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ERRORI

IL VALORE VERO DI UNA GRANDEZZA MISURABILE E’ INACCESSIBILE (ERRORE MASSIMO ACCETTABILE)


NON HA SENSO PRODURRE DATI PIU’ ACCURATI DEL NECESSARIO
NON HA SENSO PRODURRE DATI DI CUI NON SI CONOSCA PRECISIONE E ACCURATEZZA (STIMA DELL’ERRORE
PROBABILE).
Precisione (ripetitività) = vicinanza tra le misure fatte
Accuratezza (esattezza) = vicinanza tra il valore trovato e quello vero

ERRORI CASUALI
Gli errori casuali emergono quando il sistema di misura viene portato al massimo della sensibilità, cioè
quando la sensibilità è così elevata che le variabili ambientali influenzano l’esito della misura. Causano quindi
una dispersione delle misure rispetto al valore medio (gaussiana), dunque una fluttuazione delle singole
misure intorno al valore vero.

• IMPONDERABILI
• ORIGINE MOLTEPLICE
• SIMULTANEI
• POSITIVI E NEGATIVI
L’accuratezza è espressa dall’errore assoluto e dall’errore
relativo e misura l’accordo fra un risultato ed il suo valore
vero.

Domanda proposta in classe: è più rappresentativo l’errore


relativo o quello assoluto?
L’errore relativo è più rappresentativo perché tiene conto
della grandezza da misurare.

La deviazione standard indica la


dispersione degli errori, la precisione,
quindi la riproducibilità delle misure e
il loro indice di dispersione, e la
larghezza della gaussiana. Dunque per
avere un buon metodo bisogna avere
una deviazione standard piccola così
da avere minore dispersione
(gaussiana stretta).

Per piccoli gruppi di dati s=kw con k


tabulato.
Errore standard di una media:
è l’errore da associare al valore medio una volta che le misure siano state validate.
LIMITE DI CONFIDENZA (CL)

Dentro quale intorno di Xi cade μ con una data probabilità?


Dentro quale intorno di X cade μ con una data probabilità?

Il limite di confidenza esprime la probabilità che il valore vero cada in un determinato intervallo. Fissiamo
dei limiti attorno ad una media sperimentale nei quali il valore vero ne cade con un certo grado di
probabilità. L’intervallo definito dipende strettamente dall’accuratezza s e abbiamo dunque due casi.
1. s è una buona approssimazione di s
2. s non è una buona approssimazione di s

CASO 1

CASO 2

Se l’intervallo di confidenza è grande ci sono


più probabilità di trovare il valore vero
all’interno dell’intervallo prefissato; aumenta
dunque l’incertezza.

Esempio 5-5 pag 90


Tre misure della % di etanolo in un campione
di sangue hanno dato i seguenti risultati:
0.084, 0.089, 0.079. Calcolare la media e i
limiti di confidenza al 95% assumendo che:
a) non si abbia conoscenza della precisione
del metodo.
b) sapendo che il metodo ha s = 0.005 % di
C2H5OH.
Domanda proposta in classe: dopo una serie di misure con errori casuali ottengo un risultato di 28+-23.
Come posso rendere l’incertezza minore?
ERRORI GROSSOLANI (outliers)
Gli errori grossolani vengono chiamati outliers e sono errori che si discostano notevolmente dai valori
precedentemente misurati. Sono dunque riconoscibili ed eliminabili. Tuttavia per poter determinare se un
errore grossolano è eliminabile bisogna applicare il Qtest. Per poter procedere con il Qtest misuriamo la
Qexp pari al rapporto tra la distanza d, cioè la distanza tra l’outliers e il valore che lo precede, e w, cioè
l’intervallo di misurazioni che prendiamo in considerazioni. Se la Qexp misurata è maggiore di Qcrit, un
criterio probabilistico che può essere più o meno stringente a seconda del numero di osservazioni e dal
livello di confidenza, l’errore grossolano può essere eliminato.

ERRORI SISTEMATICI
Gli errori sistematici sono errori che tendono a variare dal valore vero di una certa unità caratteristica di
tutte le misure effettuate (esempio: se una bilancia è tarata in modo sbagliato allora tutti i pesi che
riporterà varieranno di una stessa unità). Tale deviazione dal valore medio vero viene indicata dal bias.

Gli errori sistematici si dividono in:

COSTANTI: non dipendono dalla quantità misurata.


Es. perdita di precipitato nei lavaggi.
Errore relativo maggiore per piccole quantità di analita, errore assoluto costante.
PROPORZIONALI: dipendono dalla quantità misurata.
Es. presenza di interferenti (concorrenti).
Errore relativo costante, errore assoluto dipendente dalla quantità misurata.

Cause di errori sistematici:

STRUMENTALI: taratura strumenti e recipienti (contaminazione, usura), instabilità alimentazione.


Soluzione: calibrazione con standard.
METODO: comportamento chimico fisico di soluzioni (invecchiamento reagenti), contaminanti
(reazioni parallele), reazioni lente (incomplete).
Soluzione:
a) uso di campioni standard
b) analisi indipendente
c) bianco
d) variazione quantità di campione (costanti).
PERSONALI: disattenzione, pregiudizio.
Soluzione: autocritica, confronto con altri analisti.

ANALISI (qualitativa e quantitativa)


Spesso la relazione fra la proprietà misurata (y) e la quantità dell’analita (x) è lineare: y=mx+b.
Fare un’analisi quantitativa strumentale significa mettere in relazione una certa proprietà in funzione della
concentrazione della soluzione.

E= estinzione o assorbanza
a= coefficiente caratteristico della sostanza
C= concentrazione

Un raggio luminoso con una certa intensità di ingresso (E0) attraversa un determinato campione che
assorbe in parte il raggio. Di conseguenza il raggio luminoso uscirà con un’intensità minore. In base a
questa legge ne costruiamo uno spettro che mostra che l’assorbimento dei tre analiti è differente
nonostante questi abbiano stessa concentrazione.

Tale legge può essere applicata solo in zone proporzionali. Per la concentrazione misurabile esiste un limite
inferiore (limite di rivelabilità), al di sotto del quale non è possibile effettuare misure, e un limite superiore
(saturazione del segnale, l’analita assorbe completamente E0). à intervallo di linearità in cui possiamo
applicare la relazione lineare.
Grafico di tre sostanze che hanno la stessa concentrazione minima (punto in cui inizia l’intervallo di
linearità) ma diversa concentrazione massima (punto in cui termina l’intervallo di linearità). Per ogni retta
di lavoro esiste un minimo e un massimo di concentrazione all’interno del quale vale la legge di Lambert-
Beer.
Nell’effettuare le misure però possono entrare in gioco gli errori casuali che causano il collezionamento di
dati più o meno dispersi e incoerenti dal processo di misura che renderanno la pendenza e l’intercetta della
retta variabile. Tramite il metodo dei minimi quadrati si giunge a definire la retta di taratura che rende
minima la dispersione dell’errore casuale e definisce un intervallo lineare in cui è possibile applicare la
relazione di dipendenza tra proprietà da misurare e quantità di analita.
Elementi di qualità di uno strumento:
• Precisione (deviazione standard, riproducibilità di uno strumento)
• Distorsione (errore sistematico)
• Intervallo di linearità (intervallo utile per le misure)
• Selettività (suscettibilità agli interferenti)
• Limite di rilevabilità (minima quantità osservabile)
• Sensibilità

SENSIBILITÀ

1. Di calibrazione:
La sensibilità indica la suscettibilità di uno strumento di misura alle variazioni della grandezza da misurare. È
espressa dalla pendenza della retta ed è dunque indipendente dalla precisione.
m= dy/dx
2. Analitica:
Tiene conto della qualità dell’analisi, dunque è dipendente dalla precisione.
g= m/s
Il limite di rilevabilità indica la più piccola quantità di concentrazione che produce un segnale apprezzabile.
La proprietà che andiamo a misurare è in relazione alla concentrazione secondo una relazione di primo
grado, cioè il segnale dello strumento “S” segue una relazione lineare. Viene definito “bianco” il segnale in
cui la concentrazione di analita è pari a zero. È necessario stabilire un criterio in modo da poter
determinare se un segnale sia derivante dall’analita in concentrazione minime o dal bianco. In particolare
viene portato lo strumento alla sua massima sensibilità e ne viene calcolato il segnale minimo (Sm) attorno
al quale la distribuzione di una serie di rivelazione è di tipo gaussiano. In seguito questo viene sostituito alla
relazione lineare S=mC+Sb e viene determinata la concentrazione minima di analita che può produrre un
segnale, pari a ksb/m, dove sb indica la deviazione standard del bianco. Con k=3 otteniamo la massima
oscillazione casuale in positivo o negativo. In corrispondenza della concentrazione minima vi è il minimo
della rilevabilità; dunque minore è la concentrazione minima e maggiore è l’efficienza dello strumento
poiché riesce ad apprezzare concentrazioni minime più basse. Inoltre vi è una relazione tra deviazione
standard del bianco e pendenza della retta m: più è piccola la deviazione standard del bianco più la
pendenza della retta è maggiore e dunque lo strumento più sensibile.

La retta di taratura individua un


intervallo di linearità che inizia in
prossimità del valore della
concentrazione minima, cioè
concentrazione che risponde al segnale
minimo, e termina in corrispondenza
del valore della concentrazione
massima misurabile.
Dalla legge di Lambert-Beer è possibile
studiare il comportamento degli
interferenti.
Il diagramma mostra uno spettro di
assorbimento di una certa sostanza Z alla
sua lmax. In presenza di interferenti come
X o Y il loro fattore ax o ay influiranno
sulla misura di lmax. Nel caso in cui vi è la
presenza di un solo interferente è possibile
modificare la lunghezza di Z al fine di non
avere interferenza anche se ciò
comporterà una minore sensibilità.
Tuttavia in presenza sia di X che di Y non è
possibile procedere con la misura di Z
senza interferenze. Quest’ultima sarà
maggiormente influenzata da Y poiché ha
coefficiente di assorbimento maggiore.

MATRICE= È tutto ciò che è presente nel campione tranne l’analita da misurare.

GLI INTERFERENTI NELLA MATRICE POSSONO ESSERE DI TRE TIPI

a)composti che non reagiscono con l’analita, ma che contribuiscono al segnale.

b) composti che reagiscono con l’analita alterandone il segnale (es. formazione di complessi, idrolisi, ox-
red). Possono sia aumentare che diminuire il segnale dell’analita.

c) composti che danno entrambi gli effetti.

Per determinare la concentrazione dell’analita nel campione è necessario procedere con l’eliminazione del
segnale derivante dal bianco. Per poter determinare il segnale del bianco procediamo con l’eliminazione
dell’analita e con la successiva misura del bianco. A questo punto introduciamo nuovamente l’analita e ne
misuriamo il segnale a cui sottraiamo il segnale derivante dal bianco, misurato in precedenza. Otteniamo
una retta di lavoro dipendente solo dalla concentrazione dell’analita che passerà per l’origine poiché per
C=0 il segnale sarà zero.
Il metodo delle aggiunte standard ci permette di rappresentare la retta di taratura in concentrazioni di
analita che presentano degli interferenti all’interno della matrice. Si procede con l’eliminazione del bianco e
si ottiene una retta non passante per l’origine in quanto vi è la presenza dell’interferenza della matrice che
reagisce chimicamente con l’analita. Dunque lasciando costante il valore della concentrazione di
interferente e variando la concentrazione di analita mediante aggiunte di concentrazione standard di
questo allora otteniamo vari segnali che risentono di tale aggiunta e che possono essere approssimati ad
una retta di taratura in cui vi è proporzionalità diretta tra la concentrazione di analita aggiunta,
indipendente dall’interferente che rimane costante, e la proprietà misurata. Tale retta non sarà passante
per l’origine ma estrapolando la retta possiamo determinare la sua intersezione nell’asse x e determinare
dunque la concentrazione minima di analita.

Domanda proposta in classe: qual è il vantaggio del metodo delle aggiunte standard?
EFFETTO DEGLI ELETTROLITI SUGLI EQUILIBRI CHIMICI

Esistono vari tipi di equilibri chimici come l’equilibrio acido-base (governato dalla Ka) e gli equilibri che
riguardano un sale (governati dalla ks)
Queste reazioni sono quasi tutte spostate verso destra, ma all’equilibrio non vi è la sola presenza di
precipitato ma anche quella di ioni in soluzione da cui deriva la ks.
Con l’aggiunta degli elettroliti giungiamo alla precipitazione; nella reazione vi sono molte cose implicite
quali il solvente acqua, il fatto che il prodotto AgCl è allo stato solido ed è un sale poco solubile e la freccia
unica verso destra che indica che la reazione è completa. Dato che KNO3 non influenza la reazione (lo
definiamo “spettatore”), è indifferente la natura del catione del cloruro e del nitrato (cioè la presenza di K
e di Ag è irrilevante, potrebbero esserci altri cationi e il risultato sarà analogo). Tuttavia KNO3 non è cosí
“spettatore” passivo come sembra dato che se prendo una soluzione satura di AgCl e procedo all’aggiunta
artificiale di concentrazioni crescenti di KNO3 allora la solubilità aumenta. Tale effetto non è un caso tipico
di AgCl ma l’effetto è analogo per tutti i sali poco solubili.
In generale la solubilità di un precipitato ionico aumenta quando si aggiungono degli elettroliti, cioè
aumentando la concentrazione degli ioni presenti in soluzione, la solubilità del sale aumenta. In figura è
mostrato l’effetto della concentrazione di un elettrolita sulla solubilità di alcuni sali. Tale effetto ha origine
dall’ attrazione elettrostatica fra gli ioni dell’ elettrolita e gli ioni di carica opposta dei precipitati.
La Ks dipende dalle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti che intervengono nella reazione di equilibrio:

Ks= [Ag+] [Cl-]

È data dal prodotto tra le concentrazioni del catione e dell’anione (ognuno elevata al proprio coefficiente
stechiometrico). Perciò se aggiungo ioni indifferenti l’ effetto è maggiore, aumenta la concentrazione di
questi ioni, la solubilità aumenta e di conseguenza aumenta la Ks. Tuttavia la Ks è una costante di equilibrio,
quindi deve rimanere costante. Perciò in realtà dovremmo portale di Ks* che tiene conto delle attività delle
specie in esame (Ks= a Ag aCl) data dal prodotto tra il coefficiente di attività e la concentrazione della
specie chimica.
1. Per quanto riguarda la carica dei reagenti e dei prodotti, se questa è neutra (cioè un equilibrio dove
non si ha alcuno sviluppo di carica) allora non ci sarà alcun effetto; se i reagenti e i prodotti sono ionici
( si osserva uno sviluppo di carica) allora l’effetto sarà tanto maggiore quanto maggiore è la carica.
2. Quando la forza ionica è minore di un certo valore soglia di 0.1, l’effetto sulla costante di equilibrio
non dipende dalla natura dell’elettrolita ma esclusivamente dalla forza ionica che genera con i suoi
ioni. Se tale forza è maggiore del valore soglia 0.1 allora si ha l’effetto sale (alterazione della solubilità)
che dipende anche dalla carica degli ioni dell’elettrolita che inserisco. L’ effetto sale deriva dalle forze
elettrostatiche attrattive e repulsive fra gli ioni di un elettrolita e gli ioni implicati in un equilibrio.
Queste forze fanno si che ciascuno ione del reagente dissociato sia circondato da un guscio di
soluzione che contiene un debole eccesso di ioni di elettroliti di carica opposta. In questo modo
l’attrazione tra gli ioni diminuisce mentre aumenta la solubilità che aumenta anche con il numero di
ioni in soluzione.

Per un elettrolita univalente (sia catione che anione hanno carica unitaria) la forza ionica coincide
numericamente con la concentrazione. Per un sale non univalente la forza ionica non coincide con la
concentrazione dato che la carica al quadrato non ha più il valore di 1, sarà quindi sempre maggiore della
concentrazione. Nel caso in cui nella soluzione siano presenti più sali (quindi per un elettrolita non
univalente), allora la forza ionica sarà data dalla somma dei contributi dei singoli sali.
Cerchiamo di capire perchè se aggiungo alla soluzione un
elettrolita indifferente allora la solubilità di un sale poco
solubile cambia.
Consideriamo un bicchiere con H2O ed un solido poco
solubile come AgCl che ho aggiunto. Immaginiamo che
da tale solido si distacchi una certa quantità di ioni e che
vada in soluzione. Dobbiamo tenere conto del fatto che
gli ioni devono essere vicini tra loro fino ad un certo
valore poiché vi è un effetto elettrostatico, governato
dalla legge di Coloumb per cui due cariche di segno
opposto si attraggono e l’entità dell’attrazione dipende
dalla costante dielettrica del mezzo (a parità di distanza
tra le cariche, se aumenta la costante dielettrica,
diminuisce la forza di attrazione). Le interazioni
elettrostatiche reggono fino ad una certa distanza limite
altrimenti gli ioni se sono troppo vicini collassano per poi
precipitare. Tale distanza è la minima possibile a cui
corrisponde il massimo numero di ioni in soluzione. Vi è
quindi un equilibrio tra il solido e gli ioni in soluzione. Se
tale distanza tra gli ioni di carica opposta è:
- breve —> gli ioni si vanno a legare e precipitano
- ampia —> si può sciogliere ancora altro solido.
Ora immaginiamo di introdurre un elettrolita
indifferente che non reagisce con il sale come KNO3. Anche se l’elettrolita e il sale poco solubile non
reagiscono tra loro, i cationi dell’elettrolita tenderanno a disporsi mediamente attorno all’anione del sale
poco solubile e gli anioni dell’elettrolita tenderanno a disporsi mediamente attorno al catione del sale.
Perciò, considerando il nostro esempio, gli ioni Ag+ saranno schermati dagli ioni NO3- mentre gli ioni Cl-
saranno schermati dagli ioni K+. Nella soluzione satura fra il catione e l’anione Ag+ e Cl- vi è solo acqua con
la sua costante dielettrica (dire che un solido ha una certa solubilità equivale a dire che esiste una
concentrazione massima di cationi e di anioni che possono stare in soluzione, cioè che ha raggiunto la
saturazione). Nel momento in cui Ag+ e Cl- vengono schermati da NO3- e K+, allora questi ioni risentono
della presenza, oltre del solvente, di un doppio strato elettrico che circonda quello di carica opposta.
Questo strato aumenta la costante dielettrica del mezzo, di conseguenza la forza con cui gli ioni del sale
poco solubile si “sentono”, a parità di distanza, è più debole. Ne consegue che gli ioni risentono meno delle
interazioni elettrostatiche e possono avvicinarsi di più tra loro senza precipitare. Perciò nello stesso volume
avremo più ioni in soluzione con conseguente aumento della solubilità. Tale aumento non dipende dalla
natura dell’elettrolita che aggiungo ma solo dalla forza ionica, finché questa sia relativamente bassa. Quindi
per aggiunta di quantità moderate di elettrolita indifferente, con forza ionica minore di 0.1, la
concentrazione efficace (cioè l’attività) sarà minore della concentrazione reale (dimostrazione su foglio). Ne
consegue che il coefficiente di attività sarà minore di 1. Se esprimiamo il Ks in funzione delle concentrazioni
questo tenderà ad aumentare, mentre Ks* (costante espressa in funzione delle attività) resta sempre
costante (a T=cost).
In conclusione:
1. Con il solvente si ha la saturazione ——> si ha una distanza limite tra le particelle (se tale distanza
diminuisce prevale la forza attrattiva tra le particelle e si forma precipitato)
2. Con l’elettrolita indifferente ——> gli ioni possono stare più vicini tra di loro e aumenta la solubilità.
Considero l’attività:

Ks* è la vera costante termodinamica, dipende solo dalla temperatura e non dalla forza ionica, cioè dalla
presenza di elettroliti. Ks non è la costante termodinamica ma è un modo semplificato per scrivere la vera
costante di equilibrio ks*. Ks dipende dalla forza ionica, in particolare all’aumentare di una aumenta l’altra
e se la Ks aumenta vuol dire che il coefficiente d’attività sarà minore di 1 dato che Ks* deve rimanere
costante (dalla formula di Ks* si evince che se Ks aumenta il prodotto tra i coefficienti di attività deve
diminuire perchè Ks* rimanga costante).

L’equazione di Debye-Huckel afferma che si può ricavare il coefficiente di attività di uno ione conoscendo la
carica dello ione e le dimensioni dello ione stesso idratato, una volta che la forza ionica è nota. Tale legge è
una legge limite in quanto ha validità solo se la forza ionica è minore di 0.1, quindi la concentrazione è
dell’ordine di 0.1 M. Questa equazione risulta essere molto utile dato che in genere si lavora con soluzioni
molto diluite che non hanno concentrazione maggiore di 0.1.
a. Perchè dall’equazione si ricava 0/1=0, dato che e^0=1
b. Per moderate aggiunte di elettrolita i coefficienti di attività degli ioni sono minori di 1 e per far si che
l’attività sia costante, la concentrazione deve aumentare.
c. Il coefficiente di attivtà aumenta all’aumentare di Z
d. A parità di Z e di forza ionica, l’unica variabile è l’attività, ma questa non è una grandezza variabile.
Essendo quindi ai simile per vari ioni, di conseguenza anche i coefficienti di attività saranno simili.
e. Quando la carica aumenta
f. L’equazione è valida sia per anioni che per cationi dato che la carica è elevata al quadrato.
g. L’equazione non è valida per valori di forza ionica superiori a 0.1
h. Quando mettiamo moderate quantità di elettrolita in soluzione, il coefficiente d’attività tende a
diminuire, ci aspettiamo quindi che all’aumentare della concentrazione dell’elettrolita in soluzione il
coefficiente d’attività tenda a diminuire. Tuttavia non è così, infatti il coefficiente d’attività raggiunge un
minimo e poi risale.
Tramite l’equazione di Debay-Huckel si possono costruire delle tabelle considerando le cariche dello ione
(sia + che - perchè Z elevato al quadrato) e tenendo conto delle dimensioni degli ioni idratati (cioè ai) anche
se questo è il fattore meno importante nel determinare il coefficiente d’attività in quanto oscilla tra valori
molto simili anche quando le cariche degli ioni sono molto diverse. La forza ionica è invece determinante.
Se prendo ioni a carica 1, di dimensioni 0,4 nm e li confronto con ioni a carica 2 e a carica 3, delle stesse
dimensioni, si nota l’effetto della forza ionica:
Quando z=1 : 0.78<forza ionica< 0.964
Quando z=2: 0.36<forza ionica< 0.867
Quando z= 0.095<µ< 0.725
Perciò più la specie è carica e più la forza ionica è elevata e più si avverte l’effetto.
Quando la forza ionica è bassa e gli ioni hanno carica pari ad uno, allora sono in condizioni praticamente
ideali poiché il coefficiente d’attività tende a 1. All’aumentare della forza ionica e della carica ci si allontana
dall’idealità.
Es. Calcolare l’errore relativo sulla solubilità, introdotto trascurando g, per una soluzione satura di Ba(IO3)2 nella
quale Mg(IO3)2 = 0.033 M, noto che per Ba(IO3)2 Ks* = 1.57 × 10-9

Detto A = Ba2+ e B = IO3- Ks* = aA × a2B = 1.57 × 10-9

ed essendo ai = gi [i] otteniamo che Ks = [A] × [B]2 = Ks*/(gA × g2B)

μ = 0.5 ([Mg2+]×22 + [IO3-]×12) = 0.5 (0.033×4 + 0.066×1) = 0.099 = 0.10

Calcoliamo gA e gB dall’equazione di D-H (oppure direttamente dalla tabella)

Es. Calcolare l’errore relativo sulla solubilità, introdotto trascurando g, per una soluzione satura di Ba(IO3)2 nella
quale Mg(IO3)2 = 0.033 M, noto che per Ba(IO3)2 Ks* = 1.57 × 10-9

Detto A = Ba2+ e B = IO3- Ks* = aA × a2B = 1.57 × 10-9

ed essendo ai = gi [i] otteniamo che Ks = [A] × [B]2 = Ks*/(gA × g2B) Calcoliamo gA e gB dall’equazione di D-H (oppure

direttamente dalla tabella)

gA = 0.38 l/mole e gB = 0.78 l/mole

Quindi Ks = 1.57×10-9/(0.38×0.782) = 6.8×10-9

Solubilità tenuto conto dei gi:

[Ba2+] = Ks/[IO3-]2 = 6.8×10-9/0.0662 = 1.56×10-6 moli/l

Solubilità senza tener conto dei gi:

[Ba2+] = Ks*/[IO3-]2 = 1.57×10-9/0.0662 = 3.60×10-7 moli/l

Errore relativo = (3.60×10-7 – 1.56×10-6) 100/1.56×10-6 = – 77 %


Abbiamo una soluzione in cui vi è la presenza di due sali poco solubile con uno ione a comune che
contribuisce alla forza ionica. La forza ionica è data da tutti gli ioni che derivano dai due sali poco solubili
(Mg2+, IO32-,Ba2+,IO3-). Tuttavia Ba(IO3)2 in soluzione genera un piccola quantità di ioni (essendo poco
solubile) e la sua solubilità viene inoltre repressa dalla presenza dello ione a comune. Possiamo quindi
trascurare il contributo degli ioni proveniente da questo sale alla forza ionica e perciò la calcoliamo
considerando solo Mg(IO3)2.

L’effetto sale riguarda tutti gli equilibri, non solo quelli di solubilità.Per qualunque costante di equilibrio
(Ks,Ka,Kw), cioè in tutti quegli equilibri in cui ho più cariche da una parte rispetto all’altra, l’aggiunta di un
elettrolita favorisce la parte dell’equilibrio in cui ci sono più cariche (perchè l’effetto è elettrostatito).
Questo equilibrio quindi risente dell’effetto sale e andrà nella direzione in cui può formare più ioni (poichè
l’effetto è caratterizzato da un innalzamento della costante dielettrica, quindi vi sono più ioni in soluzione).
Per moderare le aggiunte di qualunque elttrolita indifferente avremo un aumento della concentrazione
degli ioni. A basse concentrazioni la costante di equilibrio è costante, successivamente entra in gioco
l’effetto del coefficiente d’attività e le costanti espresse in funzione delle concentrazioni (Ks,Ka,Kw)
aumentano, mentre quelle espresse in funzione delle attività (Ks*,Ka*,Kw*) rimangono costanti. Le tre
curve, quando si avvicinano a zero, tendono ad un valore limite.

Il grafico mostra l’effetto della


concentrazione di elettrolita sulle
costanti di equilibrio basate sulle
concentrazioni.

Il coefficiente d’attività dipende dalla forza ionica perciò se ci mettiamo in condizioni di µ costante allora il
coefficiente di attività sarà stabile. Come possiamo fare?
Consideriamo la sintesi chimica con un reattivo A ed un reattivo B per la formazione del prodotto C. Pur
non conoscendo il valore di µ, possiamo metterci in condizioni di riproducibilità aggiungendo una grande
quantità di elettrolita indifferente in modo tale che µ dipendi solo da questo e non dai reagenti che sono in
quantità minore. Tale sale non funge da catalizzatore poiché non prende parte alla reazione. In
conclusione, lavorare a µ=cost, in modo tale da avere un coefficiente d’attività stabile,vuol dire procedere
con l’aggiunta di una grande quantità di sale (es. NaClO4). Tuttavia i risultati ottenuti sono validi e
riproducibili in quel mezzo ionico e in quelle condizioni di µ stabile; tale problema viene poi risolto con
l’interazione specifica che suppone che le proprietà termodinamiche delle miscele possano essere dedotte
da quelle dei singoli elettroliti che le compongono.
DH= Debay- Huckel

Se consideriamo l’aggiunta ad una soluzione di un elettrolita indifferente a bassa concentrazione fino ad


ottenere una µ minore di 0.1, allora la soluzione sarà abbastanza diluita per ammettere che gli ioni positivi
o negativi del soluto si dispondano in modo tale da essere circondati da ioni di carica opposta. In questo
caso gli ioni si trovano a grande distanza e non interagiscono chimicamente, cioè le forze che prevalgono
solo quelle di tipo elettrostatico. Inoltre non è importante la natura del catione del sale in quanto l’unico
effetto rilevante è quello della carica.
Se la concentrazione dell’ elettrolita indifferente aggiunto è molto alta, allora ci troveremo in una
situazione diversa. Infatti l’aumento della concentrazione comporta un avvicinamento degli ioni in quanto
l’anione del sale sarà presente in elevate quantità. Il catione si comporta in maniera differente a seconda
dell’anione che lo circonda, è quindi importante la natura degli ioni quanto la loro carica poiché subentrano
fattori chimici (sovrapposizione orbitali). Perciò l’interazione non è più elettrostatica o aspecifica, ma
specifica. Ciò comporta la necessità di trovare un parametro valido per ogni coppia di ioni specifici, così la
teoria dell’interazione specifica tiene conto coppia per coppia di tutte le interazioni costituendo una tabella
che spiega tutti i diversi parametri che uno ione acquista in base all’altro ione con il quale reagisce (cioè un
determinato ione ha una particolare interazione con ogni altro ione).
esempio: considero l’equilibrio
KCl + AgNO3 —> AgCl + KNO3
Quando la soluzione è abbastanza diluita, l’aggiunta di KNO3 a bassa concentrazione comporta
l’avvicinamento tra Ag+ e NO3-, K+ e Cl-. Questi risentono solo dell’effetto carica e vale la DH dato che
subentrano solo le interazioni elettrostatiche.
Nel caso in cui aggiungiamo una grande quantità di KNO3 allora l’Ag+ sarà costretto ad interagire con NO3-
poiché si troverà nelle immediate vicinanze (alta concentrazione), così subentrano anche i fattori chimici.
SOLUZIONI

SOLVENTE

L’acqua è il solvente più comune e possiede delle caratteristiche particolari quali il peso specifico minore allo
stato solido rispetto a quello liquido o le temperature di fusione e di ebollizione elevate. L’Ossigeno possiede
due lone pairs ed è quindi una molecola che può potenzialmente formare due legami a Idrogeno (quando l’O fa
da donatore) o può riceverli (quando H funge da accettore).

Confrontiamo le caratteristiche dell’H20 con idruri degli


elementi che si trovano adiacenti all’Ossigeno nella tavola
periodica, in particolare NH3 e HF.
Sono tutti e tre composti dell’H e nonostante il P.M. sia
molto simile, le loro caratteristiche fisiche sono differenti.
Ciò è dovuto dal fatto che l’H2O possiede due lone pair
mentre NH3 uno (può quindi fungere da donatore di un
doppietto) e HF tre, può quindi formare tre legami ad
idrogeno (può fare da donatore di tre doppietti). In pratica
nell’H2O è presente una complementarietà in quanto
ciascuna molecola di H2O può donare e ricevere due legami
a idrogeno. Inoltre il fatto che l’H2O possieda temperature
di fusione e di ebollizione elevate è una conseguenza del
fatto che ha la capacità di formare forze di coesione (cioè la
capacità di instaurare legami tra le molecole di H2O). Un
altro fattore determinante per le proprietà fisiche dell’H2O
è la costante dielettrica che è maggiore rispetto alla norma.
Questo elevato valore fa si che la forza che si stabilisce tra
gli ioni in soluzione acquosa è molto debole e che, di
conseguenza, gli ioni hanno particolare libertà in questo
solvente.

Si osserva per questi composti un andamento simile per cui la temperatura di ebollizione aumenta con il
crescere del numero di elettroni per molecola.
RAGGI IONICI

Consideriamo la variazione del raggio ionico nei singoli elementi. Togliendo elettroni ad un elemento avrò la
formazione di cationi. Prendiamo come esempio nel secondo periodo il Litio e il Berillio. Se tolgo un elettrone al
Li allora otterrò un catione Li+ con configurazione analoga al gas nobile He. Analogamente se tolgo due
elettroni a Be otterrò un catione Be2+ con configurazione dell’ He. Tale procedimento prosegue fino al Fluoro,
in cui vengono tolti sette elettroni. In questo caso i cationi formano una serie isoelettronica (ioni che
contengono lo stesso numero di elettroni nei loro orbitali), nello stesso periodo. Consideriamo il Litio (3
protoni) e il Fluoro (9 protoni), se dispongo i due elettroni dell’ Elio attorno al nucleo del Litio, i suoi tre protoni
attireranno a se (con un campo elettrico a carica +3) i due elettroni dell’Elio (che si posizioneranno nell’orbitale
1s che avrà una certa dimensione). Se gli elettroni dell’Elio vengono disposti all’interno del campo elettrico dei
nove protoni del Fluoro, questi protoni attrarranno maggiormente i due elettroni dell’ Elio. Quindi l’orbitale 1s
del F7+ è un orbitale molto più concentrato sul nucleo rispetto all’orbitale 1s del Li. Allora il raggio ionico
aumenta da destra a sinistra in quanto a parità di elettroni e all’aumentare della carica positiva da sinistra a
destra, l’attrazione da parte del nucleo è più forte e gli elettroni si dispongono più vicino al nucleo cosi da
diminuirne le dimensioni. Consideriamo ioni a parità di carica, vi è un aumento del raggio da destra a sinistra
ma l’effetto è meno marcato. Per quanto riguarda un gruppo, a parità di carica le dimensioni aumentano
dall’alto verso il basso in quanto aumenta il numero quantico principale n (es: Li+, Na+). Infine considero uno
stesso atomo (Fe2+, Fe3+), più elettroni tolgo più la stessa carica deve attrarre un numero minore di elettroni,
quindi maggiore è la carica del catione e minori sono le dimensioni. Perciò per una stessa specie, il raggio ionico
aumenta al diminuire della carica positiva presente nel catione.
La variazione dei raggi ionici è strettamente correlata ad alcune proprietà quali l’idratazione, la solvatazione,
proprietà di acidi e basi.

IDRATAZIONE

Vi sono determinate reazioni tra gli ioni ed il solvente acqua che producono i così detti ioni idratati,
conseguenza della natura polare della molecola d’acqua. Dato che O è molto più elettronegativo rispetto ad H,
tutti i legami H-O sono legami covalenti polari in cui gli elettroni sono più vicini all’atomo di ossigeno rispetto
all’idrogeno, dando luogo ad una carica parziale negativa sull’O ed una positiva sull’H. Perciò quando vi è un
catione in H20, tali molecole si dispongono attorno a questo in modo tale che le loro estremità negative (gli
atomi di O) si orientino verso il catione. Al contrario quando vi è un anione in H2O allora le molecole di acqua si
dispongono attorno a questo in modo tale che le estremità positive (gli atomi di H), si orientino verso l’anione.
Prendiamo come esempio la reazione tra Ag+ e Cl-.
Prima della reazione sia Ag che Cl sono in forma idratata in soluzione. Nel momento in cui avviene il
mescolamento dei due ioni, si formerà precipitato AgCl e vi sarà la contemporanea interazione di un certo
numero di molecole di H20, le stesse che costituivano la sfera di idratazione di Ag+ e Cl-. Affinché ci sia la
formazione di precipitato oltre all’ energia della formazione del cristallo, entra in gioco anche l’energia che
bisogna spendere per liberare gli ioni dalla sfera di idratazione. Tale energia viene definita energia di
idratazione, non trascurabile nella formazione di un precipitato perché ha valori elevati.

Se l’ Eidrat > Eformaz —> processo endotermico.


Se l’ Eidrat < Eformaz —> processo esotermico.

L’energia di idratazione può essere calcolata dall’equazione di Latimer per cui:

dove:
60900 è una costante.
Z è la carica dello ione.
r è il raggio dello ione (in picometri)
50 è una costante.
Tralasciando le costanti, il rapporto Z^2÷r è detto potenziale ionico.
Questa è l’entalpia di idratazione di uno ione, perciò tale energia viene calcolata separatamente per l’anione ed
il catione. Inoltre è valida solo se l’elettronegatività è minore di 1.5.
Vi è il segno negativo poiché in generale l’idratazione di uno ione è sempre un processo esotermico.
L’energia di idratazione dipende quindi dal raggio, dalla carica e dall’elettronegatività.

Vediamo come varia l’energia di idratazione dei cationi metallici. Prendiamo in considerazione:
• Il caso in cui l’elettronegatività sia minore di 1.5 (valida equazione di Latimer)
• Il caso in cui l’elettronegatività sia maggiore di 1.5

a) L’energia tende a crescere in senso contrario al raggio.


Dall’equazione di Latimer notiamo che più la carica è alta, maggiore è l’energia di idratazione e più gli ioni sono
di piccole dimensioni (raggio ionico più piccolo). Il raggio ionico è un fattore che entra in gioco nell’equazione di
Latimer ma è meno rilevante rispetto alla carica dello ione. Infatti se consideriamo ioni che hanno carica
differente ma raggi ioni simili (es: Na+, Ca2+,Pu3+,Ce4+) l’energia di idratazione diminuisce in modo notevole
all’aumentare della carica.

b) confrontando due cationi che hanno la stessa carica ma differente elettronegatività (uno maggiore e uno
minore di 1.5) e raggio ionico simile (es: Na+, Ag+) notiamo che l’energia di idratazione è minore per il catione
con elettronegatività maggiore di 1.5.

Per cationi con l’elettronegatività maggiore di 1.5, Latimer avrebbe dovuto aggiungere all’equazione un altro
termine che tenesse conto di tale effetto, ma dato che tali cationi hanno un valore di energia di idratazione
minore di circa il 15-20% rispetto al altri cationi che hanno stessa carica e raggio ionico simile ma
elettronegatività minore di 1.5, posso utilizzare comunque l’equazione di Latimer tenendo conto di tale
variazione (in pratica se l'elettronegatività è maggiore di 1.5 allora vorrà dire che l’energia di idratazione sarà
minore, rispetto a quella ottenuta con l’equazione di Latimer, di circa il 15-20%). Tuttavia tale discorso è valido
solo in presenza di ioni idratati in soluzione.
IDROLISI DEI CATIONI

Questa è una reazione di equilibrio, caratterizzata da una propria costante. La molecola di H2O perde un atomo
di idrogeno diventando uno ione idrossido OH-. Tale gruppo idrossi si lega al catione e lo ione H+ liberato va a
legarsi ad un’altra molecola di H2O portando alla formazione dello ione ossonio H3O+. Questo è un equilibrio
acido-base in quanto il catione in soluzione si comporta da acido e l’acqua si comporta da base. Tale processo
viene chiamato idrolisi dello ione metallico ed aumenta all’aumentare della carica e dell’elettronegatività del
metallo e al diminuire del raggio dello ione metallico. In generale:

Dunque se in soluzione vi è un elemento non metallico, questo ha una richiesta elettronica elevata che può
determinare un legame covalente dativo tra l’ossigeno e il catione. Per far si che ciò avvenga, dato che
l’ossigeno è uno degli elementi con maggiore elettronegatività, l’elemento deve avere un potenziale ionico
elevato. In questo modo l’ossigeno si lega al metallo (cioè al catione), un idrogeno rimane legato all’ossigeno
mentre l’altro si libera come ione H+ che si lega con la molecola di acqua formano lo ione ossonio. Questa
reazione di idrolisi o protolisi è analoga a quella di un acido debole in acqua.
Nel caso di ioni a carica multipla si possono avere successive reazioni di idrolisi fino ad arrivare alla
precipitazione dei rispettivi idrossidi.
L’intensità dell’interazione dipende principalmente dalla carica Z e dal raggio r.
È importante stimare l’acidità approssimativa di un determinato catione in modo da poter prevedere quanto
violentemente reagirà un dato composto con l’acqua. Prendendo in considerazione la tabella che segue,
notiamo che gli ioni di una data categoria di acidità condividono molte proprietà chimiche. Inoltre i valori più
piccoli del potenziale ionico corrispondono all’idrolisi minima dei cationi.

Il potenziale ionico aumenta all’aumentare della carica Z dello ione e contemporaneamente vi è l’aumento
dell’acidità dello ione (aumenta Ka) e diminuisce pKa. Il termine a è valido nel caso in cui l’elettronegatività sia
≤ 1.5.
Il potenziale ionico di elementi con elettronegatività ≥ 1.5 è definito dal termine b a cui viene sommato un
fattore che tiene conto della differenza di elettronegatività dell’elemento, è quindi un potenziale chimico
corretto per l’eccesso dell’elettronegatività. Di conseguenza anche b cresce all’aumentare della carica Z. Può
essere molto diverso da a quindi non può essere trascurato. inoltre sono più acidi rispetto ad a.
In generale: pKa diminuisce all’aumentare di a e di b
Per l’energia di idratazione abbiamo un’equazione rappresentativa mentre qui ci limitiamo a procedere con
una categorizzazione.
Abbiamo stabilito che uno ione con carica z, se abbastanza acido, in acqua può liberare ioni H+ diventando un
idrosso catione. La specie prodotta dal primo equilibrio può dar luogo ad un secondo equilibrio di idrolisi acida,
se il suo potenziale ionico non è soddisfatto, dove reagisce con un’altra molecola d’acqua formando un altro
ione idrossi metallico che ha carica diminuita di un’altra unità (avrà una Ka2). Proseguendo con i fenomeni di
idrolisi, i cationi acquistano man mano sempre più gruppi OH- e si può arrivare alla precipitazione degli
idrossidi. Il pH della precipitazione è dato da:

In questa equazione (Ph di precipitazione)


[MZ+] corrisponde alla concentrazione
dello ione che voglio precipitareIl pH sarà
tanto più basso quanto più lo ione è
acido. Per far si che vi sia la
precipitazione, nel caso in cui vi è una
minima quantità di ione allora dovrò
aggiungere una grande quantità di OH-,
mentre se ho elevate quantità di ioni
basterà una piccola aggiunta di OH-. Ne
consegue che se ho tanto ione, allora il pH
di precipitazione è basso, al contrario se
ho tanto ione allora il pH di precipitazione
è alto. Quindi ioni con carica maggiore
precipitano a pH più basso (per esempio
il Fe3+ precipita a pH più basso rispetto
Fe2+).
Quando l’elemento di partenza ha un
potenziale così alto da arrivare a fare z
reazioni di idrolisi e da diventare un
idrossido, può non aver ancora
soddisfatto la propria richiesta
elettronica e inizia quindi a liberarsi di
ioni H+ (cioè richiede altri e- agli ossigeni
ai quali è legato come idrossido),
formando degli ossoanioni (cioè si
liberano un numero z di H+, che in acqua
vanno a formare un numero z di H3O+).
Gli ossoanioni sono anioni poliamomici
che contengono atomi di Ossigeno legati
ad un atomo centrale (es: NO3-, SO42,
PO43-)
Riassumiamo:
a) I cationi metallici in H2O idratano
b) I cationi metallici con proprietà acide possono fare più reazioni di idrolisi
c) Elementi con elevato potenziale ionico possono giungere alla formazione di ossoanioni.

Abbiamo detto che è importante stimare l’acidità di un determinato catione; a seguire vi è una tabella di dati
che classifica i cationi dal punto di vista dell’acidità in funzione del potenziale ionico. Consideriamo il valore
Z^2/r, più questo è piccolo, più l’acido è debole.
Per i cationi metallici con elettronegatività maggiore di 1.5, l’acidità è maggiore rispetto a ioni con carica e
dimensione simile. Nella figura che segue vengono rappresentati i dati di pKa con a (pallini pieni) e di b (pallini
vuoti) e vengono approssimati con un’equazione analitica della retta che non ha grande validità in quanto i dati
di b sono molto dispersivi.

Regola pratica: se l’elettronegatività di uno ione metallico è di 1.8 spostare di una categoria nell’acidità.

Es. CLASSIFICARE OGNUNO DEI SEGUENTI CATIONI IN RELAZIONE ALL’ACIDITA’ E DISCUTERE LA LORO PRESENZA IN ACQUA: Eu2+, B3+, W6+.

N.B. r dalla Tab. C


c dalla Tab. A

B e W hanno c > 1.8

per Eu2+: Z2/r = 22/131 = 0.031 (debolmente acido) catione idrato

per B3+: Z2/r = 32/41 = 0.220 (molto acido) ossido, ossiacido, ossoanione

per W6+: Z2/r = 62/74 = 0.487 “ “ “ “

IDROLISI DEGLI OSSOANIONI MOxy-

Un ossoanione è costituito da una specie m, atomo non metallico (es, N in NO3-, S in SO42-) cioè l’atomo
centrale circondato da un certo numero di ossigeni.

Le dimensioni dell’ossoanione non dipendono dal tipo di atomo centrale a cui sono legati gli atomi di ossigeno
ma dalla carica dell’ossoanione. Infatti a parità di forma, la natura dell’atomo centrale non influenza la
basicità.La formula generale degli ossoanioni è MOx ^y-, cioè le basi coniugate di acidi inorganici (es: NO3-
,SO42-); inoltre x sono gli ossogruppi. Gli ossoanioni posti in H2O sono soggetti ad idrolisi e possono acquistare
un H+ dall’H2O. Procedendo in questo modo la “x” (ossogruppi) si trasforma in OH- . Quindi M rimarrà legato a
x-1 ossogruppi e ad un idrossogruppo. Inoltre, dato l’acquisto di un un H+, la carica dell’ossanione passa da y- a
(y-1)-, e l’H2O libera OH- poiché l’atomo di idrogeno dell’acqua avente parziale carica positiva può legare con
un atomo di ossigeno dell’ossoanione con carica parzialmente negativa, perdendo un H+. Quindi tutte le volte
che passiamo da uno ione al suo acido coniugato, dobbiamo togliere una carica e un ossogruppo. Come per i
cationi cercheremo di sviluppare delle regole che ci permettano di prevedere la basicità. Per i cationi abbiamo
fatto riferimento a carica, dimensioni ed elettronegatività. Per gli ossoanioni le dimensioni dell’atomo non
metallico sono del tutto trascurabili mentre l’ elettronegatività ha un piccolo effetto sulla pKb meno rilevante
rispetto all’effetto della carica e del numero degli ossogruppi. Infatti il pKb di un ossoanione diminuisce di 10.2
unità per ogni carica negativa addizionata, perciò maggiore è la carica negativa, maggiore è la basicità. Al
contrario l’aumento del numero di ossogruppi comporta un aumento della pKb di 5.7 unità (quasi 1 milione di
volte), quindi una diminuzione della basicità.—> importante per tamponi.
Perché il numero di ossogruppi dovrebbe avere effetti sulla basicità di un ossoanione?
1. Più ossogruppi vi sono maggiore è la risonanza, quindi la delocalizzazione della carica negativa e la
stabilità degli anioni
2. Minore carica sull’ossigeno per effetto induttivo
3. Quando attacchiamo un ossigeno addizionale, il numero di ossidazione dell’atomo non metallico
aumenta di due
4.Minore densità di carica negativa
Possiamo riassumere gli effetti del numero di ossogruppi e della carica negativa di un ossoanione in una
equazione che esprime sperimentalmente, per un generico MOxy-, il pKb:

Come possiamo stabilire rapidamente l’ordine di grandezza della basicità degli ossoanioni?
Dalla formula MOxy- togliamo una carica negativa per ogni coppia di ossogruppi (questo perché se una carica
aumenta la basicità di 10.2 unità, 2 ossogruppi “5.7+5.7” diminuiscono la basicità di circa la stessa unità).
Es:

• MO4-, tolgo una carica e due ossogruppi —> MO2 tale formula indica che vi è un eccesso di ossogruppi
rispetto alla carica (2 x e 0y) e dato che gli ossogruppi rendono meno basico un anione, tale anione non
sarà basico.
• MO42-, tolgo una carica e due ossogruppi —> MO2-, devo arrivare alla formula minima quindi tolgo altri
due ossogruppi e un’altra carica —> M (0x e 0y) non ha né cariche né ossogruppi, perciò la specie è
debolmente basica poiché si bilanciano.
• MO32-, tolgo una carica e due ossogruppi, poi mezza carica e un ossogruppo—> M-1/2, questo è
moderatamente basico
• MOxy- —> M-j con j>1, fortemente basico

In generale: se vengono eliminate tutte le cariche ma rimangono degli ossogruppi allora l’ossoanione non è
basico. Se non rimangono né cariche né ossogruppi (M) la specie è debolmente basica. Se rimangono cariche e
non ossogruppi allora sarà basica (se y=1/2 moderatamente basica, se y=1 fortemente basica).
Il prodotto dell’idrolisi dell’ossoanione è un ossoanione protonato (cioè un idrossianione) che può fare idrolisi
generando un altro ossoanione diprotonato (idrossianione, non ha più ossogruppi) in cui il numero di
ossogruppi e la carica diminuiscono di una unità.
Questi ossidi o idrossidi possono dissolversi anche in soluzioni fortemente acide generando cationi idratati,
sono dunque anfoteri, cioè in grado di reagire sia come acidi che come basi.
Quando un ossoanione idrolizza, perde un ossogruppo e una carica, quindi, considerando la formula di pKb,
viene perso un fattore “+5.7” e uno “-10.2”. Quindi la differenza tra il valore di pK1 e pK2 è di un fattore di
“4.5” (10.2-5.7). Ciò è valido per tutte le costanti basiche, cioè le Kb di un protolita successive, differiscono sa
quella precedente per circa 4.5 unità. È un concetto molto importante in quanto una volta calcolata la Kb1
possiamo capire approssimativamente anche i valori delle costanti basiche successive. Un discorso analogo si
può fare per le costanti acide.

STATO CHIMICO DEGLI ELEMENTI IN ACQUE NATURALI

In acque naturali possiamo trovare cationi idratati, cioè i cationi acidi e moderatamente acidi soprattutto con
carica +1 e +2 (ma non molto piccoli, cioè il raggio) e +3 (purché grandi, dato che se hanno una carica grande
devono necessariamente essere grandi altrimenti idrolizzerebbero e formerebbero degli idrossidi poco
solubili), ossoanioni più o meno idrolizzati, cioè eleggenti con elevato numero di ossidazione. Questi sono
biologicamente disponibili, possono essere utilizzati dagli organismi viventi, in quanto sono presenti nelle
acque naturali. Gli ossidi o idrossido sedimentati non sono biologicamente disponibili.
Consideriamo il caso in cui non vi siano reazioni redox, di precipitazione, di complessazione. Il pH approssimato
è tra 6 e 9. Tramite il diagramma di predominanza posso capire in che condizioni posso trovare una certa
specie, consente di rappresentare su una scala di pH diverse specie e di capire la loro regione di
predominanzaa.
Consideriamo il fosforo:

Ha n.o. +5 e in H2O è presente come fosfato.


A Ph=0 è presente solo H3PO4, quando a
questo aggiungo una base forte, il primo
protone dell’acido fosforico viene titolato e si
trasforma in H2PO4-. Aggiungendo un’altra
base, viene ceduto il secondo protone e di
forma HPO4-. Ogni titolazione viene fatta
tramite l’aggiunta di una base forte che
comporta la perdita di un H+.
Le curve rappresentano le varie specie e i
punti di intersezione corrispondono al 50%
delle specie coniugate. Se tali punti di
intersezione vengono proiettati sull’asse delle
ascisse formano delle linee di separazione
(diagramma sotto) che indicano le zone di
separazione tra le specie in base all’intervallo
di pH. Se mi trovo a pH=2.5 più mi sposto a
destra più prevale H2PO4- rispetto a H3PO4.

