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JACOB WEINGREEN

Jacob Weingreen
GRAMMATICA
DI Grammatica
EBRAICO BIBLICO

di ebraico biblico
Traduzione
di Marcello Fidanzio
Traduzione di
Sotto la direzione
Mdi
arcello Fidanzio
Giorgio Paximadi

SottoPresentazione
la direzione di
di Massimo Pazzini
Giorgio Paximadi

Presentazione di
Massimo Pazzini

EUPRESS FTL

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PRESENTAZIONE
di
Massimo Pazzini

1. In passato si riteneva che l’ambiente italiano avesse prodotto poco nel settore della
grammatica e della lessicografia ebraica e aramaica in lingua italiana. Questo a causa
del fatto che per molti secoli la lingua della comunicazione a livello accademico – e
non solo in Italia – era stata quella latina. Basti pensare che in Italia sono state scritte
grammatiche ebraiche in lingua latina fin verso la metà del secolo XX. La lingua lati-
na ha predominato, tuttavia un discreto numero di autori, più di quanto generalmente
si pensi, ha usato la lingua italiana. In questi ultimi decenni è stato chiaramente mo-
strato che il suolo italiano ha prodotto frutti abbondanti e notevoli anche in lingua
italiana.a E questo fin dagli albori della stampa.

2. Quanto a fecondità non fa eccezione il periodo storico nel quale viviamo. Fra il
1990 e il 2008 sono state pubblicate, per limitarci alla lingua ebraica e ai testi com-
posti direttamente in italiano – e senza considerare le ristampe di opere precedenti –
non meno di sette grammatiche della lingua ebraica (sia biblica che postbiblica), al-
cune delle quali hanno avuto diverse edizioni e ristampe. Le menzioniamo in ordine
cronologico:
- Deiana G. – Spreafico A., Guida allo studio dell’ebraico biblico, Libreria Sacre
Scritture, Roma 1990, pp. VI + 206 (19912, pp. VI + 224; 19923 con chiave degli
esercizi e sussidio audio).
- Ciprotti P., Introduzione pratica allo studio dell’ebraico biblico, Editrice Pontificia
Università Gregoriana, Roma 1993, vol. I: testo, pp. XIII-175; vol. II: materiale per
esercizi, pp. 190 (non numerate); paradigmi dei verbi, pp. 23.
- Lancellotti A., Grammatica dell’ebraico biblico, Franciscan Printing Press, Jeru-
salem 1996, pp. 200.
- Nahmani Greppi G., Grammatica ebraica (Grammatica essenziale), Vallardi,
Milano 1997, pp. 160.
- Mittler D., Grammatica ebraica, Zanichelli, Bologna 2000, pp. XII + 339.

a  Si possono consultare, in proposito, i nostri contributi “Grammatiche e dizionari di ebraico-aramai-


co in italiano. Catalogo ragionato”, Liber Annuus 42 (1992) 9-32 e l’aggiornamento “Grammatiche e
dizionari di ebraico-aramaico in italiano. Catalogo ragionato - Aggiornamento (dicembre 2001)”, in
Liber Annuus 51 (2001), 183-190.

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- Pepi L. – Serafini F., Corso di ebraico biblico: con Cd-audio per apprendere la
pronuncia dell’ebraico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, 320 pp.;
Serafini F., Esercizi per il Corso di ebraico biblico, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2006, pp. 352.
- Magnanini P. – Nava P.P., Grammatica della lingua ebraica, Edizioni Studio Do-
menicano, Bologna 2008, pp. 231.
A questi manuali si aggiunge ora la traduzione dall’inglese della pregevole Gramma-
tica ebraica di J. Weingreen.

3. Era necessaria – ci possiamo chiedere a questo punto – la pubblicazione di un’ul-


teriore grammatica della lingua ebraica, tanto più se tradotta da altra lingua? La
risposta non può che essere positiva. Questo nuovo volume, infatti, offre una ric-
chezza che i testi menzionati in precedenza possiedono solo in parte; mi riferisco, in
particolare, all’abbondanza degli esercizi e alla loro gradualità. Lo studente, infatti,
viene introdotto progressivamente alla materia tramite esercizi creati appositamente
in funzione delle regole da applicare. Gli esercizi sono tanti e tali da soddisfare anche
le esigenze di classi numerose. Sarà compito del docente distribuire la materia se-
condo il ritmo della classe o il numero degli studenti. Il sussidio è appropriato anche
per lo studio personale, pur mancando la chiave degli esercizi, non voluta dall’autore
già nell’originale in lingua inglese.

4. Con questa sua opera Weingreen ha voluto rendere l’insegnamento della lingua
santa semplice e interessante, preoccupandosi di insistere sulle regole piuttosto che
sulle molteplici eccezioni. Le frasi degli esercizi educano lo studente a pensare in
ebraico, nel corso della traduzione, prima di giungere a una versione scorrevole nella
lingua di arrivo. Anche la scelta di usare un numero limitato di parole negli esercizi si
dimostra vincente: alla fine del suo percorso di apprendimento lo studente avrà me-
morizzato le parole fondamentali della Bibbia ebraica e sarà in grado di comprendere
e tradurre un testo della prosa biblica classica. Gli esercizi sono veramente progressi-
vi: ognuno di essi contiene parole e forme di quelli precedenti al punto da sembrare,
talvolta, ripetitivo; ma il docente dei corsi propedeutici sa bene che repetita iuvant!
L’opera di Weingreen contiene, dunque, le indispensabili nozioni che permettono un
approccio graduale, semplice e completo allo stesso tempo, all’ebraico biblico.

5. Una parola sul traduttore dell’opera, prof. Marcello Fidanzio, docente incaricato
di Ebraico biblico e Sacra Scrittura alla Facoltà di Teologia di Lugano e di Ebraico
biblico alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano), ha assunto su di sé
questo compito assai delicato. Tradurre bene non è per nulla scontato, soprattutto
se non si entra nella mens dell’autore, e qui possiamo dire che questo passo è stato
compiuto. Inoltre lavorare sull’ebraico biblico presuppone un occhio attento ai di-

II

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versi caratteri, alle consonanti, alle vocali e ad altre minuzie della lingua santa. Con
saggezza il traduttore ha saputo coinvolgere, in questa sua opera, diverse istituzioni
e persone le quali hanno collaborato, secondo le proprie competenze, alla prepara-
zione di questo manuale. A tutti costoro vada il nostro ringraziamento.

6. Un grazie sentito al prof. dott. Giorgio Paximadi, ordinario di Antico Testamento


alla Facoltà di Teologia di Lugano, che ha appoggiato l’operazione e diretto il lavoro
per tutta la sua durata, e a Eupress FTL (editrice della Facoltà di Teologia di Luga-
no) e Glossa (editrice della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale), che hanno
accolto con favore questa opera inserendola nel loro catalogo. Mentre auguriamo
al presente sussidio il buon successo che merita, siamo certi che esso contribuirà
ad avviare generazioni di studenti – sia nell’ambito degli studi biblici come pure in
quello dell’ebraistica – allo studio e alla comprensione delle Sacre Scritture nelle
lingue originali.

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PREFAZIONEa

Scopo di questo libro è rendere semplice e interessante l’insegnamento e lo studio


dell’ebraico classico. Sebbene esistano già un certo numero di grammatiche in lin-
gua inglese, l’esperienza nell’insegnamento mi ha portato a realizzare un sistema più
semplice, diretto e analitico di quelli al momento disponibili. Il confronto con altri
docenti di ebraico ha evidenziato la necessità di una grammatica capace di rendere lo
studio della lingua più attraente. è per soddisfare questa esigenza che mi sono impe-
gnato a preparare una grammatica pratica. Nel corso del lavoro ho fatto riferimento
alle seguenti idee di fondo:

1. La grammatica ebraica è essenzialmente schematica e, a partire da semplici regole


di base, è possibile estrarre, quasi matematicamente, i principali gruppi di parole.
In questo libro, quando viene introdotto un punto nuovo, il lettore è rimandato a
principi già noti che, riferiti al problema specifico, producono il risultato richiesto.
Un esempio tipico è quello dei «verbi deboli»: essi vengono spiegati applicandovi le
regole che riguardano le particolari lettere presenti al loro interno, fino ad elaborare
le nuove forme.

2. Non è possibile insegnare tutti i dettagli della grammatica ebraica ai principianti.


È più proficuo affrontare i principi fondamentali che serviranno da base per studi
più avanzati. Per questo ho cercato di evitare, per quanto possibile, i riferimenti alle
molteplici eccezioni che si trovano nelle grammatiche più complete.

[...] b

3. Il fatto che, in ebraico, le parole abbiano numerose forme flesse, mi ha permesso


di preparare un notevole numero di esercizi utilizzando una terminologia ristretta,
ma di ampia frequenza. Penso che, mentre uno studente è impegnato ad acquisire gli
elementi essenziali della grammatica, non ci si debba aspettare che apprenda anche
un vocabolario molto esteso. Una volta raggiunta una solida conoscenza della gram-

a  Estratto della prefazione alla prima edizione, redatta dall’autore nel 1939.
b  Nell'originale si trova qui un punto dedicato agli esercizi di traduzione dall'inglese all'ebraico. Que-
sti sono stati omessi nell'edizione italiana perché non sono più usati nei corsi introduttivi (n. d. t.).

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matica, quando sarà pronto per studiare il testo biblico in ebraico, egli potrà ampliare
il proprio vocabolario riferendosi a un lessico.

