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Jacob Weingreen
GRAMMATICA
DI Grammatica
EBRAICO BIBLICO
di ebraico biblico
Traduzione
di Marcello Fidanzio
Traduzione di
Sotto la direzione
Mdi
arcello Fidanzio
Giorgio Paximadi
SottoPresentazione
la direzione di
di Massimo Pazzini
Giorgio Paximadi
Presentazione di
Massimo Pazzini
EUPRESS FTL
1. In passato si riteneva che l’ambiente italiano avesse prodotto poco nel settore della
grammatica e della lessicografia ebraica e aramaica in lingua italiana. Questo a causa
del fatto che per molti secoli la lingua della comunicazione a livello accademico – e
non solo in Italia – era stata quella latina. Basti pensare che in Italia sono state scritte
grammatiche ebraiche in lingua latina fin verso la metà del secolo XX. La lingua lati-
na ha predominato, tuttavia un discreto numero di autori, più di quanto generalmente
si pensi, ha usato la lingua italiana. In questi ultimi decenni è stato chiaramente mo-
strato che il suolo italiano ha prodotto frutti abbondanti e notevoli anche in lingua
italiana.a E questo fin dagli albori della stampa.
2. Quanto a fecondità non fa eccezione il periodo storico nel quale viviamo. Fra il
1990 e il 2008 sono state pubblicate, per limitarci alla lingua ebraica e ai testi com-
posti direttamente in italiano – e senza considerare le ristampe di opere precedenti –
non meno di sette grammatiche della lingua ebraica (sia biblica che postbiblica), al-
cune delle quali hanno avuto diverse edizioni e ristampe. Le menzioniamo in ordine
cronologico:
- Deiana G. – Spreafico A., Guida allo studio dell’ebraico biblico, Libreria Sacre
Scritture, Roma 1990, pp. VI + 206 (19912, pp. VI + 224; 19923 con chiave degli
esercizi e sussidio audio).
- Ciprotti P., Introduzione pratica allo studio dell’ebraico biblico, Editrice Pontificia
Università Gregoriana, Roma 1993, vol. I: testo, pp. XIII-175; vol. II: materiale per
esercizi, pp. 190 (non numerate); paradigmi dei verbi, pp. 23.
- Lancellotti A., Grammatica dell’ebraico biblico, Franciscan Printing Press, Jeru-
salem 1996, pp. 200.
- Nahmani Greppi G., Grammatica ebraica (Grammatica essenziale), Vallardi,
Milano 1997, pp. 160.
- Mittler D., Grammatica ebraica, Zanichelli, Bologna 2000, pp. XII + 339.
4. Con questa sua opera Weingreen ha voluto rendere l’insegnamento della lingua
santa semplice e interessante, preoccupandosi di insistere sulle regole piuttosto che
sulle molteplici eccezioni. Le frasi degli esercizi educano lo studente a pensare in
ebraico, nel corso della traduzione, prima di giungere a una versione scorrevole nella
lingua di arrivo. Anche la scelta di usare un numero limitato di parole negli esercizi si
dimostra vincente: alla fine del suo percorso di apprendimento lo studente avrà me-
morizzato le parole fondamentali della Bibbia ebraica e sarà in grado di comprendere
e tradurre un testo della prosa biblica classica. Gli esercizi sono veramente progressi-
vi: ognuno di essi contiene parole e forme di quelli precedenti al punto da sembrare,
talvolta, ripetitivo; ma il docente dei corsi propedeutici sa bene che repetita iuvant!
L’opera di Weingreen contiene, dunque, le indispensabili nozioni che permettono un
approccio graduale, semplice e completo allo stesso tempo, all’ebraico biblico.
5. Una parola sul traduttore dell’opera, prof. Marcello Fidanzio, docente incaricato
di Ebraico biblico e Sacra Scrittura alla Facoltà di Teologia di Lugano e di Ebraico
biblico alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano), ha assunto su di sé
questo compito assai delicato. Tradurre bene non è per nulla scontato, soprattutto
se non si entra nella mens dell’autore, e qui possiamo dire che questo passo è stato
compiuto. Inoltre lavorare sull’ebraico biblico presuppone un occhio attento ai di-
II
III
[...] b
a Estratto della prefazione alla prima edizione, redatta dall’autore nel 1939.
b Nell'originale si trova qui un punto dedicato agli esercizi di traduzione dall'inglese all'ebraico. Que-
sti sono stati omessi nell'edizione italiana perché non sono più usati nei corsi introduttivi (n. d. t.).