Possiamo realizzare un diagramma di predominanza di alcuni cationi tenendo in considerazione


l’elettronegatività, la carica, il raggio.
Na ad ogni valore di pH sarà sempre come ione in soluzione (Na+), perciò la sua zona di
predominanza coincide con tutto il campo di esistenza. Il Ca a pH fortemente basico ha comportamento
debolmente acido e può precipitare. Discordo analogo per Zn fino ad un certo valore di pH, a pH elevati può
dare luogo a degli idrossoanioni. L’alluminio già a pH=4 può precipitare ma in condizioni fortemente basiche
può dare luogo a degli idrossoanioni.
Cosi via fino al Cl+7 che rimane sotto forma di anione in tutto il range di pH in soluzione.
All’aumentare della carica, il campo di esistenza dei cationi diminuisce sempre più e questi precipitano a valori
di pH sempre più acidi.
È la proprietà di un soluto di sciogliersi in un solvente ad una data temperatura dando luogo ad una soluzione.
Nello stato iniziale della trasformazione si hanno soluto e solvente separati mentre nello stato finale una
soluzione. Soluto e solvente danno origine ad una soluzione se, al momento del mescolamento, il soluto si
scioglie nel solvente. Le variabili termodinamiche sono strettamente correlate alla solubilità e il loro segno
dipende dal verso della reazione. Se la reazione procede da sinistra a destra allora è un processo endotermico e
porta alla formazione della soluzione, se procede da destra a sinistra allora è un processo esotermico e porta
alla formazione di un precipitato.
Quando consideriamo ∆H e ∆S, oltre al soluto che si scioglie, dobbiamo considerare anche la natura del
solvente. Possiamo quindi valutare questi solo se conosciamo i parametri termodinamici di soluto, solvente e
soluzione.
Per determinare le solubilità di una sostanza posso utilizzare il criterio “il simile scioglie il simile” dove
consideriamo le interazioni elettrostatiche. Soluti apolari si sciolgono in solventi apolari, dove entrano in gioco
interazioni deboli (London) mentre soluti polari si sciolgono in solventi polari, con interazioni forti (del tipo
dipolo/dipolo o legami a idrogeno). Perciò, dato che una molecola apolare ha un momento dipolare basso, non
può formare legami a idrogeno e sarà dunque insolubili in H2O poiché questa è polare.
Se consideriamo un soluto polare e un solvente apolare (o viceversa) questi non si sciolgono e non formano la
soluzione dato che hanno diverse interazioni elettrostatiche. Tuttavia quando vi è il processo di mescolamento,
il disordine aumenta e perciò anche l’entropia e giungiamo ad una scarsa solubilità.
∆S>0, ∆H >0, ∆G≥0
In acqua tutti i sali sono elettroliti forti ma non tutti sono solubili
es: AgCl, è un sale poco solubile ma è anche un elettrolita forte poiché anche se è poco il sale in soluzione
questo è completamente dissociato (cioè i sali in soluzione sono sempre completamente dissociati). Non ci
sono molecole di Ag e Cl, tutti gli ioni sono dissociati ma sono molto pochi.

Se il sale è solubile allora si scioglie completamente nel solvente.


Se il sale è insolubile allora si scioglie una piccola parte in soluzione e questa parte è completamente dissociata.

Consideriamo il processo di precipitazione di un sale poco solubile

Dalla reazione (di formazione di un sale a partire da anione e catione) ottengo un precipitato e un certo
numero di molecole d’acqua. Abbiamo stabilito il verso in quanto guardiamo la reazione nel verso della
precipitazione.
Consideriamo la tabella che esprime i dati termodinamici della precipitazione che abbiamo ottenuto
raggruppando i sali in varie categorie. Tale criterio ci permette di stabilire il livello di solubilità del sale in base
alla tipologia di catione e anione che lo costituiscono.

(non trattiamo solfati)


Avendo raggruppato i sali in questo modo, la solubilità è minore in I e II mentre in IIIa e IIIb abbiamo numeri
crescenti. Quindi se sia il catione che l’anione che formano il sale sono entrambi non acidi e non basici o
entrambi acidi e basici, la solubilità del sale che formano è molto bassa. Al contrario se i sali sono formati da
ioni a combinazione incrociata, la solubilità del sale sarà elevata.
Tuttavia quando parliamo di cationi e anioni acidi o basici, non riusciamo a raggrupparli secondo categorie che
possono essere spiegate tramite un’equazione matematica. Per esempio se consideriamo NaNO3 questo fa
parte del gruppo II ma ha un’alta solubilità perciò non dovrebbe trovarsi lì. Dunque è una categorizzazione
qualitativa. Tuttavia le le eccezioni che presenta sono poche e quindi trascurabili; possiamo considerare quindi
tale criterio giusto.

L’acidità e la basicità possono essere “svincolate” cambiano il


pH della soluzione in modo da indurre l’idrolisi del catione (in
ambiente acido) o del catione (in ambiente basico) e
prolungare una variazione di solubilità che non dipende dalla
natura degli ioni ma dal pH della soluzione. Il principio di Le
Chatelier afferma che sali insolubili il cui anione è basico e il
catione non fortemente acido sono spesso disciolti in
soluzione acide. Cioè un sale poco solubile del tipo HA, se
messo in H2O, può aumentare la solubilità del sale, se
l’anione è basico e se si trova in condizioni sufficientemente
acide, così che l’anione idrolizza e aumenta la solubilità. Per
esempio il fosfato di ferro (FePO4), che è basico e poco
solubile, se posto in condizioni acide, produce l’idrogeno
fosfato, solubile (quindi l’idrogeno si lega al fosfato e un sale
scarsamente solubile in condizioni acide aumenta la propria
solubilità). Analogamente il carbonato di calcio, insolubile,
posto in condizioni acide produce HCO3-, sale solubile.

Per prevedere la solubilità di un sale bisogna analizzare il suo catione ed il suo anione, quindi la sua
acidità/basicità. Dai numeri di ossidazione e dalla tabella della lezione precedente calcoliamo il rapporto Z^2/r
e classifichiamo i cationi in base alla loro acidità. Analogamente per gli anioni calcoliamo la basicità tramite la
formula del pKb.
Se consideriamo:
• Ag2SeO4 insolubile (perché non acido + moderatamente basico), se posto in condizioni acide sarà più solubile
• K3PO4 solubile (perché è una combinazione incrociata), non importa metterlo in ambiente acido poiché è già
solubile.
• ZnSO4 solubile. (debolmente acido + debolmente basico) Dato che è debolmente acido + debolmente basico
dovrebbe essere insolubile, ma questa è un’eccezione, testimonianza del fatto che il criterio non è perfetto
ma è una previsione qualitativa non sempre reale.
• Th3(PO4)4 insolubile (perché sono dello stesso tipo, moderatamente acido + moderatamente basico), se
posto in condizioni acide il fosforo idrolizza e di conseguenza aumenta la solubilità.
Riprendendo la tabella 3.1 consideriamo i singoli contributi termodinamici al fenomeno di precipitazione ( la
reazione opposta è quella di solubilizzazione) perciò la reazione è favorita verso destra (∆G<0). Dato che ∆G è
in funzione di ∆H e ∆S, analizziamo anche questi contributi.
∆G= ∆H-T∆S

Dato che nella tabella sono espressi i valori di -T∆S, per ricavare ∆S bisogna cambiare il segno.
Considerando ∆H abbiamo valori molto piccoli se confrontati con quelli di ∆S, che avrà quindi contributo
maggiore rispetto a quello entalpico. Non sempre l’entalpia è trascurabile rispetto all’entropia, ma possiamo
affermare che la categoria dei sali formati da cationi acidi e anioni basici è dovuta prevalentemente dal fattore
entropico (tale prevalenza si ha solo nel caso di cationi acidi e anioni basici)
Le temperature sono tutte positive, quindi ∆S>0. Il ∆S è di precipitazione, vi sarà quindi un fenomeno per cui
ioni dispersi si vanno a concentrare nel solido disponendosi in posizioni ben precise (si passa quindi da una
condizione caotica ad una ben ordinata). Tuttavia l’entropia aumenta nonostante si passi da una condizione
disordinata ad una ordinata. Ma tutte queste sostanze hanno un valore di ∆S>0, ed è quindi una caratteristica
di tutti questi sali.
Perché cresce l’ entropia? Se noi mettiamo ioni a potenziale ionico crescente rispetto al T∆S di solubilizzazione,
ovvero -T∆S di precipitazione, questo diminuisce, quindi aumenta l’ entropia. In generale più gli ioni sono
carichi e di piccole dimensioni e più nella formazione di precipitato aumenta l’entropia. Ogni ione in soluzione
ha la propria nuvola di solvatazione, cioè uno spazio intorno agli ioni in cui le molecole di H2O si dispongono in
modo ordinato. Dato che l’energia di idratazione è molto grande (dall’equazione di Latimer) tale disposizione è
più ordinata rispetto a quella del solido. Perciò, dato che la precipitazione libera molecole di H2O, si forma una
struttura meno ordinata rispetto alla precedente (per formare tale struttura sfruttiamo altre strutture ordinate,
le sfere di idratazione).
Cationi acidi e anioni basici si organizzano in sfere di solvatazone più ordinate secondo Latimer che ha
verificato ciò prendendo una serie di cationi e tabulandoli in funzione del potenziale ionico e valutando il loro -
T∆S di precipitazione. Gli ioni acidi e basici generano strutture elettrostatiche, cioè sono in grado di generare
strutture ordinate nella sfera di solvatazione. Un discorso differente si fa per gli ioni non acidi e non basici che
rompono le strutture elettrostatiche. Infatti hanno una sfera di solvatazione meno organizzata e rompono le
strutture elettrostatiche dell’H2O. l’H2O è costituita da aggregati che possono essere assimilati ad iceberg che
si rompono e ricompongono continuamente. Nel momento in cui uno ione non acido o non basico si salvata,
rompe la struttura elettrostatica degli iceberg, quindi dell’H2O in quanto per idratarsi necessita di molecole di
acqua. Viene quindi distrutto il grado di ordine presente nell’H2O dalla formazione delle sfere di solvatazione di
questi ioni. Quindi riprendendo Latimer abbiamo una situazione in cui:
1. i cationi meno acidi hanno contributi entalpia positivi, spostandosi a cationi con maggiore acidità i
contributi entalpici sono via via più negativi
2. Gli anioni meno basici hanno un -T∆S di precipitazione positivo mentre quelli più basici lo hanno più
negativo.
Dalla tabella notiamo che l’ entropia aumenta con la basicità dell’anione.
Se considero che ciascun catione ha una nuvola di solvatazione e le molecole di h20 si dispongono intorno a
catione e anione, dato che l energia i idratazione è molto grande allora le molecole di h20 sono compattate
intorno agli ioni nello stesso modo in cui gli ioni si ordinavano nel solido quando c e precipitazione di libera h20
e si forma una struttura meno ordinata rispetto a quelle precedente con l’acqua. Quindi quando si ha a che fare
con anioni o cationi acidi e basici di strutture in grado di generare strutture elettrostatiche. Dato che vi è la
liberazione di molecole d acqua allora l’entropia è favorita. Se abbiamo a che fare con specie non acide e non
basiche la situazione è differente
Modello iceberg
Se prendo un recipiente d’acqua posso pensare che esistano, come gli iceberg nell’oceano, delle strutture
ordinate, quindi sono in grado di modificarsi pur mantenendo il proprio ordine. Quando nella soluzione
aggiungo catione o anione non acidi e non basici questi generano strutture elettrostatiche molto blande
rispetto a quelle degli acidi e delle basi quindi quando introduco cationi e anioni non acidi e non basici per
generare le loro strutture di solvatazione vanno a rompere quelle degli iceberg, diminuendo l’ordine. Quindi in
acqua rompono le strutture elettrostatiche dato che gli iceberg (o ioni) vengono parzialmente sostituiti dalle
strutture di solvatazioni degli anioni e cationi non acidi e basici.Se ho uno ione con alto potenziale ionico la
tendenza è quella di avere molta carica e di attrarre a se le strutture elettrostatiche mentre le specie non acide
non hanno questa attrazione
Questo perché c’è un alto grado di organizzazione nell’acqua. Ipotesi di interpretazione, non sperimentato.
NUMERO DI IDRATAZIONE E RAGGIO Le dimensioni degli ioni idratati a parità di carica aumentano.
Il potenziale ionico mostra la densità di carica. Consideriamo Litio e
Cesio, entrambi con carica +1. Il Li è uno ione piccolo mentre il Cs è
uno ione grande. Quindi ci aspettiamo che il potenziale ionico
aumenti dal litio al cesio. Tuttavia la densità di carica del litio è
maggiore, in quanto quella del cesio è piccola poiché è dispersa per
tutta la superficie. Se poniamo una molecola di solvente vicino al
Litio, questa è attratta fortemente a questo mentre se la poniamo in
prossimità del Cesio la densità di carica è più debole e la molecola è
meno attratta a questo. Quindi il Litio riesce ad organizzare un certo
numero di strati di molecole di solvente (22) maggiore rispetto al
numero di strati del Cesio (6). Quindi le dimensioni dello ione Litio
idratato diventano più grandi rispetto a quello del Cesio idratato.
Questo perché la carica è sempre la stessa ma nel Cesio è disposta in
un volume maggiore che dà luogo ad un campo elettrico più debole
rispetto alla carica in un volume minore.

Torniamo a tab 3.1 considerando i gruppi II, IIIa e IIIb.


Dobbiamo ricercare la solubilità di tali gruppi e ci rendiamo conto che i valori ∆G del gruppo IIa sono negativi
dato che il ∆H ha un contributo maggiore e negativo rispetto al T∆S. Ci troviamo quindi in una situazione
inversa. Quindi questi sali sono insolubili come i precedenti ma per fattori entalpici.
Per i gruppi IIIa e IIIb vi è una situazione analoga per cui il fattore predominante è quello entalpico ma ne
determina la solubilità. Il T∆S non è trascurabile ma di secondo ordine.
Perché i fattori entalpici sono in un caso responsabili dell’insolubilità del sale mentre nell’altro della sua
solubilità? Per rispondere dobbiamo tornare a considerare il fenomeno di solubilizzazione (solido in acqua dove
gli ioni vengono idratati). Tale solubilizzazione viene indicata da∆H che è una funzione di stato, quindi non
dipende da cammino percorso ma solo dallo stato iniziale e da quello finale. Posso idealmente scindere il
processo di solubilizzazione, potrei pensare di scaldare il solido fino allo stato gassoso rompendo il reticolo
cristallino.
L’energia reticolare è l’energia necessaria per rompere il reticolo cristallino e liberare gli ioni. È anche l’energia
che si libera quando pongo un solido in acqua e questo si scioglie generando un sale (reazione inversa alla
precipitazione). Ci sono due fasi:
1) ioni in fase gassosa a distanza infinita
2) Ioni in H2O, ottengo ioni idratati e ne valuto l’energia di idratazione
Per poter discutere l’entalpia di soluzione dobbiamo considerare quanto pesa l’energia che tiene uniti gli ioni in
un cristallo rispetto all’energia che viene liberata nell’idratazione degli ioni.
∆H di solubilizzazione è molto piccolo.
ENERGIA RETICOLARE

Per elaborare un’espressione matematica dobbiamo pensare alle interazioni attrattive e repulsive. Tra ioni di
carica opposta a distanza r l’interazione è attrattiva. Tuttavia nella costruzione di un cristallo vi è
l’avvicinamento delle carica con stessa carica con conseguente aumento dell’interazione repulsive. Si giunge
quindi ad un equilibrio ad una data distanza r0. Tale valore corrisponde ad un minimo nel grafico (energia =y,
raggio=x). Se gli ioni sono posti ad un raggio r<r0 allora prevalgono le forze repulsive, mentre se il raggio r>r0
allora prevalgono le forze attrattive.

Contributo attrattivo: catione e anione si attraggono a brevi distanze. Tale attrazione è tanto maggiore quanto
maggiori sono le cariche degli ioni
Contributo repulsivo: a distanze brevi gli ioni risentono della carica repulsiva tra le densità elettroniche.
In r0 la distanza tra catione ed anione è la più stabile e si ha la formazione della molecola ionica.
Quando r tende ad infinito l’energia potenziale tende a zero e prevale il potenziale attrattivo; man mano che r
diminuisce, l’energia potenziale diventa sempre più negativa e prevalgono ancora le forze attrattive. Giunti alla
distanza r0 si arriva ad un equilibrio e alla formazione di un legame ionico. A minori distanze prevale la forza
repulsiva.
Dato che r0 è il minimo della funzione, se facciamo la derivata prima di U in funzione di r e la poniamo uguale a
zero, otteniamo un risultato che sostituiamo all’espressione di U ed otteniamo l’equazione di Borne-Londe.
Tale equazione mostra la presenza del minimo (studio di una funzione) tiene conto
delle interazioni attrattive e repulsive e mostra che l’energia reticolare cresce all’aumentare della carica e al
diminuire della distanza tra catione ed anione.
La distanza media r0 dipende dalla grandezza degli ioni: più gli ioni sono piccoli più r0 è piccolo e viceversa.

MISURA INDIRETTA DELL’ENERGIA RETICOLARE

L’energia reticolare è l’energia necessaria per il processo in cui da un solido ionico si ottengono ioni in fase
gassosa. La misura diretta di tale energia non può avvenire ma è possibile ricavarla tramite un ciclo
termodinamico chiamato ciclo di Born-Haber. Questo si avvale di dati quali l’energia di ionizzazione, l’affinità
elettronica, l’energia di dissociazione, l’energia di sublimazione e il calore di formazione al fine di ottenere
l’energia reticolare.
• L’energia di ionizzazione è l’energia che si deve somministrare a un atomo allo stato gassoso affinché un
elettrone venga allontanato dall’atomo neutro per dare uno ione positivo.
• L’affinità elettronica è l’energia liberata quando un elettrone si addiziona a un atomo allo stato gassoso.
• L’energia di dissociazione è l’energia necessaria affinché un composto sia dissociato; la dissociazione di un
composto è sempre un processo endotermico e quindi richiede una certa quantità di energia.
• L’energia di sublimazione è l’energia necessaria affinché si passi direttamente dalla fase solida a quella
gassosa.
• Il calore di formazione è la variazione di energia durante la formazione di un composto dai suoi elementi.

ciclo di Born-Haber si basa sulla legge di Hess secondo la quale la variazione di entalpia di un processo che può
essere scomposto idealmente in più stadi è pari alla somma algebrica delle variazioni di entalpia dei singoli
stadi.

Dato che in un ciclo ∆H=0, allora


∆H1 + ∆H2 + ∆H3 + ∆H4 = 0
Dove ∆H1 è U, l’energia reticolare;
∆H2 è E-I, cioè la somma tra l’affinità elettronica
ed il potenziale di ionizzazione che descrivono il
passaggio da atomi neutri gassosi alla
formazione degli ioni allo stato gassoso.
∆H3 è -s-1/2D, cioè la somma tra l’energia di
dissociazione e quella di sublimazione.
∆H4 è ∆Hf, l’entalpia di formazione.

Quindi: U + (E-I) + (-S-1/2 D) + ∆Hf = 0


Dato che conosciamo tutti i valori possiamo
ricavare U.

Consideriamo degli atomi metallici allo stato gassoso, per esempio Na(g), degli atomi di un altro elemento allo
stato gassoso, per esempio Cl(g), e valutiamone l’energia reticolare.
Misuro l’affinità elettronica (di Cl) ed il potenziale di ionizzazione (di Na), rappresentanti il ∆H2 del processo.
Per ottenere il metallo allo stato gassoso è necessario partire dal metallo allo stato solido e sublimarlo, misuro
quindi l’energia di sublimazione. Nel caso del cloro è necessario prendere mezza mole di Cl2 e lo devo
atomizzare utilizzando l’energia di dissociazione molare (per ottenere Cl(g) ), ottengo cosi ∆H3. A questo punto
il metallo solido e l’alogenuro, nei loro stati standard, reagiscono per formare il sale, liberando l’energia di
formazione, cioè il ∆H4. A questo punto è possibile definire l’energia reticolare.
ENERGIA DI SOLVATAZIONE DEGLI IONI

l’ energia di solvatazione è data dall’equazione di Latimer.


∆Hidr.tot = ∆Hidr M+ + ∆Hidr X- = E.idratazione del catione + E.idratazione dell’anione

ENTALPIA DI SOLUZIONE

Il ∆Hsoluz è l’energia che si libera quando vi è un solido in acqua che si scioglie generando un sale. Questa è
una funzione di stato e si può calcolare tramite l’energia reticolare e l’energia di idratazione.

M+X- + aq rappresenta il sale in acqua. Tale sale viene


scaldato finché gli ioni non vengono separati in fase
gassosa. L’energia spesa per passare da stato solido a
fase gassosa è l’energia reticolare U.
Dopo di che il catione e l’anioni passano in fase gassosa,
vengono posti in H2O al fine di ottenere
M+ e X-, cioè il catione e l’anione idrati.
Perciò la ∆Hsoluz è data dalla somma dell’energia
reticolare (processo endotermico) e l’energia di
idratazione (processo esotermico). Entrambe
coinvolgono quantità di energia elevate, tuttavia sono di
segno opposto perciò il ∆Hsoluz è generalmente piccolo.
Es. per NaCl: ∆Hsoluz= U - ∆Hidr = 184,7 - 182,5 = 2,2
kcal/mol

RAGGIO IONICO E ∆Hsoluz


L’equazione di Latimer esprime l’energia di
idratazione separatamente per il catione e per
l’anione.
L’equazione di Borne/Landè considera l’energia
reticolare, dipendente da r0.
Nel caso in cui catione ed anione siano molto vicini,
quindi entrambi grandi od entrambi piccoli, si può
considerare r0 come la somma del raggio dell’anione
e quello del catione (r0= ra + rc). Tale
approssimazione non è possibile nel caso in cui i
cationi e gli anioni abbiano una differente grandezza,
infatti r0 sarà un valore intermedio tra i due raggi.
Il ∆Hidr è una funzione dipendente dalla soma di due contributi, uno dell’anione ed uno del catione.
Quindi da una parte il catione e l’anione concorrono per definire una variabile, dall’altra hanno ciascuno il
proprio effetto che viene poi sommato.
Per discutere l’effetto del raggio rispetto all’entalpia, consideriamo una tabella costituita da sali montatomici.
Nella prima colonna vi sono tutti gli alogenuri di Litio, nella seconda quelli di Sodio e nella terza quelli di Cesio.
Sono una serie di sali con stesso catione e l’anione che via via cresce di dimensioni.
1.Notiamo che aumenta sempre più l’esotermocità dall’alto verso il basso.
2. Aumenta esotermocità.
3. Al contrario vi è un progressivo aumento dell’endotermocità con l’aumento delle dimensioni dell’anione.
Abbiamo quindi due effetti contrastanti.
Li —> l’energia di idratazione diminuisce all’aumentare delle dimensioni del catione poiché il contributo
dell’anione è via via minore (perché aumenta il raggio) mentre il contributo del catione,Li di piccole dimensioni,
è sempre grande. L’energia reticolare ha un r0 che risente maggiormente del contributo del catione rispetto
all’anione, perciò non ha grandi variazioni. Perciò entrambe le energie diminuiscono ma quella reticolare in
modo più marcato. Perciò l’entalpia di soluzione sarà via via maggiormente negativa.
Cs —> il catione a differenza del Litio ha grandi dimensioni e contribuisce maggiormente nella determinazione
dell’energia in quanto sia l’energia reticolare che quella di idratazione se risentono. Essendo il raggio del Cs
grande, l’energia di idratazione è piccola e dà un contributo costante. L’energia reticolare aumenta
all’aumentare delle dimensioni dell’anione ed è via via maggiore rispetto all’energia di idratazione.
Queste conclusioni si mantengono se procediamo con una lettura orizzontale della tabella. Infatti inizialmente
ho F-, anione piccolo, con catione di dimensioni crescenti.
L’energia reticolare varia a seconda delle dimensioni degli ioni interessati, cambia anche l’energia di
idratazione.

∆Hsoluz = U + ∆Hidr

Quando catione ed anione hanno dimensioni differenti prevale l’energia di idratazione ed il sale sarà
caratterizzato da una certa solubilità.
Quando catione ed anione hanno una dimensioni simili prevale l’energia reticolare rispetto a quella di
idratazione, mantenendo il sale in uno stato insolubile o di scarsa solubilità.
In alcuni casi cationi ed anioni di dimensioni molto diverse tra di loro danno luogo a sali teoricamente instabili.
M= catione piccolo, per riscaldamento
Quando questi vengono scaldati sviluppano CO2 o SO3 con i rispettivi ossidi MO. Tali ossidi vengono realizzano
cristalli con alta energia reticolare.
Un altra reazione può portare alla formazione di sali idrati in cui il catione è un equo-complesso

Il rame coordina attorno a se cinque


molecole di acqua che ne aumentano le
dimensioni. Queste molecole fanno si che,
da un punto di vista dell’energia reticolare,
il rame assuma dimensioni simili al solfato.
Per fare un farmaco
(es.sciroppo, farmaco disciolto
in soluzione) tra un catione di
piccole dimensioni ed uno di
grandi (uno ad alta carica ed
uno a bassa), il catione
migliore per realizzare il
farmaco è quello con
dimensioni più piccole e carica
maggiore.
ACIDI E BASI
Secondo la teoria di Bronsted e Lowry acidi e
basi sono protoliti, cioè specie in grado di
scambiare protoni. Viene definito acido una
specie in grado di cedere protoni mentre viene
definita base una specie in grado di accettare
protoni. Una sostanza in grado di essere sia
acido che acido viene detta annotoera. Nelle
reazioni acido e base, l’acido che dona il
protone si trasforma in una specie che si
comporta da base nella reazione inversa, detta
base coniugata, e la base che accetta il protone
si comporta da acido nella reazione inversa,
detto acido coniugato. Un’altra teoria è quella di Lewis che afferma che una acido è qualunque sostanza
che forma un legame dativo fungendo da accettare di un doppietto elettronico in quanto provvisto di un
orbitale vuoto, mentre una base è qualunque sostanza che forma un legame dativo funzionando da
donatore della coppia di elettroni.

ACIDI: RELAZIONE FORZA-STRUTTURA

Ogni reazione è
caratterizzato da una
propria costante, ka o kb
legati secondo la relazione
kw= kaxkb.
Per determinare l’acidità di
una specie, è opportuno
valutare l’acidità della base
coniugata A- applicando
una data relazione.
ACIDI E BASI DI BRØNSTED E LOWRY

Acidi e base di Brønsted in acqua possono essere neutri o carichi. Producono equilibri proclitici generati da
sali, tutti caratterizzati dalla perdita di un protone. La forza di un acido e di una base in acqua vengono
definite secondo la costante di equilibrio. Consideriamo un acido AH con il proprio equilibrio di reazione in
base al quale possiamo scrivere la costante di equilibrio. Troviamo la Ka, maggiore è la Ka più l’acido è forte
e l’equilibrio spostato verso destra. Se lo stesso acido viene posto in un solvente maggiormente basico
rispetto all’acqua, l’equilibrio sarà più spostato verso destra, viceversa se il solvente sarà più acido rispetto
all’acqua allora l’equilibrio sarà spostato verso sinistra. Oltre all’acidità del solvente va considerata anche la
costante dielettrica che contribuisce in modo rilevante —> una carica posta ad una distanza r da una carica
negativa risente di una forza attrattiva che segue la legge di Coulomb, proporzionale alla costante
dielettrica. Maggiore è la carica dielettrica maggiore è la forza elettrostatica di cui risentono le cariche.
Tuttavia il solvete può non essere acqua.

SOLVENTI

Consideriamo l’autoionizzazione di un
solvente anfotero:
2 molecole di solvente, una che viene
protona e forma un catione, l’altra viene
deprotonata e forma un anione. Kw=
prodotto ionico dell’acqua, costante di
autoprotolisi dell’acqua = [H3O+] [OH-]

Alcuni esempi di solventi anfoteri:


etanolo, acido acetico, ammoniaca
Il pH in acqua va da -∞ a +∞ (non da 0 a
14, anche se in genere è bene
considerare questo intervallo).
In un generico solvente pH= -log[H+]
Il pH neutro in acqua è 7 (perché la
pKw=14) ed esprime l’uguaglianza
delle concentrazioni tra il solvente
protonato e quello deprotonato.
Tuttavia in un solvente generico
differente dall’acqua il valore della
costante è differente. Per esempio il
metanolo ha una KSH di 2x10^-17
ed il pH sarà debolmente basico.
Nella tabella successiva vengono
riportati i differenti valori di KSH,
pKSH, costate dielettrica e pH a
seconda del solvente preso in
considerazione.

La forza dei protoliti dipende dalla


costante di ionizzazione
KaHA= costante di autoprotolisi di
un generico solvente
L’acido debole in un solvente
diverso dall’acqua, più basico, ha
una Ka maggiore ed ha un equilibrio
spostato verso destra. Viceversa se
il solvente è meno basico rispetto
all’acqua, allora la Ka sarà più
piccola. Analogo discorso per la Kb.

EFFETTO LIVELLANTE ED EFFETTO DIFFERENZIANTE DI UN SOLVENTE

In acqua non possono esistere acidi più forti di H3O+ né basi più forti di OH-. Questo perché se AH è una
acido più forte, allora stando in acqua fornisce il protone e genera H3O+ e A- dissociandosi completamente.
Analogamente una base formerebbe OH- e BH+. Gli acidi forti si dicono tali perché in acqua sono
completamente dissociati perciò non è possibile determinare la costante di equilibrio e definirne quindi la
forza. Gli acidi e le basi in acqua si dicono livellati in quanto non posso fare una distinzione tra acidi e basi
che hanno tutti lo stesso effetto, cioè quello di generare H+ e OH-. Tuttavia è possibile utilizzare solventi
meno acidi o meno basici in modo tale che non ci sia la completa dissociazione della sostanza ma delle
reazioni di equilibrio che mi permette di esprimere la Ka e quindi la forza dell’acido.
es: l’acido acetico è debole in acqua e forte in ammoniaca. Acido perclorico e acido cloridrico che
generalmente sono forti perché livellati in acqua, se posti in acido acetico sono solo parzialmente dissociati,
cioè hanno una Ka ed è possibile definire quale sia più forte.
EFFETTO DELLA COSTANTE DIELETTRICA DEL SOLVENTE SU Ka E Kb
La costante dielettrica dei composti organici sono più basse rispetto a quelle dell’acqua. La costante
dielettrica misura la capacità di tenere separate due cariche; se in una soluzione le due specie ad una
distanza r risentono reciprocamente della forza di Coulomb. Tanto più la costante dielettrica è maggiore
tanto più la forza di cui risentono le cariche è minore, perciò le cariche possono essere in soluzione.
Passando a soluzione organiche, gli ioni risentono delle forte attrattive/repulsive tra le cariche ed in molti
casi ciò causa insolubilità.
Qual è l’effetto della costante dielettrica sulla ka e sulla kb? Acido debole in solvente anfolita a cui dona
protone; la reazione è caratterizzata da uno stadio di ionizzazione. Solo se il solvente ha una sufficiente
costante dielettrica, allora le due specie cariche si separeranno.

Costanti di ionizzazione e dissociazione sono differenti. La dissociazione richiede specie cariche e dato che
la costante dielettrica favorisce la separazione di carica allora la Keq risente di questo contributo.

La forza ionica favorisce sempre stato di equilibrio con sviluppo di carica. Se un acido libero è in un
solvente, la forza ionica influisce sulla separazione delle cariche portando l’equilibrio verso destra. Quindi
Ka e Kb tendono ad essere favorite con l’aumento della costante dielettrica del solvente.
Solventi diversi hanno scala di pH differenti.

Supponiamo di avere quattro solventi differenti con uguale costante dielettrica. Generalmente un solvente
più acido dell’acqua tende a diminuire la Ka ed uno più basico tende ad aumentarla.
Vogliamo metterci in condizioni tali che il protonica HA sia dissociato al 50%, quindi [A-]=[HA]. Allora il pH
viene immediatamente ricavato. Nell’acqua, dove Ka= 10^-6, il pH richiesto sarà 6; il solvente A è più acido
dell’acqua ed ha Ka= 10^-8 perciò il pH richiesto sarà 8, ph acido (perchè il pH dell’acqua è 6), la scala di pH
sarà più spostata verso sinistra; solvente B e C hanno pH=4, basico, sono basici rispetto all’acqua e la loro
scala di pH è spostata verso destra rispetto all’acqua.
La linea verticale indica la dissociazione al 50% del protonica HA.
L’intervallo di pH in acqua va da -∞ a +∞, dal punto di vista pratico è opportuno utilizzare una scala di pH
che varia da 0 a 14 poiché per arrivare ad un pH=0 si utilizza un acido forte 1M mentre per arrivare a pH=14
si utilizza una base forte 1M. Per giungere a pH minori di 0 o superiori a 14 è necessario utilizzare una
soluzione più concentrata.
Es: per fare una soluzione acquosa a pH=20 bisognerebbe utilizzare un’elevata quantità di NaOH.
Esistono diverse scale di pH in quanto i solventi diversi dall’acqua hanno scale differenti.

In questo grafico viene riportata la scala di pH


dell’acqua confrontata con le scale di pH di
altri solventi. I solventi più acidi hanno una
scala di pH spostata a sinistra rispetto a quella
dell’acqua mentre i solventi più basici hanno
una scala di pH spostata a destra.
Il pH in una scala diversa dall’acqua è
comunque pari a –log[SH2+]
L’impiego di solventi diversi dall’acqua può ampliare la possibilità di analisi per titolazione di un acido o di
una base.
In genere le sostanze organiche non sono solubili in acqua mentre la maggior parte delle sostanze
inorganiche è solubile in acqua con qualche eccezione, per questo molte volte vengono utilizzati solventi
organici.
Dato che l’H2O fonde a 0º e bolle a 100º, se vi è la necessita di andare a temperature < 0 o >100 non è
possibile utilizzare H2O come solvente. Inoltre l’acqua è un composto chimico in grado di reagire, può
ossidare o ridurre un solvente che viene sciolto in essa ; per evitare tale conseguenza è necessario cambiare
solvete.

TITOLAZIONI ACIDO-BASE
La titolazione è una procedura analitica che utilizza soluzioni a concentrazione nota. Nelle titolazioni viene
utilizzata una procedura analitica per determinare la concentrazione di una sostanza incognita. Nel
momento in cui tale sostanza viene completamente consumata in seguito all’aggiunta di una quantità
esatta di reagente si giunge al punto di equivalenza, dove gli equivalenti di titolante sono esattamente
uguali agli equivalenti della sostanza da titolare.
Esistono dei limiti di titolabilità oltre il quale non è possibile realizzare la reazione di titolazione. Per
determinare tali limiti dobbiamo ricavare la Keq della reazione. Immaginiamo di avere una soluzione di un
acido debole a concentrazione Ca a cui viene aggiunta una base a concentrazione Ca fino a raggiungere il
punto di equivalenza. Ammettiamo di poter considerare completa la reazione se procede per il 99.9%. Se la
reazione è completa allora un millesimo di HA e OH rimangono non reagiti all’equilibrio, si può trascurare.
Quindi la concentrazione di HA e di OH- all’equilibrio sarà di 1/1000Ca=0.001Ca. Al punto di equivalenza HA
e OH- saranno pari a 0,001 Ca e il 99,9% si è trasformato in A-, quindi 0,999 Ca. La costante di questo
equilibrio è tanto più grande quanto maggiore è la Ka dell’acido. Tramite vari calcoli giungo a
KaHAx Ca = 10-8. Pertanto, in H2O, affinché un acido debole sia titolabile KaHAx Ca deve essere maggiore di
10-8, analogo per una base debole. Quindi non è possibile titolare acidi troppo deboli o soluzioni troppo
diluite. Se considerassimo un altro solvente differente dall’acqua, allora al posto di Kw sarebbe necessario
utilizzare la costante di autoprotolisi del solvente, perciò il prodotto KaxCa dipende dal tipo di solvente, può
dunque essere più o meno accettabile.

Il limite di titolazione con solvente C2H5OH


varia di 8 unità rispetto a quello in acqua. Se
un acido è debole e supera il limite di
titolabilità in acqua, è oportuno cambiare
solvente con uno che abbia una costante di
autoprotolisi minore in modo da diminuire il
limite fino a portarlo in un intervallo
accettabile al fine di procedere con la
titolazione.

Analogamente possiamo domandarci se


ogni acido/base forte può essere titolata in
H2O. Per determinare il limite di titolabilità
ricaviamo la costante di equilibrio.
Affinché un acido o una base forte siano
titolabili in H2O la loro concentrazione deve
essere maggiore di 10-4M (se ammettiamo
che la reazione sia completa al 99,9%).
Titolare in acqua un acido forte con una
base forte significa fare la reazione di H3O+
con OH- che formano H2O.
Se avessimo un solvente differente
dall’acqua dovremmo considerare la
costante di autoprotolisi del solvente
anziché Kw per valutarne i limiti di
titolabilità.
EQUILIBRI PROTOLITICI (N.B. bassa µ, soluzioni diluite)

Una procedura analitica per determinare un equilibrio dei sistemi esiste fino all’equazioni di 2º grado.
Spesso la procedura porta ad avere Nº equazione < Nº incognite e bisogna dunque adottare delle
approssimazioni fino ad ottenere equazioni di 2º grado. Tuttavia è necessario verificare che tali
approssimazioni siano compatibili con le soluzioni ottenute. Alla fine dell’analisi avremo una misura del pH,
se questa è soddisfacente allora bisognerà ripetere la procedura cambiando le condizioni iniziali e
verificarne il risultato ottenuto. Questo metodo è applicabile ad un limitato numero di casi.

Scrivo le equazioni chimiche:


dissociazione completa dell’acido
forte, autoprotolisi dell’acqua.
Bilanciamento: la somma delle cariche
positive (H+) deve essere uguale alla
somma delle cariche negative (OH-).
Se l’acido non è molto diluito allora
possiamo approssimare la relazione
esatta.
Quindi Ca è circa uguale ad [H+] che
derivano dalla sola dissociazione
dell’acido forte, trascuriamo quindi
l’autoionizzazione dell’acqua.

Anziché procedere con un approccio matematico è utile utilizzare un grafico che descrive la variazione della
concentrazione delle specie in soluzione in funzione del pH.
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA (di acidi monoprotici forti)
In soluzioni di acidi o basi forti l’unico equilibrio presente è quello di Kw. Riportiamo tale equilibrio in
maniera logaritmica. Giungiamo a log[H+]=-pH, considerando che lungo y vi è logC e lungo x il pH è analogo
a dire y=-x ovvero una retta con pendenza -1 ed un angolo di -45ºC. Analogamente ricaviamo
[OH-]=logKw+pH equivalente ad una equazione del tipo y=b+mx, cioè una retta con pendenza +1 ed un
angolo di 45ºC. Riportando tali rette all’interno di un grafico quadrato che descrive la variazione delle
concentrazioni rispetto al pH avremo due rette che si intersecano ad un pH corrispondente a 7 che
rappresenta il limite al di sotto del quale log[H+]>log[OH-] e al di sopra del quale log[H+]<log[OH-]. Dunque
grazie a tale grafico è possibile risalire alle concentrazioni di [H+] e [OH-] a qualunque valore di pH.

Esempio: pH=4, log[H+]=-4, log[OH-]=14-4=10. pH=10, log[H+]=-10, log[OH-]=-4

Il fatto di aver individuato che le due curve hanno un andamento diagonale mi permette automaticamente
di determinare come una variazione di concentrazione influisce su log[H+] e log[OH-].
Tuttavia qualunque soluzione acquosa contiene l’equilibrio di autoprotolisi quindi per qualunque soluzione
va riportato questo grafico insieme ad altri equilibri.
La retta di log[H+] decresce mentre quella di log[OH-] cresce.
In un acido monoprotico debole vi
è la reazione di dissociazione
parziale dell’acido debole e la
reazione di autoionizzazione
dell’acqua, ognuno governata da
una propria costante di equilibrio.
Procedo con il bilanciamento di
massa in Eq.3 dove considero Ca
come la somma tra la
concentrazione dell’acido
indissociato e quella dell’acido
dissociato. In Eq.4 vi è il
bilanciamento delle cariche dove la
somma delle cariche positive deve
essere uguale a quella delle cariche
negative.
Da Eq.5 ed Eq.6 ottengo le
concentrazioni di HA e A- che
sostituisco nell’espressione di Ka
ottenendo la relazione esatta di
terzo grado inrisolvibile dal punto di
vista analitico. È possibile risolverla
considerando la rappresentazione
grafica o procedendo con
approssimazioni. Dato che Kw=10-14
allora posso trascurare KwKa e
considerare CaKa+Kw=CaKa. In
questo caso otteniamo l’ equazione
a, di secondo grado e perciò
risolvibile.
Inoltre se l’acido è poco dissociato
allora Ca>>[H+] e posso quindi
approssimare l’equazione a come
Ka=[H+]2/Ca e ricavare dunque [H+].

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA (di acidi monoprotici deboli)


Come esempio consideriamo l’acido acetico 10-2M con pKa= 4,75

Qualunque sia il pH la concentrazione C è sempre 10-2M ed è uguale alla somma della concentrazione di HA
e di A-. Inoltre abbiamo l’espressione di Ka= [H+] [A-]/[HA]. Combinando queste due espressioni ottengo
[A-] (a) e [HA] (b). Entrambe sono espresse in funzione della concentrazione totale dell’acido in soluzione
quindi traccio una linea tratteggiata orizzontale in prossimità di tale valore 10-2M. Dato che il pKa=4,75
allora traccio una linea tratteggiata verticale in corrispondenza di tale valore. Queste due tratteggiate si
intersecano in un punto, tale punto viene chiamato s.
A questo punto consideriamo di disegnare il diagramma dividendo l’ascissa in diverse parti:

1) [H+]>>Ka
2) [H+]<<Ka
3) [H+]=Ka

La prima parte è quella in cui [H+] è molto maggiore di Ka cioè pH<pKa-1. Questo perché [H+] è maggiore di
Ka di almeno un ordine di grandezza e ciò si traduce con una differenza di 1. Considero quindi la zona di pH
che va da zero a 4,75-1=3.75. Riportiamo le espressioni di a e di b in questa parte di grafico utilizzando
opportune approssimazioni. Porto le due equazioni ottenute in funzione logaritmica.

1. La prima rappresenta una retta con pendenza uguale a zero. Dato che la concentrazione di HA è
uguale a C e abbiamo già individuato logC, allora questa retta sarà rappresentata dalla linea
tratteggiata in precedenza fino ad un pH di 3,75.
2. La seconda equazione riportata in forma logaritmica rappresenta una equazione del tipo
y= termine noto + variabile e perciò una retta con pendenza +1 e angolo pari a 45º. Tuttavia
possiamo considerare un infinità di rette, per determinare quale prendere scegliamo l’ascissa,
proviamo l’ordinata e troviamo un punto da dove traccio la retta con pendenza +1. Potremmo
prendere qualunque punto di pH ma tra gli infiniti punti uno è più conveniente, cioè il punto in cui
pH=pKa poiché scegliendo questo punto il log[A-] uguaglia il logC. Tuttavia questo punto è s,
segnato in precedenza. Perciò sappiamo che la retta passa per s ed è di 45º, traccio quindi una retta
di questo tipo nell’intervallo di pH che stiamo considerando.

Per [H+] >> Ka cioè pH < pKa – 1


log [HA] = log C retta con pendenza = 0
log [A–] = log C – pKa + pH retta con pendenza = + 1

La seconda parte da considerare nel grafico è quella in cui [H+] è molto minore di Ka cioè pH>pKa+1, perché
Ka è maggiore di [H+] di almeno un ordine di grandezza e ciò si traduce con una somma di 1. Considero
quindi la zona di pH che va da 5,75 a 14. Riportiamo le espressioni di a e di b in questa parte di grafico
utilizzando opportune approssimazioni. Portiamo le due equazioni in funzione logaritmica.

1. La prima equazione rappresenta un’equazione del tipo y=termine noto + variabile e perciò una
retta con pendenza -1 ed un angolo di -45º. Analogamente a prima considero la retta passante per
s, dove pH=pKa e logHA=logC. Tracciamo quindi la retta nell’intervallo considerato
2. La seconda equazione rappresenta una retta con pendenza uguale a zero. Dato che la
concentrazione di A- è uguale a C allora traccio la retta equivalente alla linea orizzontale di C.
Per [H+] << Ka cioè pH > pKa + 1

log [HA] = log C + pKa – pH retta con pendenza = – 1


log [A–] = log C retta con pendenza = 0

La terza parte da considerare nel grafico è quella in cui [H+]=Ka che definire l’unico intervallo mancante tra
i valori di pH di 3,75 e 5,75. Noi sappiamo dalla chimica generale che quando il pH=pKa abbiamo un
tampone ideale cioè log[HA]=log[A-]=logC/2=logC-log2(0,3). Per qualunque valore di C prendiamo il
pH=pKa, andiamo su logC quindi su s e scendiamo di 0,3. In questo modo troviamo il punto T dove vi è
l’intersezione tra le quattro curve.

Coordinate ascissa pH = pKa

del punto T ordinata log [HA] = log [A–] = log (C/2) = log C - log 2 = log C - 0.3

Per concludere aggiungiamo al diagramma le rette diagonali dell’autoprolisi dell’acqua.

Considerando il diagramma logaritmico per acidi monoprotici deboli facciamo alcune considerazioni
generali.
Se varia la concentrazione dell’acido che consideriamo il diagramma sarà analogo ma traslerà in alto o in
basso a seconda di C. Inoltre se varia il pKa il diagramma traslerà a destra o a sinistra.
Le curve sono molto rappresentative in quanto mostrano che tutti gli acidi deboli si comportano nella
stessa maniera dipendente da pKa e dalla concentrazione.
Quindi:
Se consideriamo un acido diverso il grafico rimane analogo ma traslato:

• In alto se la concentrazione dell’acido è maggiore

• In basso se la concentrazione dell’acido è minore

• A destra se la pKa è maggiore

• A sinistra se la pKa è minore

In un intorno di + o – 1 di pKa convivono le due forme [HA] e [A-] mentre a sinistra predomina [A-] e a
destra [HA].
Per ogni variazione di una unità di pH avrò una diminuzione della specie [A-] a sinistra e una diminuzione
della specie [HA] a destra.
Un grafico di questo tipo mostra quanto deve variare il pH affinché vari la concentrazione delle specie
dissociate o indissociate ed inoltre indica il valore di pH della soluzione.
In una soluzione di un acido debole il valore del pH è indicato dal punto di intersezione delle curve di [HA] e
[A-].

In una soluzione di un acido debole c’è


l’equilibrio di dissociazione dell’acido
debole e l’equilibrio di autoprotolisi
dell’acqua. Se la Ka è apprezzabile e la
concentrazione dell’acido non è troppo
bassa si può trascurare l’autoprotolisi e
considerare solo l’equazione di
dissociazione. Di conseguenza il pH della
soluzione corrisponde al punto D, cioè al
punto di intersezione tra le curve di [H+]
e di [A-].
È possibile ricavare direttamente dal grafico le concentrazioni relative di tutte le specie:

Per esempio per pH=10:


o In corrispondenza della
curva di [H+] vi è logC= -10
o In corrispondenza della
curva di [OH-] vi è logC= -4
o In corrispondenza della
curva di [HA] vi è logC= -7
o In corrispondenza della
curva di [A-] vi è logC= -2
Per determinare la concentrazione
traccio una linea verticale in
corrispondenza di un determinato
pH e tramite l’intersezione della
retta con le varie curve che
descrivono l’andamento delle specie
in soluzione trovo la loro
concentrazione tracciando una retta
orizzontale a partire da tali punti di
intersezione e verificando a che
valori di logC corrispondono.

Possiamo fare questo tipo di grafico per tutti gli acidi e per la propria specie coniugata. Per
esempio il grafico per l’ammoniaca (base coniugata=ammonio) è:
MISCELA DI DUE ACIDI DEBOLI (Cx, Kx e Cy, Ky)

La distribuzione di [HA] e [A-] (cioè la loro


quantità) dipende solo dal pH e non dalla
presenza o meno di altre specie (a meno
che queste specie non reagiscano con [HA]
o [A-]). Quindi se in soluzione sono presenti
più acidi monoprotici deboli, il grafico che
descrive il loro comportamento in funzione
del pH è costruito nello stesso modo, in più
vengono sovrapposti i componenti dei vari
acidi.
Se prendiamo in considerazione una
miscela di due acidi deboli le reazioni che
compaiono sono due equilibri di
dissociazione con le rispettiva Ka e
l’equilibrio di autoionizzazione dell’acqua.

Dopo aver determinato le equazioni di


equilibrio e le proprie costanti procediamo
con il bilanciamento di massa e di carica.
Tramite le varie equazioni giungo ad
un’equazione che esprime [H+] che tuttavia
è inapplicabile poiché non conosciamo le
concentrazioni. Tuttavia possiamo procedere
con delle approssimazioni nel caso in cui
considerassimo acidi deboli e non troppo
diluiti in quanto [X-] e [Y-] possono essere
trascurati rispetto a Cx e Cy. Arriviamo
dunque all’espressione di [H+] come radice
della somma di KxCx, KyCy e Kw. Spesso nei
casi reali è possibile trascurare la Kw poiché
dà un contributo minimo.
In generale se abbiamo due acidi deboli ma uno più forte dell’altro allora il pH sarà determinato dall’acido
dall’acido più forte. Vi è un ragionamento analogo per le basi.
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DI UNA MISCELA DI DUE ACIDI DEBOLI

Il diagramma logaritmico relativo ad una miscela costituita da due acidi deboli monoprotici si ottiene per
sovrapposizione di quelli riguardanti i singoli acidi.

Il fatto che le costanti dei due acidi e


le concentrazioni sono molto diverse
tra loro fa si che i punti di
intersezione dei due grafici siano
localizzati in punti differenti del
diagramma.
Per determinare il pH è sufficiente
scrivere il bilanciamento del protone:
[H+]=[X-]+[Y-]+[OH-]. Dato che le
rette [OH-] e [Y-] sono molto in basso
rispetto a quella di [X-], possono
essere trascurate e dunque
[H+]=[X-]si trova in prossimità di pH e
se avessi solo l’acido [HX] allora
dovrei vedere l’intersezione di [H+]
con [X-], circa 3 mentre se avessi solo
l’acido [HY] allora dovrei considerare
l’intersezione tra [Y-] con [H+], circa 4. I valori di pH tra quello della soluzione e quello di [HX] variano di un
ordine di grandezza, infatti il pH della soluzione è determinato maggiormente dall’acido [HX].

I punti di intersezione delle curve sono


molto vicini tra di loro. Se ci fosse solo
l’acido formico dovremmo vedere dove la
curva di [H+] interseca [HCOO-] mentre
se ci fosse solo l’acido acetico dovremmo
vedere dove la curva di [H+] interseca
[Ac-]. Il pH di entrambi è simile, perciò
contribuiscono alla stessa maniera nella
determinazione del pH della soluzione. Le
due curve (Ac- e HCOO-) sono entrambe
di 45º e sono dunque parallele e la loro
distanza verticale è la stessa in tutti i
punti, riportata sulle x viene misurato un
valore di 0,7. Nella zona in cui m=1
(45º;zona a sx) il log[Hac]=log[HCOOH]-
0,7. In generale la distanza ∆ può variare nei vari casi. Procediamo poi con il bilanciamento di carica
(dissociazione acqua trascurabile) e troviamo il pH. In generale per determinare il pH consideriamo la
specie che deriva dalla specie più acida da cui va sottratta una quantità pari a log(1+10-∆)
ACIDO DIPROTICO

L’acido diprotico è
caratterizzato da due
dissociazioni e
dall’equilibrio di
autoptotolisi dell’acqua,
ognuno caratterizzato
da una propria costante
di equilibrio. Scrivo il
bilancio delle masse
(Eq.4) e quello delle
cariche (Eq.5),
attenzione a 2[A2-]. A
questo punto ricaviamo
l’Eq.6 e l’Eq.a, dove
chiamiamo F il
denominatore. F è un
parametro importante
da ricordare perché è
determinante nella
risoluzione. Ricavo
[H2A], [HA-],[A2-].
Ricordando F è facile
ottenere le tre specie.