4. Gli esercizi sono pensati non solo per illustrare la lezione di grammatica imme-
diatamente precedente, ma anche per richiamare larga parte della grammatica e dei
vocaboli già presentati, in modo che lo studente possa praticare il più possibile la
flessione delle parole ebraiche. Come le lezioni di grammatica, anche gli esercizi
sono progressivi. Le frasi degli esercizi sono state preparate per mantenere l'interes-
se al lavoro di traduzione, facendo riferimento principalmente a personaggi ed eventi
biblici. Nella seconda parte del volume essi contengono racconti brevi ma completi
e un po' di poesia. In questo modo lo studente viene preparato progressivamente alla
lettura del testo biblico.

5. Per facilitare il ripasso e i riferimenti, la prima parte del volume è provvista di


numerose sintesi dei contenuti grammaticali.

6. Le tavole e il vocabolario finali sono molto dettagliati e costituiscono in sé lo


scheletro di una grammatica. Così lo studente può trovare facilmente le informazioni
di cui ha bisogno.

Queste sono le idee principali che ho cercato di seguire nella redazione di questo
testo e che spero potranno soddisfare le attese degli insegnanti e degli studenti di
ebraico.

VI

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A. ALFABETO EBRAICO

L’alfabeto ebraico è formato da 22 consonanti:a

Forma Nome Traslitterazionea Valore numerico

Finali
a ’Ā́ lep̠ ’ 1
B b Bêṯ, Ḇêṯ b, ḇ (bh) 2
G g Gî́mel, ǵ̠î mel g, g (gh) 3
-
D d Dā́leṯ, Ḏā́leṯ d, ḏ (dh) 4
h Hē h 5
w Wāw w 6
z Záyin z 7
x Ḥêṯ ḥ 8
j Ṭêṯ ṭ 9
y Yôḏ y 10
K k $ Kap̠ , Ḵap̠ k, ḵ (kh) 20
l Lā́meḏ l 30
m ~ Mêm m 40
n ! Nûn n 50
s Sā́meḵ s 60
[ ‛Áyin ‛ 70
P p @ Pē, P̠ ē p, p̠ (ph) 80
c # Ṣā́ḏê ṣ 90
q Qôp̠ o Ḳôp̠ qoḳ 100
r Rêš r 200
f v Śîn, Šîn ś, š 300
T t Tāw, Ṯāw t, ṯ (th) 400

a 
I valori fonetici sono indicati alle pp. 5s.

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La tabella precedente indica che:
(a) Sei consonanti hanno due grafie diverse:
b g d k p t senza il punto sono spiranti,
ḇ g ḏ ḵ p̠ ṯ
-
B G D K P T con il punto sono occlusive.
b g d k p t
[Per una spiegazione più ampia cfr. p. 16]
(b) Cinque consonanti assumono una forma particolare quando si trovano in fine di
parola.
All’inizio o in mezzo alla parola si scrivono: k m n p c.
Alla fine della parola diventano: $ a
~ ! @ #.
(c) Le consonanti sono anche segni numericib. Le unità sono indicate con le lettere
da a a j, le decine da y a c, le centinaia da q a t.
I numeri composti sono indicati come segue: 11 ay (1 + 10, perché l’ebraico si scrive
da destra a sinistra, cfr. p. 7), 12 by (2 + 10), 13 gy (3 + 10), ecc. 21 ak (1 + 20),
31 al (1 + 30), 32 bl (2 + 30), 33 gl (3 + 30), ecc. 101 aq (1 + 100), 111 ayq (1
+ 10 + 100), 121 akq (1 + 20 + 100), ecc. 201 ar (1+200), 211 ayr (1 + 10 +
200), 221 akr (1 + 20 + 200), ecc. 500 qt (100 + 400), 600 rt (200 + 400), 1000
rtt (200 + 400 + 400).
Nota: Tra i numeri composti da decine e unità ci sono due eccezioni rispetto al
sistema descritto sopra: i numeri 15 e 16 non si indicano con hy e wy, perché
queste sono abbreviazioni del nome divino (yh e yw per yah e yo). 15 è
indicato con wj (6 + 9) e 16 con zj (7 + 9).

B. VALORE FONETICO DELLE LETTERE


È importante conoscere il corretto valore fonetico di ogni consonante ebraica,
perché numerosi fenomeni grammaticali ebraici sono direttamente in relazione con
la fonetica caratteristica di alcune consonanti.
Poiché non tutte le consonanti hanno un equivalente nell’alfabeto italiano, non è stato
possibile presentare il loro valore fonetico nella tabella precedente. La pronuncia di
ogni consonante è indicata di seguito.

a 
Quando questa lettera finale è priva di vocale ha due punti al suo interno, così: %.
b 
Questo uso non è biblico. Se ne trovano le prime tracce nelle monete dei Maccabei.

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a (traslitterata con lo spirito dolce ’ ) è una sospensione dell’emissione vocale. Il suo
valore consonantico si evidenzia quando è accompagnata da vocale. È l’equivalente
della «h» muta inglese nella parola «honest»a.
B «b» e b (ḇ) si pronuncia «v».
G «g» dura, come in «gatto» e g (g- ) si pronuncia con una lieve aspirazione.
D «d»; d (ḏ) è come il «th» nell’inglese «the».
h «h» con una lieve aspirazione, come nell’inglese «have».
w (traslitterata w) è la «u» semiconsonantica di «uovo», «uomo», pronunciata anche «v».
z (traslitterata z) si pronuncia come una sibilante sonora, come in «rosa».
x (traslitterata ḥ con un punto sottoscritto per distinguerla dalla h h) è una fricativa
gutturale sorda forte, come «ch» nel tedesco «Bach».
j (traslitterata ṭ con un punto sottoscritto per distinguerla dalla t t) è una «t» sorda
enfatica, articolata con la lingua appoggiata contro il palato.
y (traslitterata y) è la «i» semiconsonantica di «iodio».
K «k» e k (ḵ) ha una pronuncia paragonabile alla x, un «ch» aspro.
l «l».
m «m».
n «n».
s «s» sorda come in «sera».
[ (traslitterata con lo spirito aspro ‛ ) è difficile da pronunciare, viene articolata in
fondo alla gola con la contrazione della faringe.
P «p» e p (p̠) si pronuncia «f».
c (traslitterata ṣ con un punto sottoscritto) «s» enfatica sorda, convenzionalmente
pronunciata come l’affricata sorda di «senza».
q (traslitterata q o ḳ) «k» enfatica, articolata sul retro della gola, ricorda il verso della
cornacchia.
r «r».
f (con un punto sull’angolo superiore sinistro, traslitterata ś) «s» sorda; il suono
tende a confondersi con quello di s.

a 
È l’esplosiva glottidale sorda, ossia l’interruzione dell’emissione di fiato tra due vocali contigue, ot-
tenuta con una debole occlusione della glottide. Oltre all’esempio inglese, cfr. la cosiddetta «h» aspirata
francese («la honte») e, in tedesco, la pronuncia di nessi del tipo «die Antwort» (n. d. t.).

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v (con un punto sull’angolo superiore destro, traslitterata š) si pronuncia «sc», come
nell’italiano «scendere».
f e v erano in origine una sola lettera. Nei testi non vocalizzati entrambe sono rappresentate dall’unico
segno X (senza punto).

T «t»; t (ṯ) è come il «th» nell’inglese «think».


Bisogna fare attenzione a distinguere le consonanti che hanno una forma simile,
come:
b e k gen r, d e la finale
$
h e x jem y, w
e la finale !
la finale ~ e s [, c e la finale #

C. VOCALI
Vocali brevia Vocali lunghe

Forma Nome Traslitterazione Forma Nome Traslitterazione

¤; Pathaḥa a ¤' Qāmeṣ ā

¤, Seghôl e
{ ¤e
y¤e
Ṣērê
ē
ê }
¤i Ḥîreq breve i y¤i Ḥîreq lungo î

¤u Qibbûṣ u W¤ Šûreq û

¤' Qāmeṣ- Ḥāṭûph o


{ A¤
¤o
Ḥōlem
ô
ō }
Nota: (a) Le vocali ā - ŏ sono entrambe indicate con il segno '. Al § 7 (pp. 14s.)¤
verrà spiegato come distinguere le due vocali all’interno di una parola; per il
momento ' si può intendere come un qāmeṣ - ā.
¤
(b) La maggior parte delle vocali è scritta sotto la consonante (B' bā, Bu bu,
B, be), ma šûreq e ḥōlem pieno seguono la consonante (WB bû, AB bô), mentre
l’altra forma di ḥōlem è un punto sopra la lettera ( Bo bö)b.

a 
Per i nomi delle vocali e dei termini grammaticali, la traslitterazione delle lettere spiranti segue il
vecchio sistema (bh, kh, ecc.), poiché spesso si trovano indicati in questo modo.
b 
Quando questo punto segue f o precede v si fonde con quello della lettera (tuttavia, nelle edizioni
più accurate, i due punti vengono distinti – n. d. t.).

