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ERRORI CASUALI
Gli errori casuali emergono quando il sistema di misura viene portato al massimo della sensibilità, cioè
quando la sensibilità è così elevata che le variabili ambientali influenzano l’esito della misura. Causano quindi
una dispersione delle misure rispetto al valore medio (gaussiana), dunque una fluttuazione delle singole
misure intorno al valore vero.
• IMPONDERABILI
• ORIGINE MOLTEPLICE
• SIMULTANEI
• POSITIVI E NEGATIVI
L’accuratezza è espressa dall’errore assoluto e dall’errore
relativo e misura l’accordo fra un risultato ed il suo valore
vero.
Il limite di confidenza esprime la probabilità che il valore vero cada in un determinato intervallo. Fissiamo
dei limiti attorno ad una media sperimentale nei quali il valore vero ne cade con un certo grado di
probabilità. L’intervallo definito dipende strettamente dall’accuratezza s e abbiamo dunque due casi.
1. s è una buona approssimazione di s
2. s non è una buona approssimazione di s
CASO 1
CASO 2
ERRORI SISTEMATICI
Gli errori sistematici sono errori che tendono a variare dal valore vero di una certa unità caratteristica di
tutte le misure effettuate (esempio: se una bilancia è tarata in modo sbagliato allora tutti i pesi che
riporterà varieranno di una stessa unità). Tale deviazione dal valore medio vero viene indicata dal bias.
E= estinzione o assorbanza
a= coefficiente caratteristico della sostanza
C= concentrazione
Un raggio luminoso con una certa intensità di ingresso (E0) attraversa un determinato campione che
assorbe in parte il raggio. Di conseguenza il raggio luminoso uscirà con un’intensità minore. In base a
questa legge ne costruiamo uno spettro che mostra che l’assorbimento dei tre analiti è differente
nonostante questi abbiano stessa concentrazione.
Tale legge può essere applicata solo in zone proporzionali. Per la concentrazione misurabile esiste un limite
inferiore (limite di rivelabilità), al di sotto del quale non è possibile effettuare misure, e un limite superiore
(saturazione del segnale, l’analita assorbe completamente E0). à intervallo di linearità in cui possiamo
applicare la relazione lineare.
Grafico di tre sostanze che hanno la stessa concentrazione minima (punto in cui inizia l’intervallo di
linearità) ma diversa concentrazione massima (punto in cui termina l’intervallo di linearità). Per ogni retta
di lavoro esiste un minimo e un massimo di concentrazione all’interno del quale vale la legge di Lambert-
Beer.
Nell’effettuare le misure però possono entrare in gioco gli errori casuali che causano il collezionamento di
dati più o meno dispersi e incoerenti dal processo di misura che renderanno la pendenza e l’intercetta della
retta variabile. Tramite il metodo dei minimi quadrati si giunge a definire la retta di taratura che rende
minima la dispersione dell’errore casuale e definisce un intervallo lineare in cui è possibile applicare la
relazione di dipendenza tra proprietà da misurare e quantità di analita.
Elementi di qualità di uno strumento:
• Precisione (deviazione standard, riproducibilità di uno strumento)
• Distorsione (errore sistematico)
• Intervallo di linearità (intervallo utile per le misure)
• Selettività (suscettibilità agli interferenti)
• Limite di rilevabilità (minima quantità osservabile)
• Sensibilità
SENSIBILITÀ
1. Di calibrazione:
La sensibilità indica la suscettibilità di uno strumento di misura alle variazioni della grandezza da misurare. È
espressa dalla pendenza della retta ed è dunque indipendente dalla precisione.
m= dy/dx
2. Analitica:
Tiene conto della qualità dell’analisi, dunque è dipendente dalla precisione.
g= m/s
Il limite di rilevabilità indica la più piccola quantità di concentrazione che produce un segnale apprezzabile.
La proprietà che andiamo a misurare è in relazione alla concentrazione secondo una relazione di primo
grado, cioè il segnale dello strumento “S” segue una relazione lineare. Viene definito “bianco” il segnale in
cui la concentrazione di analita è pari a zero. È necessario stabilire un criterio in modo da poter
determinare se un segnale sia derivante dall’analita in concentrazione minime o dal bianco. In particolare
viene portato lo strumento alla sua massima sensibilità e ne viene calcolato il segnale minimo (Sm) attorno
al quale la distribuzione di una serie di rivelazione è di tipo gaussiano. In seguito questo viene sostituito alla
relazione lineare S=mC+Sb e viene determinata la concentrazione minima di analita che può produrre un
segnale, pari a ksb/m, dove sb indica la deviazione standard del bianco. Con k=3 otteniamo la massima
oscillazione casuale in positivo o negativo. In corrispondenza della concentrazione minima vi è il minimo
della rilevabilità; dunque minore è la concentrazione minima e maggiore è l’efficienza dello strumento
poiché riesce ad apprezzare concentrazioni minime più basse. Inoltre vi è una relazione tra deviazione
standard del bianco e pendenza della retta m: più è piccola la deviazione standard del bianco più la
pendenza della retta è maggiore e dunque lo strumento più sensibile.
MATRICE= È tutto ciò che è presente nel campione tranne l’analita da misurare.
b) composti che reagiscono con l’analita alterandone il segnale (es. formazione di complessi, idrolisi, ox-
red). Possono sia aumentare che diminuire il segnale dell’analita.
Per determinare la concentrazione dell’analita nel campione è necessario procedere con l’eliminazione del
segnale derivante dal bianco. Per poter determinare il segnale del bianco procediamo con l’eliminazione
dell’analita e con la successiva misura del bianco. A questo punto introduciamo nuovamente l’analita e ne
misuriamo il segnale a cui sottraiamo il segnale derivante dal bianco, misurato in precedenza. Otteniamo
una retta di lavoro dipendente solo dalla concentrazione dell’analita che passerà per l’origine poiché per
C=0 il segnale sarà zero.
Il metodo delle aggiunte standard ci permette di rappresentare la retta di taratura in concentrazioni di
analita che presentano degli interferenti all’interno della matrice. Si procede con l’eliminazione del bianco e
si ottiene una retta non passante per l’origine in quanto vi è la presenza dell’interferenza della matrice che
reagisce chimicamente con l’analita. Dunque lasciando costante il valore della concentrazione di
interferente e variando la concentrazione di analita mediante aggiunte di concentrazione standard di
questo allora otteniamo vari segnali che risentono di tale aggiunta e che possono essere approssimati ad
una retta di taratura in cui vi è proporzionalità diretta tra la concentrazione di analita aggiunta,
indipendente dall’interferente che rimane costante, e la proprietà misurata. Tale retta non sarà passante
per l’origine ma estrapolando la retta possiamo determinare la sua intersezione nell’asse x e determinare
dunque la concentrazione minima di analita.
Domanda proposta in classe: qual è il vantaggio del metodo delle aggiunte standard?
EFFETTO DEGLI ELETTROLITI SUGLI EQUILIBRI CHIMICI
Esistono vari tipi di equilibri chimici come l’equilibrio acido-base (governato dalla Ka) e gli equilibri che
riguardano un sale (governati dalla ks)
Queste reazioni sono quasi tutte spostate verso destra, ma all’equilibrio non vi è la sola presenza di
precipitato ma anche quella di ioni in soluzione da cui deriva la ks.
Con l’aggiunta degli elettroliti giungiamo alla precipitazione; nella reazione vi sono molte cose implicite
quali il solvente acqua, il fatto che il prodotto AgCl è allo stato solido ed è un sale poco solubile e la freccia
unica verso destra che indica che la reazione è completa. Dato che KNO3 non influenza la reazione (lo
definiamo “spettatore”), è indifferente la natura del catione del cloruro e del nitrato (cioè la presenza di K
e di Ag è irrilevante, potrebbero esserci altri cationi e il risultato sarà analogo). Tuttavia KNO3 non è cosí
“spettatore” passivo come sembra dato che se prendo una soluzione satura di AgCl e procedo all’aggiunta
artificiale di concentrazioni crescenti di KNO3 allora la solubilità aumenta. Tale effetto non è un caso tipico
di AgCl ma l’effetto è analogo per tutti i sali poco solubili.
In generale la solubilità di un precipitato ionico aumenta quando si aggiungono degli elettroliti, cioè
aumentando la concentrazione degli ioni presenti in soluzione, la solubilità del sale aumenta. In figura è
mostrato l’effetto della concentrazione di un elettrolita sulla solubilità di alcuni sali. Tale effetto ha origine
dall’ attrazione elettrostatica fra gli ioni dell’ elettrolita e gli ioni di carica opposta dei precipitati.
La Ks dipende dalle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti che intervengono nella reazione di equilibrio:
È data dal prodotto tra le concentrazioni del catione e dell’anione (ognuno elevata al proprio coefficiente
stechiometrico). Perciò se aggiungo ioni indifferenti l’ effetto è maggiore, aumenta la concentrazione di
questi ioni, la solubilità aumenta e di conseguenza aumenta la Ks. Tuttavia la Ks è una costante di equilibrio,
quindi deve rimanere costante. Perciò in realtà dovremmo portale di Ks* che tiene conto delle attività delle
specie in esame (Ks= a Ag aCl) data dal prodotto tra il coefficiente di attività e la concentrazione della
specie chimica.
1. Per quanto riguarda la carica dei reagenti e dei prodotti, se questa è neutra (cioè un equilibrio dove
non si ha alcuno sviluppo di carica) allora non ci sarà alcun effetto; se i reagenti e i prodotti sono ionici
( si osserva uno sviluppo di carica) allora l’effetto sarà tanto maggiore quanto maggiore è la carica.
2. Quando la forza ionica è minore di un certo valore soglia di 0.1, l’effetto sulla costante di equilibrio
non dipende dalla natura dell’elettrolita ma esclusivamente dalla forza ionica che genera con i suoi
ioni. Se tale forza è maggiore del valore soglia 0.1 allora si ha l’effetto sale (alterazione della solubilità)
che dipende anche dalla carica degli ioni dell’elettrolita che inserisco. L’ effetto sale deriva dalle forze
elettrostatiche attrattive e repulsive fra gli ioni di un elettrolita e gli ioni implicati in un equilibrio.
Queste forze fanno si che ciascuno ione del reagente dissociato sia circondato da un guscio di
soluzione che contiene un debole eccesso di ioni di elettroliti di carica opposta. In questo modo
l’attrazione tra gli ioni diminuisce mentre aumenta la solubilità che aumenta anche con il numero di
ioni in soluzione.
Per un elettrolita univalente (sia catione che anione hanno carica unitaria) la forza ionica coincide
numericamente con la concentrazione. Per un sale non univalente la forza ionica non coincide con la
concentrazione dato che la carica al quadrato non ha più il valore di 1, sarà quindi sempre maggiore della
concentrazione. Nel caso in cui nella soluzione siano presenti più sali (quindi per un elettrolita non
univalente), allora la forza ionica sarà data dalla somma dei contributi dei singoli sali.
Cerchiamo di capire perchè se aggiungo alla soluzione un
elettrolita indifferente allora la solubilità di un sale poco
solubile cambia.
Consideriamo un bicchiere con H2O ed un solido poco
solubile come AgCl che ho aggiunto. Immaginiamo che
da tale solido si distacchi una certa quantità di ioni e che
vada in soluzione. Dobbiamo tenere conto del fatto che
gli ioni devono essere vicini tra loro fino ad un certo
valore poiché vi è un effetto elettrostatico, governato
dalla legge di Coloumb per cui due cariche di segno
opposto si attraggono e l’entità dell’attrazione dipende
dalla costante dielettrica del mezzo (a parità di distanza
tra le cariche, se aumenta la costante dielettrica,
diminuisce la forza di attrazione). Le interazioni
elettrostatiche reggono fino ad una certa distanza limite
altrimenti gli ioni se sono troppo vicini collassano per poi
precipitare. Tale distanza è la minima possibile a cui
corrisponde il massimo numero di ioni in soluzione. Vi è
quindi un equilibrio tra il solido e gli ioni in soluzione. Se
tale distanza tra gli ioni di carica opposta è:
- breve —> gli ioni si vanno a legare e precipitano
- ampia —> si può sciogliere ancora altro solido.
Ora immaginiamo di introdurre un elettrolita
indifferente che non reagisce con il sale come KNO3. Anche se l’elettrolita e il sale poco solubile non
reagiscono tra loro, i cationi dell’elettrolita tenderanno a disporsi mediamente attorno all’anione del sale
poco solubile e gli anioni dell’elettrolita tenderanno a disporsi mediamente attorno al catione del sale.
Perciò, considerando il nostro esempio, gli ioni Ag+ saranno schermati dagli ioni NO3- mentre gli ioni Cl-
saranno schermati dagli ioni K+. Nella soluzione satura fra il catione e l’anione Ag+ e Cl- vi è solo acqua con
la sua costante dielettrica (dire che un solido ha una certa solubilità equivale a dire che esiste una
concentrazione massima di cationi e di anioni che possono stare in soluzione, cioè che ha raggiunto la
saturazione). Nel momento in cui Ag+ e Cl- vengono schermati da NO3- e K+, allora questi ioni risentono
della presenza, oltre del solvente, di un doppio strato elettrico che circonda quello di carica opposta.
Questo strato aumenta la costante dielettrica del mezzo, di conseguenza la forza con cui gli ioni del sale
poco solubile si “sentono”, a parità di distanza, è più debole. Ne consegue che gli ioni risentono meno delle
interazioni elettrostatiche e possono avvicinarsi di più tra loro senza precipitare. Perciò nello stesso volume
avremo più ioni in soluzione con conseguente aumento della solubilità. Tale aumento non dipende dalla
natura dell’elettrolita che aggiungo ma solo dalla forza ionica, finché questa sia relativamente bassa. Quindi
per aggiunta di quantità moderate di elettrolita indifferente, con forza ionica minore di 0.1, la
concentrazione efficace (cioè l’attività) sarà minore della concentrazione reale (dimostrazione su foglio). Ne
consegue che il coefficiente di attività sarà minore di 1. Se esprimiamo il Ks in funzione delle concentrazioni
questo tenderà ad aumentare, mentre Ks* (costante espressa in funzione delle attività) resta sempre
costante (a T=cost).
In conclusione:
1. Con il solvente si ha la saturazione ——> si ha una distanza limite tra le particelle (se tale distanza
diminuisce prevale la forza attrattiva tra le particelle e si forma precipitato)
2. Con l’elettrolita indifferente ——> gli ioni possono stare più vicini tra di loro e aumenta la solubilità.
Considero l’attività:
Ks* è la vera costante termodinamica, dipende solo dalla temperatura e non dalla forza ionica, cioè dalla
presenza di elettroliti. Ks non è la costante termodinamica ma è un modo semplificato per scrivere la vera
costante di equilibrio ks*. Ks dipende dalla forza ionica, in particolare all’aumentare di una aumenta l’altra
e se la Ks aumenta vuol dire che il coefficiente d’attività sarà minore di 1 dato che Ks* deve rimanere
costante (dalla formula di Ks* si evince che se Ks aumenta il prodotto tra i coefficienti di attività deve
diminuire perchè Ks* rimanga costante).
L’equazione di Debye-Huckel afferma che si può ricavare il coefficiente di attività di uno ione conoscendo la
carica dello ione e le dimensioni dello ione stesso idratato, una volta che la forza ionica è nota. Tale legge è
una legge limite in quanto ha validità solo se la forza ionica è minore di 0.1, quindi la concentrazione è
dell’ordine di 0.1 M. Questa equazione risulta essere molto utile dato che in genere si lavora con soluzioni
molto diluite che non hanno concentrazione maggiore di 0.1.
a. Perchè dall’equazione si ricava 0/1=0, dato che e^0=1
b. Per moderate aggiunte di elettrolita i coefficienti di attività degli ioni sono minori di 1 e per far si che
l’attività sia costante, la concentrazione deve aumentare.
c. Il coefficiente di attivtà aumenta all’aumentare di Z
d. A parità di Z e di forza ionica, l’unica variabile è l’attività, ma questa non è una grandezza variabile.
Essendo quindi ai simile per vari ioni, di conseguenza anche i coefficienti di attività saranno simili.
e. Quando la carica aumenta
f. L’equazione è valida sia per anioni che per cationi dato che la carica è elevata al quadrato.
g. L’equazione non è valida per valori di forza ionica superiori a 0.1
h. Quando mettiamo moderate quantità di elettrolita in soluzione, il coefficiente d’attività tende a
diminuire, ci aspettiamo quindi che all’aumentare della concentrazione dell’elettrolita in soluzione il
coefficiente d’attività tenda a diminuire. Tuttavia non è così, infatti il coefficiente d’attività raggiunge un
minimo e poi risale.
Tramite l’equazione di Debay-Huckel si possono costruire delle tabelle considerando le cariche dello ione
(sia + che - perchè Z elevato al quadrato) e tenendo conto delle dimensioni degli ioni idratati (cioè ai) anche
se questo è il fattore meno importante nel determinare il coefficiente d’attività in quanto oscilla tra valori
molto simili anche quando le cariche degli ioni sono molto diverse. La forza ionica è invece determinante.
Se prendo ioni a carica 1, di dimensioni 0,4 nm e li confronto con ioni a carica 2 e a carica 3, delle stesse
dimensioni, si nota l’effetto della forza ionica:
Quando z=1 : 0.78<forza ionica< 0.964
Quando z=2: 0.36<forza ionica< 0.867
Quando z= 0.095<µ< 0.725
Perciò più la specie è carica e più la forza ionica è elevata e più si avverte l’effetto.
Quando la forza ionica è bassa e gli ioni hanno carica pari ad uno, allora sono in condizioni praticamente
ideali poiché il coefficiente d’attività tende a 1. All’aumentare della forza ionica e della carica ci si allontana
dall’idealità.
Es. Calcolare l’errore relativo sulla solubilità, introdotto trascurando g, per una soluzione satura di Ba(IO3)2 nella
quale Mg(IO3)2 = 0.033 M, noto che per Ba(IO3)2 Ks* = 1.57 × 10-9
Es. Calcolare l’errore relativo sulla solubilità, introdotto trascurando g, per una soluzione satura di Ba(IO3)2 nella
quale Mg(IO3)2 = 0.033 M, noto che per Ba(IO3)2 Ks* = 1.57 × 10-9
ed essendo ai = gi [i] otteniamo che Ks = [A] × [B]2 = Ks*/(gA × g2B) Calcoliamo gA e gB dall’equazione di D-H (oppure
L’effetto sale riguarda tutti gli equilibri, non solo quelli di solubilità.Per qualunque costante di equilibrio
(Ks,Ka,Kw), cioè in tutti quegli equilibri in cui ho più cariche da una parte rispetto all’altra, l’aggiunta di un
elettrolita favorisce la parte dell’equilibrio in cui ci sono più cariche (perchè l’effetto è elettrostatito).
Questo equilibrio quindi risente dell’effetto sale e andrà nella direzione in cui può formare più ioni (poichè
l’effetto è caratterizzato da un innalzamento della costante dielettrica, quindi vi sono più ioni in soluzione).
Per moderare le aggiunte di qualunque elttrolita indifferente avremo un aumento della concentrazione
degli ioni. A basse concentrazioni la costante di equilibrio è costante, successivamente entra in gioco
l’effetto del coefficiente d’attività e le costanti espresse in funzione delle concentrazioni (Ks,Ka,Kw)
aumentano, mentre quelle espresse in funzione delle attività (Ks*,Ka*,Kw*) rimangono costanti. Le tre
curve, quando si avvicinano a zero, tendono ad un valore limite.
Il coefficiente d’attività dipende dalla forza ionica perciò se ci mettiamo in condizioni di µ costante allora il
coefficiente di attività sarà stabile. Come possiamo fare?
Consideriamo la sintesi chimica con un reattivo A ed un reattivo B per la formazione del prodotto C. Pur
non conoscendo il valore di µ, possiamo metterci in condizioni di riproducibilità aggiungendo una grande
quantità di elettrolita indifferente in modo tale che µ dipendi solo da questo e non dai reagenti che sono in
quantità minore. Tale sale non funge da catalizzatore poiché non prende parte alla reazione. In
conclusione, lavorare a µ=cost, in modo tale da avere un coefficiente d’attività stabile,vuol dire procedere
con l’aggiunta di una grande quantità di sale (es. NaClO4). Tuttavia i risultati ottenuti sono validi e
riproducibili in quel mezzo ionico e in quelle condizioni di µ stabile; tale problema viene poi risolto con
l’interazione specifica che suppone che le proprietà termodinamiche delle miscele possano essere dedotte
da quelle dei singoli elettroliti che le compongono.
DH= Debay- Huckel
SOLVENTE
L’acqua è il solvente più comune e possiede delle caratteristiche particolari quali il peso specifico minore allo
stato solido rispetto a quello liquido o le temperature di fusione e di ebollizione elevate. L’Ossigeno possiede
due lone pairs ed è quindi una molecola che può potenzialmente formare due legami a Idrogeno (quando l’O fa
da donatore) o può riceverli (quando H funge da accettore).
Si osserva per questi composti un andamento simile per cui la temperatura di ebollizione aumenta con il
crescere del numero di elettroni per molecola.
RAGGI IONICI
Consideriamo la variazione del raggio ionico nei singoli elementi. Togliendo elettroni ad un elemento avrò la
formazione di cationi. Prendiamo come esempio nel secondo periodo il Litio e il Berillio. Se tolgo un elettrone al
Li allora otterrò un catione Li+ con configurazione analoga al gas nobile He. Analogamente se tolgo due
elettroni a Be otterrò un catione Be2+ con configurazione dell’ He. Tale procedimento prosegue fino al Fluoro,
in cui vengono tolti sette elettroni. In questo caso i cationi formano una serie isoelettronica (ioni che
contengono lo stesso numero di elettroni nei loro orbitali), nello stesso periodo. Consideriamo il Litio (3
protoni) e il Fluoro (9 protoni), se dispongo i due elettroni dell’ Elio attorno al nucleo del Litio, i suoi tre protoni
attireranno a se (con un campo elettrico a carica +3) i due elettroni dell’Elio (che si posizioneranno nell’orbitale
1s che avrà una certa dimensione). Se gli elettroni dell’Elio vengono disposti all’interno del campo elettrico dei
nove protoni del Fluoro, questi protoni attrarranno maggiormente i due elettroni dell’ Elio. Quindi l’orbitale 1s
del F7+ è un orbitale molto più concentrato sul nucleo rispetto all’orbitale 1s del Li. Allora il raggio ionico
aumenta da destra a sinistra in quanto a parità di elettroni e all’aumentare della carica positiva da sinistra a
destra, l’attrazione da parte del nucleo è più forte e gli elettroni si dispongono più vicino al nucleo cosi da
diminuirne le dimensioni. Consideriamo ioni a parità di carica, vi è un aumento del raggio da destra a sinistra
ma l’effetto è meno marcato. Per quanto riguarda un gruppo, a parità di carica le dimensioni aumentano
dall’alto verso il basso in quanto aumenta il numero quantico principale n (es: Li+, Na+). Infine considero uno
stesso atomo (Fe2+, Fe3+), più elettroni tolgo più la stessa carica deve attrarre un numero minore di elettroni,
quindi maggiore è la carica del catione e minori sono le dimensioni. Perciò per una stessa specie, il raggio ionico
aumenta al diminuire della carica positiva presente nel catione.
La variazione dei raggi ionici è strettamente correlata ad alcune proprietà quali l’idratazione, la solvatazione,
proprietà di acidi e basi.
IDRATAZIONE
Vi sono determinate reazioni tra gli ioni ed il solvente acqua che producono i così detti ioni idratati,
conseguenza della natura polare della molecola d’acqua. Dato che O è molto più elettronegativo rispetto ad H,
tutti i legami H-O sono legami covalenti polari in cui gli elettroni sono più vicini all’atomo di ossigeno rispetto
all’idrogeno, dando luogo ad una carica parziale negativa sull’O ed una positiva sull’H. Perciò quando vi è un
catione in H20, tali molecole si dispongono attorno a questo in modo tale che le loro estremità negative (gli
atomi di O) si orientino verso il catione. Al contrario quando vi è un anione in H2O allora le molecole di acqua si
dispongono attorno a questo in modo tale che le estremità positive (gli atomi di H), si orientino verso l’anione.
Prendiamo come esempio la reazione tra Ag+ e Cl-.
Prima della reazione sia Ag che Cl sono in forma idratata in soluzione. Nel momento in cui avviene il
mescolamento dei due ioni, si formerà precipitato AgCl e vi sarà la contemporanea interazione di un certo
numero di molecole di H20, le stesse che costituivano la sfera di idratazione di Ag+ e Cl-. Affinché ci sia la
formazione di precipitato oltre all’ energia della formazione del cristallo, entra in gioco anche l’energia che
bisogna spendere per liberare gli ioni dalla sfera di idratazione. Tale energia viene definita energia di
idratazione, non trascurabile nella formazione di un precipitato perché ha valori elevati.
dove:
60900 è una costante.
Z è la carica dello ione.
r è il raggio dello ione (in picometri)
50 è una costante.
Tralasciando le costanti, il rapporto Z^2÷r è detto potenziale ionico.
Questa è l’entalpia di idratazione di uno ione, perciò tale energia viene calcolata separatamente per l’anione ed
il catione. Inoltre è valida solo se l’elettronegatività è minore di 1.5.
Vi è il segno negativo poiché in generale l’idratazione di uno ione è sempre un processo esotermico.
L’energia di idratazione dipende quindi dal raggio, dalla carica e dall’elettronegatività.
Vediamo come varia l’energia di idratazione dei cationi metallici. Prendiamo in considerazione:
• Il caso in cui l’elettronegatività sia minore di 1.5 (valida equazione di Latimer)
• Il caso in cui l’elettronegatività sia maggiore di 1.5
b) confrontando due cationi che hanno la stessa carica ma differente elettronegatività (uno maggiore e uno
minore di 1.5) e raggio ionico simile (es: Na+, Ag+) notiamo che l’energia di idratazione è minore per il catione
con elettronegatività maggiore di 1.5.
Per cationi con l’elettronegatività maggiore di 1.5, Latimer avrebbe dovuto aggiungere all’equazione un altro
termine che tenesse conto di tale effetto, ma dato che tali cationi hanno un valore di energia di idratazione
minore di circa il 15-20% rispetto al altri cationi che hanno stessa carica e raggio ionico simile ma
elettronegatività minore di 1.5, posso utilizzare comunque l’equazione di Latimer tenendo conto di tale
variazione (in pratica se l'elettronegatività è maggiore di 1.5 allora vorrà dire che l’energia di idratazione sarà
minore, rispetto a quella ottenuta con l’equazione di Latimer, di circa il 15-20%). Tuttavia tale discorso è valido
solo in presenza di ioni idratati in soluzione.
IDROLISI DEI CATIONI
Questa è una reazione di equilibrio, caratterizzata da una propria costante. La molecola di H2O perde un atomo
di idrogeno diventando uno ione idrossido OH-. Tale gruppo idrossi si lega al catione e lo ione H+ liberato va a
legarsi ad un’altra molecola di H2O portando alla formazione dello ione ossonio H3O+. Questo è un equilibrio
acido-base in quanto il catione in soluzione si comporta da acido e l’acqua si comporta da base. Tale processo
viene chiamato idrolisi dello ione metallico ed aumenta all’aumentare della carica e dell’elettronegatività del
metallo e al diminuire del raggio dello ione metallico. In generale:
Dunque se in soluzione vi è un elemento non metallico, questo ha una richiesta elettronica elevata che può
determinare un legame covalente dativo tra l’ossigeno e il catione. Per far si che ciò avvenga, dato che
l’ossigeno è uno degli elementi con maggiore elettronegatività, l’elemento deve avere un potenziale ionico
elevato. In questo modo l’ossigeno si lega al metallo (cioè al catione), un idrogeno rimane legato all’ossigeno
mentre l’altro si libera come ione H+ che si lega con la molecola di acqua formano lo ione ossonio. Questa
reazione di idrolisi o protolisi è analoga a quella di un acido debole in acqua.
Nel caso di ioni a carica multipla si possono avere successive reazioni di idrolisi fino ad arrivare alla
precipitazione dei rispettivi idrossidi.
L’intensità dell’interazione dipende principalmente dalla carica Z e dal raggio r.
È importante stimare l’acidità approssimativa di un determinato catione in modo da poter prevedere quanto
violentemente reagirà un dato composto con l’acqua. Prendendo in considerazione la tabella che segue,
notiamo che gli ioni di una data categoria di acidità condividono molte proprietà chimiche. Inoltre i valori più
piccoli del potenziale ionico corrispondono all’idrolisi minima dei cationi.
Il potenziale ionico aumenta all’aumentare della carica Z dello ione e contemporaneamente vi è l’aumento
dell’acidità dello ione (aumenta Ka) e diminuisce pKa. Il termine a è valido nel caso in cui l’elettronegatività sia
≤ 1.5.
Il potenziale ionico di elementi con elettronegatività ≥ 1.5 è definito dal termine b a cui viene sommato un
fattore che tiene conto della differenza di elettronegatività dell’elemento, è quindi un potenziale chimico
corretto per l’eccesso dell’elettronegatività. Di conseguenza anche b cresce all’aumentare della carica Z. Può
essere molto diverso da a quindi non può essere trascurato. inoltre sono più acidi rispetto ad a.
In generale: pKa diminuisce all’aumentare di a e di b
Per l’energia di idratazione abbiamo un’equazione rappresentativa mentre qui ci limitiamo a procedere con
una categorizzazione.
Abbiamo stabilito che uno ione con carica z, se abbastanza acido, in acqua può liberare ioni H+ diventando un
idrosso catione. La specie prodotta dal primo equilibrio può dar luogo ad un secondo equilibrio di idrolisi acida,
se il suo potenziale ionico non è soddisfatto, dove reagisce con un’altra molecola d’acqua formando un altro
ione idrossi metallico che ha carica diminuita di un’altra unità (avrà una Ka2). Proseguendo con i fenomeni di
idrolisi, i cationi acquistano man mano sempre più gruppi OH- e si può arrivare alla precipitazione degli
idrossidi. Il pH della precipitazione è dato da:
Abbiamo detto che è importante stimare l’acidità di un determinato catione; a seguire vi è una tabella di dati
che classifica i cationi dal punto di vista dell’acidità in funzione del potenziale ionico. Consideriamo il valore
Z^2/r, più questo è piccolo, più l’acido è debole.
Per i cationi metallici con elettronegatività maggiore di 1.5, l’acidità è maggiore rispetto a ioni con carica e
dimensione simile. Nella figura che segue vengono rappresentati i dati di pKa con a (pallini pieni) e di b (pallini
vuoti) e vengono approssimati con un’equazione analitica della retta che non ha grande validità in quanto i dati
di b sono molto dispersivi.
Regola pratica: se l’elettronegatività di uno ione metallico è di 1.8 spostare di una categoria nell’acidità.
