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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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CAPITOLO 1
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
Superficie Popolazione
Provincia Comune
(in km²) (numero di abitanti)
Catania 180,88 298.091
Aci Bonaccorsi 1,7 2.940
Aci Castello 8 18.153
Aci Catena 8 28.523
Acireale 39,96 52.859
Aci Sant'Antonio 14 17.214
Belpasso 164 23.786
Camporotondo Etneo 6,4 3.840
Gravina di Catania 5 27.816
Mascalucia 16 27.621
Misterbianco 37 48.040
Motta Sant'Anastasia 35,73 11.253
Nicolosi 42 6.979
Provincia di Catania Paternò 144,04 49.349
Pedara 19 12.341
Ragalna 39 3.478
San Giovanni La Punta 10 22.159
San Gregorio di Catania 5,61 11.317
San Pietro Clarenza 6 6.706
Sant'Agata li Battiati 3 9.702
Santa Maria di Licodia 26,23 6.866
Santa Venerina 18 8.266
Trecastagni 18,96 9.842
Tremestieri Etneo 6 21.532
Valverde (CT) 5 7.616
Viagrande 10,05 7.753
Zafferana Etnea 76 9.055
TOTALE 939,56 753.097
Tabella 1.1 Comuni appartenenti all’area metropolitana di Catania (Dati ISTAT 2008).
La rete delle infrastrutture dei trasporti appare ancora inadeguata e gli ultimi interventi
viabilistici hanno teso a risolvere più le necessità di scavalcamento di Catania che le
relazioni interne tra i vari centri. Il fascio delle linee di costa appare ancora dominante,
anche se l'autostrada Catania-Palermo definisce una forte penetrazione verso l'interno
dell'isola. I collegamenti con le aree più interne sono in buona parte affidati alla struttura
viaria delle vecchie statali e provinciali, in parte migliorate da interventi di rettifica e da
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tra gli estremi dell'area e la città di Catania varia tra gli 11 ed i 38 km con valori
complessivamente disponibili ad un'organizzazione degli scambi adeguati ai livelli di vita
contemporanei ed alla moderna mobilità (Fig. 1.2).
La delimitazione
dell’area
metropolitana di
Catania costituisce
un sistema dove
l'integrazione degli
scambi quotidiani
raggiunge i livelli
interni superiori a
quelli che lo
stesso sistema
possiede con Figura 1.2 Infrastrutture viarie nell’area metropolitana di Catania.
l'esterno. Essa
permette di individuare nel territorio provinciale tre grandi ambiti dalla forte identità per
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Generale dei Trasporti e dei piani di settore, e collaborano alla predisposizione delle
direttive per l'esercizio delle funzioni delegate (art. 2). Il Decreto legislativo 422 del 19
novembre 1997 - Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in
materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15
marzo 1997, n. 59, al comma 2 dell'art. 14, precisa che, nell'esercizio dei compiti di
programmazione, le Regioni:
• definiscono gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i
piani di bacino;
• redigono i Piani Regionali dei Trasporti e loro aggiornamenti tenendo conto della
programmazione degli enti locali ed in particolare dei piani di bacino predisposti dalle
Province e, ove esistenti, dalle città metropolitane, in connessione con le previsioni di
assetto territoriale e di sviluppo economico e con il fine di assicurare una rete di
trasporto che privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo in particolar modo
quelle a minore impatto sotto il profilo ambientale.
Il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001 ha definito le Linee guida per la
redazione e la gestione PRT, al fine di promuovere un effettivo rinnovamento nelle
modalità di predisposizione dei Piani Regionali dei Trasporti (PRT), di assicurare il
massimo coordinamento con le scelte del PGT, di consentire una chiara possibilità di
confronto tra le proposte dei vari PRT. Il PGT, indicando obiettivi, vincoli, metodologie e
strategie per la pianificazione dei trasporti a livello regionale, sottolinea la necessità che i
PRT non vengano più intesi come mera sommatoria di interventi infrastrutturali, ma si
configurino come progetti di sistema con il fine di assicurare una rete di trasporto che
privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo quelle a minore impatto sotto il
profilo ambientale.
Gli obiettivi diretti sono:
• garantire accessibilità per le persone e le merci all'intero territorio di riferimento, anche
se con livelli di servizio differenziati in relazione alla rilevanza sociale delle diverse
zone;
• rendere minimo il costo generalizzato della mobilità individuale e collettiva;
• assicurare elevata affidabilità e bassa vulnerabilità al sistema, in particolare nelle aree
a rischio;
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trasporti nelle singole realtà locali. Allo Stato è riservato il ruolo di cofinanziatore degli
interventi, qualora essi vengano ritenuti capaci di raggiungere precisi e quantificabili
obiettivi prefissati.
I Piani Urbani della Mobilità (PUM) sono lo strumento attraverso il quale le realtà locali
definiscono l’insieme di interventi più appropriati per il raggiungimento di detti obiettivi e si
sviluppano in un orizzonte temporale di medio/lungo periodo (massimo 10 anni).
Con i PUM si potranno richiedere finanziamenti allo Stato per interventi atti a conseguire
gli obiettivi di mobilità generale previsti dal Governo, ai quali possono aggiungersene altri
delle Amministrazioni locali. I finanziamenti quindi non saranno più per opere, ma per
obiettivi.
Il PUM si differenzia dai Piani Regionali dei Trasporti (PRT) per le dimensioni dell’area
sulla quale esso agisce. I PUM interessano bacini di mobilità relativi ad aree territoriali
contigue: i soggetti beneficiari potranno essere gli agglomerati urbani con popolazione
superiore a 100.000 abitanti, singoli Comuni, aggregazioni di Comuni limitrofi e Province
aggreganti Comuni limitrofi.
Per accedere ai finanziamenti, ottenuto il parere favorevole dalla Regione, le richieste
potranno essere attivate in modo standardizzato a cadenza annuale (sulla base della
legge Finanziaria).
Gli interventi ricadenti nei PUM sono finalizzati a:
• soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione;
• abbattere i livelli di inquinamento atmosferico ed acustico nel rispetto degli accordi
internazionali e delle normative comunitarie e nazionali in materia di abbattimento di
emissioni inquinanti;
• ridurre i consumi energetici;
• aumentare i livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale;
• minimizzare l’uso individuale dell’automobile privata e moderare il traffico;
• incrementare la capacità di trasporto;
• aumentare la percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi, anche con
soluzioni di car pooling, car sharing, taxi collettivi, etc.;
• ridurre i fenomeni di congestione nelle aree urbane caratterizzate da una elevata
densità di traffico, mediante l’individuazione di soluzioni integrate del sistema di
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trasporti e delle infrastrutture in grado di favorire un migliore assetto del territorio e dei
sistemi urbani;
• favorire l’uso di mezzi alternativi di trasporto con impatto ambientale più ridotto
possibile.
Costituiscono interventi compresi nei PUM:
Ø le infrastrutture di trasporto pubblico relative a qualunque modalità;
Ø le infrastrutture stradali, di competenza locale, con particolare attenzione alla viabilità
a servizio dell’interscambio modale;
Ø i parcheggi, con particolare riguardo a quelli di interscambio;
Ø le tecnologie;
Ø le iniziative dirette a incrementare e/o migliorare il parco veicoli;
Ø il governo della domanda di trasporto e della mobilità, anche attraverso la struttura del
mobility manager;
Ø i sistemi di controllo e regolazione del traffico;
Ø i sistemi d’informazione all’utenza;
Ø la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle
merci nelle città, nei Comuni e nelle aree densamente urbanizzate.
I PUM, per poter perseguire al meglio gli obiettivi sopra richiamati, tenuto conto degli
strumenti di pianificazione generale ed esecutiva, devono essere coordinati con gli altri
piani di settore, quali i piani di azione per il miglioramento e per il mantenimento della
qualità dell’aria e dell’ambiente e per la riduzione dei livelli di emissione sonora, igienico-
sanitari, energetici, quelli urbanistico-territoriali sia generali che attuativi, in specie quelli
relativi alle attività produttive e alle attività ricreative e residenziali (piano per insediamenti
produttivi, centri direzionali, zone e centri commerciali, zone per il tempo libero, etc.) e con
la pianificazione dei servizi sociali e ai piani municipali di welfare, dei tempi e degli orari.
Inoltre, il PUM deve essere progettato in coerenza con gli strumenti della programmazione
e della pianificazione regionale, secondo le procedure già in vigore o da emanare nei
singoli ordinamenti regionali.
Gli effetti del PUM per il raggiungimento degli obiettivi si valutano con la quantificazione
del valore dei vari indicatori (ad es., il livello sonoro equivalente per l’inquinamento
acustico, o il numero annuo di incidenti, morti e feriti per la sicurezza stradale) tramite
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fatte sempre salve le esigenze dei pedoni e la vocazione ambientale dei luoghi, tenuto
conto dei relativi valori storici artistici ed architettonici;
• l’utilizzo, eventualmente provvisorio, delle aree pubbliche, ma anche private, in attesa
di definitiva destinazione urbanistica, in termini di realizzazione e di gestione di aree di
parcheggio, eventualmente multipiano, ad uso pubblico (parcheggi di tipo sostitutivo
della sosta su strada), con possibile attrezzatura di alberature ed anche con
riferimento ad interventi finanziati dall’iniziativa privata;
• la realizzazione di parcheggi ad uso privato (parcheggi pertinenziali, sempre ad uso
sostitutivo della sosta su strada), su suolo privato o anche pubblico, con particolari
facilitazioni da prevedere per i privati interessati alla loro costruzione;
• il potenziamento e la riorganizzazione del corpo di vigilanza urbana, in forma diretta ed
indiretta, intesa quest’ultima come potenziamento dei servizi atti ad ottenere, in
particolare, un idoneo ed efficace controllo delle modalità di sosta.
Per quel che concerne l’adeguamento della capacità delle intersezioni, esso coinvolge
diverse tipologie di azione (limitazioni alle manovre di svolta a sinistra, istituzione di sensi
unici di marcia, adeguate canalizzazioni ed, eventualmente, ridisegno delle caratteristiche
geometriche con riduzione del numero dei rami di intersezione). Si tratta, in ogni caso, di
un settore di intervento che può oggi avvalersi dei più moderni sistemi tecnologici di
controllo del traffico (a partire dagli impianti semaforici attuati dai flussi veicolari e/o
pedonali), di vasta utilità, sempre che risulti corretto il dimensionamento della rete
principale (come quantità, estesa e distribuzione delle corsie di marcia messe a
disposizione per le diverse correnti veicolari) e delle politiche intermodali e tariffarie
eventualmente adottate.
La domanda di mobilità e di sosta è generalmente espressa dalle tre componenti
fondamentali del traffico, qui di seguito esposte secondo l’ordine assunto nella loro scala
dei valori all’interno del Piano:
1. pedoni;
2. veicoli per il trasporto collettivo con fermate di linea (autobus, filobus e tram), urbani
ed extraurbani;
3. veicoli motorizzati senza fermate di linea (autovetture, autoveicoli commerciali,
ciclomotori, motoveicoli, autobus turistici e taxi).
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
Laddove non esista il trasporto pubblico collettivo, oppure risultino assenti concrete
possibilità di immediato miglioramento del suo servizio, il Piano suggerisce la strategia di
fornire alternative spaziali alla mobilità veicolare urbana, consistenti nell’individuazione di
itinerari alternativi per i flussi veicolari e di spazi di sosta alternativi a quelli in uso sulla
viabilità principale.
L’attuale grado di saturazione fisica degli spazi disponibili per i movimenti e la sosta
veicolare rende, però, molto spesso insufficiente l’adozione della sola strategia ora
indicata, specialmente per le aree urbane maggiormente congestionate. In tali situazioni
risulta quindi necessario intervenire orientando la domanda di mobilità verso modi di
trasporto che richiedono minori disponibilità di spazi stradali per il soddisfacimento della
domanda medesima (domanda espressa, non più in veicoli x km, bensì in persone x km).
Questa tipologia di interventi rientra nella cosiddetta politica delle alternative modali, che
trova attuazione fondamentale nella migliore organizzazione possibile del trasporto
collettivo, sia a carattere pubblico che privato (autobus aziendali).
La politica delle alternative modali viene in generale resa efficiente attraverso
l’applicazione contestuale, da un lato, di forme di incentivazione dell’uso dei cosiddetti
modi alternativi e, dall’altro lato, di forme di disincentivazione dell’uso delle vetture per il
trasporto individuale privato, con il vincolo non sopprimibile che la capacità di trasporto
alternativa fornita risulti in grado di assorbire, ad un livello di servizio accettabile, le quote
di domanda ad essa trasferite dal sistema individuale privato.
In quest’ambito di interventi rientrano misure molto varie, di carattere tecnico, normativo e
tariffario; ad esempio sono ipotizzabili forme di facilitazione per l’utilizzazione dei taxi e
delle autovetture ad uso collettivo (car pooling), in contrapposizione all’adozione di
restrizione alla circolazione delle autovetture ad uso individuale.
Tra di essi risultano peculiarmente significativi due tipi di intervento:
• la realizzazione di aree di sosta dove lasciare la propria autovettura e proseguire lo
spostamento con un altro modo di trasporto (parcheggi di scambio, intesi in questo
contesto come forma di disincentivazione all’uso di autovettura per il trasporto
individuale privato);
• l’introduzione di particolari sistemi di tariffazione della circolazione dell’autovettura in
determinate zone urbane (intesi in questo contesto come forme di disincentivazione
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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del PUT, rappresentativi anche del suo specifico iter di approvazione da parte degli organi
istituzionali competenti.
Il 1° Livello di progettazione è quello del Piano generale del traffico urbano (PGTU), inteso
quale progetto preliminare o piano quadro del PUT, relativo all’intero centro abitato. Esso
riguarda, in particolare, la proposizione:
• del Piano di miglioramento della mobilità pedonale, con definizione delle piazze,
strade, itinerari od aree pedonali (AP) e delle zone a traffico limitato (ZTL) o,
comunque, a traffico pedonalmente privilegiato;
• del Piano di miglioramento della mobilità dei mezzi collettivi pubblici (fluidificazione dei
percorsi, specialmente delle linee portanti) con definizione delle eventuali corsie e/o
carreggiate stradali ad essi riservate, e dei principali nodi di interscambio, nonché dei
rispettivi parcheggi di scambio con il trasporto privato e dell’eventuale piano di
riorganizzazione delle linee esistenti e delle loro frequenze (PUT inteso come Piano
della mobilità);
• del Piano di riorganizzazione dei movimenti dei veicoli motorizzati privati, con
definizione sia dello schema generale di circolazione veicolare (per la viabilità
principale), sia della viabilità tangenziale per il traffico di attraversamento del centro
abitato, sia delle modalità di assegnazione delle precedenze tra i diversi tipi di strade;
• del Piano di riorganizzazione della sosta delle autovetture, con definizione sia delle
strade parcheggio, sia delle aree di sosta a raso fuori delle sedi stradali ed,
eventualmente, delle possibili aree per i parcheggi multipiano, sostitutivi della sosta
vietata su strada, sia del sistema di tariffazione e/o di limitazione temporale di quota
parte della sosta rimanente su strada.
Gli elaborati progettuali del PGTU, relativi agli argomenti anzidetti, devono essere redatti
in scala da 1:25.000 fino ad 1:5.000 (od eccezionalmente valori inferiori), in funzione delle
dimensioni del centro abitato; devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-
descrittiva.