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D. Spiegazione delLA SCRITTURA
L’ebraico è scritto da destra a sinistra. Una parola formata, per esempio, dalle
consonanti l, m, ḏ si scrive dml; le vocali sono indicate sotto o dopo le consonanti,
p. es. lā-maḏ dm;l', lā-mûḏ dWml'.
Una volta conosciute le consonanti e le vocali, si formano facilmente le sillabe. Una
sillaba è composta da una consonante e da una vocale (sillaba aperta: B' bā, Be bē, WB
bû, AB bô); oppure da una consonante e una vocale seguita a sua volta da un’altra
consonante (sillaba chiusa: rB' bār, rBe bēr, rWB bûr, rAB bôr).
È importante ricordare che una sillaba comincia sempre con una consonante e non
può cominciare con una vocalea. P. es. la parola di due sillabe dr"B' si articola bā-rāḏ
(e non può essere bār-āḏ). Ne consegue che una vocale deve essere sempre preceduta
da una consonante (dr" ' è impossibile).
Quando una parola è composta da più sillabe, si raccomanda ai principianti di leggerla
articolando separatamente ogni sillaba, p. es. dr" B' bā-rāḏ.
L’esercizio di lettura che segue è traslitterato per facilitare i principianti:b
b
tAmB' AmB' ~B' zWzB' zz:B' zB; dd"B' dB' B'
bā-môṯ bā-mô bām bā-zûz bā-zaz baz bā-ḏāḏ bāḏ bā

b b b
Be rh'B' dr"B' rB' tAnB' ~ynIB' WnB' !B' ~t'AmB'
bē bā-hār bā-rāḏ bār bā-nôṯ bā-nîm bā-nû bān bā-mô-ṯām

b b b b
gG: G: ~yrIh'B, lb,B' AtyBe tyBe ~n"yBe ynIyBe !yBe !Be
gag̠ ga be-hā-rîm bā-ḇel bê-ṯô bêṯ bê-nām bê-nî bên bēn

b b b
rb,D< rb'D" ~ybiGE lz:G" lz<GE lAdG" !G: ~G: lG:
de-ḇer dā-ḇār gē-ḇîm gā-zal gē-zel gā-ḏôl gan gam gal

~t'ArAD tArAD rAD !yDI ~ymiD" lD: ~ydIAD lg<D< rbeDo


dô-rô-ṯām dô-rôṯ dôr dîn dā-mîm dal dô-ḏîm de-gel dō-ḇēr
-
sh; Wmh' ~leho rd"h' Wbh' qd:B' ld:G" dg<B, WvD"
has hā-mû hō-lēm hā-ḏār hā-ḇû bā-ḏaq gā-ḏal be-geḏ dā-šû
-
jp'v'AhywI dr<w< rdow" Whbow" ~h,B' ~yrIhe bsehe
wî-hô-šā-p̠ āṭ we-reḏ wā-ḏōr wā-ḇō-hû bā-hem hē-rîm hē-sēḇ

a 
L’unica eccezione è la congiunzione («e»), che talvolta è W (cfr. p. 38.2).
b 
Forma finale, al termine della parola. Cfr. p. 4 b.

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z[' xj;B' rbex' rz<G< [r:z< ~m;z" rkezO tw<m' dywID"
‛āz bā-ṭaḥ ḥā-ḇēr ge-zer ze-ra‛ zā-mam zō-ḵēr mā-weṯ dā-wîḏ

~k'x'
ḥā-ḵām

La consonante a è muta, solo la sua vocale è udibile, ma nella traslitterazione deve


essere indicata con lo spirito dolce (a' ’ā)a.

@l,a, ta, !b,a, vyai yliae lae ae Wnybia' ybia' ba' a'
’e-lep̠ ’eṯ ’e-ḇen ’îš ’ē-lî ’ēl ’ē ’ā-ḇî-nû ’ā-ḇî ’āḇ ’ā

~d"a'h'me rAam' ba'h' tArAa rAa


mē-hā-’ā-ḏām mā-’ôr hā-’āḇ ’ô-rôṯ ’ôr
Leggi e traslittera:
b
b
sm'x' tb;Te rf'B' #qe rz<[e @n"K' tf,m,ro ~ymiy" WhnEymi bk'AK yhiywI #r<a'w" ~yIm;v'
rq,Bo br<[, rx;yI ld:x' #Bu d[eAm Wf[' ~quy" rk'z" dleTe rf,[,w" ~ynIv' vmex' ~d<q,
tx;T; vr:yyI l[;B; tv,ae Wf['yE ~Aqm' t'yair" ytime !yIy: lk;Wa jApv' tl,D< ~aeyciAh
!b'l' lm'G" WhdEf' ry[il' #Wxmi vyE rmea'yE lyIa;

Traslittera in ebraico:

môṯ mô-ṯî lā-mûṯ śām yôm hēn ’al ‛al gaḏ pā-rîm lî lûz kēn wā-nāḏ

qûm ṭal śîm nā-zîḏ tôr yô-sēp̠ ’ā-nō-ḵî rā-ḥēl pa-‛am lā-ḵem ‛am

hā-’ā-ḏām lē-wî bôr pe-reṣ qô-lî pā-rôṯ wā-’ō-mar nā-ḇôn še-ḇer hā-šîḇ

lô yā-ḏî kē-nîm ḥā-lam hā-rag yā-ḏām ke-sep̠ ‛e-ḇeḏ ’ō-ṯô ‛e-śer ne-p̠ eš
-
hā-ḇû nā-ṯan qā-nî-ṯî le-ḥem sû-sîm tam

a 
Cfr. p. 5.
b 
‛ē-zer.

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1. CONSONANTI VOCALICHE
In origine l’alfabeto ebraico era composto solo da consonanti: nei testi scritti le
vocali non venivano indicatea. Ancora oggi i rotoli della Legge, che vengono letti
nelle sinagoghe, sono senza segni vocalicib.
Tuttavia, molto prima dell’introduzione dei segni vocalici, si sentì la necessità di
indicare i principali suoni vocalici: le tre lettere ywh vennero allora usate per le vocali
lunghe, in questo modo:
h indica â, quindi hm si legge mâ.
y indica î ed ê, quindi ym si legge mî oppure mê.
w indica û ed ô, quindi wm si legge mû oppure mô.
Poiché queste tre lettere - ywh - rappresentano allo stesso tempo vocali e consonanti,
sono chiamate: consonanti vocalichec.

2. SILLABE APERTE E SILLABE CHIUSE


Prendiamo come esempio la parola bisillabica ljñ;q'd (qā-ṭál). La sillaba q' (qā)
termina con una vocale: è detta aperta; la sillaba lj; (ṭal) termina invece con una
consonante: è detta chiusa.
Definizione: Una sillaba aperta è una sillaba che termina con una vocale. Una
sillaba chiusa è una sillaba che termina con una consonante.
ñ m' e (mē-’ā-ḏä́ m):
Nella parola ds,xñ, (ḥé-seḏ): x, è aperta e ds, è chiusa; nella parola ~d"a
a' e me sono aperte e ~d" è chiusa.
In genere una sillaba aperta ha una vocale lunga, ma quando è accentata può avere
una vocale breve. Viceversa una sillaba chiusa ha di solito una vocale breve, ma se è
accentata può avere una vocale lungae.
Si può esprimere la seguente regola (di particolare importanza), cfr. p. es. pp. 14-15:
una sillaba chiusa e atona ha sempre una vocale brevef.
a 
Il sistema dei segni vocalici è stato introdotto, molto probabilmente, a partire dal VII sec. d. C.
b 
Quando si parla di «lettere» dell’alfabeto ebraico, si intendono le consonanti e non le vocali.
c 
Spesso nelle grammatiche sono chiamate anche «matres lectionis», per la loro funzione di aiuto alla
lettura (n. d. t.).
d 
La sillaba tonica è convenzionalmente indicata da un segno a punta di freccia:
ljñq; ' qä-†ál, ds,xñ, Hé-sed.
e 
In ljñ;q' la sillaba aperta q' ha una vocale lunga, ma in ds,x,ñ la sillaba aperta x,ñ è accentata e quindi
può avere una vocale breve. In ds,x,ñ la sillaba chiusa ds, ha una vocale breve, ma in ~d"ña'me la sillaba
chiusa ~d"ñ è accentata e dunque può avere una vocale lunga.
f 
Nell’esempio di ds,x,ñ l’ultima sillaba ds, è chiusa e atona: di conseguenza la sua vocale deve essere
breve (la vocalizzazione dsex,ñ è impossibile).

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3. METHEGH
a

Nella parola ~yrñI['h,( (he‛ärî́m) la vocale seghol , ha un trattino verticale alla sua
¤
sinistra. Questo trattino si chiama methegh (gt,mñ, «freno») e indica che il lettore deve
fare una pausa. Così la parola scritta sopra deve essere letta ~yrñI[' h,( he‛ärî́m; allo
stesso modo ~d"ña' h'( hä’ädä́ m.
Definizione: Il methegh è un trattino verticale posto alla sinistra di una vocale. Il
suo effetto è di introdurre, dopo di sé, una pausa nella lettura. Detto altrimenti:
quando l’articolazione di una parola implica una pausa naturale, questa è
indicata nel testo scritto da un methegh.

Nota: Gli usi del methegh saranno illustrati nei capitoli successivi. Si vedrà che, agendo come un
freno, esso funge da accento secondario (cfr. § 4). Consente inoltre di sapere se una sillaba è
aperta o chiusa (cfr. § 5) e se il segno indica la vocale «ā» oppure «o» (cfr. § 7).
¤'

4. MILRA‛ E MIL‛EL
Nella parola rb'ñD" (dāḇä́ r) l’accento è sull’ultima sillaba ed è chiamato milra‛ ([r:l.mi
«da sotto», cioè: sull’ultima sillaba).
Nella parola ds,xñ,h; (haḥéseḏ) l’accento è sulla penultima sillaba ed è chiamato mil‛êl
(ly[el.mi «da sopra», cioè: sulla penultima sillaba).
L’accento di rb'ñD" (dāḇä́ r) è milra‛ ds,xñ,h; (haḥéseḏ) è mil‛êl
” rm;ñv' (šāmár) ” Wrm'ñv' (šāmä́ rû) ”
” ~d"ña'h'( (hä’ädä́ m) ” db,[,ñ (‛éḇeḏ) ”
La maggior parte delle parole ebraiche sono accentate milra‛, tuttavia le parole mil‛êl
sono numerose. In una parola con più di due sillabe, l’accento può trovarsi sull’ultima
o sulla penultima sillaba, ma non sulla terzultimab. Spesso si trova un methegh due
sillabe prima dell’accento, così: ~yrIñ['h,( (he‘ārî́m), #r<añ'h'me( (mēhā’ä́ reṣ); esso ha la
funzione di un accento secondario.

a 
Cfr. p. 6 n. a.
b 
Eccetto quando una parola lunga ha due accenti; in quel caso essa è trattata, virtualmente, come due
parole.