Es. CLASSIFICARE OGNUNO DEI SEGUENTI CATIONI IN RELAZIONE ALL’ACIDITA’ E DISCUTERE LA LORO PRESENZA IN ACQUA: Eu2+, B3+, W6+.
per B3+: Z2/r = 32/41 = 0.220 (molto acido) ossido, ossiacido, ossoanione
Un ossoanione è costituito da una specie m, atomo non metallico (es, N in NO3-, S in SO42-) cioè l’atomo
centrale circondato da un certo numero di ossigeni.
Le dimensioni dell’ossoanione non dipendono dal tipo di atomo centrale a cui sono legati gli atomi di ossigeno
ma dalla carica dell’ossoanione. Infatti a parità di forma, la natura dell’atomo centrale non influenza la
basicità.La formula generale degli ossoanioni è MOx ^y-, cioè le basi coniugate di acidi inorganici (es: NO3-
,SO42-); inoltre x sono gli ossogruppi. Gli ossoanioni posti in H2O sono soggetti ad idrolisi e possono acquistare
un H+ dall’H2O. Procedendo in questo modo la “x” (ossogruppi) si trasforma in OH- . Quindi M rimarrà legato a
x-1 ossogruppi e ad un idrossogruppo. Inoltre, dato l’acquisto di un un H+, la carica dell’ossanione passa da y- a
(y-1)-, e l’H2O libera OH- poiché l’atomo di idrogeno dell’acqua avente parziale carica positiva può legare con
un atomo di ossigeno dell’ossoanione con carica parzialmente negativa, perdendo un H+. Quindi tutte le volte
che passiamo da uno ione al suo acido coniugato, dobbiamo togliere una carica e un ossogruppo. Come per i
cationi cercheremo di sviluppare delle regole che ci permettano di prevedere la basicità. Per i cationi abbiamo
fatto riferimento a carica, dimensioni ed elettronegatività. Per gli ossoanioni le dimensioni dell’atomo non
metallico sono del tutto trascurabili mentre l’ elettronegatività ha un piccolo effetto sulla pKb meno rilevante
rispetto all’effetto della carica e del numero degli ossogruppi. Infatti il pKb di un ossoanione diminuisce di 10.2
unità per ogni carica negativa addizionata, perciò maggiore è la carica negativa, maggiore è la basicità. Al
contrario l’aumento del numero di ossogruppi comporta un aumento della pKb di 5.7 unità (quasi 1 milione di
volte), quindi una diminuzione della basicità.—> importante per tamponi.
Perché il numero di ossogruppi dovrebbe avere effetti sulla basicità di un ossoanione?
1. Più ossogruppi vi sono maggiore è la risonanza, quindi la delocalizzazione della carica negativa e la
stabilità degli anioni
2. Minore carica sull’ossigeno per effetto induttivo
3. Quando attacchiamo un ossigeno addizionale, il numero di ossidazione dell’atomo non metallico
aumenta di due
4.Minore densità di carica negativa
Possiamo riassumere gli effetti del numero di ossogruppi e della carica negativa di un ossoanione in una
equazione che esprime sperimentalmente, per un generico MOxy-, il pKb:
Come possiamo stabilire rapidamente l’ordine di grandezza della basicità degli ossoanioni?
Dalla formula MOxy- togliamo una carica negativa per ogni coppia di ossogruppi (questo perché se una carica
aumenta la basicità di 10.2 unità, 2 ossogruppi “5.7+5.7” diminuiscono la basicità di circa la stessa unità).
Es:
• MO4-, tolgo una carica e due ossogruppi —> MO2 tale formula indica che vi è un eccesso di ossogruppi
rispetto alla carica (2 x e 0y) e dato che gli ossogruppi rendono meno basico un anione, tale anione non
sarà basico.
• MO42-, tolgo una carica e due ossogruppi —> MO2-, devo arrivare alla formula minima quindi tolgo altri
due ossogruppi e un’altra carica —> M (0x e 0y) non ha né cariche né ossogruppi, perciò la specie è
debolmente basica poiché si bilanciano.
• MO32-, tolgo una carica e due ossogruppi, poi mezza carica e un ossogruppo—> M-1/2, questo è
moderatamente basico
• MOxy- —> M-j con j>1, fortemente basico
In generale: se vengono eliminate tutte le cariche ma rimangono degli ossogruppi allora l’ossoanione non è
basico. Se non rimangono né cariche né ossogruppi (M) la specie è debolmente basica. Se rimangono cariche e
non ossogruppi allora sarà basica (se y=1/2 moderatamente basica, se y=1 fortemente basica).
Il prodotto dell’idrolisi dell’ossoanione è un ossoanione protonato (cioè un idrossianione) che può fare idrolisi
generando un altro ossoanione diprotonato (idrossianione, non ha più ossogruppi) in cui il numero di
ossogruppi e la carica diminuiscono di una unità.
Questi ossidi o idrossidi possono dissolversi anche in soluzioni fortemente acide generando cationi idratati,
sono dunque anfoteri, cioè in grado di reagire sia come acidi che come basi.
Quando un ossoanione idrolizza, perde un ossogruppo e una carica, quindi, considerando la formula di pKb,
viene perso un fattore “+5.7” e uno “-10.2”. Quindi la differenza tra il valore di pK1 e pK2 è di un fattore di
“4.5” (10.2-5.7). Ciò è valido per tutte le costanti basiche, cioè le Kb di un protolita successive, differiscono sa
quella precedente per circa 4.5 unità. È un concetto molto importante in quanto una volta calcolata la Kb1
possiamo capire approssimativamente anche i valori delle costanti basiche successive. Un discorso analogo si
può fare per le costanti acide.
In acque naturali possiamo trovare cationi idratati, cioè i cationi acidi e moderatamente acidi soprattutto con
carica +1 e +2 (ma non molto piccoli, cioè il raggio) e +3 (purché grandi, dato che se hanno una carica grande
devono necessariamente essere grandi altrimenti idrolizzerebbero e formerebbero degli idrossidi poco
solubili), ossoanioni più o meno idrolizzati, cioè eleggenti con elevato numero di ossidazione. Questi sono
biologicamente disponibili, possono essere utilizzati dagli organismi viventi, in quanto sono presenti nelle
acque naturali. Gli ossidi o idrossido sedimentati non sono biologicamente disponibili.
Consideriamo il caso in cui non vi siano reazioni redox, di precipitazione, di complessazione. Il pH approssimato
è tra 6 e 9. Tramite il diagramma di predominanza posso capire in che condizioni posso trovare una certa
specie, consente di rappresentare su una scala di pH diverse specie e di capire la loro regione di
predominanzaa.
Consideriamo il fosforo:
Dalla reazione (di formazione di un sale a partire da anione e catione) ottengo un precipitato e un certo
numero di molecole d’acqua. Abbiamo stabilito il verso in quanto guardiamo la reazione nel verso della
precipitazione.
Consideriamo la tabella che esprime i dati termodinamici della precipitazione che abbiamo ottenuto
raggruppando i sali in varie categorie. Tale criterio ci permette di stabilire il livello di solubilità del sale in base
alla tipologia di catione e anione che lo costituiscono.
Per prevedere la solubilità di un sale bisogna analizzare il suo catione ed il suo anione, quindi la sua
acidità/basicità. Dai numeri di ossidazione e dalla tabella della lezione precedente calcoliamo il rapporto Z^2/r
e classifichiamo i cationi in base alla loro acidità. Analogamente per gli anioni calcoliamo la basicità tramite la
formula del pKb.
Se consideriamo:
• Ag2SeO4 insolubile (perché non acido + moderatamente basico), se posto in condizioni acide sarà più solubile
• K3PO4 solubile (perché è una combinazione incrociata), non importa metterlo in ambiente acido poiché è già
solubile.
• ZnSO4 solubile. (debolmente acido + debolmente basico) Dato che è debolmente acido + debolmente basico
dovrebbe essere insolubile, ma questa è un’eccezione, testimonianza del fatto che il criterio non è perfetto
ma è una previsione qualitativa non sempre reale.
• Th3(PO4)4 insolubile (perché sono dello stesso tipo, moderatamente acido + moderatamente basico), se
posto in condizioni acide il fosforo idrolizza e di conseguenza aumenta la solubilità.
Riprendendo la tabella 3.1 consideriamo i singoli contributi termodinamici al fenomeno di precipitazione ( la
reazione opposta è quella di solubilizzazione) perciò la reazione è favorita verso destra (∆G<0). Dato che ∆G è
in funzione di ∆H e ∆S, analizziamo anche questi contributi.
∆G= ∆H-T∆S
Dato che nella tabella sono espressi i valori di -T∆S, per ricavare ∆S bisogna cambiare il segno.
Considerando ∆H abbiamo valori molto piccoli se confrontati con quelli di ∆S, che avrà quindi contributo
maggiore rispetto a quello entalpico. Non sempre l’entalpia è trascurabile rispetto all’entropia, ma possiamo
affermare che la categoria dei sali formati da cationi acidi e anioni basici è dovuta prevalentemente dal fattore
entropico (tale prevalenza si ha solo nel caso di cationi acidi e anioni basici)
Le temperature sono tutte positive, quindi ∆S>0. Il ∆S è di precipitazione, vi sarà quindi un fenomeno per cui
ioni dispersi si vanno a concentrare nel solido disponendosi in posizioni ben precise (si passa quindi da una
condizione caotica ad una ben ordinata). Tuttavia l’entropia aumenta nonostante si passi da una condizione
disordinata ad una ordinata. Ma tutte queste sostanze hanno un valore di ∆S>0, ed è quindi una caratteristica
di tutti questi sali.
Perché cresce l’ entropia? Se noi mettiamo ioni a potenziale ionico crescente rispetto al T∆S di solubilizzazione,
ovvero -T∆S di precipitazione, questo diminuisce, quindi aumenta l’ entropia. In generale più gli ioni sono
carichi e di piccole dimensioni e più nella formazione di precipitato aumenta l’entropia. Ogni ione in soluzione
ha la propria nuvola di solvatazione, cioè uno spazio intorno agli ioni in cui le molecole di H2O si dispongono in
modo ordinato. Dato che l’energia di idratazione è molto grande (dall’equazione di Latimer) tale disposizione è
più ordinata rispetto a quella del solido. Perciò, dato che la precipitazione libera molecole di H2O, si forma una
struttura meno ordinata rispetto alla precedente (per formare tale struttura sfruttiamo altre strutture ordinate,
le sfere di idratazione).
Cationi acidi e anioni basici si organizzano in sfere di solvatazone più ordinate secondo Latimer che ha
verificato ciò prendendo una serie di cationi e tabulandoli in funzione del potenziale ionico e valutando il loro -
T∆S di precipitazione. Gli ioni acidi e basici generano strutture elettrostatiche, cioè sono in grado di generare
strutture ordinate nella sfera di solvatazione. Un discorso differente si fa per gli ioni non acidi e non basici che
rompono le strutture elettrostatiche. Infatti hanno una sfera di solvatazione meno organizzata e rompono le
strutture elettrostatiche dell’H2O. l’H2O è costituita da aggregati che possono essere assimilati ad iceberg che
si rompono e ricompongono continuamente. Nel momento in cui uno ione non acido o non basico si salvata,
rompe la struttura elettrostatica degli iceberg, quindi dell’H2O in quanto per idratarsi necessita di molecole di
acqua. Viene quindi distrutto il grado di ordine presente nell’H2O dalla formazione delle sfere di solvatazione di
questi ioni. Quindi riprendendo Latimer abbiamo una situazione in cui:
1. i cationi meno acidi hanno contributi entalpia positivi, spostandosi a cationi con maggiore acidità i
contributi entalpici sono via via più negativi
2. Gli anioni meno basici hanno un -T∆S di precipitazione positivo mentre quelli più basici lo hanno più
negativo.
Dalla tabella notiamo che l’ entropia aumenta con la basicità dell’anione.
Se considero che ciascun catione ha una nuvola di solvatazione e le molecole di h20 si dispongono intorno a
catione e anione, dato che l energia i idratazione è molto grande allora le molecole di h20 sono compattate
intorno agli ioni nello stesso modo in cui gli ioni si ordinavano nel solido quando c e precipitazione di libera h20
e si forma una struttura meno ordinata rispetto a quelle precedente con l’acqua. Quindi quando si ha a che fare
con anioni o cationi acidi e basici di strutture in grado di generare strutture elettrostatiche. Dato che vi è la
liberazione di molecole d acqua allora l’entropia è favorita. Se abbiamo a che fare con specie non acide e non
basiche la situazione è differente
Modello iceberg
Se prendo un recipiente d’acqua posso pensare che esistano, come gli iceberg nell’oceano, delle strutture
ordinate, quindi sono in grado di modificarsi pur mantenendo il proprio ordine. Quando nella soluzione
aggiungo catione o anione non acidi e non basici questi generano strutture elettrostatiche molto blande
rispetto a quelle degli acidi e delle basi quindi quando introduco cationi e anioni non acidi e non basici per
generare le loro strutture di solvatazione vanno a rompere quelle degli iceberg, diminuendo l’ordine. Quindi in
acqua rompono le strutture elettrostatiche dato che gli iceberg (o ioni) vengono parzialmente sostituiti dalle
strutture di solvatazioni degli anioni e cationi non acidi e basici.Se ho uno ione con alto potenziale ionico la
tendenza è quella di avere molta carica e di attrarre a se le strutture elettrostatiche mentre le specie non acide
non hanno questa attrazione
Questo perché c’è un alto grado di organizzazione nell’acqua. Ipotesi di interpretazione, non sperimentato.
NUMERO DI IDRATAZIONE E RAGGIO Le dimensioni degli ioni idratati a parità di carica aumentano.
Il potenziale ionico mostra la densità di carica. Consideriamo Litio e
Cesio, entrambi con carica +1. Il Li è uno ione piccolo mentre il Cs è
uno ione grande. Quindi ci aspettiamo che il potenziale ionico
aumenti dal litio al cesio. Tuttavia la densità di carica del litio è
maggiore, in quanto quella del cesio è piccola poiché è dispersa per
tutta la superficie. Se poniamo una molecola di solvente vicino al
Litio, questa è attratta fortemente a questo mentre se la poniamo in
prossimità del Cesio la densità di carica è più debole e la molecola è
meno attratta a questo. Quindi il Litio riesce ad organizzare un certo
numero di strati di molecole di solvente (22) maggiore rispetto al
numero di strati del Cesio (6). Quindi le dimensioni dello ione Litio
idratato diventano più grandi rispetto a quello del Cesio idratato.
Questo perché la carica è sempre la stessa ma nel Cesio è disposta in
un volume maggiore che dà luogo ad un campo elettrico più debole
rispetto alla carica in un volume minore.
Per elaborare un’espressione matematica dobbiamo pensare alle interazioni attrattive e repulsive. Tra ioni di
carica opposta a distanza r l’interazione è attrattiva. Tuttavia nella costruzione di un cristallo vi è
l’avvicinamento delle carica con stessa carica con conseguente aumento dell’interazione repulsive. Si giunge
quindi ad un equilibrio ad una data distanza r0. Tale valore corrisponde ad un minimo nel grafico (energia =y,
raggio=x). Se gli ioni sono posti ad un raggio r<r0 allora prevalgono le forze repulsive, mentre se il raggio r>r0
allora prevalgono le forze attrattive.
Contributo attrattivo: catione e anione si attraggono a brevi distanze. Tale attrazione è tanto maggiore quanto
maggiori sono le cariche degli ioni
Contributo repulsivo: a distanze brevi gli ioni risentono della carica repulsiva tra le densità elettroniche.
In r0 la distanza tra catione ed anione è la più stabile e si ha la formazione della molecola ionica.
Quando r tende ad infinito l’energia potenziale tende a zero e prevale il potenziale attrattivo; man mano che r
diminuisce, l’energia potenziale diventa sempre più negativa e prevalgono ancora le forze attrattive. Giunti alla
distanza r0 si arriva ad un equilibrio e alla formazione di un legame ionico. A minori distanze prevale la forza
repulsiva.
Dato che r0 è il minimo della funzione, se facciamo la derivata prima di U in funzione di r e la poniamo uguale a
zero, otteniamo un risultato che sostituiamo all’espressione di U ed otteniamo l’equazione di Borne-Londe.
Tale equazione mostra la presenza del minimo (studio di una funzione) tiene conto
delle interazioni attrattive e repulsive e mostra che l’energia reticolare cresce all’aumentare della carica e al
diminuire della distanza tra catione ed anione.
La distanza media r0 dipende dalla grandezza degli ioni: più gli ioni sono piccoli più r0 è piccolo e viceversa.
L’energia reticolare è l’energia necessaria per il processo in cui da un solido ionico si ottengono ioni in fase
gassosa. La misura diretta di tale energia non può avvenire ma è possibile ricavarla tramite un ciclo
termodinamico chiamato ciclo di Born-Haber. Questo si avvale di dati quali l’energia di ionizzazione, l’affinità
elettronica, l’energia di dissociazione, l’energia di sublimazione e il calore di formazione al fine di ottenere
l’energia reticolare.
• L’energia di ionizzazione è l’energia che si deve somministrare a un atomo allo stato gassoso affinché un
elettrone venga allontanato dall’atomo neutro per dare uno ione positivo.
• L’affinità elettronica è l’energia liberata quando un elettrone si addiziona a un atomo allo stato gassoso.
• L’energia di dissociazione è l’energia necessaria affinché un composto sia dissociato; la dissociazione di un
composto è sempre un processo endotermico e quindi richiede una certa quantità di energia.
• L’energia di sublimazione è l’energia necessaria affinché si passi direttamente dalla fase solida a quella
gassosa.
• Il calore di formazione è la variazione di energia durante la formazione di un composto dai suoi elementi.
ciclo di Born-Haber si basa sulla legge di Hess secondo la quale la variazione di entalpia di un processo che può
essere scomposto idealmente in più stadi è pari alla somma algebrica delle variazioni di entalpia dei singoli
stadi.
Consideriamo degli atomi metallici allo stato gassoso, per esempio Na(g), degli atomi di un altro elemento allo
stato gassoso, per esempio Cl(g), e valutiamone l’energia reticolare.
Misuro l’affinità elettronica (di Cl) ed il potenziale di ionizzazione (di Na), rappresentanti il ∆H2 del processo.
Per ottenere il metallo allo stato gassoso è necessario partire dal metallo allo stato solido e sublimarlo, misuro
quindi l’energia di sublimazione. Nel caso del cloro è necessario prendere mezza mole di Cl2 e lo devo
atomizzare utilizzando l’energia di dissociazione molare (per ottenere Cl(g) ), ottengo cosi ∆H3. A questo punto
il metallo solido e l’alogenuro, nei loro stati standard, reagiscono per formare il sale, liberando l’energia di
formazione, cioè il ∆H4. A questo punto è possibile definire l’energia reticolare.
ENERGIA DI SOLVATAZIONE DEGLI IONI
ENTALPIA DI SOLUZIONE
Il ∆Hsoluz è l’energia che si libera quando vi è un solido in acqua che si scioglie generando un sale. Questa è
una funzione di stato e si può calcolare tramite l’energia reticolare e l’energia di idratazione.
∆Hsoluz = U + ∆Hidr
Quando catione ed anione hanno dimensioni differenti prevale l’energia di idratazione ed il sale sarà
caratterizzato da una certa solubilità.
Quando catione ed anione hanno una dimensioni simili prevale l’energia reticolare rispetto a quella di
idratazione, mantenendo il sale in uno stato insolubile o di scarsa solubilità.
In alcuni casi cationi ed anioni di dimensioni molto diverse tra di loro danno luogo a sali teoricamente instabili.
M= catione piccolo, per riscaldamento
Quando questi vengono scaldati sviluppano CO2 o SO3 con i rispettivi ossidi MO. Tali ossidi vengono realizzano
cristalli con alta energia reticolare.
Un altra reazione può portare alla formazione di sali idrati in cui il catione è un equo-complesso
Ogni reazione è
caratterizzato da una
propria costante, ka o kb
legati secondo la relazione
kw= kaxkb.
Per determinare l’acidità di
una specie, è opportuno
valutare l’acidità della base
coniugata A- applicando
una data relazione.
ACIDI E BASI DI BRØNSTED E LOWRY
Acidi e base di Brønsted in acqua possono essere neutri o carichi. Producono equilibri proclitici generati da
sali, tutti caratterizzati dalla perdita di un protone. La forza di un acido e di una base in acqua vengono
definite secondo la costante di equilibrio. Consideriamo un acido AH con il proprio equilibrio di reazione in
base al quale possiamo scrivere la costante di equilibrio. Troviamo la Ka, maggiore è la Ka più l’acido è forte
e l’equilibrio spostato verso destra. Se lo stesso acido viene posto in un solvente maggiormente basico
rispetto all’acqua, l’equilibrio sarà più spostato verso destra, viceversa se il solvente sarà più acido rispetto
all’acqua allora l’equilibrio sarà spostato verso sinistra. Oltre all’acidità del solvente va considerata anche la
costante dielettrica che contribuisce in modo rilevante —> una carica posta ad una distanza r da una carica
negativa risente di una forza attrattiva che segue la legge di Coulomb, proporzionale alla costante
dielettrica. Maggiore è la carica dielettrica maggiore è la forza elettrostatica di cui risentono le cariche.
Tuttavia il solvete può non essere acqua.
SOLVENTI
Consideriamo l’autoionizzazione di un
solvente anfotero:
2 molecole di solvente, una che viene
protona e forma un catione, l’altra viene
deprotonata e forma un anione. Kw=
prodotto ionico dell’acqua, costante di
autoprotolisi dell’acqua = [H3O+] [OH-]
In acqua non possono esistere acidi più forti di H3O+ né basi più forti di OH-. Questo perché se AH è una
acido più forte, allora stando in acqua fornisce il protone e genera H3O+ e A- dissociandosi completamente.
Analogamente una base formerebbe OH- e BH+. Gli acidi forti si dicono tali perché in acqua sono
completamente dissociati perciò non è possibile determinare la costante di equilibrio e definirne quindi la
forza. Gli acidi e le basi in acqua si dicono livellati in quanto non posso fare una distinzione tra acidi e basi
che hanno tutti lo stesso effetto, cioè quello di generare H+ e OH-. Tuttavia è possibile utilizzare solventi
meno acidi o meno basici in modo tale che non ci sia la completa dissociazione della sostanza ma delle
reazioni di equilibrio che mi permette di esprimere la Ka e quindi la forza dell’acido.
es: l’acido acetico è debole in acqua e forte in ammoniaca. Acido perclorico e acido cloridrico che
generalmente sono forti perché livellati in acqua, se posti in acido acetico sono solo parzialmente dissociati,
cioè hanno una Ka ed è possibile definire quale sia più forte.
EFFETTO DELLA COSTANTE DIELETTRICA DEL SOLVENTE SU Ka E Kb
La costante dielettrica dei composti organici sono più basse rispetto a quelle dell’acqua. La costante
dielettrica misura la capacità di tenere separate due cariche; se in una soluzione le due specie ad una
distanza r risentono reciprocamente della forza di Coulomb. Tanto più la costante dielettrica è maggiore
tanto più la forza di cui risentono le cariche è minore, perciò le cariche possono essere in soluzione.
Passando a soluzione organiche, gli ioni risentono delle forte attrattive/repulsive tra le cariche ed in molti
casi ciò causa insolubilità.
Qual è l’effetto della costante dielettrica sulla ka e sulla kb? Acido debole in solvente anfolita a cui dona
protone; la reazione è caratterizzata da uno stadio di ionizzazione. Solo se il solvente ha una sufficiente
costante dielettrica, allora le due specie cariche si separeranno.
Costanti di ionizzazione e dissociazione sono differenti. La dissociazione richiede specie cariche e dato che
la costante dielettrica favorisce la separazione di carica allora la Keq risente di questo contributo.
La forza ionica favorisce sempre stato di equilibrio con sviluppo di carica. Se un acido libero è in un
solvente, la forza ionica influisce sulla separazione delle cariche portando l’equilibrio verso destra. Quindi
Ka e Kb tendono ad essere favorite con l’aumento della costante dielettrica del solvente.
Solventi diversi hanno scala di pH differenti.
Supponiamo di avere quattro solventi differenti con uguale costante dielettrica. Generalmente un solvente
più acido dell’acqua tende a diminuire la Ka ed uno più basico tende ad aumentarla.
Vogliamo metterci in condizioni tali che il protonica HA sia dissociato al 50%, quindi [A-]=[HA]. Allora il pH
viene immediatamente ricavato. Nell’acqua, dove Ka= 10^-6, il pH richiesto sarà 6; il solvente A è più acido
dell’acqua ed ha Ka= 10^-8 perciò il pH richiesto sarà 8, ph acido (perchè il pH dell’acqua è 6), la scala di pH
sarà più spostata verso sinistra; solvente B e C hanno pH=4, basico, sono basici rispetto all’acqua e la loro
scala di pH è spostata verso destra rispetto all’acqua.
La linea verticale indica la dissociazione al 50% del protonica HA.
L’intervallo di pH in acqua va da -∞ a +∞, dal punto di vista pratico è opportuno utilizzare una scala di pH
che varia da 0 a 14 poiché per arrivare ad un pH=0 si utilizza un acido forte 1M mentre per arrivare a pH=14
si utilizza una base forte 1M. Per giungere a pH minori di 0 o superiori a 14 è necessario utilizzare una
soluzione più concentrata.
Es: per fare una soluzione acquosa a pH=20 bisognerebbe utilizzare un’elevata quantità di NaOH.
Esistono diverse scale di pH in quanto i solventi diversi dall’acqua hanno scale differenti.
TITOLAZIONI ACIDO-BASE
La titolazione è una procedura analitica che utilizza soluzioni a concentrazione nota. Nelle titolazioni viene
utilizzata una procedura analitica per determinare la concentrazione di una sostanza incognita. Nel
momento in cui tale sostanza viene completamente consumata in seguito all’aggiunta di una quantità
esatta di reagente si giunge al punto di equivalenza, dove gli equivalenti di titolante sono esattamente
uguali agli equivalenti della sostanza da titolare.
Esistono dei limiti di titolabilità oltre il quale non è possibile realizzare la reazione di titolazione. Per
determinare tali limiti dobbiamo ricavare la Keq della reazione. Immaginiamo di avere una soluzione di un
acido debole a concentrazione Ca a cui viene aggiunta una base a concentrazione Ca fino a raggiungere il
punto di equivalenza. Ammettiamo di poter considerare completa la reazione se procede per il 99.9%. Se la
reazione è completa allora un millesimo di HA e OH rimangono non reagiti all’equilibrio, si può trascurare.
Quindi la concentrazione di HA e di OH- all’equilibrio sarà di 1/1000Ca=0.001Ca. Al punto di equivalenza HA
e OH- saranno pari a 0,001 Ca e il 99,9% si è trasformato in A-, quindi 0,999 Ca. La costante di questo
equilibrio è tanto più grande quanto maggiore è la Ka dell’acido. Tramite vari calcoli giungo a
KaHAx Ca = 10-8. Pertanto, in H2O, affinché un acido debole sia titolabile KaHAx Ca deve essere maggiore di
10-8, analogo per una base debole. Quindi non è possibile titolare acidi troppo deboli o soluzioni troppo
diluite. Se considerassimo un altro solvente differente dall’acqua, allora al posto di Kw sarebbe necessario
utilizzare la costante di autoprotolisi del solvente, perciò il prodotto KaxCa dipende dal tipo di solvente, può
dunque essere più o meno accettabile.
Una procedura analitica per determinare un equilibrio dei sistemi esiste fino all’equazioni di 2º grado.
Spesso la procedura porta ad avere Nº equazione < Nº incognite e bisogna dunque adottare delle
approssimazioni fino ad ottenere equazioni di 2º grado. Tuttavia è necessario verificare che tali
approssimazioni siano compatibili con le soluzioni ottenute. Alla fine dell’analisi avremo una misura del pH,
se questa è soddisfacente allora bisognerà ripetere la procedura cambiando le condizioni iniziali e
verificarne il risultato ottenuto. Questo metodo è applicabile ad un limitato numero di casi.
Anziché procedere con un approccio matematico è utile utilizzare un grafico che descrive la variazione della
concentrazione delle specie in soluzione in funzione del pH.
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA (di acidi monoprotici forti)
In soluzioni di acidi o basi forti l’unico equilibrio presente è quello di Kw. Riportiamo tale equilibrio in
maniera logaritmica. Giungiamo a log[H+]=-pH, considerando che lungo y vi è logC e lungo x il pH è analogo
a dire y=-x ovvero una retta con pendenza -1 ed un angolo di -45ºC. Analogamente ricaviamo
[OH-]=logKw+pH equivalente ad una equazione del tipo y=b+mx, cioè una retta con pendenza +1 ed un
angolo di 45ºC. Riportando tali rette all’interno di un grafico quadrato che descrive la variazione delle
concentrazioni rispetto al pH avremo due rette che si intersecano ad un pH corrispondente a 7 che
rappresenta il limite al di sotto del quale log[H+]>log[OH-] e al di sopra del quale log[H+]<log[OH-]. Dunque
grazie a tale grafico è possibile risalire alle concentrazioni di [H+] e [OH-] a qualunque valore di pH.
Il fatto di aver individuato che le due curve hanno un andamento diagonale mi permette automaticamente
di determinare come una variazione di concentrazione influisce su log[H+] e log[OH-].
Tuttavia qualunque soluzione acquosa contiene l’equilibrio di autoprotolisi quindi per qualunque soluzione
va riportato questo grafico insieme ad altri equilibri.
La retta di log[H+] decresce mentre quella di log[OH-] cresce.
In un acido monoprotico debole vi
è la reazione di dissociazione
parziale dell’acido debole e la
reazione di autoionizzazione
dell’acqua, ognuno governata da
una propria costante di equilibrio.
Procedo con il bilanciamento di
massa in Eq.3 dove considero Ca
come la somma tra la
concentrazione dell’acido
indissociato e quella dell’acido
dissociato. In Eq.4 vi è il
bilanciamento delle cariche dove la
somma delle cariche positive deve
essere uguale a quella delle cariche
negative.
Da Eq.5 ed Eq.6 ottengo le
concentrazioni di HA e A- che
sostituisco nell’espressione di Ka
ottenendo la relazione esatta di
terzo grado inrisolvibile dal punto di
vista analitico. È possibile risolverla
considerando la rappresentazione
grafica o procedendo con
approssimazioni. Dato che Kw=10-14
allora posso trascurare KwKa e
considerare CaKa+Kw=CaKa. In
questo caso otteniamo l’ equazione
a, di secondo grado e perciò
risolvibile.
Inoltre se l’acido è poco dissociato
allora Ca>>[H+] e posso quindi
approssimare l’equazione a come
Ka=[H+]2/Ca e ricavare dunque [H+].