Il 2° Livello di progettazione è quello dei Piani particolareggiati del traffico urbano (PPTU),
intesi quali progetti di massima del PGTU, relativi ad ambiti territoriali più ristretti di quelli
dell’intero centro abitato, quali, a seconda delle dimensioni del centro medesimo, le
circoscrizioni, i settori urbani, i quartieri o le singole zone urbane (anche come fascia di
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
viaria di specifiche zone urbane (comprendenti una o più maglie di viabilità principale, con
la relativa viabilità interna a carattere locale), facenti parte di uno stesso Piano
particolareggiato.
Detti Piani esecutivi definiscono completamente gli interventi proposti nel rispettivi Piani
particolareggiati, quali, ad esempio, le sistemazioni delle sedi viarie, la canalizzazione
delle intersezioni, gli interventi di protezione delle corsie e delle sedi riservate e le
indicazioni finali della segnaletica stradale (orizzontale, verticale e luminosa), e li integrano
in particolare per quanto attiene le modalità di gestione del PUT (in termini di verifiche ed
aggiornamenti necessari).
Tra queste ultime modalità assumono particolare importanza i due essenziali Piani di
settore relativi ai “potenziamento e/o ristrutturazione del servizio di vigilanza urbana” ed
alle indispensabili “campagne di informazione e di sicurezza stradale”.
Gli elaborati progettuali di questo 3° livello di progettazione devono essere redatti in scala
da 1:500 fino ad 1:200 o valori inferiori, in funzione delle necessità di descrizione
esecutiva degli interventi proposti; devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-
descrittiva.
Per i centri urbani di più modeste dimensioni, specialmente se interessati da fenomeni
stagionali di affluenza turistica, il 2° ed il 3° livello di progettazione possono anche essere
riuniti in un’unica fase di progettazione e denominati Piani di dettaglio del traffico urbano
(PDTU).
L’iter procedurale che porta all’attuazione del PUT, ha inizio a livello regionale. Le Regioni,
infatti, qualora non abbiano già provveduto, entro due mesi dalla emanazione delle
direttive devono predisporre l’elenco dei rispettivi Comuni interessati al PUT e
trasmetterne copia alla Direzione generale della viabilità e mobilità urbana ed extraurbana
affinché, a cura del Ministero dei lavori pubblici, detto elenco venga pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
I Comuni interessati all’attuazione del PUT, tenuto conto dei tempi di redazione dei relativi
elaborati progettuali di dettaglio per l’intera rete stradale urbana, specialmente in
connessione al particolare impegno conseguente alla prima applicazione delle direttive,
hanno in generale l’obbligo di:
• adottare entro un anno il Piano generale del traffico urbano, a partire dall’emanazione
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
degli incarichi di progettazione, sia in quelle di eventuale adozione del nuovo PGTU e di
attuazione dei nuovi interventi previsti.
Per i Comuni inadempienti all’obbligo di redazione, adozione ed attuazione del PUT, il
Ministero dei Lavori Pubblici, dopo la segnalazione di provvedere entro un termine
assegnato, oltre che avvalersi dell’esecuzione d’ufficio del Piano e dei suoi interventi
(articolo 36, comma 10, del CdS), può anche avvalersi dell’istituto del “commissariamento
ad acta”.
Considerate anche le nuove incombenze assegnate ai Comuni in materia di circolazione
stradale dal CdS, è necessario che quelle amministrazioni comunali, le quali risultano
vincolate dal CdS medesimo all’adozione del PUT, costituiscano uno specifico ufficio
tecnico dei traffico (peraltro già raccomandato con circolare del Ministro dei lavori pubblici,
n. 50067 del 20/09/1961 e di seguito indicato con la denominazione abbreviata di ufficio
traffico), ovvero adeguino alle nuove funzioni l’eventuale rispettivo ufficio (sezione, servizio
o ripartizione) già esistente. Le funzioni dell’Ufficio traffico riguardano principalmente il
perseguimento integrale degli obiettivi precedentemente esposti in merito al PUT, con
strumenti di intervento, però, che coinvolgono anche il controllo della scelta e
dell’efficiente realizzazione delle nuove infrastrutture previste dal Piano dei trasporti o
dagli strumenti urbanistici vigenti.
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
Per questa categoria di strade sono ammesse solamente le componenti di traffico relative
ai movimenti veicolari, nei limiti di quanto previsto all’articolo 175 del CdS ed all’articolo
372 del relativo Regolamento di esecuzione. Ne risultano pertanto escluse, in particolare,
le componenti di traffico relative ai pedoni, ai velocipedi, ai ciclomotori, alla fermata ed alla
sosta (salvo quelle di
emergenza).
Secondo il D.M.
5/11/2001, alle
autostrade urbane
compete un intervallo
delle velocità di
progetto compreso
tra 80 km/h e 140
km/h; dal punto di
vista geometrico lo
stesso Decreto
propone gli schemi
riportati in figura 1.3.
In molte aree urbane
e metropolitane, la
composizione
strutturale e
funzionale delle
autostrade urbane è
stata affidata alle
cosiddette
tangenziali (Fig. 1.4) Figura 1.3 Sezioni trasversali delle Autostrade Urbane (D.M. 5/11/2001).
che collegano fra loro zone poste al contorno dell’area urbanizzata con un tracciato ad
anello o semianello senza interessare il centro abitato (ad es., il “Grande Raccordo
Anulare” di Roma, il sistema autostradale delle “Tangenziali di Milano” e la “Tangenziale
Ovest di Catania”). La posizione radiale di queste configurazioni stradali è fortemente
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
vincolata dalle previsioni di crescita urbanistica della città servita, onde evitare che la
realizzazione dell’infrastruttura venga a creare, piuttosto che un elemento di connessione,
una frattura del tessuto urbano e di separazione fisica. È già accaduto, infatti, che le
tangenziali siano state poi inglobate nel tessuto urbano, perdendo la loro funzione
originaria, e richiedendo così la necessità di essere duplicate in tracciati ancora più
esterni.
Nelle autostrade
urbane, le
intersezioni con le
altre strade (sempre
a livelli sfalsati), al
fine di garantire la
massima fluidità di
circolazione dei
veicoli, devono
essere molto
intervallate;
occorrerebbe infatti Figura 1.4. Tangenziale Ovest di Catania.
che le uscite e le
entrate che le allacciano alle altre strade siano in numero contenuto e distanziate tra loro
di almeno qualche chilometro: lo schema ideale è quello in cui le interconnessioni sono
esclusivamente realizzate con le strade di scorrimento (di attraversamento e/o di
penetrazione).
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
strade di categoria D compreso tra 50 km/h ed 80 km/h, in contrasto con le prescrizioni del
Codice della Strada che consentono di elevare la velocità massima sulle strade urbane di
scorrimento solo da 50 km/h a 70 km/h (in quest’ultimo caso si parla di strade a
scorrimento veloce).
Alcune città hanno realizzato strade urbane di scorrimento, ma altre, in ragione degli alti
costi e del grande impatto prodotto da queste infrastrutture, hanno sopperito alla crescita
della domanda di traffico veicolare usando, quali strade di scorrimento, alcune
infrastrutture esistenti riadattandole per mezzo di modifiche o sacrificando le altre funzioni.
Le strade che meglio si prestano a tale funzione sono quelle che hanno una carreggiata
centrale e contro-viali laterali separati da filari di alberi. In questo caso, la carreggiata
centrale può essere adibita al traffico di scorrimento ed i contro-viali restano destinati al
traffico di servizio, mentre la presenza degli alberi funge da schermo anti-rumore. Questo
schema offre anche il vantaggio di risolvere favorevolmente la svolta a sinistra con uno
schema di circolazione simile a quello descritto in figura 1.6: trattasi di un incrocio
semaforizzato in cui i veicoli che devono svoltare a sinistra impegnano prima il contro-viale
con una deviazione laterale a destra, e, durante una delle fasi semaforiche, attraversano
l’incrocio verso la
direzione
desiderata,
insieme ai veicoli
provenienti dalla
strada laterale.
Nelle strade
urbane di
scorrimento, le
connessioni con le
altre strade, al fine
Figura 1.6 Schema d’intersezione in strada urbana con presenza di contro-viale.
di garantire la
massima fluidità di circolazione dei veicoli, devono essere molto intervallate. Quando
invece si utilizzano infrastrutture esistenti, è conveniente attuare accorgimenti idonei non
solo ad isolare la mobilità principale da quella di servizio agli edifici prospicienti la strada,
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
ma anche a ridurre il numero delle immissioni e delle deviazioni verso le strade laterali,
interdicendone il collegamento con l’introduzione di marciapiedi, aiuole o altri ostacoli fissi,
deviando il traffico laterale su altre direttrici.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
categoria E, così come evidenziato nella figura 1.7. L’intervallo delle velocità di progetto è
compreso tra 40 km/h e 60 km/h (il CdS impone per le strade delle aree urbane il limite di
50 km/h, con la possibilità di elevare tale limite fino ad un massimo di 70 km/h per le
strade urbane le cui caratteristiche costruttive e funzionali lo consentano, previa
installazione degli appositi segnali).
Entrambe le normative evidenziano la necessità della presenza, ai lati della carreggiata,
dei marciapiedi per il transito dei pedoni; per il D.M. 5/11/2001, la larghezza minima è
fissata in 1,50 m, indicando che tale larghezza va opportunamente incrementata in base al
flusso pedonale previsto; il CdS, attraverso le prescrizioni dell’art. 20, comma 3, vincola
l’occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole o altre installazioni, purché siano
in adiacenza ai fabbricati e rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga
non meno di 2 metri; in ogni
caso, le occupazioni non
possono ricadere all’interno dei
triangoli di visibilità per le
intersezioni.
Il D.M. 236/1989 – “Prescrizioni
tecniche necessarie a garantire
l'accessibilità, l'adottabilità e la
visibilità degli edifici privati e di
edilizia residenziale pubblica
sovvenzionata e agevolata, ai
fini del superamento e Figura 1.8 Esempio di strada urbana di quartiere.
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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano
strade urbane locali, definite di categoria F, così come rappresentato nella figura 1.10. La
velocità massima non può generalmente superare i 50 km/h, con limitazioni anche a 30
km/h.
In questo tipo di
strade, la
conflittualità fra
mobilità veicolare
e pedonale è
massima e può
essere risolta in
modo tradizionale
con la creazione di
marciapiedi o di
Figura 1.10 Sezioni trasversali delle Strade Urbane Locali (D.M. 5/11/2001).
percorsi per il
passaggio dei pedoni, protetti mediante dissuasori o paletti ancorati a terra (si deve
considerare poco efficace la sola apposizione della segnaletica orizzontale).
Negli ultimi anni, rispetto alla tradizionale soluzione della separazione fisica degli spazi
riservati alle diverse utenze stradali, c’è stata un’evoluzione delle tecniche di gestione
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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CAPITOLO 2
Inquinamento atmosferico
e acustico in ambito urbano
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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
fastidiosi, in quanto rendono difficoltosa la conversazione tra due persone dotate di udito
normale).
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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
traffico; infatti l’andamento della concentrazione di CO misurato nei pressi della sezione di
una strada durante l’arco giornaliero è generalmente molto simile a quello dei flussi
veicolari che la percorrono (Fig. 2.2).
Inoltre il monossido di carbonio presenta una forte variabilità spaziale: in una strada
isolata la sua concentrazione mostra
di solito valori massimi nell’intorno
dell’asse stradale e decresce molto
rapidamente allontanandosi da esso,
fino a diventare quasi trascurabile a
una distanza di alcune decine di metri
dall’asse stesso (Fig. 2.3).
Figura 2.3 Andamento qualitativo della concentrazione
di CO nella sezione di una strada urbana. La presenza di CO nelle aree inquinate
mostra anche una pronunciata
variabilità in funzione delle condizioni atmosferiche ed è, in particolare, notevolmente
influenzata dalla presenza di vento che tende a ridurne l’entità.
Le emissioni di ossidi di zolfo (principalmente SO2) sono dovute prevalentemente all’uso di
combustibili solidi e liquidi e sono correlate al contenuto di zolfo nei combustibili stessi, sia
come impurezze sia come costituenti la formazione molecolare del combustibile (oli).
Gli ossidi di zolfo sono tipici inquinanti delle aree urbane e industriali ove la elevata
densità degli insediamenti ne favorisce l’accumulo, soprattutto in condizioni
meteorologiche sfavorevoli di debole ricambio di masse d’aria. Le situazioni più gravose
sono ovviamente rappresentate dai periodi invernali ove alle altre fonti di combustione si
aggiunge quella del riscaldamento domestico. Per le sue caratteristiche di stabilità chimica
in atmosfera e per la facilità di rilevamento, la SO2 è spesso utilizzata come indice globale
di inquinamento atmosferico.
Con il termine idrocarburi si intende i composti organici costituiti da atomi di carbonio e
idrogeno; si tratta dei costituenti fondamentali del petrolio.
Due sono i principali problemi derivanti dalla presenza di idrocarburi nell’atmosfera. Il
primo è connesso alla partecipazione ai processi di formazione dello smog fotochimico, ai
quali prendono però parte solo alcuni di questi composti, che vengono indicati col termine
36
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
di idrocarburi reattivi (RHC). Il secondo problema è legato alle proprietà degli idrocarburi
stessi, che possono essere causa di danni sia all’uomo che alle altre forme viventi.
Gli idrocarburi non aromatici non sono attualmente considerati inquinanti in senso proprio.
Infatti le concentrazioni alle quali essi diventano tossici sono talmente elevate da risultare
altamente improbabili nella nostra atmosfera. Gli idrocarburi aromatici sono invece da
considerarsi inquinanti primari.
I veicoli stradali sono considerati tra le sorgenti più importanti di idrocarburi aromatici, circa
l’80% delle emissioni di benzene (C6H6) è dovuta alle autovetture.
L’ozono o ossigeno triatomico (O3), è un gas incolore dall’odore pungente che fa parte dei
normali costituenti dell’aria. I problemi di inquinamento dell’aria da ozono sono legati al
significativo incremento che la concentrazione di questo gas subisce in zone
immediatamente prossime al suolo a causa dei fenomeni di formazione dello smog
fotochimico, di cui esso è un importante costituente. Le cause dell’inquinamento da ozono
sono quindi le stesse che provocano l’esistenza dello smog fotochimico, ovvero
l’emissione di idrocarburi e ossidi di azoto dovuta in buona parte ai mezzi di trasporto.
Gli ossidi di azoto (NOx) sono
attualmente tra gli inquinanti ritenuti
maggiormente pericolosi, sia per
l’azione specifica dell’NOx, sia per
la loro partecipazione alla
formazione dello smog fotochimico.
La miscela di NOx presente nell’aria
di una zona inquinata da traffico
stradale è composta principalmente
Figura 2.4 Andamento della concentrazione di NO, NO2 e
da NO ed NO2. NOx ai margini di una sezione stradale a forte traffico
veicolare.
Il tipico andamento giornaliero della
concentrazione di monossido di
azoto, biossido di azoto e ossidi di azoto totali nei pressi di una strada urbana a elevato
traffico è mostrato in figura 2.4.
Il piombo è un metallo pesante dagli effetti tossici per l’uomo. La principale causa della
presenza di composti del piombo nell’atmosfera è di tipo antropico e consiste in alcune
37
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
attività industriali e nella combustione, nei mezzi di trasporto, di benzine contenenti alcuni
composti del piombo con funzioni antidetonanti. La quota di questo inquinante attribuibile
al traffico stradale dipende, nei vari Paesi, dal contenuto di piombo nella benzina.
