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INFRASTRUTTURE

VIARIE NELLE AREE


URBANE E
METROPOLITANE

Prof. Salvatore Leonardi

A.A. 2013 - 2014

 
 
Indice

Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di


riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano ……. 1
1.1 AREE URBANE, AREE METROPOLITANE E CITTÀ METROPOLITANE ………….. 1

1.2 STRUMENTI TECNICI-AMMINISTRATIVI PER LA PIANIFICAZIONE DEI

TRASPORTI IN AMBITO URBANO …………………………………………………………… 8


1.2.1 Piano Regionale dei Trasporti …………………………………………………………… 8

1.2.2 Piano Urbano della Mobilità ……………………………………………………………... 10


1.2.3 Piano Urbano del Traffico ………………………………………………………………... 13

1.3 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELLE STRADE URBANE ………………………. 22

1.3.1 Autostrade urbane ………………………………………………………………………... 23


1.3.2 Strade urbane di scorrimento ……………………………………………………………. 25

1.3.3 Strade urbane di quartiere ……………………………………………………………….. 28


1.3.4 Strade urbane locali ………………………………………………………………………. 30

Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico


in ambito urbano ……………………………………………..……. 33
2.1 FENOMENI DI INQUINAMENTO NELLE AREE URBANE E METROPOLITANE ….. 33
2.2 SOSTANZE INQUINANTI PRODOTTE DAL TRAFFICO STRADALE …………….…. 35
2.3 NORMATIVA ITALIANA SULLA QUALITÀ DELL’ARIA ………………………………... 38
2.4 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO ……………….... 42
2.5 MODELLI PREVISIONALI DI EMISSIONE …………………………………………….… 43

2.6 MODELLI PREVISIONALI DI DISPERSIONE (O DI DIFFUSIONE) ……………….… 51


2.7 RUMORE PRODOTTO DAL TRAFFICO STRADALE …………………………….…… 59

2.8 NORMATIVA ITALIANA SUL RUMORE AMBIENTALE ………………………….…… 61


2.9 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ACUSTICO …………………….… 63

2.10 MODELLI PREVISIONALI DEL RUMORE DA TRAFFICO VEICOLARE …………... 67


2.11 FENOMENO DELLE VIBRAZIONI …………………………………………………….… 69

Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio ……..... 73


3.1 PROBLEMATICHE DI SOSTA E PARCHEGGIO NEI CONTESTI URBANI ............... 73

 
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

3.2 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI PARCHEGGI ……………………………….… 74


3.3 PANORAMA NORMATIVO SUI PARCHEGGI ……………………………………….…. 77

3.4 VALUTAZIONE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI SOSTA ……………….…. 80


3.4.1 Criteri per la quantificazione della domanda di sosta ……………………………….... 83

3.4.2 Predisposizione dell’offerta di sosta ………………………………………………….… 88


3.5 PARAMETRI DI PROGETTO DELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO ……... 92
3.5.1 Parcheggi a raso ………………………………………………………………………….. 95
3.5.2 Parcheggi per utenti disabili ……………………………………………………………... 98
3.5.3 Autorimesse multipiano interrate e fuori terra ……………………………………….… 100

3.5.4 Parcheggi meccanizzati automatici (autosilo) ……………………………………….… 106


3.6 IMPIANTI TECNOLOGICI NELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO ……….… 114
3.6.1 Sistema di ventilazione naturale e impianto di ventilazione meccanica ………….… 115
3.6.2 Impianto elettrico e impianto di illuminazione ………………………………..………… 118

3.6.3 Impianto di evacuazione dei liquidi ………………………………………………….….. 119


3.6.4 Impianto fisso di spegnimento automatico degli incendi ……………………………... 121
3.6.5 Impianto di movimentazione auto (per parcheggi automatizzati) ………………….… 122

Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico…… 125


4.1 RUOLO DEL SISTEMA DI TRASPORTO PUBBLICO NELLE AREE URBANE ……. 125
4.2 QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE E DEI SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO …. 127

4.3 INFRASTRUTTURE E SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO COLLETTIVO ……… 128


4.3.1 Autobus ………………………………………………………………………………….… 128
4.3.2 Filobus ……………………………………………………………………………………... 131
4.3.3 Tram ………………………………………………………………………………………... 134
4.3.4 Ferrovie metropolitane ………………………………………………………………….... 136

4.4 SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO INDIVIDUALE ……………………………….… 145

4.4.1 Car Sharing ………………………………………………………………………………... 145


4.4.2 Car Pooling ………………………………………………………………………………... 148
4.4.3 Taxi collettivo …………………………………………………………………………….... 150
4.4.4 Bus a chiamata ………………………………………………………………………….… 153

BIBLIOGRAFIA ………………………………………..……………. 155

 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

_______________________________________

CAPITOLO 1

Definizioni, classificazioni e normative


di riferimento per le infrastrutture
viarie in ambito urbano
_______________________________________

1.1 AREE URBANE, AREE METROPOLITANE E CITTÀ METROPOLITANE


Si definisce area urbana l'insieme urbanisticamente inteso di edificazione che forma una
città. Può essere superiore all'estensione dei confini comunali (è il caso di Milano, la cui
area urbana è formata all'incirca dalle Province di Milano e Monza) oppure inferiore (è il
caso del Comune di Roma, la cui area urbana è inferiore all'area comunale). Può nascere
in due modi: con un processo di agglomerazione o con un processo di conurbazione.
L'agglomerazione comprende il tessuto costruito da un Comune centrale unito ai
sobborghi e alle città-satellite che lo circondano, è monocentrica e si forma sull'estensione
di un suo nucleo principale che, nel suo estendersi, ingloba nuclei minori.
Una conurbazione, invece, è una vasta area comprendente alcune città, amministrate
separatamente, che attraverso la crescita della popolazione e l'espansione della densità
urbana si sono fisicamente unite a formare un'unica area edificata (megalopoli).
L'area metropolitana è una zona circostante un'agglomerazione o una conurbazione che,
per i vari servizi, dipende dalla città centrale (metropoli) ed è caratterizzata
dall'integrazione delle funzioni e dall'intensità dei rapporti che si realizzano al suo interno.
Le aree metropolitane sono state istituite in Italia nel 1990 (Legge n. 142 dell’8 giugno
1990) nell'ambito di una riforma degli enti locali volta a modernizzare l'apparato
amministrativo italiano e ridurre i costi pubblici.
La crescente urbanizzazione ha posto, secondo il legislatore, l'esigenza di un nuovo ente,
alternativo alla Provincia e che fosse maggiormente orientato verso l'amministrazione

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

efficiente di una grande città.


L’area metropolitana, nell’intento del legislatore, assume le funzioni spettanti ai Comuni in
materia di:
• disciplina del territorio, mediante la formazione di un piano intercomunale relativo: alla
rete delle principali vie di comunicazione stradali e ferroviarie e dei relativi impianti;
alle aree da destinare ad edilizia pubblica residenziale convenzionata ed agevolata;
alla localizzazione delle opere ed impianti d’interesse sovracomunale.
• formazione del piano intercomunale della rete commerciale;
• distribuzione dell’acqua potabile e del gas;
• trasporti pubblici;
• raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Le aree metropolitane attualmente presenti in Italia sono le seguenti 15:
• Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli (individuate
dalla L. 142/90 e confermate dal D.lgs. 267/2000);
• Trieste (individuata dalla legge regionale Friuli 10/1988);
• Cagliari (individuata dalla legge regionale Sardegna 4/1997);
• Catania, Messina, Palermo (individuate dalla legge regionale Sicilia 9/1986);
• Reggio Calabria (individuata con la legge delega n. 42 del 5 maggio 2009).
Delle suddette aree, otto (Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Reggio Calabria, Catania,
Palermo e Messina) hanno proceduto con la delimitazione ufficiale dell’aree metropolitane,
mentre le altre sette (Torino, Milano, Trieste, Roma, Napoli, Bari e Cagliari) non hanno
invece proceduto ad individuare formalmente l’area, anche se per alcune di queste sono
stati comunque effettuati studi e proposte di perimetrazione.
Va specificato, a tal proposito, che la normativa vigente in materia (D. Lgs. 267/2000) non
fornisce specifici criteri per la delimitazione delle aree metropolitane, ma si limita a definire
quali realtà territoriali possono essere considerate tali, ovvero, quelle parti di territorio
costituite da una città centrale e da una serie di centri minori ad essa uniti da contiguità
territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi
essenziali alla vita sociale, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali.
In Sicilia, la legge regionale 9/1986 aveva introdotto il concetto di “area metropolitana”
ancor prima che la legge 142/90 individuasse le aree metropolitane appartenenti alle

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Regioni a statuto ordinario.


Per la loro individuazione e perimetrazione la legge individua i seguenti parametri socio–
demografici e territoriali:
Ø siano ricomprese nell’ambito dello stesso territorio provinciale;
Ø abbiano, in base ai dati ISTAT relativi al 31 Dicembre dell’anno precedente la
dichiarazione, una popolazione residente non inferiore a 250.000 abitanti;
Ø siano caratterizzate dall’aggregazione, intorno ad un Comune di almeno 200.000
abitanti, di più centri urbani aventi fra loro una sostanziale continuità d’insediamenti;
Ø presentino un elevato grado d’integrazione in ordine ai servizi essenziali, al sistema
dei trasporti e allo sviluppo economico e sociale.
Palermo, Catania e Messina sono le realtà urbane che, nel possedere livelli di scambio e
di relazioni interne di più intensa dimensione, possono anche reggere la definizione di
area metropolitana. Le tre aree metropolitane, proprio perché costituiscono il sistema non
solo dei maggiori pesi demografici dell’isola, ma anche della continuità del rapporto tra le
capitali storiche ed il territorio siciliano, vanno misurate in ragione delle possibilità che
esse possono esprimere, nella realtà regionale, come sistemi integrati di servizi ed attività
complesse.
La dimensione delle tre aree metropolitane nella soluzione proposta copre, allo stato
attuale, poco meno della metà della popolazione della Regione (il 43,8%), interessando
un'area territoriale che ne costituisce circa un decimo (l'11,8%).
La perimetrazione dell'area metropolitana di Catania, in particolare, si configura come un
sistema costituito dai 27 Comuni sud-etnei e muove dalla considerazione che gli scambi
nel sistema catanese interessano un ampio territorio che ha come principali capisaldi, oltre
al polo del capoluogo, i centri di Acireale a nord e di Paternò a ovest (Tabella 1.1 e Figura
1.1).
Il peso della città di Catania è rappresentato da una popolazione di 298.091 residenti,
mentre i Comuni gravitanti hanno una popolazione di 455.006 residenti.
L'ampiezza demografica dell'area, pur se il peso di Catania rimane preponderante,
dimostra come si configuri un'articolazione di tre cittadine con una dimensione di abitanti
superiore alle 40 mila unità (Acireale, Misterbianco, Paternò) e di altri 6 centri che
superano i 20 mila abitanti (Aci Catena, Belpasso, Gravina, Mascalucia, San Giovanni la

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

Punta, Tremestieri Etneo).


I Comuni, aggregati a grappolo, che definiscono il sistema etneo, direttamente a contatto
con la città di Catania e che sono localizzati nelle prime pendici a nord del centro
capoluogo, definiscono un sistema insediativo complesso che rappresenta più di un terzo
della popolazione dei Comuni gravitanti.

Superficie Popolazione
Provincia Comune
(in km²) (numero di abitanti)
Catania 180,88 298.091
Aci Bonaccorsi 1,7 2.940
Aci Castello 8 18.153
Aci Catena 8 28.523
Acireale 39,96 52.859
Aci Sant'Antonio 14 17.214
Belpasso 164 23.786
Camporotondo Etneo 6,4 3.840
Gravina di Catania 5 27.816
Mascalucia 16 27.621
Misterbianco 37 48.040
Motta Sant'Anastasia 35,73 11.253
Nicolosi 42 6.979
Provincia di Catania Paternò 144,04 49.349
Pedara 19 12.341
Ragalna 39 3.478
San Giovanni La Punta 10 22.159
San Gregorio di Catania 5,61 11.317
San Pietro Clarenza 6 6.706
Sant'Agata li Battiati 3 9.702
Santa Maria di Licodia 26,23 6.866
Santa Venerina 18 8.266
Trecastagni 18,96 9.842
Tremestieri Etneo 6 21.532
Valverde (CT) 5 7.616
Viagrande 10,05 7.753
Zafferana Etnea 76 9.055
TOTALE 939,56 753.097

Tabella 1.1 Comuni appartenenti all’area metropolitana di Catania (Dati ISTAT 2008).

La rete delle infrastrutture dei trasporti appare ancora inadeguata e gli ultimi interventi
viabilistici hanno teso a risolvere più le necessità di scavalcamento di Catania che le
relazioni interne tra i vari centri. Il fascio delle linee di costa appare ancora dominante,
anche se l'autostrada Catania-Palermo definisce una forte penetrazione verso l'interno
dell'isola. I collegamenti con le aree più interne sono in buona parte affidati alla struttura
viaria delle vecchie statali e provinciali, in parte migliorate da interventi di rettifica e da

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

alcune circonvallazioni che


scavalcano i centri abitati.
Si configura un sistema ad
"albero" con una
penetrazione che cinge la
base del cono etneo e con
la forte polarità di Catania
che spinge verso valle le
principali radici produttive
ed i servizi.
Mentre lo sviluppo
complessivo della rete
stradale principale è di Figura 1.1 L’area metropolitana di Catania.
circa 187 km, la distanza  

tra gli estremi dell'area e la città di Catania varia tra gli 11 ed i 38 km con valori
complessivamente disponibili ad un'organizzazione degli scambi adeguati ai livelli di vita
contemporanei ed alla moderna mobilità (Fig. 1.2).
La delimitazione
dell’area
metropolitana di
Catania costituisce
un sistema dove
l'integrazione degli
scambi quotidiani
raggiunge i livelli
interni superiori a
quelli che lo
stesso sistema
possiede con Figura 1.2 Infrastrutture viarie nell’area metropolitana di Catania.
l'esterno. Essa  

permette di individuare nel territorio provinciale tre grandi ambiti dalla forte identità per

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

caratteri specifici ed opportunità legate all'insediamento umano. Oltre al territorio dell'area


metropolitana, è possibile individuare, infatti, il territorio dei Comuni del versante nord
dell'Etna, con centralità nella città di Randazzo, ed il territorio del calatino, dove
Caltagirone può definire una tradizione della cultura delle aree più interne. La stessa
definizione dell'area metropolitana può, pertanto, determinare, nel sistema della Provincia
di Catania, un principio d'integrazione e valorizzazione di questi altri due grandi ambiti che
la compongono.
Le città metropolitane dovrebbero rappresentare, in futuro, nuovi enti amministrativi
italiani. Sono state introdotte dalla legge n. 142 dell'8 giugno 1990 sul nuovo ordinamento
degli Enti locali, ed hanno trovato nuovo slancio nel nuovo art. 114 della Costituzione della
Repubblica italiana, dopo la riforma dell'ordinamento della Repubblica del 2001 (l’art. 114
recita espressamente “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e
le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati
dalla Costituzione”).
L'istituzione della città metropolitana è stata prevista per le 15 aree metropolitane già
definite. All'ente sono attribuite le funzioni della Provincia e parte delle funzioni di interesse
sovracomunale proprie dei singoli Comuni.
A distanza di molti anni dalla delimitazione delle aree metropolitane e dalla previsione
dell'istituzione delle città metropolitane, non ci sono ancora riscontri effettivi e sono in atto
grosse discussioni per definire i nuovi enti. Per esempio, è molto dibattuta la questione del
territorio di una città metropolitana, soprattutto se l'area di influenza storica di una città non
coincide con l'area di influenza economica contemporanea.
Un altro problema è dato dalla difficoltà dei Comuni di accettare di diventare municipalità
di quella che viene spesso considerata un'altra città. In particolare, alcune città
preferirebbero che l’individuazione del territorio della città metropolitana non tenesse conto
di criteri tecnico-scientifici ma di adesioni spontanee e graduali dei Comuni, basate sulla
condivisione delle funzioni e degli obiettivi che si vogliono attribuite alla città metropolitana;
in alcuni casi, inoltre, la fase di transizione verso la città metropolitana è affidata ad
organismi definiti Conferenze Metropolitane, cui compete sia la promozione del nuovo
ente, sia l’esercizio, in via transitoria, di funzioni di competenza della città metropolitana.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Da quanto esposto sembrerebbe quindi che le maggiori possibilità di successo passino


attraverso una prima adesione, spontanea e graduale, alle Conferenze Metropolitane,
organismi entro i quali cominciare a prefigurare e sperimentare il ruolo della futura città
metropolitana.
In ogni caso, appare chiaro come la costituzione di una città metropolitana rappresenti un
traguardo complesso ed impegnativo, realmente conseguibile solo attraverso un percorso
culturale, sociale e politico che difficilmente potrà svolgersi compiutamente se tra i cittadini
e le istituzioni non riuscirà ad affermarsi il diffuso convincimento di un’effettiva
appartenenza a comunità più estese di quelle originarie, condividenti problematiche di più
ampia portata, e per questo necessitanti, in ossequio ai principi di differenziazione ed
adeguatezza, di un livello istituzionale di governo nuovo, forte di accresciuti poteri ma nel
contempo rispettoso delle identità di base.
L’attuale situazione di stallo, imputabile in parte alle suddette difficoltà determinate da una
non matura situazione socio-culturale, è poi aggravata dall’attesa dei decreti legislativi che
il governo deve emanare per adeguare la legislazione vigente (D. L. 267/2000) alle
modifiche apportate alla Costituzione italiana con la Legge Costituzionale 3/2001.
Nel 2007 il Governo Prodi II aveva approvato un disegno di legge-delega che avrebbe
dovuto abrogare il D. Lgs. n. 267/2000, recante il Testo unico sull'Ordinamento degli Enti
Locali, che a sua volta raccoglieva in un unico testo la legge n. 142/1990. Secondo il
predetto disegno legislativo, l'iniziativa della costituzione della città metropolitana spettava
al Comune capoluogo o al 30% dei Comuni della Provincia o delle Province interessate,
che rappresentassero il 60% della relativa popolazione, oppure ad una o più Province
insieme al 30% dei Comuni della Provincia/e proponenti. Sulla proposta la Regione
doveva esprimere un parere e successivamente sarebbero stati chiamati ad esprimersi
anche i cittadini con un referendum, che non avrebbe avuto un quorum se il parere della
Regione fosse stato favorevole, o del 30% in caso contrario.
Nel 2008, però, lo scioglimento anticipato delle Camere ha rinviato il compito di istituire le
città metropolitane al Parlamento della XVI legislatura repubblicana.
La materia, con la legge n. 42 del 5 maggio 2009 sul federalismo fiscale, è stata oggetto di
delega al governo il quale dovrà emanare i relativi provvedimenti normativi.

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

1.2 STRUMENTI TECNICI-AMMINISTRATIVI PER LA PIANIFICAZIONE DEI


TRASPORTI IN AMBITO URBANO
Il processo che porta alla costruzione ed alla gestione delle infrastrutture viarie nelle aree
urbane e metropolitane, è regolamentato da quegli strumenti di pianificazione (piani) che,
sia a livello urbanistico che a quello specifico di settore, costituiscono riferimenti
imprescindibili non solo per i tecnici ma anche per quanti, a vario titolo (politici, gestori,
privati, etc.), sono interessati alle problematiche connesse alla mobilità in ambito urbano.
Il Piano Regolatore Generale è lo strumento urbanistico “principe” per la regolamentazione
delle attività che, nell’ambito dei territori comunali, definiscono tutti i livelli di costruzione
(comprese le infrastrutture di viabilità e di trasporto).
I Piani di interesse trasportistico, sempre coerenti con lo strumento settoriale elaborato a
livello nazionale (Piano Generale dei Trasporti), per quanto riguarda le ripercussioni sulla
viabilità nelle aree urbane e metropolitane, sono essenzialmente i seguenti tre: Piano
Regionale dei Trasporti (PRT), Piani Urbani della Mobilità (PUM) e Piani Urbani del
Traffico (PUT).

1.2.1 Piano Regionale dei Trasporti


Il Piano Regionale dei Trasporti (PRT) è stato istituito dalla legge n. 151 del 10 aprile 1981
- Legge quadro per l'ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti
pubblici locali che stabilisce i principi fondamentali cui le Regioni a statuto ordinario
devono attenersi nell'esercizio delle potestà legislative e di programmazione, in materia di
trasporti pubblici locali (art. 1). Secondo tale legge, le Regioni, nell'ambito delle loro
competenze:
Ø definiscono la politica regionale dei trasporti in armonia con gli obiettivi del Piano
Generale dei Trasporti e delle sue articolazioni settoriali;
Ø predispongono Piani Regionali dei Trasporti in connessione con le previsioni di assetto
territoriale e dello sviluppo economico, anche al fine di realizzare l'integrazione e il
coordinamento con i servizi ferroviari ed evitare aspetti concorrenziali con gli stessi;
Ø adottano programmi poliennali o annuali di intervento, sia per gli investimenti sia per
l'esercizio dei trasporti pubblici locali.
Le Regioni concorrono, altresì, secondo la legislazione statale, alla elaborazione del Piano

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Generale dei Trasporti e dei piani di settore, e collaborano alla predisposizione delle
direttive per l'esercizio delle funzioni delegate (art. 2). Il Decreto legislativo 422 del 19
novembre 1997 - Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in
materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15
marzo 1997, n. 59, al comma 2 dell'art. 14, precisa che, nell'esercizio dei compiti di
programmazione, le Regioni:
• definiscono gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i
piani di bacino;
• redigono i Piani Regionali dei Trasporti e loro aggiornamenti tenendo conto della
programmazione degli enti locali ed in particolare dei piani di bacino predisposti dalle
Province e, ove esistenti, dalle città metropolitane, in connessione con le previsioni di
assetto territoriale e di sviluppo economico e con il fine di assicurare una rete di
trasporto che privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo in particolar modo
quelle a minore impatto sotto il profilo ambientale.
Il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001 ha definito le Linee guida per la
redazione e la gestione PRT, al fine di promuovere un effettivo rinnovamento nelle
modalità di predisposizione dei Piani Regionali dei Trasporti (PRT), di assicurare il
massimo coordinamento con le scelte del PGT, di consentire una chiara possibilità di
confronto tra le proposte dei vari PRT. Il PGT, indicando obiettivi, vincoli, metodologie e
strategie per la pianificazione dei trasporti a livello regionale, sottolinea la necessità che i
PRT non vengano più intesi come mera sommatoria di interventi infrastrutturali, ma si
configurino come progetti di sistema con il fine di assicurare una rete di trasporto che
privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo quelle a minore impatto sotto il
profilo ambientale.
Gli obiettivi diretti sono:
• garantire accessibilità per le persone e le merci all'intero territorio di riferimento, anche
se con livelli di servizio differenziati in relazione alla rilevanza sociale delle diverse
zone;
• rendere minimo il costo generalizzato della mobilità individuale e collettiva;
• assicurare elevata affidabilità e bassa vulnerabilità al sistema, in particolare nelle aree
a rischio;

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

• contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto;


• garantire mobilità alle persone con ridotte capacità motorie e con handicap fisici.
Gli obiettivi indiretti sono:
• ridurre gli attuali livelli di inquinamento;
• proteggere il paesaggio e il patrimonio archeologico, storico e architettonico;
• contribuire a raggiungere gli obiettivi dei piani di riassetto urbanistico e territoriale e dei
piani di sviluppo economico e sociale.
Nel perseguire questo sistema di obiettivi, i piani locali di trasporto debbono rispettare i
vincoli derivanti da direttive europee e da leggi nazionali, in particolare i vincoli di budget
imposti da scelte del governo centrale o dei governi regionali. Particolare attenzione va
dedicata anche ai vincoli relativi all’inquinamento atmosferico.
Le principali strategie da adottare sono:
Ø strategie istituzionali che consistono nella promozione del coordinamento e
dell'integrazione di competenze, nell’introduzione di procedure moderne di
pianificazione ed istituzione di Enti e uffici specifici (uffici di Piano, osservatori sulla
mobilità) e nell'attivazione di procedure di controllo sull'attuazione del piano;
Ø strategie infrastrutturali che consistono nel riequilibrio della ripartizione della domanda
tra le diverse modalità, sia per i passeggeri sia per le merci, nell’integrazione fra le
diverse componenti del sistema (intermodalità), nella utilizzazione massima delle
infrastrutture esistenti con il recupero di quelle divenute obsolete o sottoutilizzate.
Le Regioni devono innanzitutto produrre congiuntamente, attraverso la Conferenza Stato
– Regioni, la costruzione di un quadro complessivo delle attese, cioè la chiara e
concordata elencazione dei principi chiave dell’assetto trasportistico desiderato in termini
di soglie di costo delle modalità di trasporto, di soglie tariffarie, di ubicazione strategica
delle infrastrutture nodali, di realizzazione e mantenimento delle reti portanti, nonché di
indicatori di sicurezza e ambientali.

1.2.2 Piano Urbano della Mobilità


Per quanto riguarda la mobilità urbana, il PGT prevede l’adozione di una politica di totale
libertà da parte dei Comuni in merito alla scelta degli interventi infrastrutturali, tecnologici,
gestionali ed organizzativi volti al miglioramento dei livelli di servizio del sistema di

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

trasporti nelle singole realtà locali. Allo Stato è riservato il ruolo di cofinanziatore degli
interventi, qualora essi vengano ritenuti capaci di raggiungere precisi e quantificabili
obiettivi prefissati.
I Piani Urbani della Mobilità (PUM) sono lo strumento attraverso il quale le realtà locali
definiscono l’insieme di interventi più appropriati per il raggiungimento di detti obiettivi e si
sviluppano in un orizzonte temporale di medio/lungo periodo (massimo 10 anni).
Con i PUM si potranno richiedere finanziamenti allo Stato per interventi atti a conseguire
gli obiettivi di mobilità generale previsti dal Governo, ai quali possono aggiungersene altri
delle Amministrazioni locali. I finanziamenti quindi non saranno più per opere, ma per
obiettivi.
Il PUM si differenzia dai Piani Regionali dei Trasporti (PRT) per le dimensioni dell’area
sulla quale esso agisce. I PUM interessano bacini di mobilità relativi ad aree territoriali
contigue: i soggetti beneficiari potranno essere gli agglomerati urbani con popolazione
superiore a 100.000 abitanti, singoli Comuni, aggregazioni di Comuni limitrofi e Province
aggreganti Comuni limitrofi.
Per accedere ai finanziamenti, ottenuto il parere favorevole dalla Regione, le richieste
potranno essere attivate in modo standardizzato a cadenza annuale (sulla base della
legge Finanziaria).
Gli interventi ricadenti nei PUM sono finalizzati a:
• soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione;
• abbattere i livelli di inquinamento atmosferico ed acustico nel rispetto degli accordi
internazionali e delle normative comunitarie e nazionali in materia di abbattimento di
emissioni inquinanti;
• ridurre i consumi energetici;
• aumentare i livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale;
• minimizzare l’uso individuale dell’automobile privata e moderare il traffico;
• incrementare la capacità di trasporto;
• aumentare la percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi, anche con
soluzioni di car pooling, car sharing, taxi collettivi, etc.;
• ridurre i fenomeni di congestione nelle aree urbane caratterizzate da una elevata
densità di traffico, mediante l’individuazione di soluzioni integrate del sistema di

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

trasporti e delle infrastrutture in grado di favorire un migliore assetto del territorio e dei
sistemi urbani;
• favorire l’uso di mezzi alternativi di trasporto con impatto ambientale più ridotto
possibile.
Costituiscono interventi compresi nei PUM:
Ø le infrastrutture di trasporto pubblico relative a qualunque modalità;
Ø le infrastrutture stradali, di competenza locale, con particolare attenzione alla viabilità
a servizio dell’interscambio modale;
Ø i parcheggi, con particolare riguardo a quelli di interscambio;
Ø le tecnologie;
Ø le iniziative dirette a incrementare e/o migliorare il parco veicoli;
Ø il governo della domanda di trasporto e della mobilità, anche attraverso la struttura del
mobility manager;
Ø i sistemi di controllo e regolazione del traffico;
Ø i sistemi d’informazione all’utenza;
Ø la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle
merci nelle città, nei Comuni e nelle aree densamente urbanizzate.
I PUM, per poter perseguire al meglio gli obiettivi sopra richiamati, tenuto conto degli
strumenti di pianificazione generale ed esecutiva, devono essere coordinati con gli altri
piani di settore, quali i piani di azione per il miglioramento e per il mantenimento della
qualità dell’aria e dell’ambiente e per la riduzione dei livelli di emissione sonora, igienico-
sanitari, energetici, quelli urbanistico-territoriali sia generali che attuativi, in specie quelli
relativi alle attività produttive e alle attività ricreative e residenziali (piano per insediamenti
produttivi, centri direzionali, zone e centri commerciali, zone per il tempo libero, etc.) e con
la pianificazione dei servizi sociali e ai piani municipali di welfare, dei tempi e degli orari.
Inoltre, il PUM deve essere progettato in coerenza con gli strumenti della programmazione
e della pianificazione regionale, secondo le procedure già in vigore o da emanare nei
singoli ordinamenti regionali.
Gli effetti del PUM per il raggiungimento degli obiettivi si valutano con la quantificazione
del valore dei vari indicatori (ad es., il livello sonoro equivalente per l’inquinamento
acustico, o il numero annuo di incidenti, morti e feriti per la sicurezza stradale) tramite

12  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

opportuni modelli di previsione e simulazione. La valutazione degli effetti complessivi degli


scenari di progetto deve essere effettuata in termini trasportistici, ambientali, territoriali,
economici, finanziari e gestionali, rispetto agli scenari di riferimento.
Occorre infine prevedere un’attività di monitoraggio degli obiettivi dei PUM. A tal fine
l'Amministrazione centrale dovrà dotarsi di un apposito ufficio preposto per l’espletamento
di tale compito.

1.2.3 Piano Urbano del Traffico


Le Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico (Art. 36
del Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Codice della Strada) sono state emanate dal
Ministero dei Lavori Pubblici e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno
1995.
Il Codice della strada, all’articolo 36, fa obbligo della redazione del Piano urbano del
traffico (PUT) ai Comuni con popolazione residente superiore a trentamila abitanti ovvero
comunque interessati da rilevanti problematiche di circolazione stradale; alle Direttive
possono infatti far riferimento anche quei Comuni che, pur non essendo tenuti per legge,
ritengono opportuno dotarsi di un PUT.
Il PUT costituisce uno strumento tecnico-amministrativo di breve periodo, finalizzato a
conseguire il miglioramento delle condizioni della circolazione e della sicurezza stradale, la
riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico e il contenimento dei consumi
energetici, nel rispetto dei valori ambientali. Esso deve essere coordinato, oltre che con i
Piani del traffico per la viabilità extraurbana previsti dallo stesso articolo 36, con gli
strumenti urbanistici, con i Piani di risanamento e tutela ambientale e con i PRT.
Un Piano Urbano del Traffico è costituito da un insieme coordinato di interventi per il
miglioramento delle condizioni della circolazione stradale nell’area urbana, dei pedoni, dei
mezzi pubblici e dei veicoli privati, realizzabili e utilizzabili nel breve periodo (arco
temporale biennale) e nell’ipotesi di dotazioni di infrastrutture e mezzi di trasporto
sostanzialmente invariate.
Il PUT deve essere inteso come “piano di immediata realizzabilità”, con l’obiettivo di
contenere al massimo, mediante interventi di modesto onere economico, le criticità della
circolazione; tali criticità, specialmente nelle aree urbane di maggiori dimensioni, potranno

    13  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

infatti essere interamente rimosse solo attraverso adeguati potenziamenti sull’offerta di


infrastrutture e di servizi del trasporto pubblico collettivo.
In particolare, gli obiettivi specifici del PUT sono quelli riportati di seguito:
• il miglioramento delle condizioni di circolazione (movimento e sosta);
• il miglioramento della sicurezza stradale (riduzione degli incidenti stradali);
• la riduzione degli inquinamenti atmosferico ed acustico;
• il risparmio energetico.
Il perseguimento degli obiettivi suddetti, traducendosi sempre nella predisposizione di una
corretta organizzazione del traffico urbano, richiede un’ampia serie coordinata di
interventi, su tutto il territorio urbanizzato e su tutte le componenti della circolazione
stradale.
Gli interventi in questione possono riassumersi nei due seguenti tipi di strategie generali
da adottare:
Ø interventi sull’offerta di trasporto;
Ø interventi sulla domanda di mobilità e di sosta.
Le azioni mirate alla riorganizzazione dell’offerta di trasporto richiedono in primo luogo la
definizione di un’idonea classifica funzionale delle strade.
La classifica in questione, coerentemente all’articolo 2 del CdS ed al D.M. 5/11/2001, fa
riferimento in generale ai seguenti quattro tipi fondamentali di strade urbane (cfr. paragrafo
1.3):
• autostrade urbane,
• strade di scorrimento,
• strade di quartiere,
• strade locali.
I principali strumenti attraverso i quali risulta possibile nel breve termine ottenere il
miglioramento della capacità del sistema di trasporto urbano riguardano:
Ø l’eliminazione della sosta veicolare dalla viabilità principale,
Ø l’adeguamento della capacità delle intersezioni ai flussi veicolari in transito.
L’eliminazione della sosta veicolare dalla viabilità principale, in genere comporta:
• il riordino delle strade, piazze e larghi appartenenti alla viabilità locale, finalizzato alla
possibilità di recupero di nuovi spazi di sosta (strade parcheggio ed aree-parcheggio),

14  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

fatte sempre salve le esigenze dei pedoni e la vocazione ambientale dei luoghi, tenuto
conto dei relativi valori storici artistici ed architettonici;
• l’utilizzo, eventualmente provvisorio, delle aree pubbliche, ma anche private, in attesa
di definitiva destinazione urbanistica, in termini di realizzazione e di gestione di aree di
parcheggio, eventualmente multipiano, ad uso pubblico (parcheggi di tipo sostitutivo
della sosta su strada), con possibile attrezzatura di alberature ed anche con
riferimento ad interventi finanziati dall’iniziativa privata;
• la realizzazione di parcheggi ad uso privato (parcheggi pertinenziali, sempre ad uso
sostitutivo della sosta su strada), su suolo privato o anche pubblico, con particolari
facilitazioni da prevedere per i privati interessati alla loro costruzione;
• il potenziamento e la riorganizzazione del corpo di vigilanza urbana, in forma diretta ed
indiretta, intesa quest’ultima come potenziamento dei servizi atti ad ottenere, in
particolare, un idoneo ed efficace controllo delle modalità di sosta.
Per quel che concerne l’adeguamento della capacità delle intersezioni, esso coinvolge
diverse tipologie di azione (limitazioni alle manovre di svolta a sinistra, istituzione di sensi
unici di marcia, adeguate canalizzazioni ed, eventualmente, ridisegno delle caratteristiche
geometriche con riduzione del numero dei rami di intersezione). Si tratta, in ogni caso, di
un settore di intervento che può oggi avvalersi dei più moderni sistemi tecnologici di
controllo del traffico (a partire dagli impianti semaforici attuati dai flussi veicolari e/o
pedonali), di vasta utilità, sempre che risulti corretto il dimensionamento della rete
principale (come quantità, estesa e distribuzione delle corsie di marcia messe a
disposizione per le diverse correnti veicolari) e delle politiche intermodali e tariffarie
eventualmente adottate.
La domanda di mobilità e di sosta è generalmente espressa dalle tre componenti
fondamentali del traffico, qui di seguito esposte secondo l’ordine assunto nella loro scala
dei valori all’interno del Piano:
1. pedoni;
2. veicoli per il trasporto collettivo con fermate di linea (autobus, filobus e tram), urbani
ed extraurbani;
3. veicoli motorizzati senza fermate di linea (autovetture, autoveicoli commerciali,
ciclomotori, motoveicoli, autobus turistici e taxi).

    15  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

Laddove non esista il trasporto pubblico collettivo, oppure risultino assenti concrete
possibilità di immediato miglioramento del suo servizio, il Piano suggerisce la strategia di
fornire alternative spaziali alla mobilità veicolare urbana, consistenti nell’individuazione di
itinerari alternativi per i flussi veicolari e di spazi di sosta alternativi a quelli in uso sulla
viabilità principale.
L’attuale grado di saturazione fisica degli spazi disponibili per i movimenti e la sosta
veicolare rende, però, molto spesso insufficiente l’adozione della sola strategia ora
indicata, specialmente per le aree urbane maggiormente congestionate. In tali situazioni
risulta quindi necessario intervenire orientando la domanda di mobilità verso modi di
trasporto che richiedono minori disponibilità di spazi stradali per il soddisfacimento della
domanda medesima (domanda espressa, non più in veicoli x km, bensì in persone x km).
Questa tipologia di interventi rientra nella cosiddetta politica delle alternative modali, che
trova attuazione fondamentale nella migliore organizzazione possibile del trasporto
collettivo, sia a carattere pubblico che privato (autobus aziendali).
La politica delle alternative modali viene in generale resa efficiente attraverso
l’applicazione contestuale, da un lato, di forme di incentivazione dell’uso dei cosiddetti
modi alternativi e, dall’altro lato, di forme di disincentivazione dell’uso delle vetture per il
trasporto individuale privato, con il vincolo non sopprimibile che la capacità di trasporto
alternativa fornita risulti in grado di assorbire, ad un livello di servizio accettabile, le quote
di domanda ad essa trasferite dal sistema individuale privato.
In quest’ambito di interventi rientrano misure molto varie, di carattere tecnico, normativo e
tariffario; ad esempio sono ipotizzabili forme di facilitazione per l’utilizzazione dei taxi e
delle autovetture ad uso collettivo (car pooling), in contrapposizione all’adozione di
restrizione alla circolazione delle autovetture ad uso individuale.
Tra di essi risultano peculiarmente significativi due tipi di intervento:
• la realizzazione di aree di sosta dove lasciare la propria autovettura e proseguire lo
spostamento con un altro modo di trasporto (parcheggi di scambio, intesi in questo
contesto come forma di disincentivazione all’uso di autovettura per il trasporto
individuale privato);
• l’introduzione di particolari sistemi di tariffazione della circolazione dell’autovettura in
determinate zone urbane (intesi in questo contesto come forme di disincentivazione

16  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

all’uso delle autovettura con il solo conducente).


