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I libro
Sulle origini del mito si è discusso. Saba Malaspina pensava che esistessero due demoni
femminili che lottavano tra loro nel tempestoso cielo della Toscana, Guelfa e Gebellia. Per
l’anonimo romano ebbe tutto inizio da una zuffa tra due cani Guelfo e Gebellino, e i loro
nomi sono ricaduti sulle fazioni. A Siena si era fedeli sempre all’imperatore (filo-svevi) e
questo la rendeva ghibellina. Ma in verità il termine ghibellino era stato usato per designare
coloro che a Firenze contrastavano la classe nascente dei guelfi che ancora a Siena non era
nata. Defunto Federico II i vincoli restano stretti con i successori , in particolare con Manfredi.
Fino al 1250 abbiamo l’apice della potenza ghibellina. Il guelfismo senese era esule ma poi
si rivelò vincente. Siena dopo che gli esuli ritornarono in città divento guelfa e inizio una
serie di riforme istituzionali e un cambio di politica. È bene anche inquadrare i rapporti con
gli angioini di Napoli che erano in buoni rapporti con l’imperatore e che sotto il vessillo
guelfo combatteva dalla sua parte e gli pagava i tributi.
In origine Siena è stata una città-banca e i suoi abitanti un popolo mercanti. Sono stati
proprio i mercanti a costruire i principali edifici della città e la sua ricchezza culturale e
artistica si deve grazie al loro denaro. I mercanti senesi curavano principalmente gli affari del
papa, quest’ultimo li riteneva incredibilmente capaci e affidabili, tanto è vero che questa
opinione si è diffusa in tutta Europa. I mercanti senesi erano dotati di sagacia e di una
straordinaria padronanza degli affari nel mercato internazionale. Il territorio senese era
anche ricco di metalli preziosi come oro, argento, rame che contribuì chiaramente al
capitalismo senese e alla espansione del commercio del denaro.
Il fatto che Siena fosse anche non molto distante da Roma fu un altro fattore importante.
Geografia, banca e commercio, furono la mescolanza di questi 3 fattori a renderla grande.
La città poté fiorire grazie al fatto che vi erano attività di banco svolte in ambito curiale e
romano, d’altra parte la Chiesa contribuì anche a promuovere la fama e consolidare la
posizione e la competitività dei banchieri senesi su scala internazionale. La Siena del 200’
dunque era una “colossale banca pontificia” appollaiata sulla via Romea. Questi affari
avvenivano già prima che Siena diventasse guelfa ovviamente, all’inizio del 200’ abbiamo la
sua stagione d’oro e di quanto il papa si fidasse ad ad esempio, nel 1235 per la prima volta
nei registri vaticani ai mercanti senesi viene affidato il cambio e il trasporto delle somme
ricavate dai tributi ecclesiastici. I mercatores senesi hanno tra le mani un mestiere altamente
specializzato e i pontefici lo riconoscono e li sostengono in modo robusto. Qua parla anche
della storia di come lentamente dal versante ghibellino si passa a quello guelfo, da Urbano
IV fino al 1280 più o meno, di quando il cardinale Malabranca riuscì a mettere pace alla sfida
continua tra ghibellini e guelfi, sia a Siena che a Firenze, anche se come abbiamo detto con
riforme diverse.
5. Il sistema senese del credito nella fase di smobilitazione dei suoi banchi
internazionali
Il periodo preso in considerazione è quello che va da 1332 al 1340, una fase in cui ci sono
state diverse politiche comunali, spese pubbliche e propagande contro l’usura. Nel primi
decenni del 300’ gli affari e i denari di molte imprese familiari e soci come i Salimbeni,
Tolomei, Piccolomini, Angioleri, Ugolini (esponenti del ceto magnatizio) vengono guidate
dai Bonsignori (collettori delle decime papali per qualche decennio quasi in regime di
monopolio) e raggiungono il loro culmine.