Lo smog fotochimico è il prodotto di complesse reazioni. Alla base della formazione di
questo tipo di smog sono gli ossidi di azoto, gli idrocarburi ed altri componenti organici,
che si trovano a essere presenti nell’atmosfera; per effetto della luce solare (da cui la
definizione di fotochimico) si innesca un sistema di reazioni particolarmente complesso. Il
fenomeno dello smog fotochimico presenta quindi un andamento regolare nel corso della
giornata, che si lega all’andamento del traffico ed al grado di insolazione. Questo
fenomeno è, quindi, tipico delle grandi aree metropolitane, e si forma nel periodo estivo,
allorché si verificano condizioni di temperatura elevata, assenza di copertura nuvolare e
condizioni di stabilità atmosferica.
Al contrario la concentrazione degli inquinanti primari nell’atmosfera è massima in inverno,
in quanto le condizioni di stabilità atmosferica sono più frequenti e all’inquinamento da
traffico si somma l’inquinamento dovuto al riscaldamento domestico.
38
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
1. i valori limite di qualità dell’aria, costituiti dai limiti massimi di accettabilità delle
concentrazioni a cui si ritiene possa essere esposto l’uomo all’esterno degli edifici e
dai corrispondenti limiti massimi di durata di esposizione;
2. i limiti di allarme, definiti come quei valori di concentrazione tali da determinare
condizioni di inquinamento che, se persistenti, determinano il rischio di superamento
dei valori limite e, quindi, un rischio sanitario per la popolazione;
3. i livelli di attenzione, definiti come quei valori di concentrazione tali da determinare
condizioni di inquinamento che, se persistenti, determinano il rischio di raggiungimento
dello stato di allarme;
4. i livelli per la protezione della vegetazione, definiti come quei valori della
concentrazione oltre i quali la vegetazione può subire danni, attualmente validi solo
per l’ozono;
5. i livelli per la protezione della salute, definiti come quei valori di concentrazione che
non devono essere superati ai fini della protezione della salute umana in casi di
episodi prolungati di inquinamento, attualmente validi solo per l’ozono;
6. i valori guida di qualità dell’aria, che specificano i limiti di concentrazione ed
esposizione nell’ambiente esterno agli edifici e sono sia finalizzati alla prevenzione a
lungo termine della salute umana e dell’ambiente, sia atti a costituire parametri di
riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione ambientale per le quali è
necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria.
In Italia, le Norme definiscono lo stato di attenzione come quella situazione in cui in
almeno il 50% delle stazioni di monitoraggio della rete metropolitana si registri il
superamento del 50% del livello di allarme di uno degli inquinanti regolamentati, fatta
eccezione per i valori relativi all’SO2 e alle particelle sospese che devono essere superati
congiuntamente in tutte le stazioni nell’arco della giornata. Lo stato di allarme viene invece
definito come quella situazione in cui in almeno il 50% delle stazioni di monitoraggio
funzionanti della rete metropolitana si registri il superamento dei valori del limite di allarme
di uno degli inquinanti regolamentati, fatta eccezione per i valori relativi ai parametri di SO2
e particelle sospese che devono essere superati congiuntamente in tutte le stazioni
nell’arco della giornata.
39
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Tabella 2.2 Livelli di attenzione e di allarme per i principali inquinanti (D.M. 25/11/1994)
Con il Decreto del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Sanità del 20
maggio 1991 (Criteri per la raccolta dei dati inerenti alla qualità dell’aria) vengono definite
le funzioni dei sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria. Il Decreto stabilisce i criteri per
la raccolta dei dati sulla qualità dell’aria, le competenze per la vigilanza, il controllo, la
gestione e l’esercizio dei sistemi di rilevamento, ed infine la regolamentazione delle
situazioni di inquinamento che determinano stati di allerta e di emergenza. La
configurazione del sistema di monitoraggio nazionale introdotta dal Decreto è strutturata
su tre livelli: nazionale, regionale e provinciale.
Le funzioni di livello nazionale consistono nella raccolta e pubblicazione dei dati nazionali
sulla qualità dell’aria, nella definizione dei livelli di pericolosità, nella determinazione delle
modalità di misura e nell’omologazione delle strumentazioni per il rilevamento di tali
sostanze.
Le funzioni di livello regionale consistono invece nel coordinamento dei piani provinciali,
anche al fine della predisposizione, verifica e aggiornamento dei piani di risanamento
regionale.
Le funzioni di livello provinciale consistono nella gestione e nella garanzia di
funzionamento del sistema di rilevamento sul territorio, nelle garanzie delle misure, nel
controllo e la prevenzione dell’inquinamento. I sistemi di rilevamento devono essere dotati
di un centro operativo di raccolta dati (COP, centro operativo provinciale) al quale
afferiscono tutte le postazioni ubicate sul territorio. Ad esso sono attribuite le attività di
gestione tecnico-operativa delle reti pubbliche, la supervisione dei sistemi di rilevamento e
40
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
41
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
abitativa della zona, dalla struttura degli insediamenti, dalla presenza e dal tipo di sorgenti
di emissione, dalla situazione meteorologica tipica, dall’estensione geografica dell’area e
dal numero di abitanti.
Il Decreto stabilisce comunque il numero minimo indicativo di stazioni per tre classi di
centri urbani individuate attraverso il numero di abitanti (Tab. 2.3).
Tabella 2.3 Numero minimo di stazioni di monitoraggio per classi di centri urbani (1991).
42
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
43
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Questi parametri sono molteplici e possono essere raggruppati in funzione della loro
natura. In un primo gruppo si possono individuare i parametri rappresentativi delle
caratteristiche costruttive del veicolo, distinte in caratteristiche generali del veicolo (peso a
vuoto, efficienza aerodinamica, etc.) e caratteristiche dell'apparato di propulsione (tipo di
motore, tipo di combustibile utilizzato, caratteristiche del fluido evolvente, tipo di dispositivi
di controllo delle emissioni, caratteristiche di cilindrata e di potenza).
Una seconda categoria di parametri comprende quelli che influenzano lo stato della
meccanica del veicolo, come ad esempio lo stato di usura, lo stato di manutenzione e le
condizioni di regolazione.
In un terzo gruppo possono essere individuati i parametri che rappresentano le condizioni
operative del veicolo nelle condizioni reali di traffico, queste possono essere a loro volta
descritte da due categorie di variabili, fra loro dipendenti: quelle legate alla dinamica del
motore, le più importanti delle quali sono la velocità di rotazione del motore e l'entità del
carico a esso fornito e quelle che descrivono lo stato termodinamico del fluido evolvente
all'interno del cilindro (temperatura del motore, umidità e densità dell'aria, etc.).
Le variabili che descrivono la dinamica di funzionamento dell'apparato di propulsione sono
peraltro legate ai parametri cinematici del moto del veicolo nel suo complesso (velocità,
accelerazione, etc.).
Le caratteristiche costruttive e operative del veicolo sono influenzate a loro volta dalle
condizioni dell'ambiente esterno, sia da quelle riguardanti la vita passata del veicolo sia da
quelle operative ovvero attuali. Fra le prime sono importanti i vincoli di produzione, ovvero
le condizioni tecnologiche, decisionali e legislative in essere al momento della produzione
del veicolo e che quindi ne influenzano le caratteristiche costruttive.
Le caratteristiche operative dell'ambiente esterno, che condizionano quelle del veicolo,
possono essere raggruppate in diversi sottoinsiemi:
Ø lo stato dell'aria esterna (temperatura ambientale, pressione atmosferica, umidità
relativa dell'aria);
Ø le caratteristiche della via (pendenza longitudinale, sinuosità, caratteristiche della
pavimentazione);
Ø le condizioni del traffico (caratteristiche di deflusso);
44
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Ø il tipo di uso attuale del veicolo (massa trasportata, lunghezza degli spostamenti,
comportamento del guidatore).
I modelli di emissione possono essere distinti in due grandi categorie: modelli riferiti a
condizioni istantanee del moto e modelli riferiti a condizioni medie.
I modelli del primo tipo, definiti usualmente modelli modali o modelli dinamici, consentono
di calcolare le emissioni in funzione delle condizioni istantanee del moto, in particolare
della velocità e dell’accelerazione istantanee.
I modelli del secondo tipo, detti modelli medi o modelli statici, possono essere riferiti a
condizioni di moto uniforme, oppure di moto vario caratterizzato da un valore medio della
velocità, risultante dall’esecuzione di un determinato ciclo di guida.
I modelli dinamici trovano applicazione quando si vuole analizzare la distribuzione delle
emissioni lungo un tronco stradale, oppure in un punto nodale della rete. Ad esempio, nel
caso di un tronco delimitato da due intersezioni è possibile individuare un tratto iniziale nel
quale i veicoli effettuano manovre di accelerazione, un tratto intermedio percorso a
velocità costante, un tratto terminale percorso a velocità decrescente e, infine, un tratto in
cui sostano i veicoli che si arrestano all’intersezione finale.
I modelli statici trovano applicazione quando non è richiesto il precedente livello di
disaggregazione delle emissioni, ad esempio per valutare le condizioni di inquinamento
medio di un’area urbana, oppure dei livelli di inquinamento prodotti da un tronco stradale
in condizioni di flusso ininterrotto.
I modelli dinamici di emissione sono in genere utilizzati insieme a modelli di deflusso molto
dettagliati; essi necessitano infatti di dati sulle velocità e sulle accelerazioni istantanee dei
veicoli e di dati sulla densità dei flussi di traffico che servono a riportare le emissioni dei
singoli veicoli a emissioni degli interi flussi.
Il modello di deflusso è in generale composto da un modello di coda, che permette il
calcolo dei parametri delle code che si verificano in corrispondenza dei punti nodali della
rete stradale e da un modello di deflusso, che consente di conoscere le condizioni del
moto in qualunque punto della rete e che utilizza anche i risultati del modello di coda.
Tra i modelli dinamici di uso frequente, che si differenziano essenzialmente per le diverse
caratteristiche del parco veicolare e per le condizioni ambientali per i quali sono stati
sviluppati, i più diffusi sono il CALINE4 e il modello MODEM.
45
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
dove i coefficienti β dipendono sia dalla sostanza inquinante che dal tipo di veicolo (Tab
2.4). La relazione sopra indicata è riferita alla classificazione dei veicoli che tiene conto
€
delle caratteristiche di omologazione adottate dalla Comunità Europea e recepite anche in
Italia (Tab. 2.5).
Le sostanze inquinanti considerate nel modello sono il CO, gli HC, gli NOx, la CO2, il PTS
e il NO2. La generica equazione sopra definita è valida in un intervallo di velocità
comprese tra 0 e 110 km/h.
46
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Eibase (v m ) = ∑ c ⋅ (b
g
i,g
1 ⋅ v 2m + bi,g i,g
2 ⋅ vm + b3 )
g=1
δEi,g (
i,g
p (p) = k ⋅ p )
dove il coefficiente ki,g dipende dal tipo di inquinante e dalla categoria veicolare. A causa
della mancanza di dati utili, il modello non tiene conto delle sovraemissioni evaporative di
€
HC.
Per ciò che concerne le variazioni di emissione dovute all’evoluzione dello stato della
meccanica del veicolo, si può ritenere che esse siano implicitamente considerate dalle
funzioni di emissione di base, le quali non si riferiscono a veicoli nuovi ma a veicoli in uno
stato medio della meccanica. Il fattore di emissione composito è quindi dato da:
ng
δEi (v m , T, p) = ∑ c ⋅ (βg
i,g
1 ⋅ v 2m + βi,g i,g
)( i,g ι,g
2 ⋅ vm + β3 ⋅ 1 + τ1 ⋅ T + τ2 )
+ k i,g ⋅ p
g=1
espresso in g⋅km-1.
€ A questo punto può essere calcolata l’emissione media QL dovuta a un flusso di traffico f,
in cui i veicoli siano presenti nella percentuale precedentemente assunta e si muovano
tutti con la medesima velocità media. Se il flusso è espresso in veic⋅h-1, si ha che QL viene
espressa in g⋅m-1⋅s-1 nella maniera seguente:
47
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
48
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
49
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
(*)
con dispositivi di controllo delle perdite dal sistema di alimentazione
Tabella 2.6 Coefficienti per il calcolo delle sovraemissioni dovute al funzionamento a freddo dei veicoli.
50
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
51
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Il primo approccio,
denominato euleriano,
consiste nel descrivere
il comportamento di una
determinata sostanza
presente nell’atmosfera
attraverso un sistema di
assi coordinati fissi. Il
secondo approccio,
detto lagrangiano,
Figura 2.5 Differenza tra gli approcci lagrangiano ed euleriano nella
riferisce invece la descrizione della dispersione.
descrizione del
d’impiego. Nei modelli gaussiani si assume che il materiale inquinante venga trasportato
dal vento nel verso in cui esso spira, e che la distribuzione della concentrazione
52
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
dell’inquinante in un piano verticale, perpendicolare alla direzione del vento, possa essere
espressa da una legge di tipo gaussiano (Fig. 2.6).
Nella sua formulazione standard il modello gaussiano è sottoposto alle seguenti
limitazioni:
• stazionarietà delle emissioni: si assume che le emissioni siano costanti e continue;
• stazionarietà e omogeneità delle condizioni atmosferiche: si assume che non
intervengano variazioni della direzione e della velocità media del vento, della stabilità
atmosferica, durante il trasporto dell’inquinante dalla sorgente al ricettore, questa
ipotesi è ragionevole solo per brevi distanze e in assenza di rapide variazioni delle
condizioni meteorologiche;
• assenza di reazioni chimiche nell’atmosfera che interessino gli inquinanti e di
fenomeni di deposizione al suolo;
• estensione indefinita del dominio spaziale di dispersione degli inquinanti: si assume
che la dispersione non sia alterata dalla presenza del suolo, di ostacoli, di
stratificazioni termiche dell’atmosfera.
La rimozione di queste ipotesi porta a differenti espressioni del modello, che però, pur
“complicando” la forma dell’equazione analitica non incrementano significativamente il
livello di precisione del modello.
Nel caso di una sorgente puntiforme, viene introdotto un riferimento cartesiano, avente
l’origine coincidente con la sorgente, l’asse x orizzontale e coincidente con la direzione del
vento, l’asse z verticale, l’asse y orizzontale e perpendicolare al piano individuato dai primi
due. Nel piano verticale a distanza x dall’origine la distribuzione della concentrazione
risulta espressa dalla relazione:
, & y )2 / , 2/
Q 1 1 & z )
C(x, y, z) = exp.− (( ++ 1 exp.− ( + 1
2 ⋅u ⋅ π ⋅σy ⋅σz . 2 'σ y * 1 . 2 'σ z * 1
- 0 - 0
dove:
Ø C(x,y,z) = concentrazione di inquinante nel punto di coordinate (x,y,z) (g/m3);
€
Ø Q = quantità di inquinante emessa dalla sorgente nell’unità di tempo (g/sec). Il modello
fornisce risultati particolarmente attendibili nel caso di inquinanti primari come il CO;
Ø u = velocità media del vento (m/sec);
53
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Ø σy, σz = parametri della dispersione (scarti quadratici medi della distribuzione della
concentrazione) nelle direzioni y e z in funzione della distanza x e delle caratteristiche
di stabilità atmosferica (m).
