un mostro in grado di mutare in continuazione e
che, in virtù di questa proprietà “marziana”, sia in grado di eludere
qualsiasi tentativo di arrestare la sua corsa verso lo sviluppo di
nuove varianti aggressive. Parallelamente, la stessa narrazione
ritiene che l’immunizzazione estesa della popolazione sia un fattore
determinante nel forzare il virus a mutare con lo scopo di difendersi
dall’attacco degli anticorpi indotti dai vaccini o dall’infezione
naturale: in poche parole, si narra che i vaccini “producono” le
varianti.

IL VIRUS MUTA?

Si è detto ormai fino alla noia che i virus, e in particolare i virus con
genoma a RNA (come il coronavirus responsabile di Covid-19),
mutano in continuazione e lo fanno in modo casuale, perché si
riproducono grazie all’attività di un enzima che può introdurre degli
errori che, se conferiscono un vantaggio evolutivo al virus, ad
esempio rendendolo più facilmente trasmissibile, vengono fissati e
conservati in varianti che sostituiscono quelle che sono circolate
precedentemente. SARS-CoV-2, a differenza di quanto si narra, in
realtà muta molto poco: molto meno rispetto a coronavirus simili o
rispetto ad altri virus ampiamente diffusi nella popolazione, come
morbillo, parotite, epatite B, influenza, epatite C, HIV. Per questi
ultimi virus, inoltre, l’efficacia dei vaccini in uso (tranne HCV e HIV
per i quali non esistono vaccini, e influenza, ma per motivi che ora
sarebbe troppo lungo spiegare) è ESTREMAMENTE elevata.
IL VACCINO FACILITA LE VARIANTI?

Le varianti si sono sviluppate a partire da diverse regioni


geografiche (da cui le precedenti denominazioni: inglese, indiana,
sudafricana, brasiliana...) ed ora vengono convenzionalmente
designate in base alle lettere dell’alfabeto greco (alfa, beta, delta,
ecc.). Quando hanno cominciato a diffondersi, presumibilmente, tali
varianti? Alfa: settembre 2020; beta: maggio 2020; gamma:
novembre 2020; delta (quella che ora sta soppiantando tutte le
altre): ottobre 2020; epsilon: marzo 2020; zeta: aprile 2020; lamba:
agosto 2020...... ben PRIMA che iniziasse la somministrazione dei
vaccini, in contesti dove il virus circolava ampiamente perché non
contrastato da misure di contenimento efficaci, o perché queste
risultavano disattese, e nonostante l’acquisizione dell’immunità da
parte di chi aveva avuto l’infezione naturale.

QUINDI?

Non essendo quindi i vaccini responsabili della selezione di varianti,


è l’aver consentito al virus di circolare ad elevata intensità a
determinare una maggiore chance per favorire varianti a più facile
diffusione. E al di là degli interventi non farmacologici (lockdown,
distanziamenti senza se e senza ma, uso indiscriminato delle
mascherine), spesso ritenuti a torto gli unici capaci di contenere la
circolazione del virus, la modalità più efficace rimane la
VACCINAZIONE, la più estesa possibile, per tutte le categorie
attualmente ritenute idonee, in uno sforzo di impegno globale
(mondiale) in cui si riconosca da parte della collettività il valore
sociale oltre che sanitario di questo fondamentale presidio
medico...].
Bibliografia:
[Low genetic diversity may be an Achilles heel of SARS-CoV-2]
View ORCID Profile
Jason W. Rausch,
View ORCID Profile
Adam A. Capoferri,
View ORCID Profile
Mary Grace Katusiime, Sean C. Patro, and Mary F. Kearney
See all authors and affiliations

PNAS October 6, 2020 117 (40) 24614-24616; first published


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Capitolo 11

SARS COV
2...DA DOVE
VIENI?

Questa è la traduzione integrale dell’articolo divulgativo apparso sul


NYT in data 25/6 sull’origine del Sars Cov 2 di cui link allegato:

https://www.google.com/amp/s/www.nytimes.com/2021/06/25/opinio
n/coronavirus- lab.amp.html
TRADUZIONE

[...Da dove viene il coronavirus? I dubbi legati a quello che per ora
sappiamo: la pandemia di influenza H1N1 del 1977-78 che emerse dal
nord-est dell'Asia e uccise circa 700.000 persone in tutto il mondo,
aveva caratteristiche curiose tra cui il fatto che colpì quasi
esclusivamente persone intorno ai 20 anni o anche più giovani. Gli
scienziati dell’epoca scoprirono poi un'altra particolarità che
avrebbe potuto spiegare questa caratteristica: il virus H1N1 era
praticamente identico a un ceppo che circolava negli anni '50, e le
persone nate prima di quell’anno avevano un'immunità che le
proteggeva, mentre i più giovani no. Ma come era possibile che il
virus in questione fosse rimasto così stabile geneticamente, dato
che i virus mutano continuamente? Gli scienziati ipotizzarono che
fosse stato congelato/conservato in laboratorio. Infatti questo virus
fu poi scoperto essere sensibile alle alte temperature,una
caratteristica tipica dei virus utilizzati nella ricerca sui vaccini { ma
non presente in quelli selvatici).

Ma fu solo nel 2004 che un eminente virologo, Peter Palese, scrisse


che Chi-Ming Chu, un rispettato virologo ed ex membro
dell'Accademia Cinese delle Scienze, gli aveva detto che "la
diffusione del virus H1N1 del 1977" era effettivamente dovuta a trials
vaccinali in cui “a diverse migliaia di reclute militari era stato
somministrato un vaccino contenente il virus H1N1 vivo". Per la
prima volta, era stata la scienza stessa che nel tentativo di prepararsi
ad affrontare un’eventuale pandemia sembrava averne causata una.
Ora, per la seconda volta in 50 anni, ci si interroga sulla possibilità di
avere a che fare con una pandemia causata dalla ricerca scientifica.
Anche se l'ostruzione del governo cinese potrà impedirci di sapere
con certezza se il virus, SARS-CoV-2, sia di origine “naturale” o sia
uscito da un laboratorio di Wuhan e se sia stata coinvolta la
sperimentazione genetica, quello che abbiamo saputo finora ha
fatto nascere sospetti e preoccupazioni. Nonostante anni di ricerca
sui rischi dei coronavirus e una ampia storia di incidenti di
laboratorio ed errori avvenuti in tutto il mondo abbiano fornito agli
scienziati moltissime ragioni per procedere con estrema cautela
nello studio di questa classe di agenti patogeni, le misure di
sicurezza utilizzate non sono mai state all’altezza del pericolo che si
stava vivendo. E peggio ancora, il successo dei ricercatori nello
scoprire nuove minacce non si è poi tradotto in una migliore
preparazione nell’affrontarle.
Anche nel caso che il coronavirus fosse passato dall'animale
all'uomo senza il coinvolgimento diretto di attività di ricerca, le basi
per un potenziale disastro erano evidenti da anni. È quindi di
essenziale importanza imparare da questi errori per prevenire che in
futuro si ripetano altre situazioni del genere.
*
Prima dell'epidemia di SARS, i coronavirus, erano considerati
abbastanza benigni, causando solo leggeri raffreddori. Anche nel
novembre 2002, cinque mesi dopo che la SARS era emersa nella
Cina meridionale e mentre la malattia si diffondeva in altri paesi, il
governo cinese non fu affatto trasparente riguardo ai dettagli sulla
sua reale pericolosità. La diffusione di questo virus fu contenuta solo
nell'estate del 2003, ma non prima di aver infettato più di 8.000
persone e di averne uccise 774. Le autorità sanitarie dell'epoca
furono in grado di sopprimere la diffusione della SARS
principalmente perché le persone infette contagiavano solo quando
sintomatiche, rendendo più facile identificare e isolare gli individui
infetti. Ma il disastro fu comunque evitato di poco, e il fatto che il
tasso di mortalità fosse di circa il 10% fece comunque scattare
l'allarme: per la comunità scientifica prevenire la prossima
pandemia di coronavirus divenne una priorità.
Nel 2005, diversi ricercatori - tra cui Dr. Shi Zhengli, una virologa
dell'Istituto di virologia di Wuhan - avevano identificato i pipistrelli
“a ferro di cavallo” come il più probabile ospite animale primario da
cui era emersa la SARS e negli anni successivi, questi scienziati
concentrarono le loro ricerche sui coronavirus di pipistrello sia nel
loro habitat naturale che in laboratorio. Per molto tempo si era
ritenuto che la SARS fosse stata trasmessa agli esseri umani dalla
civetta delle palme mascherata (Paguma larvata) un piccolo
mammifero talvolta venduto nei mercati di fauna selvatica; tuttavia
già dal 2008, era cresciuto il sospetto che i coronavirus di pipistrello
potessero infettare direttamente le cellule polmonari umane senza
bisogno di un animale intermedio, sospetto confermato per la
prima volta nel 2013 dagli esperimenti di laboratorio di Dr. Shi
Zhengli. Nonostante tutto questo, diversi ricercatori hanno
continuato a lavorare con pipistrelli, campioni di pipistrello e virus di
pipistrello in condizioni igienico-sanitarie che fin da subito hanno
destato molta preoccupazione.
*
È nella natura dei virus mutare continuamente, o con eventi casuali
che alterano, aggiungono e rimuovono parti del loro genoma o con
eventi che favoriscono lo scambio di pezzi di codice genetico,
fenomeno noto come ricombinazione. Questo continuo processo
evolutivo consente l'emergere di nuove caratteristiche che possono
permettere ai virus di infettare nuove specie. Per riuscire a prevenire
questi tipo di eventi, la ricerca scientifica ha cercato di anticiparli in
laboratorio; in quella che a volte viene chiamata ricerca
“sull’acquisto di funzione” o “gain-of-function”, i ricercatori
manipolano geneticamente i virus [nel tentativo di anticipare il loro
processo evolutivo naturale] per prevedere come possano evolversi
e diventare più pericolosi.
In un articolo su Nature Medicine del 2015, ricercatori di due dei
maggiori laboratori di virologia specializzati sui coronavirus al
mondo il cui Dr. Shi Zhengli e Dr. Ralph Baric, professore
dell'Università del North Carolina a Chapel Hill (UNC), pubblicarono
di aver bio-ingegnerizzato un coronavirus. In questo studio realizzato
nel laboratorio di Dr. Baric a UNC i ricercatori presero una proteina
Spike, la famosa "chiave" che i coronavirus usano per entrare nelle
cellule e infettarle, da un virus di pipistrello a ferro di cavallo e la
inserirono in un virus umano della SARS adattato per crescere nei
topi. Questo virus "chimerico" poteva infettare cellule umane,
indicando la possibilità che alcuni virus di pipistrello potessero
essere "capaci di infettare cellule umane senza necessità di
mutazione o adattamento " in un altro animale. Questa fu dunque la
seconda volta dagli esperimenti di Dr. Shi Zhengli del 2013 in cui si
dimostrò scientificamente che un coronavirus di pipistrello simile
alla SARS potesse infettare direttamente le cellule delle vie aeree
umane in laboratorio.
Questo tipo di manipolazione genetica aveva già sollevato non
poche preoccupazioni, soprattutto dopo che alcuni laboratori nei
Paesi Bassi e negli Stati Uniti avevano annunciato nel 2011 di aver
creato nuovi ceppi di virus influenzali utilizzando materiale genetico
del virus Influenzale A (H5N1), noto per essere altamente letale ma
non in grado di essere trasmesso da persona a persona. Questi nuovi
ceppi potevano infatti diffondersi per via aerea tra i furetti, che
hanno polmoni molto simili a quelli umani. Il clamore fu immediato.
A difesa dell'esperimento sul coronavirus del 2015 di Dr. Shi Zhengli e
dei suoi colleghi si espresse Peter Daszak, la cui organizzazione,
EcoHealth Alliance, aveva lavorato a stretto contatto con la scienziata
cinese e aveva ricevuto decine di milioni di dollari nell'ultimo
decennio dal governo degli Stati Uniti. Dr. Daszak disse che queste
scoperte avrebbero permesso agli scienziati di focalizzarsi su un
rischio reale e imminente "trasformando questo tipo di virus da
potenzialmente a realmente patogeno e pericoloso”.
Altri esperti invece avevano espresso maggiore preoccupazione,
come ad esempio Simon Wain-Hobson, un virologo dell'Istituto
Pasteur di Parigi che dichiarò: "Se il virus sfuggisse, nessuno
potrebbe prevederne le conseguenze". E la storia recente ha fornito
molte ragioni che giustificano questo tipo di preoccupazione. Per
esempio quasi tutti i casi di SARS emersi successivamente
all'epidemia originale sono stati dovuti a fughe di laboratorio - sei
incidenti conclamati in tre paesi, tra cui due episodi in un solo mese
causati da un laboratorio di Pechino, in uno dei quali persino la
madre di un ricercatore morì. Ancora nel 2007, l'afta epizootica, una
malattia che può devastare il bestiame e che nel 2001 causò’ una
“outbreak” importante in Gran Bretagna, sfuggì da un laboratorio
inglese BSL-4, il più alto livello di biosicurezza, a causa di una
perdita da un tubo di drenaggio. Perfino l'ultima morte di vaiolo
accertata, avvenuta in Gran Bretagna nel 1978 fu dovuta a un
incidente di laboratorio.
Nel 2012, nella prima indagine pubblicata sui sistemi di
segnalazione nei laboratori americani che lavorano con agenti
patogeni pericolosi, i Centers for Disease Control and Prevention
(C.D.C.) riportarono 11 infezioni acquisite in laboratorio in sei anni,
spesso in laboratori “BSL-3”, il livello di sicurezza riservato ad agenti
patogeni come la tubercolosi. In ognuno di questi casi di infezione,
l'esposizione all'agente patogeno non fu segnalata fino a quando i
ricercatori non si furono ammaliati. Ancora, nel gennaio 2014 nei
laboratori degli stessi C.D.C. ci fu un episodio di contaminazione
accidentale di un campione di virus influenzale benigno con il
ceppo letale A (H5N1), ma nessuno si accorse del potenziale pericolo
fino ad alcuni mesi dopo. E nel giugno 2014, ancora i CDC inviarono
per errore a diversi laboratori batteri di antrace non propriamente
disattivati, rischiando di esporre a questo patogeno almeno 62
dipendenti del CDC, che lavoravano con questi campioni senza gli
indumenti protettivi adatti. Un mese dopo, fiale di virus del vaiolo
vivo furono addirittura trovate in un magazzino del National
Institutes of Health (NIH) americano.
Nell'ottobre 2014, dopo questa serie di incidenti “di alto profilo”, gli
Stati Uniti misero in pausa il finanziamento di nuove ricerche “ gain-
of-function”, con alcune eccezioni poi revocate nel 2017. Ma
domande molto più serie sugli standard di sicurezza scientifica
sarebbero sorte di lì a poco.
*
Il 30 dicembre 2019, una mailing list pubblica, gestita dalla Società
Internazionale per le Malattie Infettive dichiarò che a Wuhan, in
Cina, era apparsa una "polmonite inspiegabile" e inchieste
successive collegarono questi primi casi al mercato del pesce di
Huanan della città. Il 10 gennaio 2020, uno scienziato cinese
pubblicò il genoma di un nuovo virus - presto chiamato SARS-CoV-2
- su un Server internet pubblico, confermando che si trattasse di un
coronavirus. Fino al 19 gennaio 2020 il governo cinese continuò a
negare che il virus potesse diffondersi tra gli esseri umani; ma tre
giorni dopo, annunciò il lockdown di Wuhan, una città di 11 milioni di
persone. Circa una settimana dopo l’inizio del lockdown, gli
scienziati cinesi pubblicarono un articolo sulla rivista medica The
Lancet che identificava i pipistrelli come probabile fonte del virus.
Gli autori facevano però notare che l'epidemia era avvenuta durante
il periodo di letargo dei pipistrelli locali e che "nessun pipistrello era
stato venduto o trovato al mercato del pesce di Huanan",
ipotizzando dunque che il virus potesse essere stato trasmesso
all’uomo da un animale intermedio.
*
Le epidemie possono esplodere anche molto lontano dalla loro
luogo d’origine. Per esempio l'epidemia di SARS del 2002 iniziò nel
Guangdong, a circa mille chilometri dalle grotte dello Yunnan,
habitat dei pipistrelli a ferro di cavallo da cui si ritiene che il virus
SARS si sia originato.
Le civette mascherate delle palme” (Masked Palm Civet) - allevati e
commercializzati in tutta la Cina in condizioni spesso anguste e
malsane e per questo potenziale fonte di epidemie - vennero citati
come potenziale veicolo usato da SARS per viaggiare dallo Yunnan
al Guangdong. E per lo stesso motivo anche nel caso di SARS-CoV-2
, si sospettò’ che il commercio di animali selvatici fosse stato la
causa del contagio, dato che anche questo virus era stato rilevato
per la prima volta in un mercato in cui venivano commercializzati
animali selvatici vivi.
Gli utenti dei social media in Cina sono stati tra i primi ad essere
scettici: perché la diffusione di una malattia derivata dai pipistrelli
era iniziata proprio a Wuhan, sede del Wuhan Institute of Virology,
una delle poche strutture di ricerca al mondo sui coronavirus di
pipistrello, e del Wuhan Centers for Disease Control and
Prevention,che svolge anch’esso ricerche sui pipistrelli, e che si trova
a poche centinaia di metri dal mercato che si sospettava fosse
l'origine dell'epidemia? Il 19 febbraio 2020, 27 eminenti scienziati
pubblicarono una lettera aperta su The Lancet, dove condannavano
" teorie complottiste che insinuano che il Covid-19 non abbia
un'origine naturale".
*
Ma considerando la sua origine, la questione cruciale non è tanto se
SARS-CoV-2 possa essere sfuggito da un laboratorio - gli incidenti
possono sempre accadere - ma piuttosto come sia arrivato fino al
laboratorio, e come sia stato gestito al suo interno. Poco dopo il
lockdown di Wuhan nel gennaio 2020, diventò evidente che SARS-
CoV- 2 era associato a un virus che gli scienziati conoscevano da
anni.
Il 3 febbraio 2020, Dr. Shi Zhengli e i suoi collaboratori pubblicarono
su Nature di aver trovato nel loro database dei documenti su un
virus, RaTG13, precedentemente identificato nei pipistrelli a ferro di
cavallo dello Yunnan, la cui sequenza genomica era identica al
96,2% a quella di SARS-CoV-2. A questo punto setacciando i
database genomici alcuni utenti web particolarmente sospettosi
scoprirono che RaTG13 corrispondeva esattamente al coronavirus di
pipistrello 4991 scoperto in una grotta nello Yunnan dove nel 2012 si
era verificata un'inspiegabile epidemia di polmonite tra i minatori
che raccoglievano guano di pipistrello da una miniera. In seguito a
quell'incidente, tre dei sei minatori coinvolti morirono. Nel maggio
2020, un ex insegnante di scienze Indiano, dallo pseudonimo Twitter
“TheSeeker268”, trovò sul web sia una tesi di master pubblicata nel
2013, sia una tesi di dottorato del 2016, entrambe supervisionate da
George Fu Gao, l'attuale direttore del Centro Cinese per il Controllo e
la Prevenzione delle Malattie. La tesi di Master ipotizzava che la
malattia dei minatori fosse stata causata dalla trasmissione diretta
di un coronavirus simile alla SARS da parte di un pipistrello a ferro di
cavallo. La tesi di dottorato era più cauta, ma definiva comunque
l'epidemia ”significativa”. Lo studio rivela inoltre che un team
dell'Istituto di Virologia di Wuhan aveva raccolto campioni di
pipistrelli dalla grotta, e che quattro minatori testati presentavano
anticorpi anti-SARS nel sangue poche settimane dopo essersi
ammalati.
Nessuno di questi fatti cruciali, il cambio di nome, o il legame con il
precedente focolaio tra i minatori generato anch’esso
probabilmente da un coronavirus simile alla SARS, era stato
menzionato nell’articolo originale su RaTG13. In un'intervista
pubblicata nel marzo 2020, Dr. Shi Zhengli dichiarò che l'agente
patogeno responsabile della morte dei minatori era stato un fungo,
e non un coronavirus.
Ma la questione rimaneva aperta. Lo scorso luglio, Dr. Shi Zhengli
confermo’ poi che RaTG13 era effettivamente il 4991, ma con il nome
cambiato, e nel novembre 2020, il suo articolo su Nature fu
finalmente aggiornato, riconoscendo inoltre ciò che gli utenti web
avevano scoperto: il suo team aveva sequenziato geneticamente
RaTG13 nel 2018. (Il possibile legame tra coronavirus di pipistrello e le
morti dei minatori invece non e’ ancora stato ammesso).
La divulgazione di informazioni molto limitata e non trasparente, un
virus con due nomi, il possibile collegamento a un'epidemia
mortale, malattie sospette e storie incoerenti, tutto questo ha
contribuito ad alimentare molti sospetti. Alcuni hanno infatti
ipotizzato che il RaTG13 fosse stato sottoposto a una manipolazione
di tipo “gain-of-function” già citata precedentemente, per creare il
SARS-CoV-2. Tuttavia RaTG13 assomiglia di più a un lontano cugino
di SARS-CoV-2, il che significa che è improbabile che abbia prodotto
SARS-CoV-2 come discendenza diretta, sia attraverso un'evoluzione
recente (naturale), sia tramite una manipolazione in laboratorio.
Anche se il RaTG13 non ha avuto alcun ruolo nell'epidemia di Covid-
19, sono state sollevate domande sul perché Dr. Shi Zhengli e i suoi
collaboratori fossero così poco propensi a parlarne. Di lì a poco
emersero altre domande.
Per esempio, lo stesso gruppo di utenti web che aveva collegato
RaTG13 all'incidente avvenuto nella miniera dello Yunnan scoprì che
nel settembre 2019 un database genomico mantenuto dall'Istituto
di Virologia di Wuhan, con informazioni su migliaia di campioni di
pipistrelli e almeno 500 coronavirus di pipistrelli era stato
recentemente messo offline.
La spiegazione ufficiale fornita, che il server era stato messo offline
perché violato dalla pirateria informatica, non chiariva il perché’ le
informazioni contenute nel database non fossero state rese
accessibili alla comunità’ scientifica attraverso altri canali più’ sicuri.
Queste lacune hanno in effetti reso più difficile, se non impossibile
escludere scenari preoccupanti.
Se ci fosse stato un outbreak in laboratorio che avesse coinvolto
SARS-CoV-2 o un virus simile raccolto in natura o soggetto a
sperimentazione in laboratorio, mettere il database offline avrebbe
reso più’ difficile collegare le evidenze. Le autorità incaricate di
indagare sul possibile outbreak di laboratorio avrebbero
prematuramente pensato che non ci fosse stato nessun problema
facendosi probabilmente sfuggire quell’individuo asintomatico che
senza accorgersene avrebbe iniziato un effetto di trasmissione a
catena che ha poi permesso al virus di circolare silenziosamente
fino all’evento superspreader del Dicembre 2019.
*
La segretezza e gli insabbiamenti hanno portato ad alcune teorie
estremamente cospirazioniste, ad esempio, che il virus fosse
fuoriuscito da un laboratorio di armi biologiche, il che ha poco
senso, dato che, per prima cosa, le armi biologiche di solito
coinvolgono agenti patogeni più letali con una cura o un vaccino
noto, per proteggere coloro che li utilizzano. Più’ tardi emersero
altre teorie ancora più fantasiose. Il lavoro scientifico del Dr. Shi
Zhengli dipendeva in gran parte dalla raccolta e dall'analisi di
centinaia di campioni di pipistrelli, ed i risultati dei suoi stessi studi
avevano già mostrato i pericoli associati a questo tipo di ricerca.
Il lavoro pubblicato nel 2013 da Dr. Shi Zhengli e Dr. Daszak aveva
infatti dimostrato che un coronavirus vivo derivato da un pipistrello
dello Yunnan poteva legarsi ai recettori di cellule polmonari umane,
dimostrando che "potrebbero non essere necessari ospiti intermedi
per infettare direttamente l’uomo”. Quel controverso esperimento
del 2015 precedentemente citato, coadiuvato da un gruppo di
ricercatori che includeva Dr. Baric e Dr. Shi Zhengli fu realizzato
dopo aver trovato un altro coronavirus di pipistrello sospettato di
poter infettare direttamente l'uomo. Siccome quel coronavirus era
difficile da mantenere in laboratorio, il gruppo di ricercatori ne creò
uno chimerico usando il suo stesso recettore Spike e dimostrando
che anch'esso poteva infettare direttamente le cellule delle vie
respiratorie umane.
Nell'ottobre 2015, il laboratorio di Dr. Shi Zhengli analizzò il sangue di
oltre 200 persone che vivevano a pochi chilometri da due grotte di
pipistrelli dello Yunnan di cui 6 risultarono positive ad anticorpi di
coronavirus di pipistrello, un’indicazione di un'infezione pregressa.
Tutti e sei riferirono di aver visto pipistrelli ma il fatto che delle 200
persone testate solo 20 avessero riportato di aver visto pipistrelli
volare vicino alle loro case, suggerì che in seguito all’esposizione il
rischio di infezione fosse molto elevato. Tuttavia nessuno ha tenuto
conto di queste considerazioni nelle pratiche di laboratorio. Infatti
nonostante un articolo cinese del 2017 avesse mostrato la grande
cautela con cui lavoravano i ricercatori dell'Istituto di Virologia di
Wuhan fotografati incappucciati e con maschere N95, più tardi
quell'anno una report della TV di stato cinese riguardante il lavoro di
ricerca del Dr. Shi Zhengli mostrava operatori che maneggiavano
pipistrelli o feci di pipistrello a mani nude o con le braccia esposte.
Una persona del suo team aveva addirittura paragonato un morso
di pipistrello “all’essere trafitti da un ago".
Nel 2018 in un post sul suo blog che fu poi successivamente
rimosso, Dr. Shi Zhengli dichiarò che questo lavoro di ricerca non era
"così pericoloso" come tutti pensavano, scrivendo inoltre che "La
possibilità di infettare direttamente gli esseri umani è molto bassa, e
nella maggior parte dei casi verranno prese solo misure di
protezione di tipo ordinario", a meno che un pipistrello non fosse già
noto per portare un virus che potesse infettare direttamente l’essere
umano. Secondo il Washington Post qualcosa di simile fu ripetuto
dalla dottoressa in un video in stile “TED Talk” del 2018, nel quale Lei
affermava che le misure di protezione di tipo ordinario, illustrate da
fotografie di colleghi senza mascherina, o solo con mascherina
chirurgica ma a mani nude, fossero più che sufficienti perché si
riteneva che i patogeni dei pipistrelli richiedessero un ospite
intermedio. Dr. Shi Zhengli poi confermò che tutte le ricerche
dell'istituto erano eseguite in stretta conformità con gli standard di
biosicurezza e il laboratorio era testato annualmente da
un'istituzione scientifica indipendente.
Anche il Wuhan CDC condusse ricerche sui virus trasmessi dai
pipistrelli e uno dei suoi membri, Tian Junhua, noto per le sue
avventurose scoperte scientifiche, in un articolo del 2013 era stato
pubblicato che la sua squadra catturò ben 155 pipistrelli nella
provincia di Hubei. Il Washington Post più’ tardi riferì’ che in un
video pubblicato il 10 dicembre 2019 che lo stesso Tian Junhua si era
vantato di "aver visitato decine di grotte di pipistrelli e di aver
studiato almeno 300 tipi di vettori virali differenti". In precedenza,
questo ricercatore aveva anche parlato di aver commesso diversi
errori sul campo, come dimenticare l'attrezzatura di protezione
personale o essere stato schizzato con urina e sangue di pipistrello
direttamente sulla sua pelle.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO) ha riferito più
volte che l'agenzia di ricerca cinese ha sempre negato di aver mai
conservato o lavorato con virus di pipistrello in laboratorio prima
della pandemia.
Lo scorso marzo l'OMS dichiarò che il 2 dicembre 2019 il laboratorio
del CDC. di Wuhan era stato trasferito in una nuova sede vicino al
mercato Huanan e che durante il trasferimento non c’erano state
"interruzioni o incidenti". Data la mancanza di trasparenza del
governo cinese, venne il sospetto che campioni di laboratorio, se
non i pipistrelli stessi, fossero stati trasportati vicino al mercato al
momento dell'inizio del primo outbreak.
Molte di queste pratiche di ricerca non erano comunque violazioni
delle norme internazionali. Una ricercatrice americana specializzata
in pipistrelli ha confermato che ora si indossano sempre respiratori
nelle caverne dei pipistrelli, ma prima della pandemia questa non
era una pratica standard. Non è dunque un'idea strampalata
pensare che la ricerca sul campo possa di per sè stessa scatenare
un'epidemia. Dr. Linfa Wang, un virologo cino-australiano con sede
a Singapore che ha lavorato spesso con Dr. Shi Zhengli e pioniere
dell'ipotesi che i pipistrelli fossero dietro l'epidemia di SARS del
2003, ha detto alla rivista Nature che esiste una piccola possibilità
che questa pandemia {Sars-Cov-2} sia stata provocata da un
ricercatore inavvertitamente infettato da un virus sconosciuto
mentre raccoglieva campioni di pipistrelli in una grotta. I pipistrelli
stessi inoltre quando ospitati vivi e cresciuti nei laboratori sarebbero
fonte di ulteriori rischi alla salute, rischi non diversi da quelli causati
dalla vendita di animali selvatici nei mercati urbani.
Il 10 dicembre, Peter Daszak, che aveva coordinato la lettera della
rivista The Lancet denunciando la messa in discussione delle origini
naturali del Covid-19 e che era stato incluso come membro del
comitato di indagine dell’OMS sulle origini del Covid-19 aveva
insistito che affermare che ci fossero stati pipistrelli vivi nei
laboratori con cui lui aveva collaborato per 15 anni fosse una teoria
assurda.
"Non è così che funziona questo tipo di ricerca scientifica", ha scritto
in un tweet che ha poi cancellato. "Noi raccogliamo campioni di
pipistrelli, li mandiamo al laboratorio, e rilasciamo i pipistrelli dove li
abbiamo catturati!". Ma nel tempo si sono accumulate prove che
suggeriscono che sia vero il contrario.
Un assistente ricercatore ha confermato a un giornalista che la
stessa Dr. Shi Zhengli si fosse assunta la responsabilità’ di dare da
mangiare ai pipistrelli quando gli studenti erano assenti. Inoltre, nel
2018, un'altro report investigativo scoprì che una squadra guidata da
uno dei dottorandi di Dr. Shi Zhengli avesse raccolto enormi
quantitativi di campioni e rinchiuso una dozzina di pipistrelli vivi per
ulteriori test in laboratorio".
Il sito web dell'Accademia Cinese delle Scienze aveva catalogato
l'istituto di Wuhan come avente almeno una dozzina di gabbie per
pipistrelli e nel 2018 l'istituto stesso aveva richiesto un brevetto per
una gabbia per pipistrelli. Dr. Shi Zhengli aveva parlato di un
progetto che prevedeva il monitoraggio nel tempo di anticorpi nei
pipistrelli e questo tipo di esperimenti non poteva di certo essere
fatto in una grotta. Infine recentemente è emerso un altro video che
avrebbe mostrato pipistrelli vivi nell'istituto.
Solo poche settimane fa, Dr. Daszak ha rivisto le sue affermazioni
precedenti. "Non sarei sorpreso se", ha detto, "come molti altri
laboratori di virologia in giro per il mondo, anche Dr. Shi Zhengli
stesse cercando di creare una colonia di pipistrelli in cattivita’". Nel
frattempo, nessun ospite secondario animale è stato ancora trovato,
nonostante siano stati testati migliaia di animali intorno a Wuhan. Il
mese scorso anche un ex commissario della Food and Drug
Administration, Scott Gottlieb, ha detto che il fatto di non aver
trovato nessun ospite intermedio è un’ulteriore prova della fuga di
laboratorio, mentre Dr. Daszak ha comunque suggerito che gli
investigatori non si fermino, ma continuino a cercare eventuali
ospite intermedi nelle fattorie di animali selvatici del sud della Cina.
Ma se la fuoriuscita {di Sars- Cov-2} fosse avvenuta tramite
trasmissione diretta da pipistrello a uomo non sarebbe stato
necessario nessun ospite intermedio, dal momento che potrebbe
averla causata una qualsiasi interazione umana con un pipistrello,
da un contadino di un villaggio nei pressi delle grotte dove i
pipistrelli vivono come da un ricercatore sul campo.
Ad ogni modo, anche se la teoria che i virus di pipistrello abbiano
bisogno di un animale intermediario per trasmettersi all'uomo sia
molto diffusa, la ricerca scientifica non è concorde sul fatto che sia
stato la civetta delle palme ad aver diffuso la SARS dai pipistrelli
all'uomo. Sappiamo infatti che questi piccoli mammiferi
amplificarono l'epidemia una volta che la SARS arrivò nel mercato
del Guangdong e che a quel punto tra umani e civette delle palme
divenne possibile la trasmissione del virus da ambo le parti, tuttavia
le uniche popolazioni di animali infetti che i ricercatori hanno
trovato erano quelle dei mercati urbani e talvolta delle fattorie, a
contatto diretto con le persone, non in natura tra animali selvatici.
Noi umani infatti possiamo infettare direttamente diversi tipi di
animali e per questo motivo lo scorso anno la Danimarca decise di
sopprimere 17 milioni di visoni che avevano contratto la SARS-CoV-2
dall'uomo. È dunque plausibile che anche nel caso di SARS-CoV-1 gli
esseri umani abbiano infettato le civette delle palme e queste siano
state in grado di retroinfettare l’uomo come osservato negli
allevamenti di visoni danesi nel 2020.
*
Altre fonti di rischio furono,come detto precedentemente le attività
di ricerca di laboratorio, Ci sono state molte speculazioni sul fatto
che SARS-CoV-2 fosse il risultato dell'ingegneria genetica.
Questa ipotesi non può essere esclusa solo sulla base dell'analisi
genomica, e il sospetto è cresciuto a causa della risposta al solito
poco trasparente delle autorità cinesi. Queste ultime si sono infatti
rifiutate di condividere dati di laboratorio e Dr. Shi Zhengli ha fatto
eco a questa posizione a maggio, quando un gruppo di scienziati,
tra cui il suo co-autore, Dr. Baric, spingevano per una maggiore
trasparenza delle informazioni rilasciate. "E’ una richiesta
assolutamente inaccettabile", scrisse la scienziata cinese in un'email
a un giornalista in risposta alla richiesta di vedere i dati del suo
laboratorio.
Nel frattempo, per tutto il dicembre 2019, i medici di Wuhan
sospettavano che un virus simile alla SARS stesse circolando
liberamente nella popolazione, e il governo locale arrestò diversi
informatori, tra cui almeno un operatore sanitario. L'insabbiamento
da parte dei funzionari del Partito Comunista continuò fino a
quando l'eminente scienziato della SARS Zhong Nanshan si recò’ a
Wuhan il 18 gennaio e lanciò l'allarme. Detto questo, alcune prove
circostanziali gettano vari dubbi sull'affermazione che il virus SARS-
CoV-2 sia stata bioingegnerizzato. Per esempio, aspetti del virus che
hanno fatto sospettare che fosse ingegnerizzato in laboratorio
potrebbero anche essersi evoluti naturalmente. Molta attenzione è
stata concentrata su una caratteristica insolita della sua proteina
Spike chiamata “sito di clivaggio della furina”, per mezzo del quale il
virus può infettare meglio la cellula umana. È una delle varie
peculiarità’ di SARS-CoV-2 così particolare che perfino i virologi che
dubitavano fortemente di un coinvolgimento di laboratorio hanno
detto di essere rimasti scioccati nel vedere la presemza di questo
sito.
Ma al di là del sito di taglio della furina, SARS-CoV-2 era un virus che
gli scienziati non avevano mai visto prima.
Il processo evolutivo può essere sì un accumulo casuale di
molteplici caratteristiche strane e nuove tuttavia, una tale
combinazione sarebbe inadeguata al tipo di ricerca scientifica che
scienziati come Dr. Shi Zhengli conducono e che sarebbe necessaria
per pubblicare su riviste scientifiche di alto livello. Il loro lavoro di
solito comporta la modifica e l'esame attento di un elemento virale
alla volta per scoprire quale funzione ogni elemento abbia. Ad
esempio se il vostro computer si bloccasse non potreste capire
quale sia il problema cambiando simultaneamente la fonte di
alimentazione, il cavo e la presa elettrica, ma dovreste testare ogni
elemento individualmente. Avere una varietà così grande di
elementi insoliti porta a risultati difficili da valutare, non ad un
articolo su una rivista prestigiosa come Nature.
Oltre alla possibilità di una modifica di ingegneria genetica eseguita
direttamente sul virus, ciò che ha sollevato preoccupazioni anche il
regolare lavoro di ricerca nei laboratori di Wuhan. Nel 2016 l'istituto
di Wuhan riferì di aver condotto esperimenti su coronavirus vivi di
pipistrello capaci di infettare cellule umane in un laboratorio BSL-2,
con un livello di biosicurezza cioè’ paragonabile a quello dello studio
di un dentista. A questo livello, l’utilizzo di un equipaggiamento di
sicurezza superiore ai soli guanti e camice di laboratorio è infatti
facoltativo, e spesso non c'è alcun controllo sul flusso d'aria e sulla
ventilazione tra l'area di lavoro e il resto dell'edificio. Michael Lin, un
professore associato di neurobiologia e bioingegneria a Stanford, ha
pubblicamente detto che è stato "un vero scandalo, reso pubblico
dalla stampa", che si sia lavorato in condizioni di sicurezza così basse
con un virus simile alla SARS in grado di replicarsi in cellule umane.
Il solo tentativo di crescere virus di pipistrello in laboratorio genera
rischi che nemmeno gli stessi scienziati possono prevedere. Per
esempio nel tentativo magari fallimentare di coltivare il ceppo virale
desiderato, gli scienziati potrebbero inavvertitamente selezionare
un virus a loro sconosciuto.
È anche possibile, Dr. Lin ha affermato, che in un singolo campione
più virus diversi possano coesistere e possano ricombinarsi tra loro
dando origine a qualcosa di completamente nuovo ma non rilevato.
*
In questo scenario, in condizioni di sicurezza BSL-2 o anche in
condizioni BSL-3 incomplete, i ricercatori potrebbero essere esposti
a un agente patogeno nuovo che non sapevano esistesse. Diversi
scienziati che avevano firmato la lettera pubblicata su The Lancet
che denunciava come falsa ogni considerazione diversa dall’origine
naturale [di Sars-Cov2] adesso sono più aperti alla tesi di un
possibile coinvolgimento di laboratorio. Uno di loro, Bernard
Roizman, emerito virologo dell'Università di Chicago con quattro
cattedre onorarie in varie università cinesi, ha affermato di essere
propenso a credere che ci sia stato un incidente di laboratorio:
"Sono convinto che quello che è successo è che questo virus sia
stato portato in un laboratorio, e ci abbiano iniziato a lavorare sopra",
ha detto al Wall Street Journal, "e poi qualcuno disattento lo abbia
fatto uscire". Ed ha aggiunto: "Loro non potranno mai ammettere di
aver fatto qualcosa di così stupido". Un altro firmatario, Charles
Calisher della Colorado State University, ha recentemente affermato
a ABC News che "ci sono troppe coincidenze" per ignorare la teoria
della fuga dal laboratorio e che ora crede che "sia più probabile che
il virus sia uscito da quel laboratorio". Peter Palese, il virologo che
scrisse sulla pandemia di influenza del 1977, ha dichiarato: "sono
emerse molte informazioni inquietanti dopo la lettera pubblicata da
The Lancet che ho firmato" e vuole un'indagine per trovare delle
risposte. Molti altri scienziati hanno detto come lui di aver cambiato
idea.
Anche Ian Lipkin, direttore del Center for Infection and Immunity
alla Columbia University, coautore nel marzo 2020 di un articolo di
grande impatto nella comunità’ scientifica pubblicato da Nature
Medicine a favore dell’origine naturale del virus, è ora molto più
scettico.
"La gente non dovrebbe studiare i virus del pipistrello nei laboratori
di livello BSL-2", ha detto il mese scorso al giornalista scientifico
Donald G. McNeil Jr. "La mia opinione adesso è cambiata".
I quaderni dei ricercatori del laboratorio coinvolto potrebbero
aiutare a chiarire tali questioni. Lo scorso luglio, Dr. Shi Zhengli
dichiarò che "non c’è alcuna possibilità" che qualcuno all’interno
dell'istituto potesse essersi infettato "durante la raccolta, il
campionamento o la manipolazione dei pipistrelli", aggiungendo di
aver recentemente testato tutti i membri del personale dell'istituto
e gli studenti per gli anticorpi correlati a una un'infezione pregressa
da SARS-CoV-2 o da virus simili alla SARS e di aver trovato "zero
infezioni" insistendo di poter dunque escludere questa possibilità
per tutti i laboratori di Wuhan.
È molto difficile comprendere come uno scienziato attento possa
escludere pubblicamente che ci sia stata anche la minima
possibilità di contagio in tutti i laboratori, compresi quelli non suoi.
"Infezione zero" significherebbe infatti non un solo caso tra le
centinaia di persone all’interno dell'istituto, nonostante uno studio
abbia rilevato che il 4,4% della popolazione di Wuhan sia stato
infettato. Inoltre, quando l’OMS chiese maggiori informazioni sui
primissimi casi di Covid-19 a Wuhan, compresi i dati anonimi ma
dettagliati dei pazienti - qualcosa che dovrebbe essere standard in
qualsiasi indagine sull'origine di un focolaio di infezione – le autorità’
cinesi gli negarono l'accesso. Tutto questo lascia aperte molte
possibilità e lascia ancora molta confusione.
D’altro canto però, siccome la maggior parte delle pandemie sono
state causate da agenti zoonotici, che emergono cioè dagli animali,
perchè si dovrebbe sospettare il coinvolgimento di un laboratorio?
Per rispondere a questa domanda, tuttavia, invece di fare paragoni
con la storia dell’umanità in generale, forse bisognerebbe fare un
confronto con il periodo storico dalla nascita della biologia
molecolare, quando cioè diventò più plausibile che scienziati
attraverso le loro pratiche potessero causare nuovi focolai
d’infezione.
La pandemia del 1977 per esempio era collegata ad attività di
ricerca, a differenza delle altre due pandemie che si sono verificate
successivamente, AIDS prima e influenza suina causata dal virus
H1N1 del 2009, che non lo erano. Inoltre, quando si verifica un evento
raro come una pandemia bisogna considerare tutte le possibili
cause. È come indagare su un incidente aereo: volare è di solito
molto sicuro, ma quando succede un incidente, non ci limitiamo a
dire che gli errori meccanici o del pilota non portano di solito a
catastrofi o che il terrorismo è un evento raro, ma piuttosto,
indaghiamo tutte le possibilità, compresi le più inverosimili, in modo
tale da poter impedire che un evento del genere si ripeta di nuovo.
Forse la domanda più importante a cui rispondere è come
interpretare il fatto che la posizione del primo focolaio d’infezione
fosse a un migliaio di chilometri dai coronavirus più’ prossimi a Sars-
CoV-2 (le grotte di Yunnan) ma a poche centinaia di metri da un
istituto leader nella ricerca scientifica su coronavirus di pipistrello.
Più’ volte il dubbio relativo alla posizione del laboratorio era stato
liquidato dicendo che laboratori di quel genere vengono di solito
installati in prossimità di dove si trovano i virus da studiare. Tuttavia,
l'Istituto di Virologia di Wuhan è lì dal 1956, quando veniva utilizzato
per studi di microbiologia agricola e ambientale sotto un altro
nome. L’istituto fu poi ingrandito ma cominciò a focalizzarsi sulla
ricerca sui coronavirus di pipistrello solo dopo la SARS. Wuhan
inoltre è una metropoli con una popolazione più grande di quella di
New York, non un avamposto rurale vicino a grotte di pipistrelli. Dr.
Shi Zhengli disse che il focolaio del dicembre 2019 la sorprese
perché "non si sarebbe mai aspettata che questo tipo di cosa
potesse accadere a Wuhan, nella Cina centrale". Infatti, quando il
suo laboratorio aveva bisogno di una popolazione di controllo con
una bassa probabilità di esposizione al coronavirus di pipistrello,
venivano utilizzati i residenti di Wuhan, poiché’ "i suoi abitanti
hanno una probabilità molto inferiore di contatto con i pipistrelli a
causa della loro impostazione urbana”.
Comunque la posizione geografica non è da sola una prova
sufficiente. Anche se ci sono molti scenari che suggeriscono come
plausibile un coinvolgimento diretto dell’attività di ricerca scientifica
in questa pandemia, altre possibilità’ non possono ancora essere
escluse. Questa settimana, Jesse Bloom, un professore associato al
Fred Hutchinson Cancer Research Center, ha affermato che quando
riuscì a recuperare e analizzare una serie di sequenze genetiche
parziali provenienti da Wuhan agli inizi della pandemia che erano
state rimosse dall’archivio genomico, i risultati supportavano "le
l’ipotesi che Sars-CoV2 circolasse a Wuhan già’ prima dell'episodio
legato al mercato”. Sia i primi rapporti degli scienziati cinesi che la
più recente indagine dell'OMS pubblicata lo scorso inverno hanno
infatti evidenziato che molti dei primi casi di contagio non avevano
alcun collegamento con il mercato del pesce, compreso quello
dell'8 dicembre 2019 considerato per ora il primo caso riconosciuto.
Per cui il mercato del pesce potrebbe non essere stato il luogo
originante la pandemia.
È anche plausibile che la pandemia possa essere iniziata in qualche
altra località e che sia stata rilevata a Wuhan semplicemente perché
era una grande città. Testare le banche del sangue di tutta la Cina,
specialmente nelle aree vicine agli allevamenti di animali selvatici e
alle grotte di pipistrelli aiuterebbe, ma tranne qualche rara
eccezione o il governo cinese non ha condotto tali ricerche, o se lo
avesse fatto, non ha dato il permesso di condividerne i risultati. Con
così tante evidenze nascoste, è difficile dire di avere delle certezze
riguardo le origini del Covid-19, e un'indagine vera e propria per
ottenere delle risposte dovrebbe affrontare molte difficoltà. Per
questo motivo di alcune epidemie non è mai stata scoperta
l’origine.
Ma anche se ci vengono negate le risposte, possiamo comunque
imparare molto da questa vicenda, come il fatto che, in un modo o
nell'altro, eravamo destinati a un'epidemia di coronavirus di
pipistrello, considerando che esistevano molteplici prove di
laboratorio che dimostravano la capacità dei coronavirus di prove a
cui non si è prestata sufficiente attenzione. Nel lavorare con
pipistrelli e virus gli scienziati e i funzionari governativi dovrebbero
soppesare rischi e benefici, sia sul campo che in laboratorio,
considerando che per prevenire una pandemia e le sue
conseguenze oltre alla ricerca scientifica si dovrebbero potenziare
anche altri ambiti della salute pubblica. Potrebbe infatti essere più
efficace istituire una sorveglianza rigorosa nei luoghi in cui
proliferano agenti patogeni potenzialmente pericolosi, e preparare
meglio le istituzioni a reagire rapidamente e in modo trasparente al
primo segno di un outbreak. La ricerca scientifica potrebbe essere
indirizzata verso la risposta piuttosto che la previsione. Risposta e
previsione sono due aspetti che in parte si sovrappongono ma che
non sono identici e trovare un virus pericoloso in una grotta o in una
“piastra Petri” potrebbe anche essere utile, ma è un po' come dare
fastidio a un orso che dorme.
La ricerca sui pipistrelli dovrebbe essere fatta con più attenzione e
non si dovrebbero studiare virus di pipistrello in laboratori BSL-2, ma
in laboratori BSL-3 e con la massima cautela. I pipistrelli nei
laboratori dovrebbero essere trattati come un pericolo molto serio e
le interazioni umane con i pipistrelli dovrebbero avvenire sotto
stretta regolamentazione e sorveglianza. Alison Young, una
giornalista investigativa che ha a lungo coperto incidenti di
laboratorio, ha scritto che dal 2015 al 2019, negli Stati Uniti sono stati
segnalati più di 450 incidenti con agenti patogeni che il governo
federale regola a causa della loro pericolosità. Anche nei laboratori
britannici si è misurata la stessa percentuale di incidenti. Inoltre ci
sono evidenze che suggeriscono che molti incidenti di laboratorio
non siano nemmeno segnalati. Alcuni scienziati hanno proposto di
imporre controlli più severi e una più forte analisi rischio-beneficio
per la ricerca sugli agenti patogeni che potrebbero
inavvertitamente innescare pandemie e per gli studi scientifici
ritenuti improrogabili si è proposto di spostarne i laboratori fuori
dalle città densamente popolate.
La cooperazione con la Cina su questi temi è vitale, anche per
quanto riguarda la sicurezza dei laboratori e la sorveglianza delle
epidemie. Alcuni sostengono che criticare sia la risposta della Cina
alla pandemia sia le pratiche scientifiche che potrebbero averla
causata potrebbe mettere in pericolo questa cooperazione. È
difficile tuttavia prevedere come queste richieste possano rendere i
funzionari cinesi più intransigenti di quanto non lo siano già. La
gente è comprensibilmente preoccupata anche del fatto che
queste accuse possano demonizzare gli scienziati di altri paesi,
specialmente dato il razzismo anti-asiatico emerso dall'inizio della
pandemia. Ma quale tipo di vantaggio porterebbe loro il perpetuare
questo tipo di comportamenti? Dopo un incidente di laboratorio
con batteri di antrace avvenuto nell'Unione Sovietica nel 1979 che
uccise dozzine di persone, i principali scienziati occidentali decisero
di accettare le giustificazioni del governo sovietico, che poi si
rivelarono essere tutte bugie. Questo tipo di atteggiamento non
aiuta a migliorare gli standard di sicurezza, compresi quelli di cui
beneficerebbero gli scienziati che lavorano in paesi autoritari.
Ma la strada migliore è quella di una vera cooperazione globale
basata su mutuo beneficio e reciprocità e nonostante l'attuale
ipocrisia, dovremmo supporre che anche il governo cinese non
voglia avere a che fare di nuovo con questo tipo di situazioni,
specialmente considerando che anche l'epidemia di SARS è iniziata
lì. Questo significa mettere l'interesse pubblico prima delle
ambizioni personali e riconoscere che, nonostante il fascino delle
sue enormi potenzialità, la ricerca biomedica può essere anche
molto pericolosa. Per fare questo, i funzionari governativi e gli
scienziati devono guardare al quadro generale: Cercare la verità
invece di nascondere prove per evitare figuracce, sviluppare un
quadro generale che non si limiti semplicemente ad accusare la
Cina di tutto, poiché le questioni sollevate sono globali. Ed infine
rendersi conto che la cosa più’ importante è fare molta più’
attenzione ai dettagli...]
( traduzione ad opera di Roberto Ospici e Lucia Mazzacurati - PDO )
Capitolo 12