Qualunque sia il pH la concentrazione C è sempre 10-2M ed è uguale alla somma della concentrazione di HA
e di A-. Inoltre abbiamo l’espressione di Ka= [H+] [A-]/[HA]. Combinando queste due espressioni ottengo
[A-] (a) e [HA] (b). Entrambe sono espresse in funzione della concentrazione totale dell’acido in soluzione
quindi traccio una linea tratteggiata orizzontale in prossimità di tale valore 10-2M. Dato che il pKa=4,75
allora traccio una linea tratteggiata verticale in corrispondenza di tale valore. Queste due tratteggiate si
intersecano in un punto, tale punto viene chiamato s.
A questo punto consideriamo di disegnare il diagramma dividendo l’ascissa in diverse parti:
1) [H+]>>Ka
2) [H+]<<Ka
3) [H+]=Ka
La prima parte è quella in cui [H+] è molto maggiore di Ka cioè pH<pKa-1. Questo perché [H+] è maggiore di
Ka di almeno un ordine di grandezza e ciò si traduce con una differenza di 1. Considero quindi la zona di pH
che va da zero a 4,75-1=3.75. Riportiamo le espressioni di a e di b in questa parte di grafico utilizzando
opportune approssimazioni. Porto le due equazioni ottenute in funzione logaritmica.
1. La prima rappresenta una retta con pendenza uguale a zero. Dato che la concentrazione di HA è
uguale a C e abbiamo già individuato logC, allora questa retta sarà rappresentata dalla linea
tratteggiata in precedenza fino ad un pH di 3,75.
2. La seconda equazione riportata in forma logaritmica rappresenta una equazione del tipo
y= termine noto + variabile e perciò una retta con pendenza +1 e angolo pari a 45º. Tuttavia
possiamo considerare un infinità di rette, per determinare quale prendere scegliamo l’ascissa,
proviamo l’ordinata e troviamo un punto da dove traccio la retta con pendenza +1. Potremmo
prendere qualunque punto di pH ma tra gli infiniti punti uno è più conveniente, cioè il punto in cui
pH=pKa poiché scegliendo questo punto il log[A-] uguaglia il logC. Tuttavia questo punto è s,
segnato in precedenza. Perciò sappiamo che la retta passa per s ed è di 45º, traccio quindi una retta
di questo tipo nell’intervallo di pH che stiamo considerando.
La seconda parte da considerare nel grafico è quella in cui [H+] è molto minore di Ka cioè pH>pKa+1, perché
Ka è maggiore di [H+] di almeno un ordine di grandezza e ciò si traduce con una somma di 1. Considero
quindi la zona di pH che va da 5,75 a 14. Riportiamo le espressioni di a e di b in questa parte di grafico
utilizzando opportune approssimazioni. Portiamo le due equazioni in funzione logaritmica.
1. La prima equazione rappresenta un’equazione del tipo y=termine noto + variabile e perciò una
retta con pendenza -1 ed un angolo di -45º. Analogamente a prima considero la retta passante per
s, dove pH=pKa e logHA=logC. Tracciamo quindi la retta nell’intervallo considerato
2. La seconda equazione rappresenta una retta con pendenza uguale a zero. Dato che la
concentrazione di A- è uguale a C allora traccio la retta equivalente alla linea orizzontale di C.
Per [H+] << Ka cioè pH > pKa + 1
La terza parte da considerare nel grafico è quella in cui [H+]=Ka che definire l’unico intervallo mancante tra
i valori di pH di 3,75 e 5,75. Noi sappiamo dalla chimica generale che quando il pH=pKa abbiamo un
tampone ideale cioè log[HA]=log[A-]=logC/2=logC-log2(0,3). Per qualunque valore di C prendiamo il
pH=pKa, andiamo su logC quindi su s e scendiamo di 0,3. In questo modo troviamo il punto T dove vi è
l’intersezione tra le quattro curve.
del punto T ordinata log [HA] = log [A–] = log (C/2) = log C - log 2 = log C - 0.3
Considerando il diagramma logaritmico per acidi monoprotici deboli facciamo alcune considerazioni
generali.
Se varia la concentrazione dell’acido che consideriamo il diagramma sarà analogo ma traslerà in alto o in
basso a seconda di C. Inoltre se varia il pKa il diagramma traslerà a destra o a sinistra.
Le curve sono molto rappresentative in quanto mostrano che tutti gli acidi deboli si comportano nella
stessa maniera dipendente da pKa e dalla concentrazione.
Quindi:
Se consideriamo un acido diverso il grafico rimane analogo ma traslato:
In un intorno di + o – 1 di pKa convivono le due forme [HA] e [A-] mentre a sinistra predomina [A-] e a
destra [HA].
Per ogni variazione di una unità di pH avrò una diminuzione della specie [A-] a sinistra e una diminuzione
della specie [HA] a destra.
Un grafico di questo tipo mostra quanto deve variare il pH affinché vari la concentrazione delle specie
dissociate o indissociate ed inoltre indica il valore di pH della soluzione.
In una soluzione di un acido debole il valore del pH è indicato dal punto di intersezione delle curve di [HA] e
[A-].
Possiamo fare questo tipo di grafico per tutti gli acidi e per la propria specie coniugata. Per
esempio il grafico per l’ammoniaca (base coniugata=ammonio) è:
MISCELA DI DUE ACIDI DEBOLI (Cx, Kx e Cy, Ky)
Il diagramma logaritmico relativo ad una miscela costituita da due acidi deboli monoprotici si ottiene per
sovrapposizione di quelli riguardanti i singoli acidi.
L’acido diprotico è
caratterizzato da due
dissociazioni e
dall’equilibrio di
autoptotolisi dell’acqua,
ognuno caratterizzato
da una propria costante
di equilibrio. Scrivo il
bilancio delle masse
(Eq.4) e quello delle
cariche (Eq.5),
attenzione a 2[A2-]. A
questo punto ricaviamo
l’Eq.6 e l’Eq.a, dove
chiamiamo F il
denominatore. F è un
parametro importante
da ricordare perché è
determinante nella
risoluzione. Ricavo
[H2A], [HA-],[A2-].
Ricordando F è facile
ottenere le tre specie.
Per ricordare F:
memoriaà c x 1 (a), c x secondo termine (b), c x terzo termine (c)
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DI UN ACIDO DIPROTICO
Consideriamo un acido diprotico con concentrazione pari a 10-2M, tracciamo quindi una linea orizzontale in
prossimità di tale valore (a -2). Inoltre la Ka1= 10-4 e la ka2=10-8 perciò tracciamo due linee verticali in
corrispondenza di pH = 4 e 8 (pH=pKa). Ricaviamo dunque i punti S1 ed S2 dalle intersezioni delle rette
verticali con quella orizzontale. Trattiamo il diagramma in zone separate partendo dalle equazioni a,b,c.
Quando [H+]>>Ka1 allora consideriamo la zona pH<pKa1-1 cioè l’intervallo di pH tra 0 e 3. Considerando
l’espressione di F, il termine Ka1[H+]-1 è trascurabile poiché [H+]>>Ka1, potrà essere massimo 0,1; analogo
per il secondo termine Ka1Ka2[H+]-2 dato che per definizione la Ka2 è più piccola di Ka1. Possiamo dunque
approssimare F=1. Di conseguenza le equazioni diventano:
[H2A]=C
[HA–]= CKa1[H+]-1
[A2-]= CKa1Ka2[H+]-2
Consideriamo la zona in cui pKa1+1<pH<pKa2-1, cioè l’intervallo di pH compreso tra 5 e 7. In questa regione
il valore di [H+] è compreso tra 10-5 e 10-7 perciò possiamo approssimare il secondo temine di F
(Ka1Ka2[H+]-2) che sarà pari a Ka1[H+]-1 dove viene trascurato anche il termine 1 perché piccolo rispetto a
questo intervallo. Di conseguenza le equazioni diventano:
[H2A]=C Ka1[H+]-1
[HA–]= CKa1[H+]-1 Ka1[H+]-1
[A2-]= CKa1Ka2[H+]-2 Ka1[H+]-1
Riportando tutto in forma logaritmica:
I. log [H2A] = log C + pKa1 – pH retta con pendenza = – 1, di tutte le rette considero quella passante
per S1 (pH=pKa1)
II. log [HA–] = log C retta con pendenza = 0, di tutte le rette considero quella passante per S1
III. log [A2–] = log C – pKa2 + pH retta con pendenza = + 1, di tutte le rette considero quella passante
per S2 (pH=pKa2)
Infine consideriamo la zona in cui pH>pKa2+1, cioè l’intervallo di pH compreso tra 9 e 14. Siamo in una zona
in cui [H+] è molto bassa e perciò il termine F viene approssimato a Ka1Ka2[H+]-2. Di conseguenza le
equazioni diventano:
[H2A]=C Ka1Ka2[H+]-2
[HA–]= CKa1[H+]-1 Ka1Ka2[H+]-2
[A2-]= CKa1Ka2[H+]-2 Ka1Ka2[H+]-2
log [H2A] = log C + (pKa1 + pKa2) – 2 pH retta con pendenza = – 2 (-63.4°), di tutte le rette possibili
considero quella passante per per il valore di pH pari alla media tra pKa1 e pKa2.
log [HA–] = log C + pKa2 – pH retta con pendenza = – 1, tra tutte le rette possibili considero quella passante
per S2 (pH=pKa2)
log [A2–] = log C retta con pendenza = 0, tra tutte le rette considero quella passante per S1 e S2.
Le parti mancanti del grafico sono quelle comprese tra 3-5 e 7-9. Da S1 e S2 scendiamo di un valore pari a
0,3 e individuiamo i punti T1 e T2 dove si intersecano le rette. Le congiungiamo e compiliamo il grafico.
Perciò il pH di un anfolita è dato dall’ascissa del punto Q, cioè il punto corrispondente alla media tra pKa1 e
pKa2. In questo caso 8+4/2=6, cioè il pH della soluzione anfolita è pari a 6.
Nel caso in cui abbiamo una soluzione di una base diprotica Na2A (es: carbonato di sodio Na2CO3), questa
può effettuare due idrolisi basiche, dove la prima influisce maggiormente rispetto alla seconda, e
l’autoionizzazione dell’acqua, trascurabile. (CO3+H2O à HCO3-+OH-, prima idrolisi basica).
Per determinare il pH devo considerare il punto in cui [OH-]=[HA-], cioè il punto R dove vi è l’intersezione tra
queste due curve. Dunque il pH di una soluzione di una base diprotica è dato dall’ascissa del punto R.
Se siamo a conoscenza della concentrazione delle specie presenti in soluzione allora abbiamo la possibilità
di costruire un diagramma logaritmico. Nel caso in cui non conosciamo tali concentrazioni è possibile
realizzare diagrammi di distribuzione e di formazione per avere un’idea dello stato di dissociazione di un
elettrolita. In tali diagrammi vi è il pH in ascissa e le frazioni di acido dissociato ed indissociato delle varie
specie presenti sulle ordinate.
Quindi oltre che in quell’intervallo (+1 e -1 della pKa) in cui vi è la coesistenza delle specie, solitamente vi è
la predominanza di una sull’altra. Quindi è possibile descrivere i diagrammi anche solo in quel determinato
intervallo. Infatti si passa dal diagramma di distribuzione in cui vi sono entrambe le curve delle specie
interessate, a quello di formazione di HA con rappresentazione di una sola curva poiché l’altra è speculare.
SOLUZIONE TAMPONE
È un sistema in grado di resistere alla variazione di pH di una soluzione acquosa in seguito all’aggiunta di
acidi o basi nella soluzione. È costituito da un acido o base debole e la loro rispettiva specie coniugata.
pH= pKa+logCa/Cs
Per il principio di Le Chatelier se un sistema in equilibrio viene sottoposto ad una variazione dall’esterno,
allora il sistema reagisce in modo tale da controbilanciare tale variazione. Se introduciamo una base forte
(OH-) all’equilibrio di dissociazione di HA questa reagisce con H+ per produrre acqua. Questo equilibrio, per
il principio di Le Chatelier, si sposta a destra, cioè il sistema riesce a tamponare questa perdita poiché si
rigenera H+ dalla dissociazione (azione tampone). Al contrario aggiungendo un acido forte (H+) alla
soluzione tampone la concentrazione di H+ aumenta e l’equilibrio si sposta a sinistra, cioè gli H+ inseriti
reagiscono con A- producendo HA.
Affinché vi sia una soluzione tampone le concentrazioni di Ca e Cb devono essere grandi rispetto ad [H+]
che può quindi essere trascurata. Più la concentrazione di Ca e Cb è alta e più aumenta la capacità tampone
poiché se la concentrazione non è elevata allora nel momento in cui viene introdotta una base forte Ca
questa è in grado di reintegrare solo una piccola quantità di H+ (viceversa con Cb e acido forte).
Dato che all’aggiunta di OH- l’effetto tampone è esercitato da HA mentre all’aggiunta di H+ tale effetto è
esercitato da A- allora in una soluzione tampone deve esserci una eguale quantità di HA e A-. Affinché si
verifichi tale situazione si deve avere pH=pKa, dove la capacità tampone è massimo.
CAPACITÀ TAMPONE
È la variazione di pH per aggiunta di una data quantità di un acido forte o di una base forte. Viene indicata
con b ed è espressa dal rapporto differenziale tra la variazione della concentrazione di una base forte
introdotta nella soluzione e la variazione di pH che comporta o, dato che il sistema tampone risponde
anche alle variazioni di concentrazione indotte da un acido, dal rapporto differenziale tra la variazione di
concentrazione di un acido forte introdotto nella soluzione e la variazione di pH che comporta. La capacità
tampone è positiva all’aggiunta di una base forte e il pH aumenta mentre è negativa all’aggiunta di un acido
e il pH diminuisce.
Se la variazione di pH è piccolo allora il Sistema ha una capacità tampone
elevata.
Con Ca e Cb indichiamo la
concentrazione totale di HA e A- cioè i
sali aggiunti. Questa non cambia, cioè
all’aumentare di una diminuisce l’altra.
Se aggiungiamo HCl e NaOH
contemporaneamente, per dare
massima generalità all’approccio,
questi non devono avere stessa
concentrazione poiché reagirebbero di
loro neutralizzandosi. Quindi è
necessario che la concentrazione di uno
sia maggiore rispetto all’altro in modo
tale che una parte si neutralizzi mentre
l’altra rimane in eccesso ed è come se
venisse aggiunto direttamente al
sistema.Quindi al bilancio di carica
dobbiamo aggiungere la
concentrazione di Na+ e di Cl-.
Otteniamo poi Cbase e la capacità tampone a seguire.
aHA e aA- sono entrambi diversi da zero solo in un introno di pKa di +1 e -1 (anche due) . Al di furi di tale
intervallo uno dei due è pari ad 1 e l’altro a 0.
a pH molto acido aHA è 1 e aA- è zero ed OH- è trascurabile perciò l’unico parametro significativo è H+.
Viceversa a pH molto basici. Nell’intervallo di pH compreso tra 3 ed 11 vi è la copresenza di H+ e OH- dove
la concentrazione di [H+] varia da 10-3 a 10-7 e la concentrazione di [OH-] varia da 10-11 a 10-7, trascurabili
quando C è abbastanza grande rispetto al secondo termine. Dire che l’intervallo di pH è tra 3 e 11 equivale
ad utilizzare un acido debole anche se le soluzioni tampone possono essere costituite anche da una
soluzione di un acido o di una base forte. Il massimo è in corrispondenza del valore per cui pH=pKa.
Nella soluzione B vi è stesso pKa di A ma con concentrazione dimezzata, cioè utilizzo lo stesso tampone ma
più diluito e il massimo della curva si trova ad uno stesso pH ma a capacità tampone minore. Se a parità di
capacità utilizzo un tampone più acido C rispetto ad A la curva è analoga ma centrata su 3,5. Situazione
analoga in D con curva su 2,6. In E utilizziamo una concentrazione 0,25 centrata su 9,2. Le curve di H+ ed
OH- non variano mai. Vi è un andamento tale per cui la capacità tampone aumenta con la concentrazione
C, cioè la somma delle concentrazioni delle specie tamponate.
La massima capacità tampone si trova tramite la derivata seconda dell’equazione ed uguagliandola a zero.
Una soluzione tampone resiste a variazioni di pH per aggiunte moderate di acidi e basi forti.
Quindi:
a) acido monoprotico: b= 2,3 [H+] CaHAaA- - [OH-]
b) acido diprotico b= 2,3[H+] + C (aHA-xaH2A+aA2-xaHA-+4aA2-xaH2A) + [OH-]
Trascurabile perché è sempre zero poiché Ka1 e Ka2 sono differenti di almeno 4 unità, perciò non accade mai che la specie H2A sia presente insieme alla specie A2-
L’equazione diventa:
Se imponiamo la condizione che Ka1 sia molto maggiore di Ka2 allora i sistemi possono essere considerati
indipendenti dove entrambi avranno una stessa concentrazione perché derivanti da uno stesso sale. Più la
concentrazione è elevata più la curva è alta e i suoi massimi vengono trovati ponendo uguale a zero la
derivata prima cioè 0,575C.
COMPLESSI
I complessi con un solo atomo centrale (M=1) vengono definiti mononucleari, quelli con M≥2 vengono detti
complessi polinucleati. “M” può essere un catione ma anche un atomo neutro ed ha natura metallica ed è
nella maggior parte dei casi un metallo di transizione. I leganti sono invece badi si Lewis con doppietti di e-
e possono essere monoatomici o poliatomici, neutri o carichi e mono o polidentati. Una molecola che si
lega ad un metallo tramite un doppietto di e- (Es. NH3) viene definito monodentato in quanto può formare
un solo legame con l’acido di Lewis. Altre molecole come l’etilendiammina (H2NCH2CH2NH2) hanno due
doppietti e possono dar luogo a due legami, vengono definiti bidentati. Esisto rispettivamente
tri/tetra/penta/esa dentati a seconda dei legami che questi possono formare.
Il numero di coordinazione indica il numero di leganti in una molecola, cioè il numero di atomi coordinati
con il metallo. Per esempio nel caso di NH3 il numero di coordinazione è 4, analogo in etildiammina.
(vedere nomenclatura dei complessi da analisi o internet).
Dal punto di vista entalpico non vi è molta
differenza poiché in entrambi i casi
(monodentato e chelato) i legami interessano
atomi di Cu2+ ed N.
1. Facendo reagire una soluzione
contenente il metallo M (circondato
da quattro molecole di H2O di
idratazione) con una soluzione
contenente un legante
monodentato(NH3) si combinano tra
loro formando il complesso [ML4] e
liberando quattro molecole di H2O.
2. Quando lo stesso metallo M si
combina con un legante polidentato
(etildiammina), vengono impiegate
due molecole di en per formare il
complesso e liberare quattro
molecole di H2O.
Anche se l’entalpia non varia molto tra i due complessi, quello chelato è più stabile. La stabilità è indicata
da ∆G= ∆H-T∆S perciò la differenza tra questi riguarda la natura entropica del processo. In entrambe le
reazioni vengono prodotti cinque elementi. Tuttavia nel primo caso si hanno cinque elementi di partenza
mentre nel secondo tre. Dato che l’entropia è la misura del disordine allora i chelanti sono più stabili dei
corrispondenti monodentati (corrispondenti intendiamo che l’atomo del legame è lo stesso).
È la frazione di metallo nelle varie forma in cui può essere presente in soluzione. Consideriamo di avere una
soluzione di un metallo a concentrazione CM, se aggiungiamo a questa soluzione una certa quantità di un
legante possiamo immaginare che la concentrazione CM sia distribuita in tutti i modi possibili in metallo
libero, metallo con legante [ML], [ML2], fino a [MLn]. Cioè determiniamo stechiometricamente la quantità
delle varie specie presenti dopo aver introdotto legante. Non è detto che la specie dominante sia quella con
numero di coordinazione maggiore, potrebbe essere anche una specie intermedia. Per definizione a0 (zero
leganti) definisce la frazione di metallo libero all’equilibrio in una soluzione in cui aggiungo legante. La
relazione finale ai esprime la frazione di metallo che ha acquistato il legante rispetto alla concentrazione ed
è valida per i complessi mononucleati dove la distribuzione è indipendente dalla concentrazione dei metalli.
Questo perché i complessi polinucleati richiedono la presenza di più metalli e si formano più facilmente a
concentrazioni elevate; dunque finché le soluzioni sono abbastanza diluite non si pone il problema dei
complessi polinucleari.
Consideriamo un grafico che
riporta il rapporto di
distribuzione rispetto a
–log[L].
Mettendo all’interno del
grafico le equazioni dei vari
complessi con le rispettive
costanti di equilibrio ottengo
le curve che descrivono le
frazioni di metallo in funzione
delle concentrazioni di
legante.
Inizialmente vi è solo la presenza del metallo perciò a0 sarà uguale ad uno mentre gli altri a saranno uguali
a zero. All’aggiunta del legante, a concentrazione molto basse si avrà una situazione analoga alla
precedente con presenza solo di a0, quando la concentrazione inizierà ad aumentare allora vi sarà la
formazione del complesso [ML]. Tale complesso si forma dopo l’aggiunta di una determinata quantità di
legante dipendente dalla costante; se la costante è elevata basta una piccola quantità di legante, se è
piccola servirà maggiore quantità. Nel momento in cui si viene a formare [ML] di una quantità significativa
(immaginiamo a0 = 0,9 ed a1=0,1 cioè intorno al 10%), la concentrazione del metallo [M] inizia a diminuire
(intorno al 90%). A questo punto una molecola di legante potrebbe legarsi indifferentemente sia al metallo
che a [ML] in quanto non vi è alcuna differenza dato che le costanti di equilibrio sono uguali. Ci troviamo
dunque in una fase in cui il legante deve legarsi con una delle specie presenti e per ragioni statistiche finché
sarà [M]>[L] sarà più probabile la formazione del complesso [ML]. Ad un certo istante inizia a formarsi
[ML2](quando la concentrazione di legante è circa 10-4) ma [ML1] continua ad aumentare poiché vi è la
presenza di grandi quantità di metallo.
[ML2] ha una zona di predominanza maggiore di [ML] poiché mentre [ML] man mano che si forma viene
consumato da una costante pari a 10-3, [ML2] viene consumato con una costante più sfavorevole perciò la
sua efficienza di formazione è maggiore della sua efficienza di scomparsa. Dunque all’aggiunta di legante
sarà favorita la formazione del complesso [ML2] poiché la sua costante è maggiore rispetto a quella di
formazione del complesso [ML3].
Quando giungiamo ad una concentrazione pari a 10-3 inizia a formarsi anche [ML3].
Per il principio di Le Chatelier, dato che L è reagente comune, se aumentiamo il legante le reazioni sono
spostate completamente a destra. Mentre i complessi [ML]1,2,3 crescono e poi scompaiono, [ML4]
rappresenta il massimo numero di coordinazione, cioè quello che domina con elevata quantità di legante.
Infatti giunge ad a=1.
Come esempio consideriamo uno stesso diagramma con K1=10-6, cioè ci mettiamo in condizioni in cui il
primo equilibrio è più favorito degli altri. In questo caso il legante necessario per la formazione di [ML] sarà
di minore quantità. Si forma dunque [ML] che viene consumato con una costante più favorevole alla sua
formazione rispetto alla sua scomparsa. Il metallo scompare e si forma [ML] con una zona di predominanza
elevata. Andando avanti il diagramma resta analogo al precedente. Quindi mentre nel primo caso finché la
concentrazione di legante non arrivava a circa 10-5 non vi era formazione di complessi ma la sola presenza
in soluzione del metallo libero, nel secondo caso la K1 è più favorevole perciò vi è la formazione di
complessi già ad un valore pari a 10-7, dove la curva del metallo inizia a diminuire. Dato che la molecola di
legante in più preferisce legarsi con il metallo (perché ha una costante più alta), questo viene
completamente consumato (a0) e si forma [ML2].
In questo caso
consideriamo una K3 più
grande. I primi equilibri
sono analoghi ma a2 si
consuma velocemente con
conseguente formazione
di [ML3]. a3 ha una zona di
predominanza molto
elevata.
Se scriviamo la reazione come L+M allora abbiamo un complesso e consideriamo la costante di formazione.
Nel caso in cui la reazione è invertita consideriamo la costante di instabilità.
Aggiungendo ammoniaca vi è la formazione del complesso con successiva dissociazione per il principio di Le
Chatelier. Dobbiamo considerare Ag totale (libero+complesso).
- Calcoli laboriosi.
Affinchè uno ione metallico sia titolabile con un legante come EDTA è richiesta che β’, che esprime
l’effettiva capacità di formazione del complesso, sia maggiore di 108.
Essa però e in funzione del pH quindi possiamo avere nella stessa soluzione titolazioni di più ioni allorchè il
titolante possa reagire selettivamente con uno ione piuttosto che con un altro.
E’ dunque possibile avere una titolazione selettiva variando il pH facendo reagire solo uno dei cationi con L.
La titolazione selettiva è possibile se Δlog β ’ ≥ 4.
L’esercizio fornisce due diversi cationi con due diverse costanti di formazione dei complessi con l’EDTA(Y).
A pH 5 mi aspetto che EDTA sia abbastanza idrolizzato con un fattore αL elevato che comporterà un
decremento del valore di β’.
Le costanti devono essere trasformate in costanti di dissociazione ed Y=EDTA.
1 1
𝑘" = = )"*,,' = 10"*,,'
𝐾𝑎' 10
Svolgendo i calcoli ricaviamo che a pH = 5 abbiamo αEDTA= 106,6
A pH=5 è dunque possibile la titolazione del Ni ma non quella del Ca poiché β’(Ca)< 108.
Poiché 14,3-10,7< 4 I due cationi in soluzione non sono titolabili l’uno rispetto all’altro infatti è possibile
avere una titolazione selettiva solo se vi è un vantaggio di 4 ordini di grandezza nella costante condizionale,
questa situazione ci indica che nella formazione dei complessi il Fe(II) è favorito rispetto al Ca ma non
abbastanza, quindi se aggiungessi EDTA alla soluzione Ca/Fe(II), non avrei la complessazione di entrambe le
specie con l’interferenza del Ca sul Fe.
Aggiungendo del tren esso ha la selettività di complessare il ferro, la costante condizionale del ferro quindi
ne risentirà diminuendo assumendo un valore inferiore alla β del Ca perchè diminuisce la concentrazione di
ferro in soluzione disponibile per formare il complesso Fe-EDTA.
Il ferro inizialmente aveva una costante di formazione superiore a quella del calcio, ma la Δ sfavorevole.
Aggiungendo il tren abbiamo mascherato il ferro rendendolo inattivo e ottendendo Δ>4 a favore del calcio,
ottenendo quindi il complesso Ca-EDTA.
.
β'= / che in termini logaritmici = logβ-logαy
0
Se catione e/o anione danno complessi per Le Châtelier l’equilibrio risponde alla diminuzione delle due
specie spostando l’equilibrio verso destra, quindi il risultato è che la formazione di complessi riguardanti
ioni dell’equilibrio di un sale poco solubile aumentano la solubilità.
Il complesso CaA- con A = Citrato ha una costante di formazione K=102,2
In assenza di citrato la solubilità è data da √𝐾> , nella soluzione però avendo citrato esso si legherà al calcio
formando un complesso. La sottrazione/mascheramento del calcio dalla soluzione comporta un ulteriore
dissoluzione dell’ossalato.
-x : Quantità di calcio che diventa complesso
Ks’: Costante di solubilità condizionale che tiene conto di αM e quindi della presenza di interferente
descrivendo il reale equilibrio.
Inoltre esistono leganti di diverso tipo che possono dunque arrangiarsi geometricamente in modo
differente.
Es. La composizione del primo complesso e del secondo complesso è la stessa esse però si distinguono per
la carica dello ione e per l’inglobamento delle molecole di acqua di cristallizzazione. I due composti sono
dunque due forme isomeriche geometriche: complessi caratterizzati dagli stessi elementi disposti però in
modo differente. Dunque una teoria di legame dovrà tener conto anche di questa possibilità.
Altri tipi di isomeri sono i seguenti:
Complessi misti a geometria quadrata planare che
presentano L uguali due a due. Essi possono disporsi
da parti diametralmente opposte rispetto al metallo =
trans, o dalla stessa parte = cis.
3) PROPRIETà MAGNETICHE
n = elettroni spaiati di una specie
Fe2+
a) Complessi ad alto spin: Il momento magnetico dello ione isolato Fe2+ , ione metallico, è uguale a quello
del complesso, si ha dunque una conservazione del momento magnetico dello ione isolato nel complesso.
b) Complessi a basso spin: Il momento magnetico dello ione isolato Fe2+ , ione metallico, è maggiore di
quello del complesso.
NB: La definizione di complesso ad alto spin/basso spin risulta essere totalmente indifferente alla
definizione di complesso diamagnetico/paramagnetico. Un complesso per essere diamagnetico infatti
necessita di un momento magnetico pari a zero condizione non necessaria per essere a basso spin.
4) NUMERO DI COORDINAZIONE
La teoria deve saper interpretare il diverso
numero di coordinazione con cui uno stesso
metallo può andare a costituire diversi
complessi caratterizzati anche da un
differente spin.
Es.
Mn: nonostante abbia una configurazione
elettronica di tipo d5 presenta un solo
elettrone spaiato, vi è dunque una modifica
dello spin rispetto allo ione metallico
iniziale, che comporta la formazione di un
complesso a basso spin.
Fe: In funzione del legante L ho diversi stati
di spin.
Co: In funzione del legante L ho diversi stati di spin. Ad esempio con NH3 ho un’esa-coordinazione
ottaedrica caratterizzata dalla presenza di 3 elettroni spaiati, mentre nella formazione del complesso con la
diarsini l’esa-coordinazione ottaedrica risulta essere a basso spin in quanto ho un solo elettrone spaiato.
Infine nella formazione del complesso con il Cl ho una tetra-coordinazione tetraedrica nuovamente ad alto
spin con 3 elettroni spaiati.
Ni: I tre complessi in analisi sono caratterizzati tutti da un alto spin, ma essi differenziano per la diversa
coordinazione e geometria
5) LABILI E INERTI
Riferimento alla velocità con cui i leganti
modificano la loro posizione attorno al metallo,
abilità cinetica-chimica.
I. Il Co forma un complesso inerte con l’ossalato
andando a costituire due diverse forme
enantiomeriche, essenso il composto INERTE i due
enantiomeri non si interconvertono rapidamente
tra loro e dunque la posizione dei leganti rispetto
al metallo rimane piùo meno stabile. E’ quindi
possibile risolvere il racemato.
II. Al forma un complesso labile con l’ossalato, essi dunque si riassemblano facilmente e non è quindi
possibile la risoluzione del racemato.
