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RAPPRESENTAZIONE DELLE TRE POESIE

• “La strada Ferrata” di Emilio Praga nella raccolta “Trasparenze”, pubblicata postuma nel
1878.
• “Inno a Satana” di Giosuè Carducci, composto nel 1863, ma la prima edizione risale al 1869
sulla rivista bolognese “Il popolo”.
• “Alla stazione in una mattina d'autunno” di Giosuè Carducci dalla raccolta “Odi barbare”.

EMILIO PRAGA

Emilio Praga fu uno degli esponenti della scapigliatura milanese, della quale incarnò nella vita gli
aspetti più ribelli e sregolati. Nacque a Gorla, quartiere della periferia milanese, nel 1839 da una
famiglia agiata. Il padre era un industriale. Le sue condizioni economiche gli permisero di compiere
viaggi e studi in giro per l'Europa e di dedicarsi alla prediletta attività di pittore. Visitò i valichi
alpini, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Francia, fermandosi a lungo a Parigi nel 1857, avendo modo di
studiare
Le condizioni agiate della sua famiglia gli permisero di compiere numerosi viaggi in
Europa tra il 1857 e il 1859, visitando i valichi alpini, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Francia,
durante i quali trascorse lunghi periodi a Parigi e si dedicò allo studio di Baudelaire, Hugo,
De Musset, Heine. Infatti nel 1857 fu pubblicata la prima edizione de “I fiori del male”, che
egli ebbe modo di leggere nel suo soggiorno parigino.

• Victor Hugo (1802-1885) famoso poeta e drammaturgo francese, autore de romanzo


storico “I miserabili”.
• Alfred De Musset, poeta e drammaturgo francese.
• Heinrich Hein, poeta tedesco importante nel passaggio tra il romanticismo e la
germania unita.

Tornato a Milano cominciò a frequentare gli ambienti della Scapigliatura, divenendone


uno dei maggiori esponenti e legandosi di amicizia con Boito. Accanto alla pittura (nel
1859 espose quattro tele alla Galleria di Brera) Praga coltivò assiduamente la letteratura
esordendo con la raccolta di versi Tavolozza (1862), in cui vi sono descrizioni
paesaggistiche che rivelano un vivo senso del colore di tipo impressionistico. In seguito
pubblicò Penombre (1864), raccolta in cui assume il predominio il maledettismo e che
ovviamente scandalizzò il pubblico, con l'utilizzo di termini brutalmente realistici e di un
linguaggio esasperato.
La morte del padre e il conseguente tracollo economico della famiglia, lo ridusse in miseria
e lo spinse ad una vita sregolata, abusando di alcol e stupefacenti.
Per mantenersi scrisse libretti d'opera insieme con Boito e tentò anche la strada del teatro
di prosa, ma con scarso successo.
Insegnò per un certo periodo letteratura poetica al Conservatorio di Milano e collaborò a
varie riviste; le sue condizioni economiche rimasero però sempre precarie.
Nel 1867 pubblicò la terza raccolta Fiabe e leggende, nella quale attenua la provocazione
rispetto a “Penombre”, tornando a tematiche romantiche. In questa raccolta è inclusa
anche la poesia “Preludio”, in cui l'autore dichiara con toni esasperati l'intento di cantare il
vero, ossia la realtà desolata della vita moderna, priva di valori e pervasa dalla noia,
l'equivalente dello spleen baudelairiano.
Le sue ultime poesie furono raccolte postume nel volume Trasparenze (1878), in cui
compare un tono di rassegnazione e di confessione intima, con la ricerca di purezza
rievocando l'infanzia.
Postumo uscì anche il romanzo “Memorie del presbiterio - scene di provincia”, rimasto
incompiuto e concluso dall'amico Roberto Sacchetti. Uscì a puntate sul “Pungolo” nel 1877
ed in volume nel 1881. E' un romanzo che esprime il bisogno di purezza, proiettato nella
pace della campagna e nella figura del vecchio prete, ma che mescola anche intrighi
romanzeschi. L'opera di Praga, conservando tratti acerbi e irrisolti, si distingue per lo
sperimentalismo vivace e rivoluzionario sia nella forma che nei contenuti, tipico della
Scapigliatura.
I motivi della poesia "maledetta" e l'ansia di infrangere i canoni morali ed estetici borghesi
sono ricorrenti in quasi tutte le raccolte di poesie e sono espressi attraverso una lingua che
tende all'espressionismo.
Separatosi dalla moglie e dal figlio Marco nel 1873, si spense due anni più tardi (Milano,
1875) a soli 36 anni, consumato completamente dall'alcol.