10

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5. ŠEWA
Quando, in un testo vocalizzato, una lettera priva di vocale si trova all’inizio o in
mezzo a una parola, lo spazio vuoto sotto di essa è riempito dal segno . chiamato ¤
šewâ (aw"v.). Così, invece di scrivere dy:B, wOmvli si scrive dy:B., Amv.li.
Esistono due tipi di shewaa: (a) semplice e (b) composto
(a) Shewa semplice
(i) In wOmv. (šemô) e ~yrIm.ÕAv (šô-merîm) lo shewa, all’inizio della sillaba, ha
un suono breve simile a una vocaleb. Questo è uno shewa mobile (sonoro)c.
In rmoÕv.yI (yiš-mōr) e in dyqiÕp.a; (’ap̠ -qîḏ) lo shewa chiude la sillaba e non
viene pronunciato. Questo è uno shewa quiescente (muto). Lo shewa è
mobile quando si trova all’inizio di una sillaba (all’inizio o in mezzo a una
parola) ed è quiescente quando si trova alla fine di una sillaba (in mezzo
a una parola)d.
(ii) Dagli esempi precedenti osserviamo che, quando uno shewa si trova in
mezzo a una parola, è mobile dopo una vocale lunga (come ~yrIm.ÕAv šô-
merîm) e quiescente dopo una vocale breve (come rmoÕv.yI yiš-mōr)e.
(iii) Quando due shewa consecutivi si trovano in mezzo a una parola come in
Wrm.Õv.yI (yiš-merû), il primo shewa chiude la sillaba che lo precede e quindi
è quiescente; il secondo inizia la nuova sillaba e quindi è mobile. Un altro
es. hl'j.q.a, (’eq-ṭelâ).
(iv) Vedremo più avanti (p. 17) che un punto (chiamato «dagheš forte») posto
all’interno di una lettera, indica che la lettera è doppia. Una parola come
WlJ.iqi è l’equivalente di Wlj.j.qi (qiṭ-ṭelû): si tratta di una forma contratta
del caso proposto al punto precedente. Quindi uno shewa posto sotto una
lettera raddoppiata (cioè con un dagheš forte al suo interno) è mobile.

a 
Per comodità può essere trascritto shewa.
b 
Lo shewa non è una vocale. Il suono simil-vocalico è pronunciato come una «e» brevissima. Amv è .
considerata una sola sillaba e ~yrIm.ÕAv una parola di due sillabe.
c 
Si è scelto d'impiegare le definizioni di shewa «mobile» e shewa «quiescente» (invece di «sonoro» e
muto»), perché di uso comune nelle grammatiche ebraiche in lingua italiana (n. d. t.).
d 
Se una lettera in fine di parola è senza vocale, lo shewa non viene annotato, come in rmov.yI. Alcune
parole fanno eccezione, come T.a; (’at) «tu» (f.), D>r>nE (nērd) «nardo».
e 
Poiché una vocale lunga si trova di solito in una sillaba aperta, lo shewa che la segue inizia la sillaba
successiva. Viceversa, poiché una vocale breve si trova di solito in una sillaba chiusa, lo shewa che
la segue chiude la sillaba. Una parola comeyhiy>w:) (wa-yehî) è un’eccezione. Il methegh dopo la vocale
breve introduce una pausa nella lettura e così la sillaba rimane aperta. In questo caso lo shewa inizia la
sillaba seguente e quindi è mobile (cfr. p. 19 nota).

11

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(b) Shewa composto
Le lettere gutturali ([xha) presentano numerose caratteristiche proprie (cfr.
pp. 20s.). Una di queste è che quando una gutturale si trova senza vocale
all’inizio di una sillaba, lo shewa che riceve è praticamente una semivocale.
Ci sono tre semivocali chiamate ḥāṭēpha (@jex' «che accelera»): ] ḥaṭeph-
¤
pathaḥ [á], / ḥaṭeph-seghol [é], \ ḥaṭeph-qameṣ [ó].
¤ ¤
L’insieme formato da shewa e vocale breve è chiamato shewa composto per
distinguerlo dallo shewa ordinario, chiamato shewa semplice.
Per illustrare come una gutturale prenda uno shewa composto, invece di uno
shewa semplice mobile, consideriamo un verbo regolare come rb;v'; (šāḇar «egli
ruppe») che all’imperativo è rbov. (šeḇōr «rompi»). Ma in un verbo che inizia con
una gutturale, come rb;[' (‛āḇar «egli passò»), l’imperativo è rbo[] (‛ăḇōr «passa»),
ossia la gutturale prende uno shewa composto (e non sarà quindi rbo[. ‘eḇōr). Allo
stesso modo, il plurale di rv'y" (yāšār «dritto») è ~yrIv'iy> (yešārîm), ma il plurale di
un aggettivo che inizia con una gutturale, come ~k'x' (ḥāḵām «saggio») è ~ymik'x]
(ḥăḵāmîm, e non ~ymik'x. ḥeḵāmîm).
Nota: Una sillaba non può cominciare con due lettere senza vocali (cioè con due
shewa mobili). Tuttavia, se si verifica una situazione per cui una lettera con
shewa mobile è posta davanti ad un’altra lettera con shewa mobile, allora il
primo shewa è sostituito da un ḥireq breve i (cioè la vocale breve più vicina
¤
nel suono allo shewa). P. es. la preposizione «a», «verso» (moto a luogo) è
indicata con un prefisso senza vocale l. unito alla parola successiva: quando
questo si unisce a laeWmv. (Šemû’ēl - «Samuele») la combinazione laeWmv.l.
(leŠemû’ēl) non è pronunciabile, quindi il primo shewa mobile è sostituito
dalla vocale breve ḥireq: laeWmv.li (liŠemû’ēl - «a Samuele»). Il secondo
shewa rimane mobile, come era prima che la preposizione si unisse alla parola
(troveremo più avanti un’eccezione, p. 70 n. c).
Quando uno shewa semplice mobile si trova davanti a uno shewa composto, il
primo muta, sotto l’influenza del successivo, nella vocale breve corrispondente.
P. es. «a Edom» si dice ~Ada/l, e non ~Ada/l. (cfr. p. 28.4; p. 38.4).
Sintesi: Uno shewa riempie lo spazio vuoto sotto una consonante priva di vocale.
Esistono due tipi di shewa: (a) semplice e (b) composto.
(a) i. Uno shewa semplice ( .) è mobile all’inizio di una sillaba (all’inizio e in
¤
mezzo ad una parola) e quiescente alla fine di una sillaba (in mezzo ad una
parola).
ii. Dopo una vocale lunga è mobile; dopo una vocale breve è quiescente.

a 
Cfr. p. 6 n. a.

12

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iii. Quando si trovano due shewa consecutivi all’interno di una parola, il
primo è quiescente e il secondo è mobile.
iv. Sotto una lettera raddoppiata da un punto (dagheš forte, cfr. pp. 17-18)
lo shewa è mobile.
(b) Uno shewa composto ¤] ¤/ ¤\ sostituisce lo shewa semplice mobile sotto
le gutturali ([xha).
Nota: Quando si trovano due shewa semplici consecutivi all’inizio di una
parola, il primo è sostituito dalla vocale breve ḥireq ( i). Davanti ad uno
¤
shewa composto, lo shewa semplice mobile è sostituito dalla vocale breve
corrispondente.

Leggi e traslittera:a

tAbv.Am ybia] ~yhil{a/ ~ydIb'[] rB'd>mi %WrB. tk,l,òm.m; ATv.ai !DEr>y: yrEb.Do rb;D>
b b a a
WdL.yU !Anb'L.h; bqo[]y:) qx'c.yI ~h'r"b.a; ^t.yrIB. Wrh]m;( ^D>b.[; WrB.v.yI ~yIr:ñc.mi
b b
%AtB. ~h,ylea] T'r>m;a'w> ~k,K.l.m; ybeN[. i ~yIrñ:p.a, tyxiv.hi ^M.[; %l{m. ~ynIh]Ko
b b a
~Alx] !Ayl.[, tAdL.y:m. tl,GOòl.GU laeWmV.mi ~ydIs'x] ABr>x; Wnx.nò:a] ^l.c.a, rbo[]l;
tAdl.AT ~yTiv.liP. yTim.f;ñ ~Ada/ ~h,yven>

Traslittera in ebraico:b

benôṯ deḇārîm ḥeḇrōn binyāmîn ’ăḏāmôṯ neḇî’îm nišmerû hiškîm qeṭaltem


a
’ĕmōr ta‛ăḇōḏ darkeḵā miṣrîm zōḇeḥê be’ĕmeṯ yaḇdēl mōṯerôṯ nap̠ šî
b b
’umlal lemalkî yiṯhalleḵûn tišmerēm mišpeṭê yiḵre‛û baq q ešû miš’ălôṯ

a 
La vocale è posta all’interno della $ finale.
b 
Punto di raddoppiamento.