4. Gli esercizi sono pensati non solo per illustrare la lezione di grammatica imme-
diatamente precedente, ma anche per richiamare larga parte della grammatica e dei
vocaboli già presentati, in modo che lo studente possa praticare il più possibile la
flessione delle parole ebraiche. Come le lezioni di grammatica, anche gli esercizi
sono progressivi. Le frasi degli esercizi sono state preparate per mantenere l'interes-
se al lavoro di traduzione, facendo riferimento principalmente a personaggi ed eventi
biblici. Nella seconda parte del volume essi contengono racconti brevi ma completi
e un po' di poesia. In questo modo lo studente viene preparato progressivamente alla
lettura del testo biblico.
Queste sono le idee principali che ho cercato di seguire nella redazione di questo
testo e che spero potranno soddisfare le attese degli insegnanti e degli studenti di
ebraico.
VI
Finali
a ’Ā́ lep̠ ’ 1
B b Bêṯ, Ḇêṯ b, ḇ (bh) 2
G g Gî́mel, ǵ̠î mel g, g (gh) 3
-
D d Dā́leṯ, Ḏā́leṯ d, ḏ (dh) 4
h Hē h 5
w Wāw w 6
z Záyin z 7
x Ḥêṯ ḥ 8
j Ṭêṯ ṭ 9
y Yôḏ y 10
K k $ Kap̠ , Ḵap̠ k, ḵ (kh) 20
l Lā́meḏ l 30
m ~ Mêm m 40
n ! Nûn n 50
s Sā́meḵ s 60
[ ‛Áyin ‛ 70
P p @ Pē, P̠ ē p, p̠ (ph) 80
c # Ṣā́ḏê ṣ 90
q Qôp̠ o Ḳôp̠ qoḳ 100
r Rêš r 200
f v Śîn, Šîn ś, š 300
T t Tāw, Ṯāw t, ṯ (th) 400
a
I valori fonetici sono indicati alle pp. 5s.
a
Quando questa lettera finale è priva di vocale ha due punti al suo interno, così: %.
b
Questo uso non è biblico. Se ne trovano le prime tracce nelle monete dei Maccabei.
a
È l’esplosiva glottidale sorda, ossia l’interruzione dell’emissione di fiato tra due vocali contigue, ot-
tenuta con una debole occlusione della glottide. Oltre all’esempio inglese, cfr. la cosiddetta «h» aspirata
francese («la honte») e, in tedesco, la pronuncia di nessi del tipo «die Antwort» (n. d. t.).
C. VOCALI
Vocali brevia Vocali lunghe
¤, Seghôl e
{ ¤e
y¤e
Ṣērê
ē
ê }
¤i Ḥîreq breve i y¤i Ḥîreq lungo î
¤u Qibbûṣ u W¤ Šûreq û
a
Per i nomi delle vocali e dei termini grammaticali, la traslitterazione delle lettere spiranti segue il
vecchio sistema (bh, kh, ecc.), poiché spesso si trovano indicati in questo modo.
b
Quando questo punto segue f o precede v si fonde con quello della lettera (tuttavia, nelle edizioni
più accurate, i due punti vengono distinti – n. d. t.).
b b b
Be rh'B' dr"B' rB' tAnB' ~ynIB' WnB' !B' ~t'AmB'
bē bā-hār bā-rāḏ bār bā-nôṯ bā-nîm bā-nû bān bā-mô-ṯām
b b b b
gG: G: ~yrIh'B, lb,B' AtyBe tyBe ~n"yBe ynIyBe !yBe !Be
gag̠ ga be-hā-rîm bā-ḇel bê-ṯô bêṯ bê-nām bê-nî bên bēn
b b b
rb,D< rb'D" ~ybiGE lz:G" lz<GE lAdG" !G: ~G: lG:
de-ḇer dā-ḇār gē-ḇîm gā-zal gē-zel gā-ḏôl gan gam gal
a
L’unica eccezione è la congiunzione («e»), che talvolta è W (cfr. p. 38.2).
b
Forma finale, al termine della parola. Cfr. p. 4 b.