SCAPIGLIATURA
La scapigliatura non è una scuola o un movimento organizzato, ma è un gruppo di scrittori che
operano nello stesso periodo, gli anni '60 e '70 dell'Ottocento, e che condividono un'insofferenza per
le convenzioni della letteratura contemporanea, in particolare il Manzonismo e il tardo
Romanticismo, oltre che per i costumi della vita borghese.
Questo gruppo si inserisce nel quadro della letteratura post-unitaria e dimostra tratti di continuità
con la letteratura rivoluzionaria, vista la giovane età di tutti questi autori, che in qualche modo si
allineano e sono una specie di precursori dell'avanguardia europea.
Oltre ad operare nello stesso periodo, gli scapigliati sono anche geograficamente delimitati, infatti si
concentrano nelle città industriali del nord Italia, principalmente Milano, ma anche Torino e
Genova. Questi centri industriali sono l'emblema dei processi economici stridenti e della città che
cresce velocemente e muta, oltre che delle classi dirigenti, verso le quali la rivolta degli scapigliati è
rivolta.
Il termine “Scapigliatura” fu proposto per la prima volta da Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo
Righetti) nel suo romanzo “La scapigliatura e il 6 febbraio” per designare un gruppo di ribelli con
una biografia malandata che amavano vivere in maniera eccentrica e disordinata.
Il termine Scapigliatura è l'equivalente italiano del francese “Bohème”. Il termine francese bohème
significava propriamente vita zingaresca, poiché si credeva che questi nomadi provenissero dalla
Boemia. A Parigi assunsero questo appellativo quegli artisti che disprezzavano la società produttiva
e fondata sul mercato, che li respingeva ai margini e li relegava ad una vita misera. Per protesta
questi scelsero quindi uno stile di vita irregolare ostentando il rifiuto dei valori della vita borghese.
Il testo guida a cui si ispirano gli scapigliati è proprio “I fiori del male” di Baudelaire, e sarà in
primis Emilio Praga a vivere seguendo il modello del “maledettismo”.
Altri esponenti della scapigliatura furono:
• I fratelli Arrigo e Camillo Boito
• Iginio Ugo Tarchetti con il romanzo “Fosca”.

LA STRADA FERRATA DI EMILIO PRAGA

Vicenda editoriale
La poesia fu pubblicata per la prima volta il 26 agosto 1877 in «Serate italiane» da Cesare Molineri,
4 amico del poeta, e successivamente dallo stesso inserita, nel 1878, nella raccolta postuma
Trasparenze, da lui curata. Pubblicandola in volume Molineri aggiunse la data e il luogo di
composizione («In casa di Cletto Arrighi il 9 settembre 1860») e la dedica a Cletto Arrighi.

Il contesto
Gli anni Sessanta per Milano furono anni di grandi trasformazioni urbanistiche, all’insegna della
modernizzazione.
Le trasformazioni più importanti e invasive furono determinate dall’espansione della strada ferrata,
il cui sviluppo, avviato sin dagli anni Quaranta per iniziativa dell’impero asburgico, ebbe in quegli
anni una fase di grande accelerazione con la realizzazione della stazione centrale, iniziata nel 1857
durante il regno Lombardo-Veneto di Francesco Giuseppe e inaugurata nel 1864 dal Re D'Italia
Vittorio Emanuele II, che era situata nell'odierna piazza della Repubblica.
Il progetto della nuova stazione suscitò un ampio dibattito tra i sostenitori e gli oppositori e
prefigurava la formazione di due opposti partiti:
• da una parte i sostenitori della conservazione della vecchia identità urbana;
• dall’altra coloro che desideravano una città più aperta, moderna, funzionale.

