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a cura di
Gioconda Cafiero, Nicola Flora, Paolo Giardiello
ilPOLIGRAFO
Costruire l’abitare contemporaneo.
Nuovi temi e metodi del progetto contemporaneo
Terzo Convegno Nazionale di Architettura degli Interni
(Napoli, Centro Congressi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
e Dipartimento di Architettura, - gennaio )
a cura di Gioconda Cafiero, Nicola Flora, Paolo Giardiello
Comitato scientifico
Gioconda Cafiero, Clara Fiorillo, Nicola Flora, Paolo Giardiello, Università degli Studi di Napoli Federico II
Andrea Grimaldi, Filippo Lambertucci, Sapienza Università di Roma
Giovanni Durbiano, Marco Vaudetti, Politecnico di Torino
Luca Basso Peressut, Giampiero Bosoni, Imma Forino, Gennaro Postiglione, Politecnico di Milano
Aldo Aymonino, Alberto Bassi, Università Iuav di Venezia
RETTORATO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
referenze fotografiche
Le immagini che accompagnano i testi sono fornite dagli autori
e vengono pubblicate a solo scopo di studio e documentazione
immagine di copertina
Adriano Cornoldi, progetto Torretta per Sandra, , Istria-Croazia
(su gentile concessione di Alessandra Chinaglia Cornoldi)
progetto grafico
Il Poligrafo casa editrice
redazione: Sara Pierobon
Premessa
Gioconda Cafiero, Nicola Flora, Paolo Giardiello
INTRODUZIONI
Le ragioni di un Convegno
Luca Basso Peressut
La ricerca militante
Gennaro Postiglione
TEMI
Temi
Giacomo Borella
Dopo gli anni zero. L’architettura degli interni in Italia dopo il Duemila
Davide Fabio Colaci
Una casa senza pareti. Visioni dal mondo del design del XXI secolo
Serena Del Puglia
. Frontiere dell’Housing
. Paradigmi dell’abitare
Dal comfort al piacere. Quando le case non servono più ad abitare
Marco Ferrari
. Alternative dell’abitare
Il tessuto del campus. Gli spazi in between negli edifici universitari
Edoardo Marchese
METODI
Sinergie
Roberto Rizzi
Dall’aula alla città: una sperimentazione didattica sul tema dell’abitare
nel progetto di una scuola dell’infanzia
Bruna Di Palma, Bruna Sigillo
Soft home. Il ritorno del tessuto negli interni, tra analogico e digitale
Laura Arrighi
La didattica di terzo livello: insegnare nel Master, dal concept al costruito
Simona Canepa
APPENDICE
Rapporto sugli insegnamenti di Architettura degli Interni delle Università italiane
a cura di Filippo Lambertucci con Roberto Rizzi
Per una capillare reinterpretazione del modello Domitio
Con la ricerca qui presentata intendiamo descrivere i principi insediativi di alcuni terri-
tori campani fortemente degradati e alcune possibili strategie di intervento. Il lavoro che ab-
biamo svolto sul litorale Domitio, tema della nostra tesi di laurea, ci ha portati a riflettere sul
rapporto tra pianificazione territoriale strategica e progettazione puntuale, alla piccola scala, per
intercettare una possibile soluzione a una necessità di cambiamento che il territorio continua
ad attendere. Mentre scriviamo l’assessore della regione Campania al Governo del Territorio
sta presentando il Masterplan del Litorale Domitio-Flegreo attraverso un laboratorio di piani-
ficazione partecipata; questo rende a nostro avviso il discorso sul sistema dell’abitare Domitio
un tema centrale per il dibattito architettonico locale.
Nati come luoghi di villeggiatura e divertimento, oggi i territori della costa a nord di Na-
poli rappresentano tutto il disagio abitativo legato ai temi delle migrazioni e dell’informalità e,
quindi, meritano un radicale ripensamento dei propri principi insediativi.
La nostra ipotesi è che l’esigenza del litorale di modificarsi in un habitat più accogliente e
rispondente alle necessità di un dignitoso vivere contemporaneo possa avviarsi a soluzione in-
dividuando nuove infrastrutture capaci di aprire lo sguardo sul territorio, che possano stimolare
gli abitanti ad avere maggiore consapevolezza delle potenzialità anche di ciò che sembra irrecu-
perabile. Infrastrutture che possano anche distribuire un sistema di interventi capillari, innesco
di processi di rigenerazione, e che tendano a ricucire le profonde fratture che persistono tra tutte
le parti del sistema. Lo spazio dell’abitare, per attuare una trasformazione in tal senso, deve ab-
bandonare il concetto di spazio funzionale svincolato dal fattore tempo per orientarsi verso uno
spazio della vita, dotato sì di identità riconoscibile, ma articolato intorno a un ciclo di svilup-
po in qualche modo già manifestatosi sul territorio. Operando un cambiamento di approccio,
si può andare nella direzione di un’architettura di supporto e di attivazione di processi alla scala
delle diverse comunità presenti che accompagni l’espressione delle comunità a cui appartiene.
