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• “La strada Ferrata” di Emilio Praga nella raccolta “Trasparenze”, pubblicata postuma nel
1878.
• “Inno a Satana” di Giosuè Carducci, composto nel 1863, ma la prima edizione risale al 1869
sulla rivista bolognese “Il popolo”.
• “Alla stazione in una mattina d'autunno” di Giosuè Carducci dalla raccolta “Odi barbare”.
EMILIO PRAGA
Emilio Praga fu uno degli esponenti della scapigliatura milanese, della quale incarnò nella vita gli
aspetti più ribelli e sregolati. Nacque a Gorla, quartiere della periferia milanese, nel 1839 da una
famiglia agiata. Il padre era un industriale. Le sue condizioni economiche gli permisero di compiere
viaggi e studi in giro per l'Europa e di dedicarsi alla prediletta attività di pittore. Visitò i valichi
alpini, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Francia, fermandosi a lungo a Parigi nel 1857, avendo modo di
studiare
Le condizioni agiate della sua famiglia gli permisero di compiere numerosi viaggi in
Europa tra il 1857 e il 1859, visitando i valichi alpini, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Francia,
durante i quali trascorse lunghi periodi a Parigi e si dedicò allo studio di Baudelaire, Hugo,
De Musset, Heine. Infatti nel 1857 fu pubblicata la prima edizione de “I fiori del male”, che
egli ebbe modo di leggere nel suo soggiorno parigino.
SCAPIGLIATURA
La scapigliatura non è una scuola o un movimento organizzato, ma è un gruppo di scrittori che
operano nello stesso periodo, gli anni '60 e '70 dell'Ottocento, e che condividono un'insofferenza per
le convenzioni della letteratura contemporanea, in particolare il Manzonismo e il tardo
Romanticismo, oltre che per i costumi della vita borghese.
Questo gruppo si inserisce nel quadro della letteratura post-unitaria e dimostra tratti di continuità
con la letteratura rivoluzionaria, vista la giovane età di tutti questi autori, che in qualche modo si
allineano e sono una specie di precursori dell'avanguardia europea.
Oltre ad operare nello stesso periodo, gli scapigliati sono anche geograficamente delimitati, infatti si
concentrano nelle città industriali del nord Italia, principalmente Milano, ma anche Torino e
Genova. Questi centri industriali sono l'emblema dei processi economici stridenti e della città che
cresce velocemente e muta, oltre che delle classi dirigenti, verso le quali la rivolta degli scapigliati è
rivolta.
Il termine “Scapigliatura” fu proposto per la prima volta da Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo
Righetti) nel suo romanzo “La scapigliatura e il 6 febbraio” per designare un gruppo di ribelli con
una biografia malandata che amavano vivere in maniera eccentrica e disordinata.
Il termine Scapigliatura è l'equivalente italiano del francese “Bohème”. Il termine francese bohème
significava propriamente vita zingaresca, poiché si credeva che questi nomadi provenissero dalla
Boemia. A Parigi assunsero questo appellativo quegli artisti che disprezzavano la società produttiva
e fondata sul mercato, che li respingeva ai margini e li relegava ad una vita misera. Per protesta
questi scelsero quindi uno stile di vita irregolare ostentando il rifiuto dei valori della vita borghese.
Il testo guida a cui si ispirano gli scapigliati è proprio “I fiori del male” di Baudelaire, e sarà in
primis Emilio Praga a vivere seguendo il modello del “maledettismo”.
Altri esponenti della scapigliatura furono:
• I fratelli Arrigo e Camillo Boito
• Iginio Ugo Tarchetti con il romanzo “Fosca”.
Vicenda editoriale
La poesia fu pubblicata per la prima volta il 26 agosto 1877 in «Serate italiane» da Cesare Molineri,
4 amico del poeta, e successivamente dallo stesso inserita, nel 1878, nella raccolta postuma
Trasparenze, da lui curata. Pubblicandola in volume Molineri aggiunse la data e il luogo di
composizione («In casa di Cletto Arrighi il 9 settembre 1860») e la dedica a Cletto Arrighi.
Il contesto
Gli anni Sessanta per Milano furono anni di grandi trasformazioni urbanistiche, all’insegna della
modernizzazione.