Per i coefficienti di dispersione σy e σz si osserva che le espressioni presenti in letteratura
valide per sorgenti statiche mal si prestano allorché le sorgenti sono costituite da veicoli in
movimento; i coefficienti σy e σz possono essere pertanto calcolati tramite le seguenti
espressioni, stimate mediante misurazioni effettuate in prossimità di più strade:
+ % 3 2 (/
- '&0,39⋅( lnD) −4,76⋅( ln D) +20,95⋅( lnD)−32,67*) - σ
σ y = 1, 85 ⋅ ,1 + e 0 σz = y
-. -1 ; 4, 2
54
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Un parametro molto significativo in tal senso è il coefficiente di forma αc, dato dal rapporto
tra l’altezza e la larghezza del canyon:
H
αc =
W
Le caratteristiche del flusso atmosferico sono individuate dal valore della velocità media
€ del vento v misurato in corrispondenza dei tetti degli edifici e dal valore della velocità
media del vento all’interno del canyon vc.
La caratteristica fondamentale di un canyon urbano è data dalla tendenza a favorire, in
determinate condizioni, l’instaurarsi di una circolazione d’aria di tipo fortemente locale,
data dalla presenza di un flusso elicoidale con asse parallelo all’asse longitudinale del
canyon e contenuto all’interno di questo.
Generalmente i modelli empirici presuppongono che la concentrazione inquinante
esistente all’interno del canyon sia data dalla somma di due contributi. Il primo,
denominato contributo locale cc, è dato dall’aliquota derivante dalla dispersione
dell’inquinante emesso dai veicoli che transitano nel canyon. Il secondo, denominato
contributo di aria ca, deriva dalla dispersione dell’inquinante emesso da tutte quelle
sorgenti presenti nell’aria circostante. La concentrazione totale esistente all’interno del
canyon è quindi data da:
c = cc + ca
La configurazione geometrica di riferimento è quella in cui gli edifici posti ai due lati della
strada hanno altezze tra loro comparabili (αc≅1). Si suppone inoltre che il regime di
circolazione dell’aria all’interno del canyon sia determinato dall’instaurarsi di un unico
vortice primario elicoidale. In queste condizioni, la concentrazione esistente nelle zone
sottovento è mediamente maggiore di quella che si riscontra nel lato sopravvento della
strada (Fig. 2.7). Il modello si basa sull’ipotesi che il contributo locale alla concentrazione
di CO sia direttamente proporzionale all’entità delle emissioni locali e inversamente
proporzionale sia alla velocità del vento al livello del suolo che alle dimensioni verticali
della zona di mescolamento.
55
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
La velocità del vento al suolo è assunta proporzionale alla somma tra la velocità media del
vento v misurata al livello dei tetti (in m/s) e la velocità media del flusso d’aria indotta dal
moto dei veicoli, supposta pari a 0,5 m/s:
vs = kv•(v + 0,5)
Z = kl•(LR + LO)
QL
cc,L = K L ⋅
(v + 0.5) ⋅ (L + Lo )
Z = kw•W
€ 56
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
in cui il coefficiente (H-Z)/H è stato introdotto per tenere conto di un aumento della
concentrazione all’aumentare della distanza dalla sommità dei tetti e quindi dell’estensione
dell’arco elicoidale di vortice sottostante. Il coefficiente KW= 1/(kv.kw) è stato
sperimentalmente stimato pari a KL.
Le equazioni che esprimono le concentrazioni cc,L e cc,W sono ritenute valide solo per valori
dell’angolo formato dalla direzione del vento medio ai tetti e l’ortogonale all’asse della
strada compresi tra 0° e ±45°. Per valori maggiori di quest’angolo si considera la
concentrazione pari alla media dei valori corrispondenti ai settori sopravvento e
sottovento:
cc,I =
(cc,L + cc,W )
2
Una variante del modello box tradizionale è rappresentata dalla formulazione di Tartaglia,
€
la quale consente il calcolo della concentrazione complessiva di CO, e non più solo di
quella locale, in un punto del canyon.
La versione del modello di dispersione per una strada a canyon ottenuta da Tartaglia è la
seguente:
c = kc•cc + ko,
Tabella 2.7 Coefficienti sperimentali di Tartaglia per il calcolo della concentrazione di CO nei canyon.
57
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
dove :
• CNOx = concentrazione di NOx (µg/m3);
€
• Qs = emissioni medie di NOx (g/m•s);
• F = fattore di forma funzione del settore di direzione del vento considerato (m-1);
• V = velocità media del vento al livello dei tetti (m/s);
• T = temperatura dell’aria esterna (°C);
• H = altezza di mescolamento coincidente con l’altezza media del canyon (m);
• Radi = radiazione solare oraria, dove la sommatoria è estesa alle 23 ore precedenti
quella a cui il calcolo è riferito (W/m2);
• a, b, c, di, ko sono coefficienti adimensionali del modello.
I fattori di forma F sono espressi in funzione dell’altezza media degli edifici H (m), della
larghezza del canyon W (m), della distanza del punto recettore dall’asse stradale x (m),
dell’altezza del recettore z (m), della lunghezza di mescolamento Lo (m) indotta dal moto
veicolare e posta uguale a 2 m (Tab. 2.8).
-1
Settore Fattore di forma F (m )
h− z
Sopravvento 7⋅
h⋅w
1
7⋅
Sottovento
x2 + z2 + Lo
€
Intermedio (FW + FL ) / 2
Tabella 2.8 Fattori di forma del modello di Gualtieri e Tartaglia.
€
€
58
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Settore a b c di ko
Sopravvento 2,17 -0,73 0,03 -0,23÷0,22 228,07
Sottovento 1,74 -1,18 0,03 -0,20÷0,20 166,15
Intermedio 2,08 -2,00 0,06 -0,16÷0,16 113,90
59
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
60
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
61
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Peculiarità essenziale delle suddette Norme è la suddivisione del territorio in sei classi, per
ciascuna delle quali vengono fissati, in relazione alla diversa destinazione d’uso, i valori
massimi di livello sonoro equivalente per il giorno (considerato dalle ore 6.00 alle ore
22.00) e per la notte (dalle 22.00 alle 6.00). Le denominazioni delle suddette classi e dei
rispettivi limiti sono riassunti nella tabella 2.10.
Tabella 2.10 Limiti massimi del livello sonoro equivalente relativi alle classi di destinazione d’uso.
Per le zone non esclusivamente industriali, oltre ai limiti massimi sopra riportati, sono
anche stabilite le seguenti differenze (criterio differenziale) tra il livello equivalente del
rumore ambientale e quello del rumore residuo (livello sonoro equivalente in assenza di
specifiche sorgenti disturbanti): 5 dBA per il periodo diurno e 3 dBA per quello notturno. La
misura deve essere effettuata all’interno delle abitazioni e nel tempo di osservazione del
fenomeno acustico specifico.
La Normativa sul rumore ambientale, inoltre, precisa le competenze dello Stato, delle
Regioni, delle Province e dei Comuni; in particolare:
• le Regioni devono emanare direttive per la predisposizione da parte dei Comuni di
Piani di risanamento acustico del territorio, in accordo con la suddivisione in classi
riportata nella tabella 2.10;
• il Piano comunale di risanamento acustico deve essere coordinato con il Piano Urbano
del Traffico e, inoltre, nei Comuni con popolazione superiore a 50000 abitanti, la
Giunta Comunale è tenuta a presentare al Consiglio Comunale una relazione biennale
sullo stato acustico del Comune;
• le Regioni hanno facoltà di concedere contributi ai Comuni e alle Province per
l’organizzazione di un sistema di monitoraggio e di controllo, nonché per le misure
previste dai Piani di risanamento;
62
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
63
Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Un parametro da tenere sotto controllo è rappresentato dalla velocità media del flusso
veicolare. È importante che essa non subisca, come di norma avviene nelle aree urbane,
o in situazioni di congestione, variazioni rapide e frequenti, in quanto le accelerazioni e
decelerazioni dei veicoli producono fluttuazioni del livello di rumore che influiscono
negativamente sul disturbo indotto alla popolazione. A tal fine il provvedimento più ovvio
potrebbe essere l’imposizione di limiti di velocità, da integrare, dove si ritenga necessario,
con idonei interventi di traffic calming.
Altri interventi di regolamentazione del traffico, sono poi rappresentati dalla creazione di
isole e vie pedonali, di piste ciclabili, di ampi parcheggi in prossimità delle zone con divieto
di transito. Sarebbe auspicabile, ai fini di una efficace riduzione dei livelli di rumore, un
utilizzo quanto più limitato possibile del mezzo proprio a favore dei mezzi di trasporto
pubblico, o di veicoli elettrici, o, ancora, di velocipedi, il che contribuirebbe notevolmente
anche alla mitigazione dell’inquinamento atmosferico.
Accanto alle azioni appena esposte, mirate essenzialmente a ridurre la produzione di
rumore alla sorgente, esistono i cosiddetti interventi passivi che, invece, servono a
proteggere i ricettori dagli effetti indotti dal rumore veicolare; tra questi, citiamo:
• pavimentazioni drenanti-fonoassorbenti;
• barriere acustiche artificiali;
• barriere miste (biomuri);
• barriere acustiche naturali.
Negli ultimi anni la tecnica della pavimentazione drenante-fonoassorbente si è andata
sempre più sviluppando grazie soprattutto all’uso di bitumi modificati che hanno consentito
di ottenere miscele bituminose caratterizzate da una struttura alveolare con elevata
percentuale dei vuoti, senza, tuttavia, penalizzare le caratteristiche di resistenza del
conglomerato stesso.
Con questo tipo di strato superficiale, oltre alla riduzione del rumore di rotolamento (si
riduce fondamentalmente il fenomeno del pompaggio dell’aria), si evita il fenomeno delle
riflessioni multiple (i cosiddetti riverberi) fra pneumatici e strada, o fra il pianale del veicolo
e la pavimentazione, e l’energia che penetra nel conglomerato si dissipa gradualmente per
rifrazione fra i granuli di pietrisco garantendo, in definitiva, una riduzione media della
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
calore. Questo percorso di ostacoli può essere costituito anche dalle superfici delle foglie
dei rami e rametti della vegetazione.
Nel caso del rumore stradale le frequenze presenti sono molteplici e la sorgente non può
considerarsi puntiforme; la protezione vegetale, pertanto, non sempre è efficace in quanto,
spesso, difetta di continuità nello spazio e perché la sua struttura può cambiare nel tempo
a causa delle trasformazioni stagionali delle essenze arboree. Le barriere vegetali
contribuiscono poi al miglioramento ambientale sia dal punto di vista estetico che della
stabilità dei terreni; inoltre, si hanno anche benefici legati all’assorbimento di particolari
sostanze inquinanti prodotte dal traffico.
In ogni caso, con le barriere vegetali si può arrivare ad abbattimenti di 5-10 dBA a
seconda della specie, dell’altezza, della densità e della posizione della barriera; a tal
proposito buoni risultati sono stati ottenuti combinando alberi e cespugli messi a dimora in
fasce di 6-7 m di profondità, parallelamente alla strada.
" 25 %
Leq = 35.1 + 10 log(Ql + 8Qp ) + 10 log$ ' + ΔL v + ΔL f + ΔLb + ΔLs + ΔLg + ΔL vb dB(A)
#d &
dove:
€
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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Tabella 2.11 Fattori di correzione per le diverse velocità medie del deflusso.
Tipo di superficie stradale ΔLs (dBA)
Conglomerato bituminoso liscio -0,5
Conglomerato bituminoso ruvido 0
Cemento +1,5
Superficie di rotolamento lastricata scabra +4,0
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Il metodo del CNR considera separatamente il traffico pesante e, ad ogni veicolo pesante,
attribuisce il valore di otto veicoli leggeri, tenendo così in conto la differente rumorosità
delle due categorie di automezzi. Tale coefficiente di correlazione è stato ottenuto
sperimentalmente confrontando il Leq medio dei veicoli pesanti con il Leq medio di quelli
leggeri; la differenza fra i due Leq,m è risultata pari a 8,9 dBA, valore che in termini
energetici corrisponde a circa otto volte l’energia unitaria media emessa da un veicolo
leggero.
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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
Le vibrazioni via terra possono essere facilmente ed efficacemente attutite mediante una
serie di accorgimenti costruttivi, quali:
Ø isolare l’edificio dalla sorgente di vibrazioni, interponendo tra sorgente e ricettore una
struttura “elastica” sufficientemente approfondita nel terreno (intercapedine in c.a.,
diaframma in pietrame a secco, etc.);
Ø approfondire il piano di fondazione dell’edificio rendendolo meno sensibile alle onde
vibratorie;
Ø irrigidire la struttura dell’edificio spostando tutte le risonanze strutturali oltre l’intervallo
di frequenza in cui sono comprese le sollecitazioni.
Tabella 2.15 Reazioni umane ed effetti sulle costruzioni a varie velocità di vibrazione.
Particolare attenzione incomincia ad essere data pure alle vibrazioni che si propagano via
aria: esse sono chiamate anche infrasuoni. Esse derivano da onde sonore a bassa
frequenza (inferiore a 100 Hz) provenienti quasi unicamente dai motori dei veicoli,
soprattutto quelli diesel; si ritiene che tali vibrazioni non danneggino gli edifici: il loro effetto
principale e più intrusivo è dato dal far vibrare finestre e porte.
Queste onde obbediscono alle leggi del suono, ma poiché presentano basse frequenze e
grandi lunghezze d’onda, si attenuano relativamente poco con la distanza e con
l’isolamento sonoro. In definitiva, al contrario delle vibrazioni via terra, le vibrazioni via aria
sono di difficile eliminazione: questo deve rappresentare un motivo ulteriore di controllo
del traffico in aree urbane.
Un effetto benefico di riduzione delle vibrazioni si può avere sostituendo, nei mezzi di
trasporto pubblico, i motori diesel con i motori elettrici.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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CAPITOLO 3
73
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
Un’ulteriore considerazione è che la ripartizione del tempo tra movimento e sosta dei
veicoli è fortemente sbilanciata verso la sosta: mediamente l’automobile è usata solo per
due ore al giorno, mentre le altre 22 sta ferma.
Nelle zone centrali della città, poi, solo 10 autoveicoli su 100 sono in movimento ed inoltre
l’uso dell’auto come mezzo per gli spostamenti in città supera di gran lunga tutti gli altri. In
tale contesto, la maggiore preoccupazione riguarda le strade urbane che, essendo la
categoria principale degli spazi urbani, rivestono un ruolo fondamentale nella vita sociale,
fisica, economica e culturale dei cittadini stessi.
Affinché tutto funzioni nel migliore dei modi, non potendo aumentare la sezione delle
strade esistenti nei centri storici, è necessario rendere libere le strade medesime da tutto
ciò che non è flusso veicolare in movimento.
Occorrono quindi spazi per il parcheggio temporaneo (per i non-residenti) da sommare a
quelli permanenti (per i residenti).
La larghezza limitata della sede stradale dei centri antichi consiglia una classificazione
delle esigenze da soddisfare in base alla seguente scala di priorità:
Ø il transito dei pedoni, possibilmente in sede protetta (portico, marciapiede);
Ø il transito delle auto (magari a senso unico);
Ø la sosta temporanea per il carico-scarico delle merci;
Ø il parcheggio delle auto dei residenti e degli esterni.
Risulta quindi necessario ridurre drasticamente la possibilità di parcheggiare sulla sede
stradale, ossia cercare di spingere i residenti a cercare soluzioni stabili diverse da quelle
del parcheggio dell’automobile sulla pubblica via.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
75
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
manovra.