Analisi del diagramma: I complessi I e II hanno la stessa stabilità termodinamica all’inizio ed in seguito alla
costituzione del complesso ML, i due stati sono dunque caratterizzati dalla stessa energia. Il complesso
inerte però è caratterizzato da un’elevata barriera energetica che non permette lo scambio del legante
3 × 𝑒 × (−1) × 𝑒
𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 𝑀 𝑐𝑜𝑛 6𝐿 = −6 ×
𝑟
−1 × 𝑒 × (−1) × 𝑒
𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑣𝑎 𝑑𝑖 𝑡𝑖𝑝𝑜 𝑎𝑛𝑔𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑢𝑒 𝑙𝑒𝑔𝑎𝑛𝑡𝑖 𝐴 𝑎𝑑𝑖𝑎𝑐𝑒𝑛𝑡𝑖 = 12 ×
𝑟√2
−1 × 𝑒 × (−1) × 𝑒
𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑣𝑎 𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑢𝑒 𝑙𝑒𝑔𝑎𝑛𝑡𝑖 𝐴 𝑜𝑝𝑝𝑜𝑠𝑡𝑖 = 3 ×
2𝑟
Il risultato negativo indica che il complesso caratterizzato da due cariche puntiformi risulta essere stabile.
N.B. Nella formazione di un complesso a causa dell’ibridizzazione è possibile una ridistribuzione degli
elettroni che comporta quindi una modifica delle proprietà magnetiche.
Sarebbe possibile dunque spiegare per quale motivo nella formazione del complesso le proprietà
magnetiche del metallo si modificano, quindi la teoria VB potrebbe interpretare (non prevedere) la ragione
di questo fenomeno:
Esempio:
Nello ione isolato i 7 elettroni esterni si trovano
tutti nell’orbitale più esterno. Necessario il
riarrangiamento degli elettroni al fine di ottenere
l’ibridizzazione che mi permetta di avere un
complesso a geometria ottaedrica.
Ipotesi di legame a: I due orbitali d necessari per
l’ibridizzazione sono dello strato d successivo
rispetto a quello in cui sono presenti gli elettroni:
un complesso di questo tipo viene definito ad
orbitale esterno.
NON ACCETTABILE: Il legame M-L che si andrebbe ad instaurare sarebbe troppo debole in quanto
coinvolgerebbe orbitali a più alta energia che rendono quindi il complesso ottaedrico d7 ad alto spin
instabile.
Ipotesi di legame b: La formazione degli orbitali ibridizzati consiste nel riarrangiare due elettroni del livello
(n-1)d promuovendoli al livello energetico successivo n: un complesso di questo tipo viene definito ad
orbitale interno.
NON ACCETTABILE: Nonostante i legami che si vengono a instaurare siano più forti del caso precedente, il
complesso così ottenuto sarebbe facilmente soggetto alla perdita dei due elettroni spaiati più esterni
(ossidazione del complesso).
I lobi non si sviluppano lungo gli assi ma lungo le bisettrici, cioè le diagonali del piano x-y x-z y-z
2
Immaginiamo di avere un metallo M al centro del sistema di assi x,y,z e di avvicinare ad esso sei leganti
lungo gli assi. I leganti dunque prevalentemente andranno a legarsi con gli orbitali dz2 ed dx2-y2 in quanto
essi sono gli orbitali che presentano i lobi lungo gli assi, mentre rispetto a un orbitale dxy,xz,yz i leganti
avranno con questo tipo di orbitali una minore interazione/sovrapposizione.
Vi è quindi una diversa interazione tra i leganti rispetto ai diversi orbitali d.
Inizialmente i 5 orbitali d del metallo libero sono degeneri ( la graffa indica che gli orbitali si trovano tutti
alla stessa energia) ed hanno un’energia iniziale bassa.
Con il progressivo avvicinamento dei leganti essi modificano la loro energia.
Se in seguito all’avvicinamento dei leganti lungo gli assi, tutti gli orbitali d risentissero in modo uguale
dell’interazione elettrostatica ed orbitalica avremo una destabilizzazione della stessa misura per tutti e
cinque gli orbitali d.
Poichè invece vi sono orbitali che essendo orientati lungo gli assi ne risentono maggiormente essi saranno
maggiormente destabilizzati rispetto al valore medio che deriva dalla stessa destabilizzazione uguale di
tutti e cinque gli orbitali, mentre gli orbitali che non hanno i lobi posti in direzione dell’avvicinamento dei
leganti , sono comunque destabilizzati ma in modo minore rispetto al valore medio.
Dunque la teoria del legame cristallino afferma che: L’interazione è di tipo elettrostatico ma nel momento
in cui M ed L si avvicinano alla distanza di equilibrio vi è un’interazione orbitalica il cui effetto è di
destabilizzare ulteriormente gli orbitali d del metallo che hanno una maggiore sovrapposizione con gli
orbitali del legante e di destabilizzare in modo minore gli orbitali d del metallo che al contrario possiedono
una minore sovrapposizione.
Quindi nel metallo isolato i 5 elettroni degli orbitali d si disponeranno al suo interno secondo il principio di
Hund della massima molteplicità, nel momento in cui il metallo forma il complesso poiché vi è una rottura
della degenerazione degli orbitali avremo 3 orbitali a energia minore, tra loro degeneri, e 2 a energia
maggiore anch’essi tra loro degeneri. Essi saranno separati da una enegia ΔCFS cioè una separazione
dovuta al campo cristallino.
Quindi:
1 Separazione della degenerazione;
2 Rottura della degenerazione;
3 Separazione energetica degli orbitali dovuta al campo cristallino , effetto prodotto dall’interazione degli
orbitali d di un metallo di transizione con i leganti che lo circondano.
Teoria del Campo Cristallino: Ammettendo che la sovrapposizione orbitalica tra leganti e metallo
dia luogo a una interazione di carattere destabilizzante, risultano essere maggiormente
destabilizzati gli orbitali che hanno le componenti lungo gli assi creando cosi una separazione del
campo cristallino. Vi è dunque la combinazione di un’ INTERAZIONE ELETTRSTATICA e una
ORBITALICA.
Una volta formatosi il complesso OTTAEDRICO come si distribuiscono gli e- del M nelle due serie di orbitali
t2g ed eg ?
Lo stesso tipo di rottura della degenerazione degli orbitali d tra la CFS e la teoria degli orbitali molecolari
comporta che le due teorie convergono allo stesso risultato mediante considerazioni differenti.
Maggiore è la sovrapposizione degli orbitali eg del metallo con quelli dei leganti e maggiore sarà la
destabilizzazione di antilegame (e con essa il Δ).
ESEMPI:
[CoF6]3-: Notiamo dalla serie spettrochimica che F- (2s22p6) è caratterizzato da un CFS basso, il complesso
quindi che formerà sarà caratterizzato da un alto spin.
Il Co3+ , 3d74s2 in seguito all’eliminazione di 3 elettroni assume una configurazione 3d6 con 4 e- spaiati
quindi è paramagnetico.
Nella disposizione dei 18 elettroni del complesso , i 6 elettroni del metallo seguiranno la disposizione dei
leganti a campo debole formando un complesso caratterizzato da 4e- spaiati, ovvero lo stesso numero di
elettroni spaiati presenti nel metallo singolo, formando un complesso ad alto spin.
[Co(NH3) 6]3+: Poiché NH3 è un legante a campo forte, che determina quindi un elevato CFS , la disposizione
degli elettroni del metallo porterà alla formazione di un complesso a basso spin.
Un metallo può dare legami Ϭ impegnando gli orbitali che si trovano lungo gli assi (direzione di arrivo dei
leganti),oppure ∏ impegnando orbitali che si trovano lungo le bisettrici del sistema di assi, i quali
interagiranno con gli orbitali p di un atomo.
Se i leganti hanno orbitali con simmetria p pieni (cioè con un lone pair) e a bassa energia ( in quanto in
questo modo possono efficacemente reagire secondo lo schema degli orbitali molecolari) rispetto agli
orbitali t2g del metallo: legami dativi ∏ dal legante al metallo, con conseguente abbassamento del CFS.
Se i leganti hanno orbitali con simmetria p vuoti (e sarà dunque il metallo a disporre del lone pair) e ad alta
energia rispetto agli orbitali t2g del metallo: legami dativi ∏ dal metallo al legante, con conseguente
innalzamento del CFS.
Ciò spiega perche fra i leganti a campo più forte vi siano il CN- e CO: essi si avvalgono della formazione di
legami ∏che comportano un aumento del CFS.
Nel momento in cui vi è la formazione del complesso gli orbitali del metallo risentono della presenza dei
leganti e poiché la destabilizzazione è differente per i 5 orbitali vi è una rottura della degenerazione
orbitalica, se così non fosse infatti ed i 5 orbitali fossero destabilizzati ugualmente dalla presenza dei leganti
avremo una situazione Δ in cui non vi è la rottura della degenerazione.
Rispetto a questa situazione ipotetica gli orbitali t2g risultano essere è stabilizzati di 0,4Δ mentre un orbitale
eg è destabilizzato di 0,6Δ.
Il grafico descritto da un
profilo a doppia gobba,
descrive l’andamento
dell’energia nella
formazione di un complesso
esacoordinato con M
(cationi2+) in funzione della
costante cumulativa β.
Notiamo che i complessi più
stabili risultano essere quelli
caratterizzati da una
configurazione d3e d8.
n=8 In seguito si ha stabilizzazione in extra in quanto gli elettroni si dispongono nuovamente su t2g : in d8
avremo nuovamente il massimo della curva.
n=9 In d9 nuovamente tratto discendente della curva perdendo 0,6 in energia.
n=10 A 10 elettroni vi è la nuova compensazione dell’effetto stabilizzante-destabilizzante del campo
cristallino.
La stabilita può derivare da un fattore
entropico, entalpico o dalla
combinazione dei due.
E’ necessario quindi elaborare parametri
di riferimento per previsioni
dell’ENTALPIA nella formazione di un
complesso.
Poiché LE BASI FORTI HANNO GRANDE
AFFINITA’ PER IL CATIONE H+ quindi
potremo presupporre che LE BASI FORTI
HANNO GRANDE AFFINITA’ PER I
CATIONI METALLICI.
Dunque, considerando un semplice
modello elettrostatico, analizzando il
valore dell’energia dei legami dei
complessi , cioè il fattore entalpico,
basandoci su questo principio di
similitudine notiamo che esso non è
sempre vero = SLIDE: I metalli di classe b formano complessi stabili con leganti che possono acquistare
elettroni dal metallo, cioè leganti con orbitali d vacanti.
Ovvero le due classi di metalli formano complessi stabili con diversi tipi di leganti.
SN1 è caratterizzata da uno stadio lento della reazione che , caratterizzato da un’elevata energia di
attivazione, consiste nella trasformazione del reagente stesso che perde un legante trasformandosi
nell’intermedio ML5 passando per lo stato di transizione ML5 ---- L .
Analizzando il valore della barriera energetica è possibile prevedere la velocità con cui la reazione avviene.
Perciò paragono gli effetti del campo cristallino del reagente con quello dello stato di transizione: la
differenza di stabilizzazione del campo cristallino favorirà o il reagente (barriera energetica alta) o lo stato
di transizione (barriera energatica bassa).
qualitativo risulta essere approssimabile alla geometria di una piramide quadrata ML5 nel caso in cui
l’interazione del legante L che si allontana dal complesso sia trascurabile.
Quindi la piramide quadrata, esemplificazione dello stato di transizione, gode di una extrastabilizzazione
rispetto al sistema ottaedrico in configurazioni del tipo d1 d6 d7 d4 d9 (In particolare nelle ultime due
configurazioni abbiamo un vantaggio massimo) caratterizzate dunque da una maggiore reattività, in quanto
lo stadio lento della reazione di sostituzione monomolecolare procederà più velocemente.
RICORDA: Confronto dell’energia di stabilizzazione del campo cristallino (CFSE) del composto di
coordinazione con il suo complesso attivato (‘’’’ECA’’’)’.
Se CFSE>>ECA il composto reagirà lentamente in quanto CFSE si somma all’energia di attivazione del
processo.
In genere i complessi a numero di coordinazione 4 reagiscono piu rapidamente degli analoghi sistemi
esacoordinati, in quanto attorno all’atomo centrale vi è spazio sufficiente per far entrare un quinto gruppo.
Nei sistemi esacoordinati l’energia di attivazione è fortemente influenzata dalla rottura dei legami metallo-
legante, perciò un’elevata carica positiva dell’atomo ritarda il distacco di un legante. Nei sistemi tetra
coordinati assume maggiore importanza la formazione di nuovi legami metallo-legante , ed è favorita da
un’elevata carica positiva del metallo.
Risulta quindi possibile prevedere il comportamento cinetico dei complessi prendendo in considerazione la
carica e la grandezza del loro atomo centrale: ioni piccoli con carica elevata formano complessi piu stabili
che reagiscono dunque lentamente.
PRINCIPIO HSAB
Una specie con un lone pair è una base di Lewis che può legarsi, tramite legame dativo, con l’acido se
questo ha un orbitale libero formando il addotto acido-base di Lewis.
Non esiste una scala assoluta di acidità e basicità:
EQUAZIONE DI DRAGO-WAYLAND
Vengono utilizzati acidi e basi
allo stato gassoso perché meno
influenzati dall’ambiente. Il ∆H è
dato da una costante negativa e
due fattori per l’acido e la base.
È una relazione empirica e si
prende come riferimento un
acido (Iodio molecolare) a cui si
assegnano i parametri CA e EA
con valori pari ad uno e si
confrontano a questo tutti gli
altri composti. Analogo per le
basi.
Quindi per descrivere acidità e basicità bisogna considerare quattro parametri (due per A e due per B)
N.B. per descrivere l’affinità fra acidi e basi di Lewis sono necessari almeno
4 parametri, due per l’acido e due per la base (C e E).
N.B. la caratterizzazione dell’acidità come funzione di Z2/r fatta in passato
funziona perché il riferimento è sempre l’acqua con la quale prevale
il termine elettrostatico, almeno per cationi a bassa elettronegatività.
Differenza tra principio e teoria: un principio è vero in quanto nessuno può provare la sua non veridicità
mentre una teoria per essere tale deve avere delle basi matematiche che ne definisca la validità.
Consideriamo A-B=CH3COOH
In generale consideriamo l’acido acetico come un acido costituito dall’anione acetato che funge da base ed
il catione H+ che funge da acido con produzione di CH3COO- e H+. Se in una reazione l’acido acetico non
mette in gioco l’H+ perché vi è la rottura C-C allora consideriamo questo formato da CH3+ e COOH-.
Analogamente la scissione potrebbe generare la stessa specie con carica opposta CH3- e COOH+ anche se
non si sviluppano nella reazione (perché stiamo cartochimica). Questo è valido per ogni reattivo ed è
dunque importante il concetto di acido e base di Lewis perché applicabile a tutte le classi di reazione.
Dunque qualunque reazione chimica può essere considerata una reazione acido/base. Il modo in cui si
rompono i legami prescinde dal meccanismo reale della reazione, cioè nella rottura e nella riformazione di
legami si può formalmente individuare una specie acida ed una basica à classificazione formale.
Pearson ha considerate una serie di basi messe a reagire come nell’esempio. Possiamo pensare a BH+ come
formato dalla base B e dall’acido di Lewis H+. l’H+ si lega all’H2O mentre B a CH3Mg. Quindi i prodotti
possono essere considerati un acido di Lewis il primo ed una base di Lewis il secondo. Perciò da acido e
base di Lewis si formano ancora acidi e basi di Lewis.
Da questa reazione Pearson classifica le basi in due categorie in cui nella prima fanno parte le basi che
spostano a destra l’equilibrio mentre nella seconda quelle che spostano l’equilibrio a sinistra. Non vi è più
quindi un’unica serie di basi. Analogo per gli acidi dove consideriamo una specie AF che reagisce con ioduro
idratato. I prodotti sono AI ed F legato ad acqua. Quindi possiamo immaginare di rompere AF in modo tale
che A sia acido di Lewis mentre F base di Lewis ed I base di Lewis e acqua acido di Lewis. Formalmente
abbiamo addotti acido/base di Lewis che reagisce con addotto acido/base producendo altri due addotti.
Quindi: reazione tra due addotti acido/base nella quale si rompono legami che portano alla formazione di
altri due addotti che si andranno poi a combinare formando altri due addotti di Lewis.
Gli acidi che spostano l’equilibrio a destra fanno parte della prima classificazione mentre quelli che lo
spostano a sinistra fanno parte della seconda. Qualunque altro addotto acido e base che si voglia prendere
come riferimento, anche se non si spostano come prima, mantiene lo stesso comportamento tra acidi e
basi (o tutti a dx o tutti a sx). Quindi tutte le specie di una stessa categoria si comportano nella stessa
maniera:
- Se una base sposta a destra l’equilibrio reagendo con una determinata sostanza, allora tutte le basi
della stessa categoria, reagendo con quella sostanza, spostano l’equilibrio a destra
- Se una base sposta a sinistra l’equilibrio reagendo con una determinata sostanza, allora tutte le
basi della stessa categoria, reagendo con quella sostanza, spostano l’equilibrio a sinistra.
Analogo per gli acidi. Pearson ha così classificato gli acidi e le basi in due gruppi Hard e Soft (acidi Hard,
acidi Soft, basi Hard, basi Soft).
Acidi Hard tendono a legarsi preferibilmente con basi di carattere Hard mentre acidi Soft tendono a legarsi
a basi Soft. Vi è una tendenza e non una certezza perché questo è un principio. Una reazione chimica di
qualsiasi tipo è sempre una reazione in cui vi è la rottura di legami e la conseguente formazione di legami
più stabili. Nel caso di acidi e basi di Lewis se abbiamo addotti di acido basi AH e BS con AS e BH allora nei
prodotti avrò la combinazione favorita. Non è una previsione quantitativa ma è una chiave per leggere la
rottura dei legami.
BORDERLINE= serie di specie che non si comportano in nessuno dei due modi (aggiungere Cd+1)
Se confrontiamo queste specie con quelle raccolte precedentemente (Tabelle pag ½) notiamo che si tratta
di specie con caratteristiche opposte. Acidi di tipo Hard hanno per lo più atomi accettori con raggi atomici
piccoli, numero di ossidazione elevato (≥3), bassa elettronegatività e bassa polarizzabilità. Al contrario acidi
Soft hanno accettori grandi, basso n.o., alta elettronegatività ed alta polarizzabilità.
ACIDI HARD: hanno per lo più atomi accettori piccoli (r < 90 pm), alto n.o. (≥ +3),
bassa elettronegatività (0.7 ≤ c ≤ 1.6) e bassa polarizzabilità.
Non hanno coppie di elettroni nello strato di valenza.
ACIDI SOFT: atomi accettori piuttosto grandi (r > 90 pm), basso n.o. (+1 o +2 ),
alta elettronegatività (1.9 ≤ c ≤ 2.54) e alta polarizzabilità.
Spesso hanno coppie di elettroni (p o d) nello strato di valenza.
INOLTRE PER BASI CON DIVERSI ATOMI DONATORI SI
OSSERVA DI NORMA IL SEGUENTE ORDINE DI STABILITÀ:
N >> P > As > Sb
Acidi HARD (o di classe a) O >> S > Se > Te , F > Cl > Br > I , N << P > As > Sb
Acidi SOFT (o di classe b) O << S < Se ≈ Te, F < Cl < Br < I
Analogamente le basi Hard legano prevalentemente con F,N,O mentre quelli Soft con C ,P, As e altri non
metalli.
F, N, O (sono gli atomi donatori più elettronegativi: 3.44 ≤ c ≤ 3.98), poco polarizzabili, difficili da ossidare
Tipicamente hanno atomi donatori C, P, As, S, Se, Te, Br, I, H (come H–).
Sono non metalli, non molto elettronegativi (2.1 ≤ c ≤ 2.96), polarizzabili, facili da ossidare e di dimensioni
Le caratteristiche Hard e Soft di acidi e basi non sono assolute, cioè non tutti devono avere per forza le
stesse caratteristiche ma potrebbe averne solo alcune tipiche di uno o dell’altro gruppo.
Per esempio la base che reagisce con HF è più soft e più basica quindi sposta F anche se è Hard. Situazione
analoga nel seguente dove nonostante OH- sia Hard preferisce legare l’acido Soft (MeHg+) in modo
migliore rispetto al solfito che è soft. Se queste specie vengono inserite in una competizione acido e base è
applicabile il principio.
Metallo a
Tutte le specie che contatto con un
partecipano alla suo compost
reazione sono specie poco solubile ed
presenti in soluzione immerse in una
soluzione
contenente ioni
a comune
La reazione di ossidoriduzione può essere utilizzata per fare una titolazione. Titolare
significa aggiungere la quantità stechiometrica esatta affinché si arrivi al punto di
equivalente (dove ho eguali quantità di titolante e titolato). Grazie a un sistema indicatore possiamo
fermarci al punto di equivalenza.
REAZIONI POTENZIOMETRICHE
Quando arriviamo al punto di equivalenza varia il potenziale (mentre nelle reazioni acido-base vi è
un cambiamento di pH). Nel P.E. riducente e ossidante sono uguali al prodotto tra il rapporto dei
coefficienti a e b e il loro corrispettivo. Se metto a rapporto le due equazioni trovo che il rapporto tra il
prodotto degli ossidanti e quello dei riducenti è pari ad uno.
Man mano che procede l’aggiunta, le due semicoppie di reazione coesistono. Al punto di equivalenza ci
sono tutte le specie presenti nella reazione (Ox1,Rid1,Ox2,Rid2), quindi, dato che ho sia la forma ridotta
che quella ossidata delle due specie, posso calcolare il potenziale indifferentemente utilizzando l’equazione
di Nerst per la specie 1 e per la specie 2. Al punto di equivalenza:
• Per la specie 2: Eeq= Eº2+ 0,0592/n2 log ([Ox2]/[Rid2])
• Per la specie 1: Eeq= Eº1+ o,o592/n1 log ([Ox1]/[Rid1])
Successivamente moltiplico la prima equazione con a e la seconda con b per poi sommarle. Ottengo tra i
risultati il rapporto tra i prodotti degli ossidanti e dei riducenti che è pari ad uno ed ottengo un’equazione
che mostra che data una reazione redox, che utilizzo per fare una titolazione, il potenziale al punto di
equivalenza è dato dalla media pesata dei singoli potenziali standard. Tale relazione è sempre valida al
punto di equivalenza, qualunque siano i coefficienti a e b e qualunque sia la natura del riducente e
dell’ossidante.
Dall’equazione si evince che:
Se a=b (in particolare uguale ad uno) allora il potenziale dell’ossidante è più grande rispetto al potenziale
del riducente. Man mano che procedo con l’aggiunta del titolante, il potenziale dell’ossidante tende a
diminuire mentre quello del riducente ad aumentare cosi che nel P.E. il valore della differenza di potenziale
sarà un valore intermedio tra questi.
Se a≠b il potenziale del P.E. sarà spostato verso il potenziale maggiore o quello minore, non è più
intermedio.
Quindi se la titolazione avviene aggiungendo l’ossidante (che ha potenziale più alto) ad una soluzione di un
riducente, allora il potenziale della soluzione aumenta sempre più all’aggiunta dell’ossidante. Se la
titolazione avviene aggiungendo il riducente ad una soluzione di un ossidante, allora il potenziale della
soluzione diminuisce sempre più all’aggiunta del riducente. È chiaro guardando l’equazione di Nerst poiché
l’ossidante è al numeratore e il riducente al denominatore.
Quindi la titolazione di una specie nota a potenziale standard noto con un’altra specie nota a potenziale
standard noto (cioè la premessa necessaria per fare una titolazione poiché devo conoscere sia il titolante
che il titolato), posso calcolare il potenziale al punto di equivalente tramite la media pesata dei singoli
potenziali standard.
Tuttavia una volta raggiunto il potenziale nel punto di equivalenza bisogna cessare con l’aggiunta del
titolante poiché la titolazione è giunta al termine. Il valore del potenziale al punto di equivalenza è indicato
da un indicatore cromatico che cambia colore nel momento in cui viene raggiunto il potenziale nel P.E.
N.B: conoscere il valore dei potenziali standard dei semielementi è molto importante per determinare
l’avvenire di una reazione e per poter calcolare il potenziale al P.E.
Tuttavia questi non sono sempre determinabili poiché potrebbero esserci alcuni fattori di disturbo quali
una reazione troppo lenta, troppo veloce o una reazione collaterale che portano alla formazione di una
forma instabile.
Quindi possiamo combinare i valori di ∆Gº di semireazioni in cui sono noti i valori di Eº per ricavare l’Eº
ignoto il cui valore non è sperimentalmente accessibile. Perciò Per il calcolo del potenziale di una
semicoppia si combinano fra loro le semicoppie di cui sono noti i valori dei potenziali, in modo che la loro
somma o la loro differenza dia il potenziale della semicoppia in questione.
Queste impostazioni ci permettono di ricavare dai diagrammi di Latimer i valori dei potenziali Eº per i
diversi elementi e di ogni semicoppia.
Esempio con Iodio:
I numeri indicati su freccia indicano i valori di Eº per ogni passaggio. Lo iodio per passare sa HIO a I2
impiega un potenziale di 1.45, per passare da I2 a I- impiega 0.54. Può tuttavia passare direttamente da HIO
a I- con un potenziale di 0,99. Quando lo iodato passa direttamente a ioduro il valore di Eº quanto vale? Io
posso scegliere di fare il passaggio per arrivare allo ioduro passando per qualsiasi sequenza di questi stadi
intermedi e combinare il ∆G totale come somma dei ∆G intermedi. Per esempio il ∆Gº dallo iodato allo
ioduro, considerando che ci sono 6 elettroni in gioco, posso esprimerlo come combinazione del ∆Gº da
iodato a iodio molecolare e del ∆Gº dello iodio molecolare a ioduro. Sostituisco poi la variazione
dell’energia libera con il prodotto nFEº e trovo il potenziale ignoto. Tale somma posso farla in svariati modi,
per esempio sarebbe stato possibile sommare il potenziale da iodato a acido ipoiodoso e quello da iodio
molecolare a ioduro.
Consideriamo il diagramma di Latimer semplificato:
Tale diagramma ci mette in condizioni di domandarci: “La riduzione di A produce B,C,D o E?”
Per ridurre A considero Eº. Se il potenziale per produrre C è maggiore rispetto a quello per produrre B
allora A reagisce direttamente per dare C e così via. Questo perché tanto maggiore è Eº tanto maggiore
sarà ∆Gº (indica la spontaneità di una reazione), quindi il processo sarà più favorito. Si forma perciò il
processo più stabile, ovvero è favorito il processo che comporta la variazione di energia libera più
favorevole.
Sono reazioni in cui uno stesso elemento funge da ossidante e riducente di se stesso. Prendiamo l’esempio
del rame.
Quando facciamo una soluzione e poniamo un soluto in un solvente, ci aspettiamo che questo si sciolga.
Tuttavia non è detto che il soluto sia stabile ed uno dei motivi di instabilità può essere un fenomeno di
disproporzione. In generale un composto è tanto più stabile verso la disproporzione quanto più la Keq è
piccola.
Quando pongo una sostanza in soluzione devo tenere conto se questa è un ossidante o un riducente al fine
di compiere in modo giusto la mia reazione (se voglio avere precipitato, complessazione, idrolisi ecc e non
tengo conto della natura ossidativa e riducente potrei ottenere dei fallimenti). Devo quindi determinare i
fattori da cui dipende il valore del potenziale in modo da poter agire su quelle variabili e modificarne il
valore al fine di fare o non fare avvenire la reazione. Quindi in generale come si influenza il potenziale di un
elettrodo in maniera efficace?
a) Sicuramente la temperatura poiché Eº e 0,0592 sono valori calcolati a T=25º. Da questa equazione si
vede che Eº è una caratteristica della specie perciò il potenziale varia con: La concentrazione analitica
delle specie attive. Se la concentrazione della forma ossidata è uguale alla concentrazione della forma
ridotta allora il rapporto sarà uguale ad uno e, dato che il log1 è uguale a zero, E sarà uguale ad Eº. Se
alteriamo il rapporto di 100 volte il log diventa log100=2 e perciò la variazione sarà di 0,12 V. Questa
non è una variazione significativa tuttavia se noi volessimo farla potremmo variare questo rapporto di
vari ordini di grandezza.
b) Forza ionica. Considerando la forza ionica è meglio lavorare con le attività.
c) Il pH. Quando H+ o OH- entrano nell’espressione del potenziale allora anche la loro variazione
diventa una variabile da poter utilizzare. Per esempio gli ossoanioni si presentano tipicamente come
forma ossidata e passano a forma ridotta mettendo in gioco un certo numero z di H+ ed un numero n di
elettroni scambiati. L’equazione di Nernst è mostrata in figura. Fissato T e la concentrazione della
forma ossidata e ridotta, tutto diventa una costante e il potenziale viene a dipendere dal solo termine il
quale alla variabile pH associa un moltiplicatore che è -0.0592xz/n. Quindi in una semireazione in cui
compaiono z H+ e si scambiano n elettroni, il potenziale di quella reazione varia con il pH, con il
coefficiente angolare -0.0592xz/n. Per esempio il nitrato che si riduce ad ossido di azoto con il rame
(esempio su slide), questa reazione avviene in ambiente acido poiché solo in questo modo il potenziale
del sistema nitrato sale al punto tale da poter ossidare il rame . Quindi più vado in ambiente acido più
aumenta il potenziale. Il pH è quindi una variabile che ci permettere di avere un dato valore di
potenzaiale. La forma ossidata o la forma ridotta possono essere forme acide o basiche quindi la loro
concentrazione viene determinata dal pH non solo perché entrano in soluzione H+ ma anche da
ossidante e riducente che possono essere forme protolitiche e fare idrolisi.
d) Presenza di agenti complessanti o precipitanti. Per mascherare l’attività ossidante o riducente della
specie è formare dei complessi di quella specie in modo da cambiare la concentrazione attiva delle
specie in soluzione e quindi il potenziale.
e) Il solvente. Dato che è una sostanza chimica, cambiare solvente vuol dire cambiare l’attitudine
ossido riduttiva delle specie quindi in solventi diversi non possiamo far riferimento ai potenziali
standard delle nostre tabelle.
DIAGRAMMI DI POTENZIALE DI pH
Nel momento in cui utilizziamo una sostanza per un certo equilibrio e la poniamo in acqua, andiamo in
contro ad alcuni quesiti:
• La sostanza è stabile o no alla disproporzione?
• La sostanza è stabile all’ossidazione o alla riduzione rispetto all’acqua? Cioè il solvente è un agente
chimico che può ridursi o ossidarsi. Se una sostanza in soluzione ossida l’acqua allora si produce
ossigeno (gas). Se la sostanza riduce l’acqua si sviluppa gas idrogeno. Perciò una sostanza sciolta in
acqua è stabile in soluzione acquosa? Se è ossidante è in grado di ossidare l’acqua?
