Sei sulla pagina 1di 304

Operisti di Puglia

Dall’Ottocento ai giorni nostri


a cura di
Lorenzo Mattei

Edizioni
dal Sud
5

Notizie sugli Autori

ANGELA ANNESE. Docente di Pianoforte al Conservatorio di Bari, è membro del CRAV (Centro Ricer-
che Avanguardie) presso l’Università degli Studi di Bari e collabora regolarmente tramite progetti di
ricerca e pubblicazioni con il Dipartimento di Anglistica della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere.
NICOLA BADOLATO. Dottore di ricerca in Musicologia e Beni musicali nell’Università di Bologna, ha
frequentato un postdottorato alla Yale University. È assegnista di ricerca nel Dipartimento di Musica e
Spettacolo dell’ateneo bolognese e collabora all’edizione critica dei libretti delle opere di Francesco
Cavalli.
MARCO BEGHELLI. Docente di Filologia musicale nell’Università di Bologna, dedica le sue ricerche al
teatro d’opera fra Sette e Novecento, affrontato da diverse prospettive (storica, drammaturgica, socio-
logica, semiologica, filologica). Ha curato le edizioni di Tutti i libretti di Mozart e Tutti i libretti di
Rossini (Garzanti-Utet), nonché varie edizioni critiche di partiture teatrali. Volume di riferimento: La
retorica del rituale nel melodramma ottocentesco (Parma, Istituto nazionale di Studi verdiani). Nel
Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna coordina l’Archivio del Canto, dove
si raccolgono fondi documentari relativi a cantanti lirici del passato.
BEATRICE BIRARDI. Diplomata in Strumenti a percussione (Bari) e laureata in Musicologia (Lecce),
attualmente svolge il dottorato di ricerca in Storia e critica dei Beni musicali presso l’Università del
Salento e insegna strumento musicale negli istituti superiori.
ANNAMARIA BONSANTE. Diplomata in Violino e laureata in Lettere a Bari, ha conseguito il titolo di
Dottore di Ricerca presso «La Sapienza» di Roma. Docente di Storia della Musica nei conservatori
statali, è risultata vincitrice della borsa di studio «Luigi ed Eleonora Ronga» (Accademia dei Lincei) nel
2009.
DANIELE BUCCIO. Diplomato in pianoforte (1997) e in composizione (2006) ha conseguito il titolo di
dottore di ricerca in Musicologia e Beni musicali presso l’Università di Bologna (La psicologia della
Gestalt. Ricerche teoriche e sperimentali sulla percezione sonora e musicale (1890-1939), relatore
Maurizio Giani).
FABRIZIO BUGANI. Diplomato in corno, ha studiato composizione, direzione di coro e direzione d’or-
chestra. Si è addottorato presso l’Università di Bologna. Interessato in particolare alla musica per stru-
menti a fiato, pubblica per la casa editrice milanese Wicky. È coordinatore didattico-artistico della
Scuola comunale di educazione musicale «Vassura-Baroncini» di Imola, con la quale collabora come
docente dal 1993.
PAOLO CANDIDO. Diplomato in Pianoforte, Direzione d’orchestra, Musica corale e direzione di coro,
Strumentazione per banda, ha composto svariate opere e ha al suo attivo una corposa attività diretto-
riale. È docente di Armonia complementare presso il Conservatorio di Foggia. Con Francesco Lotoro
è coautore dei libri Fonte di ogni bene. Canti di risveglio ebraico composti dal 1930 al 1945 a
Sannicandro Garganico (2009) e Renato Virgilio - Vita e opere di un musicista (2010).
CARLA CANTATORE. Diplomata in pianoforte è musicoterapista. Ha curato l’edizione critica dell’ora-
torio Sant’Elena al Calvario di Leonardo Leo. Per la Facoltà di Musicologia dell’Università di Regen-
sburg, ha collaborato alla stesura del volume di Warren Kirkendale The court musicians in Florence
during the Principate of the Medici (Firenze, Olschki 1993).
ANTONIO CAROCCIA. Diplomato in Clarinetto e laureato in Musicologia presso l’Università di Pavia
ove ha collaborato con il RILM, è stato catalogatore musicale per diversi anni presso la biblioteca del
Conservatorio di Napoli. Docente di Storia della musica nei conservatori statali, è autore di una mono-
grafia sulla corrispondenza di Francesco Florimo e di numerosi saggi sulla musica a Napoli nel Sette e
Ottocento.
6

ANNAMARIA BONSANTE. Diplomata in Violino e laureata in Lettere a Bari, ha conseguito il titolo di Dottore
di Ricerca presso «La Sapienza» di Roma. Docente di Storia della Musica nei conservatori statali, è
risultata vincitrice della borsa di studio «Luigi ed Eleonora Ronga» (Accademia dei Lincei) nel 2009.
GIOVANNI CASSANELLI. Diplomato in Pianoforte e laureato in Lettere, è Dottore di ricerca in Storia
dell’Arte comparata, civiltà e culture dei Paesi Mediterranei conuna tesi su Elena da Feltre di Saverio
Mercadante. È professore a contratto di Storia della Musica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università «Aldo Moro» di Bari - sede di Brindisi.

ANNA CATINO. Diplomata in Pianoforte e in Didattica della Musica presso il Conservatorio di Bari si è
laureata in Beni Musicali presso l’Università del Salento. Ha pubblicato La scuola di musica e la
banda musicale del Real Ospizio di Giovinazzo (Molfetta, 2007) e Alfredo Macchitella. La musica da
camera nell’Italia meridionale tra XIX e XX secolo (Barletta, 2010).

NICOLA CICERALE. Ha studiato Canto e Composizione presso il Conservatorio di Foggia e si è laureato


in Lettere a Bari dove attualmente frequenta il Dottorato di Ricerca. Affianca l’attività di compositore
a quella di strumentista e cantante in diverse formazioni tra le quali: Follorum Ensemble (musica del
Medioevo e del Rinascimento); The Charmin’Elf (per cui è co-autore delle musiche e produttore);
Calixtinus (musica antica); Sciarbà (tradizioni musicali degli ebrei mitteleuropei di lingua e cultura
Yiddish).

LINDA CIMARDI. Laureata presso l’Università di Bologna attualmente presso lo stesso ateneo sta
frequentando il Dottorato di ricerca in Musicologia e Beni musicali. Si occupa di ricerca etnomusicologica
in Africa equatoriale, in particolare in Uganda.

LUISA COSI. Docente di Storia della musica e responsabile del Dipartimento di Musica antica del
Conservatorio «Tito Schipa» di Lecce, è professore a contratto presso l’Università del Salento. Ha
scritto preziose monografie e saggi sulla vita musicale salentina dal Settecento all’Ottocento. Per il
Festival della Valle d’Itria ha revisionato diverse partiture di autori pugliesi.

ROCCO DE CIA. Diplomato in direzione di coro e diplomando in Composizione si è laureato presso il


DAMS di Bologna. Attualmente si deve addottorare presso l’Università di Udine, dove svolge una
ricerca sulla didattica di Franco Donatoni.

FEDELE DE PALMA. Diplomato in chitarra e mandolino, laureato in lettere classiche e dottore di ricerca
con curriculum musicologico presso l’Università «Aldo Moro» di Bari, oltre a diversi saggi per riviste
specializzate e libri universitari ha pubblicato per le Edizioni del Gripho ’O re de li stromiente dedicato
al colascione seicentesco.

DINO FORESIO. Critico musicale e giornalista dal 1979 si occupa di critica musicale e discografica su
quotidiani e periodici italiani e stranieri, attività che alterna a quella didattica. È autore di numerosi
volumi monografici e collettanei su compositori pugliesi, tra gli altri, Giovanni Paisiello, Dante Alderighi,
Mario Costa e Domenico Savino.

VINCENZO GERMANO. Diplomato presso il Conservatorio «G. B. Martini» di Bologna in Contrabbasso


e in Composizione, nel 2010 ha conseguito, presso l’Università di Bologna, la laurea specialistica in
Discipline Musicali, discutendo una tesi in Filologia musicale.

ANNAMARIA GIANNELLI. Titolare della cattedra di pianoforte nella Scuola «De Amicis» di Triggiano,
unitamente all’attività concertistica svolge quella di ricerca con particolare riguardo alla musica del
Novecento. Per l’editore barese Papageno ha pubblicato una monografia su Orazio Fiume.

SARAH IACONO. Laureata presso la Facoltà di Beni Culturali a Lecce, si è addottorata in Storia e critica
dei Beni Musicali presso lo stesso ateneo. Ha collaborato al Progetto Europeo Integrato per il Restauro
e la Valorizzazione del Patrimonio Artistico-Culturale del Conservatorio «San Pietro a Majella» di
Napoli.
7

ALESSANDRO MACCHIA. Chitarrista e dottore di ricerca in Storia e critica dei Beni musicali, ha insegnato
Elementi di armonia e contrappunto e Storia della musica moderna e contemporanea presso l’Università
del Salento. È autore di Tombeaux. Epicedi per le Grandi Guerre (Ricordi 2005) e di una fitta produzione
saggistica sulla musica dell’Ottocento e del Novecento. È fondatore e direttore artistico del «Festival
dell’opera per voci bianche» di Lecce.
ALESSANDRO MASTROPIETRO. Ha studiato pianoforte, composizione, musica elettronica e direzione
d’orchestra nel Conservatorio dell’Aquila. Laureato e addottorato presso l’Università «La Sapienza»
si occupa della produzione musicale dell’ultimo sessantennio. Ha curato l’edizione critica degli scritti
di Domenico Guaccero. È ricercatore in Musicologia e Storia della Musica presso l’Università di Catania.
LORENZO MATTEI. Diplomato in Pianoforte e laureato in Lettere a Firenze, si è addottorato alla
«Sapienza» di Roma in Storia e Analisi delle Culture musicali. Docente di storia della musica nei
conservatori statali è professore a contratto nelle Università di Bari, Lecce, Teramo. Autore di vari saggi
sull’opera seria dell’ultimo Settecento, per Ricordi ha pubblicato l’edizione critica dei frammenti
dell’Ernani di Bellini e l’anastatica dei Giuochi d’Agrigento di Paisiello. Dirige il «Giovanni Paisiello
Festival» di Taranto.
FRANCESCO MAZZOTTA. Giornalista e critico musicale del «Corriere del Mezzogiorno» ha collaborato
con l’enciclopedia Die Musik in Geschichte und Gegenwart e ha redatto numerosi programmi di sala.
È stato redattore dell’ufficio stampa del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca e attualmente è
responsabile dell’ufficio stampa della Fondazione Nuovo Teatro Verdi di Brindisi.
PIERFRANCO MOLITERNI. Professore associato di Storia della Musica Moderna e Contemporanea
presso la Facoltà di Lingue di Bari (unica cattedra pugliese di pertinenza musicale), ha scritto numerosi
saggi e monografie sulla musica in Puglia (da Piccinni a Casavola). Consulente artistico del Petruzzelli
per un decennio, è stato uno dei principali animatori della vita musicale barese in veste di musicologo
e di violinista.
GIOACCHINO PALMA. Compositore e musicologo. Docente di Storia ed analisi del repertorio e Storia e
tecnologia degli strumenti musicali (indirizzo tecnologico) presso il Conservatorio di Lecce. È
responsabile del laboratorio musicale multimediale del coordinamento SIBA presso l’Università del
Salento. È autore di studi sulla musica contemporanea.
CATERINA PULITO. Diplomata in Pianoforte e laureata in Lettere a Bari, si è addottorata in Musicologia
presso l’Università di Bologna con una dissertazione sul Code de Musique di Rameau, ed è docente di
Educazione musicale nella scuola secondaria di primo grado.
FRANCESCO SCOGNAMIGLIO. Laureato al DAMS di Bologna, nello stesso ateneo ha conseguito il titolo
di dottore di ricerca in Musicologia e Beni musicali specializzandosi su César Franck. Collabora dal
2003 con la segreteria di redazione della rivista «Il Saggiatore musicale».
NICOLA USULA. Laureato in Beni Culturali a Cagliari con Roberta Costa è specializzando a Bologna
con una tesi sul Seicento operistico sotto la guida di Lorenzo Bianconi e Marco Beghelli. Studia
composizione e direzione corale al Conservatorio «Girolamo Frescobaldi» di Ferrara.
PAOLO VALENTI. Laureato presso l’Università di Bologna con una tesi in Estetica musicale, è attualmente
iscritto al Dottorato di ricerca in Musicologia e Beni musicali presso lo stesso ateneo. Si occupa
prevalentemente di estetica e musica dell’Ottocento.
NICOLA VENTRELLA. Diplomato in pianoforte e composizione ha conseguito il Diploma di II livello in
Discipline musicali presso il Conservatorio di Bari. All’attività di direttore d’orchestra, pianista,
arrangiatore e docente, affianca quella di ricerca.
PAOLO VITTORELLI. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali è dottorando di ricerca in Musicologia
e Beni musicali presso l’Università di Bologna. Suo campo d’indagine prediletto è il trattato Practica
Musicae di Franchino Gaffurio.
Indice

11 Prefazione di Lorenzo Mattei


17 Legenda
21 Addenda al volume I

35 Gennaro Abbate
37 Enrico Abbate
38 Emanuele Bernardini Marrese
39 Ulderico Bernardini Marrese
40 Luigi Francesco Bianco
41 Pasquale Bona
44 Giuseppe Cacace
47 Luigi Giuseppe Capotorti
53 Carlo Carducci Agustini
55 Edgardo Carducci Agustini
64 Giovanni Gualberto Carducci Agustini Dell’Antoglietta
68 Franco Casavola
74 Nicola Cassano
76 Nicola Cosmo
78 Pasquale Mario Costa
85 Vito Cozzoli
87 Giuseppe Curci
94 Roberto Curci
95 Nicola D’Ammacco
96 Nicola De Giosa
103 Francesco De Matteo
106 Francesco Paolo De Renzio
108 Pasquale Di Cagno
111 Marco Falgheri
113 Ivan Fedele
117 Nicola Ferri
119 Giovanni Festa
121 Salvatore Fighera
123 Vincenzo Fiodo
126 Giuseppe Fiore
127 Matteo Luigi Fischetti
128 Orazio Fiume
136 Nicola Fornasini
138 Raffaele Gervasio
143 Vincenzo Giannini
145 Ugo Giuseppe Gigante
147 Umberto Giordano
156 Domenico Guaccero
164 Giacomo Lapolla
165 Reinhold Raoul Laquai
166 Pasquale La Rotella
172 Vincenzo Lavigna
176 Francesco Libetta
180 Giuseppe Lillo
186 Francesco Lotoro
188 Alfredo Macchitella
195 Francesco Magliocco
199 Giuseppe Mascia
200 Saverio Mercadante
218 Dino Milella
224 Vitantonio Waldemaro Morgese
226 Dante Morlino
230 Evemero Nardella
233 Giulio Pansini
234 Francesco Peruzzi
238 Giuseppe Peruzzi
240 Ottone Pesce
242 Giovanni Petrucci
243 Francesco Pisano
244 Carmelo Preite
246 Teresa Procaccini
250 Beniamino Rossi
254 Giacinto Sallustio
257 Oronzo Maria Scarano
260 Nicola Scardicchio
264 Tito Schipa
267 Alfredo Luis Schiuma
271 Rito Selvaggi
277 Carlo Sessa
279 Giovanni Spezzaferri
282 Giovanni Tamborrino
287 Gaetano Tarantini
289 Leopoldo Tarantini
290 Giovanni Tauro
291 Umberto Tucci
294 Vincenzo Valente
297 Nicola (Niccolò) van Westerhout
303 Giovanni Vavalli
304 Renato Virgilio
Prefazione