I cambiamenti urbanistici favorirono la diffusione di una mentalità commerciale che risultò poco
gradita al gruppo degli scapigliati. Questa situazione generò addirittura tra questi intellettuali la
diffusione di un senso di nostalgia per la vita della Milano preunitaria, come cogliamo in un articolo
del «Figaro» firmato “La Direzione”, quindi riconducibile ad Arrigo Boito e a Emilio Praga:

La Direzione, Polemica letteraria, «Figaro», 4 febbraio 1864.


“V’ha chi si rammenta ancora di quei giorni? […] Milano era assai meno nuova, assai meno diritta,
meno lavata d’oggi, un’allegria di pampini e di lattughe cresceva ogni anno in pace, là dove ora
intristiscono le magnolie ed i cigni; ai giardini pubblici. […] Eppure in que’ giorni si parlava di
musica di poesia e (maraviglioso a dirsi) si leggevano ancora sui giornali delle ardenti polemiche
per quistioni di lettere. Quel tempo è passato, e sia resa grazia infinita a chi lo fece passare; pure nel
chiuso del cuore pensiamo ch’è passato un po’ troppo.”

Ci sono tre riferimenti precisi che ci riportano alla cronaca:


• Al v. 1 il poeta parla di «bosco di frassini ombrosi», al vv. 116-117 di una strada ferrata «che
dritto e ugual due miglia/ va della selva al fianco»;
• Parla poi di un «convento gotico» che «sparve»
• infine al vv. 9-10 aggiunge: «Passerà nell'antico convento, / sulle fosse dei monaci estinti»;
richiama quindi un cimitero vicino al convento.

Tutti questi elementi ci riportano al progetto di realizzazione della ferrovia Milano-Pavia-Genova,


che attraversava un antico bosco e l’interno dell’abbazia di Chiaravalle, conosciuta anche come
Santa Maria di Roveniano, costruita in stile gotico, come appunto si legge nei versi; precisamente
passava all’interno del chiostro grande realizzato da Bramante nel 1490 ‒ che in quell’occasione fu
distrutto ‒ e appena dietro l’abside della chiesa. Superata di poco l’abbazia, la linea ferroviaria
attraversava l’antico cimitero dei frati. Il luogo si configurava come un antico borgo agricolo, cui ci
riporta la poesia con i suoi riferimenti ai contadini e ai loro strumenti di lavoro.
Non sono invece presenti i monaci, che pure dell’insediamento agricolo furono i promotori, perché
l’abbazia fu soppressa il 15 maggio 1798 con un decreto della Repubblica Cisalpina e i religiosi
allontanati.
La linea ferroviaria cui si fa riferimento nel testo non è ancora una realtà nel momento in cui Praga
scrive la poesia, 1860, e infatti viene presentata come un progetto di imminente realizzazione, che
partirà nel 1861-1862. La data di composizione ci dice che la poesia anticipa di circa due anni gli
eventi descritti, che infatti sono tutti presentati con verbi al futuro. Il poeta chiede anzi ai vecchi
contadini di attendere a morire, per poter vedere realizzato l’evento epocale destinato a cambiare la
loro vita, ossia l’arrivo del treno. La scena descritta prende forma quindi nell’immaginazione del
poeta, che pure la descrive con realismo, proiettando su un paesaggio a lui ben noto la situazione
prevista dal progetto, che sarà poi realizzato nei termini esposti nel testo.