Le trasformazioni più importanti e invasive furono determinate dall’espansione della strada ferrata,
il cui sviluppo, avviato sin dagli anni Quaranta per iniziativa dell’impero asburgico, ebbe in quegli
anni una fase di grande accelerazione con la realizzazione della stazione centrale, iniziata nel 1857
durante il regno Lombardo-Veneto di Francesco Giuseppe e inaugurata nel 1864 dal Re D'Italia
Vittorio Emanuele II, che era situata nell'odierna piazza della Repubblica.
Il progetto della nuova stazione suscitò un ampio dibattito tra i sostenitori e gli oppositori e
prefigurava la formazione di due opposti partiti:
• da una parte i sostenitori della conservazione della vecchia identità urbana;
• dall’altra coloro che desideravano una città più aperta, moderna, funzionale.
I cambiamenti urbanistici favorirono la diffusione di una mentalità commerciale che risultò poco
gradita al gruppo degli scapigliati. Questa situazione generò addirittura tra questi intellettuali la
diffusione di un senso di nostalgia per la vita della Milano preunitaria, come cogliamo in un articolo
del «Figaro» firmato “La Direzione”, quindi riconducibile ad Arrigo Boito e a Emilio Praga:
La strada ferrata comincia con un addio, rivolto dal poeta, alla pace dei campi e al bosco di frassini
ombrosi: tutto questo verrà infatti distrutto dalla costruzione del "ferrato cammin" (verso 8). La
locomotiva contribuirà a cancellare la "scettica età" (verso 10), l'epoca del progresso tecnologico,
accompagnato però allo scetticismo.
Praga descrive quindi la reazione dei contadini all'arrivo del treno, in cui vedono una sorta di
mostro alato guidato dallo stesso Satana. Il treno è una strana visione, che viene caratterizzata dal
fischio. Praga passa poi a riportare le possibili spiegazioni date al passaggio del treno dai contadini:
alcuni vedranno nella macchina sbuffante un terribile pennuto ("chi dirà di vedervi le penne", verso 50),
altri scorgeranno in essa una personificazione dello stesso Satana ("chi Satana a tirarlo con sé"), altri
ancora accuseranno il treno di essere dannoso alle colture con il suo fumo e preferiranno viaggiare a
dorso d'asino, considerandolo più naturale.
Ai versi 29-32, Praga sottolinea la velocità della locomotiva attraverso il contrasto con il lento aratro. Al
volgersi faticoso dell'aratro viene qui contrapposto l'uragano del vapore: sembra quasi di vedere la
locomotiva, immersa in una nuvola che si muove rapida, proprio come un uragano.
Il poeta non assume però un atteggiamento di derisione sprezzante per l'ignoranza e la
superstizione dei contadini, ma vuole investirsi di una funzione pedagogica spiegando ad essi come
il treno rappresenti il progresso, che porta la pace e la liberazione dalla schiavitù del lavoro.
Il poeta introduce anche un'utopia interclassista, il treno farà si che tutti si uniranno per innalzare
l'edificio del progresso.
Al termine della poesia ricompare però la malinconia per la distruzione del paesaggio, già presente
nell'addio dei primi versi. Il convento gotico lascia spazio al muro bianco che separa la ferrovia dal
bosco. Il poeta chiede alla propria musa in quali boschi intatti i poeti potranno andare a studiare. La
conclusione della poesia è ironica: i poeti canteranno la fisica applicata. Si nota qui una certa amarezza
dell'autore, che sembra suggerire che nella società industriale non è più possibile cantare la bellezza.
Fino al verso 96 Praga utilizza quartine di endecasillabi, che permettono di dare al componimento un
ritmo regolare, che ricorda lo sbuffo cadenzato del treno e i movimenti sempre uguali dei pistoni del
motore. Nella parte finale della poesia invece, il poeta passa all'uso di sestine irregolari, che
sottolineano un fluire più libero del pensiero, meno legato ad un rigore metrico.
Emerge quindi l'ambivalenza del poeta nei confronti del progresso, rappresentato dalla locomotrice:
Come si nota al v. 109, per il poeta il progresso è un “obolo” da pagare, un suo dovere da compiere, ma
affiora irresistibilmente la nostalgia delle bellezze naturali del passato, che la macchina sta
distruggendo. Questo concetto è espresso anche nell'ultima sestina negli ultimi due versi, in cui il poeta
ironicamente afferma che, vista la bruttezza e lo squallore del mondo moderno, i pittori dipingeranno la
carta bollata e in poesia si canteranno le applicazioni della fisica.