Il secondo volume di Operisti di Puglia si pone in continuità assoluta con il


primo per quanto concerne sia le impostazioni metodologiche – che privilegiano
la completezza bibliografica funzionalizzandola a una “storia della ricezione”
degli operisti nati in Puglia (ciò spiega l’inserimento in bibliografia di titoli
obsoleti, di scritti meramente localistici o di stralci giornalistici contenenti lacune,
inesattezze e finanche errori di attribuzione o di datazione) – sia la finalità
principale, concentrata nella riscoperta e nella valorizzazione di un patrimonio
musicale identitario1 che giustifica l’impiego della problematica locuzione “ope-
rista pugliese”, pur privando l’aggettivo di improbabili connotazioni stilistiche e
di retaggi campanilistici. La coincidenza tra “pugliesità” e “scuola napoletana”
– rimarcata nella prefazione al volume precedente – resta valida per gli operisti
ottocenteschi che tuttavia, rispetto ai loro predecessori del Sei-Settecento, legarono
in modo ben più profondo la propria attività artistica al territorio pugliese: gli
ingloriosi nostoi di chi aveva visto sfumare una carriera operistica nazionale o
internazionale, riconducevano il più delle volte nei rispettivi paesi di provenienza
i compositori che, giocoforza, si adoperavano per vitalizzare l’offerta didattica e
spettacolare di contesti angustiati da un’inesorabile marginalità. Il grande operista
barocco Luigi Rossi fu di certo “pugliese” in misura analoga al “molfettese per
caso” Reinhold Laquai, ma autori come Giuseppe Curci o Luigi Capotorti (per
menzionare due nomi tra i primi dell’indice) quando rientrarono in patria contri-
buirono, con un lavoro silenzioso e costante, allo sviluppo culturale della città in
cui vissero: la loro è una storia – per dirla con Fernand Braudel – che riguarda
le relazioni tra l’uomo e l’ambiente e che vive al di sotto dei grandi eventi, in
un tempo contrassegnato da fluttuazioni impercettibili.
L’omogeneità che connetteva i ventuno autori schedati nel primo volume – nel
quale sostanzialmente erano riuniti maestri della “scuola napoletana” più o meno
celebri, ma comunque contemplati in dizionari e da sempre gratificati dell’inte-
resse storiografico – non si ravvisa in questo libro dove accanto a Saverio Mer-
cadante o a Umberto Giordano trovano collocazione figure di artisti “minori” e
“minimi” di cui talvolta non è stato possibile segnare un sintetico profilo crono-
logico, né rintracciare le fonti librettistiche e musicali2. Giova infatti ricordare che

1
Sulla valorizzazione dei patrimoni identitari regionali rimando all’ottima monografia di Renata
SALVARANI, Storia locale e valorizzazione del territorio. Dalla ricerca ai progetti, Vita & Pensiero,
Milano 2005.
2
Per parecchie delle voci censite si è riusciti a fornire notizie che ben poco aggiungono ai già
scarni dati presenti nel pionieristico volume di Pasquale Sorrenti (I musicisti di Puglia, Laterza &
Polo, Bari 1966). Nel caso, invece, di alcune voci – in particolare quelle curate da Marco Beghelli
e Daniele Buccio – si è verificata una proliferazione di nuove e preziose informazioni, frutto di un
approfondito lavoro di ricerca. Resta ancora tutto da svolgere lo spoglio del materiale emerografico
12

nell’Italia dell’Ottocento l’approdo alla stampa era riservato a melodrammi “vin-


centi” sul piano editoriale e dunque restava precluso a chi, come molti degli autori
qui censiti, non riusciva ad avviare la propria carriera teatrale. Inoltre, rispetto alle
partiture manoscritte dei carneadi del XVII-XVIII secolo – in genere lasciate dai
compositori alle istituzioni pubbliche d’appartenenza, laiche o religiose, i cui
patrimoni librari confluirono poi nelle moderne biblioteche – quelle dell’Otto-
Novecento conobbero una conservazione domestica che non ne assicurò longevità
né possibilità di circolazione: una volta entrate in possesso degli eredi dell’operista
(mancato) di turno, le “carte di musica” erano destinate a inevitabile dispersione
oppure a gelosa museificazione casalinga. Nella maggior parte dei casi si tratta
di opere mai rappresentate vuoi perché nate come velleitari esercizi di stile stesi
“a tavolino” e privati degli stimoli provenienti dal contatto con la scena, vuoi
perché entrate in collisione con la committenza o con la censura: eclatante è il
caso di molte delle partiture di De Giosa che, pur essendo quasi completamente
orchestrate, rimasero nel cassetto dell’autore (del resto la censura teatrale era
avvezza a interferenze dell’ultim’ora: l’ottimo lavoro di Giuseppe Curci, Alfonso
d’Aragona, già varato in sede di prove per il suo debutto al teatro Piccinni di Bari
nel 1856, non andò mai in scena). Operisti di Puglia tuttavia non si propone certo
come una mesta silloge di operisti falliti. La poca notorietà di oggi non coincide
sempre con il mancato raggiungimento del successo di allora; a dimostrarlo stanno
quei compositori, misconosciuti in patria, che hanno condotto brillantemente la
propria carriera tanto negli ambienti preclusi ai musicisti di formazione “napole-
tana” – la Parigi dei salotti frequentati da Joyce, dove si inserì da protagonista
il tarantino Edgardo Carducci Agustini – quanto nelle istituzioni musicali d’Ol-
treoceano: è il caso di Vincenzo Giannini in California, Ugo Gigante e Francesco
Magliocco a New York, Alfredo Schiuma a Buenos Aires.
Se è vero che la consultazione della singola voce resta la modalità fruitiva più
consona ad un dizionario bio-bibliografico, è anche vero che il secondo volume
di Operisti di Puglia si offre al lettore nella sua integrità per innescare una
riflessione più generale sulle difficoltà, sulle vittorie e sulle miserie del mestiere
di operista nell’Ottocento (il secolo che distanzia arte e artigianato divaricando
lo hiatus tra i “grandi” e i “minori”) e nel Novecento (il secolo che confligge con
l’agonizzante tradizione melodrammatica). Più che di biografie sintetiche biso-
gnerebbe dunque parlare di “microstorie” che interrogano le fonti sul grado di
libertà concesso all’individuo nelle contraddizioni dei sistemi normativi che lo
trascendono; che studiano (con un gioco di continuo passaggio di “scala”) le
liaisons tra le scelte dei singoli e le grandi trasformazioni storiche, nella convin-
zione che i più piccoli segni possano dare accesso alla conoscenza del passato al
pari dei grandi “eventi”. Se dall’identificazione dei personaggi di un quadro è
possibile lumeggiare il mondo culturale di Piero della Francesca3 e se dall’indagine
sui matrimoni tra consanguinei di un paesino del Comasco si può meglio capire
la mentalità dei contadini del Seicento4, allora dall’esame – per fare un esempio
concernente gli autori qui censiti, oggi per gran parte disponibile anche on-line (cfr. in particolare
emeroteca.braidense.it e emeroteca.provincia.brindisi.it).
3
Carlo GINZBURG, Indagini su Piero. Il Battesimo. Il ciclo di Arezzo. La flagellazione di Urbino,
Einaudi, Torino 1981.
4
Raul MERZARIO, Il paese stretto: strategie matrimoniali nella diocesi di Como. Secoli XVI-
XVIII, Einaudi, Torino 1981.
13

tra i tanti – delle poesie e della musica di Francesco De Matteo, compositore di


Deliceto (FG) morto nel 1899 a soli ventidue anni per tubercolosi, si ricaverà un
tassello minuscolo ma comunque prezioso per osservare nella sua interezza il
grande mosaico del decadentismo europeo. L’idea che l’oblio abbia giustamente
sommerso soltanto prodotti artistici mediocri e insulsi, non è altro che un comodo
alibi per rinunciare all’esercizio critico e storiografico. Operisti di Puglia, benin-
teso, non vuole certo alimentare l’ingenuità con cui gli storici locali del passato
salutavano ogni scartafaccio come un capolavoro incompreso, né individua tra i
suoi obiettivi quello di far diventare Folco d’Arles di De Giosa popolare come
Rigoletto (entrambe le opere furono rappresentate la prima volta nel 1851); la sua
meta è piuttosto quella che tende a collegare storia locale, comunicazione culturale
e marketing turistico in un processo d’individuazione delle tipicità connotanti un
territorio. Leggendo questo libro si evince infatti che uno dei tratti specifici della
Puglia era proprio il suo “sistema teatrale” – quasi paragonabile a quello dell’at-
tuale Emilia-Romagna – che portava il melodramma a Bitonto come a Corato, ad
Altamura come a Molfetta e che oggi attende di essere riattivato come risorsa
culturale e turistica.
Operisti di Puglia include soltanto autori di nascita pugliese che abbiano scritto
almeno un’opera a destinazione scenica. Tale criterio di selezione ha comportato
l’esclusione di tutti quei compositori che in Puglia hanno operato con costanza
fino a segnare in modo significativo la vita musicale delle città “d’adozione”, come
il parmense Giacomo Lombardi a Lecce5, o il napoletano Nicola Costa a Bari6.
Un “grande escluso” potrebbe essere considerato a ragione il milanese Nino Rota
che per anni diresse il Conservatorio «Niccolò Piccinni» di Bari proponendosi
come indefesso animatore della musica nel capoluogo pugliese (e dintorni). Ri-
marcare l’innegabile legame tra Rota e la Puglia sarebbe stata tuttavia una scelta
in direzione opposta all’attuale tendenza alla “sprovincializzazione” di questo
5
Cito qui in nota una sintesi dell’ottima voce Giacomo Lombardi, curata da Emiliana Renna –
autrice di “Scherzando e leggero” - Collezione di dodici “Valzer e Contradanze” del M° Giacomo
Lombardi ad uso dei salotti leccesi di primo Ottocento, Tesi di laurea, Università del Salento, a.a.
2008-2009 relatrice Luisa Cosi – che doveva trovar posto in un’appendice del presente volume dedicata
agli operisti pugliesi d’adozione, non più realizzatasi per la mancanza dei necessari tempi di stesura.
«Giacomo Lombardi (Parma 1808-Napoli 1877) formatosi nel Conservatorio di Napoli dopo aver
cantato come tenore in svariate città, si dedicò all’attività operistica mettendo in scena nel 1838-39 a
Malta presso il Teatro Reale le commedie in due atti Il capitano e il tutore e Il primo navigatore. Già
dal 1837 (Archivio dell’Anagrafe Storica del Comune di Lecce - atti di nascita) Lombardi risiedeva
a Lecce, sposato con Lucia Cagnazzi, dove onorò impegni didattici e direttivi, principalmente al servizio
dell’alta borghesia cittadina. L’opera Elfrida di Salerno, musicata su libretto del fervente patriota
Beniamino Rossi, venne rappresentata nel 1853, non senza problemi con le autorità, presso il locale
teatro di S. Giusto che Lombardi dirigeva da diversi anni. La parentesi pugliese di Lombardi si concluse
nel 1855 con il rientro a Napoli».
6
Il fondo Costa presso la biblioteca del Conservatorio «Niccolò Piccinni» di Bari contiene la quasi
totalità degli autografi di questo insigne compositore, pianista e docente (tra i fondatori del conservatorio
barese) che coltivò il melodramma a cominciare dai diciassette anni (con l’opera Iarba) e che fece
rappresentare operette di successo (Margot, Apaches, Lu e Lao Pu al Petruzzelli nel 1915, 1918 e
1952) le cui partiture lasciano intuire una gustosità ancor oggi apprezzabile (ringrazio l’amica Maria
Grazia Melucci, bibliotecaria del Conservatorio di Bari, per avermi permesso la consultazione delle
musiche operistiche di Costa). Nicola Costa rappresenta una figura artistica di grande interesse in
attesa d’una riscoperta capace di restituirgli il peso che merita nel contesto del melodramma italiano
del primo Novecento.
14

musicista di respiro internazionale, troppo spesso “aneddotizzato” piuttosto che


studiato secondo un serio approccio musicologico. Inoltre si è certi che a compen-
sare la mancata proposta di un aggiornamento bibliografico intorno all’opera di
Nino Rota interverranno le iniziative editoriali che l’anno venturo accompagne-
ranno le celebrazioni del centenario della sua nascita (1911-2011).
Se nel primo volume accanto ai melodrammi si erano posti gli oratorii in virtù
di una contiguità d’ordine drammaturgico, qui si fanno rientrare nell’elenco siglato
con il termine generico di “opere drammatiche” non solo opere liriche e oratorii (che
nell’Otto-Novecento assumono una configurazione diversa da quella dei secoli
precedenti), ma anche tutte le composizioni pensate per una performance teatrale
(come cantate sceniche, melologhi, musiche di scena o per balletto), insieme alle
musiche per film e alle sperimentazioni drammaturgiche più disparate. Una scelta
che ha permesso di inglobare i lavori di musicisti contemporanei7 la cui presenza
è testimonianza palmare della vitalità e dell’attualità dell’Opera, intesa come
spettacolo multimediale e sincretico: i lavori scenici di Ivan Fedele, Francesco
Libetta, Francesco Lotoro, Teresa Procaccini, Nicola Scardicchio, per quanto “spe-
rimentali” possano essere nei loro linguaggi, rappresentano un ideale filo rosso che
lega l’odierna creatività musicale di questa regione con la tradizione operistica e
teatrale del suo passato. In questo contesto si inseriscono appieno le figure di
Francesco Muolo e Antonio Vinci, due giovani compositori nati rispettivamente a
Monopoli e a Fasano, che con le loro “operette” – Ghetonìa (13 febbraio 2008) e
La contessa Stracci (5 giugno 2003), entrambe su testo di Giuseppe Palasciano e
Maria Teresa Marasco rappresentate al teatro Kennedy di Fasano – hanno inteso
omaggiare la tradizione dell’operetta italo-francese di primo Novecento tramite
partiture permeate da un continuo gioco di citazioni, da Offenbach a Puccini, capaci
di ammiccare finanche alla tradizione buffa settecentesca (cfr. il duetto Uffa! Basta!
Vuoi finirla? Tra Checchina e Sarafina in Ghetonìa)8.

Operisti di Puglia deve molto all’entusiasmo di Pierfranco Moliterni, autentico


“pioniere” della riscoperta del patrimonio musicale pugliese e curatore di due
recenti volumi dove per la prima volta si è tentato un sondaggio critico su molti
dei nomi qui censiti9. Un ringraziamento particolare va poi all’amico fraterno
Marco Beghelli, maestro di scrittura e di vita, docente di Filologia musicale e
Forme della poesia per musica presso l’Università di Bologna, che in tempi
strettissimi è riuscito a cooptare dodici studiosi, dal neolaureato al dottore di
ricerca, tutti formatisi nell’ateneo bolognese, il cui apporto ha permesso di condurre
a termine questa impresa editoriale nata all’insegna di una tempistica risicata. A

7
Si precisa qui in nota che per gli operisti del Novecento e per quelli contemporanei non è stata
mantenuta la sezione dedicata alle “edizioni moderne”, ancora utile invece per gli autori dell’Ottocento.
Delle edizioni a stampa post 1900 si sono indicate solo quelle di non facile reperimento o assenti
nei maggiori cataloghi nazionali. Per questioni di spazio la voce CASAVOLA non riporta l’elenco di
musiche per film e per balletto, che il lettore può agevolmente ritrovare nelle monografie di MOLITERNI
e di SEBASTIANI.
8
Ringrazio Francesco Muolo per avermi messo a disposizione il libretto e la videoregistrazione
di Ghetonìa. Per una sintetica recensione dell’opera di Antonio Vinci cfr. Dinko FABRIS, La “Contessa”
di Vinci fra Rota e Hoffenbach, in «La Repubblica» 5 giugno 2003, p. 15.
9
“L’altro” melodramma. Studi sugli operisti meridionali dell’Ottocento, Graphis, Bari 2008;
e Ombre sonore. Musica, cinema e musicisti di Puglia, Edizioni dal Sud, Bari 2008.
15

tutti loro è rivolto un sincero elogio per la passione e la serietà profuse nell’esten-
sione di voci riguardanti autori scogniti e talvolta non presenti neppure nei moderni
OPAC.
Chi scrive effettuò nel 2002 una vasta ricerca bibliografica sulle “storie” della
musica prodotta in Puglia, in parte confluita in questo volume andando ad arricchire
i contributi dei singoli collaboratori. Il progetto era stato denominato BIMMPU -
Bibliografia della Musica e dei Musicisti Pugliesi ed era risultato vincitore della
seconda edizione del premio di ricerca Bruno Giannini - un progetto per la musica
indetto per onorare la memoria di un musicista-imprenditore che fu anche uno
straordinario patrocinatore della cultura a Bari. A Giulia e Gianna Giannini, che oggi
danno prosecuzione alla coraggiosa linea tracciata da loro padre, dedico Operisti
di Puglia e a chi, sul loro modello, si adopera per la crescita culturale di questa che
è la città dove è nato e dove crescerà mio figlio Jacopo.