~k'x'
ḥā-ḵām
@l,a, ta, !b,a, vyai yliae lae ae Wnybia' ybia' ba' a'
’e-lep̠ ’eṯ ’e-ḇen ’îš ’ē-lî ’ēl ’ē ’ā-ḇî-nû ’ā-ḇî ’āḇ ’ā
Traslittera in ebraico:
môṯ mô-ṯî lā-mûṯ śām yôm hēn ’al ‛al gaḏ pā-rîm lî lûz kēn wā-nāḏ
qûm ṭal śîm nā-zîḏ tôr yô-sēp̠ ’ā-nō-ḵî rā-ḥēl pa-‛am lā-ḵem ‛am
hā-’ā-ḏām lē-wî bôr pe-reṣ qô-lî pā-rôṯ wā-’ō-mar nā-ḇôn še-ḇer hā-šîḇ
lô yā-ḏî kē-nîm ḥā-lam hā-rag yā-ḏām ke-sep̠ ‛e-ḇeḏ ’ō-ṯô ‛e-śer ne-p̠ eš
-
hā-ḇû nā-ṯan qā-nî-ṯî le-ḥem sû-sîm tam
a
Cfr. p. 5.
b
‛ē-zer.
Nella parola ~yrñI['h,( (he‛ärî́m) la vocale seghol , ha un trattino verticale alla sua
¤
sinistra. Questo trattino si chiama methegh (gt,mñ, «freno») e indica che il lettore deve
fare una pausa. Così la parola scritta sopra deve essere letta ~yrñI[' h,( he‛ärî́m; allo
stesso modo ~d"ña' h'( hä’ädä́ m.
Definizione: Il methegh è un trattino verticale posto alla sinistra di una vocale. Il
suo effetto è di introdurre, dopo di sé, una pausa nella lettura. Detto altrimenti:
quando l’articolazione di una parola implica una pausa naturale, questa è
indicata nel testo scritto da un methegh.
Nota: Gli usi del methegh saranno illustrati nei capitoli successivi. Si vedrà che, agendo come un
freno, esso funge da accento secondario (cfr. § 4). Consente inoltre di sapere se una sillaba è
aperta o chiusa (cfr. § 5) e se il segno indica la vocale «ā» oppure «o» (cfr. § 7).
¤'
4. MILRA‛ E MIL‛EL
Nella parola rb'ñD" (dāḇä́ r) l’accento è sull’ultima sillaba ed è chiamato milra‛ ([r:l.mi
«da sotto», cioè: sull’ultima sillaba).
Nella parola ds,xñ,h; (haḥéseḏ) l’accento è sulla penultima sillaba ed è chiamato mil‛êl
(ly[el.mi «da sopra», cioè: sulla penultima sillaba).
L’accento di rb'ñD" (dāḇä́ r) è milra‛ ds,xñ,h; (haḥéseḏ) è mil‛êl
” rm;ñv' (šāmár) ” Wrm'ñv' (šāmä́ rû) ”
” ~d"ña'h'( (hä’ädä́ m) ” db,[,ñ (‛éḇeḏ) ”
La maggior parte delle parole ebraiche sono accentate milra‛, tuttavia le parole mil‛êl
sono numerose. In una parola con più di due sillabe, l’accento può trovarsi sull’ultima
o sulla penultima sillaba, ma non sulla terzultimab. Spesso si trova un methegh due
sillabe prima dell’accento, così: ~yrIñ['h,( (he‘ārî́m), #r<añ'h'me( (mēhā’ä́ reṣ); esso ha la
funzione di un accento secondario.
a
Cfr. p. 6 n. a.
b
Eccetto quando una parola lunga ha due accenti; in quel caso essa è trattata, virtualmente, come due
parole.
10
a
Per comodità può essere trascritto shewa.
b
Lo shewa non è una vocale. Il suono simil-vocalico è pronunciato come una «e» brevissima. Amv è .
considerata una sola sillaba e ~yrIm.ÕAv una parola di due sillabe.
c
Si è scelto d'impiegare le definizioni di shewa «mobile» e shewa «quiescente» (invece di «sonoro» e
muto»), perché di uso comune nelle grammatiche ebraiche in lingua italiana (n. d. t.).
d
Se una lettera in fine di parola è senza vocale, lo shewa non viene annotato, come in rmov.yI. Alcune
parole fanno eccezione, come T.a; (’at) «tu» (f.), D>r>nE (nērd) «nardo».
e
Poiché una vocale lunga si trova di solito in una sillaba aperta, lo shewa che la segue inizia la sillaba
successiva. Viceversa, poiché una vocale breve si trova di solito in una sillaba chiusa, lo shewa che
la segue chiude la sillaba. Una parola comeyhiy>w:) (wa-yehî) è un’eccezione. Il methegh dopo la vocale
breve introduce una pausa nella lettura e così la sillaba rimane aperta. In questo caso lo shewa inizia la
sillaba seguente e quindi è mobile (cfr. p. 19 nota).