Z ed n sono entrambe 4 quindi si semplificano e rimane: E=Eº-0,0592pH
Questa non è altro che una retta con pendenza di -0,0592 e che interseca l’ordinata di Eº (1,23) e l’ascissa
del pH iniziale. Per avere l’ossidazione dell’acqua, o di una specie in generale, devo utilizzare un ossidante
che abbia potenziale maggiore rispetto alla specie da ossidare. Quindi una specie che colloca il proprio
potenziale nella zona superiore alla retta (zona di instabilità) provoca l’ossidazione dell’acqua, cioè quel
soluto non è stabile in soluzione acquosa.
Possiamo fare un ricorso analogo per la riduzione. Consideriamo la reazione di riduzione dell’acqua; dato
che Z ed n sono entrambi due: E=Eº-0,0592pH
Rappresenta una retta con pendenza -0.0592, sarà quindi parallela alla retta di ossidazione. Quando il pH è
uguale a zero, il potenziale è uguale a zero. Per ridurre una specie devo utilizzare un riducente con
potenziale minore rispetto a quello dell’idrogeno in modo da ottenere la riduzione del solvente. Quindi
sostanze riducenti sono instabili quando collocano il proprio potenziale nella parte inferiore della retta.
Per avere una specie stabile in H20 il suo potenziale deve collocarsi nella zona compresa tra le due curve.
Se tale potenziale viene a collocarsi al di sopra della retta blu, allora cade nella zona di instabilità degli
ossidanti, se viene a collocarsi al di sotto della retta rossa, allora cade nella zona di instabilità dei riducenti.
Esempio: una soluzione acquosa 1M si Ag+ (Eº=0.80V) è stabile alla riduzione fino a pH=7 poiché,
localizzato 0,8 sull’asse del potenziale e traccio linea orizzontale fino ad incontrare una delle due rette.
L’intersezione (con la curva blu) avviene a pH superiori a 7 e si ha dunque l’ossidazione dell’acqua con
formazione di O2. Tuttavia aumentando il pH ciò non accade poiché l’Ag+ è un catione acido perciò
idrolizza, per cui la concentrazione di Ag+ diminuisce in soluzione e dato che il potenziale dipende dalla
concentrazione della specie, diminuisce anche questo. Nel grafico l’Ag+ non sarà più espresso da una retta
orizzontale ma ad un certo punto diminuisce progressivamente il suo potenziale all’aumentare degli ioni
OH- in modo da non intersecare la retta di ossidazione.
Diagrammi che considerano varie tipologie di specie rappresentative in funzione del pH (come il pH può
modificare il potenziale). Trascuriamo la formazione di idrossocationi intermedi.
Esempio 1
Metallo con un solo stato di ossidazione e che può precipitare l’idrossido
In una situazione sufficientemente acida, che non determina la precipitazione dell’idrossido, il Cd2+ è in
soluzione come ione. Acquista due elettroni e si riduce a Cd metallico il cui potenziale è espresso in figura.
Dato che stiamo considerando una concentrazione 1M, il log di 1 è pari a zero e perciò E=Eº. Tale
situazione viene indicata nel grafico come una retta orizzontale fino a giungere al punto di inizio
precipitazione dell’idrossido. Calcolo il pH di precipitazione dell’idrossido e traccio una linea verticale in
corrispondenza di questo per indicare la precipitazione. Da questo valore in poi la semireazione passa
ancora da Cd 2+ a Cd ma il Cd è presente sotto forma di idrossido quindi il Cd(OH)2 acquista due elettroni e
si riduce a Cd metallico. La concentrazione di Cd può essere espressa come Ks/[OH-]^2 cioè tenendo conto
del prodotto di solubilità dell’idrossido di Cadmio; inoltre essendo Z=2 e n=2, il potenziale del sistema varia
linearmente con pendenza di -0.0592.
Quindi se pongo in soluzione un soluto che impone E>-0,4 ho in soluzione Cd2+, se il soluto impone E<0,4 il
Cd2+ si riduce a Cd ( perché il potenziale del sistema Cd2+/Cd è maggiore rispetto al potenziale del soluto
aggiunto) e man mano che il potenziale del soluto diminuisce le proprietà ossidati del Cd2+ diminuiscono
poiché si forma l’idrossido. Posso quindi scegliere un valore di pH per ottenere un determinato potenziale
per far si che avvenga o meno una certa reazione.
Esempio 2
Metallo con un solo stato di ossidazione che può avere formazione di idrossoanioni.
Esempio 3
Metallo che può avere più di un numero di ossidazione e due idrossidi insolubili
A pH molto acido abbiamo la possibilità di avere ioni Fe2+ e ioni Fe3+ in soluzione. Il Fe3+ si riduce in
soluzione a Fe2+ e precipita a pH acidi producendo idrossido ferrico ed esprimiamo la sua concentrazione.
Anche l’idrossido ferroso precipita ma a pH più basici.Z è uguale a tre e n è uno quindi la pendenza sarà di
3x0.0592.
Questo grafico ci mostra come a seconda del pH e del potenziale posso determinare cosa sia presente in
quella soluzione (solo ferro due, ferro tre, precipitato di idrossido ferrico ecc).
Esempio 4
Non metalli che non formano precipitati, ma hanno più di due stati di ossidazione.
Per ogni stato di ossidazione e per ogni specie dobbiamo considerare tutte le semireazioni che portano da
uno stato di ossidazione all’ altro, data la complessità di questa situazione considero un diagramma
semplificato in cui riportiamo solo alcuni numeri di ossidazione (nel caso del Cloro +1,0,-1).
• z=n=2 quindi la pendenza della retta è -0,0592, avviene a pH acido. Da 1,63 retta con tale pendenza
• z=1 n=2 quindi la pendenza della retta è -1/2 0,0592, quindi da 1,5 parte una retta meno pendente
rispetto alla precedente
• z=0, n=1 quindi retta orizzontale fissata ad 1,36
• z=n=2 quindi la pendenza della retta è -0,0592.
La reazione di dissociazione dell’acido ipocloroso è indicato dal tratto parallelo all’asse delle ordinate,
divide la zona di predominanza della forma indissociata (HClO) dalla zona di predominanza della forma
dissociata (ClO-)
Poiché la retta a ha intercetta (punto di intersezione con asse y) maggiore della retta b e maggiore
pendenza, le due rette si incontrano in un punto oltre il quale il Cl2 disproporziona (sistema redox descritto
dal secondo equilibrio). Il grafico evidenzia che a pH nettamente acido HClO è migliore ossidante di Cl2 e
che è un ossidante miglio del ClO- (nel suo campo di predominanza).
Solo nella zona tra la retta a e la retta b Cl2 è stabile in soluzione.
A pH molto acidi sono presenti in forma indissociata H3AsO4 e H3AsO3 (acido arsenico e arsenioso). L’acido
arsenico può ridursi ad acido arsenioso. La pKa è pari a due perciò tracciamo una linea verticale in modo da
separare le zone di predominanza dell’acido arsenico dalla sua forma indissociata (base coniugata). La
pendenza delle due rette è differente in quanto nel primo caso z/n=1, nel secondo z/n=1/2.
Lo iodio I2 in soluzione, in presenza di ioduro I-, si associa con I- e dà luogo a I3- (iodio ioduro) [si intende
I2]. Il diagramma ci mostra che a pH acidi l’arsenico 5 ossida lo iodio a ioduro, mentre a pH neutri è lo iodio
che, riducendosi a ioduro, ossida l’arsenico 3 ad arsenico 5.
Quindi:
• A pH < 1,5 : il sistema As5+/As3+ ha un potenziale maggiore rispetto al sistema I2/I- (quindi As5+ ossida
lo iodio a ioduro)
• A pH< 1,5 : lo iodio ha un potenziale maggiore perciò ossida l’arsenico.
Diagramma in presenza di uno ione estraneo che forma specie poco solubili o
complessi
Da questo diagramma si evince che per avere una soluzione contenente ferro 3+ bisogna operare in zone
con ph molto acido (perché se superiamo questo valore precipita idrossido), ma in queste condizioni il ferro
3+ è in grado di ossidare lo ioduro a iodio (perché ha potenziale maggiore). Perciò se la mia esigenza è
quella di avere in soluzione ferro 3+ e ioduro, il diagramma ci mostra che non è possibile poiché a ph acido
si riduce lo iodio mentre a pH superiori precipita il ferro. Possiamo però mascherare il ferro, per esempio
introducendo EDTA che è in grado di complessare sia ferro 3+ che ferro 2+. Di conseguenza la
concentrazione di questa due specie in soluzione diminuisce e dato che il valore di potenziale dipendente
dal rapporto tra le concentrazioni di ferro 3+ e ferro 2+ diminuisce anche questo e la retta di potenziale si
abbassa. Avendo diminuito la concentrazione di ferro grazie all’aggiunta dell’EDTA, allora la precipitazione
dell’idrossido avviene con quantità maggiori di OH- e perciò il punto che indicava l’inizio della
precipitazione di ferro 3+ si sposta verso destra. Analogamente per Il ferro 2+ che precipitava a ph 7, dopo
l’aggiunta precipita a ph 13, perciò la retta si allunga. Abbiamo quindi una traslazione del grafico in cui il
ferro 2+ e il ferro 3+ sono entrambi in soluzione e non sono stati eliminati ma non influenzano la soluzione
quindi non bisogna necessariamente operare a ph acidi.
Se affrontassimo il problema matematicamente:
Es: posso utilizzare lo iodio per ossidare l’argento? in teoria no perché il potenziale è minore ma,
mescolando iodio e argento abbiamo una reazione di equilibrio. Si combinano per dare precipitato. La
somma dei due processi (iodio e argento metallico che danno precipitato di ioduro di argento) dà una Keq
pari ad 1,2 x 10^-9. Il primo processo è sfavorito ma non è detto che non avviene (I2+2Ag). Infatti i prodotti
hanno una grande affinità a combinarsi e a dispetto della costante sfavorevole fanno si che il complesso si
formi anche se in quantità infinitesime.
I potenziali standard sono ottenuti in base all’elettrodo standard ad idrogeno. Questi potenziali in una
situazione reale difficilmente entrano in gioco così come sono poiché la soluzione potrebbe contenere altre
specie che determinano una situazione differente.
Definiamo quindi un potenziale formale come il valore di un potenziale standard di una semicoppia redox
misurato nei confronti dell’ h.s.e. in condizioni tali che il rapporto delle concentrazioni analitiche ox/rid sia
unitario e che la concentrazione di tutti gli elettroliti presenti sia nota. (valori riprodurcibili).
SPETTROMETRIA DI MASSA
La spettrometria di massa è una delle tecniche analitiche più importanti.
Consente:
• L’identificazione di sostanze incognite
• La determinazione della composizione isotopia (poiché è in grado di isolare i singoli ioni, quindi può
analizzare i diversi isotopi di un elemento)
• La determinazione della struttura
• Fare un’analisi quantitativa
• Studiare reazioni in fase gassosa (cioè molecole prive di solvente, tamponi ed altre specie)
• La determinazione di proprietà chimico-fisiche e biologiche
La spettrometria di massa analizza le sostanze o ioni in fase gassosa, perciò siamo nella condizione di poter
fare delle reazioni chimiche in questo ambiente. La spettrometria è applicabile a tutto: composti organici
ed inorganici, solidi,liquidi e gassosi puri o in soluzione. Un’analisi richiede una quantità di sostanza
microscopiche (µg) al fine di ottenere ioni in fase gassosa. È un sistema di analisi qualitativa molto
dettagliato che lavora sotto vuoto.
Esistono vari tipi di spettrometri di massa, ma tutti funzionano secondo uno schema ben preciso.
RIVELATORI ELETTROMOLTIPLICATORI
Storicamente ci sono stati differenti tipi di rivelatori: lastra fotografica, coppa di Faraday ecc.
Una volta che i flussi di ioni giungono al rivelatore, questo rivela il tipo di ione e ne determina la quantità.
Tuttavia tale flusso è di una quantità molto piccola ed ha bisogno perciò di essere amplificata. Il fascio di
ioni che arriva dall’analizzatore, attraversa una fenditura ed entra in una zona in cui vi sono delle superfici
caricate a potenziale via via crescente, con materiale in grado di sollecitare gli ioni, chiamati dinodi. Quando
il fascio di ioni colpisce la superficie del primo dinodo, provoca la ionizzazione e gli elettroni prodotti da
questa vengono attratti dal secondo dinodo, con potenziale maggiore rispetto al primo. Quando gli
elettroni prodotti collidono la superficie del secondo dinodo, vi è una seconda ionizzazione e vengono
prodotti più elettroni che vengono attratti da un terzo dinodo a potenziale maggiore e così via. Vi è quindi
un effetto di amplificazione tale per cui, dopo un certo numero di dinodi (circa 20) si giunge ad una
corrente elettronica misurabile che viene raccolta dall’amplificatore. (il guadagno è dell’ordine di 10^7).
Perciò la quantità ioni iniziale è infinitesima mentre la quantità di elettroni raccolti dall’amplificatore è
maggiore di sette ordini di grandezza, quantità misurabile. Questo è il principio dell’elettromoltiplicatore,
cioè un fenomeno di amplificazione della corrente elettrica dovuto alla ionizzazione superficiale dei dinodi.
Questi sono dinodi separati, esistono anche diodi continui che, anziché avere una serie di placche,
costituiscono una specie di cornetto:
Ci sono differenti tipi di analizzatori di massa che si diversificano per il potere risolutivo
è un dispositivo che separa gli ioni generati dalla sorgente cioè la sorgente genera ioni di vario tipo con
diverso rapporto massa su carica studiati poi dall’analizzatore. Deve essere quindi in grado di separare ioni
con rapporto m/z differente.
Il segnale se ingrandito è rappresentato da curve gaussiane (es alcol benzilico). È uno strumento quindi
come tale può avere fenomeni interferenti ed errori casuali, per cui lo ione, per esempio, con massa 107
non sempre è in quel punto ma il suo valore può variare secondo i valori della curva gaussiana. Perciò dal
punto di vista pratico il segnale non è una linea retta continua. Quindi immaginiamo di andare a vedere lo
ione 107 separato dallo ione 107,2 (non nello spettro benzilico) ma potrebbe creare delle zone di
sovrapposizione. Se due ioni hanno un rapporto m/z leggermente differenti allora i due segnali tendono a
sovrapporsi. Consideriamo uno ione di massa m che differisce da un secondo ione di una quantità pari a
∆m. Il potere risolutivo di uno strumento è determinati dalla separazione dei due segnali parzialmente
sovrapposti, che si dicono quindi risolti. Uno strumento con basse prestazioni avrà un ∆m relativamente
grande mentre uno strumento con migliori prestazioni avrà un ∆m relativamente piccolo. Per ogni segnale
avremo il problema si sovrapposizione, quindi ci domandiamo: “Quando si possono considerare due segnali
parzialmente sovrapposti come risolti (separati)?”
Due segnali si dicono risolti al limite del potere risolutivo se l’altezza della loro sovrapposizione (h) non
supera del 10% l’altezza del segnale (H). [definizione ideale]. In tali condizioni è possibile determinare il
potere risolutivo come R= m/∆m. Gli analizzatori degli spettrometri di massa possono avere valori risolutivi
da 10^2 a 10^6. Più i segnali sono stretti, maggiore è il potere risolutivo dell’analizzatore.
Se introduciamo una carica, gli ioni in uscita dalla sorgente vengono fatti passare all’interno di due poli
magnetici e vengono quindi accelerati da un potenziale elettrico. Agisce quindi una forza che fa deviare la
traiettoria della carica. Immaginiamo che dalla sorgente di ioni vengono prodotti ioni con differente
rapporto m/z a cui viene applicata la stessa differenza di potenziale. All’uscita dalla sorgente gli ioni
vengono accelerati ed entrano nell’analizzatore con una determinata energia cinteca data da zeV. Tutti gli
ioni con la stessa carica, acquistano la stessa energia cinetica, ma non hanno la stessa massa. Dato che
l’energia cinetica è definita come 1/2mv^2, affinché tutti abbiano la stessa energia cinetica, gli ioni più
pesanti devono avere velocità minore mentre ioni con piccola massa devono avere velocità maggiore. Tutti
gli ioni che hanno la stessa massa hanno anche la stessa velocità. Quindi gli ioni viaggiano a velocità
differente a secondo della loro massa. Quando gli ioni attraversano il tubo vuoto, riescono ad uscire quelli
per cui la forza di Lorentz imporre quella traiettoria poiché ioni veloci o troppo lenti urtano le pareti non
consentendone l’uscita. Le pareti vengono caricate negativamente in modo tale che gli ioni che urtano con
queste si neutralizzano e vengono ‘prelevati’ dal sistema di vuoto.La sorgente è continuamente alimentata,
genera continuamente ioni e seleziona continuamente ioni. La traiettoria r, cioè il raggio di curvatura,
dipende dall’equilibrio tra la forza magnetica (Bzev) e la forza centripeta (mv^2/r).
Passano solo gli ioni che hanno questo determinato rapporto m/z, ricavato dalla
velocità; quindi modulando il valore del campo magnetico posso far uscire mano a mano ioni con differente
rapporto massa su carica. Il rivelatore quindi sa in che punto dell’ ascissa si trova e conta quanti ioni
arrivano.
L’analizzatore è un magnete permanente con un angolo definito, perciò a seconda di questo gli ioni
verranno deviati in maniera differente.
Quindi: l’analizzatore è continuamente alimentato da ioni, fa passare ioni a massa crescente e misura gli
ioni che arrivano alla sorgente ionica. L’equazione fondamentale mostra che da un analizzatore escono
solamente ioni con un determinato rapporto m/z, una volta fissato il campo magnetico. Tale campo
magnetico viene fatto variare tramite un elettromagnete in modo da collimare gli ioni a m/z via via
crescente, per poi registrare lo spettro.
In corrispondenza di un certo valore di massa ci aspettiamo quindi che tutti gli ioni di quella determinata
massa, con stessa velocità, passino tutti ad un determinato valore del campo magnetico. Tuttavia gli ioni, a
parità di massa, possono avere una velocità poco più o meno grande, con la conseguenza che tale massa
verrà focalizzata con un campo magnetico leggermente più o meno grande. Questo è dovuto dal fatto che
ioni con stessa massa possono avere quantità di moto differente. Perciò la maggior parte degli ioni ha la
velocità giusta, ma man mano che ci allontaniamo troviamo ioni che hanno una velocità differente che
causano l’allargamento del segnale. Dunque i segnali che dovrebbero teoricamente essere delle linee
verticali, sono in realtà curve gaussiane. Questo è il problema legato al potere risolutivo, un modo per
minimizzare tale problema è quello di accoppiare un analizzatore magnetico con uno elettrostatico
(spettrometri a doppia focalizzazione), caratterizzati da un maggiore potere risolutivo (10^5).
L’analizzatore magnetico fu il primo, con potere risolutivo più basso rispetto agli altri. Tutti gli ioni devono
necessariamente essere sottoposti allo stesso potenziale affinché ci sia il corretto funzionamento
dell’analizzatore. Ioni con stessa carica hanno stessa massa, stessa velocità e stessa energia cinetica. Cosi
una volta sottoposti al potenziale vengono deviati dalla forza di Lorentz e solo gli ioni a quel determinato
campo magnetico B riescono ad uscire dall’analizzatore. Il campione è continuamente introdotto nella
sorgente, gli ioni sono continuamente generati ed analizzati uno alla volta (4 ioni su 5 vengono scartati e
solo uno analizzato). Tuttavia parliamo di quantità microscopiche. È essenziale che subiscano lo stesso
potenziale cosi che a parità di carica gli ioni abbiano stessa energia cinetica e gli ioni di pari massa la stessa
velocità. Tuttavia se andiamo ad ingrandire il segnale verticale, questo in realtà si dispone lungo una
gaussiana e si allarga il segnale. Consideriamo la zona della sorgente con molecole ionizzate: le molecole si
muovono cautamente con velocità rappresentata da vettori. Immaginiamo che le molecole ad un certo
punto vengono ionizzate e viene applicato uno stesso potenziale. L’analizzatore magnetico richiede che
questi abbiano stessa energia cinetica. Ipotizziamo che queste siano molecole uguali con stesso potenziale,
ma una molecola che ha una data quantità di moto, nel momento in cui viene ionizzata, conserva tale
quantità di moto a cui viene aggiunto il potenziale di repulsione. La molecola che si muove in verso opposto
a questa, sottoposta allo stesso potenziale, non ha una velocità che si somma al potenziale ma una velocità
che si sottrae a quella imposta dal potenziale. Questo è uno dei motivi per cui, quando le molecole con la
stessa massa escono dall’analizzatore, non hanno effettivamente la stessa velocità pur avendo la stessa
massa poiché vi è il moto casuale delle molecole quindi alcune molecole hanno momenti del moto in
eccesso rispetto al potenziale applicato e altri in difetto. Quindi
teoricamente ioni con stessa massa hanno stessa velocità , mentre
sperimentalmente le velocità variano in un piccolo intervallo. Quindi i
segnali verticali in realtà sono rappresentati da curve gaussiane. Il potere
risolutivo necessario per separare una molecola di massa 100 a uno di
massa 101 è differente rispetto ad altro necessario per separare una
massa 100 da 100,1, dove serve uno strumento più risolutivo. Per avere
un potere risolutivo maggiore possiamo unire un selettore magnetico ad uno elettrostatico per avere un
potere risolutivo ≤ 10^5.
SPETTRI A DOPPIA FOCALIZZAZIONE
Insieme all’analizzatore magnetico vi è quello elettrostatico che ha il ruolo di far passare solo gli ioni che
soddisfano l’equazione r’= 2V/E (dove r’= raggio di curvatura e V=potenziale applicato), cioè vengono
selezionati gli ioni con stessa energia. Gli ioni prodotti dalla sorgente vengono fatti passare prima
nell’analizzatore elettrostatico poi in quello magnetico. Unendo questi due analizzatori, quello
elettrostatico taglia le parti in eccesso e in difetto dell’analizzatore magnetico, in quanto seleziona le
velocità grandi e piccole rispetto al teorico. Anche in questo caso il segnale non viene rappresentato da una
linea verticale ma la curva gaussiana è meno ampia, cioè aumenta il potere risolutivo.
In serie all’analizzatore magnetico è posto un settore elettrostatico il quale ha la proprietà di far
passare solo gli ioni che soddisfano l’equazione
-
dove E è il campo elettrostatico applicaro al settore di raggio r’.
Esistono altri tipi di disposizioni, ognuna delle quali ha i suoi pregi e difetti.
ANALIZZATORE A QUADRUPOLO
Uno strumento a quadruplo ha un limite di rilevabilità intorno a 4000 come rapporto massa su carica. Se
consideriamo la carica uno (la situazione più sfavorevole) arriviamo a masse di 4000, è quindi molto
specifico e il potere risolutivo è lineare in tutto l’intervallo di m/z poiché variano di una unità. È il più
semplice e quello di maggiore utilizzo.
TRAPPOLE IONICHE
Le trappole ioniche sono dei dispositivi fisici complessi. È una sezione che comprende un anello (in fisica
toro) circondato da cappelli di chiusura. È possibile introdurre degli ioni in questo dispositivo da una
sorgente e i potenziali possono essere alternati. Perciò possiamo introdurre degli ioni per un determinato
tempo a differenza dei dispositivi con sorgente continua in cui gli ioni passano, qui possiamo accumularli
fino ad avere un numero sufficiente. Ciò abbassa il limite di rilevabilità e possiamo inviare gli ioni
all’analizzatore (anche con massa differente), uno alla volta. Qui possiamo isolare lo ione ed inviare un
fascio di luce e fare spettroscopia. Ha potere risolutivo pari a 1000. La trappola ionica è migliore rispetto al
quadruplo poiché se analizzo uno ione mediante quadrupolo possiamo ricavare il rapporto m/z ma non la
sua struttura (caratteristiche chimiche). La struttura dell’analizzatore a trappola ionica è :
• Un elettrodo anulare posto tra due elettrodi semisferici di entrata e di uscita. Questi tre elettrodi
intrappolano gli ioni in una cavità di volume ristretto, la trappola ionica.
• I due elettrodi laterali hanno un piccolo foto al centro, attraverso il quale passano gli ioni.
• Sono sempre presenti dei sistemi di pompaggio che portano via l’aria e creano il vuoto.
• Ha due potenziali applicati come il quadrupolo (uno sull’elettrodo ad anello e uno sulle due semisfere)
ma a differenza di questo che permette di attraversare il campo, la trappola ionica trattiene gli elettroni
al suo interno.
Il potenziale applicato è tale per cui gli ioni introdotti dalla sorgente vengano indirizzati verso la trappola
ionica.
Mentre nel quadrupolo bisogna continuamente produrre ioni, nella trappola ionica, una volta che il
campione viene ionizzato, il sistema di potenziale applicato è tale per cui gli ioni possono rimanere
all’interno dell’analizzatore per tempi prolungati, di conseguenza le trappole possono essere utilizzate per
la spettroscopia ionica , cioè per fare caratterizzazioni strutturali di ioni in fase gassosa liberi dal solvente.
FT-ICR
Ionizzato un campione
tramite un impulso
elettronico, gli ioni si
dispongono all’interno della
cella dove tutti gli ioni che
hanno un determinato valore
m/z ciclotronano alla propria
frequenza e vengono
scansionati tramite i piatti
trasmettitori dato l’aumento
dell’orbita di ciclotronazione
che li porta vicino ai piatti
riceventi che generano una
corrente detta corrente
immagine. Il segnale che
abbiamo può essere
memorizzato tramite il
computer e anziché fare la
trasforma di Fourier si può passare ad una seconda ionizzazione che può essere ripetuta n volte. Cosi la
corrente immagine non sarà più debole come prima ma il segnale sarà rappresentato dalla media dei vari
spettri ottenuti dai vari cicli di ionizzazione. Vi è quindi un fenomeno di compensazione dell’errore casuale.
Supponiamo che uno spettro di massa abbia un segnale portato al massimo della sensibilità composto da
una sola corrente immagine. Tale segnale sarà instabile, perché abbiamo portato lo strumento alla massima
sensibilità e dato che la concentrazione è molto piccola. Se, dopo aver fatto un primo ciclo ed averne
rappresentata la corrente immagine, procediamo con un secondo ciclo, questo avrà un segnale simile al
primo ma non uguale. Se ripeto n volte i cicli, la media del segnale sarà:
- Possibilità di isolare un solo pacchetto di ioni di data m/z
- Gli ioni possono essere trattenuti in risonanza anche per parecchi minuti e
fatti reagire con un opportuno reagente gassoso, oppure essere sottoposti a
frammentazione
- Gli ioni prodotti dalla reazione o dalla frammentazione possono essere a
loro volta isolati e studiati
- R ~ 106 significa che, ad esempio con m/z dell’ordine di 102 possiamo risolvere segnali che differiscono
in m/z per 0.0001 u.m.a.
- Determinazione della massa esatta
- Risoluzione isotopica
- Determinazione della formula bruta
- Risoluzione di ioni a carica multipla
Possiamo porre uno stadio intermedio tra la fase di generazione degli ioni e quella della scansione delle
frequenze. Tale stadio prevede che dopo aver prodotto tutti gli ioni, questi urtino tutti contro le pareti,
tranne uno. Avrò quindi isolato lo ione e lo porto in ambiente gassoso dove può reagire dopo un
determinato tempo. A questo punto rappresentiamo il segnale, se questo non è abbasta buono viene
ripetuto il ciclo.
Con sistemi di questo tipo si arriva a condizioni di vuoto di 10^-8/10^-9 con un potere risolutivo di R=10^6.
Il controllo sugli ioni permette di ottenere segnali puliti. Questo sistema riesce dunque a distinguere le
masse fino alla 4ª o 5ª cifra decimale, riesce quindi ad ottenere delle masse esatte.
SPETTRI OTTENUTI DA DIVERSE SORGENTI DI IONI
Gli ioni che giungono all’analizzatore dipendono dalla sorgente. Esistono diversi tipi di sorgenti che
determinano il tipo di spettro.
1) Sorgenti in fase gassosa —> la ionizzazione avviene prevalentemente in fase vapore, i composti devono
avere una tensione di vapore di 10^-4/10^-5 Torr (molti composti di interesse farmaceutico possono
essere volatizzati, molecole neutre in fase vapore).
2) Sorgenti a desorbimento —> sono molto settoriali quindi hanno un basso utilizzo.
Quindi: La molecola neutra, in fase gassosa con legami come molle, viene attaccata da un elettrone con
potenziale 70 eV. Le molle dei legami risentono di tale energia dell’elettrone, quindi l’eccesso di energia
che si trova sullo ione radicale può far si che il legame più debole si rompa. Tra tutte le molecole ionizzate,
dato che l’energia dell’elettrone è maggiore rispetto a quella dei legami della molecola, ci sono molecole
che possono aver acquistato energia maggiore ed altre energia minore. Le molecole ionizzate che hanno
acquisito energia sufficiente per poter rompere un legame debole possono dar luogo ad un frammento
carico ed un radicale neutro (portato via dalla pompa del vuoto) :F1+ +N•.
Se nella molecola ci sono più legami deboli allora si possono dar luogo a più frammenti (accoppiati al
radicale neutro):
M+e- —> M•+ + 2e- ionizzazione
𝑀 • += 𝐹1 + 𝑁1 • 𝑂 𝐹2 + 𝑁2 •
Se questi frammenti non sono stabili, possono dar luogo ad un’ulteriore frammentazione:
F1+ —> F3+ + N3•.
Costruendo un diagramma, partendo dall’energia pari a zero dell’elettrone incidente, aumentando
gradualmente l’energia, se questo è al di sotto del potenziale di ionizzazione della molecola il processo non
avviene. Aumentando l’energia di impatto elettronico, questa non viene trasferita completamente
all’elettrone ma una parte rimane alla molecola M che viene eccitato, vi è la formazione dei frammenti.
Quindi aumentando l’energia aumenta il numero di ioni molecolari e parte di essi iniziano a frammentare.
Più aumenta l’energia e più aumenta F1. Queste variazioni avvengono fino a circa 50 eV, dopodiché i
segnali diventano costanti, cioè questi fenomeni al di sopra di una determinata energia entrano nello stato
stazionario. Quindi a 70 eV ho una situazione riproducibile e lo spettro che ottengo è un’impronta digitale
poiché in qualunque strumento e nelle stesse condizioni, quella molecola darà sempre la stessa
frammentazione.
Al valore di 70 eV ottengo quantità costanti e riproducibili di ioni che costituiscono lo spettro di massa. Qui
le masse dei vari frammenti sono difficilmente prevedibili poiché non vi è una teoria che permette di
stabilire quali sono i legami che si rompono in una molecola, inoltre non possiamo prevedere l’intensità di
questi ioni. Perciò uno spettrometro di massa non è prevedibile.