I parcheggi di scambio, specie nelle aree urbane di maggiori dimensioni, incoraggiano
infatti la intermodalità dei movimenti sulle direttrici centro-periferia, prevedendo adeguati
spazi di sosta, preferibilmente custodita, in prossimità delle principali interconnessioni tra
la rete viaria di adduzione all’area urbana ed i terminali periferici delle linee di trasporto
pubblico collettivo. Gli spazi di sosta andranno attrezzati, in relazione alle dimensioni
dell’area, con elementi di arredo urbano e con servizi complementari di ristoro, di
informazione all’utente e di interesse culturale.
Detti parcheggi risultano analogamente utili anche nelle aree urbane di minori dimensioni
laddove non esiste il servizio di trasporto pubblico, con riferimento alla possibilità di
proseguire lo spostamento a piedi con un percorso pedonale di accettabile lunghezza.
D’altro verso, la tariffazione della sosta su strada in determinati ambienti urbani e/o,
eventualmente, dell’accesso veicolare individuale a tali ambienti, conduce ad una
riduzione della domanda di mobilità motorizzata individuale, sia in quanto rende
maggiormente competitivo, dal punto di vista economico, l’uso degli anzidetti sistemi di
trasporto alternativi, rispetto a quello individuale autoveicolare, sia in quanto induce all’uso
collettivo (per accompagnamento, per accordi tra colleghi di lavoro o di studio, etc.) dello
stesso sistema di trasporto autoveicolare.
Inoltre la tariffazione della sosta su strada, oltre che incentivare la rotazione dei veicoli su
uno stesso posto di sosta, contribuisce al finanziamento degli interventi necessari alla
gestione di tutto il traffico stradale (articolo 7, comma 7, del CdS).
Oltre che delle alternative spaziali e modali, il Piano può avvalersi di interventi relativi alle
strategie proprie delle alternative temporali, le quali fanno riferimento al soddisfacimento
della domanda di mobilità, per quanto utile e conveniente, in orari ricadenti nei cosiddetti
periodi di morbida del traffico, durante i quali si registrano minori intensità dei flussi
veicolari in movimento.
Questi interventi, che coinvolgono anche altri settori, oltre quello del traffico, e che
pertanto vanno con essi coordinati, riguardano in genere lo sfalsamento degli orari di inizio
e termine delle attività lavorative e scolastiche, la migliore distribuzione degli orari delle
attività commerciali e degli uffici aperti al pubblico e simili.
Dal punto di vista della strutturazione formale, vengono distinti tre livelli di progettazione

    17  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

del PUT, rappresentativi anche del suo specifico iter di approvazione da parte degli organi
istituzionali competenti.
Il 1° Livello di progettazione è quello del Piano generale del traffico urbano (PGTU), inteso
quale progetto preliminare o piano quadro del PUT, relativo all’intero centro abitato. Esso
riguarda, in particolare, la proposizione:
• del Piano di miglioramento della mobilità pedonale, con definizione delle piazze,
strade, itinerari od aree pedonali (AP) e delle zone a traffico limitato (ZTL) o,
comunque, a traffico pedonalmente privilegiato;
• del Piano di miglioramento della mobilità dei mezzi collettivi pubblici (fluidificazione dei
percorsi, specialmente delle linee portanti) con definizione delle eventuali corsie e/o
carreggiate stradali ad essi riservate, e dei principali nodi di interscambio, nonché dei
rispettivi parcheggi di scambio con il trasporto privato e dell’eventuale piano di
riorganizzazione delle linee esistenti e delle loro frequenze (PUT inteso come Piano
della mobilità);
• del Piano di riorganizzazione dei movimenti dei veicoli motorizzati privati, con
definizione sia dello schema generale di circolazione veicolare (per la viabilità
principale), sia della viabilità tangenziale per il traffico di attraversamento del centro
abitato, sia delle modalità di assegnazione delle precedenze tra i diversi tipi di strade;
• del Piano di riorganizzazione della sosta delle autovetture, con definizione sia delle
strade parcheggio, sia delle aree di sosta a raso fuori delle sedi stradali ed,
eventualmente, delle possibili aree per i parcheggi multipiano, sostitutivi della sosta
vietata su strada, sia del sistema di tariffazione e/o di limitazione temporale di quota
parte della sosta rimanente su strada.
Gli elaborati progettuali del PGTU, relativi agli argomenti anzidetti, devono essere redatti
in scala da 1:25.000 fino ad 1:5.000 (od eccezionalmente valori inferiori), in funzione delle
dimensioni del centro abitato; devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-
descrittiva.
Il 2° Livello di progettazione è quello dei Piani particolareggiati del traffico urbano (PPTU),
intesi quali progetti di massima del PGTU, relativi ad ambiti territoriali più ristretti di quelli
dell’intero centro abitato, quali, a seconda delle dimensioni del centro medesimo, le
circoscrizioni, i settori urbani, i quartieri o le singole zone urbane (anche come fascia di

18  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

influenza dei singoli itinerari di viabilità principale), e da elaborare secondo l’ordine


previsto nell’anzidetto programma generale di esecuzione del PGTU.
Essi, in particolare, riguardano:
• i progetti per le strutture pedonali, con eventuali marciapiedi, passaggi ed
attraversamenti pedonali e relative proiezioni, e per la salvaguardia della fluidità
veicolare attorno alle eventuali AP, ZTL e zone particolarmente sensibili
all’inquinamento atmosferico;
• il tipo di organizzazione delle fermate, dei capilinea e dei punti di interscambio dei
mezzi pubblici collettivi e delle rispettive eventuali corsie e/o sedi riservate e
l’eventuale progetto di massima per i parcheggi di scambio con il trasporto privato,
nonché l’eventuale piano di dettaglio per la riorganizzazione delle linee esistenti e
delle loro frequenze (PUT inteso come Piano della mobilità);
• gli schemi dettagliati di circolazione per i diversi itinerari della viabilità principale e per
la viabilità di servizio, il tipo di organizzazione delle intersezioni stradali della viabilità
principale (con relativo schema di fasatura e di coordinamento degli impianti
semaforici od, eventualmente, schema di svincolo delle correnti veicolari e pedonali a
livelli sfalsati) ed il piano generale della segnaletica verticale, specialmente di
indicazione e precedenza;
• il tipo di organizzazione della sosta per gli eventuali spazi laterali della viabilità
principale, per le strade-parcheggio, per le aree di sosta esterne alle sedi stradali e per
gli eventuali parcheggi multipiano sostitutivi della sosta vietata su strada, nonché
l’eventuale organizzazione della tariffazione e/o limitazione della sosta di superficie
(strade ed aree).
Gli elaborati progettuali di questo 2° livello di progettazione devono essere redatti in scala
da 1:5.000 fino ad 1:1.000 (o eccezionalmente più dettagliata), in funzione. delle
dimensioni dell’ambito territoriale in studio (circoscrizione, settore urbano, quartiere, zona
o fascia urbana); devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-descrittiva.
Il 3° Livello di progettazione è quello dei Piani esecutivi del traffico urbano (PETU), intesi
quali progetti esecutivi dei Piani particolareggiati del traffico urbano. La progettazione
esecutiva riguarda, di volta in volta, l’intero complesso degli interventi di un singolo Piano
particolareggiato, ovvero singoli lotti funzionali della viabilità principale e/o dell’intera rete

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

viaria di specifiche zone urbane (comprendenti una o più maglie di viabilità principale, con
la relativa viabilità interna a carattere locale), facenti parte di uno stesso Piano
particolareggiato.
Detti Piani esecutivi definiscono completamente gli interventi proposti nel rispettivi Piani
particolareggiati, quali, ad esempio, le sistemazioni delle sedi viarie, la canalizzazione
delle intersezioni, gli interventi di protezione delle corsie e delle sedi riservate e le
indicazioni finali della segnaletica stradale (orizzontale, verticale e luminosa), e li integrano
in particolare per quanto attiene le modalità di gestione del PUT (in termini di verifiche ed
aggiornamenti necessari).
Tra queste ultime modalità assumono particolare importanza i due essenziali Piani di
settore relativi ai “potenziamento e/o ristrutturazione del servizio di vigilanza urbana” ed
alle indispensabili “campagne di informazione e di sicurezza stradale”.
Gli elaborati progettuali di questo 3° livello di progettazione devono essere redatti in scala
da 1:500 fino ad 1:200 o valori inferiori, in funzione delle necessità di descrizione
esecutiva degli interventi proposti; devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-
descrittiva.
Per i centri urbani di più modeste dimensioni, specialmente se interessati da fenomeni
stagionali di affluenza turistica, il 2° ed il 3° livello di progettazione possono anche essere
riuniti in un’unica fase di progettazione e denominati Piani di dettaglio del traffico urbano
(PDTU).
L’iter procedurale che porta all’attuazione del PUT, ha inizio a livello regionale. Le Regioni,
infatti, qualora non abbiano già provveduto, entro due mesi dalla emanazione delle
direttive devono predisporre l’elenco dei rispettivi Comuni interessati al PUT e
trasmetterne copia alla Direzione generale della viabilità e mobilità urbana ed extraurbana
affinché, a cura del Ministero dei lavori pubblici, detto elenco venga pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
I Comuni interessati all’attuazione del PUT, tenuto conto dei tempi di redazione dei relativi
elaborati progettuali di dettaglio per l’intera rete stradale urbana, specialmente in
connessione al particolare impegno conseguente alla prima applicazione delle direttive,
hanno in generale l’obbligo di:
• adottare entro un anno il Piano generale del traffico urbano, a partire dall’emanazione

20  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

delle direttive (fatto salvo l’espletamento delle incombenze regionali per la


predisposizione dei relativi elenchi di Comuni coinvolti);
• portarlo completamente in attuazione nei due anni successivi, attraverso la redazione
dei relativi Piani particolareggiati e Piani esecutivi;
• provvedere all’aggiornamento del PUT per ciascuno dei bienni successivi, con un
anno di tempo per l’adozione delle sue varianti e l’anno susseguente per l’attuazione
dei relativi interventi.
A tale scopo i Comuni interessati dovranno anzitutto assegnare l’incarico di redazione del
PGTU a tecnici specializzati appartenenti al proprio personale o/e ad esperti specializzati
esterni, inclusi nell’albo degli esperti in materia di Piani del traffico in corso di
predisposizione presso il Ministero dei lavori pubblici (articolo 36, commi 8 e 9, del CdS).
L’incarico in questione deve essere comunque affidato a tecnici di comprovata esperienza
nel settore della pianificazione del traffico. Ove necessario, l’incarico di redazione del
Piano viene affidato tramite sistema concorsuale “per titoli”, con particolare riferimento
all’esperienza di pianificazione nel settore.
Redatto il PGTU, esso viene adottato dalla giunta comunale, e viene poi depositato per
trenta giorni in visione del pubblico, con relativa contestuale comunicazione di possibile
presentazione di osservazioni (nel medesimo termine), anche da parte di singoli cittadini.
Successivamente, il consiglio comunale delibera sulle proposte di Piano e sulle eventuali
osservazioni presentate (con possibilità di rinviare il PGTU in sede tecnica per le modifiche
necessarie) e procede, infine, alla sua adozione definitiva.
Per i Piani di dettaglio (Piani particolareggiati e Piani esecutivi), ferme restando le
procedure precedentemente indicate per quanto attiene l’incarico di redazione (salvo che
per gli interventi dell’arredo urbano di aree pedonali, il cui progetto preliminare potrà anche
essere oggetto di specifico “concorso di idee”), devono adottarsi procedure semplificate
relativamente alle loro fasi di controllo e di approvazione, in modo da rispettare la loro
qualificazione prettamente tecnica. In particolare, per detti Piani di dettaglio non è prevista
la fase di approvazione da parte del consiglio comunale, ma diviene, invece, ancora più
essenziale la fase di presentazione pubblica attraverso le “campagne informative”,
propedeutiche all’entrata in esercizio degli interventi di Piano. Per l’aggiornamento del
PUT si seguono procedure analoghe a quelle anzidette, sia nelle fasi di assegnazione

    21  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

degli incarichi di progettazione, sia in quelle di eventuale adozione del nuovo PGTU e di
attuazione dei nuovi interventi previsti.
Per i Comuni inadempienti all’obbligo di redazione, adozione ed attuazione del PUT, il
Ministero dei Lavori Pubblici, dopo la segnalazione di provvedere entro un termine
assegnato, oltre che avvalersi dell’esecuzione d’ufficio del Piano e dei suoi interventi
(articolo 36, comma 10, del CdS), può anche avvalersi dell’istituto del “commissariamento
ad acta”.
Considerate anche le nuove incombenze assegnate ai Comuni in materia di circolazione
stradale dal CdS, è necessario che quelle amministrazioni comunali, le quali risultano
vincolate dal CdS medesimo all’adozione del PUT, costituiscano uno specifico ufficio
tecnico dei traffico (peraltro già raccomandato con circolare del Ministro dei lavori pubblici,
n. 50067 del 20/09/1961 e di seguito indicato con la denominazione abbreviata di ufficio
traffico), ovvero adeguino alle nuove funzioni l’eventuale rispettivo ufficio (sezione, servizio
o ripartizione) già esistente. Le funzioni dell’Ufficio traffico riguardano principalmente il
perseguimento integrale degli obiettivi precedentemente esposti in merito al PUT, con
strumenti di intervento, però, che coinvolgono anche il controllo della scelta e
dell’efficiente realizzazione delle nuove infrastrutture previste dal Piano dei trasporti o
dagli strumenti urbanistici vigenti.

1.3 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELLE STRADE URBANE


Nelle aree urbane e metropolitane, le diverse domande di mobilità richiedono infrastrutture
caratterizzate da diversi livelli di funzionalità: tangenziali per “scavalcare” i centri urbani,
strade di attraversamento o di circonvallazione, d’accesso alla città e di raccordo tra le
parti della città, per la circolazione nei singoli quartieri, a servizio diretto degli insediamenti.
Il Codice della Strada (Art. 2) e il D.M. 5/11/2001, consentono di estrapolare una
classificazione di riferimento delle strade urbane, in funzione delle diverse funzioni che
esse assumono all’interno della rete urbana:
• autostrade urbane (tipo A),
• strade urbane di scorrimento (tipo D),
• strade urbane di quartiere (tipo E),
• strade urbane locali (tipo F).

22  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

La suddetta classificazione non risolve però il problema amministrativo ed urbanistico


relativo ai livelli di governo che devono sobbarcarsi gli oneri di gestione del patrimonio
viario urbano.
L’articolo 2 del CdS prescrive che sono da considerarsi comunali le strade urbane di tipo
D, E ed F, quando siano situate all’interno dei centri abitati, salvo le tratte interne di strade
statali, regionali e provinciali con popolazione uguale o inferiore a 10000 abitanti. I Comuni
con più di 10000 abitanti, pertanto, sono ovviamente restii a compiere l’atto amministrativo
di presa in carico di tali infrastrutture, in quanto ciò comporterebbe l’assunzione di tutti gli
oneri economici di manutenzione di questi tratti di strada. La situazione reale rimane così
alquanto confusa e sostanzialmente diversa da quella prevista dal Codice della Strada.
Nella realtà, non è raro riscontrare una strada statale, regionale o provinciale che
attraversa numerose aree urbane anche densamente edificate, dove ha perso le sue
caratteristiche e la corrispondente fascia di rispetto, ma soprattutto subisce una
promiscuità funzionale, causata dall’essere contemporaneamente itinerario
sovracomunale e, di fatto, facente parte della rete urbana con la presenza continua di
insediamenti edilizi posti al margine della carreggiata.

1.3.1 Autostrade urbane


La funzione delle autostrade urbane è quella di rendere avulso il centro abitato dai
problemi del suo traffico di attraversamento, nonché di servire il traffico di scambio tra
territorio urbano ed extraurbano.
Secondo il Codice della Strada, un’autostrada urbana è a carreggiate indipendenti o
separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia,
eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata
a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di
assistenza all'utente lungo l'intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie
di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine. Deve essere
attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio, entrambe con accessi
dotati di corsie specializzate per l’immissione e l’uscita.

    23  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

Per questa categoria di strade sono ammesse solamente le componenti di traffico relative
ai movimenti veicolari, nei limiti di quanto previsto all’articolo 175 del CdS ed all’articolo
372 del relativo Regolamento di esecuzione. Ne risultano pertanto escluse, in particolare,
le componenti di traffico relative ai pedoni, ai velocipedi, ai ciclomotori, alla fermata ed alla
sosta (salvo quelle di
emergenza).
Secondo il D.M.
5/11/2001, alle
autostrade urbane
compete un intervallo
delle velocità di
progetto compreso
tra 80 km/h e 140
km/h; dal punto di
vista geometrico lo
stesso Decreto
propone gli schemi
riportati in figura 1.3.
In molte aree urbane
e metropolitane, la
composizione
strutturale e
funzionale delle
autostrade urbane è
stata affidata alle
cosiddette
tangenziali (Fig. 1.4) Figura 1.3 Sezioni trasversali delle Autostrade Urbane (D.M. 5/11/2001).
 
che collegano fra loro zone poste al contorno dell’area urbanizzata con un tracciato ad
anello o semianello senza interessare il centro abitato (ad es., il “Grande Raccordo
Anulare” di Roma, il sistema autostradale delle “Tangenziali di Milano” e la “Tangenziale
Ovest di Catania”). La posizione radiale di queste configurazioni stradali è fortemente

24  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

vincolata dalle previsioni di crescita urbanistica della città servita, onde evitare che la
realizzazione dell’infrastruttura venga a creare, piuttosto che un elemento di connessione,
una frattura del tessuto urbano e di separazione fisica. È già accaduto, infatti, che le
tangenziali siano state poi inglobate nel tessuto urbano, perdendo la loro funzione
originaria, e richiedendo così la necessità di essere duplicate in tracciati ancora più
esterni.
Nelle autostrade
urbane, le
intersezioni con le
altre strade (sempre
a livelli sfalsati), al
fine di garantire la
massima fluidità di
circolazione dei
veicoli, devono
essere molto
intervallate;
occorrerebbe infatti Figura 1.4. Tangenziale Ovest di Catania.
che le uscite e le  

entrate che le allacciano alle altre strade siano in numero contenuto e distanziate tra loro
di almeno qualche chilometro: lo schema ideale è quello in cui le interconnessioni sono
esclusivamente realizzate con le strade di scorrimento (di attraversamento e/o di
penetrazione).

1.3.2 Strade urbane di scorrimento


La funzione delle strade urbane di scorrimento, oltre a quella precedentemente indicata
per le autostrade nei riguardi del traffico di attraversamento e del traffico di scambio, da
assolvere completamente o parzialmente nei casi rispettivamente di assenza o di
contemporanea presenza delle autostrade medesime, è quella di garantire un elevato
livello di servizio per gli spostamenti a più lunga distanza propri dell'ambito urbano (traffico
interno al centro abitato).

    25  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

In particolare, in ragione della loro funzione urbanistica, si possono distinguere le strade di


penetrazione e le strade di attraversamento. Si definiscono strade di penetrazione quelle
che collegano i quartieri periferici (sobborghi) con il centro della città. Le strade di
attraversamento, invece, collegano tra loro zone esterne al centro abitato, penetrando nel
tessuto urbano e servendolo con connessioni alle strade urbane di gerarchia inferiore,
attraverso intersezioni attrezzate.
In base al CdS, una strada urbana di scorrimento è costituita da carreggiate indipendenti o
separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia ed una eventuale
corsia riservata ai mezzi pubblici, banchine pavimentate e marciapiedi con eventuali
intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali
estranee alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate.
La suddetta
definizione è
sostanzialmente
coerente con le
caratteristiche
geometriche
indicate nel D.M.
5/11/2001 (Fig. 1.5)
per le strade di tipo
D, ricordando la
prescrizione che,
trovandosi in ambito
urbano, è
necessario
predisporre sul lato
Figura 1.5. Sezioni trasversali delle Strade di Scorrimento (D.M. 5/11/2001).
destro di ciascuna
 
carreggiata, al di là della banchina, un marciapiede di larghezza non inferiore ad 1,50 m,
delimitato verso la banchina da un ciglio sagomato e protetto da idoneo dispositivo di
ritenuta.
Si rileva una contraddizione di fondo: il D.M. 5/11/2001 indica l’intervallo di velocità per le

26  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

strade di categoria D compreso tra 50 km/h ed 80 km/h, in contrasto con le prescrizioni del
Codice della Strada che consentono di elevare la velocità massima sulle strade urbane di
scorrimento solo da 50 km/h a 70 km/h (in quest’ultimo caso si parla di strade a
scorrimento veloce).
Alcune città hanno realizzato strade urbane di scorrimento, ma altre, in ragione degli alti
costi e del grande impatto prodotto da queste infrastrutture, hanno sopperito alla crescita
della domanda di traffico veicolare usando, quali strade di scorrimento, alcune
infrastrutture esistenti riadattandole per mezzo di modifiche o sacrificando le altre funzioni.
Le strade che meglio si prestano a tale funzione sono quelle che hanno una carreggiata
centrale e contro-viali laterali separati da filari di alberi. In questo caso, la carreggiata
centrale può essere adibita al traffico di scorrimento ed i contro-viali restano destinati al
traffico di servizio, mentre la presenza degli alberi funge da schermo anti-rumore. Questo
schema offre anche il vantaggio di risolvere favorevolmente la svolta a sinistra con uno
schema di circolazione simile a quello descritto in figura 1.6: trattasi di un incrocio
semaforizzato in cui i veicoli che devono svoltare a sinistra impegnano prima il contro-viale
con una deviazione laterale a destra, e, durante una delle fasi semaforiche, attraversano
l’incrocio verso la
direzione
desiderata,
insieme ai veicoli
provenienti dalla
strada laterale.
Nelle strade
urbane di
scorrimento, le
connessioni con le
altre strade, al fine
Figura 1.6 Schema d’intersezione in strada urbana con presenza di contro-viale.
di garantire la
massima fluidità di circolazione dei veicoli, devono essere molto intervallate. Quando
invece si utilizzano infrastrutture esistenti, è conveniente attuare accorgimenti idonei non
solo ad isolare la mobilità principale da quella di servizio agli edifici prospicienti la strada,

    27  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

ma anche a ridurre il numero delle immissioni e delle deviazioni verso le strade laterali,
interdicendone il collegamento con l’introduzione di marciapiedi, aiuole o altri ostacoli fissi,
deviando il traffico laterale su altre direttrici.

1.3.3 Strade urbane di quartiere


La funzione delle strade urbane di quartiere è quella di collegare fra loro zone diverse
dello stesso quartiere o di servizio tra gli insediamenti urbani principali, in modo
complementare ed alternativo alle strade di scorrimento, quindi non più attraverso un
unico asse viario, ma percorrendo diversi archi e nodi della rete. Sono ammesse tutte le
componenti di traffico,
compresa la sosta delle
autovetture purché
esterna alla carreggiata e
provvista di apposite
corsie di manovra.
Tra le strade di quartiere
di un stessa rete possono
distinguersi le strade
d’interquartiere, che si
connettono alle strade di
gerarchia superiore, e le
strade interzonali che
formano la spina dorsale
dei singoli quartieri, da
cui si diramano le strade
locali. Figura 1.7 Sezioni trasversali delle Urbane di Quartiere (D.M. 5/11/2001).
 
Il CdS definisce la strada
urbana di quartiere come costituita da unica carreggiata con almeno due corsie, banchine
pavimentate e marciapiedi; per la sosta sono previste aree attrezzate con apposita corsia
di manovra, esterna alla carreggiata.
Il D.M. 5/11/2001 indica le caratteristiche geometriche di queste strade, definite di

28  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

categoria E, così come evidenziato nella figura 1.7. L’intervallo delle velocità di progetto è
compreso tra 40 km/h e 60 km/h (il CdS impone per le strade delle aree urbane il limite di
50 km/h, con la possibilità di elevare tale limite fino ad un massimo di 70 km/h per le
strade urbane le cui caratteristiche costruttive e funzionali lo consentano, previa
installazione degli appositi segnali).
Entrambe le normative evidenziano la necessità della presenza, ai lati della carreggiata,
dei marciapiedi per il transito dei pedoni; per il D.M. 5/11/2001, la larghezza minima è
fissata in 1,50 m, indicando che tale larghezza va opportunamente incrementata in base al
flusso pedonale previsto; il CdS, attraverso le prescrizioni dell’art. 20, comma 3, vincola
l’occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole o altre installazioni, purché siano
in adiacenza ai fabbricati e rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga
non meno di 2 metri; in ogni
caso, le occupazioni non
possono ricadere all’interno dei
triangoli di visibilità per le
intersezioni.
Il D.M. 236/1989 – “Prescrizioni
tecniche necessarie a garantire
l'accessibilità, l'adottabilità e la
visibilità degli edifici privati e di
edilizia residenziale pubblica
sovvenzionata e agevolata, ai
fini del superamento e Figura 1.8 Esempio di strada urbana di quartiere.

dell'eliminazione delle barriere


architettoniche”, stabilisce l’obbligo per i percorsi pedonali di dare la possibilità, anche per
persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le
sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e
attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia. Per questo motivo i
marciapiedi dovranno essere strutturati in modo da consentirne la massima accessibilità e
fruibilità a tutti, in modo autonomo e sicuro (Fig. 1.8).

    29  
Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
 

1.3.4 Strade urbane locali


La funzione delle strade locali è quella di dare accesso alle residenze ed ai parcheggi,
oppure alle strade private o agli
itinerari con ingresso limitato ad
alcuni utenti. In questa categoria
rientrano anche le strade
pedonali e le strade parcheggio;
su di esse non è comunque
ammessa la circolazione dei
mezzi di trasporto pubblico
collettivo (Fig. 1.9).
Il D.M. 5/11/2001 indica le Figura 1.9 Esempio di strada urbana locale.
caratteristiche geometriche delle  

strade urbane locali, definite di categoria F, così come rappresentato nella figura 1.10. La
velocità massima non può generalmente superare i 50 km/h, con limitazioni anche a 30
km/h.
In questo tipo di
strade, la
conflittualità fra
mobilità veicolare
e pedonale è
massima e può
essere risolta in
modo tradizionale
con la creazione di
marciapiedi o di
Figura 1.10 Sezioni trasversali delle Strade Urbane Locali (D.M. 5/11/2001).
percorsi per il
passaggio dei pedoni, protetti mediante dissuasori o paletti ancorati a terra (si deve
considerare poco efficace la sola apposizione della segnaletica orizzontale).
Negli ultimi anni, rispetto alla tradizionale soluzione della separazione fisica degli spazi
riservati alle diverse utenze stradali, c’è stata un’evoluzione delle tecniche di gestione

30  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

della commistione tra veicoli e pedoni, consistente principalmente nell’estendere, per


buona parte della rete delle strade urbane locali, il limite di 30 km/h come velocità
massima consentita. Sono state così introdotte le cosiddette Zone 30, costituite da
quartieri o aree urbane più o meno estese, nelle quali viene creata una più facile
integrazione delle diverse categorie veicolari (pedoni compresi).
Affinché le strade urbane locali possano mantenere le caratteristiche proprie della loro
funzione, è importante che siano realizzate, per l’intera rete viaria urbana, condizioni
strutturali tali che il traffico locale rimanga nettamente separato dal traffico di
attraversamento e non possa accadere che le strade locali siano percorse da traffico
diverso da quello a cui sono funzionali. Questo pericolo si manifesta principalmente
quando la rete delle strade di scorrimento o di quartiere è inadeguata o quando le
caratteristiche geometriche delle strade locali risultano sovradimensionate e con ciò tali da
consentire alta capacità ed elevata velocità.
Strade locali di dimensioni maggiori rispetto al necessario, in molti casi, hanno prodotto
l’effetto d’indurre i pianificatori a collegarle con altre strade, in modo da assorbire traffico
addizionale, aumentando conseguentemente il divario con le caratteristiche funzionali
prefissate. Altro caso di errata pianificazione, è quello in cui due strade locali parallele
sono “promosse” al livello funzionale superiore con la trasformazione da strade a doppio
senso di marcia a strade a senso unico, trasferendovi l’impatto di un traffico maggiore.

    31  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

_______________________________________

CAPITOLO 2

Inquinamento atmosferico
e acustico in ambito urbano
_______________________________________

2.1 FENOMENI DI INQUINAMENTO NELLE AREE URBANE E METROPOLITANE


Il traffico stradale costituisce una delle cause principali della crescita allarmante
dell’inquinamento atmosferico ed acustico, e i suoi effetti sono particolarmente deleteri,
principalmente in prossimità dei grandi centri urbani, dove ormai si concentrano le attività
di una quota rilevante della popolazione mondiale. In Italia c’è più di un automobile (1,2)
ogni due abitanti (neonati e non patentati compresi). In Europa come tasso di
motorizzazione siamo secondi soltanto al piccolissimo paese del Lussemburgo, e per
numero di automobili in circolazione in rapporto alla popolazione siamo ai primissimi posti
anche nella graduatoria mondiale. Le principali fonti di emissione di inquinanti atmosferici
in seno a un veicolo per il trasporto stradale sono localizzate nell’apparato di propulsione:
il serbatoio, il sistema di alimentazione, il motore e lo scappamento. Una fonte di
emissione aggiunta, ove è presente, è il sistema di condizionamento dell’aria, ma l’entità
delle sostanze da questo emesse si può ritenere, al giorno d’oggi, trascurabile.

Tipo di motore Combustibile Principali emissioni Veicolo


Ciclo otto Benzina CO, NOx, Pb, Autovetture, autocarri, bus,
idrocarburi motoscafi, motocicli
Due tempi Benzina CO, NOx, Pb, Motocicli, fuoribordo
particolato
Diesel Olio diesel NOx, SOx, CO, particolato Autovetture, autocarri, bus,
motrici ferroviarie, trattori,
imbarcazioni
Turbina a gas Turbine oil NOx, particolato Aerei, imbarcazioni, motrici
ferroviarie
Vapore Olio pesante, carbone NOx, particolato, SOx Imbarcazioni

Tabella 2.1 Emissioni da fonti mobili.

  33  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Il processo di inquinamento atmosferico da traffico stradale è originato dal fatto che i


veicoli stradali attualmente in circolazione impiegano come propellenti sostanze
idrocarburiche combustibili derivate dal petrolio o da gas naturali e dotate di notevoli
potenzialità inquinanti. Uno schema riassuntivo del tipo di motori con cui sono equipaggiati
i diversi veicoli è indicato in tabella 2.1 dove sono anche riportati i combustibili utilizzati e
le principali emissioni inquinanti.
Per quanto riguarda l’inquinamento acustico in ambito urbano, le sorgenti di rumore
possono essere interne all’ambiente disturbato (elettrodomestici, macchinari da ufficio),
esterne all’ambiente (rumori provenienti da locali attigui) o esterne all’eventuale edificio
preso in esame (rumori stradali). A tal proposito esse possono essere raggruppate in tre
principali categorie:
• costruzioni civili (cantieri temporanei per la costruzione o per la manutenzione degli
edifici e delle infrastrutture);
• apparecchi di uso domestico;
• mezzi di trasporto (rumore da traffico urbano, autostradale, ferroviario, aereo).
Il rumore prodotto dai cantieri, dalle attrezzature per la costruzione di opere civili o, per
esempio, per la manutenzione di una infrastruttura di trasporto, è probabilmente il più
intenso cui è sottoposta la comunità. Tale tipo di rumore è, di solito, accettato dalla gente,
in quanto si ritiene necessario per lo sviluppo della città e costituisce solo una parentesi di
disturbo nello svolgimento delle usuali attività.
I rumori domestici, poi, cui siamo tutti sottoposti, sono presenti in ogni edificio, e sono
causati da elettrodomestici, impianti idraulici, impianti termici, ascensori, etc. Tali fonti di
rumore producono, in genere, un livello sonoro di gran lunga inferiore rispetto a quello
prodotto dalle altre sorgenti; tuttavia, i tempi di esposizione dei soggetti ricettori sono più
lunghi che negli altri casi.
Per quanto riguarda, infine, il rumore dovuto ai mezzi di trasporto, escludendo le zone in
prossimità di ferrovie ed aeroporti, la principale sorgente di rumorosità ambientale è
imputabile al traffico urbano. Esso degrada la qualità dell’ambiente circostante perché
molto spesso si raggiungono livelli tali da interferire con le attività degli abitanti (ad
esempio livelli di pressione sonora superiori ai 60 dBA all’esterno di un edificio sono già

34  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

fastidiosi, in quanto rendono difficoltosa la conversazione tra due persone dotate di udito
normale).

2.2 SOSTANZE INQUINANTI PRODOTTE DAL TRAFFICO STRADALE


I principali inquinanti prodotti dal funzionamento dei sistemi di trasporto sono il monossido
di carbonio (CO), l’anidride carbonica (CO2), gli idrocarburi (HC), in particolare quelli non
metanici (NMHC), e quelli policiclici aromatici (IPA), i composti organici nella forma di
particolato (PTS), gli ossidi di azoto (NOx), l’ozono (O3) e altri inquinanti fotochimici, gli
ossidi di zolfo (SOx), il piombo (Pb) e i suoi composti. La figura 2.1 mostra, per alcune di
queste sostanze, i tipici valori delle
loro concentrazioni nell’ambiente
naturale e negli ambienti urbani
fortemente inquinati.

Il monossido di carbonio (CO) è un


gas incolore e inodore dannoso per
l’uomo e per le altre specie animali.
Costituisce la più importante
emissione di inquinanti atmosferici
Figura 2.1 Valori tipici delle concentrazioni massime di
(dopo la CO2), la cui fonte alcuni inquinanti atmosferici.
principale è costituita dalle
combustioni da motore a scoppio,
soprattutto da motori “freddi” alimentati
con miscele molto ricche: in questi casi
può rappresentare fino all’11% del gas
di scarico. In Italia i veicoli
contribuiscono per il 90% al totale delle
emissioni di CO, stimate in 5.5 milioni
di tonnellate/anno. La presenza di
questo inquinante nell’aria, in Figura 2.2 Andamento qualitativo della concentrazione
di CO e del flusso di traffico durante la giornata in una
corrispondenza di una strada, è strada urbana.
 
notevolmente correlata ai flussi di

  35  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

traffico; infatti l’andamento della concentrazione di CO misurato nei pressi della sezione di
una strada durante l’arco giornaliero è generalmente molto simile a quello dei flussi
veicolari che la percorrono (Fig. 2.2).
Inoltre il monossido di carbonio presenta una forte variabilità spaziale: in una strada
isolata la sua concentrazione mostra
di solito valori massimi nell’intorno
dell’asse stradale e decresce molto
rapidamente allontanandosi da esso,
fino a diventare quasi trascurabile a
una distanza di alcune decine di metri
dall’asse stesso (Fig. 2.3).
Figura 2.3 Andamento qualitativo della concentrazione
di CO nella sezione di una strada urbana. La presenza di CO nelle aree inquinate
  mostra anche una pronunciata
variabilità in funzione delle condizioni atmosferiche ed è, in particolare, notevolmente
influenzata dalla presenza di vento che tende a ridurne l’entità.
Le emissioni di ossidi di zolfo (principalmente SO2) sono dovute prevalentemente all’uso di
combustibili solidi e liquidi e sono correlate al contenuto di zolfo nei combustibili stessi, sia
come impurezze sia come costituenti la formazione molecolare del combustibile (oli).
Gli ossidi di zolfo sono tipici inquinanti delle aree urbane e industriali ove la elevata
densità degli insediamenti ne favorisce l’accumulo, soprattutto in condizioni
meteorologiche sfavorevoli di debole ricambio di masse d’aria. Le situazioni più gravose
sono ovviamente rappresentate dai periodi invernali ove alle altre fonti di combustione si
aggiunge quella del riscaldamento domestico. Per le sue caratteristiche di stabilità chimica
in atmosfera e per la facilità di rilevamento, la SO2 è spesso utilizzata come indice globale
di inquinamento atmosferico.
Con il termine idrocarburi si intende i composti organici costituiti da atomi di carbonio e
idrogeno; si tratta dei costituenti fondamentali del petrolio.
Due sono i principali problemi derivanti dalla presenza di idrocarburi nell’atmosfera. Il
primo è connesso alla partecipazione ai processi di formazione dello smog fotochimico, ai
quali prendono però parte solo alcuni di questi composti, che vengono indicati col termine

36  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

di idrocarburi reattivi (RHC). Il secondo problema è legato alle proprietà degli idrocarburi
stessi, che possono essere causa di danni sia all’uomo che alle altre forme viventi.
Gli idrocarburi non aromatici non sono attualmente considerati inquinanti in senso proprio.
Infatti le concentrazioni alle quali essi diventano tossici sono talmente elevate da risultare
altamente improbabili nella nostra atmosfera. Gli idrocarburi aromatici sono invece da
considerarsi inquinanti primari.
I veicoli stradali sono considerati tra le sorgenti più importanti di idrocarburi aromatici, circa
l’80% delle emissioni di benzene (C6H6) è dovuta alle autovetture.
L’ozono o ossigeno triatomico (O3), è un gas incolore dall’odore pungente che fa parte dei
normali costituenti dell’aria. I problemi di inquinamento dell’aria da ozono sono legati al
significativo incremento che la concentrazione di questo gas subisce in zone
immediatamente prossime al suolo a causa dei fenomeni di formazione dello smog
fotochimico, di cui esso è un importante costituente. Le cause dell’inquinamento da ozono
sono quindi le stesse che provocano l’esistenza dello smog fotochimico, ovvero
l’emissione di idrocarburi e ossidi di azoto dovuta in buona parte ai mezzi di trasporto.
Gli ossidi di azoto (NOx) sono
attualmente tra gli inquinanti ritenuti
maggiormente pericolosi, sia per
l’azione specifica dell’NOx, sia per
la loro partecipazione alla
formazione dello smog fotochimico.
La miscela di NOx presente nell’aria
di una zona inquinata da traffico
stradale è composta principalmente
Figura 2.4 Andamento della concentrazione di NO, NO2 e
da NO ed NO2. NOx ai margini di una sezione stradale a forte traffico
veicolare.
Il tipico andamento giornaliero della
concentrazione di monossido di
azoto, biossido di azoto e ossidi di azoto totali nei pressi di una strada urbana a elevato
traffico è mostrato in figura 2.4.
Il piombo è un metallo pesante dagli effetti tossici per l’uomo. La principale causa della
presenza di composti del piombo nell’atmosfera è di tipo antropico e consiste in alcune

  37  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

attività industriali e nella combustione, nei mezzi di trasporto, di benzine contenenti alcuni
composti del piombo con funzioni antidetonanti. La quota di questo inquinante attribuibile
al traffico stradale dipende, nei vari Paesi, dal contenuto di piombo nella benzina.
Lo smog fotochimico è il prodotto di complesse reazioni. Alla base della formazione di
questo tipo di smog sono gli ossidi di azoto, gli idrocarburi ed altri componenti organici,
che si trovano a essere presenti nell’atmosfera; per effetto della luce solare (da cui la
definizione di fotochimico) si innesca un sistema di reazioni particolarmente complesso. Il
fenomeno dello smog fotochimico presenta quindi un andamento regolare nel corso della
giornata, che si lega all’andamento del traffico ed al grado di insolazione. Questo
fenomeno è, quindi, tipico delle grandi aree metropolitane, e si forma nel periodo estivo,
allorché si verificano condizioni di temperatura elevata, assenza di copertura nuvolare e
condizioni di stabilità atmosferica.
Al contrario la concentrazione degli inquinanti primari nell’atmosfera è massima in inverno,
in quanto le condizioni di stabilità atmosferica sono più frequenti e all’inquinamento da
traffico si somma l’inquinamento dovuto al riscaldamento domestico.