Il litorale Domitio, così come lo conosciamo, si è stratificato partendo da una sostanziale
condizione di tabula rasa: in meno di dieci anni, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del
XX secolo, l’identità debole e tranquilla dei campi coltivati e paludosi è stata totalmente sop-
piantata da quella più eccentrica e rumorosa dei villaggi turistici e degli stabilimenti balneari.
Alle grandi speculazioni imprenditoriali si sono sempre accompagnate, numerose, quelle
più piccole dei privati: molti si sono sentiti legittimati a costruire, in deroga a tutte le norme,
la propria villetta unifamiliare con accesso diretto a mare.
A partire dagli anni Ottanta, una reazione a catena di eventi drammatici ha però investito
il litorale: da un lato il bradisismo di Pozzuoli e il terremoto in Irpinia che hanno aumentato la
domanda abitativa, dall’altro le inchieste sull’abusivismo che hanno di fatto decretato come il-
legali intere conurbazioni, hanno infranto quello che era nato come il sogno vacanziero italiano
nella sua fase espansiva e ottimistica, trasformandolo rapidamente nel sistema caotico che oggi
osserviamo.
La svalutazione turistica del litorale, inoltre, ha portato a due effetti concatenati: la diffu-
sione di edifici incompiuti e abbandonati in conseguenza del fallimento del programma origi-
nario e l’arrivo di nuovi cittadini abusivi che, in cerca di un’occasione abitativa a basso costo,
hanno approfittato della possibilità di disporre illegalmente di edifici abbandonati e case seque-
strate in virtù del sostanziale disinteresse da parte della mano pubblica per questi luoghi.
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Progetto per Domitio Street Food,
Domitio Splash e Domitio Stump:
piloni attrezzati della funivia
per gli Studios
Progetto per Domitio Pier:
gate attrezzato sul porto turistico
di Pinetamare
Ciro Priore, Martina Russo | Per una capillare reinterpretazione del modello Domitio 193
La condizione complessa in cui è stato costretto il litorale si è andata sommando a un
patrimonio edilizio che già nasceva non pianificato e progettato per essere abitato in maniera
continuativa, in assoluta assenza di assistenza scolastica, sanitaria e dei servizi primari.
Ogni cosa sul litorale Domitio era pensata e progettata per favorire esclusivamente l’oc-
cupazione stagionale: proprio come nel film Zabriskie Point l’insediamento di Coppola Pine-
tamare era stato pubblicizzato attraverso un filmato autoprodotto che, spacciandosi per do-
cumentario, favoleggiava la tranquilla ed elettrizzante vacanza di cui chiunque avrebbe potuto
usufruire acquistandovi una seconda casa.
L’edificio centrale del Villaggio Coppola, quello più appariscente, era l’ufficio vendite: una
costruzione rivestita da finti mattoni con le finestre circolari e gli infissi a svastica, sormontata
da una torretta che ricordava molto un campanile. In effetti, l’ufficio vendite era più simile a un
edificio di culto: il luogo dove gli affamati compratori andavano a rivolgere le proprie preghiere
per poter ottenere una villetta vista mare. Coppola Pinetamare non era altro che un’autonoma
città-azienda concepita, come Disneyland, per vendere un’esperienza di massimo divertimen-
to: oltre alle villette e ai grandi alberghi, c’era una grande quantità di locali, sale giochi, cinema
e ristoranti. C’era la darsena con il piccolo porto turistico e gli stabilimenti balneari avevano
collegamenti diretti ai residence permettendo così un accesso privato al mare. Lungo tutto il
percorso della via Domiziana si possono ancora ritrovare i cartelli promozionali e le insegne che
illustrano il territorio con intriganti appellativi. Quella che negli anni Settanta veniva presentata
come la «città dell’uomo» altro non era che un paese dei balocchi non adatto ad accogliere
nuovi cittadini stabili.