La strada ferrata comincia con un addio, rivolto dal poeta, alla pace dei campi e al bosco di frassini
ombrosi: tutto questo verrà infatti distrutto dalla costruzione del "ferrato cammin" (verso 8). La
locomotiva contribuirà a cancellare la "scettica età" (verso 10), l'epoca del progresso tecnologico,
accompagnato però allo scetticismo.
Praga descrive quindi la reazione dei contadini all'arrivo del treno, in cui vedono una sorta di
mostro alato guidato dallo stesso Satana. Il treno è una strana visione, che viene caratterizzata dal
fischio. Praga passa poi a riportare le possibili spiegazioni date al passaggio del treno dai contadini:
alcuni vedranno nella macchina sbuffante un terribile pennuto ("chi dirà di vedervi le penne", verso 50),
altri scorgeranno in essa una personificazione dello stesso Satana ("chi Satana a tirarlo con sé"), altri
ancora accuseranno il treno di essere dannoso alle colture con il suo fumo e preferiranno viaggiare a
dorso d'asino, considerandolo più naturale.
Ai versi 29-32, Praga sottolinea la velocità della locomotiva attraverso il contrasto con il lento aratro. Al
volgersi faticoso dell'aratro viene qui contrapposto l'uragano del vapore: sembra quasi di vedere la
locomotiva, immersa in una nuvola che si muove rapida, proprio come un uragano.
Il poeta non assume però un atteggiamento di derisione sprezzante per l'ignoranza e la
superstizione dei contadini, ma vuole investirsi di una funzione pedagogica spiegando ad essi come
il treno rappresenti il progresso, che porta la pace e la liberazione dalla schiavitù del lavoro.
Il poeta introduce anche un'utopia interclassista, il treno farà si che tutti si uniranno per innalzare
l'edificio del progresso.

Al termine della poesia ricompare però la malinconia per la distruzione del paesaggio, già presente
nell'addio dei primi versi. Il convento gotico lascia spazio al muro bianco che separa la ferrovia dal
bosco. Il poeta chiede alla propria musa in quali boschi intatti i poeti potranno andare a studiare. La
conclusione della poesia è ironica: i poeti canteranno la fisica applicata. Si nota qui una certa amarezza
dell'autore, che sembra suggerire che nella società industriale non è più possibile cantare la bellezza.
Fino al verso 96 Praga utilizza quartine di endecasillabi, che permettono di dare al componimento un
ritmo regolare, che ricorda lo sbuffo cadenzato del treno e i movimenti sempre uguali dei pistoni del
motore. Nella parte finale della poesia invece, il poeta passa all'uso di sestine irregolari, che
sottolineano un fluire più libero del pensiero, meno legato ad un rigore metrico.
Emerge quindi l'ambivalenza del poeta nei confronti del progresso, rappresentato dalla locomotrice:
Come si nota al v. 109, per il poeta il progresso è un “obolo” da pagare, un suo dovere da compiere, ma
affiora irresistibilmente la nostalgia delle bellezze naturali del passato, che la macchina sta
distruggendo. Questo concetto è espresso anche nell'ultima sestina negli ultimi due versi, in cui il poeta
ironicamente afferma che, vista la bruttezza e lo squallore del mondo moderno, i pittori dipingeranno la
carta bollata e in poesia si canteranno le applicazioni della fisica.

Provenendo da un mondo esterno e completamente diverso da quello del borgo delineato nel
componimento, il treno sin dal suo primo apparire, mette in atto un conflitto che genera una serie di
opposizioni che, rette dalla struttura contrastiva della poesia, delineano un confronto, che in alcuni
momenti assume il carattere di uno scontro, tra due differenti civiltà: da un lato quella contadina,
rappresentata dagli strumenti di lavoro (così evocativi di un modello di vita fortemente ancorata alla
vita di campagna, alla natura), ma anche dalle superstizioni e dall’immaginazione semplice e
grossolana dei popolani; dall’altro quella borghese, moderna, cittadina, ricca, colta. In questa
prospettiva, del treno vengono esaltati soprattutto gli aspetti tecnologici e la sua natura artificiale,
che si oppongono a tutti gli elementi presenti nel quadretto campagnolo, contraddistinti dalla loro
naturalità:

Il testo si articola in opposizioni secondo questo schema:


• Contadini vs Borghesi
• Natura vs Tecnologia
• Signore vs Satana

Il popolo
Nel testo l'autore non mette in scena il popolo come il privilegiato fruitore di una vita semplice e
genuina in un contesto idilliaco in cui rifugiarsi per rigenerarsi dalla stressante vita cittadina, ma
rende nota la condizione di sfruttamento dei contadini, generata dal controllo sociale su di essi del
clero, e si dichiara disposto ad impegnarsi direttamente per migliorarla.