LA LITANIA INFONDATA
CHE IL VACCINO CAUSI
MUTAZIONI E VARIANTI
NONCHÉ RESISTENZE AL
VIRUS

Ecco un altro contributo di ciò che sino ad ora si è stati in grado di


appurare davvero, studiando il Sars Cov 2 dal punto di vista
genetico, strutturale, funzionale, clinico ed epidemiologico, con a
supporto la solita ricca e consultabile bibliografia.
“Low genetic diversity may be an Achilles heel of SARS-CoV-2”

PNAS October 6, 2020 117 (40) 24614-24616; first published


September 21, 2020; https://doi.org/10.1073/pnas.2017726117
“Perché si può affermare che il virus muta sostanzialmente poco, e
lo fa in modo del tutto casuale?
Perché Il genoma di SARS-CoV-2 è costituito da una serie di
mattoncini, i nucleotidi, che sono in numero di circa 30.000. Un
genoma piuttosto grande che, nonostante la capacità “riparativa”
della polimerasi, non sopporta di accumulare un numero eccessivo
di mutazioni, perché questo ne ridurrebbe la capacità di
sopravvivenza. Si stima che per questo virus, considerando un tasso
mutazionale che va da 1,2 ogni 10.000 nucleotidi/anno a 6,6 ogni
1.000 nucleotidi/anno, ci si devono aspettare mediamente circa 2
mutazioni ogni mese (ma,non tutte obbligatoriamente vengono
conservate).
Le mutazioni che si sono generate in SARS-CoV-2 dall’inizio della
pandemia ( ben PRIMA dell’utilizzo dei vaccini ),hanno determinato
via via la circolazione di VARIANTI che progressivamente hanno
sostituito le precedenti e hanno mostrato una maggiore capacità
diffusiva (si trasmettono meglio da individuo a individuo), ma non
sembrano dotate di maggiore aggressività (capacità di causare una
malattia più grave).”
Dal punto di vista clinico invece c'è poco da aggiungere al
momento, visto che in UK la crescita dei casi è quotidianamente in
salita (quasi 54.000 casi solo un paio di giorni or sono), mentre a tale
incremento NON corrisponde, per ora, una crescita “preoccupante”
delle ospedalizzazioni e dei decessi con una curva quasi piatta.
Oltretutto a leggere numerosi report, sembrerebbe che anche in
Olanda si confermerebbe la situazione che ritroviamo ad oggi in UK.
A testimonianza il link con i dati:
https://coronavirus.data.gov.uk/details/cases
Da un estratto a commento del Proff. Aldo Manzin, Professore
Ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica, presso l’Università
di Cagliari, (UniCA) Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di
Scienze Biomediche, Responsabile del Laboratorio di Microbiologia
applicata, Presidio “D. Casula”, Azienda Ospedaliero-Universitaria di
Cagliari.
Bibliografia
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www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.2017726117

######
Capitolo 13

VACCINI E FARMACI UN TEAM


VINCENTE CONTRO IL
COVID-19 ( ma attenzione a
non dar vita ad inutili
“tifoserie”)

Intervista a Piero Sestili by Team PDO

Professore Associato (S.D. BIO/14, Farmacologia) presso il


Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell'Università degli Studi di
Urbino Carlo Bo
Che anche per questo dualismo si siano scatenate opposte tifoserie,
figlie di inutile pregiudizi che hanno disorientato non poco sia
l’opinione pubblica, ma quel che è peggio, anche la stessa comunità
scientifica è fuor di dubbio. Il risultato è stato disarmante ossia una
ingiustificata antitesi tra farmaci e vaccini con da una parte della
barricata i “partigiani” dei vaccini per i quali i protocolli di cura
farmacologici sono totalmente inutili e dall’altra parte della
medesima barricata i “partigiani” del farmaco che reputano
eccessivo se non inutile la strategia clinica della vaccinazione di
massa. Questa intervista potrebbe, ovviamente con la consueta
umiltà e trasparenza, contribuire a smorzare i toni evidenziando non
una contrapposizione ma una mutualità e convergenza.
*** *** ***
[...”E’ corretto o sbagliato parlare di una contrapposizione farmaci-
vaccini come arma antiCovid-19? C’è una categoria che potrebbe
uscire vincente da questo confronto?”
“... L’idea di una contrapposizione vaccini-farmaci nasce
probabilmente nel momento in cui da una parte si faceva troppo
affidamento sui farmaci, e dall’altra si pretendeva invece che i
farmaci, al contrario dei vaccini, avessero scarsissima o nulla
efficacia contro COVID-19 tanto da snobbarli. Posizioni fideistiche e
radicali sulle quali il Ministero avrebbe potuto fare da arbitro super
partes e pro-veritate. Invece, non è sconveniente farlo notare, si è
avuta la sensazione che le agenzie regolatorie e il Ministero
competente abbiano in qualche modo fatto lievitare questa
contrapposizione (uno su tutti il caso Anticorpi monoclonali [1]),
mantenendosi sordi ai tanti medici e soggetti competenti,
autorevoli e affidabili (tra cui l’inascoltato neo- Presidente AIFA Palù)
che ripetutamente chiedevano un confronto per implementare le
famose linee guida domiciliari. L’opinione pubblica, gruppi di medici
e testate giornalistiche, come sappiamo, non hanno gradito questo
atteggiamento di indisponibilità e si sono mobilitata polarizzandosi
a favore dei farmaci. E così è partita la “guerra” farmaci vs vaccini...”
“...Una metafora sportiva molto calzante è la staffetta dove diversi
atleti passandosi alternativamente il testimone concorrono per una
medesima finalità: vincere. Questa sì è una metafora che funziona.
Farmaci e vaccini non contrapposti, ma funzionali a perseguire uno
stesso obiettivo: controllare, prevenire e sconfiggere SARS-CoV-2 al
pari di quanto è accaduto con altre malattie. E anche se nel caso di
COVID-19 sono i vaccini a fare la differenza, non bisogna dimenticare
che è stata la ricerca sui farmaci a promuovere lo sviluppo di quelle
tecnologie che oggi hanno consentito di realizzare e produrre su
scala industriale i vaccini a RNA o DNA. I farmaci poi, dagli
antinfiammatori agli anticorpi monoclonali hanno consentito, ormai
innegabilmente, di traghettarci attraverso le acque della pandemia
limitando sempre di più i danni. D’altro canto, se oggi abbiamo più
tempo, risorse e soprattutto tranquillità per cercare di sviluppare
anche nuovi farmaci anti SARS-CoV-2 e più in generale antivirali, lo
dobbiamo alla efficace copertura dei vaccini che ci stanno liberando
un po’ alla volta da uno stato di emergenza. Cioè a dire che senza gli
uni, gli altri non vanno avanti. Il senso pieno del rapporto tra farmaci
e vaccini è quindi quello della mutualità e della
convergenza...Cerchiamo allora di capire i pros e cons di vaccini e
farmaci e chiarire se vi siano le ragioni per una contrapposizione.
VACCINI
PRO: i vaccini di ultima generazione rappresentano innegabilmente
- per loro natura e dimostrata efficacia [2] - le armi definitive contro
il virus. Punto!
CON: per essere efficaci debbono raggiungere percentuali molto
alte di copertura di tutta la popolazione a rischio contagio, cioè a
dire miliardi di individui. L’impossibilità di conseguire questo
risultato in modo sincrono rappresenta un punto di oggettiva
fragilità. Si veda a questo proposito il caso dei Paesi poveri, ma
anche di Paesi dell’Asia, Cina in testa, che non hanno puntato sulla
vaccinazione ma piuttosto sulle misure di contenimento ed oggi si
trovano nella pericolosa condizione dei naive.
E che dire del criminale sabotaggio perpetrato dai movimenti no-
vax che continuano a diffondere paura, dubbi e sfiducia erodendo
l’adesione volontaria alla vaccinazione, col rischio di pregiudicare il
traguardo dell’immunità di gregge?
FARMACI
PRO: i farmaci sono efficaci per la gestione dei sintomi della
malattia, evitando spesso l’evoluzione verso le forme più severe.
Inoltre rappresentano un intervento “ad personam”, cioè non
debbono essere somministrati a percentuali di popolazione tali da
raggiungere l’immunità di gregge, ma solo a chi si ammala e
pertanto rappresentano uno strumento più agile e potenzialmente
molto più economico. Questo aspetto positivo potrà essere
pienamente raggiunto una volta che avremo sviluppato farmaci
specifici anti- SARS-CoV-2, la cui disponibilità su vasta scala
potrebbe in futuro portare alla “mitigazione” del virus, così come
avvenuto coi farmaci anti-HIV. Infine i farmaci trovano l’impiego
ideale per gestire le condizioni in cui la vaccinazione non è ancora
pienamente operativa.
CON: i farmaci, attualmente, rappresentano un presidio efficace solo
nel gestire i sintomi e ridurre l’impatto della malattia in chi la
contrae. Infatti, non avendo agenti antivirali efficaci e specifici
contro SARS-CoV-2, il pieno potenziale dei farmaci è ancora
inespresso. Inoltre non c’è ancora consenso sul corretto impiego dei
farmaci nei malati di COVID-19 (le famose linee-guida) e i vari Paesi
procedono in modo disordinato. Purtroppo l’efficacia dei farmaci è
stata artatamente sopravvalutata da alcune parti che volevano
sminuire il rischio di COVID-19 e screditare le misure di
contenimento adottate...”].
[...”Nel caso del protocollo farmacologico, qual’è il primo Step?
“...La classificazione dei sintomi, elemento fondamentale per
conoscere l’evoluzione della malattia, rispetto alle due-tre famiglie
di farmaci che si sono rivelati utili nelle cure precoci...”]
[ “Quali sono gli aspetti che devono essere monitorizzati?”
“... Lo stato febbrile, e la sua durata, insieme agli altri sintomi tipici
delle malattie da raffreddamento. E poi la compromissione
polmonare che è il vero campanello di allarme da misurare non solo
mediante il saturimetro.
L’esordio della malattia non va trattato con la tachipirina, che ha
unicamente proprietà antipiretiche e analgesiche, ma con
antinfiammatori non stereoidei come l’acido acetilsalicilico o
l’ibuprofene, più incisivi...”]
[ “Oltre a questi farmaci...?”
“...In presenza di condizioni di rischio, età superiore ai 60 anni o di
mobilità ridotta, il curante può decidere di somministrare anche
l’eparina. l’idrossiclorochina no, dato che l’Aifa la sconsiglia sia come
prevenzione sia come cura...”]
[ “La terza fase coinvolge i problemi respiratori: come trattarli?”
“... Siccome la ‘fame d’aria’ porta facilmente al ricovero, anche in
tempi rapidissimi, è necessario superare le riserve che circondano i
cortisonici. Vale la pena anticiparli nel setting domiciliare per evitare
se possibile, il ricovero. E quando ci sono delle evidenze di
sovrainfezioni polmonari bisogna intervenire con antibiotici
battericidi come i fluorochinoloni o le cefalosporine. Diciamo no
invece alla azitromicina dal giorno zero perché nonostante una
certa capacità antinfiammatoria, che se si utilizzano i Fans non
serve più, è sempre un antibiotico e come tale non va
somministrato in assenza di sovrainfezioni batteriche...”].
[...Una nota a parte meritano gli ANTICORPI MONOCLONALI (AMb)
che:
come PRO hanno la spiccata attività antivirale diretta (“uccidono” il
SARS-CoV-2) dando ottima prova di sé come farmaci eziologici [3], e
come CON sono gravati dall'impossibilità di impiegarli su vasta scala
(a questo proposito sarà interessante seguire l’evoluzione degli
anticorpi da somministrare per via inalatoria sotto forma di comodi
spray [4]...]
"...Vaccini e farmaci, a ben vedere, vanno inquadrati in una logica
integrata: dove non arrivano gli uni possono arrivare gli altri. Questa
integrazione sarà sempre più proficua man mano che la ricerca
andrà avanti, ci fornirà nuovi vaccini e nuovi farmaci, e si ragionerà
senza pregiudizi, senza tifoserie...Insomma, la morale della favola è
che la Scienza non procede a compartimenti stagni e non si accoda
agli striscioni, ma avanza in modo armonico perché le conoscenze
di una disciplina sono il concime per la crescita di tutte le altre,
incluse le scienze umane, e viceversa...".
Referenze
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Piazza Pulita del 12 febbraio
2021.https://www.la7.it/piazzapulita/video/anticorpi-monoclonali-il-
giallo- del-no-di-aifa-poi-diventato-si-12-02-2021-364895
2. COVID-19 vaccine efficacy summary. Institute for Health Metrics
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efficacy-summary
3. Early Experience With Neutralizing Monoclonal Antibody Therapy
For COVID-19 Jarrett, M. et al.
https://doi.org/10.1101/2021.04.09.21255219
4. Oral inhalation for delivery of proteins and peptides to the lungs.
Eleonore Fröhlich e Sharareh Salar-Behzadi
https://doi.org/10.1016/j.ejpb.2021.04.003
5. Singh TU, Parida S, Lingaraju MC, Kesavan M, Kumar D, Singh RK.
Drug repurposing approach to fight COVID-19. Pharmacol Rep.
2020;72(6):1479-1508. https://doi.org/10.1007/s43440-020-00155-6

6. Scienziati, no ai fondi pubblici per l'agricoltura biodinamica.


Redazione ANSA.

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/ricerca_istituzioni
/2021/05/20/scienziati- no-ai-fondi-pubblici-per-lagricoltura-
biodinamica-_7bf2cd58-78da-482f-a84f- 6f2a543ecd31.html

######
Capitolo 14

IL DR R W MALONE
E’ VERAMENTE L’
“INVENTORE” DEI
VACCINI A mRNA”?

Scrivo questo post, non tanto a beneficio dei più incalliti sostenitori
no-vax ( che quasi certamente lo ignoreranno e/o cestineranno ),
quanto per tutti coloro curiosi delle conquiste nel campo delle
Scienze Biomediche o scettici con ragionevole buon senso
anzicheno’ circa un vaccino per il quale PARE non ci siano molte
evidenze in letteratura, ma impossibilitati, per mancanza di tempo
ad esempio, ad approfondire o verificare determinati argomenti e
disposti a leggere un contributo in più’, per quanto assai modesto,
ma verificabile attraverso un numero tutto sommato “decente” di
fonti a riferimento.
Confesso, per mia ignoranza, che prima di imbattermi nelle due
fotografie che accompagnano il post, non mi ero mai posto il
problema a chi, la comunità scientifica avesse riconosciuto tale
paternità, principalmente per due motivi:
il primo perché, sinceramente trattasi di un argomento non
propriamente scientifico, il secondo perché il nome sia del Dr.
R.W.Malone che della Dr.ssa Katalin Karikò, mi erano totalmente
sconosciuti (e su questo, nulla di strano). Ma mentre la Dr.ssa Karikò
ed il suo collaboratore Drew Weissman, pur mantenendo un profilo
che definire basso è riduttivo, vengono accreditati da terzi (vedasi
articolo del NYT e da citazioni bibliografiche del mondo
accademico), il Dr Malone assurge agli onori della cronaca, nel
momento in cui egli stesso (sì, avete letto bene, egli stesso) si auto
proclama come il “padre” dei vaccini ad mRNA, e lo fa oltre che
attraverso interviste televisive (i cui canali ognuno ha la possibilità di
andarsi a vedere quali siano), sopratutto con un sito web personale
di cui allego il link:
https://www.rwmalonemd.com/?
fbclid=IwAR3bdYSoh3bVrZZeq1Gm2JKYDSsfNQ3UFWQpTdIwOjfVe
wZibSLj95lFTbo. Un sito, peraltro, curato per molte sezioni, dalla
moglie Jill Glasspool Malone Phd, specialista nella gestione di
progetti preclinici, regolatori e clinici, con competenze speciali in
questioni di politica pubblica e normative federali, co-fondatrice di
una serie di aziende biotecnologiche dopo aver ricoperto incarichi
nel settore delle biotecnologie e nel mondo accademico e, guarda
caso, Presidente presso RW Malone MD, LLC. (Chi ha orecchie per
intendere, intenda). Questa situazione, definiamola ambigua e sotto
certi versi anche divertente, mi ha spinto a compiere qualche analisi
e questi che seguono sono i risultati.
Incominciamo con il dire che una rapida ricerca su PubMed ( questo
il link, se qualcuno volesse controllare,
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/?
fbclid=IwAR2Ngq3b16qnvBIKC1kY7vcaQrJH9vXNsuqtX3aeNjYQGLDr
bNkMACRgU2s digitando nel campo il nominativo Malone R W, mi
ha restituito un totale di 54 pubblicazioni; di queste, una è del 1954,
per cui trattasi chiaramente di omonimia, alcuni di “doppioni”
mentre quelli dell’84/85 sono antecedenti il suo Dottorato, per cui
rimangono poco meno di 50 pubblicazioni dal 1989 ad oggi. Un
numero quindi non certo esaltante, se consideriamo che ad
esempio, il Proff. Guido Silvestri dell’Università di Atlanta ed in Italia
non particolarmente “famoso” ma considerato uno dei massimi
esperti a livello internazionale sullo studio dell’HIV, ha indicizzato
circa 255 pubblicazioni a partire dal 2002. Ma andiamo oltre e
ritorniamo al sito personale. Qui, in una sezione, tra l’altro scritta
dalla moglie, si legge: “Storia di come i vaccini a mRNA sono stati
scoperti” in cui, oltre a ribadire la paternità della scoperta, si adduce
come prima prova, la pubblicazione dell’Agosto 1989 dal titolo
“Cationic liposome- mediated RNA transfection” by R W Malone, P L
Felgner, and I M Verma e di cui, come sempre, allego il link:
https://www.rwmalonemd.com/mrna-vaccine-inventor ed in cui, il
Dr Malone è Principal Investigator, ossia Autore Principale.A questo
punto allora, per curiosità, ho scaricato l’intero studio (per chi vuole
può fare altrettanto
qui:https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC297778/pdf/pnas
00283-0074.pdf?
fbclid=IwAR34EyBYZcjacUM9OxkcJN22Kkwo2v6VpEQnNbQXAUpJG
VPYSq_gIzI_naMe me lo sono letto.
Prima però di riassumerlo (per chi si fida) e di trarne qualche
conclusione, mi concedo una domanda curiosa e provocatoria allo
stesso tempo: ma come!? I detrattori dei vaccini, i no vax o più
semplicemente gli scettici, che lamentano la mancanza di tempo e
studi per una tecnica come quella dei vaccini ad mRNA e poi citano
a supporto il Dr R.Malone, che pubblica qualche cosa, poi vedremo
cosa, nel 1989 (oltre trent’anni fa), che problemi di coerenza hanno?

Detto questo, riassumo quanto si legge nello studio. In pratica si


descrive una TECNICA che sarà poi utilizzata anche ben dopo il
1989, ovviamente in campo medico ma anche, in tono più sfumato
in dermo-cosmesi., ossia la TRASFEZIONE MEDIANTE LIPOSOMI.
Questa tecnica non è altro che il processo con cui si fa entrare una
molecola di RNA / DNA ( ma potrebbe essere anche la molecola di
un medicinale) all’interno delle cellule di un organismo,
incapsulandole all’interno dei liposomi. I liposomi, essendo
fosfolipidi ( più semplicemente particelle di grassi ) con
composizione uguale a quella delle membrane cellulari, riescono a
fondersi con esse, rilasciando all’interno della cellula bersaglio, il loro
contenuto. Semplicemente i liposomi possono essere considerati
dei vettori, dei trasportatori ( in questo caso di RNA ).
Purtroppo, in tutto lo studio, la parola vaccino/vaccini non compare
mai e questo perché l’end point (scopo) della pubblicazione è
l’esplicazione di come trasferire materiale genetico all’interno di una
cellula.

Da qui a rivendicare la paternità del vaccino ad mRNA ce ne corre,


IMHO. Al massimo si potrebbe affermare che chi elaborò il vaccino
ad mRNA, utilizzò questa tecnica per trasferirlo.
Ma andiamo oltre ed analizziamo un secondo lavoro del 1990 che
viene citato sul sito del Dr Malone e che ritroviamo anche nella
ricerca su PubMed: “Direct gene transfer into mouse muscle in vivo”
di Jon A. Wolff, Robert W. Malone, Phillip Williams, Wang Chong,
Gyula Acsadi, Agnes Jani, Philip L. Felgner
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/1690918/. Come si legge, in questo
caso, l’Autore Principale è il Dr Wolff, mentre il Dr Malone ne è co-
autore con altri. In questo studio invece, nelle righe finali, compare il
termine vaccini e si può leggere: “l’espressione intracellulare di geni
che codificano per antigeni, possono rappresentare un approccio
alternativo allo sviluppo di vaccini” ossia, questa TECNICA potrebbe
essere utilizzata per sviluppare in futuro, dall’ideazione al trasporto
di nuovi vaccini.
A questo punto dell’analisi, a me pare evidente che la “parola
chiave” riferibile al Dr. Malone RW, sia “TECNICA con cui...” piuttosto
che non “ELABORAZIONE/INVENZIONE DEL VACCINO AD mRNA
con cui...” Pertanto, in una “battuta” per essere estremamente
benevolo, il Dr Malone starebbe all’invenzione dei vaccini ad mRNA,
tanto quanto il The Welding Institute che ha brevettato la saldatura
a frizione, starebbe all’invenzione del modulo interstage del razzo
Delta ( perché è stata utilizzata tale particolare saldatura per
realizzarlo ).
Ma attenzione! Approfondiamo ulteriormente anche questa
benevola quanto “innocente” similitudine. Ricordate quella che ho
definito come prova prima citata anche sul sito personale del Dr
Malone, e che ho riassunto all’inizio del mio post?
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC297778/pdf/pnas002
83-0074.pdf?
fbclid=IwAR0S6YFev5LsSMWLHA2n2zhS7r2ifR5DMMVujeJjAWr8v5k
6iU2mFvKnhOQ
E’ uno studio dell’Agosto 1989 che riporta come prima firma o
Autore principale il Dr. R Malone e come co-autore il Dr. P Felgner.
Esattamente lo stesso Dr P Felgner, che sempre PuMed mi indica
come prima firma o Autore Principale dello studio per lo sviluppo
della stessa tecnica citata dal Dr Malone pubblicato su Nature ben 8
mesi prima, ossia a Gennaio 1989. Potete controllare studio e data
qui .... (https://www.nature.com/articles/337387a0?
fbclid=IwAR34EyBYZcjacUM9OxkcJN22Kkwo2v6VpEQnNbQXAUpJG
VPYSq_gIzI_naM). A conti fatti, quello che verosimilmente “potrebbe
essere” accaduto è che il Dr. Felgner abbia di fatto concepito e
realizzato la TECNICA, mentre il Dr. Malone abbia in seguito
utilizzato tale tecnica per trasferire materiale genetico (RNA).
Cosa questa, ad onor del vero non solo logica ma anche corretta, ma
che non conferisce alcun tipo di “paternità”.
Faccio presente che già nel 1992, si può leggere in letteratura questo
studio dal titolo: “Induction of antiviral immune responses by
immunization with recombinant DNA encoded avian coronavirus
nucleocapsid protein”,NON a firma del Dr Malone, ma che descrive
le strategie per l’impiego di materiale genetico, al fine di creare
vaccini, ADDIRITTURA GIÀ contro il Coronavirus. Ed eravamo solo
nel 1992!!!
(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7131429/pdf/main.pd
f?
fbclid=IwAR3XglNMzoCFS1412kw8NzhaDue6wpa38hfgI36LLdzRJ190
0k-A0AjHFY4).
Capitolo 15

IL PARADOSSO TANTO CARO AI


NO VAX, SPIEGATO DA UNA
SEMPLICE FRAZIONE TRA
NUMERATORE E
DENOMINATORE CHE
DIMOSTRA QUANTO SIANO
EFFICACI I VACCINI, e non il
contrario

Facciamo un esempio pratico con i dati ISS 21/6 - 04/7 2021.


a) Fascia di età: Over 80
b) Diagnosi di Covid-19 tra i vaccinati con 2 dosi : 207 casi.
c) Diagnosi di Covid-19
tra i NON vaccinati: 117 casi.
Letto così si potrebbe affermare che nella fascia Over 80 il n° di
diagnosi di Covid e’ quasi il doppio tra i vaccinati con 2 dosi, rispetto
ai non vaccinati ( 207 casi rispetto a 117 ) e che quindi i vaccini non
funzionano.
Un paradosso quindi? Mica tanto. Semplicemente una questione
matematica talmente evidente per cui basterebbe dare una
occhiata al post di Eric Topol(scienziato e autore americano,
fondatore e direttore dello Scripps Research Translational Institute,
professore di medicina molecolare presso lo Scripps Research
Institute), di cui allego l’immagine.
Infatti, basta aggiungere un quarto dato, per dimostrare la
mistificazione della conclusione e dimostrare l’esatto contrario,
ossia:
d) Fascia Over 80:
vaccinati 2 dosi: 3.879.756
Non vaccinati: 442.065

Ed è qui che entra in gioco il suddetto PARADOSSO ossia la frazione


n° di casi/popolazione di riferimento

1) 207/3.879.756 x 100 ci da una % di Over 80 con diagnosi di Covid


pari a 0,005%
2) 117/442.065 x 100 ci da una % di Over 80 con diagnosi di Covid pari
a 0,026%.
Da cui si deduce che la % di Over 80 con diagnosi di Covid è
MAGGIORE nel gruppo dei NON vaccinati e non viceversa.

*** *** ***


[...Più chiaramente, in gruppi di popolazione con una copertura
vaccinale alta, la maggior parte dei casi segnalati si potrebbe così
verificare in soggetti vaccinati, solo perché la numerosità della
popolazione dei vaccinati è molto più elevata di quella dei soggetti
non vaccinati...].
Purtroppo mi rendo sempre più conto come la strumentalizzazione
partitica, giornalistica e mediatica in generale, che è stata la regola
fin dal gennaio 2020, si mantenga tutt’ora su alti livelli e continui a
far danni.

#############################
Capitolo 16

CONFERME DELL’EFFICACIA
DEL VACCINO A mRNA, ANCHE
NEL CASO DELLE
BREAKTHROUGH INFECTIONS
ARRIVANO ANCHE DA QUESTO
STUDIO CONDOTTO A
SINGAPORE

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.07.28.21261295v1

“Cinetica virologica e sierologica delle infezioni intercorrenti (


breakthrough infections ) con la vaccinazione da variante Sars Cov-2
Delta ( B 1.617.2 ): uno studio di coorte multicentrico.”

[ Po Ying Chia, Sean Wei Xiang Ong, et al., medRxiv preprint ]


Si tratta di uno studio di coorte (che segue un gruppo di persone
per un certo periodo di tempo), multicentrico, retrospettivo di
pazienti che a Singapore avevano ricevuto un vaccino a mRNA
autorizzato e poi ricoverati in ospedale con diagnosi di infezione da
Sars Cov-2 Delta (B 1.617.2).
I pazienti sono stati reclutati tra il 01/04/21 e il 14/06/21 in 5 Centri: il
Centro Nazionale per le Malattie Infettive, il Policlinico di Singapore,
l’Ospedale Universitario, il Policlinico di Changi e l’Ospedale di
Sengkang.
Di questi pazienti si sono valutate le caratteristiche cliniche e la
cinetica, sia virologica che sierologica.
I risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli di pazienti non
vaccinati ed ugualmente ricoverati con diagnosi di infezione da Sars
Cov-2 Delta.

RISULTATI/CONCLUSIONE:

Di 218 pazienti con infezione da Sars Cov-2 Delta:

1) 88 avevano ricevuto il vaccino.


2) 71 di 88 erano stati completamente vaccinati ( breakthrough
infections). 3)130 non erano stati vaccinati.

Lo Studio ha evidenziato come le infezioni manifeste nel gruppo dei


vaccinati fossero associate ad un rischio minore di sviluppare una
malattia severa con polmonite, effetti sistemici ecc
e con una minore necessità di ricorrere all’ossigeno anche se l'età
media era più alta (56 vs. 39 anni)
Oltre al fatto che tali infezioni fossero caratterizzate da un più rapido
declino della carica virale.
[ “Conclusion: the mRNA vaccines are highly effective at preventing
symptomatic and severe COVID-19 associated with B.1.617.2
infection. Vaccination is associated with faster decline in viral RNA
load and a robust serological response. Vaccination remains a key
strategy for control of COVID-19 pandemic."]

NOTA IMPORTANTE: Il lavoro su MedRxiv non è ancora stato peer-


reviewed, ossia non è ancora stato sottoposto al vaglio e alla
revisione critica da parte di uno o più scienziati esterni alla ricerca e
competenti nel campo, al fine di ottenere il via libera sulle riviste
specializzate del settore che richiedono tale meccanismo di
controllo.
Capitolo 17

VACCINATI E CONTAGI,
CARICA VIRALE E COME
SI MISURA
E L’ESPERIENZA DI CIÒ
CHE AVVIENE IN ISRAELE

Per rispondere alla domanda di cosa accadde per i contagi tra la


popolazione vaccinata ci viene in aiuto l’intervista rilasciata dal Dr.
Paolo Bonilauri a PDO, Biologo Dirigente - IZSLER - Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia edell'Emilia
Romagna) a commento dello Studio apparso su NEJM il 29 luglio
scorso “Covid-19 Breakthrough Infections in Vaccinated Health Care
Workers” con ben 26 referenze bibliografiche al seguito e di cui
allego il link: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2109072?
query=featured_home.
In questo studio si misura l'efficacia dei vaccini contro la variante delta,
seguendo l'evoluzione dell'infezione nei soggetti che sebbene vaccinati
si infettano in Israele e si riporta che cosa hanno trovato gli Autori:

[... l'infettività ( carica virale ) viene misurata tramite Ct delle PCR* (


purtroppo si utilizza ancora questo sistema aggiungo io). Tra gli
operatori sanitari le rare evidenze di infezioni nonostante la
vaccinazione completa sono correlate con il titolo di anticorpi
neutralizzanti presenti nel periodo che precede l'evento a rischio
infettivo. La maggioranza delle infezioni nelle persone completamente
vaccinate si dimostra lieve o asintomatica, sebbene a volte qualche
infezione persistente si sia osservata anche in questi casi, ma senza
conseguenze rilevanti.
Per cui possiamo rispondere alle domande/obiezioni che vengono
formulate con più frequenza:

I vaccinati possono infettarsi con il virus ?


Si

Quanto frequentemente succede ?


Raramente, in questo studio molto accurato eseguito sugli
operatori sanitari è successo nel 2.6% dei casi.

Perché succede?
Qui si ipotizza che il titolo neutralizzante misurato nella settimana
precedente l'evento a rischio di contagio sia associato a questa
probabilità, e si dimostra anche che più è alto il titolo neutralizzante
in chi comunque si infetta, più è basso il titolo del virus rilevato nel
tampone (in PCR) e più breve è la durata della viremia.
Cosa aggiunge questo studio alle conoscenze pregresse ?
Conferma quello che si sta sempre di più osservando, il titolo
neutralizzante di anticorpi circolanti (immunità umorale) sembra
essere inversamente correlato alla probabilità di infettarsi con il
virus. Questo è chiaramente e facilmente spiegabile dal punto di
vista immunologico ed è la ragione ad esempio, del perché si è
protetti non il giorno dopo l'iniezione con il vaccino, ma 2 settimane
dopo la seconda dose (quando prevista). Questo titolo poi cala nel
tempo, per cui più questo titolo è basso, più si ha la possibilità di
infettarsi nonostante la vaccinazione.