2.3 NORMATIVA ITALIANA SULLA QUALITÀ DELL’ARIA


Gli interventi normativi sulla qualità dell’aria sono mirati a limitare i livelli di rischio connessi
alla presenza di concentrazioni inquinanti nell’ecosistema.
Rispetto ai vincoli sull’emissione sanciti dalle normative di omologazione dei veicoli, i
regolamenti sulla qualità dell’aria agiscono quindi in modo prettamente mirato a controllare
i livelli reali di inquinamento. La definizione delle norme sulla qualità dell’aria dovrebbero
tener conto, per ogni sostanza considerata, dei legami esistenti tra l’entità delle
concentrazioni inquinanti presenti nell’atmosfera e gli effetti da esse prodotti sulla salute
umana e sull’ecosistema in generale; tali legami sono tuttavia estremamente complessi e
allo stato attuale scarsamente conosciuti, per cui l’approccio normativo si limita alla
specifica, per ogni sostanza inquinante, di uno o più livelli di concentrazione ammissibili (o
standard di qualità dell’aria).
Le normative europee e italiane per la tutela dell’aria prevedono diversi livelli ammissibili di
concentrazioni, specificati come segue:

38  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

1. i valori limite di qualità dell’aria, costituiti dai limiti massimi di accettabilità delle
concentrazioni a cui si ritiene possa essere esposto l’uomo all’esterno degli edifici e
dai corrispondenti limiti massimi di durata di esposizione;
2. i limiti di allarme, definiti come quei valori di concentrazione tali da determinare
condizioni di inquinamento che, se persistenti, determinano il rischio di superamento
dei valori limite e, quindi, un rischio sanitario per la popolazione;
3. i livelli di attenzione, definiti come quei valori di concentrazione tali da determinare
condizioni di inquinamento che, se persistenti, determinano il rischio di raggiungimento
dello stato di allarme;
4. i livelli per la protezione della vegetazione, definiti come quei valori della
concentrazione oltre i quali la vegetazione può subire danni, attualmente validi solo
per l’ozono;
5. i livelli per la protezione della salute, definiti come quei valori di concentrazione che
non devono essere superati ai fini della protezione della salute umana in casi di
episodi prolungati di inquinamento, attualmente validi solo per l’ozono;
6. i valori guida di qualità dell’aria, che specificano i limiti di concentrazione ed
esposizione nell’ambiente esterno agli edifici e sono sia finalizzati alla prevenzione a
lungo termine della salute umana e dell’ambiente, sia atti a costituire parametri di
riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione ambientale per le quali è
necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria.
In Italia, le Norme definiscono lo stato di attenzione come quella situazione in cui in
almeno il 50% delle stazioni di monitoraggio della rete metropolitana si registri il
superamento del 50% del livello di allarme di uno degli inquinanti regolamentati, fatta
eccezione per i valori relativi all’SO2 e alle particelle sospese che devono essere superati
congiuntamente in tutte le stazioni nell’arco della giornata. Lo stato di allarme viene invece
definito come quella situazione in cui in almeno il 50% delle stazioni di monitoraggio
funzionanti della rete metropolitana si registri il superamento dei valori del limite di allarme
di uno degli inquinanti regolamentati, fatta eccezione per i valori relativi ai parametri di SO2
e particelle sospese che devono essere superati congiuntamente in tutte le stazioni
nell’arco della giornata.

  39  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

I livelli di attenzione e di allarme, nonché le condizioni di raggiungimento degli stati di


attenzione e di allarme sono attualmente definiti dal Decreto del 25 novembre 1994 (Tab.
2.2).

Inquinante Tempo di media Livello di attenzione Livello di allarme


3 3
µg/m µg/m
SO2 Giorno 125 250
PTS Giorno 150 300
NO2 Ora 200 400
3 3
CO Ora 15*10 30*10
O3 Ora 180 360

Tabella 2.2 Livelli di attenzione e di allarme per i principali inquinanti (D.M. 25/11/1994)

Con il Decreto del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Sanità del 20
maggio 1991 (Criteri per la raccolta dei dati inerenti alla qualità dell’aria) vengono definite
le funzioni dei sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria. Il Decreto stabilisce i criteri per
la raccolta dei dati sulla qualità dell’aria, le competenze per la vigilanza, il controllo, la
gestione e l’esercizio dei sistemi di rilevamento, ed infine la regolamentazione delle
situazioni di inquinamento che determinano stati di allerta e di emergenza. La
configurazione del sistema di monitoraggio nazionale introdotta dal Decreto è strutturata
su tre livelli: nazionale, regionale e provinciale.
Le funzioni di livello nazionale consistono nella raccolta e pubblicazione dei dati nazionali
sulla qualità dell’aria, nella definizione dei livelli di pericolosità, nella determinazione delle
modalità di misura e nell’omologazione delle strumentazioni per il rilevamento di tali
sostanze.
Le funzioni di livello regionale consistono invece nel coordinamento dei piani provinciali,
anche al fine della predisposizione, verifica e aggiornamento dei piani di risanamento
regionale.
Le funzioni di livello provinciale consistono nella gestione e nella garanzia di
funzionamento del sistema di rilevamento sul territorio, nelle garanzie delle misure, nel
controllo e la prevenzione dell’inquinamento. I sistemi di rilevamento devono essere dotati
di un centro operativo di raccolta dati (COP, centro operativo provinciale) al quale
afferiscono tutte le postazioni ubicate sul territorio. Ad esso sono attribuite le attività di
gestione tecnico-operativa delle reti pubbliche, la supervisione dei sistemi di rilevamento e

40  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

la valutazione igienico-sanitaria dei dati provenienti da tutte le reti.


I sistemi di monitoraggio delle aree metropolitane operano nell’ambito del livello
provinciale e devono essere articolati in diverse stazioni di monitoraggio.
I parametri che devono essere rilevati dalle stazioni consistono nelle concentrazioni di un
certo numero di inquinanti primari (cioè emessi direttamente dalle sorgenti) o precursori di
inquinanti secondari (quelli che si formano in atmosfera in seguito a reazioni chimiche tra
inquinanti primari e altre sostanze presenti nell’aria), sia in fase gassosa (CO, SO2, NO2,
idrocarburi, sostanze volatili) che in fase particellare (particolato e piombo o altri metalli
pesanti in esso presenti); oltre che di alcuni inquinanti secondari in fase gassosa (NO2, O3,
NO) e particellare (prodotti di trasformazione degli ossidi di azoto e del biossido di zolfo).
In ogni singola stazione di rilevamento è prevista soltanto la misura delle concentrazioni di
alcune di queste sostanze inquinanti, oltre che di un certo numero di parametri
meteorologici.
Le stazioni di rilevamento si distinguono in quattro tipi a seconda delle loro caratteristiche
funzionali:
1. stazioni di tipo A: sono le stazioni di base e di riferimento per la misura di tutti gli
inquinanti primari e secondari e i parametri meteorologici di base; tali stazioni devono
essere localizzate in aree non direttamente interessate dalle sorgenti di emissione
urbana (parchi urbani o isole pedonali);
2. stazioni di tipo B: sono le stazioni situate in zone ad elevata densità abitativa per la
misura della concentrazione di alcuni inquinanti primari e secondari con particolare
riferimento a NO2, idrocarburi, SO2, materiale particellare in sospensione e suo
contenuto in piombo.
3. stazioni di tipo C: sono le stazioni situate in zone ad elevato traffico per la misura degli
inquinanti emessi direttamente dal traffico veicolare (CO, idrocarburi volatili), situate in
zone ad alto rischio espositivo, quali strade ad elevato traffico e bassa ventilazione;
4. stazioni di tipo D: sono le stazioni situate in periferia o in aree suburbane finalizzate
alla misura degli inquinanti fotochimici (NO2, O3) da pianificarsi sulla base di
campagne preliminari di valutazione dello smog fotochimico, particolarmente nei mesi
estivi.
Il numero di stazioni dei vari tipi presenti in una rete di monitoraggio dipende dalla densità

  41  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

abitativa della zona, dalla struttura degli insediamenti, dalla presenza e dal tipo di sorgenti
di emissione, dalla situazione meteorologica tipica, dall’estensione geografica dell’area e
dal numero di abitanti.
Il Decreto stabilisce comunque il numero minimo indicativo di stazioni per tre classi di
centri urbani individuate attraverso il numero di abitanti (Tab. 2.3).

Classe Tipo di stazione


(numero di abitanti) A B C D
Inferiore a 500.000 1 2 2 1
Da 500.000 a 1.500.000 1 3 3 1
Superiore a 1.500.000 2 4 4 2

Tabella 2.3 Numero minimo di stazioni di monitoraggio per classi di centri urbani (1991).

2.4 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO


Riguardo alla possibilità di intervenire contro l’inquinamento atmosferico da traffico
veicolare, bisogna osservare che esistono due categorie di interventi:
• interventi sul sistema viario e di circolazione;
• interventi di riduzione del traffico.
I momenti più pericolosi per la produzione di inquinanti sono quelli che comportano un
cambiamento di regime del motore come rallentamenti o accelerazioni. Il sistema viario
dovrebbe perciò essere tale da garantire la massima fluidità ai flussi di traffico.
Al fine di minimizzare i danni per le utenze deboli (pedoni, ciclisti, etc.), gli attraversamenti
a livello degli assi a maggior traffico dovrebbero essere evitati, ricorrendo a viadotti o
sottopassi. In corrispondenza degli incroci a traffico elevato non dovrebbero essere
predisposte fermate di mezzi pubblici.
Un’altra condizione cinematica da perseguire è l’omogeneità dei flussi veicolari:
dovrebbero essere pertanto separate le diverse correnti di trasporto pubblico, privato,
biciclette. Anche il sistema semaforico dovrebbe garantire condizioni cinematiche ottimali.
La circolazione promiscua di biciclette ed autoveicoli dovrebbe essere vietata sugli assi a
traffico elevato, soprattutto perché i ciclisti, venendosi a trovare alle altezze a cui si
realizzano le massime concentrazioni di sostanze nocive, risultano essere particolarmente
esposti all’inquinamento.
Per impedire la diffusione ad opera del vento, è buona regola prevedere a protezione

42  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

dell’ambiente circostante, dove possibile, barriere fisiche (siepi, arbusti, alberi).


Naturalmente tali barriere sono utili per fermare polveri e idrocarburi, ma sono meno
efficienti per i gas.
Per ottenere una riduzione generale del traffico è necessario intervenire principalmente a
livello di scelta modale.
Le azioni riguardanti la scelta modale possono consentire di ridurre l’entità del traffico
autoveicolare a favore di altre forme di trasporto, pubblico o privato, meno inquinanti (ad
esempio: metropolitana, tram, autobus, automobile elettrica, bicicletta).
Una variazione della scelta modale può essere perseguita, da una parte offrendo o
migliorando i sistemi di trasporto alternativo e, dall’altra, disincentivando l’utilizzo
dell’autoveicolo privato, attraverso politiche di controllo del traffico (ad esempio: targhe
alterne) e della sosta. Limitatamente al trasporto delle merci è spesso possibile una
riduzione dell’entità globale del traffico urbano, attraverso una razionalizzazione del
sistema di distribuzione.
Una diminuzione del traffico può essere ottenuta anche a livello locale, intervenendo con
pedonalizzazioni o altre forme di riduzione del traffico (deviazione dei flussi di mezzi
pesanti, divieto di accesso ad alcune categorie di veicoli), senza però ottenere un calo
globale del traffico urbano in quanto i flussi, tolti da una strada o da una piazza, vanno a
gravitare su altre strade o su altre piazze. In questi casi, è possibile ottenere efficaci
riduzioni locali delle concentrazioni di inquinanti a breve raggio, mentre quelle a lungo
raggio non variano in modo significativo.

2.5 MODELLI PREVISIONALI DI EMISSIONE


I modelli di emissione consistono nella formulazione matematica delle relazioni esistenti
tra le emissioni inquinanti dei veicoli a motore e le variabili da cui tali emissioni sono
influenzate.
La difficoltà di spiegare analiticamente i processi chimico-fisici che governano la
produzione degli inquinanti in seno al fluido evolvente che viene combusto nel motore
porta ad assumere, come variabili indipendenti dei modelli di simulazione delle emissioni
di inquinanti, alcuni parametri relativi alle caratteristiche e alle condizioni di funzionamento
dei veicoli nel loro complesso.

  43  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Questi parametri sono molteplici e possono essere raggruppati in funzione della loro
natura. In un primo gruppo si possono individuare i parametri rappresentativi delle
caratteristiche costruttive del veicolo, distinte in caratteristiche generali del veicolo (peso a
vuoto, efficienza aerodinamica, etc.) e caratteristiche dell'apparato di propulsione (tipo di
motore, tipo di combustibile utilizzato, caratteristiche del fluido evolvente, tipo di dispositivi
di controllo delle emissioni, caratteristiche di cilindrata e di potenza).
Una seconda categoria di parametri comprende quelli che influenzano lo stato della
meccanica del veicolo, come ad esempio lo stato di usura, lo stato di manutenzione e le
condizioni di regolazione.
In un terzo gruppo possono essere individuati i parametri che rappresentano le condizioni
operative del veicolo nelle condizioni reali di traffico, queste possono essere a loro volta
descritte da due categorie di variabili, fra loro dipendenti: quelle legate alla dinamica del
motore, le più importanti delle quali sono la velocità di rotazione del motore e l'entità del
carico a esso fornito e quelle che descrivono lo stato termodinamico del fluido evolvente
all'interno del cilindro (temperatura del motore, umidità e densità dell'aria, etc.).
Le variabili che descrivono la dinamica di funzionamento dell'apparato di propulsione sono
peraltro legate ai parametri cinematici del moto del veicolo nel suo complesso (velocità,
accelerazione, etc.).
Le caratteristiche costruttive e operative del veicolo sono influenzate a loro volta dalle
condizioni dell'ambiente esterno, sia da quelle riguardanti la vita passata del veicolo sia da
quelle operative ovvero attuali. Fra le prime sono importanti i vincoli di produzione, ovvero
le condizioni tecnologiche, decisionali e legislative in essere al momento della produzione
del veicolo e che quindi ne influenzano le caratteristiche costruttive.
Le caratteristiche operative dell'ambiente esterno, che condizionano quelle del veicolo,
possono essere raggruppate in diversi sottoinsiemi:
Ø lo stato dell'aria esterna (temperatura ambientale, pressione atmosferica, umidità
relativa dell'aria);
Ø le caratteristiche della via (pendenza longitudinale, sinuosità, caratteristiche della
pavimentazione);
Ø le condizioni del traffico (caratteristiche di deflusso);

44  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø il tipo di uso attuale del veicolo (massa trasportata, lunghezza degli spostamenti,
comportamento del guidatore).
I modelli di emissione possono essere distinti in due grandi categorie: modelli riferiti a
condizioni istantanee del moto e modelli riferiti a condizioni medie.
I modelli del primo tipo, definiti usualmente modelli modali o modelli dinamici, consentono
di calcolare le emissioni in funzione delle condizioni istantanee del moto, in particolare
della velocità e dell’accelerazione istantanee.
I modelli del secondo tipo, detti modelli medi o modelli statici, possono essere riferiti a
condizioni di moto uniforme, oppure di moto vario caratterizzato da un valore medio della
velocità, risultante dall’esecuzione di un determinato ciclo di guida.
I modelli dinamici trovano applicazione quando si vuole analizzare la distribuzione delle
emissioni lungo un tronco stradale, oppure in un punto nodale della rete. Ad esempio, nel
caso di un tronco delimitato da due intersezioni è possibile individuare un tratto iniziale nel
quale i veicoli effettuano manovre di accelerazione, un tratto intermedio percorso a
velocità costante, un tratto terminale percorso a velocità decrescente e, infine, un tratto in
cui sostano i veicoli che si arrestano all’intersezione finale.
I modelli statici trovano applicazione quando non è richiesto il precedente livello di
disaggregazione delle emissioni, ad esempio per valutare le condizioni di inquinamento
medio di un’area urbana, oppure dei livelli di inquinamento prodotti da un tronco stradale
in condizioni di flusso ininterrotto.
I modelli dinamici di emissione sono in genere utilizzati insieme a modelli di deflusso molto
dettagliati; essi necessitano infatti di dati sulle velocità e sulle accelerazioni istantanee dei
veicoli e di dati sulla densità dei flussi di traffico che servono a riportare le emissioni dei
singoli veicoli a emissioni degli interi flussi.
Il modello di deflusso è in generale composto da un modello di coda, che permette il
calcolo dei parametri delle code che si verificano in corrispondenza dei punti nodali della
rete stradale e da un modello di deflusso, che consente di conoscere le condizioni del
moto in qualunque punto della rete e che utilizza anche i risultati del modello di coda.
Tra i modelli dinamici di uso frequente, che si differenziano essenzialmente per le diverse
caratteristiche del parco veicolare e per le condizioni ambientali per i quali sono stati
sviluppati, i più diffusi sono il CALINE4 e il modello MODEM.

  45  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Il modello CALINE4, sviluppato dal California Department of Transportation (USA),


prevede la possibilità di adoperare un modello modale per la determinazione dei fattori di
emissione temporali del monossido di carbonio in corrispondenza dei singoli modi
cinematici appartenenti a un generico ciclo di guida.
I modelli statici esprimono le emissioni medie (fattori di emissione) relative a un certo
intervallo di tempo di riferimento in funzione dei valori medi delle variabili indipendenti
esplicitate. Queste sono analoghe a quelle relative ai modelli di tipo dinamico, ma si
riferiscono alle caratteristiche medie del fenomeno anziché a quelle istantanee.
Per ogni sostanza inquinante i di riferimento e ogni gruppo veicolare g considerato, le
emissioni di base sono funzione della sola velocità media dello spostamento e sono
eventualmente espresse in maniera diversa per fasce di velocità. Esse sono indicate
i,g
come segue: δEbase v m . ( )
Le aliquote di emissione dovute alle variabili che compaiono nel modello di base sono poi
computate come funzioni correttive.

I modelli di tipo statico che rivestono un certo interesse sono i modelli statunitensi MOBILE
(sviluppato dall’EPA nel 1975 e aggiornato periodicamente sulla base delle evoluzioni
della composizione del parco veicolare negli anni) e FREQ (che costituisce l’adattamento
del primo modello al parco veicolare circolante in California, sviluppato dalla University of
California), e il modello europeo CORINAIR.
Un modello di emissione statico valido per il parco veicolare rappresentativo dell’attuale
realtà italiana è stato messo a punto da Tartaglia (1996).
Secondo questo modello, per i veicoli appartenenti alla categoria g, le emissioni di base
dell’inquinante i sono:

δEi,g i,g 2 i,g i,g


base ( v m ) = β1 ⋅ v m + β 2 ⋅ v m + β 3

dove i coefficienti β dipendono sia dalla sostanza inquinante che dal tipo di veicolo (Tab
2.4). La relazione sopra indicata è riferita alla classificazione dei veicoli che tiene conto

delle caratteristiche di omologazione adottate dalla Comunità Europea e recepite anche in
Italia (Tab. 2.5).
Le sostanze inquinanti considerate nel modello sono il CO, gli HC, gli NOx, la CO2, il PTS
e il NO2. La generica equazione sopra definita è valida in un intervallo di velocità
comprese tra 0 e 110 km/h.

46  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Le funzioni di emissioni di base composite sono espresse da:


ng

Eibase (v m ) = ∑ c ⋅ (b
g
i,g
1 ⋅ v 2m + bi,g i,g
2 ⋅ vm + b3 )
g=1

dove cg è la percentuale di veicoli di categoria g compresa nel parco veicolare considerato


e ng è il numero totale di categorie.

Le sovraemissioni dovute al funzionamento a freddo dei veicoli sono tenute in conto
ponendo:

δEi,g i,g i,g


(
i,g
T ( v m , T ) = δEbase ( v m ) ⋅ τ 1 ⋅ T + τ 2 )
dove i coefficienti t dipendono dal tipo di veicolo e di inquinante (Tab. 2.6) e T è la

€ temperatura dell’aria esterna.


Le sovraemissioni dovute alla pendenza p della via sono invece calcolate come segue:

δEi,g (
i,g
p (p) = k ⋅ p )
dove il coefficiente ki,g dipende dal tipo di inquinante e dalla categoria veicolare. A causa
della mancanza di dati utili, il modello non tiene conto delle sovraemissioni evaporative di

HC.
Per ciò che concerne le variazioni di emissione dovute all’evoluzione dello stato della
meccanica del veicolo, si può ritenere che esse siano implicitamente considerate dalle
funzioni di emissione di base, le quali non si riferiscono a veicoli nuovi ma a veicoli in uno
stato medio della meccanica. Il fattore di emissione composito è quindi dato da:

ng

δEi (v m , T, p) = ∑ c ⋅ (βg
i,g
1 ⋅ v 2m + βi,g i,g
)( i,g ι,g
2 ⋅ vm + β3 ⋅ 1 + τ1 ⋅ T + τ2 )
+ k i,g ⋅ p
g=1

espresso in g⋅km-1.

€ A questo punto può essere calcolata l’emissione media QL dovuta a un flusso di traffico f,
in cui i veicoli siano presenti nella percentuale precedentemente assunta e si muovano
tutti con la medesima velocità media. Se il flusso è espresso in veic⋅h-1, si ha che QL viene
espressa in g⋅m-1⋅s-1 nella maniera seguente:

  47  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

QL (v m , T, p, f ) = 2.8 ⋅10−7 ⋅ E(v m , T, p) ⋅ f

Tabella 2.4-a Coefficienti b da impiegare nel modello di Tartaglia.

48  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Tabella 2.4-b Coefficienti b da impiegare nel modello di Tartaglia.

  49  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Tabella 2.5. Gruppi veicolari utilizzati nel modello statico di Tartaglia.

Coefficiente CO NOx HC PTS


Gruppo
Benzina convenzionale t1 -0,09 -0,006 -0,06 -
t2 3,70 1,14 2,80 -
(*)
Benzina closed loop t1 -0,09 -0,006 -0,06 -
t2 9,04 3,66 12,59 -
Auto Diesel t1 -0,03 -0,013 -0,09 -0,1
t2 1,90 1,30 3,10 3,1
Auto LPG t1 -0,9 -0,006 -0,06 -
t2 3,66 0,98 2,24 -

(*)
con dispositivi di controllo delle perdite dal sistema di alimentazione

Tabella 2.6 Coefficienti per il calcolo delle sovraemissioni dovute al funzionamento a freddo dei veicoli.

50  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

2.6 MODELLI PREVISIONALI DI DISPERSIONE (O DI DIFFUSIONE)


I modelli di dispersione a microscala calcolano, a partire dalle informazioni sui fattori di
emissione, sui flussi di traffico e sulle condizioni micrometeorologiche del sito, le
concentrazioni di inquinante con un dettaglio spaziale che può essere dell’ordine del
metro, su un’area avente lati dell’ordine delle centinaia di metri, comprendente, per
esempio, una o due vie e un incrocio. Lo studio di pari dettaglio su aree maggiori è spesso
troppo oneroso.
Nei modelli a microscala un ruolo importante è giocato dalla presenza della topografia,
che altera profondamente i campi micrometeorologici e che quindi può indurre dei campi
di concentrazione molto difformi spazialmente.
I modelli di dispersione a scala urbana permettono di determinare le concentrazioni di
inquinanti su un’area dell’ordine della decina di chilometri, comprendente per esempio il
centro urbano e le aree limitrofe. Questo tipo di modelli necessita come input delle
informazioni relative alle emissioni in tutta l’area urbana, specificate almeno sulle arterie
cittadine più importanti. Poiché i modelli a scala urbana hanno come output le
concentrazioni areali rappresentative di una situazione media e stazionaria, è necessario
fornire ai modelli in input le condizioni meteorologiche relative a un periodo
sufficientemente lungo.
Per poter prevedere in maniera scientificamente corretta le concentrazioni degli inquinanti
secondari nell’atmosfera, attribuibili, almeno in parte, al traffico veicolare, è necessario
considerare, a causa delle interazioni tra i fenomeni di traffico e le cinetiche chimiche
un’area metropolitana estesa, che abbia lati dell’ordine delle decine di chilometri (da 20 a
100 km).
I modelli per lo studio dell’inquinamento secondario sono complessi in quanto devono
considerare molti fenomeni e diverse interazioni. In genere non si ha a che fare con un
singolo modello, ma con un sistema di modelli che devono essere applicati in cascata. In
funzione della natura dei sistemi di riferimento adoperati la descrizione matematica del
fenomeno della dispersione può essere condotta secondo due principali approcci,
corrispondenti all’uso di due diversi sistemi di riferimento spaziale (Fig. 2.5).

  51  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Il primo approccio,
denominato euleriano,
consiste nel descrivere
il comportamento di una
determinata sostanza
presente nell’atmosfera
attraverso un sistema di
assi coordinati fissi. Il
secondo approccio,
detto lagrangiano,
Figura 2.5 Differenza tra gli approcci lagrangiano ed euleriano nella
riferisce invece la descrizione della dispersione.
descrizione del  

fenomeno a un sistema di riferimento mobile e solidale con la sostanza in moto.


Coerentemente con queste descrizioni, una qualunque variabile impiegata nei modelli di
dispersione si dice variabile euleriana o variabile lagrangiana quando è riferita all’uno o
all’altro tipo di sistema di coordinate. I modelli teorici euleriani sono tutti fondati
sull’equazione di continuità della sostanza disperdente. Mentre i modelli teorici lagrangiani
si basano sulla descrizione dei moti delle singole particelle attraverso una distribuzione di
probabilità della loro posizione
spazio-temporale.
Tutti e due gli approcci possono
poi portare, ammettendo
determinate ipotesi semplificative,
a modelli che per la loro
particolare forma matematica
vengono detti gaussiani. Essi
sono tra i modelli di dispersione
Figura 2.6 Schema della dispersione gaussiana in un sistema
maggiormente usati nella pratica a di riferimento orientato secondo il vento.
causa della loro semplicità  

d’impiego. Nei modelli gaussiani si assume che il materiale inquinante venga trasportato
dal vento nel verso in cui esso spira, e che la distribuzione della concentrazione

52  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

dell’inquinante in un piano verticale, perpendicolare alla direzione del vento, possa essere
espressa da una legge di tipo gaussiano (Fig. 2.6).
Nella sua formulazione standard il modello gaussiano è sottoposto alle seguenti
limitazioni:
• stazionarietà delle emissioni: si assume che le emissioni siano costanti e continue;
• stazionarietà e omogeneità delle condizioni atmosferiche: si assume che non
intervengano variazioni della direzione e della velocità media del vento, della stabilità
atmosferica, durante il trasporto dell’inquinante dalla sorgente al ricettore, questa
ipotesi è ragionevole solo per brevi distanze e in assenza di rapide variazioni delle
condizioni meteorologiche;
• assenza di reazioni chimiche nell’atmosfera che interessino gli inquinanti e di
fenomeni di deposizione al suolo;
• estensione indefinita del dominio spaziale di dispersione degli inquinanti: si assume
che la dispersione non sia alterata dalla presenza del suolo, di ostacoli, di
stratificazioni termiche dell’atmosfera.
La rimozione di queste ipotesi porta a differenti espressioni del modello, che però, pur
“complicando” la forma dell’equazione analitica non incrementano significativamente il
livello di precisione del modello.
Nel caso di una sorgente puntiforme, viene introdotto un riferimento cartesiano, avente
l’origine coincidente con la sorgente, l’asse x orizzontale e coincidente con la direzione del
vento, l’asse z verticale, l’asse y orizzontale e perpendicolare al piano individuato dai primi
due. Nel piano verticale a distanza x dall’origine la distribuzione della concentrazione
risulta espressa dalla relazione:

, & y )2 / , 2/
Q 1 1 & z )
C(x, y, z) = exp.− (( ++ 1 exp.− ( + 1
2 ⋅u ⋅ π ⋅σy ⋅σz . 2 'σ y * 1 . 2 'σ z * 1
- 0 - 0
dove:
Ø C(x,y,z) = concentrazione di inquinante nel punto di coordinate (x,y,z) (g/m3);

Ø Q = quantità di inquinante emessa dalla sorgente nell’unità di tempo (g/sec). Il modello
fornisce risultati particolarmente attendibili nel caso di inquinanti primari come il CO;
Ø u = velocità media del vento (m/sec);

  53  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Ø σy, σz = parametri della dispersione (scarti quadratici medi della distribuzione della
concentrazione) nelle direzioni y e z in funzione della distanza x e delle caratteristiche
di stabilità atmosferica (m).
Per i coefficienti di dispersione σy e σz si osserva che le espressioni presenti in letteratura
valide per sorgenti statiche mal si prestano allorché le sorgenti sono costituite da veicoli in
movimento; i coefficienti σy e σz possono essere pertanto calcolati tramite le seguenti
espressioni, stimate mediante misurazioni effettuate in prossimità di più strade:

+ % 3 2 (/
- '&0,39⋅( lnD) −4,76⋅( ln D) +20,95⋅( lnD)−32,67*) - σ
σ y = 1, 85 ⋅ ,1 + e 0 σz = y
-. -1 ; 4, 2

I valori adottati dipendono quindi esclusivamente


€ dalla distanza D tra il ricettore e l’asse

stradale. Per il calcolo della concentrazione oraria massima si fa riferimento al traffico
orario di punta, a condizioni di bassa velocità del vento, e alla direzione del vento più
sfavorevole, in relazione alle posizioni relative della strada (o delle strade) e del ricettore.
Accanto ai modelli derivanti da ipotesi sulla dispersione degli inquinanti (euleriani,
lagrangiani e gaussiani), esistono i cosiddetti modelli di diffusione empirici, sviluppati in
base a osservazioni sperimentali dei valori delle principali variabili che intervengono nel
fenomeno della dispersione.
Il principale limite dei modelli empirici consiste nel fatto che essi sono in grado di simulare
solo le particolari condizioni nelle quali sono stati sviluppati, o condizioni da queste non
molto dissimili.
Il modello empirico maggiormente impiegato in ambito urbano è il modello canyon (o
modello box), così chiamato in quanto una strada fiancheggiata da due file laterali di edifici
viene comunemente denominata strada a canyon o canyon urbano.
Diversi studi sperimentali hanno mostrato che la dispersione all’interno di un canyon
urbano è influenzata principalmente dalle caratteristiche geometriche del sito e dalle
condizioni di flusso atmosferico (velocità e direzione del vento).
I parametri che individuano la configurazione geometrica del canyon sono la sua
larghezza W, l’altezza degli edifici laterali H e, in secondo luogo, la sua lunghezza L.

54  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Un parametro molto significativo in tal senso è il coefficiente di forma αc, dato dal rapporto
tra l’altezza e la larghezza del canyon:

H
αc =
W

Le caratteristiche del flusso atmosferico sono individuate dal valore della velocità media

€ del vento v misurato in corrispondenza dei tetti degli edifici e dal valore della velocità
media del vento all’interno del canyon vc.
La caratteristica fondamentale di un canyon urbano è data dalla tendenza a favorire, in
determinate condizioni, l’instaurarsi di una circolazione d’aria di tipo fortemente locale,
data dalla presenza di un flusso elicoidale con asse parallelo all’asse longitudinale del
canyon e contenuto all’interno di questo.
Generalmente i modelli empirici presuppongono che la concentrazione inquinante
esistente all’interno del canyon sia data dalla somma di due contributi. Il primo,
denominato contributo locale cc, è dato dall’aliquota derivante dalla dispersione
dell’inquinante emesso dai veicoli che transitano nel canyon. Il secondo, denominato
contributo di aria ca, deriva dalla dispersione dell’inquinante emesso da tutte quelle
sorgenti presenti nell’aria circostante. La concentrazione totale esistente all’interno del
canyon è quindi data da:

c = cc + ca

La configurazione geometrica di riferimento è quella in cui gli edifici posti ai due lati della
strada hanno altezze tra loro comparabili (αc≅1). Si suppone inoltre che il regime di
circolazione dell’aria all’interno del canyon sia determinato dall’instaurarsi di un unico
vortice primario elicoidale. In queste condizioni, la concentrazione esistente nelle zone
sottovento è mediamente maggiore di quella che si riscontra nel lato sopravvento della
strada (Fig. 2.7). Il modello si basa sull’ipotesi che il contributo locale alla concentrazione
di CO sia direttamente proporzionale all’entità delle emissioni locali e inversamente
proporzionale sia alla velocità del vento al livello del suolo che alle dimensioni verticali
della zona di mescolamento.

  55  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

La velocità del vento al suolo è assunta proporzionale alla somma tra la velocità media del
vento v misurata al livello dei tetti (in m/s) e la velocità media del flusso d’aria indotta dal
moto dei veicoli, supposta pari a 0,5 m/s:

vs = kv•(v + 0,5)

Nei luoghi sottovento, Z (espressa in m) è ipotizzata proporzionale alla somma della


distanza LR (m) tra l’asse della strada e il punto in cui si calcola la concentrazione (punto
ricettore) e una lunghezza di
mescolamento LO (m) indotta
dal moto veicolare:

Z = kl•(LR + LO)

Se si indica con cc,L la


concentrazione sottovento, essa
sarà quindi pari a:

QL
cc,L = K L ⋅
(v + 0.5) ⋅ (L + Lo )

Figura 2.7 Caratteristiche geometriche e di circolazione dell’aria


Avendo supposto una
in un canyon urbano (αc!1).
€ lunghezza LO di 2 m, che  
rappresenta una stima della larghezza media dei veicoli, la costante KL = 1/(kl.kv) che
compare nell’equazione precedente è stimata pari a 7. QL è la quantità di inquinante
emessa dalla sorgente nell’unità di tempo (g/sec). Il modello è valido solo nel caso di
inquinanti primari come il CO.
Nei luoghi del canyon situati sopravvento, l’estensione verticale del volume di
mescolamento viene assunta proporzionale alla larghezza W della strada:

Z = kw•W

La concentrazione cc,W nei punti sopravvento è pari a:


QL H− Z
cc,W = K W ⋅
(v + 0.5) ⋅ W H

€ 56  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

in cui il coefficiente (H-Z)/H è stato introdotto per tenere conto di un aumento della
concentrazione all’aumentare della distanza dalla sommità dei tetti e quindi dell’estensione
dell’arco elicoidale di vortice sottostante. Il coefficiente KW= 1/(kv.kw) è stato
sperimentalmente stimato pari a KL.
Le equazioni che esprimono le concentrazioni cc,L e cc,W sono ritenute valide solo per valori
dell’angolo formato dalla direzione del vento medio ai tetti e l’ortogonale all’asse della
strada compresi tra 0° e ±45°. Per valori maggiori di quest’angolo si considera la
concentrazione pari alla media dei valori corrispondenti ai settori sopravvento e
sottovento:

cc,I =
(cc,L + cc,W )
2

Una variante del modello box tradizionale è rappresentata dalla formulazione di Tartaglia,

la quale consente il calcolo della concentrazione complessiva di CO, e non più solo di
quella locale, in un punto del canyon.
La versione del modello di dispersione per una strada a canyon ottenuta da Tartaglia è la
seguente:

c = kc•cc + ko,

dove la c è la concentrazione totale in aria, cc è il contributo locale di concentrazione dato


dal modello di base, kc e ko sono i coefficienti della calibrazione.
La costante ko può essere interpretata come la somma di un contributo di fondo dovuto
alla dispersione delle sostanze emesse da quelle sorgenti non considerate nella
simulazione e di un contributo di area costante.
I coefficienti sperimentali messi a punto considerando dati relativi ai tre mesi invernali sono
riportati in tabella 2.7.

Coefficiente Settore sopravvento Settore intermedio Settore sottovento


kc 5,41 3,35 2,75
ko 0,05 0,95 1,07

Tabella 2.7 Coefficienti sperimentali di Tartaglia per il calcolo della concentrazione di CO nei canyon.

  57  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Sebbene la schematizzazione empirica della dispersione degli inquinanti nelle strade a


canyon sia stata concepita solo per i soli inquinanti primari, modelli empirici per strade a
canyon possono produrre buoni risultati anche nella previsione delle concentrazioni di
ossidi di azoto.
Un modello empirico in grado di calcolare la concentrazione di NOx nelle strade urbane a
canyon è stato sviluppato da Gualtieri e Tartaglia (1993) in modo da tener conto del
comportamento di questa categoria di inquinanti reattivi. Secondo questo modello la
concentrazione di NOx è così calcolata:
# Q &
CNOx = a ⋅ % s
(⋅F + b ⋅T + c ⋅H +
$ v + 0.5 '
∑ d ⋅ Rad + k
i i o
i

dove :
• CNOx = concentrazione di NOx (µg/m3);

• Qs = emissioni medie di NOx (g/m•s);
• F = fattore di forma funzione del settore di direzione del vento considerato (m-1);
• V = velocità media del vento al livello dei tetti (m/s);
• T = temperatura dell’aria esterna (°C);
• H = altezza di mescolamento coincidente con l’altezza media del canyon (m);
• Radi = radiazione solare oraria, dove la sommatoria è estesa alle 23 ore precedenti
quella a cui il calcolo è riferito (W/m2);
• a, b, c, di, ko sono coefficienti adimensionali del modello.
I fattori di forma F sono espressi in funzione dell’altezza media degli edifici H (m), della
larghezza del canyon W (m), della distanza del punto recettore dall’asse stradale x (m),
dell’altezza del recettore z (m), della lunghezza di mescolamento Lo (m) indotta dal moto
veicolare e posta uguale a 2 m (Tab. 2.8).

-1
Settore Fattore di forma F (m )
h− z
Sopravvento 7⋅
h⋅w
1
7⋅
Sottovento
x2 + z2 + Lo

Intermedio (FW + FL ) / 2
Tabella 2.8 Fattori di forma del modello di Gualtieri e Tartaglia.


58  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

I coefficienti adimensionali del modello sono riportati nella tabella 2.9.

Settore a b c di ko
Sopravvento 2,17 -0,73 0,03 -0,23÷0,22 228,07
Sottovento 1,74 -1,18 0,03 -0,20÷0,20 166,15
Intermedio 2,08 -2,00 0,06 -0,16÷0,16 113,90

Tabella 2.9 Coefficienti adimensionali del modello di Gualtieri e Tartaglia.