Proprio per questa condizione di subordinazione, il popolo è semmai un alleato naturale per
l’artista, che ‒ nella nuova realtà dominata dalla mentalità commerciale che ha consegnato l’arte al
mercato ‒ avverte un declassamento e il confinamento in una posizione subordinata.
Ritroviamo quindi la tematica baudelairiana del poeta costretto ai margini della società e ad una vita
misera, solo che a differenza del poeta francese, il nostro individua come rifugio naturale non il
postribolo, ma gli animati crocchi di popolani incontrati per le strade, sulle spiagge, nelle osterie.

Signore vs Satana:
La contrapposizione artificiale / naturale si trasforma e si allarga in una più ampia antitesi culturale
e religiosa: il mondo naturale dei contadini è stato creato da Dio; il mondo tecnologico, di cui il
treno è simbolo, è espressione di una cultura «scettica», che per i contadini si afferma sotto il segno
di Satana. Ecco giustificato lo stupore e il timore dei poveri spettatori, cui il treno appare come un
«miracolo», ma anche come una «strana visione» che turba i loro sogni e produce «nuovi enigmi».

CARDUCCI E LE ODI BARBARE


L’Inno a Satana apparve per la prima volta sulla rivista radicale bolognese Il popolo
nel 1869, ma la stesura da parte di Giosuè Carducci risale al 1863.

questa poesia, facente parte della produzione giovanile di Carducci, nella quale il
poeta attraversa una fase di impegno politico rivoluzionario e patriottico rivolto contro
la Chiesa e le fazioni conservatrici. Satana e la locomotiva sono per Carducci il
simbolo del progresso che divorerà l’antica civiltà delle disuguaglianze e la
superstizione.
POSITIVISMO E ANTICLERICALISMO
La Seconda Rivoluzione Industriale non sarebbe stata possibile senza un felice connubio tra il
mondo tecnico-scientifico e quello industriale. Si era diffusa una sempre più forte fiducia nella
ricerca scientifica e nelle sue applicazioni pratiche, incentivata certamente dai progressi che essa
stessa aveva permesso. In quest’ottica, nel corso dell’Ottocento, fu posta una sempre maggiore
attenzione alla formazione tecnico-scolastica e alle specializzazioni universitarie.
Emblematica di questo atteggiamento fu l’affermazione del “positivismo”, una corrente di pensiero
sorta in Francia alla metà dell’Ottocento e che fu fondata da Auguste Comte. L’idea centrale di
questa corrente era che l’uomo fosse in grado, grazie alla sua razionalità, di conoscere le leggi del
mondo mediante l’applicazione del metodo scientifico. Il positivismo si faceva, quindi, promotore
dell’applicazione del metodo scientifico a ogni ambito della realtà, considerandolo come il più
importante strumento di progresso culturale e civile dell’umanità. Il positivismo contribuì quindi
allo sviluppo di una concezione laica e pragmatica della cultura, che sfociò nell’anticlericalismo,
ideologia ampiamente diffusa nell’Ottocento.
Ma la Seconda Rivoluzione Industriale non sarebbe stata possibile senza la rivoluzione dei trasporti.
Il 1860 è indicato come l’anno che diede inizio all’età delle ferrovie (railway age). Le ferrovie dei
vari stati europei posti a cavallo delle Alpi cominciarono a legarsi tra di loro e a costruire una rete
unitaria, mentre, fuori dall’Europa, si iniziarono le costruzioni delle grandi linee transcontinentali
(la Transiberiana, la Transandina).