Bari 7 giugno 2010


Lorenzo Mattei
LEGENDA

La bibliografia di ciascuna voce premette un riferimento ai dizionari e alle opere di


consultazione (abbreviati in sigla) dove è menzionato l’autore censito. L’elenco delle opere
drammatiche scioglie il nome del librettista e indica per esteso la denominazione del genere
spettacolare di appartenenza; segue l’indicazione della città (abbreviata dalle sigle
automobilistiche ove possibile), del teatro (per esteso o abbreviato: Dame = Teatro Alibert
delle Dame) la stagione e la data della “prima”. Tra parentesi tonde si indicano le ubicazioni
delle fonti librettistiche e musicali (abbreviazioni RISM). Per alcuni autori più famosi, come
ad esempio Mercadante, si indicano per ragioni di spazio soltanto le fonti musicali e non
quelle librettistiche. Dopo il segno \ viene ricostruita la circolazione dell’opera successiva
alla prima rappresentazione (anche in questo caso viene indicata la città, il teatro e la data),
circolazione che sempre per ragioni di spazio non è stata segnata nel caso di opere, come
quelle di Mercadante o di Giordano, tuttora in repertorio.

ABBREVIAZIONI DEI DIZIONARI E DELLE OPERE DI CONSULTAZIONE

DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani,


Roma 1960.
DEUMM = Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, a cura di
Alberto Basso, UTET, Torino 1983-86; Il Lessico IV voll., Le Biografie, VIII voll.;
Appendici 1990-2005.
ES = Enciclopedia dello spettacolo, a cura di Silvio D’Amico, Le Maschere, Roma 1954-
68, IX voll.
IBI = Indice biografico italiano, K. G. Saur, München 20074.
MGG = Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Allgemeine Enzyklopädie der Musik. Unter
Mitarbeit zahlreicher Musikforscher des In- und Auslandes herausgegeben von Friedrich
Blume, Bärenreiter, Kassel-Basel 1949-1986, nuova edizione 2004-2009.
NG2001 = The New Grove dictionary of Music and Musicians. Second revised edition,
edited by Stanley Sadie executive editor John Tyrrel, 29 voll., London-New York,
MacMillian, 2001.
NGO = The New Grove Dictionary of Opera, 4 voll., edited by Stanley Sadie, London-New
York, MacMillian, 1994².
PIPER = Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters. Oper, Operette, Musical, Ballett,
herausgegeben von Carl Dahlhaus und Siegart Döhring, Piper, München-Zurig 1986.
SCHMIDL = SCHMIDL Carlo, Dizionario Universale dei Musicisti, Sonzogno, Milano 1936-
37 (ristampa della seconda edizione 1928-29), Supplemento, Sonzogno, Milano 1938.
STIEGER = STIEGER Franz, Opernlexikon, teil I-IV 11 voll., Schneider, Tutzing 1975-83.

SIGLE DELLE BIBLIOTECHE MENZIONATE

Si sono adottate le sigle della serie alfabetica del Répertoire International des Sources
Musicales (RISM) per le seguenti biblioteche:
18

A - Austria
A-Wn Wien, Österreichische Nationalbibliothek
B - Belgio
B-Bc Bruxelles, Conservatoire Royal de Musique Bibliothèque
D - Germania
D-BsB Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Musikabteilung
D-Mbs München, Bayerische Staatsbibliothek
F - Francia
F-Pn Paris, Bibliothèque National
GB - Inghilterra
GB-Lbl London, The British Library
GB-T Tenbury Wells, St. Michael’s College Library
I - Italia
I-Bam Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Cassa di Risparmio
(Biblioteca Ambrosini)
I-Bas Bologna, Archivio di stato
I-Bc Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale
I-Bmischiati Bologna, Biblioteca privata Oscar Mischiati
I-Bsf Bologna, Biblioteca del convento di San Francesco
I-BAcp Bari, Biblioteca del Conservatorio «Niccolò Piccinni»
I-BAmorgese Bari, Archivio privato Waldemaro Morgese
I-BAn Bari, Biblioteca Nazionale «Sagarriga Visconti Volpi»
I-BApdg Bari, Biblioteca a Archivio Provinciale De Gemmis
I-BAR Barletta, Biblioteca Comunale «Sabino Loffredo»
I-BGc Bergamo, Civica Biblioteca «Angelo Mai»
I-BRq Brescia, Biblioteca civica Querininana
I-BRI Brindisi, Biblioteca Arcivescovile «Annibale De Leo»
I-CAcon Cagliari, Biblioteca del Conservatorio «Giovanni Pierluigi da Palestrina»
I-COc Como, Biblioteca Comunale
I-Fc Firenze, Biblioteca del conservatorio «Luigi Cherubini»
I-Fm Firenze, Biblioteca Marucelliana
I-Fn Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale
I-FERc Fermo, Biblioteca Comunale
I-FOG Foggia, Biblioteca Provinciale e Museo Civico
I-FPfanan Fratta Polesine, Biblioteca privata Giorgio Fanan
I-Gl Genova, Biblioteca del conservatorio «Niccolò Paganini»
I-GALc Gallipoli, Biblioteca Comunale
I-GALverona Gallipoli, Biblioteca privata Verona
I-GALAmiccolis Galàtone, Biblioteca privata Giuseppe Maria Miccolis
I-LE Lecce, Biblioteca provinciale «Nicola Bernardini»
I-Mc Milano, Biblioteca del conservatorio «Giuseppe Verdi»
I-Mcom Milano, Biblioteca Comunale «Sormani»
I-Mr Milano, Biblioteca della Casa Ricordi
I-Ms Milano, Biblioteca teatrale «Livia Simoni» Museo teatrale alla Scala
19

I-MAC Macerata, Biblitoeca comunale «Mozzi-Borghetti»


I-MATts Matera, Biblioteca comunale «Tommaso Stigliani»
I-MFad Molfetta, Archivio Diocesano
I-MFc Molfetta, Biblioteca Comunale «Giovanni Panunzio»
I-MOa Modena, Biblioteca dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere ed
Arti
I-MONc Monopoli, Biblioteca del Conservatorio «Nino Rota»
I-MONcom Monopoli, Biblioteca Comunale «Prospero Rendella»
I-Nc Napoli, Biblioteca del Conservatorio «S. Pietro a Majella»
I-Nf Napoli, Biblioteca Oratoriana dei Gerolamini (Filippini)
I-Nlp Napoli, Biblioteca «Lucchesi Palli» (in I-Nn)
I-Nn Napoli, Biblioteca Nazionale
I-NOVd Novara, Biblioteca Capitolare
I-OS Ostiglia, Biblioteca della Fondazione Greggiati
I-PAc Parma, Biblioteca Palatina sezione musica-Conservatorio «Arrigo Boito»
I-PCcon Piacenza, Biblioteca del Conservatorio «Giuseppe Nicolini»
I-PESc Pesaro, Biblioteca del Conservatorio «Gioachino Rossini»
I-Raf Roma, Biblioteca dell’Accademia Filarmonica Romana
I-Rf Roma, Archivio dei Padri Filippini
I-Rims Roma, Biblioteca del Pontificio Istituto di Musica Sacra
I-Rn Roma, Biblioteca Nazionale Centrale «Vittorio Emanuele II»
I-Rsc Roma, Biblioteca del Conservatorio di S. Cecilia
I-Rvat Città del Vaticano, Biblioteca Vaticana
I-REt Reggio Emilia, Biblioteca del Teatro municipale «Romolo Valli»
I-Sacsc Siena, Archivio della Casa S. Caterina
I-SASc Sassari, Biblioteca del Conservatorio «Luigi Canepa»
I-Tco Torino, Biblioteca del Conservatorio «Giuseppe Verdi»
I-Tt Torino, Archivio musicale del Teatro Regio
I-TAc Taranto, Biblioteca Civica «Pietro Acclavio»
I-TAfalgheri Taranto, Archivio privato famiglia Falgheri
I-TRN Trani, Biblioteca Comunale «Giovanni Bovio»
I-Vgc Venezia, Biblioteca della Fondazione Giorgio Cini
I-Vlevi Venezia, Biblioteca della Fondazione Ugo e Olga Levi
I-Vnm Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana
I-VAcl Varese, Biblioteca del Civico Liceo Musicale
I-VEc Verona, Biblioteca Civica
US - Stati Uniti d’America
US-Bp Boston, Boston Public Library, Music Department
US-CA Cambridge (MA), Harvard University Harvard College Library
US-NYp New York, Public Library
US-Wc Washington, Library of Congress
Addenda al volume I

Nel primo volume di Operisti di Puglia si era scelto di includere all’interno dei cataloghi
delle opere drammatiche anche gli oratorii, in virtù delle affinità morfologiche con i melo-
drammi. In un secondo tempo si decise di dedicare singole voci anche ai compositori del Sei
e del Settecento che scrissero soltanto oratorii (il caso di Onofrio Van Westerhout). Si
riportano qui di seguito gli scarni dati relativi ad altri autori che, una volta rientrati in patria,
riversarono nella composizione di drammi sacri la conoscenza della teatralità musicale acqui-
sita durante il tirocinio svolto nei conservatorii partenopei (le voci non firmate sono state
redatte dallo scrivente). Di FRANCESCO DOLÉ si ignora se fosse di nascita pugliese, ragion per
cui non gli è stata dedicata una voce; giova tuttavia ricordare che per la festa di S. Cataldo
a Corato – dove svolgeva il ruolo di maestro di cappella – compose due oratorii, i cui libretti
sono conservati presso la Biblioteca «Sagarriga Visconti-Volpi» di Bari: Il figliuol prodigo
raveduto (Corato 30 maggio 1747) e La morte d’Abel (Corato maggio 1752).
Prima di presentare il breve elenco aggiuntivo degli autori settecenteschi di opere e di
oratorii, si desidera emendare alcune sviste e integrare qualche lacuna bibliografico-discogra-
fica relativa agli autori già censiti nel primo volume. Nell’elenco delle biblioteche era stata
omessa quella del monumento nazionale di Montecassino (sigla RISM I-MC). Per la disco-
grafia di Ignazio Gerusalemme si segnala il CD Musicisti pugliesi in archivi iberici (direttore
Anibal E. Cetrangolo) Tactus TC701001. Di Insanguine e Logroscino non erano state ricor-
date le opere manoscritte presenti on-line alla pagina www.internetculturale.it, né l’edizione
moderna della sinfonia di Motezuma di Insanguine curata da Lorenzo Fico (Roma, Il Melo-
grano, 1996). Nel momento in cui il precedente volume andava in stampa la casa discografica
Dynamic produceva in DVD L’Alidoro di Leonardo Leo. Per quanto concerne la bibliografia
paisielliana vanno aggiunti gli ottimi libri di sala su Barbiere di Sivilgia e Re Teodoro in
Venezia disponibili sul sito www.teatrolafenice.it e il saggio di Lorenzo Bianconi, Wer schrieb
das libretto zu Paisiellos “Barbiere di Siviglia”?, in «Mitteilungen des Dokumentationszen-
trums für Librettosforschung» 12 (luglio 2005), pp. 6-7. L’autore della tesi di laurea sulla
Messa in Pastorale è Linda Natale e non, come indicato, Ignazio Natale. Alla bibliografia su
Luigi Rossi vanno aggiunti i seguenti titoli: Isabelle Massin, L’Orfeo de Luigi Rossi. Premier
opéra représenté à Paris, in Musiques d’Orphée a cura di Danièle Pistone e Pierre Brunel,
Paris, PUF, 1999, pp. 53-61; Margareth Murata, Why the first opera given in Paris wasn’t
roman, in «Cambridge Opera Journal» VII, 1995, pp. 87-105; Alba Scotti-Michael Klaper,
L’Orfeo di Francesco Buti e Luigi Rossi. Storia di un libretto tra Roma e Parigi, in Musica
e drammaturgia a Roma al tempo di Giacomo Carissimi, a cura di Paolo Russo, Venezia,
Marsilio, 2006, pp. 87-105.
La bibliografia relativa ai Tricarico di Gallipoli era priva dell’importante contributo di
Paola Besutti, Centri e periferie musicali in Europa fra Sei e Settecento: Nicolò e gli altri
Tricarico, da Gallipoli al mondo, in I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del barocco,
Atti del convegno di Lecce 23-26 ottobre 2000, Roma, Salerno editrice, 2002, pp. 663-685.
Per il catalogo di Tritto: l’Indice de’ teatrali spettacoli di tutto l’anno 1798 a p. 21 attesta
22

una rappresentazione della Morte di Cesare nel teatro Nazionale di Brescia per la fiera
dell’estate 1798. Sono stati erroneamente considerati titoli distinti La bella selvaggia (Roma
1788) e La creduta selvaggia (1792): si tratta invece della stessa opera, desunta non da
Goldoni bensì dalla commedia di Cerlone Gl’Inglesi in America.
Lorenzo Mattei
23

MICHELE ARDITI
Presicce (LE), 12 settembre 1746 - Napoli, 23 aprile 1838

Cronologia

1746-1773. Dopo aver acquisito una solida istruzione presso il Seminario di


Lecce, Michele Arditi, figlio di Gaspare e di Francesca Villani, si trasferisce a
Napoli. Dal 1762 al 1764 si forma con l’Abate Genovesi. Si distingue subito negli
studi giuridici e intraprende la tradizionale carriera forense, pubblicando dotte
dissertazioni (1767,1773). Nel contempo attende a più interessi culturali, a studi
eruditi, storici, numismatici e, in particolare, archeologici: nel solco di un modello
umanistico e accademico settecentesco egli mira a compiere ricerche in vari campi
del sapere. Mentre moltiplica le sue relazioni con i «dotti» del Regno e di altri stati,
Arditi coltiva sempre la sua sensibilità musicale, rivelata con una prima intonazione
metastasiana (Gioas re di Giuda, 1767), proseguita sotto il magistero di Niccolò
Jommelli (dal 1769) e tenuta viva probabilmente fino a tarda età.
1787-1798. Ricopre rilevanti cariche nella capitale, ricevendo numerosi ricono-
scimenti come la nomina a membro dell’Accademia Ercolanense (1787) e dell’Ac-
cademia di Scienze e Belle arti (1790). Dal 1797 diviene marchese di Castelvetere.
1799-1807. Durante la rivoluzione partenopea si ritira a Presicce, poi torna a
Napoli e nel 1807 Giuseppe Bonaparte lo nomina direttore del Museo di Napoli
e sovrintendente degli scavi di antichità.
1817-1838. Nel 1817 il re Ferdinando gli conferma queste cariche e lo nomina
direttore generale di tutti i depositi letterari, antiquari e di belle arti. Nel 1819
dona al Collegio di Musica (poi Conservatorio S. Pietro a Majella) la propria
preziosa collezione di manoscritti e stampe musicali.
Nell’arco della sua lunga esistenza è sempre stimato per la munificenza mostrata
(cfr. DE ROSA MARCHESE DI VILLAROSA 1840, p. 7) e la sensibile preparazione: ne
è prova anche il fitto epistolario con tante personalità dell’epoca, oggi nell’archivio
di famiglia insieme a studi inediti e al corpus delle sue composizioni musicali.
Muore all’età di novantadue anni e il Canova ne scolpisce la tomba nella chiesa
napoletana di San Ferdinando.
Le composizioni sopravvissute di Arditi, tutte manoscritte, sono custodite nella
terra natale e coprono un arco temporale che va dal 1767 al 1793. Sono irreperibili
alcune partiture citate dai primi biografi, tra le quali una Olimpiade su libretto
di Metastasio e molta musica sacra.
Il nobile dilettante di musica risulta autore di testi a stampa giuridici o eruditi
(alcuni presenti su Google books) reperibili sulla banca dati del Sistema Biblio-
tecario Nazionale, mentre l’unica partitura a stampa ivi catalogata a suo nome,
una Polca per pianoforte, è in realtà opera del piemontese Luigi Arditi.
24

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Un’analisi dello stile di Arditi è contenuta nella più recente monografia a lui
dedicata (DE BLASI 1995). Arditi predilige testi di Metastasio, a partire dal Gioas
del 1767 fino alla cantata La gelosia del 1792 e alle arie Povero cor tu palpiti
(dalla Nitteti) e Se cerca, se dice (da Olimpiade) del 1793. L’attenzione ai timbri
dei fiati, l’ambiziosa linea vocale, l’affrancamento frequente della viola dal basso
continuo, la preferenza per il recitativo accompagnato denotano l’interessante
linguaggio di Arditi. Le sue pagine sono aggiornate alle tendenze e ai precetti più
alla moda e rivelano un buon professionismo musicale vissuto, nel senso più pieno
del termine, da amateur.

