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L’Utopia e la rete.

Il pensiero architettonico degli anni ’60 come precursore di


internet.
Gli anni ‘60 del secolo scorso hanno segnato una vera e propria lotta tra le avanguardie teoriche e le precedenti concezioni
funzionaliste e deterministe dei CIAM e del Movimento Moderno. Si è trattato di uno sciame sismico che ha smosso tutti punti
fermi raggiunti fino a quel momento nel tentativo di scatenare una guerra all’Architettura, a quella che aveva partorito le
periferie e gli alloggi dormitorio.

Mi hanno sempre colpito, tra le altre cose, le somiglianze che si possono riscontrare tra la rete virtuale che conosciamo oggi
(si pensi non solo ad internet ma anche ai bancomat, alle carte di credito o alla televisione satellitare) e molte delle intuizioni
che furono portate avanti da alcuni gruppi delle avanguardie architettoniche di quegli anni. Mentre un manipolo di ingegneri
americani, nel tentativo di vincere la guerra fredda, progettava un sistema di comunicazione tra computer, nel vecchio
continente, una rete di giovani studenti ed architetti new age sperimentava dei sistemi architettonici complessi in cui al
centro ci fossero le relazioni tra uomo-uomo, uomo-oggetto e uomo-spazio.

Durante gli anni ‘60 le avanguardie faranno delle relazioni sociali il vero oggetto della propria ricerca e questo porterà ad una
serie di utopie che molto hanno affascinato gli architetti degli anni a venire.

Nell’estate del 1957 si erano già riuniti in Liguria alcuni artisti e pensatori da tutta Europa per fondare l’Internazionale
Situazionista, un movimento filosofico/artistico che avrà come scopo principale quello di dichiarare una guerra estetica,
funzionale e politica che stravolgesse il tessuto urbano: l’urbanismo unitario (1) è un programma di partigianeria che si
oppone alla pianificazione razionalista, colpevole di aver prodotto città alienanti. Quello dell’IS era un metodo di
riprogettazione basato sulle situazioni e sulla deliberata intenzione di scatenare fatti, giochi ed eventi per addestrare il
cittadino ad una pratica urbana più aperta e flessibile.
Il centro dell’azione è senza dubbio l’interazione (oggi potremmo dire “l’interattività”).
L’intuizione dell’IS è che non si possono prevedere gli esisti di un’interazione ma si può prevedere che questa, quanto meno,
avvenga.

In quegli anni, inoltre, “si comincia ad affermare […] un’adesione alla corrente filosofica dello Strutturalismo che riconosce
sempre una dialettica tra sistemi e variazioni”. (2)
John Habraken suggeriva che si potesse separare la struttura dalla riempitura dando vita ad un sistema in cui “l’architetto
fornisce l’hardware e poi si limita a osservare gli utenti che sviluppano al suo interno il proprio ambiente abitativo”. (3)
La New Babylon di Contant, tra i padri dell’urbanismo unitario, è uno dei più completi progetti utopici sviluppatosi sulle
stesse basi teoriche: la città post CIAM si trasforma in una città ludica in cui, a seguito della socializzazione dei mezzi di
produzione e all’equa distribuzione dei beni e servizi, il gioco sarà il motore costante dell’attività libera, creativa e collettiva di
trasformazione dello spazio urbano. L’abitante della New Babylon è un cittadino nomade in uno spazio dinamico in cui
collegamenti e interazioni sono più importanti della struttura.

Cedric Price e Joan Littlewood faranno proprio dell’idea di interattività il programma principale del loro Fun Palace: una
divertente e chiassosa struttura mai realizzata che era concepita come un circuito elettrico in continua evoluzione in cui poter
assemblare, spostare e ridimensionare luoghi e aree di incontro.

A questo filone teorico è corrisposta un’applicazione pratica i cui progetti sono ricchi “di soglie, di ambiti spaziali,
differenziati gli uni dagli altri, la cui ricchezza e la cui comprensione spinge a pensare a progetti ricchi di articolazioni e di
socialità”. (4)
Gli Smithson, per esempio, arriveranno a scrivere che “l’architettura non offre semplicemente lo sfondo per le relazioni
esistenti, ma le può creare.” (5) È in questa direzione che andranno con l’idea del walk street deck ovvero di un percorso in
quota capace di amplificare i momenti di incontro e relazione nei complessi residenziali.

Le ricadute progettuali delle avanguardie degli anni 60 saranno però ricordati quasi tutte come grandi fallimenti. Ma se i
principi teorici e politici su cui si fondavano sembrano tutt’oggi condivisi e condivisibili, perché allora non sono stati capaci di
introdurre concretamente quel sistema di mutuo scambio che cercavano?

In un’intervista (6), Cristiano Toraldo di Francia, membro fondatore dei Superstudio, affermava che all'epoca del Movimento
Continuo, avevano sentito parlare di Arpanet, la rete militare che ha dato il via a Internet.
Senza dubbio la successiva Supersuperficie ricorda molto ciò che oggi è Internet: una rete che investe l’intero pianeta senza
soluzione di continuità i cui nodi erogano tutto ciò di cui l'uomo può avere bisogno, comprese le informazioni e - nel caso
della Supersuperficie - il cibo. Non c'è dubbio che la metafora della Supersuperficie approssima molto bene quell'idea di
società tutta connessa in cui oggi viviamo.

Insomma, tornando alla domanda di cui sopra, le relazioni che stavano cercando negli anni ‘60 sembravano dover viaggiare
nell’etere, non era realizzabili nello spazio fisico e la tecnologia non poteva permetterlo.
Quasi viene da chiedersi come sarebbero proseguite quelle utopie se internet, nella sua forma più attuale, fosse stato diffuso
negli stessi anni. Forse si è trattato dalla prima volta in cui la tecnologia è arrivata in ritardo rispetto alla teoria o questo gap
si è verificato altre volte? E se sì, anche in quelle circostanze i pensatori sono stati costretti a fare utopia?

(1) Internationale situationniste n. 1, G.-E. Debord, Parigi 1958, p.13.


(2) Antonino Saggio, Architettura e Modernità. Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica, Carocci, Roma 2010, p. 224.
(3) Carlo Ratti, Architettura Open Source, Einaudi 2014, p. 29.
(4) Saggio, op. cit., p. 225.
(5) Smithson 1982 in Saggio, op. cit., p. 224.
(6) Superstudio, Gabriele Mastrigli, La vita segreta del Monumento Continuo, Quodlibet, Macerata 2015.

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