Cosa ci resta allora?


Ci restano le cellule di memoria che comunque, una volta infettati ci
proteggono dalla malattia (e si conferma anche in questo studio),
con efficacia immutata anche contro la variante Delta.

Allora vaccinarsi è inutile, oppure per renderla efficace bisogna


comunque vaccinarsi ogni 6 mesi, e se è così, allora meglio l'infezione
naturale?
Certo, come no? Ma così non è. Sarebbe così se l'infezione naturale
non seguisse esattamente le stesse dinamiche immunologiche.
Infatti cosí come calano gli anticorpi neutralizzanti da vaccino,
calano anche quelli da infezione naturale, con due importanti
differenze però:

A) se punti sull'infezione naturale per proteggerti hai il rischio di


malattia che indipendentemente dalla tua età è sempre superiore ai
rischi del vaccino. Se poi non sei un bambino o un teenager questo
rischio è molto, ma molto rilevante per te.

B) quando invece ti va bene e non finisci in ospedale, l'infezione


naturale spesso produce bassi e transitori titoli neutralizzanti, per cui,
anche in questo caso, la tua scommessa è persa.
E per quelli che: "ma in Israele dove hanno vaccinato tutti stanno
andando malissimo. . . ."?
è sufficiente Google per sfatare questo mito, come per le migliori
bufale. Fatelo da soli, googolate "Israele covid new" e vedete
quanto male sta andando in Israele...]

Per fare ulteriore chiarezza su quanto sta avvenendo in Israele,


questi sono i dati fonte Worldometer/Johns Hopkins University e
diffusi in un post dal Proff Guido Silvestri :
[... ricordando che CPR sta per Case Fatality Ratio (numero crudo dei
morti diviso numero crudo dei casi in un certo periodo di tempo)
COVID-19 in Israele:
Periodo #1: 1/6/2020 – 1/11/2020 (lockdown sì, vaccini no)
Casi totale: 297.774
Morti totale: 2.269
CFR: 0.76%
Casi per giorno: 1.946
Morti per giorno: 14,83
Periodo #2: 1/11/2020 – 1/4/2021 (lockdown sì, vaccini no) Casi totale:
535.682
Morti totale: 3.666
CFR: 0.68%
Casi per giorno: 3.548
Morti per giorno: 24,27
Periodo #3: 1/4/2021 – 7/8/2021 (lockdown no, vaccini sì) Casi totale:
56.475
Morti totale: 283
CFR: 0.50%
Casi per giorno: 438
Morti per giorno: 2,19
“Quarta ondata”: 15/6/2021 – 7/8/2021 (lockdown no, vaccini sì) Casi
totale: 50.500
Morti totale: 75
CFR: 0.148%
Casi per giorno: 953 Morti per giorno: 1,42...]

Proff. Guido Silvestri


patologo, immunologo, virologo, divulgatore scientifico ed
accademico italiano nonché professore ordinario di Patologia
Generale alla Emory University di Atlanta (Usa).

**********

Nota: *Ct della PCR:


È la metodica di laboratorio per misurare, tramite tampone, la carica
virale cioè, in parole semplici, la quantità di virus presente in un
individuo infetto. Ct sta per Cycle threshold (ciclo-soglia) e PCR sta
per reazione a catena della polimerasi. In sostanza la PCR produce
più cicli di amplificazione che sono necessari a produrre una
quantità rilevabile di RNA virale mentre il Ct indica il numero di cicli
necessari per individuare il virus e dichiarare il soggetto positivo.
Nei primi giorni di infezione, i pazienti hanno valori CT inferiori a 30 e
spesso inferiori a 20, cioè con un alto livello di virus (e di
contagiosità); man mano che il virus viene “eliminato”, i valori CT
aumentano gradualmente (diminuisce la carica virale). Per cui Ct e
carica virale sono inversamente proporzionali.
Capitolo 18

UN GRAFICO ED
UNA TABELLA
ESTREMAMENTE
SIGNIFICATIVI
DAGLI USA

Fonte:
Studio della Kaiser Family Foundation (KFF Analysis of State
Level Data, Johns Hopkins University) con l’ausilio dei dati
della
https://coronavirus.jhu.edu/map.html
[https://www.kff.org/about-us/]
Questa tabella ed il grafico che la precede, ancora una volta
evidenziano quanto i vaccini siano
efficaci nel limitare i casi gravi/decessi a causa del Sars Cov-2,
nonché l’esposizione alla infezione tra il pool della popolazione
completamente vaccinata rispetto a quella non completamente
vaccinata.

(NB: per “non completamente vaccinato” si intende chi non si è


vaccinato, chi ha ricevuto una sola dose e coloro per i quali lo stato
vaccinale non è noto).

Grafico 1.

“ Percentuale di casi complessivi di covid 19 tra coloro che sono


completamente vaccinati rispetto a quelli non completamente
vaccinati negli Stati che l’hanno segnalata.”

Tabella 2.

“Media mobile a 7 giorni ( 7-DMA ) di casi su 100.000 abitanti, nel


periodo 1 Marzo/ 12 Luglio 2021”
Capitolo 19

UNA TABELLA CHE


NECESSITA DI UNA
SPIEGAZIONE

Aggiornamento nazionale 04 Agosto 2021, Bollettino prodotto


dall’ISS con i dati della sorveglianza integrata.

Il 9 Agosto segnala un aumento di positivi pari a 4200 unità ed un


incremento del numero dei tamponi in una quantità che non si
vedeva dal Maggio scorso con conseguente innalzamento
dell’Incidenza.
Rammentando che, contrariamente a quello che si sente o si legge
sui giornali, si fanno più tamponi a causa dell’aumento dei positivi e
non viceversa, ossia che si registrano più positivi a causa
dell’aumento del numero dei tamponi, dobbiamo sempre tenere
presente che il virus continuerò inevitabilmente a “girare” grazie
ANCHE a tutta una serie di variabili tra cui il numero dei
completamente vaccinati, parzialmente vaccinati, totalmente non
vaccinati, unito alle inevitabili breakthrough infections ed atri
importantissimi elementi che potranno essere chiariti in altra sede.
Tuttavia, grazie alla protezione vaccinale, l’impatto sul Sistema
Sanitario Nazionale in termini di ricoveri, terapie intensive e decessi,
resta fortunatamente gestibile e contenuto. A questo proposito è
quindi utili un commento alla tabella riportata nel post, per quanto
riguarda i decessi, perché se si guarda al numero complessivo, resta
pur sempre un numero in grado di generare preoccupazione ed in
grado di generare sfiducia nell’impiego dei vaccini. In sintesi, il
numero di decessi maggiore si registra tra i soggetti anziani, per cui
distinguendo anche tra le varie fasce di età, quello che si dovrebbe
fare è porre l’occhio sul numero dei decessi tra i soggetti vaccinati,
comparandolo con quello dei non vaccinati, in funzione del numero
totale di popolazione, per quella determinata fascia di età, a cibata e
non ( nel caso 29 decessi su una popolazione over 80 di 3.964.162
vaccinata, Vs 48 deceduti su una popolazione di non vaccinati pari a
425.736 ). Per maggiori informazioni vedi i link:
(https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/08/il-paradosso-tanto-
caro-ai-no-vax.html?m=1) e
(https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-sorveglianza-
dati)
Capitolo 20

FACCIAMO IL PUNTO
SULLE CURE DOMICILIARI
PER
INFEZIONI DA COVID-19

Abbiamo già trattato in parte tale argomento ( e questo è link:


(https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/07/vaccini-e-farmaci-un-
team-vincente.html) invitando, e qui lo ribadiamo, a non cadere
nella deleteria contrapposizione tra farmaci e vaccini, al momento
unica arma efficace per sconfiggere il Sars Cov 2 con tutte le varianti
al seguito, ed ora cercheremo di approfondire al meglio l’argomento
entrando nel dettaglio di quali farmaci siano efficaci, quando e,
soprattutto come, sulla linea degli studi che si basano sull’EBM
(Evidence Based Medicine ).

Le raccomandazioni della Infectious Disease Society of America


(IDSA) di cui ho allegato la diapositiva e che potrete trovare q questo
link: https://www.idsociety.org/practice-guideline/covid-19-guideline-
treatment-and-management/
riportano le Linee Guida da seguire nel trattamento dei pazienti
ambulatoriali con malattia lieve-moderata dalle quali si evince che
l’unico trattamento terapeutico consigliato è quello con gli AMb,
ossia gli anticorpi monoclonali (bamlanivimab + etesevimab o casirivimab +
imdevimab o Sotrovimab), fatta eccezione per l’impiego di ivermectin (un
anti parassitario) ma solo nel corso di Trials Clinici, peraltro con una grado di
raccomandazione molto basso, e “bocciano” i trattamenti con:
IDROSSICLOROCHINA ( e l’equivalente Clorochina ) IDROSSICLOROCHINA +
AZITROMICINA LOPINAVIR + RITONAVIR
CORTICOSTEROIDI
TOCILIZUMAB
PLASMA DA CONVALESCENTE
REMDESIVIR
FAMOTIDINA
BAMLANIVIMAB IN MONOTERAPIA BARICITINIB + REMDESIVIR
BARICITINIB + REMDESIVIR + CORTICOSTEROIDI
( letta così, a beneficio dei malpensanti che vedono manipolazioni
ovunque, parrebbe la rivincita di LittlePharma vs BigPharma, ma
meglio lasciar cadere questo discorso ). Per chi fosse interessato alla
diapositiva, chiariamo che i contrassegni accanto ad ogni farmaco,
indicano il Grado di affidabilità delle migliori evidenze (cioè prove di
efficacia) biomediche al momento disponibili.

⨁⨁⨁⨁ Alto

⨁⨁⨁◯ Moderato

⨁⨁◯◯ Basso

⨁◯◯◯ Molto Basso

Parimenti, le LineeGuida del NIH (National Institute of Health), non


sono da meno ed anche per queste allego link e Tabella:
https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/about-the-
guidelines/whats-new/
In sintesi anche queste Linee Guida raccomandano soltanto l’uso
degli AMb. Il trattamento dei sintomi prevede l’impiego di
antipiretici, antitussigeni ed analgesici “da banco”, mentre per
l’impiego di trattamenti preventivi/terapeutici alternativi, a base di
sali minerali, vitamine (specialmente C e D) ed integratori vari, non
si sono raccolte validazioni scientifiche sufficienti ad indicarli o
contro indicarli. L’impiego del desametasone o di altri
corticosteroidi sistemici, viene suggerito per quei pazienti con altre
patologie concomitanti. In ultima analisi, l’unico antivirale approvato
da FDA e’ il remdesivir, ma essendo somministrabile e.v. (Via
endovenosa), il suo impiego è riservato al paziente ospedalizzato.
Ricordando che in Italia, anche gli AMb sono stati approvati solo per
uso ospedaliero e quindi NON PER LE CURE DOMICILIARI, l’offerta
terapeutica non è affatto così ampia, per cui occhio a non
banalizzare il problema irridendo goffamente ciò che viene
attualmente proposto.
Lungi quindi dal rinnegare l’utilizzo delle terapie precoci domiciliari
che rappresentano un significativo passo in avanti rispetto alla
“vigile attesa”, soprattutto per la riduzione sintomatologica della
malattia ed il rischio di evitabili ospedalizzazioni,ma ribadendo
fermamente che non sono in grado di impattare favorevolmente sul
modificare una eventuale evoluzione peggiorativa della stessa e
men che meno di guarirla dal momento che non sono ancora stati
prodotti farmaci antivirali selettivi contro il virus e somministrabili a
domicilio, ribadendo a tal proposito l’essenzialità del vaccino,
propongo quanto suggerito dal Gruppo di Lavoro sui farmaci di
PDO per la Cura Domiciliare dell’infezione da Covid-19 composto
dagli Autori:
-Piero Sestili, Ordinario Farmacologia, Università di Urbino Carlo Bo
-Guido Sampaolo, MMG - Area Vasta 2 Asur Marche
-Aldo Manzin,Ordinario Microbiologia e Microbiologia clinica,
Università Cagliari
-Mario Puoti, Medico Chirurgo
-Paolo Bonilauri, Biologo Dirigente Istituto Zooprofilattico
Sperimentale Lombardia ed Emilia Romagna
-Carmela Fimognari, Professore Ordinario di Farmacologia e
Tossicologia - Università di Bologna
-Alessandra Petrelli, MD, PhD, medico ricercatore, specialista in
Medicina Interna
-Maria Luisa Iannuzzo, Medico Legale Dipartimento di Prevenzione
Aulss 9 Scaligera Nucleo Operativo Covid
-Marilena Apuzzo, Dirigente medico di Psichiatria Area Vasta 1 ASUR
Marche -Chiara Barbieri Ardigò, Paziente esperto EUPATI, Az. USL-
IRCCS di Reggio Emilia -Silvia Brizzi, Avvocato
-Federica Galli, PhD, psicologo clinico, ricercatore, Ospedale San
Paolo, Milano -Stefano Tasca, MD, Roma
-Giacomo Testa, Infermiere AUSL Bologna

e con la revisione critica di Giuseppe Remuzzi (Istituto di Ricerche


Farmacologiche Mario Negri, IRCCS, Bergamo) e Claudio Puoti
(Centro di Epatologia dell’ Istituto INI di Grottaferrata), suggerisce le
seguenti considerazioni:
FANS
Fino ad oggi a i FANS (aspirina, ibuprofene, nimesulide, diclofenac,
arcoxib) è stato preferito il paracetamolo, immeritatamente ritenuto
più sicuro. A differenze dei FANS però il paracetamolo è privo di
effetti antinfiammatori e antiaggreganti, potenzialmente utili per
contenere l’evoluzione di COVID-19.
Il paracetamolo, in sintesi, promuove unicamente un forte
mascheramento dei sintomi, sottraendo al medico una lettura
obiettiva dei sintomi (dolori muscoloscheletrici, mal di testa, febbre)
fin quando questi non sono più coercibili [2].
I FANS, invece oltre ad alleviare i sintomi come e quanto il
paracetamolo, potrebbero evitare che le “cedole infiammatorie”
inizino a maturare presentando poi un conto più salato di quanto
atteso nei giorni successivi, e tenere sotto controllo l’aggregazione
piastrinica coinvolta nell’innesco delle microtrombosi diffuse [2]. La
temuta gastrolesività dei FANS, per trattamenti non superiori ai 5-7
giorni non costituisce un problema, ma può essere prevenuta
laddove ritenuto necessario con gli inibitori di pompa protonica. I
COXIB, se non sussistono specifiche controindicazioni,
rappresentano una opzione non gastrolesiva e più potente dei FANS
tradizionali [3].

CORTISONICI
I cortisonici hanno dimostrato una significativa efficacia, sono da
mesi utilizzati in ambito ospedaliero e ugualmente riconosciuti
anche nella gestione del paziente domiciliari [4]. Restano ancora
controversie sulla tempistica della loro somministrazione: le linee
guida AIFA, ad esempio, peccano di eccessivo attendismo. Noi
riteniamo che, poiché la velocità con cui i vari attori
dell’infiammazione entrano in scena non è costante, e poiché
l’evoluzione infiammatoria può essere travolgente, i cortisonici
andrebbero somministrati non appena le condizioni del paziente
sono giudicate meritevoli dal medico curante, senza tergiversare. In
linea con la loro farmacodinamica, i cortisonici devono essere
somministrati a dose piena (desametasone: 6 mg/die,
metilprednisolone 32 mg/die, prednisone: 40 mg/die, idrocortisone:
160 mg/die).
ANTIBIOTICI
Le sovrainfezioni batteriche si sviluppano nel 10-15% dei pazienti
COVID-19 (1), e quindi la pandemia non deve essere l’occasione per
un generalizzato e pericoloso abuso di antibiotici. Tuttavia, nel caso
si sospetti fondatamente di sovrainfezioni, riteniamo più corretto il
ricorso ad agenti battericidi ad ampio spettro d’azione quali le
penicilline, le cefalosfosporine o i fluorochinoloni [5], piuttosto che
batteriostatici a spettro modesto. Dal momento che sono stati
rilevati casi di sovrainfezioni da micoplasmi (principalmente
M.Pneumoniae), è utile ricordare che solo i fluorochinoloni sono
anche attivi verso questi patogeni. Per assicurare copertura verso i
micoplasmi nel caso si scelgano i beta-lattamici, si può puntare
sull’associazione con azitromicina o altri macrolidi [5]. Riteniamo che
questo sia l’unico uso razionale dell’azitromicina [6]: non ha senso -
come veniva consigliato in molte linee guida fino a poche
settimane fa - prescriverla da subito poiché il suo supposto
potenziale antivirale ed antinfiammatorio si è rivelato poco
rilevante. La somministrazione prematura di azitromicina potrebbe
invece promuovere fenomeni di disbiosi intestinale e polmonare,
nonché selezionare ceppi di batteri resistenti. La terapia antibiotica
va sempre accompagnata – se non la si fosse già iniziata -
dall’assunzione di probiotici.

EPARINA
Quando sussistono condizioni sopravvenenti o preesistenti (es:
sindrome da immobilizzazione in particolare nel paziente anziano
ricoverato in Casa di Riposo o RSA; ridotta mobilità, ovviamente
assai frequente se il paziente si sente spossato) che possano favorire
il rischio di evoluzione verso un quadro microtrombotico, l’eparina a
basso peso molecolare andrebbe prescritta alla dose profilattica
standard di 4000 UI/die, essendo stato dimostrato il beneficio in
studi condotti su un ampio numero di pazienti non ospedalizzati [7].
ANTIVIRALI ANTI SARS-CoV-2
Nessuno degli antivirali sin qui utilizzati ha trovato un riscontro
pienamente positivo negli studi clinici presi in considerazione dalle
Autorità. Tuttavia, se i farmaci sin qui proposti venissero riabilitati [8] o
se ne aggiungessero altri, andrebbero somministrati sin dalla
diagnosi. Merita un cenno l’idrossiclorochina che, proprio per la
contraddittorietà dei risultati [9,10], è stata riammessa per l’uso off-
label in COVID-19 a seguito di un’ordinanza del Consiglio di Stato in
attesa di dati più chiari.

SUPPLEMENTI E VITAMINE
Alcune molecole e preparati possiedono un potenziale di utilità sia
come strategia preventiva che come terapia aggiuntiva. Si tratta delle
vitamine D e C [11], della N- Acetilcisteina [12] e di specifici probiotici
[13]. L’uso si questi semplici e sicurissimi prodotti – oggetto di un poco
comprensibile scetticismo - potrebbe aumentare la resilienza dei
soggetti a rischio, ristabilendo anche un po’ di ordine nella confusa
moltitudine di supplementi e integratori dall’utilità solo supposta e
spesso dubbia ].

Bibliografia
1. Suter F, Perico N, Cortinovis M, et al. A recurrent question from a
primary care physician: How should I treat my COVID-19 patients at
home? An update. Clin Med Invest. 2020.
2. Sestili P, Fimognari C. Paracetamol-Induced Glutathione
Consumption: Is There a Link With Severe COVID-19 Illness? Frontiers
in pharmacology. 2020;11:579944.
3. Baghaki S, Yalcin CE, Baghaki HS, et al. COX2 inhibition in the
treatment of COVID-19: Review of literature to propose repositioning
of celecoxib for randomized controlled studies. International journal
of infectious diseases : IJID : official publication of the International
Society for Infectious Diseases. 2020 Dec;101:29-32.
4. Rello J, Waterer GW, Bourdiol A, et al. COVID-19, steroids and other
immunomodulators: The jigsaw is not complete. Anaesthesia, critical
care & pain medicine. 2020 Dec;39(6):699-701.
5. Beović B, Doušak M, Ferreira-Coimbra J, et al. Antibiotic use in
patients with COVID-19: a 'snapshot' Infectious Diseases
International Research Initiative (ID-IRI) survey. The Journal of
antimicrobial chemotherapy. 2020 Nov 1;75(11):3386-3390.
6. Verdejo C, Vergara-Merino L, Meza N, et al. Macrolides for the
treatment of COVID-19: a living, systematic review. Medwave. 2020
Dec 14;20(11):e8074.
7. Rentsch CT, Beckman JA, Tomlinson L, et al. Early initiation of
prophylactic anticoagulation for prevention of COVID-19 mortality: a
nationwide cohort study of hospitalized patients in the United
States. medRxiv : the preprint server for health sciences. 2020 Dec 11.
8. Paul SS, Biswas G. Repurposed Antiviral Drugs for the Treatment
of COVID-19: Syntheses, Mechanism of Infection and Clinical Trials.
Mini reviews in medicinal chemistry. 2020 Dec 22.
9. Younis NK, Zareef RO, Al Hassan SN, et al. Hydroxychloroquine in
COVID-19 Patients: Pros and Cons. Frontiers in pharmacology.
2020;11:597985.
10. Carafoli E. Chloroquine and hydroxychloroquine in the
prophylaxis and therapy of COVID-19 infection. Biochemical and
biophysical research communications. 2020 Sep 30.
11. Name JJ, Souza ACR, Vasconcelos AR, et al. Zinc, Vitamin D and
Vitamin C: Perspectives for COVID-19 With a Focus on Physical
Tissue Barrier Integrity. Frontiers in nutrition. 2020;7:606398.
12. Zhou N, Yang X, Huang A, et al. The potential mechanism of N-
acetylcysteine in treating COVID-19. Current pharmaceutical
biotechnology. 2020 Dec 28.
13. Donati Zeppa S, Agostini D, Piccoli G, Stocchi, V. and Sestili, P..
Gut Microbiota Status in COVID-19: An Unrecognized Player?
Frontiers in cellular and infection microbiology. 2020;10:576551.
Capitolo 21

CANCRO...COME
“RESISTI” E
PERCHÉ

I termini cancro e tumore, non sno affatto sinonimi. Il cancro è


descritto come una “malattia proliferativa, invasiva e metastatica
causata da un accumulo di anomalie genetiche che producono
casualmente una cellula maligna” mentre esiste una numerosa e
diversificata serie di tumori le cui cellule, a seconda di alcune
caratteristiche e tessuto di origine, crescono e si dividono a velocità
maggiori del solito o non muoiono quando dovrebbero.
Inoltre questa review, vedi link sottostante, oltre che altri studi, contesta
l'assunzione comunemente diffusa che i tumori abbiano un’origine
monoclonale la qual cosa dimostra che vi sia una certa varietà anche tra le
cellule di un determinato tumore:
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1383574218300218.
Tutto ciò complica non poco quella che ancora purtroppo ad oggi
rappresenta una tra le principali cause di morte (ed al contempo la relativa
terapia farmacologica) e che parimenti a quanto avviene per gli antibiotici,
riconosce trai fattori prognostici negativi ciò che è meglio nota come
Resistenza, espressa con l’acronimo di MDR ( Multi Drug Resistence o
Resistena multifarmaco ). L'emergere della resistenza multifarmaco (MDR) è
stato ed è un problema importante per un'efficace chemioterapia anti
tumorale e per le più innovative terapie mirate:
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fphar.2020.615824/full.
Nonostante il significativo sviluppo dei metodi di cura negli ultimi decenni, la
chemioterapia rimane ancora un ausilio imprescindibile per il trattamento
farmacologico oncologico. A seconda del meccanismo d'azione, gli agenti
chemioterapici comunemente usati possono essere suddivisi in diverse
classi, antimetaboliti, agenti alchilanti, alcaloidi della Vinca, texani, inibitori
della topoisomerasi ed anche, bene o male,gli inibitori del proteosoma, ecc.
La resistenza multifarmaco (MDR) è responsabile di oltre il 90% dei decessi
nei pazienti che ricevono chemioterapici tradizionali o nuovi farmaci mirati
(https://www.mdpi.com/1422-0067/21/9/3233) ed ora cerchiamo di capire il
perché. L’effetto di molti farmaci, dipende dalla capacità e dal modo ( a
secondo che si tratti di farmaci lipofili o idrofili ) con cui questi riescono a
superare le membrane plasmatiche per raggiungere il proprio target. La
propensione di un farmaco ad uscire dalla cellula grazie a meccanismi di
efflusso attivi o passivi che dir si voglia presenti a livello della membrana,
piuttosto che non la sua capacità di entrare, limita la concentrazione con cui
tale farmaco si accumula nella cellula.

Tra questi meccanismi troviamo i trasportatori, ossia proteine codificate (più


semplicemente “costruite”) dai geni ABC (ATP-Binding Cassette) di cui circa
sei sono coinvolte nel trasporto dei farmaci chemioterapici.
Questi trasportatori ABC funzionano come pompe di efflusso
(uscita) che in condizioni non patologiche svolgono un ruolo
protettivo nel mantenimento della normale attività fisiologica
cellulare, ma che in caso di sovraespressione rappresentano un
importante fattore nel causare MDR nelle cellule tumorali. In altri
termini, la MDR, tra i vari fattori, riconosce come principale la
sovraespressione del gene ABCB1, altrimenti definito gene della
resistenza multipla (MDR1) in grado di codificare per la P-
glicoproteina.

Ma cosa causa questa proteina di efflusso? In sintesi e


semplicemente tende a far uscire dalla cellula il farmaco assorbito
dalla stessa durante la chemioterapia. Se questo accade, diciamo
per esempio, nel 15% della popolazione cellulare tumorale trattata
con un determinato terapico, se da un lato l’85% delle restanti
cellule andrà incontro a morte, il restante 15% appunto, sopravviverà
continuando a proliferare velocemente e dando vita ad una nuova
popolazione cellulare in grado di esprimere resistenza a quel
farmaco.

Questo, tra l’altro, è il motivo per cui si tende ad utilizzare


“doppiette” o “triplette” di farmaci con l’obiettivo e la speranza che
dove non sia riuscito ad agire al 100% il farmaco 1, possano agire
sulla popolazione cellulare sopravvissuta, il farmaco 2 e poi ancora il
farmaco 3.
Capitolo 22

IMPORTANTE NOVITÀ
NELL’AMBITO DELLA
CURA PER
COVID-19 NEL PAZIENTE
NON OSPEDALIZZATO

Abbiamo già affrontato il tema delle cure domiciliari per Covid-19 in


questo recente post:
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/08/facciamo-il-punto-sulle-
cure.html dove, tra le altre cose, si sottolineava come in Italia, “gli
Anticorpi Monoclonali o AMb sono stati approvati solo per uso
ospedaliero”. Ebbene, ci sono novità importanti a cui dare
assolutamente risalto e che riguardano la Cavalleria Leggera degli
Anticorpi Monoclonali e più precisamente l’AMb, noto con il nome
molecolare di SOTROVIMAB.
Come si può leggere nella comunicazione AIFA che troverete a
questo link:[https://www.aifa.gov.it/-/modifiche-registro-anticorpi-
monoclonali-covid-19?
fbclid=IwAR0FmCb5ygF92LsD9u8ouEDJE9JbOeyxsTAUVg9dl-
LUNRz5Qg1seOlhZ58] da ora è possibile utilizzare l’anticorpo
monoclonale sotrovimab, per la seguente indicazione terapeutica:

“Trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) lieve o


moderata, negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a 12 anni
NON ospedalizzati per COVID- 19, che non necessitano di
ossigenoterapia supplementare per COVID-19 e che sono ad alto
rischio di progressione a COVID-19 severa”.

Ora vediamo di approfondire l’argomento, iniziando dal conoscere


un po’ meglio questo anticorpo monoclonale e lo facciamo
riassumendo l’articolo apparso su The Medical Letter del giugno
scorso e che troverete a questo link:
https://secure.medicalletter.org/w1627a.
L’anticorpo monoclonale sperimentale Sotrovimab (VIR-7831;
GSK/Vir Biotechnology) è in grado, linkandosi con una piccola parte
di antigene della proteina spike del virus, di ridurre la capacità di
quest’ultimo di entrare nelle cellule dell’organismo colpito. La sua
iniziale approvazione in via di emergenza da parte di FDA ha trovato
il suo razionale sulla base dei risultati provvisori dello studio in
doppio cieco COMET-ICE
(https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04545060?cond=VIR-
7831&draw=2&rank=1). In questo studio, sono stati arruolati 583
pazienti ambulatoriali positivi al Covid- 19 con grado di malattia
lieve/moderata, con età ≥ a 55 anni e con almeno una patologia
concomitante (comorbilità) tra le seguenti: diabete, obesità,
malattia renale cronica, insufficienza cardiaca, broncopneumopatia
cronica ostruttiva o asma digrado moderato/grave.
I risultati dello studio hanno evidenziato come l’1% dei pazienti a cui
era stato somministrato sotrovimab e il 7% di quelli a cui era stato
somministrato il placebo manifestavano, entro il 29° giorno, un
peggioramento del grado di malattia con ospedalizzazione o
decesso. Gli effetti collaterali più comunemente riscontrati sono
stati nel 2% rash cutaneo, nell’1% diarrea e rare reazioni di
ipersensibilità. L’impiego del farmaco dovrebbe essere iniziato entro
i primi 10 giorni dall’insorgenza dei sintomi. Lo studio ha testato
anche l’efficacia di sotrovimab versus le varianti di SARS-CoV-2
evidenziate dall’OMS concludendo che il farmaco sembra essere
efficace anche contro tali varianti. Al momento non sono ancora
disponibili studi di confronto diretto tra sotrovimab ed alti anticorpi
monoclonali.
A questo punto non ci resta che fare un pò di chiarezza su che cosa
si intenda, stando alla nota AIFA, per “paziente ad alto rischio di
progressione a Covid-19 severa”. Sostanzialmente i fattori di rischio
per sviluppare complicazioni ed aggravamento del quadro clinico
sono i seguenti:
[... età > 65 anni; sesso maschile; tabagismo; patologie croniche:
neoplasie, immunodepressione, obesità (BMI ≥30 kg/m2 ), malattia
cerebrovascolare, demenze, malattie cardiovascolari, diabete mellito
di tipo I e II, insufficienza renale cronica, pneumopatie croniche...].
Per i più interessati o per semplice curiosità, sappiate che la
Cleveland Clinic ha messo a punto ed online un algoritmo per poter
quantificare questo rischio. Il link è il seguente:
https://riskcalc.org/COVID19Hospitalization/
Capitolo 23

TERZA DOSE: RAGIONARE


BENE MA NON IN
TERMINI DI O BIANCO O
NERO, PERCHÉ ALLO
STATO ATTUALE NON È
(ANCORA) POSSIBILE

Scrivo questo post ben prima che una eventuale terza dose di
vaccino venga codificata in termini di perché, quando, a chi e come
e senza sapere se l’organismo politico deciderà o meno di renderla
obbligatoria, ovviamente unitamente alla vaccinazione in generale.
E lo faccio partendo dal presupposto che qualsiasi decisione politica
in merito, debba risentire di forti implicazioni scientifiche e che
[...quando esistono evidenze forti e generalmente condivise dalla
comunità scientifica, la discussione non è legittima, e non è
democratica, se non prende in considerazione queste evidenze, e se
quindi si svolge come se queste evidenze non vi fossero...].
Fortunatamente per tutti, oggi, grazie alla rete e a numerose
quanto accreditate e trasparenti banche dati bibliografiche
internazionali, chiunque ha la possibilità di accedere allo stato
attuale delle conoscenze scientifiche attuali, e magari potendo
contare su alcuni “free pass” a studi in fase di elaborazione
preliminare, nonché alle evidenze sperimentali pregresse o in atto.
Ciò che è molto più complesso, è addivenire ad una sintesi di tanto
materiale, in modo da poter suggerire una risposta perfetta ad ogni
domanda, dubbio o perplessità, che gli Studi stessi, molto spesso,
sono i primi a mettere in luce. E questo è il motivo per cui, in campo
scientifico, su alcune questioni ( non su tutte a Dio piacendo ), è
impossibile esprimersi come se esistesse solo o il bianco o il nero. Mi
rendo conto che gli organi di informazione in generale, vivano, per
molte ragioni che qui non è opportuno elencare, di sensazionalismo
allo stato puro, per intenderci “ l'uomo che morde il cane" fa più
notizia del "cane che morde l'uomo". Così come è indubbio che la
Scienza (quella con la S maiuscola) - essendo per definizione una
conoscenza "in progress" - proceda attraverso errori e soluzioni
perfettibili, ma sicuramente sufficienti a metterci al riparo dalla
maggior parte dei pericoli (non tutti, purtroppo ed ad ora). Ed
esistono, con buona pace dei più irriducibili quanto livorosi
polemico- detrattori seriali, criteri oggettivi per definire ciò che è
scienza e ciò che non lo è. E non mi riferisco alla Scienza come fonte
di verità assolute, ma di verità dei fatti e che ha come diretto contro
altare, non lo scetticismo, ma la menzogna più becera. Verità “dei
fatti” che ben si distaccano dalle opinioni in egual misura di come le
opinioni “dovrebbero” distinguersi dalle stronzate. Scritto questo
doveroso preambolo, cerchiamo di capire cosa le evidenze
scientifiche e gli studi clinici, ci suggeriscono circla terza dose di
vaccino.
Gli Stati Uniti prevedono di proporre una terza dose di richiamo per i
vaccini Pfizer e Moderna a partire da Settembre, ( e questo in un
periodo in cui proprio sui temi terza dose e vaccinazioni in età
pediatrica non corre propriamente buon sangue tra FDA, con
l’addio di Marion Gruber, ed Amministrazione Biden, “accusata” di
dar maggiori attività regolatorie al CDC ) come contro misura a
quella che per ora appare come una diminuzione del grado di
protezione offerto dai vaccini e, se confermato ed in che misura,
imputabile sia ad un declino della risposta anticorpale sia alle
caratteristiche della variante Delta. Subito due precisazioni. La
prima: questa evenienza non deve stupirci dal momento che ci
troviamo di fronte ad un nuovo coronavirus, ed il nostro sistema
immunitario, reagisce in modo diverso a seconda dei patogeni che
deve affrontare. Del resto due vaccinazioni contro il morbillo ci
proteggono per il resto della nostra vita, mentre dobbiamo
sottoporci annualmente al vaccino anti influenzale e questo perché
i vaccini, per farla semplice, imitano le infezioni “naturali”. La
seconda: sino ad oggi, sono stati utilizzati in tutto il mondo ( non so
se lo sapete, ma vale la pena controllare ) 22 vaccini anti CoV-19 con
una somministrazioni di quasi 5 miliardi di dosi. Nella maggior parte
dei casi, quando si sono manifestate reazioni, si trattava di reazioni
lievi o molto lievi, ma in alcuni casi (sporadici se rapportati al
numero delle somministrazioni ) si sono manifestate reazioni più
serie e gravi ma sempre al di sotto della loro “naturale” incidenza
annuale sulla popolazione. ( per chi desidera può approfondire a
questi link: https://www.nih.gov, https://www.ema.europa.eu/en,
https://www.aifa.gov.it e https://www.fda.gov, non proprio pochi
insomma). Correttamente però, mi corre sottolineare come i dati
oggi a disposizione su una eventuale terza dose,non siano ancora
nella loro totalità definitivi, dal momento che l’intero apparato
Accademico e Scientifico deve ancora appurare a che livello di
risposta anticorpale scende il nostro sistema immunitario, in quanto
tempo e stratificare queste informazioni tra le varie tipologie di
persone per età, sesso e malattie pregresse o concomitanti, al fine
di individuare un target preciso per una eventuale routinaria terza
dose. Cito e commento tre studi che al momento, sono al vaglio in
questo senso. Inizio con un recente Studio Israeliano, i cui risultati
preliminari sono stati “resi noti” ;) a fine Agosto dal Maccabi Health
Services: https://www.maccabi4u.co.il/1781-he/Maccabi.aspx in cui si
dimostra che solo 37 persone su 149.144, pari allo 0,02% sono
risultate positive al Covid-19, dopo aver ricevuto la terza dose del
vaccino Pfizer, mentre 1.064 persone su 675.630, ossia quasi lo 0,2%
sono risultate positive dopo aver ricevuto solo due dosi di vaccino
tra gennaio e febbraio. Il disegno dello studio prevedeva che le
caratteristiche demografiche, fossero simili tra i due gruppi in
esame. I ricercatori israeliani suggeriscono, in questa fase
preliminare dell’elaborazione dello studio, che una terza dose di
vaccino COVID-19 Pfizer (NYSE:PFE) e BioNTech (NISDQ:BNTX) porta
a notevoli incrementi del grado di immunità nelle persone di età ≥
60 anni e che il grado di protezione contro l’infezione, secondo gli
scienziati del Gertner Institute e del KI Institute, aumenta di quattro
volte 10 giorni dopo la somministrazione della terza dose .Inoltre, i
pazienti che hanno ricevuto una terza dose hanno anche
manifestato un grado di protezione contro le manifestazioni più
gravi della malattie e le ospedalizzazioni, da 4 a 6 volte superiore, e
la conclusione preliminare è stata che nelle persone con più di 60
anni, una terza dose di vaccino risulta essere efficace all’86% nella
protezione verso le re-infezioni (anche asintomatiche o
paucisintomatiche).
In una recentissima intervista la Dr.ssa Anat Ekka Zohar (VP, Head of
Quality, Research and Digital health Division at Maccabi Health care
Services) ha dichiarato: “La tripla dose è la soluzione migliore per
arginare l'attuale ondata di infezione”. Se volete, potete cercare
qualche dato su questo studio a questo link:
https://www.health.gov.il/English/Pages/HomePage.aspx.

Il secondo presupposto in letteratura riguarda un trial clinico iniziato


a Maggio nel Regno Unito, che annovera tra gli Autori principali il
Proff. Saul Faust, Professore di immunologia pediatrica e malattie
infettive, NIHR Wellcome Trust Clinical Research Facility, condotto
per valutare se una terza dose di vaccino potrebbe aumentare il
grado di protezione immunitaria Vs l’infezione da Covid-19, ed i cui
risultati preliminari sono attesi per Settembre 2021. Quello di cui
sono riuscito a venire a conoscenza, è che il disegno del Trial
impone il reclutamento di quasi 3.000 partecipanticon lo scopo di
valutare gli effetti della somministrazione di una terza dose di ben
sette vaccini, dei quali alcuni già largamente in uso ed altri ancora in
fase di studio. I vaccini impiegati sono Pfizer, AstraZeneca e
Moderna Johnson & Johnson, Novavax, Valneva e CureVac. Il Proff.
Saul Faust, ha premesso che i risultati che si otterranno dovranno
aiutare i decisori politici per pianificare una corretta ed efficace
campagna vaccinale che includa anche una terza dose e con quale
vaccino somministrarla. Il terzo studio, last but not least,
imprescindibile a cui guardare è il seguente: “Reactogenicity and
immunogenicity after a late second dose or a third dose of ChAdOx1
nCoV-19 in the UK: a substudy of two randomised controlled trials
(COV001 and COV002)- Lancet 2021 01 Sep
(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8409975/) dove per
ChAdOx1 nCoV-19 si intende vaccino Oxford-AstraZeneca.
Già il 21 Giugno sul sito della Oxford University si poteva leggere, in
anteprima: Delayed second dose and third doses of the Oxford-
AstraZeneca vaccine lead to heightened immune response to
SARS-CoV-2ossia “La seconda dose ritardata e la terza dose del
vaccino Oxford-AstraZeneca portano a una maggiore risposta
immunitaria contro il SARS-CoV-2” (https://www.ox.ac.uk/news/2021-
06-28-delayed-second-dose-and-third-doses-oxford-astrazeneca-
vaccine-lead-heightened). Per chi fosse interessato a maggiori
informazioni sullo studio può contattare Gen Juillet, Media Relations
Manager presso l’Università di Oxford alla seguente mail:
gen.juillet@admin.ox.ac.uk. Ma ritorniamo allo studio pubblicato su
Lancet il primo Settembre e linkabile anche allo studio: “Longer
intervals and extra doses of ChAdOx1 nCoV-19 vaccine” :
(https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-
6736(21)01817-1/fulltext). Il Trial è partito dal presupposto che, a causa
della carenza di fornitura dei vaccini, si poteva compromettere il
grado di immunizzazione in alcuni Paesi, dal momento che si
doveva allungare l’intervallo di somministrazione tra la prima e la
seconda dose, mentre nei Paesi senza alcun problema di
approvvigionamento, si iniziava a valutare l’ipotesi di una terza dose.
I ricercatori hanno valutato:

1. La persistenza del grado di immunogenicità dopo una singola


dose di ChAdOx1 nCoV-19 (AZD1222).

2 Il grado di immunizzazione dopo aver esteso l’intervallo tra la


prima e la seconda dose a 44-45 settimane.