2.7 RUMORE PRODOTTO DAL TRAFFICO STRADALE


Le sorgenti principali causa del rumore da traffico sono i veicoli che, anche se
notevolmente diversificati fra loro per le diverse prestazioni e per le diverse destinazioni
d’uso (veicoli commerciali, mezzi di trasporto pubblico, mezzo proprio), poiché adottano
tutti motori alternativi a combustione interna producono una sensazione uditiva
abbastanza simile, differenziandosi invece nel livello globale di emissione. Il livello di
emissione è inoltre influenzato dalle condizioni di circolazione (traffico scorrevole e traffico
cittadino), che a loro volta dipendono dalle velocità e dalle accelerazioni dei singoli veicoli,
al crescere delle quali cresce anche il rumore, dallo stile di guida (una guida aggressiva
comporta mediamente un aumento di rumorosità di circa 5 dBA), e, infine, dalle proprietà
di assorbimento acustico della superficie stradale.
Un discorso a parte va fatto per i dispositivi di segnalazione acustica dei veicoli che, al
contrario di quanto normalmente accade, dovrebbero essere utilizzati con la massima
moderazione e solamente ai fini della sicurezza stradale, e, in particolare, per le sirene dei
veicoli di pronto intervento, per le quali la non immediata localizzazione della provenienza
del segnale di allarme, rende difficoltosa la manovra di via libera, con la conseguente
permanenza del rumore, già abbastanza sgradevole, per un tempo più lungo del
necessario.
All’origine del rumore veicolare possiamo individuare varie sorgenti, componendo i livelli
delle quali si ottiene il livello globale, che rientrano in due principali categorie:
Ø quelle correlate con il numero di giri del motore (power train);
Ø quelle correlate con la velocità del veicolo su strada.
Nella prima categoria, che è indipendente dalla seconda, rientrano il motore, l’impianto di
aspirazione e scarico, la ventola di raffreddamento, gli alberi di trasmissione, il cambio, le
pompe idrauliche e i generatori elettrici. Nella seconda, invece, rientrano il rumore

  59  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

provocato dall’interazione pneumatici-strada e il rumore aerodinamico.


Il rumore del motore è principalmente dovuto all’aspirazione dell’aria, alla combustione
nella camera di scoppio, alla emissione dei gas combusti, agli accoppiamenti meccanici
(punterie, ingranaggi, trasmissioni a catena, etc.), alle vibrazioni (causate dai carichi
variabili determinati dalla pressione dei gas, alle forze d’inerzia, all’azione delle masse
rotanti e di quelle in moto relativo) ed alle vibrazioni indotte nella carrozzeria.
Il rumore da rotolamento dipende, sostanzialmente, dalla velocità del veicolo e dalle
caratteristiche e condizioni della superficie di rotolamento (rugosità, tipo di inerti e
granulometrie utilizzate, grado di ammaloramento, proprietà di assorbimento acustico),
mentre le caratteristiche del pneumatico (dimensione, carico, pressione di gonfiaggio,
disegno del battistrada, grado di usura), il peso del veicolo e la sua accelerazione, hanno
una minore influenza. Tale rumore è essenzialmente causato dall’impatto del battistrada
sulla superficie (“rumore di impatto”), dalla vibrazione dell’aria compressa fra i tasselli del
battistrada per effetto della deformazione elastica del pneumatico (“pompaggio dell’aria”) e
dal cosiddetto “slip and stick” (aggrappamento del pneumatico sugli inerti dello strato
superficiale della pavimentazione stradale). Le emissioni generate dal rumore di
rotolamento si trovano in genere al di sotto dei 1000 Hz, cioè nel campo delle basse
frequenze; sul bagnato il livello di rumore è più alto di circa 5-10 dBA.
Il rumore aerodinamico è dovuto all’impatto della vettura contro l’aria ed è funzione, oltre
che della velocità, del profilo della carrozzeria; esso copre di norma frequenze comprese
tra i 500 e i 3000 Hz ed è particolarmente fastidioso perché interferisce con la voce
parlata, il cui livello oscilla fra i 45 e i 60 dBA.
In generale, a basse velocità, quali quelle del traffico urbano, il motore e il sistema di
aspirazione e scarico costituiscono le sorgenti di rumore predominanti, mentre a velocità
maggiori di 50-60 km/h aumenta sensibilmente il contributo del rumore di rotolamento dei
pneumatici. Per velocità superiori agli 80 km/h il rumore del motore alla massima potenza
è mascherato dal rumore di rotolamento e, quando si superano i 100 km/h, anche da
quello aerodinamico.
La struttura del veicolo (telaio, carrozzeria), pur non costituendo una sorgente di rumore, è
messa in vibrazione sia dal motore che dalle irregolarità della superficie stradale
(accelerazioni verticali trasmesse attraverso il sistema delle sospensioni), per cui diventa

60  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

tale principalmente all’interno del veicolo e contribuisce al livello globale di rumorosità


emessa. Secondo indagini svolte dalla CEE risulterebbe che il 45% del rumore veicolare è
causato dallo scappamento, il 30% dal motore, il 10% dalla aspirazione, il 10% dalla
ventola e solo il 5% dall’attrito con la superficie stradale.
Nell’ambito dei problemi connessi con il rumore ambientale è opportuno raggruppare le
sorgenti di rumore in poche classi individuate solo dal livello globale prodotto ad una
determinata distanza, per velocità caratteristiche delle aree urbane. Sotto questo aspetto i
vari tipi di veicoli possono essere classificati, a seconda del rumore emesso, in veicoli
pesanti (autocarri, autotreni, autoarticolati, autobus) con picchi di emissione di 90-95 dBA,
veicoli leggeri (automobili, autoveicoli con meno di nove posti a sedere compreso il
conducente) con picchi di 75-80 dBA e veicoli a due ruote (motocicli e motociclette) con
picchi di 80-90 dBA; tali valori sono riferiti ad una distanza di circa 4 metri. L’elevata
rumorosità delle motociclette è principalmente dovuta alle caratteristiche del tubo di
scappamento e al fatto che il motore è privo di schermi.
Un ruolo importante ai fini dell’inquinamento acustico, infine, è giocato dallo stato di
manutenzione dei veicoli circolanti, in quanto l’usura meccanica provoca un progressivo
aumento di rumorosità in alcune componenti, quali ad esempio il sistema di scarico e
l’impianto frenante.

2.8 NORMATIVA ITALIANA SUL RUMORE AMBIENTALE


In Italia le norme legislative in materia di disturbo da rumore sulla comunità sono
contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 1991 (G.U.
8/3/91 S.G. n. 57) intitolato “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi
e nell’ambiente esterno”.
Tale Decreto fornisce i parametri in base ai quali adeguare le emissioni acustiche delle
diverse sorgenti sonore, fisse e mobili, presenti nel territorio.
Dato il carattere transitorio del DPCM 1/3/91, nel 1995 il Parlamento ha prodotto un nuovo
strumento legislativo costituito dalla Legge Quadro sull’inquinamento acustico (la n. 447
del 26/10/95 G.U. n. 254 del 30/10/95) che sancisce i principi fondamentali di
regolamentazione della materia e che, a sua volta, affida a una serie di decreti attuativi la
completa regolamentazione dell’argomento.

  61  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Peculiarità essenziale delle suddette Norme è la suddivisione del territorio in sei classi, per
ciascuna delle quali vengono fissati, in relazione alla diversa destinazione d’uso, i valori
massimi di livello sonoro equivalente per il giorno (considerato dalle ore 6.00 alle ore
22.00) e per la notte (dalle 22.00 alle 6.00). Le denominazioni delle suddette classi e dei
rispettivi limiti sono riassunti nella tabella 2.10.

Classi di destinazione d’uso del territorio LAeq (diurno) LAeq (notturno)


I Aree particolarmente protette 50 40
II Aree prevalentemente residenziali 55 45
III Aree di tipo misto 60 50
IV Aree di intensa attività umana 65 55
V Aree prevalentemente industriali 70 60
VI Aree esclusivamente industriali 70 70

Tabella 2.10 Limiti massimi del livello sonoro equivalente relativi alle classi di destinazione d’uso.

Per le zone non esclusivamente industriali, oltre ai limiti massimi sopra riportati, sono
anche stabilite le seguenti differenze (criterio differenziale) tra il livello equivalente del
rumore ambientale e quello del rumore residuo (livello sonoro equivalente in assenza di
specifiche sorgenti disturbanti): 5 dBA per il periodo diurno e 3 dBA per quello notturno. La
misura deve essere effettuata all’interno delle abitazioni e nel tempo di osservazione del
fenomeno acustico specifico.
La Normativa sul rumore ambientale, inoltre, precisa le competenze dello Stato, delle
Regioni, delle Province e dei Comuni; in particolare:
• le Regioni devono emanare direttive per la predisposizione da parte dei Comuni di
Piani di risanamento acustico del territorio, in accordo con la suddivisione in classi
riportata nella tabella 2.10;
• il Piano comunale di risanamento acustico deve essere coordinato con il Piano Urbano
del Traffico e, inoltre, nei Comuni con popolazione superiore a 50000 abitanti, la
Giunta Comunale è tenuta a presentare al Consiglio Comunale una relazione biennale
sullo stato acustico del Comune;
• le Regioni hanno facoltà di concedere contributi ai Comuni e alle Province per
l’organizzazione di un sistema di monitoraggio e di controllo, nonché per le misure
previste dai Piani di risanamento;

62  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

• ai Comuni spettano le funzioni di controllo relativamente alle emissioni prodotte dal


traffico veicolare e dalle sorgenti fisse, da macchinari rumorosi per attività svolte
all’aperto, etc.

2.9 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ACUSTICO


Il livello del rumore da traffico stradale dipende, oltre che dalla rumorosità intrinseca di
ciascun veicolo, anche da altri fattori legati alla composizione del flusso veicolare e alle
caratteristiche geometrico-ambientali della strada su cui questo transita. Interventi mirati
su tali fattori consentono di ottenere significative riduzioni del rumore in tempi
relativamente brevi e costi non eccessivi.
Occorre tenere presente che la relazione tra il numero di veicoli in transito e il
corrispondente livello di rumore è di tipo logaritmico: un dimezzamento del flusso veicolare
comporta una riduzione di rumore pari a 3 dBA.
Inoltre, in merito alla composizione del flusso di veicoli, bisogna evidenziare che il rumore
prodotto dai mezzi pesanti è di circa 9-10 dBA più alto di quello emesso dalle autovetture
(normalmente un solo mezzo pesante genera un livello di rumore pari a quello di otto
automobili). Tale differenza è più accentuata su strade in pendenza e in situazioni che
comportano brusche e frequenti variazioni della velocità (semafori, incroci, traffico
congestionato), mentre diminuisce all’aumentare della velocità.
È necessario, pertanto, contenere la percentuale di mezzi pesanti sia per la loro maggiore
rumorosità intrinseca sia perché, marciando a velocità più basse rispetto agli altri veicoli,
sono spesso causa di congestione. Qualora la percentuale di tali automezzi superi il 10%
del complesso dei veicoli transitanti, risulta indispensabile agire in primo luogo su di essi
se vogliono ottenersi considerevoli riduzioni del livello di rumore.
A tale scopo un efficace provvedimento potrebbe consistere nella deviazione dei veicoli
pesanti su vie di circonvallazione o su percorsi alternativi, evitando, almeno in certi periodi
della giornata, gli attraversamenti del nucleo urbano; potrebbero essere, altresì, previsti
divieti di transito durante le ore notturne o nelle giornate festive, deviazioni dalle zone a
carattere esclusivamente residenziale, consentendone l’accesso solo ai residenti. Per le
vie a traffico veloce, invece, potrebbero essere adottati sensi unici di marcia e la
sincronizzazione dei semafori.

  63  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Un parametro da tenere sotto controllo è rappresentato dalla velocità media del flusso
veicolare. È importante che essa non subisca, come di norma avviene nelle aree urbane,
o in situazioni di congestione, variazioni rapide e frequenti, in quanto le accelerazioni e
decelerazioni dei veicoli producono fluttuazioni del livello di rumore che influiscono
negativamente sul disturbo indotto alla popolazione. A tal fine il provvedimento più ovvio
potrebbe essere l’imposizione di limiti di velocità, da integrare, dove si ritenga necessario,
con idonei interventi di traffic calming.
Altri interventi di regolamentazione del traffico, sono poi rappresentati dalla creazione di
isole e vie pedonali, di piste ciclabili, di ampi parcheggi in prossimità delle zone con divieto
di transito. Sarebbe auspicabile, ai fini di una efficace riduzione dei livelli di rumore, un
utilizzo quanto più limitato possibile del mezzo proprio a favore dei mezzi di trasporto
pubblico, o di veicoli elettrici, o, ancora, di velocipedi, il che contribuirebbe notevolmente
anche alla mitigazione dell’inquinamento atmosferico.
Accanto alle azioni appena esposte, mirate essenzialmente a ridurre la produzione di
rumore alla sorgente, esistono i cosiddetti interventi passivi che, invece, servono a
proteggere i ricettori dagli effetti indotti dal rumore veicolare; tra questi, citiamo:
• pavimentazioni drenanti-fonoassorbenti;
• barriere acustiche artificiali;
• barriere miste (biomuri);
• barriere acustiche naturali.
Negli ultimi anni la tecnica della pavimentazione drenante-fonoassorbente si è andata
sempre più sviluppando grazie soprattutto all’uso di bitumi modificati che hanno consentito
di ottenere miscele bituminose caratterizzate da una struttura alveolare con elevata
percentuale dei vuoti, senza, tuttavia, penalizzare le caratteristiche di resistenza del
conglomerato stesso.
Con questo tipo di strato superficiale, oltre alla riduzione del rumore di rotolamento (si
riduce fondamentalmente il fenomeno del pompaggio dell’aria), si evita il fenomeno delle
riflessioni multiple (i cosiddetti riverberi) fra pneumatici e strada, o fra il pianale del veicolo
e la pavimentazione, e l’energia che penetra nel conglomerato si dissipa gradualmente per
rifrazione fra i granuli di pietrisco garantendo, in definitiva, una riduzione media della

64  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

rumorosità di circa 3-4 dBA rispetto al tradizionale strato di usura in conglomerato


bituminoso chiuso.
In commercio vi sono conglomerati bituminosi confezionati con inerti di argilla espansa, in
percentuale compresa tra il 15-20 %, che permettono un abbattimento del rumore di circa
4-5 dBA rispetto ad una miscela che ne risulti priva. L’argilla espansa viene anche
impiegata come componente del calcestruzzo per la realizzazione di diversi manufatti fra
cui le barriere fonoassorbenti.
L’adozione di barriere antirumore costituisce l’intervento tecnico più efficace e più comune
per la difesa dell’ambiente dal rumore. Esistono due principali tipologie di barriere:
fonoisolanti (o fonoriflettenti), muri compatti che non vengono attraversati dalle onde
sonore, e fonoassorbenti, pareti sottili aventi la faccia rivolta verso la sorgente forata e
l’altra chiusa, all’interno delle quali vi è un materiale molto poroso (come la lana di vetro),
che costringe l’onda acustica a subire tante riflessioni trasformandosi in calore.
Le capacità di fonoisolamento e di fonoassorbimento sono in antitesi tra loro, in quanto
strutturalmente un materiale risulta tanto più isolante quanto maggiore è la sua massa; di
conseguenza, un buon isolante è un materiale ad alta densità, come l’acciaio, il
calcestruzzo, il legno, mentre un materiale assorbente è un materiale a bassa densità e
poroso, poiché, come detto precedentemente, deve consentire all’energia sonora di
trasformarsi in energia termica e disperdersi tra le sue fibre. Quindi le proprietà
fonoisolanti e fonoassorbenti di una barriera acustica sono intrinseche delle stesse
barriere e non dipendono dalla geometria del luogo in cui vengono installate.
A tali manufatti non sono richieste solo protezioni acustiche, ma anche una buona
resistenza alla corrosione, elevate caratteristiche meccaniche, una ridotta riflessione
luminosa e un aspetto estetico che ne permetta l’integrazione nel paesaggio.
Vi sono tipologie realizzate con materiale unico prevalentemente fonoisolante, quali legno,
cemento, polimetilmetacrilato (Pmma), e altre con proprietà fonoisolanti e fonoassorbenti,
realizzate in lamiera. Tali tipologie possono essere utilizzate singolarmente o accoppiate
secondo varie combinazioni, come, ad esempio, cemento + lamiera + Pmma; cemento +
Pmma; cemento + lamiera; lamiera + Pmma. Il pannello di base in cemento assicura
buone caratteristiche meccaniche e buona resistenza alla corrosione. L’impiego del Pmma
si sta sempre più diffondendo grazie alla sua caratteristica di trasparenza, offrendo a chi

  65  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

viaggia una minore sensazione di chiuso. I pannelli in lamiera di alluminio stanno


soppiantando quelli in lamiera zincata per un più lento processo di corrosione a causa
dell’esposizione agli agenti atmosferici. Alcune barriere acustiche sono realizzate in
plastica riciclata, proveniente per metà da rifiuti industriali e per l’altra metà da rifiuti
domestici (specialmente bottiglie); il prodotto finale è un pannello con elevate prestazioni
fonoisolanti e fonassorbenti: il lato rivolto verso la fonte di rumore è traforato con una serie
di buchi tondi, in un rapporto vuoto per pieno del 43%, che permettono di ottenere elevate
prestazioni di isolamento acustico, mentre il materiale fonoassorbente è costituito da un
pannello in lana di roccia di spessore idoneo. Tali pannelli sono imputrescibili, inerti agli
agenti chimici e atmosferici e resistenti al fuoco, agli choc termici e meccanici; sono,
inoltre, trattati con i raggi U.V., per garantire la tenuta del colore.
L’abbattimento in termini di decibel garantito dalle barriere artificiali è pari mediamente a
10-15 dB(A) per le barriere fonoriflettenti, mentre può raggiungere valori più elevati, 20-22
dB(A), nel caso delle barriere fonoassorbenti.
Un’altra tipologia di barriera, che risponde bene ai criteri di inserimento ambientale, è
quella ottenuta per integrazione tra elementi costruiti dall’uomo e le piante; si parla in tale
caso di barriere miste o biomuri. Tra queste trova posto il cosiddetto “mw - soundkiller”
costituito da due reticolati d’acciaio (rete elettrosaldata) zincato a fuoco su pali di 60 cm
che li mantengono separati, che formano una parete ad alto grado di assorbimento
acustico. Sul terriccio col quale si riempie lo spazio tra le grate verticali viene impiantata
della vegetazione coprente, che si riproduca con facilità e sempreverde, in genere l’acer
campestre, il frassino, l’edera, il biancospino, etc.
Questo tipo di parete, che occupa soltanto 60 cm in larghezza e può arrivare ad una
altezza di 8 m, risulta molto utile dove vi siano problemi di spazio, come in centro città o
sulle autostrade. Dovranno, naturalmente, essere previsti, al fine di mantenere efficiente la
protezione, piani di manutenzione annuale che comprendano interventi quali nuove
piantagioni, potatura, sarchiatura, controlli.
Accanto alle barriere artificiali e a quelle miste, si possono impiegare le cosiddette barriere
naturali (vegetali). Si è già osservato come l’onda sonora venga smorzata quando è
costretta ad un cammino irto di ostacoli, dove subisce una serie di urti, degradandosi in

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

calore. Questo percorso di ostacoli può essere costituito anche dalle superfici delle foglie
dei rami e rametti della vegetazione.
Nel caso del rumore stradale le frequenze presenti sono molteplici e la sorgente non può
considerarsi puntiforme; la protezione vegetale, pertanto, non sempre è efficace in quanto,
spesso, difetta di continuità nello spazio e perché la sua struttura può cambiare nel tempo
a causa delle trasformazioni stagionali delle essenze arboree. Le barriere vegetali
contribuiscono poi al miglioramento ambientale sia dal punto di vista estetico che della
stabilità dei terreni; inoltre, si hanno anche benefici legati all’assorbimento di particolari
sostanze inquinanti prodotte dal traffico.
In ogni caso, con le barriere vegetali si può arrivare ad abbattimenti di 5-10 dBA a
seconda della specie, dell’altezza, della densità e della posizione della barriera; a tal
proposito buoni risultati sono stati ottenuti combinando alberi e cespugli messi a dimora in
fasce di 6-7 m di profondità, parallelamente alla strada.

2.10 MODELLI PREVISIONALI DEL RUMORE DA TRAFFICO VEICOLARE


Nel campo della pianificazione urbanistica e territoriale, è utile poter disporre di criteri che
consentano una predeterminazione dei livelli di rumore causati dal traffico stradale in base
ad elementi che possono essere previsti o imposti in sede di programmazione o di
progettazione. Pertanto, come in molte altre applicazioni ingegneristiche, si ricorre a
modelli matematici che simulano l’ambiente stradale, lo spazio circostante, la produzione
e lo smorzamento del rumore.
Di questi modelli, basati sia su formule di regressione che sull’integrazione dei contributi
energetici dovuti a singoli eventi sonori, ne sono stati messi a punto parecchi, ciascuno
con sue caratteristiche di validità (per ambiente urbano ed extraurbano, per tipo di traffico,
etc.).
In Italia, il CNR ha proposto l’utilizzo del modello di Cannelli, Gluck e Santoboni, che
prende in considerazione tutta una serie di parametri relativi al flusso di traffico ed alle
caratteristiche geometrico-ambientali del sito di misura:

" 25 %
Leq = 35.1 + 10 log(Ql + 8Qp ) + 10 log$ ' + ΔL v + ΔL f + ΔLb + ΔLs + ΔLg + ΔL vb dB(A)
#d &

dove:

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

• Ql = flusso orario di veicoli leggeri (autovetture, veicoli commerciali leggeri e veicoli a


due ruote);
• Qp = flusso orario di veicoli pesanti (veicoli da trasporto pubblico e veicoli commerciali
di peso superiore a 4.8 tonn);
• d = distanza fra il punto di osservazione e la mezzeria stradale (in metri);
• ΔLv = parametro correttivo che tiene conto della velocità media del flusso del traffico
(Tab. 2.11);
• ΔLf = parametro di correzione determinato dalla riflessione del rumore sulla facciata
vicina al punto di osservazione, pari a 2,5 dBA;
• ΔLb = parametro di correzione determinato dalla riflessione del rumore sulla facciata
opposta al punto di osservazione, pari a 1,5 dBA;
• ΔLs = parametro che tiene conto del tipo di superficie stradale (Tab. 2.12);
• ΔLg = parametro correttivo relativo alla pendenza longitudinale (Tab. 2.13);
• ΔLvb = parametro che si applica nei casi limite di traffico, come in presenza di semafori
e velocità veicolare assai bassa (Tab. 2.14).

Velocità media del flusso di traffico (km/h) ΔLv (dBA)


30 – 50 0
60 +1,0
70 +2,0
80 +3,0
100 +4,0

Tabella 2.11 Fattori di correzione per le diverse velocità medie del deflusso.
 
Tipo di superficie stradale ΔLs (dBA)
Conglomerato bituminoso liscio -0,5
Conglomerato bituminoso ruvido 0
Cemento +1,5
Superficie di rotolamento lastricata scabra +4,0

Tabella 2.12 Fattori di correzione per il tipo di superficie stradale.


 
Pendenza (%) ΔLg (dBA)
5 0
6 +0,6
7 +1,2
8 +1,8
9 +2,4
10 +3,0
Per ogni ulteriore unità percentuale +0,6

Tabella 2.13 Fattori di correzione per la pendenza longitudinale della strada.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Situazione di traffico ΔLvb (dBA)


In prossimità di semafori +1,0
Velocità del flusso veicolare < 30 km/h -1,5

Tabella 2.14 Fattori di correzione per casi limite di traffico.

Il metodo del CNR considera separatamente il traffico pesante e, ad ogni veicolo pesante,
attribuisce il valore di otto veicoli leggeri, tenendo così in conto la differente rumorosità
delle due categorie di automezzi. Tale coefficiente di correlazione è stato ottenuto
sperimentalmente confrontando il Leq medio dei veicoli pesanti con il Leq medio di quelli
leggeri; la differenza fra i due Leq,m è risultata pari a 8,9 dBA, valore che in termini
energetici corrisponde a circa otto volte l’energia unitaria media emessa da un veicolo
leggero.

2.11 FENOMENO DELLE VIBRAZIONI


Viene definita vibrazione un fenomeno ondulatorio, generalmente a bassa frequenza,
trasmesso attraverso un mezzo solido, liquido o gassoso.
Le vibrazioni vengono generalmente valutate in termini di velocità (variazione, in un dato
intervallo di tempo, della posizione di un corpo o di una particella, abitualmente misurata a
partire dalla media delle posizioni assunte dal corpo o dalla particella stessa oppure dalla
posizione di quiete).
Il fenomeno delle vibrazioni dovute ai trasporti costituisce un argomento altamente
tecnico. Le vibrazioni via terra, originate dal passaggio dei mezzi di trasporto su gomma
(camion, autobus, etc.) o su rotaia (treni, tram) sono dovute sia alle oscillazioni impresse
dal motore al mezzo, sia agli scuotimenti ed alle irregolarità del piano stradale o alle
giunzioni delle rotaie; l’intensità della vibrazione dipende dalla dimensione e dalla forma
dell’irregolarità del terreno e dalla velocità e dal peso del veicolo. Reazioni umane ed
effetti fisici dipendono in particolare dalla velocità massima delle particelle (esprimibile in
mm/sec) (Tab. 2.15).
Il livello di tolleranza di una vibrazione in zone residenziali corrisponde ad una velocità
massima di 0,15 – 0,30 mm/sec in quanto, una vibrazione, pur piccola ma percettibile, è
considerata intrusiva.

  69  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

Le vibrazioni via terra possono essere facilmente ed efficacemente attutite mediante una
serie di accorgimenti costruttivi, quali:
Ø isolare l’edificio dalla sorgente di vibrazioni, interponendo tra sorgente e ricettore una
struttura “elastica” sufficientemente approfondita nel terreno (intercapedine in c.a.,
diaframma in pietrame a secco, etc.);
Ø approfondire il piano di fondazione dell’edificio rendendolo meno sensibile alle onde
vibratorie;
Ø irrigidire la struttura dell’edificio spostando tutte le risonanze strutturali oltre l’intervallo
di frequenza in cui sono comprese le sollecitazioni.

Velocità (mm/sec) Reazioni umane Effetti sulle costruzioni


0 – 0,15 Impercettibile Nessuno
0,15 – 0,30 Limite di percezione Nessuno
Limite massimo da non superare per
2,0 Intrusione
antichi monumenti
2,5 Inizio del fastidio Nessun rischio per la normale edilizia
Limite massimo da non superare per
5.0 Fastidio
evitare danni architettonici
Danni architettonici e possibili danni
10 – 15 Fastidio e disagio a volte intollerabili
strutturali

Tabella 2.15 Reazioni umane ed effetti sulle costruzioni a varie velocità di vibrazione.

Particolare attenzione incomincia ad essere data pure alle vibrazioni che si propagano via
aria: esse sono chiamate anche infrasuoni. Esse derivano da onde sonore a bassa
frequenza (inferiore a 100 Hz) provenienti quasi unicamente dai motori dei veicoli,
soprattutto quelli diesel; si ritiene che tali vibrazioni non danneggino gli edifici: il loro effetto
principale e più intrusivo è dato dal far vibrare finestre e porte.
Queste onde obbediscono alle leggi del suono, ma poiché presentano basse frequenze e
grandi lunghezze d’onda, si attenuano relativamente poco con la distanza e con
l’isolamento sonoro. In definitiva, al contrario delle vibrazioni via terra, le vibrazioni via aria
sono di difficile eliminazione: questo deve rappresentare un motivo ulteriore di controllo
del traffico in aree urbane.
Un effetto benefico di riduzione delle vibrazioni si può avere sostituendo, nei mezzi di
trasporto pubblico, i motori diesel con i motori elettrici.

70  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Nell’ambito delle infrastrutture ferroviarie urbane, il problema delle vibrazioni è


particolarmente evidente nel caso dei percorsi ferroviari che si sviluppano in sotterraneo
(metropolitane).
Per tali mezzi di trasporto occorre analizzare il percorso seguito dalle vibrazioni ingenerate
dal contatto ruota – binario: le vibrazioni vengono trasmesse alle strutture del tunnel e
quindi al suolo che le circonda; si propagano poi, attraverso il suolo, ai fabbricati adiacenti
facendone vibrare i pavimenti e le pareti, e provocando la diffusione del rumore nelle
stanze.
I parametri che influenzano i livelli di vibrazione del tunnel comprendono:
• velocità del treno: all’aumentare della velocità si accrescono sensibilmente i livelli di
vibrazione del tunnel e del terreno circostante (ad un raddoppio della velocità,
corrispondono incrementi di vibrazioni tali da ingenerare livelli di rumore nel tunnel
compresi tra 4 dB e 6 dB);
• carico assiale: un raddoppio nel carico assiale produce un aumento da 2 a 4 dB nei
livelli sonori all’interno della galleria a causa delle vibrazioni delle pareti del tunnel,
indipendentemente dalla velocità del treno e da come è stato costruito il binario;
• ruote resilienti: con l’adozione di ruote resilienti il rumore prodotto dalle vibrazioni delle
pareti del tunnel si riduce di circa 4 dB;
• massa non isolata dal binario (comprende le ruote e gli assi del treno, a meno che non
siano isolati, il cambio e i motori di trazione): il dimezzamento della massa non isolata
produce una riduzione di 6 dB nei livelli rumore all’interno della galleria;
• condizioni del sistema ruota – rotaia: gli ammaccamenti sulle ruote, i giunti delle rotaie
non compatti, la rugosità sulle rotaie possono aumentare i livelli di rumore provocati
dalle vibrazioni da 10 dB a 20 dB; la rugosità delle ruote o delle rotaie di tipo liscio e
senza giunti e in assenza di ammaccature sulle ruote, può aumentare tali livelli da 3
dB a 10 dB. I livelli rumore nel tunnel nel caso di binari con scambi e punti d’incrocio
sono da 10 a 15 dB superiori a quelli per binari continui;
• solette flottanti: le solette che fungono da letto del binario e da supporto resiliente
(chiamate “solette flottanti”) o le solette continue fuse in opera (con sezioni individuali
sino a 21 m di lunghezza), o una serie di solette prefuse da 0,7 a 1,5 m riducono
notevolmente le vibrazioni trasmesse alle strutture del tunnel;

  71  
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
 

• materiale per il ballast ferroviario: il materiale in gomma posto tra il pietrisco e le


fondazioni del tunnel produce una significativa diminuzione dei livelli di vibrazione nel
tunnel (con riduzioni del livello di rumore all’interno delle gallerie stesse maggiori di 5
dB) per frequenze superiori ai 63 Hz;
• costruzione del tunnel: il tipo di struttura del tunnel e la sua massa influenzano i livelli
di vibrazione nel tunnel e sul terreno. Raddoppiare lo spessore medio delle pareti
porta a riduzioni nei livelli rumore nel tunnel quantificabili tra 5 dB e 18 dB.

72  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

_______________________________________

CAPITOLO 3

Infrastrutture per la sosta


e il parcheggio
_______________________________________

3.1 PROBLEMATICHE DI SOSTA E PARCHEGGIO NEI CONTESTI URBANI


Il possesso di una vettura privata per compiere spostamenti è ormai una condizione di vita
acquisita su tutto il territorio nazionale. In tale direzione, la legge italiana obbliga, in caso
di nuove costruzioni, a garantire almeno 1 m2 di parcheggio ogni 10 m3 di costruzione.
Da diversi anni, inoltre, lo standard medio si sta spostando verso i 2 veicoli per nucleo
familiare. Tutti vogliono un veicolo aggiuntivo, ma pochi fanno l’acquisto basandosi sul
fatto di poter poi disporre di un box per il ricovero del mezzo.
La seconda o la terza automobile la si lascia in strada: questa è la linea comune di
pensiero spinta dall’impossibilità di trovare spazi adeguati di ricovero, cui corrisponde un
degrado del luogo urbano, il rallentamento del traffico, l’impossibilità di impiegare
liberamente il luogo pubblico per altre attività (passeggio, fare compere, etc.).
Il congestionamento dei centri urbani e la necessità di dotare la città di idonee strutture di
servizio, impongono l’esigenza di potenziare le infrastrutture di supporto ai collegamenti,
e, soprattutto, le aree per la sosta ed il parcheggio.
La circolazione dei veicoli è l’elemento essenziale per il controllo del traffico urbano.
Questa si divide in due momenti ben distinti:
• quello in cui i veicoli si muovono lungo le strade;
• quello in cui i veicoli stanno fermi in attesa, tra uno spostamento e l’altro.
Il numero di autoveicoli circolanti in Italia è di oltre 22 milioni; poiché ogni veicolo necessita
in media di 25 m2 per il parcheggio, la superficie complessiva destinata alle aree di
parcheggio dovrebbe essere oltre 1 miliardo di metri quadrati.

  73  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

Un’ulteriore considerazione è che la ripartizione del tempo tra movimento e sosta dei
veicoli è fortemente sbilanciata verso la sosta: mediamente l’automobile è usata solo per
due ore al giorno, mentre le altre 22 sta ferma.
Nelle zone centrali della città, poi, solo 10 autoveicoli su 100 sono in movimento ed inoltre
l’uso dell’auto come mezzo per gli spostamenti in città supera di gran lunga tutti gli altri. In
tale contesto, la maggiore preoccupazione riguarda le strade urbane che, essendo la
categoria principale degli spazi urbani, rivestono un ruolo fondamentale nella vita sociale,
fisica, economica e culturale dei cittadini stessi.
Affinché tutto funzioni nel migliore dei modi, non potendo aumentare la sezione delle
strade esistenti nei centri storici, è necessario rendere libere le strade medesime da tutto
ciò che non è flusso veicolare in movimento.
Occorrono quindi spazi per il parcheggio temporaneo (per i non-residenti) da sommare a
quelli permanenti (per i residenti).
La larghezza limitata della sede stradale dei centri antichi consiglia una classificazione
delle esigenze da soddisfare in base alla seguente scala di priorità:
Ø il transito dei pedoni, possibilmente in sede protetta (portico, marciapiede);
Ø il transito delle auto (magari a senso unico);
Ø la sosta temporanea per il carico-scarico delle merci;
Ø il parcheggio delle auto dei residenti e degli esterni.
Risulta quindi necessario ridurre drasticamente la possibilità di parcheggiare sulla sede
stradale, ossia cercare di spingere i residenti a cercare soluzioni stabili diverse da quelle
del parcheggio dell’automobile sulla pubblica via.

3.2 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI PARCHEGGI


In base al livello funzionale nel rapporto col contesto urbano e con la circolazione stradale,
le infrastrutture di parcheggio si possono suddividere in tre grandi categorie:
Ø parcheggi terminali;
Ø parcheggi scambiatori;
Ø parcheggi a rotazione.
I parcheggi terminali vengono utilizzati per soste molto lunghe (a servizio della residenza,
degli uffici, dei poli commerciali, turistici e culturali).

74  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

I parcheggi scambiatori, collocati ai margini del centro urbano, costituiscono i nodi di


scambio all’interno del tessuto urbano (terminal metropolitana, ferrovia, autobus,
aeroporto, porto, etc.), o al contorno del nucleo storico, a servizio di quest’ultimo, per
incentivare e permettere l’uso del mezzo pubblico all’interno dell’area urbana più antica. In
questo modo, l’utenza proveniente dalle direttrici di traffico maggiori dovrebbe trovare il
parcheggio ai limiti della zona storica e quindi lasciare l’auto per recarsi al posto di lavoro
o per sbrigare una serie di commissioni all’interno del centro urbano dove, di norma, sono
ancora collocati i più importanti uffici pubblici e privati di una città.
I parcheggi a rotazione sono destinati agli utenti che compiono brevi soste, sia all’interno
dell’area urbana storicizzata, sia in presenza di attività di servizio quali quelle commerciali,
culturali, terziarie.
Per avere una visione globale del problema del rapporto tra le aree di stazionamento e la
zona nella quale lo stazionamento stesso deve essere inserito e per analizzare l’influenza
complessiva che il parcheggio delle vetture ha sull’assetto complessivo della mobilità
urbana, bisogna innanzitutto soffermarsi sulle due principali attività caratterizzanti il
parcheggiare. Queste due attività sono la fermata e la sosta.
Gli spazi di fermata sono quelli che più comunemente si trovano nella maggior parte delle
città. Nella forma più semplice sono collocati in tratti della corsia stradale, posti
lateralmente a contatto con il marciapiede e riservati ai veicoli fermi. Possono essere,
anche se meno frequentemente, costituiti da rientranze nel marciapiedi.
La larghezza degli spazi di fermata si può limitare a 2,00 m per traffico di solo autovetture,
può arrivare al massimo di 3,00 m per il traffico pesante. Per determinare la lunghezza
dello spazio di fermata, bisogna considerare gli spazi richiesti per le manovre di
accostamento e di allontanamento.
Si possono distinguere due diversi tipi di spazi di fermata:
• una tipologia che prevede un distanziamento tra le vetture, tale da consentire ad
ognuna di esse l’accostamento e l’allontanamento con manovra diretta;
• una tipologia che prevede un distanziamento tra le autovetture, tale da ammettere che
si ingombri la carreggiata per manovre di inserimento e di uscita.
È buona norma comunque prevedere tale tipologia di parcheggio lontano da incroci o da
zone di traffico caotico, perché il traffico stesso viene reso più difficile dalle auto in

  75  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

manovra.
Le aree di sosta sono zone in cui compaiono, opportunamente segnalate, le prescrizioni
delle modalità di movimento, la determinazione degli stalli (posti auto) e dei corselli, e
l’indicazione della durata massima della sosta. Possono essere collocate marginalmente
alla carreggiata oppure in piazzali, comunque in luoghi adibiti per la sosta vera e propria.
Sulla sede stradale si hanno:
Ø corsie di sosta sulla carreggiata stessa, con stazionamento dei veicoli in file parallele
al traffico;
Ø banchine di sosta in rientranza ai marciapiedi, con veicoli in fila secondo la direzione
del traffico;
Ø zone laterali di sosta dove i veicoli sono posti ortogonalmente o in modo inclinato
rispetto al traffico.
Nei piazzali si hanno:
• spazi per la sosta suddivisi in stalli;
• corselli per la distribuzione.
Un’area o un edificio adibiti a parcheggio possono essere strutturati in due modi, in
rapporto alla dimensione e alla forma dell’area da adibire a parcheggio:
Ø a sviluppo orizzontale (parcheggi in superficie, a raso o a livello);
Ø a sviluppo verticale (parcheggi interrati, in elevazione, misti).
Tra i parcheggi a sviluppo verticale vi sono:
1) autorimesse a rampe suddivise in:
• a rampe rettilinee a senso unico (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso
lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);
• a rampe rettilinee a doppio senso (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso
lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);
• a rampe elicoidali a senso unico (continue: sovrapposte o concentriche; discontinue:
separate e sovrapposte);
• a rampe elicoidali a doppio senso (continue; discontinue e sovrapposte);
2) autorimesse meccaniche o autosilo suddivise in:
• automatizzate (a stallo fisso, a stallo mobile, miste);
• semiautomatiche (con montacarichi centrale, con elevatore di stalli, con piattaforme

76  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

traslanti, miste con trasloelevatore).


Lo sfruttamento a raso delle aree è quello più economico al punto di vista del costo
dell’impianto e della manutenzione, ma poco conveniente dal punto di vista dello
sfruttamento dell’area.
La realizzazione in sotterraneo, invece, seppur giustificata dal punto di vista dello
sfruttamento dell’area superficiale, risulta di maggiore onerosità costruttiva, implicando
non solo le opere di scavo ma anche quelle di impermeabilizzazione che fanno lievitare
notevolmente i costi.
Il parcheggio che appare il più razionale dal punto di vista dell’utilizzazione dell’area e dei
costi è quello in elevazione che, però, presenta il problema non trascurabile di doversi
inserire come un nuovo edificio tra quelli esistenti (ciò, spesso, nei centri urbani è molto
difficile).