Nel caso in cui uno ione molecolare abbia molti legami deboli e simili tra loro, si rompe dando origine a
molti frammenti finché lo ione molecolare stesso non sarà più presente e riconoscibile. Quindi lo ione si
frammenta completamente e nel grafico la curva dello ione M•+, una volta giunta al massimo, tenderà a
zero. Una conseguenza molto importante è che nello spettro di massa, ad un valore di potenziale di circa 70
eV, non vi è più lo ione molecolare; quindi se il composto è noto allora lo spettro può essere utilizzato come
strumento di conferma, al contrario se il composto è incognito tale spettro non suggerisce nessuna
informazione utile. Questo rappresenta il limite di tale sorgente che può tuttavia essere superato
diminuendo l’energia di impatto elettronico (potenziale) tramite alcuni strumenti appositi in grado di
modulare l’energia, in modo tale che lo spettro di massa e l’intensità dei vari frammenti e dello ione
molecolare varino. In particolare diminuendo l’energia dei segnali di frammentazione tendono a diminuire
mentre quello dello ione molecolare tende ad aumentare. Per esempio dati due frammenti ed uno ione
molecolare ad energia pari a 40 eV saranno visibili tutti e tre i segnali mentre diminuendo a 25 eV solo due
segnali e a 15 eV solo il segnale dello ione molecolare.
Questa è una molecola piccola con formula CH CH CH OH, perciò ha molti legami simili tra loro (C-
3 2 2
PICCHI ISOTOPICI
Gli elementi della prima
colonna rappresentano
gli isotopi più comuni in
natura. L’abbondanza
relativa del deuterio è
0,015, cioè ogni 100
atomi di 1H vengono
accompagnati da 0,0015
2H (piccola abbondanza).
Analogamente ogni 100
atomi di 13C hanno 1,08
13C. Molto visibili sono le
masse di bromo e cloro.
Quindi nello spettro E.I. a
bassa energia del
propano (M+=[61]) il
segnale m/z=61 è dovuto
dalla somma dei
contributi di 2H,13H e
15N (il più importante è il
13C).
In generale, i segnali, dello ione molecolare o dei frammenti, dovuti all’abbondanza naturale degli isotopi
sono detti picchi isotopici.
Alcuni elementi non hanno isotopi naturali e sono quindi monoisotopici, come Na,P,F,I. Quindi se accanto
al segnale di uno di questi ioni vi sono altri segnali allora sono picchi isotopici di altri elementi.
Un picco a massa [M+1] dovuto a collisione è abbastanza improbabile in una sorgente E.I., tuttavia si può
distinguere dallo ione isotopico poiché il primo aumenta con la pressione in sorgente (reazione di 2º
ordine) mentre il secondo no.
Esempi:
La ionizzazione chimica è una modalità alternativa dello stesso strumento ad E.I. Queste sorgenti lavorano
ancora con impatto elettronico ma con diversa ionizzazione.
Viene introdotto un lieve flusso di campione gassoso (come E.I.) e contemporaneamente un flusso maggiore
di gas reagente. Mentre in uno strumento EI le molecole sono sottoposte al vuoto nell’ordine di 10^-5 Torr,
in uno strumento CI le molecole vengono immesse in una zona dove vi è 1 Torr di un gas di ionizzazione da
noi introdotto. Dato che il sistema dell’analizzatore deve rimanere sottovuoto, per non sforzarlo troppo,
allora vengono diminuite le dimensioni della zona centrale riducendone il volume così da rendere più
gestibile la pressione del gas di ionizzazione. Nella sorgente si ha quindi un eccesso di 3/4 ordini di grandezza
del gas reagente rispetto al campione che si disperde nel gas reagente. Quindi l’impatto elettronico ha
l’effetto di ionizzare il gas energetico e non il campione in quanto è presente in quantità elevate. Dato che
tale gas reagente sottoposto a ionizzazione si trova ad 1 Torr, le collisioni avvengono frequentemente quindi
lo ione formato dal gas reagente non ha il tempo necessario per rompersi poiché collide con un’altra
molecola di se stesso neutro (poiché il gas reagente è in eccesso), perde energia e reagisce con se stesso
dando luogo ad una serie di reazioni energeticamente possibili il cui esito ultimo è quello di generare gli ioni
del gas reagente più stabili (o sono già stabili e quindi quando collidono con una molecola non succede nulla
o collidono con se stessi formando ioni più stabili). Si ottiene così una concentrazione stazionaria di specie
derivanti dalla collisione del gas reagente con gli ioni del gas stesso. Solo quando si genera la specie più stabile
questa andrà a collidere con la molecola di analita, che subirà un fenomeno di ionizzazione. Infatti quando
viene a contatto con gli ioni del gas reagente, acquistano un protone e si formano specie chiamate quasi
molecolari, quasi prive di frammentazioni e con massa dello ione molecole +1, che vengono poi analizzate e
rivelate.
Quindi:
3) nelle sorgenti a E.I. l’impatto elettronico sulla molecola di campione genera molte frammentazioni poiché
vi è energia elevata che causa la rottura della molecola
4) Nella sorgente a C.I. lo ione del gas reagente collide spesso con se stesso consumando l’energia in eccesso.
Quando urta la molecola di campione, il gas ha poca energia che trasferisce alla molecola di campione
ionizzandola. Tale energia è molto piccola e non causa quindi la frammentazione dell’analita.
In EI ho molta frammentazione
e poco segnale dello ione
molecolare.
Ioni di gas nobile, per esempio ioni di Xenon, vengono ionizzati per impatto elettronico (essendo specie
monoatomiche non possono frammentare), vengono spinti da un potenziale in una certa direzione e
focalizzati con delle lenti elettoromagnetiche in un fascio di ioni di Xe. Tale fascio viene poi fatto passare
all’interno di una zona dello spettrometro in cui vi è la presenza di Xe molecolare. Se la pressione dello Xe è
regolata efficientemente, allora può avvenire un trasferimento di ione, dove un atomo neutro cede un
elettrone allo Xenon carico che si neutralizza e prosegue il suo percorso. Si ottiene quindi un fascio di atomi
veloci che può urtare con matrici liquide (o solidi o gas dispersi). Anche in questo caso lo spettro ha una
frammentazione ridotta dato che la matrice liquida disperde l’eccesso di energia.
L’identificazione di composti puri avviene tramite confronto con banche dati dello spettro ottenuto. Nel
caso in cui non è possibile il riferimento con le banche dati (poiché la molecola non è catalogata) allora è
necessario verificare che lo ione molecolare sia nello spettro o effettuare processi che fanno emergere tale
ione (abbaso energia). È quindi fondamentale individuare lo ione molecolare.
Se abbiamo a disposizione uno strumento ad alta risoluzione (ICR) abbiamo direttamente la massa esatta
che permette di identificare la formula bruta senza incertezze (consente di determinare la massa fino alla
4ª/5ª cifra decimale). Tuttavia gli strumenti utilizzati sono meno risolutivi, quindi ci limitiamo ad utilizzare
uno strumento che permetta di identificare ione ed i suoi isotopi. Utilizzando strumenti a bassa risoluzione
posso distinguere i segnali tramite la differenza di una unità di massa cioè distinguere lo ione a massa x con
lo ione a massa x+1.
• Riconoscere il peso molecolare: per riconoscere il peso molecolare è essenziale individuare lo ione
molecolare nello spettro anche se spesso non c’è o è poco visibile. Tuttavia è possibile individuare il
molecolare diminuendo l’energia potenziale da 70 eV a valori intorno a 10 eV in modo che emerga tale
ione o utilizzare una tecnica soft come la C.I. possiamo quindi determinare il peso molecolare. Tuttavia
ad un peso molecolare corrispondono più formule brute.
• Riconoscere la formula bruta:
• Regola dell’azoto—> Se uno ione molecolare ha una massa pari, allora non contiene atomi di azoto o ne
contiene un numero pari. Se ha una massa dispari, allora contiene un numero dispari di atomi di azoto. I
Il capostipite dei composti organici è il carbonio il cui isotopo più abbondante è il 12C.
Considero il metano CH4, questo ha una massa pari, se dal metano sostituisco un atomo di H con un gruppo
metile CH3, allora ottengo l’etano, che avrà ancora una massa pari. Togliendo un’altra molecola di H e
sostituendola con un gruppo metile, ottengo il propano, che avrà ancora massa pari(e così via). Quindi la
massa di tutti gli alcani è costituita da numeri pari.
Per ottenere un alchene, è necessario sostituire un doppio legame con due atomi di idrogeno, quindi anche
gli alcheni hanno massa pari. Analogamente, per ottenere gli alchili, è necessario sostituire un legame che
andrà a costituire il triplo legame, con due H a partire dall’alchene, ed hanno quindi massa pari. Anche gli
idricoarburi ciclici hanno massa pari.
Il capostipite dei composti azotati è l’ammoniaca NH3, con massa dispari. Se sostituisco H e sostituisco con
CH3 la massa sarà sempre dispari.Rimane sempre dispari finche non aggiungo un altro azoto, pari.
• Picchi isotopici —> A parità di peso molecolare è necessario considerare gli isotopi. Per esempio un
composto ricco di ossigeno 16O, risente anche della presenza del suo isotopo 18O. Tuttavia esistono delle
tabelle che per ogni valore m/z riporta i valori degli ioni isotopici. Dobbiamo quindi considerare i picchi
isotopici, cioè valutare l’intensità relativa dei segnali dello ione molecolare a massa M+1 e dello ione a
massa M+2 rispetto alla massa m di M•+.
(Riprendo tabella con abbondanze)
Per uno ione M•+ costituito da C,H,O,N,F,P,I preso = 100 l’intensità dello ione M+, si può dimostrare che:
Vi sono delle tavole che consentono di stabilire, per le varie formule brute, quale deve essere la
percentuale delle masse m+1 e m+2.
Allora consulto le tavole e cerco la massa 150, selezionando quelle formule per le quali la massa 151 è pari
a 10,2% (bisogna tener conto
anche dell’errore
sperimentale di circa il 10 %,
perciò cerchiamo tra i valori
fra 9 e 11). Tra tutte le masse
comprese tra 9 % e 11% devo
scegliere la più adeguata,
escludo quelle non colorate
in giallo perché <9. in base
alla regola dell’azoto, dato
che la massa è di 150,
numero pari, possiamo
escludere b, d, f ed h.
Ora, considerando lo ione
M+2, con massa 152 e pari
allo 0,88% ottengo la formula bruta più probabile (cercando quella con valore più vicino a 0,88), C9H10O2.
Ci sono dei casi particolari di picchi isotopici, come gli ioni contenenti Cl e Br. Il caso del cloro è particolare
perché l’isotopo minoritario presenta comunque una percentuale elevata rispetto a quello maggioritario,
tra i due vi è un rapporto 3:1. Il caso del bromo è particolare poiché tra i due isotopi si ha un rapporto 1:1.
Gli ioni contenenti n=1,2 atomi di Cl o Br sono caratterizzati da multipletti costituiti da n+1 segnali separati
da due unità di massa, la cui intensità relativa si calcola facilmente attraverso gli addendi dello sviluppo
binomia (a+b)n, dove “a” e “b” indicano rispettivamente le abbondanze relative dell’isotopo più leggero e di
quello più pesante.
N.B. Per n > 2, come pure per gli elementi contenenti più di due isotopi, il calcolo è più complicato e si
ricorre al Triangolo di Tartaglia.
Quindi se in una molecola abbiamo un solo atomo di Cloro, ci aspettiamo due segnali nello spettro in
rapporto 3:1. Per una molecola con due atomi di Cloro, ci aspettiamo tre segnali nello spettro in rapporto
9:6:1.
Grafico 1: cloro benzene. Vi è un segnale “importante” a 112 accompagnato da uno più piccolo a 114. Tale
segnale è circa il 30% di quello principale e mi indica quindi la presenza di Cloro in quanto sono in rapporto
3:1. Il segnale 114 indica la presenza di isotopi C13 o deuterio. Accanto a questo segnale 114, vi sono altri
piccoli segnali che stanno in rapporto con 114 sempre di di 3 1. Cioè il picco degli isotopi di carbonio o
idrogeno stanno in rapporto 3:1 con quello del carbonio con massa 114. Inoltre vi è un altro segnale in
corrispondenza di 77 che mi conferma la presenza di Cl in quanto, se considero la perdita di un atomo di
cloro: 112- massa del cloro (35)= 77. Attorno a tale segnale, non vi è una particolare frammentazione; tipico
dei composti ciclici. Infatti una caratteristica dei composti ciclici è quella di rompersi difficilmente in
quanto affinché ci sia la rottura del ciclo devono necessariamente rompersi ben due legami. Inoltre il
segnale è in corrispondenza della massa 77, mentre la massa del benzene è di 78. Quindi il diagramma ci
mostra che il composto rappresentato è con il cloro, quando questo viene perso rimane una molecola con
peso 77 che si frammenta poco. Dato che il benzene ha peso 78 e si frammenta poco allora capiamo che è il
cloro benzene.
Grafico 2: dicloro benzene. La massa dello ione molecolare è di 146. Questo segnale è in rapporto 9:6:1 con
i segnali vicini a 148 e 150 ed indica quindi la presenza di due molecole di Cloro. Inoltre se consideriamo la
perdita di una molecola di Cl giungiamo a due segnali 111 e 113 in rapporto tra loro 3:1, tipico segnale che
ci indica la presenza di una molecola di cloro (dato che l’altra l’ha persa). Se vi è la perdita di un altro cloro
giungiamo al segnale 76, ci sono poche frammentazioni quindi è ciclico, inoltre il peso è come quello del
benzene. Possiamo dunque affermare che il composto rappresentato nello spettro è il dicloro benzene.
Non possiamo stabilire se è orto meta o para.
INS= k- x/2 + z/2 + 1 = (nº atomi tetravalenti) - (nº atomi monovalenti)/2 + (nº atomi trivalenti)/2 + 1
Es: Nella formula bruta individuata nella lezione precedente (C9H10O2) si ha un grado di insaturazione pari a
5. Ciò equivale a dire che la formula molecolare contiene cinque insaturazioni.
Quindi per determinare la formula di struttura bisogna tener conto del grado di insaturazione. Tuttavia non
è un criterio abbastanza specifico in quanto confrontando il composto con la banca dati vi sono ancora
notevoli possibilità.
• Frammentazione —> La definitiva assegnazione della formula molecolare richiede l’analisi della
frammentazione. Quindi paragonando la frammentazione dello spettro sperimentale (ottenuto tramite
gli spettri delle molecole con stessa formula bruta del campione) con la banca dati è possibile ottenere lo
spettro che coincide con quello sperimentale e quindi definirne la formula molecolare. Ma se vi è la
sintesi di un nuovo composto non presente nella banca dati, allora non è possibile confrontare gli spettri.
In questo caso è necessario analizzare i frammenti per poter risalire alla massa molecolare dato che ogni
gruppo funzionale induce nella molecola una caratteristica frammentazione.
In definitiva l’ assegnazione della formula molecolare richiede l’analisi della frammentazione, bisogna
quindi far riferimento a delle regole di frammentazione.
- La frammentazione di M·+ coinvolge maggiormente i legami più deboli e produce
preferenzialmente i frammenti ionici più stabili.
- Per una stessa classe di composti l’intensità relativa di M·+ decresce
all’aumentare del P.M. e del numero di ramificazioni (stabilità dei carbocationi).
- Carbocationi allilici, benzilici o adiacenti a eteroatomi sono molto probabili.
- La rottura di legami semplici è più probabile di quella di legami multipli e di cicli.
- L’eliminazione di molecole neutre stabili (CO, olefine, acqua, ammoniaca, ecc.) è
molto probabile.
- Sono definite linee guida peculiari per ciascuna classe di composti.
- Composti polifunzionalizzati presentano la frammentazione tipica di ciascuna
classe di sostituenti.
In questo caso i legami non sono del tutto equivalenti in quanto introduciamo un sito di ramificazione la cui
frammentazione può dar luogo ad un carbocatione secondario, più stabile. Per esempio:
Nel caso in cui gli alcani presentino un numero elevato di ramificazioni, il molecolare avrà un segnale poco
pronunciato. Lo spettro degli alcani ramificati è simili a quello degli alcani lineari ma sono presenti delle
discontinuità in corrispondenza delle ramificazioni, perciò viene persa la regolarità.
1) Decano lineare, andamento regolare degli alcani lineari. Non vi è segnale in corrispondenza della
perdita di metile (142-15)
2) 2-metil-nonano, il segnale che indica la perdita di metile, anche se poco pronunciato, si vede.
Questo perché tale perdita porta alla formazione di un carbocatione secondario più stabile.
3) 3-metil-nonano, il carbocatione secondario può formarsi sia tramite la perdita del metile sia tramite
la perdita dell’etile. La molecola si trova quindi a perdere un frammento della catena più grande ed
uno più piccolo, il segnale sarà più significativo là dove si perde il frammento a massa maggiore,
quindi il più grande. Infatti il segnale si trova in corrispondenza della massa [M-29], dove 29 indica
la massa dell’etile. Ciò avviene poiché lo ione molecolare ha un’elevata quantità di energia, perciò
se perde il frammento a massa maggiore tale energia viene in parte persa e lo ione si stabilizza
senza indurre un’ulteriore frammentiazione.
4) 4-metil-nonano, si ha una situazione analoga alla precedente dove il carbocatione può formarsi
tramite la perdita del propile, il segnale è ancora più intenso.
5) 3,3,4,4- tetametil-esano, questa molecola ha due carboni adiacenti quaternari la cui rottura del
legame porta alla formazione di carbocationi terziari; è inoltre una molecola simmetrica. Il segnale
in corrispondenza di questa rottura (71) è molto intenso.
Aromatici:
Gli aromatici hanno uno ione molecolare generalmente intenso data la difficoltà della rottura del
ciclo. Dal benzene-mono-alchil sostituito si ha la rottura benzilica che genera il CH2+ (cation
benzile).
1.Naftalene, ha un segnale
pronunciato dello ione molecolare
ed una framentazione quasi
assente (i segnali di piccola
intensità rappresentato la perdita
di atomi di H)
2.Benzene (uguale a 1.)
3.Alcol benzilico, al valore di
massa= 107 corrisponde [M-1]+,
cioè lo ione molecolare (108,
intenso) perde un idrogeno per via
di una rottura benzilica e si forma il
catione benzilico stabilizzato dalla
risonanza e dalla vicinanza
all’eteroatomo.
4.Benzil-cloruro , ha uno ione
molecolare meno intenso rispetto
all’alcol benzilico ed è presente
l’abbondanza isotopica del 35Cl con
il 37Cl in un rapporto 3:1.
ANALISI DI MISCELE
APPARATI GC/MS E LC/MS
Si tratta di strumenti molto veloci e pronti, cioè rispondono prontamente dando un risultato immediato.
Un iniettore introduce una sostanza con n composti nell’apparato di cromatografia, in grado di separare i
composti (escono uno dopo l’altro) successivamente riconosciuti dallo spottrometro di massa ed inviati ad
un computer per l’elaborazione dei dati.
La tecnica di separazione adottata dal cromatografo, si basa sulla presenza di un flusso. Se tale flusso è un
gas allora si parla di apparati GC (Gas Chromotography) mentre se il flusso è liquido si parla di apparati LC
(Liquid Chromotography). La fase gassosa o liquida che trasporta le sostanze viene chiamata fase mobile in
quanto è presente un’altra fase, detta fissa, all’interno del cromatografo.
Il cromatografo è uno strumento di estrema potenza in quanto nel giro di pochi minuti è in grado di
separare miscele molto complesse, necessita quindi di uno strumento in grado di fare un’analisi rapida
(spettrometro). Tra questi bisogna collocare un’interfaccia:
- E.I. o C.I nel caso di GC
- E.S.I o APCI nel caso di LC
In uno strumento di spettrometria di massa accoppiato si ha un primo sistema quadrupolo responsabile
della separazione degli ioni, una cella di collisione ed un quadrupolo di rivelazione.
Questo rappresenta un cromatografo in cui vengono analizzati 52 composti in circa due ore.
I composti vengono rappresentati dalle linee
verticali (in realtà se ingrandite sono
gaussiane) che indicano che la sostanza sta
uscendo e che sta per essere analizzata dallo
spettrometro. Questi segnali sono molto vicini
tra di loro, infatti nel giro di qualche secondo
la sostanza viene separata.
Il campione iniettato nel cromatografo, ha
concentrazione dell’ordine di 10-4 M di cui ne
vengono prelevati millesimi di litro. Di tale
quantità (0,2 microlitri) lo strumento ne invia
solo una parte su cento (rapporto 1:100) così
hanno uno strumento in grado di poter
immettere una certa quantità misurabile che
viene poi dimezzata da appositi dispositivi.
Esistono altri strumenti cromatografici in
grado di separare gli enantiomeri. Questo è
molto importante in ambito farmaceutico in
quanto l’enantiomero levogiro può essere
benigno (un medicinale) mentre l’enantiomero
destrogiro può essere maligno (un veleno).
Questi sistemi composti da cromatografo e spettrometro
sono strumenti molto comuni in quanto operano con
grande efficienza in una scala di tempi molto rapida. È
uno strumento analitico in grado di riconoscere i vari
composti e le loro quantità.
Il Tandem mass spectrometry è uno strumento molto potente in quanto è estremamente rapido nella
selezione degli ioni e produce un’analisi con un significato qualitativo (tipo di frammentazione) e
quantitativo (numero degli ioni).
La stessa tipologia di modalità può essere ripetuta n volte, cioè questi dispositivi sono in grado di realizzare
più MS in modo da avanzare nel dettaglio non solo di ioni primari (derivanti da una singola camera di
collisione), ma di n camere di collisone poste una dopo l’altra che frammentano in successione. Gli
strumenti con due MS vengono chiamati MS2 mentre quelli con tre MS3.
Il sistema MS-MS può realizzarsi, oltre che in sistemi a triplo quadrupolo, anche all’interno di una trappola
ionica, in grado di isolare una determinata quantità di ioni selezionati in base ad un determinato rapporto
m/z. Data una miscela di composti, dopo la ionizzazione, giunge nella trappola ionica che intrappola ioni
fino ad averne una quantità sufficiente. A questo punto viene introdotto un flusso di gas che causa la
collisione dello ione con il gas e la sua successiva frammentazione ed analisi. La trappola ionica è più
costosa rispetto ad un quadrupolo ma, a differenza di questo, una volta analizzata una certa quantità di
campione è possibile procedere con ulteriori analisi.
SORGENTE APCI
- Una certa quantità di ioni possono essere già presenti in soluzione, specie
se sono stati addizionati elettroliti (es. tamponi). Ulteriore ionizzazione
viene dalla scarica, aumentando la sensibilità.
- La scarica a effetto corona ionizza l'aria producendo gli ioni primari
(principalmente N2+, O2+, H2O+ e NO+ in modalità ioni positivi, O2-, O-, NO2-,
NO3-, O3- e CO3- in ioni negativi).
- Gli ioni primari reagiscono molto rapidamente (entro 10-6 sec) trasferendo la
loro carica alle molecole di solvente per produrre gli ioni reagenti per la CI, i
quali producono infine gli ioni quasi-molecolari dall'analita mediante reazioni
di trasferimento di carica o scambio di protoni.
- Il tempo di reazione totale è intorno ai 5x10-4 sec.
- In generale si osserva la formazione di ioni [M+H]+ in ioni positivi e [M-H]- in
ioni negativi.
- La formazione di ioni addotto non è molto pronunciata in APCI.
- La APCI non genera ioni multicarica.
- Sono adatti alla APCI-MS composti di bassa o media polarità, volatili
o semi-volatili.
- In definitiva, la APCI LC-MS è una tecnica estremamente potente
e versatile per analisi di routine in svariati campi, come ad esempio il
controllo ambientale, studi farmacocinetici, analisi di prodotti
alimentari, e così via.
- Fornisce spettri molto semplici con un unico segnale (la molecola
protonata in ioni positivi, la molecola deprotonata in ioni negativi) per
gran parte degli analiti, il che la rende ideale per misure quantitative
basate sulla tecnica SIM (Single Ion Monitoring).
ELECTRONSPRAY IONIZATION (ESI)
L’electronspray è una sorgente adatta per l’analisi di sostanze con qualsiasi intervallo di polarità e range di
massa elevato come proteine o acidi nucleici. È molto simile all’APCI: vi è la presenza di un capillare,
alimentato da una soluzione, che può essere riscaldato ed inserito all’interno di un nebulizzatore. La
sostanziale differenza è nella mancata presenza dell’ago di scarica, infatti il potenziale, di qualche migliaia
di Volts, viene applicato direttamente al capillare. Dato che l’electronspray ha una pressione di 760 Torr (p
atmosferica) mentre lo spettrometro ha una pressione pari a 10-3 , il processo che avviene lungo questo
tratto è sottoposto ad un gradiente di pressione. Avvengono i fenomeni di:
- evaporazione del solvente
- microionizzazazione delle goccioline che esplodono a causa dell’eccesso di carica dovuto
dall’evaporazione del solvente.
Es: se una molecola ha una massa pari a 1000, tale massa protonata sarà 1000+1 ed il rapporto m/z=
1001=(M+1)/1. —> [M+H]+
Se la stessa molecola acquista due protoni allora la massa sarà pari a 1000+2 ed il rapporto
m/z=501=(M+2)/2. —> [M+2H]2+
Quindi dallo spettro esi si ottengono una serie di ioni multicarichi “quasimolecolari”, dove la stessa specie
assume più cariche determinando la diminuzione della massa dello ione.
Segnali dello spettro di massa:
i segnali derivano dalla presenza degli ioni con numero di protoni crescente addizionati sulla stessa
molecola (quindi ad una stessa massa). Due segnali successivi differiscono tra di loro per una carica ed una
unità di massa (H+) perciò aumenta il numero di carica e di conseguenza diminuisce il rapporto m/z.
Il valore della massa molecolare del composto incognito può essere misurata considerando due segnali
adiacenti e risolvendo un sistema di due equazioni in due incognite. Questo procedimento deve essere
ripetuto per ogni coppia di segnali adiacenti così da poter trovare il valore della massa del molecolare
tramite la media tra i valori ottenuti.
Introduco nel recipiente un volume di solvente β ed un analita a concentrazione C0, in seguito nello stesso
recipiente introduco un volume di un solvente α solubile con il primo solvente cosi che le due fasi liquide si
stratifichino l’una sull’altra.
Agito il recipiente, in modo tale che i due volumi α e β si mescolino il più possibile; lascio poi che le due fasi
si ridistribuiscano riseparandosi nettamente in quanto immiscibili per ipotesi
Inoltre l’analita solubile nel solvente β dovrà essere solubile anche nel solvente α, in questo modo verrà a
formarsi un equilibrio di ripartizione : una parte del soluto si tratterrà nel solvente βe e una parte si
disporrà nel solvente α con concentrazione rispettivamente Cβ e Cα . In realtà il soluto si sposterà
continuamente tra i due solventi, ma in condizioni stazionarie possiamo considerare le due concentrazioni
C costanti.
Ovviamente se il soluto preferirà il solvente α rispetto al solvente β, Cβ < Cα e viceversa. Generalemnte però
Se la concentrazione nei due solventi è appunto costante a temperatura costante.
Come ogni equilibrio, anche l’equilibrio di ripartizione è governato da una costante: costante di ripartizione
la quale che esprime il rapporto tra le concentrazioni del soluto nei due solventi (Come si ripartisce il soluto
nei due solventi). Essa è una caratteristica termodinamica del soluto posto in quei particolari solventi scelti,
in quanto l’analita si ripartirà sempre con quel rapporto indipendentemente dalla concentrazione totale del
soluto purchè essa non sia tale da formare precipitati.
EFFICIENZA DI ESTRAZIONE
Esprime la frazione E di soluto trasferito nel solvente di estrazione α
Cα * Vα moli di soluto nella fase α
(Cα * Vα ) + ( Cβ * Vβ ) totalità di moli di
soluto
0<E<1
E è compreso tra 0 (Nessuna frazione di
soluto è presente in α) e 1 (Tutto il soluto
si trova nel solvente α)
Per semplicità consideriamo il caso particolare Vα= Vβ per cui:
Inoltre pongo Kd = 1 in modo tale che il soluto posto nei solventi si ripartisca in parti uguali in essi
qualunque sia la sua concentrazione
Nel recipiente r0 introduco una certa quantità di solvente β, la frazione di solvente contenuta E sarà dunque
1. Aggiungo un volume Vα= Vβ di solvente α à Si forma un primo equilibrio di ripartizione n0, in cui la
sostanza si ripartisce in parti uguali nei due solventi.
Poiché i due solventi sono ben separati li separo fisicamente spostando solvente α nel recipiente r1
portando quindi 0,5 di soluto. Inoltre ripristino il solvente α in r0
E così via..
Notiamo quindi che il soluto si sposta progressivamente verso i recipienti successivi distribuendosi in modo
simmetrico.
Nel nostro caso, ricordando che nel caso particolare Vα= Vβ e Kd= 1, pertantoper i primi 4 trasferimenti “n” si
calcola facilmente
All’aumentare di “n” il soluto si distribuisce simmetricamente nei vari recipienti “r” e si “muove” lungo di essi
In base allo sviluppo del binomio di Newton la formula generale per calcolare la frazione di soluto
contenuto nel recipiente r-esimo dopo “n” trasferimenti (Tn,r) è la seguente:
Notiamo che il valore della grandezza dipende dal numero di trasferimenti n , dal numero di recipiente r e
da Kd. Quest’ultimo però è un parametro caratteristico della sostanza in relazione ai solventi in cui essa è
disciolta, ciò ci indica che la frazione di soluto contenuto nel recipiente r-esimo dopo “n” trasferimenti
dipende da quanto quel composto è incline ad andare in α o a rimanere in β.
Cioè la disposizione simmetrica negli r recipienti dipende dalla sua particolare attitudine a trasferirsi in α o
a rimanere in β.
All’aumentare di “n” questa formula è piuttosto complicata da calcolare.
Tuttavia, considerando che già per n = 20 la distribuzione simmetrica del soluto nei recipienti segue con
buona approssimazione il profilo di una curva gaussiana, per calcolare la frazione di soluto contenuto nel
recipiente r-esimo dopo “n” trasferimenti (Tn,r) si può usare la funzione di Gauss
Tn,r assume il valore del moltiplicatore quando r = rmax . Dunque essa esprime la frazione di soluto massima
presente:
Dove rmax indica il numero di recipiente in cui si trovala massima frazione del soluto.