11
a
Cfr. p. 6 n. a.
12
Leggi e traslittera:a
tAbv.Am ybia] ~yhil{a/ ~ydIb'[] rB'd>mi %WrB. tk,l,òm.m; ATv.ai !DEr>y: yrEb.Do rb;D>
b b a a
WdL.yU !Anb'L.h; bqo[]y:) qx'c.yI ~h'r"b.a; ^t.yrIB. Wrh]m;( ^D>b.[; WrB.v.yI ~yIr:ñc.mi
b b
%AtB. ~h,ylea] T'r>m;a'w> ~k,K.l.m; ybeN[. i ~yIrñ:p.a, tyxiv.hi ^M.[; %l{m. ~ynIh]Ko
b b a
~Alx] !Ayl.[, tAdL.y:m. tl,GOòl.GU laeWmV.mi ~ydIs'x] ABr>x; Wnx.nò:a] ^l.c.a, rbo[]l;
tAdl.AT ~yTiv.liP. yTim.f;ñ ~Ada/ ~h,yven>
Traslittera in ebraico:b
a
La vocale è posta all’interno della $ finale.
b
Punto di raddoppiamento.
13
Quando due o più parole brevi sono strettamente legate nel significato, spesso sono
unite da un trattino chiamato maqqēph (@Qem; «che collega»). P. es. ynIòa] bAjñ ~aiñ
(’im ṭôḇ ’ ánî «se buono [sono] io») possono trovarsi unite da maqqeph, così
ynIòa]-bAj-~ai (’im-ṭôḇ-’ánî). Sul piano grammaticale esse sono, virtualmente, un’unica
parola. Detto altrimenti: ogni parola, separata dalle altre, ha un proprio accento, ma
quando più parole sono unite da maqqeph (diventando così una sola parola), soltanto
l’ultima del gruppo conserva il proprio accento, mentre ogni parola che precede il
maqqeph perde l’accento che aveva quando compariva separatamente.
La perdita dell’accento prima di un maqqeph spesso comporta variazioni nella
vocalizzazione. Quando p. es. le parole yliñAq tañe (’ēṯ qôlî «la mia voce») sono unite
da maqqeph, la parola tae perde il suo accento. La sillaba da chiusa tonica, diventa
chiusa atona e di conseguenza (cfr. p. 9) deve avere una vocale breve. Così la vocale
lunga ṣere e si abbrevia nella vocale breve corrispondente seghol ,, yliwOq-ta, (’eṯ-
¤ ¤
qôlî).
Definizione: Il maqqeph è un trattino orizzontale che, unendo due o più parole,
priva dell’accento le parole che lo precedono.
7. QAMEṢ-ḤAṬUPH
a
Il segno ' serve ad indicare sia la vocale qameṣ «ā», sia il qameṣ-ḥaṭuph «o».
¤
Bisogna pertanto riconoscere quando è «ā» (lungo) e quando è «o» (breve). La
regola enunciata a p. 9 si applica nel seguente modo: la vocale ' che si trova in una
¤
sillaba chiusa atona, deve essere breve, quindi è «o» = qameṣ-ḥaṭuph. Se invece essa
si trova in una sillaba aperta, o in una sillaba chiusa ma tonica, è lunga, quindi è
«ā» = qameṣb.
Esempi:
1. ~q'Y"òw: (wayyā́qom). La parola è accentata mil‛el (cfr. p. 10). La vocale ' nella ¤
sillaba aperta y" è «ā», ma nella sillaba chiusa atona ~q' è «o». Lo stesso in sn"Tñ'w:
(wattā́nos). Invece nella parola bb'ñle (lēḇāḇ) la vocale ' si trova in una sillaba chiusa
¤
ma tonica; è allora «ā».
2. hm'ñk.x' (ḥoḵÕmâ). La parola è accentata milra‛ (cfr. p. 10). La sillaba k.x' è chiusa e
atona, quindi la vocale ' è «o». Nella sillaba aperta hm' la vocale ' è «ā».