3.3 PANORAMA NORMATIVO SUI PARCHEGGI


In Italia, il D.M. 1444/68 dal titolo Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di
distanza tra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali
e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della
revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 ha fissato
per la prima volta le dotazioni minime di spazi da destinarsi a parcheggi, introducendo
l’obbligo di riservare a parcheggio una quota di superficie delle nuove costruzioni
(concessioni edilizie rilasciate dopo il 1968). Nella tabella 3.1 sono indicate le dotazioni
minime previste dal Decreto per le aree di parcheggio.

Area per
Localizzazione 2 Ogni
parcheggio (m )
3
Nuove costruzioni (in aggiunta ai valori seguenti) 1 20 m di costruzione
Insediamenti Zona C 2,5 1 abitante
residenziali Zone A e B 1,25 1 abitante
Commerciale o direzionale 40 100 m2 di superficie lorda
degli edifici
Commerciale o direzionale in 20 100 m2 di superficie lorda
zona A e B degli edifici
Industrie o assimilati 10% del totale dell’area destinata a spazi pubblici

Tabella 3.1 Dotazioni minime di aree da destinare a parcheggio (D.M. 144/68).

  77  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

Successivamente, nel 1989, questo standard è stato portato ad 1 m2 di parcheggio per


ogni 10 m3 di costruzione. Proprio in questo senso, si è mossa la legge 122/1989 (Legge
Tognoli) che dà tuttora facoltà ai Comuni di mettere a disposizione dei residenti anche
aree pubbliche per ricavare spazi di stazionamento, in quota o nel sottosuolo.
Lo spirito della norma è quello di incrementare i parcheggi per i residenti e di ridurre i posti
auto ad alta permanenza per i non residenti, in modo da attuare una naturale rotazione di
parcheggi per i non residenti ed evitare l’ulteriore congestione del centro urbano (anche
attraverso la creazione di autorimesse pubbliche, tipo autosilo).
La legge Tognoli, inoltre, per trovare urgente soluzione ai problemi della sosta urbana,
imponeva alle 15 città italiane di maggiori dimensioni (Roma, Milano, Napoli, Torino,
Genova, Palermo, Bologna, Firenze, Catania, Bari, Trieste, Venezia, Messina, Cagliari e
Reggio Calabria) di dotarsi di un Programma Urbano dei Parcheggi (PUP) per il triennio
1989-1991 entro 150 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa. Il Programma avrebbe
dovuto anche indicare le localizzazioni, i dimensionamenti e l’ordine di priorità dei
parcheggi da realizzare anno per anno, privilegiando i parcheggi scambiatori, allo scopo di
decongestionare i centri urbani.
Sempre entro 150 giorni dall’entrata in vigore della legge, le Regioni avrebbero dovuto
individuare i Comuni tenuti alla redazione del PUP, oltre ai 15 già obbligati. A tutt’oggi, tutti
i Comuni capoluogo di provincia e gli altri Comuni di maggiori dimensioni sono tenuti alla
redazione del programma o all’aggiornamento di quello del triennio precedente.
Anche le Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei Piani Urbani del Traffico
(Art. 36 del Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Codice della Strada) del giugno
1995 (cfr. paragrafo 3.5 della dispensa: Classificazioni e strumenti per la pianificazione,
costruzione e gestione delle infrastrutture stradali nelle aree urbane e metropolitane),
propongono la realizzazione, nell’ambito del PUT, di tutti gli interventi per la sosta
necessari al fine di migliorare le condizioni di circolazione, secondo un criterio che si
avvicina molto a quello della mobilità sostenibile sostenuto dall’European Parking
Association (EPA), l’organizzazione che raggruppa le associazioni nazionali europee degli
operatori nel settore della sosta e dei parcheggi. Viene anche introdotta la seguente
classificazione:
Ø parcheggi stanziali: destinati alla sosta dei residenti,

78  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø parcheggi di relazione: per la sosta breve o di media durata (per utenti di servizi e
visitatori);
Ø parcheggi di scambio: destinati alla sosta di media durata.
In particolare i parcheggi di scambio, specie nelle aree urbane di maggiori dimensioni,
devono favorire l’intermodalità dei movimenti sulle direttrici centro-periferia, prevedendo
adeguati spazi di sosta, preferibilmente custodita, in prossimità delle principali
interconnessioni tra la rete viaria di adduzione all’area urbana ed i terminali periferici delle
linee di trasporto pubblico collettivo. In maniera analoga, i parcheggi scambiatori possono
essere utili anche nelle aree urbane di piccole dimensioni, in assenza di trasporto
pubblico, con riferimento alla possibilità di proseguire lo spostamento a piedi, con un
percorso pedonale di lunghezza accettabile.
Il PUT deve inoltre prevedere la tariffazione della sosta su strada in determinati ambiti
urbani, come strumento di ottimizzazione dell’equilibrio tra domanda ed offerta di sosta e,
di conseguenza, come elemento tendente a favorire l’uso di sistemi di trasporto alternativi
rispetto a quello privato individuale. Richiamando l’articolo 7 del CdS, le Direttive
ribadiscono poi che la tariffazione della sosta su strada, oltre ad incentivare la rotazione
dei veicoli sullo stesso posto di sosta, deve contribuire al finanziamento degli interventi
necessari alla gestione di tutto il traffico stradale (e quindi anche alla creazione di nuovi
impianti di parcheggio).
Le Direttive del 1995 rappresentano quindi uno strumento avanzato, che affronta i
problemi relativi alla sosta ed ai parcheggi in modo organico e pragmatico. Il Piano di
riorganizzazione della sosta, con l’individuazione sia delle aree di parcheggio su strada,
sia delle aree di sosta a raso fuori dalle sedi stradali e delle possibili aree per i parcheggi
multipiano, con l’introduzione del sistema di tariffazione e di regolamentazione della sosta,
rappresenta di fatto un’evoluzione del Programma Urbano dei Parcheggi (PUP) previsto
dalla legge Tognoli.
Secondo quanto previsto dalle Direttive, nell’ambito del PGTU (Piano Generale del
Traffico Urbano), occorre predisporre il Piano di riorganizzazione della sosta (cfr.
paragrafo 3.4.2), basato sulla linea politica che mette in conto le esigenze di incontro tra la
domanda e l’offerta di sosta, e prevedendo un bilancio di quest’ultima in relazione ai posti
auto eliminati dalla sosta su strada e quelli resi disponibili nei parcheggi previsti. Per gli

  79  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

interventi di rilevante onere economico, come i parcheggi in struttura (autorimesse


sopraelevate o interrate, autosilo), dovranno essere effettuate specifiche analisi costi-
benefici e studi di fattibilità finanziaria.
Ad un secondo livello di progettazione, cioè nell’ambito del Piano Particolareggiato del
Traffico Urbano (PPTU), dovrà essere previsto il tipo di organizzazione della sosta per gli
eventuali spazi laterali della viabilità principale, per le strade-parcheggio, per le aree di
sosta esterne alle sedi stradali e per gli eventuali parcheggi multipiano sostitutivi della
sosta su strada, con la definizione sia delle tariffe che della regolamentazione e delle
limitazioni relative.

3.4 VALUTAZIONE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI SOSTA


L'esigenza della sosta vada incide sulla valutazione del costo totale dello spostamento,
che comprende non solo il prezzo del carburante, l'usura del mezzo, l'eventuale pedaggio,
ma anche i costi sociali e personali percepiti dall'utente quali lo stress della ricerca del
posto, l'inquinamento acustico e ambientale, il rischio di incidente, etc.
Alcuni ricercatori, tra i quali Axhausen, hanno provato ad individuare e a classificare alcuni
comportamenti adottati dagli utenti nella ricerca del posto auto; in particolare:
• l'utente si reca direttamente presso alcuni spazi abbastanza vicini alla destinazione
che reputa quasi garantiti (è il caso di stalli per disabili oppure stalli riservati);
• l'utente focalizza la sua ricerca su un limitato numero di opzioni che offrono buone
probabilità di consentirgli la sosta in una zona sufficientemente prossima alla propria
destinazione;
• l'utente si dirige verso una zona non vicinissima alla destinazione ma dotata di
adeguata offerta di sosta, non senza aver prima fatto un tentativo di trovare un posto
libero nelle vicinanze della destinazione;
• l'utente privilegia l'aspetto economico, dirigendosi verso aree anche lontane dalla
propria destinazione, ma nelle quali ha la garanzia di trovare sosta gratuita o a bassa
tariffa;
• l'utente non gradisce un posto troppo lontano e inizia una serie di giri a vuoto attorno
alla propria destinazione finché non trova un posto disponibile al minor costo possibile;
• l'utente prevede un parcheggio di breve durata e concentra la sua ricerca nelle

80  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

immediate vicinanze della sua destinazione, accettando il rischio di una sosta di tipo
illegale qualora non riesca a trovare un posto libero.
Anche sulla base delle precedenti valutazioni, la domanda di sosta può essere definita
come la quantità di spazio per la sosta che verrebbe utilizzata ad una determinata ora, in
una certa area e ad un prezzo prestabilito (anche nullo), qualora la disponibilità fosse
illimitata. È evidente come tale domanda possa essere interamente o parzialmente
soddisfatta a seconda dello spazio effettivamente disponibile. Il fattore che influenza di
gran lunga maggiormente la domanda di sosta è la localizzazione dei poli attrattori che
generano lo spostamento dell'utente. Inoltre essa può essere determinata e influenzata da
numerosi fattori quali l'indice di motorizzazione, il costo del trasporto, la scelta della
modalità, la durata della sosta, l'appetibilità delle modalità alternative di raggiungimento
della destinazione, il costo del parcheggio e del carburante.
Quasi sempre la domanda è inquadrabile in determinati cicli temporali, che possono
ripetersi quotidianamente, settimanalmente, annualmente o in occasione di speciali eventi
periodici. Ad esempio, durante i giorni feriali si avrà un'elevata richiesta vicino ad edifici
che ospitano uffici e centri direzionali, mentre l'afflusso a ristoranti e teatri si concentrerà
nelle serate dei fine settimana.
Anche la durata della sosta cambia in maniera sensibile a seconda del tipo di utenza: per
esempio, i pendolari hanno l'esigenza di una sosta di lungo periodo e pertanto saranno
particolarmente sensibili alle tariffe imposte, mentre per i consumatori che si recano nei
negozi per acquisti è sufficiente una sosta di breve o medio periodo. Un fattore che può
riflettersi sulla scelta del luogo di sosta è quello che gli anglosassoni chiamano walking
distance, cioè la distanza da percorrere a piedi per arrivare a destinazione dopo aver
lasciato la vettura: più lungo sarà il tempo di sosta e più diventa accettabile percorrere a
piedi una distanza superiore per giungere a destinazione.
Inoltre va tenuto presente che il pedone percorre assai più volentieri e senza sentire
eccessivamente la distanza una strada urbana interessante e piena di vetrine o elementi
che attraggono l'attenzione.
Le tabelle 3.2 e 3.3 riportano i risultati di uno studio canadese in cui si evidenziano i livelli
di servizio (LdS da A = ottimo a D = non sempre accettabile), in relazione alla distanza da
percorrere a piedi dopo aver lasciato il veicolo, a seconda delle caratteristiche

  81  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

dell'ambiente e delle situazioni in cui ci si trova o in funzione del tipo di utenza o di


destinazione.

Ambiente da percorrere LdS A LdS B LdS C LdS D


Climatizzato e controllato 300 m 700 m 1000 m 1500 m
Coperto 150 m 300 m 450 m 600 m
Scoperto 100 m 200 m 300 m 400 m
Isolato 80 m 150 m 250 m 350 m

Tabella 3.2 Livelli di servizio dei percorsi a piedi dopo aver parcheggiato il veicolo.

Distanza da percorrere a piedi Tipo di utenza o di destinazione


- Persone diversamente abili
Adiacente - Carico e scarico
- Servizi di emergenza
- Negozi al dettaglio
- Studi professionali
Minima (LdS A – B)
- Ambulatori medici
- Residenti
- Ristoranti
- Luoghi di intrattenimento
Media (LdS B – C)
- Centri direzionali
- Istituzioni religiose
- Parcheggi aeroportuali
Lunga (LdS C – D) - Parcheggi a servizio di stadi o di grandi
eventi sportivi e culturali
- Parcheggi scambiatori

Tabella 3.3 Distanza accettabile dei percorsi a piedi in relazione all'utenza.

Prima di poter proporre un sistema di soluzioni per la sosta su strada e fuori strada, si
deve conoscere il numero di posti auto necessari per cercare di soddisfare quanto più
possibile la domanda di sosta nelle sue diverse componenti.
In particolare, è necessario descrivere tale domanda sia in termini quantitativi (numero di
autovetture in sosta per particolari periodi di tempo, rotazioni giornaliere di sosta per
specifiche aree, etc.), che qualitativi (residenti, addetti, visitatori, etc.), adottando di volta in
volta metodi di indagine specifici, campionari o riferiti all'universo. A tali scopi devono
essere effettuate rilevazioni di presenza di sosta a metà mattino, a metà pomeriggio e di
notte. Ove specificatamente richiesto da parte delle amministrazioni comunali, devono
inoltre, essere svolte indagini su componenti veicolari particolari, quali i veicoli merci, gli
autobus turistici, i velocipedi, etc.
Per poter effettuare una valutazione affidabile della domanda di sosta è necessario

82  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

procedere anzitutto ad una divisione dell'area urbana in settori, ciascuno dei quali deve
presentare, al suo interno, requisiti omogenei sotto il profilo delle esigenze di sosta ed
avere dimensioni compatibili col tempo medio di uno spostamento a piedi. Tale tempo
medio può essere quantificato intorno ai 10-12 minuti, corrispondenti a circa 500-600 metri
di cammino ad andatura tranquilla. Sarebbe dunque opportuno che la distanza massima
tra due punti all'interno di un settore non superasse i 600 metri.
Un valido metodo empirico per la determinazione delle aree di indagine, adottabile nella
maggior parte delle città italiane, consiste nel dividere il centro storico in uno o più settori,
a seconda delle dimensioni della città ed in funzione delle principali arterie al suo interno,
e procedere poi verso l'esterno con un serie di corone circolari frazionate in settori
delimitati dalle strade più importanti, sia radiali che circolari.
Una volta delimitato ogni settore, si procede alla valutazione della domanda di sosta al
suo interno, valutazione che potrà essere fatta con diversi metodi, analitici o empirici, e
che fornirà un numero indicativo medio, visto che la domanda di sosta può essere
soggetta a variazioni in relazione ai diversi giorni della settimana o ai periodi dell'anno. È
necessario però che la quantificazione della domanda sia affidabile, al fine di predisporre
le soluzioni più adeguate e di avere ben presente la quota di domanda che non sarà
soddisfatta all'interno di un settore, per mancanza di risorse disponibili, affinché si possa
considerare la possibilità di utilizzare l'eccesso di offerta eventualmente presente in un
settore adiacente.

3.4.1 Criteri per la quantificazione della domanda di sosta


Sono essenzialmente tre le tipologie di domanda di sosta che andrebbero soddisfatte
nell’ambito delle aree urbane e metropolitane:
1) sosta “lunga” da parte dei residenti;
2) sosta “medio-lunga” da parte degli utenti dei poli attrattori;
3) sosta di breve durata da parte di diverse categorie di utenti.
La quantificazione della domanda di sosta residenziale può essere calcolata in modo
abbastanza preciso col metodo analitico, dividendo il numero di residenti all'interno di un
settore per l'indice di motorizzazione (numero di abitanti per veicolo immatricolato) relativo
alla città considerata, opportunamente corretto in base al livello economico medio degli

  83  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

abitanti di quel settore. Per esempio, se l'indice di motorizzazione medio è pari ad 1,5 ed il
settore è abitato da una fascia economica medio-alta, sarà opportuno ridurlo a 1,4 o 1,3,
mentre in caso contrario occorrerà incrementarlo fino a 1,6 o 1,7.
Ottenuto così il numero stimato dei veicoli di proprietà dei residenti del settore, e
sottraendo dagli stessi il numero di box o posteggi privati presenti nell'area (anche
all'interno di parcheggi pertinenziali o residenziali già realizzati) si otterrà la domanda di
sosta residenziale relativa a quel settore. Tale domanda quasi certamente cercherà una
risposta alle proprie esigenze mediante l'occupazione del suolo stradale pubblico.
Si deve osservare che parte della domanda di sosta all'interno di un settore può benissimo
essere soddisfatta dall'offerta di sosta presente in un settore adiacente, essendo la
divisione in settori del tutto convenzionale. Infatti i residenti che si trovano in prossimità del
confine di un settore possono disporre di un box o di un posteggio all'interno di un
parcheggio residenziale situato non distante dalla loro abitazione, ma in un settore
adiacente. Va comunque rilevato come tale possibilità non influisca sulla valutazione
relativa alla domanda di sosta, in quanto nel loro insieme i vari settori adiacenti
compensano tra loro gli interventi di offerta di sosta, ed il risultato complessivo non
cambia. Ad esempio, anche all'interno del settore preso in considerazione può essere
presente un box che di fatto è di proprietà di un residente in un settore adiacente, ma che
sarà considerato nel numero di quelli appartenenti ai residenti del settore di riferimento.
L'intento perseguito, infatti, è solo quello di valutare in modo affidabile il dato medio
relativo alla domanda di sosta da soddisfare.
La sosta residenziale presenta due caratteristiche che la contraddistinguono:
Ø non è decentrabile, dato che difficilmente il proprietario di un veicolo accetterà di
lasciarlo in sosta ad una distanza superiore a circa 150 metri dalla propria abitazione;
Ø è prevalentemente distribuita nell'orario dalle 7 della sera alle 8 del mattino, il che
rende possibile in certi casi destinare un posteggio su strada alla sosta residenziale
durante le ore notturne ed alla sosta degli utenti dei poli attrattori (o alla sosta breve)
durante quelle diurne.
La quantificazione della sosta indotta dai poli attrattori di traffico col metodo analitico può
portare a valutazioni imprecise per difetto o per eccesso, perché si fonda su una
parametrizzazione standard che può non corrispondere alla realtà locale del settore

84  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

considerato. Si tratta infatti di identificare i diversi poli di attrazione presenti nell'area


(stazioni, negozi, cinema, banche, uffici, ospedali, impianti sportivi, centri commerciali,
chiese, etc.) e di verificare se sono dotati di parcheggi ed in che misura. La valutazione
delle esigenze di sosta è fatta in genere sulla base della superficie e del numero del
personale addetto delle diverse infrastrutture presenti.
I criteri empirici di valutazione possono essere, come è comprensibile, molto diversi non
solo da una nazione all'altra, ma da una città all'altra ed anche da un settore all'altro nella
stessa città. Comunque può essere utile riportare (tabella 3.4) alcune indicazioni relative
alle esigenze minime di posti auto per questo tipo di sosta.

Posti auto per il Posti auto per clienti,


Tipo di attività
personale addetto frequentatori e visitatori
2
1 posto ogni 100 m di area lorda di 2
1 posto ogni 15 m di area
Supermercati commercio oppure 1 posto ogni 3
lorda di commercio.
addetti.
2
1 posto ogni 100 m di area lorda di 2
1 posto ogni 25 m di area
Attività commerciali al minuto commercio oppure 1 posto ogni 3
lorda di commercio.
addetti.
1 posto ogni 2 posti a sedere
2
Esercizi pubblici, ristoranti, bar 1 posto ogni 3 addetti. oppure 1 posto ogni 4 m di
area aperta al pubblico.
Alberghi 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto per camera.
2
2 1 posto ogni 200 m di area
Uffici 1 posto ogni 25 m di area lorda.
lorda.
1 posto ogni medico + 1 posto ogni
Ospedali 1 posto ogni 2 posti letto.
3 addetti non medici.
Scuole superiori e Università 1 posto ogni 2 docenti o addetti. 1 posto ogni 3 studenti.
2
1 posto ogni 25 m di area
Musei, gallerie, biblioteche 1 posto ogni 3 addetti.
aperta al pubblico.
Impianti sportivi (stadi esclusi) 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto ogni 2 sportivi fruitori.
Stadi, cinema, teatri, chiese,
1 posto ogni 3 addetti. 1 posto ogni 4 posti a sedere.
auditorium, sale convegni

Tabella 3.4 Esigenze standard di posti auto per la sosta.

Se consideriamo infine la sosta di breve durata, occorre osservare come la quantificazione


analitica sia particolarmente difficile a causa delle troppe variabili che la influenzano. Per
tali motivi la quantificazione della domanda di sosta può essere efficacemente valutata
solo con metodi empirici, come le indagini sul campo.
In genere le indagini di sosta vengono eseguite all'interno di aree di utenza di dimensioni
abbastanza limitate e con caratteristiche omogenee in relazione ai requisiti della sosta al
suo interno: per esempio è opportuno che la sosta su strada all'interno dell'area
considerata sia o tutta libera o tutta regolamentata.

  85  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

La più tipica indagine sull'occupazione è quella di eseguire i conteggi del numero di auto
presenti, o ancora meglio dei posti auto vuoti, su una determinata area di sosta, ad
esempio ogni ora. Tali conteggi forniscono l'andamento dei coefficienti di occupazione
nelle ore esaminate e/o coefficienti giornalieri.
Un'altra tipica indagine sulla sosta è quella cosiddetta del "metodo della targa" ed è atta a
fornire sia dati sulla attuale occupazione dei posti sosta sia dati precisi sui principali
parametri della sosta (permanenza media, rotazione, etc.). Essa si svolge in due fasi:
quella della rilevazione dei dati e quella della loro elaborazione. Per quanto riguarda la
rilevazione dei dati, di norma si individua un percorso lungo il quale sia possibile
identificare con chiarezza gli spazi destinati a posteggio, valutando come opzione
preferenziale il fatto che tali spazi siano marcati dalla segnaletica orizzontale. Il percorso
ottimale dovrebbe comprendere non più di 200-250 posti auto per ogni rilevatore, ed il
punto terminale del percorso dovrebbe essere sufficientemente vicino al punto iniziale.
Ogni rilevatore sarà munito di uno schedario predisposto con l'indicazione del percorso sul
quale dovrà eseguire le rilevazioni di propria competenza: in genere il percorso
comprenderà strade, piazze ed altre aree destinate alla sosta su strada, per ciascuna
delle quali dovrà essere indicato il numero di posti auto marcati o potenziali presenti nelle
zone in cui sostano i veicoli (Tabella 3.5).
Il percorso dovrà essere eseguito a partire dal suo punto iniziale con cadenza prestabilita,
per esempio ogni ora o in qualche caso ogni 30 minuti, ad iniziare dalle 8.00 o da altra ora
programmata. Nella prima fase, il rilevatore segnerà sulla scheda con un segno
convenzionale i posti vuoti, mentre riporterà la targa dei veicoli in sosta nei posti occupati;
anziché il numero completo di targa, può essere sufficiente riportare solo 3 o 4 cifre o
lettere terminali della stessa. Qualora un veicolo sia parcheggiato irregolarmente (per
esempio a cavallo di due spazi di sosta, al di fuori degli stessi o sui marciapiedi) il
rilevatore ne prenderà nota.
Al termine del primo rilievo, l’operatore attenderà nel punto di partenza l'orario previsto per
l'inizio del rilevamento successivo (in genere il percorso è studiato in modo che passino
pochi minuti) e ripeterà l’indagine.
Per ogni rilievo correttamente eseguito, dal confronto dei dati con quelli rilevati durante
l’operazione precedente si verificherà che alcuni posti prima liberi sono ora occupati (e

86  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

verrà segnata la targa del veicolo occupante), alcuni posti prima occupati ora sono liberi,
alcuni posti sono occupati dallo stesso veicolo (targa uguale) ed altri posti già occupati da
un veicolo sono ora occupati da un altro veicolo, del quale verrà rilevata la targa.

Data _________ Zona di riferimento ___________ Firma del rilevatore ___________

Via o piazza Rilievo n° 1 Rilievo n° 2 Rilievo n° 3 Rilievo n° 4 Rilievo n° 5


Inizio ore Inizio ore Inizio ore Inizio ore Inizio ore
8:00 9:00 12:30 13:30 15:00

Via Etnea lato nord N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa

Posto auto n°1 DM193 DM193 AJ413 CT901 BM123

Posto auto n°2 CT234 --- FX956 --- LU378

Posto auto n°3 XA823 XA823 CT765 UV357 GE632

Posto auto n°__

Posto auto n°__

Via Etnea lato sud N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa

Posto auto n°1 CO871 DK437 DK437 FJ873 AW900

Posto auto n°2 AV173 PA490 SX182 QU943 FZ684

Posto auto n°3 DM193 DM193 AJ413 CT901 BM123

Posto auto n°__

Posto auto n°__

Piazza Roma N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa

Posto auto n°1 --- --- KI767 KI767 KI767

Posto auto n°2 KK988 JP321 JM863 --- CT803

Posto auto n°3 --- MN989 --- --- GT775

Posto auto n°__

Posto auto n°__

Tabella 3.5 Fac-simile di modello per le indagini sulla sosta.

Durante il corso della giornata verranno eseguite un certo numero di rilievi secondo gli
orari programmati. Spesso è opportuno ripetere l'indagine in altri giorni (per esempio
martedì, mercoledì e venerdì), per avere un quadro più completo dell'occupazione
dell'area nell'arco della settimana. Si comprende pertanto come un'indagine della sosta

  87  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

approfondita ed affidabile in un'area ampia, impegnando diversi rilevatori, costituisca


un'operazione impegnativa anche sotto il profilo economico.
L'indagine non è in grado di indicare cosa è successo nel periodo tra un rilevamento e
l'altro, fatto salvo il caso in cui sia presente il medesimo veicolo già rilevato, nel qual caso
è ragionevole ipotizzare che quel veicolo non si sia mosso. Dunque un'indagine sulla
sosta diventa tanto più affidabile e ricca di informazione quanto minore è l'intervallo di
tempo che intercorre tra un rilevamento e l'altro. Tuttavia, per motivi facilmente
comprensibili, è praticamente impossibile eseguire le operazioni di rilievo ad intervalli
inferiori ai 30 minuti, e si può senz'altro stabilire in un'ora il tempo standard tra un
rilevamento e l'altro per le normali indagini sulla sosta.
Un'indagine completa dovrebbe comprendere anche le ore notturne, che risultano
particolarmente significative per la valutazione delle esigenze di sosta residenziale. Infatti,
tra i dati più interessanti che un'indagine sulla sosta può fornire, vi sono quelli relativi alla
durata della sosta: durante il periodo di tempo di esecuzione di un ciclo di rilievi, infatti,
viene rilevato un certo numero totale di veicoli in sosta, dei quali una percentuale risulterà
parcheggiata per un periodo di tempo, ad esempio, superiore a 6 ore, un'altra percentuale
per un periodo dalle 4 alle 6 ore, un'altra ancora dalle 2 alle 4 ore, ed un'altra infine per un
periodo più breve. La sosta superiore a 6 ore può essere identificata, con buona
approssimazione, come residenziale, quella dalle 4 alle 6 ore sarà in parte residenziale ed
in parte legata alle esigenze degli utenti dei poli attrattori, mentre quella tra le 2 e le 4 ore
è presumibilmente effettuata dai non residenti. Il quadro può diventare molto più preciso
ed affidabile se l'indagine viene ripetuta in giorni diversi, dato che in questo caso diventa
possibile valutare le concordanze e le regolarità di sosta di determinati veicoli.

3.4.2 Predisposizione dell’offerta di sosta


Una volta ottenuto un quadro completo delle esigenze di sosta nei diversi settori urbani
prestabiliti, sarà necessario mettere a punto gli strumenti adatti per predisporre
un'adeguata offerta di sosta. Di norma sono le Amministrazioni pubbliche a doversi fare
carico di tale compito, non sempre di immediata soluzione, anche con l'aiuto di esperti del
settore. Si tratta di predisporre il cosiddetto Piano di riorganizzazione della sosta, uno
strumento operativo che, applicato alle diverse aree interessate, definisce le condizioni

88  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

ottimali da perseguire per favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta di sosta, e prevede il
programma cronologico, amministrativo e politico delle fasi attuative mediante le quali si
possa eseguire la transizione tra lo stato di fatto attuale e l'obiettivo finale del Piano
stesso.
Ben si comprende come il Piano di riorganizzazione della sosta sia strettamente legato al
PUT, di cui costituisce parte integrante. Esso può essere anche considerato come la
naturale evoluzione del PUP (programma urbano dei parcheggi) previsto dalla legge
Tognoli fin dal 1989, anzi, anche a causa dei ritardi di adozione e di attuazione del PUP da
parte delle pubbliche amministrazioni tenute a dotarsene, spesso i due programmi
finiscono col coincidere, dato che perseguono gli stessi obiettivi principali.
Il primo obiettivo è costituito dallo sgombero della sosta dalla rete viaria principale:
quest'ultima può essere ricondotta, in prima analisi, alle strade di scorrimento ed alle
strade interquartiere. Comunque è uno dei compiti del PUT la classificazione funzionale
della rete viaria comunale e l'identificazione di quelle strade che dovranno essere liberate
dalla sosta su strada per essere restituite integralmente alla mobilità.
La sosta su strada va permessa laddove possibile (strade di quartiere, strade locali),
sempre tenendo presente il principio della separazione dei movimenti veicolari e pedonali
dalla sosta veicolare. In particolare l'occupazione di suolo pubblico da parte dei veicoli in
sosta deve garantire uno spazio libero per i pedoni non inferiore ai 2 metri di larghezza,
oltre allo sgombero della sosta dai passaggi e dagli attraversamenti pedonali.
Per soddisfare le esigenze di sosta su strada va adottato il criterio dell'utilizzazione
ottimale delle strade locali e delle aree esterne alle sedi stradali destinate alla sosta
(strade-parcheggio ed aree di parcheggio a raso, individuate anche tra le aree pubbliche e
private in attesa di destinazione urbanistica definitiva). Ma anche mediante tale
utilizzazione ottimale vi saranno aree urbane (in corrispondenza del centro storico e delle
zone pericentrali) per le quali l'offerta di sosta sarà nettamente inferiore alla domanda. In
corrispondenza di tali aree, pertanto, occorrerà prevedere la realizzazione di parcheggi
sostitutivi della sosta su strada (Fig. 3.1).
Sempre in relazione al reperimento di spazi per la sosta, previsto dal PUT, è possibile
attuare:
Ø il riordino di strade e piazze appartenenti alla viabilità locale, finalizzato alla possibilità

  89  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

di recupero di nuovi spazi di


sosta (strade-parcheggio ed
aree-parcheggio), fatte
salve le esigenze dei pedoni
e la vocazione ambientale
dei luoghi, e tenuto conto
dei relativi valori storici,
artistici ed architettonici;
Ø l'utilizzo - eventualmente
provvisorio - delle aree
pubbliche, ma anche
private, in attesa di definitiva
destinazione urbanistica, in
termini di realizzazione e di
gestione di aree di
parcheggio - eventualmente
multipiano - ad uso pubblico
(parcheggi di tipo sostitutivo
Figura 3.1 Esempio di riorganizzazione della sosta in un
della sosta su strada), con contesto urbano: stato precedente (in alto) e situazione
riqualificata (in basso).
possibile dotazione di
 
alberature ed anche con riferimento ad interventi finanziati dall'iniziativa privata;
Ø la realizzazione di parcheggi ad uso privato (sempre ad uso sostitutivo della sosta su
strada), su suolo privato o anche pubblico, con particolari facilitazioni da prevedere per
i privati interessati alla loro costruzione.
Gli obiettivi suddetti sono chiari e certamente condivisibili, tuttavia la loro attuazione non è
né semplice né immediata, se si tiene conto delle caratteristiche storiche, architettoniche
ed artistiche della quasi totalità dei centri storici delle città italiane. La disponibilità di aree-
parcheggio all'interno dei centri o nelle loro vicinanze è di solito scarsa, ed è pertanto
necessario che le aree disponibili siano utilizzate in modo intensivo, mediante la creazione
di parcheggi multipiano, possibilmente interrati, in modo da restituire la superficie alla
fruibilità urbana. D'altra parte, gli interventi di parcheggio interrato sono costosi e

90  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

richiedono tempi di realizzazione adeguati, anche in relazione alla posizione dell'intervento


nel contesto urbano, alla presenza di edifici adiacenti, alla profondità dello scavo ed alle
caratteristiche geotecniche del terreno, alla presenza di sottoservizi, etc.
Nell'adozione e nell'attuazione del Piano di riorganizzazione della sosta, le pubbliche
Amministrazioni si possono trovare nella poco invidiabile condizione di dover proporre ai
cittadini misure che, al primo impatto, vengono percepite come impopolari, senza poter
offrire in tempi brevi la soluzione definitiva conseguente all'attuazione del Piano,
evidenziandone i tangibili vantaggi. Sarà dunque opportuna un'opera assidua di
informazione e di coinvolgimento della cittadinanza, affinché nell'opinione pubblica possa
mettere radici ed affermarsi quella "cultura della sosta" necessaria per conseguire gli
obiettivi indicati dal Piano.
Anzitutto va affermata e resa operativa la regolamentazione e la tariffazione della sosta su
strada in tutte quelle aree in cui non vi sia abbondanza di offerta di sosta, o nelle quali la
sosta su strada vada ridotta in funzione della tutela ambientale.
In una prima fase andranno individuate tutte le aree da destinare alla sosta su strada
(strade-parcheggio ed aree-parcheggio), verificando se l'offerta di sosta così ottenuta sia
sufficiente a soddisfare la domanda presente nell'area. Qualora così non fosse, si
dovrebbe valutare la possibilità di realizzare in tempi brevi, all'interno delle aree-
parcheggio o nel sotto suolo delle strade o delle piazze in cui ciò sia possibile, interventi di
parcheggi multipiano sostitutivi ed integrativi della sosta su strada. All'interno di tali
interventi sarà possibile anche ricavare un certo numero di posti auto aperti, o di box
chiusi, da destinare alla cessione a terzi per far fronte alle esigenze di sosta residenziale
presenti nell'area. Ovviamente, in relazione all'acquisizione di tali posti sarà data la
precedenza in primo luogo ai residenti, quindi agli esercenti di attività economiche nella
zona.
Gli interventi previsti dal Piano di riorganizzazione della sosta devono essere
necessariamente accompagnati da un'efficace azione di controllo della sosta e di
sanzionamento della sosta illegale, irregolare ed abusiva.
L'adozione e l'applicazione del Piano e degli interventi in esso contenuti, infatti, hanno un
costo non indifferente che viene sostenuto o direttamente dalla collettività o (come sempre
più spesso accade) mediante l'apporto di capitali privati che devono essere recuperati

  91  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

tramite i proventi della gestione. Tali costi vengono giustificati dai vantaggi sociali offerti
dal sistema di regolamentazione della sosta, in funzione delle esigenze collettive alle quali
esso deve far fronte, e dell'insostenibilità della caotica condizione nella quale finirebbero
col trovarsi la mobilità e la sosta urbana in conseguenza della sua mancata attuazione.
La tolleranza e l'indulgenza nei confronti della sosta irregolare ed abusiva sono dunque in
totale contraddizione con l'adozione stessa del Piano, poiché aggiungono al danno che
continuano a provocare alla collettività i veicoli in sosta irregolare, anche l'onere
conseguente al mancato ammortamento dei costi sostenuti per gli interventi di sosta
regolamentata, necessari per la soluzione del problema della mobilità e della sosta.

3.5 PARAMETRI DI PROGETTO DELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO


Per poter ottimizzare la progettazione e la realizzazione di
spazi destinati al ricovero o semplicemente alla sosta
degli autoveicoli è di fondamentale importanza analizzare
quelle che sono le tipologie di realizzazione del singolo
posto auto che discende dalle dimensioni d’ingombro
dell’autovettura stessa (Fig. 3.2) e dei relativi spazi di
manovra.
L’angolo di inclinazione dello stallo nei confronti del senso
di marcia della corsia di accesso può essere di 0°
(posteggi a nastro, paralleli al senso di marcia della corsia
di accesso); di 90° (posteggi a pettine, perpendicolari al
senso di marcia della corsia di accesso); di 30°, 45° o 60°
- sono ammessi anche angoli diversi se necessari
(posteggi a dente di sega, inclinati in modo vario rispetto
al senso di marcia della corsia di accesso) (Fig. 3.3).
Tali differenziazioni comportano la possibilità di variare
Figura 3.2 Ingombro del veicolo
architettonicamente il disegno del piano di parcheggio, nella fase di progettazione di un
parcheggio.
risparmiando spazio a parità di autovetture o aumentando
il numero di posti disponibili a parità di spazio fruibile. Le principali differenze tra le
tipologie sopra citate a parità di numeri di posti auto, sono:

92  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø dimensione totale del


parcheggio: il
parcheggio più
economico dal punto di
vista dello spazio
necessario, è senza
dubbio quello a pettine
seguito, con un
incremento di spazio
necessario pari a circa il
25%, da quello a nastro.
I posteggi a dente di
sega hanno uno scarto
percentuale tra loro di
circa il 10% ed occupano
meno spazio più è
grande l’angolo di
inclinazione rispetto alla
corsia di accesso;
Ø velocità e facilità con la
quale si manovra, ossia
come si entra ed esce
dal posto auto. Si è
riscontrato che il posto
auto perpendicolare al Figura 3.3 Ingombri minimi nel caso di parcheggi a pettine e a dente
di sega.
senso di marcia
.
all’interno della corsia è quello più problematico dal punto di vista della manovra e
quindi dei tempi di utilizzo; in questo senso i parcheggi più funzionali sono senza
dubbio quelli a dente di sega (Fig. 3.4).

  93  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

Elemento fondamentale per


la corretta progettazione del
parcheggio è il poter
analizzare e realizzare
correttamente lo spazio
destinato alla circolazione
dei veicoli all’interno dei
piani di parcheggio; ciò che
influenza infatti la dinamica
del parcheggio non sono
infatti la lunghezza delle
corsie e la velocità tenuta nel
percorrerle, ma è la
percentuale di manovra in
retromarcia. Si pensi che nel
caso di corsia a senso unico,
tale percentuale è di circa il
30% per lo stallo a 90° e di
circa il 10% per stalli inclinati
a 70°. La maggior efficienza
degli stalli inclinati è
garantita se il senso della
circolazione è tale da aiutare Figura 3.4 Disposizione delle corsie a senso unico e a doppio senso in
parcheggi con stalli inclinati.
il veicolo ad imboccare in
marcia avanti il posto libero.
Tra i vari tipi di stallo inclinati, quelli a spina di pesce richiedono un tempo di ricerca
superiore rispetto a quello necessario per trovare un posto nel caso di parcheggio con i
paraurti anteriori delle autovetture che si fronteggiano; inoltre, nel caso di parcheggi a
spina di pesce, i paraurti anteriori delle auto vanno a contrapporsi alla fiancata delle
macchine opposte, creando la potenzialità di danni superiori per contatti accidentali.
Il tempo superiore è dato dal fatto che le corsie di circolazione dove gli stalli sono disposti

94  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

a spina di pesce devono necessariamente essere a senso unico, mentre negli altri casi,
compreso quello di stalli ortogonali alla corsia, posso essere a doppio senso facilitando la
circolazione e quindi la ricerca del posto auto libero.