Per ricordare F:
memoriaà c x 1 (a), c x secondo termine (b), c x terzo termine (c)
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DI UN ACIDO DIPROTICO

Consideriamo un acido diprotico con concentrazione pari a 10-2M, tracciamo quindi una linea orizzontale in
prossimità di tale valore (a -2). Inoltre la Ka1= 10-4 e la ka2=10-8 perciò tracciamo due linee verticali in
corrispondenza di pH = 4 e 8 (pH=pKa). Ricaviamo dunque i punti S1 ed S2 dalle intersezioni delle rette
verticali con quella orizzontale. Trattiamo il diagramma in zone separate partendo dalle equazioni a,b,c.

Quando [H+]>>Ka1 allora consideriamo la zona pH<pKa1-1 cioè l’intervallo di pH tra 0 e 3. Considerando
l’espressione di F, il termine Ka1[H+]-1 è trascurabile poiché [H+]>>Ka1, potrà essere massimo 0,1; analogo
per il secondo termine Ka1Ka2[H+]-2 dato che per definizione la Ka2 è più piccola di Ka1. Possiamo dunque
approssimare F=1. Di conseguenza le equazioni diventano:
[H2A]=C
[HA–]= CKa1[H+]-1
[A2-]= CKa1Ka2[H+]-2

riportando tutto in forma logaritmica:


I. log [H2A] = log C retta con pendenza = 0, tra tutte le rette possibili considero quella passante
per il punto in cui pH=pKa1 (quindi passante per S1)
II. log [HA–] = log C – pKa1 + pH retta con pendenza = + 1, tra tutte le rette possibili considero quella
passante per il punto in cui pH=pKa1 (quindi passante per S1)
III. log [A2–] = log C – (pKa1 + pKa2) + 2 pH retta con pendenza = + 2 (63.4°), Tra tutte le rette possibili
considero quella passante per il valore di pH pari alla media tra pKa1 e pKa2 (circa 6) così che si
annullino e [A2-]=C

Consideriamo la zona in cui pKa1+1<pH<pKa2-1, cioè l’intervallo di pH compreso tra 5 e 7. In questa regione
il valore di [H+] è compreso tra 10-5 e 10-7 perciò possiamo approssimare il secondo temine di F
(Ka1Ka2[H+]-2) che sarà pari a Ka1[H+]-1 dove viene trascurato anche il termine 1 perché piccolo rispetto a
questo intervallo. Di conseguenza le equazioni diventano:

[H2A]=C Ka1[H+]-1
[HA–]= CKa1[H+]-1 Ka1[H+]-1
[A2-]= CKa1Ka2[H+]-2 Ka1[H+]-1
Riportando tutto in forma logaritmica:

I. log [H2A] = log C + pKa1 – pH retta con pendenza = – 1, di tutte le rette considero quella passante
per S1 (pH=pKa1)
II. log [HA–] = log C retta con pendenza = 0, di tutte le rette considero quella passante per S1
III. log [A2–] = log C – pKa2 + pH retta con pendenza = + 1, di tutte le rette considero quella passante
per S2 (pH=pKa2)

Infine consideriamo la zona in cui pH>pKa2+1, cioè l’intervallo di pH compreso tra 9 e 14. Siamo in una zona
in cui [H+] è molto bassa e perciò il termine F viene approssimato a Ka1Ka2[H+]-2. Di conseguenza le
equazioni diventano:

[H2A]=C Ka1Ka2[H+]-2
[HA–]= CKa1[H+]-1 Ka1Ka2[H+]-2
[A2-]= CKa1Ka2[H+]-2 Ka1Ka2[H+]-2

Riportando tutto in forma logaritmica:

log [H2A] = log C + (pKa1 + pKa2) – 2 pH retta con pendenza = – 2 (-63.4°), di tutte le rette possibili
considero quella passante per per il valore di pH pari alla media tra pKa1 e pKa2.
log [HA–] = log C + pKa2 – pH retta con pendenza = – 1, tra tutte le rette possibili considero quella passante
per S2 (pH=pKa2)
log [A2–] = log C retta con pendenza = 0, tra tutte le rette considero quella passante per S1 e S2.

Le parti mancanti del grafico sono quelle comprese tra 3-5 e 7-9. Da S1 e S2 scendiamo di un valore pari a
0,3 e individuiamo i punti T1 e T2 dove si intersecano le rette. Le congiungiamo e compiliamo il grafico.

Infine aggiungo le rette di [H+] e [OH-]

H2A è un acido diprotico ed il suo grafico è composto


dalle due dissociazioni dell’acido e la ionizzazione
dell’acqua.
Per determinare il pH di questa soluzione dobbiamo
considerare la prima dissociazione dell’acido
trascurando la seconda e quella dell’acqua. Questo
perché la Ka1 è sempre molto maggiore della Ka2 e
contribuisce prevalentemente a determinazione del pH
che coincide con l’ascissa del punto P1 (T1) cioè il punto
di intersezione tra [HA-] e [H2A] dove [H+]=[HA-]. In
questo caso il pH della soluzione è pari circa a 3. Inoltre
possiamo osservare la variazione del punto P a seconda
dell’aumento o diminuzione della concentrazione C. Alla variazione di un ordine di grandezza della
concentrazione corrisponde a una variazione di pH di una unità.

pH della soluzione dell’acido H2A? Ascissa del punto P

Infatti in P: [H+] = [HA–] + 2 [A2–] + [OH–] ~ [HA–]

H2A + H2O HA- + H3O+


Se consideriamo un anfolita NaHa (es. HCO3- idrogeno carbonato di sodio), cioè una specie in grado di fare
sia idrolisi acida che idrolisi basica, la concentrazione di H+ è data dalla radice del prodotto Ka1Ka2. La
combinazione delle idrolisi dà luogo a questo equilibrio:
[H2A] + [H+] = [A2-] + [OH–] stechiometricamente ci dice che [H2A] = [A2-], situazione che si verifica nel punto
Q.

Perciò il pH di un anfolita è dato dall’ascissa del punto Q, cioè il punto corrispondente alla media tra pKa1 e
pKa2. In questo caso 8+4/2=6, cioè il pH della soluzione anfolita è pari a 6.

Nel caso in cui abbiamo una soluzione di una base diprotica Na2A (es: carbonato di sodio Na2CO3), questa
può effettuare due idrolisi basiche, dove la prima influisce maggiormente rispetto alla seconda, e
l’autoionizzazione dell’acqua, trascurabile. (CO3+H2O à HCO3-+OH-, prima idrolisi basica).

[OH–] = [HA–] + [H2A] + [H+] ~ [HA–]

Per determinare il pH devo considerare il punto in cui [OH-]=[HA-], cioè il punto R dove vi è l’intersezione tra
queste due curve. Dunque il pH di una soluzione di una base diprotica è dato dall’ascissa del punto R.

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEI SALI DI ACIDI E BASI DEBOLI

Dobbiamo considerare sia il sistema acido acetico-


acetato che il sistema ammoniaca-ammonio. Se in una
soluzione sono presenti due acidi deboli monoprotici
allora la rappresentazione grafica che descrive come
variano queste specie al variare del pH e della
concentrazione è data dalla sovrapposizione dei singoli
diagrammi. In questo caso posso trattare la soluzione
considerando i due equilibri singoli con la differenza
che questi hanno una stessa concentrazione dato che
derivano dalla dissociazione di uno stesso sale. Tuttavia
sciogliendo l’acetato in acqua e andando a pH basici vi
sarà acido acetico ed ammonio contemporaneamente
mentre sciogliendo l’ammonio in acqua ed andando a
pH acidi vi sarà l’ammoniaca e acetato. Cioè
aumentando il pH ci sarà la dissociazione di H2A che
passa poi ad HA- ed infine ad A2-. In 4,75 vi è
l’equilibrio tra acido acetico e acetato, una volta che si
è formato l’acetato la linea continua con formazione di
ammonio che ad un pH di circa 12 porta alla
formazione di ammoniaca.

Se consideriamo un acido triprotico vi è lo stesso


valore di F con l’aggiunta di un termine derivante dalla
terza dissociazione, con le analoghe formule di a,b,c
con l’aggiunta di un’altra equazione d.
Il grafico si costruisce in modo analogo agli altri. Vi
sono tre dissociazioni e l’autoionizzazione dell’acqua,
trascurabile.
Si individuano i punti S1, S2 ed S3 che rappresentano i
punti di intersezione e quindi la dissociazione delle
specie in soluzione.
Queste rappresentazioni grafiche sono possibili se si
conoscono le costanti e la concentrazione dell’acido. In
molte circostanze non si conosce la concentrazione ma
potremmo considerare il grado di dissociazione, cioè
quanto l’acido o la base debole sono ionizzati ad un
certo valore di pH.
La concentrazione di C=10-1 (sbagliato su slide).

DIAGRAMMI DI DISTRIBUZIONE E DIAGRAMMI DI FORMAZIONE

Se siamo a conoscenza della concentrazione delle specie presenti in soluzione allora abbiamo la possibilità
di costruire un diagramma logaritmico. Nel caso in cui non conosciamo tali concentrazioni è possibile
realizzare diagrammi di distribuzione e di formazione per avere un’idea dello stato di dissociazione di un
elettrolita. In tali diagrammi vi è il pH in ascissa e le frazioni di acido dissociato ed indissociato delle varie
specie presenti sulle ordinate.

DIAGRAMMA DI DISTRIBUZIONE DI UN ACIDO MONOPROTICO

aA- indica la frazione di acido dissociato rispetto alla concentrazione totale C.


aHA indica la frazione di acido indissociato rispetto alla concentrazione totale C.
Una volta prefissata la Ka le frazioni di dissociazione e di indissociazione dipendono solo dalla
concentrazione di [H+], quindi dal pH.
La frazione di acido a nel caso particolare coincide con il grado di dissociazione. Le due curve in funzione del
pH sono simmetriche e quella rappresentante aA- prende il nome di curva di dissociazione mentre quella
rappresentante aHA prende il nome di curva di formazione.
La somma delle frazioni deve essere uguale ad uno.
Quando il pH è uguale alla pKa le
concentrazioni di [A-] e [HA] devono
essere uguali e di conseguenza anche le
frazioni. Per esempio se la Ka= 10-6 allora
in corrispondenza del pH=6 le due
frazioni coincidono e sono pari a 0,5. Se
siamo in ambiente molto acido vi è
prevalentemente (praticamente solo) la
presenza di aHA , quando questo dissocia
forma aA- ,con conseguente curva
simmetrica. e giunge in un intervallo (da
5 a 7) dove vi è la coesistenza delle due
forme. Dopodiché, essendo speculari, in
ambiente basico vi sarà quasi
esclusivamente la presenza di aA-.

Quindi oltre che in quell’intervallo (+1 e -1 della pKa) in cui vi è la coesistenza delle specie, solitamente vi è
la predominanza di una sull’altra. Quindi è possibile descrivere i diagrammi anche solo in quel determinato
intervallo. Infatti si passa dal diagramma di distribuzione in cui vi sono entrambe le curve delle specie
interessate, a quello di formazione di HA con rappresentazione di una sola curva poiché l’altra è speculare.

Al variare della Ka non varia


l’andamento delle curve poiché gli
equilibri sono sempre gli stessi ma
questo sarà spostato a destra o a
sinistra a seconda del valore di pH.

In conclusione: Il grado di dissociazione è significativo in un intorno di pH di +1 e – 1, in cui possiamo


definire un sistema tampone. Al di fuori di tale intorno vi è la predominanza di una delle due specie.
DIAGRAMMA DI DISTRIBUZIONE DI UN ACIDO DEBOLE DIPROTICO

Portiamo per tutte e tre le equazioni il


termine C a sinistra ed otteniamo le varie
frazioni di acido.

Anche qui le curve sono simmetriche, vi è un


punto di intersezione in più in quanto le
dissociazioni sono due.
• A pH molto acidi vi è solo H2A
• A pH=pKa1 ,aHA-= aA- (0,5)
• A pH= pKa1+pKa2/2 (6) vi è solo HA-
• A pH=pKa2, ,aHA-= aA2- (0,5)
• A pH poco acido vi è solo A2-

H2A e A2- non sono mai presenti


contemporaneamente. Possiamo capire a che
pH metterci per favorire la presenza di una data
specie.

DIAGRAMMA DI DISTRIBUZIONE DI UN ACIDO DEBOLE TRIPROTICO


Analogo procedimento dell’acido
diprotico. Essendo il rapporto tra le
costanti successive più grande di quattro
ordini di grandezza (molto diverse tra
loro) allora per nessun valore di pH sono
presenti tre specie contemporaneamente
(al massimo due specie). Gli equilibri sono
successivi poiché non vi è mai la presenza
di una specie senza la sua specie
coniugata,
Dato che vi è un’ulteriore dissociazione vi
è un’altra curva ed un altro punto di
intersezione.

SOLUZIONE TAMPONE
È un sistema in grado di resistere alla variazione di pH di una soluzione acquosa in seguito all’aggiunta di
acidi o basi nella soluzione. È costituito da un acido o base debole e la loro rispettiva specie coniugata.

pH= pKa+logCa/Cs

Eq.1= Bilancio di massa


Eq.2= Bilancio di carica

Per il principio di Le Chatelier se un sistema in equilibrio viene sottoposto ad una variazione dall’esterno,
allora il sistema reagisce in modo tale da controbilanciare tale variazione. Se introduciamo una base forte
(OH-) all’equilibrio di dissociazione di HA questa reagisce con H+ per produrre acqua. Questo equilibrio, per
il principio di Le Chatelier, si sposta a destra, cioè il sistema riesce a tamponare questa perdita poiché si
rigenera H+ dalla dissociazione (azione tampone). Al contrario aggiungendo un acido forte (H+) alla
soluzione tampone la concentrazione di H+ aumenta e l’equilibrio si sposta a sinistra, cioè gli H+ inseriti
reagiscono con A- producendo HA.
Affinché vi sia una soluzione tampone le concentrazioni di Ca e Cb devono essere grandi rispetto ad [H+]
che può quindi essere trascurata. Più la concentrazione di Ca e Cb è alta e più aumenta la capacità tampone
poiché se la concentrazione non è elevata allora nel momento in cui viene introdotta una base forte Ca
questa è in grado di reintegrare solo una piccola quantità di H+ (viceversa con Cb e acido forte).
Dato che all’aggiunta di OH- l’effetto tampone è esercitato da HA mentre all’aggiunta di H+ tale effetto è
esercitato da A- allora in una soluzione tampone deve esserci una eguale quantità di HA e A-. Affinché si
verifichi tale situazione si deve avere pH=pKa, dove la capacità tampone è massimo.
CAPACITÀ TAMPONE

È la variazione di pH per aggiunta di una data quantità di un acido forte o di una base forte. Viene indicata
con b ed è espressa dal rapporto differenziale tra la variazione della concentrazione di una base forte
introdotta nella soluzione e la variazione di pH che comporta o, dato che il sistema tampone risponde
anche alle variazioni di concentrazione indotte da un acido, dal rapporto differenziale tra la variazione di
concentrazione di un acido forte introdotto nella soluzione e la variazione di pH che comporta. La capacità
tampone è positiva all’aggiunta di una base forte e il pH aumenta mentre è negativa all’aggiunta di un acido
e il pH diminuisce.
Se la variazione di pH è piccolo allora il Sistema ha una capacità tampone
elevata.

Con Ca e Cb indichiamo la
concentrazione totale di HA e A- cioè i
sali aggiunti. Questa non cambia, cioè
all’aumentare di una diminuisce l’altra.
Se aggiungiamo HCl e NaOH
contemporaneamente, per dare
massima generalità all’approccio,
questi non devono avere stessa
concentrazione poiché reagirebbero di
loro neutralizzandosi. Quindi è
necessario che la concentrazione di uno
sia maggiore rispetto all’altro in modo
tale che una parte si neutralizzi mentre
l’altra rimane in eccesso ed è come se
venisse aggiunto direttamente al
sistema.Quindi al bilancio di carica
dobbiamo aggiungere la
concentrazione di Na+ e di Cl-.
Otteniamo poi Cbase e la capacità tampone a seguire.

aHA e aA- sono entrambi diversi da zero solo in un introno di pKa di +1 e -1 (anche due) . Al di furi di tale
intervallo uno dei due è pari ad 1 e l’altro a 0.
a pH molto acido aHA è 1 e aA- è zero ed OH- è trascurabile perciò l’unico parametro significativo è H+.
Viceversa a pH molto basici. Nell’intervallo di pH compreso tra 3 ed 11 vi è la copresenza di H+ e OH- dove
la concentrazione di [H+] varia da 10-3 a 10-7 e la concentrazione di [OH-] varia da 10-11 a 10-7, trascurabili
quando C è abbastanza grande rispetto al secondo termine. Dire che l’intervallo di pH è tra 3 e 11 equivale
ad utilizzare un acido debole anche se le soluzioni tampone possono essere costituite anche da una
soluzione di un acido o di una base forte. Il massimo è in corrispondenza del valore per cui pH=pKa.
Nella soluzione B vi è stesso pKa di A ma con concentrazione dimezzata, cioè utilizzo lo stesso tampone ma
più diluito e il massimo della curva si trova ad uno stesso pH ma a capacità tampone minore. Se a parità di
capacità utilizzo un tampone più acido C rispetto ad A la curva è analoga ma centrata su 3,5. Situazione
analoga in D con curva su 2,6. In E utilizziamo una concentrazione 0,25 centrata su 9,2. Le curve di H+ ed
OH- non variano mai. Vi è un andamento tale per cui la capacità tampone aumenta con la concentrazione
C, cioè la somma delle concentrazioni delle specie tamponate.
La massima capacità tampone si trova tramite la derivata seconda dell’equazione ed uguagliandola a zero.
Una soluzione tampone resiste a variazioni di pH per aggiunte moderate di acidi e basi forti.

Quindi:
a) acido monoprotico: b= 2,3 [H+] CaHAaA- - [OH-]
b) acido diprotico b= 2,3[H+] + C (aHA-xaH2A+aA2-xaHA-+4aA2-xaH2A) + [OH-]

Trascurabile perché è sempre zero poiché Ka1 e Ka2 sono differenti di almeno 4 unità, perciò non accade mai che la specie H2A sia presente insieme alla specie A2-

Quindi l’equazione diventa b= 2,3[H+] + C (aHA-xaH2A+4aA2-xaH2A) + [OH-]


il sistema diprotico è la combinazione di due sistemi acido/base.

L’equazione diventa:

Se imponiamo la condizione che Ka1 sia molto maggiore di Ka2 allora i sistemi possono essere considerati
indipendenti dove entrambi avranno una stessa concentrazione perché derivanti da uno stesso sale. Più la
concentrazione è elevata più la curva è alta e i suoi massimi vengono trovati ponendo uguale a zero la
derivata prima cioè 0,575C.
COMPLESSI

I complessi con un solo atomo centrale (M=1) vengono definiti mononucleari, quelli con M≥2 vengono detti
complessi polinucleati. “M” può essere un catione ma anche un atomo neutro ed ha natura metallica ed è
nella maggior parte dei casi un metallo di transizione. I leganti sono invece badi si Lewis con doppietti di e-
e possono essere monoatomici o poliatomici, neutri o carichi e mono o polidentati. Una molecola che si
lega ad un metallo tramite un doppietto di e- (Es. NH3) viene definito monodentato in quanto può formare
un solo legame con l’acido di Lewis. Altre molecole come l’etilendiammina (H2NCH2CH2NH2) hanno due
doppietti e possono dar luogo a due legami, vengono definiti bidentati. Esisto rispettivamente
tri/tetra/penta/esa dentati a seconda dei legami che questi possono formare.
Il numero di coordinazione indica il numero di leganti in una molecola, cioè il numero di atomi coordinati
con il metallo. Per esempio nel caso di NH3 il numero di coordinazione è 4, analogo in etildiammina.
(vedere nomenclatura dei complessi da analisi o internet).
Dal punto di vista entalpico non vi è molta
differenza poiché in entrambi i casi
(monodentato e chelato) i legami interessano
atomi di Cu2+ ed N.
1. Facendo reagire una soluzione
contenente il metallo M (circondato
da quattro molecole di H2O di
idratazione) con una soluzione
contenente un legante
monodentato(NH3) si combinano tra
loro formando il complesso [ML4] e
liberando quattro molecole di H2O.
2. Quando lo stesso metallo M si
combina con un legante polidentato
(etildiammina), vengono impiegate
due molecole di en per formare il
complesso e liberare quattro
molecole di H2O.

Anche se l’entalpia non varia molto tra i due complessi, quello chelato è più stabile. La stabilità è indicata
da ∆G= ∆H-T∆S perciò la differenza tra questi riguarda la natura entropica del processo. In entrambe le
reazioni vengono prodotti cinque elementi. Tuttavia nel primo caso si hanno cinque elementi di partenza
mentre nel secondo tre. Dato che l’entropia è la misura del disordine allora i chelanti sono più stabili dei
corrispondenti monodentati (corrispondenti intendiamo che l’atomo del legame è lo stesso).

La rigidità degli anelli benzenici e il loro numero (che determina


le dimensioni del legante), fa si che questi leganti possano
ospitare al loro interno cationi di dimensioni adatte per formare
un complesso (né troppo grandi né troppo piccoli). Non perdono
nulla perché non rimettono dal punto di vista rotazionale perché
sono rigidi. Sono dunque specie molto specializzati cioè
trasportatori selettivi. La selettività è molto importante per le
funzioni vitali (es: sintesi dei farmaci). Molti radiofarmaci si
basano sulla formazione di complessi tra l’isotopo radioattivo e
la molecola dell’organismo.

Gli enzimi sono proteine capaci di formare complessi


Ci troviamo in situazioni in cui l’acqua è il solvente. Lo ione metallico in acqua è idratato e gli ioni dei metalli
di transizione si legano all’acqua formando degli acuoioni in cui n è il numeri di coordinazione del metallo.
Mescolando la soluzione di un catione con un’altra soluzione, il legante (monodentato) rimuove l’acqua di
coordinazione e prende il suo posto intorno al metallo. Quindi si formerà un complesso con molecole di
acqua n-1 perché ne liberano una. Questo processo è caratterizzato da una propria costate di equilibrio K1.
A questo punto, dopo che è entrato il primo legante, il complesso ha ancora n-1 molecole di H2O, quindi
può entrare un secondo legante liberando un’ulteriore molecola di acqua. Tale processo è caratterizzato da
una propria costante di equilibrio K2. Si può procedere con l’ingresso di ulteriori leganti finché nel
complesso del metallo vi è una sola molecola di acqua. Le costanti K sono le costanti parziali che esplicitano
l’ingresso di ciascun legante nella formazione del complesso.
Dato che è bidentato vengono liberate
contemporaneamente due molecule di acqua.
Questa situazione è simile a quella per un acido
poliprotico che prima perde il primo H+, poi il
secondo ecc.
La differenza sta nel fatto che mentre le costanti
acide hanno almeno quattro ordini di grandezza di
differenza mentre nei complessi non vi è un ordine
delle costanti ma sono caratterizzati da una
variabilità nel comportamento (magari il primo
legante reagisce meglio del secondo ecc).

RAPPORTI DI DISTRIBUZIONE (ai)

È la frazione di metallo nelle varie forma in cui può essere presente in soluzione. Consideriamo di avere una
soluzione di un metallo a concentrazione CM, se aggiungiamo a questa soluzione una certa quantità di un
legante possiamo immaginare che la concentrazione CM sia distribuita in tutti i modi possibili in metallo
libero, metallo con legante [ML], [ML2], fino a [MLn]. Cioè determiniamo stechiometricamente la quantità
delle varie specie presenti dopo aver introdotto legante. Non è detto che la specie dominante sia quella con
numero di coordinazione maggiore, potrebbe essere anche una specie intermedia. Per definizione a0 (zero
leganti) definisce la frazione di metallo libero all’equilibrio in una soluzione in cui aggiungo legante. La
relazione finale ai esprime la frazione di metallo che ha acquistato il legante rispetto alla concentrazione ed
è valida per i complessi mononucleati dove la distribuzione è indipendente dalla concentrazione dei metalli.
Questo perché i complessi polinucleati richiedono la presenza di più metalli e si formano più facilmente a
concentrazioni elevate; dunque finché le soluzioni sono abbastanza diluite non si pone il problema dei
complessi polinucleari.
Consideriamo un grafico che
riporta il rapporto di
distribuzione rispetto a
–log[L].
Mettendo all’interno del
grafico le equazioni dei vari
complessi con le rispettive
costanti di equilibrio ottengo
le curve che descrivono le
frazioni di metallo in funzione
delle concentrazioni di
legante.

Inizialmente vi è solo la presenza del metallo perciò a0 sarà uguale ad uno mentre gli altri a saranno uguali
a zero. All’aggiunta del legante, a concentrazione molto basse si avrà una situazione analoga alla
precedente con presenza solo di a0, quando la concentrazione inizierà ad aumentare allora vi sarà la
formazione del complesso [ML]. Tale complesso si forma dopo l’aggiunta di una determinata quantità di
legante dipendente dalla costante; se la costante è elevata basta una piccola quantità di legante, se è
piccola servirà maggiore quantità. Nel momento in cui si viene a formare [ML] di una quantità significativa
(immaginiamo a0 = 0,9 ed a1=0,1 cioè intorno al 10%), la concentrazione del metallo [M] inizia a diminuire
(intorno al 90%). A questo punto una molecola di legante potrebbe legarsi indifferentemente sia al metallo
che a [ML] in quanto non vi è alcuna differenza dato che le costanti di equilibrio sono uguali. Ci troviamo
dunque in una fase in cui il legante deve legarsi con una delle specie presenti e per ragioni statistiche finché
sarà [M]>[L] sarà più probabile la formazione del complesso [ML]. Ad un certo istante inizia a formarsi
[ML2](quando la concentrazione di legante è circa 10-4) ma [ML1] continua ad aumentare poiché vi è la
presenza di grandi quantità di metallo.
[ML2] ha una zona di predominanza maggiore di [ML] poiché mentre [ML] man mano che si forma viene
consumato da una costante pari a 10-3, [ML2] viene consumato con una costante più sfavorevole perciò la
sua efficienza di formazione è maggiore della sua efficienza di scomparsa. Dunque all’aggiunta di legante
sarà favorita la formazione del complesso [ML2] poiché la sua costante è maggiore rispetto a quella di
formazione del complesso [ML3].
Quando giungiamo ad una concentrazione pari a 10-3 inizia a formarsi anche [ML3].
Per il principio di Le Chatelier, dato che L è reagente comune, se aumentiamo il legante le reazioni sono
spostate completamente a destra. Mentre i complessi [ML]1,2,3 crescono e poi scompaiono, [ML4]
rappresenta il massimo numero di coordinazione, cioè quello che domina con elevata quantità di legante.
Infatti giunge ad a=1.
Come esempio consideriamo uno stesso diagramma con K1=10-6, cioè ci mettiamo in condizioni in cui il
primo equilibrio è più favorito degli altri. In questo caso il legante necessario per la formazione di [ML] sarà
di minore quantità. Si forma dunque [ML] che viene consumato con una costante più favorevole alla sua
formazione rispetto alla sua scomparsa. Il metallo scompare e si forma [ML] con una zona di predominanza
elevata. Andando avanti il diagramma resta analogo al precedente. Quindi mentre nel primo caso finché la
concentrazione di legante non arrivava a circa 10-5 non vi era formazione di complessi ma la sola presenza
in soluzione del metallo libero, nel secondo caso la K1 è più favorevole perciò vi è la formazione di
complessi già ad un valore pari a 10-7, dove la curva del metallo inizia a diminuire. Dato che la molecola di
legante in più preferisce legarsi con il metallo (perché ha una costante più alta), questo viene
completamente consumato (a0) e si forma [ML2].
In questo caso
consideriamo una K3 più
grande. I primi equilibri
sono analoghi ma a2 si
consuma velocemente con
conseguente formazione
di [ML3]. a3 ha una zona di
predominanza molto
elevata.

Quindi se il legante è in minime quantità non vi è la


formazione di complessi. Se il legante ha
concentrazione significativa vi è la formazione di
diversi complessi mentre se è in eccesso l’unico
complesso significativamente presente è solo il
prodotto finale [ML4].
In definitiva possiamo definire quale concentrazione di
legante bisogna avere per ottenere la concentrazione
massima in soluzione della specie oggetto di interesse.

Se scriviamo la reazione come L+M allora abbiamo un complesso e consideriamo la costante di formazione.
Nel caso in cui la reazione è invertita consideriamo la costante di instabilità.
Aggiungendo ammoniaca vi è la formazione del complesso con successiva dissociazione per il principio di Le
Chatelier. Dobbiamo considerare Ag totale (libero+complesso).

LEGANTE NON IN LARGO ECCESSO

- Per una data [L] possono coesistere più MLi.

- Calcoli laboriosi.

- Si può ricorrere alla soluzione grafica ponendo in ascissa log [L] e in

ordinata log ai, oppure direttamente ai (consigliato quando le costanti

successive non sono molto diverse fra loro).

- I grafici hanno molte similitudini con quelli dei protoliti:


Confronto di sistemi
che hanno la stessa
costante globale ma
differenti costanti di
equilibrio. Nel secondo
caso il complesso [ML]
si forma a
concentrazioni
maggiori. Quando il
metallo forma [ML], le
due costanti non sono
così differenti e vi è
dunque la formazione
di [ML2]. Non vi sono
zone di predominanza
molto rilevanti. Il
diagramma a destra
viene riportato nel
prossimo grafico
confrontato con altri
valori di K.
Presenza di reazioni competitive che
competono con la reazione di
interesse limitando la formazione di
complesso .

Anche se ho una costante di


formazione alta non è detto che non ci
siano costanti di equiilibrio maggiori
che comportino la realizzazione di
reazioni collaterali.

Dunque per esprimere la costante di


equilibrio che descrive la formazione
di un complesso è necessario
introdurre una costante condizionale che
considera tutte le forme in cui M ed L
possono essere presenti nella soluzione.
αM ed αL se ci sono degli interferenti
assumono valore molto maggiore di 1
(10000,10000000 ecc), quindi anche nel
caso in cui β (costante di formazione)
possiede un valore elevato (Es. 1020) poiché
α ha valori molto più alti implica che il M
e/o L sono più propensi a dare reazioni
collaterali.

A pH molto acidi L=NH3 si


trasforma in NH4+
idrolizzandosi senza poter
quindi formare un complesso
Al disotto di una certa
concentrazione del metallo
si ha unicamente la
formazione di complessi
mononucleari .
All’aumentare del pH
aumenta la concentrazione
degli interferenti OH e la
possibilità del catione di
dare idrolisi , dunque
aumenta il valore di αM

L’idrolisi (reazione collaterale)è un processo possibile nel


caso in cui M ed L siano sufficentemente acidi/basici:
L’acidità aumenta con l’aumento della carica, al
diminuire del raggio e all’aumentare
dell’elettronegatività.
La tendenza a idrolizzare di un metallo aumenta
all’aumentare del pH : cationi più acidi idrolizzano a pH
più acido mentre cationi meno acidi idrolizzano a pH
più basico, entrambe le specie però nel dare idrolisi
comportano un aumento del valore di αM.
Infatti l’idrolisi del catione metallico indica che M
invece di fare il complesso con L viene consumato
idrolizzandosi. Comportando un aumento di αM.
In conclusione per fare un complesso con un metallo
generalmente è preferibilmente avere un pH acido.
L’idrolisi dei leganti, essendo basi, ha un andamento opposto a quello degli acidi.
La tendenza a idrolizzare di un legante aumenta al diminuire del pH: basi più forti idrolizzano a pH più
basico mentre basi meno forti idrolizzano a pH più acido, entrambe le specie però nel dare idrolisi
comportano un aumento del valore di αL.

Poiché il legante in determinati range di pH non va a formare


il complesso con il metallo M ma da reazione collaterale di
idrolisi Comportando un aumento di αL.
In conclusione per fare un complesso con un legante
generalmente è preferibilmente avere un pH basico.

Quindi per fare un complesso ML : M richiede pH acido mentre


L richiede pH basico al fine di non dare reazione collaterale di
idrolisi.
Quindi αM ed αL hanno andamento opposto cioè tendono ad aumentare uno spostandosi verso destra e
l’altro spostandosi verso sinistra.
Sapendo che β’ è in funzione di entrambe le α a pH molto acido αM = 1 ma αL ha valori molto alti tanto da
vanificare una costante di formazione β molto alta, e viceversa: a pH molto basico αL = 1 ma αM assumere
valori tali da rendere β’ sfavorevole per la formazione del complesso.
Quindi in una condizione intermedia i due effetti non sono cosi distanti ed opposti in modo tale da poter
avere un valore massimo di β’ che non sarà comunque mai pari al valore teorico β.
Inoltre se l’acido è particolarmente acido la curva si sposterà verso pH più acidi , mentre se la base è
particolarmente forte la curva si sposterà verso pH più basici.

Nella tabella sono riportati logdelle


costanti di formazione di una serie di
complessi.
Metalli con corrispondenti costanti
di formazione con legante azotato
monodentato, azotato bidentato ed
il penten tetradentato.
Es. Il Cu2+ formando un complesso
con leganti monodentati ha una
β=1012,6 ; con un legante bidentato
la stessa tetra coordinazione per la
quale ora bastano solo due leganti
comporta un aumento di β di 7
ordini di grandezza; con il penten la
tetra coordinazione, possibile con
una sola molecola, comporta un
aumento dell’effetto chelato di 10
ordini di grandezza rispetto al
monodentato.
L’aumento progressivo dell’ effetto
chelato è ben visibile anche con gli
altri M.
Si nota che i leganti uni dentati, a parità di coordinazione,formano complessi meno stabili di quelli dei
leganti bidentati, a loro volta meno stabili dei complessi con leganti multi dentati per la progressiva
formazione di un anello chelato.
NB l’EDTA è molto efficiente nel
formare complessi con i metalli
Nella tabella infatti sono riportati
tutti i metalli

Sono costanti di formazione!!


Generalmente l’EDTA è indicato
con Y4- in quanto esso è un acido
tetra carbossilico che funziona
come legante in forma anionica e
quindi per svolgere la sua funzione
deve trovarsi ad un pH basico tale
da permettergli di cedere 4 H+.
Nella prima reazione vengono
rappresentate anche le reazioni
collaterali: EDTA può idrolizzare
dando forme più o meno
idrolizzate dell’anione ed M può
andare a formare altri composti
con altri leganti diversi da EDTA.
Ricorda [Y’] è data dalla
concentrazione del legante libero
in forma tetranionica sommata a
tutte le altre forme in cui può
essere presente Y.

H4Y H3Y- + H+ reazione governata dalla costante di dissociazione Ka1


H3Y- H2Y-2 + H+2 reazione governata dalla costante di dissociazione Ka2
H2Y-2 HY-3 + H+3 reazione governata dalla costante di dissociazione Ka3
HY-3 Y-4 + H+4 reazione governata dalla costante di dissociazione Ka4
Y-4 + H+ HY-3 reazione governata dalla costante di formazione k1= 1/Ka4
HY-3+ H+ H2Y-2 reazione governata dalla costante di formazione k2= 1/Ka3
H2Y-2+ H+ H3Y- reazione governata dalla costante di formazione k3= 1/Ka2
H3Y-+ H+ H4Y reazione governata dalla costante di formazione k4= 1/Ka1
I: Un legante come EDTA risente del
pH: quanto più il pH è basico tanto
più esso sarà in forma anionica,
quanto più il pH è acido EDTA
risentirà dell’idrolisi con conseguente
aumento di αL , con un andamento
uguale a quello del primo grafico.
II: Confronto con ione metallico poco
acido come Ca con uno più acido
come lo Zn.
Il legante è sempre l’EDTA ma αM
cambia perchè descrive la capacità
del catione di dare idrolisi: Ca è poco
influenzato dalle variazioni di pH
perché è un acido più debole, mentre
Zn ha un andamento simile a quello
del Ca per il primo tratto ma essendo
più acido la curva risulta essere più
ripida, in seguito raggiunge un
massimo e poi idrolizza. Dunque αM causa una diminuzione della costante condizionale β’.
Quindi in una soluzione di Ca e Zn se voglio formare il complesso con Zn e non con il Ca mi metto in una
regione di pH acido: Per esempio a pH=5 β’(Zn) = 1010 > β’(Ca)= 105 , sarà dunque favorita la formazione
del complesso ZnEDTA.
Al contrario se volessi formare un complesso con il Ca e non con lo Zn andrò a considerare regioni di pH più
basico dove β’(Zn) < β’(Ca): per esempio a pH=14 β’(Zn) =0.
All’incrocio delle due curve, in quel determinato valore di pH avrò entrambi i complessi.
A dispetto della costante di formazione considerando la diversa acidità dei due cationi, posso far si che
determinati valori di pH favoriscano la formazione di un complesso piuttosto che di un altro o di entrambi i
complessi. Quindi il controllo del pH della soluzione regola la formazione dei complessi.
RICORDA: β’ è direttamente proporzionale ad [ML], quindi elevati valori della costante favoriscono la
formazione del complesso.

Complessometria = Titolazione di metalli


sfruttando la loro capacità di legarsi a
diversi leganti.
Es. Se avessi un monodentato che con un
metallo forma 4 complessi anche avendo
una β molto alta potrei avere una
situazione variegata in cui l’aggiunta di L
comporta la formazione di complessi
derivanti dalla tetra coordinazione
(ML,ML2, ML3).
Il numero di composti intermedi
diminuisce all’aumentare dell’effetto
chelante, quindi i leganti chelanti sono i
più indicati per la titolazione dei
complessi.

Affinchè uno ione metallico sia titolabile con un legante come EDTA è richiesta che β’, che esprime
l’effettiva capacità di formazione del complesso, sia maggiore di 108.

Essa però e in funzione del pH quindi possiamo avere nella stessa soluzione titolazioni di più ioni allorchè il
titolante possa reagire selettivamente con uno ione piuttosto che con un altro.
E’ dunque possibile avere una titolazione selettiva variando il pH facendo reagire solo uno dei cationi con L.
La titolazione selettiva è possibile se Δlog β ’ ≥ 4.
L’esercizio fornisce due diversi cationi con due diverse costanti di formazione dei complessi con l’EDTA(Y).
A pH 5 mi aspetto che EDTA sia abbastanza idrolizzato con un fattore αL elevato che comporterà un
decremento del valore di β’.
Le costanti devono essere trasformate in costanti di dissociazione ed Y=EDTA.
1 1
𝑘" = = )"*,,' = 10"*,,'
𝐾𝑎' 10
Svolgendo i calcoli ricaviamo che a pH = 5 abbiamo αEDTA= 106,6
A pH=5 è dunque possibile la titolazione del Ni ma non quella del Ca poiché β’(Ca)< 108.

pH=pKa perché nell’esercizio ho un tampone ideale.


L’esercizio richiede la formazione del complesso CdEDTA sapendo che esso è regolato da una β= 1016,5, Cd
però può formare complessi anche con NH3 ognuno dei quali è descritto da una diversa costante di
formazione.
Nel calcolo di β’ devo quindi considerare αM, per la reazione collaterale che porta alla formazione del
complesso Cd con il legante interferente NH3, ed αL per la tendenza di EDTA ad idrolizzare (minore rispetto
all’esercizio precedente in quanto mi trovo a pH=9,24): αM ed αL comportano un abbassamento di β’.
Svolgendo i calcoli ricaviamo che a pH = 9,24 abbiamo αEDTA= 11.

+ ES 6 PAG 315 CAPITOLO 5b


Quando c ‘è un interferente in una soluzione esso può essere eliminato fisicamente mediante vari processi
quali: precipitazione, distillazione ; ovvero separazioni fisiche e procedure chimiche che però risultano
essere poco funzionali che comportano un’eliminazione invasiva dell’interferente.
Preferibile mascherare, cioè trasformare l’interferente in una specie che rimane in soluzione senza
interferire rimanendo confinata, mascherata.

Poiché 14,3-10,7< 4 I due cationi in soluzione non sono titolabili l’uno rispetto all’altro infatti è possibile
avere una titolazione selettiva solo se vi è un vantaggio di 4 ordini di grandezza nella costante condizionale,
questa situazione ci indica che nella formazione dei complessi il Fe(II) è favorito rispetto al Ca ma non
abbastanza, quindi se aggiungessi EDTA alla soluzione Ca/Fe(II), non avrei la complessazione di entrambe le
specie con l’interferenza del Ca sul Fe.
Aggiungendo del tren esso ha la selettività di complessare il ferro, la costante condizionale del ferro quindi
ne risentirà diminuendo assumendo un valore inferiore alla β del Ca perchè diminuisce la concentrazione di
ferro in soluzione disponibile per formare il complesso Fe-EDTA.
Il ferro inizialmente aveva una costante di formazione superiore a quella del calcio, ma la Δ sfavorevole.
Aggiungendo il tren abbiamo mascherato il ferro rendendolo inattivo e ottendendo Δ>4 a favore del calcio,
ottenendo quindi il complesso Ca-EDTA.
.
β'= / che in termini logaritmici = logβ-logαy
0

+ ES 7 PAG 318 CAPITOLO 5b


*,*234 [78]]
E= E°× 5
×log[:;<]
Il potenziale di una semicoppia dipende dal rapporto tra le concentrazioni della forma ossidata e della
ridotta, quindi se una delle due forme è implicata nella formazione del complesso le concentrazioni
diminuiranno: se la forma ridotta è implicata nella formazione di un complesso E aumenta, al contrario una
diminuzione della concentrazione della forma ossidata comporta una diminuzione di E.
Quindi è possibile regolare la capacità ossido riduttiva di una semicoppia introducendo nella soluzione un
complessante.
Con l’aggiunta di F andiamo a considerare il complesso FeF2+ in quanto esso è il più stabile e la sua
formazione è descritta dalla costante di formazione K1.
Il discorso è speculare con la complessazione della forma ridotta in cui però abbiamo un aumento di E.
Se vengono complessate entrambe le specie, ridotta ed ossidata, allora E è dato dal rapporto delle costanti
di formazione.

Se catione e/o anione danno complessi per Le Châtelier l’equilibrio risponde alla diminuzione delle due
specie spostando l’equilibrio verso destra, quindi il risultato è che la formazione di complessi riguardanti
ioni dell’equilibrio di un sale poco solubile aumentano la solubilità.
Il complesso CaA- con A = Citrato ha una costante di formazione K=102,2
In assenza di citrato la solubilità è data da √𝐾> , nella soluzione però avendo citrato esso si legherà al calcio
formando un complesso. La sottrazione/mascheramento del calcio dalla soluzione comporta un ulteriore
dissoluzione dell’ossalato.
-x : Quantità di calcio che diventa complesso
Ks’: Costante di solubilità condizionale che tiene conto di αM e quindi della presenza di interferente
descrivendo il reale equilibrio.

NB: RIPASSA COME ARRIVO ALL’ESPRESSIONE DI αM 1+K1[A3-]

La formazione di un complesso risulta essere impedita da idrolisi ed interferenti.


Inoltre reazioni di precipitazione/acido-base influenzano la formazione di complessi diminuendo la
concentrazione della sostanza.
Il modello che elaboro per interpretare la formazione dei legami ML per la costituzione di un complesso
deve tener conto di:

1) GEOMETRIA DEL LEGAME


Complessi con numero di coordinazione
4 possono essere caratterizzati da siti di
coordinazione sui vertici di un tetraedro
o sui vertici di un quadrato; complessi
con numero di coordinazione 5
risultano essere disposti secondo una
geometria bipiramide trigonale mentre
altri risultano essere disposti secondo la
geometria di una piramide a base
quadrata.
Al contrario il numero di coordinazione
6 è sempre caratterizzato da una
geometria ottaedrica.
Dunque il modello deve giustificare questa differente geometria a parità di numero di coordinazione.

Inoltre esistono leganti di diverso tipo che possono dunque arrangiarsi geometricamente in modo
differente.
Es. La composizione del primo complesso e del secondo complesso è la stessa esse però si distinguono per
la carica dello ione e per l’inglobamento delle molecole di acqua di cristallizzazione. I due composti sono
dunque due forme isomeriche geometriche: complessi caratterizzati dagli stessi elementi disposti però in
modo differente. Dunque una teoria di legame dovrà tener conto anche di questa possibilità.
Altri tipi di isomeri sono i seguenti:
Complessi misti a geometria quadrata planare che
presentano L uguali due a due. Essi possono disporsi
da parti diametralmente opposte rispetto al metallo =
trans, o dalla stessa parte = cis.

Complessi ottaedrici del tipo MA4B2: i due leganti B da


parti opposte portano alla formazione dell’isomero
trans mentre nel caso in cui i due leganti si trovino in
relazione angolare nel piano quadrato abbiamo
l’isomero cis.

Complessi ottaedrici caratterizzati da stechiometria di


tipo MA3B3 possono formare isomeri equatoriale nel
caso in cui i tre leganti uguali si trovino sullo stesso
piano, o isomeri facciali nel caso in cui i tre leganti
uguali si trovino sulla stessa faccia dell’ottaedro.

I complessi inoltre possono dar luogo a forme


enantiomeriche.
Considero un metallo M partecipante alla formazione di un
complesso con tre leganti bidentati. M ed L di non sono
specie chirali, dunque non hanno attività ottica, ma nel loro
assemblaggio possono andare a costituire due diverse
strutture che risultano essere tra loro in relazione
enantiomerica, in quanto immagini speculari.
Dunque i composti possono essere isomeri ottici in
dipendenza dal loro diverso assemblaggio che determina
quindi diverse proprietà.
Es. Amminoacidi sono tutti complessi levogiri.
2) COLORE
I complessi risultano essere colorati nonostante M,L
siano incolore. Oppure i complessi risultano avere una
colorazione intermedia rispetto a quella della specie
M/L colorata.
Dunque una teoria deve saper spiegare in che modo
viene a svilupparsi/modificarsi la colorazione di un
complesso.

3) PROPRIETà MAGNETICHE
n = elettroni spaiati di una specie

Fe2+

Considero due diversi complessi:


a) Il cui momento magnetico coincide con
quello teorico del metallo;
b) Il cui momento magnetico risulta essere
differente da quello iniziale del metallo.
Il modello teorico deve dunque essere in grado
di interpretare questa diversa conservazione
del momento magnetico ed il cambiamento
dello stato di spin nel passaggio da metallo a
complesso.

a) Complessi ad alto spin: Il momento magnetico dello ione isolato Fe2+ , ione metallico, è uguale a quello
del complesso, si ha dunque una conservazione del momento magnetico dello ione isolato nel complesso.
b) Complessi a basso spin: Il momento magnetico dello ione isolato Fe2+ , ione metallico, è maggiore di
quello del complesso.
NB: La definizione di complesso ad alto spin/basso spin risulta essere totalmente indifferente alla
definizione di complesso diamagnetico/paramagnetico. Un complesso per essere diamagnetico infatti
necessita di un momento magnetico pari a zero condizione non necessaria per essere a basso spin.

4) NUMERO DI COORDINAZIONE
La teoria deve saper interpretare il diverso
numero di coordinazione con cui uno stesso
metallo può andare a costituire diversi
complessi caratterizzati anche da un
differente spin.
Es.
Mn: nonostante abbia una configurazione
elettronica di tipo d5 presenta un solo
elettrone spaiato, vi è dunque una modifica
dello spin rispetto allo ione metallico
iniziale, che comporta la formazione di un
complesso a basso spin.
Fe: In funzione del legante L ho diversi stati
di spin.
Co: In funzione del legante L ho diversi stati di spin. Ad esempio con NH3 ho un’esa-coordinazione
ottaedrica caratterizzata dalla presenza di 3 elettroni spaiati, mentre nella formazione del complesso con la
diarsini l’esa-coordinazione ottaedrica risulta essere a basso spin in quanto ho un solo elettrone spaiato.
Infine nella formazione del complesso con il Cl ho una tetra-coordinazione tetraedrica nuovamente ad alto
spin con 3 elettroni spaiati.
Ni: I tre complessi in analisi sono caratterizzati tutti da un alto spin, ma essi differenziano per la diversa
coordinazione e geometria
5) LABILI E INERTI
Riferimento alla velocità con cui i leganti
modificano la loro posizione attorno al metallo,
abilità cinetica-chimica.
I. Il Co forma un complesso inerte con l’ossalato
andando a costituire due diverse forme
enantiomeriche, essenso il composto INERTE i due
enantiomeri non si interconvertono rapidamente
tra loro e dunque la posizione dei leganti rispetto
al metallo rimane piùo meno stabile. E’ quindi
possibile risolvere il racemato.

II. Al forma un complesso labile con l’ossalato, essi dunque si riassemblano facilmente e non è quindi
possibile la risoluzione del racemato.

Analisi del diagramma: I complessi I e II hanno la stessa stabilità termodinamica all’inizio ed in seguito alla
costituzione del complesso ML, i due stati sono dunque caratterizzati dalla stessa energia. Il complesso
inerte però è caratterizzato da un’elevata barriera energetica che non permette lo scambio del legante

Questi 5 concetti vengono considerati nel:


Ipotesi: considero le due specie
puntiformi in cui M catione ed L
anione , quindi specie cariche
unite tra loro mediante
interazioni elettrostatiche nella
formazione dei complessi.

La geometria del modello prevede


una massima distanza tra i leganti
al fine di rendere minore la
repulsione tra queste due specie
anioniche.

Es. esa-coordinazioe = geometria ottaedrica


Considero M3+ L- : Inizialmente i leganti si trovano a distanza infinita rispetto ad M, e si avvicinano ad esso
lungo gli assi di un sistema cartesiano. L’avvicinamento progressivo del legante provoca l’instaurarsi di un
legame elettrostatico.
E : unita di carica elettrostatica
3e : carica elettrostatica del metallo
-1e : carica del legante
R : distanza tra M ed L alla quale giungono i leganti partendo da distanza infinita
6 : interazioni di tipo M-L
- :Segno per indicare che si tratta di un’energia stabilizzante e che dunque l’energia del sistema è bassa

3 × 𝑒 × (−1) × 𝑒
𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 𝑀 𝑐𝑜𝑛 6𝐿 = −6 ×
𝑟

Due tipi di contributi di tipo repulsivo:


I)
12 : interazioni tra due cariche -1e appartenenti a due leganti adiacenti
r√2 : Poichè l’angolo tra i due leganti è di 90° la distanza tra essi equivale all’ipotenusa di un triangolo
isoscele retto di lato r (A-M)

−1 × 𝑒 × (−1) × 𝑒
𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑣𝑎 𝑑𝑖 𝑡𝑖𝑝𝑜 𝑎𝑛𝑔𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑢𝑒 𝑙𝑒𝑔𝑎𝑛𝑡𝑖 𝐴 𝑎𝑑𝑖𝑎𝑐𝑒𝑛𝑡𝑖 = 12 ×
𝑟√2

3 : interazioni tra due cariche -1e appartenenti a due leganti opposti


2r : La distanza tra essi è data da due volte la distanza A-M

−1 × 𝑒 × (−1) × 𝑒
𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑣𝑎 𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑢𝑒 𝑙𝑒𝑔𝑎𝑛𝑡𝑖 𝐴 𝑜𝑝𝑝𝑜𝑠𝑡𝑖 = 3 ×
2𝑟

Il risultato negativo indica che il complesso caratterizzato da due cariche puntiformi risulta essere stabile.