¤ ¤
a
Cfr. p. 6 n. a.
b
Esistono alcune eccezioni, p.es. ylix\l' (loḥŏlî), dove la vocale sotto la prima lettera è «o», perché
l’originario shewa semplice mobile posto sotto il prefisso (l) è stato sostituito, sotto l’influsso dello
shewa composto, con la vocale breve corrispondente (cfr. p. 12 nota).
14
Leggere e traslitterare:
b
~T'r>m;v. %yEn>[' rq'B' yTir>mñ'v' dqod>q' ^r>b('D> Atm'k.x' an"-rm'a/ hm'r>[' tm'Yò"w:
~v'-bT'k.yI ~y"r>mi ^l.d>G" hl'y>lñ' ^m.D)" rm,[oñl'r>d"K. hl'p.n)" ~yInò:t.m' ~['b.r"y " ) A[m.v'
yli-rm'v. #r<añ'h'-lK' tyrIp.G" b['r" ~k,f.p.t'K. ynIbeWar>l(' rB'd>mi Wkr>b('y> ~h,ynEz>a'
~k'x'h,( tAnt.K' ~y"r>Pi
a
Senza maqqeph la parola si scrive lKo («tutto», «ogni»). Con un maqqeph che la unisce alla parola
successiva la sillaba chiusa diventa anche atona, quindi la vocale si abbrevia e passa da ḥolem («ō») a
qameṣ-ḥaṭuph (cfr. p. 14 § 6).
b
L’accento tonico (indicato con una punta di freccia sopra la sillaba) verrà segnato soltanto sulle
parole accentate mil‛el (accento sulla penultima sillaba). Le parole senza la freccia sono tutte milra‛
(accento sull’ultima sillaba).
15
b g
(i) xj;B' (bāṭaḥ) rBoq.yI (yiq bōr) lz:G" (gāzal) @GOn>li (lin gōp̠ )
(ii) xj;b.yI (yiḇ ṭaḥ) rb;q' (qā ḇar) lzOg>yI (yig- zōl) @g:n" (nā gap̠ )
-
d k
(i) ~ArD" (dārôm) qyDIc.hi (hiṣ dîq) lKo (kōl) rKoz>a, (’ez kōr)
p t
(i) hr"P' (pārâ) rPos.yI (yis pōr) hl'T' (tälâ) ~Tox.l; (laḥ tōm)
Gli esempi alle righe (i) mostrano che il dagheš lene compare all’interno di una
lettera (tpkdgb) quando questa è all'inizio di una sillaba (all’inizio o all’interno
di una parola), a condizione che la stessa non sia immediatamente preceduta da una
vocale, uno shewa mobile o uno shewa composto.
a
Cfr. p. 6 n. a.
b
Il dagheš lene è così chiamato per distinguerlo dall’altro tipo di dagheš che, indicando il raddoppia-
mento di una lettera, è considerato forte.
16
17
Sintesi: Il dagheš è un punto posto all’interno di una lettera. Ve ne sono due tipi:
(a) Il dagheš lene riguarda soltanto le sei lettere tpkdgb: esse sono spiranti,
ma quando compare al loro interno il dagheš lene, la loro pronuncia diventa
occlusiva. Il dagheš lene compare in queste lettere all’inizio di una sillaba,
a condizione che non vi sia una vocale immediatamente precedente.
(b) Il dagheš forte indica che una lettera è doppia. Si può trovare in tutte le
lettere, tranne le gutturali ([xha) e la r. Esso può essere:
(i) Compensatorio. Quando una lettera, per diversi motivi, viene assimilata
e quella successiva è raddoppiata (con dagheš forte) per compensarne la
mancanza.
(ii) Caratteristico. La caratteristica di alcune coniugazioni verbali è il raddop-
piamento della seconda radicale, che riceve un dagheš forte.
(iii) Eufonico. Una lettera all’interno di una parola è a volte raddoppiata per
ottenere una pronuncia più chiara.
Nota: Quando la lettera che deve essere raddoppiata è una gutturale o una r, la
vocale che la precede si allunga, poiché queste lettere rifiutano il raddoppia-
mento (ossia il dagheš forte).
9. MAPPIQ
Quando la lettera h si trova alla fine di una parola e non è vocalizzata, essa è di solito
quiescente, come in hm' (mâ). Tuttavia può accadere che, pur alla fine di una parola
e non vocalizzata, essa non sia quiescente o vocalica, ma sia a tutti gli effetti una
consonante, pronunciata come una «h» aspirata. P. es. il femminile del sostantivo
sWs (sûs «cavallo») è hs'Ws (sûsâ «cavalla»), ma sWs con il possessivo femminile
singolare («il suo - di lei - cavallo») è Hs'Ws (sûsāh).