Le aree di sosta sono zone in cui compaiono, opportunamente segnalate, le prescrizioni
delle modalità di movimento, la determinazione degli stalli (posti auto) e dei corselli, e
l’indicazione della durata massima della sosta. Possono essere collocate marginalmente
alla carreggiata oppure in piazzali, comunque in luoghi adibiti per la sosta vera e propria.
Sulla sede stradale si hanno:
Ø corsie di sosta sulla carreggiata stessa, con stazionamento dei veicoli in file parallele
al traffico;
Ø banchine di sosta in rientranza ai marciapiedi, con veicoli in fila secondo la direzione
del traffico;
Ø zone laterali di sosta dove i veicoli sono posti ortogonalmente o in modo inclinato
rispetto al traffico.
Nei piazzali si hanno:
• spazi per la sosta suddivisi in stalli;
• corselli per la distribuzione.
Un’area o un edificio adibiti a parcheggio possono essere strutturati in due modi, in
rapporto alla dimensione e alla forma dell’area da adibire a parcheggio:
Ø a sviluppo orizzontale (parcheggi in superficie, a raso o a livello);
Ø a sviluppo verticale (parcheggi interrati, in elevazione, misti).
Tra i parcheggi a sviluppo verticale vi sono:
1) autorimesse a rampe suddivise in:
• a rampe rettilinee a senso unico (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso
lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);
• a rampe rettilinee a doppio senso (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso
lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);
• a rampe elicoidali a senso unico (continue: sovrapposte o concentriche; discontinue:
separate e sovrapposte);
• a rampe elicoidali a doppio senso (continue; discontinue e sovrapposte);
2) autorimesse meccaniche o autosilo suddivise in:
• automatizzate (a stallo fisso, a stallo mobile, miste);
• semiautomatiche (con montacarichi centrale, con elevatore di stalli, con piattaforme
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Area per
Localizzazione 2 Ogni
parcheggio (m )
3
Nuove costruzioni (in aggiunta ai valori seguenti) 1 20 m di costruzione
Insediamenti Zona C 2,5 1 abitante
residenziali Zone A e B 1,25 1 abitante
Commerciale o direzionale 40 100 m2 di superficie lorda
degli edifici
Commerciale o direzionale in 20 100 m2 di superficie lorda
zona A e B degli edifici
Industrie o assimilati 10% del totale dell’area destinata a spazi pubblici
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Ø parcheggi di relazione: per la sosta breve o di media durata (per utenti di servizi e
visitatori);
Ø parcheggi di scambio: destinati alla sosta di media durata.
In particolare i parcheggi di scambio, specie nelle aree urbane di maggiori dimensioni,
devono favorire l’intermodalità dei movimenti sulle direttrici centro-periferia, prevedendo
adeguati spazi di sosta, preferibilmente custodita, in prossimità delle principali
interconnessioni tra la rete viaria di adduzione all’area urbana ed i terminali periferici delle
linee di trasporto pubblico collettivo. In maniera analoga, i parcheggi scambiatori possono
essere utili anche nelle aree urbane di piccole dimensioni, in assenza di trasporto
pubblico, con riferimento alla possibilità di proseguire lo spostamento a piedi, con un
percorso pedonale di lunghezza accettabile.
Il PUT deve inoltre prevedere la tariffazione della sosta su strada in determinati ambiti
urbani, come strumento di ottimizzazione dell’equilibrio tra domanda ed offerta di sosta e,
di conseguenza, come elemento tendente a favorire l’uso di sistemi di trasporto alternativi
rispetto a quello privato individuale. Richiamando l’articolo 7 del CdS, le Direttive
ribadiscono poi che la tariffazione della sosta su strada, oltre ad incentivare la rotazione
dei veicoli sullo stesso posto di sosta, deve contribuire al finanziamento degli interventi
necessari alla gestione di tutto il traffico stradale (e quindi anche alla creazione di nuovi
impianti di parcheggio).
Le Direttive del 1995 rappresentano quindi uno strumento avanzato, che affronta i
problemi relativi alla sosta ed ai parcheggi in modo organico e pragmatico. Il Piano di
riorganizzazione della sosta, con l’individuazione sia delle aree di parcheggio su strada,
sia delle aree di sosta a raso fuori dalle sedi stradali e delle possibili aree per i parcheggi
multipiano, con l’introduzione del sistema di tariffazione e di regolamentazione della sosta,
rappresenta di fatto un’evoluzione del Programma Urbano dei Parcheggi (PUP) previsto
dalla legge Tognoli.
Secondo quanto previsto dalle Direttive, nell’ambito del PGTU (Piano Generale del
Traffico Urbano), occorre predisporre il Piano di riorganizzazione della sosta (cfr.
paragrafo 3.4.2), basato sulla linea politica che mette in conto le esigenze di incontro tra la
domanda e l’offerta di sosta, e prevedendo un bilancio di quest’ultima in relazione ai posti
auto eliminati dalla sosta su strada e quelli resi disponibili nei parcheggi previsti. Per gli
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
immediate vicinanze della sua destinazione, accettando il rischio di una sosta di tipo
illegale qualora non riesca a trovare un posto libero.
Anche sulla base delle precedenti valutazioni, la domanda di sosta può essere definita
come la quantità di spazio per la sosta che verrebbe utilizzata ad una determinata ora, in
una certa area e ad un prezzo prestabilito (anche nullo), qualora la disponibilità fosse
illimitata. È evidente come tale domanda possa essere interamente o parzialmente
soddisfatta a seconda dello spazio effettivamente disponibile. Il fattore che influenza di
gran lunga maggiormente la domanda di sosta è la localizzazione dei poli attrattori che
generano lo spostamento dell'utente. Inoltre essa può essere determinata e influenzata da
numerosi fattori quali l'indice di motorizzazione, il costo del trasporto, la scelta della
modalità, la durata della sosta, l'appetibilità delle modalità alternative di raggiungimento
della destinazione, il costo del parcheggio e del carburante.
Quasi sempre la domanda è inquadrabile in determinati cicli temporali, che possono
ripetersi quotidianamente, settimanalmente, annualmente o in occasione di speciali eventi
periodici. Ad esempio, durante i giorni feriali si avrà un'elevata richiesta vicino ad edifici
che ospitano uffici e centri direzionali, mentre l'afflusso a ristoranti e teatri si concentrerà
nelle serate dei fine settimana.
Anche la durata della sosta cambia in maniera sensibile a seconda del tipo di utenza: per
esempio, i pendolari hanno l'esigenza di una sosta di lungo periodo e pertanto saranno
particolarmente sensibili alle tariffe imposte, mentre per i consumatori che si recano nei
negozi per acquisti è sufficiente una sosta di breve o medio periodo. Un fattore che può
riflettersi sulla scelta del luogo di sosta è quello che gli anglosassoni chiamano walking
distance, cioè la distanza da percorrere a piedi per arrivare a destinazione dopo aver
lasciato la vettura: più lungo sarà il tempo di sosta e più diventa accettabile percorrere a
piedi una distanza superiore per giungere a destinazione.
Inoltre va tenuto presente che il pedone percorre assai più volentieri e senza sentire
eccessivamente la distanza una strada urbana interessante e piena di vetrine o elementi
che attraggono l'attenzione.
Le tabelle 3.2 e 3.3 riportano i risultati di uno studio canadese in cui si evidenziano i livelli
di servizio (LdS da A = ottimo a D = non sempre accettabile), in relazione alla distanza da
percorrere a piedi dopo aver lasciato il veicolo, a seconda delle caratteristiche
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
Tabella 3.2 Livelli di servizio dei percorsi a piedi dopo aver parcheggiato il veicolo.
Prima di poter proporre un sistema di soluzioni per la sosta su strada e fuori strada, si
deve conoscere il numero di posti auto necessari per cercare di soddisfare quanto più
possibile la domanda di sosta nelle sue diverse componenti.
In particolare, è necessario descrivere tale domanda sia in termini quantitativi (numero di
autovetture in sosta per particolari periodi di tempo, rotazioni giornaliere di sosta per
specifiche aree, etc.), che qualitativi (residenti, addetti, visitatori, etc.), adottando di volta in
volta metodi di indagine specifici, campionari o riferiti all'universo. A tali scopi devono
essere effettuate rilevazioni di presenza di sosta a metà mattino, a metà pomeriggio e di
notte. Ove specificatamente richiesto da parte delle amministrazioni comunali, devono
inoltre, essere svolte indagini su componenti veicolari particolari, quali i veicoli merci, gli
autobus turistici, i velocipedi, etc.
Per poter effettuare una valutazione affidabile della domanda di sosta è necessario
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
procedere anzitutto ad una divisione dell'area urbana in settori, ciascuno dei quali deve
presentare, al suo interno, requisiti omogenei sotto il profilo delle esigenze di sosta ed
avere dimensioni compatibili col tempo medio di uno spostamento a piedi. Tale tempo
medio può essere quantificato intorno ai 10-12 minuti, corrispondenti a circa 500-600 metri
di cammino ad andatura tranquilla. Sarebbe dunque opportuno che la distanza massima
tra due punti all'interno di un settore non superasse i 600 metri.
Un valido metodo empirico per la determinazione delle aree di indagine, adottabile nella
maggior parte delle città italiane, consiste nel dividere il centro storico in uno o più settori,
a seconda delle dimensioni della città ed in funzione delle principali arterie al suo interno,
e procedere poi verso l'esterno con un serie di corone circolari frazionate in settori
delimitati dalle strade più importanti, sia radiali che circolari.
Una volta delimitato ogni settore, si procede alla valutazione della domanda di sosta al
suo interno, valutazione che potrà essere fatta con diversi metodi, analitici o empirici, e
che fornirà un numero indicativo medio, visto che la domanda di sosta può essere
soggetta a variazioni in relazione ai diversi giorni della settimana o ai periodi dell'anno. È
necessario però che la quantificazione della domanda sia affidabile, al fine di predisporre
le soluzioni più adeguate e di avere ben presente la quota di domanda che non sarà
soddisfatta all'interno di un settore, per mancanza di risorse disponibili, affinché si possa
considerare la possibilità di utilizzare l'eccesso di offerta eventualmente presente in un
settore adiacente.
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
abitanti di quel settore. Per esempio, se l'indice di motorizzazione medio è pari ad 1,5 ed il
settore è abitato da una fascia economica medio-alta, sarà opportuno ridurlo a 1,4 o 1,3,
mentre in caso contrario occorrerà incrementarlo fino a 1,6 o 1,7.
Ottenuto così il numero stimato dei veicoli di proprietà dei residenti del settore, e
sottraendo dagli stessi il numero di box o posteggi privati presenti nell'area (anche
all'interno di parcheggi pertinenziali o residenziali già realizzati) si otterrà la domanda di
sosta residenziale relativa a quel settore. Tale domanda quasi certamente cercherà una
risposta alle proprie esigenze mediante l'occupazione del suolo stradale pubblico.
Si deve osservare che parte della domanda di sosta all'interno di un settore può benissimo
essere soddisfatta dall'offerta di sosta presente in un settore adiacente, essendo la
divisione in settori del tutto convenzionale. Infatti i residenti che si trovano in prossimità del
confine di un settore possono disporre di un box o di un posteggio all'interno di un
parcheggio residenziale situato non distante dalla loro abitazione, ma in un settore
adiacente. Va comunque rilevato come tale possibilità non influisca sulla valutazione
relativa alla domanda di sosta, in quanto nel loro insieme i vari settori adiacenti
compensano tra loro gli interventi di offerta di sosta, ed il risultato complessivo non
cambia. Ad esempio, anche all'interno del settore preso in considerazione può essere
presente un box che di fatto è di proprietà di un residente in un settore adiacente, ma che
sarà considerato nel numero di quelli appartenenti ai residenti del settore di riferimento.
L'intento perseguito, infatti, è solo quello di valutare in modo affidabile il dato medio
relativo alla domanda di sosta da soddisfare.
La sosta residenziale presenta due caratteristiche che la contraddistinguono:
Ø non è decentrabile, dato che difficilmente il proprietario di un veicolo accetterà di
lasciarlo in sosta ad una distanza superiore a circa 150 metri dalla propria abitazione;
Ø è prevalentemente distribuita nell'orario dalle 7 della sera alle 8 del mattino, il che
rende possibile in certi casi destinare un posteggio su strada alla sosta residenziale
durante le ore notturne ed alla sosta degli utenti dei poli attrattori (o alla sosta breve)
durante quelle diurne.
La quantificazione della sosta indotta dai poli attrattori di traffico col metodo analitico può
portare a valutazioni imprecise per difetto o per eccesso, perché si fonda su una
parametrizzazione standard che può non corrispondere alla realtà locale del settore
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
La più tipica indagine sull'occupazione è quella di eseguire i conteggi del numero di auto
presenti, o ancora meglio dei posti auto vuoti, su una determinata area di sosta, ad
esempio ogni ora. Tali conteggi forniscono l'andamento dei coefficienti di occupazione
nelle ore esaminate e/o coefficienti giornalieri.
Un'altra tipica indagine sulla sosta è quella cosiddetta del "metodo della targa" ed è atta a
fornire sia dati sulla attuale occupazione dei posti sosta sia dati precisi sui principali
parametri della sosta (permanenza media, rotazione, etc.). Essa si svolge in due fasi:
quella della rilevazione dei dati e quella della loro elaborazione. Per quanto riguarda la
rilevazione dei dati, di norma si individua un percorso lungo il quale sia possibile
identificare con chiarezza gli spazi destinati a posteggio, valutando come opzione
preferenziale il fatto che tali spazi siano marcati dalla segnaletica orizzontale. Il percorso
ottimale dovrebbe comprendere non più di 200-250 posti auto per ogni rilevatore, ed il
punto terminale del percorso dovrebbe essere sufficientemente vicino al punto iniziale.
Ogni rilevatore sarà munito di uno schedario predisposto con l'indicazione del percorso sul
quale dovrà eseguire le rilevazioni di propria competenza: in genere il percorso
comprenderà strade, piazze ed altre aree destinate alla sosta su strada, per ciascuna
delle quali dovrà essere indicato il numero di posti auto marcati o potenziali presenti nelle
zone in cui sostano i veicoli (Tabella 3.5).
Il percorso dovrà essere eseguito a partire dal suo punto iniziale con cadenza prestabilita,
per esempio ogni ora o in qualche caso ogni 30 minuti, ad iniziare dalle 8.00 o da altra ora
programmata. Nella prima fase, il rilevatore segnerà sulla scheda con un segno
convenzionale i posti vuoti, mentre riporterà la targa dei veicoli in sosta nei posti occupati;
anziché il numero completo di targa, può essere sufficiente riportare solo 3 o 4 cifre o
lettere terminali della stessa. Qualora un veicolo sia parcheggiato irregolarmente (per
esempio a cavallo di due spazi di sosta, al di fuori degli stessi o sui marciapiedi) il
rilevatore ne prenderà nota.
Al termine del primo rilievo, l’operatore attenderà nel punto di partenza l'orario previsto per
l'inizio del rilevamento successivo (in genere il percorso è studiato in modo che passino
pochi minuti) e ripeterà l’indagine.
Per ogni rilievo correttamente eseguito, dal confronto dei dati con quelli rilevati durante
l’operazione precedente si verificherà che alcuni posti prima liberi sono ora occupati (e
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
verrà segnata la targa del veicolo occupante), alcuni posti prima occupati ora sono liberi,
alcuni posti sono occupati dallo stesso veicolo (targa uguale) ed altri posti già occupati da
un veicolo sono ora occupati da un altro veicolo, del quale verrà rilevata la targa.