Ogni isolato, come un villaggio turistico, era progettato per essere autosufficiente e quindi
costruito come un’enclave. Si tratta sempre di interventi chiusi in sé stessi, una serie di agglo-
merati adiacenti che si distanziano nettamente tra di loro costruendo delle barriere invalica-
bili. Dopo il fallimento palese, questa condizione di riservatezza si è dimostrata ideale come
nascondiglio dove rifugiarsi o per relegarvi coscientemente intere comunità. Non è un caso
che nel solo territorio di Castel Volturno, attualmente, circa ventimila tra profughi, immigrati
clandestini e italiani occupanti vivano in maniera irregolare: per ogni cittadino regolare ce n’è
almeno un altro che non è presente nei registri comunali e vive come un fantasma sociale.
La frammentazione ha fatto sì che alcune enclave diventassero ghetti autogestiti in cui gruppi
etnici o sociali hanno cercato di ricreare condizioni abitative più favorevoli: «la questione urba-
na si rivela sempre più come esplosione di nuovi sistemi di intolleranza».
Un fenomeno analogo alla creazione di ghetti è l’erezione di barriere elitarie: molti locali
e attrezzature ricreative hanno fatto propria una cornice classista che ha impedito a molti ceti
sociali di entrarvi in contatto, estremizzando la creazione di un mondo alternativo, alieno o
fittizio. Insomma, oggi dentro il proprio recinto ognuno sembra recitare la propria parte per
la costruzione di un habitat introverso che esclude ed evita ogni relazione. Quella attuale del
litorale Domitio è dunque una condizione al contempo congelata e fluida: dopo il fallimento si
è dovuto fare i conti con l’impossibilità concreta di modificare il territorio e quindi con il con-
seguente immobilismo che ciò ha determinato; ma in virtù del suo essere anarchico e informale,
il territorio si è dimostrato fortemente flessibile.
Le nuove necessità abitative hanno fatto sì che molti edifici si siano dovuti reinventare
per ospitare nuovi usi: le villette abbandonate sono diventate chiese pentecostali o connection
houses; le case con giardino sono diventate “masserie” con l’orto; i vecchi alberghi nascosti nella
pineta si sono reinventati come “supermercati dello spaccio” in cui è possibile acquistare e con-
sumare ogni tipo di droga. Il territorio, insomma, oltre ad essere frammentato e slegato, appare
forzatamente arrangiato e per questo si presta ad accogliere ogni tipo di economia illegale. Sem-
bra essere necessaria una risignificazione territoriale che, lavorando tra la grande e la piccola
scala, possa ricucire le fratture, introdurre nuovi riferimenti e distribuire nuovi spazi aggregativi
per consentire una più facile convivenza, inserendoli in una rete infrastrutturale che li connetta
tra loro e con il territorio circostante.
L’introduzione di un piano programmatico che sovrascriva nuove gerarchie attraverso
un’ampia infrastruttura territoriale di micro-progetti e macro-collegamenti potrebbe essere,
a nostro avviso, un’alternativa alla progettazione introversa ed esclusivista oggi adottata.
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Approcci contemporanei vicini a queste modalità di intervento si possono individuare nei
lavori del collettivo Rotor Architecture. Con l’intervento From up here, it’s a whole other story
proposto alla biennale “Manifesta Palermo” nel Rotor Architecture individua nei proget-
ti residenziali falliti sul Monte Gallo il pretesto per innescare un cambio di prospettiva sulla città
e il paesaggio circostante: ripercorrendo un’infrastruttura assopita di sentieri nascosti, mette in
rete i telai incompiuti rendendoli macchine per osservare la città ed esplorare scenari possibili
di interventi nel suo rapporto con il territorio.
Il lavoro dello studio spagnolo Ecosistema Urbano sui network di Philadelphia sembra an-
dare nella stessa direzione: individuano nei vuoti della città, in edifici in attesa di rigenerazione
o in scarti abbandonati, la possibilità di introdurre nuovi catalizzatori capaci di sovrascrivere
un’alternativa rete energetica, sociale, di comunicazione tra le parti della città rigida e bloccata.
A nostro avviso il litorale sembra aver bisogno di nuovi luoghi condivisi con ritrovati
caratteri relazionali, e questo pare essere il tema di fondo per garantire trasformazioni di am-
pio respiro: i primi possono essere individuati negli scarti già ampiamente diffusi sul territorio
(già al centro di un dibattito di rigenerazione, come accennato), mentre i secondi possono es-
sere ricercati a partire da quegli sguardi che ne hanno evidenziato un valore nuovo, finora non
espresso se non nella virtuale concretezza del cinema.