Cambiando la carica del catione ed il


tipo di coordinazione , che
comporterà una modifica della
disposizione geometrica,possiamo
ricavare l’energia per altri complessi.
Essendo il meno implicito nella
formula, il risultato è positivo per
tutte le geometrie.

La stabilità del composto aumenta:


- all’aumentare della carica del catione in quanto aumenterà l’energia di interazione tra M ed L che si
troveranno dunque più vicini per la maggiore forza di attrazione di M (riferimento al potenziale ionico: alti
valori di potenziale ionico permettono di formare con grande facilità complessi di notevole stabilità) =
Lungo la verticale.
- all’aumento del numero di coordinazione = Lungo la diagonale
NB. Secondo questa teoria sembrerebbe che la struttura tetraedrica sia preferita rispetto a quella
quadrato planare.
LIMITE: Una teoria basata sulla massima repulsione dei leganti predilige una struttura tetraedrica rispetto a
quella quadrata planare che dunque non viene contemplata.
In realtà i metalli di transizione sono migliori
di quelli alcalino, alcalino-terrosi

Poichè il modello si basa sull’interazione


elettrostatica, anioni più elettronegativi
dovrebbero essere più forti di quelli neutri
es F- più forte di NH3

Perchè questa teoria non è valida per metalli di transizione?

Numero di coordinazione 4: il metallo può


formare 4 orbitali ibridi che vanno a orientarsi
secondo i vertici di un quadrato planare oppure
lungo i vertici di un tetraedro.

Numero di coordinazione 6: il metallo va a


costituire una geometria ottaedrica mediante 6
orbitali ibridi.

N.B. Nella formazione di un complesso a causa dell’ibridizzazione è possibile una ridistribuzione degli
elettroni che comporta quindi una modifica delle proprietà magnetiche.
Sarebbe possibile dunque spiegare per quale motivo nella formazione del complesso le proprietà
magnetiche del metallo si modificano, quindi la teoria VB potrebbe interpretare (non prevedere) la ragione
di questo fenomeno:

Il Co forma un complesso esacoordinato con NH3 che


richiede una geometria ottaedrica a basso spin
1. Configurazione elettronica del cobalto;
2. Poiché il Co nella formazione del complesso deve
avere una carica +3 rimuovo 3 elettroni a più alta
energia. Il Co risulta avere 4 elettroni spaiati;
3. Per la formazione dell’ottaedro è necessaria
un’ibridazione di tipo d2sp3: riarraggiando gli
elettroni riesco a costruire i 6 nuovi orbitali ibridi vuoti
(colorati) ad orientamento ottaedrico;
Da 4 elettroni spaiati passo a 0 elettroni spaiati
passando a basso spin: La teoria VB con l’ibridizzazione giustifica la geometria e il diverso stato di spin.
4. Formazione dei sei legami con NH3 (Base di Lewis che fornisce un lone pair per formare il legame).
2. Al fine di ottenere il catione è possibile rimuovere
qualsiasi elettrone

Poiché gli elettroni spaiati del metallo isolato (2)


coincidono con quelli spaiati del complesso (3) ho un
alto spin.

Anche in questo caso il riarrangiamento degli


elettroni mi permette di ottenere l’ibridizzazione
necessaria per la formazione del complesso.

Poichè gli elettroni spaiati del metallo isolato (2)


coincidono con quelli spaiati del complesso (3) ho un
alto spin.

Quindi sia nell’ottaedro sia nella tetra-coordinazione la teoria VB funziona.

Esempio:
Nello ione isolato i 7 elettroni esterni si trovano
tutti nell’orbitale più esterno. Necessario il
riarrangiamento degli elettroni al fine di ottenere
l’ibridizzazione che mi permetta di avere un
complesso a geometria ottaedrica.
Ipotesi di legame a: I due orbitali d necessari per
l’ibridizzazione sono dello strato d successivo
rispetto a quello in cui sono presenti gli elettroni:
un complesso di questo tipo viene definito ad
orbitale esterno.
NON ACCETTABILE: Il legame M-L che si andrebbe ad instaurare sarebbe troppo debole in quanto
coinvolgerebbe orbitali a più alta energia che rendono quindi il complesso ottaedrico d7 ad alto spin
instabile.
Ipotesi di legame b: La formazione degli orbitali ibridizzati consiste nel riarrangiare due elettroni del livello
(n-1)d promuovendoli al livello energetico successivo n: un complesso di questo tipo viene definito ad
orbitale interno.
NON ACCETTABILE: Nonostante i legami che si vengono a instaurare siano più forti del caso precedente, il
complesso così ottenuto sarebbe facilmente soggetto alla perdita dei due elettroni spaiati più esterni
(ossidazione del complesso).

Limiti della teoria VB:


I. Non sempre è in grado di interpretare i complessi ad alto spin;
II. Considera solo legami di tipo s dativi tra il lone pair del legante e l’orbitale ibrido vuoto del metallo;
III. Nella formazione del complesso il metallo tende ad eliminare gli elettroni diventando catione. Nella
teoria di VB lo ione centrale però si ibridizza al fine di accettare gli elettroni provenienti dai vari leganti e
permettere la formazione del complesso. La teoria dunque prevede un’eccessiva carica negativa sul
metallo.

Fissato un sistema di assi cartesiani x,y,z i 5 orbitali d che in un atomo singolo


sono degeneri (stessa energia) sono orientati nello spazio in modo caratteristico:

Orbitale con orientamento privilegiato verso l’asse z.

Orbitale tetra-lobato, in cui i 4 lobi si trovano esattamente sugli assi x ed y

I lobi non si sviluppano lungo gli assi ma lungo le bisettrici, cioè le diagonali del piano x-y x-z y-z

2
Immaginiamo di avere un metallo M al centro del sistema di assi x,y,z e di avvicinare ad esso sei leganti
lungo gli assi. I leganti dunque prevalentemente andranno a legarsi con gli orbitali dz2 ed dx2-y2 in quanto
essi sono gli orbitali che presentano i lobi lungo gli assi, mentre rispetto a un orbitale dxy,xz,yz i leganti
avranno con questo tipo di orbitali una minore interazione/sovrapposizione.
Vi è quindi una diversa interazione tra i leganti rispetto ai diversi orbitali d.

Inizialmente i 5 orbitali d del metallo libero sono degeneri ( la graffa indica che gli orbitali si trovano tutti
alla stessa energia) ed hanno un’energia iniziale bassa.
Con il progressivo avvicinamento dei leganti essi modificano la loro energia.
Se in seguito all’avvicinamento dei leganti lungo gli assi, tutti gli orbitali d risentissero in modo uguale
dell’interazione elettrostatica ed orbitalica avremo una destabilizzazione della stessa misura per tutti e
cinque gli orbitali d.
Poichè invece vi sono orbitali che essendo orientati lungo gli assi ne risentono maggiormente essi saranno
maggiormente destabilizzati rispetto al valore medio che deriva dalla stessa destabilizzazione uguale di
tutti e cinque gli orbitali, mentre gli orbitali che non hanno i lobi posti in direzione dell’avvicinamento dei
leganti , sono comunque destabilizzati ma in modo minore rispetto al valore medio.

Dunque la teoria del legame cristallino afferma che: L’interazione è di tipo elettrostatico ma nel momento
in cui M ed L si avvicinano alla distanza di equilibrio vi è un’interazione orbitalica il cui effetto è di
destabilizzare ulteriormente gli orbitali d del metallo che hanno una maggiore sovrapposizione con gli
orbitali del legante e di destabilizzare in modo minore gli orbitali d del metallo che al contrario possiedono
una minore sovrapposizione.

Quindi nel metallo isolato i 5 elettroni degli orbitali d si disponeranno al suo interno secondo il principio di
Hund della massima molteplicità, nel momento in cui il metallo forma il complesso poiché vi è una rottura
della degenerazione degli orbitali avremo 3 orbitali a energia minore, tra loro degeneri, e 2 a energia
maggiore anch’essi tra loro degeneri. Essi saranno separati da una enegia ΔCFS cioè una separazione
dovuta al campo cristallino.
Quindi:
1 Separazione della degenerazione;
2 Rottura della degenerazione;
3 Separazione energetica degli orbitali dovuta al campo cristallino , effetto prodotto dall’interazione degli
orbitali d di un metallo di transizione con i leganti che lo circondano.
Teoria del Campo Cristallino: Ammettendo che la sovrapposizione orbitalica tra leganti e metallo
dia luogo a una interazione di carattere destabilizzante, risultano essere maggiormente
destabilizzati gli orbitali che hanno le componenti lungo gli assi creando cosi una separazione del
campo cristallino. Vi è dunque la combinazione di un’ INTERAZIONE ELETTRSTATICA e una
ORBITALICA.

Una volta formatosi il complesso OTTAEDRICO come si distribuiscono gli e- del M nelle due serie di orbitali
t2g ed eg ?

- 1 elettrone d = Esso occuperà l’orbitale a più bassa energia.


- 2 elettroni d , 3 elettroni d = La loro disposizione segue il principio di Hund : l’ elettrone si disponerà
sull’altro orbitale degenere vuoto evitando una destabilizzazione del sistema causata dalla
repulsione tra più elettroni.
- 4 elettroni d = Nella sua collocazione, il quarto elettrone ha due possibilità:
1. Porsi su un orbitale già occupato risparmiando l’energia dell’orbitale a maggiore energia ma
rimettendoci dal punto di vista dell’interazione elettrone-elettrone osservando la regola di Hund;
Oppure viceversa
2. Occupare il primo orbitale eg risparmiando sull’energia di interazione elettrone-elettrone ma
aumentando l’energia a causa della collocazione su un orbitale a più alta energia.
A seconda del valore del CFS l’elettrone si disponerà seguendo
1. Se CFS grande, pagando l’energia derivante dall’accoppiamento di spin, determinando un
complesso a basso spin, in quanto i 4 elettroni spaiati del M nella formazione del complesso non
restano tali ;
Oppure secondo
2. Se CFS piccolo, determinando un complesso ad alto spin, in quanto i 4 elettroni spaiati del M
restano tali anche nella formazione del complesso.
- 5 elettroni d , 6 elettroni d , 7 elettroni d = La disposizione del quinto, sesto e settimo elettrone
segue l’andamento dell’elettrone 4d in quanto anche in questo caso la loro posizione è strettamente
correlata al CFS.
- 8 elettroni d = La posizione dell’ottavo elettrone fa convergere le due alternative verso un’unica
possibile. Le configurazioni d8 e successive saranno quindi sempre ad alto spin.
Il CFS della geometria ottaedrica (ΔO ) è dovuto all’avvicinamento progressivo dei L che interagiscono
maggiormente con gli orbitali che hanno i componenti lungo gli assi, mentre gli altri tre orbitali sono meno
coinvolti perche hanno i lobi sulle bisettrici.
La geometria quadrato planare si ottiene per progressivo allontanamento dei leganti L posti sull’asse z,
l’effetto prodotto comporta una minor destabilizzazione dell’orbitale dz2 in quanto diminuisce
progressivamente la sovrapposizione Legante-Orbitale.
La geometria tetragonale è dunque assimilabile a quella di ottaedro irregolare in cui due leganti Lz sono a
maggiore distanza rispetto a M. L’effetto descritto in dz2 è analogo ma minore su tutti gli altri orbitali che
hanno una componente z (dyz e dxz) : l’allontanamento di Lz provoca una diminuzione dell’interazione e
dunque una stabilizzazione di questi orbitali che diminuiscono la loro energia.
I restanti 4 leganti non avendo la repulsione dei due Lz possono avvicinarsi maggiormente ad M
determinando un aumento dell’interazione, e quindi della destabilizzazione, sugli orbitali dx2 –y2 , anche
l’orbitale dxy nonostante non sia fortemente coinvolto risentirà comunque di questa interazione.
L’allontanamento definitivo di Lz permette la distribuzione geometrica quadrato planare con un aumento
degli effetti precedentemente descritti e una rottura degenerazionale più complessa in cui ΔSP deriva dalla
separazione orbitalica.
In una struttura tetraedrica gli orbitali non hanno mai un’interazione frontale ma solo diagonale in quanto
posti sui vertici di un tetraedro, non vi saranno quindi due set distinti di orbitali (interazione
frontale/interazione diagonale con i leganti).
Ne risulta un’inversione dell’interazione rispetto a quella caratterizzante una struttura ottaedrica in quanto
gli orbitali maggiormente coinvolti nel processo di sovrapposizione orbitalica saranno i t2g con un CFS pari a
circa la metà di quello ottaedrico. Quindi l’effetto del campo cristallino favorisce la formazione di complessi
ottaedrici piuttosto che di complessi tetraedrici.
DA COSA DERIVA IL CFS?
Effetto nefelauxetico: ci dice se CFS dipende dalla natura del catione considerando una serie di M a
confronto con stessi leganti.
Effettivamente, dal punto di vista elettrostatico, vi è un andamento coerente con dimensioni e cariche dei
cationi: cationi caratterizzati da cariche alte e dimensioni piccole aggregano più stabilmente i leganti
rispetto a cationi grandi con poca carica, causando quindi una maggiore vicinanza con i leganti, cioè un
aumento della sovrapposizione orbitalica, cioè un aumento del CFS.
L’effetto dal punto di vista quantitativo però non è cosi grande ed evidente.
Serie spettrochimica: descrive la variazione di CFS al variare del L nella formazione del complesso ML,
l’effetto in questo caso è evidente ed i leganti vengono ordinati per Δ crescente.
Per quanto riguarda gli alogeni Il CFS risulta avere un andamento coerente con il modello elettrostatico
( dimensioni minori e densità di carica maggiori determinano un CFS elevato)
L’acqua , molecola neutra, dal punto di vista elettrostatico dovrebbe interagire in modo minore con gli
orbitali M rispetto a un anione, in realtà però risulta avere un CFS maggiore.
Cosi come NH3 risulta dare una maggiore interazione orbitalica e destabilizzazione nel complesso rispetto
ad H2O nonostante quest’ultima sia caratterizzata da un lone pair in più rispetto al legante in esame.
(NH3 ha un dipollo orientato grazie al suo unico lone pair che viene dunque indirizzato nel verso
dell’interazione con il metallo)
SCN- con carica negativa su N, ed SCN- con carica negativa su S generano un diverso CFS nonostante vi sia
una parità di specie e carica.
Infine la specie che determina il CFS maggiore è una specie neutra: CO.
L’interazione elettrostatica L-M non spiega in modo sufficientemente adeguato l’origine del CFS, è dunque
necessario tener presente che esistono anche interazioni di tipo covalente.
TEORIA DEGLI ORBITALI MOLECOLARI:

L’interazione di due orbitali atomici identici, cioè


caratterizzati dallo stesso livello energetico, genera
un orbitale molecolare legante e uno antilegante
(maggiormente destabilizzato rispetto al legante) =
descrizione di un legame covalente puro
equamente condiviso.
Se invece vi sono atomi diversi, essi interagiscono
con orbitali molecolari diversi : l’orbitale
molecolare legante sarà più simile per forma,
dimensione ed energia all’orbitale atomico più
stabile e l’antilegante simile per forma, dimensione
ed energia all’orbitale atomico meno stabile
La Δ energia tra orbitali atomici indica il carattere
ionico del legame. Mentre La Δ energia tra
l’orbitale atomico a minore energia e l’orbitale
molecolare legante indica il carattere covalente del
legame.
Se gli orbitali atomici hanno energie molto diverse tra loro l’orbitale antilegante coincide con l’orbitale
atomico a maggiore energia e l’orbitale legante coincide con l’orbitale atomico a minore energia
determinando un carattere covalente del legame pari a zero.

Es. Interazione tra un metallo, descritto dagli


orbitali dello stato più esterno, con 6 leganti
,ognuno dei quali in grado di dare un legame
di tipo Ϭ con il metallo.
L’orbitale sferico s del metallo può interagire
con uno qualunque dei leganti generando i
un orbitale Ϭs e Ϭs* per la teoria degli
orbitali molecolari.
Considerando i tre orbitali p x,y e z ciascuno
di essi può interagire con un legante
portando alla formazione totale di 3 orbitali
Ϭp leganti e tre orbitali Ϭp* antileganti.
Gli orbitali d che danno interazione Ϭ con i
leganti sono quelli che hanno i lobi lungo gli
assi, cioè dz2 e dx2 –y2 , dalla cui interazione
si generano due orbitali molecolari Ϭd e i
corrispondenti Ϭd* . Gli altri tre orbitali d del metallo non essendo coinvolti nell’interazione Ϭ con L
manterranno immutato il loro stato energetico.
Analizzando la sola interazione orbitalica di tipo Ϭ tra gli orbitali di un metallo M e i leganti L nella
formazione del complesso, otteniamo la separazione dei 5 orbitali d del metallo in due sotto set: 3 orbitali a
piu bassa energia e 2 a energia più alta. In questo caso il ΔO non è ascrivibile a ΔCFS ma al carattere
antilegante degli orbitali d nella loro costruzione del modello degli orbitali molecolari.

Lo stesso tipo di rottura della degenerazione degli orbitali d tra la CFS e la teoria degli orbitali molecolari
comporta che le due teorie convergono allo stesso risultato mediante considerazioni differenti.
Maggiore è la sovrapposizione degli orbitali eg del metallo con quelli dei leganti e maggiore sarà la
destabilizzazione di antilegame (e con essa il Δ).
ESEMPI:

[CoF6]3-: Notiamo dalla serie spettrochimica che F- (2s22p6) è caratterizzato da un CFS basso, il complesso
quindi che formerà sarà caratterizzato da un alto spin.
Il Co3+ , 3d74s2 in seguito all’eliminazione di 3 elettroni assume una configurazione 3d6 con 4 e- spaiati
quindi è paramagnetico.
Nella disposizione dei 18 elettroni del complesso , i 6 elettroni del metallo seguiranno la disposizione dei
leganti a campo debole formando un complesso caratterizzato da 4e- spaiati, ovvero lo stesso numero di
elettroni spaiati presenti nel metallo singolo, formando un complesso ad alto spin.

[Co(NH3) 6]3+: Poiché NH3 è un legante a campo forte, che determina quindi un elevato CFS , la disposizione
degli elettroni del metallo porterà alla formazione di un complesso a basso spin.

Un metallo può dare legami Ϭ impegnando gli orbitali che si trovano lungo gli assi (direzione di arrivo dei
leganti),oppure ∏ impegnando orbitali che si trovano lungo le bisettrici del sistema di assi, i quali
interagiranno con gli orbitali p di un atomo.

Se i leganti hanno orbitali con simmetria p pieni (cioè con un lone pair) e a bassa energia ( in quanto in
questo modo possono efficacemente reagire secondo lo schema degli orbitali molecolari) rispetto agli
orbitali t2g del metallo: legami dativi ∏ dal legante al metallo, con conseguente abbassamento del CFS.
Se i leganti hanno orbitali con simmetria p vuoti (e sarà dunque il metallo a disporre del lone pair) e ad alta
energia rispetto agli orbitali t2g del metallo: legami dativi ∏ dal metallo al legante, con conseguente
innalzamento del CFS.
Ciò spiega perche fra i leganti a campo più forte vi siano il CN- e CO: essi si avvalgono della formazione di
legami ∏che comportano un aumento del CFS.

N.B. Δ dipende dalla geometria di


coordinazione e dalle specie leganti
coinvolte. Per uno stesso metallo a
seconda del L Δpuò variare da 15 a 85
kcal/mol.
N.B. Le lunghezze d’onda della luce
vengono assorbite mediante delle
transizioni elettroniche in cui gli
elettroni di un certo livello assorbono
energia e vanno a un livello
maggiore.
Il composto di coordinazione colpito
dalla luce assorbirà quindi energia e
rifletterà un determinato colore a
seconda del Δ giustificando anche il
diverso magnetismo dei complessi.
CN- è un legante a campo forte (CFS
alto , basso spin), di ciò ne risentirà il
complesso in quanto il suo colore
giallo è infatti caratterizzato da livelli energetici di assorbimento alti.
H2O è un legante a campo debole (CFS basso , alto spin), di ciò ne risentirà il complesso in quanto il suo
colore verde è infatti caratterizzato da livelli energetici di assorbimento bassi.
Quindi la rottura delle degenerazione orbitalica spiega le diverse caratteristiche dei composti.

Nel momento in cui vi è la formazione del complesso gli orbitali del metallo risentono della presenza dei
leganti e poiché la destabilizzazione è differente per i 5 orbitali vi è una rottura della degenerazione
orbitalica, se così non fosse infatti ed i 5 orbitali fossero destabilizzati ugualmente dalla presenza dei leganti
avremo una situazione Δ in cui non vi è la rottura della degenerazione.
Rispetto a questa situazione ipotetica gli orbitali t2g risultano essere è stabilizzati di 0,4Δ mentre un orbitale
eg è destabilizzato di 0,6Δ.
Il grafico descritto da un
profilo a doppia gobba,
descrive l’andamento
dell’energia nella
formazione di un complesso
esacoordinato con M
(cationi2+) in funzione della
costante cumulativa β.
Notiamo che i complessi più
stabili risultano essere quelli
caratterizzati da una
configurazione d3e d8.

Poichè ci troviamo a descrivere dei complessi


ad alto spin , nella disposizione degli elettroni
per la formazione del complesso avremo
prima una monoccupazione degli orbitali t2g
ed in seguito la monooccupazione degli
orbitali eg.
n=1 Mettendo un elettrone nell’orbitale t2g
abbiamo un vantaggio nella stabilizzazione del
sistema dovuta al CFS di 0,4.
n=2 Quindi con 2 elettroni su t2g avremo una
stabilizzazione di 0,8 (0,4x2).
n=3 A configurazione d3 avremo dal punto di
vista qualitativo quindi una maggiore stabilità
rispetto ai casi precedenti (0,4x3).
n=4 In d4 per un composto alto spin come
quello in esame, l’elettrone si disporrà su eg
causando una diminuzione della
stabilizzazione di 0,6 che coincide con un
andamento discendente nel grafico.
n=5 In d5 vi è una perfetta compensazione tra
il contributo derivante dalla disposizione su t2g
e quello derivante dalla disposizione su eg quindi non vi è un particolare effetto predominante tra
stabilizzazione-destabilizzazione (livello 0 della curva).

n=8 In seguito si ha stabilizzazione in extra in quanto gli elettroni si dispongono nuovamente su t2g : in d8
avremo nuovamente il massimo della curva.
n=9 In d9 nuovamente tratto discendente della curva perdendo 0,6 in energia.
n=10 A 10 elettroni vi è la nuova compensazione dell’effetto stabilizzante-destabilizzante del campo
cristallino.
La stabilita può derivare da un fattore
entropico, entalpico o dalla
combinazione dei due.
E’ necessario quindi elaborare parametri
di riferimento per previsioni
dell’ENTALPIA nella formazione di un
complesso.
Poiché LE BASI FORTI HANNO GRANDE
AFFINITA’ PER IL CATIONE H+ quindi
potremo presupporre che LE BASI FORTI
HANNO GRANDE AFFINITA’ PER I
CATIONI METALLICI.
Dunque, considerando un semplice
modello elettrostatico, analizzando il
valore dell’energia dei legami dei
complessi , cioè il fattore entalpico,
basandoci su questo principio di
similitudine notiamo che esso non è
sempre vero = SLIDE: I metalli di classe b formano complessi stabili con leganti che possono acquistare
elettroni dal metallo, cioè leganti con orbitali d vacanti.
Ovvero le due classi di metalli formano complessi stabili con diversi tipi di leganti.

Per quanto riguarda l’ENTROPIA dei complessi:


CFS utile anche nella determinazione delle proprietà cinetiche dei complessi.

SN1 è caratterizzata da uno stadio lento della reazione che , caratterizzato da un’elevata energia di
attivazione, consiste nella trasformazione del reagente stesso che perde un legante trasformandosi
nell’intermedio ML5 passando per lo stato di transizione ML5 ---- L .
Analizzando il valore della barriera energetica è possibile prevedere la velocità con cui la reazione avviene.
Perciò paragono gli effetti del campo cristallino del reagente con quello dello stato di transizione: la
differenza di stabilizzazione del campo cristallino favorirà o il reagente (barriera energetica alta) o lo stato
di transizione (barriera energatica bassa).

I valori della stabilizzazione del campo cristallino


per complessi ottaedrici, cioè il reagente nel
nostro esempio, a seconda dell’occupazione
orbitalica in funzione di Δ segue la tabella.
Mentre per quanto riguarda i valori dello stato di
transizione, essi vengono ricavati
sperimentalmente assumendo che esso sul piano

qualitativo risulta essere approssimabile alla geometria di una piramide quadrata ML5 nel caso in cui
l’interazione del legante L che si allontana dal complesso sia trascurabile.
Quindi la piramide quadrata, esemplificazione dello stato di transizione, gode di una extrastabilizzazione
rispetto al sistema ottaedrico in configurazioni del tipo d1 d6 d7 d4 d9 (In particolare nelle ultime due
configurazioni abbiamo un vantaggio massimo) caratterizzate dunque da una maggiore reattività, in quanto
lo stadio lento della reazione di sostituzione monomolecolare procederà più velocemente.
RICORDA: Confronto dell’energia di stabilizzazione del campo cristallino (CFSE) del composto di
coordinazione con il suo complesso attivato (‘’’’ECA’’’)’.
Se CFSE>>ECA il composto reagirà lentamente in quanto CFSE si somma all’energia di attivazione del
processo.
In genere i complessi a numero di coordinazione 4 reagiscono piu rapidamente degli analoghi sistemi
esacoordinati, in quanto attorno all’atomo centrale vi è spazio sufficiente per far entrare un quinto gruppo.
Nei sistemi esacoordinati l’energia di attivazione è fortemente influenzata dalla rottura dei legami metallo-
legante, perciò un’elevata carica positiva dell’atomo ritarda il distacco di un legante. Nei sistemi tetra
coordinati assume maggiore importanza la formazione di nuovi legami metallo-legante , ed è favorita da
un’elevata carica positiva del metallo.
Risulta quindi possibile prevedere il comportamento cinetico dei complessi prendendo in considerazione la
carica e la grandezza del loro atomo centrale: ioni piccoli con carica elevata formano complessi piu stabili
che reagiscono dunque lentamente.
PRINCIPIO HSAB
Una specie con un lone pair è una base di Lewis che può legarsi, tramite legame dativo, con l’acido se
questo ha un orbitale libero formando il addotto acido-base di Lewis.
Non esiste una scala assoluta di acidità e basicità:

Quindi prima avevamo una scala


assoluta per equilibri che avevano
in comune il riferimento in acqua
mentre ora la basicità e l’acidità
non possono essere classificati.
Dato che non vi è una scala
assoluta, allora non c’è un solo
parametro rilevate.

EQUAZIONE DI DRAGO-WAYLAND
Vengono utilizzati acidi e basi
allo stato gassoso perché meno
influenzati dall’ambiente. Il ∆H è
dato da una costante negativa e
due fattori per l’acido e la base.
È una relazione empirica e si
prende come riferimento un
acido (Iodio molecolare) a cui si
assegnano i parametri CA e EA
con valori pari ad uno e si
confrontano a questo tutti gli
altri composti. Analogo per le
basi.

Quindi per descrivere acidità e basicità bisogna considerare quattro parametri (due per A e due per B)
N.B. per descrivere l’affinità fra acidi e basi di Lewis sono necessari almeno
4 parametri, due per l’acido e due per la base (C e E).
N.B. la caratterizzazione dell’acidità come funzione di Z2/r fatta in passato
funziona perché il riferimento è sempre l’acqua con la quale prevale
il termine elettrostatico, almeno per cationi a bassa elettronegatività.

PRINCIPIO HSAB (di Pearson/ Hard and Soft)

Differenza tra principio e teoria: un principio è vero in quanto nessuno può provare la sua non veridicità
mentre una teoria per essere tale deve avere delle basi matematiche che ne definisca la validità.

Consideriamo A-B=CH3COOH
In generale consideriamo l’acido acetico come un acido costituito dall’anione acetato che funge da base ed
il catione H+ che funge da acido con produzione di CH3COO- e H+. Se in una reazione l’acido acetico non
mette in gioco l’H+ perché vi è la rottura C-C allora consideriamo questo formato da CH3+ e COOH-.
Analogamente la scissione potrebbe generare la stessa specie con carica opposta CH3- e COOH+ anche se
non si sviluppano nella reazione (perché stiamo cartochimica). Questo è valido per ogni reattivo ed è
dunque importante il concetto di acido e base di Lewis perché applicabile a tutte le classi di reazione.
Dunque qualunque reazione chimica può essere considerata una reazione acido/base. Il modo in cui si
rompono i legami prescinde dal meccanismo reale della reazione, cioè nella rottura e nella riformazione di
legami si può formalmente individuare una specie acida ed una basica à classificazione formale.

Pearson ha considerate una serie di basi messe a reagire come nell’esempio. Possiamo pensare a BH+ come
formato dalla base B e dall’acido di Lewis H+. l’H+ si lega all’H2O mentre B a CH3Mg. Quindi i prodotti
possono essere considerati un acido di Lewis il primo ed una base di Lewis il secondo. Perciò da acido e
base di Lewis si formano ancora acidi e basi di Lewis.
Da questa reazione Pearson classifica le basi in due categorie in cui nella prima fanno parte le basi che
spostano a destra l’equilibrio mentre nella seconda quelle che spostano l’equilibrio a sinistra. Non vi è più
quindi un’unica serie di basi. Analogo per gli acidi dove consideriamo una specie AF che reagisce con ioduro
idratato. I prodotti sono AI ed F legato ad acqua. Quindi possiamo immaginare di rompere AF in modo tale
che A sia acido di Lewis mentre F base di Lewis ed I base di Lewis e acqua acido di Lewis. Formalmente
abbiamo addotti acido/base di Lewis che reagisce con addotto acido/base producendo altri due addotti.
Quindi: reazione tra due addotti acido/base nella quale si rompono legami che portano alla formazione di
altri due addotti che si andranno poi a combinare formando altri due addotti di Lewis.
Gli acidi che spostano l’equilibrio a destra fanno parte della prima classificazione mentre quelli che lo
spostano a sinistra fanno parte della seconda. Qualunque altro addotto acido e base che si voglia prendere
come riferimento, anche se non si spostano come prima, mantiene lo stesso comportamento tra acidi e
basi (o tutti a dx o tutti a sx). Quindi tutte le specie di una stessa categoria si comportano nella stessa
maniera:
- Se una base sposta a destra l’equilibrio reagendo con una determinata sostanza, allora tutte le basi
della stessa categoria, reagendo con quella sostanza, spostano l’equilibrio a destra
- Se una base sposta a sinistra l’equilibrio reagendo con una determinata sostanza, allora tutte le
basi della stessa categoria, reagendo con quella sostanza, spostano l’equilibrio a sinistra.
Analogo per gli acidi. Pearson ha così classificato gli acidi e le basi in due gruppi Hard e Soft (acidi Hard,
acidi Soft, basi Hard, basi Soft).
Acidi Hard tendono a legarsi preferibilmente con basi di carattere Hard mentre acidi Soft tendono a legarsi
a basi Soft. Vi è una tendenza e non una certezza perché questo è un principio. Una reazione chimica di
qualsiasi tipo è sempre una reazione in cui vi è la rottura di legami e la conseguente formazione di legami
più stabili. Nel caso di acidi e basi di Lewis se abbiamo addotti di acido basi AH e BS con AS e BH allora nei
prodotti avrò la combinazione favorita. Non è una previsione quantitativa ma è una chiave per leggere la
rottura dei legami.
BORDERLINE= serie di specie che non si comportano in nessuno dei due modi (aggiungere Cd+1)

Se confrontiamo queste specie con quelle raccolte precedentemente (Tabelle pag ½) notiamo che si tratta
di specie con caratteristiche opposte. Acidi di tipo Hard hanno per lo più atomi accettori con raggi atomici
piccoli, numero di ossidazione elevato (≥3), bassa elettronegatività e bassa polarizzabilità. Al contrario acidi
Soft hanno accettori grandi, basso n.o., alta elettronegatività ed alta polarizzabilità.

ACIDI HARD: hanno per lo più atomi accettori piccoli (r < 90 pm), alto n.o. (≥ +3),
bassa elettronegatività (0.7 ≤ c ≤ 1.6) e bassa polarizzabilità.
Non hanno coppie di elettroni nello strato di valenza.

ACIDI SOFT: atomi accettori piuttosto grandi (r > 90 pm), basso n.o. (+1 o +2 ),
alta elettronegatività (1.9 ≤ c ≤ 2.54) e alta polarizzabilità.
Spesso hanno coppie di elettroni (p o d) nello strato di valenza.
INOLTRE PER BASI CON DIVERSI ATOMI DONATORI SI
OSSERVA DI NORMA IL SEGUENTE ORDINE DI STABILITÀ:
N >> P > As > Sb
Acidi HARD (o di classe a) O >> S > Se > Te , F > Cl > Br > I , N << P > As > Sb
Acidi SOFT (o di classe b) O << S < Se ≈ Te, F < Cl < Br < I

Analogamente le basi Hard legano prevalentemente con F,N,O mentre quelli Soft con C ,P, As e altri non

metalli.

LEGANTI BASICI HARD

F, N, O (sono gli atomi donatori più elettronegativi: 3.44 ≤ c ≤ 3.98), poco polarizzabili, difficili da ossidare

e piccoli (ranionico ≈ 120 pm). Non hanno orbitali a simmetria p vuoti.

LEGANTI BASICI SOFT

Tipicamente hanno atomi donatori C, P, As, S, Se, Te, Br, I, H (come H–).

Sono non metalli, non molto elettronegativi (2.1 ≤ c ≤ 2.96), polarizzabili, facili da ossidare e di dimensioni

grandi (ranionico > 170 pm).

Spesso dispongono di orbitali a simmetria p vuoti.

Le caratteristiche Hard e Soft di acidi e basi non sono assolute, cioè non tutti devono avere per forza le
stesse caratteristiche ma potrebbe averne solo alcune tipiche di uno o dell’altro gruppo.

a) Osserviamo singolarmente le specie. Nb ha carica 5+ ed è dunque Hard, S è abbastanza


polarizzabile, non metallo dunque Soft, Hg ha n.o. 2+ ed è di grandi dimensioni con elettroni
lontano dal nucleo e perciò molto polarizzabili ed è dunque Soft, O è Hard perché piccole
dimensioni e molto elettronegativo. Dai prodotti osserviamo che la reazione è favorita a destra
perché Pearson afferma che in una reazione chimica di acidi e basi di Lewis la combinazione
favorita è quella con AH-BH e AS-BS.
b) La è grande ed ha carica +3. Con poche eccezioni tutti gli ossoanioni (basi ossigenate) sono Hard,
CO3 è quindi Hard. Tl ha n.o. +3 ed è soft, questo è un caso particolare perché solitamente ha n.o.
+3 (Hard); non ha prevalentemente caratteristiche Hard o Soft. S è soft. Dai prodotti osserviamo
che la reazione è favorita a sinistra.
c) Per prima cosa individuiamo i legami che si rompono. Dato che il fluoruro lo ritroviamo dopo allora
si rompe il legame tra metile e magnesio. Successivamente il magnesio si andrà a legare con il
fluoro. Quindi il catione è MgF (acido) e l’anione è CH3 (base). poiché tutti i carboanioni sono soft
allora CH3 è una base Soft. Se in MgF consideriamo l’atomo di magnesio, questo è 2+ ed è un atomo
di piccoli dimensioni con orbitali s trattenuti dal nucleo e dunque poco polarizzabili, caratteristiche
Hard; analogo F quindi nel complesso è un acido Hard. La reazione è favorita a destra.
d) Cd è tra le specie Borderline. Non siamo dunque nella condizione di poter applicare il principio di
Pearson nella sua forma base. Se vi è più di un acido di una base soft, l’acido piu soft preferisce la
base piu soft e l’acido meno soft preferisce la base meno soft. à estensione principio di Pearson

Nel caso di specie Hard consideriamo il


concetto di forza di acidi e basi. Vi è un
eccesso di specie Hard dunque non si può
applicare il principio Hard and Soft
(indipendenti da quelli di forza di acidi e
basi). La combinazione tra K+ e ClO4- dà
luogo ad una specie poco solubile che ci dic
che l’equilibrio è spostato verso destra. SO3-
è un caso raro di anione ossigenato Soft.

Questo grafico mette in relazione diversi leganti


(azotati, ossigenati, azotati e solforati ecc) quindi
modula le caratteristiche Hard and Soft di queste
specie nei confronti di una serie di cationi. Mostra
l’esistenza di una tendenza comune verso una
stabilità crescente delle specie. Queste curve si
intersecano in un determinato punto oltre il quale
il loro andamento si inverte. Quindi le curve che a
sinistra del punto erano le più alte a destra
saranno le più basse mentre le più basse a sinistra
saranno le più alte a destra. Le curve intermedie
rimangono invariate.
Quando non abbiamo quattro termini ma solo tre è possibile che una base o un acido forte ne spostino uno
debole in apparente violazione del principio HSAB

Per esempio la base che reagisce con HF è più soft e più basica quindi sposta F anche se è Hard. Situazione
analoga nel seguente dove nonostante OH- sia Hard preferisce legare l’acido Soft (MeHg+) in modo
migliore rispetto al solfito che è soft. Se queste specie vengono inserite in una competizione acido e base è
applicabile il principio.

Simbiosi: se in un certo sito acido o


basico vi sono sostituenti Hard allora
rende il centro atomico più Hard
mentre se il sostituente è Soft rende il
centro atomico più Soft. Nella prima
reazione l’equilibrio è spostato a
sinistra. Nel secondo caso la presenza
di F sostituente Hard rende l’atomo di
Boro Hard mentre la presenza
dell’idruro con il boro lo rende Soft.
L’equilibrio è favorito a sinistra.

La reazione tra KCl e AgNO3 è favorita verso


destra perché vi è la formazione di precipitato.
Potremmo scrivere la corrispettiva reazione
(sbagliata)Hard and Soft in acqua. Tuttavia
questa non è la stessa perché non vi è la
rottura degli analoghi legami nonostante sia
favorita a destra. Se cambiamo la natura del
solvente (ammoniaca), la reazione avviene. Il
principio di Pearson ci permette dunque si
prevedere l’esito di qualsiasi reazione e la sua
cinetica.
REAZIONI DI OSSIDO-RIDUZIONE
Le reazioni di ossido-riduzione sono reazioni in cui vi è una variazione del numero di ossidazione di uno o
più elementi.
I due sistemi (ossidante e riducente) costituiscono delle semireazioni. Tuttavia queste non hanno significato
se prese singolarmente, perciò una reazione di ossidoriduzione può avvenire solo se in presenza di una
reazione ossidante (che acquista elettroni) vi è anche una reazione riducente (cede elettroni).
In una reazione di questo tipo si ha il trasferimento di elettroni da un sistema all’altro tramite un contatto
elettrico che produce lavoro elettrico.

È l’equazione principale delle reazioni di ossidoriduzione, in quanto ne esprime il potenziale.


Sappiamo che ∆G = -nFE allora ∆Gº = -nFEº
∆G= ∆Gº + RTlnKeq
Eguagliando queste due condizioni e dividendo per nF ottengo:
E = Eº - (RT/nF) lnKeq
Dove n è il numero di elettroni scambiati
F è la costante di Faraday
Eº è il potenziale standard
I potenziali standard sono misurati rispetto all’elettrodo standard a idrogeno (elettrodo di riferimento), per
il quale è stato convenzionalmente assegnato il valore zero per il potenziale standard
Dato che ∆G è una variazione di stato, questa dipende esclusivamente dallo stato iniziale e da quello finale,
sarà uguale alla somma dell energia libera di ogni singolo stato. A differenza di questo il potenziale non è
una funzione di stato e non gode della proprietà additiva.
L’equazione che esprime la relazione tra Keq e Eº è:
LogKeq= (E1º-E2º)n/0.0592
Dove Eº1= semireazione di riduzione
Eº2= semireazione di ossidazione
Da questa equazione capiamo che maggiore è il numero di elettroni scambiati, e più grande è la la costante
di equilibrio.
Se consideriamo un processo semplice in cui vi è una specie che si ossida ed una che si riduce,il numero
minimo di elettroni scambiati deve essere uguale ad uno e per avere una redox la Keq deve essere
maggiore uguale di 0,3. Considerando quindi ne=1 e Keq > 10ˆ(-5), allora la differenza tra i potenziali
standard è almeno di 0.3 Volt.
(E1º-E2º) ≥ 0,3V
Ci sono differenti tipi di elettrodi con caratteristica equazione di Nernst:

Riduzione di un catione Una specie che


metallico a metallo ridotto partecipa è allo
stato gassoso

Metallo a
Tutte le specie che contatto con un
partecipano alla suo compost
reazione sono specie poco solubile ed
presenti in soluzione immerse in una
soluzione
contenente ioni
a comune
La reazione di ossidoriduzione può essere utilizzata per fare una titolazione. Titolare
significa aggiungere la quantità stechiometrica esatta affinché si arrivi al punto di
equivalente (dove ho eguali quantità di titolante e titolato). Grazie a un sistema indicatore possiamo
fermarci al punto di equivalenza.

REAZIONI POTENZIOMETRICHE

Quando arriviamo al punto di equivalenza varia il potenziale (mentre nelle reazioni acido-base vi è
un cambiamento di pH). Nel P.E. riducente e ossidante sono uguali al prodotto tra il rapporto dei
coefficienti a e b e il loro corrispettivo. Se metto a rapporto le due equazioni trovo che il rapporto tra il
prodotto degli ossidanti e quello dei riducenti è pari ad uno.
Man mano che procede l’aggiunta, le due semicoppie di reazione coesistono. Al punto di equivalenza ci
sono tutte le specie presenti nella reazione (Ox1,Rid1,Ox2,Rid2), quindi, dato che ho sia la forma ridotta
che quella ossidata delle due specie, posso calcolare il potenziale indifferentemente utilizzando l’equazione
di Nerst per la specie 1 e per la specie 2. Al punto di equivalenza:
• Per la specie 2: Eeq= Eº2+ 0,0592/n2 log ([Ox2]/[Rid2])
• Per la specie 1: Eeq= Eº1+ o,o592/n1 log ([Ox1]/[Rid1])
Successivamente moltiplico la prima equazione con a e la seconda con b per poi sommarle. Ottengo tra i
risultati il rapporto tra i prodotti degli ossidanti e dei riducenti che è pari ad uno ed ottengo un’equazione
che mostra che data una reazione redox, che utilizzo per fare una titolazione, il potenziale al punto di
equivalenza è dato dalla media pesata dei singoli potenziali standard. Tale relazione è sempre valida al
punto di equivalenza, qualunque siano i coefficienti a e b e qualunque sia la natura del riducente e
dell’ossidante.
Dall’equazione si evince che:
Se a=b (in particolare uguale ad uno) allora il potenziale dell’ossidante è più grande rispetto al potenziale
del riducente. Man mano che procedo con l’aggiunta del titolante, il potenziale dell’ossidante tende a
diminuire mentre quello del riducente ad aumentare cosi che nel P.E. il valore della differenza di potenziale
sarà un valore intermedio tra questi.
Se a≠b il potenziale del P.E. sarà spostato verso il potenziale maggiore o quello minore, non è più
intermedio.
Quindi se la titolazione avviene aggiungendo l’ossidante (che ha potenziale più alto) ad una soluzione di un
riducente, allora il potenziale della soluzione aumenta sempre più all’aggiunta dell’ossidante. Se la
titolazione avviene aggiungendo il riducente ad una soluzione di un ossidante, allora il potenziale della
soluzione diminuisce sempre più all’aggiunta del riducente. È chiaro guardando l’equazione di Nerst poiché
l’ossidante è al numeratore e il riducente al denominatore.
Quindi la titolazione di una specie nota a potenziale standard noto con un’altra specie nota a potenziale
standard noto (cioè la premessa necessaria per fare una titolazione poiché devo conoscere sia il titolante
che il titolato), posso calcolare il potenziale al punto di equivalente tramite la media pesata dei singoli
potenziali standard.
Tuttavia una volta raggiunto il potenziale nel punto di equivalenza bisogna cessare con l’aggiunta del
titolante poiché la titolazione è giunta al termine. Il valore del potenziale al punto di equivalenza è indicato
da un indicatore cromatico che cambia colore nel momento in cui viene raggiunto il potenziale nel P.E.

In che modo posso scegliere l’indicatore colorimetrico?


Questo deve essere una sostanza sensibile alla variabile
della reazione.
L’indicatore avrà una forma ossidata, prende un certo
numero di elettroni e si trasforma in una specie ridotta
che avrà una colorazione differente. Questa
semireazione avrà un valore di potenziale della soluzione
che impone il rapporto tra la quantità di forma ossidata
e la quantità di forma ridotta (IndOx/IndRid).
In generale in una soluzione se ho due soluzioni colorate
l’occhio riesce a percepire il colore della forma con
concentrazione che prevale su una delle due forme di un
ordine di almeno dieci volte. Perciò se prevale la
concentrazione dell’ossidante sul riducente di almeno
dieci volte, percepisco il colore rosso della forma
ossidata, viceversa se prevale la concentrazione del
riducente, di almeno dieci volte, percepisco il colore blu
della forma ridotta. (quindi nel primo caso il rapporto
IndOx/IndRid sarà maggiore di 10 e nel secondo minore
di 0.1).
Possiamo quindi scrivere che 0,1< IndOx/IndRid<10
Perciò considerando il logaritmo posso affermare che questo oscilla tra i valori di -1 e +1
-1< log(IndOx/IndRid)<+1
posso quindi giungere alla relazione:
E= EºInd +- 0.0592/n
Durante la titolazione la reazione cambia il suo potenziale, tuttavia con l’aggiunta del titolante, questo
andrà a reagire con l’indicatore (che passa dalla forma indissociata a quella dissociata o viceversa). Quindi
per avere un errore accettabile l’ indicatore deve essere aggiunto in minime quantità (2-3 gocce).
A seconda del valore del potenziale al P.E. , che dipende dai coefficienti a e b e dai valori Eº della forma
ossidata e ridotta, dovrò scegliere un sistema indicatore che abbia un potenziale standard di transitione
simile al valore del potenziale della soluzione al punto di equivalenza.
La variazione cromatica avviene in una variazione di potenziale pari a +0,0592/n quindi se ossidiamo una
sostanza riducente con un certo valore di potenziale (utilizzo un ossidante come titolante), questo durante
la titolazione tende a salire fino a raggiungere il P.E. dove si registra un salto di potenziale, registrato
dall’indicatore che provoca il cambio del colore. L’ossidante da utilizzare deve essere abbastanza forte, cioè
con potenziale standard maggiore di 0,3.

Quindi abbiamo chiarito


• Come scegliere l’ossidante ed il riducente, se devo fare un’ossido-riduzione (in base ai valori di Eº)
• Come può essere utilizzata la reazione completa per fare una titolazione potenziometrica, il cui
potenziale al punto di equivalenza si calcola come sopra e mi permette di determinare un indicatore
cromatico, cioè quello con potenziale più vicino al valore calcolato del potenziale al punto di
equivalenza.

N.B: conoscere il valore dei potenziali standard dei semielementi è molto importante per determinare
l’avvenire di una reazione e per poter calcolare il potenziale al P.E.
Tuttavia questi non sono sempre determinabili poiché potrebbero esserci alcuni fattori di disturbo quali
una reazione troppo lenta, troppo veloce o una reazione collaterale che portano alla formazione di una
forma instabile.

Per esempio, considerando il Cu2+


che passa a Cu+ (potenziale
calcolabile) non possiamo fare la
semireazione riducente da Cu+ a Cu
dato che Cu+ è instabile e non si può
quindi calcolare il potenziale
elettrodico della semicella. Tuttavia
quando il potenziale di una semicoppia
non è determinabile per l’instabilità
della forma ossidata o ridotta, il suo
valore può essere calcolato per via
termodinamica. Infatti mentre ∆Gº ha
valori additivi, ∆Eº no poiché entra in
gioco il numero di elettroni scambiati.

Quindi possiamo combinare i valori di ∆Gº di semireazioni in cui sono noti i valori di Eº per ricavare l’Eº
ignoto il cui valore non è sperimentalmente accessibile. Perciò Per il calcolo del potenziale di una
semicoppia si combinano fra loro le semicoppie di cui sono noti i valori dei potenziali, in modo che la loro
somma o la loro differenza dia il potenziale della semicoppia in questione.

Queste impostazioni ci permettono di ricavare dai diagrammi di Latimer i valori dei potenziali Eº per i
diversi elementi e di ogni semicoppia.
Esempio con Iodio:

Acido periodico con n.o. 7


Iodato con n.o. 5
n.o. 3 non è rappresentato
Acido ipoiodoso n.o. 1
Iodio molecolare n.o. 0
Ioduro n.o. -1

I numeri indicati su freccia indicano i valori di Eº per ogni passaggio. Lo iodio per passare sa HIO a I2
impiega un potenziale di 1.45, per passare da I2 a I- impiega 0.54. Può tuttavia passare direttamente da HIO
a I- con un potenziale di 0,99. Quando lo iodato passa direttamente a ioduro il valore di Eº quanto vale? Io
posso scegliere di fare il passaggio per arrivare allo ioduro passando per qualsiasi sequenza di questi stadi
intermedi e combinare il ∆G totale come somma dei ∆G intermedi. Per esempio il ∆Gº dallo iodato allo
ioduro, considerando che ci sono 6 elettroni in gioco, posso esprimerlo come combinazione del ∆Gº da
iodato a iodio molecolare e del ∆Gº dello iodio molecolare a ioduro. Sostituisco poi la variazione
dell’energia libera con il prodotto nFEº e trovo il potenziale ignoto. Tale somma posso farla in svariati modi,
per esempio sarebbe stato possibile sommare il potenziale da iodato a acido ipoiodoso e quello da iodio
molecolare a ioduro.
Consideriamo il diagramma di Latimer semplificato:

Tale diagramma ci mette in condizioni di domandarci: “La riduzione di A produce B,C,D o E?”
Per ridurre A considero Eº. Se il potenziale per produrre C è maggiore rispetto a quello per produrre B
allora A reagisce direttamente per dare C e così via. Questo perché tanto maggiore è Eº tanto maggiore
sarà ∆Gº (indica la spontaneità di una reazione), quindi il processo sarà più favorito. Si forma perciò il
processo più stabile, ovvero è favorito il processo che comporta la variazione di energia libera più
favorevole.
Sono reazioni in cui uno stesso elemento funge da ossidante e riducente di se stesso. Prendiamo l’esempio
del rame.
Quando facciamo una soluzione e poniamo un soluto in un solvente, ci aspettiamo che questo si sciolga.
Tuttavia non è detto che il soluto sia stabile ed uno dei motivi di instabilità può essere un fenomeno di
disproporzione. In generale un composto è tanto più stabile verso la disproporzione quanto più la Keq è
piccola.