Durante il corso della giornata verranno eseguite un certo numero di rilievi secondo gli
orari programmati. Spesso è opportuno ripetere l'indagine in altri giorni (per esempio
martedì, mercoledì e venerdì), per avere un quadro più completo dell'occupazione
dell'area nell'arco della settimana. Si comprende pertanto come un'indagine della sosta
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
ottimali da perseguire per favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta di sosta, e prevede il
programma cronologico, amministrativo e politico delle fasi attuative mediante le quali si
possa eseguire la transizione tra lo stato di fatto attuale e l'obiettivo finale del Piano
stesso.
Ben si comprende come il Piano di riorganizzazione della sosta sia strettamente legato al
PUT, di cui costituisce parte integrante. Esso può essere anche considerato come la
naturale evoluzione del PUP (programma urbano dei parcheggi) previsto dalla legge
Tognoli fin dal 1989, anzi, anche a causa dei ritardi di adozione e di attuazione del PUP da
parte delle pubbliche amministrazioni tenute a dotarsene, spesso i due programmi
finiscono col coincidere, dato che perseguono gli stessi obiettivi principali.
Il primo obiettivo è costituito dallo sgombero della sosta dalla rete viaria principale:
quest'ultima può essere ricondotta, in prima analisi, alle strade di scorrimento ed alle
strade interquartiere. Comunque è uno dei compiti del PUT la classificazione funzionale
della rete viaria comunale e l'identificazione di quelle strade che dovranno essere liberate
dalla sosta su strada per essere restituite integralmente alla mobilità.
La sosta su strada va permessa laddove possibile (strade di quartiere, strade locali),
sempre tenendo presente il principio della separazione dei movimenti veicolari e pedonali
dalla sosta veicolare. In particolare l'occupazione di suolo pubblico da parte dei veicoli in
sosta deve garantire uno spazio libero per i pedoni non inferiore ai 2 metri di larghezza,
oltre allo sgombero della sosta dai passaggi e dagli attraversamenti pedonali.
Per soddisfare le esigenze di sosta su strada va adottato il criterio dell'utilizzazione
ottimale delle strade locali e delle aree esterne alle sedi stradali destinate alla sosta
(strade-parcheggio ed aree di parcheggio a raso, individuate anche tra le aree pubbliche e
private in attesa di destinazione urbanistica definitiva). Ma anche mediante tale
utilizzazione ottimale vi saranno aree urbane (in corrispondenza del centro storico e delle
zone pericentrali) per le quali l'offerta di sosta sarà nettamente inferiore alla domanda. In
corrispondenza di tali aree, pertanto, occorrerà prevedere la realizzazione di parcheggi
sostitutivi della sosta su strada (Fig. 3.1).
Sempre in relazione al reperimento di spazi per la sosta, previsto dal PUT, è possibile
attuare:
Ø il riordino di strade e piazze appartenenti alla viabilità locale, finalizzato alla possibilità
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
tramite i proventi della gestione. Tali costi vengono giustificati dai vantaggi sociali offerti
dal sistema di regolamentazione della sosta, in funzione delle esigenze collettive alle quali
esso deve far fronte, e dell'insostenibilità della caotica condizione nella quale finirebbero
col trovarsi la mobilità e la sosta urbana in conseguenza della sua mancata attuazione.
La tolleranza e l'indulgenza nei confronti della sosta irregolare ed abusiva sono dunque in
totale contraddizione con l'adozione stessa del Piano, poiché aggiungono al danno che
continuano a provocare alla collettività i veicoli in sosta irregolare, anche l'onere
conseguente al mancato ammortamento dei costi sostenuti per gli interventi di sosta
regolamentata, necessari per la soluzione del problema della mobilità e della sosta.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
a spina di pesce devono necessariamente essere a senso unico, mentre negli altri casi,
compreso quello di stalli ortogonali alla corsia, posso essere a doppio senso facilitando la
circolazione e quindi la ricerca del posto auto libero.
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
materiali di queste strutture per ottenere qualcosa di consono alle caratteristiche del luogo
e soprattutto per dare l’idea di una costruzione e non di un semplice riparo dagli agenti
atmosferici senza alcuna valenza architettonica. La copertura che si viene a realizzare nei
suddetti casi dovrà garantire una superficie in pianta leggermente superiore a quella dello
stallo tipico, e una limitata altezza (generalmente non più di 2,10 m), creando così un
impatto ambientale ridotto.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
deve essere realizzata in modo da garantire gli spazi minimi delle corsie e degli stalli per
poter realizzare le necessarie manovre (Fig. 3.13).
I parametri che entrano in gioco nell’organizzazione del layout interno dell’autorimessa
sono quindi: l’ampiezza della corsia, la lunghezza e l’inclinazione degli stalli. Partendo dal
presupposto che se si posizionano gli stalli inclinati rispetto alla corsia, è buona norma che
la stessa sia a senso unico di marcia e che se gli stalli sono perpendicolari alla corsia,
100
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
Figura 3.16 Sezione longitudinale dell’autorimessa interrata a servizio della Banca Popolare di Milano.
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
Un’altra questione progettuale che occorre affrontare è quella relativa alla scelta tra
l’alternativa “interrata” e quella “fuori terra”. Dal punto di vista funzionale entrambi i tipi di
autorimessa
garantiscono un elevato
numero di posti auto
rispetto al parcheggio a
raso, poiché in questi
casi si possono utilizzare
più piani e quindi, a parità
di area planimetrica a
disposizione, si perde
dello spazio per le rampe
ma si realizza in verticale Figura 3.17 Progetto di autorimessa interrata a servizio della Banca
Popolare di Milano. Sezione trasversale dei 6 livelli interrati collegati da
un numero decisamente rampe interne a doppio senso.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
dell’arredo verde che, come già visto per i parcheggi a raso, permette di nascondere,
integrare e valorizzare l’edificio nel suo armonizzarsi con il tessuto urbano.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
• la barriera si chiude e l’utente, per uscire, deve inserire la sua tessera nel lettore;
• la barriera si apre nuovamente permettendo l’uscita e, non appena i sensori indicano
che non ci sono persone presenti nella postazione, inizia il ciclo di trasporto della
vettura fino al parcheggio finale.
Il ciclo di ritorno è simile a quello dell’andata:
• l’utente abbonato si presenta direttamente alla postazione di uscita e, dopo aver
inserito la propria tessera magnetica nel lettore, ritira la vettura depositata
automaticamente in posizione di partenza;
• l’utente occasionale si reca prima al pagamento della sosta e successivamente al ritiro
della propria vettura.
Gli autosilo, rispetto alle soluzioni tradizionali, presentano le seguenti peculiarità:
Ø un maggior sfruttamento di superfici e di volumi, con conseguente aumento del
numero di posti auto realizzabili;
Ø a parità di posti auto realizzabili, si richiedono scavi di volumi minori (interessando
minori superfici e/o minori profondità); ciò comporta minori costi di scavo e minori
disturbi alla circolazione locale e alla vita di quartiere durante il periodo dei lavori.
In questo tipo di parcheggi, infatti, il volume occupato per posto auto varia da 25 m3
(tipologia a file serrate) ai 40 m3 (impianti di maggiori dimensioni); in un edificio
tradizionale a rampe, la superficie in pianta destinata al posto auto (essendoci le rampe,
gli spazi di manovra e di scorrimento) è di circa 30 m3, che, con altezze di piano di 2,40 m,
corrispondono ad un volume di 70 m3.
Il risparmio di cubatura è dovuto alla riduzione di area riservata al singolo posto (in quanto
non servono gli spazi per aprire le portiere), alla riduzione delle altezze libere sotto-
struttura rispondenti ai minimi concessi dalla normativa (nei parcheggi meccanizzati, non
essendoci la presenza delle persone, l’altezza tra pavimento e soffitto consentita è di 1,80
m), all’eliminazione dei volumi delle rampe e degli spazi di manovra pertinenti ai veicoli
che si muovono all’interno del parcheggio.
Queste riduzioni di spazi permettono quindi, a parità di volume, di incrementare del
40¬50% il numero di autovetture rispetto al parcheggio tradizionale. Ulteriori vantaggi
derivanti da questi tipi di costruzione sono:
• riduzione dei complessi e costosi impianti di servizio dei parcheggi tradizionali,
107
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
108
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
116
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
distribuzione
dell’edificio, deve
essere filtrata,
ossia pulita da
eventuali polveri
e sostanze
inquinanti.
Ø Una centrale di
controllo e
comando: si
tratta dell’organo Figura 3.27 Sistema di aerazione che impedisce l’ingresso di acqua piovana
nei locali di parcheggio.
principale del
circuito, mediante
il quale, tramite
ventilatori
appositamente
predisposti, si
conferisce
energia di
movimento e
quindi velocità
all’aria presente
Figura 3.28 Schema delle diverse parti componenti un sistema di ventilazione
all’interno dei forzata dell’autorimessa.
condotti.
Ø Condotti principali e secondari di mandata; possono essere sia orizzontali che
verticali. Realizzati generalmente in lamiera zincata, hanno una dimensione
dipendente dalla quantità di aria che essi devono trasportare e, a parità d’aria, dalla
velocità del fluido al loro interno. Per i parcheggi, la sezione di tali condotti è
generalmente rettangolare, perché le pressioni non sono elevate. La velocità dell’aria
al loro interno varia usualmente da 3 a 12 m/s, a seconda delle dimensioni del
condotto. Le canalizzazioni vengono fissate direttamente alla parte inferiore dei solai
117
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
tramite dei collari in acciaio, posti ad interasse di diversi metri e poi fissati al supporto
superiore per mezzo di tasselli. Se l’impianto non ha funzione di riscaldamento
(situazione frequente per i parcheggi) non occorre prevedere l’utilizzo di isolanti
termici.
Ø Le bocchette di mandata: servono a distribuire l’aria in un intorno più ampio possibile;
possono essere collocate a soffitto o a parete e sono generalmente di forma quadrata
o rettangolare.
Ø Il circuito di estrazione dell’aria (non sempre presente, ma obbligatorio per
autorimesse con più di 500 autoveicoli); di caratteristiche analoghe a quello di
mandata; deve possedere le bocchette d’aspirazione poste in posizione
diametralmente opposta rispetto a quelle di immissione dell’aria, così da evitare che
l’aria pulita venga aspirata senza integrare prima l’aria del piano.
Ø La griglia di espulsione: tramite dei condotti, l’aria viziata viene espulsa e immessa
nell’ambiente esterno.
118
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
119
Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
tramite leggere
pendenze e da qui incanalati verso le vasche di raccolta.
Ø Vasche di raccolta e di sedimentazione: l’espulsione dell’acqua dal parcheggio, per
ovvi motivi, non avviene in continuo, ma saltuariamente; l’acqua raccolta viene
accumulata all’interno di apposite vasche fino a che il livello del liquido non supera il
valore prestabilito. Per rallentare la corrente del liquido affluente è possibile installare,
davanti all’ingresso della vasca, un setto movibile (paratoia di calma).
Ø Separatori di liquidi leggeri, olio e grasso: nella progettazione delle autorimesse (ma
anche dei parcheggi a raso e degli autosilo) occorre prevedere, a monte del collettore
fognario, una serie di dispositivi che eliminino la possibilità di inquinamento degli
scarichi, evitando che oli o grassi finiscano in fognatura. Questi dispositivi, messi in
sequenza subito dopo la vasca di raccolta, sono a loro volta delle vasche con più setti
che, a mezzo di filtri, permettono la separazione dell’olio costituente il primo strato
galleggiante che trabocca dalla vasca di accumulo. Periodicamente lo strato di olio e
di grasso deve essere rimosso.
120
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio
122
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
_______________________________________
CAPITOLO 4
Infrastrutture e sistemi
di trasporto pubblico
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125
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
per i veicoli su gomma, che possono essere avviati su strade alternative e l’accidentale
guasto di un automezzo produce solo ritardi nell’esercizio. Per questi motivi, quando la
manutenzione preventiva degli impianti non era ancora una procedura diffusa, e anche per
altre ragioni (ad es., il condizionamento derivato dall’illusorio spirito di modernità e di
innovazione), già 50 anni fa, il tram venne considerato un veicolo superato che doveva
lasciare spazio alle automobili e agli autobus. Solo poche città, come Milano, Roma e
Torino, ritennero conveniente mantenere in esercizio alcune linee tranviarie, ritrovandosi
adesso un patrimonio insostituibile, al contrario di altre città che, sbarazzatesi dei mezzi e
degli impianti, sono ora alla ricerca di finanziamenti e progetti per la ricostruzione di nuove
linee, seppur concepite con criteri più innovativi. Le mutate situazioni hanno reso evidente
che la scomparsa delle reti tranviarie ha prodotto un sostanziale degrado del trasporto
collettivo ed uno sviluppo abnorme della motorizzazione privata, con effetti di
inquinamento (sia acustico che atmosferico), congestione e pericolosità nel traffico (con
forte incremento dell’incidentalità stradale). D’altra parte, va considerato che anche per i
mezzi pubblici su gomma, col tempo, è prevalsa l’esigenza di creare traiettorie vincolate
lungo percorsi privilegiati, per favorirne la marcia e avere la precedenza rispetto agli altri
veicoli. Le infrastrutture stradali urbane sono state in tal senso trasformate attraverso la
realizzazione, lungo tratti più o meno estesi, di corsie preferenziali le quali, mediante
segnaletica o separazione fisica, sono concesse all’uso esclusivo dei mezzi pubblici o
condiviso con altri servizi di pubblica utilità. Integrata alle corsie riservate, in molte città, è
stata anche attuata la centralizzazione degli impianti semaforici, in modo da ottenere il
controllo e la gestione dinamica del traffico, privilegiando il trasporto pubblico sulle direttrici
principali, assegnando negli incroci il verde alla direzione di arrivo dei mezzi pubblici. Oggi,
la maggiore funzionalità che viene chiesta al sistema di trasporto pubblico, abbinata ad
una ridotta occupazione di spazio, alla minima spesa di gestione ed al miglior comfort di
viaggio, ad una facile e rapida accessibilità sui mezzi anche per le persone anziane ed
invalide, ha stravolto i principi che governano l’esercizio delle reti di trasporto pubblico,
obbligando i gestori a nuove scelte. Tali nuove scelte, di recente, stanno riguardando
anche i cosiddetti sistemi di trasporto pubblico individuale (car sharing, car pooling, taxi
collettivo, bus a chiamata), che garantiscono notevoli gradi di flessibilità e prevedono
anche la cooperazione con il mezzo privato individuale.
126
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
127
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
sono rappresentati dalla possibilità per tutti gli utenti di trovare posto nelle ore di punta,
avere a disposizione personale che sia straordinariamente d’aiuto, mezzi sempre nuovi e
confortevoli, numerose corsie di precedenza che rendano il viaggio più veloce, orari,
percorsi, capienza dei mezzi adattabili alle esigenze su basi di flessibilità.
La qualità eccezionale è la qualità che l’utente non si aspetta e, quando viene fornita
dall’azienda, dà origine a molto apprezzamento (la relazione tra adempimento e
soddisfazione, in questo caso, è di tipo esponenziale). Va però osservato che la
soddisfazione di un utente è un fattore individuale ed è legato al contesto in cui si
manifesta. Gli obiettivi della qualità eccezionale sono quelli più direttamente indirizzati ai
mercati futuri e sono orientati verso la cura e la sicurezza dell’utente. Esempi di qualità
eccezionale sono l’informazione in tempo reale, la pianificazione dei tragitti e dei percorsi,
tabelle orarie e sistemi tariffari molto semplificati, informazione individuale e programmi di
servizio che fanno intuire all’utente di essere capito e seguito, sviluppo del prodotto con
servizi estesi anche 24 ore su 24.