Negli anni dal 36’ al 39’ la popolazione aumenta ed economicamente sta bene. In questo
periodo la tradizione finanziaria dei senesi decide di convertire il proprio capitale, si passa
da un giro di affari a livello internazionale e un restringimento e a un trasferimento di
competenze nell’ambito della finanza cittadina, sia privata sia pubblica. I margini di profitti
non erano altissimi ma nemmeno trascurabili in assoluto, forse anche più interessanti se
pensati in anni critici. Negli anni presi in considerazione non circolano molti capitali fuori da
Siena. Quando le crisi dei banchieri tradizionali ricaddero anche nell’ambito cittadino, pochi
usurai si trovarono quasi da soli a prestare in Siena, mettendo in crisi anche i mercanti e gli
artigiani, arricchendosi in poco tempo: rimase dunque il solo credito non regolamentato,
che impoveriva le famiglie (cioè i consumatori) e sottraeva capitali alla circolazione , alla
gestione delle botteghe, agli investimenti produttivi. Alla risoluzione di questa contingenza
veniva legata la percezione dell’immagine di urbanità di Siena: se i mercanti andavano in
rovina la città intera rischiava il declino. Per tutti questi motivi una crisi generale dei mercanti
si temeva che seguisse alla crisi dei banchieri, per questo i destini di mercanti e banchieri,
schematizzando in ceto medio e casati , erano economicamente e forse politicamente legati.
I 9 protessero i falliti in diversi modi e in vari momenti messi nella tabella cronologica.
Per l’autore che l’ha inserita nella storia di Firenze, la città di Siena era fedele all’impero
soltanto in senso strumentale in quanto questa temeva continuamente eventuali attacchi da
Firenze.
Il perdurare del legame con l’imperatore si deve anche al suo anti-fiorentismo. Siena negli
anni anche in cui è stata guelfa ha avuto sempre paura dell’imperatore e ha cercato sempre
di non provocarlo. In un certo senso ha fatto un po’ il doppio gioco anche negli anni in cui
è diventata guelfa. In genere Siena ha avuto da sempre una ‘oligarchia guelfa’ e una
‘democrazia ghibellina’. I guelfi senesi seppero conservare i loro potere mediante il successo
delle armi e i tentativi dei fuoriusciti ghibellini di riprendere la città, compreso quello
capeggiato dal potente uomo d’affari Nicola Bonifazio (1281), finirono tutti per fallire. Che
Siena fosse sempre in contrasto con Firenze è stata considerata uno stato di cose
assolutamente normale per l’autore vista la sua vicinanza geografica e il pericolo di eventuali
attacchi per il predominio dei territori circostanti. Le due città non fidavano dei patti dell’altra
e temevano sempre che una delle due potesse liquidarla. Inoltre l’economia senese pare
avesse avuto uno sviluppo economico più precoce rispetto a quello fiorentino nonostante
fosse stato di breve durata. Fino alla metà del 200’ Siena nel campo delle attività finanziarie,
per via della bravura dei suoi banchieri, ma anche per il suo denaro che ha promosso la vira
culturale e artistica superava Firenze. Non a caso i banchieri senesi ricevevano elogi dagli
inglesi per le loro operazioni finanziarie ed erano stimati in tutta Europa, successivamente
furono i senesi stessi a far conoscere i fiorentini all’estero. Sulle piazze straniere poi i senesi
e i fiorentini si ritrovarono in competizione ma ciò non impedì che nel 200’ si trovassero
forme di collaborazione dettate dalla reciproca convenienza come tra i Bonsignori e i
Franzesi (accordi stipulati intorno al 300’). Siena era artisticamente anche superiore a Firenze:
era il centro del movimento di rivolta contro la tradizione di derivazione bizantina, un
movimento inscritto in quella corrente spirituale che preparò l’età dell’Umanesimo, anzi, per
certi aspetti tuttavia l’apporto degli artisti senesi o formatisi in città risultò più determinante.