18
10. RAPHE
a
Abbiamo visto (cfr. p. 17) che una lettera a volte è raddoppiata per ottenere una
pronuncia più fluida e, in tal caso, prende un dagheš forte eufonico. Inversamente
e per la stessa ragione, accade che il raddoppiamento di una lettera sia omesso e il
dagheš forte cada. In questo caso sopra la lettera compare un trattino orizzontale,
chiamato hp,r" rāphea («attenuato»). P. es. la forma verbale che significa «essi
cercarono» dovrebbe essere WvQ.Bi (biqqešû) con un dagheš forte caratteristico nella q
(cfr. p. 17). Tuttavia, si trova frequentemente senza il raddoppiamento della seconda
radicale Wvq.ãBi (biqešû), ma con un raphe sopra quella lettera a indicare che, per
ragioni eufoniche, il raddoppiamento (ossia il dagheš forte) è stato omesso.
Nota: Spesso anche il raphe, soprattutto nelle parole di uso molto frequente,
non viene annotato sopra la lettera che è stata privata del suo dagheš forteb.
L’espressione «e avvenne» dovrebbe essere yhiY>w: (wayyehî). Tuttavia si può
trovare sia la forma yhiy> w): (wa yehî) – senza il raphe sopra la y ma con un
methegh dopo il pathaḥ per indicare che lo shewa seguente è mobile (cfr.
pp. 10, 11 n. e) – sia la forma yhiy>w: .
c
19
a
Cfr. p. 12 nota.
b
Lo stesso avviene con la lettera r (cfr. p. 18 nota b).
20
(šemōa‛ «ascoltare»).
Sintesi: Le lettere gutturali [xha:
1. Non ricevono il dagheš forte (perché non possono raddoppiare), ma la
vocale che le precede si allunga per compensazione (lo stesso avviene
con r).
2. Prendono uno shewa composto invece dello shewa semplice mobile.
3. Preferiscono il pathaḥ ( ;) come vocale propria e anche come vocale
¤
precedente.
4. Prendono un pathaḥ furtivum quando seguono una vocale piena tonica.
13. ACCENTI
Riproduciamo qui i primi versetti della Genesi, come si trovano nelle edizioni a
stampa della Bibbia ebraica, per mostrare gli accenti e le loro principali funzioni:
`#r<a('h' taeîw> ~yImÞ;V'h; tae ~yh_il{a/ ar"åB' tyviÞarEB. (versetto 1)
. . . ~Ah+t. ynEåP.-l[; %v,xßw> Whbo êw" ‘Whto’ htî'y>h' #r<a'ªh'w> (versetto 2)
Oltre alle vocali, ogni parola ha un piccolo segno grafico sopra o sotto una delle sue
sillabe. Questi segni sono gli accenti; essi hanno diverse funzioni:
(a) Indicano la sillaba tonica, cioè la sillaba su cui cade l’accento. In ognuna delle
prime tre parole del v.1 l’accento si trova sull’ultima sillaba (milra‛, p. 10) a indicare
che il tono cade sull’ultima (berē’šî́t bārā́’ ’élōhî́m). Ma in ~yImÞ;V'h; (haššāmáyim, v.1)
e in #r<a'ªh'w> (wehā’ā́reṣ, v.2) l’accento si trova sulla penultima (mil‛el, p. 10)b.
(b) Fungono da segni di punteggiatura, perché dividono il versetto in segmenti
logici. Gli accenti sono di due tipi: «disgiuntivi» e «congiuntivi»c. I due maggiori
segni di interruzione sono:
i.( )) chiamato sillûq (qWLsi) compare sempre sotto l’ultima parola del versetto,
¤
come si vede in #r<a'(h' alla fine del v.1. Il silluq è l’interruzione più importante
a
Il pathaḥ furtivum si legge prima della consonante sotto cui è segnato.
b
Nelle grammatiche tutti gli accenti sono convenzionalmente annotati con una punta di freccia al di
sopra della sillaba tonica. Poiché la maggior parte delle parole sono milra‛, sono indicati soltanto gli
accenti mil‛el.
c
L’elenco completo è presentato alla fine del volume, cfr. Appendice § 2.