Provenendo da un mondo esterno e completamente diverso da quello del borgo delineato nel
componimento, il treno sin dal suo primo apparire, mette in atto un conflitto che genera una serie di
opposizioni che, rette dalla struttura contrastiva della poesia, delineano un confronto, che in alcuni
momenti assume il carattere di uno scontro, tra due differenti civiltà: da un lato quella contadina,
rappresentata dagli strumenti di lavoro (così evocativi di un modello di vita fortemente ancorata alla
vita di campagna, alla natura), ma anche dalle superstizioni e dall’immaginazione semplice e
grossolana dei popolani; dall’altro quella borghese, moderna, cittadina, ricca, colta. In questa
prospettiva, del treno vengono esaltati soprattutto gli aspetti tecnologici e la sua natura artificiale,
che si oppongono a tutti gli elementi presenti nel quadretto campagnolo, contraddistinti dalla loro
naturalità:
Il popolo
Nel testo l'autore non mette in scena il popolo come il privilegiato fruitore di una vita semplice e
genuina in un contesto idilliaco in cui rifugiarsi per rigenerarsi dalla stressante vita cittadina, ma
rende nota la condizione di sfruttamento dei contadini, generata dal controllo sociale su di essi del
clero, e si dichiara disposto ad impegnarsi direttamente per migliorarla.
Proprio per questa condizione di subordinazione, il popolo è semmai un alleato naturale per
l’artista, che ‒ nella nuova realtà dominata dalla mentalità commerciale che ha consegnato l’arte al
mercato ‒ avverte un declassamento e il confinamento in una posizione subordinata.
Ritroviamo quindi la tematica baudelairiana del poeta costretto ai margini della società e ad una vita
misera, solo che a differenza del poeta francese, il nostro individua come rifugio naturale non il
postribolo, ma gli animati crocchi di popolani incontrati per le strade, sulle spiagge, nelle osterie.
Signore vs Satana:
La contrapposizione artificiale / naturale si trasforma e si allarga in una più ampia antitesi culturale
e religiosa: il mondo naturale dei contadini è stato creato da Dio; il mondo tecnologico, di cui il
treno è simbolo, è espressione di una cultura «scettica», che per i contadini si afferma sotto il segno
di Satana. Ecco giustificato lo stupore e il timore dei poveri spettatori, cui il treno appare come un
«miracolo», ma anche come una «strana visione» che turba i loro sogni e produce «nuovi enigmi».
questa poesia, facente parte della produzione giovanile di Carducci, nella quale il
poeta attraversa una fase di impegno politico rivoluzionario e patriottico rivolto contro
la Chiesa e le fazioni conservatrici. Satana e la locomotiva sono per Carducci il
simbolo del progresso che divorerà l’antica civiltà delle disuguaglianze e la
superstizione.
POSITIVISMO E ANTICLERICALISMO
La Seconda Rivoluzione Industriale non sarebbe stata possibile senza un felice connubio tra il
mondo tecnico-scientifico e quello industriale. Si era diffusa una sempre più forte fiducia nella
ricerca scientifica e nelle sue applicazioni pratiche, incentivata certamente dai progressi che essa
stessa aveva permesso. In quest’ottica, nel corso dell’Ottocento, fu posta una sempre maggiore
attenzione alla formazione tecnico-scolastica e alle specializzazioni universitarie.
Emblematica di questo atteggiamento fu l’affermazione del “positivismo”, una corrente di pensiero
sorta in Francia alla metà dell’Ottocento e che fu fondata da Auguste Comte. L’idea centrale di
questa corrente era che l’uomo fosse in grado, grazie alla sua razionalità, di conoscere le leggi del
mondo mediante l’applicazione del metodo scientifico. Il positivismo si faceva, quindi, promotore
dell’applicazione del metodo scientifico a ogni ambito della realtà, considerandolo come il più
importante strumento di progresso culturale e civile dell’umanità. Il positivismo contribuì quindi
allo sviluppo di una concezione laica e pragmatica della cultura, che sfociò nell’anticlericalismo,
ideologia ampiamente diffusa nell’Ottocento.
Ma la Seconda Rivoluzione Industriale non sarebbe stata possibile senza la rivoluzione dei trasporti.
Il 1860 è indicato come l’anno che diede inizio all’età delle ferrovie (railway age). Le ferrovie dei
vari stati europei posti a cavallo delle Alpi cominciarono a legarsi tra di loro e a costruire una rete
unitaria, mentre, fuori dall’Europa, si iniziarono le costruzioni delle grandi linee transcontinentali
(la Transiberiana, la Transandina).