La scultura prima che a Firenze e a Pisa era sbocciata a Siena i quei comuni ghibellini che
avevano come maestro Nicola Pisano ed arricchirono i loro duomi con pulpiti monumentali
che fecero epoca nell’arte figurativa. L’arte nuova di quel periodo dunque era nata
principalmente come un movimento ribelle sotto influsso del ghibellinismo, dove vi era il
guelfismo ancora la chiesa imponeva i suoi canoni gotici e frenava le nuove tendenze della
cultura figurativa. Inoltre pare che sotto l’influenza dell’imperatore l’Università di Siena
godette di grande fama cosa che andò a calare negli anni in cui diventò guelfa e sotto
influsso del papato. In seguito Firenze superò Siena per alcune ragioni di tipo strutturale:
mentre la società senese era decisamente fondata sulle operazioni finanziarie, quella
fiorentina trovava la sua base principale nelle attività mercantili, rendendola più solida e
salda. I finanzieri di Firenze erano maggiormente abituati dei senesi al commercio, in quanto
non provenivano come costoro dalla professione di cambiatore, ma erano anche loro per lo
più mercanti. A Siena invece l’organizzazione bancaria era derivata dall’attività di cambio,
ma appunto proprio perché là le mancò il legame con il commercio essa si dimostrò,
nonostante una grande fioritura, meno elastica e resistente nel tempo di quella fiorentina.
Alla fine del 200’ così non solo i fiorentini avevano sorpassato i senesi ma erano sul punto
di eliminare ogni concorrenza, ponendosi ormai nell’organizzazione bancaria rispetto anche
alle altre città italiane decisamente al primo posto. Così Firenze superò Siena sia
economicamente che politicamente, ciò che prima era di Siena passò nelle mani di Firenze;
i cittadini fiorentini comprarono anche case lì per evitare disgrazie e alcune proprietà e
strutture appartenenti a famiglie di banchieri senesi prima passarono ai Franzesi e dopo il
loro fallimento ai Peruzzi.
7. Il Populus di Mondolfo
L’arco preso in considerazione in questo libro è quello tra il 1230-1280. Il libro tratta di come
la politica del popolo si sia evoluta così tanto in questo periodo. Il popolo è costituito da
elementi che possiedono il mestiere delle arti ma anche qualche nobile, anche mercatores
(mercanti) e pizicaioli (importatori ed esportatori di spezie)comunque l’idea è che vi erano
strati della società differenti al suo interno che avevano i loro motivi per starci e avevano una
loro fisionomia quasi quella di un partito politico. Il popolo aveva le proprie liste e
solitamente eleggeva un Capitano che era l’espressione dei suoi interessi ma queste
iniziative e il potere popolare fu spezzato quando la parte guelfa rientrò in città e instaurò il
governo guelfo concretizzandosi in una oligarchia di mercanti e banchieri per lo più
antidemocratici (sopratutto) e anti-magnatizi (prima nei 36, poi nei 9 e poi dei 12).
8. Sestan
II libro
In questo articolo parliamo di della condanna dell’usura e dei problemi posti dalla sua
restituzione nel basso Medioevo (prendendo in considerazione anche il 1200). L’usura veniva
condannata per il fatto che è immorale all’interno di un mercato per lo più “cristiano” con
dei cittadini ed una Chiesa. Era intesa come una lacerazione di un ordine consacrato che può
e deve essere ripristinato attraverso le pratiche della restituzione e ridistribuzione della
ricchezza. Tutti quelli coinvolti in questa pratica pare rispettassero il loro dovere di ripagare
le proprie usure o in vita oppure delegando un membro della famiglia di assolvere tale
compito dopo la propria morte. Il sacerdote (simbolo di eticità) molte volte era una figura
intermediaria tra i mercante che si prendeva carico del suo compito di restituzioe e Dio. La
restituzione nonostante fosse un valore in perdita dal punto vi sta economico per il mercante
acquistava un valore “etico”e per questo molti furono invogliati a rispettarla. La
professoressa porta alla luce in una sua analisi, un attività di tipo bancaria nell’ospedale di
Santa Maria della Scala (anni 300’ e 400’) svolta dall’ente assistenziale e la interpreta come
un elemento portante della costruzione di un “impresa della pubblica carità” che coinvolge
per intero l’intera società cittadina del tempo. Nella prima metà del 200’ ancora non si erano