CARDUCCI E L’INNO A SATANA


Le tematiche del topos letterario del treno, simbolo del progresso e del positivismo Ottocentesco,
insieme all’invettiva anticlericale contro l’oppressione e l’oscurantismo della Chiesa, trovate nel
pensiero di Praga, furono affrontate dal poeta Giosuè Carducci nell’ «Inno a Satana».

Cresciuto in un’atmosfera familiare patriottica, entusiasta ammiratore della Rivoluzione francese,


Carducci fu inizialmente di idee accesamente democratiche e repubblicane.
Negli anni giovanili seguì con entusiasmo le vicende risorgimentali, in particolare l’impresa
garibaldina, ma senza parteciparvi attivamente, ricevendo una forte delusione dalla conclusione del
processo unitario, con trionfo del compromesso monarchico e delle forze moderate della Destra
Storica.
Assunse atteggiamenti di violenta opposizione nei confronti del nuovo governo, che gli costarono
anche una sospensione dall’insegnamento. La sua attività intellettuale e poetica si indirizzò alla
polemica contro L’ “Italia” vile del suo tempo che non rispondeva agli ideali risorgimentali.
Fu giacobinamente un sostenitore dei diritti del popolo, considerandolo come la forza motrice della
storia, capace di abbattere le tirannidi e di trasformare il mondo.
Fu un massone e violentemente anticlericale, considerando la religione cristiana come un residuo
dell’oscurantismo medievale, ormai sconfitto dalla forza della Ragione e dal progresso.
In questa esaltazione della scienza e del progresso materiale e intellettuale fu vicino alle istanze del
positivismo, che era l’ideologia dominante del mondo borghese dell’Ottocento.
Carducci stesso, in anni più maturi, diede un giudizio molto severo su quest’inno, definendolo
una «chitarronata», ma è un documento importante del suo sistema di idee e di una tendenza della
cultura e della mentalità contemporanee.
Dai reazionari ogni aspetto della modernità era condannato come prodotto di Satana (ne è un
esempio eloquente il Sillabo di Pio IX, del 1864). Carducci accetta questa definizione, ma la
rovescia polemicamente in positivo, celebrando quindi la figura di Satana. Le cose che i reazionari
esecrano come opera del demonio, per Carducci sono gli aspetti più positivi della vita. Satana è così
assunto come simbolo delle gioie terrene, delle bellezze naturali e artistiche, della libertà di
pensiero, della ribellione a ogni forma di dogma e dispotismo, del progresso della scienza. Il trionfo
del
progresso, nelle strofe finali, si compendia nel simbolo della macchina, la locomotiva, motivo molto
caro alla retorica del tempo (cfr. La strada ferrata di Emilio Praga). Questa concezione è
contrapposta a quella del cristianesimo, che per Carducci nega i beni del mondo, la bellezza
artistica,
il progresso, la libertà, mortifica la ragione col dogmatismo e la gioia vitale con l’ascesi e la
rinuncia. Satana trionfava nel mondo pagano; poi fu scacciato dal cristianesimo, ma la sua funzione
fu
tenuta in vita dagli eretici e dai liberi pensatori perseguitati e arsi sul rogo, Arnaldo da Brescia,
Satana trionfava nel mondo pagano; poi fu scacciato dal cristianesimo, ma la sua funzione fu
tenuta in vita dagli eretici e dai liberi pensatori perseguitati e arsi sul rogo, Arnaldo da Brescia,
Wycliffe, Huss, Savonarola, Lutero. Secondo Carducci oggi la «forza vindice» della ragione e del
progresso ha di nuovo vinto ogni oscurantismo e dogmatismo, cancellando l’oppressione religiosa.
Levare un inno a Satana assumendolo come simbolo del progresso e della gioia vitale era
fortemente provocatorio verso le concezioni conservatrici, benpensanti e clericali, e rivela
l’atteggiamento battagliero che era proprio del giovane Carducci. Ma erano, queste, idee molto
diffuse in
un certo settore dell’opinione pubblica del tempo, di orientamento democratico, laico, anticlericale,