3.5.1 Parcheggi a raso


È di fondamentale importanza “mimetizzare” il più possibile l’area occupata da un
parcheggio a raso o comunque creare una separazione psicologica, una schermatura
delle aree destinate alla
circolazione delle automobili e dei
pedoni da quelle destinate alla
sosta dei veicoli.
La separazione può avvenire
tramite elementi decorativi
naturalistici come siepi, muretti,
avvallamenti del terreno,
semplicemente cambiando la
pavimentazione o in qualunque
altro modo si ottenga uno stacco
psicologico tra il luogo di sosta e la
circolazione. La predetta
schermatura può essere una
barriera psicologica piuttosto che
fisica da riempire, parzialmente -
accettando di lasciare solo
intravedere le macchina o
permettendo un’ampia visuale - o
completamente la vista delle
vetture.
Figura 3.5 Possibili segnalazioni stradali o interne
All’interno del parcheggio, la all’autorimessa dei diversi posti auto.
disposizione degli stalli rispetto alle
corsie di percorrenza può essere segnalata in vari modi (Fig. 3.5 e Fig. 3.6); il vero vincolo

  95  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

per queste segnalazioni di


delimitazione di stalli è che si devono
mantenere nel tempo. La
pavimentazione in conglomerato
bituminoso delle strade di accesso al
parcheggio può essere sostituita da
materiali alternativi che permettano la
possibilità di composizioni cromatiche
e di materiali tali da poter dare una
valenza architettonica alla struttura
Figura 3.6 Situazione teorica più idonea per posti auto di
interna al parcheggio. I materiali maggiore comfort.

alternativi si possono identificare in


gettate di cemento grezzo o colorato,
blocchetti di cemento prefabbricati di
vario colore, autobloccanti in
cemento, pietra a spacco, ciottoli di
fiume, ghiaia, mattoni gelivi, erba e
piante in genere.
Le linee di divisione degli stalli sono
ottenibili tramite la colorazione della
superficie in conglomerato bituminoso
o cementizio, utilizzando
l’applicazione a caldo di un materiale
plastico colorato, oppure inserendo
nella pavimentazione blocchetti o
pietra di colore diverso, in modo da
realizzare visibilmente la
differenziazione delle aree. Per la
sosta nei parcheggi a raso dei
pullman, trattandosi di casi di mezzi di
Figura 3.7 Ingombro di un pullman in fase di progettazione
trasporto speciali, si possono di un parcheggio.
 

96  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

suggerire gli spazi


specifici di sosta e di
manovra (Fig. 3.7 e
Fig. 3.8).
A completamento
delle caratteristiche
che deve possedere
un parcheggio
esterno, non va
dimenticata di
importanza Figura 3.8 Parcheggio all’aperto per pullman.
dell’arredo verde: le
essenze arboree sono fondamentali
per mascherare le automobili, per il
filtraggio delle sostanze gassose
emesse dei veicoli, per un
abbellimento estetico variabile nel
tempo (le piante sono elementi
mutevoli e viventi e cambiano l’aspetto
del luogo ove sono posizionate
durante l’arco dell’anno), e come
barriere cromatiche e architettoniche
(Fig. 3.9).
Nelle zone particolarmente calde, il
parcheggio a raso può essere spesso
coperto con strutture semplici ed esili
(vere e proprie tettoie) che hanno un
notevole impatto architettonico
sull’ambiente nel quale il parcheggio è
Figura 3.9 Progetto di parcheggio a raso presso lo inserito. A questo proposito risulta di
stabilimento Roche a Segrate (Mi).
notevole importanza scegliere i

  97  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

materiali di queste strutture per ottenere qualcosa di consono alle caratteristiche del luogo
e soprattutto per dare l’idea di una costruzione e non di un semplice riparo dagli agenti
atmosferici senza alcuna valenza architettonica. La copertura che si viene a realizzare nei
suddetti casi dovrà garantire una superficie in pianta leggermente superiore a quella dello
stallo tipico, e una limitata altezza (generalmente non più di 2,10 m), creando così un
impatto ambientale ridotto.

3.5.2 Parcheggi per utenti disabili


Nel progetto di un luogo di sosta per autoveicoli, sia che si tratti di un’autorimessa o di un
parcheggio a raso all’aperto, deve essere posta particolare attenzione per gli utenti
disabili, ossia gli utenti con difficoltà motorie. In tale direzione il D.M. 14 giugno 1989, n°
236 (inerente alle prescrizioni per il superamento e l’eliminazione delle barriere
architettoniche) e successivamente il D.P.R. 16 settembre 1996, n° 503 forniscono
specifiche indicazioni sugli spazi minimi per la sosta dei veicoli di tali utenti.
In sintesi, i Decreti affermano quanto segue:
Ø negli edifici aperti al pubblico
deve essere previsto 1 posto
auto per disabile ogni 50 o
frazione di 50 posti;
Ø tale posto auto deve avere
larghezza non inferiore a 3,20 m
e deve essere riservato
gratuitamente al servizio di
persone disabili; il medesimo
stallo deve essere
opportunamente collegato al
marciapiede o al percorso Figura 3.10 Dimensioni minime di un posto auto per utenti
con difficoltà motorie.
pedonale, che evidentemente a
sua volta deve essere conforme alle indicazioni dei due Decreti (Fig. 3.10);

98  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø per i posti auto riservati disposti


parallelamente al senso di
marcia, la lunghezza dello
stallo deve essere tale da
consentire il passaggio di un
utente su sedia a rotelle tra un
veicolo e l’altro; il requisito si
intende soddisfatto se il posto
auto ha lunghezza almeno pari
a 6 m (Fig. 3.11); in tale
situazione, il posto auto per
disabili può mantenere una
larghezza pari a quella dei
normali posti auto.
Da questi primi punti si deduce che
Figura 3.11 Posto auto per utenti con difficoltà motorie in
la misura di 3,20 m (misura minima presenza di parcheggi paralleli alla strada.

che può essere aumentata a


discrezione del progettista) deriva da una valutazione dell’ingombro del veicolo di circa
170 cm, cui si affianca in adiacenza uno spazio di 150 cm necessario per le manovre
dell’eventuale carrozzina (e ovviamente del veicolo stesso).
Altresì i Decreti legislativi evidenziano le seguenti prescrizioni:
Ø in tutti casi, i posti auto per disabili devono essere opportunamente segnalati, ubicati
nei pressi del mezzo di sollevamento ed in posizione tale da cui sia possibile, in breve
tempo, raggiungere in emergenza un luogo sicuro statico o una via di esodo
accessibile;
Ø le rampe carrabili e/o pedonabili devono essere dotate di corrimano;
Ø la pendenza massima trasversale del parcheggio non deve superare il 5% (in caso
contrario bisogna rispettare ulteriori specifiche prescrizioni qui omesse);
Ø per i parcheggi a raso all’aperto, i posti auto riservati, opportunamente segnalati,
devono essere posizionati in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze
dell’accesso dell’edificio o dell’attrezzatura per cui vengono predisposti;

  99  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

Ø la delimitazione e la segnalazione del posto auto devono avvenire mediante strisce


gialle e contrassegno sulla pavimentazione (apposito simbolo di utente su carrozzina);
Ø è preferibile dotare di copertura i posti riservati per i disabili, così da agevolare la
manovra di trasferimento della persona su sedia a rotelle in condizioni atmosferiche
non favorevoli.

3.5.3 Autorimesse multipiano interrate e fuori terra


L’autorimessa interrata o fuori terra consiste in una serie di piani di parcheggio sovrapposti
l’uno all’altro, orizzontali o inclinati, collegati tra loro mediante rampe di vario tipo (rettilinee
o elicoidali) o mediante automatismi meccanizzati che muovono le autovetture (autosilo).
Prima di affrontare in dettaglio le problematiche progettuali, occorre ricordare che davanti
all’ingresso di qualsiasi immobile ad uso parcheggio (interrato o sopraelevato) è opportuno
indicare, con cartelli segnaletici, l’altezza massima dei veicoli che possono entrare. Se vi è
spazio, si consiglia di far passare i veicoli che vogliono accedere al parcheggio, sotto un
portale antecedente il parcheggio stesso con appesi pannelli oscillanti leggeri simulanti
l’interpiano della costruzione (detraendo i relativi ribassamenti). Così facendo, eventuali
veicoli più alti vengono avvisati del possibile rischio di urto con il soffitto, evitando così
danni ed incidenti
(Fig. 3.12).
All’interno di un
piano di parcheggio,
la disposizione delle
strutture verticali,
pilastri o setti in
Figura 3.12 Accorgimento tecnico posto prima dell’autorimessa, per evitare
cemento armato, danni ai veicoli più alti.

deve essere realizzata in modo da garantire gli spazi minimi delle corsie e degli stalli per
poter realizzare le necessarie manovre (Fig. 3.13).
I parametri che entrano in gioco nell’organizzazione del layout interno dell’autorimessa
sono quindi: l’ampiezza della corsia, la lunghezza e l’inclinazione degli stalli. Partendo dal
presupposto che se si posizionano gli stalli inclinati rispetto alla corsia, è buona norma che
la stessa sia a senso unico di marcia e che se gli stalli sono perpendicolari alla corsia,

100  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

aumenta notevolmente la dimensione minima della corsia, si può riassumere quanto


segue:
• stalli inclinati tra 45° e 60° necessitano di una corsia tra i 3,50 e i 4,20 m;
• stalli inclinati tra 70° e 80° necessitano di una corsia tra i 4,70 e i 5,30 m;
• stalli perpendicolari alla corsia necessitano di una corsia di 7 m se a doppio senso di
marcia e di 6 m se a senso unico.
In tutti i casi si può
considerare che le
misure dello stallo
sono tra i 4,5 e i 5,0 m
di lunghezza e i 2,3 e
2,5 m di larghezza.
Le rampe che
collegano i vari piani di
parcheggio possono
essere semplici,
doppie, rettilinee,
continue, discontinue Figura 3.13 Esempio indicativo di maglia strutturale e percorsi carrabili
interni ad un’autorimessa.
interne o esterne alla
struttura, a senso unico di marcia, a doppio senso. Il D.M. 1° febbraio 1986 fissa alcune
caratteristiche delle rampe, quali la pendenza massima e la larghezza: infatti il limite
massimo di pendenza è fissato nel 20% e la larghezza minima è di 3 m nel caso di senso
unico e di 4,5 m nel caso di doppio senso. Nel caso di autorimesse con capacità tra 15 e
40 posti auto, è consentito l’utilizzo di una rampa di 3 m di larghezza a doppio senso di
marcia, purché tale senso di marcia sia alternato e regolato da impianto semaforico.
Le rampe devono avere un’inclinazione leggermente variabile nei punti di raccordo con le
superfici orizzontali, onde evitare di creare un angolo troppo accentuato che potrebbe
causare contatti con il fondo delle vetture; di norma tali raccordi si realizzano secondo
archi di circonferenza aventi raggio di 30 metri. Se la pendenza della rampa è superiore al
10% (una pendenza fino al 15% è generalmente ammessa) è necessario che nei tratti
terminali, ossia in corrispondenza delle superfici orizzontali, la pendenza sia dimezzata per

  101  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

uno sviluppo orizzontale di circa 4 m.


Le due tipologie principali di rampa, elicoidali (Fig. 3.14) e rettilinee (Fig. 3.15), hanno
caratteristiche diverse e in particolare si
può notare come la tipologia che
permette di utilizzare al meglio le
prescrizioni della normativa è
sicuramente quella rettilinea poiché, a
parità di dislivello, ha un ingombro
decisamente minore potendo utilizzare
una pendenza tra il 15 e il 20%, mentre
quella elicoidale, per rispetto dei limiti
previsti dal sopra citato D.M. 1° febbraio
1986, deve garantire un raggio minimo Figura 3.14 Autorimessa con rampe elicoidali.
di percorrenza di 7 m se a senso unico e
di 8,25 m se a doppio senso; pertanto si
ottiene uno sviluppo tale da ridurre la
pendenza tra il 10 e il 13%.
Un aspetto fondamentale nella scelta del
tipo di autorimessa da realizzare è
determinato dal fatto che si prevedono
delle rampe a senso unico o a doppio
senso di marcia, non solo per un aspetto
di dimensione delle stesse (a senso
Figura 3.15 Autorimessa con rampe rettilinee.
unico occupano più spazio totale perché  
sono quantomeno due, mentre a doppio senso la singola rampa è più grande ma è unica)
ma soprattutto per un concetto di separazione del traffico in cerca del posto auto dal
traffico in ingresso/uscita dal parcheggio.
Le rampe a senso unico permettono di mantenere completamente autonomi i percorsi di
salita e discesa e la circolazione tra i piani rispetto a quella in ricerca del posto auto sul
singolo piano, con conseguente eliminazione del conflitto di circolazione nei pressi di
entrate e uscite dal piano.

102  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Le rampe a doppio senso, invece, possiedono indubbiamente un ingombro minore di


quelle a senso unico ma necessitano, nei pressi di ingressi e uscite, di aree estese e
particolarmente studiate per smistare la viabilità verticale da quella orizzontale.
Tra le rampe elicoidali si possono distinguere: quelle continue (ossia che superano
l’interpiano compiendo una circonferenza completa) e quelle discontinue (ossia che
superano l’interpiano mediante una porzione di circonferenza).
Tra le rampe rettilinee si possono distinguere: quelle continue (ossia che superano un
intero interpiano) e quelle rettilinee che superano piani sfalsati (ossia lo sviluppo della
rampa è pari alla metà di quello della rampa continua poiché il dislivello da superare non è
un interpiano ma mezzo interpiano).
Nelle immagini che seguono sono riportati alcuni esempi di progetti di parcheggi e

Figura 3.16 Sezione longitudinale dell’autorimessa interrata a servizio della Banca Popolare di Milano.

autorimesse (Fig. 3.16, 3.17 e 3.18).


Un’ulteriore soluzione viabilistica alla sosta all’interno di autorimesse è la realizzazione di
autorimesse a piani rampa. In questo caso la rampa stessa, notevolmente allargata,
svolge la funzione di collegamento verticale e di piano di parcheggio. Tale soluzione
comporta una maggiore complessità strutturale (in quanto si deve realizzare un unico
corpo di fabbrica, ma conformato a “vite”), una maggiore complessità architettonica,
maggiore lunghezza del percorso di ricerca del posto, e difficoltà operative dovute al
parcheggio sul piano inclinato della vettura (Fig. 3.19).

  103  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

Un’altra questione progettuale che occorre affrontare è quella relativa alla scelta tra
l’alternativa “interrata” e quella “fuori terra”. Dal punto di vista funzionale entrambi i tipi di
autorimessa
garantiscono un elevato
numero di posti auto
rispetto al parcheggio a
raso, poiché in questi
casi si possono utilizzare
più piani e quindi, a parità
di area planimetrica a
disposizione, si perde
dello spazio per le rampe
ma si realizza in verticale Figura 3.17 Progetto di autorimessa interrata a servizio della Banca
Popolare di Milano. Sezione trasversale dei 6 livelli interrati collegati da
un numero decisamente rampe interne a doppio senso.

maggiore di posti auto.


Dal punto di vista
ambientale e
architettonico, poi, il
parcheggio interrato
comporta un tipo di
impatto ambientale
decisamente limitato alle
aree d’ingresso e d’uscita
delle autovetture dallo
stesso, mentre il
parcheggio multipiano
Figura 3.18 Progetto di autorimessa interrata a servizio della Bayer Italia
fuori terra va studiato con di Milano. L’autorimessa, caratterizzata da 5 livelli interrati, è inserita tra
due stabili esistenti.
più attenzione poiché
risulta un vero e proprio nuovo edificio visibile a tutti cittadini che va integrato con il resto
degli edifici presenti.

104  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Le autorimesse interrate sono


fondamentali nel caso di carenza di aree
libere in superficie e per motivi di impatto
ambientale; permettono spesso di
ottimizzare la sistemazione superficiale di
vie o piazze al di sotto delle quali viene
realizzata l’autorimessa e nel caso di
parchi o zone di pregio ambientale si
possono realizzare costruzioni interrate
che lasciano praticamente inalterate le
condizioni superficiali (sistema dello scavo
cieco con il quale solitamente vengono
realizzate le grandi infrastrutture nel
sottosuolo di città come per le
metropolitane). Si può quindi definire la
costruzione di un’autorimessa interrata
Figura 3.19 Esempio di autorimessa “a piani
come un momento che non altera la realtà rampa”.
in superficie del luogo ove viene inserita o
comunque un momento di riorganizzazione e ripristino di piazze o strade della città.
La realizzazione di un’autorimessa fuori terra è generalmente in contrasto con il tessuto
urbano perché comunque presenta delle infrastrutture che interrompono il tessuto
cittadino. Spesso si bada soltanto alla funzione principale di tali edifici che è senza dubbio
quella di accogliere le auto senza preoccuparsi dell’ambientazione, che è invece di
fondamentale importanza per non deturpare la città. Per evitare quindi il contrasto di tali
edifici con i palazzi delle città è opportuno mimetizzarli, rivedendo così il vecchio concetto
di contenitore per auto con struttura di acciaio e cemento armato prefabbricato che ha
caratterizzato moltissime costruzioni di questo tipo. È auspicabile che le facciate di tali
edifici vengano studiate come quelle di un qualsiasi altro edificio con funzioni commerciali
e adottare tutte le precauzioni relative alla scelta dei materiali di facciata, nonché ai
possibili giochi tra parti opache (chiuse) e trasparenti (aperte). Non ultimo elemento che
deve intervenire nella realizzazione dell’autorimessa nel contesto urbano, è quello

  105  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

dell’arredo verde che, come già visto per i parcheggi a raso, permette di nascondere,
integrare e valorizzare l’edificio nel suo armonizzarsi con il tessuto urbano.

3.5.4 Parcheggi meccanizzati automatici (autosilo)


Il parcheggio meccanizzato automatico consiste in un contenitore/magazzino di automobili
ad uno o a più piani (fuori terra o interrati), provvisto di un sistema di movimentazione e
stoccaggio di autovetture totalmente meccanizzato e computerizzato (Fig. 3.20); l’unica
operazione che si richiede all’utente è quella di depositare la vettura in appositi locali. Il
sistema provvede
al parcheggio e
alla custodia del
veicolo fino alla
richiesta di
prelievo, quando
esso viene cioè
riportato
nell’apposito
locale e
riconsegnato
all’utente che ne
effettua il ritiro.
Il deposito
dell’automobile
avviene nel Figura 3.20 Esempio di autosilo meccanizzato, automatizzato a stalli
contrapposti.
seguente modo:
• gli utenti occasionali si arrestano davanti alla barriera dell’ingresso generale e
prelevano la tessera dall’emettitore;
• gli utenti abbonati o proprietari di un posto auto introducono la loro tessera personale
nel lettore, che provvede al riconoscimento;
• l’utente entra nella postazione disponibile, posiziona l’auto su una piattaforma e
l’arresta contro il battente;

106  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

• la barriera si chiude e l’utente, per uscire, deve inserire la sua tessera nel lettore;
• la barriera si apre nuovamente permettendo l’uscita e, non appena i sensori indicano
che non ci sono persone presenti nella postazione, inizia il ciclo di trasporto della
vettura fino al parcheggio finale.
Il ciclo di ritorno è simile a quello dell’andata:
• l’utente abbonato si presenta direttamente alla postazione di uscita e, dopo aver
inserito la propria tessera magnetica nel lettore, ritira la vettura depositata
automaticamente in posizione di partenza;
• l’utente occasionale si reca prima al pagamento della sosta e successivamente al ritiro
della propria vettura.
Gli autosilo, rispetto alle soluzioni tradizionali, presentano le seguenti peculiarità:
Ø un maggior sfruttamento di superfici e di volumi, con conseguente aumento del
numero di posti auto realizzabili;
Ø a parità di posti auto realizzabili, si richiedono scavi di volumi minori (interessando
minori superfici e/o minori profondità); ciò comporta minori costi di scavo e minori
disturbi alla circolazione locale e alla vita di quartiere durante il periodo dei lavori.
In questo tipo di parcheggi, infatti, il volume occupato per posto auto varia da 25 m3
(tipologia a file serrate) ai 40 m3 (impianti di maggiori dimensioni); in un edificio
tradizionale a rampe, la superficie in pianta destinata al posto auto (essendoci le rampe,
gli spazi di manovra e di scorrimento) è di circa 30 m3, che, con altezze di piano di 2,40 m,
corrispondono ad un volume di 70 m3.
Il risparmio di cubatura è dovuto alla riduzione di area riservata al singolo posto (in quanto
non servono gli spazi per aprire le portiere), alla riduzione delle altezze libere sotto-
struttura rispondenti ai minimi concessi dalla normativa (nei parcheggi meccanizzati, non
essendoci la presenza delle persone, l’altezza tra pavimento e soffitto consentita è di 1,80
m), all’eliminazione dei volumi delle rampe e degli spazi di manovra pertinenti ai veicoli
che si muovono all’interno del parcheggio.
Queste riduzioni di spazi permettono quindi, a parità di volume, di incrementare del
40¬50% il numero di autovetture rispetto al parcheggio tradizionale. Ulteriori vantaggi
derivanti da questi tipi di costruzione sono:
• riduzione dei complessi e costosi impianti di servizio dei parcheggi tradizionali,

  107  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

rendendo spesso più accettabili esteticamente le sistemazioni di superficie (grigliati


per l’aerazione, camini, etc.);
• completa automazione anche nella gestione, senza necessità di presenza di
personale;
• costi complessivi di realizzazione e gestione inferiori rispetto a tutti gli altri tipi di
parcheggio, eccetto quelli a raso;
• sicurezza per l’utente, per il quale trovarsi di notte in locali deserti, seppur protetti e
sorvegliati, costituisce un potenziale pericolo;
• sicurezza per la vettura, che normalmente non è tutelata rispetto alle possibili manovre
maldestre degli altri guidatori ed è anche esposta all’azione di eventuali malfattori;
• assenza di inquinamento nei locali di parcheggio dovuta alla movimentazione a
motore spento;
• modularità e ampia gamma di soluzioni con capacità di rispondere alle esigenze e alle
situazioni più diverse con il sistema economicamente più valido. Consentono, talvolta,
di rendere l’area dell’intervento già predisposta per la costruzione di un secondo
modulo (gemello del primo, in via di realizzazione), in tempi successivi, per nuove
future esigenze.
A fronte degli indubbi vantaggi sopra elencati, bisogna evidenziare altre caratteristiche che
condizionano l’impiego di tali tipi di parcheggio:
Ø presenza di meccanismi complessi, la cui funzionalità è legata ad una centrale di tipo
elettronico; se sorgono problemi (ad es. interruzione della corrente elettrica), diventa
impossibile accedere al veicolo con conseguenti ritardi;
Ø durata dei cicli medi di presa e di riconsegna delle vettura che, sebbene teoricamente
sono limitati e confrontabili con quelli necessari per usufruire di un parcheggio interrato
(dall’ingresso fino alla risalita in superficie tramite rampa), sono condizionati non solo
dal tempo dei vari meccanismi elettromeccanici ed elettronici, ma anche dalla
manualità del conducente di ciascuna vettura (il tempo perduto per la lentezza di un
utente si ripercuote inevitabilmente su tutti i cicli successivi). Il tempo di restituzione
dell’autovettura, inoltre, dipende sensibilmente dal numero di auto che si prevede
verranno movimentate nell’unità di tempo presa in considerazione (è logico pensare
che nelle ore di punta, quali mattina e sera, i tempi di attesa crescano sensibilmente).

108  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

In relazione al tipo di impianto utilizzato per la movimentazione, i parcheggi automatizzati


si dividono in due famiglie principali:
• parcheggi automatizzati a stallo mobile;
• parcheggi automatizzati a stallo fisso.
Nei parcheggi del primo tipo, il veicolo trasla grazie ad una trasmissione a catena o ad un
nastro trasportatore; in pratica, il veicolo staziona sullo stesso dispositivo di
movimentazione liberando la postazione d’entrata fino ad esaurimento dei posti disponibili.
Tutti i veicoli presenti sugli stalli subiscono uno spostamento.
Nelle soluzioni a stallo fisso, il veicolo viene prelevato da una piattaforma che lo
trasferisce sulla torre mobile; quest’ultima trasporta l’auto in senso verticale ed orizzontale,
fino a raggiungere la postazione di stallo più vicina. L’autovettura viene depositata e
lasciata in quella posizione fino al prelievo.
In generale, la soluzione a stallo mobile è più lenta di quella a stallo fisso ed è quindi
utilizzabile per capacità di parcheggio alquanto limitate.
La movimentazione verticale-orizzontale può avvenire mediante due diversi dispositivi:
1) la torre trasloelevatrice, che combina i due movimenti contemporaneamente e
raggiunge direttamente la postazione desiderata (impianto a torre traslante). Questa
soluzione è quella più idonea nei casi in cui sia permessa la massima estensione in
altezza o in profondità, che per normativa è rappresentata da 7 piani fuori terra e 6
sottoterra. In normali condizioni, ogni torre può servire, attraverso due postazioni di
entrata e di uscita, da 80 a 120 auto distribuite su 7 livelli;
2) l’elevatore per il movimento verticale ed il traslatore per il movimento orizzontale
(impianto a sviluppo orizzontale). Questo tipo di impianto risulta vantaggioso quando
l’area a disposizione è sufficientemente estesa e, contemporaneamente, non si può
realizzare uno sviluppo eccessivo in altezza.
Quest’ultimo impianto ha notevoli valenze in più rispetto a quello costituito da un’unica
torre, poiché consente di potenziare il sistema in termini di velocità e soprattutto di
ampliarlo con continuità graduale, a seconda delle richieste espresse, agendo sul numero
e sulla posizione degli elevatori e/o traslatori separatamente; variando la quantità degli
elementi base, è possibile realizzare parcheggi da 200 posti auto fino a 3000 posti auto.
Gli impianti automatici devono essere dimensionati in modo da garantire un tempo

  109  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

massimo di attesa per l’utente, non superiore agli 8-10 minuti.


In funzione della capacità di parcheggio, possiamo distinguere 2 categorie di parcheggi:
• medio-piccoli, con moduli di capacità compresa tra 5 e 20 posti auto (basati sul
meccanismo a stallo fisso o a stallo mobile, vengono generalmente realizzati in cortili,
scantinati e giardini del centro storico, dove lo spazio è generalmente carente e
costoso e dove spesso sussistono vincoli ambientali, archeologici e di accesso al
parcheggio);
• medio-grandi, con moduli di capacità superiore a 40 ÷ 50 posti auto (basati su sistemi
a stallo fisso).
Tra i parcheggi medio-piccoli annoveriamo:
a) sistema
orizzontale a file
serrate (Fig.
3.21): consente
di ottenere dei
rapporti
m3/posto auto
ridottissimi
Figura 3.21 Esempio di parcheggio automatizzato a file serrate.
anche per
piccole installazioni. È costituito da due file di piattaforme, sotto le quali è collocato un
impianto di rulli ancorati al suolo che le movimentano secondo un tracciato
rettangolare. I moduli accolgono normalmente da 5 a 17 automobili. Il modulo si può
ripetere affiancandone altri oppure sovrapponendoli su più piani (in questo caso è
necessario un elevatore per far passare la vettura dai diversi piani);
b) sistema orizzontale a carosello (Fig. 3.22): è dotato di un movimento circolare
continuo che rende semplice e veloce sia il rilascio che il ritiro dell’autovettura nell’area
di parcheggio. Le piattaforme sono agganciate ad un convogliatore a rotaie che,
azionate da un motore elettrico, le trascina in un movimento continuo e non più
alternato come nel sistema a file serrate. Questo sistema è strutturato ad anello e i
moduli posso accogliere da 5 a 40 posti auto;

110  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

c) sistema a file sovrapposte: è costituito dalla sovrapposizione di due o più file di


piattaforme, sotto ognuna delle quali è posizionato un impianto di movimentazione
orizzontale, e dalla
presenza di
elevatori alle
estremità delle file.
Attraverso una
serie di
spostamenti
alternati
(orizzontali e
verticali) delle
piattaforme, la
vettura richiesta
viene portata nella
posizione di uscita
corrispondente ad
uno dei due
Figura 3.22 Esempio di parcheggio automatizzato a carosello.
elevatori presenti
nell’impianto. Pur consentendo la possibilità di avere anche 4 livelli, è un sistema che
necessita di un tempo superiore a quelli visti precedentemente e quindi non è indicato
per parcheggi con più di 2 livelli (circa 24 auto);
d) sistema verticale a due stalli contrapposti: è caratterizzato da una serie di piattaforme
sovrapposte verticalmente l’una all’altra e sistemate, lateralmente ad un elevatore, in
appositi stalli. La vettura viene depositata (o prelevata) sull’elevatore; quest’ultimo,
portandosi ai vari livelli di profondità, colloca o preleva le vetture al/dal loro stallo di
parcheggio. La capacità di parcheggio è di 2 posti auto per piano e pertanto il numero
complessivo di posti auto (generalmente fino a 18) è limitato dal numero di piani
interrati e/o in elevazione che si possono realizzare.
I più diffusi parcheggi medio-grandi possono essere raggruppati nelle seguenti quattro
categorie:

  111  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

a) sistema verticale a stalli multipli contrapposti: è la soluzione intermedia tra il sistema a


due stalli contrapposti ed il sistema a trasloelevatore per realizzazioni da 40 ad 80
posti per modulo. Questo tipo di sistema si presta per quelle situazioni in cui lo
sviluppo longitudinale del parcheggio è limitato e quindi il numero di posti auto per
livello non risulti superiore a 8/10; la soluzione può svilupparsi notevolmente in
verticale permettendo una realizzazione parte interrata, e parte in elevazione fuori
terra. La movimentazione dell’impianto è affidata ad una tavola elevatrice, sulla quale
trasla il dispositivo di movimentazione delle vetture;
b) sistema verticale a trasloelevatore: è in grado di accogliere da 40 ad alcune centinaia
di automobili, in relazione allo specifico tipo di utenza. La soluzione è particolarmente
valida per uno sviluppo di
almeno 3 piani con un
modulo ottimale di 70-80
posti auto per ogni
trasloelevatore; si possono
affiancare più
trasloelevatori e quindi
aumentare notevolmente
la flessibilità del
parcheggio (con minore
disagio, ad esempio, in
fase di manutenzione). La
macchina esegue
contemporaneamente il
movimento verticale e
quello orizzontale,
muovendosi su binari posti Figura 3.23 Esempio di parcheggio automatizzato a elevatore fisso
e carrelli traslatori.
nel vano centrale che
divide a metà il
parcheggio, realizzando quindi uno spostamento diagonale che è il più breve per
raggiungere il posto auto;

112  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

c) sistema verticale a elevatore fisso e carrelli traslatori (Fig. 3.23): è in grado di


accogliere da 50 a parecchie centinaia di automobili, in relazione allo specifico tipo di
utenza. La movimentazione avviene tramite spostamenti combinati e indipendenti (a
differenza del sistema a trasloelevatore): gli spostamenti verticali vengono effettuati da
uno o più elevatori, mentre i movimenti lungo la corsia centrale sono svolti da carrelli
traslatori, presenti su ogni piano, a cui è affidata anche la movimentazione orizzontale
delle piattaforme o, direttamente, delle automobili;
d) sistema verticale a elevatore rotante (Fig. 3.24): la movimentazione delle vetture viene
effettuata dall’elevatore che, oltre ad essere dotato del controllo degli spostamenti
verticali, consente la rotazione, fino a 360°, dell’auto e il successivo movimento radiale

Figura 3.24 Esempio di parcheggio automatizzato verticale a elevatore rotante.

  113  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

per il deposito/prelievo nello stallo di parcheggio. Richiede un diametro minimo di circa


20 metri per poter collocare 12 vetture a piano. Il modulo ottimale si sviluppa su 5 o 6
piani e la modularità si può ottenere ripetendo questi blocchi, ossia realizzando più
parcheggi.

3.6 IMPIANTI TECNOLOGICI NELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO


All’interno dei parcheggi, gli impianti tecnologici svolgono un ruolo primario in quanto
garantiscono il buon funzionamento del sistema e, nel contempo, forniscono il giusto
grado di sicurezza e di affidabilità. Gli elementi tecnici impiantistici che interagiscono con il
progetto edile e di cui il progettista deve tenere conto in fase di studio sono i seguenti:
• sistema di ventilazione naturale;
• impianto di ventilazione meccanica;
• impianto di evacuazione dei liquidi con vasche di decantazione e di separazione
fanghi, oli e benzina;
• impianto elettrico;
• impianto idrico e di scarico bagni;
• impianto di illuminazione con luci di emergenza;
• impianto antincendio (sprinkler a tutti i piani);
• impianto di riscaldamento (opzionale);
• impianti televisivi per il controllo delle postazioni di ingresso e di uscita e degli spazi ai
diversi piani;
• gruppo elettrogeno per l’alimentazione in emergenza delle meccanizzazioni (per
parcheggi automatizzati);
• impianto di rilevazione dei gas (opzionale);
• impianto di movimentazione auto, completo di sistema di comando, di controllo e di
gestione (per parcheggi automatizzati).
Al di là dei singoli aspetti legati ai problemi specifici di ogni singolo impianto, è importante
ricordare che il sistema-impianti, nel suo insieme, deve essere realizzato nel rispetto dei
criteri di sicurezza che garantiscono la tutela dell’utente. A tal scopo, occorre far
riferimento alla legge n° 46 del 5 marzo 1990, dal titolo “Norme per la sicurezza degli
impianti”, che rappresenta il principale riferimento normativo con cui vengono affrontate la

114  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

progettazione e la realizzazione degli impianti.


A tal proposito occorre osservare che, qualsiasi impianto o condotto impiantistico che
attraversa la parete REI di suddivisione tra due comparti, deve essere dotato di serrande
tagliafuoco e/o essere sigillato all’esterno con prodotto termoespansivo, al fine di
assicurare la continuità di prestazioni REI in caso di incendio (non sono autorizzate
sigillature con semplici malte di rinzaffo).

3.6.1 Sistema di ventilazione naturale e impianto di ventilazione meccanica


L’eliminazione dei gas prodotti dai veicoli in movimento e i ricambi dell’aria
nell’autorimessa avvengono con l’integrazione di due sistemi tecnologici: la ventilazione
naturale (creata con appositi elementi privi di organi di movimento), e la ventilazione
forzata (realizzata mediante canali d’aria).
Per quanto riguarda la ventilazione naturale, i problemi più grossi sussistono per i
parcheggi interrati, dove gli effetti dovuti ai moti d’aria del vento sono praticamente
inesistenti. In questi casi occorre, pertanto, sfruttare altri fenomeni naturali che richiedono
poco spazio per essere attuati e manutenzione praticamente nulla.
Il principio fisico fondamentale sfruttato per la diffusione dei fumi e quindi dell’aria calda,
all’interno dei parcheggi interrati, è il cosiddetto effetto camino, legato alla differenza di
temperatura tra due ambienti posti a quote differenti. Occorre realizzare, in pratica, un
condotto verticale (camino) che metta in comunicazione l’ambiente del parcheggio con
quello esterno. All’interno di tale condotto, l’aria deve trovare un “percorso preferenziale”
tramite cui “migrare” all’esterno.
Tale soluzione progettuale è adeguata nel caso di un unico ambiente da ventilare. Se,
come spesso accade, la ventilazione interessa più piani dell’edificio interrato occorre
provvedere alla realizzazione di interventi atti ad eliminare il rischio che l’aria viziata dei
piani inferiori rientri all’interno dei rami superiori, annullando e anzi peggiorando la
ventilazione di questi ultimi. Una tecnica che permette di utilizzare un’unica intercapedine
e nel contempo ventilare più piani interrati è il cosiddetto camino tipo “shunt” (Fig. 3.25).
Con questa soluzione, da ogni piano, in corrispondenza delle aperture, sporge un setto
che indirizza la ventilazione verso la parte alta per un paio di metri. L’aria di ogni piano che
viene espulsa in maniera naturale, si immette nell’intercapedine principale con una certa

  115  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

velocità. L’aria che sale verso i piani


superiori difficilmente rientra in questi
ultimi, perché dovrebbe praticamente
invertire il senso di marcia, e sarebbe
comunque ostacolata in questa manovra
dallo “shunt” del piano successivo.
Si osservi che, per il tipo di conformazione
del sistema shunt, la larghezza
dell’intercapedine deve essere doppia di
quella minima prevista per le aperture ai
diversi piani, in quanto occorre sia un
canale di imbocco che un percorso
Figura 3.25 Schema di funzionamento di un canale
comune di uscita. In superficie, diverse “shunt” per la ventilazione naturale del parcheggio.
soluzioni architettoniche alternative alla
tradizionale grata possono far
defluire il flusso d’aria senza
consentire all’acqua piovana di
entrare nel parcheggio (Fig. 3.26 e
Fig. 3.27).
La ventilazione meccanica
rappresenta una integrazione del
sistema obbligatorio di ventilazione
naturale. Essa è generalmente
costituita dalle seguenti parti (Fig.
3.28):
Ø Una presa d’aria esterna:
l’aria viene aspirata da una zona
esterna del parcheggio, alta e
lontana da eventuali altre fonti di
Figura 3.26 Alternative di progettazione per le grate di
aerazione del parcheggio sottostante. inquinamento; prima di essere
immessa nel condotto di

116  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

distribuzione
dell’edificio, deve
essere filtrata,
ossia pulita da
eventuali polveri
e sostanze
inquinanti.
Ø Una centrale di
controllo e
comando: si
tratta dell’organo Figura 3.27 Sistema di aerazione che impedisce l’ingresso di acqua piovana
nei locali di parcheggio.

principale del
circuito, mediante
il quale, tramite
ventilatori
appositamente
predisposti, si
conferisce
energia di
movimento e
quindi velocità
all’aria presente
Figura 3.28 Schema delle diverse parti componenti un sistema di ventilazione
all’interno dei forzata dell’autorimessa.
condotti.
Ø Condotti principali e secondari di mandata; possono essere sia orizzontali che
verticali. Realizzati generalmente in lamiera zincata, hanno una dimensione
dipendente dalla quantità di aria che essi devono trasportare e, a parità d’aria, dalla
velocità del fluido al loro interno. Per i parcheggi, la sezione di tali condotti è
generalmente rettangolare, perché le pressioni non sono elevate. La velocità dell’aria
al loro interno varia usualmente da 3 a 12 m/s, a seconda delle dimensioni del
condotto. Le canalizzazioni vengono fissate direttamente alla parte inferiore dei solai

  117  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

tramite dei collari in acciaio, posti ad interasse di diversi metri e poi fissati al supporto
superiore per mezzo di tasselli. Se l’impianto non ha funzione di riscaldamento
(situazione frequente per i parcheggi) non occorre prevedere l’utilizzo di isolanti
termici.
Ø Le bocchette di mandata: servono a distribuire l’aria in un intorno più ampio possibile;
possono essere collocate a soffitto o a parete e sono generalmente di forma quadrata
o rettangolare.
Ø Il circuito di estrazione dell’aria (non sempre presente, ma obbligatorio per
autorimesse con più di 500 autoveicoli); di caratteristiche analoghe a quello di
mandata; deve possedere le bocchette d’aspirazione poste in posizione
diametralmente opposta rispetto a quelle di immissione dell’aria, così da evitare che
l’aria pulita venga aspirata senza integrare prima l’aria del piano.
Ø La griglia di espulsione: tramite dei condotti, l’aria viziata viene espulsa e immessa
nell’ambiente esterno.