affermate le grandi famiglie di banchieri. I mercatores senesi, meglio definiti come uomini
di quel variegato mondo della mercatura internazionale e della finanza, contribuendo alla
razionalizzazione delle operazioni economiche del papa hanno accelerato l’espansione
economica senese di questo periodo. Rispetto a quanto si dice, la maggior parte degli usurai
non proveniva da gente di malaffare come giocatori d’azzardo e uomini che frequentavano
taverne, ma erano proprio questi uomini d’affari che compievano queste azioni illecite e che
in un certo senso sono stati i primi imprenditori in Siena. Quello che importante notare è
che nel 200’, ci fosse proprio una vera azione pastorale che l’intera gerarchia ecclesiastica
senese svolse concretamente anche negli strati più elevati del ceto mercantile. I rettori delle
parrocchie cittadine parono quelli più direttamente coinvolti, ma le fonti documentano , in
modo non meno evidente il ruolo che l’episcopato cittadino svolse nel sostenere e
coordinare l’azione pastorale del clero nella cura animorum. Nel 1255 vi è l’obbligo per la
prima volta ai parroci di conformarsi agli “statuti e ordini del vescovo di Siena dati e darsi
contro eretici e usurai” anche se disposizioni di questo genere le possiamo ritrovare già
impartite nella prima metà del secolo (ad esempio già nel 1227). La chiesa dunque ha
sostenuto attivamente tematiche contro l’usura. Il compito nuovo che le aporie della
restituzione ponevano di fronte a questa piccola comunità grandi mercanti e di alti dignitari
ecclesiastici forzati a collaborare nella gestione di questo ‘denaro sporco’ era, dunque, quella
di elaborare strategie capaci di ottimizzare l’investimento pro anima, rendendolo produttivo
sul piano commerciale come su quello religioso. Dalle fonti superstiti emerge la linea di
tendenza lungo la quale si orienta la strategia della pratica restitutoria del ceto mercantile
senese nel primo 200’: mantenere per quanto possibile le risorse destinate alla
redistribuzione all’interno del sistema economico familiare, prolungare nel tempo la
possibilità del nucleo di gestire direttamente quei capitali, ottimizzarne l’investimento
ricavandone nei limiti del possibile anche un ritorno economico, più o meno giustificato da
ragioni etiche. Diveniva dunque necessario elaborare , nell’esecuzione delle volontà
restitutorie , strategie gestionali capaci di conciliare l’avvertita esigenza di una cresciuta
redditività dell’investimento pro anima, con la legittimazione che derivava da una operazione
economica la cui eticità venisse assicurata , all’interno di una società cittadina che si
riconosceva cristiana , dal consenso dei garantiti carismatici di quella fidelitas. In questa
elaborazione il ceto mercantile non si sottrasse a un fitto dialogo con le istanze gerarchiche
della chiesa locale ma individuò senza altro nella comunità religiosa di Santa Maria della
Scala il suo interlocutore più dinamico e collaborativo , più aperto alla sperimentazione di
forme innovative di investimento e di gestione. L’ospedale, coinvolto nelle pratiche di
restituzione, grazie al suo ancoraggio strutturale agli ambiti cattedrali, la solidità assicurata
da una vicenda già secolare e dalla peculiare tutela pubblica, l’efficienza dei servizi erogati,
contribuivano a indicarlo come il tramite fisiologico delle pratiche di redistribuzione etica.
Questa collaborazione tra laici e religiosi genera una economia della carità: un modello di
azione economica capace di conciliare, nella logica delle redistribuzione, pratiche speculative
volte al consolidamento delle ricchezze private e la possibilità di incremento di una ricchezza
diversa, comune alla città e ai suoi poveri; un patrimonio, avvertito come pubblico e dunque
‘cristiano’, che non coincide perfettamente, ma pure ha molto in comune, tanto con i sacri
beni delle chiese, dei quali gode l’intangibilità, quanto con le ordinarie finanze del Comune,
che su di essa esercita forme sempre più attente di controllo. Quindi la relazione è tra il ceto
mercantile senese e la comunità religiosa assistenziale e la questione della restituzione fa da
volano. In questo clima di collaborazione nascerà anche una economia della solidarietà,
mescolanza di competenza professionali, sensibilità, logiche assistenziali, che prenderà
forma compiuta nei due secoli successivi.