3 La risposta ad una terza dose come richiamo, somministrata 28-38


settimane dopo la seconda dose.
L’età dei volontari dello studio era compreso nel range 18-55 anni. Il
trial suggerisce, riassumendo, che estendere l’intervallo prima della
seconda dose di vaccino porta ad un aumento del titolo anticorpale
ed al contempo una terza dose di richiamo induce la formazione di
anticorpi in grado di aumentare significativamente l’efficacia della
seconda dose attraverso un aumento della risposta anticorpale
indotta dai Linfociti T. Ehm...ecco cosa si dovrebbe intendere per
“referenze” e chi vuol capire capisca; nel caso contrario...bhè...i fatti
ed i dati restano sempre questi. :- ))). Aggiungo che anche il National
Institutes of Health ha recentemente annunciato di aver iniziato un
nuovo trial clinico su persone totalmente coperte dal vaccino – con
qualsiasi vaccino autorizzato – per vedere se una terza dose del
vaccino aumenterà la produzione anticorpale e se prolungherà la
protezione contro l'infezione dal virus.
(https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04889209). Come ha
recentemente affermato in una intervista la dott.ssa Kirsten Lyke,
esperta di vaccini presso la School of Medicine dell'Università del
Maryland e leader dello studio sulla somministrazione del richiamo
del NIH, “ non si possono ancora avere certezze assolute sulla durata
della attuale protezione vaccinale dal momento che le persone
hanno iniziato a vaccinarsi in gran numero solo pochi mesi fa. Ma le
prime evidenze sono incoraggianti perché i livelli di copertura
anticorpale stanno calando, ma gradualmente. Quindi è ragionevole
dedurre che con questo lento tasso di declino, la protezione indotta
dai vaccini rimarrà significativa per almeno 8-12 mesi, mentre le
persone che sono state precedentemente infettate e poi hanno
ricevuto il vaccino possono godere di un grado di protezione ancora
più elevato”. Sempre in un’altra intervista il Dr. Scott Hensley,
immunologo dell'Università della Pennsylvania ha anche posto
l’accento sul fatto che “alcuni vaccini anti-covid, garantiranno un
grado di protezione nel tempo diverso da altri, a secondo delle loro
caratteristiche”.
Concludo sottolineando, se mai ce ne fosse di bisogno, che la ricerca
prosegue giorno dopo giorno, e che onde poter registrare di quanto
la risposta immunitaria possa scemare nel tempo, per questo
genere di vaccino/patogeno, sono allo studio alcuni Marcatori
Biologici anche noti come Correlates of Protection Markers che
segnano la soglia sotto la quale la risposta anticorpale non viene più
garantita dalla protezione vaccinale. Anche varianti e mix-vaccinali,
giocano un ruolo assolutamente non secondario a riguardo della
somministrazione di una terza dose, ma di questo parleremo in un
altro articolo.

##########
Capitolo 24

TEST SALIVARI GREEN


PASS E DIFFERENZE TRA
I DIVERSI
TEST ANTI-COVID-19

Per ottenere il Green Pass si potrà far ricorso anche al test salivare
molecolare disciplinato dalla seguente circolare del Ministero della
Salute:
(https://www.seremi.it/sites/default/files/Circolare%20Salivari%2014%
2005.pdf) e per il quale si è attesa la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale della legge di conversione del decreto n. 105, approvato in
Consiglio dei Ministri il 23 luglio, approvato alla Camera il 9
settembre e al Senato con fiducia il 15 settembre e pubblicata il 18
settembre e che attesta quanto segue:
[... Ai fini dell’art.9 del Decreto Legge 22 aprile 2021, n. 52, valgono le
seguenti definizioni/precisazioni:
certificazioni verdi COVID-19: le certificazioni comprovanti lo stato
di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o guarigione
dall'infezione da SARS-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test
antigenico rapido o molecolare, quest’ultimo anche su campione
salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero
della salute, con esito negativo al virus SARS-CoV-2;

e) all’articolo 9:

01) al comma 1, lettera a), le parole da: «ovvero» fino a: «SARS-CoV-2»


sono sostituite dalle seguenti: «ovvero l’effettuazione di un test
antigenico rapido o molecolare, quest’ultimo anche su campione
salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero
della salute, con esito negativo al virus SARS-CoV-2»;

02) al comma 2, lettera c), dopo la parola: «molecolare» sono inserite


le seguenti: «quest’ultimo anche su campione salivare e nel rispetto
dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute»;

1) al comma 3, al primo periodo, le parole: «validità di nove mesi»


sono sostituite dalle seguenti: «validità di dodici mesi» e dopo il
secondo periodo è inserito il seguente: «La certificazione verde
COVID-19 di cui al primo periodo è rilasciata altresì contestualmente
all’avvenuta somministrazione di una sola dose di un vaccino dopo
una precedente infezione da SARS-CoV-2 e ha validità dal
quindicesimo giorno successivo alla somministrazione.»...]

Link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/09/18/224/sg/pdf
pagina 45, colonna a sx.
Ricapitoliamo tutto ciò che sappiamo, ad ora, sui vari test.
Innanzitutto iniziamo a suddividerli in due categorie:

a) Test Diagnostici che comprendono i Test Molecolari ed i Test


Antigenici che rilevano se si è in presenza di una infezione da Covid-
19 attiva.
b) Test Anticorpali noti come Test Sierologici che rilevano se, in
passato, si è già contratto l’infezione.

Test Molecolari: ricercano il materiale genetico e il sequenziamento


specifici del virus SARS-Cov-2 ( in questo caso RNA ). Ne conosciamo
di diversi tipi, ossia i test di amplificazione degli acidi nucleici
(NAAT), i test di reazione a catena della polimerasi (PCR) meglio noti
( e più utilizzati ) come rt-Real Time PCR, i test di amplificazione
isotermica ciclo-mediata (LAMP) e i test basati su una tecnica di
editing genetico CRISPR-Cas12. Questi test vengono solitamente
eseguiti utilizzando un tampone rino-faringeo, oro-faringeo o con
un campione di saliva.

Test a Tampone Rino-Oro-Faringeo Molecolare: (valido per


l’ottenimento del green pass ).

Secondo la circolare allegata [... Il test molecolare su campione


nasofaringeo e orofaringeo rappresenta il gold standard
internazionale per la diagnosi di COVID-19 in termini di sensibilità e
specificità. La metodica di real-time RT-PCR (Reverse Transcription-
Polymerase Chain Reaction), che è quella più diffusa fra i test
molecolari, permette, attraverso l’amplificazione dei geni virali
maggiormente espressi, di rilevare la presenza del genoma virale
oltre che in soggetti sintomatici, anche in presenza di bassa carica
virale, spesso pre-sintomatici o asintomatici...].
Per questo motivo questo tipo di test, essendo in linea con le specifiche
della WHO, per sensibilità e specificità è considerato il test di riferimento
per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 e per confermare l’avvenuta
guarigione dei casi positivi.
Si attua mediante un un tampone introdotto in una narice e/o gola, che
raccoglie secrezioni mucose nasali e non in un contesto di cellule
superficiali. Generalmente, in funzioni di diverse variabili, la metodica
RT-PCR si attua in alcune ore per cui entro circa un giorno si può avere la
risposta. Il vantaggio principale di questo tipo di test è che risulta molto
accurato, in particolare in termini di rilevamento di casi positivi e, di
conseguenza, di non avere un numero significativo di falsi negativi e per
questo motivo non devono essere quasi mai ripetuti. Un ulteriore
vantaggio affatto trascurabile è che questo tipo di test può essere
facilmente modificato man mano che il virus Sars-Cov-2 muta.

Test Salivare Molecolare: ( valido per l’ottenimento del green pass ).

Riprendiamo la circolare e leggiamo cosa vi è scritto [... La presenza di


SARS-CoV-2 è stata dimostrata anche nei campioni salivari in individui
asintomatici o pre- sintomatici. La saliva conterrebbe una carica virale
significativamente più elevata in pazienti con fattori di rischio per
COVID-19 di grave entità (sesso maschile, età avanzata, specifiche
condizioni patologiche respiratorie, cardiovascolari, oncologiche
sottostanti e altre condizioni patologiche sistemiche e
immunosoppressive) e sembrerebbe correlata ai sintomi di COVID-19, in
particolare ad ageusia /disgeusia.
L'uso della saliva per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 prevede un
metodo di raccolta non invasivo, tuttavia la corretta raccolta del
campione salivare è un passaggio cruciale.
I campioni di saliva possono essere eterogenei (saliva orale, saliva
orofaringea posteriore) e le diverse tecniche e sedi di raccolta
possono avere un impatto sulla sensibilità del metodo. Inoltre i
campioni di saliva possono essere mucosi e viscosi, determinando
difficoltà di lavorazione con i metodi e le attrezzature automatizzate
di estrazione dell'RNA o di estrazione/amplificazione esistenti...].

Date queste premesse, i test salivari molecolari costituiscono una


buona alternativa al classico tampone molecolare rino-oro-faringeo
soprattutto quando quest'ultimo non possa/voglia essere utilizzato
e preferibilmente entro i primi cinque giorni dall'inizio dei sintomi.
Anche questo tipo di test rileva tracce del materiale genetico del
virus per cui è in grado di rilevare una infezione in atto di Sars-Cov-2
.
Si procede alla raccolta del campione salivare con 3 modalità: 1)
succhiando per un paio di minuti una sorta di piccola spugna, come
si farebbe con un comune lecca- lecca, 2) masticando un
bastoncino di cotone per circa un minuto, 3) prelevando la saliva
che si è formata sul pavimento orale ( sputo ). Come per il tampone
molecolare, il campione di saliva viene analizzato mediante la
tecnica rt-Real Time PCR, il grado di affidabilità risulta piuttosto
elevato, circa il 98% e molto dipende dall’accuratezza con cui viene
raccolta la saliva. Nello specifico gli studi effettuati hanno rilevato un
maggior grado di risposta con la saliva della parete posteriore
dell’oro-faringe raccolta di prima mattina, mentre un grado inferiore
si è riscontrata con il campione di saliva definito “sputo”. Questo tipo
di test è certamente meno invasivo ed il risultato si può ottenere, al
massimo entro un giorno.
Test Antigenico (Rapido): valido per l’ottenimento del green pass

I test antigenici sono di tipo qualitativo, differiscono dai test


molecolari per il fatto che non ricercano tracce del materiale
genetico (RNA) del virus SARS-CoV-2 bensì gli antigeni della
componente superficiale virale, noti anche come proteina S spike o
N nucleocapside che comprovano l’avvenuta esposizione al virus.
Questi tipi di test sono noti come Test Rapidi Antigenici, sfruttano
una metodica definita a LFT (a flusso laterale), vengono praticati
utilizzando un tampone nasale (campioni raccolti dalle pareti nasali
della narice) o un tampone rino-faringeo (campioni raccolti più in
profondità nella cavità nasale), hanno un minor costo e richiedono
tempi molto rapidi per una risposta, in genere 15-30 minuti. Volendo
approfondire il discorso, questi test sono meno sensibili dei test
molecolari, per cui i risultati negativi potrebbero dover essere
confermati con un test molecolare, se il soggetto in esame presenta
i sintomi tipici dell’infezione. Il CDC suggerisce alle persone che
mostrano sintomi e risultano positive a un test dell'antigene di
sottoporsi anche ad un un test molecolare per confermare il
risultato.

Nota Importante: I Test Salivari Antigenici NON sono validi per


l’ottenimento del green pass, dal momento che, come riportato
dalla circolare [...esistono test antigenici rapidi che sono stati validati
negli Stati membri dell'UE sulla base di campioni alternativi, come
saliva, espettorato e/o feci che, tuttavia, attualmente non sono
inclusi nell'elenco dei test antigenici rapidi concordato dal Comitato
per la sicurezza sanitaria (HSC, Health Security Committee)...]. Ciò
indica che siano ancora necessari studi per poter verificare se i test
salivari antigenici, possano essere validati a tale utilizzo.
Test Sierologico: ( NON valido per l’ottenimento del green pass )

Iniziamo con il sottolineare che questo test non ha alcuna valenza


diagnostica e mediante un campione di sangue rileva se, in passato, si
venuti in contatto con la Covid-19. Questo perché il nostro organismo,
inizia a produrre anticorpi dopo aver contratto un’infezione ( anche a
seguito dell’ inoculazione di un qualsivoglia vaccino ) e questo test,
per l’appunto, rileva il titolo anticorpale che il sistema immunitario
sviluppa in seguito alla pregressa infezione. Gli anticorpi o
immunoglobuline, sono prodotti dai Linfociti B e sono rappresentati
dalle immunoglobuline G (IgG) che indicano un’infezione passata, IgA
che indicano un’infezione acuta e IgM che indicano un’infezione
recente. Nel caso di un’infezione da Covid, le IgG iniziano a comparire
alla fine della seconda settimana da quando sono iniziati i sintomi,
quindi verso la fine della terza settimana da quando è stata contratta
l'infezione da SARS- CoV-2. Questo test può essere di 2 tipi:

Qualitativo (rapido) che si esegue analizzando con un kit specifico


qualche goccia di sangue ottenuta con la puntura del polpastrello di
un dito e indica solamente la presenza o l’assenza degli anticorpi.

Quantitativo che soppesa in modo attendibile ed accurato la


quantità di anticorpi prodotti. Mediante un semplice prelievo venoso
si ottiene un campione di sangue che sarà valutato in laboratorio
principalmente con 2 metodiche denominate CLIA o ELISA e per le
quali saranno necessarie circa 2 ore per avere il risultato. Questo test
risulta più affidabile rispetto al qualitativo, ed i risultati che fornisce
consentono una valutazione temporale dei valori ottenuti.
L’affidabilita’ del test sierologico dipende da due fattori: la specificità
e la sensibilità.
Una specificità bassa indica che il test riesce ad individuare degli
anticorpi, ma non permette di capire se siano anticorpi contro la
Covid-19 per cui alcuni soggetti, causa il falso positivo, credono di
ritenersi immuni anche se in realtà non lo sono. Una sensibilità
bassa indica invece, che gli anticorpi sono individuati solo se
presenti in grande quantità.

In ogni caso se il test sierologico risultasse positivo si avrebbe la


certezza che il soggetto in esame abbia prodotto anticorpi in
seguito all’ avvenuto contatto con il virus ma non fornirebbe la
garanzia di una protezione immunologica Vs l’infezione, non
indicherebbe se e per quanto tempo il soggetto sarebbe protetto e
non indicherebbe lo stato di guarigione e la sua potenziale capacità
di trasmissione.

Al contrario se il risultato fosse negativo le cause potrebbero essere


diverse, come non aver mai contratto l’infezione piuttosto che averla
contratta ma in tempi molto recenti e quindi meno di una decina di
giorni prima e quindi non aver avuto ancora il tempo di generare
una risposta anticorpale o ancora averla contratta ma con lo
sviluppo di una titolazione anticorpale che è al di sotto della soglia
di rilevazione del test.

Faccio presente che un test di questo tipo con esito negativo non è
in grado di escludere la presenza di una infezione asintomatica o in
fase iniziale, con il rischio che il soggetto possa essere contagioso.
Test Fai Da Te: ( NON valido per l’ottenimento del green pass )

Questo è un test antigenico rapido di tipo qualitivo, per cui fornisce


solo indicazioni circa la presenza o meno della Covid-19, che si può
svolgere nella propria abitazione, dal costo contenuto e che fornisce
il risultati in circa un quarto d’ora. La raccolta del campione
biologico nasale si effettua mediante un bastoncino ovattato (ma
possono essere raccolte anche gocce di saliva ) che sarà analizzato
con una metodica immunocromatografica di un apposito kit
domestico.

Il grado di sensibilità di questo tipo di test è considerato limitato e


quindi non sufficientemente idoneo ad essere paragonato agli altri
tipi di test di cui abbiamo scritto.
Capitolo 25

RNA-DEPENDED
RNA
POLYMERASE

Pensavate per caso che la proteina Spike non fosse in buona


compagnia nell’ambito dell’architettura complessiva del Sars-Cov-
2?... Sbagliato!... Ed infatti l’RdRp risulta essere un importante
bersaglio a scopo terapeutico nel corso di malattie causate da virus
a RNA, tra cui, ovviamente, anche il SARS-CoV-2, ed ecco spiegato il
motivo di questo primo post introduttivo.
Le (RdRp) sono enzimi essenziali per tutti i virus con genomi a RNA.
A differenza di altre polimerasi, le RdRp mostrano alti tassi di
mutazione (dell'ordine di 104 ) che, essendo importanti per il loro
destino evolutivo, risultano cruciali per determinare la variabilità dei
virus a RNA. Questi enzimi partecipano anche a diversi processi
biologici negli eucarioti, come l'amplificazione dei microRNA,
(siglati come miRNA, una classe di RNA non codificanti riscontrate
nel Trascrittoma, alias la totalità degli RNA trascritti a partire da un
genoma, di piante, animali e alcuni virus a DNA e che svolgono ruoli
importanti nella regolazione dell'espressione genica). La maggior
parte dei miRNA viene trascritta da sequenze di DNA in miRNA
primari ed elaborata in miRNA precursori e infine in miRNA maturi
che sono coinvolti nel controllo dell'espressione genetica ma anche,
ad esempio, nella protezione delle piante versus diversi agenti
patogeni. L’espressione in 3D della struttura delle RdRp è simile alla
conformazione di una mano destra con tre sotto domini funzionali,
chiamati dita, palmo e pollice. In tutte le polimerasi, il palmo risulta
altamente conservato.
Nell’RNA polimerasi RNA dipendente (RdRp) il palmo ha due residui
conservati di aspartato, che interagisce con due ioni metallici
bivalenti che facilitano un attacco nucleofilo (processo chimico
mediante il quale un atomo o un nucleo ricco di elettroni forma
rapidamente un nuovo legame con un atomo povero di elettroni o
ione positivo). La scoperta, avvenuta 30 anni fa, che le molecole di
RNA possono avere una funzione catalitica suggerì che l'RNA avesse
il duplice ruolo di immagazzinare informazioni biologiche all’interno
delle proprie sequenze, e che potesse anche fungere da
catalizzatore, giocando così un ruolo cruciale per i sistemi biologici
in formazione.
Un’ulteriore ipotesi, basata sull’integrazione dell’informazione
proveniente da molti geni o blocchi di ricombinazione mediante
modelli mutazionali ed evolutivi specifici per tratti diversi di DNA,
suggerisce una coevoluzione tra acidi nucleici e proteine.

In sostanza l’RdRp può essere descritta come una proteina


essenziale codificata nei genomi di tutti i virus contenenti RNA
senza DNA, ossia i virus a RNA, in grado di catalizzare la sintesi del
filamento di RNA complementare ad un dato modello di RNA.

##############
Capitolo 26

PFIZER AVVIA LO STUDIO


DI FASE II/III SUGLI
ANTIVIRALI
ORALI PER LA
PREVENZIONE DEL
COVID-19

Verso la metà del mese di marzo 2021 Pfizer annunciava l’avvio di


uno studio di Fase 1 per un nuovo antivirale orale attivo contro il
Sars-Cov-2 (https://www.pfizer.com/news/press-release/press-
release-detail/pfizer-initiates-phase-1-study-novel-oral-antiviral).
Mikael Dolsten, MD, PhD., Chief Scientific Officer e President,
Worldwide Research, Development and Medical di Pfizer scriveva: “
Affrontare la pandemia di COVID-19 richiede sia la prevenzione
tramite vaccino sia un trattamento mirato per coloro che
contraggono il virus.
Dato il modo in cui SARS-CoV-2 sta mutando e il continuo impatto
globale di COVID-19, sembra probabile che sarà fondamentale poter
avere accesso a diverse opzioni terapeutiche sia da subito che dopo
la pandemia. “ Ed ancora aggiungeva: “Abbiamo pensato a PF-
07321332 come ad una potenziale terapia orale che potrebbe essere
prescritta al primo segno di infezione, senza richiedere che i pazienti
siano ospedalizzati o in terapia intensiva “. Più arenata invece
sembrava essere e lo è tutt’ora, la situazione di un altro composto
antivirale sempre di Pfizer, un profarmaco, noto come PF-07304814
alias Lufotrelvir che agisce come inibitore della proteasi 3CL
somministrabile per via endovenosa in pazienti ospedalizzati.

Secondo Pfizer, dunque, si trattava di uno studio di fase 1 in adulti


sani per valutare la sicurezza e la tollerabilità di una nuova terapia
antivirale orale sperimentale contro il SARS-CoV-2 siglato PF-
07321332 ossia un inibitore della proteasi SARS- CoV2-3CL che aveva
dimostrato una potente attività antivirale in vitro contro il SARS-
CoV-2, nonché contro altri coronavirus.
Più nel dettaglio si trattava di uno studio randomizzato, in doppio
cieco, in aperto, con sponsor, controllato con placebo, a dose singola
e multipla in adulti sani con l’obiettivo di testare la sicurezza, la
tollerabilità e la farmacocinetica di questo nuovo approccio
terapeutico ed il cui avvio era stato supportato da studi preclinici
che avevano dimostrato l'attività antivirale di questa potenziale
terapia pensata specificamente per inibire la replicazione del virus
SARS-CoV2.

Ma come agiscono gli inibitori della proteasi? Legandosi a un


enzima virale (chiamato proteasi), impedendo in tal modo al virus di
replicarsi nella cellula.
Gli inibitori della proteasi, come è noto, sono già stati utilizzati
proficuamente nel trattamento di altri patogeni virali come l'HIV e il
virus dell'epatite C, sia da soli che in combinazione con altri
antivirali. Faccio notare che al tempo della comunicazione di Pfizer,
la struttura di PF-07321332, non era ancora stata resa nota.

Ciò avvenne solamente in seguito, e precisamente martedì 6 Aprile


2021 durante la riunione dell'American Chemical Society. Per chi
persevera nel diffondere l’idea che la ricerca e lo sviluppo
farmaceutico rappresentino un’utopia che non conosce intoppi, in
cui il fattore tempo conta poco o nulla ( “tanto...se vogliono bastano
5 minuti” ) ed in cui gli investimenti conducono sempre e solo
all’unico scopo di lauti guadagni, mi preme sottolineare come in
quella occasione Dafydd Owen, Director of medicinal chemistry
presso Pfizer, presentando il nuovo composto, riportò i seguenti
dati: “I primi 7 mg del composto sono stati sintetizzati alla fine di
luglio del 2020. Incoraggiati dai primi dati biologici, ci siamo
concentrati sull’aumento della sintesi. Alla fine di ottobre, avevamo
prodotto 100 g del composto e due settimane dopo, i nostri chimici
sono riusciti nell’intento di portare la sintesi ad oltre 1 kg. Questo
progetto ha coinvolto l’impegno di 210 ricercatori.

(https://cen.acs.org/acs-news/acs-meeting-news/Pfizer-unveils-oral-
SARS-CoV/99/i13).

Ebbene sì, avete letto bene: 210 scienziati per produrre poco di più di
1 Kg di composto. ( ancora scettici? ).
Facciamo un balzo a fine Settembre 2021, Pfizer annuncia l'inizio
della fase II/III dello studio EPIC-PEP ( E valutazione di P rotease I
nhibition per C OVID-19 a P Ost- E Xposure P rophylaxis) per valutare
la sperimentazione dell’antivirale orale PF- 07321332, somministrato
insieme ad una bassa dose di ritonavir, per la prevenzione
dell’infezione da COVID-19. Questo studio di fase II/III rientra in un
programma di ricerca clinica globale che arruolerà individui che
hanno almeno 18 anni e vivono nella stessa famiglia di un soggetto
con un'infezione sintomatica confermata di SARS-CoV-2.

Analizzando più dettagliatamente, lo studio di fase II/III EPIC-PEP è


uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo
che arruolerà fino a 2.660 partecipanti adulti sani di età pari o
superiore a 18 anni. I partecipanti saranno assegnati in modo
casuale (1:1:1) a ricevere PF-07321332 + ritonavir o placebo per via
orale due volte al giorno per 5 o 10 giorni. L’end point primario dovrà
valutare la sicurezza e l'efficacia per la prevenzione dell'infezione
confermata da SARS-CoV-2 e dei suoi sintomi fino al giorno 14. Tutto
ciò è stato possibile giacché i risultati dello studio clinico di fase 1
avevano dimostrato che PF-07321332 era sicuro e ben tollerato.

A commento, Mikael Dolsten, ha dichiarato: “ Integrando l'impatto


che i vaccini hanno nel contribuire a bloccare la circolazione
dell’infezione da SARS-CoV-2, riteniamo che questo nuovo
approccio terapeutico potrebbe aiutare a fermare il virus in anticipo,
prima che abbia la possibilità di replicarsi ampiamente, prevenendo
potenzialmente la malattia sintomatica in coloro che sono stati
esposti e inibendo l'insorgenza dell'infezione in altri.
Data la continua comparsa ed evoluzione delle varianti di SARS-
CoV-2 e il loro pesante impatto, continuiamo a lavorare
diligentemente per sviluppare e studiare nuovi modi con cui il
nostro antivirale orale sperimentale potrebbe potenzialmente
ridurre l'impatto di COVID-19, non solo sulla vita dei pazienti, ma
anche sulla vita delle loro famiglie e dei membri della famiglia.
https://cen.acs.org/acs-news/acs-meeting-news/Pfizer-unveils-oral-
SARS-CoV/99/i13.

Concludo, facendo notare che oltre a questo studio, il programma


EPIC, globalmente, raggruppa più studi clinici attualmente in corso,
tra cui l’EPIC-HR ( E valutazione di P rotease I nhibition per C OVID-
19 in H igh- R ISK pazienti), iniziato nel mese di luglio e progredita
fino alla sperimentazione di fase II/III, atta a valutare l'efficacia e la
sicurezza, in combinazione con ritonavir di PF-07321332, in soggetti
arruolati con una diagnosi confermata di infezione da SARS-CoV-2
ad alto rischio di progressione verso una malattia grave (incluso il
ricovero in ospedale o la morte).

Il terzo studio, dal nome EPIC-SR ( E valutazione di P rotease I


nhibition per COVID- 19 in S tandard- R ISK pazienti), nel mese di
Agosto, ha raggiunto la fase II/III con l’obiettivo di valutare l'efficacia
e la sicurezza di PF-07321332 nei soggetti selezionati con una
diagnosi confermata di infezione da SARS-CoV-2 a rischio standard
(vale a dire, che non hanno fattori di rischio per malattie gravi).
https://www.pfizer.com/news/press-release/press-release-
detail/pfizer-starts- global-phase-23-epic-pep-study-novel-covid-19

E questo è quanto...per ora, augurandomi il meglio per questo


promettente approccio terapeutico.
Capitolo 27

MOLNUPIRAVIR
(LAGEVRIO di Merck) E
PAXLOVID (Pfizer)
AI NASTRI DI PARTENZA

Come giustamente e saggiamente scriveva, pochi giorni or sono, in


un suo post, il Proff. Guido Silvestri: “ Tra vaccini, monoclonali ed
antivirali il virus ha veramente i giorni contati (e non solo in senso
metaforico). Questo abbiamo cercato di dire da inizio pandemia,
parlando di OTTIMISMO DELLA CONOSCENZA, cioè che la nostra
scienza, ed in particolare la virologia e l'immunologia avrebbe vinto
questa guerra, per tutti noi, e per ridarci la nostra vita, in ogni senso.
Avevamo ragione “.
Merck ha dimostrato che gli antivirali orali possono fare la differenza
nel trattamento farmacologico della COVID-19 quando, da pochi
giorni, dopo aver presentato i dati ormai in fase avanzata che
mostrano come MOLNUPIRAVIR è in grado di dimezzare (riduzione
di almeno il 50%) il rischio di ospedalizzazione e morte in uno studio
clinico di fase III si è vista approvare in Inghilterra il proprio
antivirale. L’approvazione da parte della MHRA (Medicines &
Healthcare products Regulatory Agency) è giunta in base ai risultati
di un'analisi ad interim pianificata nell'ambito dello studio di fase 3
'Move-Out' :
(https://www.gov.uk/government/organisations/medicines-and-
healthcare-products-regulatory-agency)

Il disegno dello studio prevedeva la somministrazione di


Molnupiravir alla dose di 800 milligrammi 2 volte al giorno in
pazienti Covid adulti non ospedalizzati e non vaccinati, con
infezione da lieve a moderata confermata in laboratorio, insorgenza
dei sintomi entro i 5 giorni precedenti l'inserimento nel trial e
almeno un fattore di rischio associato a prognosi negativa (per
esempio malattie cardiache o diabete). Ricordiamo che il
Molnupiravir agisce, utilizzato non in associazione, come un
profarmaco, cioè come precursore della molecola attiva dal punto di
vista farmacologico che si esprime attraverso la capacità di
determinare errori nella replicazione genomica del virus.
Dallo studio, come è avvenuto per altre molecole, sono state escluse
le persone vaccinate. Verrà somministrato, inizialmente, a pazienti
affetti da Covid di grado lieve o moderato e con fattori
predisponenti l’ospedalizzazione (patologie pregresse, obesità, età).
Potrà essere assunto a casa, alla dose di 800 mg due volte al giorno
e, come già detto, da solo.
Un punto molto importante resta il potenziamento industriale del
processo produttivo per far fronte alla forniture, ed il feedback che
arriverà dagli studi osservazzionali di monitoraggio. Forte di questo
bagaglio, Merck ha richiesto l'autorizzazione all'uso di emergenza da
parte dell’ FDA.

E Veniamo adesso al PAXLOVID di Pfizer. Potrete leggere tutta la


storia della molecola PF-07321332 + Ritonavir al seguente link:
(https://www.gov.uk/government/organisations/medicines-and-
healthcare-products-regulatory-agency). Pfizer poteva far conto sui
dati che sarebbero giunti dallo studio EPIC-HR ( E valutazione di P
rotease I nhibition per C OVID-19 in H igh- R ISK pazienti), iniziato
nel mese di luglio e progredito fino alla sperimentazione di fase II/III,
atta a valutare l'efficacia e la sicurezza, in combinazione con
ritonavir di PF-07321332, in soggetti arruolati con una diagnosi
confermata di infezione da SARS-CoV-2 ad alto rischio di
progressione verso una malattia grave (incluso il ricovero in
ospedale o la morte). Anche Pfizer ha escluso le persone vaccinate
contro il COVID-19 dal suo studio.

I risultati, effettivamente, arrivano 1 giorno dopo l’autorizzazione


all’immissione in commercio nel Regno Unito per il Molnupiravir di
Merck. L'analisi di efficacia si basa sull’arruolamento di 1.219 pazienti.
Analogamente alla valutazione in corso sul Molunpiravir, ai pazienti
era richiesto di avere almeno una o più di una condizione medica
pregressa che fosse associata ad un aumentato del rischio di
sviluppare una grave malattia da COVID-19.

Tra i 607 pazienti che hanno ricevuto Paxlovid entro 5 giorni


dall'insorgenza dei sintomi ci sono stati 6 ricoveri e nessun decesso,
rispetto a 41 ricoveri e 10 decessi nella coorte placebo.
Ie percentuali di ospedalizzazione o decesso nei bracci Paxlovid e
controllo sono stati rispettivamente dell'1% e del 6,7%, con una
riduzione del rischio dell'85%. Ma Pfizer ha utilizzato e presentato
come end point principale del suo studio i dati sui pazienti che sono
stati trattati entro 3 giorni dall'insorgenza dei sintomi; In questa,
definiamola sottopopolazione, le percentuali di ospedalizzazione o
decesso nei gruppi Paxlovid e di controllo sono stati rispettivamente
dello 0,8% e del 7%, con una riduzione del rischio dell'89%.
(https://www.fiercebiotech.com/biotech/pfizer-s-oral-covid-19-
antiviral-cuts-hospitalization-death-by-85-sending-team-barreling-
to).
È stata inoltre condotta una revisione dei dati inerenti la sicurezza
sui pazienti dello studio EPIC-HR con dati disponibili all'analisi ad
interim. I pazienti trattati con PAXLOVID hanno mostrato un
numero leggermente inferiore di eventi avversi in seguito al
trattamento (19%) rispetto a quelli trattati con placebo (21%); la
maggior parte degli eventi è stata di lieve entità. L'interruzione del
trattamento a causa di eventi avversi si è verificata nel 2,1% dei
pazienti a cui è stato somministrato PAXLOVID.
(https://www.contagionlive.com/view/pfizer-covid-19-antiviral-pill-
significantly-reduces-hospitalizations-death)

Alcune considerazioni finali su questi promettentissimi trattamenti


farmacologici che rappresentano il primo vero trattamento
domiciliare, sufficientemente economico ed efficace con un
impatto positivo nel controllo del Sars-CoV-2.
In qualità di inibitore della proteasi, Paxlovid è esente dal rischio
teorico di alterazione del DNA legato al meccanismo d'azione del
molnupiravir di Merck e dimostra un’efficacia in termini di riduzione
dei ricoveri ospedalieri e sicurezza maggiori.
(https://www.fiercebiotech.com/biotech/pfizer-s-oral-covid-19-
antiviral-cuts-hospitalization-death-by-85-sending-team-barreling-
to).

Al contempo, Molnupiravir di Merck ha un leggero vantaggio su


Paxlovid in termini di facilità d'uso ed è già autorizzato nel Regno
Unito con una revisione in corso negli Stati Uniti. Inoltre Paxlovid di
Pfizer deve essere somministrato in combinazione con Ritonavir per
rallentare il suo metabolismo, mentre molnupiravir è
somministratile come unico farmaco.

##############
Capitolo 28

VIA LIBERA
TEMPORANEA AGLI
ANTIVIRALI
MOLNUPIRAVIR
(LAGEVRIO di Merck) E
PAXLOVID (Pfizer)

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 295 del 13/12/2021, il


decreto del Ministro della Salute del 26/11/2021 che dà il via libera
temporanea alla distribuzione dei farmaci antivirali orali
molnupiravir della MSD e paxlovid (PF- 07321332) della Pfizer per il
trattamento della COVID-19 e privi di una autorizzazione
all'immissione in commercio nel territorio europeo e nazionale. Il
testo integrale del decreto è allegato all’interno dell’articolo sotto
linkato: (http://www.quotidianosanita.it/governo-e-
parlamento/articolo.php?
articolo_id=100885&fr=n&fbclid=IwAR2AmO0SLi_vsgavaJvh9r3bcd8
qotRjZmYIcV5bdAYGgAU3WJHLM1Ay1Xk).
Capitolo 29

LE INDICAZIONI DI EMA
PER L’UTILIZZO
DELL’ANTIVIRALE
PAXLOVID (Pfizer)

Il 15 Dicembre 2021, riportavo l’articolo del Quotidiano on line


“Qutidianosanità” in cui si riferiva del decreto del Ministro della
Salute che dava il via libera temporanea alla distribuzione dei due
medicinali a base di farmaci antivirali orali per il trattamento di
COVID-19 ( tra cui Paxlovid (PF-07321332 + ritonavir di Pfizer), privi di
una autorizzazione all'immissione in commercio nel territorio
europeo e nazionale.
A questo articolo, è seguito un ulteriore aggiornamento che riporta
il parere espresso dal CHMP (comitato per i medicinali per uso
umano) dell’Ema relativo all’uso di Paxlovid (PF-07321332 + ritonavir)
per il trattamento del COVID-19 al fine di “supportare” le autorità
nazionali, come l’Italia che si sono espresse con un decreto quale
quello riportato nel precedente paragrafo.

Queste, in sintesi, le considerazioni: “In attesa di ulteriori dati per


l'autorizzazione l'Agenzia europea fornisce alcune indicazioni d'uso
agli Stati che hanno deciso di utilizzarlo comunque, tra cui l’Italia..
Circa l'1% dei pazienti (6 su 607) che hanno assunto Paxlovid entro
cinque giorni dall'inizio dei sintomi è stato ricoverato in ospedale
entro 28 giorni dall'inizio del trattamento rispetto al 6,7% dei
pazienti (41 su 612) a cui è stato somministrato placebo (trattamento
fittizio); nessuno dei pazienti del gruppo Paxlovid è morto rispetto ai
10 pazienti del gruppo placebo”.

Questo il link per chi desiderasse leggere l’intero articolo con i


relativi approfondimenti:

(http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?
articolo_id=100984&fr=n&fbclid=IwAR3yZLLqZ8yD_iEl-
ovIy9yQaBGYSTTTKTqHhhOP5UmXMV4JidWpKWnu9UU)
Capitolo 30

TRA USA ED ITALIA


REGALI DI NATALE,
RICCHI PREMI E
COTILLONS DI FINE ANNO

E così, negli USA, Pfizer non è stato l'unica multinazionale del


farmaco ad ottenere un cadeaux di Natale anticipato da parte
dell’FDA.
Esattamente il giorno dopo la “benedizione” di Paxlovid come primo
trattamento orale COVID-19, anche il Molnupiravir di Merck & Co.e
Ridgeback Biotherapuetics è diventata a tutti gli effetti la seconda
pillola antivirale anti-Covid, autorizzata negli Stati Uniti, dal
momento che, come affermato in un comunicato, l’FDA ha
approvato, grazie ad una autorizzazione di emergenza (EUA),
Molnupiravir per il trattamento dei pazienti adulti con COVID-19 da
lieve a moderato, ad alto rischio di progressione grave della malattia,
incluso il ricovero in ospedale o lil decesso. Il via libera dell’Agenzia
include anche i pazienti per i quali altri trattamenti COVID-19 siano
autorizzati ma si dimostrino “non accessibili o clinicamente
appropriati".

Come riporta Louise Chen, l’analista di Cantor Fitzgerald & Co, in


questo articolo di Fierce Pharma del 27/12/21, questa approvazione
giunge al "momento giusto dal momento che sono necessarie
sempre più terapieda integrare alle vaccinazioni, soprattutto alla
luce di varianti preoccupanti come l’Omicron”.
(https://www.fiercepharma.com/pharma/merck-ridgeback-clinch-
emergency-nod-for-covid-19-antiviral-pill-molnupiravir).

Per chi fosse interessato ad approfondire ho scritto a proposito di


Molnupiravir di Merck,(strettamente a braccetto con Paxlovid di
Pfizer) qui: (https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/molnupiravir-
lagevrio-di-merck-e.html).
Ovvero a proposito dei promettentissimi trattamenti farmacologici
che rappresentano il primo vero trattamento domiciliare,
abbordabile ed efficace, con un impatto positivo nel controllo del
Sars-CoV-2.
Ed ora, giunge come “presente”, ( graditissimo ), di fine anno, in
Italia, l’approvazione da parte di AIFA dei due antivirali, Molnupiravir
e Remdesivir (su cui sarà opportuno, in altra occasione spendere
due parole, soprattutto alla luce di quello che ne sarà dell’ utilizzo di
Paxlovid), per il trattamento di pazienti non ospedalizzati per Covid-
19 con malattia lieve-moderata di recente insorgenza e con
condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori
di rischio per lo sviluppo di Covid-19 grave.

Qui troverete il Comunicato dell’ Agenzia Italiana del Farmaco, con


tutte le informazioni necessarie:
(https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1289678/Comunicato_AIF
A_680.pdf).

La delibera di Aifa relativa alle modalità di utilizzo è stata pubblicata


il 29 dicembre 2021 sulla Gazzetta Ufficiale ed è efficace a partire dal
30 dicembre.
Capitolo 31

AGGIORNAMENTO
ANTICORPI
MONOCLONALI ED
ANCORA
DUE PAROLE SU
PAXLOVID

La FDA ha approvato l’8 Dicembre 2021 (FDA approva l'uso di


emergenza di Evusheld - https://www.fda.gov/news-events/press-
announcements/coronavirus-covid-19-update-fda-authorizes-new-
long-acting-monoclonal-antibodies-pre-exposure) i nuovi anticorpi
monoclonali a lunga durata d'azione (tixagevimab con cilgavimab
somministrati insieme) per la profilassi pre-esposizione, ossia per la
prevenzione, di Sars-Cov-2 in alcune tipologie di individui adulti e
pediatrici (dai 12 anni in su e che pesino almeno 40 Kg).
Il loro impiego, è riservato per quei soggetti che non risultino ancora
infetti dal virus SARS-CoV-2 e che non siano stati esposti a un
individuo infetto in tempi recenti. Altre condizioni compatibili con il
loro impiego sono:

1) avere un sistema immunitario compromesso di grado moderato o


grave a causa di una patologia.

2) avere un sistema immunitario compromesso di grado moderato


o grave a seguito dell’assunzione di farmaci o di trattamenti
immunosoppressivi che potrebbero vanificare una giusta risposta
immunitaria da parte del vaccino.

3) riportare nell’anamnesi una storia di gravi reazioni avverse a un


vaccino COVID-19 e/o a un componente/i di tali vaccini, motivo per
cui la vaccinazione risulti non raccomandata ed impraticabile.

Evusheld è una combinazione di di 2 Anticorpi Monoclonali (MAB) di


AstraZeneca somministrabili, per la prima volta con due iniezioni
intramuscolari consecutive separate ma in successione, dei due
MAB. Da quanto emerge in letteratura la sua evoluzione non è stata
tutta rosa e fiori, almeno inizialmente. Impiegato nei trials clinici su
pazienti affetti dal Sars-Cov-2 in uno stadio già avanzato, questi non
hanno fornito risultati molto incoraggianti.