4.3.1 Autobus
Il transito degli autobus adibiti al trasporto pubblico nelle strade urbane, incide sul traffico
tanto quanto influiscono i mezzi pesanti, che elevano il volume del traffico in modo
proporzionale ad un numero di veicoli equivalenti maggiore di uno.
L’esercizio del servizio di trasporto con autobus può avvenire indipendentemente dagli altri
modi di trasporto, non richiede l’installazione di particolari impianti fissi, offre il vantaggio di
poter servire l’utente da marciapiede a marciapiede, ed è particolarmente flessibile ai
cambiamenti, anche temporanei, dell’assetto della rete viaria. Questi vantaggi hanno fatto
128
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
sì che l’uso di tali mezzi si sia diffuso in molte città, anche grazie al limitato costo di
investimento; occorre, per contro, prendere atto di un alto costo di esercizio, conseguente
all’elevato rapporto tra agenti e viaggiatori trasportati ed all’usura dei mezzi. Rispetto ad
altri sistemi, l’autobus dà un basso comfort, soprattutto ai passeggeri in piedi, ed è molto
sensibile al variare delle condizioni di viabilità: da qui le basse velocità commerciali che,
nelle zone centrali, possono raggiungere valori anche inferiori a 10 km/h. Per aumentare
la velocità commerciale degli autobus, impegnati nelle direttrici principali, entro i valori
accettabili di 20-25 km/h, compatibili a garantire un’efficiente capacità di trasporto e la
soddisfazione dell’utenza, nelle strade ad alta intensità di traffico è in uso adottare corsie
preferenziali che ne favoriscono il transito. La presenza, lungo le strade, di corsie riservate
incide negativamente sulla capacità globale degli archi e dei nodi della rete stradale
urbana, sulle disponibilità di svolte a destra e a sinistra e sullo svolgimento delle attività
localizzate nel fronte stradale interessato o immediatamente adiacente, per cui la loro
istituzione va fatta con la dovuta attenzione e senza incidere su altri fattori marginali. Il
costo d’investimento per questo tipo di regolamentazione è modesto perché riconducibile
ad una semplice messa in opera di segnaletica stradale e tutt’al più di cordoli delimitatori
di corsia.
La progettazione delle corsie preferenziali non dovrebbe, in ogni caso, essere mai
condizionabile dalle prime proteste, più o meno strumentali, ma derivare sempre da scelte
ponderate, affrontate sia a livello di sistema, sia nel dettaglio delle componenti fisiche e di
arredo urbano, onde evitare che dall’intervento derivino costi esterni per la popolazione
residente. In molti casi, per contenere i disagi delle attività commerciali e garantire
l’accessibilità dei condomini che si affacciano sulla strada, ma soprattutto per ottenere
migliori condizioni di transito, sono stati previsti sistemi con strade percorse dai veicoli a
senso unico e corsie riservate ai mezzi pubblici percorse in direzione contraria; tale
sistema evita così anche l’abuso della sosta delle auto nelle corsie riservate. Onde
consentire l’agevole salita e discesa dei passeggeri dagli autobus, nella carreggiata
stradale devono essere realizzati spazi, accostati ai marciapiedi, dove i mezzi possano
fermarsi senza intralciare eccessivamente la normale circolazione veicolare: la posizione
delle fermate è un fatto progettuale che deve coniugare le esigenze del servizio con quelle
della viabilità (Fig. 4.1).
129
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
d’influenza delle fermate nel territorio è funzione della cosiddetta “distanza di rifiuto”, cioè
la lunghezza del tragitto a piedi necessaria a raggiungere la più vicina fermata del servizio
pubblico, che è difficilmente quantizzabile perché condizionata dalle abitudini di vita e
dalle condizioni climatiche, ma può, indicativamente, essere stabilita nei seguenti valori
medi:
• 250 ÷ 400 m, nelle zone urbane ad elevata densità residenziale;
• 400 ÷ 600 m, nelle zone urbane periferiche;
• 600 ÷ 800 m, nelle zone extraurbane.
La dimensione dello spazio delle fermate, necessario per la sosta dei mezzi di trasporto,
dipende da più fattori:
• il numero delle linee che utilizzano la fermata,
• la frequenza dei passaggi,
• la probabilità dei ritardi,
• l’afflusso degli utenti,
• il tempo necessario per la salita sui mezzi.
Il Codice della Strada, all’art. 151, definisce le dimensioni minime d’ingombro delle fermate
per i veicoli in servizio di trasporto pubblico collettivo di linea (Fig. 4.2):
130
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
• larghezza minima
paria a 2,70 m;
• lunghezza pari a
quella del mezzo
più lungo che
effettua la fermata,
aumentata di 2 m;
• estensione di 12 m
della lunghezza
della fermata, sia a
monte che a valle Figura 4.2 Schema progettuale di una zona di fermata dei bus.
della stessa, per
favorire la manovra di accostamento e reinserimento nel traffico da parte del veicolo,
con introduzione del divieto di sosta.
Per non aumentare ulteriormente i disagi nella circolazione stradale va evitato che, in
corrispondenza delle fermate, si generino fenomeni di coda dei mezzi che devono
accostarsi al marciapiede: devono quindi essere fissati il minimo distanziamento ed il
relativo massimo numero di veicoli presenti nelle diverse linee di trasporto pubblico che
afferiscono ad una fermata, in modo da non superare mai il “flusso di saturazione” delle
fermate e non allungare i tempi medi di sosta.
Nelle linee urbane, il flusso di saturazione alle fermate è dell’ordine di 100 ÷ 120 veic/h,
ma, se si vuole contenere il fenomeno delle attese entro limiti accettabili e se si considera
la possibilità dei ritardi che producono accumulo di utenti alle fermate, non si dovrebbero
superare le 60 ÷ 80 unità per fermata. Nei nodi di interscambio fra diverse linee, per non
appesantire la zona di fermata e superare il flusso di saturazione, le fermate delle varie
linee dovranno essere distanziate, obbligando gli utenti ad un piccolo trasbordo, ma
migliorando le condizioni del servizio.
4.3.2 Filobus
I filobus sono veicoli con cassa e telaio, derivati dagli autobus; sono dotati di due aste
indipendenti (aste da presa) per la captazione della corrente da una linea bifilare
131
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
alimentata alla tensione continua di 600 V o, per i sistemi più avanzati, 750 V; possiedono
motori di trazione ad eccitazione in serie o compound, con regolazione di velocità
mediante reostato o indebolimento di campo (Fig. 3).
Per la circolazione nelle strade
urbane dei filobus, vale la quasi
totalità delle prescrizioni riferite
agli autobus, con limitazioni,
però, circa la possibilità di
variarne il percorso. I filobus
sono veicoli a guida libera, ma
richiedono la dotazione di
impianti fissi; questo legame alla
linea di alimentazione permette
Figura 4.3 Filobus.
solo spostamenti di circa 3,5 m
dall’asse della linea di contatto
ed impone un costo di impianto
maggiore rispetto agli autobus,
che può produrre problemi di
convenienza economica se
applicato nel caso di linee con
bassa capacità di trasporto (Fig.
4.4).
La presenza della linea aerea
talvolta crea problemi di
Figura 4.4 Sezione stradale con linea di filobus posta al centro.
carattere estetico ed
economico, soprattutto quando
viene posta in opera nei centri storici o in zone di alto pregio ambientale; per questo
motivo, oggi, sono impiegati mezzi di trasporto bimodali e ibridi che possono trarre
alimentazione dalla linea aerea e staccarsi da essa per proseguire o con la trazione diesel
di cui possono essere dotati o con alimentazione elettrica da batterie che hanno
accumulato energia durante il tragitto servito dalla linea aerea. La bimodalità per i filobus,
132
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
che sino a qualche tempo fa era ritenuta una soluzione per casi d’emergenza e per
spostamenti non compresi nel servizio di linea (come l’ingresso e l’uscita dalle rimesse),
oggi si sta evolvendo verso un sistema che permette di eliminare la linea aerea dove
produrrebbe un forte impatto, oppure, nel caso di linee lunghe o che in periferia si
diramano verso più direzioni, di limitare la posa dei conduttori aerei di contatto alle sole
sezioni ricadenti nelle zone dove il traffico è più intenso e di esercire, in maniera
autonoma, le sezioni estreme, dove il minor traffico non giustifica la spesa per la
costruzione degli impianti di elettrificazione.
L’elemento più caratteristico degli impianti filoviari è lo scambio aereo che deve consentire
l’inoltro delle aste dei filobus lungo uno fra due possibili percorsi, garantendo il necessario
isolamento fra i conduttori delle opposte polarità che si intersecano nel cuore dello
scambio stesso. Gli scambi aerei
presentano un equipaggiamento
mobile capace di assumere una fra
le due posizioni estreme e svolgere
per le aste una funzione di guida
analoga a quella dei più noti deviatoi
ferroviari (Fig. 4.5).
Negli impianti di tipo tradizionale, la
manovra degli scambi aerei è
comandata dal conducente del
Figura 4.5 Dettaglio delle aste da presa e dello scambio.
filobus, allorché questi debba
inoltrarsi lungo la direzione opposta a quella per la quale lo scambio è predisposto: il
comando si attua con un tempestivo colpo di acceleratore che produce un impulso di
corrente assorbita dalla linea, in grado di eccitare un relè che comanda la posizione
dell’equipaggio mobile. Negli impianti più moderni, il comando degli scambi, ancorché
ottenuto sempre con un impulso di corrente agente su un elettromagnete, è automatico e
può essere programmato in funzione del percorso prestabilito per ciascun filobus: a tal fine
si impiegano sistemi a microonde o ad accoppiamento induttivo con cui i veicoli
trasmettono automaticamente un codice alla cassetta di comando dello scambio.
Le vetture filoviarie moderne hanno superato, con le nuove tecnologie elettroniche, lo
133
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
svantaggio di avere velocità e accelerazioni più basse rispetto agli autobus, e oggi si
stanno nuovamente diffondendo grazie ad un minor costo di trazione, alla riduzione
dell’inquinamento atmosferico dentro la città e alla minore manutenzione occorrente al
parco veicolare.
4.3.3 Tram
I tram sono veicoli per il trasporto pubblico in ambito urbano, guidati da rotaie annegate
nella pavimentazione in modo tale da consentire il transito sopra di esse anche dei veicoli
gommati (Fig. 4.6); sono alimentati da energia elettrica attraverso captazione di corrente
da cavo aereo, con asta munita di rotella in
bronzo oppure con organi struscianti, archetto o
pantografo, e ritorno della corrente attraverso le
rotaie (Fig. 4.7).
Quando la larghezza della strada è sufficiente,
può essere prevista, per il transito dei tram, una
sede propria separata dalla carreggiata stradale
con cordoli o marciapiedi, che può anche non
essere pavimentata. Se cinquant’anni fa il tram
veniva considerato un mezzo di trasporto Figura 4.6 Tram.
pubblico superato, oggi la situazione sta
cambiando radicalmente, perché è apparso evidente che è il mezzo che garantisce il
miglior comfort ed il minore inquinamento. Molte
città hanno, con scelta a dir poco improvvida,
eliminato totalmente i tram e le relative
infrastrutture, in modo tale da rendere il sistema
irrecuperabile; altre città hanno mantenuto le
linee che, fin dagli anni ’70, sono state
modernizzate e sviluppate, nel giusto
convincimento che il trasporto collettivo urbano
Figura 4.7 Sistema di captazione del tram.
e suburbano non potesse essere basato solo
sulle due soluzioni estreme: autobus e metropolitana. È stato dimostrato che le ferrovie
134
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
metropolitane, abbinate solo ad una rete di autobus, non sono in grado di rispondere
concretamente ed in modo efficace alle esigenze di molte situazioni, non solo nelle città
medie o relativamente piccole, ma anche nelle grandi, dove la presenza di questi due soli
tipi di reti, anche quando efficienti, non basta a soddisfare tutte le esigenze di mobilità e
quindi ad offrire sufficienti alternative al mezzo privato. Lo stimolo determinante per il
rilancio del trasporto tranviario su così vasta scala, che con il passare degli anni è sempre
più evidente, è venuto soprattutto dagli importanti progressi realizzati nella costruzione del
materiale rotabile, nella posa dei binari e nelle tecnologie elettriche di trazione.
I tram sono i mezzi di trasporto che hanno conseguito le maggiori trasformazioni:
Ø sono state introdotte nuove tecniche di posa degli armamenti tranviari nella sede
stradale, con l’adozione di rotaie di tipo pesante che, saldate in barra continua,
realizzano una via guidata di scorrimento che non provoca vibrazioni e riduce la
resistenza al moto. Le rotaie sono posate su platee di calcestruzzo con interposti
giunti antivibranti che impediscono la trasmissione nel terreno delle vibrazioni prodotte
dal passaggio delle vetture; in questo caso si ottiene un sistema di armamento che
ripartisce i carichi mobili dei veicoli, contrasta efficacemente le sollecitazioni trasversali
in modo da non produrre danneggiamenti alla pavimentazione della strada ed evita
ogni effetto negli edifici adiacenti a causa delle vibrazioni. Il miglioramento del sistema
di armamento tranviario, unito a quello delle sospensioni delle vetture ed alla loro
bassa carenatura, ha portato ad una riduzione della rumorosità di questi veicoli che
oggi è di circa 20 dB(A) inferiore a quella degli autobus e del traffico motorizzato in
genere;
Ø il ritorno delle pavimentazioni in pietra nelle strade cittadine, soprattutto nei centri
storici, ha ulteriormente incentivato l’utilizzo dei tram in quanto i carichi trasmessi da
questi mezzi non agiscono direttamente sulla pavimentazione, ma sono ripartiti al di
sotto della stessa e quindi non la danneggiano né la consumano come fanno, invece,
altri veicoli pesanti, quali autobus e filobus;
Ø i tram di oggi, rispetto alle vecchie vetture, sono caratterizzati da una grande sicurezza
di frenatura che ha superato l’inconveniente della modesta aderenza fra ruota
metallica e rotaia, che produceva lunghi spazi d’arresto. I moderni veicoli tranviari,
oltre alla normale frenatura elettrica ed elettroidraulica d’esercizio, dispongono anche
135
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
di una frenatura d’emergenza che agisce direttamente sulla rotaia con pattini
elettromagnetici articolati, due per ogni carrello, che garantiscono una decelerazione
molto rapida, sino a 3 m/s2, costante e sicura con qualsiasi condizione atmosferica,
anche con pioggia, neve o gelo;
Ø i tram sono oggi dotati di apparecchiature di trazione innovative, basate
prevalentemente sugli “inverter”, che hanno reso possibile l’uso di motori a corrente
alternata, più pratici e leggeri di quelli tradizionali a corrente continua, pur mantenendo
in corrente continua la linea aerea di alimentazione;
Ø le tecnologie delle nuove apparecchiature di trazione, con la possibilità di far
funzionare le vetture tranviarie con due o più tensioni di alimentazione elettrica, anche
del tutto diverse, affiancate ad alcuni accorgimenti nella sagomatura delle nuove rotaie
tranviarie a gola, consentono di far transitare i tram indifferentemente sulle linee
tranviarie urbane e sulle linee ferroviarie. In Francia ed in Germania, questo sistema,
denominato “treno-tram”, ha trovato applicazione con il recupero e l’inserimento nella
rete di trasporto urbano di linee ferroviarie dismesse o poco utilizzate. In Italia, invece,
permangono problemi di natura amministrativa, soprattutto connessi alla prescrizione
di sicurezza dei mezzi ferroviari che impone caratteristiche nei telai dei rotabili
ferroviari tali da garantire una resistenza alla pressione sui respingenti di 200
tonnellate, difficile da ottenere in vetture che possano transitare nelle strade urbane.