21
14. PAUSA
Si dice che una parola è in pausa quando è accentata con uno dei due maggiori
segni d’interruzione: silluq o ’athnaḥ (cfr. pp. 21s.); in entrambi i casi la parola è
alla fine di una proposizione. In genere, leggendo ad alta voce una frase, si tende a
prolungare la sillaba tonica dell’ultima parola, ossia della parola in pausa. Così,
p. es., la parola «acqua» in mezzo ad una frase è ~yIm;ñ (máyim), ma in pausa diventa
~yIm'( o ~yIm_' (mā́yim) con silluq o ’athnaḥ: la vocale breve pathaḥ ( ;) nella sillaba
¤
tonica è allungata in qamec ( '). Allo stesso modo «egli custodì» è rm;v' (šämár) in
¤
mezzo ad una frase, ma in pausa diventa: rm'(v' o rm_'v' (šämā́r) con silluq o ’athnaḥ.
[I cambiamenti nella vocalizzazione dovuti alla pausa saranno trattati più ampiamente
alle pp. 116s.]
a
Cfr. p. 6 n. a.
22
Una caratteristica della Bibbia ebraica, nelle sue edizioni a stampa, è che le correzioni
di errori manifesti sono riportate a margine o a piè di pagina, mentre le parole errate
sono conservate nel testo. Il rifiuto di fare modifiche, anche quando si riconoscono
degli errori evidenti, è dovuto all’estremo rispetto per il testo, nonché all’esigenza di
proteggerlo da manomissioni.
(a) Un esempio di questo sistema è offerto dalla parola impossibile W>n:a] (Ger 42,6)
che evidentemente non è leggibile. Possiamo immaginare che sia successo qualcosa
di simile a quanto segue: nell’ebraico classico il pronome personale «noi» si dice
Wnx.n:òa], ma esiste anche una forma breve Wna] attestata solo nel testo consonantico di
Ger 42,6. Quando vennero introdotte le vocali, lo scriba pensò che questa forma breve
fosse errata e, per non modificare il testo, conservò le consonanti della parola
che riteneva errata (Wna]) unendovi le vocali della forma corretta (Wnx.n:òa], quindi
W . ; ] ). Ottenne così una forma impossibile W>n:a], utile per attirare l’attenzione
¤¤¤¤
sull’errore e sulla sua correzione. Con questo sistema il lettore è costretto a fermarsi
sulla parola impossibile e riferirsi alle note a margine o a piè di pagina, dove è
riportata la correzione.
La parola errata conservata nel testo è il kethîbh (bytiK. «è scritto»). La lettura
corretta, a margine o a piè di pagina, è il qerê (yrEq. «da leggersi»). Nell’esempio
sopraccitato Wna] è il kethîbh e Wnx.n:òa] è il qerê.
Nota: Nei rotoli non vocalizzati che servono per la lettura sinagogale, il kethibh
(la forma errata) è conservato nel testo, ma il qere (la forma corretta) non è
riportato né a margine né a piè di pagina. Si suppone che il lettore conosca il
testo e la parola da correggere, ossia letta secondo il qere invece del kethibh
(forma scritta).
(b) Una parola dal significato ingiurioso o sconveniente, benché scritta nel testo
(kethibh), è spesso sostituita nella lettura (qere, in nota a piè di pagina) da un’altra
parola, generalmente un eufemismo.
(c) Un altro tipo di alterazione volontaria del testo nella lettura è dovuta al rispetto
per il nome divino, forse hw<h]y: o hw<h.y: (Yahăweh o Yahweh). Il nome di Dio era
ritenuto troppo sacro per essere pronunciato: le sue consonanti erano scritte nel testo
(kethibh), ma la parola letta (qere) era yn"doa] (che significa «Signore»). Alle consonanti
del kethibh hwhy vennero aggiunte le vocali del qere yn"doa] cioè ' o . dando origine
¤¤¤
alla forma impossibile hA"hy>b (Yehōwâ)c. Tuttavia, data la frequente attestazione del
a
Cfr. p. 6 n. a.
b
Lo shewa composto che si trova sotto la gutturale a nella parola yn"doa], diventa uno shewa semplice
sotto la y del kethibh hA"hy>.
c
«L’italiano Geova»
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16. L’ARTICOLO
In ebraico non esiste un termine per indicare l’articolo indeterminativo: «un», «uno»,
«una» non sono espressi. P. es. %l,m,ñ significa «re» oppure «un re», !yI[;ñ «occhio»
oppure «un occhio». Il contesto chiarisce se la parola è indeterminata.