Bibliografia
(DBI, DEUMM, SCHMIDL.)
ARDITI Giacomo, Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Tipografia Scipione
Ammirato, Lecce 1879. Ristampa anastatica Forni, Bologna 1979, pp. 492-496.
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal terzo secolo a. C. ai nostri giorni. Con
schedario biografico degli artisti, cantanti e musicisti più noti, Schena, Fasano 1985, p. 27.
DE BLASI Sergio, L’intelligenza musicale di Michele Arditi. Prefazione di Giuseppe A. Pastore.
Congedo, Galatina 1995.
DE ROSA Carlo Antonio, Marchese di Villarosa, Memorie dei compositori di musica del Regno di
Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1840, pp. 6-7.
FOSCARINI Antonio Edoardo, Di alcuni inediti del salentino Michele Arditi Marchese di Castelvetere
in «Lu Lampiune», anno V n. 2 (1989), pp. 43-59.
GABRIELI Giuseppe, Michele Arditi da Presicce moderno umanista salentino in «Rinascenza Salen-
tina», VI (1938), pp. 285-312.
PELLEGRINO Teodoro, Nel primo centenario della morte di Michele Arditi in «L’Ordine», 31 dicembre
1938.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 21-22.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904.

Opere drammatiche e oratorii


1. Gioas re di Giuda, oratorio di Pietro Metastasio, NA s.l. 1767.
2. Olimpiade, dramma per musica di Pietro Metastasio, NA? s.d. ma 1770 ca.
Annamaria Bonsante

NICOLA CALATRAVA
Bari, 1680 ca. - ivi, metà XVIII sec.

Figlio del barese Bartolomeo Calatrava, Nicola risulta tra gli allievi del conservatorio
napoletano della Pietà dei Turchini nel 1695, ammesso per «anni sette»; è ipotizzabile
dunque che intorno al 1702 avesse fatto ritorno in patria. Nel 1718 viene stampato a Trani
il libretto dell’oratorio L’Inferno in catena di Antonio Notarpretis musicato dal Calatrava
menzionato come «maestro di cappella in detta città d’Altamura». Lo si ricorda soprattutto
per aver avuto tra i suoi allievi il giovane Niccolò Piccinni.
25

Bibliografia
BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
DISTASO Grazia, De l’altre meraviglie. Teatro religioso in Puglia (sec. XVI-XVIII), in «Musica e
Teatro. Quaderni degli Amici della Scala» 6 (dicembre 1987), pp. 149, 161-162.
FABRIS Dinko, Maestri e allievi italiani di Piccinni, in Il tempo di Niccolò Piccinni. Percorsi di
un musicista del Settecento, a cura di Clara Gelao, Michèle Sajous D’Oria, Adda, Bari 2000, pp.
21 e 120.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 40.

Oratorii

1. L’Inferno in catena, oratorio sagro dell’assunzione di Maria dedicato al merito impa-


reggiabile dell’Illustrissimo Monsignor Don Michele Orsi degnissimo arciprete ed ordinario
della città d’Altamura […] composta dal Reverendo Don Antonio Notarpretis di detta città
e posta in musica dal signor Nicolò Calatraua [sic] di Bari maestro di cappella in detta città
d’Altamura in questo presente anno 1718. Trani, 1718 (libretto in I-BAn).

NICOLA CAPUTI
Gallipoli (LE), 1718 ca. - ivi, 1794

Allievo di Durante a Napoli non riuscì ad affermarsi come compositore d’opera a motivo
di una salute malferma: «la sua famiglia lo richiamava alla patria e la sua salute infermiccia,
e sempre afflitto dal male d’impedimento di orina, lo fecero risolvere a ritirarsi. Gallipoli
non era per lui quel gran teatro nel quale potesse far campeggiare i suoi talenti ma ciò
nonostante produsse varie composizioni particolarmente ecclesiastiche. Morì verso la fine
del [Settecento] in età molto avanzata senza essersi casato». Questi gli unici dati riportati
dal Ravenna. Con molta probabilità al rientro da Napoli (1742-43 ca.) Caputi trovò presto
impiego presso le istituzioni religiose di Gallipoli – viene definito «Chierico» e «maestro
di cappella» nei libretti superstiti a lui riferiti – alle quali destinò i suoi due oratorii (1744
e 1752). Nel 1754 scrisse una frottola sacra (genere tipico della produzione gallipolina) per
la chiesa di S. Maria del Carmine, dove l’anno precedente figura insieme a Giuseppe Chiriatti
tra gli organisti e maestri di cappella (ruolo svolto fino al 1790 ca.). Alla morte (1794) risulta
essere maestro di cappella della cattedrale di Gallipoli, posto che ricoprì dal 1767.

Bibliografia
BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
COSI Luisa, Giardini stellati e cieli fioriti. Tradizione sacra e produzione musicale a Gallipoli dal
XVI al XIX secolo, Conte, Lecce 1993 (se ne veda la ricca bibliografia).
26

DISTASO Grazia, De l’altre meraviglie. Teatro religioso in Puglia (sec. XVI-XVIII), in «Musica e
Teatro. Quaderni degli Amici della Scala» 6 (dic. 1987), pp. 149, 161-162.
FABRIS Dinko, Maestri e allievi italiani di Piccinni, in Il tempo di Niccolò Piccinni. Percorsi di
un musicista del Settecento, a cura di Clara Gelao, Michèle Sajous D’Oria, Adda, Bari 2000, pp.
21 e 120.
LIACI Vincenzo, Per la storia del teatro a Gallipoli, a cura di Michele Paone, in «Zagaglia», a. IV
n. 24 (dic. 1964), pp. 404-405.
PASTORE Giuseppe A., Scuole musicali in Gallipoli, in «Informazioni Archivistiche e Bibliografiche
sul Salento» a. I n. 3 1957, pp. 5-7.
PINDINELLI Elio, Settecento tipografico leccese, in «Nuovi Orientamenti» XIII/72 (febbraio 1982), pp.
9-10 (per i dati biografici di Caputi).
RAVENNA Bartolomeo, Memorie Istoriche della città di Gallipoli, Raffaele Miranda, Napoli 1836,
p. 519 (presente in visualizzazione completa su Google.books)
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 44.

Oratorii

1. Per l’aspettazione del divin parto, componimento drammatico del sacerdote Don Pasquale
D’Aloisio, posto in musica dal signor chierico Don Nicola Caputi da recitarsi nella
chiesa dei domenicani in Gallipoli nell’anno 1744, Lecce, Domenico Viverito, 1744
(libretto in I-LE; I-GALverona).
2. Oratorio a cinque voci per la gloriosa vergine e martire S. Agata [testo di Giovanni
Presta], da cantarsi nella chiesa cattedrale di Gallipoli nel corrente anno 1752, musica
del chierico Nicola Caputi maestro di cappella di Lecce, Domenico Viverito, 1752
(libretto in I-Fm, I-GALc; I-GALverona).

GIUSEPPE CHIRIATTI
Gallipoli (LE), 1732 - ivi, 2 febbraio 1812

Allievo di Durante al conservatorio di S. Onofrio e coetaneo di Caputi pare che


riscosse un certo successo come tenore e come compositore d’occasione in ambito
salentino. Il Ravenna testimonia che «riuscì un professore rinomato di musica» e
in effetti Chiriatti fu «artisticamente longevo e versatile come pochi altri nell’am-
pia rosa di musicisti gallipolini di fine Settecento» (cfr. Luisa COSI 1993, p. 129n).
Tornato da Napoli verso il 1753, Chiriatti fu impiegato come violinista presso la
chiesa del Carmine, dove fu poi maestro di cappella fino circa al 1790. Lo stesso
ruolo ricoprì in Maria SS. Immacolata dal 1762 e in S. Luigi dal 1780, dove svolse
attività didattica presso il conservatorio femminile (Chiriatti scrisse i Principij per
cembalo ad uso dei suoi allievi). Dal 1773 ricoprì la carica di depositario della
confraternita del Carmine. Dagli anni ’70 fu attivo anche nella confezione di
musica liturgica per la confraternita delle SS. Anime del Purgatorio. Dal 1794 fino
alla morte – avvenuta nel 1812 e celebrata con funerali solenni e «con orchestra
musicale» (così Ettore Vergole nella sua manoscritta Storia di Gallipoli) – fu
maestro di cappella della cattedrale di Gallipoli. Di Chiriatti sopravvive il libretto
di un solo oratorio e varie partiture di musica sacra.
27

Bibliografia

BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
COSI Luisa, Giardini stellati e cieli fioriti. Tradizione sacra e produzione musicale a Gallipoli dal
XVI al XIX secolo, Conte, Lecce 1993 (se ne veda la ricca bibliografia).
LIACI Vincenzo, Per la storia del teatro a Gallipoli, a cura di Michele Paone, in «Zagaglia», a. IV
n. 24 (dic. 1964), pp. 404-405.
PASTORE Giuseppe A., Scuole musicali in Gallipoli, in «Informazioni Archivistiche e Bibliografiche
sul Salento» a. I n. 3 1957, pp. 5-7.
PINDINELLI Elio, Settecento tipografico leccese, in «Nuovi Orientamenti» XIII/72 (febbraio 1982), pp.
9-10.
RAVENNA Bartolomeo, Memorie Istoriche della città di Gallipoli, Raffaele Miranda, Napoli 1836,
p. 519 (presente in visualizzazione completa su Google.books)
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 53-54.

Oratorii

1. Verona liberata dal giogo di Ezzelino tiranno per opera del glorioso S. Antonio da
Padova. Oratorio scenico da farsi rappresentare da Sua Eccellenza Don Giacinto M. Ferrari,
duca di Parabita, in detta sua terra nella seconda domenica di luglio di questo corrente anno
1757 per la solenne festività del medesimo santo, di sé e di tutta l’eccellentissima sua casa
speciale Avvocato e Tutelare. Poesia del Molto Reverendo Padre Francesco Pondera, lettore
giubilato de’ Minimi; musica del sig. Don Giuseppe Chiriatti. Lecce, Stamperia Viveriziana.

DOMENICO ANTONIO CORIGLIANO DE’ MARCHESI DI RIGNANO


Rignano Garganico (FG), 17 gennaio 1770 - Napoli, 22 febbraio 1838

Cronologia

«Nacque Domenico Corigliano in Rignano fondo di sua famiglia nel dì 17 gennajo


1770. Nell’età di anni undici fu mandato per educazione nel Collegio detto de’
nobili di Napoli […] regolato in quel tempo da’ PP. Somaschi, che era fiorente
per ottimi istitutori». Così il Marchese di Villarosa comincia la biografia del nostro,
non prima di aver espresso tutto il suo dolore per la perdita dell’amico, gentiluomo
stimatissimo nella capitale. Domenico Antonio, citato dai più antichi repertori
musicali, si forma e dimora a Napoli dalla tenera età, ma non studia presso i
conservatori, bensì nel collegio dei nobili, fatto che si addice alla sua condizione
aristocratica. Diviene Cavaliere Gerosolimitano e si reca a Malta, da dove nel 1798
è costretto a tornare, a causa dell’occupazione francese. Sceglie di dedicarsi alla
musica e il re Ferdinando lo pone a capo della Real Deputazione degli Spettacoli
per cinque anni, facendone una figura di primaria importanza nel contesto culturale
del Regno. Per breve tempo è anche governatore dei Regi Collegi di Musica.
28

È amico di poeti, dotti, pensatori, musicisti ed è ricoperto di stima e onorifi-


cenze: il barone Schubart lo nomina nel 1823 socio ordinario della Società italiana
di scienze, lettere ed arti di Livorno; nel 1824 grazie all’amicizia con Giovanni
Simone Mayr diviene socio corrispondente dell’Unione Filarmonica di Bergamo;
in seguito è ammesso anche nell’Accademia Filarmonica di Palermo. Per suo
interessamento la tomba di Giovanni Battista Pergolesi riceve una lapide nella
Cattedrale di Pozzuoli. Si spegne a Napoli nel 1838.
Corigliano si cimenta in tutti i generi musicali mostrando notevole perizia nella
musica vocale “da salotto”, genere nel quale eccelle: qui il dialogo cameristico
divincola il pianoforte dal mero accompagnamento ed esalta una graziosa vocalità,
elegante nell’effetto, nello spirito, curata nella corrispondenza testuale. I suoi
numerosi lavori, manoscritti e a stampa, sono conservati in varie località italiane
(Montecassino, Bergamo, Ortona, Milano, Pisa, Napoli, etc.) ed europee (Schwe-
rin, Muenster, Monaco, Vienna, Parigi etc.).
Corigliano è spesso autore dei versi che intona, si dedica a trascrizioni di ogni
tipo e molta sua musica è pubblicata da Ricordi (Milano); da Girard, da Tramater
(Napoli); da La Syrene (Parigi). Non mancano rielaborazioni di sue composizioni
da parte di altri autori (si veda il caso delle ariette trascritte da Mauro Giuliani
per voce e chitarra), e grande fortuna hanno le sue riduzioni pianistiche di me-
lodrammi (da Rossini, Mercadante, Raimondi etc.) e trascrizioni per organici
puramente strumentali (tra queste spiccano le Quattro Fantasie concertanti per
pianoforte, violino, flauto e violoncello su opere di Gaetano Donizetti). L’unico
lavoro drammatico che gli viene attribuito è l’intonazione della metastasiana Isola
disabitata.
Il corpus di Corigliano custodito nel fondo dell’abbazia di Montecassino,
finalmente oggi perfettamente catalogato, consta di 779 composizioni, 49 delle
quali a stampa (cfr. schede in INSOM 2003, pp. 233-336). Egli, oltre alle proprie
composizioni, dona alla comunità benedettina un ricchissimo archivio musicale,
che, come riferisce già il Villarosa nel 1840, comprende anche l’inestimabile
autografo dello Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi.
Il marchese ha due fratelli minori monaci nell’abbazia: Ferdinando (1776-
1831) e Filippo (1781-1837). Quest’ultimo, entrato in tenera età e nel 1836
divenuto priore a Montecassino, fu organista, pianista, compositore. Attivo anche
a Roma (ove fu priore per tre anni in S. Paolo fuori le Mura), lascia all’abbazia
cassinese musiche autografe, trascrizioni ed estratti da melodrammi, rare edizioni.
Su Domenico Corigliano, autore pugliese in attesa di un sensibile recupero
esecutivo e scientifico, si è svolta a Rignano Garganico una giornata di studi
nell’agosto 2009, a cura di Salvatore Villani e Vincenzo Lombardi.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, MGG, SCHMIDL)

DE ROSA Carlo Antonio Marchese di Villarosa, Memorie dei compositori di musica del Regno di
Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1840, pp. 56-64.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Morano, Napoli 1880-1883,
p. 89.
29

INSOM Giovanni, Introduzione in Il fondo musicale dell’Archivio di Montecassino, a cura di Gio-


vanni Insom, presentazione di Faustino Avagliano, Pubblicazioni Cassinesi, Montecassino 2003
(«Studi, cataloghi e sussidi dell’Istituto di Bibliografia Musicale» 11), pp. XI-XXXVIII.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904.
Rist. anast. Forni, Bologna 1974.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 57-58.
ZAVADINI Guido, Donizetti. Vita, musiche, epistolario, Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo 1948,
pp. 237, 245, 257, 273.