massone, positivista, entusiasta celebratore dei miti della scienza e del progresso.
È interessante osservare come questo “paganesimo” democratico e progressista si rivesta in
Carducci di forme classicheggianti: il poeta riprende il lessico aulico, la sintassi latineggiante, il
peso dei riferimenti dotti ed eruditi che sono propri della tradizione del classicismo italiano.
CARDUCCI MATURO
Nella maturità, però, in concomitanza con lo stabilizzarsi della situazione italiana dopo la presa di
Roma nel 1870, Carducci venne progressivamente moderando le sue posizioni.
Si avvicinò alla monarchia, incontrando nel 1878 la regina Margherita, di cui subì il fascino e alla
quale dedicò un’ode, «Alla regina D’Italia» dalle «Odi Barbare» e fu nominato senatore del Regno
nel 1890.
Il suo acceso patriottismo divenne si colorò di nazionalismo, divenendo un sostenitore della politica
autoritaria di Crispi e delle sue imprese coloniali.
Anche il suo anticlericalismo si attenuò e arrivò a riconoscere i valori del cristianesimo, pur senza
mai piegarsi ad una conversione pubblica.
In sostanza, da fervente giacobino oppositore del governo monarchico, Carducci divenne il poeta
ufficiale dell’Italia Umbertina, «vate» dei suoi valori e dei suoi miti.
A livello letterario, l’impeto polemico espresso nella sua poesia di forte impegno civile, viene
sostituito dal ripiegamento intimo, l’analisi del tedio esistenziale e dell’angoscia dell’incorrere della
morte.
Questo diverso atteggiamento lo si trova nel componimento «Alla stazione in una mattina
d’autunno», in cui viene riproposto il topos del treno, ma in chiave completamente nuova.
In questo componimento, che è un Ode alcaica tratta da «Odi Barbare», il poeta accompagna alla
stazione la donna amata, che si allontana da lui, il tutto ambientato in una cupa mattina autunnale,
che richiama il motivo della pena esistenziale, tematica centrale nella poetica del Carducci maturo.
Ricorre l’Ambivalenza del treno: viene esaltato come simbolo del progresso inarrestabile, ma
appare allo stesso tempo come un’immagine mostruosa. La macchina fa paura poiché distrugge
dalle radici il mondo fino ad allora conosciuto, capovolgendo i valori tradizionali, è un mostro che
minaccia di sfuggire al controllo dell’uomo e rivolgersi maleficamente al suo creatore, come
«Frankenstein» di Mary Shelley. Anche nell’inno a Satana emergeva questa ambivalenza come in
«Alla Stazione», dove però prevale decisamente il polo negativo. Il treno non è più «Bello» ma
«Empio», suscita nel poeta solo angoscia e tedio.
L’Inno a Satana è una composizione occasionale, scritta di getto per il brindisi al
banchetto di un amico nel 1863, pubblicata poi su una rivista bolognese nel 1869 con lo
pseudonimo di Enotrio Romano. Il componimento chiude la fase delle opere giovanili e
l’autore stesso, in seguito, l’avrebbe definito “una volgare chitarronata”.
Siamo dunque ancora di fronte ad un’opera giovanile di Carducci, che, nella prima
fase della sua produzione, tramite l’esaltazione del mondo classico, manifestò toni di
invettiva e violenta polemica, innanzitutto contro l’attuale viltà e mancanza di eroismo
dell’Italia, ma anche contro la Chiesa, il Papa e l’oscurantismo religioso: i toni apertamente
provocatori e blasfemi intendono scandalizzare i borghesi e la loro mentalità, da lui
considerata chiusa, ipocrita, immobilista e moralista. Infatti, Carducci contrappone alle
false credenze religiose, che rendono gli uomini molli e inerti, la luce della ragione, la gioia
di vivere, il progresso, rappresentato qui dalla figura di Satana.
Il rovesciamento delle ideologie religiose dominanti e ben espresse in quegli anni
dal Sillabo di Pio IX è totale: per Carducci, infatti, quanto i reazionari bollano come opera
di Satana, appaiono i

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