(a) Si pensa che l’articolo determinativo «il, lo, la, i, gli, le» in origine fosse lh; (come
l’arabo «al»c). Nell̓unione dell̓articolo con la parola da determinare (p. es. %l,ml ,ñ h. ; «il
re»), la l non vocalizzata venne assimilata e, di conseguenza, la lettera successiva fu
raddoppiata con un dagheš forte (p. 17) %l,Mh ñ, .; L’articolod è h;; seguito da dagheš forte,
tranne davanti alle parole che cominciano con una gutturale o con una r.
(b) Quando l’articolo precede una parola che comincia con una gutturale ([xha)
o con una r, dato che queste lettere non ammettono il raddoppiamento (cioè il
dagheš forte che dovrebbe seguire l’articolo), intervengono alcune modifiche nella
vocalizzazione dell’articolo:
(i) Per le gutturali che vengono pronunciate più debolmente [a e per la r è valida
la regola (p. 18 nota b e p. 20.1) secondo cui la vocale precedente viene allungata
se la lettera non può essere raddoppiata con dagheš forte:
a
Nel rotolo di Isaia trovato a Qumran, il qere del nome di Dio è generalmente annotato sopra il
ynwda
kethibh, così: hwhy. Questo espediente è antico, risale a un periodo che precede l’introduzione delle vocali.
b
Prima che i suoni vocalici venissero indicati con le consonanti vocaliche, aWh e ayhi si scrivevano
allo stesso modo: ah.
c
In italiano si trovano tracce di questo articolo in alcune parole derivate dall’arabo come: alchimia,
algebra, almanacco, ecc. (n. d. t.).
d
Per «articolo» si intende l’articolo determinativo.
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(iii) Un’eccezione rispetto a quanto esposto nei due punti precedenti, si verifica
quando l’articolo precede h' atona, [' atona, x' atona o tonica, così:
«montagne» ~yrIh' (h' è atona), «le montagne» ~yrIh'h,(a
a
Il metheg si trova due posizioni prima dell’accento.
b
Questa è la forma pausale di lyIx;ñ (p. 22).
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ESERCIZIO 1
egli creò a
ar"B' città ry[i re %l,m,ñ
egli disse rm;a' Dio ~yhil{a/ giorno ~Ay
egli venne, entrò aB' polvere rp'[' notte hl'y>l;ñ
a, verso la, oscurità, tenebre %v,xñ luce rAa
da !mi testa, capo va™r uomo ~d"a'
e (congiunzione)b ...w> palazzo, tempio lk'yhe terra, suolo hm'd"a]
ry[ih' Ãry[i (5) rAah' ÃrAa (4) hl'y>Lñ;h; Ãhl'y>lñ; (3) ~AYh; Ã~Ay (2) %l,Mñ,h; Ã%l,mñ, (1)
c c
c
hl'yL> h;ñ w; > ~AYh; (10) rp'['h(, Ãrp'[' (9) lk'yheh;( Ãlk'yhe (8) %v,xhñ ; Ã%v,xñ (7) va™rh' Ãva™r (6)
c c
hm'd"a]h(' Ãrp'['w> hm'd"a] (13) ~d"a'h('w> %l,Mñ,h; Ã~d"a'w> %l,mñ, (12) %v,xñh;w> rAah' (11)
c c
hm'd"a]h('-!mi ~d"a' ~yhil{a/ ar"B' (15) lk'yheh(;w> ry[ih' Ãlk'yhew> ry[i (14) rp'['h(,w>
aB' ry[ih'-la,w> (18) ~d"a'h('-la, ~yhil{a/ rm;a' (17) lk'yheh;( !mi %l,Mñ,h; aB' (16)
%v,xñh;-!mi rAa ~yhil{a/ ar"B' (19) %l,Mñ,h;
a
Nelle liste di vocaboli il perfetto ebraico è stato tradotto con il passato remoto; ma nello svolgimento
degli esercizi, secondo il contesto, si può scegliere tra i diversi tempi del passato italiano, cfr. § 29
(n. d. t.).
b
P. es. ~d"a'w>. Una presentazione più completa alle pp. 37 ss.
c
C’è un methegh perché questa sillaba si trova due posizioni prima della sillaba accentata (cfr. p. 10 § 3).
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