Il cinema degli ultimi anni ha di fatto contribuito a reinterpretare luoghi e scenari, talvolta
aggiungendone di nuovi. Negli ultimi film di Garrone o in quelli di De Angelis, il Villaggio
Coppola e tutto il litorale sono prepotentemente protagonisti. In Dogman, addirittura, Garro-
ne trasforma l’attuale darsena di San Bartolomeo, futuro porto turistico, in una grande piazza
pubblica su cui si svolge tutta la storia di un quartiere che nella realtà non esiste. Durante la
nostra ricerca di tesi Domitio Studios - Reinterpretare il Litorale, un lungo processo di lettura
critica ci ha indotto a chiederci se essere un’unica grande attrazione territoriale potesse essere il
programma che sembra mancare.
In Domitio Studios gli scarti urbani vengono letti come set in potenza, vengono ideal-
mente messi a disposizione dei cineasti per essere reinterpretati e quindi inseriti in una rete
più ampia: la tendenza ad accogliere continue visioni cinematografiche emersa dalla nostra let-
tura viene quindi eretta a programma ordinatore e ad evoluzione dei vecchi principi abitativi.
Si tratta quindi del progetto di un sistema fatto di grandi catalizzatori che possono ridistribuire i
flussi (energetici e di persone) attraverso una nuova infrastruttura: una funivia che accompagna
i visitatori verso i set e le attrezzature del litorale.
I catalizzatori sono strutture tralicciate, simili a grandi insegne, visibili da grandi distanze:
assumono le sembianze di membrane che, una volta attraversate, introducono a una realtà dif-
ferente da osservare attraverso uno sguardo filtrato dalla visione cinematografica.
I piloni della funivia si dividono in due tipologie: quando corrispondono anche a delle
fermate, quindi quando è possibile scendere nello spazio urbano attraverso scale e ascensori,
o quando sono solo dei punti di appoggio intermedi che sorreggono il transito delle cabine.
In entrambi i casi la base del pilone verrebbe funzionalizzata con dei piccoli volumi a servizio
dello spazio in cui si andranno a parassitare. Nel caso dei set, delle location cinematografiche,
i piloni ospitano quasi sempre delle strutture a servizio delle riprese (trucco, costumi, camerini);
nel caso delle attrazioni satellite, invece, queste si adattano allo spirito del luogo su cui interven-
gono e quindi fanno da struttura per arrampicate, da polo dello street food o da acquascivolo
da mare. La funivia coi suoi piloni e i loro diversi attacchi a terra è da un lato il pretesto per una
riprogettazione capillare, dall’altro un espediente per sovrascrivere un nuovo sistema infrastrut-
turale libero e aperto, alternativo a quello attuale, chiuso e bloccato.
Sovrapporre un percorso aereo alle enclave del litorale vuol dire aprire lo sguardo su di
esse. Intercettare al loro interno i punti strategici del programma vuol dire fare irruzione nelle
stesse ed elevarle a nodi centrali nel nuovo modello insediativo basato su una “nuova ecologia”,
in cui l’ambiente è il prodotto della profonda interazione di geografia, clima, economia, demo-
grafia, tecnica, arte e cultura.
Ognuno dei punti individuati in fase di analisi (luoghi incompiuti o abbandonati ma an-
che oasi naturalistiche e tratti di spiaggia), apparentemente insignificanti, se osservati contem-
poraneamente sembrano assumere la forma di un’unica grande fiera che, in una visione utopica
Ciro Priore, Martina Russo | Per una capillare reinterpretazione del modello Domitio 195
ma con potenziali e auspicabili ricadute concrete, ci sembra possa diventare il pretesto per una
rinascita consapevole dell’intero litorale Domitio.
Abitare un territorio percorrendolo, parafrasando Walter Benjamin, vuol dire assumerne
le caratteristiche intrinseche: lo spazio fisico può diventare così un luogo di alterazione men-
tale che di conseguenza può modificare le abitudini dell’individuo, immergendolo in un conti-
nuum di stimolazioni. Un individuo che viene spostato altrove dalle immagini cinematografiche
e uno che si fa portare da un luogo all’altro su una cabina in qualche modo sono entrambi sog-
getti in una condizione di flânerie immaginaria.
Essere un’unica macchina per il cinema collegata da una funivia aerea ci sembrava il giu-
sto climax per una fiera mobile iper-funzionalizzata, che favorisse gli spazi delle relazioni e delle
risignificazioni a tutte le scale.
NOTE
G. De Carlo, L’architettura della partecipazione, a cura di S. Marini, Macerata, Quodlibet, .
Zabriskie Point, regia di M. Antonioni, , Stati Uniti, min.
Abitare per vivere, regia di M. Sabatini, , Italia, min.
M. Augè, L’impossible voyage. Le Tourisme et ses images, Paris, Payoy & Rivages, ; trad. it. Disneyland e
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