13

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6. MAQQEPH
a

Quando due o più parole brevi sono strettamente legate nel significato, spesso sono
unite da un trattino chiamato maqqēph (@Qem; «che collega»). P. es. ynIòa] bAjñ ~aiñ
(’im ṭôḇ ’ ánî «se buono [sono] io») possono trovarsi unite da maqqeph, così
ynIòa]-bAj-~ai (’im-ṭôḇ-’ánî). Sul piano grammaticale esse sono, virtualmente, un’unica
parola. Detto altrimenti: ogni parola, separata dalle altre, ha un proprio accento, ma
quando più parole sono unite da maqqeph (diventando così una sola parola), soltanto
l’ultima del gruppo conserva il proprio accento, mentre ogni parola che precede il
maqqeph perde l’accento che aveva quando compariva separatamente.
La perdita dell’accento prima di un maqqeph spesso comporta variazioni nella
vocalizzazione. Quando p. es. le parole yliñAq tañe (’ēṯ qôlî «la mia voce») sono unite
da maqqeph, la parola tae perde il suo accento. La sillaba da chiusa tonica, diventa
chiusa atona e di conseguenza (cfr. p. 9) deve avere una vocale breve. Così la vocale
lunga ṣere e si abbrevia nella vocale breve corrispondente seghol ,, yliwOq-ta, (’eṯ-
¤ ¤
qôlî).
Definizione: Il maqqeph è un trattino orizzontale che, unendo due o più parole,
priva dell’accento le parole che lo precedono.

7. QAMEṢ-ḤAṬUPH
a

Il segno ' serve ad indicare sia la vocale qameṣ «ā», sia il qameṣ-ḥaṭuph «o».
¤
Bisogna pertanto riconoscere quando è «ā» (lungo) e quando è «o» (breve). La
regola enunciata a p. 9 si applica nel seguente modo: la vocale ' che si trova in una
¤
sillaba chiusa atona, deve essere breve, quindi è «o» = qameṣ-ḥaṭuph. Se invece essa
si trova in una sillaba aperta, o in una sillaba chiusa ma tonica, è lunga, quindi è
«ā» = qameṣb.
Esempi:
1. ~q'Y"òw: (wayyā́qom). La parola è accentata mil‛el (cfr. p. 10). La vocale ' nella ¤
sillaba aperta y" è «ā», ma nella sillaba chiusa atona ~q' è «o». Lo stesso in sn"Tñ'w:
(wattā́nos). Invece nella parola bb'ñle (lēḇāḇ) la vocale ' si trova in una sillaba chiusa
¤
ma tonica; è allora «ā».
2. hm'ñk.x' (ḥoḵÕmâ). La parola è accentata milra‛ (cfr. p. 10). La sillaba k.x' è chiusa e
atona, quindi la vocale ' è «o». Nella sillaba aperta hm' la vocale ' è «ā».
¤ ¤
a 
Cfr. p. 6 n. a.
b 
Esistono alcune eccezioni, p.es. ylix\l' (loḥŏlî), dove la vocale sotto la prima lettera è «o», perché
l’originario shewa semplice mobile posto sotto il prefisso (l) è stato sostituito, sotto l’influsso dello
shewa composto, con la vocale breve corrispondente (cfr. p. 12 nota).

14

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Nota: Un sostantivo come hm'ñk.x' («sapienza») si distingue facilmente dal
verbo hm'k.x'( (ḥāÕḵemâ «ella fu saggia») grazie al methegh che qui compare
nella prima sillaba. Il methegh infatti introduce una pausa nella lettura (cfr.
p. 10) e mantiene la sillaba aperta, così la vocale ' si trova in sillaba aperta
¤
e si pronuncia «ā». Allo stesso modo il sostantivo hl'k.a' (’oḵÕlâ - «cibo») si
distingue dal verbo hl'k.a'( (’āÕḵelâ - «ella mangiò»).
3. ynINEx' ha un punto di raddoppiamento nella prima n (dagheš forte, cfr. pp. 17-18) e per­ciò
si pronuncia come se fosse scritto ynInEòÕn>x' (ḥonÕnēnî). La vocale ' si trova in una sillaba
¤
chiusa e atona, quindi si pronuncia «o». Invece, nella parola hM'l' = hm'Õm.lñ' (lā́mÕmâ)
la vocale ' si trova in una sillaba chiusa ma accentata, quindi si pronuncia «ā».
¤
N.B. La parola ~yTiB' («case») si trova scritta con un methegh: ~yTiB('(; questo sembrerebbe
indicare che veniva letta «bāttîm» e non «bottîm».
4. vyai-lK' (kol-’îš). Il maqqeph dopo -lK' lo rende atono (cfr. p. 14), così la vocale
¤ ' si trova in una sillaba chiusa atona, quindi è «o»a.
Sintesi: Il segno vocalico ' è qameṣ «ā» in una sillaba aperta oppure in una sillaba
¤
chiusa ma tonica. è qameṣ-ḥaṭuph «o» in una sillaba chiusa atona (ossia,
oltre alle sillabe chiuse evidenti, quando la vocale è seguita da uno shewa
quiescente oppure da un punto di raddoppiamento o ancora da un maqqeph.
Per contenere il qameṣ-ḥaṭuph la sillaba deve comunque essere atona).

Leggere e traslitterare:

b
~T'r>m;v. %yEn>[' rq'B' yTir>mñ'v' dqod>q' ^r>b('D> Atm'k.x' an"-rm'a/ hm'r>[' tm'Yò"w:
~v'-bT'k.yI ~y"r>mi ^l.d>G" hl'y>lñ' ^m.D)" rm,[oñl'r>d"K. hl'p.n)" ~yInò:t.m' ~['b.r"y " ) A[m.v'
yli-rm'v. #r<añ'h'-lK' tyrIp.G" b['r" ~k,f.p.t'K. ynIbeWar>l(' rB'd>mi Wkr>b('y> ~h,ynEz>a'
~k'x'h,( tAnt.K' ~y"r>Pi

a 
Senza maqqeph la parola si scrive lKo («tutto», «ogni»). Con un maqqeph che la unisce alla parola
successiva la sillaba chiusa diventa anche atona, quindi la vocale si abbrevia e passa da ḥolem («ō») a
qameṣ-ḥaṭuph (cfr. p. 14 § 6).
b 
L’accento tonico (indicato con una punta di freccia sopra la sillaba) verrà segnato soltanto sulle
parole accentate mil‛el (accento sulla penultima sillaba). Le parole senza la freccia sono tutte milra‛
(accento sull’ultima sillaba).

15

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8. DAGHEŠ
a

Il dāghēš (vgED" «perforante») è un punto all’interno di una lettera. Se ne distinguono


due tipi: (a) dagheš lene o deboleb e (b) dagheš forte.
(a) Dagheš lene
Sei lettere dell’alfabeto hanno una doppia pronuncia, occlusiva o spirante. La presenza o
l’assenza di un punto al loro interno indica come debbano essere pronunciate. Esse sono:
b ḇ g g d ḏ k ḵ p p̠ t ṯ
-
B b G g D d K k P p T t
Senza punto queste sei lettere sono spiranti, con un punto al loro interno diventano
occlusive. Questo punto, che determina la pronuncia, si chiama dagheš lene. Il dagheš
lene è dunque il punto che, posto all’interno delle sei consonanti tpkdgb (note nella
formula mnemonica come tp;K. dg:B. begaḏ kep̠ aṯ), le rende occlusive.
-
Esempi di queste lettere con o senza dagheš lene:

b g
(i) xj;B' (bāṭaḥ) rBoq.yI (yiq bōr) lz:G" (gāzal) @GOn>li (lin gōp̠ )

(ii) xj;b.yI (yiḇ ṭaḥ) rb;q' (qā ḇar) lzOg>yI (yig- zōl) @g:n" (nā gap̠ )
-

d k
(i) ~ArD" (dārôm) qyDIc.hi (hiṣ dîq) lKo (kōl) rKoz>a, (’ez kōr)

(ii) ~Ard"w> (w ḏārôm) qd:c' (ṣā ḏaq)


e
lkow> (weḵōl) rk;z" (zā ḵar)

p t
(i) hr"P' (pārâ) rPos.yI (yis pōr) hl'T' (tälâ) ~Tox.l; (laḥ tōm)

(ii) hr"p'W (û p̠ ārâ) rp;s' (sā p̠ ar) hl't'w> (w ṯālâ) ~t;x'


e
(ḥā ṯam)

Gli esempi alle righe (i) mostrano che il dagheš lene compare all’interno di una
lettera (tpkdgb) quando questa è all'inizio di una sillaba (all’inizio o all’interno
di una parola), a condizione che la stessa non sia immediatamente preceduta da una
vocale, uno shewa mobile o uno shewa composto.

a 
Cfr. p. 6 n. a.
b 
Il dagheš lene è così chiamato per distinguerlo dall’altro tipo di dagheš che, indicando il raddoppia-
mento di una lettera, è considerato forte.