Il recipiente r in cui è massima la concentrazione di soluto, cioè il recipiente rmax , sarà tanto più grande
quanto più elevato sarà il numero di estrazioni
Si calcola tramite la relazione:
DIMOSTRATA IN SEGUITO
GRAFICO L’EQUAZIONE DI Tn,r APPROSSIMATA A UNA GAUSSIANA:
Distribuzione di un soluto caratterizzato da Kd= 1 nei recipienti “r” di un apparato di estrazione discontinua
dopo 10, 50 e 100 trasferimenti “n”
Si noti come all’aumentare di “n” la curva gaussiana si sposta verso valori di “r” maggiori e il suo valore
massimo diminuisce (via via il soluto è distribuito su un numero maggiore di recipienti)
Dopo n trasferimenti la massima concentrazione di soluto si trova nel recipiente rmax il cui numero risulta
essere molto più piccolo del numero di trasferimenti effettuato. Ciò implica che, volendo avere il massimo di
frazione di composto nel recipiente r numero 100 sarà necessario effettuare un numero molto maggiore di
n= 100 trasferimenti.
Due composti caratterizzati da valori diversi del coefficiente di ripartizione Kd possono essere separati dopo
un numero sufficiente di trasferimenti “n”.
Introduco dunque nei recipienti un altro composto caratterizzato da un valore di Kd maggiore del
precedente.
Grafico la distribuzione simultanea di due soluti
caratterizzati da Kd= 1 (Blu) e Kd= 2 (Rosa) nei
recipienti “r” di un apparato di estrazione
discontinua dopo 10, 50 e 100 trasferimenti “n”.
n x < r < (n + 1) x
Sapendo che affinchè la concentrazione massima di soluto arrivi in r sono necessari un numero di
trasferimenti n molto maggiori rispetto al numero piatto r e che 0<x<1 :
n >>>x
n è un numero molto elevato
Quindi nx ≈ n ed n ≈ n+1
Cioè dal punto di vista pratico nx ≈ (n + 1)x
Pertanto:
APPARATO DI CREIG
L’apparato di Craig è un dispositivo progettato per eseguire in contemporanea il travaso della fase mobile
in tutti i recipienti, facilitando così la migrazione dei soluti lungo la serie di recipienti e la loro separazione in
ragione dei rispettivi Kd (indicano infatti la tendenza di una sostanza a passare nella fase mobile α).
Lo stadio lento della separazione con l’apparato di Craig consiste nel raggiungimento dell’equilibrio di
ripartizione del soluto nelle due fasi. Tale stadio è tanto più critico quanto maggiore è il volume della fase
mobile (Vα) e di quella fissa (Vβ).
COLONNA CROMATOGRAFICA
L’uso volumi più piccoli permetterebbe una velocizzazione del processo ma allo stesso tempo l’uso di basse
concentrazioni di soluto in quanto devo sempre trovarmi all’interno dell’intervallo di solubilità.
Volumi piccoli favoriscono gli equilibri di ripartizione in quanto in seguito al mescolamento il soluto
deciderà se spostarsi su α o su β. Dunque se i due volumi sono diminuiti al punto di costituire uno strato
sottile, la molecola velocemente stabilirà in quale solvente disporsi realizzando velocemente l’equilibrio di
ripartzione.
L’equilibrio essendo dunque immediato permette l’aggiunta di solvente mobile in modo continuo
continua goccia a goccia.
Quindi se ora consideriamo di diminuire tali volumi, fino al limite di eliminare la suddivisione fisica dei
recipienti utilizzando una colonna riempita di un materiale microgranulare poroso sul quale è depositato un
film sottile di una fase (fissa) liquida β, e lungo la quale sia fatto defluire un liquido α (fase mobile)
immiscibile con β, allora ecco che ogni singolo equilibrio di ripartizione di un dato soluto si realizza
rapidamente in un tratto breve di colonna che prende il nome di “piatto teorico” e che svolge la stessa
funzione del recipiente nell’apparato di Craig; anziché parlare di numero di recipienti si parla di numero di
piatti, ma il formalismo matematico resta lo stesso.
Principio di funzionamento:
La colonna cromatografica viene riempita con un particolato microgranuloso in testa alla colonna, intorno
ad esso è depositato da piccolo strato di fase fissa liquida che aderisce ai granuli, formando degli interstizi
molto piccoli.
Aggiungo in seguito il solvente mobile α immiscibile con β che permea negli interstizi della fase
microgranulosa .
● Apertura del rubinetto à Regolazione della velocità: Gli equilibri di ripartizione procedono più
lentamente della velocità con cui esce il solvente perchè il numero di equilibri di ripartizione che devo fare
per far arrivare la sostanza al termine della colonna cromatografica è molto maggiore del numero dei
recipienti (n>>r).
Necessaria la regolazione del flusso nell’apertura del rubinetto: deve permettere agli equilibri di stabilirsi (il
solvente non deve uscire troppo velocemente) e allo stesso tempo evitare che il soluto in testa alla colonna
diffonda in tutto il solvente presente nella colonna(il solvente non deve uscire troppo lentamente).
●La fase con la quale ho riempito la colonna inizia a uscire dal rubinetto senza aver partecipato
all’estrazione, al processo cromatografico = Volume morto
●In testa alla colonna si verifica il primo equilibrio di ripartizione n0
●La fase mobile scende gradualmente e viene quindi ripristinata dall’alto
Poiché gli interstizi tra la molecola di sostanza e i due solventi sono molto piccoli, la molecola velocemente
realizza il suo equilibrio di ripartizione (Stiamo applicando il principio per cui la riduzione a strati sottili di α
e β permette un aumento della velocità nello stabilirsi degli equilibri di ripartizione).
● La sostanza viene cosi eluita* dalla colonna in seguito ad un numero di estrazioni pari al numero di
aggiunte di solvente per riempire nuovamente il recipiente
* Significa semplicemente “uscire dal sistema cromatografico insieme alla fase mobile”; la stessa fase
mobile è detta eluente, e tutto il processo di uscita dei singoli componenti, sciolti all’interno della fase
mobile, è detto anche eluizione.
● Gli eluati dalla colonna sono raccolti all’uscita della stessa, cioè in corrispondenza del momento in cui il
massimo della distribuzione gaussiana passa per l’ultimo piatto della colonna.
Consideriamo una colonna cromatografica che riempiamo di fase fissa e facciamo permeare di fase mobile.
Chiudendo il rubinetto il campione/miscela di sostanza si deposita sul primo piatto e gocciola ad una certa
velocità ed è bene reintegrare la fase mobile per far si che la colonna rimanga sempre piena. Tale aggiunta
continua finché la fase mobile non giunge all’ultimo piatto, cioè dove la sostanza sta uscendo. Se nel
momento in cui sta uscendo considero il volume utilizzato, questo sarà dato dalla somma del volume morto
della colonna e il volume di fase fissa. Tale volume viene definito di ritenzione, cioè tutto quel volume che
dovrà uscire dalla colonna affinché quel composto, caratterizzato da un proprio Kd , esca dalla colonna.
Perciò più è alto il Kd, più il campione tenderà a stare nella fase mobile. Il volume di ritenzione dipende solo
dal suo coefficiente di ripartizione.
Scelta la colonna, fissato VM e VF scelte le due fasi quindi fissato Kd (grandezze caratteristiche delle sostanze
che ci permettono di separarle), VR è una caratteristica del composto. I volumi di ritenzione cromatografici
sono elementi di caratterizzazione. Un composto x in quella colonna con caratteristiche fisiche avrà un suo
specifico tempo di ritenzione.
Se VR è una caratteristica del composto, VM è una caratteristica della colonna, cioè tutti i composti nella
colonna avranno uno stesso VM, che è una costante.
È utile quindi definire un volume di ritenzione corretto come la differenza tra VR e VM.
Questo è il volume effettivamente aggiunto per far eluire il composto. Infatti, aprendo il rubinetto con un
flusso costante, anche la quantità di volume da aggiungere sarà costante. Perciò il flusso di fase mobile è
uguale al volume passante in una sezione della colonna per unità di tempo, dove il tempo del volume di
ritenzione viene definito come tempo di ritenzione. Se il flusso è costante ci sarà una proporzionalità tra
volume e il tempo e posso considerare questi come volume e tempo di ritenzione corretti. Le grandezze che
abbiamo espresso in funzione dei volumi possiamo esprimerle come funzione del tempo, questo perché vi
è maggiore facilità nel calcolo dei tempi rispetto ai volumi, calcolabili attraverso l’equazione inversa (se il
flusso è costante).
Tramite la conoscenza del flusso ricaviamo il volume di fase mobile corretto, a cui corrisponde un tempo di
fase mobile corretto (tempo morto della colonna, il tempo che deve trascorrere durante il quale non esce
alcun soluto), e ricaviamo il tempo di ritenzione corretto dal volume di ritenzione corretto.
L’efficienza di una colonna dipende dalla velocità di flusso (cioè da quanto è aperto il rubinetto). Per capire
quando due sostanze sono risolte è necessario definire la velocità del flusso.
Se KdA > KdB allora vuol dire che la sostanza A tende a stare in modo migliore in fase mobile rispetto alla
sostanza B. Questo perché la costante Kd indica il rapporto tra le concentrazioni in fase mobile ed in fase
fissa, perciò dire che una sostanza ha un coefficiente di ritenzione migliore equivale a dire che si trova in
miglior modo in fase mobile. Allora, se A ha un coefficiente maggiore di B, sarà anche più veloce in quanto
avrà un tempo di ritenzione minore ed un volume minore. Quindi la sostanza A esce dalla colonna prima
della sostanza B.
Alfa è maggiore di uno poiché KdA > KdB .Inoltre è un rapporto tra due costanti termodinamiche quindi come
tali dipende solo dalla temperatura, una volta fissata la natura delle fasi fissa e mobile.
Il fattore di separazione ci indica che è possibile separare le sostanze solo quando hanno un Kd
sufficientemente diverso dato che se hanno un Kd analogo allora le due sostanze viaggeranno insieme.
Quindi per avere una buona risoluzione (separazione), alfa deve essere il più grande possibile e al limite
uguale ad uno.
Dato che il volume di ritenzione corretto VRI indica la quantità di volume da aggiungere alla colonna
affinché vi sia l’uscita del composto e non del volume morto (cioè il vero volume partecipante alla
cromatografia del composto) e dato che VM è il volume morto, in pratica il rapporto di capacità indica
quante volte bisogna riempire la colonna. Se per esempio vi è un VRI pari a 5 volte VM, allora, affinché il
composto esca è necessario riempire la colonna 5 volte.
Il rapporto VF/ VM dipende esclusivamente dalla Kd, perciò:
• se una sostanza ha Kd elevato allora è poco trattenuta e KI è piccolo (bisogna mettere poco solvente).
• se una sostanza ha Kd piccolo, allora è molto trattenuta e KI è grande (bisogna mettere molto solvente
per far eluire il composto).
Per fare una cromatografia ideale la sostanza dovrebbe camminare velocemente senza espandersi troppo,
perciò la colonna deve avere la capacità di trattenere le sostanze altrimenti uscirebbero tutte insieme
(quindi anche KI è una caratteristica importante affinché vi sia una buona risoluzione).
Quando R=r=xn, la frazione massima di soluto si ha nell’ultimo piatto R. Tale frazione massima corrisponde
a Tmax.
Prelevando la fase mobile ottengo la concentrazione massima (Cmax), cioè la concentrazione di soluto in
fase mobile al suo massimo nell’ultimo piatto (cioè quando raccolgo il composto). Questa è il rapporto tra
moli e volumi, dove:
∆Vm=volume di fase mobile nell’ultimo piatto
m= quantità totale di soluto introdotto nella colonna che si ripartisce in tutti i piatti nella fase mobile e nella
fase fissa.
Quindi il prodotto tra m ed x, cioè la frazione in fase mobile, esprime il numero di moli di soluto nella fase
mobile dell’ultimo piatto della colonna quando transita la frazione massima.
VR= n∆Vm perché per far arrivare la sostanza all’ultimo piatto è necessario fare un numero n di aggiunte.
Con r si intende R.
Le grandezze sono tutte misurabili.
Imaginiamo che la sostanza stia tutta sul primo piatto poi man mano che cammina nella colonna si registra
la quantità di sostanza che esce, quindi il volume che esce dalla colonna. Le goccioline che escono avranno
una certa concentrazione che aumenta fino ad arrivare alla massima concentrazione dell’ultimo piatto.
Negli strumenti moderni vi è un sensore che registra la concentrazione delle sostanze in uscita costituendo
un cromatogramma che ha l’andamento di una gaussiana. La grandezza m, cioè la quantità totale della
sostanza nella colonna, è corrispondente all’area della gaussiana. Inoltre la Cmax è proporzionale all’altezza
del segnale, cioè più la concentrazione è elevata, più il segnale è alto. Quindi il rapporto Cmax/m è
geometricamente equivalente all’altezza della gaussiana diviso l’area della gaussiana.
L’altezza della gaussiana è facilmente misurabile, l’area può essere calcolata in diversi modi approssimati:
- può essere espressa come h per w mezzi, dove w è la larghezza del segnale cromatografico (si può
ottenere prolungando i punti di flesso alla base). È come considerare un triangolo con base W ed altezza h,
dove l’area persa della gaussiana è trascurabile.
- si può considerare la larghezza del picco a metà altezza, cioè è b/2 (base a metà altezza), non è un
operatore matematico (quindi non è b diviso due). Corrisponde circa alla metà di w.
Determinando il rapporto Cmax/m posso calcolare il numero di piatti teorici R.
Le due espressioni riportate sopra sono due modi alternativi per calcolare R, poiché le espressioni
contengono tutte grandezze misurabili sul cromatogramma.
VR indica quanto è trattenuto il composto, cioè dopo quanto tempo ho il picco poiché è proporzionale al
tempo.
W indica la larghezza del segnale (picco), cioè sopra quanti piatti si distribuisce quel composto.
L’espressione di r può quindi essere espressa come il rapporto tra il tempo di ritenzione di un composto
(quanto tempo il composto rimane nella colonna) e un parametro che indica la larghezza della gaussiana,
cioè la deviazione standard.
Dato che una colonna è tanto più efficiente quanto maggiore sono i suoi piatti, allora una colonna efficiente
ha una gaussiana stretta e tempi di ritenzioni lunghi , In modo da poter rilevare più sostanze. Se il picco è
stretto allora la sostanza, quando scorre nella colonna, si distribuisce in un numero di piatti con distanza
breve. Più i picchi sono stretti e maggiore è il numero di sostanze che possono essere separate in un
determinato intervallo, se i picchi sono larghi allora saranno sovrapposti e non sarà dunque possibile
procedere con una separazione.
Quindi: Il rapporto di capacita esprime il tempo in cui la sostanza si trova nella colonna
Il fattore di separazione indica, quando due sostanze transitano nella colonna, se le due
curve si distanziano tra di loro.
Il numero di piatti esprime quanto i piatti si distanziano tra di loro.
Nel definire la
risoluzione di due picchi
cromatografiaci, questa
è data dal rapporto tra
la differenza dei tempi
di ritenzione e la
larghezza media dei
picchi alla base (w).
La piccola
sovrapposizione delle
gaussiane è accettabile,
quindi R= 1,25 è il valore
limite inferiore mentre
la situazione nel terzo
grafico è inaccettabile.
Dato che Rs deve essere più grande possibile, il rapporto alfa-1/a e il rapporto k primo/k primo + 1 e √R
devono essere più grandi possibile.
Alfa esprime il rapporto delle costanti di ripartizione. In pratica il fattore alfa mi dice che due composti a e b
si separano bene se la loro tendenza a ripartirsi tra le fasi fissa e mobile è più differente possibile.
Riportiamo il grafico di alfa -1/alfa rispetto ad alfa. Dal grafico si evince che quando alfa è uguale ad 1 il
rapporto è uguale a zero. La curva ci dice che è opportuno che alfa sia grande ma dopo 4 o 5 la funzione
non cambia quasi più. Cioè se ho alfa uguale a 8 la frazione sta circa su 0.8. mentre se porto alfa a 13 passo
a 0.9. Quindi portando il valore di alfa da 9 a 13 il valore del rapporto cambia molto poco. Infatti le maggiori
variazioni si manifestano in valori minori di alfa, perciò non ha senso spingere la ricerca di un rapporto
migliore oltre al valore di alfa = 5.
Dobbiamo scegliere le due fasi in modo tale che alfa sia maggiore di uno ma andare oltre a 5 non ha senso.
Dato che il rapporto deve essere il più grande possibile, è necessario scegliere la fase fissa e quella mobile
in modo tale che i coefficienti di ripartizione siano più diversi possibile tra di loro.
Riportiamo il grafico di k primo/k primo + 1 rispetto a k primo.
La curva è passante per l’origine, perciò k primo può essere zero e quindi anche il rapporto. Aumentando k
primo la maggiore variazione si ha nel passaggio tra i primi valori, dopo un certo valore non ci sono grandi
variazioni del rapporto.
La variazione maggiore si ha cambiano kd cioè la natura di fase fissa e mobile.
Andare troppo veloce significa fare pochi equilibri di ripartizione mentre se andiamo troppo piano vedrei il
campione diffondere in maniera omogenea in tutto il volume a disposizione (diffusione). C’ è quindi una
velocità intermedia che mi permette di fare il numero massimo di equilibri.
L’equazione di Van Deemter consente di ricavare un flusso intermedio che mi permetta di avere il massimo
numero di equilibri limitando gli effetti diffusivi di allargamento del picco, cioè stabilisce la relazione teorica
tra il flusso in una colonna e il numero di piatti. Questa è l’equazione fondamentale della cromatografia.
L’altezza HETP deve essere il più piccola possibile così da avere il maggior numero di piatti.
v= velocità di flusso della fase mobile.
L’altezza equivalente del piatto teorico è una caratteristica geometrica della colonna, vi è proporzionalità
inversa con R.
A è un parametro che tiene conto della porosità delle particelle. Infatti dato che si tratta di particelle
porose anche la porosità della particella si rende responsabile della velocità dell’equilibrio. Quindi se ho
particelle grossolane con porosità disomogenea, l’equilibrio di ripartizione si formerà lentamente ed il
parametro A sarà grande, mentre per particelle piccole con porosità regolare allora la fase mobile occuperà
un volume piccolo e il flusso sarà veloce. A, una volta indiviauata la porosità, è un parametro costante che
dipende dalla fisicità della fase fissa.
B è un parametro che tiene conto della diffusione longitudinale. Se ho una certa concentrazione di sostanza
all’interno della colonna, questa tende a diffondere longitudinalmente occupando il volume a disposizione.
Gli equilibri si devono stabilire rapidamente e dobbiamo far si che la velocità sia abbastanza alta da
minimizzare gli effetti della diffusione longitudinale. Tuttavia tale velocità non può essere troppo elevata
altrimenti non rende possibili gli equilibri di ripartizione.
C considera la resistenza al trasferimento di massa fra le due fasi. Infatti la massa tende a diffondere e
necessita di una velocità affinché vi sia un equilibrio di ripartizione, tale velocità deve essere la più piccola
possibile.
Quindi mantre il contributo di C vorrebbe che la velocità sia la più bassa possibile cosi da avere tempo
necessario per fare l’equilibrio di ripartizione, B vorrebbe una velocità elevata. Ci sono quindi due fattori
contrastanti che necessitano di un valore della velocità intermedio.
• A è un contributo costante.
• B/v iperbole, velocità bassa altezza del piatto elevata.
• Cv retta, velocità bassa altezza bassa.
Quando la velocità di flusso è eccessivamente bassa, il fattore B pesa più di tutti e fa si che l’altezza del
piatto teorico aumenti. Quando v è sufficientemente elevata, il fattore determinante è Cv che fa si che
l’altezza del piatto teorico aumenti.
La somma delle tre funzioni che descriveono i tre termini che influenzano l’altezza del piatto teorico,
determinano la funzione HTEP tramite cui si può rilevare un valore di velocità intermedia al quale
corrisponde l’altezza del piatto teorico minore possibile. Definisce quindi la velocità di flusso ottimale vopt.
In questo modo otteniamo un valore di altezza minimo in modo da avere un’alta risoluzione.
La classificazione dei metodi cromatografici è basata sulla fase mobile e quella fissa.
1) Fase fissa liquida (L.L.C) —> costituita da polveri microscopiche porose sulle quali aderiscono
sostanze liquide in modo tale che quando viene immesso il liquido della fase mobile, questo è
immiscibile con il liquido della fase fissa e realizza un equilibrio di ripartizione in uno strato sottile.
2) Fase fissa solida :
Se la fase mobile è gas (i composti sono più volatili perché la ripartizione è tra una fase fissa liquida o solida
ed una fase mobile gassosa) :
1. Fase fissa liquida (G.L.C.) —> stratificata su un solido e passa al di sopra di un gas
2. Fase fissa solida (G.S.C) —> il gas provvede ad una ripartizione direttamente gas/solida
Il gas passa attraverso la colonna più facilmente rispetto ad un liquido perciò le pressioni necessarie
affinché la fase mobile gassosa attraversi la colonna non sono elevate.
Hanno un diametro di circa 0,25 mm.
Allora utilizziamo un’altra colonna, fatta a spirale, di qualche metro di colonna dove entra il gas che passa
nelle varie spirali. Il gas viene mandato con un flusso di 20/50 ml al minuto ed il flusso è dell’ordine di
decine di millilitri al minuto. È una colonna in grado di trattare qualche mg di sostanza.
L’equivalente della colonnina piccola è un filo con diametro di 0,25 micrometri e lunga di 25 metri. Ha un
flusso di decine di millilitri al minuto. Mentre in una ripartizione liquido liquido si formano molti equilibri di
ripartizione, con il gas servono tratti di colonna molto più lunghi, affinché vi sia un certo numero di
equilibri, in quanto la colonna è vuota. Quindi per avere centinaia di migliaia di piatti teorici non servono 20
cm ma 20 metri.
CHIMICA NUCLEARE
I fenomeni nucleari riguardano il nucleo e non sono fenomeni chimici ma fisici. La radioattività è un
fenomeno naturale, molto importante in ambito farmaceutico. Non si parla di nucleo ma del suo
corrispettivo nuclide, protagonista dei fenomeni di decadimento nucleare.
Elio= 2n e 2p
Il positrone è un elettrone con una carica positiva ed è una particella di antimateria. Le particelle
beta sono più leggere rispetto alle alfa poiché sono costituite da elettroni.
Elettroni= Beta -
Positroni= Beta +
Supponiamo di avere due nucleoni disposti a distanza infinita che formano un certo nuclide.
Il nucleo finale ha una massa inferiore rispetto alla somma delle masse dei nucleoni che costituenti.
Questo viene chiamato difetto di massa.
Più l’energia di legame è elevata più il nucleo è stabile.
Esempio dell’elio: 2n e 2p sono a distanza infinita, quando si avvicinano condensano formano il nucleo
dell’elio. Calcolo la massa che viene persa, nonché l’energia di legame.
Ci interessa sapere della stabilizzazione che gode ciascun nucleone dentro l’edificio nucleare, calcoliamo
quindi l’energia di legame per nucleone, che indica quindi la stabilita di un nucleone in un nucleo, cioè
l’energia di stabilizzazione per nucleoni.
Questo grafico riporta la variazione
dell’energia di legame nucleare media in
funzione del numero di massa.
Vi è un punto di massimo che indica che
un elemento ha maggior guadagno
energetico (56Fe).
Fusione e fissione sono fenomeni naturali
di radioattività. I nuclei più leggeri vanno
incontro ad un processo di fusione
mentre quelli più pesante ad uno di
fissione.
Fissione= nuclei pesanti che decadendo
tramite alfa, perdono protoni e neutroni
spostandosi verso il massimo e il nucleo
guadagna energia e si stabilizzano sempre
più. Se la reazione diventa incontrollabile
non è possibile fermarla.
1. Sfruttiamo una reazione nucleare senza ottenere prodotto radioattivo.
2. Non produce energia ma la richiede. Nelle stelle reazione inversa.
3. Incremento di massa, processo endotermico.
4. Processo endotermico, 5He è instabile rispetto alla sua dissociazione a 4He e un neutrone.
L’energia chimica è l’energia necessaria per rompere legami chimici. Quando utilizziamo l’energia nucleare,
questa sarà maggiore rispetto a quella chimica.
Se la trasformazione coinvolge 12g di C, allora l’energia chimica sarà maggiore rispetto a quella nucleare.
MODI DI DECADIMENTO
Esistono elementi radioattivi con un tempo di dimezzamento cosi grande che, presenti nel momento in cui
la Terra si è formata, esistono ancora oggi. Altri eleggenti radioattivi vengono continuamente formati,
infatti il decadimento genera delle famiglie di decadimento, con presenza di tutti i radioisotopi derivanti dal
decadimento. Serie 4n + 2, n indica il valore dei nucleoni.
Consideriamo per esempio la famiglia dell’uranio 238. Le frecce intere a sinistra indicano un decadimento
di tipo ∂, le frecce intere a destra indicano un decadimento di tipo ß mentre le frecce tratteggiate indicano
un decadimento di tipo ∂ o ß accompagnati da raggi gamma. L’uranio 238 è presente nell’istante zero
ideale di formazione della Terra. Ha un tempo di dimezzamento molto grande (10^9 anni), perciò molto
lentamente decade a 234Th. Questo ha un tempo di dimezzamento veloce (24 giorni) e decade quindi
nell’immediato, tramite un processo ß+ raggi gamma, e produce il 234Pa. A sua volta Pa ha un tempo di
dimezzamento pari a 1.7 minuti, quindi produce istantaneamente l’uranio, non più 238 ma 234, il quale ha
un tempo di dimezzamento elevato (10^5 anni) e decade quindi lentamente producendo 230 Th e cosí via
fino a giungere al 206Pb, stabile (giungiamo nella valle di stabilità).
La terra è costantemente invasa dai raggia cosmici che vengo da ogni direzione. L’atmosfera viene colpita per
prima da tali raggi, essa ha funzione di schermo per questi raggi poiché li assorbe. I raggi cosmici sono
particelle che colpiscono l’atmosfera dando luogo a reazioni nucleari con produzione di radioisotopi.
Continuamente l’atmosfera è bombardata dai raggi cosmici e continuamente è sede di reazioni nucleari. Per
la maggior parte i raggi cosmici primari vengono assorbiti nello strato più alto dell'atmosfera e sulla terra i
raggi cosmici secondari sono principalmente costituiti da mesoni, elettroni, fotoni, neutroni e protoni. A
livello del mare la radioattività dovuta a tali raggi è più bassa rispetto alla montagna. Le reazioni nucleari che
avvengono dallo scontro dei raggi cosmici con l’atmosfera sono le stesse reazioni che si verificano nelle
centrali nucleari e nei ciclotroni. Le reazioni nucleari sono trasformazioni di nuclei bersaglio per collisione
con: un altro nucleo, particelle alfa, protone, deutrone, nuclei pesanti; una particella elementare; un fotone.
Con proiettili di tipo carico (es. p, a) è necessario che questi abbiano energia tanto maggiore quanto maggiore
è il numero atomico Z del nucleo bersaglio (repulsione elettrostatica). Proiettili neutri come i neutroni
possono produrre reazioni su nuclei di qualsiasi numero atomico Z, anche se la loro energia è molto modesta
(frazione di eV). I neutroni non sono emessi in fenomeni radioattivi, ma possono esserlo in fenomeni di
fissione spontanea di nuclidi molto pesanti (es. 252Cf). Sorgenti di neutroni si ottengono anche mediante
reazioni nucleari prodotte da acceleratori di particelle (es. 2H(d,n)3He, oppure 3H(d,n)4He). Sorgenti portatili
di neutroni: es. miscelando polvere di 241Am (αemettitore) con polvere di Berillio, si ottengono neutroni fino
a circa 10 MeV, con energia media di 4.5 MeV.
Un atomo pesante può assorbire un neutrone e formare 236U, altamente instabile che può dar luogo ad
una frantumazione x,y producendo un certo numero a di neutroni.
La fissione spontanea dei nuclei pesanti, anche se improbabile, può essere indotta tramite un neutrone. Il
nucleo di 235U viene bombardato da un neutrone che se causa la rottura in due nuclei e genera più
neutroni di quelli iniziali.
Un nucleo bersaglio, quando viene colpito da un neutrone, genera due frammenti e altri neutroni. Se
facciamo in modo che il materiale che sto irradiando abbia una densità sufficiente da far si che i neutroni
trovino altri nuclei, allora la reazione nucleare continua.
Per moderare la reazione si inseriscono tra più atomi di materiale fissile (cioè in grado di innescare una
reazione a catena di fissione, combustibile nucleare) delle barre di materiale capace di assorbire i neutroni
senza innescare la bomba nucleare.
Reattore nucleare= sistema tecnologico in
grado di innescare una reazione nucleare a
catena a partire da combustibile nucleare.
Questa reazione richiede grandi quantità di energia al fine di innescare una fusione nucleare. Questo
perché per far si che un nucleo carico positivamente formi un altro nucleo carico positivamente, i due
nuclei devono avvicinarsi e collidere con energia molto elevata al fine di vincere le forze elettrostatiche
nucleari che tenderebbero a far si che i due nuclei di respingano.
Nelle stelle un protone trova condizioni di densità, temperatura ed energia favorevoli per poter collidere
con un nucleo di carbonio. Avviene quindi una reazione p, gamma. Il 13N prodotto non è stabile perciò
decompone producendo 13C e positrone. Il 13C può ancora essere attivato da un altro protone e produrre
14N e gamma e così via. Quindi il prodotto di una reazione viene consumato nella reazione successiva.
Sommando tutti i processi la reazione totale mostra che 4 protoni si uniscono tra loro per formare una
particella ∂ e generare energia.
L’energia cinetica nucleare esprime l’energia per vincere la repulsione elettrostatica tra i due nuclei. Per
temperature elevate è possibile realizzare la reazione facendo si che, tramite gli acceleratori di particelle,
queste particelle assumono velocità elevate nel vuoto (tramite pompe da vuoto) in cui ci sono protoni con
cui non si incontreranno mai. (situazione ideale).
RADIAZIONI
Dato che gli emettitori ∂,ß e gamma hanno finalità diverse in ambito medico, è necessario fare delle
diversificazioni. Considerando il loro potere di penetrazione:
∂) le particelle alfa sono dotate di 2n e 2p. Quando attraversano la materia, le particelle alfa risentono della
carica nucleare della materia che attraversano. Attraversano strati di materia molto piccoli che fanno si che
i raggi alfa perdano energia. I raggi alfa infatti sono le particelle meno penetranti in quanto si fermano al
passaggio su un foglio.
ß) Beta- : gli elettroni sono più presenti nello spazio quindi hanno maggiore tendenza alla deviazione. Le
particelle beta risentono dell’attrazione rispetto ai nuclei e della repulsione rispetto agli e-. Questi riescono
a passare un foglio di carta e riescono a toccare la pelle non giungendo troppo in profondità, perciò con
adeguate protezioni (camice, guanti mascherina) è possibile proteggersi da questi.