La decisione fu quindi quella di impiegare questa combo in un trial


(dimostratosi azzeccato) che avesse come end point l’attività di
prevenzione della malattia, e questo perché l’emivita risultava
essere molto lunga con una attività ancora presente dopo un anno.
E da qui, la EUA.
(https://www.fiercepharma.com/pharma/astrazeneca-scores-
approval-for-its-covid-19-antibody-cocktail-a-substitute-for-
vaccination?
fbclid=IwAR0eKmBuQ1p4DYEPKdHlOJqWs6OWaDBGhs1JejvyHUa
W0tyH3LYqs3UO9Fo).

Quanto a Paxlovid, ne ho scritto diffusamente qui:


https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/le- indicazioni-di-ema-
per-lutilizzo.html, https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/pfizer-
avvia-lo-studio-di-fase- iiiii.html,
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/molnupiravir-lagevrio-di-
merck-e.html, https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/via-libera-
temporanea-agli-antivirali.html,
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/le-indicazioni-di-ema-
per-lutilizzo.html, https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/tra-
usa-ed-italia-regali-di-natale.html .

Come scrive anche Eric Topol, “Paxlovd rappresenta il primo


farmaco specificamente studiato per il SARS-CoV-2... Certo sarebbe
stato fantastico averlo avuto a disposizione sin dai primi giorni della
pandemia; fortunatamente la velocità con cui questa molecola è
stata testata e validata è davvero impressionante. Ne abbiamo
bisogno là fuori in grandi quantità il prima possibile...".
(https://erictopol.substack.com/p/why-paxlovid-is-a-just-in-time-
breakthrough?fbclid=IwAR1u0N1hrwOryQ2MnDrL_A-
orJhkO__rhn4UwI5YaqlP2C8zXo-E2MaK8YI&s=r). E’ quindi
altamente probabile che questo antivirale, salirà presto all ribalta,
superando probabilmente anche l’impiego di diversi MAB, con
l’eccezione presumibilmente di Evusheld grazie al suo effetto di
prevenzione ed attività nei confronti delle diverse varianti, e di
Sotrovimab. La domanda che resta da porre è...cosa ce ne faremo
allora di Remdesivir?...
Capitolo 32

IL “DIETRO ALLE
QUINTE”, CHE HA
CONDOTTO ALLA
FORMULAZIONE DI
PAXLOVID

(Una narrazione interessante che si può riassumere con la frase


“Making rings is kind of boom or bust in med chem. You either
win big or you lose big” - Dafydd Owen, Pfizer’s senior scientific
director, medicinal chemistry).
Premetto che questo lungo post, vuole rappresentare, per chi ne
fosse interessato, una “sbirciatina”, con un occhio più propenso alla
narrativa giornalistica che alla pura conoscenza tecnica
dell’argomento, su un mondo di cui in tanti parlano, scrivono,
discutono, ma spesso senza avere la benché minima idea di cosa si
celi, molto spesso, dietro la scoperta o sviluppo di un farmaco.

Sono stato sempre incuriosito dal lavoro svolto che portò a questa
formulazione ormai assunta agli onori anche della cronaca, e
contestualmente mi sono spesso interrogato, leggendo le più
disparate pubblicazioni al riguardo, su come quel progetto fosse
stato seguito, volgendo spesso l’occhio sulle risorse impiegate, i
tempi di realizzazione ed i rischi connessi ad una tale operazione.
Questa vicenda, tutto sommato dai contorni intriganti, da leggersi
quasi fosse un racconto, iniziò il venerdì 13 marzo del 2020, quando il
chimico Dafydd Owen, impegnato nella progettazione e sviluppo di
farmaci alle dipendenze della R&D ( Ricerca e Sviluppo ) di Pfizer a
Cambridge, nel Massachusetts, anziché rimanere come al solito nel
proprio ufficio, fu rimandato a casa. In una intervista dichiarò in
seguito: “Siamo stati tutti rimandati a casa quel venerdì perché, a
quel tempo, il mondo era completamente diverso”. Ritornando a
casa, Owen, sapeva comunque bene che quella decisione non era
stata certamente presa per far si che lui si potesse spaparanzare
tranquillamente sul proprio divano per abbuffarsi di Netflix e
popcorn. Ehh no!
Come molti colossi farmaceutici, in quel periodo, anche la Pfizer
stava mettendo in stand-by la maggior parte dei progetti pregressi
per poter far fronte all'emergenza nazionale causata dalla COVID-19
ed infatti, quel venerdì, il CEO di Pfizer rese noto ai propri
collaboratori più stretti, un piano in cinque punti che riassumeva in
sostanza, quale dovesse essere la risposta dell’Azienda alla Covid-19.
Tradotto, i capi di Owen, perseguendo una prassi insolita, gli
chiesero di trascorrere il fine settimana pensando a quali risorse
avrebbe avuto di bisogno per avviare un programma capace di
sviluppare un farmaco orale per combattere la pandemia
emergente. Preciso, ad onor del vero, che Owen era anche a
conoscenza del fatto, tutt’altro che trascurabile, che in termini di
risorse, lui e quello che sarebbe diventato il suo team, avrebbero
potuto far conto sul 50% di risorse in più, rispetto a quelle
normalmente riservate a qualunque altro programma di ricerca,
anche se ovviamente il tempo a disposizione sarebbe stato molto
più breve. So...what was the problem? Owen, oltre a non essere mai
stato un capo progetto, non aveva mai lavorato ad un antivirale.

Lungi dal preoccuparsi, accettò ugualmente la sfida, contando


anche sull’ipotesi, tutt’altro che peregrina, che Il suo “status” di capo
progetto alle prime armi avrebbe potuto conferirgli un vantaggio
anzichenò.

Che si avvertisse un impellente senso d’urgenza era fin troppo


chiaro ma Owen, non avendo mai guidato prima un progetto di
ricerca e nello specifico su quella particolare classe di farmaci, non si
sentiva vincolato da nessun preconcetto o condizionamento su
come un tale programma dovesse essere gestito.
Durante quel fine settimana, Owen rispolverò tutte le sue
conoscenze di chimica farmaceutica incentrate sugli antivirali ed in
questo fu, tutto sommato agevolato, dal momento che non dovette
procedere alla cieca per individuare uno specifico target. Ciò si rese
possibile perché già da tempo gli scienziati di Pfizer avevano
individuato come obiettivo quello di sviluppare un antivirale capace
di inibire la proteasi principale (nota anche come proteasi 3CL) del
SARS-CoV-2 e questo poiché in un recente passato, inibire la
proteasi virale, per dirla semplice, l’origine dell’intero arsenale
molecolare del virus, si era rivelata una strategia di successo nello
sviluppo di farmaci per contrastare l'HIV e l'epatite C. Ed Owen ben
sperava che, sebbene non si potessero confrontare quei virus con il
SARS-CoV-2, la strategia in quella direzione appariva estremamente
solida e promettente.

Last but not least, la Pfizer aveva anche un asso nella manica: nel
2003, i ricercatori dell'azienda svilupparono un antivirale, noto come
PF-00835231; questo antivirale era in grado di bloccare la principale
proteasi di un coronavirus emerso nel 2002 e causa della sindrome
respiratoria acuta grave nota ai più come SARS, ma proprio poco
prima di iniziare le fasi di test sui pazienti, l’epidemia venne
contenuta e PF- 00835231 non vide mai la luce.

In quel lunghissimo weekend, Dafydd Owen, fece il punto su


quanto realmente si conosceva del funzionamento di PF-00835231.
La struttura era simile a quella di un peptide ( una molecola di
sintesi formata dal legame lineare di 2 o più aminoacidi ), in grado di
legarsi all’interno della proteasi principale del virus responsabile
della SARS e poiché questo sito di legame era identico, tanto per la
SARS quanto per il SARS-CoV-2, i ricercatori Pfizer ragionarono
sempre sull’idea che PF-00835231 potesse funzionare anche contro
il nuovo virus ed i test condotti, effettivamente, dimostrarono che
avevano ragione.

Ma c’era un ma, il solito “maledetto” MA.


Essendo simile ad un peptide, PF-00835231 era particolarmente
ricco di donatori di legami idrogeno ( ben 5 ) e per farla semplice,
questa peculiarità, “intrappolava” la molecola a livello intestinale, se
assunta oralmente, condizionandone quindi la somministrazione
solo per via endovenosa e quindi in ambiente ospedaliero.
Esattamente l’opposto di quanto era stato richiesto al nostro
“protagonista”.

Fu questa quindi, la vera sfida su cui Owen, ragionò in quei giorni,


partendo dall’assunto, come ebbe a dichiarare in seguito egli stesso,
che “si trattasse di un problema di chimica farmaceutica”, ossia
arrivare ad una molecola antivirale che potesse essere assunta
oralmente ai primi sintomi di malattia.

La narrazione ci racconta poi che dopo un fine settimana trascorso


a studiare ed ad individuare le strategie più adatte da adottare,
lunedì 16 marzo 2020, Owen ed i suoi colleghi riuscirono ad
elaborare un programma consono alle aspettative. Ciò che
arricchisce questa vicenda anche dal punto di vista “umano” fu il
fatto che Owen, a differenza dei suoi colleghi e collaboratori, non
rientrò nel proprio ufficio a Cambridge, cosa che fece solo alla fine
dell’ Aprile 2021. Egli infatti preferì trascorrere i successivi tredici
mesi, lavorando in un improvvisato ufficio/laboratorio allestito
presso la propria abitazione. Decisione che gli permise di godersi in
santa pace la natura che lo circondava e contemporaneamente di
seguire il percorso scolastico dei figli in DAD.

E qui, la storia si arricchisce di qualche contenuto tecnico in più.


Il programma che venne elaborato in quel famosissimo weekend
comprendeva, come base di partenza, l’eliminazione di alcuni
donatori di legame idrogeno, dal momento che rappresentavano
l’elemento portante del problema, per cui ciascuno di quelli
presenti in PF-00835231 vennero presi in esame e studiati
dettagliatamente. Il ragionamento che guidò Owen in questa fase
fu che se un determinato legame idrogeno fosse fondamentale per
far legare il composto alla proteasi, doveva rimanere nella molecola,
mentre si sarebbe dovuto procedere all’esclusione di quei legami
idrogeno che, anche se eliminati, non avrebbero compromesso
l’attività antivirale.

Il primo donatore di legami idrogeno che il team, oramai guidato a


tutti gli effetti da Owen, rimosse da PF-00835231 fu l'α-
idrossimetilchetone. Owen e la sua squadra, pensarono che
avrebbero potuto sostituirlo, potendo scegliere tra il benzotiazol-2-yl
chetone ed il nitrile, e dopo accurate valutazioni, pur essendo
molecole entrambe promettenti, la scelta cadde su quest’ultimo.

Perché?... Come spiegò Owen in seguito, innanzitutto perché il


nitrile si dimostrò più solubile del benzotiazol-2-yl chetone e più una
molecola è solubile, più facile risulta produrre soluzioni della
molecola richiesta in alte concentrazioni per gli studi di tossicologia
pre-clinica. Secondariamente, ma non meno importante, la
procedura per produrre su larga scala quel nitrile si rivelò molto più
semplice rispetto a quella per il benzotiazol-2-yl chetone e questo
fatto, se all’interno di un laboratorio, per fini di studio, non fa una
grande differenza, diventa invece discriminante nel momento in cui
si pensa di iniziare un processo di produzione.
Per cui, quando pensate ad un processo di sviluppo e produzione di un
farmaco, non pensate che sia come andare a far la spesa al supermercato,
solo con il portafoglio gonfio di sodi.

Un secondo donatore di legami idrogeno che il team si rese conto di poter


escludere, venne rinvenuto in una determinata porzione dell’aminoacido
leucina presente in PF-00835231. Per questo motivo, quella determinata
porzione, fu sostituita con un aminoacido ciclico (la prolina è l’unico
amminoacido ciclico, non ha caratteristiche polari e non presenta alfa
idrogeni pertanto non può formare legami a idrogeno).

In questo contesto assume dunque un significato estremamente chiaro, la


frase riportata ed attribuita allo stesso Owen :“Making rings is kind of boom
or bust in med chem. You either win big or you lose big”, dal momento che
quando si va ad agire su una molecola ciclica, si sta “provando”, passatemi il
termine non corretto, una nuova conformazione molecolare per cui è
indispensabile che la conformazione sia quella giusta, altrimenti il rischio è
quello di ritrovarsi tra le mani una molecola inattiva.

Un aspetto importante da sottolineare è che quando Owen ed i suoi


collaboratori introdussero quell’elemento ciclico nella molecola PF-
00835231, se da un lato osservarono un modesto calo di potenza
farmacologica, dall’altro, constatarono che tale calo non era sufficiente per
ridurre in modo significativo l'attività del composto e quindi, quella
componente ciclica, divenne a tutti gli effetti una caratteristica
fondamentale da cui non poter prescindere.

Come spesso accade in questi casi, però, quella rimozione comportò un


costo, in termini chimici ovviamente, e l’intero team, dovendo cercare di
ripristinare un’interazione persa con un particolare aminoacido (glicina) si
concentrò su 3 molecole, per individuare quella più adatta da inserire ed
indicata allo scopo: methanesulfonamide, acetamide e trifluoroacetamide.
Queste tre molecole, all’apparenza simili, si pensava fossero in grado di
comportarsi tutte allo stesso modo, ma alla prova dei fatti non si rivelò
affatto così e, nei test che seguirono, solo la trifluoroacetamide manifestò
una buona capacità di permeare la barriera intestinale.
Questo aspetto risultò determinante, come si può evincere dalle
dichiarazioni espresse da Jeremy Green, chimico e consulente per lo
sviluppo di farmaci antivirali, che pur in virtù di una notevole
esperienza sul campo, non fu coinvolto direttamente nel progetto, il
quale non ebbe alcuna esitazione nel dichiarare: “ Quella della
trifluoroacetamide, per la maggior parte dei ricercatori, non sarebbe
stata certamente la prima scelta, ma i risultati ottenuti nei test,
indicarono chiaramente che fosse in grado di conferire davvero
quella permeabilità che si stava cercando di ottenere”. Ed andò
esattamente così, tanto che lo stesso Owen, confortato dai risultati
ottenuti, rilasciò una dichiarazione in cui testualmente affermò:
“Quando fummo convinti che l’effetto della trifluoroacetamide era
così importante, riuscimmo nell’intento di integrarla all’interno di
tutti quei cambiamenti chimici che avevamo operato sino al allora,
al fine di poter poi garantire quella biodisponibilità orale che era alla
base della somministrazione dell’antivirale”. E con ciò, fine della
trattazione di contenuti troppo tecnici.

Fu così che, Il 22 luglio del 2020, vide la sua prima luce la molecola
PF-07321332, quella che solo più tardi sarebbe stata conosciuta con
il nome di Nirmatrelvir. Da notare, nell’ambito della narrazione di
questa vicenda che, come dichiarò lo stesso Owen: “Quel composto
rientrava semplicemente nel novero degli altri 20 che erano stati
prodotti in quella sola settimana, e nulla di più. A tutti gli effetti, non
sapevamo ancora di cosa effettivamente avevamo per le mani”.

Quello di cui si era consapevoli si traduceva soltanto nel fatto che


quella molecola comprendeva tutte le modifiche strategicamente
escogitate e successivamente messe in atto dall’intero team per
poter rendere il composto un efficace antivirale in grado di essere
assunto sotto forma di una semplice pillola.
Pertanto, fu solo quando vennero resi noti i relativi risultati dello
studio di farmacocinetica sui ratti, che confermavano sia la buona
attività antivirale sia la proprietà relativa alla somministrazione per
via orale, che i ricercatori di Pfizer guidati da Owen, ebbero la
conferma di aver intrapreso con PF-07321332 la strada giusta,
seppur ancora lunga da completare, e ciò avvenne solo una mattina
del 1 settembre 2020.

La narrazione racconta come la produzione di PF-7321332 sia iniziata


alla fine del mese di Giugno 2020 con la sintesi di 7 mg del
composto da parte di un team di circa 210 ricercatori. Questi pochi
milligrammi divennero 100 g a fine Ottobre e due settimane più
tardi, grazie all’incoraggiamento di quei dati aspettati quanto attesi
di farmacocinetica, l’intero team di Pfizer, riuscì nell’intento, entro la
fine di Novembre di quell’anno, di aumentarne la sintesi,
producendo sino a 1,4 kg del composto da utilizzarsi per i successivi
studi tossicologici.

( Rifletta su questi pochi numeri: 210 ricercatori per poco più di un


Kg di prodotto nell’arco di poco meno di 5 mesi, chi sbandiera a
destra e a manca, senza sapere nulla al riguardo dell’argomento che
la ricerca farmaceutica sia solo un’oasi felice nell’immaginario
collettivo in cui i problemi sono unicamente legati ai brevetti e che
in pochi mesi si possano ottenere quintalate di “prodotto” finito da
vendersi al migliore offerente punto e basta ). Più esattamente, la
campagna di sintesi continuò incessantemente ( a Marzo del 2021, si
poteva parlare di chilogrammi, prodotti secondo tutti i requisiti
normativi richiesti ) per avviare, sulla scorta di quei dati molto
promettenti ma anche ottenuti rapidamente, ben due studi
tossicologici e l’avvio di uno studio di fase 1 sull'uomo.
Come ebbe più volte da dichiarare lo stesso Owen, condurre più
attività, compresa la produzione, in parallelo piuttosto che in una
ben determinata sequenza temporale, rappresentava certamente
un rischio finanziario, ma calcolato all’origine. Di certo, non
rappresentava la norma, dal momento che se le cose non avessero
funzionato, tutti gli sforzi prodotti si sarebbero dissolti nel nulla. Ma
quello era il momento di esibire la massima efficienza possibile
unitamente ad un “briciolo” di coraggio.
Ovviamente, come già scritto prima, l’impatto con la “vita reale” non
è mai sempre e solo rose e fiori per cui i processi di sintesi di un
composto che conducono ad una produzione all’interno delle
quattro mura di un laboratorio sono una cosa, mentre quelli
necessari a realizzare una produzione industriale su vasta scala,
rappresentano tutt’altra storia.

Ed arriviamo così verso la fine di questa narrazione. L’intero gruppo


di studio, che iniziò il proprio lavoro in quell’ormai lontano quanto
cruciale weekend, per poter presentare al mondo il proprio
antivirale orale, a cui diede il nome di Paxlovid, combinò
ulteriormente il composto PF-07321332 con un antivirale già
utilizzato nel trattamento dell’HIV, il Ritonavir. L’aspetto
interessante, e certamente meno conosciuto, è rappresentato dal
fatto che Owen afferma che questo approccio era quello che i
ricercatori pensavano di dover adottare fin dall'inizio del progetto.
Ritonavir non ha alcuna attività contro il SARS-CoV-2 ma è in grado
di impedire che il composto PF-07321332 si degradi prima che abbia
svolto il proprio compito di inibire la proteasi principale del virus.

Concludo, rispondendo a chi ancora si domanda cosa rappresenti,


oggi, in termini pratici, Paxlovid. L’ex PF-07321332, rappresenta
dunque il primo trattamento antivirale orale per la COVID-19 che
può essere assunto a casa.
. Si tratta di una associazione farmacologica, Nirmatrelvir/Ritonavir,
(300mg/100 mg due volte al dì per 5 giorni) in cui il Nirmatrelvir
agisce come un inibitore della proteasi SARS- CoV2-3CL e quindi
attivo sulla replicazione virale, mentre il Ritonavir (farmaco già
ampiamente utilizzato per il trattamento dell’infezione da HIV)
rallenta, a basse dosi, la degradazione del Nirmatrelvir stesso.
Questa terapia, in grado di ridurre il rischio di ricovero in ospedale
causa COVID-19 di circa il 90%, deve essere avviata il prima possibile
e comunque non oltre i 5 giorni dall’esordio dei sintomi.

L’FDA americana ha emesso un provvedimento di autorizzazione


all'uso di emergenza (EUA) di Paxlovid per il trattamento della
malattia da SARS-CoV-2 di grado lieve o moderata negli adulti e nei
pazienti pediatrici (> 12 anni di età e di > 40 Kg di peso corporeo) che
abbiano un test diretto positivo per SARS-CoV-2 e che presentino
fattori di rischio per progressione a COVID-19 grave. Paxlovid è
attualmente autorizzato per uso condizionale o di emergenza (EUA)
in diversi paesi in tutto il mondo ed in Europa, mentre l'Agenzia
Europea per i Medicinali (EMA), ne ha raccomandato oggi
l'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata per le
stesse indicazioni autorizzate da FDA.
(https://www.ilsole24ore.com/radiocor/nRC_27.01.2022_15.22_4671046
7).

Questi sono i link in cui si è scritto di Paxlovid e relativi nullaosta, per


chi volesse, “rinfrescarsi la memoria”:

https://www.facebook.com/paolo.bonilauri.1/posts/102265606370325
63
https://www.facebook.com/pillolediottimismo/posts/45091111998269
8
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/molnupiravir-lagevrio-di-
merck-e.html
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/via-libera-temporanea-
agli-antivirali.html
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/tra-usa-ed-italia-regali-
di-natale.html
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/pfizer-avvia-lo-studio-di-
fase-iiiii.html

NOTA BENE: PAXLOVID NON RAPPRESENTA UN’ALTERNATIVA AL


VACCINO.
Capitolo 33

COME LA STRUTTURA
CHIMICA DEGLI ALLUCINOGENI
PUO’ SPIANARE LA VIA PER LO
SVILUPPO DI NUOVI FARMACI
ANTIDEPRESSIVI

MACBETH:
Guariscila di questo.
Non sai somministrare nulla a una mente inferma, strappare dalla
memoria un dolore che vi si è radicato, cancellare le scritte
angosciose dal cervello,
e con qualche dolce oblioso antidoto
liberare il petto ingombro
dalla materia pericolosa che pesa sul cuore?
La depressione è una malattia comune, che rappresenta nel mondo
un problema sociale, caratterizzata da un umore ansioso con un
corredo variabile di sintomi, e che l’OMS stimò diventare la 2° causa
di disabilità entro il 2020. Statisticamente 1 donna su 4 ed 1 uomo su
10, può sviluppare questa patologia nell’arco della propria vita. Già
nel 2016, solo negli USA, approssimativamente il 6-7% dei lavoratori
a tempo pieno ne ha sofferto. Nel mondo, alcune molecole
ascrivibili alle principali classi di farmaci anti depressivisi si sono
classificate tra le 50 più dispensate nonché terze tra il numero totale
di prescrizioni e nella classifica delle vendite, pari ad un volume di
affari di circa 12,5 miliardi di $ che corrisponde a circa il 5% delle
vendite totali dei farmaci.
Dal punto di vista farmacologico, i farmaci impiegati per tale
patologia, si dividono, attualmente, in:

IMAO o inibitori delle monoamino ossidasi.

TCA o antidepressivi triciclici.

SSRI o inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina


.
SNRI o inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della
serotonina.

ANTIDREPRESSIVI ATIPICI
Nel corso degli anni la ricerca ha di molto migliorato la terapia e la
prognosi della depressione. Purtroppo però, il lungo tempo di
latenza prima di riscontrare l’effetto terapeutico, la presenza di
effetti collaterali non indifferenti e la resistenza indotta alla
resistenza alla terapia, rappresentano ancora, dal punto di vista
farmacologico un bel problema, e questo rappresenta il motivo per
cui si stanno esplorando altre ipotesi di meccanismi biologici.
Vediamo dunque che cosa si sta prospettando in questo senso.
L’individuazione e la comprensione della forma a cristalli e della
relativa disposizione delle molecole che costituiscono alcuni
composti psicoattivi capaci di legarsi ad un recettore “chiave” della
serotonina, grazie alla diffrazione dei raggi x, sono di fondamentale
importanza in ambito chimico farmaceutico dal momento che,
caratterizzandone alcune proprietà fondamentali come la solubilità,
la stabilità, il processo di dissoluzione, (ossia quando un composto
dalla forma particellare passa alla forma ionica o molecolare), la
biodisponibilità e la capacità di poterli presentare sotto forma, per
esempio, di compressa grazie ad una ben determinata pressione di
“compattazione”, suggeriscono strategie di progettazione per
terapie non allucinogene.
Questo recettore “chiave” della serotonina (5-idrossitriptamina o 5-
HT) è identificato come 5-HT2A ed i ricercatori lo stanno indagando
da tempo nel tentativo di comprenderne alcuni “segreti”. Uno tra
tutti, capire come mai quando alcuni composti allucinogeni, tra cui
LSD e psilocibina ad esempio, legandosi a questo recettore del
nostro sistema nervoso centrale causano profonde alterazioni della
coscienza, delle emozioni e della cognizione ( allucinazioni ), la
stessa cosa non si realizza quando ciò avviene con altri composti,
serotonina inclusa.

Effettivamente, nel corso degli anni è stato dimostrato che l'LSD o


la psilocibina, ad esempio, sono in grado di trattare sia la
depressione
(https://www.statnews.com/2021/11/09/largest-psilocybin-trial-finds-
psychedelic-effective-treating-serious-depression/) sia i disturbi
legati all’abuso di sostanze quali alcol o nicotina (https://www- ncbi-
nlm-nih-gov.translate.goog/pmc/articles/PMC4813425/?
_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc), ma purtroppo
causano effetti allucinogeni, che ne ostacolano ovviamente
l’impiego.
Per questo motivo gli studi più avanzati dei ricercatori si stanno
concentrando nell’individuazione di molecole in grado di
mantenere la capacità di agire sulla variabilità dell’umore, senza
causare allucinazioni.
In questo studio pubblicato sulla rivista Science
(https://www.science.org/doi/10.1126/science.abl8615) un team
guidato dal Dr Sheng Wang presso il Center for Excellence in
Molecular Cell Science - Shanghai Institute of Biochemistry and Cell
Biology, dell'Accademia Cinese delle Scienze ed il Dr Jianjun Cheng
dell’ Human Institute, della ShanghaiTech University ha presentato
una “scoperta” che potrebbe accelerare la formulazione di analoghi
psicoattivi privi di attività allucinogena, basandosi per la prima volta
su una strategia che prevede la progettazione di strutture
innovative per la formulazione di nuovi composti antidepressivi ad
azione rapida.
La base di partenza di questo studio è stato quello di visualizzare
strutture rappresentate dal legame tra il recettore 5- HT2A con
molecole quali la psilocina (il metabolita attivo della psilocibina), la
dietilamide dell'acido D-lisergico (LSD), la serotonina e l’lisuride, un
agente non allucinogeno impiegato nel trattamento del morbo di
Parkinson.

Più in particolare gli scienziati hanno iniziato il loro studio


esaminando più da vicino gli allucinogeni nel tentativo di
individuare i meccanismi in grado di dare sollievo a chi soffre di
depressione e, parallelamente, per verificare se gli effetti
allucinogeni di queste sostanze costituiscono un effetto
imprescindibile per la piena efficacia terapeutica di tale
trattamento.
Nell’ambito di questa ricerca, gli Autori hanno esaminato da vicino
l’LSD e la psilocibina quando si legano al recettore 5-HT2A
utilizzando la cristallografia a raggi X e sono stati in grado di
determinarne le conformazioni. Ciò che è apparso subito evidente è
che entrambe le molecole sarebbero state in grado di legarsi al
recettore 5-HT2A in due modi, sfruttando due diversi siti di legame
chiamati in gergo anche “tasche” presenti sul recettore chiamati
rispettivamente OBP (tasca di legame ortosterico) ed EBP (tasca di
legame estesa) generando con entrambe le modalità, un’unica
conformazione molecolare.

Seguendo questa linea i ricercatori si sono concentrati sul tentativo


di sviluppare composti sfruttando l’interazione con il recettore 5-
HT2A, evitando però un legame all’interno di una “tasca” idrofobica
(perché una tale interazione avrebbe potuto stimolare l’insorgere di
allucinazioni) ed utilizzando la seconda tipologia di legame (quella
con l’EBP per intenderci), capace di dar vita ad un’unica, nuova,
conformazione molecolare.

Riuscendo a visualizzare le differenze nel modo in cui tutte queste


molecole si riescono a legare, i ricercatori hanno quindi progettato
diversi composti ipotizzando che sarebbero stati in grado di
interagire con il recettore 5-HT2A senza indurre allucinazioni e tra
questi, in particolare, due sostanze a cui George Lucas non avrebbe
saputo proporre due nomi più originali: IHCH-7079 e IHCH-7086.

I ricercatori hanno somministrato questi due composti ad uno di


due gruppi di topi seguendo un classico modello animale ( al
secondo gruppo sono state somministrate sostanze come LSD o
psilocina) e per verificare quali dei due gruppi sviluppasse
allucinazioni, si sono affidati al Twitch Test.
Ora, per questioni facilmente intuibili, evito di approfondire ulteriori
particolari circa la metodica piuttosto complessa di questa
sperimentazione, riassumendo in conclusione che i ricercatori
hanno rilevato che la somministrazione di questi due composti, se
da un lato ha mostrato di poter alleviare alcuni sintomi legati alla
depressione, dall’altro non ha mostrato segni che potessero indicare
la comparsa di effetti allucinatori. Gli autori in un'e-mail a
Technology Networks hanno affermato: “Questi risultati forniscono
una solida base per la progettazione basata sulla struttura di
antidepressivi non allucinogeni e ad azione rapida sicuri ed efficaci"

In ogni caso, nonostante questi risultati iniziali possano indurre a


pensare di essere molto prossimi a rendere i farmaci con spiccata
attività allucinatoria più flessibili ed efficaci, i ricercatori sono stati
necessariamente cauti riguardo al loro studio, ancora in una fase
troppo precoce. Come hanno avuto modo di chiarire: "Va
sottolineato che i composti riportati in questo studio non sono
farmaci approvati, anzi, devono ancora essere assolutamente
ottimizzati, dal momento che la dose minima efficace nei topi è
ancora troppo alta. Pertanto saranno necessari ulteriori studi pre-
clinici e clinici per verificarne la sicurezza e gli effetti antidepressivi
nell'uomo”.

Ciò non toglie che la strada intrapresa, sia molto promettente e


probabilmente quella giusta, ma questo lo vedremo presto in un
non lontano futuro.
Capitolo 34

LE DIVISIONI INVISIBILI
DELL’EUROPA ALL’EPOCA
DELLA
COVID

Secondo i risultati contenuti nel rapporto ECFR (European Council


on Foreign Relations ), “Europe's Invisible Divisions: How Covid-19 is
Polarizing European Politics" scritto e pubblicato ad inizio
Settembre 2021 dagli esperti di politica estera Ivan Krastev e Mark
Leonard, diciotto mesi dopo lo scoppio della COVID-19 in Europa, si
possono raccontare le storie di DUE pandemie “diverse” all’interno
dell’Unione.
Questo rapporto si basa su molteplici sondaggi, che a mio modo di
vedere sarebbe almeno utile leggere indipendentemente dallo
spirito di condivisione o meno, condotti all’interno di 12 Stati
membri dell'UE (complessivamente rappresentanti 300 milioni di
cittadini e l'80% del PIL dell'Unione Europea). Da un lato la maggior
parte degli europei del Sud e dell’Est ritiene o almeno ha percepito
come il virus abbia prodotto gravi danni, quali un innumerevole
numero di malati, lutti ed ingenti difficoltà economiche. Dall’altro,
all’interno dei confini dell’Europa Occidentale e Settentrionale si
manifesta esattamente il contrario sia pure con la maggior parte gli
intervistati che descrivono come la pandemia rappresenti un evento
decisamente terribile.
Tanto per portare un esempio, in Ungheria, il 65% degli intervistati
nel sondaggio ECFR ha affermato di aver subito pesanti
ripercussioni personali a causa del virus, rispetto al 72% dei danesi,
che ha affermato, al contrario, come la pandemia non li abbia affatto
colpiti e con una Francia in cui il 64% dei cittadini afferma che il
virus non ha avuto alcun impatto su di loro.
Le motivazioni alla base di queste evidenti dicotomie, (culturali,
politiche, geografiche, generazionali ecc ), dimostrano come i
diversi Paesi non siano riusciti a gestire la pandemia in modo
univoco ed efficace. La conseguenza è stata l’alternanza di periodi
in cui si sono applicati i consigli suggeriti delle comunità
scientifiche, a cui si sono contrapposti periodi durante i quali i timori
legati ad ingenti perdite in ambito economico hanno di fatto reso
inapplicabili approcci decisamente più rigorosi per il contenimento
della diffusione del virus.
Del resto, man mano che l’andamento della pandemia è andato
migliorando, come ora, giustamente, la scienza, ha da subito
invocato un passo indietro rispetto a quanto viene richiesto alla
politica ed alle sue decisioni.
E tanto per essere realisti ( e meno ipocriti ), è impossibile non
notare come questa terribile emergenza sanitaria vissuta
dall’Europa, non abbia fatto altro che riproporre il cliché già visto
con l’adozione dell’euro e la gestione della crisi dei rifugiati, con una
Europa del Sud e dell’Est che palesemente si è sempre dichiarata
gravemente colpita e compromessa rispetto a quella del Nord e
dell’Ovest.

Questo sondaggio ha esplicitato anche un'altra divisione all’interno


dell’Unione, rispetto al rapporto tra Stato e concetto di libertà
individuale con un solo 22% degli europei che affermava di sentirsi
"libero", rispetto al 64% di due anni prima.

Ecco il link ove poter leggere l’intero rapporto:


https://ecfr.eu/publication/europes-invisible-divides-how-covid-19-is-
polarising-european-politics/
Capitolo 35

CHERNOBYL, I RUSSI
CONTROLLANO LA
CENTRALE NUCLEARE MA
PER GLI ESPERTI CIO’
NON RAPPRESENTA UN
PROBLEMA

L'invasione russa dell'Ucraina ha fatto si che le truppe


raggiungessero anche Chernobyl, il luogo in cui si verificò il peggior
incidente nucleare al mondo. Ciò ha causato preoccupazioni e
dubbi sullo stato del sito e su eventuali rischi connessi. Ma
procediamo con ordine:
Cosa è successo a Chernobyl nel 1986? Al momento dell'incidente, a
Chernobyl era ubicato il sito di una centrale elettrica sovietica con
quattro reattori nucleari attivi di cui due in costruzione. Il 26 aprile di
quell'anno, gli operatori impegnati nell’esecuzione di un test,
persero il controllo del reattore numero Quattro da cui si sviluppò
un incendio che distrusse l’edificio. Il conseguente aumento della
pressione causato dall’accumulo di vapore determinò l'esplosione
del nucleo con conseguente diffusione di materiale radioattivo
nell'aria. Successivamente si registrò il surriscaldamento e
l’infiltrazione del combustibile all'uranio. Il risultato finale fu che
cospicue quantità di iodio radioattivo, cesio, stronzio e plutonio, così
come altri isotopi prodotti durante la fissione nucleare, si sparsero
su un'area di circa 150.000 km2. In quella terribile occasione persero
la vita nell'esplosione iniziale 2 lavoratori mentre 28 soccorritori
morirono nei tre mesi successivi a causa delle radiazioni.
Collateralmente, cinquantamila residenti furono evacuati dalla
vicina città di Pripyat e, fatto ancor più grave, almeno 1.800 bambini
residenti nell'area interessata, svilupparono un cancro alla tiroide.
Come già scritto, gli isotopi radioattivi più pericolosi che vennero
rilasciati a seguito dell’incidente furono lo iodio-131, lo stronzio-90 ed
il cesio-137. Lo iodio-131 è caratterizzato da una “Half-Life”, ossia il
tempo di dimezzamento pari al tempo occorrente per ridurre alla
metà la quantità di un isotopo radioattivo, di circa solo 8 giorni. Può
produrre rapidamente alti livelli di radiazioni in grado di causare il
cancro, specialmente a livello tiroideo. La struttura chimica dello
stronzio-90, invece, gli consente di sostituirsi facilmente al Calcio e
quindi di di essere assimilato da denti e da ossa, ma la sua Half-Life
è di ben 29 anni. Il cesio-137 infine, con un tempo di dimezzamento
di 30 anni, oltre ad essere uno dei prodotti secondari più comuni
della fissione, risulta essere altamente radioattivo, chimicamente
reattivo, solubile e talmente leggero da favorire la contaminazione
anche a grandi distanze.
Analizziamo ora come si presenta il sito oggi. Nelle settimane
successive all'incidente, l'edificio che ospita il reattore e che
presenta ancora materiale combustibile altamente radioattivo,
venne “sigillato” all’interno di una struttura di cemento e acciaio
chiamata “il sarcofago”. E’ abbastanza ovvio che, con il passare degli
anni, tale struttura abbia iniziato a manifestare i primi segni di
deterioramento.

Per far fronte a questa problematica venne costruita, a copertura


della precedente protezione, una seconda struttura che fu
completata nel 2019, progettata per far fronte ad eventi quali
tornado e terremoti. In un'altra struttura del sito invece, venne
raccolto il combustibile rimasto dopo l’esplosione. Questo è tuttora
conservato nell'acqua sia per mantenere il raffreddamento sia per
garantire una adeguata schermatura dalle radiazioni. Lo scorso
anno si diede il via ad un processo per cui, una volta che il
carburante viene sufficientemente raffreddato, questi viene
trasferito in un deposito a secco in quella che viene definita come
zona di esclusione.

Uno studio del 2009 condotto dai ricercatori del Savannah River
National Laboratory rilevò che il livello di contaminazione nell'area
interessata non sembrava diminuire così velocemente come si era
inizialmente previsto. I ricercatori hanno comunque costantemente
condotto una lunga serie di studi ambientali e biologici, grazie ai
quali, negli anni, una parte dell’area è anche stata, sia pure
limitatamente, riaperta al turismo, mentre alcuni residenti sono
rientrati nelle proprie abitazioni.
E veniamo a cosa sta accadendo in questi terribili giorni. Chernobyl
si trova tra la capitale ucraina di Kiev e il confine con la Bielorussia e
sebbene l'Ucraina avesse di stanza forze di sicurezza nell'area, onde
controllare la situazione, ciò non è bastato per respingere le forze
speciali e le truppe aviotrasportate inviate dalla Russia.
Il governo ucraino ha affermato che il monitoraggio della
radioattività nell'area, ha rilevato un aumento dei livelli di radiazioni
dopo l'attacco su Chernobyl. SAFECAST, un’organizzazione
internazionale, senza scopo di lucro per il monitoraggio dei dati
ambientali, ha scritto su Twitter
(https://twitter.com/safecast/status/1497215329767870470 $) che la
spiegazione più probabile fosse quella legata ad un massiccio
sollevamento di polvere radioattiva sul terreno da parte delle truppe
militari russe durante il loro spostamento.
Inoltre, sempre secondo SAFECAST, le apparecchiature di
monitoraggio hanno avuto problemi di connessione, e
successivamente le letture fornite dai sensori sono rientrate molto
rapidamente nell’ambito della normalità. Per tali ragioni gli esperti
interpellati hanno dichiarato che il picco registrato potrebbe essere
stato causato proprio da un malfunzionamento dei sensori di
rilevamento.
A tale proposito, Claire Corkhill, professoressa della Sheffield
University ed esperta di materiale nucleare nel Regno Unito, ha
dichiarato su Twitter
(https://twitter.com/clairecorkhill/status/1497159634188132352 ) che,
sebbene i picchi fossero fino a 20 volte oltre la norma, in termini
relativi risultavano comunque "non particolarmente elevati”. Per
rendere meglio l’idea, basti sapere che nei pressi del reattore di
solito si registra una dose di 3 microsievert all’ora (μSv/h); questo
valore è salito sino a 65, ossia “solo” 5 volte di più dei valori che si
osservano per un normale volo transatlantico (13 μSv/h).
Concludo, sulla base di queste informazioni, su quali potrebbero
essere i rischi connessi a questa azione militare. Steven Arndt,
esperto di ingegneria nucleare e presidente dell'American Nuclear
Society, ha dichiarato che è molto improbabile che la seconda
struttura edificata nel 2019, a copertura del “sarcofago”, possa essere
danneggiata accidentalmente: “Non sono eccessivamente
preoccupato che le radiazioni possano diffondersi a grandi distanze
a partire dalla zona di esclusione”.

Ha poi aggiunto che con ogni probabilità le truppe che entrano


nell'area sono state esaustivamente informate circa le precauzioni
da prendere, nonché adeguatamente equipaggiate per cui se
anche i movimenti delle truppe possono smuovere il terreno
contaminato, è altamente improbabile che questo fatto possa
contribuire a diffondere le radiazioni a ragguardevoli distanze. Kate
Brown, una storica del Massachusetts Institute of Technology che
ha studiato ciò che avvenne a Chernobyl, riporta di aver parlato con
un'amica che lavorava nello stabilimento e che vive nelle vicinanze,
la quale ha assicurato che le misure di sicurezza implementate nella
ricostruzione della struttura sono in grado di sopperire ai danni
causati da un eventuale scontro a fuoco.