16

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Al contrario, gli esempi alle righe (ii) mostrano che il dagheš lene non compare
quando la lettera (tpkdgb) non è all’inizio di una sillaba oppure quando, all’inizio
di una sillaba, è immediatamente preceduta da una vocale, uno shewa mobile o uno
shewa composto.
(b) Il dagheš forte indica il raddoppiamento della lettera in cui compare: lJeqI = ljej.qI;
rF'h; = rf'f.h;; rF'mi = rf'f.mi. Il dagheš forte si può trovare in tutte le lettere (com-
prese le sei lettere tpkdgb), ad eccezione delle gutturali ([xha) e della r. Le
gutturali, essendo articolate all’altezza della gola, non possono raddoppiare, né può
farlo la r. Pertanto queste cinque lettere non possono avere un dagheš forte (cfr.
p. 18 nota b).
Diversi sono i motivi per cui una lettera all’interno di una parola deve essere
raddoppiata, e il raddoppiamento indicato con dagheš forte. Qui indichiamo i
principali tipi di dagheš forte:
(i) Dagheš forte compensatorio. P. es.: la preposizione !mi (min «da») è spesso unita
alla parola che regge. Così l’espressione lWav' !mi (min šā’ûl «da Saul») può diven-
tare una sola parola che si scrive ipoteticamente lWav'n>mi (minšā’ûl). La n priva di
vocale e in mezzo a due consonanti vocalizzate, è scarsamente udibile e scompare
- lWav' /n>mi - causando il raddoppiamento (nella pronuncia) della lettera successiva,
indicato (nella scrittura) da un dagheš forte: lWaV'mi (miššā’ûl). Poiché l’assimilazio-
ne della n è compensata dal raddoppiamento della lettera che segue, il dagheš forte che
qui compare è detto compensatorio. Lo stesso fenomeno si osserva in alcune parole
italiane, p. es.: «in-legale» diventa «illegale», «in-mune» diventa «immune».
(ii) Dagheš forte caratteristico. Alcune coniugazioni del verbo ebraico (cfr. pp. 90ss.)
sono chiamate «intensive», perché la seconda lettera della radice è doppia, p. es.
vQeBi (biqqēš «cercare»). Poiché questo raddoppiamento è caratteristico della
coniugazione, il dagheš forte che lo indica è chiamato dagheš forte caratteristico.
(iii) Dagheš forte eufonico. Talvolta una lettera all’interno di una parola è
raddoppiata per renderne la pronuncia più chiara o fluida. Il dagheš che indica questo
raddoppiamento è chiamato dagheš forte eufonico.
Nota: (a) Se p. es. la preposizione !mi («da») è unita a una parola che inizia
con una delle sei lettere tpkdgb, come lKo (kōl «tutto»), e la combinazione
diventa (ipoteticamente lKon>mi minkōl, poi) lKomi = lKoK.mi (mikkōl), il dagheš
nella K è al tempo stesso lene (perché indica che la lettera è occlusiva) e forte
(perché indica che la lettera è doppia).

17

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(b) Se la lettera da raddoppiare è una gutturale o una r, appaiono alcune
modifiche; queste lettere infatti rifiutano il raddoppiamento (e quindi il
dagheš forte). Un esempio servirà da illustrazione: quando la preposizione
!mi è unita al sostantivo vyai (’îš «un uomo») la combinazione vyaO imi (mi’’îš)
è impossibile. Allora la vocale (qui ḥireq i) che precede la gutturale (qui a)
¤
si allunga (in ṣere e) dando la forma vyaime (mē’îš «da un uomo»). La prima
¤
sillaba, che avrebbe dovuto essere chiusa a causa del raddoppiamento della
lettera successiva, è diventata aperta e, dato che una sillaba aperta ha di solito
una vocale lunga (cfr. p. 9), la sua vocale è allungata. Allo stesso modo: «dal
male» si dice [r"me (mērā‛) – la forma [R"mi (mirrā‛) è impossibile. Ḥireq è
allungato in ṣere perché le due vocali sono entrambe palatali.

Sintesi: Il dagheš è un punto posto all’interno di una lettera. Ve ne sono due tipi:
(a) Il dagheš lene riguarda soltanto le sei lettere tpkdgb: esse sono spiranti,
ma quando compare al loro interno il dagheš lene, la loro pronuncia diventa
occlusiva. Il dagheš lene compare in queste lettere all’inizio di una sillaba,
a condizione che non vi sia una vocale immediatamente precedente.
(b) Il dagheš forte indica che una lettera è doppia. Si può trovare in tutte le
lettere, tranne le gutturali ([xha) e la r. Esso può essere:
(i) Compensatorio. Quando una lettera, per diversi motivi, viene assimilata
e quella successiva è raddoppiata (con dagheš forte) per compensarne la
mancanza.
(ii) Caratteristico. La caratteristica di alcune coniugazioni verbali è il raddop-
piamento della seconda radicale, che riceve un dagheš forte.
(iii) Eufonico. Una lettera all’interno di una parola è a volte raddoppiata per
ottenere una pronuncia più chiara.
Nota: Quando la lettera che deve essere raddoppiata è una gutturale o una r, la
vocale che la precede si allunga, poiché queste lettere rifiutano il raddoppia-
mento (ossia il dagheš forte).

9. MAPPIQ
Quando la lettera h si trova alla fine di una parola e non è vocalizzata, essa è di solito
quiescente, come in hm' (mâ). Tuttavia può accadere che, pur alla fine di una parola
e non vocalizzata, essa non sia quiescente o vocalica, ma sia a tutti gli effetti una
consonante, pronunciata come una «h» aspirata. P. es. il femminile del sostantivo
sWs (sûs «cavallo») è hs'Ws (sûsâ «cavalla»), ma sWs con il possessivo femminile
singolare («il suo - di lei - cavallo») è Hs'Ws (sûsāh).

18

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Nel primo caso la h è quiescente, mentre nel secondo si pronuncia. Il punto al suo
interno, chiamato qyPim; (mappîq «che fa uscire») indica che la lettera è pronunciata.
Nel verbo Hb;G" (gāḇah) la h è una lettera come le altre, chiaramente udibile.

10. RAPHE
a

Abbiamo visto (cfr. p. 17) che una lettera a volte è raddoppiata per ottenere una
pronuncia più fluida e, in tal caso, prende un dagheš forte eufonico. Inversamente
e per la stessa ragione, accade che il raddoppiamento di una lettera sia omesso e il
dagheš forte cada. In questo caso sopra la lettera compare un trattino orizzontale,
chiamato hp,r" rāphea («attenuato»). P. es. la forma verbale che significa «essi
cercarono» dovrebbe essere WvQ.Bi (biqqešû) con un dagheš forte caratteristico nella q
(cfr. p. 17). Tuttavia, si trova frequentemente senza il raddoppiamento della seconda
radicale Wvq.ãBi (biqešû), ma con un raphe sopra quella lettera a indicare che, per
ragioni eufoniche, il raddoppiamento (ossia il dagheš forte) è stato omesso.
Nota: Spesso anche il raphe, soprattutto nelle parole di uso molto frequente,
non viene annotato sopra la lettera che è stata privata del suo dagheš forteb.
L’espressione «e avvenne» dovrebbe essere yhiY>w: (wayyehî). Tuttavia si può
trovare sia la forma yhiy> w): (wa yehî) – senza il raphe sopra la y ma con un
methegh dopo il pathaḥ per indicare che lo shewa seguente è mobile (cfr.
pp. 10, 11 n. e) – sia la forma yhiy>w: .
c

Definizione: Il raphe è un trattino orizzontale posto al di sopra di una lettera e indica


che il raddoppiamento della lettera (ossia il dagheš forte) è stato omesso.

11. LETTERE QUIESCENTI


Le lettere ywha hanno una pronuncia così debole che, in alcune condizioni, perdono il
loro carattere consonantico diventando quiescenti (mute). In questo caso sono chiamate
lettere quiescenti. Gli esempi di seguito illustrano come esse diventano quiescenti:
1. La parola che significa «Dio» è ~yhil{a/ (’ĕlōhîm). Quando la preposizione
inseparabile l. («a», «verso») si unisce ad essa, ne risulta ~yhil{a/l, le’ĕlōhîm, ma la a
diventa quiescente e perde il suo carattere consonantico. La parola diventa ~yhil{ale
(lē’lōhîm «verso Dio») – cfr. p. 28.5.
a 
Cfr. p. 6 n. a.
b 
Oggi il raphe è praticamente in disuso e non viene quasi più impiegato nelle grammatiche e nelle
edizioni a stampa della Bibbia (n. d. t.).
c 
yhiy>w: è la forma normale, ma quando questa espressione è unita da un maqqeph a un monosillabo,
oppure a un bisillabo accentato mil‛el, allora w: viene a trovarsi due sillabe prima dell’accento e riceve
un methegh. Così: ~h,l' yhiy>w:, hv,m yhiy>w: ma !ke-yhiy> w):, br<[,ñ-yhiy> w):.

19

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2. Quando la preposizione l è unita alla parola hd"Why> (yehûḏâ «Giuda»), la
a
combinazione (hd"Why>l. leyehûḏâ) evolve prima in hd"Why>li (liyehûḏâ), poi, dal
momento che la y diventa quiescente perdendo il suo carattere consonantico, si
trasforma in hd"Whyli (lîhûḏâ) – cfr. p. 27.3.
3. Quando la parola «morte» tw<mñ' (mā́weṯ) è seguita da un’altra a cui è strettamente
legata (p. es. «la morte-di Mosé») viene pronunciata più rapidamente. Prima prende
la forma ipotetica tw>m' (māwṯ), poi il w diventa quiescente, generando la forma -tAm
(môṯ- p. es. hv,m-tAm môṯ-Mōšeh).
Nota: Quando, alla fine di una sillaba, le lettere y e w sono precedute da vocali a
loro non omogenee, conservano il carattere consonantico, p. es.:
[ymi mî e yme mê, ma ] yD: day, yAG gôy, yWnq' qānûy.
[Wl lû e Al lô, ma ] wc; ṣaw, wyPi pîw, wq; qaw.