3.6.2 Impianto elettrico e impianto di illuminazione


L’impianto elettrico di un’autorimessa deve essere in grado di fornire un servizio elettrico e
nel contempo evitare il passaggio di corrente agli utenti, preservando da ustioni o incendi
dovuti ad archi elettrici o ad elevate temperature, ed evitando danni connessi a distacchi
elettrici. Gli elementi fondamentali che costituiscono l’impianto elettrico del parcheggio
sono essenzialmente cinque:
• la centrale di controllo, costituita da quadri elettrici di comando, da dispositivi di
protezione (salvavita, interruttori differenziali) e dall’allacciamento alla rete esterna;
• l’impianto di messa terra, ovvero il sistema di protezione dai contatti accidentali;
• i condotti di trasporto della corrente elettrica verso i diversi impianti utilizzatori e gli
apparecchi illuminanti;
• gli apparecchi di illuminazione;
• l’impianto di illuminazione di emergenza (autonomo da quello principale).
I quadri elettrici devono essere posizionati in luoghi al sicuro da eventuali manipolazioni e
non devono essere sguarniti da protezione e messa a terra.
All’interno del sistema di controllo devono trovare posizione gli interruttori differenziali, che

118  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

non sono altro che i dispositivi magnetotermici in grado di proteggere l’impianto da


eventuali sovraccorrenti e cortocircuiti.
L’illuminazione dei locali adibiti ad autorimessa non deve essere inferiore a 20 lux, valore
che le normative fanno coincidere con la minima illuminazione consentita per passaggi,
corridoi e scale. Nei pressi degli eventuali luoghi ove lavorano gli addetti al parcheggio,
questa illuminazione deve essere evidentemente maggiorata con apparecchi illuminanti di
resa superiore.
Un ultimo aspetto importante riguarda l’impianto di illuminazione d’emergenza, ovvero il
sistema che garantisce un minimo di illuminazione anche quando l’impianto principale, per
arresti o malfunzionamenti, non è più attivo.
Le normative impongono che le autorimesse di capacità superiore a 300 veicoli e tutti gli
autosili (parcheggi automatizzati) debbano essere dotati di impianti di illuminazione di
sicurezza alimentati da sorgenti di energia indipendente da quella della rete di
illuminazione normale.
L’intensità di illuminazione deve essere sufficiente per consentire lo sfollamento delle
persone e comunque non può essere inferiore a 5 lux. L’alimentazione elettrica di questo
impianto può avvenire tramite batterie tampone.

3.6.3 Impianto di evacuazione dei liquidi


Le autorimesse interrate, pur essendo costruzioni sotterranee chiuse ed
impermeabilizzate, devono essere dotate di un sistema di raccolta dell’acqua e, di
conseguenza, di un collegamento alla rete fognaria.
L’acqua può infatti penetrare nel parcheggio assieme ai veicoli (soprattutto in caso di
nevicate), oppure dalle grate per la ventilazione naturale.
Nelle autorimesse di una certa dimensione e negli autosilo è, inoltre, obbligatorio il
sistema antincendio di spegnimento automatico che nella maggior parte dei casi funziona
ad acqua.
È evidente che l’acqua non può essere lasciata sugli impalcati dei solai o “dimenticata” al
piano più interrato.
Nel caso degli autoparcheggi interrati, poi, in presenza di falda, un’eventuale infiltrazione
dalle pareti è ulteriore motivo che porta alla obbligatorietà di questo impianto.

  119  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

Anche per i parcheggi a raso (quindi di superficie) è importante prevedere un sistema di


raccolta dell’acqua piovana: in questo caso è bene realizzare un sistema di pendenze
della sede di sosta e una
serie di vasche di
raccolta così come
illustrato di seguito.
Il sistema di evacuazione
dei liquidi (Fig. 3.29), è
composto dai seguenti
quattro sottosistemi:
Ø Tubazioni di raccolta
e di convogliamento:
ad ogni piano, i
liquidi devono essere
convogliati in
particolari punti Figura 3.29 Schema di un impianto di evacuazione dei liquidi.

tramite leggere
pendenze e da qui incanalati verso le vasche di raccolta.
Ø Vasche di raccolta e di sedimentazione: l’espulsione dell’acqua dal parcheggio, per
ovvi motivi, non avviene in continuo, ma saltuariamente; l’acqua raccolta viene
accumulata all’interno di apposite vasche fino a che il livello del liquido non supera il
valore prestabilito. Per rallentare la corrente del liquido affluente è possibile installare,
davanti all’ingresso della vasca, un setto movibile (paratoia di calma).
Ø Separatori di liquidi leggeri, olio e grasso: nella progettazione delle autorimesse (ma
anche dei parcheggi a raso e degli autosilo) occorre prevedere, a monte del collettore
fognario, una serie di dispositivi che eliminino la possibilità di inquinamento degli
scarichi, evitando che oli o grassi finiscano in fognatura. Questi dispositivi, messi in
sequenza subito dopo la vasca di raccolta, sono a loro volta delle vasche con più setti
che, a mezzo di filtri, permettono la separazione dell’olio costituente il primo strato
galleggiante che trabocca dalla vasca di accumulo. Periodicamente lo strato di olio e
di grasso deve essere rimosso.

120  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø Pompe di sollevamento: vista l’elevata profondità a cui può giungere un parcheggio


(20 metri sottoterra) capita spesso che i condotti di fognatura siano a quota maggiore
rispetto a quella della vasca di raccolta. È quindi evidente che non è possibile far
evacuare i liquidi utilizzando la sola forza di gravità, ma è necessario fornire un
adeguato carico idraulico per superare detto dislivello. I liquidi raccolti dal bacino di
accumulo vengono così periodicamente pompati verso il sistema fognario; il comando
è generalmente automatico ed ottenuto tramite un dispositivo a galleggiante
opportunamente tarato: quando l’acqua supera un certo livello, si inserisce la pompa
che rimane attiva fintanto che quest’ultimo livello non scende al disotto di una soglia
prestabilita.

3.6.4 Impianto fisso di spegnimento automatico degli incendi


All’interno degli autosilo aventi capacità di parcheggio superiore a 9 veicoli, nelle
autorimesse aventi più di 2 piani interrati e/o più di 4 piani fuori terra (se chiuse) e/o più di
5 piani fuori terra (se aperte), come espresso dalla norma di sicurezza per la costruzione e
l’esercizio delle autorimesse e simili (D.M. 1° febbraio 1986), è d’obbligo “l’installazione di
un impianto fisso di spegnimento automatico del tipo a pioggia (sprinkler) con
alimentazione ad acqua oppure del tipo ad erogatore aperto per l’erogazione di
acqua/schiuma”.
Questo impianto deve entrare in funzione non appena il focolaio tende a svilupparsi:
quando ciò accade, scatta una suoneria che avvisa gli utenti del possibile pericolo.
In generale, negli impianti d’estinzione a pioggia si possono identificare i seguenti
componenti (Fig. 3.30):
• una fonte d’acqua (acquedotto, serbatoio a gravità, pompa automatica aspirante da
vasca o altra riserva, serbatoio a pressione);
• una tubazione di presa dell’acqua (dalla fonte ad una valvola di controllo/allarme);

  121  
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
 

• una rete di distribuzione che


connette la valvola principale
con gli utilizzatori;
• un sistema di ugelli spruzzatori
(le testine sprinkler).
Si ricorda altresì che il medesimo
Decreto del 1986, per gli aspetti di
prevenzione incendi, impone
l’ulteriore presenza di estintori ed
idranti collegati ad apposite
tubazioni indipendenti da quelle
Figura 3.30. Schema di funzionamento di un generico
dei servizi sanitari. impianto sprinkler.

3.6.5 Impianto di movimentazione auto (per parcheggi automatizzati)


In generale le tipologie meccaniche di movimentazione si collocano all’interno di due
grandi famiglie:
Ø i parcheggi con stallo mobile;
Ø i parcheggi con stallo fisso.
Nel primo caso, l’impianto è costituito da piattaforme traslanti posizionate su guide fissate
alla soletta in c.a. Ogni guida è dotata di cilindri girevoli che permettono lo scorrimento
dello stallo riducendo gli attriti e quindi i consumi energetici. Ogni qualvolta il veicolo
parcheggiato viene chiamato dal proprietario, le piattaforme traslano tutte in circolo chiuso,
fino a quando il veicolo richiesto si trova in corrispondenza dell’elevatore. Nel secondo
caso (sistema a stallo fisso), si impiega prevalentemente la torre trasloelevatrice, formata
da un sistema reticolare di puntoni e tiranti in acciaio, traslante su rotaie (Fig. 3.31). Gli
organi meccanici di controllo ed il sistema di carrucole possono essere posti sulla sommità
(lo spazio occupato è di circa 50 cm di altezza) o nella parte bassa della torre (soluzione
più costosa).
Il movimento verticale della piattaforma “traslavetture” dell’elevatore è realizzato tramite
funi di acciaio e con l’utilizzo di contrappesi che determinano uno o più spazi tecnici da
realizzare all’interno delle pareti laterali o tramite asole all’interno dei solai.

122  
 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Il dispositivo di carico e scarico delle


vetture dagli stalli è realizzato con un
carrello motorizzato posto sulla
piattaforma della torre. Quando il
traslatore ha posizionato la piattaforma
davanti allo stallo, il carrello si pone sotto
la vettura, e, con un adeguato sistema
meccanico, solleva l’autoveicolo e lo
sposta sulla parte centrale del
parcheggio.
I parcheggi automatizzati, che
generalmente sono realizzati in spazi
stretti, cortili o luoghi laddove la
presenza di un parcheggio non deve
essere architettonicamente invadente,
possono essere dotati di un tetto a
scomparsa. Questo sistema permette,
da un punto di vista visivo, la quasi totale
Figura 3.31 Schema di una torre trasloelevatrice per il
“assenza” del parcheggio, in quanto funzionamento di un parcheggio automatizzato.

all’esterno rimane solo una barriera di


ingresso e, attorno allo stallo d’ingresso, una siepe di contorno o un muretto con vetrate
senza copertura.
In una torretta adiacente a questo ingresso, è predisposto il sistema elettronico di ingresso
a tessera magnetica.
Se arriva un utente che inserisce l’apposita tessera di riconoscimento, il tetto si solleva ed
il proprio veicolo appare sulla piattaforma, pronto per essere prelevato ed utilizzato.

  123  
 

 
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

_______________________________________

CAPITOLO 4

Infrastrutture e sistemi
di trasporto pubblico
_______________________________________

4.1 RUOLO DEL SISTEMA DI TRASPORTO PUBBLICO NELLE AREE URBANE


A partire dagli inizi del 900, ed anche prima, e sino a tutti gli anni ’50, i sistemi di trasporto
pubblico erano concepiti, ad eccezione delle prime reti di ferrovie sotterranee, in modo da
inserirsi nelle infrastrutture viarie esistenti, adattandosi alle condizioni urbanistiche della
città; oggi i criteri sono mutati ed il sistema di trasporto pubblico collettivo è quello che
incide prioritariamente negli assetti viari interni ad una città, producendo trasformazioni
negli schemi di circolazione tradizionali, precludendo il transito a veicoli privati lungo
alcune strade e promuovendo la realizzazione di nuove infrastrutture.
Per procedere all’analisi delle implicazioni prodotte dalla presenza dei sistemi di trasporto
pubblico nelle città, è necessaria una preventiva distinzione tecnica basata sulla
suddivisione in mezzi di trasporto su rotaia (metropolitane, ferrovie suburbane e tram) e su
gomma (filobus ed autobus).
I mezzi su gomma possiedono una maggiore flessibilità d’esercizio, mentre i mezzi guidati
da rotaia rimangono vincolati alla traiettoria imposta dal sistema di guida e, nella marcia
all’interno dei centri urbani, possono soffrire di questa condizione. Infatti, mentre i mezzi su
gomma sono in grado di aggirare le eventuali ostruzioni venutesi a creare anche
improvvisamente nella circolazione, quelli su rotaia devono attendere che la sede stradale
sia sgombra da fenomeni di congestione; inoltre, nel caso dei mezzi di trasporto a guida
vincolata, l’arresto di un singolo veicolo, anche per un tempo significativamente breve,
costituisce, nei fatti, un’interruzione all’operatività dell’intero sistema, rendendo
inutilizzabile la tratta a valle di tale veicolo per tutti quello che lo seguono; ciò non accade

  125  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

per i veicoli su gomma, che possono essere avviati su strade alternative e l’accidentale
guasto di un automezzo produce solo ritardi nell’esercizio. Per questi motivi, quando la
manutenzione preventiva degli impianti non era ancora una procedura diffusa, e anche per
altre ragioni (ad es., il condizionamento derivato dall’illusorio spirito di modernità e di
innovazione), già 50 anni fa, il tram venne considerato un veicolo superato che doveva
lasciare spazio alle automobili e agli autobus. Solo poche città, come Milano, Roma e
Torino, ritennero conveniente mantenere in esercizio alcune linee tranviarie, ritrovandosi
adesso un patrimonio insostituibile, al contrario di altre città che, sbarazzatesi dei mezzi e
degli impianti, sono ora alla ricerca di finanziamenti e progetti per la ricostruzione di nuove
linee, seppur concepite con criteri più innovativi. Le mutate situazioni hanno reso evidente
che la scomparsa delle reti tranviarie ha prodotto un sostanziale degrado del trasporto
collettivo ed uno sviluppo abnorme della motorizzazione privata, con effetti di
inquinamento (sia acustico che atmosferico), congestione e pericolosità nel traffico (con
forte incremento dell’incidentalità stradale). D’altra parte, va considerato che anche per i
mezzi pubblici su gomma, col tempo, è prevalsa l’esigenza di creare traiettorie vincolate
lungo percorsi privilegiati, per favorirne la marcia e avere la precedenza rispetto agli altri
veicoli. Le infrastrutture stradali urbane sono state in tal senso trasformate attraverso la
realizzazione, lungo tratti più o meno estesi, di corsie preferenziali le quali, mediante
segnaletica o separazione fisica, sono concesse all’uso esclusivo dei mezzi pubblici o
condiviso con altri servizi di pubblica utilità. Integrata alle corsie riservate, in molte città, è
stata anche attuata la centralizzazione degli impianti semaforici, in modo da ottenere il
controllo e la gestione dinamica del traffico, privilegiando il trasporto pubblico sulle direttrici
principali, assegnando negli incroci il verde alla direzione di arrivo dei mezzi pubblici. Oggi,
la maggiore funzionalità che viene chiesta al sistema di trasporto pubblico, abbinata ad
una ridotta occupazione di spazio, alla minima spesa di gestione ed al miglior comfort di
viaggio, ad una facile e rapida accessibilità sui mezzi anche per le persone anziane ed
invalide, ha stravolto i principi che governano l’esercizio delle reti di trasporto pubblico,
obbligando i gestori a nuove scelte. Tali nuove scelte, di recente, stanno riguardando
anche i cosiddetti sistemi di trasporto pubblico individuale (car sharing, car pooling, taxi
collettivo, bus a chiamata), che garantiscono notevoli gradi di flessibilità e prevedono
anche la cooperazione con il mezzo privato individuale.

126  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

4.2 QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE E DEI SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO


L’utente, durante il trasferimento con il trasporto pubblico, dall’origine alla destinazione del
suo viaggio, ha un’esperienza mentale che lo mette in grado di percepire il prodotto offerto
e le capacità del sistema di trasporto pubblico, stabilendo nel contempo il suo grado di
soddisfazione. La sua valutazione della qualità del sistema di trasporto nel suo complesso
(infrastrutture e servizio offerto) può, tuttavia, essere fondata su diversi livelli, ognuno con
le proprie caratteristiche: la correlazione tra il livello di soddisfazione dell’utente e la qualità
del sistema è raramente lineare ed alcuni interventi, come per esempio nelle infrastrutture,
sono considerati dovuti e quindi non creano apprezzamento.
Diventa importante la distinzione della qualità in tre livelli crescenti:
Ø qualità di base,
Ø qualità supplementare,
Ø qualità eccezionale.
Va tuttavia ricordato che la qualità è un concetto dinamico, dal momento che il contesto
effettivo in cui l’utente utilizza il prodotto/servizio può cambiare notevolmente: per
esempio, durante le ore di punta gli utenti accettano anche una velocità commerciale
ridotta e l’affollamento sui mezzi, mentre, nelle fasce serali e nelle zone periferiche
tollerano una minor frequenza, e, in caso di incidenti o di cambiamenti, sono disponibili ad
accettare il disagio a patto che ne venga data sollecita informazione. Di contro, in sintonia
con la crescente richiesta di qualità, gli utenti “adottano” con molta rapidità i miglioramenti
e sono tendenzialmente portati a relegare, in breve tempo, la qualità supplementare al
ruolo di qualità di base: per esempio, un autobus con pavimenti ribassati porta a rifiutare i
vecchi mezzi, pretendendo che tutti gli autobus siano della stessa qualità superiore.
La qualità di base è la qualità che l’utente si aspetta dal fornitore del servizio e, se non
viene data, produce insoddisfazione. Quello che di base l’utente si aspetta di ricevere dal
trasporto pubblico è di essere trasportato dalla partenza alla destinazione nel tempo
programmato e, se i tempi non sono rispettati, ogni altro aspetto della qualità perde
importanza; di solito, oltre al rispetto degli orari, le attese degli utenti sono: pulizia, guida
prudente, posizione, accessibilità e condizione delle fermate, informazioni corrette.
La qualità supplementare è caratterizzata da una relazione di tipo lineare tra
l’adempimento e la soddisfazione generata nell’utente. Esempi di qualità supplementare

  127  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

sono rappresentati dalla possibilità per tutti gli utenti di trovare posto nelle ore di punta,
avere a disposizione personale che sia straordinariamente d’aiuto, mezzi sempre nuovi e
confortevoli, numerose corsie di precedenza che rendano il viaggio più veloce, orari,
percorsi, capienza dei mezzi adattabili alle esigenze su basi di flessibilità.
La qualità eccezionale è la qualità che l’utente non si aspetta e, quando viene fornita
dall’azienda, dà origine a molto apprezzamento (la relazione tra adempimento e
soddisfazione, in questo caso, è di tipo esponenziale). Va però osservato che la
soddisfazione di un utente è un fattore individuale ed è legato al contesto in cui si
manifesta. Gli obiettivi della qualità eccezionale sono quelli più direttamente indirizzati ai
mercati futuri e sono orientati verso la cura e la sicurezza dell’utente. Esempi di qualità
eccezionale sono l’informazione in tempo reale, la pianificazione dei tragitti e dei percorsi,
tabelle orarie e sistemi tariffari molto semplificati, informazione individuale e programmi di
servizio che fanno intuire all’utente di essere capito e seguito, sviluppo del prodotto con
servizi estesi anche 24 ore su 24.

4.3 INFRASTRUTTURE E SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO COLLETTIVO


La gestione e l’esercizio dei mezzi di trasporto non costituiscono soltanto un fattore
aziendale, ma si correlano strettamente con la dotazione di infrastrutture che ha una città.
È quindi opportuno, per poter definire le caratteristiche che queste infrastrutture devono
avere e le modifiche che su di esse possono essere apportate, prendere coscienza dei
diversi sistemi di trasporto pubblico e comprenderne le esigenze e le interazioni con le
infrastrutture medesime.

4.3.1 Autobus
Il transito degli autobus adibiti al trasporto pubblico nelle strade urbane, incide sul traffico
tanto quanto influiscono i mezzi pesanti, che elevano il volume del traffico in modo
proporzionale ad un numero di veicoli equivalenti maggiore di uno.
L’esercizio del servizio di trasporto con autobus può avvenire indipendentemente dagli altri
modi di trasporto, non richiede l’installazione di particolari impianti fissi, offre il vantaggio di
poter servire l’utente da marciapiede a marciapiede, ed è particolarmente flessibile ai
cambiamenti, anche temporanei, dell’assetto della rete viaria. Questi vantaggi hanno fatto

128  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

sì che l’uso di tali mezzi si sia diffuso in molte città, anche grazie al limitato costo di
investimento; occorre, per contro, prendere atto di un alto costo di esercizio, conseguente
all’elevato rapporto tra agenti e viaggiatori trasportati ed all’usura dei mezzi. Rispetto ad
altri sistemi, l’autobus dà un basso comfort, soprattutto ai passeggeri in piedi, ed è molto
sensibile al variare delle condizioni di viabilità: da qui le basse velocità commerciali che,
nelle zone centrali, possono raggiungere valori anche inferiori a 10 km/h. Per aumentare
la velocità commerciale degli autobus, impegnati nelle direttrici principali, entro i valori
accettabili di 20-25 km/h, compatibili a garantire un’efficiente capacità di trasporto e la
soddisfazione dell’utenza, nelle strade ad alta intensità di traffico è in uso adottare corsie
preferenziali che ne favoriscono il transito. La presenza, lungo le strade, di corsie riservate
incide negativamente sulla capacità globale degli archi e dei nodi della rete stradale
urbana, sulle disponibilità di svolte a destra e a sinistra e sullo svolgimento delle attività
localizzate nel fronte stradale interessato o immediatamente adiacente, per cui la loro
istituzione va fatta con la dovuta attenzione e senza incidere su altri fattori marginali. Il
costo d’investimento per questo tipo di regolamentazione è modesto perché riconducibile
ad una semplice messa in opera di segnaletica stradale e tutt’al più di cordoli delimitatori
di corsia.
La progettazione delle corsie preferenziali non dovrebbe, in ogni caso, essere mai
condizionabile dalle prime proteste, più o meno strumentali, ma derivare sempre da scelte
ponderate, affrontate sia a livello di sistema, sia nel dettaglio delle componenti fisiche e di
arredo urbano, onde evitare che dall’intervento derivino costi esterni per la popolazione
residente. In molti casi, per contenere i disagi delle attività commerciali e garantire
l’accessibilità dei condomini che si affacciano sulla strada, ma soprattutto per ottenere
migliori condizioni di transito, sono stati previsti sistemi con strade percorse dai veicoli a
senso unico e corsie riservate ai mezzi pubblici percorse in direzione contraria; tale
sistema evita così anche l’abuso della sosta delle auto nelle corsie riservate. Onde
consentire l’agevole salita e discesa dei passeggeri dagli autobus, nella carreggiata
stradale devono essere realizzati spazi, accostati ai marciapiedi, dove i mezzi possano
fermarsi senza intralciare eccessivamente la normale circolazione veicolare: la posizione
delle fermate è un fatto progettuale che deve coniugare le esigenze del servizio con quelle
della viabilità (Fig. 4.1).

  129  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

Per quanto riguarda la distanza


fra le fermate successive, si
deve considerare che
un’eccessiva vicinanza riduce la
velocità commerciale dei veicoli,
mentre un forte distanziamento
costringe gli utenti ad un lungo
percorso a piedi, che si riflette
negativamente sulla
convenienza ad utilizzare il Figura 4.1 Esempio di fermata di un autobus urbano.
servizio. L’ampiezza della fascia  

d’influenza delle fermate nel territorio è funzione della cosiddetta “distanza di rifiuto”, cioè
la lunghezza del tragitto a piedi necessaria a raggiungere la più vicina fermata del servizio
pubblico, che è difficilmente quantizzabile perché condizionata dalle abitudini di vita e
dalle condizioni climatiche, ma può, indicativamente, essere stabilita nei seguenti valori
medi:
• 250 ÷ 400 m, nelle zone urbane ad elevata densità residenziale;
• 400 ÷ 600 m, nelle zone urbane periferiche;
• 600 ÷ 800 m, nelle zone extraurbane.
La dimensione dello spazio delle fermate, necessario per la sosta dei mezzi di trasporto,
dipende da più fattori:
• il numero delle linee che utilizzano la fermata,
• la frequenza dei passaggi,
• la probabilità dei ritardi,
• l’afflusso degli utenti,
• il tempo necessario per la salita sui mezzi.
Il Codice della Strada, all’art. 151, definisce le dimensioni minime d’ingombro delle fermate
per i veicoli in servizio di trasporto pubblico collettivo di linea (Fig. 4.2):

130  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

• larghezza minima
paria a 2,70 m;
• lunghezza pari a
quella del mezzo
più lungo che
effettua la fermata,
aumentata di 2 m;
• estensione di 12 m
della lunghezza
della fermata, sia a
monte che a valle Figura 4.2 Schema progettuale di una zona di fermata dei bus.
 
della stessa, per
favorire la manovra di accostamento e reinserimento nel traffico da parte del veicolo,
con introduzione del divieto di sosta.
Per non aumentare ulteriormente i disagi nella circolazione stradale va evitato che, in
corrispondenza delle fermate, si generino fenomeni di coda dei mezzi che devono
accostarsi al marciapiede: devono quindi essere fissati il minimo distanziamento ed il
relativo massimo numero di veicoli presenti nelle diverse linee di trasporto pubblico che
afferiscono ad una fermata, in modo da non superare mai il “flusso di saturazione” delle
fermate e non allungare i tempi medi di sosta.
Nelle linee urbane, il flusso di saturazione alle fermate è dell’ordine di 100 ÷ 120 veic/h,
ma, se si vuole contenere il fenomeno delle attese entro limiti accettabili e se si considera
la possibilità dei ritardi che producono accumulo di utenti alle fermate, non si dovrebbero
superare le 60 ÷ 80 unità per fermata. Nei nodi di interscambio fra diverse linee, per non
appesantire la zona di fermata e superare il flusso di saturazione, le fermate delle varie
linee dovranno essere distanziate, obbligando gli utenti ad un piccolo trasbordo, ma
migliorando le condizioni del servizio.

4.3.2 Filobus
I filobus sono veicoli con cassa e telaio, derivati dagli autobus; sono dotati di due aste
indipendenti (aste da presa) per la captazione della corrente da una linea bifilare

  131  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

alimentata alla tensione continua di 600 V o, per i sistemi più avanzati, 750 V; possiedono
motori di trazione ad eccitazione in serie o compound, con regolazione di velocità
mediante reostato o indebolimento di campo (Fig. 3).
Per la circolazione nelle strade
urbane dei filobus, vale la quasi
totalità delle prescrizioni riferite
agli autobus, con limitazioni,
però, circa la possibilità di
variarne il percorso. I filobus
sono veicoli a guida libera, ma
richiedono la dotazione di
impianti fissi; questo legame alla
linea di alimentazione permette
Figura 4.3 Filobus.
solo spostamenti di circa 3,5 m  
dall’asse della linea di contatto
ed impone un costo di impianto
maggiore rispetto agli autobus,
che può produrre problemi di
convenienza economica se
applicato nel caso di linee con
bassa capacità di trasporto (Fig.
4.4).
La presenza della linea aerea
talvolta crea problemi di
Figura 4.4 Sezione stradale con linea di filobus posta al centro.
carattere estetico ed
economico, soprattutto quando
viene posta in opera nei centri storici o in zone di alto pregio ambientale; per questo
motivo, oggi, sono impiegati mezzi di trasporto bimodali e ibridi che possono trarre
alimentazione dalla linea aerea e staccarsi da essa per proseguire o con la trazione diesel
di cui possono essere dotati o con alimentazione elettrica da batterie che hanno
accumulato energia durante il tragitto servito dalla linea aerea. La bimodalità per i filobus,

132  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

che sino a qualche tempo fa era ritenuta una soluzione per casi d’emergenza e per
spostamenti non compresi nel servizio di linea (come l’ingresso e l’uscita dalle rimesse),
oggi si sta evolvendo verso un sistema che permette di eliminare la linea aerea dove
produrrebbe un forte impatto, oppure, nel caso di linee lunghe o che in periferia si
diramano verso più direzioni, di limitare la posa dei conduttori aerei di contatto alle sole
sezioni ricadenti nelle zone dove il traffico è più intenso e di esercire, in maniera
autonoma, le sezioni estreme, dove il minor traffico non giustifica la spesa per la
costruzione degli impianti di elettrificazione.
L’elemento più caratteristico degli impianti filoviari è lo scambio aereo che deve consentire
l’inoltro delle aste dei filobus lungo uno fra due possibili percorsi, garantendo il necessario
isolamento fra i conduttori delle opposte polarità che si intersecano nel cuore dello
scambio stesso. Gli scambi aerei
presentano un equipaggiamento
mobile capace di assumere una fra
le due posizioni estreme e svolgere
per le aste una funzione di guida
analoga a quella dei più noti deviatoi
ferroviari (Fig. 4.5).
Negli impianti di tipo tradizionale, la
manovra degli scambi aerei è
comandata dal conducente del
Figura 4.5 Dettaglio delle aste da presa e dello scambio.
filobus, allorché questi debba
inoltrarsi lungo la direzione opposta a quella per la quale lo scambio è predisposto: il
comando si attua con un tempestivo colpo di acceleratore che produce un impulso di
corrente assorbita dalla linea, in grado di eccitare un relè che comanda la posizione
dell’equipaggio mobile. Negli impianti più moderni, il comando degli scambi, ancorché
ottenuto sempre con un impulso di corrente agente su un elettromagnete, è automatico e
può essere programmato in funzione del percorso prestabilito per ciascun filobus: a tal fine
si impiegano sistemi a microonde o ad accoppiamento induttivo con cui i veicoli
trasmettono automaticamente un codice alla cassetta di comando dello scambio.
Le vetture filoviarie moderne hanno superato, con le nuove tecnologie elettroniche, lo

  133  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

svantaggio di avere velocità e accelerazioni più basse rispetto agli autobus, e oggi si
stanno nuovamente diffondendo grazie ad un minor costo di trazione, alla riduzione
dell’inquinamento atmosferico dentro la città e alla minore manutenzione occorrente al
parco veicolare.

4.3.3 Tram
I tram sono veicoli per il trasporto pubblico in ambito urbano, guidati da rotaie annegate
nella pavimentazione in modo tale da consentire il transito sopra di esse anche dei veicoli
gommati (Fig. 4.6); sono alimentati da energia elettrica attraverso captazione di corrente
da cavo aereo, con asta munita di rotella in
bronzo oppure con organi struscianti, archetto o
pantografo, e ritorno della corrente attraverso le
rotaie (Fig. 4.7).
Quando la larghezza della strada è sufficiente,
può essere prevista, per il transito dei tram, una
sede propria separata dalla carreggiata stradale
con cordoli o marciapiedi, che può anche non
essere pavimentata. Se cinquant’anni fa il tram
veniva considerato un mezzo di trasporto Figura 4.6 Tram.
pubblico superato, oggi la situazione sta
cambiando radicalmente, perché è apparso evidente che è il mezzo che garantisce il
miglior comfort ed il minore inquinamento. Molte
città hanno, con scelta a dir poco improvvida,
eliminato totalmente i tram e le relative
infrastrutture, in modo tale da rendere il sistema
irrecuperabile; altre città hanno mantenuto le
linee che, fin dagli anni ’70, sono state
modernizzate e sviluppate, nel giusto
convincimento che il trasporto collettivo urbano
Figura 4.7 Sistema di captazione del tram.
e suburbano non potesse essere basato solo
sulle due soluzioni estreme: autobus e metropolitana. È stato dimostrato che le ferrovie

134  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

metropolitane, abbinate solo ad una rete di autobus, non sono in grado di rispondere
concretamente ed in modo efficace alle esigenze di molte situazioni, non solo nelle città
medie o relativamente piccole, ma anche nelle grandi, dove la presenza di questi due soli
tipi di reti, anche quando efficienti, non basta a soddisfare tutte le esigenze di mobilità e
quindi ad offrire sufficienti alternative al mezzo privato. Lo stimolo determinante per il
rilancio del trasporto tranviario su così vasta scala, che con il passare degli anni è sempre
più evidente, è venuto soprattutto dagli importanti progressi realizzati nella costruzione del
materiale rotabile, nella posa dei binari e nelle tecnologie elettriche di trazione.
I tram sono i mezzi di trasporto che hanno conseguito le maggiori trasformazioni:
Ø sono state introdotte nuove tecniche di posa degli armamenti tranviari nella sede
stradale, con l’adozione di rotaie di tipo pesante che, saldate in barra continua,
realizzano una via guidata di scorrimento che non provoca vibrazioni e riduce la
resistenza al moto. Le rotaie sono posate su platee di calcestruzzo con interposti
giunti antivibranti che impediscono la trasmissione nel terreno delle vibrazioni prodotte
dal passaggio delle vetture; in questo caso si ottiene un sistema di armamento che
ripartisce i carichi mobili dei veicoli, contrasta efficacemente le sollecitazioni trasversali
in modo da non produrre danneggiamenti alla pavimentazione della strada ed evita
ogni effetto negli edifici adiacenti a causa delle vibrazioni. Il miglioramento del sistema
di armamento tranviario, unito a quello delle sospensioni delle vetture ed alla loro
bassa carenatura, ha portato ad una riduzione della rumorosità di questi veicoli che
oggi è di circa 20 dB(A) inferiore a quella degli autobus e del traffico motorizzato in
genere;
Ø il ritorno delle pavimentazioni in pietra nelle strade cittadine, soprattutto nei centri
storici, ha ulteriormente incentivato l’utilizzo dei tram in quanto i carichi trasmessi da
questi mezzi non agiscono direttamente sulla pavimentazione, ma sono ripartiti al di
sotto della stessa e quindi non la danneggiano né la consumano come fanno, invece,
altri veicoli pesanti, quali autobus e filobus;
Ø i tram di oggi, rispetto alle vecchie vetture, sono caratterizzati da una grande sicurezza
di frenatura che ha superato l’inconveniente della modesta aderenza fra ruota
metallica e rotaia, che produceva lunghi spazi d’arresto. I moderni veicoli tranviari,
oltre alla normale frenatura elettrica ed elettroidraulica d’esercizio, dispongono anche

  135  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

di una frenatura d’emergenza che agisce direttamente sulla rotaia con pattini
elettromagnetici articolati, due per ogni carrello, che garantiscono una decelerazione
molto rapida, sino a 3 m/s2, costante e sicura con qualsiasi condizione atmosferica,
anche con pioggia, neve o gelo;
Ø i tram sono oggi dotati di apparecchiature di trazione innovative, basate
prevalentemente sugli “inverter”, che hanno reso possibile l’uso di motori a corrente
alternata, più pratici e leggeri di quelli tradizionali a corrente continua, pur mantenendo
in corrente continua la linea aerea di alimentazione;
Ø le tecnologie delle nuove apparecchiature di trazione, con la possibilità di far
funzionare le vetture tranviarie con due o più tensioni di alimentazione elettrica, anche
del tutto diverse, affiancate ad alcuni accorgimenti nella sagomatura delle nuove rotaie
tranviarie a gola, consentono di far transitare i tram indifferentemente sulle linee
tranviarie urbane e sulle linee ferroviarie. In Francia ed in Germania, questo sistema,
denominato “treno-tram”, ha trovato applicazione con il recupero e l’inserimento nella
rete di trasporto urbano di linee ferroviarie dismesse o poco utilizzate. In Italia, invece,
permangono problemi di natura amministrativa, soprattutto connessi alla prescrizione
di sicurezza dei mezzi ferroviari che impone caratteristiche nei telai dei rotabili
ferroviari tali da garantire una resistenza alla pressione sui respingenti di 200
tonnellate, difficile da ottenere in vetture che possano transitare nelle strade urbane.
Questo vincolo potrà essere superato se il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
accetterà l’introduzione di misure alternative, in modo da garantire lo stesso livello di
sicurezza con vetture più leggere e sistemi di guida automatizzata più efficienti.
L’evoluzione ottimale del sistema che utilizza come mezzo di trasporto il tram e che può
dotare le città di un sistema efficiente, è quella di eliminare la promiscuità delle reti
tranviarie con la circolazione degli altri veicoli, realizzando quelle che sono definite
metrotranvie, ovvero tracciati tranviari con sedi il più possibile riservate o protette,
svincolate nelle intersezioni su più livelli o per le quali sia favorita la priorità agli incroci,
attraverso semafori intelligenti, permettendo l’ingresso delle vetture tranviarie nelle aree
pedonali e l’utilizzo di linee ferroviarie abbandonate.