Beta+: appena entra nella materia viene a contatto con e- e dunque viene fermato, generando tuttavia
raggi gamma.
g) tali raggi derivano quindi dal decadimento di beta+. Non hanno né carica né materia perciò possono
attraversare la materia senza alcun problema, fino ai metalli. Sono quindi quelli a maggiore potere
penetrante. Nonostante il corpo sia molto esposto a tali raggi, questi non causano molti danni, quasi nulli.
Pur essendo le particelle alfa le meno penetranti, sono le più dannose mentre le particelle gamma sono le
più penetranti ma le meno dannose.
I raggi alfa, beta e gamma sono caratterizzati da una diversa interazione con la materia, cioè le radiazioni
che la attraversano scambiano energia con questa depositandone energia più o meno elevata.
Le radiazioni vengono dette anche ionizzanti poiché l’effetto principale delle particelle ad alta energia,
quando attraversano la materia, è quello di scambiarne energia. Sono dunque in grado di ionizzare atomi o
molecole con cui interagiscono; dato che la materia è sostanzialmente vuota, l’effetto più probabile è
quello di espellere un elettrone. Quindi, una radiazione porta la sua energia all’interno della materia, dove
scarica tale energia, causando la ionizzazione.
Le radiazioni possono non essere ionizzanti, cioè non avere energia sufficiente per ionizzare atomi o
molecole, perciò, anziché produrre ioni attraverso la materia, si limitano ad eccitare l’elettrone. La
radiazione ionizzante dipende da molti fattori quali l’energia, il tipo di radiazione ed il materiale del mezzo
che queste attraversano. Inoltre queste vengono generate da reazioni nucleari, ad elevata temperatura,
attraverso la produzione di particelle ad alta energia negli acceleratori di particelle. Le radiazioni ionizzanti
possono essere di due tipi:
1. Direttamente ionizzanti = radiazioni che producono ioni in modo diretto, quali ∂,ß+,ß-
2. Indirettamente ionizzanti = radiazioni che producono ioni in modo indiretto, quali raggi gamma, x,
neutroni.
INTERAZIONE DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI CON LA MATERIA
Dato che le particelle ∂ hanno massa e carica maggiore rispetto ai raggi ß e gamma, queste hanno minore
potere penetrante, cioè la capacità di attraversare la materia, in quanto risentono maggiormente della
carica nucleare della materia che attraversano. Dato il loro debole potere penetrante, la loro energia viene
dissipata su uno spessore di materia molto piccolo causando gravi danni. Ha dunque un potere ionizzante
elevato, cioè il numero di ioni prodotti nella materia per unità di percorso, nonché l’intensità di produzione
degli ioni nella materia. È inversamente proporzionale al potere penetrante in quanto maggiore è lo
spessore della materia, più l’energia viene dissipata in un intervallo più ampio. I raggi ∂ vengono utilizzati
per distruggere le masse tumorali.
Es: i danni che i raggi ∂ producono in 1 cm equivalgono ai danni prodotti dai raggi ß in 1m.
I raggi ß sono prodotti in uno spettro di energia perciò questa varia da pochi Kev a molti Mev,
generalmente è minore di 4 MeV. L’energia media delle particelle ß è circa 1/3 dell’energia massima. Dato
che tali particelle sono più leggere rispetto alle particelle ∂ ed hanno una sola carica, a parità di energia,
sono più veloci ed hanno inoltre un potere penetrante maggiore rispetto ai raggi ∂, seppur debole, e
minore rispetto ai raggi gamma, non giungono oltre uno spessore di 5mm di alluminio o 1 cm della pelle.
Dato che la particella percorre uno spazio ampio rispetto ai raggi ∂, il potere ionizzante è minore in quanto
scarica energia in più spazio.
È possibile schermare tali raggi con apposite protezioni quali guanti, camice, mascherina. Se vengono
emesse entro il corpo umano sono sempre dannose, mentre se emesse da una sorgente esterna sono
dannose solo per gli organi a meno di 1 cm dalla cute.
Sono i più energetici con frequenza maggiore e lunghezza d’onda minore e dato che sono fotoni la loro
velocità è quella della luce. Hanno un elevato potere penetrante (riescono ad oltrepassare qualche cm di
piombo) ed un potere ionizzante molto basso. Questo perché sono particelle prive di carica e massa perciò
non risentono delle forze elettrostatiche. Quando urtano con un elettrone, questo viene espulso dalla
materia e di conseguenza si formano elettroni secondari che ionizzano la materia se dotati di sufficiente
energia. Dato che i raggi gamma attraversano i tessuti vengono utilizzati per la radiodiagnostica.
Non sono collegati a fenomeni di decadimento nucleare e non interagiscono molto con la materia, quindi la
attraversano senza produrre effetti molto dannosi. Essendo dei fotoni hanno un forte potere penetrante ed
un debole potere ionizzante in quanto hanno energia inferiore a quella dei raggi gamma.
Vengono prodotti in diversi modi; sono fortemente penetranti poiché non avendo carica non interagiscono
elettrostaticamente con i nuclei degli atomi che costituiscono la materia e riescono quindi ad attraversarla
facilmente. Non possono essere indirizzati ma è possibile rallentare la loro energia poiché l’interazione con
la materia dipende dalla loro energia (diffusione elastica o cattura neutronica). Quando giungiamo ad
energia molto bassa prevalgono le reazioni di cattura neutronica da parte dei nuclei che diventano
radioattivi per poco tempo. Questa metodologia può dunque essere utilizzata per attivare neutricamente
gli elementi a scopi analitici.
Il Röntgen è la misura della dose emessa dalla sorgente mentre il Gray è la misura della dose assorbita dal
materiale. Dato che le radiazioni non sono tutte uguali, la dose Gray è diversa da quella equivalente che è
utilizzata per misurare gli effetti biologici, dipendenti dal tipo di tessuto e dalla natura della radiazione.
Questi strumenti sono molto importanti in quanto hanno un livello minimo di rilevabilità, con
concentrazioni molali molto basse, che consentono di utilizzare una quantità microscopica di materiale
radioattivo.
Storicamente il primo oggetto utilizzato per rivelare le radiazioni è stata la lastra fotografica, che colpita da
energia, cioè fotoni, viene impressionata. Queste non sono molto pratiche e non vengono utilizzate molto.
Gli scintillatori possono essere liquidi, solidi o gassosi, sono sostanze che, esposte a radiazioni, emettono
lampi di luce corrispondente ad un evento di decadimento. L’eccitazione elettronica avviene tramite
semiconduttori che, esposti ad una radiazione, cambiano la propria conducibilità emettendo un impulso
elettronico, equivalente ad un evento di decadimento.
IONIZZAZIONE A GAS
Si basa sul fatto che radiazioni ionizzanti provocano una maggiore conducibilità elettrica nei gas da loro
attraversati. Immaginiamo un rivelatore di gas, cioè un recipiente cilindrico chiuso al cui interno è presente
un gas, che può essere di varia natura, ad una certa pressione. Le pareti del recipiente sono caricate da un
certo potenziale, per esempio negativo (catodo), e coassiale a questo cilindro ed isolato dalle pareti vi è un
filo sottile terminale, caricato positivamente (anodo). Il gas all’interno separa la carica positiva del filo dalle
pareti negative e viene sottoposto ad un potenziale poiché collegato ad un circuito esterno. Inizialmente
tra i due poli non vi è differenza di potenziale e non avviene dunque emissione di corrente, se non vi è
radiazione il gas isola il cavo dalle pareti. Quando entra una radiazione nel recipiente, le particelle cariche
della radiazione interagiscono con il gas producendo una ionizzazione. Dato che viene applicata la
differenza di potenziale, di conseguenza gli ioni carichi positivamente tenderanno a migrare verso la parete
carica negativamente mentre gli ioni negativi verso il cavo. Se le particelle raggiungono questi sono in grado
di mandare un impulso elettrico e si avrà dunque un passaggio di corrente. Se la radiazione entrante è più
intensa, il numero di ioni prodotti sarà maggiore e produrranno una corrente più intensa. C’è quindi
proporzionalità diretta tra l’intensità di radiazione e l’intensità di corrente.
Si può avere un limite di rilevabilità molto basso dunque consideriamo che il numero di coppie ioni elettroni
prodotto per particella ionizzante per centimetro vada da 100 a 1 milione.
Il sistema avrà un diverso comportamento in base alla differenza di potenziale applicata sulle pareti del
recipiente poiché quando il gas viene ionizzato, nel suo percorso verso gli elettrodi, incontrano altre
molecole di gas. A seconda dell’accelerazione, quindi del potenziale applicato, queste possono essere fonte
o meno di una seconda ionizzazione.
Di seguito viene riportato il grafico che mostra la variazione del numero di ioni in scala logaritmica, quindi la
corrente, in funzione del voltaggio, cioè della differenza di potenziale applicata.
x= differenza di potenziale
y= numero di ioni scaricati, cioè gli ioni che giungono agli elettrodi e producono il segnale
Vi sono due curve rappresentative di due radiazioni, una più energetica dell’altra. Aumentando il voltaggio
applicato, la corrente tende a crescere finché le due curve non convergono in un’unica curva.
B = camera di ionizzazione
C = regione proporzionale tra voltaggio applicato e segnale prodotto (l’intensità dell’impulso
dipende dall’energia delle particelle)
E = regione di Geinger (l’intensità dell’impulso non dipende dall’energia delle particelle), i due
segnali si ricongiungono in un unico segnale.
A. Se non viene applicato nessun voltaggio a cavo e pareti, questo è un semplice recipiente. Nel momento
in cui viene applicata una differenza di potenziale gli ioni positivi e negativi convergono verso pareti e filo.
Dato che in questo tratto la differenza di potenziale è bassa, avviene il fenomeno di ricombinazione per cui
in questo percorso incontrano ioni con carica opposta neutralizzandosi, perciò non si scaricano sulle pareti
e producono un impulso poco intenso.
Tuttavia la probabilità di urtare con ioni di segno opposto durante il percorso verso gli elettrodi è sempre
minore a potenziali maggiori, infatti aumentando il potenziale aumenta anche la corrente prodotta.
B. In questa zona tutti gli ioni prodotti si scaricano e l’intensità di corrente rimane costante. Questo perché
si giunge ad un valore di potenziale tale per cui tutti gli ioni prodotti in seguito alla ionizzazione del gas non
si ricombinano e la carica ottenuta rimane costante. Questa zona è detta camera di ionizzazione poiché
vengono misurati tutti gli ioni prodotti dalla ionizzazione. Tuttavia la corrente prodotta ha un’intensità di
correte bassa ed è dunque necessario un amplificatore (aumento ∆V così d avere un seconda ionizzazione).
C. In questa zona sono presenti due radiazioni a diversa energia dove quella più energetica è quella che
produce maggiore ionizzazione del gas e quindi corrente (la curva più alta). Aumentando il potenziale gli
ioni vengono sottoposti ad un’accelerazione che fa si che questi, collidendo con altre molecole di gas
neutro nel recipiente, producano una ionizzazione secondaria, aumenta il segnale. Questo fenomeno è
tanto maggiore quanto maggiore è il potenziale applicato. Questa è una zona di proporzionalità in quanto vi
è proporzionalità tra il potenziale applicato e l’intensità di corrente, quasi lineare, ed un effetto di
amplificazione del segnale, quindi possiamo misurare radioattività più basse.
D. Se il voltaggio aumenta ancora di più si può giungere al punto in cui gli ioni prodotti dalla radiazione
dovuti alla ionizzazione primaria sono molto minori rispetto a quelli prodotti dalla ionizzazione secondaria.
E. Qui vi è il massimo della sensibilità. In tale zona avvengono molti fenomeni di amplificazione che
producono il segnale più intenso. Tuttavia tale segnale non dipende dalla radiazione. In questa zona non è
possibile distinguere le radiazioni in quanto gli impulsi hanno tutti stessa intensità, è possibile differenziarle
diminuendo il voltaggio.
Nella zona B,C,E abbiamo tre diverse modalità dell’utilizzo dello strumento che dipende solo dal voltaggio:
B) 101V
C) 102 V
E) 103 V
Nelle zone B e C l’intensità dell’impulso dipende anche dall’intensità della radiazione infatti due radiazioni
diverse hanno un diverso andamento nella zona C, quindi l’intensità dell’impulso misurato dipende
dall’energia della particella mentre nella regione di Geiger l’intensità non dipende dalla particella.
Finestra= base a sinistra del cilindro
Se la finestra ha un diametro molto fino possono entrare tutte le radiazioni, aumentando lo spessore, per
esempio, i raggi ∂ non riescono ad attraversarlo. In questo modo, cioè aumentando lo spessore del cilindro,
posso valutare il tipo di raggi entranti.
RADIOISOTOPI
RADIODATAZIONE
Esistono degli isotopi presenti durante la formazione della Terra che hanno un tempo di dimezzamento
elevato tanto da essere ancora presenti, possono quindi fungere come orologi naturali, cioè è possibile
risalire all’età degli oggetti analitici tramite la radiodatazione. Il capostipite della famiglia ha vita
lunghissima e può produrre figli con tempi di dimezzamento variabili. La quantità di radioattività di un
campione varia nel tempo e a seconda di questa possiamo risalire all’età. Quindi la composizione di un
suolo, dopo un certo tempo, è caratteristica rispetto al tempo trascorso. Tale tempo può essere ricavato
tramite un’equazione differenziale.
NAt è il numero di atomi radioattivi del campione A al tempo t mentre il secondo termine è il numero di
atomi radioattivi del campione A al tempo t0.
Nct è la quantità di A iniziale al tempo t0 a cui deve essere sottratta la quantità di A e di B al tempo t in
modo da ottenere il numero di atomi di C al tempo t.
Quando un atomo viene marcato, questo lascia delle tracce di radioattività nel suo percorso.
Effetto isotopico cinetico: se in una reazione chimica, per esempio di uno zucchero, viene coinvolto il legame
che riguarda l’ossigeno allora potrei lavorare con un campione che contiene ossigeno 17, il quale può esistere
con ossigeno 16. Dal punto di vista cinetico è molto rilevante che il rapporto 17/16 sia circa pari ad 1, questo
è vero sempre tranne per gli elementi della prima riga (il deuterio, che ha massa 2, rispetto all’idrogeno, che
ha massa 1, il loro rapporto è 2, abbiamo sempre aggiunto un solo deuterio). Da un punto di vista cinetico
deuterio ed idrogeno sono due atomi differenti mentre per tutti gli altri elementi della tavola periodica, avere
una specie marcata o non marcata è indifferente. Se ho una molecola, che può essere un farmaco, e la voglio
studiare dal punto di vista farmaco-cinetico, posso aggiungere al mio preparato farmaceutico in fase di
ricerca una molecola uguale ma radioattività, ottenendo quindi un farmaco marcato. Ciò significa che alcune
molecole del preparato sono marcate. Ora il destino chimico del campione è indifferente, ma ciò che è
importante è che si può seguire la radioattività e vedere in quale settore anatomico vi è la radioattività. Sono
molte le circostanze in cui è utile introdurre una marcatura, ovvero quantità microscopiche di radioattività.
In definitiva una sostanza marcata ha un comportamento analogo alla sostanza non marcata.
In una reazione possono esserci fasi intermedie in cui vi è la perdita di un campione perciò considerando una
quantità X del campione, alla fine della reazione tale quantità sara diminuita di un fattore Y (X-Y). Per capire
quale sia la fase di perdita, anziché procedere all’analisi di ogni singolo stadio, è possibile introdurre una
piccola quantità di materiale radioattivo che grazie alla tracciatura del percorso indica in quale stadio vi è la
perdita del campione.
I radioisotopi sono utili anche per determinare la concentrazione in fase vapore di una sostanza poco volatile:
si stabilisce un equilibrio solido-vapore e si separa la parte vapore, di volume noto, sottoponendola a
radioattività.
Considerando sali poco solubili, il loro prodotto di solubilità è molto piccolo e la concentrazione è misurabile
tramite l’utilizzo di una metodologia radiochimica. Dunque viene marcato il sale con conseguente
separazione delle acque di solubilità dal precipitato e la misurazione della radioattività.
Un altro impiego fondamentale è quello per lo studio del meccanismo delle reazioni. Per esempio
consideriamo la saponificazione del benzoato di metile dove interagiscono estere con la soda producendo
l’anione benzoato e il metanolo. Si può giungere a tale prodotto tramite la rottura di uno dei due doppi
legami CO (C=O) o tramite la rottura del legame CO del carbonio appartenente al metile (CH3). Per capire
quale sia il meccanismo di reazione è possibile marcare l’ossigeno dell’ OH (15O): nel primo caso vi sarà
radioattività nel metanolo mentre nel secondo caso sarà nel benzoato. Dunque è possibile individuare il
meccanismo di reazione.
Parlando di vegetali se volessimo verificare la capacità di una pianta di assorbire CO2 per esempio potremmo
utilizzare atmosfera radioattiva (all’interno di una serra), cioè oltre 12C anche 14C radioattivo e seguire e
monitorare le piante. In questo modo possiamo risalire al modo in cui la pianta interagisce con l’ambiente.
Inoltre è possibile marcare un farmaco con una piccolissima quantità di sostanza radioattiva in modo da
determinare se questo ha effetti collaterali, cioè se agisce su altri organi oltre che a quello interessato.
MEDICINA NUCLEARE
La medicina nucleare sfrutta le proprietà dei radioisotopi inseriti in opportune molecole, la cui combinazione
molecola + radioisotopo costituisce il radiofarmaco. Questi preparati vengono fatti per scopi terapeutici,
diagnostici e di ricerca. Quando si parla di diagnostica in medicina nucleare si intende l’introduzione di
preparati all’interno dell’organismo e il fatto stesso che la molecola arriva sull’organo significa che esso c’è e
funziona. Introducendo una molecola, la cui chimica è fatta per andare a legarsi al tessuto, per esempio
polmonare (SCINTIGRAFIA), il fatto che il radiofarmaco si leghi solo ad uno dei due polmoni, significa che solo
uno dei due funziona, ovvero quello a cui si è legato il radiofarmaco. L’immagine scintigrafica è la
rappresentazione della distribuzione dei radiofarmaci nell’organismo. Quindi esse esprimono semplicemente
la distribuzione spaziale o spazio-temporale del radiofarmaco. naturalmente quando assumiamo un farmaco,
esso ha bisogno di tempo per arrivare all’organo target, il fatto stesso che ha bisogno di tempo per arrivare,
può essere sintomatico (quanto ci mette a distribuirsi in maniera omogenea nel corpo, può significare avere
circolazione troppo lenta o troppo veloce). Il radiofarmaco non svolge una funzione chimica, ma solo di
trasporto di una funzione specifica, ovvero la possibilità di comunicare con l’esterno. [NB: la scintigrafia
scheletrica, per esempio, non può essere fatta con α o β emettitori in quanto il loro potere di penetrazione
è molto basso, quindi l’unica radiazione che può comunicare da dentro a fuori sono i raggi γàil radioisotopo
deve essere per esempio un γ emettitore (strumento=γ-camere) oppure una PET]. PET: TOMOGRAFIA AD
EMISSIONE DI POSITRONI: una caratteristica dell’emissione di positroni è che quando un nucleo emette un
positrone all’interno della materia, esso emette un tratto infinitesimo prima di trovare un neutrone, quindi
annichilano (àscompaiono) e al loro posto compaiono due raggi γ sparati a 180° l’uno rispetto all’altro.
Corona a rivelazione a scintillazione che raccoglie i raggi che effettivamente hanno la direzionalità giusta,
raggi analizzati dal computer e sa dire da dove vengono.
Quali isotopi vengono utilizzati come traccianti nella PET:
il tecnezio 99 è un isotopo artificiale, ha un
tempo di dimezzamento di qualche ora ed
è molto comodo perché permette di fare
analisi.
La PET, ma anche le γ-camere permette di
misurare quantitativamente funzioni
metaboliche e reazioni biochimiche in vivo
senza perturbare il sistema biologico
(determinazione della distribuzione
spaziale del radiofarmaco nel corpo o
nell'organo in esame). - Capacità di
mettere in evidenza una compromissione funzionale anche prima che siano riconoscibili alterazioni
anatomiche. - Misure quantitative non-invasive di farmaco-cinetica e farmaco-dinamica in vivo. - Potere
risolutivo ~ 1 mmàmolto accurata la mappatura spaziale. I traccianti normalmente utilizzati con la PET
possono essere composti organici normalmente utilizzati o facenti parti nell’organismo.
Quindi: Per le tecniche diagnostiche vengono utilizzati radioisotopi artificiali poiché hanno tempo di
dimezzamento relativamente breve rispetto a quelli naturali. La Pet è in grado di rilevare i raggi grammi
prodotti dalla collisione tra positrone ed elettrone tramite la corona a scintillazione. Il decadimento
positronico è molto importante dato che risulta essere molto preciso nella mappatura spaziale (annichila
entro pochi mm). In diagnostica viene utilizzato un nuclide ed una molecola metabolicamente attiva in
grado di depositarsi sulla zona di interesse. Alcuni nuclidi possono essere di utilizzo diagnostico e
terapeutico come il Samario (153 ad uso terapeutico e 142 ad uso diagnostico).
RADIOFARMACI
Il radiofarmaco ideale è in grado depositarsi selettivamente su un particolare organo del quale vogliamo
controllare la funzionalità tramite l’emissione di raggi g.
In un approccio terapeutico vi è la necessita di trattare selettivamente la molecola portatrice del
radioisotopo su una determinata regione non funzionale, cioè per esempio una massa tumorale. In questo
caso è necessario operare con una distruzione, cioè indirizzando una particolare molecola, trasportatrice di
radioisotopo, su un tumore al fine di distruggerlo. Lo scopo quindi non è più quello di verificarne la
funzionalità ma di danneggiare la massa. Gli a emettitori sono i più adatti a questo scopo poiché sono i più
distruttivi ma sono anche atomi pesanti con elevata tossicità. Affinché una molecola possa evitare la
dispersione all’interno dell’organismo di un alfa emettitore necessita l’utilizzo di chelanti specifici e non è
quindi un’applicazione molto pratica. I b emettitori hanno minore tossicità e hanno la possibilità di
includere zone non malate nel loro raggio di azione e sono quindi meno distruttivi ma più efficaci dal punto
di vista pratico. Anche in questo caso vi è un limite per la chimica sintetica riguardante i tempi di
dimezzamento poiché il radiofarmaco deve essere sintetizzato. Il fatto che un radiofarmaco possa
concentrarsi su un tumore è utile per distruggerlo, tuttavia bisogna tenere sotto controllo i vari cicli di
radioterapia per avere una diagnosi che mostra l’andamento della terapia. La radioterapia viene condotta
per cicli poiché la ionizzazione prodotta dai radioisotopi coinvolge anche il tessuto sano e dato che questo
si riproduce più velocemente rispetto a quello malato si procede con un secondo ciclo nel momento in cui
quello sano viene rigenerato. L’introduzione contemporanea di due isotopi di uno stesso nuclide con diversi
tipi di radiazioni permette di avere contemporaneamente le due funzioni. Per esempio i due isotopi del
samario di cui uno (153) ha funzione distruttiva mentre l’altro (142) ha funzione rivelativa (se rispetto al
ciclo precedente vi è una concentrazione diversa allora la radioterapia procede bene).
Fotoni ad alta energia possono essere introdotti dall’ambiente esterno, per esempio i raggi x.
Per trattare a scopo distruttivo masse tumorali all’interno dell’organismo in passato venivano utilizzati raggi
g. Tuttavia questi hanno un limite in quanto quando attraversano un corpo hanno una certa intensità che
diminuisce con la penetrazione. Dunque di tutta l’intensità dei raggi inviati, solo una piccola parte è
utilizzata per scopi terapeutici mentre la parte dell’organismo precedente alla massa tumorale è sottoposta
a maggiore intensità e la radiazione giunge fino alle parti successive di tali organismi attaccando anche i
tessuti sani.
Sarebbe ideale avere una sorgente di energia che fosse capace di depositare zero radiazione nei tessuti
sani ma di immettere questa tutta ad un certo valore di profondità prefissato ma non è possibile.
I fasci di protoni e i fasci di nuclei di atomi (atomi a cui vengono tolti tutti gli elettroni) carichi positivamente
hanno una particolarità: poniamo un fascio di nuclei ad una certa energia, questi depositano una quantità
costante di energia fino ad una certa profondità dipendente dal tipo di materiale da attraversare e la sua
energia. Dato che sono entrambi regolabili possiamo far si che dopo aver percorso un determinato
spessore questo fascio scarichi un picco di energia, modificabile in modo che scarichi di più dando origine a
più picchi chiamati picchi di Bragg; successivamente l’energia diminuisce. Quindi nella parte anteriore vi è
ancora emissione di energia ma non successivamente. I fasci di nuclei si chiamano adroni (adroni terapia).
Tra tutti i nuclei degli atomi quello che perde l’ elettrone più facilmente è l’idrogeno (perché ha un solo
elettrone). Tuttavia i raggi adronici, anche se molto efficienti, sono difficili da produrre poiché necessitano
di elevata energia.
Un altro tipo di particelle da poter utilizzare sono i neutroni ad alta energia, utilizzati in determinati tipi di
tumori. Tuttavia non essendo specie cariche non possono essere focalizzati e vi è quindi un alto rischio di
coinvolgere tessuto sano.
Esiste un tipo di terapia rivoluzionaria,BNCT (terapia per cattura neutronica del boro) che si basa sul fatto
che il boro ha una notevole sessione d’urto per i neutroni lenti (a livello microscopico gli oggetti si urtano
entro una certa sezione dipendente dall’energia e dal tipo di particelle che collidono). Nel momento in cui
urtano si verifica la cattura neutronica del boro che diventa radioattivo con conseguente produzione di
raggi a e di un nucleo di Li, più pesante e più carico (migliore). Si ha dunque la possibilità di inserire
composti del boro all’interno di
molecole con la capacità di
concentrarsi su determinati organi.
Quindi una volta che vi è una molecola
di boro che si deposita su un tumore
tramite l’immissione di neutroni
induciamo una cattura neutronica lì
dove si è concentrato il boro generando
una specie radioattiva che libera raggi
a e Li. Quindi non vi è radioattività se
non nel momento in cui introduciamo
neutroni. Tale radioattività cessa nel
momento in cui smettiamo di irradiare
con neutroni, quindi accendiamo e
spegniamo a piacimento. La
scintilligrafia indica dove e in che
direzione irradiare i neutroni a seconda
di vari fattori.
Domande Chimica Analitica:
- Sensibilità
- Solubilità dei Sali ionici
- Cross combinazioni
- Mascheramento
- Scegliere un ossidante per far passare Fe2+ a Fe3+
- Potere ionizzante e potere penetrante
- Proprietà dei radionuclidi
- Fattore di selettività nella colonna cromatografica e formula
- Qual è il valore massimo dell’indice tampone dovuto alla specie HA e A- di un generico acido debole
monoprotico in una soluzione acquosa nella quale C=[HA] + [A-]=1,0M?
Noto che Ka= 10-4, per quale valori di pH si ha tale valore?
- Indicare le circostanze che rendono opportuno l’impiego di un solvente non acquoso come ambiente di
reazione di una sintesi chimica.
- Un campione contenente 2,4 nCi di Iodio 131 (tempo di dimezzamento=8,31 giorni, PA= 131uma).
Quantigrammi di Iodio 131 contiene? Dopo quanto tempo (espresso in giorni, ore, minuti)l’attività di
questo campione sarà ridotta a 1,0 nCi? Si ricorda che 1 nCi=3,7x1010 dis/s
Compitino 1
-scrivere gli isomeri di un complesso che mi dava lui e dire se
hanno momento dipolare
-commentare la basicità degli ossoanioni
-dire se un complesso stabile può anche essere labile
-scrivere le formule degli intervalli di confidenza x N 20
-dato lo ione esacianoferrato dire un metodo x liberare il ferro o
il cianuro in soluzione
Compitino 2
uso degli isotopi in tecniche diagnostiche, capacità tampone su
cui si soffermato tanto, Q-test, e il calcolo dell\'energia di una
radiazione
Compitino 3
su alcune schede c\'era: esercizio su nucleare ( attività, emivita
ecc ), grafici sulle soluzioni acido -base monoprotici ecc,
domanda tipo "effetto livellante " statistica... studia bene la
parte di chim inorganica !!! ciao ciao
tipo sugli errori, sulla retta di taratura.. la dimostrazione dei
limiti di titolabità x gli acidi deboli
la costante dielettrica e come influenza i vari equilibri di
reazione, due acidi dei quali voleva sapere qual era più debole e
la struttura cristallina dei solidi.
Compitino 4
1) Scrivere la formula della deviazione standard di somme e
sottrazioni
2) spiegare come la formazione di legami pi greco nei complessi
influenza la separazione del campo cristallino (il CFS)
3) Cosa è la simbiosi nell\'HSAB?
Compito 5
Compito 7
domande scrittino_
Teoria dell'interazione specifica
Scegliere quale metodo è migliore in un analisi quantitativa
vedendo un grafico con due rette
calcolare l'energia di legame dell'elio
dire se un acido debole è sempre titolabile oppure ci sono limiti
di titolabilità
significato statistico della deviazione standard in un campione
di dati.
Domande all'orale:
in una titolazione di ossido-riduzione quale criterio bisogna
seguire nella scelta di un indicatore.
analisi per attivazione neutronica.
Calcolare il ph di una soluzione acido debole e solvente SH.. poi
analisi per diluizione isotopica..poi cause di variazione del
potenziale elettrodico... titolabilità acido debole ..
1) potenziale formale
2) dire se un complesso d5 ottaedrico e' piu' stabile con spin alto
o basso
3) spiegare le proprieta' dell'acqua
4) analizzatori nella spettrometria
1)simbiosi di Jorgensen
2)ordinare per idratazione dei cationi
3)la solubilità è influenzata dai complessi?
4)spiega perché si formano complessi ad alto e basso spin
5)ciclo di Born Haber
1) Grafico del tampone di acido diprotico
2) Esercizio su errore sistematico proporzionale/costante
3) Utilità della definizione acido base di Lewis
4) Esercizio sul decadimento dello Iodio 131
5) Dati due nuclidi X e Y con tempi di decadimento molto
diversi (dati da lui), trovare un metodo strumentale senza
frammentare il campione per risalire alle quantità di nuclidi (su
per giù questa era la sostanza)
Ese Iodio: Mi chiedeva quanti grammi di I 131 contenesse il mio
campione conoscendone l'attività, tempo di dimezzamento,
peso atomico. Inoltre chiedeva anche quanto tempo dovesse
passare affinché quel campione avesse una determinata attività.
1)errore costante
2)reazioni nucleari, X(n,p)Y cos’è Y?
3)limite titolabilità acido base forte
4)complessi nelle redox
5)risoluzione negli spettrometri