12. LE GUTTURALI – [xha


Le gutturali, [xha, essendo articolate all’altezza della gola, hanno le seguenti
caratteristiche:
1. Come spiegato a p. 18 nota b, non possono raddoppiare e pertanto non ricevono
mai il dagheš forte. A compensare il mancato raddoppiamento, la vocale che
precede la gutturale si allunga. P. es. ~d"a'm(e (mē’āḏām «da un uomo») e non ~d"‚'mi
(mi’’āḏām)b.
2. A p. 12 abbiamo visto che le gutturali prendono uno shewa composto ] / \ ¤ ¤ ¤
invece di uno shewa semplice mobile. Così, p. es., il plurale di rv'y" («dritto») è
~yrIv'y> (yešārîm), ma il plurale di una parola dello stesso tipo che inizia con una
gutturale, come ~k'x' («saggio»), è ~ymik'x] (ḥăḵāmîm) e non ~ymik'x. (ḥeḵāmîm).
3. Le gutturali preferiscono il pathaḥ ( ;) come vocale propria e anche come vocale
¤
precedente. P. es.: %l,m,ñ (méleḵ «re») è un esempio di sostantivo con la vocale seghol
( ,) in entrambe le sillabe; ma un sostantivo dello stesso tipo che termina con una
¤
gutturale è xb;zñ< (zéḇaḥ «sacrificio», e non xb,zñ< zéḇeḥ) poiché la gutturale influenza
la vocale pathaḥ. Un sostantivo con una media gutturale sarà come r[;nñ: (invece di
r[,nñ<).
4. Il sostantivo sWs (sûs «cavallo») è un monosillabo con la vocale šureq (W) fra due
consonanti. Ora, un sostantivo dello stesso tipo che termina con una gutturale è x;Wrñ

a 
Cfr. p. 12 nota.
b 
Lo stesso avviene con la lettera r (cfr. p. 18 nota b).

20

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(letto rû́aḥa «vento» e non xWr rûḥ). La vocale complementare – pathaḥ – si sviluppa
sotto la gutturale quando quest’ultima segue una vocale piena tonica. Essa si chiama
pathaḥ furtivum. Lo stesso avviene nel verbo: la forma normale dell’infinito è rmov.
(šemōr «custodire»), ma l’infinito di un verbo con la terza radicale gutturale è [;moñv.
a

(šemōa‛ «ascoltare»).
Sintesi: Le lettere gutturali [xha:
1. Non ricevono il dagheš forte (perché non possono raddoppiare), ma la
vocale che le precede si allunga per compensazione (lo stesso avviene
con r).
2. Prendono uno shewa composto invece dello shewa semplice mobile.
3. Preferiscono il pathaḥ ( ;) come vocale propria e anche come vocale
¤
precedente.
4. Prendono un pathaḥ furtivum quando seguono una vocale piena tonica.

13. ACCENTI
Riproduciamo qui i primi versetti della Genesi, come si trovano nelle edizioni a
stampa della Bibbia ebraica, per mostrare gli accenti e le loro principali funzioni:
`#r<a('h' taeîw> ~yImÞ;V'h; tae ~yh_il{a/ ar"åB' tyviÞarEB. (versetto 1)
. . . ~Ah+t. ynEåP.-l[; %v,xßw> Whbo êw" ‘Whto’ htî'y>h' #r<a'ªh'w> (versetto 2)
Oltre alle vocali, ogni parola ha un piccolo segno grafico sopra o sotto una delle sue
sillabe. Questi segni sono gli accenti; essi hanno diverse funzioni:
(a) Indicano la sillaba tonica, cioè la sillaba su cui cade l’accento. In ognuna delle
prime tre parole del v.1 l’accento si trova sull’ultima sillaba (milra‛, p. 10) a indicare
che il tono cade sull’ultima (berē’šî́t bārā́’ ’élōhî́m). Ma in ~yImÞ;V'h; (haššāmáyim, v.1)
e in #r<a'ªh'w> (wehā’ā́reṣ, v.2) l’accento si trova sulla penultima (mil‛el, p. 10)b.
(b) Fungono da segni di punteggiatura, perché dividono il versetto in segmenti
logici. Gli accenti sono di due tipi: «disgiuntivi» e «congiuntivi»c. I due maggiori
segni di interruzione sono:
i.( )) chiamato sillûq (qWLsi) compare sempre sotto l’ultima parola del versetto,
¤
come si vede in #r<a'(h' alla fine del v.1. Il silluq è l’interruzione più importante
a 
Il pathaḥ furtivum si legge prima della consonante sotto cui è segnato.
b 
Nelle grammatiche tutti gli accenti sono convenzionalmente annotati con una punta di freccia al di
sopra della sillaba tonica. Poiché la maggior parte delle parole sono milra‛, sono indicati soltanto gli
accenti mil‛el.
c 
L’elenco completo è presentato alla fine del volume, cfr. Appendice § 2.

21

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in un versetto ed è sempre seguito dal segno ` chiamato sôpha pāsûq (qWsP'
¤ @As
«fine di versetto»).
ii. ( ¤+) chiamato ’athnāḥ (xn"t.a;), come quello che si trova sotto la parola ~yhi_l{a/,
a

è il secondo per importanza tra i segni di interruzione e divide il versetto in due


parti logiche.
Le funzioni dello ’athnaḥ e del silluq appaiono nella traduzione del v.1. «In principio
Dio creò» – la prima metà del versetto termina con ’athnaḥ. «Il cielo e la terra» – la
seconda metà del versetto termina con silluq seguito dal segno di soph pasuq.
N. B. Poiché il segno ( )) è usato sia per l’accento silluq sia per il methegh, è
¤
necessario distinguerli. Se compare sotto una parola in mezzo ad un versetto
è un methegh, se compare sotto la sillaba tonica di una parola alla fine di un
versetto è un silluq. Possono anche comparire insieme `~d")a'h'(me ha sia un
methegh, sia un silluq. Il silluq è sempre sotto la sillaba tonica (dell’ultima
parola di un versetto), mentre il methegh non lo è mai.
(c) Fungono da notazioni musicali per la cantillazione delle Scritture nella liturgia
sinagogale.
Sintesi: Gli accenti: (a) indicano la sillaba tonica, (b) fungono da segni di
punteggiatura e (c) da notazioni musicali per la cantillazione delle Scritture.

14. PAUSA
Si dice che una parola è in pausa quando è accentata con uno dei due maggiori
segni d’interruzione: silluq o ’athnaḥ (cfr. pp. 21s.); in entrambi i casi la parola è
alla fine di una proposizione. In genere, leggendo ad alta voce una frase, si tende a
prolungare la sillaba tonica dell’ultima parola, ossia della parola in pausa. Così,
p. es., la parola «acqua» in mezzo ad una frase è ~yIm;ñ (máyim), ma in pausa diventa
~yIm'( o ~yIm_' (mā́yim) con silluq o ’athnaḥ: la vocale breve pathaḥ ( ;) nella sillaba
¤
tonica è allungata in qamec ( '). Allo stesso modo «egli custodì» è rm;v' (šämár) in
¤
mezzo ad una frase, ma in pausa diventa: rm'(v' o rm_'v' (šämā́r) con silluq o ’athnaḥ.
[I cambiamenti nella vocalizzazione dovuti alla pausa saranno trattati più ampiamente
alle pp. 116s.]

a 
Cfr. p. 6 n. a.

22

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15. KETHIBH E QERE
a

Una caratteristica della Bibbia ebraica, nelle sue edizioni a stampa, è che le correzioni
di errori manifesti sono riportate a margine o a piè di pagina, mentre le parole errate
sono conservate nel testo. Il rifiuto di fare modifiche, anche quando si riconoscono
degli errori evidenti, è dovuto all’estremo rispetto per il testo, nonché all’esigenza di
proteggerlo da manomissioni.
(a) Un esempio di questo sistema è offerto dalla parola impossibile W>n:a] (Ger 42,6)
che evidentemente non è leggibile. Possiamo immaginare che sia successo qualcosa
di simile a quanto segue: nell’ebraico classico il pronome personale «noi» si dice
Wnx.n:òa], ma esiste anche una forma breve Wna] attestata solo nel testo consonantico di
Ger 42,6. Quando vennero introdotte le vocali, lo scriba pensò che questa forma breve
fosse errata e, per non modificare il testo, conservò le consonanti della parola
che riteneva errata (Wna]) unendovi le vocali della forma corretta (Wnx.n:òa], quindi
W . ; ] ). Ottenne così una forma impossibile W>n:a], utile per attirare l’attenzione
¤¤¤¤
sull’errore e sulla sua correzione. Con questo sistema il lettore è costretto a fermarsi
sulla parola impossibile e riferirsi alle note a margine o a piè di pagina, dove è
riportata la correzione.
La parola errata conservata nel testo è il kethîbh (bytiK. «è scritto»). La lettura
corretta, a margine o a piè di pagina, è il qerê (yrEq. «da leggersi»). Nell’esempio
sopraccitato Wna] è il kethîbh e Wnx.n:òa] è il qerê.
Nota: Nei rotoli non vocalizzati che servono per la lettura sinagogale, il kethibh
(la forma errata) è conservato nel testo, ma il qere (la forma corretta) non è
riportato né a margine né a piè di pagina. Si suppone che il lettore conosca il
testo e la parola da correggere, ossia letta secondo il qere invece del kethibh
(forma scritta).
(b) Una parola dal significato ingiurioso o sconveniente, benché scritta nel testo
(kethibh), è spesso sostituita nella lettura (qere, in nota a piè di pagina) da un’altra
parola, generalmente un eufemismo.
(c) Un altro tipo di alterazione volontaria del testo nella lettura è dovuta al rispetto
per il nome divino, forse hw<h]y: o hw<h.y: (Yahăweh o Yahweh). Il nome di Dio era
ritenuto troppo sacro per essere pronunciato: le sue consonanti erano scritte nel testo
(kethibh), ma la parola letta (qere) era yn"doa] (che significa «Signore»). Alle consonanti
del kethibh hwhy vennero aggiunte le vocali del qere yn"doa] cioè ' o . dando origine
¤¤¤
alla forma impossibile hA"hy>b (Yehōwâ)c. Tuttavia, data la frequente attestazione del

a 
Cfr. p. 6 n. a.
b 
Lo shewa composto che si trova sotto la gutturale a nella parola yn"doa], diventa uno shewa semplice
sotto la y del kethibh hA"hy>.
c 
«L’italiano Geova»