Di seguito riporto l’articolo relativo alle reazioni delle scienziati


all’invasione russa dell’Ucraina:

https://cen.acs.org/people/Scientists-react-Russian-invasion-
Ukraine/100/web/2022/02
Capitolo 36

LA SVOLTA GREEN
DELL’INDUSTRIA
MARITTIMA

Il trasporto di merci via mare è una delle cause principali del


significativo incremento delle emissioni globali di carbonio.
Prendendo spunto, allusivamente, da quel motivetto che tanto
ingenuamente fu caro all’esercito francese “Un quart d’heure avant
sa mort Il était encore en vieche”, non ho difficoltà alcuna nello
scrivere che l'impatto sul clima da parte del trasporto marittimo
potrebbe essere drasticamente ridotto grazie al passaggio dai
tradizionali combustibili a base di petrolio a combustibili alternativi
a basse emissioni di carbonio.
All’incirca centomila navi di grandi dimensioni solcano ogni giorno
gli oceani del mondo, trasportando l'80-90% dell’intero asset
commerciale internazionale. La maggior parte di queste navi è
azionata da motori che bruciano olio combustibile pesante (HFO),
un prodotto di scarto della raffinazione del greggio. La combustione
di questo carburante rilascia tonnellate di particolato e rappresenta
circa il 3% delle emissioni globali di gas serra. Le grandi
organizzazioni multinazionali mirano a ridurre del 50% le emissioni
prodotte dai trasporti marittimi nei prossimi anni, ma il percorso per
decarbonizzare il trasporto marittimo (il processo di riduzione del
rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti energetiche - un processo
volto a ridurre la quantità di anidride carbonica (C02) nell'atmosfera
- che può risultare molto dannosa quando supera un determinato
livello di concentrazione) non è chiaro. Gli esperti stanno valutando
vari metodi per “filtrare” le emissioni delle navi e stanno anche
prendendo in considerazione combustibili alternativi, tra cui gas
naturale liquefatto, idrogeno, ammoniaca e metanolo. Come spesso
accade però tutti presentano vantaggi e svantaggi in termini di
emissioni, sicurezza, fattibilità e costi. Vediamo più in dettaglio
questo aspetto.

Gas naturale liquefatto (LNG): è il primo della lista tra i combustibili


non tradizionali attualmente utilizzati dalle navi commerciali,
comprese alcune grandi navi porta- container. Il numero di navi
alimentate a LNG è costantemente aumentato nell'ultimo decennio
passando da alcune decine ad alcune centinaia. L’ LNG è una
miscela di idrocarburi costituita prevalentementeda metano (90-
99%). Altri componenti secondari sono l'etano, il propano ed il
butano. I produttori lo ottengono sottoponendo il gas naturale, a un
processo di liquefazione a una temperatura di circa - 162 °C che
consente la riduzione del volume del gas di circa 600 volte in modo
che possa essere conservato in contenitori non pressurizzati.
Sono almeno due le motivazioni che renderebbero l’LNG migliore
rispetto all'HFO. la prima è che il passaggio da HFO ad LNG
potrebbe ridurre le emissioni di sostanze acidificanti quali l’ossido di
zolfo (SOx) del 99%, l’ossido di azoto (NOx) dell'80% e le emissioni di
CO2 fino al 20%. La seconda è il dato di fatto che l’LNG produce
anche relativamente poco particolato. Dall’altro canto uno
svantaggio importante dell’LNG è che è costituito principalmente
da metano, che ha, secondo alcune stime, un potenziale di
riscaldamento globale molto più elevato della CO2, (86 volte >). Per
questo motivo, anche piccole perdite di gas durante la produzione, il
rifornimento o l’impiego, potrebbero comportare un aumento
relativo delle emissioni di gas serra.

A tutto ciò si sommano anche altri svantaggi, quali il grande


investimento di capitale richiesto per produrre motori compatibili
per il suo utilizzo, nuovi serbatoi di carburante e nuove infrastrutture
per far fronte a quello che in gergo viene definito bunkeraggio,
ossia il rifornimento a mezzo di motocisterne del combustibile
necessario alla propulsione ed ai consumi di bordo delle navi.

Metanolo: in uno studio, Joanne Ellis e Martin Svanberg della SSPA


Sweden, un centro che offre un'ampia gamma di servizi marittimi,
tra cui la progettazione navale, l'ottimizzazione energetica, la
conduzione di studi sulle infrastrutture marittime insieme alle
valutazioni del rischio ambientale e dei criteri di sicurezza, insieme
ai colleghi della Luleå University of Technology, hanno indicato il
metanolo rinnovabile come carburante alternativo

(https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S136403211830
4945?via%3Dihub)
Il metanolo si ottiene utilizzando la CO2 catturata da fonti
rinnovabili e l’idrogeno verde, cioè l’idrogeno prodotto con elettricità
rinnovabile ma può anche essere prodotto a partire dalla biomassa.
Le principali potenziali materie prime sostenibili da biomassa
includono: rifiuti e sottoprodotti forestali e agricoli, biogas dalle
discariche, acque reflue, rifiuti solidi urbani e black liquor
dall’industria della pasta di legno e della carta e scarti
dell’allevamento e del pollame.

Ellis suggerisce come il passaggio al metanolo potrebbe ridurre le


emissioni e ridurre significativamente l’impatto ambientale e
questo anche in virtù del fatto che Il metanolo offre alcuni vantaggi
rispetto ad altri combustibili alternativi. Per esempio trattandosi di
un liquido che viene immagazzinato, trasportato e utilizzato a
temperatura ambiente, risulta più facilmente utilizzabile. Anche per
il metanolo, comunque, sono da mettere in conto notevoli
investimenti finanziari.

Idrogeno: questo è spesso pubblicizzato come un combustibile


pulito perché l'acqua è il suo unico prodotto di combustione.
Tuttavia, il modo in cui viene prodotto il carburante, influisce
notevolmente sulla sua ecocompatibilità. Selma Atilhan e
Mahmoud M. El-Halwagi della Texas A&M University hanno studiato
l’impiego dell'idrogeno come carburante per le spedizioni,
valutando l'impatto ambientale del carburante in funzione di come
questo viene prodotto. Il team in questione ha classificato l'idrogeno
in tre modi:
L’idrogeno grigio che viene prodotto a partire da fonti energetiche
fossili, principalmente attraverso il cosiddetto steam reforming
(reazione di reforming con vapore).
In questo caso l’idrogeno è ricavato dal gas naturale o dalla
gassificazione del carbone e attraverso un processo di conversione
termochimica che però produce anche CO2. Qualitativamente è il
peggiore ma quantitativamente rappresenta circa il 95%
dell’idrogeno prodotto a livello mondiale.

L’idrogeno blu che, almeno nella prima fase, si ottiene con un


processo analogo a quello dell’idrogeno grigio, è ricavato da fonti
fossili tramite pirolisi; anche qui si produce CO2, che però viene
catturata e stoccata nel sottosuolo oppure trasformata come
materia prima. La definizione “blu” indica che questo tipo di
idrogeno sia più rispettoso del clima, grazie all’assenza di emissioni
dannose. Si parla di una de- carbonizzazione al 90%, ma come
vedremo subito dopo si può fare di meglio.

L’idrogeno verde che invece è prodotto a partire da un processo


chiamato elettrolisi ad alta temperatura in cui le molecole d’acqua
ricevono energia (derivante da fonti rinnovabili come fotovoltaico o
eolico) che spezza i legami ottenendo idrogeno e ossigeno. Come
nello steam reforming, il metano serve come materiale di base ma
la sua pirolisi non produce anidride carbonica come sottoprodotto
oltre all’idrogeno, bensì carbonio solido. Questo tipo di Idrogeno è
classificato come il più pulito che perché completamente de-
carbonizzato dal momento che per la sua produzione non viene
immessa alcuna quantità CO2 nell’atmosfera.

L'analisi ha portato i ricercatori del Texas A&M a concludere che


l'idrogeno liquido è la scelta migliore per ridurre sostanzialmente le
emissioni di carbonio, ma il carburante deve essere ecologico.
Celle a Combustibile: a Southampton, Turnock ed i colleghi Charles
J. McKinlay e Dominic A. Hudson, ingegneri marittimi, hanno
condotto un'analisi dettagliata sull’ idrogeno, l’ammoniaca, il
metanolo e altri combustibili. Il team ha scoperto che, sebbene
questi composti possano essere bruciati nei comuni motori a
combustione interna, il loro impiego nelle celle a combustibile
sarebbe in grado di produrre una maggiore quantità di energia e di
fornirebbe il potenziale per generare elettricità senza emissioni.

La domanda che sorge dunque spontanea è se le celle a


combustibile potrebbero essere impiegate per alimentare, ad
esempio, una grande nave porta-container. Thomas T. Petersen, un
manager della Ballard Power Systems Europe, un importante
produttore di celle a combustibile, risponde in questo modo: “Il
problema non è la tecnologia, ma l'infrastruttura di
approvvigionamento. Ci vorrà ancora del tempo prima che si sia in
grado di produrne una quantità sufficiente per rifornire una grande
nave porta-container”. Ricordo inoltre che l'utilizzo delle celle a
combustibile richiede navi con sistemi di propulsione elettrica e che
queste sono assolutamente meno comuni rispetto alle navi con
motore a combustione interna. La maggior parte delle navi a
propulsione elettrica, ricavano la propria energia da batterie agli ioni
di litio, che, a causa delle loro dimensioni, peso ed esigenze di
ricarica parrebbero non essere adatte per spedizioni a lunga
distanza. Quanto ai combustibili utilizzabili con le celle a
combustibile, l'ammoniaca presenta alcuni vantaggi: è un materiale
privo di carbonio, può essere comodamente conservato e utilizzato
come liquido in condizioni miti e soprattutto non è infiammabile.
Ma come sottolinea McKinlay nella sua analisi, l'ammoniaca non è
propriamente innocua. D fatti può dar vita a NOx e particolato che
notoriamente è altamente tossico e corrosivo.
Lo studio svolto a Southampton ha anche evidenziato che
nonostante si pensi che immagazzinare quantità sufficienti di
Idrogeno come carburante a bordo delle navi occuperebbe troppo
spazio, a svantaggio del carico, questa invece potrebbe essere una
opzione assolutamente praticabile. Con questa osservazione, lo
studio conclude che l'idrogeno rappresenti il candidato da preferirsi
tra i vari combustibili, per supportare il trasporto marittimo futuro
su larga scala ed a emissioni zero.

(https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S03603199210
22175?via%3Dihub ).
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S036031992102
2175?via%3Dihub
Capitolo 37

FISCHI PER
FIASCHI

Per l’ennesima volta sembrerebbe proprio che in quanto ad


allarmismi Covid- dipendenti, non ci si sia lasciata sfuggire un’altra
buona occasione per “prendere fischi per fiaschi”. Eric Topol (uno
dei primi 10 ricercatori più citati in ambito medico, nonche’
Professore di Medicina molecolare e vicepresidente esecutivo di
Scripps Research - La Jolla in California) afferma nell’articolo
pubblicato su Nature:
https://www.nature.com/articles/d41586-022-00558-w?
utm_source=Nature%20Briefing&utm_campaign=ba9503ec4f-
briefing-dy-
20220301&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-
ba9503ec4f-
44112225&fbclid=IwAR1y_iNSeyNPzaM_LlbDJICjQtBPngQxvB5WfdM
NGDnpiUgd639zMWmcR2o - Had Omicron? You're unlikely to catch
its rising variant, come le evidenze indichino che si può restare
tranquilli.

“ Instead of thinking that [BA.2] is the new bad variant, I think we


can put that aside. I see it as not a worry,”tradotto “Invece di pensare
che [BA.2] rappresenti una nuova variante dagli effetti allarmanti,
ritengo che tale eventualità possa essere accantonata. Insomma
non sono preoccupato”.

Nell’ambito del medesimo articolo, Troels Lillebaek, un


epidemiologo molecolare che lavora presso lo State Serum Institute
di Copenaghen aggiunge inoltre che in base alle osservazioni
disponibili, si può far conto su una ulteriore buona notizia: i vaccini
conferiscono una buona protezione anche contro Omicron, incluso
la BA.2. Per cui, Aloha “nuova pandemia”.
Capitolo 38

FRAMMENTI DI “VITA”
REALE SENZA LA
PRESUNZIONE DI “VOLER
CAMBIARE LA STORIA
PER MIGLIORARE IL
PRESENTE”

Il film “Bastardi senza gloria”, mi insegnò come molte volte la Storia


non piaccia, e che, grazie ad una abile regia, si può proporre un
modo in cui alcuni eventi avrebbero potuto andare diversamente,
magari sovvertendo il finale ( lo aveva già scritto anche Nietzsche
del resto ). In questo caso la Storia è ancora tutta da scrivere, ma la
genesi no, e ciascuno la legge come gli pare, esaltando od
omettendo gli aspetti più ripugnanti. (purtroppo, al contrario del
film, non potendo modificare gli accadimenti).
A beneficio di chi, in stile ciclostile, dispensa commenti che
trasudano un incomprensibile astio, stizza, arroganza farciti da una
presunzione tipica del più egocentrico narcisista convinto
sostenitore del proprio status, dove per status leggasi “In principio
era il Verbo, e il Verbo era presso di lui e il Verbo era lui”, riporto qui
situazioni, esperienze di vita reale, verificabili, su alcune dinamiche
in essere e su cui magari riflettere, senza velleità di suggerire come
migliorare il presente e senza avventurarmi in alcun tipo di analisi
geopolitiche sulle cause, pro/contro che siano, vista la complessità
della narrazione storica, riguardante anche il versante Occidentale.
Una buona occasione, insomma, per ribadire, ancora una volta, no
grazie! Nessun commento, nessuna analisi in merito, il clima mi
sembra già cosi sufficientemente “caldo” e “schierato”.

Da quando le forze russe hanno invaso l'Ucraina il 24 febbraio, si è


subito registrata da parte della comunità scientifica, un'ondata di
preoccupazione per i residenti in Ucraina. Molti ricercatori residenti
all’estero, ma con stretti legami con l'Ucraina, come la dottoranda
della Keele University Valentyna Slyusarchuk, non ha avuto remore
nel “confessare” di essersi buttata a capofitto nel lavoro, nel
tentativo di allontanare inevitabili pesanti pensieri di morte.
Prendere il primo autobus disponibile al mattino per recarsi al
lavoro, rientrando a casa il più tardi possibile, le ha permesso, per
quanto possibile, di avere un qualche cosa su cui concentrarsi.
Contestualmente, Donna Huryn dell'Università di Pittsburgh, che in
Ucraina ha tutta la famiglia, in una intervista ha dichiarato: “Gli
ucraini sono molto orgogliosi della loro eredità ed identità”. Sono
riusciti a conservare la loro cultura e religione, nonostante siano
stati sotto il dominio sovietico per così tanti anni ed ascoltare
persone affermare che l'Ucraina non è un Paese è irritante".
In ogni caso la comunità scientifica ha immediatamente offerto
finanziamenti per la ricerca, aree per i laboratori ed alloggi ai
ricercatori fuggiti dall'Ucraina. No! Non si tratta, delle solite parole di
circostanza, figlie di quelle che vengono considerate le false
comunicazioni della propaganda Occidentale. E per gli scettici di
professione, indico che queste risorse sono raccolte in fogli di
calcolo online:
(https://docs.google.com/spreadsheets/d/1HqTKukfJGpmowQnSh4C
oFn3T6HXcNS1T1pK-Xx9CknQ/edit#gid=320641758) e su una mappa
sul sito Web di Science for Ukraine (https://scienceforukraine.eu).

Enamine è una delle numerose aziende con sede a Kiev, “colpite”


dal conflitto, impegnata nella sintesi di prodotti chimici di base
come insiemi (vaste librerie) e nello screening di tali librerie per
singoli composti a beneficio dei produttori di farmaci di tutto il
mondo. Più recentemente (2020) è entrata a far parte integrante nel
progetto COVID Moonshot, un consorzio senza scopo di lucro aperto
agli scienziati di tutto il mondo con l’obiettivo di sviluppare un
farmaco antivirale orale non brevettato per il trattamento della
SARS-CoV-2. Società di questo tipo hanno iniziato a fiorire in Ucraina
e Russia dopo la caduta dell'Unione Sovietica, quando i chimici che
lavoravano per lo Stato sono stati praticamente costretti a rivolgersi
al settore privato, per trovare nuove opportunità di lavoro e di
ricerca. Ebbene, Ed Griffen, co-fondatore della MedChemica con
sede nel Regno Unito nonché team leader del progetto COVID
Moonshot, aveva concordato una possibile visita alla Enamine a Kiev
e in un'e-mail ha dichiarato come l’azienda fosse stata sempre
puntuale nel portare a termine i vari progetti intrapresi.
“Ovviamente siamo tutti estremamente preoccupati per i nostri
partners a Kiev ma li sosterremo in ogni modo, così come loro
hanno sempre sostenuto ed aiutato noi”.
Dal 28 febbraio, C&EN (Chemical & Engineering News, un periodico
settimanale a pagamento pubblicato dalla ACS, che propone
informazioni tecniche e professionali nel campo della chimica e
dell'ingegneria chimica), ha mantenuto, attraverso l’utilizzo di tutte
le piattaforme possibili e disponibili, strettissimi rapporti con Ivan
Kondratov, Principal Scientist Medicinal Chemistry di Enamine.
Kondratov, pur continuando a svolgere le proprie mansioni
lavorative non ha lesinato di fornire informazioni. Lui e la sua
famiglia, quando sono iniziati gli attacchi russi, si trovavano
nell'Ucraina Occidentale, e ciò gli ha permesso, finora, di sfuggire al
peggio. Kondratov continua a coordinare i vari progetti cercando di
garantire anche la sicurezza dei propri colleghi, pur trovandosi ad
una certa distanza. Egli ha dichiarato che: È impossibile fare
qualcosa quando sai che l'allarme antiaereo può suonare in
qualsiasi momento. Ovviamente la priorità è garantire la sicurezza,
pertanto tutti i solventi e i materiali infiammabili sono stati nascosti
o rimossi”.

Un'altra società chimico-farmaceutica che ha subito forti


ripercussioni è stata la Life Chemicals. Quando la Russia ha invaso
l’Ucraina, l’azienda che attualmente conta su 120 effettivi, la metà
dei quali chimici, ha chiuso sia gli uffici che il sito di produzione a
Kiev, nella speranza di riaprire il 28 febbraio. Ma come sottolineato
da Vasily Pinchuk, vicepresidente vendite e marketing dell'azienda,
ucraino di nascita ma con residenza in Canada: "Non è ciò che
avvenuto, ed in questo momento è molto difficile dire quando ciò
accadrà. Fortunatamente stiamo ricevendo molto supporto dai
nostri clienti, che, come noi, sperano che le cose tornino alla
normalità il prima possibile”.
Sia Kondratov che Pinchuk, hanno altresì confermato come molti
dei loro dipendenti abbiano lasciato Kiev per rifugiarsi nelle
campagne limitrofe mentre altri si sono spostati nella parte
occidentale del Paese. Sebbene siano state imposte sanzioni
economiche alla Russia, sono molto forti le pressioni che chiedono
agli scienziati sovietici di porre fine anche alle collaborazioni con la
Russia. Molti leaders del settore biotecnologico si sono già
impegnati nel troncare qualsiasi attività economica con le imprese
russe (https://medium.com/@BusinessLeadersForUkraine/call-for-
business-leaders-to-economically-disengage-from- russian-
industry-5e0352f89f5a). -
(https://medium.com/@BusinessLeadersForUkraine/call-for-
business-leaders-to-economically-disengage-from-russian-
industry-5e0352f89f5a). Alinda Chemical, Aronis e InterBioScreen
Ltd. sono società con sede in Russia che, come Enamine e Life
Chemicals, forniscono ampio supporto all'industria farmaceutica.

C&EN ha tentato di chiedere a queste tre Società cosa ne


pensassero di un eventuale boicottaggio nei loro confronti, senza
tuttavia ottenere alcuna risposta. Idem contattando la ChemDiv e la
ChemBridge, due società di servizi farmaceutici con sede a San
Diego, attualmente impegnate in onerose operazioni di
collaborazione in Russia.
Attualmente, L'Alleanza delle Organizzazioni Scientifiche in
Germania ha interrotto tutte le collaborazioni con gli scienziati russi.
Una dichiarazione del 25 febbraio del gruppo ribadisce che
"L'Alleanza è consapevole delle conseguenze di queste misure ma
allo stesso tempo, in nome della scienza, le deplora profondamente"
(https://www.dfg.de/download/pdf/dfg_im_profil/allianz/220225_stat
ement_allianz_ukraine_en.pdf) -
(https://www.dfg.de/download/pdf/dfg_im_profil/allianz/220225_stat
ement_allianz_ukraine_en.pdf ).

Nulla di strano quindi se uno dei membri dell’Alleanza, il German


Academic Exchange Service (DAAD), abbia sospeso tutti i
finanziamenti atti a favorire gli interscambi accademici tra
Germania e Russia, pur dichiarando in una nota a firma di Joybrato
Mukherjee, che: "Sappiamo come questo provvedimento possa
creare anche ingiustizie, colpendo numerosi accademici e studenti
impegnati a favorire condizioni pacifiche e atti costituzionali, per
sviluppare relazioni di buon vicinato. Siamo consapevoli che molti
dei nostri amici russi e delle nostre istituzioni partner russe
respingono l’invasione dell’Ucraina dal profondo del loro cuore ma
allo stesso tempo, con lo spettro della guerra che incombe,
riteniamo indispensabile rivedere criticamente le modalità con cui
sviluppare le relazioni di scambio con la Russia”.

(https://www.daad.de/en/the-daad/communication-
publications/press/press_releases/einschraenkung-austausch-
russland/ ) - (https://www.daad.de/en/the-daad/communication-
publications/press/press_releases/einschraenkung-austausch-
russland/)

Ovviamente sia Kondratov di Enamine sia Pinchuk di Life Chemicals


sono favorevoli a tali azioni e sono fautori di una totale interruzione
di ogni contatto e collaborazione scientifica. Le parole di Kondratov
sono al riguardo piuttosto chiare: ” È davvero importante garantire
l'intero isolamento della Russia dal resto del mondo, aggiungendo
come l’intera comunità scientifica dovrebbe dimostrarsi solidale
contro la Russia”.
IMHO, sebbene diversi scienziati russi che collaborano con C&EN si
siano anche espressi per accettare tali iniziative, non si dovrebbe
dimenticare come queste costituiscano provvedimenti con una
visione a breve termine per la risoluzione del conflitto, mentre non si
dovrebbe dimenticare l’impatto che tali risoluzioni possono
determinare a lungo termine sull’intero comparto della scienza
russa ed in particolare modo sul futuro dei ricercatori più giovani.
Ma tant’è, pare proprio che il fiorire di sempre più numerosi social
serial weeper, favoriscano un accantonamento di una banalissima,
quanto auspicabile ragionevole visione d’insieme nel lungo periodo.
Insomma, nihil sub sole novum.

Ed ecco che ora, a giochi ormai fatti, le parole del chimico


dell'Università Statale di Mosca Alexei Khokhlov, non suonano
affatto stonate, ma come sempre, a molti non piacendo, meglio far
orecchie da mercante. “Proprio non riesco a capire come lo stop alle
collaborazioni scientifiche possa essere d’aiuto in una situazione
come quella attuale”. Certamente non sarà facile, ma, molto
lucidamente spiega anche quella che in futuro dovrà essere
necessariamente quella che lui definisce la sua missione. Aiutare gli
scienziati più giovani che non hanno maturato abbastanza
esperienza ad adattarsi ai cambiamenti in corso ed a incoraggiarli e
supportarli nel continuare una carriera scientifica di successo.
Possiamo dargli torto? Anche quando, pur essendo tutt’altro che
accecato dall’utopia, si impegna ad esercitare ogni sforzo possibile
per ripristinare le ormai compromesse collaborazioni scientifiche
internazionali.
Ma ritornando alla narrazione di quanto si stia facendo in questo
ambito, è utile ricordare In numerose lettere aperte, scienziati e
giornalisti scientifici in Russia e nella diaspora russa, invitino il Paese
a fermare l'invasione: “Chiediamo rispetto per la sovranità e
l'integrità territoriale dello stato ucraino. Chiediamo pace per i nostri
paesi”
(https://docs.google.com/document/d/16kHjs3nwWM4Qb_c0OAZbN
b6cH74cwaWDvuOzi7gzwXs/mobilebasic). -
https://docs.google.com/document/d/16kHjs3nwWM4Qb_c0OAZbN
b6cH74cwaWDvuOzi7gzwXs/mobilebasic

E qui terminano le dichiarazioni, le prese di posizione ufficiali, gli


auspici. Ad ognuno le proprie opinioni.
Capitolo 39

ACCOSTAMENTI
SEMISERI TRA LE
PASTIGLIE PER
LAVASTOVIGLIE ED I
MISCUGLI MISTERIOSI DI
H. POTTER ED HERMIONE

Una delle prime gatte da pelare in cucina, oltre che cucinare


(ovviamente) è: cosa utilizzo per lavare i piatti ottenendo un
decoroso risultato, senza compromettere la funzionalità della
lavastoviglie? Tradotto, ne ho fin sopra i capelli di suggerimenti che
ti dicono: Ahh!...se solo avesse usato...(e da qui in avanti l’elenco è
ampliabile a piacere), per poi dover metter mano al portafoglio. Di
detersivi per lavastoviglie se ne trovano ovunque, e di varia tipologia
pure. Ma, a quanto pare, lavare accuratamente le stoviglie può
diventare una cosa complicata. E quindi ho deciso di approfondire.
L’acqua che viene utilizzata dalla lavastoviglie contiene livelli
moderatamente elevati di calcio e magnesio, minerali in grado di
interferire con la capacità pulente dei vari detersivi, pregiudicando
quindi la performance dell’elettrodomestico con il risultato di
ritrovarsi, a volte, con piatti, bicchieri e posate opachi, macchiati se
non addirittura incrostati.
Googolando a manetta ho scoperto alcune casette interessanti. Per
esempio, al primo posto tra i cinque migliori detersivi per
lavastoviglie, vengono recensite le pastiglie Cascade Platinum
ActionPacs, prodotte dalla P&G (Procter & Gamble) ma in Italia,
almeno che io sappia, reperibili solo su Amazon (https://it.culture-
today.com/7922147-the-5-best-dishwasher-detergents-of-2019).

Ho allora chiesto lumi ad un collega che lavora oltre oceano, avvezzo


più per necessità che per virtù alle faccende domestiche e da lunga
data accanito fruitore dei detersivi per lavastoviglie a marchio
Cascade. Ebbene, senza nemmeno pensarci un secondo, non solo
mi ha confermato quanto avevo letto, ma mi ha anche caldamente
consigliato, nel caso avessi voluto utilizzare tale prodotto, di optare
in luogo della gamma Complete, a suo dire di media capacità
pulente, per, appunto, la più elaborata (e più costosa) versione
Platinum.

Analisi? Ed analisi è stata, anche se al tempo ignoravo che mi sarei


imbattuto in una sorta di “mistero” Le pastiglie di questo tipo di
detersivo, dette anche pods, sono costituite da ingredienti sia in
forma secca che liquida separati da una pellicola idrosolubile. Quelle
della gamma Platinum vantano rispetto a quelle della gamma
Complete, un maggiore potere pulente (il 50% in più) oltre ad
amalgamare ai vari ingredienti anche un misterioso liquido viola.
I test domestici ottenuti sempre dalla libreria della web sfera, mi
confermavano come le pastiglie Platinum avessero dimostrato
risultati migliori non solo pulendo efficacemente i piatti, ma anche
eliminando l'accumulo di sporco all'interno della lavastoviglie,
conditio sine qua non dell’intero impianto di questo articolo ameno.

Ma i conti non mi tornavano. Perché?...Semplicemente perché gli


ingredienti dei due prodotti sono praticamente identici. Quindi, che
cosa determina questo decantato aumento delle prestazioni? E qui
subentrano le famose “vie traverse”, grazie alle quali, pur
proponendo il quesito direttamente alla stessa Procter & Gamble, la
risposta non è mai stata soddisfatta.

Lungi dal farmi prendere da un irrisorio “scoramento”, l’analisi è


proseguita. L'ispezione, l’analisi e la riduzione in composti delle
pastiglie non hanno mostrato evidenti differenze. Ma...(ehehehe c’è
sempre un ma) una minuscola scritta sulla confezione mi ha rivelato
un indizio: la maggiore capacità pulente della versione Platinum,
rispetto alla più modesta versione Complete potrebbe essere
dovuta alla % di ingredienti impiegati, ma è qui che nascono le
curiosità. Infatti, ad una attenta analisi, le pastiglie della confezione
Cascade Platinum ActionPacs, pesano ciascuna, all’incirca 1g. in più
delle “cugine povere” Complete, ma il peso della componente
secca/solida è uguale. Questo potrebbe suggerire, ma restiamo
sempre nel campo dell’ipotesi, che la % in più del peso sia da
attribuirsi ad una maggiore quantità di componenti liquidi.
Rammentate il famoso quanto “misterioso” liquido viola di metà
articolo?
Bene, le ipotesi sono come sempre più di una ed incrementabili
anche a suon di fantasia. E così passo dalla semplice constatazione
che alla fin dei conti questo fantomatico liquido viola, non sia poi
così speciale ma che altro non possa essere che la % in più dei
detergenti aggiunti per migliorare le prestazioni del prodotto. Ma,
tanto per riderci su, non è escluso che le lavastoviglie in genere,
abbiano un debole per il colore viola. ;) ad uso e consumo di
qualsiasi babbano che si rispetti.

Per chi non lo sapesse, Procter & Gamble (P&G) è una società
statunitense di beni di consumo con un portafoglio di marchi molto
ricco tra cui Always®, Ambi Pur®, Ariel®, Bounty®, Charmin®,
Crest®, Dawn®, Downy®, Fairy®, Febreze ®, Gain®, Gillette®, Head &
Shoulders®, Lenor®, Olay®, Oral-B®, Pampers®, Pantene®, SK-II®,
Tide®, Vicks® e Whisper®, con sede a Cincinnati.
Capitolo 40

UNA
“CLEARINGHOUSE”
PER BIG PHARMA
MA IN POCHI
SANNO COSA SIA

Il Medicines Patent Pool (MPP) ha annunciato di aver firmato


accordi con 35 aziende per la produzione della versione generica del
trattamento orale COVID-19 di Pfizer, nirmatrelvir, che in
combinazione con una bassa dose di ritonavir rappresentano i
principi attivi dell’antivirale Paxlovid per garantire la fornitura
dall'Asia al Medio Oriente fino all'Europa orientale e ai Caraibi, a 95
Paesi a basso e medio reddito. Si tratta di accordi in sublicenza, che
concretizzano il risultato dell'accordo di licenza volontario firmato
da MPP e Pfizer nel novembre 2021 che consentirà di fornire i
medicinali a paesi che comprendono circa il 53% della popolazione
mondiale.
Ecco quindi che l’MPP una sorta di entità di cui poco si scrive, ma su
cui potrete leggere maggiori ragguagli qui:
https://medicinespatentpool.org rappresenta una sorta di
clearinghouse o “camera di compensazione” nei confronti di Big
Pharma (che al contrario furoreggia sulle note del classico leit-motiv
“complotto...complotto”, colonna sonora di quell’appena appena
scadente trash movie “I media mainstream servi di Big Pharma” di
cui francamente si è detto e scritto a sufficienza).

Charles Gore, direttore esecutivo dell'MPP ricorda che si sta


parlando di un'organizzazione per la salute pubblica sostenuta dalle
Nazioni Unite che lavora per incrementare e garantire l'accesso ai
farmaci salvavita a quei Paesi che, appunto, sono considerati a
reddito medio-basso e ad un costo decisamente contenuto.
Intervistato aggiunge che: “praticamente tutte le aziende coinvolte
nel progetto, se da un lato non sono state favorite per la produzione
dei vaccini, ora possono far conto su di un arsenale terapeutico
fondamentale per salvare vite umane”.

Delle 35 aziende, sei produrranno i vari componenti del farmaco,


nove garantiranno il prodotto finito e le restanti 20 faranno
entrambe le cose.

Per i soliti del “ sì, vabbè ma...” preciso che non si tratta di un caso
isolato, dal momento che l’accordo è avvenuto tre settimane dopo
che Merck e Ridgeback Biotherapeutics hanno stipulato un accordo
simile con l'MPP per il loro antivirale orale molnupiravir.

https://www.fiercepharma.com/pharma/pfizers-deal-medicines-
patent-pool-includes-35-companies-12-countries-produce-generic
Capitolo 41

LA RICERCA DEL
PUNTO MEDIO
PERDUTO

In un recente post ebbi a scrivere come “a ben guardare,


sembrerebbe palese constatare come lo schieramento pro Putin sia
andato gradualmente a coincidere con quello ex no-vax con relativi
"scontri" comunicazionali, tra le opposte posizioni”.
Condivisibile?...non lo so, ma di certo non sono stato l’unico ad aver
notato la coincidenza. Ma ho anche aggiunto: “... se non fosse che
stiamo scrivendo del prodotto di un messaggio sempre più
volutamente scalcagnato, impreciso, volutamente confuso ed
allarmista che, a seconda delle parti, ha come target una funzionale
“echo chamber” e per cui alla propaganda di sistema si contrappone
quella anti-sistema”.
Eppure non dovrebbe essere complicato capire che tra “Ah! Vaccini
assassini” e “Vaccini nostro pane quotidiano” (non mi risulta che al
mattino ci sia la fila di chi non vede l’ora di andare a farsi un bel
vaccino in luogo del solito caffè, latte macchiato o cappuccino) le
sfumature su cui posare l’occhio non sono certamente poche. Le
stesse “sfumature” a cui dovremmo guardare ragionando sul
conflitto Russia-Ucraina ( al di là di evidenti crimini da condannare
per mera ovvietà ). Eh si, perché non è sempre cosi ovvio e semplice
da spiegare il mondo reale come appare e spesso, quando lo si fa,
può anche far male. E non tutto è così vero (o falso). Volete un
esempio cult? Da ragazzino fui affascinato come molti miei coetanei
da un film che raramente credo di aver rivisto in televisione. Il titolo
era “I Guerrieri della notte” per la regia di Walter Hill. Ad una visione
superficiale il film poteva rappresentare la “solita” lotta tra gang in
una New York di fine anni 70. Ma la trama è tutt’altra. Cyus, un
capobanda molto amato dai giovani newyorkesi dell’epoca viene
ucciso poco prima dell’inizio di un mega-raduno di gangs.
“Ovviamente” qualcuno fa circolare la voce che gli assassini
sarebbero stati gli Warriors, una banda che si trovava dalla parte
opposta della città. Da qui, la sceneggiatura si dipana tra una feroce
caccia all’uomo portata avanti dalle variopinte bande di stanza in
altri quartieri ed il ritorno a casa degli innocenti Warriors, in una
macabra atmosfera scandita dalla cronaca della radio illegale che
segue passo passo la gang, in un tripudio di eccentriche “divise”
delle numerose gangs newyorchesi.
Quando al regista fu chiesto da dove avesse tratto ispirazione per il
suo film, egli rispose semplicemente di aver riscritto in chiave
moderna l’Anabasi di Senofonte (googolando a dovere, è facile
reperire tutta la narrazione).

Eh no! Non è sempre tutto cosi ovvio e semplice come appare e,


dall’empietà più assoluta alla santità beatificata attraverso i media è
un attimo, come saltellare tra le caselle del Monopoli passando dal
Via, dove per Via leggasi Verità. Che poi è come dire che 1+1 è
sempre uguale a 2. Mica vero sa? Anche lì, dipende dal tipo di
algebra a cui si guarda. Che si parli di scienza o di storia o di
attualità, la solfa è sempre la stessa e ti saluto Punto Medio.
Finiamola di rompere gli zebedei con queste "scienze perfettissime,
queste “ricostruzioni storiche” veritiere a prescindere, ma che ti
tirano per la giacca sino a farti barcollare, per portarti a destra o a
manca a seconda di chi le propina. Finiamola di riempire la bocca di
certezze di cui non si comprende un’emerita mazza. Basta! Alt! Stop!

Ed allora perché non rinunciare al concetto di Verità? Che se poi ci


pensate bene, un aiutino a ragionare alla ricerca di quell’ormai
perduto Punto Medio, ce lo potrebbe anche dare pur essendo in
possesso di un limitato asset di argomenti cui fare appoggio, del
tipo linguaggio binario dove più che 0 ed 1 non abbiamo. Del resto
come possiamo attribuire la verità alle affermazioni fatte dalla
scienza, dalla religione o dalla politica?
Se non ricordo male il messaggio più noto del pensiero di Popper
(noto filosofo / epistemologo) si traduce nell’osservazione che una
teoria (scientifica per esempio, ma non necessariamente) deve
essere falsificabile.
Miiii... stai a vedere che adesso più di un “fenomeno”, corroborato da
una tale inaspettata conferma, si produrrà nello sbandierare
l’uguglianza: fake news = falsificazione (popperiana), concorrendo
così per aggiudicarsi il Premio speciale della Giuria “Come Capire un
Tubo”. Eheh...no, le cose non stanno proprio così dal momento che
per falsificazione si intende la caratteristica di una teoria di poter
essere confutata e quindi di “portare a teorie sempre più grandi e
complesse in grado di spiegare un maggior numero di fenomeni e
fornire gli strumenti per il loro controllo”.
(https://www.academia.edu/17823068/Falsificazioni_e_progresso_sci
entifico_Popper_scettico_ottimista).

Ecco quindi che l’occhio mi scappa sulle affermazioni di “oggi”, che


per certi versi sono assai simili a quelli di un anno fa. Gridare a
squarciagola che Putin sia “efferatissimo”, “crudelissimo”,
“disturbatissimo” mentre Zelensky si dimostra “buonissimo”,
“coraggiosissimo” e “correttissimo” così come i vaccini siano
“buonissimi”, “efficientissimi” e “sicurissimi” oppure catapultandosi
sulla riva opposta, per cui siano “pericolosissimi”, “velenosissimi”,
“insidiosissimi” non risultano, seguendo il criterio suggerito da
Popper, dichiarazioni a cui poter riconoscere una valenza
“scientifica” atta a decretarne una universale veridicità.

Varrebbe forse la pena fare tutti un passo indietro, accantonare


tutto ciò che suona come categorico, assolutistico e pregno di
certezze, perché il rischio è quello di mandare ancora una volta a
fa****o la ricerca del Punto Medio, giocando come i “Guerrieri” a fare
la guerra con il rischio, a differenza del film, di perdere tutti quanti e
ritrovarci al punto da cui siamo partiti.
Capitolo 42

PUO’ LA GUERRA
FAVORIRE LA
SCOPERTA DI
FARMACI?

Ho già avuto modo di scrivere, seppur non nei dettagli a riguardo


delle forti ripercussioni patite da alcune società chimico
farmaceutiche impegnate nella ricerca bio-tecnologica attualmente
operanti in Ucraina quali Enamine e Life Chemicals
(https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/03/frammenti-di-vita-
reale-senza-la_14.html ). Ora è giunto il momento di ritornare
sull’argomento, per approfondire ciò per cui pare proprio non ci sia
molto da riderci su.
L'invasione russa dell'Ucraina non ha solo sconvolto la vita di milioni
di persone, ma sta anche provocando danni irreparabili ad imprese
ben lungi dall’essere considerate ad impatto vitale perché,
all’apparenza, non in grado di influenzare in quale direzione
potrebbe evolvere il conflitto. Sapete com’è no? Se oggi non sei in
grado di produrre almeno un’NBCR non rientri nel novero delle
maison pret a porter.

Ma del resto, la miopia, pare essere una condizione very very cool e
così gli esperti del settore lanciano l’allarme che la scoperta di nuovi
farmaci, ad esempio, diventerà ogni giorno sempre più complicata.

Non che la cosa mi sorprenda, ne tanto meno che sia frutto di una
considerazione estemporanea degna della miglior Cassandra. Già
nel 2018, Duncan B. Judd della società di consulenza Awridian
(https://www.awridian.co.uk $) aveva sondato il sentiment di vari
ricercatori operanti in Ucraina, Lettonia e Francia a proposito del
mercato dei composti ad alto rendimento da “screenare” per
giungere allo sviluppo di nuovi farmaci (Drug Discov. Today 2019,
DOI: 10.1016/j.drudis.2018.10.016 $). E dopo aver dichiarato: "Non sono
sicuro che le persone si rendano conto della vera portata di quella
che si rivelerà una gran brutta gatta da pelare” arrivò alla
conclusione che le aziende di stanza in Ucraina e Russia come
Enamine, Life Chemicals e ChemDiv forniscono (ma ora è più
corretto scrivere fornivano) circa l'80% dei composti da “screenare”
(screening compounds) nel mondo.