2. La vittoria di Monteaperti
Firenze e Siena tra loro sono state due rivali, la prima di tendenza anti-sveva mentre la
seconda filo-sveva e fedele all’imperatore. Ripercorri nello schema gli anni dal 54’ al 60’ per
gli antefatti. Le ragioni della vittoria sono da individuare in alcuni come fattori, come il fatto
che Monteaperti fosse maggiormente conosciuta dai senesi come territorio e questi fossero
in possesso di una strategia migliore, dall’audacia complessiva dei soldati che nonostante il
numero ridotto sono riusciti nell’impresa, e dal fatto non trascurabile che tra le file dei
fiorentini vi erano ghibellini pronti a tradirli nel corso della battaglia. La portata storica della
battaglia di Monteaperti non ha mutato affatto l’esito di una egemonia regionale da parte
di Firenze, anche se la battaglia è stata mitizzata e chiaramente è stata un successo per Siena.
Gli stessi di allora dovettero rendersi conto nel volgere di pochi anni che contendere a
Firenze il primato in Toscana era una impresa ormai superiore ai propri mezzi e si
comportarono di conseguenza. Ciò di cui bisogna tenere conto è la memoria collettiva che
ha provocato questa battaglia nei secoli in entrambe le città. Monteaperti ha convinto a
Firenze che Siena non era conquistabile, che il suo territorio era più facile estenderlo altrove.
Se Siena perse l’indipendenza solo tre secoli dopo il merito va certo ascritto ai senesi delle
generazioni seguenti, ma l’impressione è che prima l’esito e poi il ricordo di Monteaperti
abbia anche esso contribuito alla sua parte.
3. Il mito di Salvani
Salvani è stato un personaggio di spicco della storia senese del 200’. Il suo ingresso istituzioni
comunali ha avuto inizio nel 47’ già ricoprendo una posizione non di poco: provveditore di
Biccherna. Da allora ha avuto una carriera rosea ed è stato un abile leader politico del
decennio avvenire, probabilmente il membro più influente all’interno della cerchia dei 24. In
un arco piuttosto limitato di tempo ricoprì tutti i maggiori incarichi pubblici cui poteva
aspirare un cittadino senese del suo rango, ed è anche interessante vedere come
strategicamente lui pensasse di ricoprirle tutte passaggio per passaggio. Nel 1251 la sua
figura emerge nel Consiglio generale nel nuovo conflitto contro i guelfi di Firenze. La rete di
alleanze ed accordi tessuta da Siena con gli altri esponenti della causa filo-imperiale toscana
trovò nel Salvani uno dei coordinatori più attivi. Nel 52’ è di nuovo provveditore di Biccherna,
nel biennio 56-57’ diventa membro dei 24 e fa parte del consiglio del popolo, nel 58’ viene
confermato di nuovo nel consiglio del popolo e nel 59’ per la terza volta diventa
provveditore di Biccherna. Probabilmente l’attenzione mostrata da Provenzano per la
politica interna non fu che un mezzo per scontrarsi con i guelfi toscani.