4.3.4 Ferrovie metropolitane


Nelle zone centrali delle città, la ridotta dimensione della rete stradale e l’elevata densità

136  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

degli insediamenti, residenziali e produttivi, causano condizioni critiche nella mobilità e nei
trasporti, con la contestuale impossibilità di creare nuove infrastrutture e di potenziare le
esistenti. Nei casi più complessi delle grandi città, la soluzione obbligata è stata
forzatamente trovata nella creazione di una rete di trasporto ferroviario sotterraneo. Si
tratta delle linee metropolitane, che si caratterizzano per l’elevata capacità di mobilità, la
massima velocità commerciale e la regolarità del servizio, indipendente dalle condizioni
del traffico di superficie; hanno però costi di costruzione elevati che ne giustificano la
realizzazione solo quando i vantaggi economici possono essere trasferiti su una
consistente comunità di cittadini, anche conferendo alla città nuovi assetti urbanistici che
incentivino gli insediamenti, abitativi e produttivi, nelle zone servite dalle nuove linee.
La prima metropolitana europea, inaugurata nel gennaio 1863 a Londra, era sotterranea,
lunga 6,4 km, a trazione a vapore, e univa la Farringdon street con la Bishop's road; la
prima americana, costruita a New York nel 1870, era sotterranea, e fu un insuccesso. Si
iniziarono allora i lavori per la costruzione di una sopraelevata. Gli Inglesi furono i pionieri
della trasformazione del tipo di trazione da vapore in elettrica (Londra 1890); elettriche
furono poi le metropolitane di Chicago (1892, sopraelevata), di Parigi (1900, sotterranea
nella maggior parte), di Boston (1901), di Berlino (1902). Fra il 1900 e il 1930 furono
costruite metropolitane a Filadelfia, Buenos Aires, Amburgo, Madrid, Barcellona. Nel 1935
fu inaugurata la metropolitana di Mosca, nel 1954 quella di Toronto, nel 1955 quella di
Roma. Degli anni successivi vanno ricordate le metropolitane di Milano (1964), di Montreal
(1966), di Francoforte sul Meno e di Rotterdam (1968). In Italia, quindi, le metropolitane
sono state introdotte con oltre mezzo secolo di ritardo rispetto ad altri Paesi industrializzati
ed hanno avuto una diffusione limitata in poche città. A Milano, ci sono tre linee, con uno
sviluppo di circa 71 km; due linee sono a Roma per complessivi 36 km (ma è in
costruzione la terza linea); a Napoli, finora sono in esercizio 10 km; Catania ha in esercizio
un tratto di linea di 3,8 km e Genova di 5,1 km. In totale si hanno circa 126 km di linee
metropolitane, con 147 stazioni.
Anche se le tecniche di costruzione si sono notevolmente evolute, il problema del costo
elevato per la realizzazione delle ferrovie metropolitane rimane determinante. Le linee
possono essere costruite a livelli di profondità diversi e la scelta del dislivello più
opportuno fra la superficie e il piano medio del binario viene fatta sulla base di vari

  137  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

elementi. Una prima tipologia di metropolitana si definisce profonda quando per la sua
esecuzione si richiedono le tecnologie classiche delle gallerie con avanzamento a foro
cieco (Fig. 4.8); una seconda categoria si definisce superficiale quando la sua esecuzione
può essere realizzata operando dalla superficie, cioè a cielo aperto (Fig. 4.9).
I motivi che inducono a adottare strutture
profonde sono molteplici. In genere la scelta è
subordinata alle seguenti esigenze:
Ø di tracciato in relazione all’andamento
altimetrico della superficie;
Ø connesse con i vincoli del suolo:
sottopassi di importanti manufatti come
fabbricati, ponti, ferrovie, etc.;
Ø dovute alla natura del sottosuolo
(caratteristiche dei terreni da attraversare,
presenza di acqua, etc.);
Figura 4.8 Metropolitana di tipo profondo.
Ø legate ad un sottosuolo ricchissimo di
reperti archeologici (come, ad esempio,
nel caso di Roma).
Nella scelta della profondità ottimale, è
necessario mettere in conto i costi e, non
tanto quelli di realizzazione delle opere civili,
quanto invece quelli legati all’esercizio della
linea. Appare in proposito ovvio che una
struttura profonda richiede apposite Figura 4.9 Metropolitana di tipo superficiale.

apparecchiature per consentire il trasporto verticale dei viaggiatori (scale mobili e


ascensori) e quindi maggiori spese di esercizio senza contare che costringe comunque i
viaggiatori stessi a compiere dei percorsi più lunghi. Tra i motivi che consigliano il tracciato
superficiale solitamente vengono citati i minori costi di esercizio e quelli di costruzione.
Mentre non sussistono dubbi sulla convenienza dei primi, sussistono dei dubbi sui
secondi. In linea teorica infatti una struttura di superficie dovrebbe avere costi di
esecuzione certamente inferiori a quelli delle equivalenti strutture in galleria vera e propria:

138  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

occorre però tenere in conto alcune importanti remore che, influenzando notevolmente i
sistemi ed i tempi di escavazione delle strutture superficiali, finiscono per incidere a tal
punto sui costi di esecuzione da far preferire talvolta il tracciato profondo quand’anche le
condizioni morfologiche di superficie e quelle geologiche dei terreni consiglino il tracciato
superficiale. Ci riferiamo:
Ø alla viabilità che deve essere necessariamente interrotta, sia pure a tratti, con
gravissime ripercussioni sul traffico di superficie e sull’attività degli esercizi
commerciali: per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti si è a volte costretti a
ricorrere ad opere che allungano notevolmente i tempi di esecuzione;
Ø alla necessità di deviare i pubblici servizi (cavidotti, condotte per acqua, gasdotti,
fognature, etc.).
Ad ulteriore chiarimento delle osservazioni appena svolte, occorre poi precisare i seguenti
aspetti:
• le gallerie superficiali altro non sono se non “scatole” realizzate entro una trincea ed i
problemi riguardano non tanto il modo di scavare, quanto invece la maniera di
realizzare questa lunga scatola in tempi brevi e nel rispetto delle strutture preesistenti;
• le gallerie di superficie, visto il modo di esecuzione (a cielo aperto) ricadono sempre
sull’asse di grandi vie cittadine.
Riguardo al funzionamento in condizioni di esercizio occorre osservare che le linee
componenti una rete metropolitana sono sempre indipendenti, con materiale proprio. I
treni sono costituiti dall'insieme di più vetture rimorchiate e automotrici, tutte comandate
dalla cabina di testa, collegata da accoppiatori automatici.
Per aumentare la velocità media (fra 30 e 40 km/h) si tende ad aumentare le accelerazioni
di avviamento (fino a 1,3 m/s2) e la decelerazione di frenatura (fino a 1,8 m/s2). Per
ottenere queste prestazioni si aumenta la potenza e si diminuisce il peso, utilizzando
strutture in lega leggera. Il distanziamento dei treni successivi viene eseguito mediante
sistemi di blocco automatico, atti a provocare l'arresto dei treni quando la distanza diventa
minore di un valore dato (sistema francese), o quando vengano oltrepassati segnali a via
impedita (sistema inglese e americano). Nella metropolitana di Parigi è in atto un sistema
di controllo automatico della velocità, in base ai tempi impiegati a percorrere successivi
tratti, che vengono segnalati sia al conduttore del treno, sia a una cabina di comando

  139  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

centralizzata dalla quale vengono emanati eventuali ordini di variazione di velocità; si


tende anzi ad effettuare tale comando a distanza in modo automatico, con calcolatori
elettronici opportunamente programmati. Per quanto riguarda la geometria del tracciato, le
linee delle ferrovie metropolitane di tipo tradizionale devono far riferimento alle Norme
UNIFER UNI 7836, che fissano alcune delle caratteristiche principali:
Andamento planimetrico:
Ø i raggi di curvatura devono essere, in linea generale, i maggiori possibili e comunque,
a meno che non sussistano gravi difficoltà locali, devono permettere la circolazione
alla velocità caratteristica fissata dal materiale rotabile e dal segnalamento;
Ø sui tratti percorsi dai treni con i viaggiatori, il raggio di curvatura non deve essere
minore di 150 m; nei depositi e nei raccordi il raggio non deve essere minore del limite
minimo ammesso dal materiale rotabile, solitamente 75 m;
Ø nel passaggio da rettilineo a curva circolare, oppure tra due curve di senso opposto,
oppure ancora da una curva circolare ad un’altra nello stesso senso, ma di raggio
diverso, devono essere inseriti raccordi clotoidici oppure, quando la lunghezza del
raccordo è minore di un terzo del raggio, a parabola cubica;
Ø nel caso di due curve che si susseguono di senso opposto, ove possibile, si deve
ottenere un raccordo continuo o, quando necessario, va inserito un tratto rettilineo che
deve essere lungo almeno 50 m.
Accelerazioni trasversali e sopraelevazioni:
Ø l’accelerazione trasversale non compensata non deve mai superare 0,9 m/s2, con la
velocità massima ammessa in curva; la sopraelevazione non deve mai essere
maggiore di 160 mm, con binario a scartamento ordinario;
Ø se si prevede che, in un determinato tratto della linea, tutti i treni circolino per tutta la
lunghezza del tratto all’incirca alla stessa velocità, la sopraelevazione deve essere
scelta in modo che, a tale velocità, l’accelerazione trasversale non compensata sia
nulla o almeno la minima possibile;
Ø in generale, il raccordo di sopraelevazione va effettuato lungo i raccordi planimetrici e
deve avere variazione altimetrica lineare; nei tratti in cui esistono problemi d’altezza, il
raccordo può essere realizzato mantenendo l’asse del binario lungo il tracciato teorico,
abbassando una rotaia ed alzando l’altra in ugual misura rispetto all’asse; la

140  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

variazione di sopraelevazione, e quindi il conseguente sghembo, non devono in alcun


caso superare i 3 mm/m; in generale tale valore deve essere il più limitato possibile;
Ø la variazione lungo il raccordo dell’accelerazione trasversale non compensata non
deve in alcun caso superare il limite di 0,4 m/s2 per un treno che percorre il raccordo
stesso alla massima velocità consentita.
Andamento altimetrico:
Ø la pendenza massima ammissibile fuori dalle stazioni deve essere fissata tenendo
conto sia della velocità commerciale prevista e del tipo di materiale rotabile che si
intende adottare, sia della situazione orografia del territorio attraversato;
Ø di regola, tale pendenza massima non deve essere maggiore del 4% e, solo quando le
condizioni locali lo rendano necessario o lo consiglino, possono essere adottate
pendenze maggiori;
Ø il tracciato geometrico della linea, nelle tratte in pendenza, deve tener conto delle
resistenze dovute alla presenza di eventuali curve, resistenze che devono essere
opportunamente compensate riducendo la pendenza rispetto a quella prevista in
rettilineo, nonché delle eventuali condizioni particolari del coefficiente di aderenza, se
la linea è soggetta a fattori che possono influenzare negativamente, come formazione
di ghiaccio, caduta di foglie, etc.;
Ø per le linee in salita, con pendenza
maggiore del 4% , in uscita dalle
stazioni deve essere prevista una
tratta di lunghezza adeguata con
pendenza non maggiore di quella
della stazione;
Ø tra due livellette successive dovrà
essere disposto un raccordo
altimetrico circolare di raggio non
minore di 3000 m. È ammesso un
Figura 4.10 Stazione della metropolitana di New York.
raggio minore, fino ad un minimo di
1800 m, per raccordi percorsi a velocità inferiori a 60 km/h e, in particolare, all’entrata
e all’uscita delle stazioni.

  141  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

Finora il costo elevato delle metropolitane di tipo tradizionale ne ha circoscritto la


costruzione alle sole grandi città, dove la domanda di trasporto giustifica l’entità degli
interventi (Fig. 4.10); più di recente, in ragione dell’estendersi della domanda di mobilità, è
sorta l’esigenza di poter dotare di un sistema di trasporto pubblico che abbia elevata
potenzialità anche nuclei urbani di media entità, dove soprattutto è necessario integrare
l’ambito urbano con quello extraurbano.
A tale scopo sono stati predisposti sistemi di trasporto, sempre di tipo ferroviario, ma con
caratteristiche inferiori a quelli delle ferrovie metropolitane classiche. Questi sistemi di
trasporto prendono il nome di
metropolitana leggera (ML) o
Light Rapid Transit System (LRT).
In pratica si tratta di un
compromesso fra metropolitana e
tranvia con tracciato parzialmente
in superficie e in parte
sotterraneo, in parte in sede
propria e in parte in sede
promiscua; cioè può comportare
un regime di circolazione “a vista”
Figura 4.11 Layout della metropolitana leggera di Hannover.
e con punti di conflitto con il
traffico pubblico e privato su gomma. Il materiale rotabile, a sagoma tranviaria, può
raggiungere una potenza di 360 kW e velocità massima di 75-80 km/h. Le portate orarie
sono mediamente di 12000 passeggeri/ora per senso di marcia (minimo 8000
passeggeri/ora per senso di marcia) contro un valore medio di 30000 pass/h per senso di
marcia nel caso delle metropolitane tradizionali (Fig. 4.11). Potendo essere anche previsto
il tracciato in superficie, la costruzione delle metropolitane leggere deve, in ogni modo,
minimizzare l’occupazione del piano viabile esistente ed in genere delle aree ancora a
disposizione dei cittadini, non creare cesure nel territorio e garantire il rispetto dell’edificato
storico, degli edifici monumentali e dei giacimenti archeologici, soprattutto entro il
perimetro del centro cittadino. Si devono, inoltre, adottare tecniche costruttive che
minimizzino l’impatto sulla viabilità, evitando, per esempio, di peggiorare in modo

142  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

significativo le condizioni di deflusso del traffico per l’ingombro dei cantieri. Le opere civili
possono includere gallerie, trincee coperte, viadotti, una serie di tratti di transizione tra
viadotti e galleria, ponti, stazioni all’aperto ed in sotterraneo, parcheggi su più piani,
interrati ed in elevazione, depositi. La prerogativa fondamentale delle metropolitane
leggere consiste nella riduzione dei costi di costruzione e di esercizio; ciò è dovuto a:
• realizzazione di sezioni trasversali dei tratti in galleria meno estese e di elementi delle
strutture in elevazione (ponti, viadotti, rilevati, etc.) dimensionati per carichi viaggianti
minori in quanto la larghezza delle vetture è di circa 2,40 m ed il peso/ml varia intorno
a 1,25 t/m;
• minor lunghezza di tracciato in galleria o in sede del tutto protetta dato che la
percentuale di percorso in sede propria può variare tra il 25 ed il 75%;
• stazioni con banchine più corte (circa 60 m contro più di 100 m per le metropolitane
tradizionali) spesso prive di piattaforme rialzate e di ampiezza ridotta in quanto è
minore sia la lunghezza dei convogli che la frequentazione di passeggeri alle fermate;
• velocità commerciale ridotta (circa 30 Km/h contro gli oltre 35 Km/h delle
metropolitane tradizionali), per cui non occorre ridurre oltremodo la pendenza
longitudinale della sede ed aumentare il raggio medio di curvatura;
• sistema dei treni, delle stazioni e delle linee, completamente automatizzato, così da
non richiedere l’impiego di personale
sui treni, nelle stazioni e lungo il
tracciato;
• circolazione a vista estesa a parte del
tracciato e mancanza di necessità di
dispositivi di arresto alle fermate
(arresto a bersaglio), in seguito alla
velocità di marcia ridotta ed all’esiguo
numero di elementi che formano un
convoglio.
Strettamente derivata dalla metropolitana Figura 4.12 Metropolitana su gomma a Parigi.

leggera è la cosiddetta metropolitana su


gomma. Si tratta di una forma di trasporto ferroviario che utilizza alcune tecnologie tipiche

  143  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

della strada: le vetture hanno ruote con pneumatici di gomma che corrono su rotaie di
calcestruzzo o acciaio. Come nelle ferrovie, il macchinista non deve manovrare le ruote,
che scorrono guidate dai binari (Fig. 12).
La famiglia VAL (acronimo di Véhicule Automatique Léger), utilizzata in diverse città, come
a Lille, è una metropolitana a pneumatici. I treni con pneumatici sono perlopiù costruiti e
progettati appositamente per il sistema su cui operano. Spesso vengono costruiti anche
autobus che hanno normali gomme da strada, ma circolano su appositi percorsi composti
da binari che guidano il mezzo; questi sistemi sono chiamati tram su gomma, e sono
spesso associati alla metropolitana su gomma. Su questi sistemi, come a Parigi, Montreal
e Città del Messico, i veicoli hanno anche ruote adatte per i binari più alte delle normali
flange (poste ad altezza maggiore rispetto alle rotaie); tali ruote, però, vengono
solitamente utilizzate in caso di rottura dei pneumatici. A Parigi, in qualche caso, i percorsi
per autobus su rotaia sono stati progettati per essere utilizzati sia da sistemi su gomma
che da treni con ruote normali. I veicoli impiegati in questi sistemi ibridi sono elettrici e la
tensione è fornita loro da una o da entrambe le rotaie che fungono da guida. La corrente di
ritorno passa attraverso la ganascia del freno e ritorna in una o in entrambe le rotaie, a
seconda dei tipo del sistema. Tra i vantaggi della metropolitana su gomma ci sono: la
minore produzione di rumore, le maggiori accelerazioni, gli spazi minori per la frenata e la
capacità di salire o scendere da tracciati più inclinati di quanto sarebbe possibile con le
normali ruote in materiale acciaioso.
Ci sono comunque diversi svantaggi, legati principalmente al fatto che le ruote di gomma
frizionano molto di più contro il binario che quelle di acciaio, il che porta a un consumo più
elevato di energia e ad una maggiore produzione di calore (di solito, proprio per questo
motivo, nei tunnel sono installati impianti di ventilazione). Inoltre i veicoli perdono
rapidamente la capacità di trazione quando sono sottoposti a condizioni climatiche
avverse (specialmente neve e ghiaccio).
Anche il costo è un elemento particolarmente condizionante: i pneumatici di gomma si
consumano molto più velocemente dell'acciaio, e quindi necessitano con maggiore
frequenza di manutenzione e di sostituzioni (anche se le ruote in acciaio sono più costose
di quelle di gomma, la frequenza delle sostituzioni rende i costi delle ruote di gomma
maggiormente onerosi). Anche la qualità del viaggio è variabile: talvolta i livelli di rumore

144  
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

non sono apprezzabilmente minori di quelli prodotti nelle normali ferrovie. Si riportano
infine, nella tabella 4.1, alcuni parametri di confronto tra i diversi sistemi di trasporto
pubblico collettivo, con riferimento alla portata potenziale minima, al distanziamento tra i
convogli, alla capacità dei convogli, alla distanza minima fra le stazioni, alla velocità
commerciale ed alla lunghezza massima dei convogli.

Metropolitana Metropolitana Tranvia veloce Tranvia


leggera (Metrotranvia)
Portata potenziale minima
24000 8000 2700 1000
(pax/hŸdir)
Distanziamento (minimo) 3 3 4 10
Capacità del convoglio (pax) 1200 200-400 180 180
Distanza media tra le stazioni (m) 600-1000 500-800 350-500 200-350
Velocità commerciale (km/h) 30-35 25-30 18-25 10-20
Lunghezza massima del convoglio
150 80 60 30
(m)

Tabella 4.1 Parametri di confronto tra diversi sistemi di trasporto collettivo su rotaia.

4.4 SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO INDIVIDUALE


Una modalità di trasporto pubblico innovativa, il cui potenziamento è auspicato anche
dagli strumenti di pianificazione dei trasporti quali il PUM, è costituita dal trasporto
pubblico individuale. In questo modo di trasporto, a differenza di quello collettivo, i punti di
prelievo e di arrivo dei passeggeri, nonché i tragitti (urbani ed extraurbani) di connessione,
non sono prefissati a priori dal gestore del servizio, ma vengono organizzati sulla base
delle esigenze di singoli utenti. In molti casi, dunque, si realizza un sistema di collegamenti
del tipo porta a porta. Un sistema di questo tipo particolarmente diffuso ormai da parecchi
decenni, è quello del servizio taxi; tuttavia esistono altre tipologie di trasporto urbano
individuale (car sharing, car pooling, taxi collettivi, bus a chiamata) le quali, già diffuse
capillarmente a livello mondiale, si stanno rapidamente estendendo a livello europeo e
cominciano ad avere interessanti applicazioni anche sul territorio italiano.

4.4.1 Car Sharing


Il Car Sharing ha come obiettivo quello di fornire alle persone che manifestino l'intenzione
di associarsi al progetto la possibilità di noleggiare una vettura dotata di sistemi ad alta
tecnologia, per spostarsi prevalentemente nelle città e nelle aree metropolitane,
usufruendo di parcheggi dedicati, nei quali è possibile prelevare e riconsegnare la vettura

  145  
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

in ogni momento della giornata.


Il Car Sharing, in particolare, è un servizio volto a soddisfare le esigenze di chi, pur non
volendo rinunciare alla comodità di possedere un'auto propria, tuttavia, per l'utilizzo che ne
intende effettuare, reputa assai poco conveniente far fronte a tutte le incombenze ed ai
costi che ne conseguirebbero: non si paga più il "bene automobile", bensì solamente l'uso.
Gli utenti interessati si devono abbonare al servizio ed in base a questo hanno diritto ad
utilizzare l'auto solo per il tempo di cui hanno bisogno (compresi i tempi molto brevi, un'ora
ad esempio). Dopo averla utilizzata la rimettono a disposizione di altri utenti nelle aree di
parcheggio appositamente create pagando una tariffa proporzionata alla durata di utilizzo
ed ai chilometri percorsi. L'utente può scegliere a seconda del tipo di spostamento che
deve compiere l'autovettura più idonea (dalla citycar alla monovolume). Le auto sono
sempre controllate dal punto di vista meccanico e non si hanno problemi di parcheggio
data la capillarità con cui devono essere realizzate le aree di sosta riservate.
Le società di Car Sharing mettono a disposizione dei propri associati un parco autovetture
di proprietà collettiva, disponibile 24 ore su 24, che possono essere utilizzate previa
prenotazione del mezzo con una semplice telefonata, specificando l'orario ed il luogo in
cui si intende prelevare e rilasciare definitivamente l'auto. I costi per l'utenza sono costituiti
da una quota annuale di partecipazione, una tariffa chilometrica ed una oraria.
I vantaggi derivanti dall'uso del Car Sharing come alternativa al possesso di un
autoveicolo (magari la seconda macchina) sono:
Ø non ci si deve più preoccupare di tutte le problematiche connesse con un'auto propria
(assicurazione, bollo, manutenzione, pulizia, garage, riparazioni);
Ø si può differenziare la scelta in funzione dei propri bisogni (una city car per andare in
centro, una più grande per i week-end, una per i grandi acquisti);
Ø per una percorrenza annuale inferiore agli 8000 - 10000 km si risparmiano tra 1500 e
2000 Euro all'anno rispetto all'auto di proprietà;
Ø vi è la possibilità, come succede a Torino e a Venezia, di transitare e sostare
liberamente nelle "Zone a Traffico Limitato", di utilizzare le corsie preferenziali e/o le
corsie riservate ai mezzi pubblici nell'ambito del territorio comunale, di sostare
gratuitamente nei posteggi a pagamento ("strisce blu") di tutta la città e di circolare
liberamente nei giorni cosiddetti a "targhe alterne";

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø inoltre è possibile usufruire dell'interoperabilità del servizio, ovvero, con la medesima


tessera, è possibile utilizzare tale modalità in tutte le città che aderiscono al
programma nazionale Iniziativa Car Sharing (ICS). L'interoperabilità su Rimini e
Milano e provincia è già attiva e completamente gratuita, mentre per poter ottenere
l'interoperabilità sulle altre città del circuito ICS (Genova, Firenze, Bologna, Modena,
Roma, Torino, Venezia) è necessario richiedere esplicitamente l'attivazione del
servizio, comunicando su quali città si desidera attivarlo. L'attivazione viene effettuata
previo pagamento della quota "una tantum" da parte dell'utente: € 10,00 per la singola
città, € 25,00 per tutte le città.
Dalle stime effettuate sui benefici conseguibili dalla diffusione del Car Sharing emerge
inoltre che:
• si riduce di circa 40000 km la percorrenza annua dei mezzi privati (circa il 72% in
meno): ciò è parzialmente compensato dal maggior utilizzo delle due ruote (+1300
persone/km per anno), delle biciclette (+800) e, soprattutto, del trasporto pubblico
(+2000);
• vi è una drastica riduzione delle emissioni inquinanti e del traffico grazie alla
diminuzione della percorrenza chilometrica media;
• diminuisce l'occupazione di suolo pubblico, infatti ogni veicolo di car sharing è capace
di sostituire da 5 a 10 auto private;
• si favorisce l'intermodalità con gli altri mezzi pubblici grazie alla dislocazione dei
parcheggi in cui si possono ritirare le autovetture dedicate al car sharing;
• viene garantita un'ottimizzazione del tempo, evitando le estenuanti ricerche di
posteggi grazie all'uso dei posteggi dedicati alle vetture del car sharing.
Il Car Sharing ha esempi applicativi in Nord-America e nel Canada, dove esistono già più
di dieci organizzazioni, raggruppate in "Car Sharing Network" e distribuite in più di 50 città
americane; a Singapore ed in Giappone.
In Europa, attualmente, le persone associate ad un servizio di Car Sharing sono 100000 e
4000 i veicoli disponibili in oltre 600 città di Austria, Francia, Germania, Olanda, Svizzera e
Scandinavia. Il trend annuo di crescita degli associati è del 50% all'anno.
In Italia, il Ministero dell'Ambiente ha stanziato fondi a sostegno dell'ICS (Iniziativa Car
Sharing). ICS è il circuito nazionale che coordina diverse realtà locali del servizio. Nel

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

primo anno di attivazione del servizio di car sharing gli


utenti sono passati da 2200 a 4300 circa ed i chilometri al
mese sono stati 312 mila contro 145 mila. È risultata in
crescita anche la conoscenza presso i cittadini: dal 15%
del dicembre 2001 al 44,5% del dicembre 2004 (Fig.
4.13).
Venezia, Torino e Bologna (le prime ad attivare il
servizio), nel primo anno di attivazione, hanno guidato la
classifica degli utenti con rispettivamente 1134, 865 e 810
tessere, mentre Torino e Genova sono state in testa per
chilometri mensili percorsi con 91012 e 66266 ciascuna.
Figura 4.13 Spot sul Car Sharing
L'intento è quello di: della Provincia di Modena.

Ø realizzare un servizio nazionale di car sharing;


Ø promuovere e incentivare l'uso del servizio di car sharing in ambito nazionale;
Ø mantenere l'autonomia gestionale delle iniziative locali;
Ø concordare con il Ministero dell'Ambiente le modalità di attivazione e finanziamento
del progetto car sharing;
Ø formalizzare il regolamento che disciplini le attività dell'ufficio Iniziativa car Sharing;
Ø raggiungere, a breve, nelle aree di attivazione del car sharing, il 2 - 2,5% dei
“patentati”.
A tal fine è stato istituita una "Conferenza degli Assessori alla Mobilità" quale organo di
decisione, indirizzo e controllo delle attività connesse all'ICS ed è stato costituito uno
specifico ufficio con la designazione di un Direttore, un Segretario ed un Presidente scelto
fra gli Assessori delle città aderenti all'iniziativa. In particolare, il servizio di Car Sharing è
attualmente disponibile a: Torino, Milano, Sesto San Giovanni, Rimini, Bologna, Venezia,
Bolzano, Genova, Roma, Firenze, Parma, Modena.

4.4.2 Car Pooling


Il servizio di Car Pooling è strutturato in modo tale da permettere l'uso collettivo di un
veicolo da parte di più utenti, accomunati dal dover percorrere il medesimo tratto di strada,
permettendo così di condividere le spese. Il Car Pooling, in pratica, è un sistema di

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

trasporto da effettuare con


mezzo privato ed organizzato
dai lavoratori di aziende situate
nella medesima zona che
consiste nell'utilizzare una sola
autovettura, con più persone a
bordo, per compiere un
medesimo tragitto, con
Figura 4.14. Spot sul Car Pooling
l'obiettivo di diminuire il numero
delle vetture circolanti e di conseguenza ottenere vantaggi ambientali notevoli (Fig. 4.14).
Questo servizio nasce come sistema gestionale rivolto al Mobility Manager aziendale e
non solo, con lo scopo di consentire una pratica organizzazione e gestione degli
spostamenti sistematici dei gruppi di persone che possono trovare conveniente l'uso in
comune di un veicolo di loro proprietà allo scopo di soddisfare il Decreto per la "riduzione
dell'uso del mezzo di trasporto individuale..." (D. Lgsl. 27/03/1998).
L'idea è semplice ma, come altri strumenti di mobilità, non ha avuto un impatto positivo in
Italia. Infatti bisogna prevedere per il suo sviluppo degli incentivi come: aree di parcheggio
dedicate, bonus sugli abbonamenti dei trasporti pubblici, flessibilità negli orari di ingresso
e uscita, etc.
Ad oggi tale modalità risulta ampiamente utilizzata all'interno delle aziende, ma in modo
spontaneo e non coordinato, non ottenendo quindi i risultati potenziali raggiungibili tramite
una gestione unitaria ed efficiente, anche attraverso l'utilizzo di mezzi informatici e
telematici. In alcune città, ad esempio, i cittadini, stanchi di doversi sempre trovare con
altri automobilisti quotidianamente intrappolati lungo tratti stradali continuamente
congestionati, si sono fatti promotori di iniziative di Car Pooling spontaneo, proponendo
che i pendolari e quanti altri interessati prendessero l'abitudine di recarsi nel luogo di
destinazione (azienda, fabbrica, ufficio, etc.) in compagnia di altri automobilisti che
compiono lo stesso percorso, mettendosi d'accordo in anticipo, attraverso messaggi via
Internet o sms e darsi appuntamento ad un determinato incrocio.
Gli sviluppi più significativi dei servizi di Car Pooling si sono avuti negli Stati Uniti dove, ad
oggi, esistono agenzie di raccolta e smistamento dati: gli utenti comunicano

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

telefonicamente o via Internet le proprie disponibilità ed esigenze, il call center provvede,


quindi, a fornire i dati relativi più idonei. Gli aspetti positivi del Car Pooling, riscontrati
nell'esperienza americana, sono i seguenti:
Ø è flessibile: lo si può utilizzare anche solo una volta alla settimana;
Ø è comodo: permette di evitare gli ingorghi del traffico percorrendo le corsie
preferenziali;
Ø è utile: non è necessario possedere un'automobile, si può far parte di un "pool" come
passeggero.
In Svizzera è attivo il servizio denominato click, call and pool ("click" significa l'utilizzo di
Internet e "call" indica la chiamata di qualcuno per andare in automobile con questa
persona in un determinato luogo). Si tratta di un servizio che permette di condividere una
corsa con persone sconosciute fino a quel momento. I partecipanti devono registrarsi
elettronicamente (oppure tramite posta o telefono) e possono utilizzare il servizio
immediatamente. In qualità di user non registrato si possono guardare le inserzioni di altri
utilizzatori ma non si possono controllare informazioni ed indirizzi personali. Per quanto
riguarda i costi, se la registrazione avviene tramite Internet, è gratis; se avviene tramite
posta o tramite telefonata al call center, si pagano 25 franchi svizzeri all'anno. Non vi sono
costi aggiuntivi e si può utilizzare il servizio quanto e quando si vuole.
In conclusione, attraverso tale sistema di Car Pooling:
• un guidatore trova dei passeggeri e questi ultimi trovano un guidatore per se stessi;
• si ottiene un vantaggio sia per il profitto dei singoli, sia per l'ambiente;
• il guidatore deve ricevere dal passeggero 0,10 - 0,20 franchi svizzeri per chilometro.

4.4.3 Taxi collettivo


Il taxi collettivo rappresenta uno dei sistemi innovativi e alternativi di trasporto di facile
realizzazione, che impiega vetture aventi una capienza massima di 10-12 passeggeri, con
doti di comodità e duttilità, ad un prezzo inferiore rispetto a quello del taxi tradizionale.
Sebbene un servizio di taxi collettivo possa essere realizzato semplicemente ricalcando il
percorso di linee bus già esistenti o comunque su itinerari fissi, come negli esempi di
Napoli e Roma, può diventare un servizio più personalizzato e aderente ai bisogni degli
utenti, per flessibilità dei percorsi e gestione della flotta in tempo reale, realizzato facendo

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

ricorso a tecnologie telematiche. Può prevedere uno o più luoghi di salita o discesa
comuni (ad esempio, un aeroporto, più fermate) e comprendere un servizio da porta a
porta, a somiglianza del taxi individuale, differenziandosi, sotto questo aspetto, dalle
esperienze dei servizi pubblici a chiamata e percorso variabile (Firenze, Imola, Bologna).
Un possibile esempio di applicazione consiste in un servizio di navette che percorrono
itinerari predeterminati ad orari fissi. La flessibilità è nella fermata dei veicoli che può
essere effettuata su richiesta dell'utente sia per scendere che per salire. Questa
caratteristica non preclude di solito la presenza sul percorso delle possibili fermate
identificabili con apposita segnaletica. Il servizio può essere dotato di uno o due capolinea
a seconda della lunghezza del percorso ed ha una frequenza prestabilita a priori in
funzione della fluttuazione oraria della domanda. Il servizio può anche rispondere a
motivazioni di ordine sociale, come nei casi in cui esso è:
1) destinato a una utenza debole, come ad esempio anziani, bambini, portatori di
handicap, casi in cui il servizio da porta a porta è insostituibile e non surrogabile da
nessuna linea bus;
2) realizzato in aree a domanda debole, caratterizzate cioè da insediamenti molto
dispersi. In quest'ultimo caso il servizio di taxi collettivo può, in prospettiva, diventare
un valido sostituto di antieconomiche, ingombranti e inquinanti linee extraurbane.
Il termine taxi collettivo può essere usato per designare una famiglia di sistemi di trasporto
pubblico personalizzato consistenti in servizi di qualità e complessità crescenti:
Ø Taxibus, ovvero un veicolo da 6-9 posti che effettua lo stesso percorso di un autobus
di linea, possibilmente lungo itinerari protetti (con possibilità di sorpasso), raccogliendo
e depositando i passeggeri a richiesta, anche non in corrispondenza delle fermate: è
più comodo, più veloce, ma in genere parte quando ha raggiunto un certo numero di
passeggeri (3-5) e costa più caro del normale autobus di linea.
Ø Servizio complementare, per zone a domanda debole o ore di morbida, nei casi in cui
il normale servizio di trasporto non risponde alle esigenze, di frequenza e qualità,
dell'utenza. Il servizio è personalizzato con un pulmino (6-9 posti) o una vettura
monovolume (5-6 posti), che integra il trasporto di massa su zone e in orari che non
conviene servire con mezzi di grandi dimensioni.
Presenta diverse possibili soluzioni:

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

• alle fermate periferiche della metropolitana, durante le ore notturne: raccoglie i


passeggeri in uscita e li porta a domicilio. Sostituisce pullman di linea, e per
questo è molto conveniente. Eventualmente, potrebbe essere prenotato dalle
metropolitane, installando agli ingressi delle tastiere che segnalano che si intende
uscire alla tale fermata. Può essere attivato anche solo in corrispondenza di una
sola corsa: per esempio, l'ultima;
• alle fermate periferiche della metropolitana o di alcune linee di superficie a grande
utilizzo, nelle zone a domanda molto debole, anche nelle ore diurne. Sostituisce,
con un servizio personalizzato, mezzi di grande dimensione che resterebbero
inutilizzati;
• come il precedente, ma con un percorso fisso servendo fermate aggiuntive su
chiamata. Richiede un sistema di colonnine per la prenotazione installato alle
fermate opzionali ed, eventualmente, un sistema telematico di localizzazione dei
veicoli ed un sistema di display a messaggio variabile per indicare i tempi di
attesa;
• in partenza dai grandi nodi di interscambio (aeroporti, stazioni FS, stazioni di
pullman interurbani, parcheggi di interscambio): il sistema più semplice consiste
nel disporre su più file i taxi in partenza; ciascuna di tali file è assegnata a un
determinato settore della città (debitamente indicato in un quadro luminoso che
permetta di individuare immediatamente il settore corrispondente all'indirizzo che
si vuole raggiungere). Il taxi parte solo quando ha raggiunto un certo livello di
saturazione. La scelta del percorso può essere effettuata dal taxista senza l'ausilio
di una strumentazione particolare.
Ø Servizio con destinazione comune e origine diversificata. Il servizio può essere
effettuato su prenotazione anticipata (come in molte città degli Stati Uniti). Il centralino
provvede a smistare le diverse prenotazioni sulle vetture in base all'orario e
all'indirizzo di partenza, oppure la gestione delle prenotazioni è affidata a un
programma informatizzato di ottimizzazione. Con un potenziamento del programma di
gestione, il servizio di prenotazione può essere attivato in tempo reale (ma solo se
integrato con un servizio di taxi individuale che subentra nel caso che le chiamate
siano insufficienti): per attivarlo bastano i comuni collegamenti radio e telefonici.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

Ø Servizio con origine e destinazione variabili, su prenotazione anticipata. È


sostanzialmente il servizio che si effettua oggi per i disabili, e che si potrebbe
estendere a particolari categorie di utenti, non richiedendo sistemi di localizzazione dei
mezzi.
Ø Taxi collettivo, con gestione dei percorsi e delle prenotazioni centralizzato. Il passo
successivo è quello di attivare in tempo reale il servizio di taxi collettivo a origine e
destinazione variabili, affidando l'assegnazione dei passeggeri alle vetture ad un
sistema di governo centralizzato in grado di localizzare e selezionare in tempo reale la
vettura il cui percorso già programmato è compatibile con quello richiesto dal nuovo
utente. Il sistema è complesso: richiede un sistema di localizzazione dei veicoli GPS e
un numero elevato di vetture in servizio.
Il taxi collettivo utilizza il Sistema Tassametro Multiutente, che si può predisporre già dalla
partenza (ma anche durante una corsa normale), per consentire ad altri utenti di salire a
bordo, lungo il percorso, addebitando ad ogni singolo utente il costo per il percorso da
quest'ultimo effettivamente compiuto. Il servizio può quindi essere richiesto dal primo
utente. La suddivisione dell'importo tra gli utenti, gli eventuali sconti, l'eventuale
suddivisione dei supplementi "festivo" o "notturno" saranno dettati dal Comune.
La destinazione scelta ed il numero di posti liberi sono indicati sul visualizzatore esterno
per consentire ad altri eventuali utenti di fermare il taxi se interessati ad una destinazione
lungo la direttrice di marcia del taxi. I vantaggi principali del tassametro multiutente, in
definitiva, sono i seguenti:
• minor costo del trasporto per l'utente;
• minor inquinamento e riduzione del traffico;
• minori costi di gestione per il tassista.

4.4.4 Bus a chiamata


Tra i sistemi di trasporto innovativi, in particolare operanti su breve distanza, quello che più
ha trovato applicazioni in Italia è sicuramente il bus a chiamata (Dialbus o Drinbus) (Fig.
4.15). Tale sistema svolge un servizio che si pone a metà tra l'autobus convenzionale ed il
taxi, provvedendo al trasporto da porta a porta, su chiamata telefonica. L'utente comunica
attraverso un call center l'origine e la destinazione del suo spostamento; un sistema

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
 

computerizzato svolge la funzione di


determinare l'assegnazione dei veicoli per il
servizio richiesto, in maniera il più ottimale e
veloce possibile; il veicolo preleverà il cliente
all'orario stabilito telefonicamente e lo porterà
a destinazione con le poche deviazioni
necessarie a far salire sul mezzo altri
passeggeri.
Le caratteristiche principali di questo sistema
Figura 4.15 Autobus a chiamata (Drinbus).
ed i suoi vantaggi sono essenzialmente la
capacità di realizzare il trasporto da porta a porta, la quasi totale assenza di attese, di
percorsi a piedi e di trasbordi. Questa modalità particolare di servizio di bus viene di solito
realizzata attraverso piccole vetture da circa 10 posti e può risolvere in maniera efficiente il
problema del trasporto in aree a bassa densità o in situazioni di bassa domanda di
trasporto, ad esempio di notte. Ha una sua validità anche nei confronti di utenti con
caratteristiche di mobilità particolari come i portatori di handicap e gli anziani.
In Svizzera, questa nuova, particolare forma di trasporto collettivo si trova già in fase
avanzata: promossi dalla sperimentazione del bus su chiamata a Leer (all'inizio del 1992),
sono stati avviati 2 progetti pilota realizzando man mano un totale di dodici sistemi di bus
su chiamata da porta a porta. La particolare caratteristica di questo servizio è l'assenza di
vincolo di orario o fermata (come per il taxi) con accumulo delle richieste di viaggio
(aspetto che lo differenzia dal taxi).
Apprezzato dalla clientela soprattutto per la flessibilità oraria e per il servizio praticamente
"a domicilio", questo sistema di trasporto in Svizzera è in continuo sviluppo ed è stato
introdotto con successo anche in Germania nelle aree suburbane. In particolare, nel
distretto di Erding, l'esperimento pilota è durato quattro anni, durante i quali il servizio su
richiesta è stato in funzione parallelamente all'esercizio di linea tradizionale, sfruttandone
cioè il medesimo percorso. Nella seconda fase di sviluppo del progetto, è stato
perfezionato un sistema di esercizio, denominato Odibus, attivo nelle zone extraurbane.
L'autobus a chiamata ha esempi di applicazione in Italia a: Cremona, Firenze, Genova,
Milano, Parma, Trento.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

BIBLIOGRAFIA

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