Opere drammatiche

1. L’isola disabitata, azione teatrale di Pietro Metastasio, s.d. s.l. non rappresentata?
Annamaria Bonsante

ANDREA FESTA
Altamura (BA), 1744 ca. - ? fine XVIII sec.

Non si conoscono con precisione le date di nascita e morte del primogenito di


Giuseppe Nicola Festa, capostipite di una famiglia che tra Sette e Ottocento si
dedicò alla carriera musicale. Ottavio Serena lo definì «abile maestro di cappella
[…] e di musiche sacre e teatrali»; Francesco Florimo gli attribuisce la compo-
sizione di Il Medico (Napoli 1767) che nel catalogo Sartori figura musicato da
Andrea Testa. Errore tipografico o lapsus calami che sia, si può ben credere che
si tratti proprio di Festa chiamato a comporre la consueta operina di congedo dagli
studi compiuti presso il conservatorio di «S. Onofrio a Capuana». Qui infatti venne
inscenata quella commedia per musica scritta da Antonio Villani per i ragazzi del
conservatorio. Anche per Festa, come per molti altri aspiranti operisti, alla mancata
affermazione nel circuito teatrale corrispose il rientro in patria e la ricerca di
occupazioni presso istituzioni religiose limitrofe. Pasquale Sorrenti assegna a Festa
l’oratorio Ester eletta (1751) che nel catalogo Sartori è attribuito a Niccolò
Grimaldi maestro di cappella della cattedrale di Altamura confondendolo proba-
bilmente con Ester figura di Maria Vergine, azione sacra da rappresentarsi sulla
scena il 4 settembre 1781 nella città di Acquaviva in occasione dell’incoronazione
di Maria Santissima.

Bibliografia

DISTASO Grazia, De l’altre meraviglie. Teatro religioso in Puglia (sec. XVI-XVIII), in «Musica e
Teatro. Quaderni degli Amici della Scala» 6 (dic. 1987).
MAGLIO Orazio, Andrea Festa: Messa per voci Cantus Alto e Organo (1780 ca.) in «Studibitontini»
n. 67 (1999/1), pp. 93-94.
MAGLIO Orazio - QUARTA Margherita, Musicisti di Puglia. Un manoscritto di Andrea Festa ritrovato
nell’Archivio della Cattedrale di Altamura, in «Studibitontini» n. 66 (1998/2), pp. 113-118.
SERENA Ottavio, I musicisti altamurani. Notizie […] in occasione del centenario di Saverio
Mercadante, Tip. Portoghese, Altamura 1895.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Altamura, in «Altamura» nn. 31-32 (1989-90), pp. 203-204.
30

Opere drammatiche e oratorii

1. Il Medico, commedia per musica di Antonio Villani, NA Conservatorio di S. Onofrio


1767 (libretto in I-Rsc).
2. Ester figura di Maria Vergine azione teatrale n.n., Acquaviva delle Fonti 4 settembre
1781 (libretto in I-BAn).

CELESTINO GRECO
Lecce, 9 gennaio 1695 - ? metà XVIII sec.

Non si è in possesso di alcun dato sulla formazione di Celestino Greco che rivestì
il ruolo di maestro di cappella del Duomo di Lecce (ruolo attestato dai libretti
superstiti). In questa città rimase tutta la vita dedicandosi al servizio musicale
liturgico e alla composizione di drammi sacri per i padri Minimi di Gallipoli.

Bibliografia

BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
COSI Luisa, Giardini stellati e cieli fioriti. Tradizione sacra e produzione musicale a Gallipoli dal
XVI al XIX secolo, Conte, Lecce 1993 (se ne veda la ricca bibliografia).
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal III secolo a.c. ai giorni nostri (con
schedario biografico degli artisti, cantanti e musicisti più noti), Schena, Fasano 1985.
LIACI Vincenzo, Per la storia del teatro a Gallipoli, a cura di Michele Paone, in «Zagaglia», a. IV,
n. 24 (dic. 1964), pp. 404-405.
PASTORE Giuseppe A., Scuole musicali in Gallipoli, in «Informazioni Archivistiche e Bibliografiche
sul Salento» a. I n. 3 1957, pp. 5-7.
RAVENNA Bartolomeo, Memorie Istoriche della città di Gallipoli, Raffaele Miranda, Napoli 1836,
p. 519 (presente in visualizzazione completa su Google.books)
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 126-127.

Oratorii

1. L’umiltà trionfante nel cuore di S. Francesco di Paola. Oratorio da cantarsi nel dì


festivo dello stesso santo nella sua chiesa di Lecce. Musica del signor Celestino Greco,
mastro di cappella, Lecce, Oronzo Clariatti, 1724 (libretto in I-Nn).
2. I tre fanciulli resuscitati in Lima per miracolo di S. Francesco di Paola. Oratorio
recitato in questa città di Gallipoli l’anno 1738 nel dì festivo del medesimo santo nella
chiesa dei R[reverendi] Padri Minimi e da’ medesimi dedicato all’illustrissimo […] Don
Oronzio Filomarini de’ duchi di Cotrufiano e vescovo per la Dio grazia in questa
medesima città di Gallipoli. Musica del chierico Celestino Greco maestro di cappella
del duomo della città di Lecce. Lecce, Viverito, 1738 (libretto in I-GALverona).
31

DOMENICO LILLO
Galàtone (LE), 1711 - ivi, 15 giugno 1781

Le più che scarne notizie di questo autore provengono da Pasquale Maria Miccolis che le
trasmise nel 1964 a Pasquale Sorrenti. I libretti degli oratorii non sono presenti nel catalogo
Sartori. Fu cantore presso la Collegiata di Galàtone.

Bibliografia
BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 150.

Oratorii
1. L’eresia di Ario abbattuta dalla prodigiosa apparizione della Croce, oratorio scenico
di Giuseppe Carata da cantarsi in Galàtone il 3 maggio 1732.
2. L’invenzione della Croce, oratorio scenico di Oronzo Amorosi da cantarsi in Galàtone
il 3 maggio 1757 (libretto manoscritto in I-GALAmiccolis).

PAOLO MARZO (MARZI)


Modugno (BA), 1730 ca. - ? inizio XIX sec.

I dati relativi a questo autore si formulano per via ipotetica: formazione in uno
dei conservatorii napoletani, impiego – dopo il rientro nella città natale – in
un’istituzione religiosa del luogo. Sorrenti lo dice maestro di cappella del duomo
di Bitonto e segnala, senza menzionare alcuna fonte di riferimento, gli oratorii
Bersabea su testo di Giuseppe Pilolla (Roma, Zempel, 1761) e Gioas re di Giuda
intonato nel 1776.

Bibliografia

BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
BELLUCCI Mario Attilio, I musicisti baresi, in «Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», 1855,
pp. 196-200.
D’ADDOSIO Raffaele, 340 illustri letterati ed artisti della provincia di Bari, Tipografia Avellino, Bari
1894.
FAENZA Vito, I maestri di musica della provincia di Bari, in «Barinon» numero unico 1881, pp. 17-21.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 169-170.
32

Oratorii

1. Bersabea, oratorio di Giuseppe Pillola, Bitonto cattedrale 1761.


2. Gioas re di Giuda, oratorio da Pietro Metastasio, Bitonto cattedrale 1776.

CRISPINO CATALDO PASANISI


Gallipoli (LE), 10 maggio 1693 - ivi, 1765

Allievo dal 1705 della scuola gallipolina dei fratelli Tricarico, svolse il ruolo
di sottocantore nella cattedrale della città natale. Nei libretti è nominato maestro
di cappella e tale ruolo rivestì presso la cattedrale gallipolina dal 1745 fino al
1765. Come di altri coetanei maestri salentini anche di Pasanisi è noto l’impegno
nella stesura di drammi sacri e di composizioni celebrative: il «festoso ricevi-
mento fatto all’Illustrissimo Monsignor Arcivescovo Vescovo di Gallipoli Don
Antonio Maria Pescatori e Mantegasse» del 1741 e la «festa celebrata in Gallipoli
per la nascita del figlio secondogenito di Carlo Re di Napoli» del 1749 (cfr. COSI
1993, p. 37).

Bibliografia
BRINDISINO Maria Giovanna, Il Salento e la musica attraverso le fonti librettistiche dei secc. XVII-
XVIII, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Sei e Settecento, atti del
convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi,
Torre d’Orfeo, Roma 1988, pp. 95-115.
COSI Luisa, Giardini stellati e cieli fioriti. Tradizione sacra e produzione musicale a Gallipoli
dal XVI al XIX secolo, Conte, Lecce 1993 (se ne veda la ricca bibliografia).
LIACI Vincenzo, Per la storia del teatro a Gallipoli, a cura di Michele Paone, in «Zagaglia», a. IV
n. 24 (dic. 1964), pp. 404-405.
PASTORE Giuseppe A., Scuole musicali in Gallipoli, in «Informazioni Archivistiche e Bibliografiche
sul Salento» a. I n. 3 1957, pp. 5-7.
RAVENNA Bartolomeo, Memorie Istoriche della città di Gallipoli, Raffaele Miranda, Napoli 1836,
p. 519 (presente in visualizzazione completa su Google.books)
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 211-212.

Opere drammatiche e oratorii


1. «Armonioso melodramma» composto dal clerico Don Saverio Pappatotaro, Gallipoli
23 aprile 1741 per i solenni festeggiamenti dell’insediamento del vescovo Antonio
Pescatori Montegazza.
2. Il trionfo della virtù. Componimento drammatico da cantarsi celebrandosi il primo
felicissimo arrivo del’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Don S. Branconi
dell’Ordine Celestino, regio consigliere a latere e vescovo di Gallipoli […] Lecce,
Domenico Viverito, 1747 (libretto in I-GALverona).
3. Oratorio a cinque voci per la gloriosa vergine e martire S. Agata, oratorio di
Ramerino Parthenio da cantarsi nella chiesa cattedrale di Gallipoli nel presente anno
1736 per ordine di monsignor illustrissimo Don Oronzio Filomarini. Musica di Don
Crispino Pasanisi mastro di cappella, Lecce, Domenico Viverito, 1752 (libretto in I-
GALverona).
33

GIUSEPPE PEDOTA
Altamura (BA), 5 maggio 1754 - Orvieto (TR), 16 settembre 1831

Nato da Giovanni Lo Pedota e Teresa Santeramo, lasciò Altamura intorno ai primi


anni ’60 del XVIII secolo per studiare al conservatorio della Pietà dei Turchini
di Napoli dove concluse il tirocinio formativo nel 1771; l’anno seguente divenne
“mastricello”. La sua presenza è attestata a Napoli almeno fino al 1778; da quella
data prestò servizio fino alla morte come maestro di cappella presso il duomo di
Orvieto. Nel 1806 sposò l’aristocratica orvietana Margherita La vizza senza avere
figli. Tra i suoi allievi si distinse il basso comico Giuseppe Frezzolini.

Bibliografia

DRAGO Antonietta, Ricordo di Giuseppe Pedota, in «Altamura», n. 11 (1969), pp. 77-92.


ROLANDI Ulderico, Giuseppe Pedota musicista altamurano, in «Note d’Archivio per la storia musicale»
anno XIV, 1937, pp. 226-243.
ROLANDI Ulderico, Composizioni musicali di Giuseppe Pedota esistenti nell’Archivio dell’Opera
del Duomo di Orvieto, in «Note d’Archivio per la storia musicale» anno XIV 1937, pp. 241-243.
SERENA Ottavio, I musicisti altamurani. Notizie […] in occasione del centenario di Saverio
Mercadante, Tipografia Portoghese, Altamura 1895.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Altamura, in «Altamura», nn. 31-32 (1989-90), pp. 226-229.

Oratorii

1. Il trionfo della fede ossia il Miracolo del SS. Corporale di Orvieto, azione sacra di
Giuseppe Petrosellini, Orvieto 1795.
35

GENNARO ABBATE
Bitonto (BA), 1 aprile 1874 - Squinzano (LE), 11 settembre 1954

Cronologia

Il suo secondo nome è Michele. Studia musica dapprima col padre Biagio e poi
si trasferisce a Napoli per completare gli studi in conservatorio con Nicolò van
Westerhout. All’età di diciannove anni inizia a svolgere l’attività di direttore
d’orchestra, esibendosi nei teatri italiani di Alessandria, Bologna, Firenze, Ravenna
e in quelli russi di Kharkov (1901) e San Pietroburgo (1902), ove dirige importanti
stagioni liriche con interpreti del calibro di Enrico Caruso, Mattia Battistini, Titta
Ruffo, Carmen Melis, Luisa Tetrazzini e Gemma Bellincioni. Il 6 novembre del
1902 fa rappresentare al Teatro drammatico di Kharkov la sua opera Matelda o
I Fantasmi, in un atto e due quadri, che ebbe un buon successo e fu riproposta
al Teatro Storchi di Modena il 23 novembre del 1904 e in altre città italiane.
L’opera è su libretto di Valentino Soldani, il quale gli fornì anche quello per il
Sanzio (1902), in tre atti, rimasto non rappresentato. Scrisse l’operetta La stella
del Canadà su libretto di Emilio Reggio, rappresentata al Bellini di Napoli il 9
dicembre del 1921 e Le tre grazie, su libretto di Valentino Soldani, data all’Alhambra
di Firenze il 26 agosto del 1925. Compose su libretto proprio l’opera Vandea
(1930) e nel 1932 il lavoro in un atto Encantadora su testo di Emilio Reggio.
Fino al 1933 si esibirà come direttore in varie tournée in Russia, Olanda, America
del Sud, Svizzera e Francia. «Nel 1934 è chiamato dal fratello Ernesto, gravemente
infermo, a dirigere provvisoriamente la banda di Squinzano. Alla morte del fratello,
avvenuta dopo pochi mesi, abbandona la carriera orchestrale e rimane a dirigere
la banda di Squinzano». (cfr. ANESA 2004).
Fra le sue composizioni sono da menzionare un Trio con pianoforte (premiato al
concorso bandito dal Circolo Bellini di Catania), alcune Sinfonie e Poemi sinfonici
eseguiti nei concerti da lui diretti, diversa musica vocale da camera e pezzi per
banda.
Appartenente alla famiglia di musicisti di Bitonto ricordiamo il padre Biagio
e i fratelli Antonio Grazio e Ernesto Paolo (Noicattaro 6 ottobre 1881 - Martina
Franca 26 aprile 1934), direttore di varie bande pugliesi (San Ferdinando di Puglia,
Soleto e Squinzano).
Gennaro Abbate fu uno degli ultimi grandi musicisti pugliesi (ammirato fra gli
altri da Pietro Mascagni) che scelse Squinzano per raccogliere l’eredità musicale
del fratello, nonostante i suoi tanti successi internazionali. Riuscì a fare della Banda
di Squinzano un’orchestra, pur mantenendo gli strumenti propri del complesso
bandistico, e a riportare gli spartiti nella loro dimensione originaria ottenendo
risultati inimmaginabili prima di allora. Seguirono vent’anni di successi unici negli
annali delle bande musicali, interrotti solo dalla tragica parentesi del conflitto
bellico, in cui con la Banda-Orchestra di Squinzano continuò a riscuotere successi
e trionfi.
36

Bibliografia
(DEUMM, ES, IBI, SCHMIDL)
ANESA Mario, Dizionario della musica italiana per banda, Associazione Bergamasca Bande Musicali,
Bergamo 2004, vol. I, pp. 1-2.
BINETTI Domenico, Gemme musicali bitontine, La Librotecnica, Bitonto 1977, pp. 103-104.
BOSCIA Filippo - MARIELLA Pasquale, Capire la banda, Cassa Rurale ed Artigiana, Sammichele di Bari
1989.
CAPPELLO Angelo - CARLUCCIO Antonio - PASSANTE Italo, La Banda di Squinzano, Editrice Salentina,
Galatina 1987.
PASSANTE Italo, Abbate, a cura dell’Associazione Artistico-Culturale «Ernesto e Gennaro Abbate» di
Squinzano, Editrice Salentina, Galatina s.d.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Società di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano: 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, pp. 3-4.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 14.