L’azione di Provenzano fu sempre finalizzata alla diminuzione dei poteri connessi alle
tradizionali figure pubbliche comunali, dal potestà ai consigli maggiori, mirando a un
rafforzamento del ruolo del capitanato del popolo. In poco tempo ereditò il leader dello
schieramento popolare perché proveniva da una famiglia che provò le stesse cose. Quando
nel 1260 ci fu la battaglia di Monteaperti, dopo la vittoria di Siena, ebbe una posizione di
predominio assoluto all’interno della politica di Siena. Il successo conseguito sui guelfi
fiorentini aprì a Provenzano la strada verso un potere localizzato non solo su Siena ma
sull’intera area toscana, infatti, tutta la parte ghibellina di Italia faceva capo a lui. A partire
dal 1261 accettò la podesteria di Montepulciano, che da poco si era sottomesso a Siena a
dure condizioni. Verso la fine del 1262 ebbero inizio le prime insurrezioni perché dopo due
anni dalla battagli ci furono dei malcontenti all’interno del popolo. Provenzano dovette
ribadire la propria linea politica al consiglio del 1262: “ Voluntas popilus senesis est, fuit ed
erit obeadire domino regi Manfredi”. I suoi parenti e fratelli avevano ottenuto posizioni di
incarico (come quella del provveditore di Bicherna) ed erano stati pure in Sicilia alla corte
del re per rafforzare il suo potere con questo ultimo. Il punto di non ritorno per Salvani fu
proprio la morte di Manfredi nel 1266. Dopo la sua morte entrano gli esuli in Siena ma lui
continuò a tassarli e a confiscarli proprietà, nel mentre la maggior parte dei ghibellini di
Firenze guidati da Guido novello si allearono con lui prima di uno nuovo scontro con i guelfi,
che diventò poi la battaglia di Colle. Lì finì l’epilogo della vita di Salvani e della fortuna della
sua famiglia.
4. Ruggieri Apugliese
Ruggieri Apugliese, in base ai versi che ci ha lasciato e ai risultati della critica più recente, è
certamente un poeta compatibile con un contesto colto, e quindi potrebbe ben essere figlio
di un notaio di rilievo, lui stesso acculturato non nella strada o nell’abitazione paterna ma
nelle sedi deputate alla formazione universitaria. Il problema è che in alcuni documenti del
200’si trova il suo nome ma potrebbe trattarsi benissimo di suo padre, ragion per cui bisogna
distinguere padre e figlio. Intellettuale e giullare, le sue opere sono: Tenzone con
Provenzano, Tenzone con il vescovo, Sirventese di tutti i mestier, Canzone de oppositis,
l’Amore di questo mondo. Essendo lui stesso un testimone del suo tempo, le sue opere sono
utili per ricostruire in un modo in un certo senso “trasversale” il clima politico di quel periodo,
gli anni di ascesa dei ghibellini che culminano con la battaglia di Monteaperti, il conflitto
ideologico tra guelfi e ghibellini nella mente dei cittadini che erano i suoi clienti. A contrario
di quanto viene detto nella Divina Commedia che Provenzano sia stato arrogante e per
questo dovette scontare la sua pena nel Purgatorio, Ruggieri da una valutazione positiva
nella Tenzone di Provenzano, lodandolo come un ottimo leader, giustificandolo nelle sue
scelte perché pressato dalle circostanze esterne. In l’Amore di questo mondo Ruggeri
racconta che ne ha passato tante, che ha vissuto la stagione precoce del ghibellinismo
senese sia la drammatica conversione della città al guelfismo, mentre nell’altra sua opera,
Tenzone con il vescovo, si sfoga raccontando che ormai lui stesso anziano e i suoi amici sono
caduti in rovina. Ruggieri nelle vesti di giullare è sospettato di Eresia, come un giurisperito
maturato nella stagione della Siena filo-imperiale, ma non per questo automaticamente anti-
papale, che ha avuto il vezzo di presentare i proprio mestiere di giullare (ambedue lavorano
per chiunque li chiami e consigliano ai governanti). Tuttavia una sera pare abbia bevuto
troppo ed esagerando più del dovuto, è stato richiamato dal clero a rispondere del suo
comportamento. In città tutti chiudevano un occhio, anzi a dirla tutta, i cittadini erano simili
a lui, ma proprio in quella occasione si ipotizza che la parte nemica dei guelfi fosse in ascesa
e gli abbiano cercato di fargliela pagare mobilitando il clero. Il nostro poeta, insomma,
sembra immerso fino al collo nel conflitto politico e ideologico che travaglia il cuore del 200’
con le sue contraddizioni.