Quando pongo una sostanza in soluzione devo tenere conto se questa è un ossidante o un riducente al fine
di compiere in modo giusto la mia reazione (se voglio avere precipitato, complessazione, idrolisi ecc e non
tengo conto della natura ossidativa e riducente potrei ottenere dei fallimenti). Devo quindi determinare i
fattori da cui dipende il valore del potenziale in modo da poter agire su quelle variabili e modificarne il
valore al fine di fare o non fare avvenire la reazione. Quindi in generale come si influenza il potenziale di un
elettrodo in maniera efficace?
a) Sicuramente la temperatura poiché Eº e 0,0592 sono valori calcolati a T=25º. Da questa equazione si
vede che Eº è una caratteristica della specie perciò il potenziale varia con: La concentrazione analitica
delle specie attive. Se la concentrazione della forma ossidata è uguale alla concentrazione della forma
ridotta allora il rapporto sarà uguale ad uno e, dato che il log1 è uguale a zero, E sarà uguale ad Eº. Se
alteriamo il rapporto di 100 volte il log diventa log100=2 e perciò la variazione sarà di 0,12 V. Questa
non è una variazione significativa tuttavia se noi volessimo farla potremmo variare questo rapporto di
vari ordini di grandezza.
b) Forza ionica. Considerando la forza ionica è meglio lavorare con le attività.
c) Il pH. Quando H+ o OH- entrano nell’espressione del potenziale allora anche la loro variazione
diventa una variabile da poter utilizzare. Per esempio gli ossoanioni si presentano tipicamente come
forma ossidata e passano a forma ridotta mettendo in gioco un certo numero z di H+ ed un numero n di
elettroni scambiati. L’equazione di Nernst è mostrata in figura. Fissato T e la concentrazione della
forma ossidata e ridotta, tutto diventa una costante e il potenziale viene a dipendere dal solo termine il
quale alla variabile pH associa un moltiplicatore che è -0.0592xz/n. Quindi in una semireazione in cui
compaiono z H+ e si scambiano n elettroni, il potenziale di quella reazione varia con il pH, con il
coefficiente angolare -0.0592xz/n. Per esempio il nitrato che si riduce ad ossido di azoto con il rame
(esempio su slide), questa reazione avviene in ambiente acido poiché solo in questo modo il potenziale
del sistema nitrato sale al punto tale da poter ossidare il rame . Quindi più vado in ambiente acido più
aumenta il potenziale. Il pH è quindi una variabile che ci permettere di avere un dato valore di
potenzaiale. La forma ossidata o la forma ridotta possono essere forme acide o basiche quindi la loro
concentrazione viene determinata dal pH non solo perché entrano in soluzione H+ ma anche da
ossidante e riducente che possono essere forme protolitiche e fare idrolisi.
d) Presenza di agenti complessanti o precipitanti. Per mascherare l’attività ossidante o riducente della
specie è formare dei complessi di quella specie in modo da cambiare la concentrazione attiva delle
specie in soluzione e quindi il potenziale.
e) Il solvente. Dato che è una sostanza chimica, cambiare solvente vuol dire cambiare l’attitudine
ossido riduttiva delle specie quindi in solventi diversi non possiamo far riferimento ai potenziali
standard delle nostre tabelle.

DIAGRAMMI DI POTENZIALE DI pH
Nel momento in cui utilizziamo una sostanza per un certo equilibrio e la poniamo in acqua, andiamo in
contro ad alcuni quesiti:
• La sostanza è stabile o no alla disproporzione?
• La sostanza è stabile all’ossidazione o alla riduzione rispetto all’acqua? Cioè il solvente è un agente
chimico che può ridursi o ossidarsi. Se una sostanza in soluzione ossida l’acqua allora si produce
ossigeno (gas). Se la sostanza riduce l’acqua si sviluppa gas idrogeno. Perciò una sostanza sciolta in
acqua è stabile in soluzione acquosa? Se è ossidante è in grado di ossidare l’acqua?
Z ed n sono entrambe 4 quindi si semplificano e rimane: E=Eº-0,0592pH
Questa non è altro che una retta con pendenza di -0,0592 e che interseca l’ordinata di Eº (1,23) e l’ascissa
del pH iniziale. Per avere l’ossidazione dell’acqua, o di una specie in generale, devo utilizzare un ossidante
che abbia potenziale maggiore rispetto alla specie da ossidare. Quindi una specie che colloca il proprio
potenziale nella zona superiore alla retta (zona di instabilità) provoca l’ossidazione dell’acqua, cioè quel
soluto non è stabile in soluzione acquosa.
Possiamo fare un ricorso analogo per la riduzione. Consideriamo la reazione di riduzione dell’acqua; dato
che Z ed n sono entrambi due: E=Eº-0,0592pH
Rappresenta una retta con pendenza -0.0592, sarà quindi parallela alla retta di ossidazione. Quando il pH è
uguale a zero, il potenziale è uguale a zero. Per ridurre una specie devo utilizzare un riducente con
potenziale minore rispetto a quello dell’idrogeno in modo da ottenere la riduzione del solvente. Quindi
sostanze riducenti sono instabili quando collocano il proprio potenziale nella parte inferiore della retta.

Per avere una specie stabile in H20 il suo potenziale deve collocarsi nella zona compresa tra le due curve.
Se tale potenziale viene a collocarsi al di sopra della retta blu, allora cade nella zona di instabilità degli
ossidanti, se viene a collocarsi al di sotto della retta rossa, allora cade nella zona di instabilità dei riducenti.
Esempio: una soluzione acquosa 1M si Ag+ (Eº=0.80V) è stabile alla riduzione fino a pH=7 poiché,
localizzato 0,8 sull’asse del potenziale e traccio linea orizzontale fino ad incontrare una delle due rette.
L’intersezione (con la curva blu) avviene a pH superiori a 7 e si ha dunque l’ossidazione dell’acqua con
formazione di O2. Tuttavia aumentando il pH ciò non accade poiché l’Ag+ è un catione acido perciò
idrolizza, per cui la concentrazione di Ag+ diminuisce in soluzione e dato che il potenziale dipende dalla
concentrazione della specie, diminuisce anche questo. Nel grafico l’Ag+ non sarà più espresso da una retta
orizzontale ma ad un certo punto diminuisce progressivamente il suo potenziale all’aumentare degli ioni
OH- in modo da non intersecare la retta di ossidazione.
Diagrammi che considerano varie tipologie di specie rappresentative in funzione del pH (come il pH può
modificare il potenziale). Trascuriamo la formazione di idrossocationi intermedi.

Esempio 1
Metallo con un solo stato di ossidazione e che può precipitare l’idrossido

In una situazione sufficientemente acida, che non determina la precipitazione dell’idrossido, il Cd2+ è in
soluzione come ione. Acquista due elettroni e si riduce a Cd metallico il cui potenziale è espresso in figura.
Dato che stiamo considerando una concentrazione 1M, il log di 1 è pari a zero e perciò E=Eº. Tale
situazione viene indicata nel grafico come una retta orizzontale fino a giungere al punto di inizio
precipitazione dell’idrossido. Calcolo il pH di precipitazione dell’idrossido e traccio una linea verticale in
corrispondenza di questo per indicare la precipitazione. Da questo valore in poi la semireazione passa
ancora da Cd 2+ a Cd ma il Cd è presente sotto forma di idrossido quindi il Cd(OH)2 acquista due elettroni e
si riduce a Cd metallico. La concentrazione di Cd può essere espressa come Ks/[OH-]^2 cioè tenendo conto
del prodotto di solubilità dell’idrossido di Cadmio; inoltre essendo Z=2 e n=2, il potenziale del sistema varia
linearmente con pendenza di -0.0592.
Quindi se pongo in soluzione un soluto che impone E>-0,4 ho in soluzione Cd2+, se il soluto impone E<0,4 il
Cd2+ si riduce a Cd ( perché il potenziale del sistema Cd2+/Cd è maggiore rispetto al potenziale del soluto
aggiunto) e man mano che il potenziale del soluto diminuisce le proprietà ossidati del Cd2+ diminuiscono
poiché si forma l’idrossido. Posso quindi scegliere un valore di pH per ottenere un determinato potenziale
per far si che avvenga o meno una certa reazione.
Esempio 2
Metallo con un solo stato di ossidazione che può avere formazione di idrossoanioni.

Fino a pH 13 ci troviamo in una situazione


analoga a quella di Cd, cambia solo il pH di
precipitazione i valori di potenziali. A pH
sufficientemente elevati giungiamo alla
formazione di zincati. Lo ione zincato passa a
zinco metallico acquistando 2 elettori e 4H+.
La pendenza della curva è quindi z/n per -
0.0592 (-2x0.0592).

Esempio 3
Metallo che può avere più di un numero di ossidazione e due idrossidi insolubili

A pH molto acido abbiamo la possibilità di avere ioni Fe2+ e ioni Fe3+ in soluzione. Il Fe3+ si riduce in
soluzione a Fe2+ e precipita a pH acidi producendo idrossido ferrico ed esprimiamo la sua concentrazione.
Anche l’idrossido ferroso precipita ma a pH più basici.Z è uguale a tre e n è uno quindi la pendenza sarà di
3x0.0592.
Questo grafico ci mostra come a seconda del pH e del potenziale posso determinare cosa sia presente in
quella soluzione (solo ferro due, ferro tre, precipitato di idrossido ferrico ecc).
Esempio 4
Non metalli che non formano precipitati, ma hanno più di due stati di ossidazione.
Per ogni stato di ossidazione e per ogni specie dobbiamo considerare tutte le semireazioni che portano da
uno stato di ossidazione all’ altro, data la complessità di questa situazione considero un diagramma
semplificato in cui riportiamo solo alcuni numeri di ossidazione (nel caso del Cloro +1,0,-1).

• z=n=2 quindi la pendenza della retta è -0,0592, avviene a pH acido. Da 1,63 retta con tale pendenza
• z=1 n=2 quindi la pendenza della retta è -1/2 0,0592, quindi da 1,5 parte una retta meno pendente
rispetto alla precedente
• z=0, n=1 quindi retta orizzontale fissata ad 1,36
• z=n=2 quindi la pendenza della retta è -0,0592.
La reazione di dissociazione dell’acido ipocloroso è indicato dal tratto parallelo all’asse delle ordinate,
divide la zona di predominanza della forma indissociata (HClO) dalla zona di predominanza della forma
dissociata (ClO-)
Poiché la retta a ha intercetta (punto di intersezione con asse y) maggiore della retta b e maggiore
pendenza, le due rette si incontrano in un punto oltre il quale il Cl2 disproporziona (sistema redox descritto
dal secondo equilibrio). Il grafico evidenzia che a pH nettamente acido HClO è migliore ossidante di Cl2 e
che è un ossidante miglio del ClO- (nel suo campo di predominanza).
Solo nella zona tra la retta a e la retta b Cl2 è stabile in soluzione.

Confronto di due diagrammi redox

A pH molto acidi sono presenti in forma indissociata H3AsO4 e H3AsO3 (acido arsenico e arsenioso). L’acido
arsenico può ridursi ad acido arsenioso. La pKa è pari a due perciò tracciamo una linea verticale in modo da
separare le zone di predominanza dell’acido arsenico dalla sua forma indissociata (base coniugata). La
pendenza delle due rette è differente in quanto nel primo caso z/n=1, nel secondo z/n=1/2.
Lo iodio I2 in soluzione, in presenza di ioduro I-, si associa con I- e dà luogo a I3- (iodio ioduro) [si intende
I2]. Il diagramma ci mostra che a pH acidi l’arsenico 5 ossida lo iodio a ioduro, mentre a pH neutri è lo iodio
che, riducendosi a ioduro, ossida l’arsenico 3 ad arsenico 5.
Quindi:
• A pH < 1,5 : il sistema As5+/As3+ ha un potenziale maggiore rispetto al sistema I2/I- (quindi As5+ ossida
lo iodio a ioduro)
• A pH< 1,5 : lo iodio ha un potenziale maggiore perciò ossida l’arsenico.
Diagramma in presenza di uno ione estraneo che forma specie poco solubili o
complessi

Da questo diagramma si evince che per avere una soluzione contenente ferro 3+ bisogna operare in zone
con ph molto acido (perché se superiamo questo valore precipita idrossido), ma in queste condizioni il ferro
3+ è in grado di ossidare lo ioduro a iodio (perché ha potenziale maggiore). Perciò se la mia esigenza è
quella di avere in soluzione ferro 3+ e ioduro, il diagramma ci mostra che non è possibile poiché a ph acido
si riduce lo iodio mentre a pH superiori precipita il ferro. Possiamo però mascherare il ferro, per esempio
introducendo EDTA che è in grado di complessare sia ferro 3+ che ferro 2+. Di conseguenza la
concentrazione di questa due specie in soluzione diminuisce e dato che il valore di potenziale dipendente
dal rapporto tra le concentrazioni di ferro 3+ e ferro 2+ diminuisce anche questo e la retta di potenziale si
abbassa. Avendo diminuito la concentrazione di ferro grazie all’aggiunta dell’EDTA, allora la precipitazione
dell’idrossido avviene con quantità maggiori di OH- e perciò il punto che indicava l’inizio della
precipitazione di ferro 3+ si sposta verso destra. Analogamente per Il ferro 2+ che precipitava a ph 7, dopo
l’aggiunta precipita a ph 13, perciò la retta si allunga. Abbiamo quindi una traslazione del grafico in cui il
ferro 2+ e il ferro 3+ sono entrambi in soluzione e non sono stati eliminati ma non influenzano la soluzione
quindi non bisogna necessariamente operare a ph acidi.
Se affrontassimo il problema matematicamente:

Es: posso utilizzare lo iodio per ossidare l’argento? in teoria no perché il potenziale è minore ma,
mescolando iodio e argento abbiamo una reazione di equilibrio. Si combinano per dare precipitato. La
somma dei due processi (iodio e argento metallico che danno precipitato di ioduro di argento) dà una Keq
pari ad 1,2 x 10^-9. Il primo processo è sfavorito ma non è detto che non avviene (I2+2Ag). Infatti i prodotti
hanno una grande affinità a combinarsi e a dispetto della costante sfavorevole fanno si che il complesso si
formi anche se in quantità infinitesime.
I potenziali standard sono ottenuti in base all’elettrodo standard ad idrogeno. Questi potenziali in una
situazione reale difficilmente entrano in gioco così come sono poiché la soluzione potrebbe contenere altre
specie che determinano una situazione differente.
Definiamo quindi un potenziale formale come il valore di un potenziale standard di una semicoppia redox
misurato nei confronti dell’ h.s.e. in condizioni tali che il rapporto delle concentrazioni analitiche ox/rid sia
unitario e che la concentrazione di tutti gli elettroliti presenti sia nota. (valori riprodurcibili).
SPETTROMETRIA DI MASSA
La spettrometria di massa è una delle tecniche analitiche più importanti.
Consente:
• L’identificazione di sostanze incognite
• La determinazione della composizione isotopia (poiché è in grado di isolare i singoli ioni, quindi può
analizzare i diversi isotopi di un elemento)
• La determinazione della struttura
• Fare un’analisi quantitativa
• Studiare reazioni in fase gassosa (cioè molecole prive di solvente, tamponi ed altre specie)
• La determinazione di proprietà chimico-fisiche e biologiche

La spettrometria di massa analizza le sostanze o ioni in fase gassosa, perciò siamo nella condizione di poter
fare delle reazioni chimiche in questo ambiente. La spettrometria è applicabile a tutto: composti organici
ed inorganici, solidi,liquidi e gassosi puri o in soluzione. Un’analisi richiede una quantità di sostanza
microscopiche (µg) al fine di ottenere ioni in fase gassosa. È un sistema di analisi qualitativa molto
dettagliato che lavora sotto vuoto.
Esistono vari tipi di spettrometri di massa, ma tutti funzionano secondo uno schema ben preciso.

- Introduzione e sorgente: dipendono dallo stato fisico del campione


- Sorgente: trasforma il composto in ioni (caratteristici) allo stato gassoso
- Analizzatore: separa gli ioni (diversi tipi per costo e prestazioni)
- Rivelatore: misura la quantità di ciacuno ione
- Elaboratore: fornisce lo spettro di massa (intensità vs m/z)
- Sistema da vuoto: dipende dal tipo di sorgente e analizzatore
Lo spettrometro è costituito da un sistema di introduzione del campione dove il composto può essere già
costituito da ioni o specie neutre. Quindi successivamente la sorgente trasforma il composto in ioni allo
stato gassoso. Una volta ionizzate, le sostanze possono essere analizzate tramite l’analizzatore di massa che
li separa in base al rapporto massa su carica (m/z) e li invia al rivelatore che li riconosce e ne indica la
quantità (di ciascuno ione), producendo uno spettro di massa. Nella zona tra sorgente e analizzatore è tutto
sotto vuoto in modo tale da consentire il passaggio degli ioni.
Quindi: ci sono diversi tipi di sorgenti che producono ioni caratteristici di quella sostanza, portati allo stato
gassoso, che viaggiano sotto vuoto fino ad arrivare nell’analizzatore, dove vengono separati per poi essere
inviati nel sistema di rivelazione. Il tutto viene inviato al computer che elabora uno spettro di massa.

Spettro di massa dell’alcol benzoico (EI 70 eV)


Lo spettro di massa a impatto elettronico costituisce un’impronta digitale per il composto in esame (analisi
qualitativa)
Lo spettro di massa è riproducibile, ma
(entro certi limiti) non prevedibile
Spesso z = 1, quindi m/z = m
Ha una scala di intensità relativa nelle ordinate e il rapporto m/z sulle ascisse. Tutti i segnali sono ioni
caratteristici e riproducibili di questa sostanza, cioè possiamo considerarla come un’impronta digitale
dell’alcol benzilico poiché introducendolo nello spettrometro per poi ionizzarlo ed analizzarlo, troverò
sempre questo spettro di massa. Tale spettro a impatto elettronico ha un EI che indica che questo è lo
spettro che si produce quando un elettrone colpisce una molecola di alcol benzilico allo stato vapore con
energia pari a 70 eV, con conseguente eliminazione di un elettrone dalla molecola (formazione radicale). A
questo punto alcuni ioni si frammentano mettendo in gioco i loro legami più deboli (cioè la molecola si
rompe dove i legami sono più deboli). Perciò il modo in cui la molecola si rompe è caratteristica di tale
molecola , cioè per ogni composto abbiamo diversi spettri di massa poiché ogni molecola ha di propri
legami deboli.
Lo spettro di massa è riproducibile entro certi limiti, non è quindi prevedibile a differenza della risonanza
magnetica nucleare che si può prendere a priori.

RIVELATORI ELETTROMOLTIPLICATORI
Storicamente ci sono stati differenti tipi di rivelatori: lastra fotografica, coppa di Faraday ecc.

Una volta che i flussi di ioni giungono al rivelatore, questo rivela il tipo di ione e ne determina la quantità.
Tuttavia tale flusso è di una quantità molto piccola ed ha bisogno perciò di essere amplificata. Il fascio di
ioni che arriva dall’analizzatore, attraversa una fenditura ed entra in una zona in cui vi sono delle superfici
caricate a potenziale via via crescente, con materiale in grado di sollecitare gli ioni, chiamati dinodi. Quando
il fascio di ioni colpisce la superficie del primo dinodo, provoca la ionizzazione e gli elettroni prodotti da
questa vengono attratti dal secondo dinodo, con potenziale maggiore rispetto al primo. Quando gli
elettroni prodotti collidono la superficie del secondo dinodo, vi è una seconda ionizzazione e vengono
prodotti più elettroni che vengono attratti da un terzo dinodo a potenziale maggiore e così via. Vi è quindi
un effetto di amplificazione tale per cui, dopo un certo numero di dinodi (circa 20) si giunge ad una
corrente elettronica misurabile che viene raccolta dall’amplificatore. (il guadagno è dell’ordine di 10^7).
Perciò la quantità ioni iniziale è infinitesima mentre la quantità di elettroni raccolti dall’amplificatore è
maggiore di sette ordini di grandezza, quantità misurabile. Questo è il principio dell’elettromoltiplicatore,
cioè un fenomeno di amplificazione della corrente elettrica dovuto alla ionizzazione superficiale dei dinodi.
Questi sono dinodi separati, esistono anche diodi continui che, anziché avere una serie di placche,
costituiscono una specie di cornetto:

Il flusso di ioni che arriva


dall’analizzatore urta la cornetta e
rimbalza si una superficie con
gradiente di potenziale che
riproduce il fenomeno di
amplificazione. Sono strumenti più
affidabili ed utilizzati.
ANALIZZATORE DI MASSA

Ci sono differenti tipi di analizzatori di massa che si diversificano per il potere risolutivo
è un dispositivo che separa gli ioni generati dalla sorgente cioè la sorgente genera ioni di vario tipo con
diverso rapporto massa su carica studiati poi dall’analizzatore. Deve essere quindi in grado di separare ioni
con rapporto m/z differente.

Il segnale se ingrandito è rappresentato da curve gaussiane (es alcol benzilico). È uno strumento quindi
come tale può avere fenomeni interferenti ed errori casuali, per cui lo ione, per esempio, con massa 107
non sempre è in quel punto ma il suo valore può variare secondo i valori della curva gaussiana. Perciò dal
punto di vista pratico il segnale non è una linea retta continua. Quindi immaginiamo di andare a vedere lo
ione 107 separato dallo ione 107,2 (non nello spettro benzilico) ma potrebbe creare delle zone di
sovrapposizione. Se due ioni hanno un rapporto m/z leggermente differenti allora i due segnali tendono a
sovrapporsi. Consideriamo uno ione di massa m che differisce da un secondo ione di una quantità pari a
∆m. Il potere risolutivo di uno strumento è determinati dalla separazione dei due segnali parzialmente
sovrapposti, che si dicono quindi risolti. Uno strumento con basse prestazioni avrà un ∆m relativamente
grande mentre uno strumento con migliori prestazioni avrà un ∆m relativamente piccolo. Per ogni segnale
avremo il problema si sovrapposizione, quindi ci domandiamo: “Quando si possono considerare due segnali
parzialmente sovrapposti come risolti (separati)?”
Due segnali si dicono risolti al limite del potere risolutivo se l’altezza della loro sovrapposizione (h) non
supera del 10% l’altezza del segnale (H). [definizione ideale]. In tali condizioni è possibile determinare il
potere risolutivo come R= m/∆m. Gli analizzatori degli spettrometri di massa possono avere valori risolutivi
da 10^2 a 10^6. Più i segnali sono stretti, maggiore è il potere risolutivo dell’analizzatore.

Per uno stesso strumento


con lo stesso potere
risolutivo le masse più
piccole possono analizzare
più dettagliatamente
rispetto alle masse via via
più grandi (con ∆m
maggiore).
ANALIZZATORE A SETTORE MAGNETICO (R≤2000)

Se introduciamo una carica, gli ioni in uscita dalla sorgente vengono fatti passare all’interno di due poli
magnetici e vengono quindi accelerati da un potenziale elettrico. Agisce quindi una forza che fa deviare la
traiettoria della carica. Immaginiamo che dalla sorgente di ioni vengono prodotti ioni con differente
rapporto m/z a cui viene applicata la stessa differenza di potenziale. All’uscita dalla sorgente gli ioni
vengono accelerati ed entrano nell’analizzatore con una determinata energia cinteca data da zeV. Tutti gli
ioni con la stessa carica, acquistano la stessa energia cinetica, ma non hanno la stessa massa. Dato che
l’energia cinetica è definita come 1/2mv^2, affinché tutti abbiano la stessa energia cinetica, gli ioni più
pesanti devono avere velocità minore mentre ioni con piccola massa devono avere velocità maggiore. Tutti
gli ioni che hanno la stessa massa hanno anche la stessa velocità. Quindi gli ioni viaggiano a velocità
differente a secondo della loro massa. Quando gli ioni attraversano il tubo vuoto, riescono ad uscire quelli
per cui la forza di Lorentz imporre quella traiettoria poiché ioni veloci o troppo lenti urtano le pareti non
consentendone l’uscita. Le pareti vengono caricate negativamente in modo tale che gli ioni che urtano con
queste si neutralizzano e vengono ‘prelevati’ dal sistema di vuoto.La sorgente è continuamente alimentata,
genera continuamente ioni e seleziona continuamente ioni. La traiettoria r, cioè il raggio di curvatura,
dipende dall’equilibrio tra la forza magnetica (Bzev) e la forza centripeta (mv^2/r).

Passano solo gli ioni che hanno questo determinato rapporto m/z, ricavato dalla
velocità; quindi modulando il valore del campo magnetico posso far uscire mano a mano ioni con differente
rapporto massa su carica. Il rivelatore quindi sa in che punto dell’ ascissa si trova e conta quanti ioni
arrivano.
L’analizzatore è un magnete permanente con un angolo definito, perciò a seconda di questo gli ioni
verranno deviati in maniera differente.
Quindi: l’analizzatore è continuamente alimentato da ioni, fa passare ioni a massa crescente e misura gli
ioni che arrivano alla sorgente ionica. L’equazione fondamentale mostra che da un analizzatore escono
solamente ioni con un determinato rapporto m/z, una volta fissato il campo magnetico. Tale campo
magnetico viene fatto variare tramite un elettromagnete in modo da collimare gli ioni a m/z via via
crescente, per poi registrare lo spettro.
In corrispondenza di un certo valore di massa ci aspettiamo quindi che tutti gli ioni di quella determinata
massa, con stessa velocità, passino tutti ad un determinato valore del campo magnetico. Tuttavia gli ioni, a
parità di massa, possono avere una velocità poco più o meno grande, con la conseguenza che tale massa
verrà focalizzata con un campo magnetico leggermente più o meno grande. Questo è dovuto dal fatto che
ioni con stessa massa possono avere quantità di moto differente. Perciò la maggior parte degli ioni ha la
velocità giusta, ma man mano che ci allontaniamo troviamo ioni che hanno una velocità differente che
causano l’allargamento del segnale. Dunque i segnali che dovrebbero teoricamente essere delle linee
verticali, sono in realtà curve gaussiane. Questo è il problema legato al potere risolutivo, un modo per
minimizzare tale problema è quello di accoppiare un analizzatore magnetico con uno elettrostatico
(spettrometri a doppia focalizzazione), caratterizzati da un maggiore potere risolutivo (10^5).

L’analizzatore magnetico fu il primo, con potere risolutivo più basso rispetto agli altri. Tutti gli ioni devono
necessariamente essere sottoposti allo stesso potenziale affinché ci sia il corretto funzionamento
dell’analizzatore. Ioni con stessa carica hanno stessa massa, stessa velocità e stessa energia cinetica. Cosi
una volta sottoposti al potenziale vengono deviati dalla forza di Lorentz e solo gli ioni a quel determinato
campo magnetico B riescono ad uscire dall’analizzatore. Il campione è continuamente introdotto nella
sorgente, gli ioni sono continuamente generati ed analizzati uno alla volta (4 ioni su 5 vengono scartati e
solo uno analizzato). Tuttavia parliamo di quantità microscopiche. È essenziale che subiscano lo stesso
potenziale cosi che a parità di carica gli ioni abbiano stessa energia cinetica e gli ioni di pari massa la stessa
velocità. Tuttavia se andiamo ad ingrandire il segnale verticale, questo in realtà si dispone lungo una
gaussiana e si allarga il segnale. Consideriamo la zona della sorgente con molecole ionizzate: le molecole si
muovono cautamente con velocità rappresentata da vettori. Immaginiamo che le molecole ad un certo
punto vengono ionizzate e viene applicato uno stesso potenziale. L’analizzatore magnetico richiede che
questi abbiano stessa energia cinetica. Ipotizziamo che queste siano molecole uguali con stesso potenziale,
ma una molecola che ha una data quantità di moto, nel momento in cui viene ionizzata, conserva tale
quantità di moto a cui viene aggiunto il potenziale di repulsione. La molecola che si muove in verso opposto
a questa, sottoposta allo stesso potenziale, non ha una velocità che si somma al potenziale ma una velocità
che si sottrae a quella imposta dal potenziale. Questo è uno dei motivi per cui, quando le molecole con la
stessa massa escono dall’analizzatore, non hanno effettivamente la stessa velocità pur avendo la stessa
massa poiché vi è il moto casuale delle molecole quindi alcune molecole hanno momenti del moto in
eccesso rispetto al potenziale applicato e altri in difetto. Quindi
teoricamente ioni con stessa massa hanno stessa velocità , mentre
sperimentalmente le velocità variano in un piccolo intervallo. Quindi i
segnali verticali in realtà sono rappresentati da curve gaussiane. Il potere
risolutivo necessario per separare una molecola di massa 100 a uno di
massa 101 è differente rispetto ad altro necessario per separare una
massa 100 da 100,1, dove serve uno strumento più risolutivo. Per avere
un potere risolutivo maggiore possiamo unire un selettore magnetico ad uno elettrostatico per avere un
potere risolutivo ≤ 10^5.
SPETTRI A DOPPIA FOCALIZZAZIONE
Insieme all’analizzatore magnetico vi è quello elettrostatico che ha il ruolo di far passare solo gli ioni che
soddisfano l’equazione r’= 2V/E (dove r’= raggio di curvatura e V=potenziale applicato), cioè vengono
selezionati gli ioni con stessa energia. Gli ioni prodotti dalla sorgente vengono fatti passare prima
nell’analizzatore elettrostatico poi in quello magnetico. Unendo questi due analizzatori, quello
elettrostatico taglia le parti in eccesso e in difetto dell’analizzatore magnetico, in quanto seleziona le
velocità grandi e piccole rispetto al teorico. Anche in questo caso il segnale non viene rappresentato da una
linea verticale ma la curva gaussiana è meno ampia, cioè aumenta il potere risolutivo.
In serie all’analizzatore magnetico è posto un settore elettrostatico il quale ha la proprietà di far
passare solo gli ioni che soddisfano l’equazione
-
dove E è il campo elettrostatico applicaro al settore di raggio r’.

Esistono altri tipi di disposizioni, ognuna delle quali ha i suoi pregi e difetti.

ANALIZZATORE A QUADRUPOLO

- Compatti (15 cm), economici, scansione ≈


102 ms (ottimi rivelatori cromatografici)
- Scala m/z lineare e selezione degli ioni
indipendente dalla loro EC
- Potenziale in corrente continua Vo
- Potenziale alternato oscillante a
radiofrequenza V’ sen 2pft
- Fra le due coppie di barre fasamento di
180° (Vx = – Vy = Vo + V’ sen 2pft).
- Scansione: V’/Vo leggermente inferiore a
6.
È il più utilizzato ed ha un potere risolutivo R≤1000, paragonabile a quello magnetico ma più stabile.
Immaginiamo che la sorgente produca ioni che vengono portati all’analizzatore. Gli ioni vengono fatti
passare all’interno di quattro elettrodi posti a distanza di pochi centimetri l’uno dall’altro. Le barrette sono
governati da potenziali elettrici (posti +,+,-,-) e la loro posizione non è statica ma cambia e sono combinati
in modo tale che gli ioni introdotti all’interno del quadruplo inizino ad oscillare (poiché sottoposti a campi
elettromagnetici). Tale oscillazione fa si che possano passare solo ioni con determinato rapporto massa su
carica mentre gli altri urtano le pareti ed escono dal percorso. Quindi selezionando opportunamente i
potenziali, si può selezionare quali ioni devono uscire, facendo una scansione di massa. Nelle fasi oscillanti
degli ioni tendono a compattarsi o a separarsi. Queste oscillazioni fanno si che i due quadrupoli (per
esempio quelli nel piano xz) consentano il passaggio da una certa massa in poi, mentre gli altri due (piano
yz) consentano il passaggio fino ad un certo valore. Vengono definiti quindi coppie di elettrodi passa basso
e passa alto.Se combinati otteniamo un intervallo che indica la massa degli ioni che possono passare.
Questo viene definito filtro di massa poiché fa in modo che passino solo alcuni ioni. Anche in questo caso
abbiamo una sorgente continuamente alimentata che produce continuamente ioni inviati nel quadrupolo
che fa si che passino solo ioni con determinata massa equivalente alla sovrapposizione tra gli intervalli delle
masse di passa alto e di passa basso.

Uno strumento a quadruplo ha un limite di rilevabilità intorno a 4000 come rapporto massa su carica. Se
consideriamo la carica uno (la situazione più sfavorevole) arriviamo a masse di 4000, è quindi molto
specifico e il potere risolutivo è lineare in tutto l’intervallo di m/z poiché variano di una unità. È il più
semplice e quello di maggiore utilizzo.

ANALIZZATORE A TEMPO DI VOLO


Ioni generati da una sorgente e sottoposti ad un analogo potenziali, acquistano tutti la stessa energia
cinetica definita come 1/2mv^2 perciò a minore massa equivale maggiore velocità e a maggiore massa,
minore velocità. I tubi di deriva (dift tube) sono a riflessione, cioè la lunghezza del percorso degli ioni viene
duplicata mettendo un riflettore alla fine. In questo modo lo spazio da percorrere è maggiore ed aumenta
la possibilità di separare ioni con massa simile tra di loro (più spazio e più tempo). Questa sorgente non
produce continuamente gli ioni, ma questi vengono prodotti in un certo instante da un laser (flash laser)
che tocca la sorgente in un certo istante in quanto il computer, dato che la distanza è nota, riesce a
misurare il tempo impiegato dagli ioni per arrivare al rivelatore. Viene quindi misurato il tempo di volo e la
sorgente è pulsata anziché continua. Il vantaggio di questi strumenti è che non hanno una regione di massa
limitata in quanto basta modificare l’energia potenziale. Quindi il principio di funzionamento è molto
semplice in quanto richiede che gli ioni siano generati a impulsi sui quali viene fatto incidere un laser, che
può essere pulsato con impulsi molto intensi e produce il rilascio della superficie di materiale allo stato
vapore.
Questo materiale può poi essere ionizzato e il pacchetto di ioni realizzato viene inviato dalla sorgente al
tubo di deriva, sotto un potenziale di estrazione. Dato che a parità di potenziale gli ioni acquistano stessa
energia cinetica allora gli ioni più leggeri hanno velocità maggiore e arrivano ad un detector (rivelatore) al
tempo prestabilito. Viene quindi misurato il tempo che occorre alla particella per raggiungere un rivelatore
ad una distanza conosciuta. Dato che la velocità dello ione dipende dal rapporto massa/carica, da questo
tempo e dai parametri sperimentali noti si può calcolare il rapporto massa/carica dello ione. Possiamo
quindi fare una scansione dei tempi che equivale ad una scansione di massa.
In tutti questi casi potremmo trovarci in una situazione in cui abbiamo pochi ioni da poter procedere con
una loro misurazione. Tale limite inferiore di rilevabilità è stato risolto utilizzando le trappole ioniche.

TRAPPOLE IONICHE

Le trappole ioniche sono dei dispositivi fisici complessi. È una sezione che comprende un anello (in fisica
toro) circondato da cappelli di chiusura. È possibile introdurre degli ioni in questo dispositivo da una
sorgente e i potenziali possono essere alternati. Perciò possiamo introdurre degli ioni per un determinato
tempo a differenza dei dispositivi con sorgente continua in cui gli ioni passano, qui possiamo accumularli
fino ad avere un numero sufficiente. Ciò abbassa il limite di rilevabilità e possiamo inviare gli ioni
all’analizzatore (anche con massa differente), uno alla volta. Qui possiamo isolare lo ione ed inviare un
fascio di luce e fare spettroscopia. Ha potere risolutivo pari a 1000. La trappola ionica è migliore rispetto al
quadruplo poiché se analizzo uno ione mediante quadrupolo possiamo ricavare il rapporto m/z ma non la
sua struttura (caratteristiche chimiche). La struttura dell’analizzatore a trappola ionica è :
• Un elettrodo anulare posto tra due elettrodi semisferici di entrata e di uscita. Questi tre elettrodi
intrappolano gli ioni in una cavità di volume ristretto, la trappola ionica.
• I due elettrodi laterali hanno un piccolo foto al centro, attraverso il quale passano gli ioni.
• Sono sempre presenti dei sistemi di pompaggio che portano via l’aria e creano il vuoto.
• Ha due potenziali applicati come il quadrupolo (uno sull’elettrodo ad anello e uno sulle due semisfere)
ma a differenza di questo che permette di attraversare il campo, la trappola ionica trattiene gli elettroni
al suo interno.
Il potenziale applicato è tale per cui gli ioni introdotti dalla sorgente vengano indirizzati verso la trappola
ionica.

Mentre nel quadrupolo bisogna continuamente produrre ioni, nella trappola ionica, una volta che il
campione viene ionizzato, il sistema di potenziale applicato è tale per cui gli ioni possono rimanere
all’interno dell’analizzatore per tempi prolungati, di conseguenza le trappole possono essere utilizzate per
la spettroscopia ionica , cioè per fare caratterizzazioni strutturali di ioni in fase gassosa liberi dal solvente.

RISONANZA IONICA CICLOTRONICA (ICR)

È il migliore per quanto riguarda il potere risolutivo (10^6).


Questa cella rappresenta il cuore di un magnete. Se viene generato uno ione e posto all’interno della cella
governata da un campo magnetico B molto intenso, lo ione inizia ad orbitare in maniera circolare
perpendicolare alla direzione del campo (inizia a ciclotronare). Dunque anche questo è un modo di
confinare gli ioni in una certa regione di spazio. La velocità con cui si muove è data da v= Bzre/m e la
velocità angolare (numero di cicli in un secondo) è data da v/r= Bze/m. Quindi la frequenza di
ciclotroneione (omega) dipende dal rapporto m/z ed è inversamente proporzionale a questo. Quindi, ioni
aventi massa diversa ciclotronano con frequenza diversa; maggiore è la carica, minore è la frequenza. Se
poniamo un gruppo di ioni, questi ciclotronano ognuno ad una propria frequenza. Abbiamo quindi uno
spazio in cui possiamo confinare un certo numero di ioni, trattenuti per un determinato tempo come una
trappola ionica. Le placche verticali (di trasmissione) sono collegate tra di loro tramite un circuito esterno
che consente di applicare un campo elettrico oscillante, cioè possono essere caricate positivamente o
negativamente con frequenza regolabile.
Risonanza= [esempio] Tra le frequenze di vibrazione di una chitarra, due corde possono entrare in
risonanza tra di loro, cioè se vibra una vibra anche l’altra.
Questo fenomeno si verifica anche all’interno della cella: se abbiamo uno ione che sta ciclotronando ad una
certa frequenza ed applico alle due piastre un campo elettrico oscillante con la stessa frequenza di
ciclotronazione, lo ione entra in risonanza, cioè acquisirà energia dai piatti di trasmissione e ciclotronerà
alla stessa frequenza ma su un orbita più grande. La velocità di un dato ione aumenta applicando un campo
elettrico oscillante alla frequenza tipica di ciclotronazione. Scegliendo una determinata frequenza da
inviare, viene eccitato il solo ione con un determinato rapporto m/z. Possiamo continuare finché l’orbita
non supera le dimensioni della cella e lo ione urta con le lastre, in questo caso lo ione si neutralizza e viene
espulso. Possiamo fare un ragionamento inverso e far entrare in risonanza tutte le masse tranne una.
Quindi tutti gli ioni aumentano il proprio raggio e rimane un solo pacchetto di ioni con la stessa massa che
ciclotrona all’interno della cella. Ho quindi isolato uno ione e posso analizzarlo dal punto di vista
strutturale. Per rivelare cosa c’è all’interno dobbiamo sparare lo ione alla sua frequenza di ciclotronazione e
fermarmi al livello di sfioro, prima che tocchino le pareti. Quando la carica passa vicino al piatto superiore e
a quello inferiore (riceventi e trasmittenti), induce questi con frequenza omegac. Quindi tramite i due piatti
è possibile registrare una determinata corrente alternata (lo ione è in risonanza ed emette segnale).
Facendo questa operazione per tutte le frequenze, ognuna delle quali corrisponde ad un determinato
valore m/z, registro delle correnti elettriche in funzione della frequenza applicata al trasmettitore e ottengo
quindi un segnale costituito dalla sovrapposizione di tutte le frequenze entrate in risonanza, la cui intensità
dipende dal numero di ioni che possiedono una determinata frequenza. Questi segnali sovrapposti possono
essere tradotti attraverso la trasformata di Fourier (FT), un’operazione matematica attraverso cui è
possibile trasformare le frequenze dei rispettivi segnali di m/z per poi elaborare lo spettro di massa.

FT-ICR
Ionizzato un campione
tramite un impulso
elettronico, gli ioni si
dispongono all’interno della
cella dove tutti gli ioni che
hanno un determinato valore
m/z ciclotronano alla propria
frequenza e vengono
scansionati tramite i piatti
trasmettitori dato l’aumento
dell’orbita di ciclotronazione
che li porta vicino ai piatti
riceventi che generano una
corrente detta corrente
immagine. Il segnale che
abbiamo può essere
memorizzato tramite il
computer e anziché fare la
trasforma di Fourier si può passare ad una seconda ionizzazione che può essere ripetuta n volte. Cosi la
corrente immagine non sarà più debole come prima ma il segnale sarà rappresentato dalla media dei vari
spettri ottenuti dai vari cicli di ionizzazione. Vi è quindi un fenomeno di compensazione dell’errore casuale.
Supponiamo che uno spettro di massa abbia un segnale portato al massimo della sensibilità composto da
una sola corrente immagine. Tale segnale sarà instabile, perché abbiamo portato lo strumento alla massima
sensibilità e dato che la concentrazione è molto piccola. Se, dopo aver fatto un primo ciclo ed averne
rappresentata la corrente immagine, procediamo con un secondo ciclo, questo avrà un segnale simile al
primo ma non uguale. Se ripeto n volte i cicli, la media del segnale sarà:
- Possibilità di isolare un solo pacchetto di ioni di data m/z
- Gli ioni possono essere trattenuti in risonanza anche per parecchi minuti e
fatti reagire con un opportuno reagente gassoso, oppure essere sottoposti a
frammentazione
- Gli ioni prodotti dalla reazione o dalla frammentazione possono essere a
loro volta isolati e studiati
- R ~ 106 significa che, ad esempio con m/z dell’ordine di 102 possiamo risolvere segnali che differiscono
in m/z per 0.0001 u.m.a.
- Determinazione della massa esatta
- Risoluzione isotopica
- Determinazione della formula bruta
- Risoluzione di ioni a carica multipla
Possiamo porre uno stadio intermedio tra la fase di generazione degli ioni e quella della scansione delle
frequenze. Tale stadio prevede che dopo aver prodotto tutti gli ioni, questi urtino tutti contro le pareti,
tranne uno. Avrò quindi isolato lo ione e lo porto in ambiente gassoso dove può reagire dopo un
determinato tempo. A questo punto rappresentiamo il segnale, se questo non è abbasta buono viene
ripetuto il ciclo.
Con sistemi di questo tipo si arriva a condizioni di vuoto di 10^-8/10^-9 con un potere risolutivo di R=10^6.
Il controllo sugli ioni permette di ottenere segnali puliti. Questo sistema riesce dunque a distinguere le
masse fino alla 4ª o 5ª cifra decimale, riesce quindi ad ottenere delle masse esatte.
SPETTRI OTTENUTI DA DIVERSE SORGENTI DI IONI
Gli ioni che giungono all’analizzatore dipendono dalla sorgente. Esistono diversi tipi di sorgenti che
determinano il tipo di spettro.

1) Sorgenti in fase gassosa —> la ionizzazione avviene prevalentemente in fase vapore, i composti devono
avere una tensione di vapore di 10^-4/10^-5 Torr (molti composti di interesse farmaceutico possono
essere volatizzati, molecole neutre in fase vapore).
2) Sorgenti a desorbimento —> sono molto settoriali quindi hanno un basso utilizzo.

Calcolare l’energia (J/mole) degli elettroni accelerati da un potenziale di 70 V. Confrontare il risultato


con il valore tipico dell’energia di un legame covalente (102 ÷ 103 J/mole).
EC = e V Â = (1.60×10–19 C/e–) (70 V) (6.02×1023 e–/mole) = 6.7×106 J/mole
Rapporto degli ordini di grandezza: 106/103 = 103 !!!

SORGENTE A IMPATTO ELETTRONICO


Per poter parlare di sorgenti in fase gassosa dobbiamo fare una riflessone.
Esercizio: dato un elettrone a sottoposto a potenziale repulsivo di 70 V, l’energia cinetica è pari alla carica
dell’elettrone per il potenziale applicato, dato che dobbiamo fare un calcolo per mole di elettroni moltiplico
l’energia cinetica con il numero di Avogadro k= eVNa. Osservando il rapporto tra l’energia del legame
covalente, noto che l’energia cinetica dell’elettrone è abbastanza elevata per poter rompere il legame
(10^6 Vs 10^3).
In una sorgente gassosa il campione è vaporizzato e la molecola può essere rappresentata come:

Cioè i legami fra gli atomi sono rappresentati come delle


molle poiché hanno un moto vibratorio.
Supponiamo che esista un certo numero di queste
molecole alimentate da un sistema di introduzione. Queste
sono poste su un sistema di vuoto e solo alcune riescono a
giungere ad una “lampadina” che emette elettroni. Questi elettroni sono accelerati attraverso l’elettrodo
da un potenziale di 70 eV e attraversano la zona in cui le molecole del mio campione allo stato gassoso
vengono spinte attraverso una valvola di ingresso. Una quantità sufficiente di molecole riesce a subire
l’impatto elettronico con elettroni a 70 eV. Stiamo lavorando con una sorgente a impatto elettronico dove
elettroni a 70 eV incidono su molecole allo stato gassoso. Quando gli elettroni incidono su una molecola,
che succede? La cosa più probabile è che, detta M la molecola + un elettrone sparato a 70 eV, venga
generata una molecola ione+radicale + 2e-. Abbiamo quindi la molecola ionizzata: M+e- —> M•+ + 2e-.

Quindi: La molecola neutra, in fase gassosa con legami come molle, viene attaccata da un elettrone con
potenziale 70 eV. Le molle dei legami risentono di tale energia dell’elettrone, quindi l’eccesso di energia
che si trova sullo ione radicale può far si che il legame più debole si rompa. Tra tutte le molecole ionizzate,
dato che l’energia dell’elettrone è maggiore rispetto a quella dei legami della molecola, ci sono molecole
che possono aver acquistato energia maggiore ed altre energia minore. Le molecole ionizzate che hanno
acquisito energia sufficiente per poter rompere un legame debole possono dar luogo ad un frammento
carico ed un radicale neutro (portato via dalla pompa del vuoto) :F1+ +N•.
Se nella molecola ci sono più legami deboli allora si possono dar luogo a più frammenti (accoppiati al
radicale neutro):
M+e- —> M•+ + 2e- ionizzazione

𝑀 • += 𝐹1 + 𝑁1 • 𝑂 𝐹2 + 𝑁2 •
Se questi frammenti non sono stabili, possono dar luogo ad un’ulteriore frammentazione:
F1+ —> F3+ + N3•.
Costruendo un diagramma, partendo dall’energia pari a zero dell’elettrone incidente, aumentando
gradualmente l’energia, se questo è al di sotto del potenziale di ionizzazione della molecola il processo non
avviene. Aumentando l’energia di impatto elettronico, questa non viene trasferita completamente
all’elettrone ma una parte rimane alla molecola M che viene eccitato, vi è la formazione dei frammenti.
Quindi aumentando l’energia aumenta il numero di ioni molecolari e parte di essi iniziano a frammentare.
Più aumenta l’energia e più aumenta F1. Queste variazioni avvengono fino a circa 50 eV, dopodiché i
segnali diventano costanti, cioè questi fenomeni al di sopra di una determinata energia entrano nello stato
stazionario. Quindi a 70 eV ho una situazione riproducibile e lo spettro che ottengo è un’impronta digitale
poiché in qualunque strumento e nelle stesse condizioni, quella molecola darà sempre la stessa
frammentazione.

Schema : Da una riserva di gas viene


emanato un flusso di molecole
(introduzione del campione), dato che
siamo sotto vuoto molte vengono
portate via dalla pompa da vuoto mentre
una piccola parte viene sottoposta ad un
flusso di elettroni. Tali elettroni vengono
emessi da un filamento di Tungsteno
incandescente e vengono accelerati
verso l’anodo posto dalla parte opposta
del filamento, acquistando un’elevata
energia (70eV). Quando questi elettroni
vengono a contatto con la sfera
elettronica di una molecola (impatto
elettronico), le trasferiscono la loro
energia, provocando l’espulsione di un
elettrone con formazione di uno ione
molecolare radicato (ionizzazione). A
questo punto il riflettore (repeller), costituito da una serie di piastre con potenziale positivo, fa si che gli
ioni prodotti subiscano un’accelerazione proporzionale al potenziale V delle piastre e che vengano quindi
espulsi attraverso una fenditura di uscita. Gli ioni (e gli eventuali frammenti) percorrono poi la giusta
traiettoria (raggio di curvatura di 180º) verso l’analizzatore grazie alle piastre magnetiche che focalizzano gli
ioni in un fascio. Entrano quindi nell’analizzatore che li seleziona. Gli ioni più pesanti hanno una traiettoria
destabilizzante e vengono portati via da un sistema di pompaggio mentre quelli con il corretto rapporto
m/z vengono inviati al rivelatore, il quale registra lo spettro in funzione di tale rapporto.

Al valore di 70 eV ottengo quantità costanti e riproducibili di ioni che costituiscono lo spettro di massa. Qui
le masse dei vari frammenti sono difficilmente prevedibili poiché non vi è una teoria che permette di
stabilire quali sono i legami che si rompono in una molecola, inoltre non possiamo prevedere l’intensità di
questi ioni. Perciò uno spettrometro di massa non è prevedibile.
Nel caso in cui uno ione molecolare abbia molti legami deboli e simili tra loro, si rompe dando origine a
molti frammenti finché lo ione molecolare stesso non sarà più presente e riconoscibile. Quindi lo ione si
frammenta completamente e nel grafico la curva dello ione M•+, una volta giunta al massimo, tenderà a
zero. Una conseguenza molto importante è che nello spettro di massa, ad un valore di potenziale di circa 70
eV, non vi è più lo ione molecolare; quindi se il composto è noto allora lo spettro può essere utilizzato come
strumento di conferma, al contrario se il composto è incognito tale spettro non suggerisce nessuna
informazione utile. Questo rappresenta il limite di tale sorgente che può tuttavia essere superato
diminuendo l’energia di impatto elettronico (potenziale) tramite alcuni strumenti appositi in grado di
modulare l’energia, in modo tale che lo spettro di massa e l’intensità dei vari frammenti e dello ione
molecolare varino. In particolare diminuendo l’energia dei segnali di frammentazione tendono a diminuire
mentre quello dello ione molecolare tende ad aumentare. Per esempio dati due frammenti ed uno ione
molecolare ad energia pari a 40 eV saranno visibili tutti e tre i segnali mentre diminuendo a 25 eV solo due
segnali e a 15 eV solo il segnale dello ione molecolare.

Prendiamo in considerazione l’esempio del propanolo :

Questa è una molecola piccola con formula CH CH CH OH, perciò ha molti legami simili tra loro (C-
3 2 2

C, C-H) e quindi un’elevata frammentazione. Se guardassimo lo spettro di massa a 70 eV senza


sapere la natura del composto, noteremmo un segnale con intensità elevata, in corrispondenza
della massa 31, ed altri meno significativi e più piccoli (spike) che non possiamo considerare
concreti o meno. Da tale spettro non diremmo mai che lo ione molecolare è quello a massa 60
(cosa che sappiamo data la natura del composto), perciò diminuiamo il potenziale.
Guardando gli spettrometri a minore energia, notiamo che il segnale a massa 31 diminuisce la
propria intensità mentre gli altri ioni, in particolare quello con massa 60, crescono. Lo ione che
emerge con tale procedimento, cioè lo ione che aumenta maggiormente la propria intensità al
diminuire del potenziale, è lo ione molecolare.
Quindi: Se abbiamo uno spettro di questo tipo come facciamo a capire quale sia lo ione
molecolare? Se diminuendo l’energia di impatto elettronico uno ione ha un segnale crescente
significativo rispetto agli altri allora è il predominante ed è quindi lo ione molecolare. Tuttavia
considerando l’ultimo diagramma notiamo la presenza di altri segnali più o meno intensi in
corrispondenza delle masse 61 e 62, i quali corrispondono ai picchi isotopici. Infatti la massa
dello ione molecolare è 60 solo in presenza di C12, H1 e O16, qualora ci sia la presenza di un
isotopo come il C13, il deuterio (H2) o l’ O18 allora la massa varia di una o due unità. Infatti la
massa 61 esprime in che percentuale il propanolo contenga il C13 o il deuterio mentre quello a
essa 62 esprime la percentuale di molecole che hanno 2 C13 o 2 deuteri o un C13 ed un deuterio
o un O18. Tuttavia la probabilità che in una molecola, soprattutto piccola, vi siano due isotopi
pesanti è molto bassa e data l’esistenza di un isotopo dell’ossigeno (O18) che ha una probabilità
di esistenza significativa, il +2 del segnale 62 è sostanzialmente derivante dall’ossigeno. Tale
discorso isotopico è valido anche per qualsiasi frammento individuato, per esempio il frammento
42 ha anche una piccola percentuale di massa 43. Lo spettro di massa rivela quindi ogni singola
variazione isotopica.