Questo vincolo potrà essere superato se il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
accetterà l’introduzione di misure alternative, in modo da garantire lo stesso livello di
sicurezza con vetture più leggere e sistemi di guida automatizzata più efficienti.
L’evoluzione ottimale del sistema che utilizza come mezzo di trasporto il tram e che può
dotare le città di un sistema efficiente, è quella di eliminare la promiscuità delle reti
tranviarie con la circolazione degli altri veicoli, realizzando quelle che sono definite
metrotranvie, ovvero tracciati tranviari con sedi il più possibile riservate o protette,
svincolate nelle intersezioni su più livelli o per le quali sia favorita la priorità agli incroci,
attraverso semafori intelligenti, permettendo l’ingresso delle vetture tranviarie nelle aree
pedonali e l’utilizzo di linee ferroviarie abbandonate.
136
Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
degli insediamenti, residenziali e produttivi, causano condizioni critiche nella mobilità e nei
trasporti, con la contestuale impossibilità di creare nuove infrastrutture e di potenziare le
esistenti. Nei casi più complessi delle grandi città, la soluzione obbligata è stata
forzatamente trovata nella creazione di una rete di trasporto ferroviario sotterraneo. Si
tratta delle linee metropolitane, che si caratterizzano per l’elevata capacità di mobilità, la
massima velocità commerciale e la regolarità del servizio, indipendente dalle condizioni
del traffico di superficie; hanno però costi di costruzione elevati che ne giustificano la
realizzazione solo quando i vantaggi economici possono essere trasferiti su una
consistente comunità di cittadini, anche conferendo alla città nuovi assetti urbanistici che
incentivino gli insediamenti, abitativi e produttivi, nelle zone servite dalle nuove linee.
La prima metropolitana europea, inaugurata nel gennaio 1863 a Londra, era sotterranea,
lunga 6,4 km, a trazione a vapore, e univa la Farringdon street con la Bishop's road; la
prima americana, costruita a New York nel 1870, era sotterranea, e fu un insuccesso. Si
iniziarono allora i lavori per la costruzione di una sopraelevata. Gli Inglesi furono i pionieri
della trasformazione del tipo di trazione da vapore in elettrica (Londra 1890); elettriche
furono poi le metropolitane di Chicago (1892, sopraelevata), di Parigi (1900, sotterranea
nella maggior parte), di Boston (1901), di Berlino (1902). Fra il 1900 e il 1930 furono
costruite metropolitane a Filadelfia, Buenos Aires, Amburgo, Madrid, Barcellona. Nel 1935
fu inaugurata la metropolitana di Mosca, nel 1954 quella di Toronto, nel 1955 quella di
Roma. Degli anni successivi vanno ricordate le metropolitane di Milano (1964), di Montreal
(1966), di Francoforte sul Meno e di Rotterdam (1968). In Italia, quindi, le metropolitane
sono state introdotte con oltre mezzo secolo di ritardo rispetto ad altri Paesi industrializzati
ed hanno avuto una diffusione limitata in poche città. A Milano, ci sono tre linee, con uno
sviluppo di circa 71 km; due linee sono a Roma per complessivi 36 km (ma è in
costruzione la terza linea); a Napoli, finora sono in esercizio 10 km; Catania ha in esercizio
un tratto di linea di 3,8 km e Genova di 5,1 km. In totale si hanno circa 126 km di linee
metropolitane, con 147 stazioni.
Anche se le tecniche di costruzione si sono notevolmente evolute, il problema del costo
elevato per la realizzazione delle ferrovie metropolitane rimane determinante. Le linee
possono essere costruite a livelli di profondità diversi e la scelta del dislivello più
opportuno fra la superficie e il piano medio del binario viene fatta sulla base di vari
137
Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
elementi. Una prima tipologia di metropolitana si definisce profonda quando per la sua
esecuzione si richiedono le tecnologie classiche delle gallerie con avanzamento a foro
cieco (Fig. 4.8); una seconda categoria si definisce superficiale quando la sua esecuzione
può essere realizzata operando dalla superficie, cioè a cielo aperto (Fig. 4.9).
I motivi che inducono a adottare strutture
profonde sono molteplici. In genere la scelta è
subordinata alle seguenti esigenze:
Ø di tracciato in relazione all’andamento
altimetrico della superficie;
Ø connesse con i vincoli del suolo:
sottopassi di importanti manufatti come
fabbricati, ponti, ferrovie, etc.;
Ø dovute alla natura del sottosuolo
(caratteristiche dei terreni da attraversare,
presenza di acqua, etc.);
Figura 4.8 Metropolitana di tipo profondo.
Ø legate ad un sottosuolo ricchissimo di
reperti archeologici (come, ad esempio,
nel caso di Roma).
Nella scelta della profondità ottimale, è
necessario mettere in conto i costi e, non
tanto quelli di realizzazione delle opere civili,
quanto invece quelli legati all’esercizio della
linea. Appare in proposito ovvio che una
struttura profonda richiede apposite Figura 4.9 Metropolitana di tipo superficiale.
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
occorre però tenere in conto alcune importanti remore che, influenzando notevolmente i
sistemi ed i tempi di escavazione delle strutture superficiali, finiscono per incidere a tal
punto sui costi di esecuzione da far preferire talvolta il tracciato profondo quand’anche le
condizioni morfologiche di superficie e quelle geologiche dei terreni consiglino il tracciato
superficiale. Ci riferiamo:
Ø alla viabilità che deve essere necessariamente interrotta, sia pure a tratti, con
gravissime ripercussioni sul traffico di superficie e sull’attività degli esercizi
commerciali: per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti si è a volte costretti a
ricorrere ad opere che allungano notevolmente i tempi di esecuzione;
Ø alla necessità di deviare i pubblici servizi (cavidotti, condotte per acqua, gasdotti,
fognature, etc.).
Ad ulteriore chiarimento delle osservazioni appena svolte, occorre poi precisare i seguenti
aspetti:
• le gallerie superficiali altro non sono se non “scatole” realizzate entro una trincea ed i
problemi riguardano non tanto il modo di scavare, quanto invece la maniera di
realizzare questa lunga scatola in tempi brevi e nel rispetto delle strutture preesistenti;
• le gallerie di superficie, visto il modo di esecuzione (a cielo aperto) ricadono sempre
sull’asse di grandi vie cittadine.
Riguardo al funzionamento in condizioni di esercizio occorre osservare che le linee
componenti una rete metropolitana sono sempre indipendenti, con materiale proprio. I
treni sono costituiti dall'insieme di più vetture rimorchiate e automotrici, tutte comandate
dalla cabina di testa, collegata da accoppiatori automatici.
Per aumentare la velocità media (fra 30 e 40 km/h) si tende ad aumentare le accelerazioni
di avviamento (fino a 1,3 m/s2) e la decelerazione di frenatura (fino a 1,8 m/s2). Per
ottenere queste prestazioni si aumenta la potenza e si diminuisce il peso, utilizzando
strutture in lega leggera. Il distanziamento dei treni successivi viene eseguito mediante
sistemi di blocco automatico, atti a provocare l'arresto dei treni quando la distanza diventa
minore di un valore dato (sistema francese), o quando vengano oltrepassati segnali a via
impedita (sistema inglese e americano). Nella metropolitana di Parigi è in atto un sistema
di controllo automatico della velocità, in base ai tempi impiegati a percorrere successivi
tratti, che vengono segnalati sia al conduttore del treno, sia a una cabina di comando
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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
significativo le condizioni di deflusso del traffico per l’ingombro dei cantieri. Le opere civili
possono includere gallerie, trincee coperte, viadotti, una serie di tratti di transizione tra
viadotti e galleria, ponti, stazioni all’aperto ed in sotterraneo, parcheggi su più piani,
interrati ed in elevazione, depositi. La prerogativa fondamentale delle metropolitane
leggere consiste nella riduzione dei costi di costruzione e di esercizio; ciò è dovuto a:
• realizzazione di sezioni trasversali dei tratti in galleria meno estese e di elementi delle
strutture in elevazione (ponti, viadotti, rilevati, etc.) dimensionati per carichi viaggianti
minori in quanto la larghezza delle vetture è di circa 2,40 m ed il peso/ml varia intorno
a 1,25 t/m;
• minor lunghezza di tracciato in galleria o in sede del tutto protetta dato che la
percentuale di percorso in sede propria può variare tra il 25 ed il 75%;
• stazioni con banchine più corte (circa 60 m contro più di 100 m per le metropolitane
tradizionali) spesso prive di piattaforme rialzate e di ampiezza ridotta in quanto è
minore sia la lunghezza dei convogli che la frequentazione di passeggeri alle fermate;
• velocità commerciale ridotta (circa 30 Km/h contro gli oltre 35 Km/h delle
metropolitane tradizionali), per cui non occorre ridurre oltremodo la pendenza
longitudinale della sede ed aumentare il raggio medio di curvatura;
• sistema dei treni, delle stazioni e delle linee, completamente automatizzato, così da
non richiedere l’impiego di personale
sui treni, nelle stazioni e lungo il
tracciato;
• circolazione a vista estesa a parte del
tracciato e mancanza di necessità di
dispositivi di arresto alle fermate
(arresto a bersaglio), in seguito alla
velocità di marcia ridotta ed all’esiguo
numero di elementi che formano un
convoglio.
Strettamente derivata dalla metropolitana Figura 4.12 Metropolitana su gomma a Parigi.
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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico
della strada: le vetture hanno ruote con pneumatici di gomma che corrono su rotaie di
calcestruzzo o acciaio. Come nelle ferrovie, il macchinista non deve manovrare le ruote,
che scorrono guidate dai binari (Fig. 12).
La famiglia VAL (acronimo di Véhicule Automatique Léger), utilizzata in diverse città, come
a Lille, è una metropolitana a pneumatici. I treni con pneumatici sono perlopiù costruiti e
progettati appositamente per il sistema su cui operano. Spesso vengono costruiti anche
autobus che hanno normali gomme da strada, ma circolano su appositi percorsi composti
da binari che guidano il mezzo; questi sistemi sono chiamati tram su gomma, e sono
spesso associati alla metropolitana su gomma. Su questi sistemi, come a Parigi, Montreal
e Città del Messico, i veicoli hanno anche ruote adatte per i binari più alte delle normali
flange (poste ad altezza maggiore rispetto alle rotaie); tali ruote, però, vengono
solitamente utilizzate in caso di rottura dei pneumatici. A Parigi, in qualche caso, i percorsi
per autobus su rotaia sono stati progettati per essere utilizzati sia da sistemi su gomma
che da treni con ruote normali. I veicoli impiegati in questi sistemi ibridi sono elettrici e la
tensione è fornita loro da una o da entrambe le rotaie che fungono da guida. La corrente di
ritorno passa attraverso la ganascia del freno e ritorna in una o in entrambe le rotaie, a
seconda dei tipo del sistema. Tra i vantaggi della metropolitana su gomma ci sono: la
minore produzione di rumore, le maggiori accelerazioni, gli spazi minori per la frenata e la
capacità di salire o scendere da tracciati più inclinati di quanto sarebbe possibile con le
normali ruote in materiale acciaioso.
Ci sono comunque diversi svantaggi, legati principalmente al fatto che le ruote di gomma
frizionano molto di più contro il binario che quelle di acciaio, il che porta a un consumo più
elevato di energia e ad una maggiore produzione di calore (di solito, proprio per questo
motivo, nei tunnel sono installati impianti di ventilazione). Inoltre i veicoli perdono
rapidamente la capacità di trazione quando sono sottoposti a condizioni climatiche
avverse (specialmente neve e ghiaccio).
Anche il costo è un elemento particolarmente condizionante: i pneumatici di gomma si
consumano molto più velocemente dell'acciaio, e quindi necessitano con maggiore
frequenza di manutenzione e di sostituzioni (anche se le ruote in acciaio sono più costose
di quelle di gomma, la frequenza delle sostituzioni rende i costi delle ruote di gomma
maggiormente onerosi). Anche la qualità del viaggio è variabile: talvolta i livelli di rumore
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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso
non sono apprezzabilmente minori di quelli prodotti nelle normali ferrovie. Si riportano
infine, nella tabella 4.1, alcuni parametri di confronto tra i diversi sistemi di trasporto
pubblico collettivo, con riferimento alla portata potenziale minima, al distanziamento tra i
convogli, alla capacità dei convogli, alla distanza minima fra le stazioni, alla velocità
commerciale ed alla lunghezza massima dei convogli.
Tabella 4.1 Parametri di confronto tra diversi sistemi di trasporto collettivo su rotaia.
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ricorso a tecnologie telematiche. Può prevedere uno o più luoghi di salita o discesa
comuni (ad esempio, un aeroporto, più fermate) e comprendere un servizio da porta a
porta, a somiglianza del taxi individuale, differenziandosi, sotto questo aspetto, dalle
esperienze dei servizi pubblici a chiamata e percorso variabile (Firenze, Imola, Bologna).
Un possibile esempio di applicazione consiste in un servizio di navette che percorrono
itinerari predeterminati ad orari fissi. La flessibilità è nella fermata dei veicoli che può
essere effettuata su richiesta dell'utente sia per scendere che per salire. Questa
caratteristica non preclude di solito la presenza sul percorso delle possibili fermate
identificabili con apposita segnaletica. Il servizio può essere dotato di uno o due capolinea
a seconda della lunghezza del percorso ed ha una frequenza prestabilita a priori in
funzione della fluttuazione oraria della domanda. Il servizio può anche rispondere a
motivazioni di ordine sociale, come nei casi in cui esso è:
1) destinato a una utenza debole, come ad esempio anziani, bambini, portatori di
handicap, casi in cui il servizio da porta a porta è insostituibile e non surrogabile da
nessuna linea bus;
2) realizzato in aree a domanda debole, caratterizzate cioè da insediamenti molto
dispersi. In quest'ultimo caso il servizio di taxi collettivo può, in prospettiva, diventare
un valido sostituto di antieconomiche, ingombranti e inquinanti linee extraurbane.
Il termine taxi collettivo può essere usato per designare una famiglia di sistemi di trasporto
pubblico personalizzato consistenti in servizi di qualità e complessità crescenti:
Ø Taxibus, ovvero un veicolo da 6-9 posti che effettua lo stesso percorso di un autobus
di linea, possibilmente lungo itinerari protetti (con possibilità di sorpasso), raccogliendo
e depositando i passeggeri a richiesta, anche non in corrispondenza delle fermate: è
più comodo, più veloce, ma in genere parte quando ha raggiunto un certo numero di
passeggeri (3-5) e costa più caro del normale autobus di linea.
Ø Servizio complementare, per zone a domanda debole o ore di morbida, nei casi in cui
il normale servizio di trasporto non risponde alle esigenze, di frequenza e qualità,
dell'utenza. Il servizio è personalizzato con un pulmino (6-9 posti) o una vettura
monovolume (5-6 posti), che integra il trasporto di massa su zone e in orari che non
conviene servire con mezzi di grandi dimensioni.
Presenta diverse possibili soluzioni:
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BIBLIOGRAFIA
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