Opere drammatiche

1. Matelda o I fantasmi, opera in un atto di Valentino Soldani, Kharkov 6 novembre 1902.


2. Sanzio, opera in tre atti di Valentino Soldani, non rappresentata.
3. La stella del Canadà, operetta di Emilio Reggio, NA Bellini 9 dicembre 1921.
4. Le tre grazie, operetta di Valentino Soldani, FI Alhambra 26 agosto 1925.
5. Vandea, opera su libretto proprio, non rappresentata.
6. Encantadora, opera in un atto di Emilio Reggio, non rappresentata.
Antonio Caroccia
37

ENRICO ABBATE
Bitonto (BA), 1855 circa - Napoli, post 1881

Cronologia

Scarsissimi i dati riferibili a questo autore che intorno al 1870 fu allievo di Nicola
D’Arienzo (contrappunto) e Giuseppe Puzone (armonia) al conservatorio di Napoli,
nel cui teatrino mise in scena il melodramma in due atti Gilberto (aprile 1881)
su libretto di Francesco Cimmino. Forse appartiene alla famiglia degli Abbate
musicisti di Bitonto.

Bibliografia
(SCHMIDL)

BINETTI Domenico, Gemme musicali bitontine, La Librotecnica, Bitonto 1977, pp. 103-104.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Società di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano: 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, pp. 3-4.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 14.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904.
«Il Teatro Illustrato», I, n. 5, maggio 1881 (notiziario).
«Gazzetta musicale di Milano», XXXVI (1881), pp. 189, 197.

Opere drammatiche

1. Gilberto, opera in due atti di Francesco Cimmino, NA teatrino del Collegio aprile 1881
(partitura in I-Nc*).
Antonio Caroccia
38

EMANUELE BERNARDINI MARRESE


Arnesano (LE), ante 1877 - Napoli, post 1912

Cronologia

Emanuele, padre di Ulderico Bernardini-Marrese, è attivo, con discreta fortuna, in


territorio leccese tra il 1877 e il 1912; successivamente si trasferisce con la famiglia
a Napoli. Le poche informazioni in possesso sulle sue composizioni, una parte delle
quali custodita a Pisignano (LE) nell’archivio della famiglia del soprano Ines
Martucci, sua nipote, fanno supporre che egli abbia scritto almeno sessantasei
composizioni, soprattutto inni sacri, parti dell’ordinario della messa e litanie; compone
anche una Messa a più voci, dedicata a Pio X, il cui manoscritto è conservato nella
Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma [I-Rvat]. Scrive anche romanze da salotto,
canzoni popolari in vernacolo leccese, polke, mazurche e barcarole.
Il suo unico melodramma è in un solo atto, Vendicata!, su libretto di Antonio
Menotti Buja (Lecce, 1877 - Napoli, 1940), di cui non si conserva la partitura.
Il libretto è forse la riduzione di un bozzetto drammatico del 1892, in un solo atto
con uguale titolo, scritto da Francesco Bernardini (Lecce, 1857 - Roma, 1951).

Bibliografia

(IBI)

BRINDISINO Maria Giovanna, “Appunti, punti e…puntini…” sull’attività musicale del Teatro Paisiello
di Lecce, in «Lu Lampiune», IX/1 (1993), pp. 65-71.
–, Cronologia delle stagioni liriche e degli spettacoli di operetta e balletto del Teatro Politeama
Greco di Lecce (1884-1926), in «Lu Lampiune», X/1 (1994), pp. 135-163.
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal III secolo a.C. ai giorni nostri, Schena,
Fasano 1985, p. 193.
MARTINELLI Elsa, Scintille d’ispirazione. Per un catalogo delle musiche di Emanuele e Ulderico
Bernardini-Marrese, in Segni del tempo. Studi di storia e cultura salentina in onore di Antonio
Caloro, a cura di Mario Spedicato, Edizioni Panico, Galatina 2008, pp. 221-239.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliese altri scritti di musicologia pugliese, Società di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990, p. 60 sg.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 30.

Opere drammatiche

1. Vendicata! opera in un solo atto di Antonio Menotti Buja, LE? non rappresentata?

Francesco Scognamiglio
39

ULDERICO BERNARDINI MARRESE


Lecce?, seconda metà del sec. XIX – ?, post 1920

Cronologia

Figlio di Emanuele Bernardini-Marrese, svolge la sua attività compositiva nel


leccese tra il 1910 e il 1920 con alcune puntate partenopee. Come nel caso del
padre Emanuele, anche per Ulderico le uniche fonti documentarie provengono
dall’archivio della famiglia del soprano Ines Martucci, sua cugina. Da esse si
desume che egli abbia scritto almeno ventisei composizioni tra le quali si segnalano
diversi inni mariani (notevole è Ricordatevi per coro di soprani e contralti e
harmonium, dedicato «a S.S. Benedetto XV», composto sul fronte di guerra quando
era di stanza a Gorizia) e pezzi per voce e pianoforte, come Il carnevale, scritto
nel 1915 in forma di cartolina postale indirizzata all’amico Pasquale Antonucci,
autore del testo.
Compone anche un’operetta, L’amore dei giacinti, su libretto di Antonio Menotti
Buja (Lecce, 1877 - Napoli, 1940), oggi perduta.

Bibliografia

(IBI)

BRINDISINO Maria Giovanna, “Appunti, punti e…puntini…” sull’attività musicale del Teatro Paisiello
di Lecce, in «Lu Lampiune», IX/1 (1993), pp. 65-71.
–, Cronologia delle stagioni liriche e degli spettacoli di operetta e balletto del Teatro Politeama
Greco di Lecce (1884-1926), in «Lu Lampiune», X/1 (1994), pp. 135-163.
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal III secolo a.C. ai giorni nostri, Schena,
Fasano 1985, p. 193.
MARTINELLI Elsa, Scintille d’ispirazione. Per un catalogo delle musiche di Emanuele e Ulderico
Bernardini-Marrese, in Segni del tempo. Studi di storia e cultura salentina in onore di Antonio
Caloro, a cura di Mario Spedicato, Edizioni Panico, Galatina 2008, pp. 221-239.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliese altri scritti di musicologia pugliese, Societa di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990, p. 60 sg.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 31.

Opere drammatiche

1. L’amore dei giacinti, operetta di Antonio Menotti Buja, LE? non rappresentata?

Francesco Scognamiglio
40

LUIGI FRANCESCO BIANCO


Gallipoli (LE), 14 ottobre 1859 - ivi, 6 novembre 1920

Cronologia

Compositore, studiò nel Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella – dove fu


allievo di Ercole Panico, Giuseppe Dell’Orefice, Schipa e Rivela – perfezionandosi
in composizione con Camillo De Nardis. Fu socio onorario dell’Accademia di S.
Cecilia e dell’Accademia Filarmonica di Roma, dell’Istituto musicale «Luigi
Cherubini» di Firenze e del circolo «Bellini» di Catania. Riorganizzò e diresse la
banda musicale di Gallipoli. Fu autore di brani pianistici, romanze per voce e pianoforte,
canzoni napoletane, di uno studio sinfonico e di alcune composizioni sacre. La sua
produzione operistica si compone di due titoli, uno soltanto dei quali fu rappresentato,
ed «ebbe sei repliche col “tutto esaurito”» (cfr. D’ANDREA 1985 p. 202).

Bibliografia
(SCHMIDL, STIEGER)
CASELLI Aldo, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Olschki, Firenze 1969, pp. 52-53.
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal terzo secolo a. C. ai giorni nostri. Con
schedario biografico degli artisti, cantanti e musicisti più noti, Schena, Fasano 1985, pp. 49,
193, 202.
DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale d’oggi. Dizionario dei musicisti, Ausonia, Roma 1918, p. 33.
LEGGER Gianni, Drammaturgia Musicale Italiana, Fondazione Teatro Regio di Torino, Torino 2005,
p. 91.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1955,
I, p. 126.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003 («Historiae Musicae Cultores», 97), p. 50.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 31.
«Il Teatro illustrato», XII, 136, aprile 1892, p. 55.
TOWERS John, Dictionary-Catalogue of Operas and Operettas, Acme publishing, Morgantown 1910,
pp. 566, 710.

Risorse on-line
Sul sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) sono presenti alcune musiche sacre di
Luigi Bianco.

Opere drammatiche
1. Sara la trovatella, melodramma in tre atti di Enrico Golisciani, Gallipoli teatro Comunale
7 marzo 1892 (libretto in I-Nc).
2. Almansor, melodramma in tre atti di Nicola Daspuro, non rappresentato.

Paolo Vittorelli
41

PASQUALE BONA
Cerignola (FG), 3 novembre 1808 - Milano, 2 dicembre 1878

Cronologia

1808-1831. Pasquale Nicola Domenico Raffaele Bona nasce a Cerignola (FG)


il 3 novembre 1808 da Carmine (di Napoli) e Maria Passalacqua (di Palermo).
Dalle scarse notizie biografiche sull’autore non è possibile ricavare dati certi sulla
sua prima formazione musicale. Con ogni probabilità inizia gli studi nella città
natale per trasferirsi poi a Palermo (presumibilmente presso i nonni materni), dove
nel 1828 risulta alunno del «Conservatorio del Buon Pastore» (detto anche Collegio
o Conservatorio «degli Spersi» e dal 1915 intitolato a Bellini). Al periodo palermitano
appartengono alcune composizioni sacre: due Messe a tre voci maschili con orchestra
(Messa in Fa del 1828 e Messa in Lab del 1829) e il salmo Dixit Dominus a
quattro voci con orchestra, datato 1830. Il manoscritto di quest’ultima opera indica
il Bona come alunno e Maestro di Cappella del «R. Conservatorio di Musica».
Sempre nel 1830 si diploma in Canto e Composizione sotto la guida di Isidoro
Gatti. La biblioteca del Conservatorio di Palermo conserva un Ossequio a Santa
Rosalia (per due soprani, due tenori e basso con orchestra), un Tantum Ergo (per
tenore e coro maschile con orchestra) e due Sinfonie in Re magg., composizioni
che potrebbero risalire agli stessi anni (mentre un Credo, nel medesimo archivio,
per tre voci maschili con orchestra, porta la data del 1845).
1832-1850. Un volta tornato nella nativa Cerignola Bona si dedica al melodramma;
il suo primo lavoro teatrale, l’opera buffa Il tutore e il diavolo (un concerto a
guisa di pot-pourri ed a piena orchestra in due atti, su libretto di Adolfo Schmidt),
viene rappresentato al Teatro Nuovo di Napoli per il Carnevale del 1832. Il
successo è tale da spingerlo a trasferirsi a Milano, dove si stabilisce con la moglie
Rosa Ottaviani (di Roma) nel novembre del 1838. Viene nominato professore di
Teoria e Solfeggio al locale Conservatorio. Il suo esordio come operista a Milano
è del 1844, al Teatro alla Scala, con il dramma lirico I Luna e i Perollo (libretto
di Giacomo Sacchero). Anche se il lavoro non è accolto favorevolmente, l’editore
Ricordi ne pubblica cinque pezzi staccati. Tre anni dopo è la volta di Don Carlo
(dramma lirico-tragico in quattro atti su parole di Giorgio Giachetti) che viene dato
con successo alla Scala per tre sere. Anche in questo caso Ricordi pubblica i brani
migliori (undici) estratti dalla partitura. La buona riuscita del Don Carlo fa
guadagnare a Bona la commissione da parte del Teatro Regio di Torino per un’altra
opera, da rappresentarsi durante il Carnevale 1849. Il 3 febbraio va così in scena
la tragedia lirica Il gladiatore (in quattro atti su libretto di Francesco Guidi).
Accompagnato da un discreto consenso, il dramma andrà in scena per nove sere.
1851-1878. Al Conservatorio Milanese gli vengono assegnate le cattedre di
Armonia e Canto per le donne nel 1851 e quella di Canto per gli uomini nel 1859.
42

Alla sua apprezzata attività didattica è legata la composizione e pubblicazione di


una serie di Metodi, Solfeggi, Esercizi dedicati allo studio del canto e del solfeggio.
Il più famoso di essi è senza dubbio il Metodo completo per la divisione
espressamente composto per uso degli allievi del Conservatorio di Musica di
Milano, ripubblicato fino ad oggi da diversi editori e in diverse lingue.
Il 26 febbraio 1863 Bona presenta al Teatro Carlo Felice di Genova la sua ultima
opera, Vittoria, madre degli eserciti. Le cinque recite di questo melodramma
(ambientato al tempo delle invasioni barbariche, con liriche di Marco Marcello)
riscuotono un successo crescente. Dopo appena due mesi dalla morte della moglie,
si spegne a Milano, il 2 dicembre 1878. Nella biblioteca del Conservatorio, nel
quale aveva insegnato per quarant’anni, viene collocato un suo busto.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Musicista di talento, Pasquale Bona deve la sua fama mondiale principalmente


alle opere didattiche, ausilio alla formazione di generazioni di musicisti. Pur non
avendo una circolazione nazionale o estera, i suoi pochi drammi per musica furono
ospitati in alcuni dei maggiori teatri italiani dell’epoca (Nuovo, Scala, Regio,
Felice). Non è difficile immaginare che i lavori di Bona dovettero subire l’ombra
dei «giganti» dell’opera dell’Ottocento: durante i trentun anni che separano Il
tutore e il diavolo da Vittoria, madre degli eserciti videro la luce alcuni dei
capolavori di Mercadante, Donizetti, Verdi, Wagner! Nonostante ciò, conobbe il
calore del pubblico e la critica dell’epoca non lesinò parole di apprezzamento per
le sue creazioni (cfr. CELLAMARE 1940). A parte il pot-pourri scherzoso con cui
esordì sulle scene, come autore preferì cimentarsi con drammi di argomento serio.
Il posto che riuscì a guadagnarsi nel mondo culturale dell’epoca gli permise di
tenere rapporti di amicizia e contatti con illustri personalità, come Verdi (a cui
era ispirata la Collana Verdiana di duetti, terzetti, quartetti, quintetti e sestetti
concertanti per pianoforte e varj strumenti, Ricordi 1850), Manzoni (di cui
musicò, a due voci, Alcune strofe del Coro in morte di Ermengarda nell’Adelchi
e Alcune strofe sulla Prima Comunione) e Cavour (al quale dedicò le Cantate
funebri alla memoria del Conte di Cavour). La sua musica fu pubblicata dagli
editori Ricordi (tra le cui stampe va ricordata anche la Settimana Musicale per
clarinetto e piano) e Canti (incuriosisce il titolo Tramway per pianoforte a quattro
mani, 1878). Il rispetto di cui godette come compositore di opera, prima che come
didatta, può essere testimoniato da un particolare del monumento eretto in suo
onore al Conservatorio di Milano: su di esso fu fatto incidere un frammento
musicale ed il titolo della sua opera più apprezzata, Don Carlo.

Bibliografia
(DBI, DEUMM, ES, SCHMIDL)

AMBIVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998, p. 23.
CAFARO Pasquale, Puglia musicale. Pasquale Bona, Abate ed., Cerignola 1943.
CELLAMARE Daniele, Pasquale Bona. Gloria italiana nel mondo (prime ricerche), La Nuova Italia,
Firenze 1940.
43

FÉTIS François Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie generale de la musique,
II, Firmin Didot, Paris 1861, p.12 e Supplément, ibid. 1881, p. 107.
FRASSONI Edilio, Due secoli di lirica a Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova
1980, I (Dal 1772 al 1900), p. 255.
LEGGER Gianni, Drammaturgia Musicale Italiana, Fondazione Teatro Regio di Torino, Torino 2005,
p. 102.
LASORSA S., Per Pasquale Bona, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 27 ottobre 1938.
GORRIERI G., Dalla polvere dell’oblio..., in «Il Secolo. La sera», 18 ottobre 1938.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano: 1861-1900, Olschki, Firenze 2003 («Historiae musicae
cultores» 97), p. 56.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza, Bari 1966, p. 32.