REAZIONI IN UNA SORGENTE AD IMPATTO ELETTRONICO

In una sorgente ad impatto elettronico la


molecola volatilizzabile, posta in ambiente
gassoso, viene sottoposta ad un impatto
elettronico a 70 eV e quindi ionizzata.
Tuttavia la probabilità che avvenga
l’impatto elettronico è molto bassa (una
molecola su un milione), cioè la maggior
parte degli ioni vengono portati via dal
sistema sotto vuoto e solo una piccola
quantità del campione viene elettrizzato.
Quando lo ione molecolare viene
prodotto può subire una serie di
frammentazioni, anche più. Infatti una
volta formato un catione dalla
frammentazione derivante dallo ione molecolare (1ª generazione) , se vi è abbastanza energia, può esserci
un’ulteriore frammentazione a partire dai frammenti di 1ª generazione (2ª generazione). I vari frammenti
che si originano sono sempre accompagnati da una molecola neutra che viene espulsa e che non può
quindi essere registrata. Tutti questi processi sono in un regime stazionario ovvero a 70 eV assumono un
andamento orizzontale e quindi l’intensità relativa è riproducibile quindi caratteristica di quel composto.
L’energia assorbita dallo ione molecolare può inoltre dar luogo ad un riarrangiamento che può portare ad
un altro tipo di frammentazione. Questo processo di ionizzazione avviene nel vuoto, quindi le molecole che
subiscono la ionizzazione non possono dissipare la propria energia e danno luogo alla frammentazione
(semplice o dopo riarrangiamento); però ci sono rari casi in cui anche in un regime di pressione così basso,
lo ione molecolare prodotto dalla ionizzazione può dar luogo ad una reazione con le rare molecole della
stessa specie neutre che vengono reintrodotte, si hanno quindi delle collisioni reattive. Tale situazione è
molto rara in quanto in una sorgente E.I. siamo nell’ordine di 10^-4/10^-5 Torr e in 1 atm così rarefatto la
probabilità che gli ioni incontrino molecole neutre nel tempo compreso tra la loro formazione e il loro
ingresso nell’analizzatore è molto bassa. Nel caso in cui avvenga la collisione, si possono generare ioni che
hanno una massa maggiore rispetto a quella dello ione molecolare. Quindi, in presenza di uno ione con
massa elevata, è opportuno considerare la possibilità che questo possa essere uno ione generato dalla
collisione e non un molecolare. La reazione di collisione è bimolecolare mentre quelle di frammentazione
sono monomolecolari. Se in sorgente vi è la possibilità di modulare la pressione del gas, aumentando la
quantità di campione, allora aumenta anche la massa dello ione derivante dalla collisione mentre gli altri
rimangono costanti poiché derivano da processi monomolecolari e non necessitano di reagire con il gas per
frammentarsi.
Quindi: se modulando la pressione del campione vi è uno ione che ha massa elevata rispetto agli altri e che
cresce all’aumentare della pressione mentre gli altri rimangono costanti, questo non è uno ione molecolare
ma uno ione derivante da collisione. Perciò mentre la possibilità di cambiare l’energia di impatto
elettronico permette il riconoscimento del molecolare, modulando la pressione del campione è possibile
capire se lo ione è derivante dalla collisione o dalla frammentazione.

PICCHI ISOTOPICI
Gli elementi della prima
colonna rappresentano
gli isotopi più comuni in
natura. L’abbondanza
relativa del deuterio è
0,015, cioè ogni 100
atomi di 1H vengono
accompagnati da 0,0015
2H (piccola abbondanza).
Analogamente ogni 100
atomi di 13C hanno 1,08
13C. Molto visibili sono le
masse di bromo e cloro.
Quindi nello spettro E.I. a
bassa energia del
propano (M+=[61]) il
segnale m/z=61 è dovuto
dalla somma dei
contributi di 2H,13H e
15N (il più importante è il
13C).
In generale, i segnali, dello ione molecolare o dei frammenti, dovuti all’abbondanza naturale degli isotopi
sono detti picchi isotopici.
Alcuni elementi non hanno isotopi naturali e sono quindi monoisotopici, come Na,P,F,I. Quindi se accanto
al segnale di uno di questi ioni vi sono altri segnali allora sono picchi isotopici di altri elementi.
Un picco a massa [M+1] dovuto a collisione è abbastanza improbabile in una sorgente E.I., tuttavia si può
distinguere dallo ione isotopico poiché il primo aumenta con la pressione in sorgente (reazione di 2º
ordine) mentre il secondo no.
Esempi:

Il mentolo ha molti legami simili (C-C, C-H).


Hanno quindi una stessa probabilità di
rompersi ed ha quindi frammentazioni
variegate e spettro complesso.

Nella cocaina la struttura è più complessa e


lo spettro è meno c in quanto i legami sono
differenti tra loro (gruppi eterei, azoto ecc)
Uno strumento ad E.I. ha vari vantaggi quali: semplicità nell’utilizzo, sensibilità, estesa frammentazione,
alcuni possono modulare l’energia del fascio elettronico e la pressione del campione. Svantaggiosa è la
necessita di volatilizzare il campione in quanto può essere difficile individuare il molecolare poiché molti
strumenti non permettono di modulare energia e pressione e non è possibile quindi riconoscerlo se
completamente frammentato. Per questo vi sono le sorgenti a ionizzazione chimica (CI).

CARATTERISTICHE DEGLI STUMENTI EI


Vantaggi: semplici da usare, sensibilità, estesa frammentazione (analisi qualitativa). Particolarmente
apprezzati sono quelli in cui si può modulare l’energia del fascio elettronico e la pressione
·+
del campione (riconoscimento M ).
Svantaggi: necessità di volatilizzare il campione (il range di volatilità può essere esteso usando
sonde riscaldate in sorgente).
Può essere difficile individuare M·+.

SORGENTI A IONIZZAZIONE CHIMICA (Chemical-Ionization)

La ionizzazione chimica è una modalità alternativa dello stesso strumento ad E.I. Queste sorgenti lavorano
ancora con impatto elettronico ma con diversa ionizzazione.
Viene introdotto un lieve flusso di campione gassoso (come E.I.) e contemporaneamente un flusso maggiore
di gas reagente. Mentre in uno strumento EI le molecole sono sottoposte al vuoto nell’ordine di 10^-5 Torr,
in uno strumento CI le molecole vengono immesse in una zona dove vi è 1 Torr di un gas di ionizzazione da
noi introdotto. Dato che il sistema dell’analizzatore deve rimanere sottovuoto, per non sforzarlo troppo,
allora vengono diminuite le dimensioni della zona centrale riducendone il volume così da rendere più
gestibile la pressione del gas di ionizzazione. Nella sorgente si ha quindi un eccesso di 3/4 ordini di grandezza
del gas reagente rispetto al campione che si disperde nel gas reagente. Quindi l’impatto elettronico ha
l’effetto di ionizzare il gas energetico e non il campione in quanto è presente in quantità elevate. Dato che
tale gas reagente sottoposto a ionizzazione si trova ad 1 Torr, le collisioni avvengono frequentemente quindi
lo ione formato dal gas reagente non ha il tempo necessario per rompersi poiché collide con un’altra
molecola di se stesso neutro (poiché il gas reagente è in eccesso), perde energia e reagisce con se stesso
dando luogo ad una serie di reazioni energeticamente possibili il cui esito ultimo è quello di generare gli ioni
del gas reagente più stabili (o sono già stabili e quindi quando collidono con una molecola non succede nulla
o collidono con se stessi formando ioni più stabili). Si ottiene così una concentrazione stazionaria di specie
derivanti dalla collisione del gas reagente con gli ioni del gas stesso. Solo quando si genera la specie più stabile
questa andrà a collidere con la molecola di analita, che subirà un fenomeno di ionizzazione. Infatti quando
viene a contatto con gli ioni del gas reagente, acquistano un protone e si formano specie chiamate quasi
molecolari, quasi prive di frammentazioni e con massa dello ione molecole +1, che vengono poi analizzate e
rivelate.
Quindi:
3) nelle sorgenti a E.I. l’impatto elettronico sulla molecola di campione genera molte frammentazioni poiché
vi è energia elevata che causa la rottura della molecola
4) Nella sorgente a C.I. lo ione del gas reagente collide spesso con se stesso consumando l’energia in eccesso.
Quando urta la molecola di campione, il gas ha poca energia che trasferisce alla molecola di campione
ionizzandola. Tale energia è molto piccola e non causa quindi la frammentazione dell’analita.

Esempio del metano come gas reagente:

Utilizziamo il metano a 1 Torr come


gas reagente e lo sottoponiamo ad
un potenziale di 70 eV; campione di
10^-6 Torr. L’impatto elettronico
avviene sul metano che si ionizza e
reagisce con se stesso. A questo
punto può raffreddarsi o dar luogo
allo ione metile reagendo con se
stesso. Gli ioni che si formano in
condizioni di concentrazioni
stazionarie collidono con il metano
non cambiando la propria natura.
Quando questi incontrano una
molecola del campione in esame,
portano alla ionizzazione di questo
con formazione di ioni quasi
molecolari a minore energia che non hanno quindi frammentazione. Successivamente verrano analizzati e
portati al rivelatore.
Le specie primarie che si formano sono:
1. CH4 —> CH4•+ + CH3 + (radicale metano+metile), sono le specie primarie che vengono prodotte.
Quando reagiscono con se stesse (quindi con molecole di metano) possono dar luogo a:
2. CH4++ CH4 —> CH5++ CH3• (Metonio+radicale metile)
CH2++CH4 —> C2H5++H2 (Carbocatione+idrogeno), queste molecole urtano con la molecola di analita
ionizzandolo (forma uno ione quasi molecolare con massa dello ione molecolare +1) e conferendole una
minima quantità di energia tale da evitare a rottura della molecola analita. Di conseguenza, dato che non vi
è frammentazione dello ione quasi molecolare, negli spettri C.I. è facilmente riconoscibile lo ione
molecolare (si può individuare togliendo 1 al valore della massa dello ione quasi molecolare):
3. CH5+ + XH —> XH2+ + CH4 —> [M+1]+ (ione quasi molecolare)
C2H5+ + XH —> XH2+ + C2H4 —> [M+1]+
Un caso più raro è quello in cui viene strappato l’idruro alla molecola di analita:
C2H5+ + XH —> X+ + C2H6 —> [M+1]+
È inoltre raro che uno ione primario prodotto si associ alla molecola di analita per dar luogo ad
un addotto (può accadere ad alta pressione):
C2H5+ + XH —> C2H5+
Quindi la bassa frammentazione rende più facile individuare lo ione molecolare con gli spettri C.I. rispetto
ad E.I.
Ha uno ione molecolare a 158.
Emerge lo spettro M-1 (quasi
molecolare) non visibile in E.I.
poca frammentazione e
maggiore segnale dello ione
quasi molecolare.

In EI ho molta frammentazione
e poco segnale dello ione
molecolare.

SORGENTI A IONIZZAZIONE DI CAMPO (FI)


- Campione gassoso sottoposto ad un intenso campo elettrico (108 V/cm).
- Anodo: filo di platino ricoperto da microaghi (ottenuti per pirolisi di acetone
o benzonitrile).
- Catodo: 0.5 ÷ 2 mm dall’anodo. E’ forato (fenditura verso l’analizzatore).
- Ionizzazione per effetto tunnel (bassa eccitazione roto-vibrazionale che
determina scarsa frammentazione).
- E’ meno sensibile della sorgente EI.

SORGENTE A DESORBIMENTO DI CAMPO (FD)


- Anodo simile a quello FI montato su sonda estraibile e riscaldabile.
- Campione solido o liquido depositato direttamente sull’anodo.
- Ionizzazione tramite applicazione di un elevato potenziale elettrico.
Queste sorgenti danno luogo ad uno spettro con una bassa frammentazione.
BOMBARDAMENTO CON ATOMI VELOCI

Ioni di gas nobile, per esempio ioni di Xenon, vengono ionizzati per impatto elettronico (essendo specie
monoatomiche non possono frammentare), vengono spinti da un potenziale in una certa direzione e
focalizzati con delle lenti elettoromagnetiche in un fascio di ioni di Xe. Tale fascio viene poi fatto passare
all’interno di una zona dello spettrometro in cui vi è la presenza di Xe molecolare. Se la pressione dello Xe è
regolata efficientemente, allora può avvenire un trasferimento di ione, dove un atomo neutro cede un
elettrone allo Xenon carico che si neutralizza e prosegue il suo percorso. Si ottiene quindi un fascio di atomi
veloci che può urtare con matrici liquide (o solidi o gas dispersi). Anche in questo caso lo spettro ha una
frammentazione ridotta dato che la matrice liquida disperde l’eccesso di energia.

IDENTIFICAZIONE DI COMPOSTI PURI


Per identificare i composti puri è necessario stabilire:
5)Il peso molecolare
6)La formula bruta
7)La formula molecolare

L’identificazione di composti puri avviene tramite confronto con banche dati dello spettro ottenuto. Nel
caso in cui non è possibile il riferimento con le banche dati (poiché la molecola non è catalogata) allora è
necessario verificare che lo ione molecolare sia nello spettro o effettuare processi che fanno emergere tale
ione (abbaso energia). È quindi fondamentale individuare lo ione molecolare.
Se abbiamo a disposizione uno strumento ad alta risoluzione (ICR) abbiamo direttamente la massa esatta
che permette di identificare la formula bruta senza incertezze (consente di determinare la massa fino alla
4ª/5ª cifra decimale). Tuttavia gli strumenti utilizzati sono meno risolutivi, quindi ci limitiamo ad utilizzare
uno strumento che permetta di identificare ione ed i suoi isotopi. Utilizzando strumenti a bassa risoluzione
posso distinguere i segnali tramite la differenza di una unità di massa cioè distinguere lo ione a massa x con
lo ione a massa x+1.

• Riconoscere il peso molecolare: per riconoscere il peso molecolare è essenziale individuare lo ione
molecolare nello spettro anche se spesso non c’è o è poco visibile. Tuttavia è possibile individuare il
molecolare diminuendo l’energia potenziale da 70 eV a valori intorno a 10 eV in modo che emerga tale
ione o utilizzare una tecnica soft come la C.I. possiamo quindi determinare il peso molecolare. Tuttavia
ad un peso molecolare corrispondono più formule brute.
• Riconoscere la formula bruta:

• Regola dell’azoto—> Se uno ione molecolare ha una massa pari, allora non contiene atomi di azoto o ne
contiene un numero pari. Se ha una massa dispari, allora contiene un numero dispari di atomi di azoto. I
Il capostipite dei composti organici è il carbonio il cui isotopo più abbondante è il 12C.
Considero il metano CH4, questo ha una massa pari, se dal metano sostituisco un atomo di H con un gruppo
metile CH3, allora ottengo l’etano, che avrà ancora una massa pari. Togliendo un’altra molecola di H e
sostituendola con un gruppo metile, ottengo il propano, che avrà ancora massa pari(e così via). Quindi la
massa di tutti gli alcani è costituita da numeri pari.
Per ottenere un alchene, è necessario sostituire un doppio legame con due atomi di idrogeno, quindi anche
gli alcheni hanno massa pari. Analogamente, per ottenere gli alchili, è necessario sostituire un legame che
andrà a costituire il triplo legame, con due H a partire dall’alchene, ed hanno quindi massa pari. Anche gli
idricoarburi ciclici hanno massa pari.

Il capostipite dei composti azotati è l’ammoniaca NH3, con massa dispari. Se sostituisco H e sostituisco con
CH3 la massa sarà sempre dispari.Rimane sempre dispari finche non aggiungo un altro azoto, pari.

• Picchi isotopici —> A parità di peso molecolare è necessario considerare gli isotopi. Per esempio un
composto ricco di ossigeno 16O, risente anche della presenza del suo isotopo 18O. Tuttavia esistono delle
tabelle che per ogni valore m/z riporta i valori degli ioni isotopici. Dobbiamo quindi considerare i picchi
isotopici, cioè valutare l’intensità relativa dei segnali dello ione molecolare a massa M+1 e dello ione a
massa M+2 rispetto alla massa m di M•+.
(Riprendo tabella con abbondanze)
Per uno ione M•+ costituito da C,H,O,N,F,P,I preso = 100 l’intensità dello ione M+, si può dimostrare che:

Applichiamo a caso reale.

Vi sono delle tavole che consentono di stabilire, per le varie formule brute, quale deve essere la
percentuale delle masse m+1 e m+2.
Allora consulto le tavole e cerco la massa 150, selezionando quelle formule per le quali la massa 151 è pari
a 10,2% (bisogna tener conto
anche dell’errore
sperimentale di circa il 10 %,
perciò cerchiamo tra i valori
fra 9 e 11). Tra tutte le masse
comprese tra 9 % e 11% devo
scegliere la più adeguata,
escludo quelle non colorate
in giallo perché <9. in base
alla regola dell’azoto, dato
che la massa è di 150,
numero pari, possiamo
escludere b, d, f ed h.
Ora, considerando lo ione
M+2, con massa 152 e pari
allo 0,88% ottengo la formula bruta più probabile (cercando quella con valore più vicino a 0,88), C9H10O2.

Ci sono dei casi particolari di picchi isotopici, come gli ioni contenenti Cl e Br. Il caso del cloro è particolare
perché l’isotopo minoritario presenta comunque una percentuale elevata rispetto a quello maggioritario,
tra i due vi è un rapporto 3:1. Il caso del bromo è particolare poiché tra i due isotopi si ha un rapporto 1:1.
Gli ioni contenenti n=1,2 atomi di Cl o Br sono caratterizzati da multipletti costituiti da n+1 segnali separati
da due unità di massa, la cui intensità relativa si calcola facilmente attraverso gli addendi dello sviluppo
binomia (a+b)n, dove “a” e “b” indicano rispettivamente le abbondanze relative dell’isotopo più leggero e di
quello più pesante.

N.B. Per n > 2, come pure per gli elementi contenenti più di due isotopi, il calcolo è più complicato e si
ricorre al Triangolo di Tartaglia.
Quindi se in una molecola abbiamo un solo atomo di Cloro, ci aspettiamo due segnali nello spettro in
rapporto 3:1. Per una molecola con due atomi di Cloro, ci aspettiamo tre segnali nello spettro in rapporto
9:6:1.

Grafico 1: cloro benzene. Vi è un segnale “importante” a 112 accompagnato da uno più piccolo a 114. Tale
segnale è circa il 30% di quello principale e mi indica quindi la presenza di Cloro in quanto sono in rapporto
3:1. Il segnale 114 indica la presenza di isotopi C13 o deuterio. Accanto a questo segnale 114, vi sono altri
piccoli segnali che stanno in rapporto con 114 sempre di di 3 1. Cioè il picco degli isotopi di carbonio o
idrogeno stanno in rapporto 3:1 con quello del carbonio con massa 114. Inoltre vi è un altro segnale in
corrispondenza di 77 che mi conferma la presenza di Cl in quanto, se considero la perdita di un atomo di
cloro: 112- massa del cloro (35)= 77. Attorno a tale segnale, non vi è una particolare frammentazione; tipico
dei composti ciclici. Infatti una caratteristica dei composti ciclici è quella di rompersi difficilmente in
quanto affinché ci sia la rottura del ciclo devono necessariamente rompersi ben due legami. Inoltre il
segnale è in corrispondenza della massa 77, mentre la massa del benzene è di 78. Quindi il diagramma ci
mostra che il composto rappresentato è con il cloro, quando questo viene perso rimane una molecola con
peso 77 che si frammenta poco. Dato che il benzene ha peso 78 e si frammenta poco allora capiamo che è il
cloro benzene.

Grafico 2: dicloro benzene. La massa dello ione molecolare è di 146. Questo segnale è in rapporto 9:6:1 con
i segnali vicini a 148 e 150 ed indica quindi la presenza di due molecole di Cloro. Inoltre se consideriamo la
perdita di una molecola di Cl giungiamo a due segnali 111 e 113 in rapporto tra loro 3:1, tipico segnale che
ci indica la presenza di una molecola di cloro (dato che l’altra l’ha persa). Se vi è la perdita di un altro cloro
giungiamo al segnale 76, ci sono poche frammentazioni quindi è ciclico, inoltre il peso è come quello del
benzene. Possiamo dunque affermare che il composto rappresentato nello spettro è il dicloro benzene.
Non possiamo stabilire se è orto meta o para.

3. Riconoscere la formula molecolare:


8) Grado di insaturazione —> per determinare la formula molecolare è necessario indicare il grado di
insaturazione, cioè il numero di legami multipli e/o cicli presenti in una molecola. Per una molecola che
contenga atomi di C,H,N,O,S e alogeni il grado di insaturazione è dato da:

INS= C - H/2 - alogeno/2 + N/2 +1


In generale, indicando con “A” un atomo monovalente, “B” un atomo bivalente, “C” un atomo trivalente e
“D” un atomo tetravalente e siano “x,y,z,k” il numero di atomi presenti in una molecola, allora il grado di
insaturazione è dato da:

INS= k- x/2 + z/2 + 1 = (nº atomi tetravalenti) - (nº atomi monovalenti)/2 + (nº atomi trivalenti)/2 + 1

Es: Nella formula bruta individuata nella lezione precedente (C9H10O2) si ha un grado di insaturazione pari a
5. Ciò equivale a dire che la formula molecolare contiene cinque insaturazioni.

Quindi per determinare la formula di struttura bisogna tener conto del grado di insaturazione. Tuttavia non
è un criterio abbastanza specifico in quanto confrontando il composto con la banca dati vi sono ancora
notevoli possibilità.

• Frammentazione —> La definitiva assegnazione della formula molecolare richiede l’analisi della
frammentazione. Quindi paragonando la frammentazione dello spettro sperimentale (ottenuto tramite
gli spettri delle molecole con stessa formula bruta del campione) con la banca dati è possibile ottenere lo
spettro che coincide con quello sperimentale e quindi definirne la formula molecolare. Ma se vi è la
sintesi di un nuovo composto non presente nella banca dati, allora non è possibile confrontare gli spettri.
In questo caso è necessario analizzare i frammenti per poter risalire alla massa molecolare dato che ogni
gruppo funzionale induce nella molecola una caratteristica frammentazione.

Infatti osservando gli spettri


atomici dell’acido benzoico-
etil-estere e del
2-metossi-4vinilfenolo è
evidente la diversità dei due
spettri nonostante derivino da
composti con la stessa formula
bruta, hanno infatti stesso
grado di insaturazione pari a 5
(derivante dal ciclo aromatico
e dai sui 3 doppi legami +
doppio legame).
Confrontando gli spettri di due
acidi fenilacetici, uno
metametile ed uno parametile
si osserva che la differenza di
struttura è minima e gli spettri
sembrano uguali. Vi è una
disparità (indicata dalle frecce)
a testimonianza del fatto che
anche una differenza così
piccola tra due molecole
comporta una modifica dello
spettro. Gli spettri sono
comunque molto simili in
quanto i due composti sono
caratterizzati dagli stessi gruppi
funzionali.

In definitiva l’ assegnazione della formula molecolare richiede l’analisi della frammentazione, bisogna
quindi far riferimento a delle regole di frammentazione.
- La frammentazione di M·+ coinvolge maggiormente i legami più deboli e produce
preferenzialmente i frammenti ionici più stabili.
- Per una stessa classe di composti l’intensità relativa di M·+ decresce
all’aumentare del P.M. e del numero di ramificazioni (stabilità dei carbocationi).
- Carbocationi allilici, benzilici o adiacenti a eteroatomi sono molto probabili.
- La rottura di legami semplici è più probabile di quella di legami multipli e di cicli.
- L’eliminazione di molecole neutre stabili (CO, olefine, acqua, ammoniaca, ecc.) è
molto probabile.
- Sono definite linee guida peculiari per ciascuna classe di composti.
- Composti polifunzionalizzati presentano la frammentazione tipica di ciascuna
classe di sostituenti.

FRAMMENTAZIONE DI ALCUNI GRUPPI FUNZIONALI


- ALCANI A CATENA LINEARE: M·+ piccolo e (regola generale) diminuisce
all’aumentare del peso molecolare. Gruppi di segnali separati da 14 u.m.a.
(CnH2n+1 > CnH2n e CnH2n–1)
- ALCANI RAMIFICATI: Spettro simile a quello degli alcani lineari, ma con
delle discontinuità in corrispondenza delle ramificazioni, i cui segnali
CnH2n+1 tendono a perdere H dando CnH2n più intensi. Se molto ramificati
non presentano M·+
- AROMATICI: M·+ generalmente intenso (salvo sostituzione). Da benzene
mono-alchil sostituito si ha rottura benzilica e sono tipici 91,77,78,79 e
65. Dai corrispondenti polisostituiti si hanno gli stessi frammenti con masse
incrementate del valore del sostituente

Alcani a catena lineare:


Sono caratterizzati da più legami C-C simili tra di loro, non vi è quindi prevalentemente la rottura di un
determinato legame. La rottura dei vari legami produrrà segnali che variano tra di loro di una massa pari a
14 uma, cioè quella di CH2. Lo ione molecolare è generalmente piccolo e tende a diminuire all’aumentare
del peso molecolare, questo perché sono tutti legami semplici e tendono facilmente alla rottura. Hanno un
andamento caratteristico per cui le piccole frammentazioni sono poco rappresentative.

Il primo spettro rappresenta l’ottano, con


otto atomi di C. Lo ione molecolare è
ancora visibile mentre non vi è il segnale
che indica la perdita del metile con massa
[M-15] (99 uma). A parità di numero di C,
l’alcano che ha “2n+1 Idrogeni” (CnH2n+1) ha
un segnale più intenso rispetto all’alcano
con 2n Idrogeni (CnH2n) o quello che ne ha
2n-1 (CnH2n-1). Questi sono presenti in
ciascun raggruppamento di segnali, dove
quello con maggior numero di idrogeni è
più pronunciato.
Sono tutti segnali intervallati da 14 unità
di massa. All’aumentare del numero di C
nella serie, lo ione molecolare è sempre
meno evidente. Hanno un andamento
caratteristico per cui tendono a crescere
fino ad un valore massimo per poi
tendere di nuovo a zero.
Alcani ramificati:

In questo caso i legami non sono del tutto equivalenti in quanto introduciamo un sito di ramificazione la cui
frammentazione può dar luogo ad un carbocatione secondario, più stabile. Per esempio:

Una frammentazione di questo tipo


genera specie più stabili rispetto agli
alcani lineari. La rottura dei legami tra
C1 e C2 e tra C2 e C3 sono più probabili,
perciò i segnali in corrispondenza di tale
rottura avranno un’intensità maggiore
rispetto all’andamento generale.

Nel caso in cui gli alcani presentino un numero elevato di ramificazioni, il molecolare avrà un segnale poco
pronunciato. Lo spettro degli alcani ramificati è simili a quello degli alcani lineari ma sono presenti delle
discontinuità in corrispondenza delle ramificazioni, perciò viene persa la regolarità.

1) Decano lineare, andamento regolare degli alcani lineari. Non vi è segnale in corrispondenza della
perdita di metile (142-15)
2) 2-metil-nonano, il segnale che indica la perdita di metile, anche se poco pronunciato, si vede.
Questo perché tale perdita porta alla formazione di un carbocatione secondario più stabile.
3) 3-metil-nonano, il carbocatione secondario può formarsi sia tramite la perdita del metile sia tramite
la perdita dell’etile. La molecola si trova quindi a perdere un frammento della catena più grande ed
uno più piccolo, il segnale sarà più significativo là dove si perde il frammento a massa maggiore,
quindi il più grande. Infatti il segnale si trova in corrispondenza della massa [M-29], dove 29 indica
la massa dell’etile. Ciò avviene poiché lo ione molecolare ha un’elevata quantità di energia, perciò
se perde il frammento a massa maggiore tale energia viene in parte persa e lo ione si stabilizza
senza indurre un’ulteriore frammentiazione.
4) 4-metil-nonano, si ha una situazione analoga alla precedente dove il carbocatione può formarsi
tramite la perdita del propile, il segnale è ancora più intenso.
5) 3,3,4,4- tetametil-esano, questa molecola ha due carboni adiacenti quaternari la cui rottura del
legame porta alla formazione di carbocationi terziari; è inoltre una molecola simmetrica. Il segnale
in corrispondenza di questa rottura (71) è molto intenso.
Aromatici:

Gli aromatici hanno uno ione molecolare generalmente intenso data la difficoltà della rottura del
ciclo. Dal benzene-mono-alchil sostituito si ha la rottura benzilica che genera il CH2+ (cation
benzile).
1.Naftalene, ha un segnale
pronunciato dello ione molecolare
ed una framentazione quasi
assente (i segnali di piccola
intensità rappresentato la perdita
di atomi di H)
2.Benzene (uguale a 1.)
3.Alcol benzilico, al valore di
massa= 107 corrisponde [M-1]+,
cioè lo ione molecolare (108,
intenso) perde un idrogeno per via
di una rottura benzilica e si forma il
catione benzilico stabilizzato dalla
risonanza e dalla vicinanza
all’eteroatomo.
4.Benzil-cloruro , ha uno ione
molecolare meno intenso rispetto
all’alcol benzilico ed è presente
l’abbondanza isotopica del 35Cl con
il 37Cl in un rapporto 3:1.

Composti con una stessa formula bruta hanno


spettri molto differenti. Inoltre se un
composto è polifunzionale, cioè contiene più
di un gruppo funzionale, le frammentazioni
caratteristiche di ogni famiglia si sommano,
quindi vi è la contemporanea frammentazione
tipica di ciascun gruppo funzionale.

ANALISI DI MISCELE
APPARATI GC/MS E LC/MS

- Le due tecniche cromatografiche sono fra loro complementari.


- Risoluzione di miscele di notevole complessità in poche decine di minuti.
- Spettrometro: spesso EI/CI – quadrupolo.
- Archivio informatico di spettri gestito da computer.
- Pregi: rapidità, sensibilità, potere risolutivo chimico (isomeri geometrici e
ottici), larga applicabilità e univocità di risposta.

Si tratta di strumenti molto veloci e pronti, cioè rispondono prontamente dando un risultato immediato.
Un iniettore introduce una sostanza con n composti nell’apparato di cromatografia, in grado di separare i
composti (escono uno dopo l’altro) successivamente riconosciuti dallo spottrometro di massa ed inviati ad
un computer per l’elaborazione dei dati.
La tecnica di separazione adottata dal cromatografo, si basa sulla presenza di un flusso. Se tale flusso è un
gas allora si parla di apparati GC (Gas Chromotography) mentre se il flusso è liquido si parla di apparati LC
(Liquid Chromotography). La fase gassosa o liquida che trasporta le sostanze viene chiamata fase mobile in
quanto è presente un’altra fase, detta fissa, all’interno del cromatografo.
Il cromatografo è uno strumento di estrema potenza in quanto nel giro di pochi minuti è in grado di
separare miscele molto complesse, necessita quindi di uno strumento in grado di fare un’analisi rapida
(spettrometro). Tra questi bisogna collocare un’interfaccia:
- E.I. o C.I nel caso di GC
- E.S.I o APCI nel caso di LC
In uno strumento di spettrometria di massa accoppiato si ha un primo sistema quadrupolo responsabile
della separazione degli ioni, una cella di collisione ed un quadrupolo di rivelazione.

Questo rappresenta un cromatografo in cui vengono analizzati 52 composti in circa due ore.
I composti vengono rappresentati dalle linee
verticali (in realtà se ingrandite sono
gaussiane) che indicano che la sostanza sta
uscendo e che sta per essere analizzata dallo
spettrometro. Questi segnali sono molto vicini
tra di loro, infatti nel giro di qualche secondo
la sostanza viene separata.
Il campione iniettato nel cromatografo, ha
concentrazione dell’ordine di 10-4 M di cui ne
vengono prelevati millesimi di litro. Di tale
quantità (0,2 microlitri) lo strumento ne invia
solo una parte su cento (rapporto 1:100) così
hanno uno strumento in grado di poter
immettere una certa quantità misurabile che
viene poi dimezzata da appositi dispositivi.
Esistono altri strumenti cromatografici in
grado di separare gli enantiomeri. Questo è
molto importante in ambito farmaceutico in
quanto l’enantiomero levogiro può essere
benigno (un medicinale) mentre l’enantiomero
destrogiro può essere maligno (un veleno).
Questi sistemi composti da cromatografo e spettrometro
sono strumenti molto comuni in quanto operano con
grande efficienza in una scala di tempi molto rapida. È
uno strumento analitico in grado di riconoscere i vari
composti e le loro quantità.

TANDEM MASS SPECTROMETRY (MS-MS o QqQ, triplo quadrupolo)

La spettrometria di massa tandem è utilizzata per ottenere informazioni strutturali di un composto


attraverso la frammentazione di ioni specifici prodotta all’interno dello spettrometro ed identificando i
frammenti ottenuti.
Inizialmente viene introdotta una miscela di sostanza all’interno dello strumento che viene
successivamente sottoposta ad un potenziale e ionizzata. Gli ioni prodotti vengono fatti passare all’interno
di un primo quadrupolo, fissato su un determinato valore m/z di un componente della miscela, che
seleziona gli ioni. A questo punto sarebbe possibile fare una scansione di massa per vedere gli ioni presenti
nel campione e le loro masse. Tuttavia questo non è sufficiente in quanto a parità di massa potrebbe
esserci la presenza di isomeri. Perciò gli ioni selezionati dal primo quadrupolo vengono inviati ad un
secondo quadrupolo che prende il nome di cella di collisione. Questo è alimentato da un gas inerte di
collisione in modo tale che gli ioni provenienti dal primo quadrupolo, con una certa accelerazione, collidano
con il gas inerte (solitamente gas nobile) che ne causa la frammentazione detta CID, cioè frammentazione
indotta da collisione. Tale frammentazione dà origine ad un frammento neutro che viene espulso dal
sistema da vuoto e successivamente i frammenti vengono analizzati. La cella di collisione non è alimentata
da potenziali di massa ma da un potenziale di radiofrequenza che fa si che ogni ione selezionato in
precedenza passi all’interno di un terzo quadrupolo, non lavora quindi come un selettore di massa ma solo
come trasmissione di ioni tra due quadrupoli. Gli ioni quindi giungono nel terzo quadrupolo, fissato su
valori caratteristici di m/z pari alla massa del frammento caratteristico, che analizzerà gli ioni di
frammentazione prodotti dalla cella di collisione e ne genera lo spettro di massa. Gli ioni introdotti nel
primo quadrupolo prendono il nome di ioni genitore poiché da questo, per frammentazione tramite il
passaggio nella cella di collisione, si generano gli ioni figli analizzati dal terzo quadrupolo.
Questo dispositivo può lavorare in differenti modalità:
I. Product ion mode/Daughter ion mode/ioni figli —> Il primo quadruplo è fisso su un valore m/z
di un determinato componente della miscela (ione genitore). Questo passa all’interno della
cella di collisione, dove frammenta. Gli ioni figli generati vengono poi analizzati dal terzo
quadrupolo. Questa modalità conferisce informazioni strutturali di molecole di varia natura ed
è molto importante per distinguere gli isomeri. Infatti è possibile distinguere, per esempio, la
sequenza amminoacidica dei peptidi. Tale distinzione non è visibile nel primo quadrupolo ma lo
è nel momento della collisione poiché frammentano in maniera differente.
II. Precusor ion mode/Parent ion mode/Ioni genitori —> Vi sono delle categorie di composti che
producono un certo tipo di frammento caratteristico di quella categoria. Perciò per fare
un’analisi per categoria il primo quadrupolo seleziona uno alla volta i vari ioni per poi
indirizzarli nella cella di collisione dove collido e frammentano. Il terzo quadrupolo misura il
frammento caratteristico verificandone l’appartenenza nella categoria ricercata.
III. Neutral loss/`perdita del neutro —> La frammentazione di uno ione può portare alla perdita
della parte caratteristica se questa è quella neutra. Mentre il primo quadruplo analizza le
masse dei componenti della miscela, il terzo segue la scansione ad una differenza m/z pari alla
massa del frammento neutro caratteristico. Tale massa del neutro è pari alla differenza di
massa tra lo ione genitore e lo ione figlio.
Es: Gli acidi carbossilici sono caratterizzati dalla perdita di CO2, con massa pari a 44. Di conseguenza il primo
quadrupolo viene fissato su una massa pari a [M-44]. Nel caso in cui dalla successiva frammentazione
emerga una perdita di massa pari a 44 uma, allora lo ione isolato sarà un acido carbossilico.
IV. Multiple Reaction Monitoring (MRM)/ Monitoraggio di reazioni specifiche —> Consiste in
un’analisi specifica basata sulla ricerca di un preciso analita con un determinato rapporto m/z.
Perciò sia il primo che il terzo quadrupolo sono fissati su valori caratteristici di m/z data la
conoscenza dello ione parente e dello ione figlio ricercati. In questo modo si ha un notevole
incremento della sensibilità, utile per la ricerca di composti specifici. È una modalità utilizzata
nel campo dei test antidoping e di analisi forensi.

Il Tandem mass spectrometry è uno strumento molto potente in quanto è estremamente rapido nella
selezione degli ioni e produce un’analisi con un significato qualitativo (tipo di frammentazione) e
quantitativo (numero degli ioni).

La stessa tipologia di modalità può essere ripetuta n volte, cioè questi dispositivi sono in grado di realizzare
più MS in modo da avanzare nel dettaglio non solo di ioni primari (derivanti da una singola camera di
collisione), ma di n camere di collisone poste una dopo l’altra che frammentano in successione. Gli
strumenti con due MS vengono chiamati MS2 mentre quelli con tre MS3.

Il sistema MS-MS può realizzarsi, oltre che in sistemi a triplo quadrupolo, anche all’interno di una trappola
ionica, in grado di isolare una determinata quantità di ioni selezionati in base ad un determinato rapporto
m/z. Data una miscela di composti, dopo la ionizzazione, giunge nella trappola ionica che intrappola ioni
fino ad averne una quantità sufficiente. A questo punto viene introdotto un flusso di gas che causa la
collisione dello ione con il gas e la sua successiva frammentazione ed analisi. La trappola ionica è più
costosa rispetto ad un quadrupolo ma, a differenza di questo, una volta analizzata una certa quantità di
campione è possibile procedere con ulteriori analisi.

SORGENTE APCI

- Alimentata da soluzioni (flusso circa 1 ml/min, ottimo per LC/MS).


- Provvede all’evaporazione del solvente e alla generazione di ioni.
- Poiché il riscaldamento è blando (il solvente fa da volano termico) è adatta
per composti termolabili o non volatili.
- La soluzione fluisce entro un capillare inserito in un nebulizzatore
pneumatico coassiale.
- Un gas ausiliario (in genere aria) viene aggiunto per ottimizzare le condizioni
per la nebulizzazione e per ionizzazione chimica.
- La miscela di aria e soluzione nebulizzata attraversa quindi una zona
riscaldata che favorisce l'evaporazione del solvente.
- Un elettrodo ad ago tenuto a potenziale elevato (5-6 kV), posizionato
all'uscita del nebulizzatore riscaldato fornisce una scarica a effetto corona.
- Gli ioni primari provenienti dalla ionizzazione dell'aria vanno a ionizzare il
solvente per formare gli effettivi ioni reagenti.

Le sorgenti in fase gassosa (E.I. e C.I.)


coprono un range di massa che si
estende fino a qualche centinaio di
3 Dalton e composti di polarità
relativamente bassa (se un composto è
2 polare tende ad essere poco
4 5 volatilizzabile). Con l’introduzione delle
1 sorgenti APCI vi è un incremento
dell’intervallo di polarità (e lievemente
il campo dei pesi molecolari).
La sorgente APCI viene alimentata
direttamente dalla soluzione con flussi
di circa 1 millilitro al minuto (ottimo per
apparati di cromatografia liquida +
spettrometria di massa). La sorgente è
composta da un iniettore (1) nel quale
entra la sostanza, che può provenire da
un cromatografo liquido (separa le
sostanze facendole uscire una ad una
per poi essere accolte dalla sorgente
APCI). La soluzione contenente l’analita
viene fatta fluire in un piccolo capillare
(2) posto all’interno di un tubo nel
quale vi è un gas che produce sul capillare, che eroga la soluzione liquida, un effetto di nebulizzazione
(spray di goccioline, p atmosferica). Avviene quindi la formazione di uno spray di goccioline alimentato da
un gas ausiliario (in genere aria) in grado di ottimizzare le condizioni di nebulizzazione e di attivare la
ionizzazione chimica. A questo punto la miscela di aria e di soluzione nebulizzata (cioè il soluto è presente
nelle gocce nebulizzate di solvente che si mescolano con l’aria) attraversa una zona riscaldata (3) che
favorisce l’evaporazione del solvente, le goccioline tendono a diminuire le dimensioni. La soluzione
contiene una grande quantità di solvente e poca quantità di soluto, quindi affinché vi sia la ionizzazione del
soluto la sorgente provvede ad evaporare il solvente. L’evaporazione è un processo endotermico perciò i
soluti non subiscono un forte riscaldamento (perché la tonalità termica, o calore generato, viene assorbito
dal solvente). Al termine di tale zona vi è un elettrodo ad ago (4) tenuto ad alti valori di potenziale (qualche
migliaia di Volt, positivo o negativo con conseguente formazione di cationi o anioni) che fornisce una
scarica elettrica a “effetto corona” con produzione di ioni detti ioni primari provenienti dalla ionizzazione
dell’aria (dato che il soluto è presente in quantità minori nel gas nebulizzante quindi la scarica non
coinvolge primariamente il campione ma il solvente). Gli ioni primari ionizzano successivamente il solvente
portando alla formazione degli effettivi ioni reagenti che producono la ionizzazione chimica del campione.
Quindi: La scarica a effetto corona ionizza il gas di nebulizzazione, poi la gocciolina (solvente) infine gli ioni
del soluto.
In questa zona vi è una pressione pari a 760 torr (p atmosfericarica) mentre all’ingresso dell’analizzatore la
pressione è pari a 10^-3 Torr. Tale differenza di pressione fa si che il solvente si separi dalle goccioline
nebulizzate. Queste goccioline infatti subiscono un’evaporazione e man mano che gli ioni si trovano a
minore distanza si giunge in un punto in cui la repulsione elettrostatica delle cariche supera la tensione
superficiale della gocciolina, questa esplode diminuendo le proprie dimensioni. Tale processo avviene più
volte finché non si giunge all’analita protonato dalle molecole di solvente. A questo punto la distanza, il
potenziale applicato e il sistema di vuoto fanno si che le molecole di analita acquistino un protone e
procedono verso l’analizzatore (5).

- Una certa quantità di ioni possono essere già presenti in soluzione, specie
se sono stati addizionati elettroliti (es. tamponi). Ulteriore ionizzazione
viene dalla scarica, aumentando la sensibilità.
- La scarica a effetto corona ionizza l'aria producendo gli ioni primari
(principalmente N2+, O2+, H2O+ e NO+ in modalità ioni positivi, O2-, O-, NO2-,
NO3-, O3- e CO3- in ioni negativi).
- Gli ioni primari reagiscono molto rapidamente (entro 10-6 sec) trasferendo la
loro carica alle molecole di solvente per produrre gli ioni reagenti per la CI, i
quali producono infine gli ioni quasi-molecolari dall'analita mediante reazioni
di trasferimento di carica o scambio di protoni.
- Il tempo di reazione totale è intorno ai 5x10-4 sec.
- In generale si osserva la formazione di ioni [M+H]+ in ioni positivi e [M-H]- in
ioni negativi.
- La formazione di ioni addotto non è molto pronunciata in APCI.
- La APCI non genera ioni multicarica.
- Sono adatti alla APCI-MS composti di bassa o media polarità, volatili
o semi-volatili.
- In definitiva, la APCI LC-MS è una tecnica estremamente potente
e versatile per analisi di routine in svariati campi, come ad esempio il
controllo ambientale, studi farmacocinetici, analisi di prodotti
alimentari, e così via.
- Fornisce spettri molto semplici con un unico segnale (la molecola
protonata in ioni positivi, la molecola deprotonata in ioni negativi) per
gran parte degli analiti, il che la rende ideale per misure quantitative
basate sulla tecnica SIM (Single Ion Monitoring).
ELECTRONSPRAY IONIZATION (ESI)

L’electronspray è una sorgente adatta per l’analisi di sostanze con qualsiasi intervallo di polarità e range di
massa elevato come proteine o acidi nucleici. È molto simile all’APCI: vi è la presenza di un capillare,
alimentato da una soluzione, che può essere riscaldato ed inserito all’interno di un nebulizzatore. La
sostanziale differenza è nella mancata presenza dell’ago di scarica, infatti il potenziale, di qualche migliaia
di Volts, viene applicato direttamente al capillare. Dato che l’electronspray ha una pressione di 760 Torr (p
atmosferica) mentre lo spettrometro ha una pressione pari a 10-3 , il processo che avviene lungo questo
tratto è sottoposto ad un gradiente di pressione. Avvengono i fenomeni di:
- evaporazione del solvente
- microionizzazazione delle goccioline che esplodono a causa dell’eccesso di carica dovuto
dall’evaporazione del solvente.

La sorgente ESI è molto importante perché all’interno vi possiamo introdurre molecole


anche molto grandi (proteine, acidi nucleici). Quando una molecola è molto grande essa
può ospitare molte cariche, i protoni sono così abbastanza lontani l’uno dall’altro da non
influenzarsi. L’ ESI è una metodologia adatta per composti polari, che non possiamo
analizzare con altre sorgenti, e per composti ad alto peso molecolare.
In uno spettrometro di massa alimentato da una sorgente ESI troviamo ioni molecolari
multiprotonati: una stessa sostanza può prendere molti protoni (mioglobina).

Es: se una molecola ha una massa pari a 1000, tale massa protonata sarà 1000+1 ed il rapporto m/z=
1001=(M+1)/1. —> [M+H]+
Se la stessa molecola acquista due protoni allora la massa sarà pari a 1000+2 ed il rapporto
m/z=501=(M+2)/2. —> [M+2H]2+
Quindi dallo spettro esi si ottengono una serie di ioni multicarichi “quasimolecolari”, dove la stessa specie
assume più cariche determinando la diminuzione della massa dello ione.
Segnali dello spettro di massa:

i segnali derivano dalla presenza degli ioni con numero di protoni crescente addizionati sulla stessa
molecola (quindi ad una stessa massa). Due segnali successivi differiscono tra di loro per una carica ed una
unità di massa (H+) perciò aumenta il numero di carica e di conseguenza diminuisce il rapporto m/z.
Il valore della massa molecolare del composto incognito può essere misurata considerando due segnali
adiacenti e risolvendo un sistema di due equazioni in due incognite. Questo procedimento deve essere
ripetuto per ogni coppia di segnali adiacenti così da poter trovare il valore della massa del molecolare
tramite la media tra i valori ottenuti.

Spettrometria di massa ESI dell’emoglobina umana:


Le catene alfa, beta e gamma sono indicate con A, B e C (quest’ultima più piccola).I numeri accanto alle
lettere indicano il numero di protoni (e quindi la carica).
a) spettro “grezzo”
b) Deconvoluzione automatica degli ioni molecolari da a.

Soluzione contenente contemporaneamente 3 composti con


catena alfa, beta e gamma indicate con A,B,C. I numeri vicino
alle lettere indicano il numero di protoni dei segnali
corrispondenti. Essendo contemporaneamente presenti in
soluzione tre composti otteniamo una sovrapposizione dei
segnali. Tale sovrapposizione riguarda per lo più le catene alfa
e beta in quanto i segnali di gamma sono poco intenti.
PRINCIPI DI CROMATOGRAFIA
Tecnica di separazione. L’apparato di Creig esegue un processo di separazione discontinua, il cui principio di
base è quello adoperato nella cromatografia il quale però è un processo di separazione continua.

Introduco nel recipiente un volume di solvente β ed un analita a concentrazione C0, in seguito nello stesso
recipiente introduco un volume di un solvente α solubile con il primo solvente cosi che le due fasi liquide si
stratifichino l’una sull’altra.
Agito il recipiente, in modo tale che i due volumi α e β si mescolino il più possibile; lascio poi che le due fasi
si ridistribuiscano riseparandosi nettamente in quanto immiscibili per ipotesi
Inoltre l’analita solubile nel solvente β dovrà essere solubile anche nel solvente α, in questo modo verrà a
formarsi un equilibrio di ripartizione : una parte del soluto si tratterrà nel solvente βe e una parte si
disporrà nel solvente α con concentrazione rispettivamente Cβ e Cα . In realtà il soluto si sposterà
continuamente tra i due solventi, ma in condizioni stazionarie possiamo considerare le due concentrazioni
C costanti.
Ovviamente se il soluto preferirà il solvente α rispetto al solvente β, Cβ < Cα e viceversa. Generalemnte però
Se la concentrazione nei due solventi è appunto costante a temperatura costante.

Come ogni equilibrio, anche l’equilibrio di ripartizione è governato da una costante: costante di ripartizione
la quale che esprime il rapporto tra le concentrazioni del soluto nei due solventi (Come si ripartisce il soluto
nei due solventi). Essa è una caratteristica termodinamica del soluto posto in quei particolari solventi scelti,
in quanto l’analita si ripartirà sempre con quel rapporto indipendentemente dalla concentrazione totale del
soluto purchè essa non sia tale da formare precipitati.

EFFICIENZA DI ESTRAZIONE
Esprime la frazione E di soluto trasferito nel solvente di estrazione α
Cα * Vα moli di soluto nella fase α
(Cα * Vα ) + ( Cβ * Vβ ) totalità di moli di
soluto
0<E<1
E è compreso tra 0 (Nessuna frazione di
soluto è presente in α) e 1 (Tutto il soluto
si trova nel solvente α)
Per semplicità consideriamo il caso particolare Vα= Vβ per cui:

L’addendo “+1” deriva dalla semplificazione imposta

Ovviamente la frazione che resta nel solvente β vale

Considero un numero elevato di recipienti:

Inoltre pongo Kd = 1 in modo tale che il soluto posto nei solventi si ripartisca in parti uguali in essi
qualunque sia la sua concentrazione

Nel recipiente r0 introduco una certa quantità di solvente β, la frazione di solvente contenuta E sarà dunque
1. Aggiungo un volume Vα= Vβ di solvente α à Si forma un primo equilibrio di ripartizione n0, in cui la
sostanza si ripartisce in parti uguali nei due solventi.