Per chi è completamente a digiuno dell’argomento e facendola


semplice anche se semplice non è, questo che riporto è il cammino
che si segue per arrivare alla formulazione di un farmaco (al netto di
qualsiasi teoria cospirazionista)
Questo procedimento inizia con l’identificazione, attraverso lo
screening di diverse librerie di nuovi composti, di quelli
biologicamente attivi sia di origine naturale che sintetica e dotati di
promettenti proprietà farmacologiche nei confronti delle attività
biologiche desiderate e definiti come capostipiti (HIT). L’hit subisce
successivamente un processo di perfezionamento e di
ottimizzazione che consiste in variazioni strutturali mirate, tramite le
quali si cerca di migliorarne le caratteristiche farmacologiche
(farmacodinamiche, farmacocinetiche e di sicurezza). Questo
processo si articola in almeno 2 fasi: l’“hit to lead” (ove LEAD =
prototipo) e successivamente la “lead optimization” che consente
l’identificazione del candidato farmaco pronto per la
sperimentazione clinica.

Appare quindi estremamente evidente come un accesso ridotto alla


consultazione delle librerie di nuovi composti per l’attività di
screening (come abbiamo visto circa l’80% in meno), ritarderà molti
progetti per mesi e mesi. Per coloro che ancora sono rimasti al
concetto delle sperimentazioni condotte “in vitro” ossia in provetta,
ed “in vivo” e cioè su essere vivente, è bene far presente che
esistono anche quelle “in silico”. Questa locuzione indica l’attività di
poter riprodurre fenomeni di natura chimico biologica, mediante
simulazioni matematiche condotte al computer. E non è certo un
caso se Jonathan Heal, che guida il team per le sperimentazioni
condotte “in silico” da parte di RxCelerate
(https://www.rxcelerate.com), una piattaforma dedita alla scoperta
ed allo sviluppo di farmaci in outsourcing (al di fuori dell’azienda,
all’esterno) con sede nel Regno Unito, affermi che le aziende
appena sopra menzionate rappresentino la parte vitale di tutta
l’organizzazione dedita alla scoperta di nuovi farmaci.
Cosa tanto più vera se avvalorata dalle sue recenti dichiarazioni in
cui, senza mezzi termini si esprimeva dicendo: “Quando abbiamo
visto che l'Ucraina è stata invasa, ci siamo subito resi conto che
questo avrebbe creato dei seri problemi, tanto è vero che, pur a
fronte di un maggior impegno, non siamo più in grado di soddisfare
gli ordinativi dei nostri clienti, potendo contare ormai solo più sul
30% dei composti a cui precedentemente avevamo accesso. E le
cose non vanno meglio anche per Chemspace.

Tanto è vero che Judd rincara la dose sostenendo che una simile
situazione potrebbe causare un ritardo variabile dai 6 ai 12 mesi per
lo sviluppo dei progetti finalizzati alla produzione di nuovi farmaci e
se anche ben la guerra finisse domani, non è chiaro quanto
velocemente le aziende ucraine saranno in grado di riprendere a
lavorare a pieno regime o se i clienti vorranno ancora trattare con le
aziende russe.

Ma paradossalmente, questa complicata situazione, sempre


secondo Jonathan Heal di RxCelerate potrebbe favorire
un’accelerazione per lo sviluppo della scoperta di nuovi farmaci. Alla
fine dell'anno scorso, i ricercatori che lavoravano con Enamine
hanno dimostrato (https://www.nature.com/articles/s41586-021-
04220-9 $) come la ricerca di nuove e fornite librerie virtuali di
molecole potenzialmente attive potrebbe effettivamente accelerare
questo processo. Per questo motivo si sta lavorando pro-
attivamente alla progettazione di nuovi farmaci mediante tecniche
computazionali capaci di migliorare le procedure di “virtual
screening” testando l’affinità tra ligando e recettore su una serie
sempre più ampia e tutta da scoprire di librerie di molecole
potenzialmente attive. Insomma, non tutti i mali vengono per
nuocere.
Capitolo 43

ULTIM’ORA: COMUNICATO
CONGIUNTO EMA ECDC
SULLA
4° DOSE

.La task-force costituita da EMA in tema di pandemia da Covid-19,


denominata COVID-ETF (https://www.ema.europa.eu/en/news/ema-
establishes-task-force-take-quick-coordinated-regulatory- action-
related-covid-19-medicines), ed il Centro Europeo per la prevenzione
ed il controllo delle malattie (ECDC) dopo aver esaminato gli studi e
i dati epidemiologici attualmente disponibili, hanno rilasciato una
dichiarazione congiunta in cui si conclude che è troppo presto per
prendere in considerazione il ricorso ad una quarta dose (o seconda
dose booster) per i vaccini COVID-19 ad mRNA (Comirnaty di Pfizer e
Spikexax di Moderna ) nella popolazione che abbia completato il
ciclo vaccinale di base, inclusa la dose di richiamo o booster.
Per entrare maggiormente nel dettaglio, entrambe le agenzie
hanno convenuto che una quarta dose (o un secondo booster) può
essere somministrata agli adulti di età pari o superiore a 80 anni
sulla base di approfondite valutazioni cliniche che prendono in
considerazione sia la presenza di importanti fattori di rischio, quanto
eventuali condizioni di immunosoppressione.
Per gli adulti nella fascia di età tra i 60 ed i 79 anni e con sistema
immunitario normale, “attualmente non ci sono chiare evidenze
all’interno dell’UE che indichino una diminuzione sostanziale della
protezione conferita dal vaccino contro la malattie grave e quindi
non si rileva nessuna chiara evidenza a sostegno dell’immediato
ricorso ad una quarta dose”.

Lo stesso dicasi per per gli adulti di età inferiore ai 60 anni con
sistema immunitario normale.
Nella dichiarazione emerge inoltre che: “poiché le campagne di
rivaccinazione potrebbero iniziare in autunno, le autorità
valuteranno il momento migliore per dosi aggiuntive, possibilmente
sfruttando i vaccini disponibili aggiornati”. “Finora, dagli studi sui
booster aggiuntivi non sono emersi problemi di sicurezza”.
Come è noto i virus respiratori tendono a diffondersi in modo più
massivo durante la stagione fredda e di questo le successive
campagne di vaccinazione dovranno tenerne conto. Parallelamente,
vista la possibilità che emergano rapidamente nuove varianti
preoccupanti (VOC) è di fondamentale importanza provvedere
all’aggiornamento degli attuali vaccini disponibili. Data la
complessità dell’intento, non è ancora prevedibile quando i dati su
questi vaccini di “seconda generazione” saranno disponibili, pur
nella speranza che ciò avvenga, unitamente all’approvazione, nel
corso della prossima estate.
Ciò che attualmente è però incontrovertibile è che la vaccinazione
contro il SARS- Cov-2 è a tutt’ora il metodo più efficace per
prevenire la malattie in forma grave, compresa quella indotta dalla
variante Omicron.

Faccio notare che alla fine di Marzo 2022, solo il 63,5% dei soggetti di
età pari o superiore a 18 anni nei paesi dell'UE/SEE aveva ricevuto il
primo richiamo, per cui, onde non vanificare quanto di buono si è
fatto sino ad ora, saranno necessari ulteriori sforzi per aumentare la
diffusione della vaccinazione con particolare attenzione alla
somministrazione del booster.

N.B.: Ovviamente il costante monitoraggio epidemiologico


dell'efficacia del vaccino non verrà mai meno e sarà indispensabile
al fine di rilevare rapidamente i segnali che indichino l'emergere di
un rischio crescente di malattia grave tra gli individui vaccinati. Se
ciò dovesse accadere, ma al momento non vi è sentore, potrà essere
presa in considerazione per gli adulti di età compresa tra 60 e 80
anni, la somministrazione di una quarta dose.

FONTI: https://www.ema.europa.eu/en/news/ecdc-ema-issue-advice-
fourth-doses-mrna-covid-19-vaccines.

https://www.ecdc.europa.eu/en/news-events/ema-ecdc-statement-
fourth-covid-vaccine-dose .
Capitolo 44

LA GENERAZIONE 2.0
DEGLI ANTIVIRALI
CONTRO LA
COVID-19 / (Part One)

Con un virus respiratorio come il Sars-Cov-2 è davvero molto


azzardato proporre previsioni senza correre il rischio di prendere
fischi per fiaschi. E proporre previsioni, di questi tempi, è tutt’altro
che “salutare”, dal momento che una previsione sballata può
influenzare una decisione politica, che a sua volta avrà un costo che
alla fine qualcuno dovrà pagare. In compenso sono ancora molte le
domande che aleggiano, ma con già belli e pronti gli alibi nel caso
qualcuno si avventurasse in qualche tipo di risposta.
E la lista è già parecchio nutrita. (Del resto è ormai arcinoto come sia
un po’ come sparare sulla Croce Rossa tirare in ballo l’assunto che la
ricerca scientifica, proponendo come è ovvio che sia una pluralità di
opzioni non possa garantire alcuna inconfutabile certezza). Il virus
diventerà endemico? Emergeranno nuove varianti? (di Xe, anche se
nel caso sarebbe più corretto parlare di “ricombinanti”) ne
parleremo quando ci saranno più dati su cui ragionare).

Qualunque sia la risposta, quel che è certo è che il “mercato” degli


antivirali, per i prossimi anni a venire, non conoscerà empasse di
sorta, dal momento che sarà fondamentale “drizzare le antenne” nel
caso emergessero non impossibili resistenze verso gli attuali
antivirali e per essere proattivi nello sviluppare nuove molecole
mirate a seconda dello scenario che si potrebbe prospettare.

Ho diffusamente trattato di Paxlovid e Lagevrio di Pfizer e di Merck


qui: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/01/il-dietro-alle-quinte-
che-ha-condotto.htm,
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/tra-usa-ed-italia-regali-
di-natale.html,
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/molnupiravir-lagevrio-di-
merck-e.html e da quando sono in commercio sappiamo che se da
un lato Paxlovid può avere interazione con alcuni farmaci di
comune prescrizione :
(https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/therapies/antiviral-
therapy/ritonavir-boosted-nirmatrelvir--paxlovid-/ ), molnupiravir
invece sembra dimostrare una efficacia moderata mentre sono al
vaglio possibili rischi legati all’attività riproduttiva
(https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/therapies/antiviral-
therapy/molnupiravir/ ).
Tanto è vero che, “Indiscrezioni” non ancora ufficialmente
confermate, ma non smentite, riportano che nell’evoluzione del
prossimo antivirale di Pfizer, non sarebbe incluso il ritonavir in
associazione al nirmatrelvir in quanto ritenuto la possibile causa
della deleteria interazione con altri farmaci. In ogni caso ne sapremo
di più quando saranno noti i risultati degli studi sull’uomo, attese
per la seconda metà di quest’anno.

Ovviamente la speranza è che qualche cosina si sia imparato dagli


errori del passato e che quelli che sono a tutti gli effetti gli
acquirenti principali, leggi i Sistemi Sanitari, ora considerino questa
classe di farmaci come una priorità per la lotta alla Covid. Anche se,
come vedremo nella terza parte, per quanto riguarda almeno l’Italia,
la burocrazia continua ahinoi a segnare punti a proprio vantaggio
(superfluo rimarcare chi sarebbero gli svantaggiati). In ogni caso sia
Pfizer quanto Merck & Co. hanno già nelle loro pipeline molecole di
follow-on di Paxlovid e Molnupiravir, ma la concorrenza è agguerrita
e diverse aziende stanno cercando di sviluppare antivirali anti Covid-
19 migliori di quelli attualmente disponibili. Enanta Pharmaceuticals
rientra appunto nel novero e lo fa attraverso il proprio CEO, Jay R.
Luly, dichiarando: “Abbiamo sempre saputo che non saremmo stati i
primi a produrre un antivirale con le caratteristiche che si
ricercavano, ma va bene così, perché cercheremo di essere i migliori
in futuro.” Ed effettivamente l’azienda con sede nel Massachusetts
ha tirato fuori dal cassetto un nuovo antivirale anti SARS- CoV-2
(EDP-235), attualmente impiegato in uno studio clinica ancora in
fase iniziale con la premessa che si tratti di una opzione terapeutica
più efficace ed economicamente vantaggiosa, rispetto a quelle
attualmente impiegate.
Ma occhio, perché come anticipato, Enanta è in buona compagnia,
insieme ad altre aziende più “piccole” tra cui Shionogi & Co., Pardes
Biosciences e Model Medicines, in quella che si sta prospettando
come una vera e propria gara per produrre antivirali anti Covid di
nuova generazione. E lo dico chiaro fin da subito, non è solo la
smania di profitto, a sponsorizzare questa corsa, giacché già in
passato la resistenza verso alcuni farmaci ha reso inefficaci alcune
molecole anti-influenzali e lo stesso, per i motivi che analizzeremo in
seguito, potrebbe accadere anche con gli antivirali COVID-19.
In una seconda parte, a cui seguirà una terza, dai risvolti
sicuramente più politici in cui si esamineranno le varie
problematiche legate agli iter distributivi ed alle possibilità di
accesso nonostante le somme di denaro investite per l’acquisto,
butteremo l’occhio su questi ipotetici nuovi candidati con tutte le
dinamiche che si portano appresso, senza mai dimenticare il
proverbio che “tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”. Ed è un mare
molto “salato” ed agitato a quanto pare, a partire da come stia
diventando sempre più complicato testare gli antivirali di prossima
generazione (vedremo il perché ma la spiegazione sarà di una
ovvietà quasi imbarazzante). Per poi finire con la constatazione, (me
ne dispiace per chi è preda di facili entusiasmi), che per arrivare alla
commercializzazione di un nuovo farmaco, il know how di cui si
dispone non è proprio un dettaglio di poco conto, e concedere di
“aprire” a numerose linee di “credito” senza contare su una
approfondita conoscenza di tutta la filiera industriale e
sull’appoggio di piattaforme capaci di relazionare collaborazioni di
settore con produttori intermedi e fornitori di tecnologia, spesso
non si rivela una scelta in grado di “pagare”. Non ricordo le volte in
cui ho fatto notare che partire da una sintesi di laboratorio per
arrivare ad una produzione industriale, ca va sans dir, non è
esattamente uno scherzetto da poco.
Capitolo 45

LA GENERAZIONE 2.0
DEGLI ANTIVIRALI
CONTRO LA
COVID-19 / (Part Two)

Dal momento che l’ho spoilerato nella prima parte, mi sembra il


caso di procedere, così... pim! pum! pam!...con la descrizione di
questi prossimi candidati antivirali non prima però di rimarcare una
personale frustrazione che è la risultante di tutta una lunga serie di
esternazioni partorite da una ipocrisia sempre più dilagante e che
hanno come massimo target “l’Acchiappa Like dell’anno”.
Dopo aver letto in anni passati che fosse necessario raggiungere
una copertura vaccinale del 95% con la vaccinazione antitetanica,
onde perseguire l’obiettivo dell’immunità di Gregge (ebbene si,
avete letto bene, immunità di gregge nei confronti del tetano)
pensavo di aver raggiunto l’acme dell’inaccettabile. Ma mi sono
presto reso conto in questi due anni di pandemia che non c’è limite
al peggio. Per cui c’è chi, anche in questi giorni di “apparente”
tranquillità, in cui la maggior parte delle posizioni estremiste, vanno
stemperandosi, la butta giù ancora pesante, del tipo, “Quanto casino
per per questo coronavirus - singolare indistinto, omogeneo ed
univoco - in fondo il coronavirus causa da secoli il comune
raffreddore e di cure ne tanto meno vaccini per il raffreddore, non
se ne è mai sentito parlare”. Ormai, penso di aver sviluppato una
sorta di immunità naturale, nei confronti di questo modo di
argomentare che implica una capacità di elaborazione tipiche del
sistema di numerazione binario, dove più di 0 ed 1 non abbiamo con
conseguente limitata cassetta per gli “attrezzi” a cui poter attingere.
Per cui, meglio passar oltre, dal momento che verrei capito “al volo”,
da chi queste pagine, in ogni caso, non le leggerà mai.
Ma ritorniamo all’argomento di questo secondo post, e per farlo,
non posso fare a meno di iniziare con quanto dichiarato da Sara
Cherry, professoressa di patologia e medicina di laboratorio presso
la Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania: ”
Se non si riesce a mantenere le dosi che ci si è prefissato di
impiegare, la possibilità che si selezionino resistenze al virus, non
sono poi così remote, dal momento che i trattamenti non
completati possono accelerare la comparsa di resistenze nei
confronti dei farmaci utilizzati, consentendo così al SARS-CoV-2 di
sviluppare adeguate contromisure di difesa” - come è noto, già in
passato la resistenza verso alcuni farmaci ha reso inefficaci alcune
molecole anti- influenzali ed ora la stessa cosa, potrebbe accadere
anche con gli antivirali COVID- 19 -
“Questo è dunque il motivo principale per cui sarebbe auspicabile
avere a disposizione una vasta gamma di antivirali, perché in tal
caso, sarebbe molto più complicato per il virus sviluppare resistenza.
La speranza è quindi che gli antivirali COVID-19 migliorino
continuamente, esattamente come accaduto per i farmaci anti
epatite C e HIV”.

A proposito di epatite C, proprio per raccontarla dall’inizio, ossia nei


primi tempi della pandemia, Enanta Pharmaceuticals, ha setacciato
la sua libreria di composti con la speranza di ritrovarsi per le mani
qualche cosa di utile per contrastare la Covid, sotto forma di
farmaco antivirale mirato. Dal momento che a differenza di Pfizer,
l'azienda non aveva esperienza di studi clinici con i coronavirus, non
è emerso nulla.

Beh, “male non fare ricordare” come agiscono gli antivirali di Pfizer
e Merck & Co. Paxlovid inibisce la proteasi 3CL, ossia la principale
proteasi di SARS-CoV-2, mentre Molnupiravir inganna la sua Rna
polimerasi facendole incorporare parte del farmaco nell'Rna del
virus e creando così tanti errori da non poterne assicurare la
sopravvivenza.

Tuttavia Enanta, pur non avendo familiarità con i coronavirus,


possedeva un buon know-out per gli inibitori della proteasi HCV e
così per finanziare il proprio progetto di realizzare un nuovo
antivirale anti covid di 2°generazione, ha completamente dato
fondo ai proventi derivanti dal proprio farmaco per l'epatite C, un
prodotto di nuova generazione che l'azienda aveva concesso in
licenza ad AbbVie ( https://www.pharmastar.it/news//ema/epatite-c-
depositata-all-ema-la-domanda-di-registrazione-per-la-tripletta-di-
abbvie-14817 ).
Ed eccoci qui a raccontare la storia del nuovo candidato antivirale
EDP-235. Sebbene dovranno essere i dati risultanti dagli studi clinici,
in primis lo studio di Fase 1, con end-point la sicurezza, avviato a
Febbraio, a decretarne la “bontà” (Enanta Pharmaceuticals prevede
di averli a disposizione per il secondo trimestre di quest’anno), EDP-
235 prende di mira la proteasi 3CL del virus, ovvero la stessa
bersaglio target di Paxlovid, con il vantaggio di avere uno schema
posologico che si basa su di un’unica assunzione giornaliera. Cosa
assolutamente non di poco conto, dal momento che, migliorando
nettamente la compliance si diminuisce contestualmente la
possibilità di incorrere in trattamenti non completati che, come già
ho scritto, potrebbero innescare resistenza antivirale. Al netto delle
dichiarazioni dell’Azienda, ci potremmo trovare quindi di fronte ad
uno tra i più potenti antivirali ad azione diretta in fase di sviluppo
per l'infezione da SARS-CoV-2 con spiccata attività anche contro le
possibili varianti Omicron dipendenti.
E sullo stesso treno, ossia gli inibitori della proteasi 3CL, pare sia
salito anche l’S- 217622 della giapponese Shionogi. Questa molecola
è entrata a far parte di uno studio multicentrico di fase 3
denominato SCORPIO-HR, per valutarne l’efficacia e la sicurezza in
soggetti SARS-CoV-2 positivi che, in un contesto ambulatoriale,
hanno iniziato a manifestare sintomi entro cinque giorni
dall’arruolamento presentando 1 o + fattori di rischio per una
possibile evoluzione verso la malattia grave.
Stando al rapporto Leerink (SVB Leerink è una banca
d'investimento leader, specializzata in sanità e tecnologia) i
vantaggi rispetto agli attuali antivirali sarebbero da ricercarsi in una
maggiore attività sui pazienti più fragili esposti alla sotto-variante
Omicron attualmente circolante e, come per EDP-235, in una
migliore compliance, dal momento che si tratta di una mono
somministrazione orale che non necessita di alcun tipo di
“potenziamento” (leggi ritonavir di Paxlovid).
Quanto invece a PBI-0451, Pardes Biosciences, ha previsto di iniziare
uno studio di fase 2/3 a metà del 2022 di questa nuova classe di
inibitori antivirali ad azione diretta (DAA) della proteasi principale
(Mpro) da assumersi oralmente. Per chi ne volesse sapere di più
segnalo questo link:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S20010370220008
48

A differenza delle precedenti Aziende impegnate in questa


affannosa rincorsa, la Model Medicines, ha invece concentrato
l’intero focus della ricerca su composti che, originariamente, non
erano mai stati concepiti per contrastare alcun tipo di malattie
infettive. Per chi non lo sapesse, parlare di Model Medicines equivale
a descrivere una società di intelligenza artificiale e apprendimento
automatico Drug Discovery in grado di ridurre il tempo necessario
per immettere un farmaco sul mercato di oltre 10 anni risparmiando
sui costi all’incirca 1 miliardo di $ se non di più. Grazie a tutto questo
“ambaradan” si è giunti allo sviluppo del prototipo MDL-001.

Secondo il CEO di Model Medicines, Daniel Haders, questo


composto aveva superato positivamente lo studio di Fase 1 relativo
alla sicurezza, per una indicazione mai rivelata ma che a seguito del
sopravvenire di un repentino cambio di priorità, venne
abbandonato dal produttore originario.

“Volevamo un antivirale che potenzialmente fosse così sicuro e ben


tollerato da poter essere impiegato su qualsiasi tipologia di paziente
indipendentemente dalla variante, dal sesso, dall'età e dalle
comorbidità”.
L’alone di mistero tuttavia rimane, dal momento che, a parte
rivelare l’impiego orale monodose, l'azienda si rifiuta di descrivere il
meccanismo d'azione.
Nonostante ciò, MDL-001 è stato reclutato nel programma per lo
sviluppo di nuovi trattamenti antivirali del National Institute of
Health (NIH) sulla base di precise rassicurazioni. Per chi fosse
interessato alle “pezze giustificative”, questo che segue è l’elenco:
dati pre-clinici che dimostrano di aver soddisfatto l’end-point per la
protezione dai sintomi causati dal Sars-CoV-2, un ulteriore
significativo pacchetto di dati che confermano la riduzione della
carica virale a livello polmonare in aggiunta a dati clinici relativi alla
sicurezza ed alla tollerabilità che si vanno a sommare ad ulteriori
dati sull'efficacia in vivo e dati di farmacocinetica preclinica. Inutile
rimarcare che i dati prevedono comprensione ed elaborazione,
altrimenti sarebbero solo numeri. E la Model Medicines, ha i dati.
Purtroppo, come anticipato nel primo post, testare gli antivirali di
prossima generazione, sta diventando sempre più un’impresa
complicata. Il pool di papabili arruolabili negli studi clinici si riduce
man mano che sempre più persone vengono vaccinate o assumono
antivirali. Per far fronte a questo genere di handicap molte aziende
chimico-farmaceutiche produttrici di antivirali hanno “dirottato”gli
studi clinici in Paesi in cui la campagna vaccinale non è così
avanzata, un copione già visto, dal momento che già utilizzato
anche dalle Aziende produttori di vaccini. Insomma... nihil sub sole
novum.

Nulla osta che, come confermato dal rapporto Leerink, sia pure
alzando, e non di poco, l’asticella, alla fine anziché’ condurre studi
controllati nei confronti del solo placebo, le Autorità di
Regolamentazione potranno confrontare un candidato antivirale
con uno già precedentemente autorizzato.
Capitolo 46

LA GENERAZIONE 2.0
DEGLI ANTIVIRALI
CONTRO LA
COVID-19 / (Part
Three)

Contrariamente a quello che qualcuno pensa, la lotta alla Covid non


rappresenta un gioco a somma zero, e con i vaccini e gli anticorpi
monoclonali disponibili, la nuova generazione di antivirali, se
migliorati dal punto di vista del profilo clinico, farmacocinetico e
farmacodinamico diventeranno sempre di più un presidio
fondamentale su cui contare.
E’ ovvio pensare che nel caso in cui il Sars-CoV-2 diventasse sempre
più endemico, il paradigma del trattamento, nei prossimi massimo
due anni, si dovrebbe traslare dal trattamento negli ospedali dei casi
gravi al trattamento in ambito ambulatoriale dei casi lievi/moderati.
E sino a qui, nulla che abbia a che vedere con Super Eroi, Elfi o altre
storie fantastiche.

Tuttavia, forse in virtù di una così tanta penuria di armi e personaggi


dai super- galattici poteri, oltre oceano, gli Stati Uniti si stanno
affannosamente organizzando per ideare programmi in grado di
rendere più accessibili gli attuali antivirali disponibili. Nell'ambito di
un'iniziativa lanciata di recente e chiamata “Test to Treat”,
letteralmente “Test e Cura”, vedi link sottostante

(https://www.economymagazine.it/biden-antivirali-gratis-agli-
americani-positivi-al-test-in-farmacia/)

i pazienti che presentano sintomi da infezione Covid-19 e


classificabili ad alto rischio per lo sviluppo di malattia grave possono
entrare belli belli in alcune selezionate farmacie per essere “valutati”
e, nel caso, possono uscirsene con un bel sacchetto contenente un
ciclo completo gratuito di antivirali.
Che si tratti di una illuminazione, sinceramente non lo so e che si
tratti di una buona idea, ancor meno. Come chiarito nei due post
precedenti, il trattamento con Paxlovid prevede 30 pastiglie in 5
giorni, 10 di Ritonavir e 20 di Nirmatrelvir, ossia non certamente il
non plus ultra della compliance, dal momento che parliamo
dell’assunzione giornaliera di 6 capsule. Inoltre deve essere
inderogabilmente somministrato entro i primi 5 giorni
dall'insorgenza dei sintomi.
Resta dunque da vedere, come riportato in un articolo di
Repubblica:
(https://www.repubblica.it/salute/2022/03/07/news/covid_test_strate
gia_usa_giusta-340298110/) quanti e quali siano i punti deboli di una
simile strategia.
“Un comune cittadino americano, sarà in grado di riconoscere i
primi sintomi e a presentarsi in farmacia in tempo per la
somministrazione? Come fa un cittadino a sapere se svilupperà una
malattia grave?”. Ed a queste sacrosante domande si sommano
ulteriori “other weaknesses” quali la discriminazione dei pazienti che
beneficeranno del farmaco, il difficile monitoraggio degli effetti
collaterali e dell'iinterazione con altri farmaci (già riferiti per
Paxlovid), nonché la correttezza del trattamento.
Ma come si dice...”se Atene piange, Sparta non ride”...anzi!!! E per
Sparta, leggasi pure il nostro Bel Paese. Che dire, pare di assistere ad
un’opera del Teatro dell’Assurdo con totale disarticolazione di
qualsiasi forma di pensiero logico- consequenziale. Mi verrebbe da
parafrasare stravolgendone però la narrazione, Beckett quando
scrisse Aspettando Godot.
Vladimiro ed Estragone, potrebbero benissimo chiamarsi Alberto e
Giovanni ( magari due neo positivi al covid appena informati di
esserlo), e Paxlovid non stonerebbe in luogo di Godot. E mentre i
giorni passano (5 per l’esattezza) i due parleranno tra di loro,
interagiranno sia pure con toni assurdi, aspettando l’arrivo di
Paxlovid, che, sappiamo per bocca del suo “giovane messaggero”, (
massì, Aifa potrebbe essere un nome di fantasia accettabile) non
arriverà mai, o peggio, causa una irrefrenabile tendenza delle
persone a complicare le cose semplici, sprofondando nel grottesco,
ARRIVERA’, si chiamerà per l’appunto Paxlovid e sarà disponibile ma
talmente in RITARDO, causa una assurda normativa, da risultare
inutile tanto quanto un NON PERVENUTO, e senza che nessuno
faccia una qualsiasi azione eclatante per smuovere la situazione.
Eh già! Perché piaccia o meno, siamo alle solite. Il Virologo F.
Broccolo dell’Università di Milano Bicocca, sintetizza, si fa per dire,
l’intero iter per accaparrarsi questa terapia antivirale così: “Ci
vogliono circa due giorni prima che il paziente abbia il referto del
tampone, dopodiché deve rivolgersi al medico di base (o anche ad
una Usca) il quale a sua volta dovrà mettersi in contatto con il
reparto di Malattie infettive dell'ospedale, dove il farmaco potra’
essere prescritto e somministrato da”alle sole Farmacie Ospedaliere.
Insomma, si tratta di una normativa burocratica, a cui purtroppo
siamo ormai avvezzi, che rischia di rendere inutilizzabili farmaci
vitali, e per altro già anche acquistati causa ristrettezza dei tempi.
Già me la vedo l’indignazione (sacrosanta) di chi scriverà a proposito
di soldi spesi nell'acquisto di farmaci “inutili” perché non utilizzabili:
“shame in you”, a catinelle insomma.

Del resto, già ad inizio Aprile 2022, il presidente della Federazione


nazionale degli ordini dei medici Filippo Anelli, si era così espresso:
“Un iter così complesso, infatti, rischia di far slittare i tempi
pericolosamente, rallentando l’accesso ai farmaci. Chiediamo che i
percorsi siano semplificati in modo tale da poter iniziare quanto
prima possibile il trattamento ed ora aspettiamo lo convocazione ad
un tavolo da parte di AIFA”: (https://www.quotidianosanita.it/scienza-
e-farmaci/articolo.php?articolo_id=102184 $). Lascio intuire come sia
finita la trattativa.

Gia! La vicenda dei Mab, sia pure con i dovuti distinguo, pare proprio
non abbia insegnato nulla:
(https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/07/monoclonali-indagine-
della-corte-dei-conti-aifa- rifiuto-i-farmaci-gratis-poi-li-compro-
dopo-un-anno-il-fascicolo-sullo-scoop-del-fatto/6346288/).
Pare proprio, che ancora una volta, per evitare un eccesso di
prescrizione, si sia optato per il male minore ma assolutamente
fallimentare, “boicottando” la prescrivibilità, nonostante la politica
abbia stanziato i fondi ed acquistato il farmaco. In fondo, cosa volete
che sia se, per quanto riguarda Paxlovid “l’Italia ha opzionato
600mila trattamenti per un anno ma in un mese ne sono stati
prescritti solo per 2.072 pazienti?!”. E le cose di certo non vanno
meglio per molnupiravir di Merck & Co. Chapeau! Vorrà dire che
questo tipo di “sistema”, da qualche parte, garba a molti.

(https://www.quotidianosanita.it/governo-e-
parlamento/articolo.php?articolo_id=103387).
Capitolo 47

ADUCANUMAB: DELLA
SERIE METTERCI UNA
PEZZA E
FARE UNA TOPPA
PEGGIORE DEL BUCO

Come è ovvio che sia, il sonoro “ceffone” sferrato dal CSM, il Centers
for Medicare & Medicaid Services, al travagliato farmaco Aduhelm di
Biogen ha lasciato un gran bel segno, per cui la domanda che sorge
spontanea è:... e adesso?
Ma andiamo con ordine. All’incirca un anno fa scrivevo sul Blog
questo post in cui riportavo come l’FDA avesse approvato
l’anticorpo monoclonale aducanumab, grazie ad una “approvazione
accelerata”, per il trattamento del morbo di Alzheimer:
[https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/06/alzheimer-fda-approva-
aducanumab-ci.html]

nonostante il parere contrario del panel dei consulenti indipendenti


della stessa FDA (fatto che definire inusuale è un eufemismo, dal
momento che non è mai accaduto in passato). Da allora di acqua e
fango, soprattutto fango, ne sono passati sotto i ponti.
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/06/alzheimer-fda-approva-
aducanumab-ci.html.

Vediamo il perché. Per farla semplice l’FDA ha elaborato pari pari


questo semplice ragionamento con l’azienda produttrice: io ti faccio
passare il farmaco grazie ad una “approvazione accelerata” sulla
base della “soddisfazione” di un endpoint SECONDARIO quale la
riduzione dose e tempo-dipendente della placca amiloide- beta,
mentre tu (leggi Biogen) ti impegni a proseguire i trials per
dimostrarne l'utilità clinica (endpoint primario).

Ma il problema stava proprio qui purtroppo, dal momento che


l’elenco dei farmaci in sperimentazione che riducono la placca
amiloide di certo non è scarso e sono gli stesi farmaci che il
beneficio clinico non lo vedono nemmeno con l’aiuto di un binocolo
per cui la frase che in quel periodo andavava per la maggiore su
EndpointNews era:...”Hoi!!!!...perché quello sì mentre il mio, che in
pratica ha il medesimo effetto, no?”
Ed intanto, del beneficio clinico risultante dai trials richiesti a
Biogen, ancora manco l’ombra!

Bhe, parrebbe proprio che tutta questa faccenda abbia più ombre
che luci e qui potrete approfondire tutta la narrazione
(https://www.msn.com/en-us/news/us/inside-e2-80- 98project-onyx-
e2-80-99-how-biogen-used-an-fda-back-channel-to-win-approval-
of-its-polarizing-alzheimer-e2-80- 99s-drug/ar-AALzzpL) e di certo la
figura di Billy Dunn, direttore dell'ufficio delle neuroscienze dell'Fda,
non ne esce proprio immacolata. Mentre resta inciso sulla pietra che
il panel dei consulenti indipendenti di FDA ha concordato
clamorosamente, fin dall’inizio, che non c'erano prove sufficienti a
suffragare una chiara efficacia clinica.

A mettere la ciliegina sulla torta ci ha pensato comunque il Centers


for Medicare & Medicaid Services, che, confermando la loro
posizione restrittiva, hanno limitato la copertura dell’impiego del
monoclonale aducanumab, commercialmente Aduhelm di Biogen,
per il trattamento del morbo di Alzheimer, ai soli pazienti arruolati in
studi clinici randomizzati.

A questo punto, è tempo che lo sviluppatore del farmaco, Biogen


appunto, ripensi alle decisioni da adottare, incluso, come suggerisce
un analista, la rinuncia alla commercializzazione. Suonano infatti
molto “dure” le parole pronunciate in una nota lo scorso giovedì
dall’analista di Piper Sandler, Christopher Raymond: “ In molti
speravano in un risvolto migliore, ma ora, l’ultimo barlume di
speranza per Aduhelm è svanito”.
Lo stesso articolo potrà esserlo letto qui:
https://www.facebook.com/groups/878179696471899/posts/88523122
5766746/
Capitolo 48

SARS-COV-2: ANALISI
DELLA TRASMISSIONE
PER VIA
AEREA DELLE INFEZIONI
RESPIRATORIE VIRALI

Lo scopo di questo mio post è quello di analizzare e possibilmente


chiarire ciò che all'inizio della pandemia, è sempre stato negato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero che il SARS-CoV-2
non si trasmetteva attraverso l'aria.
Un errore ora corretto che per troppo tempo ha contribuito a
generare confusione alimentando dubbi ingiustificati.
(https://www.scienzainrete.it/articolo/perché-loms-ha-impiegato-
tanto-riconoscere-che- sars-cov-2-si-trasmette-aerea/chiara-sabelli )

Nel secolo scorso si pensava che i virus che si trasmettono per via
aerea si diffondessero principalmente attraverso i DROPLETS,
goccioline (che per chi non ha dimestichezza con il vocabolario
esterofono, da ora definirò come tali) di “grandi” dimensioni
prodotte dalla tosse e dagli starnuti di individui infetti che entrano
in contatto con gli occhi, il naso o le mucose della bocca di ospiti
potenziali o che, depositandosi su superfici, vengono poi in contatto
con altre persone. Si presupponeva inoltre che queste goccioline
cadessero a terra nel raggio di 1 o 2 m dalla persona infetta e questo
rappresentava il presupposto da cui partire per raccomandare, da
parte della maggior parte delle agenzie di sanità pubblica, di
mantenere un determinato distanziamento di sicurezza

La trasmissione per via aerea si attua anche attraverso l’inalazione di


aerosol infettivi (particelle che evaporano nell'aria) o di goccioline di
dimensioni inferiori a 5 μm in grado di percorrere distanze di
almeno 1 o 2 m a partire dalla fonte di infezione.
Gli aerosol sono particelle microscopiche liquide, solide o semisolide
così piccole da rimanere sospese nell'aria. Gli aerosol respiratori
vengono prodotti durante la fisiologica respirazione, il parlare, il
cantare, il gridare, il tossire e lo starnutire sia da parte di individui
sani che da parte di coloro che risultano infettivi.
Le meno recenti conoscenze sulla trasmissione virale per via aerea
ignoravano il fatto che gli aerosol potessero essere inalati anche a
distanza ravvicinata da una persona infetta, dove il contagio è più
probabile perché gli aerosol espirati sono più concentrati quando
sono maggiormente vicino alla persona che li emette.
Recentemente è stato proposto, che la distinzione in relazione alle
dimensioni tra aerosol e goccioline dovrebbe essere aggiornata a
100 μm in luogo dei 5 μm, dal momento che si deve tener conto
anche del comportamento aerodinamico. Nello specifico, 100 μm
rappresentano le particelle più grandi che possono essere inalate
rimanendo sospese nell'aria ferma per un tempo > 5 s e da
un'altezza di 1,5 m, dopo aver percorso una distanza di 1 m dalla
persona infetta. Nonostante le goccioline prodotte tossendo o
starnutendo da un individuo infetto possano trasmettere l'infezione
a brevi distanze (<0,5 m), il numero e la carica virale degli aerosol
prodotti attraverso il parlare e altre attività espiratorie sono molto
più elevati di quelli delle goccioline. Gli aerosol sono abbastanza
piccoli da rimanere nell'aria, accumularsi in spazi scarsamente
ventilati ed essere inalati sia a breve che a lunga distanza.

Prima del XX secolo, si pensava che le malattie infettive respiratorie


si diffondessero tramite quelle che erano definite “particelle
pestilenziali" rilasciate da parte di soggetti infetti. Questa
interpretazione fu confutata all'inizio del 1900 da Charles Chapin, il
quale sosteneva che fosse il contatto l’elemento principale per la
trasmissione delle malattie respiratorie essendo preoccupato del
fatto che menzionando il concetto di trasmissione per via aerea si
sarebbe contribuito non solo a spaventare le persone ma anche a
modificare le ormai acquisite abitudini igieniche. Chapin ha
erroneamente correlato le infezioni a distanza ravvicinata con la sola
trasmissione di goccioline, trascurando il fatto che anche e
sopratutto la trasmissione di aerosol avviene a brevi distanze.
Questa ipotesi non supportata da evidenze si diffuse negli studi
epidemiologici e le strategie da allora attuate per mitigare la
diffusione del virus si concentrarono prevalentemente sul limitare le
cause e la diffusione di tali goccioline.
Ormai, esistono solide prove a sostegno della trasmissione aerea di
molti virus respiratori, tra cui il virus del morbillo, il virus
dell'influenza, il virus respiratorio sinciziale (RSV), il rinovirus umano
(hRV), l’adenovirus, l’enterovirus, il SARS-CoV, il MERS-CoV e il SARS -
CoV-2. Uno studio condotto in ambiente domestico stima che la
trasmissione per via aerea con aerosol rappresenti circa la metà
della trasmissione del virus dell'influenza A ( Aerosol transmission is
an important mode of influenza A virus spread. Nat. Commun. 4,
1935 2013 ). Un ulteriore studio sulla trasmissione del rinovirus
conclude che gli aerosol rappresentano probabilmente la modalità
di trasmissione dominante ( Aerosol transmission of rhinovirus
colds. J. Infect. Dis. 156, 442–448 1987 ). L'analisi delle emissioni
respiratorie durante l'infezione da virus influenzale, virus
parainfluenzale, RSV, metapneumovirus umano e hRV ha rivelato la
presenza in maggiore quantità di genomi virali in aerosol <5 μm
piuttosto che in aerosol più grandi mentre studi di laboratorio
hanno scoperto che SARS-CoV- 2 aerosolizzato ha un'emivita di
circa 1-3 ore. Ad aprile e maggio 2021 l'Organizzazione mondiale
della sanità (OMS) ed il CDC hanno ufficialmente dichiarato
l'inalazione di aerosol carichi di virus a breve e/o lunga distanza
come la modalità principale per la diffusione del SARS-CoV-2
https://www.cdc.gov/coronavirus/2019- ncov/science/science-
briefs/sars-cov-2-transmission.html.