Risorse on-line

Attraverso lo strumento «Ricerca Bibliografica» del portale www.internetculturale.it è possibile


conoscere la collocazione delle ottocentesche edizioni musicali a stampa dei melodrammi
I Luna e i Perollo e Don Carlo (parti staccate, canto e pianoforte), pubblicate all’epoca
da Ricordi e non più edite. La stessa sezione del sito permette anche di rintracciare i libretti
a stampa delle cinque opere di Bona.

Opere drammatiche

1. Il tutore e il diavolo, dramma giocoso in due atti di Adolfo Schmidt, NA Nuovo carn.
1832 (partitura in I-Nc).
2. I Luna e i Perollo, dramma lirico in quattro atti di Giacomo Sacchero, MI Scala 26
novembre 1844 (partitura in I-Mc).
3. Don Carlo, dramma lirico-tragico in quattro atti di Giorgio Giachetti, MI Scala 23 marzo
1847 (partitura in I-Mc, I-Mr*) \ Cerignola teatro Mercadante 4 maggio 1969.
4. Il gladiatore, tragedia lirica in quattro atti di Francesco Guidi, TO Regio 3 febbraio
1849.
5. Vittoria, madre degli eserciti, melodramma in cinque atti di Marco Marcello, GE Carlo
Felice 26 febbraio 1863.
Nicola Cicerale
44

GIUSEPPE CACACE
Taranto, 5 settembre 1828 - ivi, 15 novembre 1891

Cronologia

1828-1854. Giuseppe Antonio Cosma Damiano Cacace, figlio di Michele e


Maria Ricciardi, nasce a Taranto il 5 settembre 1828. Di elevato status sociale
divide la propria esistenza tra Taranto e Napoli. Nella città partenopea studia
composizione nel Conservatorio di San Pietro a Majella con l’ambizione di in-
traprendere la carriera teatrale. Già alla fine degli anni ’40 dell’Ottocento si
cimenta nella composizione di alcune sinfonie a grande orchestra in tre o in quattro
tempi, il cui stile si rifa a quello mercadantiano sebbene l’orchestrazione più ricca
e ardimentosa, richiami alla mente il primo Verdi. Inoltre scrive alcune arie per
soprano, tenore, basso strutturate secondo il consolidato schema tripartito (scena
cantabile e stretta), espressione di quell’artigianato operistico in auge nella metà
dell’Ottocento sulle scene di tutti i teatri italiani. Pagine non prive di spontaneità
ed eleganza formale, destinate in particolare ai dilettanti. Nel corso dei ripetuti
soggiorni nella città natale, Cacace accetta l’incarico di maestro di cappella nella
chiesa di S. Domenico, il che lo pone nella condizione di scrivere una copiosa
quantità di musica sacra per varie formazioni, prevalentemente voci gravi (baritono
e basso) e grandi orchestre o con l’accompagnamento del solo organo: le Quattro
assoluzioni, 1866, Inno per il Venerdi Santo, 1866, Coro funebre, 1868, pagine
caratterizzate da una tinta scura, ma anche da un’orchestrazione robusta che
consente l’impiego di numerosi ottoni provenienti dalle fila dei complessi bandi-
stici del territorio. Nel 1850 Cacace scrive quella che è divenuta, forse suo
malgrado, la composizione più celebre e ancor oggi eseguita quale musica d’ac-
compagnamento durante le processioni del Giovedì e del Venerdì Santo a Taranto,
l’Inno a Cristo Morto, una marcia funebre alla quale egli stesso aggiunse i versi
Sulla salma insanguinata che poi i tarantini hanno trasformato in un dialettale
“Tuppe - tuppe” (cfr. FORNARO, 1992). I più rinomati complessi bandistici avevano
l’abitudine, fino alla metà del Novecento, di fermarsi sotto Palazzo Cacace, in
via Duomo, per eseguire, in segno di omaggio, il famoso Inno (cfr. FORESIO, 1984).
Personalità introversa, Cacace è però animoso conversatore tant’è che frequenta
abitualmente a Napoli il Caffè dei fiori luogo di ritrovo del modo artistico e
culturale partenopeo (cfr. DE CESARE, 1908). Nel 1854 entra in contatto con
l’impresario Musella del Teatro Nuovo al quale sottopone la sua prima opera,
Elvira dei Celtradi, su libretto di Ernesto del Preite. Favorevolmente impressio-
nato, Musella decide di metterla in scena nella stagione di autunno del 1854.
L’opera ottiene un lusinghiero successo nonostante l’inadeguatezza degli interpreti:
il soprano Filippina Crescimanno, il tenore Giovanni Villani e il baritono Luigi
Brignole. L’Elvira dei Celtradi, dopo due sole recite, viene tolta dal cartellone
a seguito dei contrasti insorti tra il compositore e l’impresario. Quest’ultimo era
45

stato accusato dal Cacace di aver allestito l’opera in maniera frettolosa e mediocre.
I critici, presenti alle rappresentazioni, alimentarono le polemiche. Il periodico «La
Moda» per esempio, fece notare che se l’opera «fosse stata prodotta nel Teatro
del Fondo, o anche nel medesimo Teatro Nuovo, ma con qualche artista diverso
[…] avrebbe avuto esito brillantissimo, comunque il maestro non poteva lamentarsi
della riuscita» (cfr. FORLEO, 1925).

1859-1870. Deluso dall’atteggiamento assunto dell’impresario Musella, il


compositore ritorna a Taranto dove riprende le mansioni di maestro di cappella
in S. Domenico, non mancando di dare il proprio contributo esperienziale all’attività
musicale del teatro D’Ayala; difatti, almeno secondo il Forleo e non supportato
da alcun documento, «vi fece dare la sua Elvira dei Celtradi» (cfr. FORLEO 1960).
Nel D’Ayala, il 20 settembre 1870, viene eseguito un inno patriottico su versi di
Gaetano Portacci, Roma dai tuoi fratelli, appositamente musicato da Giuseppe
Cacace per celebrare il XX settembre.
Appena cinquantenne il maestro si lascia convincere dal poeta tarantino Giuseppe
Pupino Carbonelli a musicare, secondo quanto riportato sul frontespizio del testimone
a stampa, un “melodramma idilliaco”, Isabella, che sarebbe opportuno classificare
come lavoro semiserio, presente in un unico testimone manoscritto, parzialmente
incompleto (atto primo e frammenti dell’atto secondo), nella Biblioteca Civica di
Taranto. Di un probabile terzo titolo melodrammatico, composto da Cacace dal
titolo Oscar, non si hanno riscontri.
Quando Cacace muore, dopo una lunga malattia, il 15 novembre 1891, la
comunità tarantina si stringe intorno al compositore tributandogli funerali imponenti.

Bibliografia

ANDRIANI Erato Gregorio, Giuseppe Cacace, in «La Settimana Santa a Taranto negli ultimi decenni»,
Numero Unico, aprile 1963, p. 2.
A proposito di un Inno, in «La voce del popolo», Taranto, 23 settembre 1916, p. 3.
CAPUTO Nicola, L’anima incappucciata, Mandese Editore, Taranto 1983, p. 168.
DE BARTOLOMEO Leonardo, Il Teatro D’Ayala, in «Cittàteatro spazi & luoghi dell’effimero a Taranto»,
Editrice Scorpione, Taranto 1985, p. 53.
FELLA Francesco, La Confraternita di S. Domenico e L’Addolorata nell’isola madre, Schena Editore,
Fasano 1987, p. 358.
FORESIO Dino, Euterpe Tarantina (Storia della Musica e dei Teatri a Taranto dal Seicento ai giorni
nostri), Mandese Editore, Taranto 1984, pp. 63-80.
–, “Mamma”, così bella e così straziante, in speciale «Ulivi e Misteri», «Quotidiano», Taranto 10
aprile 1990, p. V.
–, Le composizioni e gli adattamenti alle note dei riti, in «Speciale Settimana Santa», «Quotidiano»
Taranto 9 aprile 1993, p. 7.
–, Quel passo obliquo dei perdùne, in «ContrAppunti», anno IV, n. 4, aprile 1998, p. 8.
FORLEO, Taranto dove la trovo, Arti Grafiche Favia, Bari-Roma 1960, p. 165.
–, L’esumazione di un Inno eseguito a Taranto nel 1870, in «La voce del popolo», Taranto 16
settembre 1916, p. 3.
–, L’Elvira dei Celtradi del maestro Cacace, in «La voce del popolo», Taranto 11 luglio 1925,
p. 1.
FORNARO Antonio, Le cento marce funebri per le bande musicali, in «Speciale Settimana Santa»,
«Corriere del Giorno», Taranto 8 aprile 1993, pp. 6-7.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 38.
46

IMPERATRICE Pasquale, Tarantini del secolo scorso, Gaetano Portacci in «TAPAE» (Rassegna
Trimestrale di Demografia, Statistica e Storia della Città di Taranto e della Provincia del Jonio),
A. I (1927), nn. 3/4, pp. 3-10.
–, Decor Carmeli. Storia della Confraternita “Maria SS.ma del Carmelo” di Taranto, Mandese
Editore, Taranto 2007, pp. 456-457.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904.

Opere drammatiche
1. Elvira dei Celtradi, tragedia lirica in tre atti di Ernesto Del Preite, NA Teatro Nuovo
Autunno 1854 (libretto in I-Fm, I-Nc, I-Vgc; partitura in I-TAc* I-Nc*).
2. Isabella, melodramma idilliaco in tre atti di Giuseppe Pupino Carbonelli, non rappresentata
(libretto in I-Nc, I-TAc; partitura incompleta in I-TAc*).

Dino Foresio
47

LUIGI GIUSEPPE CAPOTORTI


Molfetta (BA), 17 marzo 1767- San Severo (FG), 17 novembre 1842

Cronologia

1767-1795. Luigi Giuseppe Giovanni Nicolò Capotorti nasce a Molfetta in via


S. Orsola il 17 marzo 1767 da Michelangelo, originario di Rutigliano (BA), e da
Maria Berardi. Impara presto a suonare il violino, così come si evince da un atto
notarile del 1779 in cui «Michelangelo Capotorti si impegna con don Francesco
Saverio Avellis di far andare suo figlio Luigi col violino di notte e di giorno ogni
volta che esce il S.Viatico dalla cattedrale, da Gennaio a Dicembre per ducati 4,5
d’argento» (cfr. DEL VESCOVO, 2001). Il padre lo iscrive al Conservatorio di
Sant’Onofrio a Napoli dove la presenza del compositore è attestata dal 1783 al
1794. Non corretta è invece la data riportata da Florimo (cfr. FLORIMO 1881) che
anticipa l’inizio degli studi napoletani al 1778, anno in cui secondo l’atto notarile
appena citato Capotorti risulta invece vivere ancora a Molfetta. Al Conservatorio
di S.Onofrio studia violino con Michele Nasci, contrappunto e composizione con
Giuseppe Millico e Giacomo Insanguine; nei suoi ultimi anni di studio viene
guidato alla composizione teatrale da Niccolò Piccinni. Si sposa in data non nota
con la napoletana Rosa Pollari da cui ha un figlio, LUIGI ANTONIO, il quale seguirà
le orme paterne divenendo a sua volta musicista e compositore.
1796-1798. La carriera operistica di Capotorti inizia con Gli sposi in rissa, farsa
rappresentata nel 1796 al Teatro Nuovo su libretto di Giuseppe Maria Diodati. Nello
stesso anno compone Nice, opera in due atti di cui si è conservato solo il libretto
anonimo senza alcuna indicazione del luogo di rappresentazione.
1799-1801. Capotorti sembra già godere di una certa stima presso gli ambienti
aristocratici e presso la famiglia reale, stima che non sembra scalfita dalle tumultuose
vicende della Repubblica Partenopea. Ne sono una prova la cantata A gloria di Dio
composta nel 1799 su libretto di Francesco Saverio Chiaja e dedicata al sovrano
Ferdinando IV e al cardinale Fabrizio Ruffo appena qualche settimana dopo il crollo
della Repubblica a seguito delle truppe sanfediste guidate proprio dal cardinale
Ruffo. Seguono anni di intenso lavoro per Capotorti: per la stagione 1799-1800 gli
si commissiona un’opera seria da rappresentarsi al S. Carlo, l’Enea in Cartagine,
opera in tre atti su libretto di Giuseppe Maria D’Orengo di cui si è conservato solo
un Ballabile. Sempre nel 1800 scrive gli Orazi e Curiazi, su libretto di Antonio
Simeone Sografi di cui è perduta la partitura. Tutta da verificare è la notizia riportata
da Florimo (cfr. FLORIMO 1881) secondo cui Capotorti ricevette per la stesura di
queste opere ben 300 ducati, cifra ragguardevole per un giovane compositore con
non grande esperienza alle spalle. A questo periodo risale anche l’oratorio Le piaghe
d’Egitto, su testo di Andrea Leone Tottola (lo stesso librettista del Mosè in Egitto
di Rossini) la cui datazione oscilla tra il 1797 e il 1801 e che De Rosa (cfr. DE ROSA
1840) vuole rappresentato al Teatro del Fondo.
48

1802-1803. Il sodalizio con Tottola si rafforza ulteriormente negli anni a seguire.


Nel 1802 i due si cimentano con il genere comico confezionando Le nozze per
impegno, dramma giocoso in due atti rappresentato al Teatro dei Fiorentini. De
Rosa (cfr. DE ROSA 1840) e Fétis (cfr. FÉTIS 1873) citano quest’opera chiamandola
L’impegno superato ma il confronto con la partitura autografa rende molto più
attendibile la prima versione che è suffragata anche dalla testimonianza in tal senso
di Florimo. L’anno successivo compone Obeide ed Atamare, opera seria in due atti
su libretto ancora di Andrea Leone Tottola rappresentata al Teatro S. Carlo il 4
novembre del 1803 in occasione dell’onomastico della Regina Maria Carolina
d’Austria e dedicata al sovrano Ferdinando IV.
1804-1805. L’ambientazione esotica ed erudita già ampiamente presente
nell’Obeide ed Atamare trova la sua massima realizzazione Ciro, opera seria in tre
atti su libretto di Giulio Imbimbo, rappresentata al Teatro S. Carlo il 12 gennaio
1805 in occasione del compleanno del sovrano Ferdinando IV. Nello stesso anno
compone il ballo Enea in Cartagine, rappresentato al S. Carlo e successivamente
alla Scala (1811), alla Fenice (1814) e al Regio di Torino (1815). Ancora del 1805
è il dramma giocoso Bref il sordo su libretto di Giuseppe Palomba messo in scena al
Teatro dei Fiorentini e – secondo Florimo, De Rosa e Fétis – anche a Roma in data
e luoghi però non ulteriormente precisati.
1806-1815. Con l’occupazione francese (1806-1815) l’attività operistica di
Capotorti rallenta sensibilmente. Secondo Florimo e De Rosa, Gioacchino Murat
con decreto del 4 novembre 1811 lo nomina esaminatore degli alunni del Collegio
di Musica insieme a Tritto, Paisiello e Fenaroli ma lo stesso Florimo non fa cenno
del compositore molfettese quando descrive l’organizzazione dei conservatori
napoletani in quegli anni né tale informazione è presente in altri testimoni. Nel
1813 Capotorti ritorna a scrivere per il teatro componendo la sua opera più
impegnativa, il Marco Curzio, melodramma tragico con azione mimica su libretto
di Giovanni Federico Schimdt e le importanti scenografie di Antonio Niccolini.
L’opera fu rappresentata al S. Carlo il 15 agosto 1813 in occasione dell’onomastico
e genetliaco di Napoleone Bonaparte e conobbe altre nove rappresentazioni. Due
anni dopo, Capotorti ritorna al genere comico con l’Ernesta e Carlino ovvero i due
Savojardi, opera semiseria in due atti su libretto di Andrea Leone Tottola
rappresentata al Teatro dei Fiorentini nel carnevale del 1815.
1816-1842. Con l’Ernesta e Carlino si chiude la produzione teatrale del compo-
sitore molfettese. Nel maggio del 1815, a seguito del Trattato di Casalanza, a Na-
poli tornano i Borboni e Capotorti nel 1816 compone un Inno, noto anche come
Grande cantata, con testo dell’erudito Angelo Maria Ricci per l’onomastico del
sovrano Ferdinando IV di Borbone, rappresentato il 30 maggio 1816 al Real Teatro
del Fondo (essendo il S. Carlo ancora inagibile a causa dell’incendio che lo aveva
devastato il 13 febbraio 1816). Eppure l’omaggio al sovrano non sortisce probabil-
mente gli effetti sperati: proprio pochi giorni prima dell’esecuzione dell’Inno il
compositore molfettese si vede infatti respinte due suppliche rivolte al Ministro
dell’Interno per un posto di insegnante nel prestigioso Conservatorio napoletano.
Con l’Inno a Ferdinando IV si chiude definitivamente l’esperienza pubblica di
Capotorti. Gli anni successivi lo vedono impegnato soprattutto nell’attività didatti-
49