Poiché i due solventi sono ben separati li separo fisicamente spostando solvente α nel recipiente r1
portando quindi 0,5 di soluto. Inoltre ripristino il solvente α in r0

In r0 e r1 ho 0,5 che qui si ripartiscono nuovamente in α e in βsecondo il coefficiente di ripartizione kd à Ho


un nuovo equilibrio di ripartizione n1. Riseparo fisicamente i due solventi.
Ottengo così un nuovo equilibrio di ripartizione n2

E così via..

Notiamo quindi che il soluto si sposta progressivamente verso i recipienti successivi distribuendosi in modo
simmetrico.

La progressione del soluto nei recipienti “r” è


descritta dallo sviluppo del binomio di Newton (y +
x)n= 1, dove: x = Kd/(Kd+1) frazione di soluto in
fase mobile α ed y = 1/(Kd+1) frazione di soluto in
fase fissa β
per ciascun recipiente dopo “n” trasferimenti

Nel nostro caso, ricordando che nel caso particolare Vα= Vβ e Kd= 1, pertantoper i primi 4 trasferimenti “n” si
calcola facilmente

All’aumentare di “n” il soluto si distribuisce simmetricamente nei vari recipienti “r” e si “muove” lungo di essi
In base allo sviluppo del binomio di Newton la formula generale per calcolare la frazione di soluto
contenuto nel recipiente r-esimo dopo “n” trasferimenti (Tn,r) è la seguente:

Notiamo che il valore della grandezza dipende dal numero di trasferimenti n , dal numero di recipiente r e
da Kd. Quest’ultimo però è un parametro caratteristico della sostanza in relazione ai solventi in cui essa è
disciolta, ciò ci indica che la frazione di soluto contenuto nel recipiente r-esimo dopo “n” trasferimenti
dipende da quanto quel composto è incline ad andare in α o a rimanere in β.
Cioè la disposizione simmetrica negli r recipienti dipende dalla sua particolare attitudine a trasferirsi in α o
a rimanere in β.
All’aumentare di “n” questa formula è piuttosto complicata da calcolare.
Tuttavia, considerando che già per n = 20 la distribuzione simmetrica del soluto nei recipienti segue con
buona approssimazione il profilo di una curva gaussiana, per calcolare la frazione di soluto contenuto nel
recipiente r-esimo dopo “n” trasferimenti (Tn,r) si può usare la funzione di Gauss

Tn,r assume il valore del moltiplicatore quando r = rmax . Dunque essa esprime la frazione di soluto massima
presente:

Dove rmax indica il numero di recipiente in cui si trovala massima frazione del soluto.
Il recipiente r in cui è massima la concentrazione di soluto, cioè il recipiente rmax , sarà tanto più grande
quanto più elevato sarà il numero di estrazioni
Si calcola tramite la relazione:

DIMOSTRATA IN SEGUITO
GRAFICO L’EQUAZIONE DI Tn,r APPROSSIMATA A UNA GAUSSIANA:
Distribuzione di un soluto caratterizzato da Kd= 1 nei recipienti “r” di un apparato di estrazione discontinua
dopo 10, 50 e 100 trasferimenti “n”

Ascissa: numero di recipienti (100)


Inizialmente soluto, caratterizzato da una Kd=1, è
contenuto tutto nel primo recipiente r0 .
Dopo 10 trasferimenti la sostanza è distribuita
secondo la gaussiana dal recipiente numero 3 al
recipiente numero 8 ; la massima frazione del
soluto di 0,25 è contenuta nel recipiente rmax
numero 5.

Se effettuo 50 estrazioni/ trasferimenti la


sostanza è maggiormente distribuita, essa infatti
si trova su circa 10 recipienti, dal 20° al 30° , di
conseguenza la massima frazione del soluto
(0,11) risulterà essere minore del caso
precedente.

Dopo 100 trasferimenti il composto risulta


distribuito su un numero di recipienti ancora
maggiore e quindi la massima frazione del soluto
sarà ancora più bassa dei casi precedenti.

Si noti come all’aumentare di “n” la curva gaussiana si sposta verso valori di “r” maggiori e il suo valore
massimo diminuisce (via via il soluto è distribuito su un numero maggiore di recipienti)

Dopo n trasferimenti la massima concentrazione di soluto si trova nel recipiente rmax il cui numero risulta
essere molto più piccolo del numero di trasferimenti effettuato. Ciò implica che, volendo avere il massimo di
frazione di composto nel recipiente r numero 100 sarà necessario effettuare un numero molto maggiore di
n= 100 trasferimenti.

Due composti caratterizzati da valori diversi del coefficiente di ripartizione Kd possono essere separati dopo
un numero sufficiente di trasferimenti “n”.
Introduco dunque nei recipienti un altro composto caratterizzato da un valore di Kd maggiore del
precedente.
Grafico la distribuzione simultanea di due soluti
caratterizzati da Kd= 1 (Blu) e Kd= 2 (Rosa) nei
recipienti “r” di un apparato di estrazione
discontinua dopo 10, 50 e 100 trasferimenti “n”.

Si noti come il composto caratterizzato dal


valore maggiore di Kd (Rosa) , tendendo
maggiormente a trasferirsi nel solvente α, si
“muova” più velocemente spostandosi a valori
più grandi di “r” a parità di “n”.

Sono necessari ben più di 50 trasferimenti “n”


per realizzare la separazione completa dei due
composti con i Kd dati.

Dopo circa 100 trasferimenti i due composti


saranno totalmente separati fisicamente

Il valore di rmax risulta particolarmente


importante in quando ci indica quanto le
sostanze siano separate.

DIMOSTRAZIONE DELL’ESPRESSIONE DI rmax


Per ricavare l’espressione di rmax, fissiamo l’attenzione su un particolare recipiente “r” e consideriamo che
Tn,r assumerà il valore massimo per un determinato valore di “n”, tale per cui

T(n-1),r < Tn,r > T(n+1),r


Ricordando che

La condizione Tn,r > T(n-1),r ichiede che:


e considerato che x + y = 1,poiché rappresentano le frazioni di soluto contenute nei due solventi,
sostituendosi ha

(1 - x) n > n - r da cui si ha r>nx


Con procedimento analogo, lo sviluppo dell’altra disuguaglianza Tn,r > T(n+1),r conduce alla relazione
r < (n + 1) x
In definitiva, nel recipiente r considerato in cui è massima la frazione di soluto dopo x trasferimenti

n x < r < (n + 1) x
Sapendo che affinchè la concentrazione massima di soluto arrivi in r sono necessari un numero di
trasferimenti n molto maggiori rispetto al numero piatto r e che 0<x<1 :
n >>>x
n è un numero molto elevato
Quindi nx ≈ n ed n ≈ n+1
Cioè dal punto di vista pratico nx ≈ (n + 1)x
Pertanto:

APPARATO DI CREIG
L’apparato di Craig è un dispositivo progettato per eseguire in contemporanea il travaso della fase mobile
in tutti i recipienti, facilitando così la migrazione dei soluti lungo la serie di recipienti e la loro separazione in
ragione dei rispettivi Kd (indicano infatti la tendenza di una sostanza a passare nella fase mobile α).

Lo stadio lento della separazione con l’apparato di Craig consiste nel raggiungimento dell’equilibrio di
ripartizione del soluto nelle due fasi. Tale stadio è tanto più critico quanto maggiore è il volume della fase
mobile (Vα) e di quella fissa (Vβ).
COLONNA CROMATOGRAFICA
L’uso volumi più piccoli permetterebbe una velocizzazione del processo ma allo stesso tempo l’uso di basse
concentrazioni di soluto in quanto devo sempre trovarmi all’interno dell’intervallo di solubilità.
Volumi piccoli favoriscono gli equilibri di ripartizione in quanto in seguito al mescolamento il soluto
deciderà se spostarsi su α o su β. Dunque se i due volumi sono diminuiti al punto di costituire uno strato
sottile, la molecola velocemente stabilirà in quale solvente disporsi realizzando velocemente l’equilibrio di
ripartzione.
L’equilibrio essendo dunque immediato permette l’aggiunta di solvente mobile in modo continuo
continua goccia a goccia.

Quindi se ora consideriamo di diminuire tali volumi, fino al limite di eliminare la suddivisione fisica dei
recipienti utilizzando una colonna riempita di un materiale microgranulare poroso sul quale è depositato un
film sottile di una fase (fissa) liquida β, e lungo la quale sia fatto defluire un liquido α (fase mobile)
immiscibile con β, allora ecco che ogni singolo equilibrio di ripartizione di un dato soluto si realizza
rapidamente in un tratto breve di colonna che prende il nome di “piatto teorico” e che svolge la stessa
funzione del recipiente nell’apparato di Craig; anziché parlare di numero di recipienti si parla di numero di
piatti, ma il formalismo matematico resta lo stesso.

Principio di funzionamento:

La colonna cromatografica viene riempita con un particolato microgranuloso in testa alla colonna, intorno
ad esso è depositato da piccolo strato di fase fissa liquida che aderisce ai granuli, formando degli interstizi
molto piccoli.
Aggiungo in seguito il solvente mobile α immiscibile con β che permea negli interstizi della fase
microgranulosa .
● Apertura del rubinetto à Regolazione della velocità: Gli equilibri di ripartizione procedono più
lentamente della velocità con cui esce il solvente perchè il numero di equilibri di ripartizione che devo fare
per far arrivare la sostanza al termine della colonna cromatografica è molto maggiore del numero dei
recipienti (n>>r).
Necessaria la regolazione del flusso nell’apertura del rubinetto: deve permettere agli equilibri di stabilirsi (il
solvente non deve uscire troppo velocemente) e allo stesso tempo evitare che il soluto in testa alla colonna
diffonda in tutto il solvente presente nella colonna(il solvente non deve uscire troppo lentamente).
●La fase con la quale ho riempito la colonna inizia a uscire dal rubinetto senza aver partecipato
all’estrazione, al processo cromatografico = Volume morto
●In testa alla colonna si verifica il primo equilibrio di ripartizione n0
●La fase mobile scende gradualmente e viene quindi ripristinata dall’alto

Poiché gli interstizi tra la molecola di sostanza e i due solventi sono molto piccoli, la molecola velocemente
realizza il suo equilibrio di ripartizione (Stiamo applicando il principio per cui la riduzione a strati sottili di α
e β permette un aumento della velocità nello stabilirsi degli equilibri di ripartizione).

● La sostanza viene cosi eluita* dalla colonna in seguito ad un numero di estrazioni pari al numero di
aggiunte di solvente per riempire nuovamente il recipiente
* Significa semplicemente “uscire dal sistema cromatografico insieme alla fase mobile”; la stessa fase
mobile è detta eluente, e tutto il processo di uscita dei singoli componenti, sciolti all’interno della fase
mobile, è detto anche eluizione.
● Gli eluati dalla colonna sono raccolti all’uscita della stessa, cioè in corrispondenza del momento in cui il
massimo della distribuzione gaussiana passa per l’ultimo piatto della colonna.
Consideriamo una colonna cromatografica che riempiamo di fase fissa e facciamo permeare di fase mobile.
Chiudendo il rubinetto il campione/miscela di sostanza si deposita sul primo piatto e gocciola ad una certa
velocità ed è bene reintegrare la fase mobile per far si che la colonna rimanga sempre piena. Tale aggiunta
continua finché la fase mobile non giunge all’ultimo piatto, cioè dove la sostanza sta uscendo. Se nel
momento in cui sta uscendo considero il volume utilizzato, questo sarà dato dalla somma del volume morto
della colonna e il volume di fase fissa. Tale volume viene definito di ritenzione, cioè tutto quel volume che
dovrà uscire dalla colonna affinché quel composto, caratterizzato da un proprio Kd , esca dalla colonna.
Perciò più è alto il Kd, più il campione tenderà a stare nella fase mobile. Il volume di ritenzione dipende solo
dal suo coefficiente di ripartizione.
Scelta la colonna, fissato VM e VF scelte le due fasi quindi fissato Kd (grandezze caratteristiche delle sostanze
che ci permettono di separarle), VR è una caratteristica del composto. I volumi di ritenzione cromatografici
sono elementi di caratterizzazione. Un composto x in quella colonna con caratteristiche fisiche avrà un suo
specifico tempo di ritenzione.
Se VR è una caratteristica del composto, VM è una caratteristica della colonna, cioè tutti i composti nella
colonna avranno uno stesso VM, che è una costante.
È utile quindi definire un volume di ritenzione corretto come la differenza tra VR e VM.

Questo è il volume effettivamente aggiunto per far eluire il composto. Infatti, aprendo il rubinetto con un
flusso costante, anche la quantità di volume da aggiungere sarà costante. Perciò il flusso di fase mobile è
uguale al volume passante in una sezione della colonna per unità di tempo, dove il tempo del volume di
ritenzione viene definito come tempo di ritenzione. Se il flusso è costante ci sarà una proporzionalità tra
volume e il tempo e posso considerare questi come volume e tempo di ritenzione corretti. Le grandezze che
abbiamo espresso in funzione dei volumi possiamo esprimerle come funzione del tempo, questo perché vi
è maggiore facilità nel calcolo dei tempi rispetto ai volumi, calcolabili attraverso l’equazione inversa (se il
flusso è costante).

Tramite la conoscenza del flusso ricaviamo il volume di fase mobile corretto, a cui corrisponde un tempo di
fase mobile corretto (tempo morto della colonna, il tempo che deve trascorrere durante il quale non esce
alcun soluto), e ricaviamo il tempo di ritenzione corretto dal volume di ritenzione corretto.

ALTRE GRANDEZZE CROMATOGRAFICHE

L’efficienza di una colonna dipende dalla velocità di flusso (cioè da quanto è aperto il rubinetto). Per capire
quando due sostanze sono risolte è necessario definire la velocità del flusso.

Se KdA > KdB allora vuol dire che la sostanza A tende a stare in modo migliore in fase mobile rispetto alla
sostanza B. Questo perché la costante Kd indica il rapporto tra le concentrazioni in fase mobile ed in fase
fissa, perciò dire che una sostanza ha un coefficiente di ritenzione migliore equivale a dire che si trova in
miglior modo in fase mobile. Allora, se A ha un coefficiente maggiore di B, sarà anche più veloce in quanto
avrà un tempo di ritenzione minore ed un volume minore. Quindi la sostanza A esce dalla colonna prima
della sostanza B.
Alfa è maggiore di uno poiché KdA > KdB .Inoltre è un rapporto tra due costanti termodinamiche quindi come
tali dipende solo dalla temperatura, una volta fissata la natura delle fasi fissa e mobile.
Il fattore di separazione ci indica che è possibile separare le sostanze solo quando hanno un Kd
sufficientemente diverso dato che se hanno un Kd analogo allora le due sostanze viaggeranno insieme.
Quindi per avere una buona risoluzione (separazione), alfa deve essere il più grande possibile e al limite
uguale ad uno.

Dato che il volume di ritenzione corretto VRI indica la quantità di volume da aggiungere alla colonna
affinché vi sia l’uscita del composto e non del volume morto (cioè il vero volume partecipante alla
cromatografia del composto) e dato che VM è il volume morto, in pratica il rapporto di capacità indica
quante volte bisogna riempire la colonna. Se per esempio vi è un VRI pari a 5 volte VM, allora, affinché il
composto esca è necessario riempire la colonna 5 volte.
Il rapporto VF/ VM dipende esclusivamente dalla Kd, perciò:
• se una sostanza ha Kd elevato allora è poco trattenuta e KI è piccolo (bisogna mettere poco solvente).
• se una sostanza ha Kd piccolo, allora è molto trattenuta e KI è grande (bisogna mettere molto solvente
per far eluire il composto).
Per fare una cromatografia ideale la sostanza dovrebbe camminare velocemente senza espandersi troppo,
perciò la colonna deve avere la capacità di trattenere le sostanze altrimenti uscirebbero tutte insieme
(quindi anche KI è una caratteristica importante affinché vi sia una buona risoluzione).

NUMERO DI PIATTI TEORICI DI UNA COLONNA


Una colonna è tanto più efficiente quanto maggiore è il numero dei piatti teorici di quel composto.
La colonna è costituita da un numero di piatti che non è solo una caratteristica fisica ma dipende anche
dalla velocità con la quale viene fatto fluire il liquido (cioè da quanto il rubinetto è aperto).
Se il flusso è rapido l’equilibrio di ripartizione si stabilisce con difficoltà, mentre se il flusso è troppo lento le
sostanze tendono a permeare tutto lo spazio a disposizione. Affinché vi sia il maggior numero di piatti (R) è
necessario stabilire una velocità di flusso ideale in modo da avere più equilibri di ripartizione e quindi più
piatti teorici (colonna efficiente).
R= ultimo piatto
Il numero di equilibri di ripartizione da fare per far si che la sostanza esca dall’ultimo piatto è molto
maggiore del numero fisico dei piatti. Dato che la frazione di sostanza che si trova nel piatto R dopo n
estrazioni è espressa come Yn-r. Quando n >> R allora possiamo approssimare Yn-r con Yn.
x e y sono le frazioni in fase mobile e fase liquida e la loro somma è uguale ad uno.

Quando R=r=xn, la frazione massima di soluto si ha nell’ultimo piatto R. Tale frazione massima corrisponde
a Tmax.
Prelevando la fase mobile ottengo la concentrazione massima (Cmax), cioè la concentrazione di soluto in
fase mobile al suo massimo nell’ultimo piatto (cioè quando raccolgo il composto). Questa è il rapporto tra
moli e volumi, dove:
∆Vm=volume di fase mobile nell’ultimo piatto
m= quantità totale di soluto introdotto nella colonna che si ripartisce in tutti i piatti nella fase mobile e nella
fase fissa.
Quindi il prodotto tra m ed x, cioè la frazione in fase mobile, esprime il numero di moli di soluto nella fase
mobile dell’ultimo piatto della colonna quando transita la frazione massima.
VR= n∆Vm perché per far arrivare la sostanza all’ultimo piatto è necessario fare un numero n di aggiunte.
Con r si intende R.
Le grandezze sono tutte misurabili.
Imaginiamo che la sostanza stia tutta sul primo piatto poi man mano che cammina nella colonna si registra
la quantità di sostanza che esce, quindi il volume che esce dalla colonna. Le goccioline che escono avranno
una certa concentrazione che aumenta fino ad arrivare alla massima concentrazione dell’ultimo piatto.
Negli strumenti moderni vi è un sensore che registra la concentrazione delle sostanze in uscita costituendo
un cromatogramma che ha l’andamento di una gaussiana. La grandezza m, cioè la quantità totale della
sostanza nella colonna, è corrispondente all’area della gaussiana. Inoltre la Cmax è proporzionale all’altezza
del segnale, cioè più la concentrazione è elevata, più il segnale è alto. Quindi il rapporto Cmax/m è
geometricamente equivalente all’altezza della gaussiana diviso l’area della gaussiana.

L’altezza della gaussiana è facilmente misurabile, l’area può essere calcolata in diversi modi approssimati:
- può essere espressa come h per w mezzi, dove w è la larghezza del segnale cromatografico (si può
ottenere prolungando i punti di flesso alla base). È come considerare un triangolo con base W ed altezza h,
dove l’area persa della gaussiana è trascurabile.
- si può considerare la larghezza del picco a metà altezza, cioè è b/2 (base a metà altezza), non è un
operatore matematico (quindi non è b diviso due). Corrisponde circa alla metà di w.
Determinando il rapporto Cmax/m posso calcolare il numero di piatti teorici R.
Le due espressioni riportate sopra sono due modi alternativi per calcolare R, poiché le espressioni
contengono tutte grandezze misurabili sul cromatogramma.
VR indica quanto è trattenuto il composto, cioè dopo quanto tempo ho il picco poiché è proporzionale al
tempo.
W indica la larghezza del segnale (picco), cioè sopra quanti piatti si distribuisce quel composto.
L’espressione di r può quindi essere espressa come il rapporto tra il tempo di ritenzione di un composto
(quanto tempo il composto rimane nella colonna) e un parametro che indica la larghezza della gaussiana,
cioè la deviazione standard.

Dato che una colonna è tanto più efficiente quanto maggiore sono i suoi piatti, allora una colonna efficiente
ha una gaussiana stretta e tempi di ritenzioni lunghi , In modo da poter rilevare più sostanze. Se il picco è
stretto allora la sostanza, quando scorre nella colonna, si distribuisce in un numero di piatti con distanza
breve. Più i picchi sono stretti e maggiore è il numero di sostanze che possono essere separate in un
determinato intervallo, se i picchi sono larghi allora saranno sovrapposti e non sarà dunque possibile
procedere con una separazione.
Quindi: Il rapporto di capacita esprime il tempo in cui la sostanza si trova nella colonna
Il fattore di separazione indica, quando due sostanze transitano nella colonna, se le due
curve si distanziano tra di loro.
Il numero di piatti esprime quanto i piatti si distanziano tra di loro.
Nel definire la
risoluzione di due picchi
cromatografiaci, questa
è data dal rapporto tra
la differenza dei tempi
di ritenzione e la
larghezza media dei
picchi alla base (w).
La piccola
sovrapposizione delle
gaussiane è accettabile,
quindi R= 1,25 è il valore
limite inferiore mentre
la situazione nel terzo
grafico è inaccettabile.

Dato che Rs deve essere più grande possibile, il rapporto alfa-1/a e il rapporto k primo/k primo + 1 e √R
devono essere più grandi possibile.
Alfa esprime il rapporto delle costanti di ripartizione. In pratica il fattore alfa mi dice che due composti a e b
si separano bene se la loro tendenza a ripartirsi tra le fasi fissa e mobile è più differente possibile.

Riportiamo il grafico di alfa -1/alfa rispetto ad alfa. Dal grafico si evince che quando alfa è uguale ad 1 il
rapporto è uguale a zero. La curva ci dice che è opportuno che alfa sia grande ma dopo 4 o 5 la funzione
non cambia quasi più. Cioè se ho alfa uguale a 8 la frazione sta circa su 0.8. mentre se porto alfa a 13 passo
a 0.9. Quindi portando il valore di alfa da 9 a 13 il valore del rapporto cambia molto poco. Infatti le maggiori
variazioni si manifestano in valori minori di alfa, perciò non ha senso spingere la ricerca di un rapporto
migliore oltre al valore di alfa = 5.
Dobbiamo scegliere le due fasi in modo tale che alfa sia maggiore di uno ma andare oltre a 5 non ha senso.
Dato che il rapporto deve essere il più grande possibile, è necessario scegliere la fase fissa e quella mobile
in modo tale che i coefficienti di ripartizione siano più diversi possibile tra di loro.
Riportiamo il grafico di k primo/k primo + 1 rispetto a k primo.
La curva è passante per l’origine, perciò k primo può essere zero e quindi anche il rapporto. Aumentando k
primo la maggiore variazione si ha nel passaggio tra i primi valori, dopo un certo valore non ci sono grandi
variazioni del rapporto.
La variazione maggiore si ha cambiano kd cioè la natura di fase fissa e mobile.

Andare troppo veloce significa fare pochi equilibri di ripartizione mentre se andiamo troppo piano vedrei il
campione diffondere in maniera omogenea in tutto il volume a disposizione (diffusione). C’ è quindi una
velocità intermedia che mi permette di fare il numero massimo di equilibri.
L’equazione di Van Deemter consente di ricavare un flusso intermedio che mi permetta di avere il massimo
numero di equilibri limitando gli effetti diffusivi di allargamento del picco, cioè stabilisce la relazione teorica
tra il flusso in una colonna e il numero di piatti. Questa è l’equazione fondamentale della cromatografia.
L’altezza HETP deve essere il più piccola possibile così da avere il maggior numero di piatti.
v= velocità di flusso della fase mobile.
L’altezza equivalente del piatto teorico è una caratteristica geometrica della colonna, vi è proporzionalità
inversa con R.
A è un parametro che tiene conto della porosità delle particelle. Infatti dato che si tratta di particelle
porose anche la porosità della particella si rende responsabile della velocità dell’equilibrio. Quindi se ho
particelle grossolane con porosità disomogenea, l’equilibrio di ripartizione si formerà lentamente ed il
parametro A sarà grande, mentre per particelle piccole con porosità regolare allora la fase mobile occuperà
un volume piccolo e il flusso sarà veloce. A, una volta indiviauata la porosità, è un parametro costante che
dipende dalla fisicità della fase fissa.
B è un parametro che tiene conto della diffusione longitudinale. Se ho una certa concentrazione di sostanza
all’interno della colonna, questa tende a diffondere longitudinalmente occupando il volume a disposizione.
Gli equilibri si devono stabilire rapidamente e dobbiamo far si che la velocità sia abbastanza alta da
minimizzare gli effetti della diffusione longitudinale. Tuttavia tale velocità non può essere troppo elevata
altrimenti non rende possibili gli equilibri di ripartizione.
C considera la resistenza al trasferimento di massa fra le due fasi. Infatti la massa tende a diffondere e
necessita di una velocità affinché vi sia un equilibrio di ripartizione, tale velocità deve essere la più piccola
possibile.
Quindi mantre il contributo di C vorrebbe che la velocità sia la più bassa possibile cosi da avere tempo
necessario per fare l’equilibrio di ripartizione, B vorrebbe una velocità elevata. Ci sono quindi due fattori
contrastanti che necessitano di un valore della velocità intermedio.

• A è un contributo costante.
• B/v iperbole, velocità bassa altezza del piatto elevata.
• Cv retta, velocità bassa altezza bassa.
Quando la velocità di flusso è eccessivamente bassa, il fattore B pesa più di tutti e fa si che l’altezza del
piatto teorico aumenti. Quando v è sufficientemente elevata, il fattore determinante è Cv che fa si che
l’altezza del piatto teorico aumenti.
La somma delle tre funzioni che descriveono i tre termini che influenzano l’altezza del piatto teorico,
determinano la funzione HTEP tramite cui si può rilevare un valore di velocità intermedia al quale
corrisponde l’altezza del piatto teorico minore possibile. Definisce quindi la velocità di flusso ottimale vopt.
In questo modo otteniamo un valore di altezza minimo in modo da avere un’alta risoluzione.
La classificazione dei metodi cromatografici è basata sulla fase mobile e quella fissa.

Se la fase mobile è liquida:

1) Fase fissa liquida (L.L.C) —> costituita da polveri microscopiche porose sulle quali aderiscono
sostanze liquide in modo tale che quando viene immesso il liquido della fase mobile, questo è
immiscibile con il liquido della fase fissa e realizza un equilibrio di ripartizione in uno strato sottile.
2) Fase fissa solida :

a) S.L.C. —> adsorbente,i soluti possono adsorbire direttamente sui solventi.


b) I.E.C. —> resina scambiatrice, cromatografia sugli ioni che vengono ionizzati (cromatografia a scambio
ionico), cioè una cromatografia che separa sostanze cariche utilizzando una fase fissa sensibile a tali
sostanza.
c) G.P.C. —> Gel, perfezione su gel.
In una colonna cromatografica tradizionale (lunga circa 15 cm con diametro di 0,5 cm) vengono realizzati
decine di migliaia di ripartizioni, è uno strumento molto efficiente. La cromatografia liquida ad alte
prestazioni è un tipo di cromatografia liquida che rappresenta l'evoluzione strumentale della cromatografia
in fase liquida su colonna classica. Serve un particolato super finissimo ed è necessaria una pompa per
spingere la fase mobile. Questo tipo di cromatografia utilizza come fase mobile una fase liquida.

Se la fase mobile è gas (i composti sono più volatili perché la ripartizione è tra una fase fissa liquida o solida
ed una fase mobile gassosa) :

1. Fase fissa liquida (G.L.C.) —> stratificata su un solido e passa al di sopra di un gas
2. Fase fissa solida (G.S.C) —> il gas provvede ad una ripartizione direttamente gas/solida

Il gas passa attraverso la colonna più facilmente rispetto ad un liquido perciò le pressioni necessarie
affinché la fase mobile gassosa attraversi la colonna non sono elevate.
Hanno un diametro di circa 0,25 mm.
Allora utilizziamo un’altra colonna, fatta a spirale, di qualche metro di colonna dove entra il gas che passa
nelle varie spirali. Il gas viene mandato con un flusso di 20/50 ml al minuto ed il flusso è dell’ordine di
decine di millilitri al minuto. È una colonna in grado di trattare qualche mg di sostanza.
L’equivalente della colonnina piccola è un filo con diametro di 0,25 micrometri e lunga di 25 metri. Ha un
flusso di decine di millilitri al minuto. Mentre in una ripartizione liquido liquido si formano molti equilibri di
ripartizione, con il gas servono tratti di colonna molto più lunghi, affinché vi sia un certo numero di
equilibri, in quanto la colonna è vuota. Quindi per avere centinaia di migliaia di piatti teorici non servono 20
cm ma 20 metri.
CHIMICA NUCLEARE
I fenomeni nucleari riguardano il nucleo e non sono fenomeni chimici ma fisici. La radioattività è un
fenomeno naturale, molto importante in ambito farmaceutico. Non si parla di nucleo ma del suo
corrispettivo nuclide, protagonista dei fenomeni di decadimento nucleare.

Elementi uguali con diverso riarrangiamento


nucleare
m=metastabile, ha uno stato eccitato e nel tempo passa ad una forma differente a maggiore stabilità. Vi è
dunque la trasformazione di un nucleo in un nucleo più stabile con emissione di energia.

Elio= 2n e 2p
Il positrone è un elettrone con una carica positiva ed è una particella di antimateria. Le particelle
beta sono più leggere rispetto alle alfa poiché sono costituite da elettroni.
Elettroni= Beta -
Positroni= Beta +

Gamma è un fotone dipendente dalla frequenza r dalla costante h. Maggiore è la frequenta,


maggiore è l’energia del fotone
La massa dell’elettrone è molto
piccola rispetto a quella del
neutrone e del protone.

L’energia nei processi nucleari è


misurata in eV.
96.48= fattore di conversione
Elementi della tavola periodica in un grafico con isotopi (x) rispetto al numero dei nucleoni (y). Gli isotopi
naturali, quindi i nuclei stabili, si dispongono lungo una retta che rappresenta il luogo dei punti dove il
numero di neutroni e protoni è uguale (N=Z). Oltre al valore di z=20 (corrispondente al calcio), si ha stabilità
in una condizione di eccesso di neutroni rispetto i protoni (N>Z), perciò, oltre questo valore, i nuclei stabili
si discostano dalla retta ideale.
La forza repulsiva esiste tra i protoni ma tra i nucleoni (protoni e neutroni) si stabilisce una forza di
interazione attrattiva che contrasta quella repulsiva.
Quando vi è la presenza di un numero non elevato di protoni, è sufficiente avere un egual numero di
neutroni per avere un nucleo stabile mentre se il numero di protoni è elevato bisogna avere molti neutroni
in eccesso per far si che il nucleo sia stabile.
Diagrammi di questo tipo rappresentano la valle di stabilità, cioè l’allineamento dei vari nuclei. Nel caso in
cui un nucleo abbia un numero elevato di protoni rispetto ai neutroni allora si ha un nuclide radioattivo
posizionato al di fuori della zona di stabilità.
Per Z>83 si ha un limite oltre il quale non è sufficiente l’aggiunta di altri neutroni per giungere alla stabilità
(quindi in natura non esistono).
Inoltre i radionuclidi che si trovano al di fuori della valle di stabilità tendono a trasformarsi spontaneamente
in nuclidi più stabili attraverso il processo di decadimento alfa o beta, quindi emettendo energia sotto
forma di radiazioni.
Quindi: La zon racchiusa tra le curve che comprendono tutti i nuclidi stabili rappresenta la fascia di stabilità.
Tutti i nuclidi che si trovano su una stessa verticale sono isotopi mentre tutti i nuclidi che si trovano su una
stessa orizzontale sono isobari.

Supponiamo di avere due nucleoni disposti a distanza infinita che formano un certo nuclide.
Il nucleo finale ha una massa inferiore rispetto alla somma delle masse dei nucleoni che costituenti.
Questo viene chiamato difetto di massa.
Più l’energia di legame è elevata più il nucleo è stabile.

Esempio dell’elio: 2n e 2p sono a distanza infinita, quando si avvicinano condensano formano il nucleo
dell’elio. Calcolo la massa che viene persa, nonché l’energia di legame.
Ci interessa sapere della stabilizzazione che gode ciascun nucleone dentro l’edificio nucleare, calcoliamo
quindi l’energia di legame per nucleone, che indica quindi la stabilita di un nucleone in un nucleo, cioè
l’energia di stabilizzazione per nucleoni.
Questo grafico riporta la variazione
dell’energia di legame nucleare media in
funzione del numero di massa.
Vi è un punto di massimo che indica che
un elemento ha maggior guadagno
energetico (56Fe).
Fusione e fissione sono fenomeni naturali
di radioattività. I nuclei più leggeri vanno
incontro ad un processo di fusione
mentre quelli più pesante ad uno di
fissione.
Fissione= nuclei pesanti che decadendo
tramite alfa, perdono protoni e neutroni
spostandosi verso il massimo e il nucleo
guadagna energia e si stabilizzano sempre
più. Se la reazione diventa incontrollabile
non è possibile fermarla.
1. Sfruttiamo una reazione nucleare senza ottenere prodotto radioattivo.
2. Non produce energia ma la richiede. Nelle stelle reazione inversa.
3. Incremento di massa, processo endotermico.
4. Processo endotermico, 5He è instabile rispetto alla sua dissociazione a 4He e un neutrone.
L’energia chimica è l’energia necessaria per rompere legami chimici. Quando utilizziamo l’energia nucleare,
questa sarà maggiore rispetto a quella chimica.
Se la trasformazione coinvolge 12g di C, allora l’energia chimica sarà maggiore rispetto a quella nucleare.

MODI DI DECADIMENTO

Il decadimento alfa è caratteristico dei nuclei pesanti.


Nel decadimento alfa una rottura esplosiva causa la rottura di un elemento in due frammenti con diversa
massa. La Q alfa è l’energia messa in gioco in un decadimento alfa e tale energia va in parte in entrambi i
frammenti. Tuttavia il frammento con massa minore acquisisce maggiore energia e si muove più
velocemente.
mz-2 + malfa= massa prodotti
mz= massa della particella di partenza.
Dal decadimento alfa dell’uranio si forma torio e una particella alfa e il sistema emettete energia pari a
4.269 MeV che si ripartisce sul torio e sulla particella alfa.
Il fatto che da un oggetto se ne formino due, impone che questi si dispongano a 180º nella stessa direzione.
Questa condizione è imposta dalla conservazione dell’energia cinetica e dalla conservazione della quantità
di moto. Impone che la quota di energia che va sul nucleo con massa maggiore è pari all’energia totale
moltiplicato per il rapporto della massa del secondo oggetto e della massa originale. Il resto dell’energia
sarà delle particella alfa, data dall'energia totale moltiplicata per il rapporto della massa dell’oggetto
pesante e della massa dell’oggetto originale.
Ogni elemento ha una propria energia caratteristica. Infatti, per esempio, se otteniamo un’energia pari a
4,269 MeV allora possiamo capire che si tratta di uranio. Misurando il segnale delle particelle alfa emesse
dall’uranio vediamo che producono un certo segnale, accompagnato da un segnale meno intenso
proveniente dal fatto che non tutti i nuclei di th sono generati allo stato fondamentale ma molti sono allo
stato eccitato, cioè un isomero metastabile. Quindi l’uranio 238, quando si trova ad una certa energia,
decade ed emette particelle Th stabili con una differenze di energia di 4.197 e in parte un certo numero di
Th allo stato eccitato con differenza di energia pari a 4,13. Questi, entro un certo tempo, emettono raggi
gamma e si stabilizzano. Abbiamo quindi contemporaneamente l’emissione gamma ed alfa.
Ci sono dei nuclei, anche leggeri, neutronricchi, cioè hanno troppi neutroni rispetto al necessario per far
parte alla valle di stabilità. Questi diminuiscono il numero di neutroni trasformando un neutrone in un
protone tramite l’ emissione di un elettrone, indicato con beta-. Se prendessi un neutrone al di fuori del
nucleo (nudo) si trasformerebbe in un tempo relativamente breve (10,8 minuti) in un protone. Il nucleo può
quindi trasformare il neutrone in un protone con emissione di elettroni indicati con beta meno. Inoltre
deve essere prodotta anche un’altra particella che è l’antineutrina , particella di antimateria senza carica e
senza massa.
Calcolando la Qb non viene contata la massa dell’elettrone perché trascurabile rispetto alla massa dello
stagno e l’antineutrina è priva di massa. Quindi la somma delle masse è in realtà quella dello stagno meno
quella di In.
Le particelle non si dispongono più secondo un angolo di 180º ma, dato che da un oggetto ne generiamo
tre, questi possono disporsi in ogni direzione secondo un orientamento reciproco qualsiasi. I tre oggetti
prodotti hanno tutti energia differente, di conseguenza l’energia si ripartisce in maniera differente rispetto
ad alfa. A differenza di alfa, l’energia della particella beta non è definita. Al limite la particella beta non
prende alcuna energia (molto improbabile) o la prende tutta (altrettanto improbabile).

Nel decadimento beta si ha un


andamento parabolico
caratterizzato da un massimo.
L’energia totale disponibile si
distribuisce in parte sulla particella
beta che assume un andamento di
questo tipo con il massimo circa
ad 1/3 rispetto all’energia
massima.
L’energia può essere al minimo
zero ed al massimo 2.95 MeV.
Un elemento potrebbe essere potronricco, cioè contenente troppi protoni rispetto al numero di neutroni.
Allora un elemento decade trasformando un protone in un neutrone emettendo un positrone ed un
neutrino.
Il positrone viene indicato con beta più, particella di antimateria.
A differenza di prima vengono prodotti sempre tre oggetti ma un neutrino, che ha materia, e un positrone.
La particella beta+, particella di antimateria, viene sparata nella materia dove ha tempo di sopravvivenza
breve poiché incontrerà facilmente un elettrone causando una collisione tra un elettrone ed un positrone.
Tale collisione produce due raggi gamma che si dispongono in modo perpendicolare alla direzione di
collisione, 180º. Quanto materia ed antimateria collidono, scompaiono entrambe secondo il processo di
annichilazione, dove al posto della materia compare l’energia.
Tutto ciò è interessante sotto il punto di vista medico/farmaceutico in quanto permette il funzionamento
della PET, in grado di rivelare i due raggi gamma e in grado da stabilire la loro provenienza.
Es: Radiofarmaco con una struttura tale che si concentra nei reni. A questo punto il radiofarmaco trasporta
con se l’atomo radioattivo che emette beta+ la cui presenza nel rene ne indica la funzionalità dell’organo
dato che il farmaco giunge fin lì. L’atomo decade ed emette beta+ e collide con l’atomo più vicino dotato di
elettitrone, avviene quindi l’ annichilazione che produce due raggi gamma, rilevati dalla PET con la
rispettiva posizione, con scomparsa della materia.
Essendo un fenomeno di decadimento per calcolare l’energetica dobbiamo calcolare la differenza di massa.
Nei prodotti abbiamo massa dell’elemento più la massa del positrone, cioè massa dell’elettrone; il
problema è che nella materia ha un tempo di vita breve, appena si forma annichila con un elettrone della
materia. Perciò dobbiamo mettere la massa sia di beta+ che beta- , la massa dell’elettrone più la massa del
positrone cioè il doppio della massa dell’elettrone. Il neutrino non ha massa.
Se accettiamo l’idea di un modello atomico di Bohr, abbiamo un nucleo con cariche positive e gli elettroni
che ruotano attorno al nucleo. L’elettrone che ruota più vicino al nucleo è quello che si trova sull’orbitale
1s, detto strato k. Se abbiamo un nucleo con pochi protoni l’attrazione rispetto all’elettrone è bassa e
dunque l’elettrone avrà un certo diametro. Aumentando la carica del nucleo, quindi con gli elementi più
pesanti della tavola periodica, aumenta anche l’attrazione del nucleo rispetto all’elettrone. Per poter
contrastare questa attrazione l’elettrone dovrà ruotare sull’orbita con una velocità maggiore. Quando
abbiamo a che fare con atomi con un numero di protoni elevato, allora all’aumentare del numero di
protoni, l’elettrone ruoterà con velocità maggiori su un diametro più piccolo.
Gli atomi con Z basso hanno un orbitale 1s grande ed una velocità dell’elettrone bassa mentre gli elettroni
con Z alto hanno un orbitale 1s piccolo ed una velocità dell’elettrone alta.
Quando la velocità dell’elettrone è prossima alla luce entrano in gioco fattori quantistici.
Un elettrone sparato alla velocità della luce risente dell’effetto tunnel in cui un oggetto non ha bisogno di
passare barriere fisiche per poter passare da una parte all’altra. L’elettrone ha una certa probabilità di stare
in una data posizione ed una certa probabilità a stare nella parte opposta. Tuttavia questo fenomeno è
possibile secondo la meccanica quantistica e non quella classica. Unendo entrambe le visione giungiamo
alla conclusione che l’elettrone può passare da un punto all’altro senza dover percorrere orbita ma tramite
l’effetto tunnel.
Quando l’elettrone assume la velocità della luce assume fattori quantistici perché è una particella e tramite
l’effetto tunnel si ritrova dentro al nucleo. Qui incontra un protone e lo neutralizza producendo un
neutrone. Quindi da un elemento z troviamo un elemento z-1 in quanto un protone si combina con un
neutrone. Tale procedimento è lo stesso di quello del decadimento di beta+, cioè del positronico con la
differenza che non vengono generati due raggi gamma.
Tuttavia nello stato k vi è la mancanza di un elettrone. Un elemento relativamente pesante ha più elettroni
dove quello nello strato k ha un’energia minima. Perciò la mancanza di tale elettrone viene compensata dal
passaggio di un altro elettrone proveniente da uno strato più esterno con emissione di energia.
Inoltre:
1. I nuclidi che hanno una carica nucleare>30 (z>30) decadono soprattutto per via di una cattura
elettronica
2. I nuclidi leggeri con carica nucleare<30 (z<30) decadono soprattutto per decadimento positronico
I nuclidi che hanno una carica nucleare compresa tra 30 e 80 (30<z<80) possono decadere secondo
entrambi i processi con contemporanea emissione di raggi gamma (per annichilazione) e raggi x (per
cattura elettronica)
L’emissione gamma non è un fenomeno di decadimento vero e proprio in quanto si verifica in nuclidi in
grado di esistere nello stato metastabile. La reazione mostra una specie metastabile che diventa stabile,
cioè passa allo stato fondamentale, tramite l’emissione di raggi gamma. Questo passaggio avviene in tempi
molto lunghi (centinaia di anni). Le specie metastabili si formano sia nel decadimento alfa che nel
decadimento beta. Tali specie possono essere anche più di uno. Il bromo per esempio ha uno stato
fondamentale, un primo stato metastabile m1 ed un secondo stato metastabile m2. Le due specie
metastabili sonno fare una transizione nello stato fondamentale con emissione di energia pari a 0,037 MeV,
da m1, e 0,086 MeV, da m2. Inoltre vi è la possibilità di passare da m1 ad m2 con un’emissione di energia
pari a 0.049 MeV.
Il decadimento alfa, o il decadimento beta, permettono di spostarsi verso la valle di stabilità.
Un elemento radioattivo può tradursi con una cinetica di primo ordine. Il radionuclide A si trasforma in un
radionuclide B.
-dN/dt indica la variazione del numero di radionuclidi nell’unità di tempo, cioè quanti nuclidi subiscono la
trasformazione.
Lambda indica la velocità del processo di decadimento, più è grande, maggiore è la velocità del processo;
indipendente dalla concentrazione della sostanza.
Si parla di attività= lambraxN= -dN/dt.
Il tempo di dimezzamento è il tempo necessario affinché il nucleo radioattivo si dimezzi. Essendo l’attività
proporzionale ad N dimezzerà anche a. La vita media del radionuclide non è il tempo di dimezzamento ma è
correlata a questo. Infatti un radionuclide non può decadere né troppo velocemente né troppo lentamente
dato che, se decade lentamente, si ha più tempo per fare una sintesi ma è dannoso per il paziente al quale
viene somministrato. è quindi rilevante il tempo di dimezzamento per sapere quanto tempo è possibile
stare a contatto con una sostanza radioattiva, cioè per produrre un radiofaro posso utilizzare qualsiasi
radioisotopo pur tenendo conto del tempo di dimezzamento.

L’andamento della radioattività nel tempo è descritto da un diagramma esponenziale:

Al tempo zero Nt/N0=1. Dopo un tempo di


dimezzamento arriviamo a 0,5 (N0/2), dopo
due tempi di dimezzamento arriviamo a
0,25 (N0/4), dopo tre tempi di
dimezzamento arriviamo a 0,125 (N0/6)
ecc.Dunque, dato che una funzione
esponenziale tende asintoticamente a zero
senza giungerci mai, allora la radioattività di
un nuclide non si estinguerà mai.
In senso pratico: se viene iniettata al
paziente una certa quantità di radioattività
sufficiente per fare delle misure di
radioattività e quindi riesco a fare misure
entro alcuni tempi di dimezzamento, allora
il radionuclide è buono per fare della
terapia.
L’attività è la reazione dei nuclidi nell’unità di tempo, cioè quanti nuclidi decadono nel tempo. L’attività
viene espressa come -dN/dt, cioè la pendenza della curva di decadimento, indica quanti atomi radioattivi
sono presenti nel campione. L’unità di misura utilizzata oggi è il Bequerel mentre prima era il Curie.
Al paziente deve essere somministrata la minore quantità di radioattività necessaria al fine di poter fare
una diagnosi. La radioattività è una proprietà che consente il minimo valore di rilevabilità, cioè possiamo
analizzarlo poco in modo da somministrare una quantità molto bassa al paziente. Tuttavia la quantità di
sostanza è talmente poca da essere invisibile. Per somministrare un radiofarmaco ad un paziente si ricorre
alla diluizione: si mescola il composto radioattivo con se stesso non radioattivo in una quantità nota in
modo tale che la radioattività si distribuisca in tutto il composto. A questo punto si procede con un’analisi e
si definisce l’attività specifica al fine di definire la radioattività per atomo.
La radioattività naturale esiste per due motivi:
1. Esistono elementi con tempi di dimezzamento talmente elevati che, sebbene ci siano da quando la
terra si è formata, sono tutt’ora presenti;
2. Esistono elementi radioattivi che si creano continuamente ogni giorno.

Esistono elementi radioattivi con un tempo di dimezzamento cosi grande che, presenti nel momento in cui
la Terra si è formata, esistono ancora oggi. Altri eleggenti radioattivi vengono continuamente formati,
infatti il decadimento genera delle famiglie di decadimento, con presenza di tutti i radioisotopi derivanti dal
decadimento. Serie 4n + 2, n indica il valore dei nucleoni.

Consideriamo per esempio la famiglia dell’uranio 238. Le frecce intere a sinistra indicano un decadimento
di tipo ∂, le frecce intere a destra indicano un decadimento di tipo ß mentre le frecce tratteggiate indicano
un decadimento di tipo ∂ o ß accompagnati da raggi gamma. L’uranio 238 è presente nell’istante zero
ideale di formazione della Terra. Ha un tempo di dimezzamento molto grande (10^9 anni), perciò molto
lentamente decade a 234Th. Questo ha un tempo di dimezzamento veloce (24 giorni) e decade quindi
nell’immediato, tramite un processo ß+ raggi gamma, e produce il 234Pa. A sua volta Pa ha un tempo di
dimezzamento pari a 1.7 minuti, quindi produce istantaneamente l’uranio, non più 238 ma 234, il quale ha
un tempo di dimezzamento elevato (10^5 anni) e decade quindi lentamente producendo 230 Th e cosí via
fino a giungere al 206Pb, stabile (giungiamo nella valle di stabilità).

La terra è costantemente invasa dai raggia cosmici che vengo da ogni direzione. L’atmosfera viene colpita per
prima da tali raggi, essa ha funzione di schermo per questi raggi poiché li assorbe. I raggi cosmici sono
particelle che colpiscono l’atmosfera dando luogo a reazioni nucleari con produzione di radioisotopi.
Continuamente l’atmosfera è bombardata dai raggi cosmici e continuamente è sede di reazioni nucleari. Per
la maggior parte i raggi cosmici primari vengono assorbiti nello strato più alto dell'atmosfera e sulla terra i
raggi cosmici secondari sono principalmente costituiti da mesoni, elettroni, fotoni, neutroni e protoni. A
livello del mare la radioattività dovuta a tali raggi è più bassa rispetto alla montagna. Le reazioni nucleari che
avvengono dallo scontro dei raggi cosmici con l’atmosfera sono le stesse reazioni che si verificano nelle
centrali nucleari e nei ciclotroni. Le reazioni nucleari sono trasformazioni di nuclei bersaglio per collisione
con: un altro nucleo, particelle alfa, protone, deutrone, nuclei pesanti; una particella elementare; un fotone.
Con proiettili di tipo carico (es. p, a) è necessario che questi abbiano energia tanto maggiore quanto maggiore
è il numero atomico Z del nucleo bersaglio (repulsione elettrostatica). Proiettili neutri come i neutroni
possono produrre reazioni su nuclei di qualsiasi numero atomico Z, anche se la loro energia è molto modesta
(frazione di eV). I neutroni non sono emessi in fenomeni radioattivi, ma possono esserlo in fenomeni di
fissione spontanea di nuclidi molto pesanti (es. 252Cf). Sorgenti di neutroni si ottengono anche mediante
reazioni nucleari prodotte da acceleratori di particelle (es. 2H(d,n)3He, oppure 3H(d,n)4He). Sorgenti portatili
di neutroni: es. miscelando polvere di 241Am (αemettitore) con polvere di Berillio, si ottengono neutroni fino
a circa 10 MeV, con energia media di 4.5 MeV.

Energia elevata per vincere la repulsione elettrostatica.


Una caratteristica dei neutroni è che il loro effetto dipende dalla loro velocità. Infatti più sono lenti più è
probabile il fenomeno di cattura neutronica.
1. Composto azotato bombardato da particelle alfa. 14N è il bersaglio mentre le particelle alfa sono i
proiettili. Si chiamano ∂,p in quanto sparando particelle alfa ottengo un protone.
2. Stavolta nel neutrone si produce un raggio gamma
3. Il neutrone combinato con l’azoto produce 14C e un protone. Questa reazione è responsabile della
presenza del 14C nell’atmosfera, in quanto i raggi cosmici colpiscono l’azoto atmosferico
producendo carbonio 14.
4. Questa reazione viene detta fotonucleare in quanto viene utilizzato un fotone al fine di produrre
15O e un neutrone.

Un atomo pesante può assorbire un neutrone e formare 236U, altamente instabile che può dar luogo ad
una frantumazione x,y producendo un certo numero a di neutroni.

La fissione spontanea dei nuclei pesanti, anche se improbabile, può essere indotta tramite un neutrone. Il
nucleo di 235U viene bombardato da un neutrone che se causa la rottura in due nuclei e genera più
neutroni di quelli iniziali.

Un nucleo bersaglio, quando viene colpito da un neutrone, genera due frammenti e altri neutroni. Se
facciamo in modo che il materiale che sto irradiando abbia una densità sufficiente da far si che i neutroni
trovino altri nuclei, allora la reazione nucleare continua.
Per moderare la reazione si inseriscono tra più atomi di materiale fissile (cioè in grado di innescare una
reazione a catena di fissione, combustibile nucleare) delle barre di materiale capace di assorbire i neutroni
senza innescare la bomba nucleare.
Reattore nucleare= sistema tecnologico in
grado di innescare una reazione nucleare a
catena a partire da combustibile nucleare.

Questa reazione richiede grandi quantità di energia al fine di innescare una fusione nucleare. Questo
perché per far si che un nucleo carico positivamente formi un altro nucleo carico positivamente, i due
nuclei devono avvicinarsi e collidere con energia molto elevata al fine di vincere le forze elettrostatiche
nucleari che tenderebbero a far si che i due nuclei di respingano.