23

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nome divino nella Bibbia, le edizioni a stampa non riportano la lettura richiesta
(qere) in margine o a piè di pagina. Ci si aspetta che il lettore sostituisca il kethibh
con il qere senza doverne richiamare l’attenzione ogni volta che la parola compare
nel testo. Per questa ragione è chiamato qere perpetuum, cioè permanentea.
Un altro esempio di qere perpetuum è il pronome personale femminile singolare
ayhi (hī’ «ella»), che molto spesso nel Pentateuco compare nella forma impossibile
awhi. Questo è dovuto alla confusione con il pronome personale maschile singolare
aWh (hū’ «egli»)b. Alle consonanti della forma errata awh (kethibh) venne aggiunta
la vocale della correzione (qere) ayhi, cioè la vocale ḥireq ( i), producendo così la
¤
forma impossibile awhi. Di nuovo, la lettura richiesta (qere) non è indicata in margine
o a piè di pagina, perché questa parola ricorre frequentemente nella Bibbia.

16. L’ARTICOLO
In ebraico non esiste un termine per indicare l’articolo indeterminativo: «un», «uno»,
«una» non sono espressi. P. es. %l,m,ñ significa «re» oppure «un re», !yI[;ñ «occhio»
oppure «un occhio». Il contesto chiarisce se la parola è indeterminata.
(a) Si pensa che l’articolo determinativo «il, lo, la, i, gli, le» in origine fosse lh; (come
l’arabo «al»c). Nell̓unione dell̓articolo con la parola da determinare (p. es. %l,ml ,ñ h. ; «il
re»), la l non vocalizzata venne assimilata e, di conseguenza, la lettera successiva fu
raddoppiata con un dagheš forte (p. 17) %l,Mh ñ, .; L’articolod è h;; seguito da dagheš forte,
tranne davanti alle parole che cominciano con una gutturale o con una r.
(b) Quando l’articolo precede una parola che comincia con una gutturale ([xha)
o con una r, dato che queste lettere non ammettono il raddoppiamento (cioè il
dagheš forte che dovrebbe seguire l’articolo), intervengono alcune modifiche nella
vocalizzazione dell’articolo:
(i) Per le gutturali che vengono pronunciate più debolmente [a e per la r è valida
la regola (p. 18 nota b e p. 20.1) secondo cui la vocale precedente viene allungata
se la lettera non può essere raddoppiata con dagheš forte:

a 
Nel rotolo di Isaia trovato a Qumran, il qere del nome di Dio è generalmente annotato sopra il
ynwda
kethibh, così: hwhy. Questo espediente è antico, risale a un periodo che precede l’introduzione delle vocali.
b 
Prima che i suoni vocalici venissero indicati con le consonanti vocaliche, aWh e ayhi si scrivevano
allo stesso modo: ah.
c 
In italiano si trovano tracce di questo articolo in alcune parole derivate dall’arabo come: alchimia,
algebra, almanacco, ecc. (n. d. t.).
d 
Per «articolo» si intende l’articolo determinativo.

24

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a «luce» rAa «la luce» rAah' «uomo» ~d"a' «l’uomo» ~d"a'h('a

[ «occhio» !yI[;ñ «l’occhio» !yI[;ñh' «città» ry[i «la città» ry[ih' 


r «testa» var{ «la testa» var{h' «piede» lg<r< «il piede» lg<r<ñh'
Davanti alle gutturali che vengono pronunciate più debolmente [a e alla lettera
r l’articolo è h'.a
(ii) Davanti alle gutturali con una pronuncia più aspra xh, l’articolo è vocalizzato
come segue:

h «palazzo» lk'yhe «il palazzo» lk'yheh(; a


«gloria» dAh «la gloria» dAhh; 
x «oscurità» %v,xñ «l’oscurità» %v,xñh;  «sogno» ~Alx] «il sogno» ~Alx]h;
Davanti alle gutturali che hanno una pronuncia più aspra xh l’articolo è h;.
Non segue il dagheš forte e nemmeno la vocale sotto l’articolo viene allungata: il
dagheš forte è considerato implicito nei suoni duri di queste gutturali.

(iii) Un’eccezione rispetto a quanto esposto nei due punti precedenti, si verifica
quando l’articolo precede h' atona, [' atona, x' atona o tonica, così:
«montagne» ~yrIh' (h' è atona), «le montagne» ~yrIh'h,(a

«polvere» rp'[' ([' ” ), «la polvere»   rp'['h,(a

«saggio (uomo)» ~k'x' (x' ” ), «il saggio (uomo)»  ~k'x'h,(a

«vigore» lyIx'ñ (x' è tonica), «il vigore»     


b
lyix'ñh,
Davanti a h' e [' atone e sempre prima di x' l’articolo è h,.

(iv) Davanti a h' e [' toniche l’articolo è h':


«una montagna» rh' (h' è tonica), «la montagna» rh'h'
«verso una montagna» hr""h' (h' ” ), «verso la montagna» hr"h'ñh'
«forte» z[' ([' ” ), «il forte» z['h'
«iniquità»   lw<['ñ ([' ” ), «l’iniquità» lw<[ñ'h'
Sintesi: L’articolo è vocalizzato come segue:
a) Davanti a tutte le lettere escluse le gutturali e la r, l’articolo è h; seguito da
dagheš forte: %l,M,ñh;.

a 
Il metheg si trova due posizioni prima dell’accento.
b 
Questa è la forma pausale di lyIx;ñ (p. 22).

25

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b) (i) Davanti alle gutturali che vengono pronunciate più debolmente [a e alla
r, l’articolo è h': rAah', !yI[;ñh', vaOrh'.
(ii) Davanti alle gutturali che hanno una pronuncia più aspra xh, l’articolo
è h;: lk'yheh(;, %v,xñh;.
(iii) Davanti a h' e [' atone e sempre davanti a x', l’articolo è h,: ~yrIh'h,(,
rp'['h,(, ~k'x'h,(.
(iv) Davanti a h' e [' toniche, l’articolo è h': rh'h', z['h'.

Nota per l’esercizio 1


«L’uomo disse» in ebraico si dice: «disse, l’uomo» ~d"a'h(' rm;a'.
«Dio creò» in ebraico si dice: «creò, Dio» ~yhil{a/ ar"B'.
Generalmente in ebraico il verbo precede il soggetto: questo è l’ordine normale.
(Si vedrà in seguito che, quando al soggetto è data una speciale enfasi, esso
precede il verbo, p. es. rm;a' ~d"a'h(' significa «l’uomo disse».)

ESERCIZIO 1
egli creò a
ar"B' città ry[i re %l,m,ñ
egli disse rm;a' Dio ~yhil{a/ giorno ~Ay
egli venne, entrò aB' polvere rp'[' notte hl'y>l;ñ
a, verso la, oscurità, tenebre %v,xñ luce rAa
da !mi testa, capo va™r uomo ~d"a'
e (congiunzione)b ...w> palazzo, tempio lk'yhe terra, suolo hm'd"a]
ry[ih' Ãry[i (5) rAah' ÃrAa (4) hl'y>Lñ;h; Ãhl'y>lñ; (3) ~AYh; Ã~Ay (2) %l,Mñ,h; Ã%l,mñ, (1)
c c
c
hl'yL> h;ñ w; > ~AYh; (10) rp'['h(, Ãrp'[' (9) lk'yheh;( Ãlk'yhe (8) %v,xhñ ; Ã%v,xñ (7) va™rh' Ãva™r (6)
c c
hm'd"a]h(' Ãrp'['w> hm'd"a] (13) ~d"a'h('w> %l,Mñ,h; Ã~d"a'w> %l,mñ, (12) %v,xñh;w> rAah' (11)
c c
hm'd"a]h('-!mi ~d"a' ~yhil{a/ ar"B' (15) lk'yheh(;w> ry[ih' Ãlk'yhew> ry[i (14) rp'['h(,w>
aB' ry[ih'-la,w> (18) ~d"a'h('-la, ~yhil{a/ rm;a' (17) lk'yheh;( !mi %l,Mñ,h; aB' (16)
%v,xñh;-!mi rAa ~yhil{a/ ar"B' (19) %l,Mñ,h;

a 
Nelle liste di vocaboli il perfetto ebraico è stato tradotto con il passato remoto; ma nello svolgimento
degli esercizi, secondo il contesto, si può scegliere tra i diversi tempi del passato italiano, cfr. § 29
(n. d. t.).
b 
P. es. ~d"a'w>. Una presentazione più completa alle pp. 37 ss.
c 
C’è un methegh perché questa sillaba si trova due posizioni prima della sillaba accentata (cfr. p. 10 § 3).

26

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