L’epistola di Enea Silvio Piccolomini nota come Historia de duobus amantibu del 1444 è il
prodotto più celebre di un episodio che per la città è l’ultima prova di un sentimento
ghibellino, affermazione di identità e progetto intorno al quale aggregare altri centri toscani
contro la dilagante supremazia fiorentina, recuperando antiche tradizioni. Il pensiero di
questo autore è anche indagato insieme a quello di un altro di nome Patrizi. I testi di
Piccolomini e Patrizi, diffusi attraverso numerose edizioni e traduzioni, sono tra le le fonti
della pubblicistica cinque e seicentesca legate all’affermazione dell’assolutismo. Assolutismo
come conseguenza estrema della reductio ad unum di matrice ghibellina, mentre la fedeltà
agli ordinamenti comunali e alla Chiesa fanno parte dell’habitus guelfo. Del resto la
monarchia è prevalente in Europa, dal 1380 al 1440 si contano circa 15 regni simili. L’Europa
delle monarchie è anche quella del papato. Enea è dell’opinione che sia papa che imperatore
debbano restare attivi e che ha ciascuno spetti il suo ruolo un po’ come pensava Machiavelli,
l’imperatore è la legge che governa mentre il papa è il capo mistico dello stato. Tra i due
l’imperatore deve detenere il potere temporale per far rispettare la sua legge e punire
mentre al papa è affidata la cura delle anime e il potere spirituale. Sostiene che la monarchia
è considerata la forma di governa giusta, non molte persone soffrono sotto questa. Dunque
Enea condanna il conflitto tra guelfi e ghibellini perché nella sua ottima le due parti
dovevano venirsi incontro per collaborare e condanna come ancora molti autori del suo
tempo utilizzavano questa terminologia di divisone “guelfo” e “ghibellino”. L’imperatore
Sigismondo di Lussemburgo ha soggiornato a Siena e ha combattuto anche dalla sua parte
in un conflitto mossa da Firenze contro Lucca nel 1429 conclusosi nel 1433 (anche se Siena
scende in campo nel 1431). I nove mesi del soggiorno imperiale sono un seguito di cerimonie
e feste per l’augusto ospite, che presenzia ai consigli e partecipa a nozze e funerali di notabili.
L’aspirazione ai titoli, basta pensare alla frequenza dell’investitura cavalleresca, è motivo non
ultimo del favore riscosso dall’autorità imperiale. Avviene la cerimonia d’arrivo di
Sigismondo in Piazza del Campo, l’imperatore riceve l’omaggio e chiede inviolata e perpetua
fedeltà all’impero, quindi condona censi e tributi. Piccolomini lo vede poco attento al denaro.
Sul versante politico, l’imperatore appoggia Siena, Lucca, Piombino, Genova, Milano
coalizzati contro Firenze e Venezia. Non esistevano più le fazioni, in questa guerra vengono
coinvolti tutti, papa, imperatore, condottieri, principi e impressiona i contemporanei, che
producono arte e letteratura ma anche nuovi ingegnosi congegni in vista delle battaglie.
Questi 4 anni di minacce contro Siena e la città di Serchio portano a u rinnovato sentimento
di fedeltà all’impero, dipingendo sulla facciata del Palazzo l’aquila imperiale.
Siena lungo la via Francigena si sentiva sicura da Firenze grazie al supporto dell’imperatore
e in questo modo il commercio senese poteva essere salvato. Sigismondo viene
rappresentato in diversi quadri ed effigi per rendere grazie del suo operato di quegli anni.
La scelta ghibellina convive con atteggiamenti critici verso l’autorità ecclesiastica ed è più
libera e spregiudicata nei costumi. Siena e Lucca accomunate da una tradizione ghibellina
stringono di più, si scambiano persino gli artisti. Nel 1418 Firenze prova a prendersi Siena
ma il tentativo fallisce, apparterrà a Firenze nel 1555 (conquista del suo stato). Per
concludere, a seguito della guerra di Lucca e della presenza imperiale, la fiammata ghibellina
porta a Siena a un decennio di duro confronto tra potere civile e potere religioso, con
posizioni tanti radicali da arrivare alla scomunica dopo una serie di incidenti con la Santa
Sede, che si risolvono solo dopo lunghe trattative diplomatiche, impegnando san Bernardino
il senese più ascoltato d’Italia. A Siena dura a lungo la santa memoria dell’imperatore
Sigismondo, venti anni dopo sarà il turno di Federico III ma non riecheggerà mai come quella
di Sigismondo.