Nelle stelle un protone trova condizioni di densità, temperatura ed energia favorevoli per poter collidere
con un nucleo di carbonio. Avviene quindi una reazione p, gamma. Il 13N prodotto non è stabile perciò
decompone producendo 13C e positrone. Il 13C può ancora essere attivato da un altro protone e produrre
14N e gamma e così via. Quindi il prodotto di una reazione viene consumato nella reazione successiva.
Sommando tutti i processi la reazione totale mostra che 4 protoni si uniscono tra loro per formare una
particella ∂ e generare energia.
L’energia cinetica nucleare esprime l’energia per vincere la repulsione elettrostatica tra i due nuclei. Per
temperature elevate è possibile realizzare la reazione facendo si che, tramite gli acceleratori di particelle,
queste particelle assumono velocità elevate nel vuoto (tramite pompe da vuoto) in cui ci sono protoni con
cui non si incontreranno mai. (situazione ideale).
RADIAZIONI

Dato che gli emettitori ∂,ß e gamma hanno finalità diverse in ambito medico, è necessario fare delle
diversificazioni. Considerando il loro potere di penetrazione:
∂) le particelle alfa sono dotate di 2n e 2p. Quando attraversano la materia, le particelle alfa risentono della
carica nucleare della materia che attraversano. Attraversano strati di materia molto piccoli che fanno si che
i raggi alfa perdano energia. I raggi alfa infatti sono le particelle meno penetranti in quanto si fermano al
passaggio su un foglio.
ß) Beta- : gli elettroni sono più presenti nello spazio quindi hanno maggiore tendenza alla deviazione. Le
particelle beta risentono dell’attrazione rispetto ai nuclei e della repulsione rispetto agli e-. Questi riescono
a passare un foglio di carta e riescono a toccare la pelle non giungendo troppo in profondità, perciò con
adeguate protezioni (camice, guanti mascherina) è possibile proteggersi da questi.
Beta+: appena entra nella materia viene a contatto con e- e dunque viene fermato, generando tuttavia
raggi gamma.
g) tali raggi derivano quindi dal decadimento di beta+. Non hanno né carica né materia perciò possono
attraversare la materia senza alcun problema, fino ai metalli. Sono quindi quelli a maggiore potere
penetrante. Nonostante il corpo sia molto esposto a tali raggi, questi non causano molti danni, quasi nulli.
Pur essendo le particelle alfa le meno penetranti, sono le più dannose mentre le particelle gamma sono le
più penetranti ma le meno dannose.
I raggi alfa, beta e gamma sono caratterizzati da una diversa interazione con la materia, cioè le radiazioni
che la attraversano scambiano energia con questa depositandone energia più o meno elevata.
Le radiazioni vengono dette anche ionizzanti poiché l’effetto principale delle particelle ad alta energia,
quando attraversano la materia, è quello di scambiarne energia. Sono dunque in grado di ionizzare atomi o
molecole con cui interagiscono; dato che la materia è sostanzialmente vuota, l’effetto più probabile è
quello di espellere un elettrone. Quindi, una radiazione porta la sua energia all’interno della materia, dove
scarica tale energia, causando la ionizzazione.
Le radiazioni possono non essere ionizzanti, cioè non avere energia sufficiente per ionizzare atomi o
molecole, perciò, anziché produrre ioni attraverso la materia, si limitano ad eccitare l’elettrone. La
radiazione ionizzante dipende da molti fattori quali l’energia, il tipo di radiazione ed il materiale del mezzo
che queste attraversano. Inoltre queste vengono generate da reazioni nucleari, ad elevata temperatura,
attraverso la produzione di particelle ad alta energia negli acceleratori di particelle. Le radiazioni ionizzanti
possono essere di due tipi:
1. Direttamente ionizzanti = radiazioni che producono ioni in modo diretto, quali ∂,ß+,ß-
2. Indirettamente ionizzanti = radiazioni che producono ioni in modo indiretto, quali raggi gamma, x,
neutroni.
INTERAZIONE DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI CON LA MATERIA

Dato che le particelle ∂ hanno massa e carica maggiore rispetto ai raggi ß e gamma, queste hanno minore
potere penetrante, cioè la capacità di attraversare la materia, in quanto risentono maggiormente della
carica nucleare della materia che attraversano. Dato il loro debole potere penetrante, la loro energia viene
dissipata su uno spessore di materia molto piccolo causando gravi danni. Ha dunque un potere ionizzante
elevato, cioè il numero di ioni prodotti nella materia per unità di percorso, nonché l’intensità di produzione
degli ioni nella materia. È inversamente proporzionale al potere penetrante in quanto maggiore è lo
spessore della materia, più l’energia viene dissipata in un intervallo più ampio. I raggi ∂ vengono utilizzati
per distruggere le masse tumorali.
Es: i danni che i raggi ∂ producono in 1 cm equivalgono ai danni prodotti dai raggi ß in 1m.

I raggi ß sono prodotti in uno spettro di energia perciò questa varia da pochi Kev a molti Mev,
generalmente è minore di 4 MeV. L’energia media delle particelle ß è circa 1/3 dell’energia massima. Dato
che tali particelle sono più leggere rispetto alle particelle ∂ ed hanno una sola carica, a parità di energia,
sono più veloci ed hanno inoltre un potere penetrante maggiore rispetto ai raggi ∂, seppur debole, e
minore rispetto ai raggi gamma, non giungono oltre uno spessore di 5mm di alluminio o 1 cm della pelle.
Dato che la particella percorre uno spazio ampio rispetto ai raggi ∂, il potere ionizzante è minore in quanto
scarica energia in più spazio.
È possibile schermare tali raggi con apposite protezioni quali guanti, camice, mascherina. Se vengono
emesse entro il corpo umano sono sempre dannose, mentre se emesse da una sorgente esterna sono
dannose solo per gli organi a meno di 1 cm dalla cute.

Sono i più energetici con frequenza maggiore e lunghezza d’onda minore e dato che sono fotoni la loro
velocità è quella della luce. Hanno un elevato potere penetrante (riescono ad oltrepassare qualche cm di
piombo) ed un potere ionizzante molto basso. Questo perché sono particelle prive di carica e massa perciò
non risentono delle forze elettrostatiche. Quando urtano con un elettrone, questo viene espulso dalla
materia e di conseguenza si formano elettroni secondari che ionizzano la materia se dotati di sufficiente
energia. Dato che i raggi gamma attraversano i tessuti vengono utilizzati per la radiodiagnostica.

Non sono collegati a fenomeni di decadimento nucleare e non interagiscono molto con la materia, quindi la
attraversano senza produrre effetti molto dannosi. Essendo dei fotoni hanno un forte potere penetrante ed
un debole potere ionizzante in quanto hanno energia inferiore a quella dei raggi gamma.
Vengono prodotti in diversi modi; sono fortemente penetranti poiché non avendo carica non interagiscono
elettrostaticamente con i nuclei degli atomi che costituiscono la materia e riescono quindi ad attraversarla
facilmente. Non possono essere indirizzati ma è possibile rallentare la loro energia poiché l’interazione con
la materia dipende dalla loro energia (diffusione elastica o cattura neutronica). Quando giungiamo ad
energia molto bassa prevalgono le reazioni di cattura neutronica da parte dei nuclei che diventano
radioattivi per poco tempo. Questa metodologia può dunque essere utilizzata per attivare neutricamente
gli elementi a scopi analitici.
Il Röntgen è la misura della dose emessa dalla sorgente mentre il Gray è la misura della dose assorbita dal
materiale. Dato che le radiazioni non sono tutte uguali, la dose Gray è diversa da quella equivalente che è
utilizzata per misurare gli effetti biologici, dipendenti dal tipo di tessuto e dalla natura della radiazione.

RIVELATORI DI RADIOATTIVITÀ (10-7/10-11 m)

Questi strumenti sono molto importanti in quanto hanno un livello minimo di rilevabilità, con
concentrazioni molali molto basse, che consentono di utilizzare una quantità microscopica di materiale
radioattivo.

Storicamente il primo oggetto utilizzato per rivelare le radiazioni è stata la lastra fotografica, che colpita da
energia, cioè fotoni, viene impressionata. Queste non sono molto pratiche e non vengono utilizzate molto.
Gli scintillatori possono essere liquidi, solidi o gassosi, sono sostanze che, esposte a radiazioni, emettono
lampi di luce corrispondente ad un evento di decadimento. L’eccitazione elettronica avviene tramite
semiconduttori che, esposti ad una radiazione, cambiano la propria conducibilità emettendo un impulso
elettronico, equivalente ad un evento di decadimento.

IONIZZAZIONE A GAS
Si basa sul fatto che radiazioni ionizzanti provocano una maggiore conducibilità elettrica nei gas da loro
attraversati. Immaginiamo un rivelatore di gas, cioè un recipiente cilindrico chiuso al cui interno è presente
un gas, che può essere di varia natura, ad una certa pressione. Le pareti del recipiente sono caricate da un
certo potenziale, per esempio negativo (catodo), e coassiale a questo cilindro ed isolato dalle pareti vi è un
filo sottile terminale, caricato positivamente (anodo). Il gas all’interno separa la carica positiva del filo dalle
pareti negative e viene sottoposto ad un potenziale poiché collegato ad un circuito esterno. Inizialmente
tra i due poli non vi è differenza di potenziale e non avviene dunque emissione di corrente, se non vi è
radiazione il gas isola il cavo dalle pareti. Quando entra una radiazione nel recipiente, le particelle cariche
della radiazione interagiscono con il gas producendo una ionizzazione. Dato che viene applicata la
differenza di potenziale, di conseguenza gli ioni carichi positivamente tenderanno a migrare verso la parete
carica negativamente mentre gli ioni negativi verso il cavo. Se le particelle raggiungono questi sono in grado
di mandare un impulso elettrico e si avrà dunque un passaggio di corrente. Se la radiazione entrante è più
intensa, il numero di ioni prodotti sarà maggiore e produrranno una corrente più intensa. C’è quindi
proporzionalità diretta tra l’intensità di radiazione e l’intensità di corrente.
Si può avere un limite di rilevabilità molto basso dunque consideriamo che il numero di coppie ioni elettroni
prodotto per particella ionizzante per centimetro vada da 100 a 1 milione.

Il sistema avrà un diverso comportamento in base alla differenza di potenziale applicata sulle pareti del
recipiente poiché quando il gas viene ionizzato, nel suo percorso verso gli elettrodi, incontrano altre
molecole di gas. A seconda dell’accelerazione, quindi del potenziale applicato, queste possono essere fonte
o meno di una seconda ionizzazione.

Di seguito viene riportato il grafico che mostra la variazione del numero di ioni in scala logaritmica, quindi la
corrente, in funzione del voltaggio, cioè della differenza di potenziale applicata.
x= differenza di potenziale
y= numero di ioni scaricati, cioè gli ioni che giungono agli elettrodi e producono il segnale

Vi sono due curve rappresentative di due radiazioni, una più energetica dell’altra. Aumentando il voltaggio
applicato, la corrente tende a crescere finché le due curve non convergono in un’unica curva.

B = camera di ionizzazione
C = regione proporzionale tra voltaggio applicato e segnale prodotto (l’intensità dell’impulso
dipende dall’energia delle particelle)
E = regione di Geinger (l’intensità dell’impulso non dipende dall’energia delle particelle), i due
segnali si ricongiungono in un unico segnale.
A. Se non viene applicato nessun voltaggio a cavo e pareti, questo è un semplice recipiente. Nel momento
in cui viene applicata una differenza di potenziale gli ioni positivi e negativi convergono verso pareti e filo.
Dato che in questo tratto la differenza di potenziale è bassa, avviene il fenomeno di ricombinazione per cui
in questo percorso incontrano ioni con carica opposta neutralizzandosi, perciò non si scaricano sulle pareti
e producono un impulso poco intenso.
Tuttavia la probabilità di urtare con ioni di segno opposto durante il percorso verso gli elettrodi è sempre
minore a potenziali maggiori, infatti aumentando il potenziale aumenta anche la corrente prodotta.
B. In questa zona tutti gli ioni prodotti si scaricano e l’intensità di corrente rimane costante. Questo perché
si giunge ad un valore di potenziale tale per cui tutti gli ioni prodotti in seguito alla ionizzazione del gas non
si ricombinano e la carica ottenuta rimane costante. Questa zona è detta camera di ionizzazione poiché
vengono misurati tutti gli ioni prodotti dalla ionizzazione. Tuttavia la corrente prodotta ha un’intensità di
correte bassa ed è dunque necessario un amplificatore (aumento ∆V così d avere un seconda ionizzazione).
C. In questa zona sono presenti due radiazioni a diversa energia dove quella più energetica è quella che
produce maggiore ionizzazione del gas e quindi corrente (la curva più alta). Aumentando il potenziale gli
ioni vengono sottoposti ad un’accelerazione che fa si che questi, collidendo con altre molecole di gas
neutro nel recipiente, producano una ionizzazione secondaria, aumenta il segnale. Questo fenomeno è
tanto maggiore quanto maggiore è il potenziale applicato. Questa è una zona di proporzionalità in quanto vi
è proporzionalità tra il potenziale applicato e l’intensità di corrente, quasi lineare, ed un effetto di
amplificazione del segnale, quindi possiamo misurare radioattività più basse.
D. Se il voltaggio aumenta ancora di più si può giungere al punto in cui gli ioni prodotti dalla radiazione
dovuti alla ionizzazione primaria sono molto minori rispetto a quelli prodotti dalla ionizzazione secondaria.
E. Qui vi è il massimo della sensibilità. In tale zona avvengono molti fenomeni di amplificazione che
producono il segnale più intenso. Tuttavia tale segnale non dipende dalla radiazione. In questa zona non è
possibile distinguere le radiazioni in quanto gli impulsi hanno tutti stessa intensità, è possibile differenziarle
diminuendo il voltaggio.
Nella zona B,C,E abbiamo tre diverse modalità dell’utilizzo dello strumento che dipende solo dal voltaggio:
B) 101V
C) 102 V
E) 103 V
Nelle zone B e C l’intensità dell’impulso dipende anche dall’intensità della radiazione infatti due radiazioni
diverse hanno un diverso andamento nella zona C, quindi l’intensità dell’impulso misurato dipende
dall’energia della particella mentre nella regione di Geiger l’intensità non dipende dalla particella.
Finestra= base a sinistra del cilindro
Se la finestra ha un diametro molto fino possono entrare tutte le radiazioni, aumentando lo spessore, per
esempio, i raggi ∂ non riescono ad attraversarlo. In questo modo, cioè aumentando lo spessore del cilindro,
posso valutare il tipo di raggi entranti.
RADIOISOTOPI
RADIODATAZIONE

Esistono degli isotopi presenti durante la formazione della Terra che hanno un tempo di dimezzamento
elevato tanto da essere ancora presenti, possono quindi fungere come orologi naturali, cioè è possibile
risalire all’età degli oggetti analitici tramite la radiodatazione. Il capostipite della famiglia ha vita
lunghissima e può produrre figli con tempi di dimezzamento variabili. La quantità di radioattività di un
campione varia nel tempo e a seconda di questa possiamo risalire all’età. Quindi la composizione di un
suolo, dopo un certo tempo, è caratteristica rispetto al tempo trascorso. Tale tempo può essere ricavato
tramite un’equazione differenziale.

NAt è il numero di atomi radioattivi del campione A al tempo t mentre il secondo termine è il numero di
atomi radioattivi del campione A al tempo t0.
Nct è la quantità di A iniziale al tempo t0 a cui deve essere sottratta la quantità di A e di B al tempo t in
modo da ottenere il numero di atomi di C al tempo t.

Esempio suolo con un certo


radioisotopo A che genera B e C. A è lo
stesso in entrambi i casi mentre il
tempo di dimezzamento di B varia, è
più elevato nel grafico a destra.
sx: B cresce poco producendo molto C,
cioè si trasforma in C molto
rapidamente
dx: B si accumula maggiormente nel
tempo e viene prodotto meno C.
RADIOCARBONIO

Molte datazioni sono possibili grazie al 14C.


La Terra è sottoposta all’azione di raggi cosmici che vengono prevalentemente assorbiti dall’atmosfera.
Quando un neutrone proveniente dai raggi cosmici colpisce una molecola di 14N dell’atmosfera, questi
reagiscono (reazione su slide) trasformando 14N in 14C con tempo di vita lungo. Il carbonio ha un ciclo
nell’atmosfera tale per cui tutti gli organismi assumono carbonio derivante da C14 dell’atmosfera.
Ipotesi mai smentita: la concentrazione di C14 è costante nel tempo. Considerando che la Terra è
bombardata da raggi cosmici, se assumiamo che la massa della Terra non sia cambiata per qualche migliaio
di anni, di conseguenza l’atmosfera è costante. Se è costante l’irraggiamento, allora è costante il numero di
neutroni che arrivano per unità di tempo ed il numero di atomi di azoto disponibili (dato che atmosfera
costante) e di conseguenza, la quantità di 14C è costante. Tuttavia il 14C decade a sua volta nel tempo in
14N (per decadimento ß-), quando si arriva in un valore tale per cui il numero di 14C che scompaiono è
uguale al numero di carboni generati, si giunge nel punto di equilibrio dove assumono un andamento
costante. La concentrazione di 14C è costante in ogni elemento che fa parte del ciclo nell’atmosfera, quindi
in ogni essere vivente, poiché si instaura un equilibrio dinamico tra produzione e decadimento di 14C.
Finché un organismo è in vita esprime una radioattività costante di 6,31 piCi/gC. La datazione si basa sul
fatto che quando un organismo muore, esce dal ciclo del 14C ed inizia a decadere. Di conseguenza,
l’organismo ha una determinata radioattività al tempo t0 (quando muore) differente dalla radioattività al
tempo t, ricavabile poiché noto A0, cioè la radioattività dell’organismo al tempo t0 (6,31). Posso quindi
ricavare il tempo passato dalla morte dell’organismo e procedere con una datazione. L’unico limite è che il
campione possa avere delle contaminazioni che non permettono di fare una datazione precisa.
ATTIVAZIONE NEUTRONICA: cosa significa fare un’analisi di attivazione neutronica? In realtà vi sono anche
altre particelle che possono essere utilizzate, infatti l’attivazione non è solo neutronica, ma essa è la più
utilizzata. Essa consiste nel far collidere la materia da analizzare con dei neutroni, i quali quando sono
prodotti hanno un’energia elevatissima, di conseguenza vanno rallentati e ridotti allo stato di neutroni
termici, ad un livello di energia molto basso. La collisione comporta la CATTURA NEUTRONICA, esempio: 23Na,
ovvero l’isotopo stabile del sodio, la cattura di un neutrone porta all’emissione di raggi γ (gamma) e alla
produzione di 24Na, il quale è radioattivo. Posso trasformare una sostanza non radioattivo in radioattiva e
posso anche misurarne la radioattività. Il sodio è stato utilizzato come esempio in quanto questo elemento
meglio si presta all’analisi di attivazione neutronica, infatti il sodio è ovunque e la concentrazione di sodio,
per esempio, negli esplosivi è molto alta. Il sodio nella materia, in un campione, lo si deve immaginare come
un’elevata quantità di nuclei a grande distanza tra loro. 23 grammi di sodio sono una mole, quindi 1023
molecole, quindi anche solo qualche grammo in realtà sono miliardi di atomi di sodio. Cosa succede se invio
un certo flusso di neutroni sul campione di nuclei di sodio? In realtà gli atomi di sodio sono così distanti tra
di loro che la maggior parte dei neutroni attraversa la materia senza incontrarne nessunoàla probabilità di
collisione di un neutrone con un nucleo è molto bassa. Però una certa quantità di neutroni termici subisce il
processo di cattura neutronica. Di conseguenza un limitato numero di nuclei di sodio, diventa 24Na. Da notare
che il campione ha una certa distribuzione di atomi di sodio, i quali sono un numero elevato, il flusso di
neutroni che si invia è costante e il numero di nuclei
di sodio che riesce a diventare 24Na è un numero così
piccolo rispetto alla totalità, tanto da essere
considerato costante. Per misurare la radioattività
bisogna misurare su una quantità elevata di atomi, di
svariati miliardi di atomi. Però questa quantità
rispetto a 1023 atomi, ovvero di una mole di
campione, è comunque piccola. Quindi è un numero
che preso in assoluto è grande, ma relativamente alla
quantità di sostanza considerata è molto piccolo,
praticamente trascurabile. Di conseguenza quando si
vanno a considerare gli atomi attivati, si può dire che
approssimativamente il numero totale di atomi non
attivati non cambia, proprio perché quelli attivati sono trascurabili. Se il flusso è costante ed essendo costante
il numero di atomi disponibili, allora significa che il numero di atomi di sodio 24 prodotti per unità di tempo
è costante. Se però grafico questa situazione, con il tempo sulle ascisse e il numero di atomi di 24Na prodotti,
mi dovrei aspettare che da zero, il numero di atomi di sodio 24 cresca. Però bisogna considerare che oltre la
produzione di 24Na vi è anche il decadimento di esso, quindi all’inizio si ha poco 24Na e dato che l’attività è
proporzionale al numero di atomi, il numero di atomi che decadono è piccoloàsi hanno più sodio 24 prodotti
rispetto a quelli che decadono, ma crescendo nel tempo il numero di sodio 24 che vengono prodotti, essi
iniziano a decadereàho due velocità contrastanti: produzione e scomparsa di sodio 24. Quando le due
velocità si eguagliano, tanti se ne formano, tanti decadono: di conseguenza la curva si appiattisce passati
circa 4/5 tempi di dimezzamentoàREGIME STAZIONARIO. Il numero di isotopi formati per unità di tempo
dipende dal numero di nuclei bersaglio e dall’intensità del flusso neutronico. Però, considerando il flusso
costante, se aumenta la concentrazione di sodio nel campione, allora si avrà una curva più spostata verso
l’alto, se ne contiene di meno, sarà più spostata verso il basso. Dunque il livello di saturazione dipende dalla
concentrazione di 23Naàpiù ne ho, più posso produrre sodio 24àanche il livello di radioattività dipende
dalla concentrazione di sodio 23 presente nel campione. Aumentando il flusso neutronico si ha lo stesso
effetto. La sezione d’urto è un parametro che dipende dal tipo di nucleo bersaglio. La scomparsa del
radionuclide dipende dal numero di radionuclidi presenti e dal tempo di dimezzamento del radionuclide, in
questo caso del 24Na. Nel momento in cui si raggiunge la saturazione (àtempo zero), si può misurare la
radioattività. Da un punto di vista pratico voglio che il tempo di dimezzamento sia relativamente breve, in
quanto in caso contrario si dovrebbe aspettare troppo per fare la misurazione, ma anche il tempo di
dimezzamento del radionuclide voglio che sia relativamente breve. L’analisi quantitativa va fatta per
confronto con uno o più standard a concentrazione nota, e possibilmente in matrice identica, irradiati
simultaneamente per un tempo che può variare da pochi minuti a parecchie ore. Bisogna quindi confrontarlo
con un campione standard a concentrazione nota di sodio 24 che viene irradiato per lo stesso tempo, fino a
saturazione. Se la concentrazione di sodio nel campione standard fosse uguale a quella del campione
incognito misurerei la stessa radioattività, se fosse doppia, anche la radioattività sarà doppia, ecc. Il campione
non contiene solo sodio, ma anche altri elementi. Dal momento che con l’attivazione neutronica non posso
essere tanto selettivo da attivare solo il sodio, bisogna considerare che alcuni elementi hanno una sezione
d’urto molto vantaggiosa rispetto questo tipo di fenomeni e si analizzano meglio. In certi casi si può ottenere
la misurazione di più elementi, che hanno diverso tempo di dimezzamento: è necessario, dopo il tempo di
irraggiamento, aspettare un tempo di raffreddamentoàla radioattività del radioisotopo che non mi interessa
si esaurisce prima, avendo in questo caso tempo di dimezzamento minore. Ciò che è importante notare è
che è un metodo conservativo: quindi non vi sono danni sul campione analizzato. In laboratorio possiamo
allargare il metodo, introducendo anche quello distruttivo: se vi sono degli interferenti allora si separano
dalla matrice, attraverso metodi chimici tradizionali, distruggendo in parte il campione. Da sottolineare che,
anche se si opera in maniera distruttiva, il campione incognito e quello standard devono essere trattati alla
stessa maniera, ovvero se faccio, per esempio, una procedura di estrazione, essa deve avvenire in maniera
omogenea sia nel campione che nello standard. Nelle procedure analitiche un problema sempre presente è
la perdita di campione, di conseguenza in procedure come queste, in cui non è importante essere
quantitativi, infatti basta trattare la stessa minima quantità sia del campione e dello standard e confrontare
i risultati.

ANALISI PER DILUIZIONE ISOTOPICA


Questa è una metodologia che prevede l’impiego di materiale radioattivo e che consente di procedere con
un’analisi quantitativa. Ci domandiamo “come facciamo a sapere quanti atomi sono presenti in un
campione?” per rispondere a tale domanda consideriamo un esempio:
“Quanti pesci ci sono in un lago?”
Consideriamo un lago contenente una certa quantità di pesci e supponiamo che tale quantità sia distribuita
in maniera omogenea nel lago, una condizione necessaria in quanto in ambito chimico consideriamo il
numero di atomi di un certo elemento sono presenti in un campione e se il campione è omogeneo, anche
gli atomi lo sono. Per conoscere il numero di pesci presenti nel lago potremmo pescarli tutti e contarli, ma
questo è un metodo poco pratico e si ricorre quindi all’analisi della diluizione isotopica. Per fare ciò e
considerando il nostro esempio, supponiamo di pescare un certo numero di pesci che coloro di rosso,
marcandoli, e che rilascio nel lago. A questo punto è necessario fare in modo che i pesci marcati si
distribuiscano a loro volta omogeneamente. È possibile riconoscere i pesci marcati ed è possibile conoscere
anche il numero totale di questi in quanto vengono marcati da noi. Procediamo con un’altra battuta di
pesca in cui avrò un certo quantitativo di pesci di cui un certo numero saranno marcati. Ottengo il rapporto
tra i pesci marcati ed i pesci totali, rapporto rappresentativo di tutto il lago in quanto i pesci si
distribuiscono omogeneamente. È possibile dunque risalire al numero totale di pesci dato che il numero di
pesci marcati è noto.
Nº di pesci marcati pescati : nº totale di pesci pescati = nº totale di pesci marcati : nº totali di pesci nel lago
Se al posto del lago consideriamo un campione, del numero totale dei pesci gli atomi e dei pesci marcati il
materiale radioattivo che aggiungiamo noi di quantità nota, e prendiamo una parte del campione
considerando quanti radioattivi ci sono rispetto agli atomi totali e ne faccio il rapporto, questo sarà
rappresentativo e permette di calcolare il numero totale di atomi.
L’analisi per diluizione isotopica è un metodo che si basa su un’aggiunta radioattiva che viene diluita in un
campione della stesa natura, è dunque un’analisi possibile per qualsiasi elemento.
Esempio: determinare il peso di P come fosfato PO43- in un minerale.
Sia Wx il peso incognito di un elemento contenuto in un campione. Aggiungo una quantità nota W0 del
radioisotopo dello stesso elemento da analizzare di cui conosco la radioattività, indicata con A0. Per ragioni
di omogeneizzazione è opportuno che il fosforo sia introdotto nel campione nella stessa forma chimica
quindi 32PO4 come materiale radioattivo; questa è la fase critica in quanto se non vi è omogeneizzazione
non si giunge al rapporto rappresentativo. Potrebbe essere introdotto il fosforo in un’altra forma chimica e
in tal caso bisognerebbe far si che vi sia una reazione chimica in modo tale che questo si trasformi per
giungere all’omogeneizzazione. A questo punto è necessario quantificare l’elemento incognito presente nel
campione (P): considero un’aliquota del mio campione che sottopongo a calcinazione in modo tale che
l’elemento si trasformi in un composto puro; se la stechiometria è nota e quantificabile è possibile
prelevare una parte del precipitato e da questo e dal peso dal campione ricavare il peso del fosforo
presente nell’aliquota, indicato con Wr, e misurarne la radioattività, indicata con Ar. Perciò l’aliquota
contiene parte del campione radioattivo. Il rapporto tra la radioattività del campione e il peso trovato del
fosforo (Ar/Wr) è pari all’attività totale (A0) diviso la somma tra la massa nota del radioisotopo e a massa
incognita (W0+Wx). Ricavo dunque Wx.
Quindi:
Wr = Massa del campione finale
Wx = Massa incognita
W0 = massa nota del radioisotopo
Ar = radioattività del campione finale
A0 = Radioattività totale del radioisotopo
ALTRI IMPIEGHI DEI RADIOISOTOPI

Quando un atomo viene marcato, questo lascia delle tracce di radioattività nel suo percorso.

Effetto isotopico cinetico: se in una reazione chimica, per esempio di uno zucchero, viene coinvolto il legame
che riguarda l’ossigeno allora potrei lavorare con un campione che contiene ossigeno 17, il quale può esistere
con ossigeno 16. Dal punto di vista cinetico è molto rilevante che il rapporto 17/16 sia circa pari ad 1, questo
è vero sempre tranne per gli elementi della prima riga (il deuterio, che ha massa 2, rispetto all’idrogeno, che
ha massa 1, il loro rapporto è 2, abbiamo sempre aggiunto un solo deuterio). Da un punto di vista cinetico
deuterio ed idrogeno sono due atomi differenti mentre per tutti gli altri elementi della tavola periodica, avere
una specie marcata o non marcata è indifferente. Se ho una molecola, che può essere un farmaco, e la voglio
studiare dal punto di vista farmaco-cinetico, posso aggiungere al mio preparato farmaceutico in fase di
ricerca una molecola uguale ma radioattività, ottenendo quindi un farmaco marcato. Ciò significa che alcune
molecole del preparato sono marcate. Ora il destino chimico del campione è indifferente, ma ciò che è
importante è che si può seguire la radioattività e vedere in quale settore anatomico vi è la radioattività. Sono
molte le circostanze in cui è utile introdurre una marcatura, ovvero quantità microscopiche di radioattività.
In definitiva una sostanza marcata ha un comportamento analogo alla sostanza non marcata.

Analisi radiometrica: La marcatura isotopica viene utilizzata nell’analisi radiometrica, caratterizzata


dall’utilizzo di un reagente radioattivo. È necessario separare il reagente radioattivo dal prodotto della
reazione; un caso in cui questo procedimento può essere eseguito facilmente è quando viene utilizzata come
precipitante la specie radioattiva. Per esempio: consideriamo Cl che viene dosato utilizzando una piccola
parte di Ag radioattiva. Vi sarà precipitato di cui una piccola parte sarà radioattiva e, a questo punto, è
necessario calcolare il rapporto di marcatura, cioè quanti atomi di Ag non radioattivi ci sono per molecola di
Ag radioattivo. Dato che il numero di Ag radioattivi è noto, allora posso ricavare il numero totale di Ag nel
precipitato.

In una reazione possono esserci fasi intermedie in cui vi è la perdita di un campione perciò considerando una
quantità X del campione, alla fine della reazione tale quantità sara diminuita di un fattore Y (X-Y). Per capire
quale sia la fase di perdita, anziché procedere all’analisi di ogni singolo stadio, è possibile introdurre una
piccola quantità di materiale radioattivo che grazie alla tracciatura del percorso indica in quale stadio vi è la
perdita del campione.

I radioisotopi sono utili anche per determinare la concentrazione in fase vapore di una sostanza poco volatile:
si stabilisce un equilibrio solido-vapore e si separa la parte vapore, di volume noto, sottoponendola a
radioattività.

Considerando sali poco solubili, il loro prodotto di solubilità è molto piccolo e la concentrazione è misurabile
tramite l’utilizzo di una metodologia radiochimica. Dunque viene marcato il sale con conseguente
separazione delle acque di solubilità dal precipitato e la misurazione della radioattività.

Un altro impiego fondamentale è quello per lo studio del meccanismo delle reazioni. Per esempio
consideriamo la saponificazione del benzoato di metile dove interagiscono estere con la soda producendo
l’anione benzoato e il metanolo. Si può giungere a tale prodotto tramite la rottura di uno dei due doppi
legami CO (C=O) o tramite la rottura del legame CO del carbonio appartenente al metile (CH3). Per capire
quale sia il meccanismo di reazione è possibile marcare l’ossigeno dell’ OH (15O): nel primo caso vi sarà
radioattività nel metanolo mentre nel secondo caso sarà nel benzoato. Dunque è possibile individuare il
meccanismo di reazione.
Parlando di vegetali se volessimo verificare la capacità di una pianta di assorbire CO2 per esempio potremmo
utilizzare atmosfera radioattiva (all’interno di una serra), cioè oltre 12C anche 14C radioattivo e seguire e
monitorare le piante. In questo modo possiamo risalire al modo in cui la pianta interagisce con l’ambiente.

Inoltre è possibile marcare un farmaco con una piccolissima quantità di sostanza radioattiva in modo da
determinare se questo ha effetti collaterali, cioè se agisce su altri organi oltre che a quello interessato.

MEDICINA NUCLEARE

La medicina nucleare sfrutta le proprietà dei radioisotopi inseriti in opportune molecole, la cui combinazione
molecola + radioisotopo costituisce il radiofarmaco. Questi preparati vengono fatti per scopi terapeutici,
diagnostici e di ricerca. Quando si parla di diagnostica in medicina nucleare si intende l’introduzione di
preparati all’interno dell’organismo e il fatto stesso che la molecola arriva sull’organo significa che esso c’è e
funziona. Introducendo una molecola, la cui chimica è fatta per andare a legarsi al tessuto, per esempio
polmonare (SCINTIGRAFIA), il fatto che il radiofarmaco si leghi solo ad uno dei due polmoni, significa che solo
uno dei due funziona, ovvero quello a cui si è legato il radiofarmaco. L’immagine scintigrafica è la
rappresentazione della distribuzione dei radiofarmaci nell’organismo. Quindi esse esprimono semplicemente
la distribuzione spaziale o spazio-temporale del radiofarmaco. naturalmente quando assumiamo un farmaco,
esso ha bisogno di tempo per arrivare all’organo target, il fatto stesso che ha bisogno di tempo per arrivare,
può essere sintomatico (quanto ci mette a distribuirsi in maniera omogenea nel corpo, può significare avere
circolazione troppo lenta o troppo veloce). Il radiofarmaco non svolge una funzione chimica, ma solo di
trasporto di una funzione specifica, ovvero la possibilità di comunicare con l’esterno. [NB: la scintigrafia
scheletrica, per esempio, non può essere fatta con α o β emettitori in quanto il loro potere di penetrazione
è molto basso, quindi l’unica radiazione che può comunicare da dentro a fuori sono i raggi γàil radioisotopo
deve essere per esempio un γ emettitore (strumento=γ-camere) oppure una PET]. PET: TOMOGRAFIA AD
EMISSIONE DI POSITRONI: una caratteristica dell’emissione di positroni è che quando un nucleo emette un
positrone all’interno della materia, esso emette un tratto infinitesimo prima di trovare un neutrone, quindi
annichilano (àscompaiono) e al loro posto compaiono due raggi γ sparati a 180° l’uno rispetto all’altro.
Corona a rivelazione a scintillazione che raccoglie i raggi che effettivamente hanno la direzionalità giusta,
raggi analizzati dal computer e sa dire da dove vengono.
Quali isotopi vengono utilizzati come traccianti nella PET:
il tecnezio 99 è un isotopo artificiale, ha un
tempo di dimezzamento di qualche ora ed
è molto comodo perché permette di fare
analisi.
La PET, ma anche le γ-camere permette di
misurare quantitativamente funzioni
metaboliche e reazioni biochimiche in vivo
senza perturbare il sistema biologico
(determinazione della distribuzione
spaziale del radiofarmaco nel corpo o
nell'organo in esame). - Capacità di
mettere in evidenza una compromissione funzionale anche prima che siano riconoscibili alterazioni
anatomiche. - Misure quantitative non-invasive di farmaco-cinetica e farmaco-dinamica in vivo. - Potere
risolutivo ~ 1 mmàmolto accurata la mappatura spaziale. I traccianti normalmente utilizzati con la PET
possono essere composti organici normalmente utilizzati o facenti parti nell’organismo.

Quindi: Per le tecniche diagnostiche vengono utilizzati radioisotopi artificiali poiché hanno tempo di
dimezzamento relativamente breve rispetto a quelli naturali. La Pet è in grado di rilevare i raggi grammi
prodotti dalla collisione tra positrone ed elettrone tramite la corona a scintillazione. Il decadimento
positronico è molto importante dato che risulta essere molto preciso nella mappatura spaziale (annichila
entro pochi mm). In diagnostica viene utilizzato un nuclide ed una molecola metabolicamente attiva in
grado di depositarsi sulla zona di interesse. Alcuni nuclidi possono essere di utilizzo diagnostico e
terapeutico come il Samario (153 ad uso terapeutico e 142 ad uso diagnostico).
RADIOFARMACI

Il radiofarmaco ideale è in grado depositarsi selettivamente su un particolare organo del quale vogliamo
controllare la funzionalità tramite l’emissione di raggi g.
In un approccio terapeutico vi è la necessita di trattare selettivamente la molecola portatrice del
radioisotopo su una determinata regione non funzionale, cioè per esempio una massa tumorale. In questo
caso è necessario operare con una distruzione, cioè indirizzando una particolare molecola, trasportatrice di
radioisotopo, su un tumore al fine di distruggerlo. Lo scopo quindi non è più quello di verificarne la
funzionalità ma di danneggiare la massa. Gli a emettitori sono i più adatti a questo scopo poiché sono i più
distruttivi ma sono anche atomi pesanti con elevata tossicità. Affinché una molecola possa evitare la
dispersione all’interno dell’organismo di un alfa emettitore necessita l’utilizzo di chelanti specifici e non è
quindi un’applicazione molto pratica. I b emettitori hanno minore tossicità e hanno la possibilità di
includere zone non malate nel loro raggio di azione e sono quindi meno distruttivi ma più efficaci dal punto
di vista pratico. Anche in questo caso vi è un limite per la chimica sintetica riguardante i tempi di
dimezzamento poiché il radiofarmaco deve essere sintetizzato. Il fatto che un radiofarmaco possa
concentrarsi su un tumore è utile per distruggerlo, tuttavia bisogna tenere sotto controllo i vari cicli di
radioterapia per avere una diagnosi che mostra l’andamento della terapia. La radioterapia viene condotta
per cicli poiché la ionizzazione prodotta dai radioisotopi coinvolge anche il tessuto sano e dato che questo
si riproduce più velocemente rispetto a quello malato si procede con un secondo ciclo nel momento in cui
quello sano viene rigenerato. L’introduzione contemporanea di due isotopi di uno stesso nuclide con diversi
tipi di radiazioni permette di avere contemporaneamente le due funzioni. Per esempio i due isotopi del
samario di cui uno (153) ha funzione distruttiva mentre l’altro (142) ha funzione rivelativa (se rispetto al
ciclo precedente vi è una concentrazione diversa allora la radioterapia procede bene).
Fotoni ad alta energia possono essere introdotti dall’ambiente esterno, per esempio i raggi x.

Per trattare a scopo distruttivo masse tumorali all’interno dell’organismo in passato venivano utilizzati raggi
g. Tuttavia questi hanno un limite in quanto quando attraversano un corpo hanno una certa intensità che
diminuisce con la penetrazione. Dunque di tutta l’intensità dei raggi inviati, solo una piccola parte è
utilizzata per scopi terapeutici mentre la parte dell’organismo precedente alla massa tumorale è sottoposta
a maggiore intensità e la radiazione giunge fino alle parti successive di tali organismi attaccando anche i
tessuti sani.

Sarebbe ideale avere una sorgente di energia che fosse capace di depositare zero radiazione nei tessuti
sani ma di immettere questa tutta ad un certo valore di profondità prefissato ma non è possibile.
I fasci di protoni e i fasci di nuclei di atomi (atomi a cui vengono tolti tutti gli elettroni) carichi positivamente
hanno una particolarità: poniamo un fascio di nuclei ad una certa energia, questi depositano una quantità
costante di energia fino ad una certa profondità dipendente dal tipo di materiale da attraversare e la sua
energia. Dato che sono entrambi regolabili possiamo far si che dopo aver percorso un determinato
spessore questo fascio scarichi un picco di energia, modificabile in modo che scarichi di più dando origine a
più picchi chiamati picchi di Bragg; successivamente l’energia diminuisce. Quindi nella parte anteriore vi è
ancora emissione di energia ma non successivamente. I fasci di nuclei si chiamano adroni (adroni terapia).
Tra tutti i nuclei degli atomi quello che perde l’ elettrone più facilmente è l’idrogeno (perché ha un solo
elettrone). Tuttavia i raggi adronici, anche se molto efficienti, sono difficili da produrre poiché necessitano
di elevata energia.
Un altro tipo di particelle da poter utilizzare sono i neutroni ad alta energia, utilizzati in determinati tipi di
tumori. Tuttavia non essendo specie cariche non possono essere focalizzati e vi è quindi un alto rischio di
coinvolgere tessuto sano.

Esiste un tipo di terapia rivoluzionaria,BNCT (terapia per cattura neutronica del boro) che si basa sul fatto
che il boro ha una notevole sessione d’urto per i neutroni lenti (a livello microscopico gli oggetti si urtano
entro una certa sezione dipendente dall’energia e dal tipo di particelle che collidono). Nel momento in cui
urtano si verifica la cattura neutronica del boro che diventa radioattivo con conseguente produzione di
raggi a e di un nucleo di Li, più pesante e più carico (migliore). Si ha dunque la possibilità di inserire
composti del boro all’interno di
molecole con la capacità di
concentrarsi su determinati organi.
Quindi una volta che vi è una molecola
di boro che si deposita su un tumore
tramite l’immissione di neutroni
induciamo una cattura neutronica lì
dove si è concentrato il boro generando
una specie radioattiva che libera raggi
a e Li. Quindi non vi è radioattività se
non nel momento in cui introduciamo
neutroni. Tale radioattività cessa nel
momento in cui smettiamo di irradiare
con neutroni, quindi accendiamo e
spegniamo a piacimento. La
scintilligrafia indica dove e in che
direzione irradiare i neutroni a seconda
di vari fattori.
Domande Chimica Analitica:

- Sensibilità
- Solubilità dei Sali ionici
- Cross combinazioni
- Mascheramento
- Scegliere un ossidante per far passare Fe2+ a Fe3+
- Potere ionizzante e potere penetrante
- Proprietà dei radionuclidi
- Fattore di selettività nella colonna cromatografica e formula
- Qual è il valore massimo dell’indice tampone dovuto alla specie HA e A- di un generico acido debole
monoprotico in una soluzione acquosa nella quale C=[HA] + [A-]=1,0M?
Noto che Ka= 10-4, per quale valori di pH si ha tale valore?
- Indicare le circostanze che rendono opportuno l’impiego di un solvente non acquoso come ambiente di
reazione di una sintesi chimica.
- Un campione contenente 2,4 nCi di Iodio 131 (tempo di dimezzamento=8,31 giorni, PA= 131uma).
Quantigrammi di Iodio 131 contiene? Dopo quanto tempo (espresso in giorni, ore, minuti)l’attività di
questo campione sarà ridotta a 1,0 nCi? Si ricorda che 1 nCi=3,7x1010 dis/s

Per l’analisi quantitativa della concentrazione


lipidica degli alimenti è possibile impiegare
due metodi caratterizzati dalle curve di
calibrazione A e B rappresentate in figura.
Qual è il metodo migliore? Spiegare.

- Descrivere la stabilità dei nuclidi


- Ordinare i seguenti composti del cloro in ordine di acidità crescente
- Cosa sono i numeri di ossidazione
- Principio di Le Chatelier
- Limiti di confidenza
- Una soluzione acquosa di HCl ha la stessa forza ionica di una soluzione acquosa di CH3COOH. Hanno la
stessa concentrazione molare?
FILIPPI : Scrittini +
domande orale
AGATA MENGHINI·VENERDÌ 14 FEBBRAIO 2014

Compitino 1
-scrivere gli isomeri di un complesso che mi dava lui e dire se
hanno momento dipolare
-commentare la basicità degli ossoanioni
-dire se un complesso stabile può anche essere labile
-scrivere le formule degli intervalli di confidenza x N 20
-dato lo ione esacianoferrato dire un metodo x liberare il ferro o
il cianuro in soluzione

Compitino 2
uso degli isotopi in tecniche diagnostiche, capacità tampone su
cui si soffermato tanto, Q-test, e il calcolo dell\'energia di una
radiazione

Compitino 3
su alcune schede c\'era: esercizio su nucleare ( attività, emivita
ecc ), grafici sulle soluzioni acido -base monoprotici ecc,
domanda tipo "effetto livellante " statistica... studia bene la
parte di chim inorganica !!! ciao ciao
tipo sugli errori, sulla retta di taratura.. la dimostrazione dei
limiti di titolabità x gli acidi deboli
la costante dielettrica e come influenza i vari equilibri di
reazione, due acidi dei quali voleva sapere qual era più debole e
la struttura cristallina dei solidi.

Compitino 4
1) Scrivere la formula della deviazione standard di somme e
sottrazioni
2) spiegare come la formazione di legami pi greco nei complessi
influenza la separazione del campo cristallino (il CFS)
3) Cosa è la simbiosi nell\'HSAB?

all\'orale mi ha chiesto il limite di confidenza e come varia la


costante condizionale con il pH per quei complessi che hanno
un catione acido e un\'anione basico!

Compito 5

1 Calcolo dell\'errore relativo e dovevo dire se l\'errore era di


tipo proporzionale o costante; 2 Interazioni ioniche Debye-
Huckel; 3 Geometria e orbitali molecolari nei vari tipi di
complessi

Poi mi ha chiesto di spiegargli uno spettro


Compitino 5
Allo scrittino mi è capitato:
-teoria dell\'interazione specifica
-un grafico (che nn ho capito) sulla retta di calibratura
-titolabilità acido debole
-trovare energia di legame dell\'elio
-significato statistico della deviazione standard di un campione

All\'orale oltre alla scheda mi ha chiesto:


-fare un tampone e varie domande su quell\'argomento (è
fissato)
-il potere risolutivo
-gaussiana
-analisi per attivazione neutronica
Compito 6

allora allo scrittino capitano grafici sul ph dedurre da questi


qual è la concentrazione il ka..qual è il ph della
soluzione...grafici sulle oss-rid...puo capitare di parlare delle
varie teorie del legame di valenza..orbitali molecolari..teoria del
campo cristallino..dire quali sono gli orbitali di un complesso
ottaedrico che formano legami pi-greco..chiede spesso il potere
risolutivo...chiede i tipi di rivelatori(spesso la rivelazione per
ionizzazione con grafico annesso)..a me è capitato nello scritto
anche un esercizio sul ph in cuoi mi da un solvente diverso dall
acqua con una sua costante ksh e mi diceva: che ci mettevo
dentro un sale NaA con concentraz e suo ka..dire il ph della
soluzione?negli scritti puo capitare anche di mettere in ordine
di entalpia di idratazione di versi cationi che ti da lui..spiegare
cos è l energia reticolare..o di calcolare l energia di legame dell
elio.

Compito 7

diagrammi di distribuzione e di predominanza (che cosa


esprimono); significato statistico della deviazione standard di
un campione di dati; disporre in ordine di energia reticolare
crescente gli alogenuri di potassio; spiegare sulla base del
principio HSAB se sia più solubile in acqua AuCl oppure AuCl3;
principali cause di radioattività naturale. i radioisotopi naturali
vengono utilizzati in medicina nucleare?perchè? Inoltre mi è
stato chiesto oralmente un confronto di acidità tra due
ossoacidi, la stima del pKa di un ossoacido ed il relativo
diagramma di distribuzione.
Compito 8

rafico concentrazione-ph acido triprotico

Spiegare quale medoto di calibrazione è migliore in un grafico


con 2 rette

Acido debole in un solvente SH con costante di autoprotolisi


definita

Scala di basicità di alcuni ossoanioni


Grafico potenziale-ph

Grafico capacità tamponante

Elencare le sorgenti in spettrometria di massa

Isotopi utilizzati in chimica nucleare ( pet , radioterapia )

Raggi alfa e beta, quali in ambito terapeutico e quali in ambito


diagnostico ( e perchè ?? )
Costante condizionale e ph
Compito 9

domande scrittino_
Teoria dell'interazione specifica
Scegliere quale metodo è migliore in un analisi quantitativa
vedendo un grafico con due rette
calcolare l'energia di legame dell'elio
dire se un acido debole è sempre titolabile oppure ci sono limiti
di titolabilità
significato statistico della deviazione standard in un campione
di dati.

Domande all'orale:
in una titolazione di ossido-riduzione quale criterio bisogna
seguire nella scelta di un indicatore.
analisi per attivazione neutronica.
Calcolare il ph di una soluzione acido debole e solvente SH.. poi
analisi per diluizione isotopica..poi cause di variazione del
potenziale elettrodico... titolabilità acido debole ..

1)cosa esprime la sensibilità di uno strumento di misura?


2)calcolare il potenziale di una soluzione al punto equivalente di
una titolazione che avviene tra Fe(II) e Ce(IV) (e mi forniva i
potenziali normali delle 2 coppie Fe2+/Fe3+ e Ce3+/Ce4+)
3)per applicazioni in vivo è meglio usare radioisotopi naturali o
artificiali?
4)spiegare perchè Tl3+ e Lu3+ nonostante abbiano dimensioni
simili presentano due energie di idratazione molto diverse
(quella del tallio era molto piu alta)
5)mi dava un errore e mi chiedeva se era sistematico o casuale,
poi costante o proporzionale e mi chiedeva di calcolare l'errore
relativo dandomi più valori veri... (la 4 è per via
dell'elettronegatività)

1) potenziale formale
2) dire se un complesso d5 ottaedrico e' piu' stabile con spin alto
o basso
3) spiegare le proprieta' dell'acqua
4) analizzatori nella spettrometria

all'orale mi ha chiesto come e' possibile influenzare il potenziale


e quale acido usare per fare un tampone a ph = 8

contatore geiger 2) Teoria legame valenza complessi 3) orbitali


che formano legami pigreco in complessi ottaedrici 4) esercizio
di calcolare un ph di un sale NaA 10^-1 M in solvente con
autoprotolisi 10^-10 , dire se è acido basico o neutro 5)
Problema sugli errori statistici

1)simbiosi di Jorgensen
2)ordinare per idratazione dei cationi
3)la solubilità è influenzata dai complessi?
4)spiega perché si formano complessi ad alto e basso spin
5)ciclo di Born Haber
1) Grafico del tampone di acido diprotico
2) Esercizio su errore sistematico proporzionale/costante
3) Utilità della definizione acido base di Lewis
4) Esercizio sul decadimento dello Iodio 131
5) Dati due nuclidi X e Y con tempi di decadimento molto
diversi (dati da lui), trovare un metodo strumentale senza
frammentare il campione per risalire alle quantità di nuclidi (su
per giù questa era la sostanza)
Ese Iodio: Mi chiedeva quanti grammi di I 131 contenesse il mio
campione conoscendone l'attività, tempo di dimezzamento,
peso atomico. Inoltre chiedeva anche quanto tempo dovesse
passare affinché quel campione avesse una determinata attività.

1)errore costante
2)reazioni nucleari, X(n,p)Y cos’è Y?
3)limite titolabilità acido base forte
4)complessi nelle redox
5)risoluzione negli spettrometri

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