Un recente modello matematico evidenzia come l’inalazione di


aerosol carichi di patogeni sia determinante nel processo di
trasmissione quando le persone si vengono a trovare entro 2 m
dalla persona infetta mentre le goccioline lo sono solo quando gli
individui si trovano entro 0,2 m quando parlano o 0,5 m quando
tossiscono.
Secondo le informazioni fornite dal CDC, linkato poco sopra, le
modalità principali con cui le persone vengono infettate dal SARS-
CoV-2 sono tre: (1) inalazione di goccioline respiratorie molto fini ed
aerosol. In questo caso il rischio di trasmissione è maggiore entro 3-
6 piedi da una fonte infettiva dove la concentrazione di queste
goccioline ed aerosol è maggiore., (2) deposizione di goccioline ed
aerosol mediante schizzi e spruzzi diretti sulle membrane mucose
esposte nella bocca, nel naso o negli occhi. Anche in questo caso il
rischio di trasmissione è maggiore in prossimità di una fonte
infettiva dove la concentrazione delle goccioline e degli aerosol è
maggiore e (3 ) contatto delle mucose con le mani o le superfici che
siano state esposte al contagio con il virus.

A ciò si aggiunge l’evidenza che il rischio di infezione da SARS-Cov-2


varia in base alla quantità di virus a cui una persona è esposta per
cui una volta che le goccioline e gli aerosol vengono espirati,
tendono a spostarsi verso l'esterno rispetto la sorgente di contagio;
dunque il rischio di infezione diminuisce con l'aumentare della
distanza dalla sorgente e con l'aumentare del tempo entro cui è
avvenuta l'espirazione. I fattori principali che determinano la carica
virale a cui un soggetto può essere esposto sono:

1. La diminuzione della concentrazione del virus nell'aria man mano


che le goccioline respiratorie più grandi e pesanti contenenti il virus
cadono a terra o su altre superfici a causa la forza di gravità.

2. I fattori ambientali come temperatura, umidità e radiazioni


ultraviolette (ad esempio la luce solare) influenzano la progressiva
perdita della carica virale e della capacità di infettare nel tempo.
Una ulteriore informazione divulgata dalla nota del CDC è che la
trasmissione di SARS-Cov-2 può avvenire attraverso l’inalazione del
virus nell’aria quando ci si ritrova a più di sei piedi dalla fonte
infettiva.

E’ un dato assodato che aumento della distanza dalla sorgente


infettiva ed attività inalatoria siano direttamente proporzionali. Le
infezioni per inalazione, a distanze da una fonte infettiva superiori a
sei piedi, risultano meno probabili che a distanze inferiori e questo
fenomeno è stato ripetutamente documentato. Secondo i rapporti
pubblicati, i fattori che aumentano il rischio di infezione da SARS-
CoV-2 in queste determinate circostanze includono:

a) Spazi chiusi con ventilazione o trattamento dell'aria inadeguati,


all'interno dei quali la concentrazione sia di goccioline molto fini che
di aerosol, possono facilmente accumularsi.

b) Aumento dell'espirazione quando il soggetto infetto è impegnata


in uno sforzo fisico o alza la voce e grida.

c) Esposizione prolungata ( in genere più di 15 minuti ) a queste


condizioni.

Per quanto concerne la nota relativa alla prevenzione della


trasmissione del SARS- Cov-2, il CDC rimarca come non sia ancora
stata stabilita precisamente la dose infettiva del virus sufficiente e
necessaria per trasmettere l’infezione.
Ciò che pare confermato è che la trasmissione da superfici
contaminate, non contribuisce in modo sostanziale alla diffusione di
nuove infezioni, e sebbene permangano ancora lacune
sull’argomento, le conoscenze disponibili, ad oggi, continuano a
dimostrare che le raccomandazioni esistenti per prevenire la
trasmissione di SARS-CoV-2, ossia il distanziamento fisico, l’utilizzo
di mascherine ed una adeguata ventilazione negli spazi interni,
rimangono le precauzioni più efficaci.

Esaurito il documento proposto dal CDC, continuo nell’analisi


tracciata sino ad ora. All’inizio della pandemia, basandosi sul fatto
che l’R° fosse “relativamente” basso, se comparato con quello del
morbillo, si presumeva che le goccioline e i fomiti fossero le
principali vie di trasmissione. Ricordo che l’R°, noto come “numero
di riproduzione di base”, rappresenta il numero medio di infezioni
secondarie trasmesse da ciascun individuo infetto in una
popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto
con il nuovo patogeno. Tale presunzione trovava radici nella
convinzione che tutte le patologie trasmissibili per via aerea,
dovevano essere forzatamente altamente contagiose.

Tuttavia, ora sappiamo che non esiste una evidenza scientifica che
supporti una tale convinzione perché le malattie trasmesse per via
aerea sono caratterizzate da un range di valori di R°, che non può
essere “riassunto” da un singolo valore medio, dal momento che
dipende da numerosi fattori. Un esempio può chiarire meglio il
concetto, per cui la tubercolosi, che ha un R° che oscilla tra 0,26 e
4,3, pur essendo un’infezione batterica a trasmissione aerea, risulta
meno trasmissibile della Covid- 19 che ha un range di R° compreso
tra 1,4 e 8,9.

I fattori che influenzano la trasmissione per via aerea includono la


carica virale delle particelle respiratorie di dimensioni diverse, la
stabilità del virus all’interno degli aerosol e la relazione dose-risposta
per ciascun tipo di virus.
Ovviamente la trasmissione aerea di SARS-CoV-2 dipende anche
dalle caratteristiche degli ambienti interni, soprattutto quando
scarsamente ventilati e ciò vale esclusivamente per gli aerosol e
l’unico fattore che accomuna tutte le persone quando si ritrovano in
ambienti interni, affollati, scarsamente ventilati, per un periodo
superiore all’ora ed in mancanza di mascherine è l’aria condivisa ed
inalata.

Affinché si verifichi la trasmissione per via aerea, gli aerosol devono


essere generati, trasportati attraverso l'aria, inalati da un ospite
suscettibile e depositati nel tratto respiratorio ed il virus deve
mantenere la sua capacità infettante durante tutti e tre questi
momenti. Analizziamo più nel dettaglio come si generano aerosol
carichi di virus.

La normale espirazione genera aerosol in diversi punti del tratto


respiratorio e con meccanismi distinti. Gli aerosol prodotti da attività
come respirare, parlare e tossire hanno diverse dimensioni e velocità
di flusso nell’aria che determinano la carica virale che ciascuna
particella di aerosol può trasportare, il tempo di permanenza
nell'aria, la distanza percorsa, ed infine i siti del tratto respiratorio in
cui si depositano. Gli aerosol rilasciati da un individuo infetto
possono contenere virus nonché elettroliti, proteine, tensioattivi e
altri componenti.

Siti in cui si formano gli aerosol

Gli aerosol respiratori possono essere classificati in aerosol alveolari,


bronchiolari, bronchiali, laringei e orali, a seconda ovviamente dei
siti in cui vengono prodotti.
Gli aerosol bronchiolari si formano durante la normale respirazione.
Durante l'espirazione, il film liquido che riveste le superfici dei
bronchioli si rompe per produrre piccoli aerosol. Gli aerosol laringei
sono generati dalle vibrazioni delle corde vocali durante la
vocalizzazione. Al contrario, le goccioline (>100 μm) sono prodotte
principalmente dalla saliva nella cavità orale.

Dimensioni e distribuzione degli aerosol.

La dimensione degli aerosol prodotti è una caratteristica


importante perché influisce sulle peculiarità aerodinamiche, sui
meccanismi di deposito e sui possibili siti dì infezione. È stato
dimostrato che la respirazione normale rilascia fino a 7200 particelle
di aerosol per litro di aria espirata. Il numero di aerosol carichi di
virus emessi dalle persone durante la respirazione varia
ampiamente tra gli individui e dipende dallo stadio della malattia,
dall'età, dall'indice di massa corporea e dalle condizioni di salute
preesistenti. I bambini generalmente producono meno aerosol
carichi di virus rispetto agli adulti perché i loro polmoni sono ancora
in via di sviluppo e hanno meno bronchioli e alveoli in cui possono
formarsi gli aerosol.

Uno studio ha mostrato che 1 minuto di conversazione può produrre


almeno 1000 aerosol. Sebbene la tosse possa produrre più aerosol in
un breve lasso di tempo, è molto meno frequente del normale moto
respiratorio e delle comuni attività quali il parlare, il respirare ecc ,
specialmente per le persone infette che non mostrano sintomi
clinici, e che per questi motivi rilasceranno un numero maggiore di
aerosol.

Contenuto virale degli aerosol.


La carica virale degli aerosol è un fattore determinante per
comprendere quanto questa possa contribuire alla trasmissione per
via aerea. Tuttavia, il campionamento e il rilevamento dei virus
nell'aria sono difficili a causa delle loro basse concentrazioni nell'aria
e della facilità con cui possono essere inattivati durante la procedura
di campionamento condotta attraverso test di reazione a catena
della polimerasi (PCR) o con la metodica di real-time RT-PCR
(Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction). Sia chiaro che,
la sola presenza di materiale genetico, non è sufficiente per
determinare che il virus sia infettivo. Quanto i virus possano risultare
attivi e potenzialmente infettivi durante la fase di campionamento
della carica virale, dipende dall'integrità del genoma, delle
nucleoproteine, del capside e dei capsomeri. Questo studio ( Viable
SARS-CoV-2 in the air of a hospital room with COVID-19 patients. Int.
J. Infect. Dis. 100, 476–482 / 2020 ) rileva come la concentrazione di
SARS-CoV-2 nell'aria di una stanza d'ospedale con due pazienti
COVID-19 fosse compresa tra 6 e 74 TCID50 per litro (TCID50 = unità
di misura che fornisce la quantità di virus necessaria per distruggere
o causare qualsiasi altro tipo di effetto citopatico nel 50% delle
cellule o colture infettate).

Sebbene i virus dotati di carica virale abbondino in piccoli aerosol,


resta da chiarire quale sia la relazione dose-risposta che determina
la probabilità di infezione dopo esposizione a un certo numero di
virioni. In un ospite suscettibile, la dose infettiva minima varia in
base al tipo di virus e al sito nel tratto respiratorio in cui si deposita e
ciò fa sì che l'inalazione di aerosol più piccoli che si depositano più in
profondità nei polmoni possano richiedere meno virus per essere in
grado di infettare.
Caratteristiche e comportamenti degli aerosol con carica virale
nell’ambiente:
Le caratteristiche fisiche degli aerosol influenzano il modo con cui
vengono trasportati nell'aria. La velocità iniziale con cui gli aerosol
sono espirati dipende da come vengono generati e
successivamente rilasciati all'interno delle vie respiratorie; ad
esempio, la tosse produce goccioline e aerosol rilasciati ad una
velocità più elevate rispetto a quanto avviene quando si parla
normalmente. Il trasporto di aerosol è controllato da un mix di
fattori che comprendono le caratteristiche che influenzano il flusso
dell’aria ( moto browniano e le forze gravitazionali, elettroforetiche e
termoforetiche ), alcune proprietà ambientali come temperatura,
umidità e radiazioni ultraviolette (UV) e le stesse caratteristiche
fisiche degli aerosol.
Le dimensioni degli aerosol espirati che rimangono nell'aria
cambiano nel tempo a causa dell'evaporazione e/o del loro deposito.
Dal momento che gli aerosol respiratori contengono componenti
non volatili tra cui proteine, elettroliti e altre specie biologiche, la
velocità di evaporazione è più lenta di quella dell'acqua. Durante
l'evaporazione, gli aerosol sono soggetti a cambiamenti di fase,
morfologia, viscosità e pH ed i cambiamenti nelle caratteristiche
fisiche degli aerosol influenzano il trasporto e il destino di tutti i
virus contenuti al loro interno nonché la relativa carica virale. Una
ulteriore importante considerazione è che il tempo di permanenza
degli aerosol carichi di virus nell'aria è cruciale nel determinare il
loro raggio di diffusione. In assenza di altre forze, il tempo di
permanenza di un aerosol di una determinata dimensione è
correlato alla sua velocità di sedimentazione finale, risultante
dall’equilibrio tra la forza di resistenza viscosa e la forza
gravitazionale, così come descritto dalla legge di Stokes per le
piccole particelle soggetto a flusso laminare.
Quando l’aria è in uno stato di quiete (aria ferma) un aerosol di 5
μm impiega 33 minuti per depositarsi al suolo da un'altezza di
1,5 m, mentre un aerosol di 1 μm può rimanere sospeso nell'aria
per un tempo superiore alle 12 ore. Ma noi non viviamo
all’interno di un modello ideale e precostituito, bensì reale, per
cui dobbiamo prendere in considerazione la velocità del flusso
dell’aria circostante.

La distanza che gli aerosol con carica virale sono in grado di


percorre dipende dalle dimensioni dell'aerosol, dalla velocità
iniziale del flusso che li trasporta e da altre condizioni
ambientali, come la velocità del vento, se ci si trova
nell’ambiente esterno, o le correnti d'aria interne prodotte dalla
ventilazione naturale, dal riscaldamento o dall’aerazione con aria
condizionata. La concentrazione degli aerosol espirati risulta
essere massima vicino alla fonte (cioè l'individuo infetto) e
diminuisce man mano che ci si allontana. Mentre quelle che
abbiamo definito come goccioline di grandi dimensioni
tendono a raggiungere rapidamente le distanze orizzontali
massime percorribili ed a cadere a terra o sulle superfici entro
pochi metri, gli aerosol possono rimanere sospesi per molti
secondi se non addirittura per ore, percorrendo lunghe distanze
ed accumulandosi nell'aria all’interno di spazi scarsamente
ventilati.

Quali sono i fattori ambientali che influenzano gli aerosol.

Temperatura: Evidenze epidemiologiche e studi sugli animali


suggeriscono che la trasmissione di virus respiratori in grado di
infettare le vie aeree superiori è favorita dalle basse temperature.
Umidità relativa: L'umidità relativa (UR) è in grado di influenzare il
trasporto dei virus e della relativa carica virale. La relazione tra UR e
capacità infettiva, sia nelle goccioline che negli aerosol, dipende
dalle proprietà fisico-chimiche intrinseche del virus e dalle
caratteristiche dall'ambiente circostante.
Radiazioni UV: L'irradiazione con luce UV è stata per lungo tempo
considerata come un approccio efficace per inattivare i virus a
trasmissione aerea, inclusi il virus dell'influenza, il SARS-CoV e altri
coronavirus umani. Il meccanismo con cui esplicherebbero
quest’azione si ritrova nella capacità di danneggiare il materiale
genetico del virus, sino a condurlo all’inattivazione.

Anche il flusso dell’aria, la ventilazione e la relativa filtrazione


rientrano nell’elenco di questi fattori.

Come si depositano gli aerosol carichi di virus:

Una volta inalati, gli aerosol dotati di carica virale sono in grado di
depositarsi nel tratto respiratorio di un ospite potenziale. Ancora
una volta la dimensione degli aerosol è fondamentale per
determinare il luogo in cui il virus si depositerà, non tralasciando
che anche numerosi fattori (quali l’anatomia delle vie aeree)
piuttosto che non fisiologici o aerodinamici, influenzino anche il
modello con cui questi si depositano.
Il modo con cui gli aerosol si depositano nei polmoni di soggetti
ammalati o assolutamente sani, differisce in base ai mutamenti che
avvengono a carico della struttura delle vie aeree.Ad esempio, il
flusso dell’aria ed i comportamenti degli aerosol inalati possono
risultare alterati nei soggetti asmatici, a causa dei cambiamenti che
avvengono a carico dell'epitelio del tratto respiratorio, così come nei
soggetti con BPCO in seguito al restringimento delle vie aeree
causato appunto dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Ovviamente la quantità di aerosol depositati è maggiore nei
pazienti con BPCO rispetto agli individui sani, parimenti come il
deposito a livello bronchiale è maggiore nei pazienti con asma e
bronchite cronica.
Gli studi suggeriscono anche che la carica virale del SARS-CoV-2 è
più elevata e persiste più a lungo nel tratto inferiore dall’apparato
respiratorio rispetto a quello superiore, dal momento che gli aerosol
prodotti, essendo di dimensioni inferiori ai 5 μm, riescono a
penetrare più facilmente in profondità.

Conclusione:
Innanzitutto non si può differenziare in modo netto tra trasmissione
aerea in un ambiente interno o esterno portando in causa solo i
Droplets poiché questi sono influenzati dalle forze gravitazionali in
modo identico sia all’interno che all’esterno.
Sebbene alcuni studi suggeriscano che la trasmissione per via aerea
non sia una via efficace, in particolare per gli individui asintomatici o
paucisintomatici ( Aerosol persistence in relation to possible
transmission of SARS-CoV-2. Phys. Fluids 32, 107108 anno 2020 ) dal
momento che mostrano basse cariche virali nella loro saliva, la
carica virale negli individui presintomatici è paragonabile a quella
dei pazienti sintomatici ( SARS-CoV-2 viral load in upper respiratory
specimens of infected patients. N. Engl. J. Med. 382, 1177–1179 (2020)
e SARS-CoV-2 detection, viral load and infectivity over the course of
an infection. J. Infect. 81, 357–371 anno 2020).
È importante soprattutto potenziare le precauzioni in grado di
proteggere dall'esposizione preventiva di aerosol con carica virale
prodotti quando gli individui, senza essere coscienti di essere
infettivi dal momento che non mostrano alcun sintomo, parlano,
cantano o semplicemente svolgono le normali attività . Poiché
questi soggetti non sanno di essere infetti, generalmente
continuano a far vita sociale, contribuendo in tal modo ad una
diffusione inconsapevole dell’infezione.

L’utilizzo di mascherine è un modo efficace ed economico per


bloccare gli aerosol carichi di virus (Reducing transmission of SARS-
CoV-2. Science 368, 1422–1424 anno 2020). Le simulazioni nei modelli
studiati dimostrano che le mascherine prevengono efficacemente
la trasmissione asintomatica e riducono il numero totale di individui
infetti e la mortalità a causa della COVID-19 (To mask or not to mask:
Modeling the potential for face mask use by the general public to
curtail the COVID- 19 pandemic. Infect. Dis. Model. 5, 293–308 anno
2020), e risulta fondamentale ottimizzare la distribuzione di tali
mascherine.
Capitolo 49

IL MICRORGANISMO
INGEGNERIZZATO CHE
PROTEGGE IL
MICROBIOMA
INTESTINALE DAGLI
ANTIBIOTICI

Come è inevitabile che sia, gli antibiotici ad ampio spettro


aggrediscono sì molti batteri, senza però risparmiare anche quelli
presenti nel corredo del nostro microbioma intestinale con il
risultato controproducente di causare uno squilibrio in grado di
interferire sullo stato di benessere dell'intestino.
Alcuni ricercatori stanno progettando microrganismi capaci di
produrre un enzima in grado di degradare gli antibiotici β-lattamici
nell’intestino dei topi senza influenzarne la concentrazione nel
sangue. Questo approccio al problema, dovrebbe proteggere la
normale flora batterica senza interferire con i livelli di antibiotico nel
sangue e riducendo al minimo lo sviluppo della possibile resistenza
agli antibiotici.

Nello specifico, James J. Collins, ingegnere biologico presso il


Massachusetts Institute of Technology e Andrés Cubillos-Ruiz,
ricercatore presso il Wyss Institute for Biologically Inspired
Engineering si sono concentrati sul probiotico Lactococcus lactis
rendendolo idoneo per produrre enzimi chiamati β-lattamasi capaci
di degradare e scomporre una classe chiave di antibiotici che
include la penicillina e l’amoxicillina e classificati come antibiotici β-
lattamici (https://www.nature.com/articles/s41551-022-00871-9 ). Se
qualcuno si domandasse il perché della scelta di questo probiotico,
la risposta è semplice, visto che si trova in molti alimenti e può
essere tranquillamente consumato in grandi quantità.

Le β-lattamasi sono solitamente prodotte da batteri gram-negativi e


restano intrappolate nello spazio compreso tra la membrana
interna e quella esterna (spazio periplasmatico) dei batteri. Ma L.
lactis è un gram-positivo e quindi è sprovvisto di una membrana
esterna capace di trattenere l’enzima e questo fa si che le β-
lattamasi possano in tal modo intercettare e degradare gli
antibiotici nell'intestino.

Ma come è stato possibile ingegnerizzare Il Lactococcus lactis per


produrre una β- lattamasi? Semplicemente (si fa per dire)
facendogli produrre una β-lattamasi sotto forma di due “frammenti”
inattivi.
Ogni frammento è stato poi collegato a domini proteici in modo da
formare tra di loro dei legami covalenti per poi essere secreti
all’esterno della cellula e qui i domini di formazione dei legami
covalenti, hanno contribuito a riunire i frammenti enzimatici, in
modo tale che si potessero riassemblare in una conformazione
attiva capace di degradare gli antibiotici β- lattamici.

Secondo l’opinione di Nathan Crook, un ingegnere che da anni


studia il microbioma intestinale presso la North Carolina State
University, si tratterebbe di una soluzione intelligente ad un
problema molto importante e frequente. In effetti, dividendo in due
frammenti un gene responsabile della genesi della resistenza agli
antibiotici in modo tale che al di fuori della cellula possano poi
formare un’altra serie di enzimi attivi, si possono prendere, come si
suol dire, due piccioni con una fava.

Da un lato si riduce la concentrazione di antibiotici nell'intestino,


dall’altro si ottiene questo obiettivo utilizzando un batterio
ingegnerizzato che di per sé non è resistente all'antibiotico né è in
grado di trasferire entrambi i frammenti genici generati a nessun
altro tipo di microrganismo.
Capitolo 50

HYBRID
IMMUNITY

Ho pensato di rispolverare, un articolo che scrissi tra Novembre e


Dicembre dello scorso anno, quando questa definizione era solo
lontanamente oggetto di discussione e comunque ben prima che
“The Lancet” confermasse con questo recentissimo studio
(https://www.thelancet.com/.../PIIS1473-3099(22.../fulltext $), quanto
la cosiddetta Immunità Ibrida, possa conferire un maggior grado di
protezione nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2. L’intento è
ovviamente cercare di comunicare come ciò possa accadere e
perché.
Il grado di immunità nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 è
una questione molto importante nonché molto dibattuta. L’intero
impianto del nostro sistema immunitario è un argomento molto
complesso che spazia dall’immunità naturale che si ottiene in
conseguenza dell'infezione e l'immunità indotta invece dal vaccino.
A tutto ciò, ovviamente, si aggiunge l’interrogativo su quali siano le
caratteristiche dell’immunità che si manifesta nei soggetti dotati di
immunità naturale (lo ricordo per l’ennesima volta, perché hanno
già sviluppato l’infezione) e poi successivamente vaccinati.

Ebbene sì, sto parlando di quella che per definizione viene descritta
come “Immunità Ibrida” in virtù della quale le persone che hanno
contratto una precedente infezione da SARS-CoV-2, sono in grado di
sviluppare risposte immunitarie insolitamente “potenti” se
successivamente vaccinate.

Sia chiaro una volta per tutte, in questo piccolo spazio che mi
ritaglio, non debbo capitalizzare approvazioni o altre forme di
consenso, semplicemente mi preme contribuire nel mio piccolo e
con tutta l’umiltà di questo mondo, ad avere qualche argomento
(non opinione, perché la differenza è sostanziale e sterile, se non
suffragata da dati e numeri ripetuti e ripetibili), da comunicare e
dando del mio meglio per farlo nel modo migliore possibile,
ovviamente dal mio punto di vista. . Se poi, ci sono i presupposti per
un sano, educato, dibattito, tanto meglio.

Ritornando a bomba, possiamo scrivere di Super Immunità al


Covid? Ne esistono i presupposti? Nel fantasmagorico nonché
variegato mondo delle ricerche su Google, soprattutto quelle non
fact-check è capitato e capita tutt’ora di leggere di tutto, o quasi.
In questo momento, sarebbe curioso, sapere in quanti si ricordino o
abbiano mai avuto menzione di questi due nominativi: Theodora
Hatziioannou e Paul Bieniasz. Parafrasando al plurale il Manzoni,
“Theodora Hatziioannou e Paul Bieniasz! Chi sono costoro?”

Facendo riferimento al seguente articolo apparso su Nature


(https://www.nature.com/articles/d41586-021-02795-x $) due virologi
della Rockefeller University di New York che si sono proposti
l’obiettivo di produrre una versione della componente chiave, nel
meccanismo di infezione, della proteina del SARS-CoV-2, in grado di
eludere la risposta di tutti gli anticorpi prodotti dal nostro
organismo, in corso di infezione.

La loro intenzione era quella di identificare le parti della Spike - la


proteina che il SARS-CoV-2 usa per infettare le cellule, che risultano
essere bersagliate dai nostri anticorpi neutralizzanti per riuscire a
“mappare” la componente fondamentale dell'attacco del nostro
corpo al virus.

I risultati di tale ricerca sono riportati nello studio pubblicato a


Settembre sempre su Nature :
(https://www.nature.com/articles/s41586-021-04005-0) in cui i due
Autori riflettono sul fatto che mentre il mondo mantiene una
strenua attenzione sulla possibile comparsa di nuove varianti del
coronavirus con la capacità di eludere le nostre difese immunitarie,
ci si possa anche trovare di fronte ad una sorta di "super- immunità”.
L’aspettativa dei ricercatori sarebbe quella per cui, mappando le
differenze tra la protezione immunitaria che deriva dall'infezione
rispetto a quella conseguente la vaccinazione, si possa scoprire e
tracciare un percorso decisamente sicuro verso questo livello di
protezione più elevato.
Gran parte di quanto sino ad ora proposto trova una sua ragione in
due studi e precisamente L. Stamatatos et al., Science 372, 1413
(2021) e C. J. Reynolds et al., Science 372, 1418 (2021) in cui si
evidenziano anche le risposte immunitarie naturali e quelle indotte
dal vaccino per contrastare le varianti.
Come ho già avuto modo di scrivere più volte, l’immunità naturale e
l'immunità secondaria al vaccino, rappresentano due diversi
meccanismi di protezione. L’intero impianto del nostro Sistema
Immunitario Adattivo altresì definito come Immunità Specifica,
ovvero quel tipo di Immunità che viene attivata secondariamente
dal Sistema dell’Immunità Innata, riconosce 3 attori principali: i
Linfociti B (da cui prendono origine gli anticorpi), le Cellule T CD4+
(Linfociti helper) e le Cellule T CD8+.

Allo stato attuale, quel che sappiamo è che il grado di memoria


immunologica nei confronti del SARS-CoV-2 è stata osservata per
più di 8 mesi per le cellule T CD4+, T CD8+, Linfociti B e per gli
anticorpi , con un declino relativamente graduale che sembra in
parte stabilizzarsi entro un anno.

La domanda centrale su cui occorre focalizzare l’attenzione è: cosa


accade quando vengono vaccinati individui che hanno contratto
precedentemente l’infezione? Le conclusioni che si possono
raccogliere, sulla base di numerosi studi condotti in merito, sono
che si possa generare, con un'impressionante sinergia, una sorta di
“Hybrid Vigor Immunity" come prodotto della combinazione tra
l’immunità naturale e l’immunità generata dal vaccino per cui ci si
ritrova innanzi ad una risposta immunitaria più ampia del
previsto.Quello che appare assodato è che nella definizione di
Immunità Ibrida, sia i Linfociti B che quelli T, giocano un ruolo
fondamentale.
Un quesito importante sull'immunità mediata da anticorpi nei
confronti delle cosiddette “Varianti Preoccupanti” o VOC è se la
riduzione degli anticorpi neutralizzanti è causata dalla capacità
dell’antigene di combinarsi specificatamente con anticorpi e
recettori per l’antigene intrinsecamente bassa da parte delle VOC
(bassa antigienicità). Tradotto, è particolarmente difficile per i
Linfociti B riconoscere le proteine spike mutate a causa delle
varianti?
La risposta è no! Gli studi sull'infezione naturale con la variante sud
africana o beta B.1.351 ed il ceppo progenitore del virus hanno
dimostrato robuste risposte neutralizzanti gli anticorpi. Nel
momento in cui si era provveduto a vaccinare individui
precedentemente infettati NON a causa della variante B.1.351, si
sono osservate quantità di anticorpi neutralizzanti tale variante,
rispettivamente all’incirca 100 e 25 volte superiori rispetto sia a
quelle prodotte dalla sola infezione, sia dalla sola vaccinazione,
sebbene, appunto, la proteina Spike della B.1.351, non risultasse
coinvolta. ( C. J. Reynolds et al., Science 372, 1418 (2021) e R. R. Goel et
al., Sci. Immunol. 6, eabi6950 2021 ). Complessivamente si può
ragionevolmente affermare, dunque, che, almeno nelle prime fasi
delle osservazioni, una tale potenza e ampiezza di copertura da
parte delle risposte anticorpali riscontrate in seguito alla
vaccinazione di persone precedentemente infettate da SARS-CoV-2
non erano state ipotizzate o previste.
Ma allora perché osserviamo questa marcata attività neutralizzante?
La ragione primaria va ricercata tra le cellule B di memoria che
possiedono due funzioni fondamentali: produrre anticorpi identici
dopo una re-infezione con lo stesso virus e codificare una specie d
libreria delle mutazioni anticorpali, in modo che il nostro organismo
possa disporre di una sorta di “scorta” delle varianti immunologiche.
( Z. Wang et al., bioRxiv 10.1101/2021.05.07.443175 - 2021 ).
Insomma, allo stato attuale delle conoscenze, non scriveremmo
un’eresia se affermassimo che l'aumento degli anticorpi capaci di
neutralizzare la variante, registrato dopo la vaccinazione di soggetti
precedentemente infettate da SARS-CoV- 2 è determinato dal
richiamo delle cellule B di memoria qualitativamente molto elevate,
generate precedentemente a seguito di una infezione primaria.

Per chi pensava che fosse tutto finito qui, mi spiace deludere, ma,
per cercare almeno di farsi una ragione del concetto di immunità
ibrida, occorre metabolizzare anche qualche altro elemento.

Anche le cellule T sono necessarie per la generazione delle diverse


cellule B di memoria e l’aiuto delle cellule T alle cellule B
rappresenta un aspetto fondamentale dell'immunità adattativa e
della generazione della memoria immunologica. In particolare, le
Cellule T CD4 helper follicolari (TFH) rappresentano elementi
imprescindibili.

Ricapitoliamo: le cellule T e le cellule B lavorano all’unisono per


determinare la più ampia risposta anticorpale possibile contro le
varianti ed in questo complesso meccanismo le cellule T assumono
un ruolo chiave nella fase di richiamo mentre le cellule B di
memoria non sono in grado di produrre attivamente anticorpi dal
momento che si comportano come cellule quiescenti sino a
quando, in seguito ad una re-infezione, iniziano a sintetizzare
anticorpi.

Secondo gli studi L. Stamatatos et al., Science 372, 1413 (2021) e R. R.


Goel et al., Sci. Immunol. 6, eabi6950 (2021), già riportati, le cellule B
di memoria aumentano da 5 a 10 volte nel corso della cosiddetta
“Immunità Ibrida” rispetto a ciò che accade con la sola infezione
naturale o la sola vaccinazione.
Il nostro sistema immunitario tratta qualsiasi nuova tipologia di
esposizione, sia essa un'infezione piuttosto che non la conseguenza
di una vaccinazione, quasi conducendo un'analisi della “minaccia” in
termini di costi-benefici tra l'entità della memoria immunologica da
generare e quella da mantenere. Invero, a dispetto di qualsiasi
analisi vale sempre una regola empirica di vecchia data secondo la
quale le esposizioni ripetute sono riconosciute, come quelle dotate
di maggiore attività.
Da qui la raccomandazione dei regimi vaccinali suddivisi in due o
tre somministrazioni.( nota a margine per chi all’insofferenza
propone un improduttivo spirito competitivo, ostentando la
spavalda certezza che, fatte le due somministrazioni, non ne farà
altre, quasi avesse fatto un piacere a qualcuno, se non a se stesso ).
A questo punto è chiaro che nell’ambito della Immunità Ibrida si
manifesti un aumento della risposta immunitaria, ma non è così
semplice da definire dal momento che l’entità della risposta
conseguente alla vaccinazione effettuata dopo una infezione già
avvenuta, risulta maggiore rispetto a q quella che si otterrebbe con
la sola somministrazione della seconda dose di vaccino in individui
sani.
Concludendo, l’Immunità Ibrida o Hybrid Immunity da SARS-CoV-2
sembra essere un fenomeno decisamente rilevante. Un esempio
ulteriore per tutti? Il vaccino Shingrix per l'herpes zoster, quando
viene somministrato a persone precedentemente infettate dal virus
della varicella zoster, dimostra una straordinaria efficacia ( circa del
97% ) con un grado elevatissimo di risposta anticorpale, rispetto a
ciò che si otterrebbe, in termini di risposta immunitaria, in
conseguenza della infezione naturale.

(https://www.science.org/doi/10.1126/science.abj2258 ).
Bene...It was a really big bear, you know? ;))

Ovviamente quanto esposto, rappresenta semplicemente un


argomento su cui si pubblica e si dibatte, e mai, in alcun modo deve
rappresentare una sorta di “gara” in cui vince chi si sente protetto
maggiormente perché già precedentemente infettato e
successivamente vaccinato ne tantomeno si vuol far intendere che,
per prassi, “Two is better than one”. Non è una questione
quantitativa, bensì di ragionevolezza nel comprendere, quanto i
vaccini siano estremante utili ed indispensabili anche se si è già
venuti a contatto con la malattia e, forieri, perché no, anche di
qualche vantaggio supplementare, rispetto alla risposta generata
dalla sola immunità naturale. Il che non guasta mai.

Fedele al concetto che tutto quanto ritenuto di impianto scientifico


non è affatto sinonimo di certezza e che può essere invalidato in
qualsiasi momento o meglio ancora migliorato da nuovi contributi,
mi auguro vi sia spazio per esternare domande, perplessità e dubbi
che parimenti alle certezze, riconoscono anch’essi l’errore, sia pure
in forma di consapevole ed onesta ricerca di una alternativa
plausibile.
Capitolo 51

FARMACI RADIOATTIVI
MIRATI (RADIOFARMACI)
ALIMENTANO SPERANZE
PER LA CURA DEL
CANCRO (First Part of
Two)

Il cancro rappresenta la seconda causa di morte nel mondo, e


secondo l’OMS nel 2020 1 decesso su 6 era causato da patologie
oncologiche. Attualmente non è ancora disponibile una cura
risolutiva per cui tutti gli sforzi sono all’unisono indirizzati nello
sfatare questo indesiderato dato di fatto.
Ho scritto, qualche tempo fa, un post sull’argomento qui:

https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/08/cancrocome-resisti-e-
perche.html riportato anche sul gruppo privato di FB:

https://www.facebook.com/groups/878179696471899/posts/87883921
3072614/

Ad attirare l’attenzione, ultimamente, è un particolare tipo di


trattamento oncologico, basato sull’impiego di radio-farmaci anche
definiti radio-coniugati. Questi farmaci sono “costruiti” attorno ad
un isotopo radioattivo che può essere somministrato in sicurezza
dopo essere stato unito ad una molecola “vettrice” in grado di
targhetizzare il bersaglio. Un tipico target è rappresentato ad
esempio, dalle proteine sovra-espresse (proteine presenti sia nelle
cellule sane, sia in quelle tumorali, ma in questo caso in
abbondanza) da parte di alcune cellule tumorali e la cui inibizione
porta a morte queste ultime senza danneggiare quelle sane. Detta
così suonerebbe anche abbastanza semplice, se non fosse che,
purtroppo, per motivi sui quali per ora, e sottolineo “per ora”
preferisco sorvolare, il link tra patologie oncologiche e media, negli
anni, è andato via via deteriorandosi, sulla scia di comunicazioni
distorte, superficiali, inesatte ed a volte anche un po’ sfacciate. E
così anche il concetto di target, appare sempre più come scontato,
se non fosse che non basta una semplice dichiarazione per dire
“...ecco, quello è un target!”. Certo, le scienze biomediche, indagando
sulla caratterizzazione dei vari tumori, sui rispettivi fattori di crescita,
possono arrivare ad ipotizzare un eventuale target. Ma dopo,
quest’ultimo deve essere validato per dimostrare
inequivocabilmente che senza quella certa proteina, il tumore cessa
di accrescersi sino a “morire”. Il resto è solo noia.
Ma come si arriva a progettare un radio-farmaco o radio-coniugato?
Premesso che il suo sviluppo non è esente da ostacoli dal momento
che deve essere accuratamente programmato per colpire il tumore,
che il tipo di radioisotopo deve essere scelto con cura e che occorre
risolvere tutti i problemi correlati alla fornitura dei componenti
radioattivi, se volessimo seguire lo schema tanto caro ai tutorial “fai
da te” su YouTube, avremmo bisogno, nell’ordine, di un isotopo
radioattivo, un agente chelante, un linker e una molecola bersaglio
scelta in modo tale che si leghi in modo specifico a un antigene
altamente espresso nelle cellule tumorali.

Per buttarla tra il serio ed il faceto, da tempo, esistono molti modi


per contrastare il cancro, ma molti di questi possono anche causare
non pochi problemi ai pazienti. A questo proposito, le parole di Chris
Orvig, Professore di Chimica e Scienze Farmaceutiche presso
l'Università della British Columbia che si occupa di chimica radio-
farmaceutica, suonano piuttosto illuminanti: “La chemioterapia è un
metodo piuttosto brutale per trattare i tumori e questo perché la
chemioterapia non discrimina: uccide sia le cellule sane che quelle
cancerose. In pratica si procede “avvelenando” il paziente nel suo
complesso, consci del fatto che il cancro sia un po' più suscettibile.
Ergo, quest’ultimo, subisce maggior danni”.
Anche le radiazioni rappresentano un trattamento antitumorale,
capace di “uccidere” le cellule danneggiando il loro DNA. Un tipo
comunemente impiegato è la radioterapia a fasci esterni con cui ci
si pone l’obiettivo di convogliare, grazie ad un acceleratore lineare,
raggi X ad alta energia su un'area specifica di un paziente.
Insomma, un trattamento certamente più mirato rispetto alla
chemioterapia, ma pur sempre in grado anch’esso di danneggiare
le cellule sane.
E, negli ultimi anni, si è assistito allo studio ed allo sviluppo (nel 2019
la FDA ne ha approvati 3) degli ACDs anche noti come Antibody
Drug Conjugates. (https://cen.acs.org/pharmaceuticals/drug-
development/new-drugs-2019/98/i3 $). Sono una classe particolare
di farmaci biologici altamente mirati che combinano anticorpi
monoclonali specifici per antigeni di superficie presenti su
particolari cellule tumorali con agenti anticancro altamente potenti
collegati tramite un linker chimico. Sempre seguendo il principio
tanto caro ai tutorial “fai da te” di YouTube, e per rendere più fruibile
e leggero un argomento piuttosto tecnologico, gli “ingredienti” da
utilizzare per un buon ACD dovrebbero essere: 1) Un mAb o
anticorpo monoclonale altamente selettivo per un antigene
associato al tumore e che al contrario, presenti un'espressione
limitata o assente sulle cellule sane. 2) Un potente agente
citotossico progettato, dopo essere stato rilasciato ed interiorizzato
nella cellula tumorale, per portare a morte le cellule bersaglio. 3) Un
linker stabilmente in circolazione, in grado di rilasciare l'agente
citotossico nelle cellule bersaglio. Purtroppo, sempre per i motivi
ricordati qui:
https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/08/cancrocome-resisti-e-
perche.htm, come per molti altri trattamenti oncologici, le cellule
tumorali possono acquisire resistenza anche nei confronti degli
ACDs, rendendoli così un po' meno efficaci.

Ma torniamo all’oggetto di questo primo post di due, ossia i radio-


farmaci o radio- coniugati. L’approccio impiegato dalle aziende
farmaceutiche è molto simile a quello impiegato per lo sviluppo
degli ACDs, con la differenza che in luogo di un potente agente
citotossico viene utilizzato un isotopo in grado di “uccidere” il
cancro.
Un primo vantaggio di questa innovativa proposta terapeutica è
data dal fatto che a differenza della radioterapia a fasci esterni, i
radio-coniugati possono convogliare radiazioni a più tumori
contemporaneamente.

Un ulteriore vantaggio dei radio- farmaci è che il meccanismo


d'azione è, tutto sommato, relativamente semplice. Su questo
punto, quanto dichiarato da Alonso Ricardo chief scientific officer
presso il Curie Therapeutics, è certamente rassicurante: "Stiamo
parlando di qualcosa in grado di entrare nella cellula malata per
distruggerne il DNA”. A differenza degli ACDs, i radio-coniugati non
devono porre un limite ad un determinato percorso biologico chiave
o inibire alcuni meccanismi, per cui è abbastanza improbabile che
le cellule dell’organismo trattato generino una soluzione biologica
in grado di evitare il danno radioattivo.

Le aziende che stanno studiando i radio-coniugati generalmente


prendono in esame due tipi di isotopi: gli “emettitori” α (in grado di
emettere particelle Alfa) e gli “emettitori” β (in grado di emettere
particelle Beta). Come vedremo in un prossimo post, riscontreremo,
per entrambi, sia vantaggi che svantaggi...as simple as this. ;-)

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