ca e nella composizione di musica sacra, di romanze e di duettini per soprano e


tenore, spesso su testi del concittadino Giuseppe Saverio Poli, insigne fisico e natu-
ralista e istitutore del principe ereditario Francesco, figlio di Ferdinando IV. Le
dediche ad alunne presenti in molte di queste ultime composizioni confermano l’im-
pegno didattico profuso in questi anni. Da verificare invece la notizia riportata da
Florimo secondo cui tra gli allievi di Capotorti ci sarebbero stati Stefano Pavesi,
Tommaso Consalvi, Onorio de Vito e le cantanti Carolina Miller, Caterina Fuma-
galli, Carolina Granzini. Nel 1827 ottiene l’ammissione presso l’Académie Royale
de Musique di Parigi. I suoi ultimi anni li trascorre probabilmente come maestro di
cappella presso il monastero delle Benedettine di San Severo, dove muore il 17
novembre 1842.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Luigi Capotorti è indubbiamente espressione di un operismo “minore” destinato a


cedere il passo all’emergente melodrammaturgia rossiniana. Il silenzio teatrale che
contraddistinguerà il compositore molfettese dal 1815 in poi può esser letto come
una presa di coscienza dell’inattualità della propria produzione teatrale rispetto
alle novità operistiche del suo tempo. Tale considerazione potrebbe essere anche
alla base della scarsa fortuna che egli ha goduto nella critica ottocentesca che di
fatto si limita alle poche pagine a lui dedicate nelle Memorie del Marchese di
Villarosa e ne La scuola musicale di Napoli di Florimo; quest’ultimo era amico
personale del figlio di Capotorti da cui probabilmente attinse informazioni biogra-
fiche non riportate invece dal Villarosa. La critica successiva, da Fétis a Schmidl, si
limiterà a riportare acriticamente quanto scritto da Villarosa e da Florimo. Sul finir
dell’Ottocento e per i primi del Novecento Capotorti diviene oggetto di un interes-
se soprattutto locale, senza però alcun sostanziale contributo scientifico: Faenza,
Bellucci, Petroni, Villani, Cerri, Raeli, Peruzzi fino ad arrivare a Pastina, Fontana
e Giovine, pur contribuendo a mantenere viva la memoria del compositore molfet-
tese, si limitano a riportare quanto già scritto da Florimo e Villarosa, non di rado
con un taglio acriticamente encomiastico e banalmente campanilistico. Negli ulti-
mi vent’anni, anche a seguito del rinnovato interesse musicologico per gli operisti
napoletani di origine pugliese, i contributi su Capotorti si distinguono per un ap-
proccio più scientifico, potendo contare sulle ricerche archivistiche, sulle fonti sto-
riche di Del Vescovo, sull’analisi del Ciro ad opera di Caraci Vela, sull’accurato
studio biobibliografico e sull’edizione critica di Ernesta e Carlino di Panunzio,
sull’edizione di Innocente Verginella a cura di Bonsante, sul catalogo di una mo-
stra tematica dedicata al compositore molfettese tenutasi a Bari, Sansevero e Mol-
fetta nel 2001 e poi confluito nella pubblicazione per «I quaderni di casa Piccinni»
(Bari 2001) con i contributi di Moliterni, Mattei, Fabris, Bonsante. Frutto di tale
rinnovato interesse musicologico per Capotorti può considerarsi anche l’esecuzione
del 18 giugno 2001 presso la Chiesa del Gesù di Bari della Sinfonia in Si bem.
maggiore Per la Festa di Sant’ Antonio e della sinfonia dell’opera Ernesta e Car-
lino da parte dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio «Nicolò Piccinni» di Bari
per la direzione di Sergio Monterisi.
La produzione operistica di Capotorti si iscrive a pieno titolo in quel filone pre-
rossiniano in cui la tradizione napoletana codificata dagli operisti attivi negli anni
50

’90 del XVIII secolo si consolida e si fonde con alcune delle novità importate dalla
drammaturgia francese. A giudicare dall’esigua produzione operistica, Capotorti
non dovette comunque offrire eccessiva importanza alle proprie esperienze teatrali,
pur dimostrando di essere aggiornato sulle principali novità del suo tempo. Molte
delle sue opere furono rappresentate in occasione di importanti festività di corte e
dimostrano implicitamente la stima di cui doveva godere negli ambienti napoletani
nonostante la scarsa prolificità teatrale. In quest’ottica si deve leggere il Ciro, omag-
gio indiretto al sovrano Ferdinando IV ed espressione di quel neoclassicismo erudi-
to che in quegli anni imperava negli ambienti di corte napoletani. Capotorti si di-
mostra allineato alle esperienze di Cimarosa e Guglielmi nell’utilizzo in senso espres-
sivo dei fiati solisti, nel tentativo di superamento delle forme chiuse attraverso in-
terruzioni delle arie con inserti di recitativi ariosi, nell’utilizzo del coro con funzio-
ne attiva per l’azione drammatica, in un declamato asciutto e solenne, nell’attenta
resa musicale della versificazione e dei contrasti suggeriti dai repentini cambia-
menti metrici. La monumentalità neoclassica troverà nel Marzio Curzio la sua mas-
sima realizzazione. Scritta in onore dell’imperatore Napoleone, in essa Capotorti
aggiorna il suo linguaggio introducendo le novità francesi apprese con le rappresen-
tazioni napoletane della Vestale di Spontini (1811 e 1813) e dell’Ecuba di Manfro-
ce (1812), senza ovviamente dimenticare il Cimarosa della Vergine del sole, degli
Orazi e Curiazi e dell’Artemisia. La solenne ricorrenza per cui fu rappresentata
l’opera (il compleanno e l’onomastico di Napoleone) permise a Capotorti di utiliz-
zare considerevoli masse corali e coreutiche le quali, in linea con la moda francese,
vengono utilizzate come motore essenziale dell’azione drammaturgica, contribuen-
do a scardinare alla radice le rigide forme chiuse dell’opera seria metastasiana.
Anche la produzione comica di Capotorti conosce analoghe dinamiche. La pri-
ma opera comica di cui oggi possediamo una copia, ossia Le nozze per impegno
(1802), si iscrive nel florido solco della tradizione buffa napoletana, in particolare
paisielliana e cimarosiana, per la distinzione dei ruoli comici e seri, l’utilizzo del-
l’orchestra per sottolineare momenti espressivi salienti, un gioco armonico sempli-
ce ma efficace, una trama costruita su numeri tradizionali e su situazioni topiche
consolidate. Molto più avanzato è invece il linguaggio di Ernesta e Carlino (1815),
melodramma che attinge a piene mani dall’opéra-comique con l’alternanza di parti
recitate e parti cantate. Il libretto di Tottola si ricollega ancora una volta alle novità
transalpine, in particolare al filone caratterizzato da una trama estremamente dina-
mica e ricca di colpi di scena e di mutamenti di atmosfere e non esente da richiami
orrorifici e violenti. Come nel Marco Curzio qui Capotorti dimostra di saper utiliz-
zare in senso moderno cori e concertati, ampliando notevolmente le forme chiuse e
introducendo l’azione nel cuore delle arie, allineandosi al linguaggio stilistico in-
trodotto in Italia dalla Lodoïska di Cherubini e di Mayr o dalla Leonora di Paër.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, MGG, NG2001, NGO, SCHMIDL, STIEGER)

AMBIVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998.


BELLUCCI Michele Attilio, I musicisti baresi, in «Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», II (luglio
1885), pp. 179-181, 196-200.
51

BONSANTE Annamaria, Innocente Verginella di Luigi Capotorti, edizione e studio. Introduzione a


Luigi Capotorti di Marco Renzi, Il Melograno, Roma 2001.
–, Ultimo ritorno in Puglia, in Luigi Capotorti. Un musicista pugliese allievo di Piccinni, Catalogo
della Mostra di Casa Piccinni 2001 dedicata a Riccardo Muti, «Quaderni di Casa Piccinni», 4, Bari
2001, pp. 41-43.
CAFARO Pasquale, Puglia musicale, Abate, Cerignola 1943, p. 7.
CARACI VELA Maria, Un omaggio a Ferdinando IV di Capotorti e Imbimbo: il Ciro (1805) in Francesco
Florimo e l’Ottocento musicale Atti del convegno, Morcone, 19-21 aprile 1990 a cura di Rosa
Cafiero e Marina Marino, Jason Editrice, Reggio Calabria 1999, pp. 339-363.
CERRI, Augusto, Nel mondo dei dimenticati: Luigi Capotorti, in «La Gazzetta di Puglia» (3 gennaio
1924), p. 3.
DEL VESCOVO Giovanni Antonio, Musici al servizio del Capitolo di Molfetta, in Studi in onore di
Alfonso Mezzina, a cura di Luigi Michele de Palma, Mezzina, Molfetta 1997, p. 356.
–, Luigi Capotorti nella storiografia musicale tra Ottocento e Novecento, in «Luce e vita», n. 2,
1999.
DE MARCO Gerardo, Il genio musicale di Luigi Capotorti, in XXI Mostra Filatelica, Mezzina, Molfetta
1978.
DE ROSA Carlo Antonio, Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Stamperia Reale,
Napoli 1840.
FABRIS Dinko, Maestri e allievi di Capotorti, Le fonti musicali di Capotorti, Trattati di canto di
Capotorti, in Luigi Capotorti.Un musicista pugliese allievo di Piccinni, Catalogo della Mostra
di Casa Piccinni 2001 dedicata a Riccardo Muti, «Quaderni di Casa Piccinni», 4, Bari 2001, pp. 35-
37, 51-53.
FAENZA Vito, I maestri di musica della provincia di Bari, in «Barinon», Cannone, Bari 1881,
pp. 17-20.
FÉTIS François-Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique,
II, F. Didot, Paris 1873.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, Morano, Napoli 1881-1883.
FONTANA Aldo, Molfetta. Raccolta di notizie storiche. Galleria degli uomini illustri, Mezzina, Molfetta
1965.
GERMINARIO Nicola, Luigi Capotorti: ritrovate tre composizioni in «L’altra Molfetta» (aprile 1992),
p. 29.
GIOVINE Alfredo, Luigi Capotorti. Revisione biografica del musicista molfettese, in «La voce della
regione» (15 luglio 1978), p. 3.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1955.
MATTEI Lorenzo, I lavori teatrali di Luigi Capotorti: esempi dell’opera napoletana di primo
Ottocento fra esigenze di rinnovamento ed ossequio al potere, Luigi Capotorti: biografia di un
musicista, Luigi Capotorti operista, I libretti intonati da Capotorti, in Luigi Capotorti.Un
musicista pugliese allievo di Piccinni, Catalogo della Mostra di Casa Piccinni 2001 dedicata a
Riccardo Muti, «Quaderni di Casa Piccinni», 4, Bari 2001, pp. 9-12, 19-20, 31-34, 44-46.
MOLITERNI Pierfranco, Luigi Capotorti musicista “emigrato”, in Luigi Capotorti.Un musicista
pugliese allievo di Piccinni, Catalogo della Mostra di Casa Piccinni 2001 dedicata a Riccardo
Muti, «Quaderni di Casa Piccinni», 4, Bari 2001, pp. 5-8
PANUNZIO Maria Pia, Un musicista molfettese a Napoli: biografia di Luigi Capotorti, catalogo delle
opere ed edizione di Ernesta e Carlino, Società di storia patria per la Puglia, Bari 1999.
PARSONS Charles, voce Luigi Capotorti in The Mellen Opera Reference Index, XIII, Mellen, New York
1986.
PASTINA Nicola, Passerà inosservato il bicentenario di Capotorti? in «La Gazzetta del Mezzogiorno»
(9 novembre 1967), p. 3.
PERUZZI Francesco, Maestro compositori e musicisti molfettesi, Picca e figlio, Molfetta 1931, pp. 35-
51
PETRONI Giulio, I dodici maestri di musica di Terra di Bari, in «Rassegna Pugliese di scienze, lettere
ed arti» vol. II, n.10, (31 maggio 1885), pp. 147-148
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi, Giovanni Raeli, Tricase 1925, p. 15.
SALVEMINI Antonio, Saggio storico della città di Molfetta, Atesa, Napoli 1878, p. 149.
SCHAAL Richard, Die autographen der Wiener Musiksammlung von Alys Fuchs, Heinrichshofen, Wien
1969, p. 43.
52

SCHERING Arnold, Geschichte des Oratorium, Breitkoph & Hartel, Lepzig 1911, p. 240.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 43-44.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904,
pp. 195-196.
VOLPICELLA Luigi, Bibliografia storica della Provincia di Terra di Bari, Tip. Dell’Accademia Reale
delle Scienze, Napoli 1884, pp. 89, 554, 730.

Risorse on-line

Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) offre la possibilità di effettuare downloads


gratuiti delle opere Obeide ed Atamare, Ciro, Marco Curzio, Ernesta e Carlino custoditi
presso la biblioteca del Conservatorio di Napoli «S. Pietro a Majella».

Edizioni moderne
– Ernesta e Carlino, opera semiseria in due atti su libretto di Andrea Leone Tottola, edizione
critica a cura di Maria Pia Panunzio, Società di storia patria per la Puglia, Bari 1999.
– Innocente verginella a cura di Annamaria Bonsante, Il Melograno, Roma 2001.

Opere drammatiche e oratorii

1. Gli sposi in rissa, farsa di Giuseppe Maria Diodati, NA Nuovo 1796.


2. Nice, opera seria in due atti, NA Nuovo? 1796 (libretto in I-Nc).
3. Enea in Cartagine, opera seria in tre atti di Giuseppe Maria D’Orengo, NA S. Carlo
estate 1799 (solo un ballabile in I-Mc*).
4. Gli Orazi e Curiazi, opera seria in tre atti di Antonio Simeone Sografi, NA S. Carlo
1800.
5. Le piaghe d’Egitto, oratorio di Andrea Leone Tottola, NA Fondo 1797-1801?
6. Le nozze per impegno/L’impegno superato, opera buffa in due atti di Andrea Leone
Tottola, NA Fiorentini estate 1802 (libretto in I-Mc, I-Nc, I-Vgc; partitura in I-Nc*;).
7. Obeide ed Atamare, opera seria in due atti di Andrea Leone Tottola, NA S. Carlo autunno
1803 (libretto in I-Bc, I-Mc, I-Nc; partitura in I-Nc*, I-MFad).
8. Ciro, opera seria in tre atti di Giuseppe Imbibo, NA S. Carlo inverno 1805 (libretto in I-
Bc, I-Mc, Nc partitura in I-Nc*).
9. Bref il sordo, opera buffa di Giuseppe Palomba, NA Fiorentini 1805\ Roma post 1805.
10. Marco Curzio, melodramma tragico in due atti di Giovanni Schmidt, NA S. Carlo estate
1813 (libretto in I-Bc, I-Nc; partitura in I-Nc*).
11. Ernesta e Carlino ovvero i due Savoiardi, melo-dramma in due atti di Andrea Leone
Tottola, NA Fiorentini inverno1815 (libretto in I-Bc, I-Nc; partitura in I-Nc, I-MFad
solo II atto).
Fedele De Palma
53

CARLO CARDUCCI AGUSTINI


Taranto, 1871 - ivi, gennaio 1959

Cronologia1

Nasce a Taranto nel 1871, ultimogenito di Vincenzo Carducci Agustini e di


Beatrice Cosa. Nel 1927 – unitamente ai fratelli Nicola, Luigi e Gerardo – gli
viene riconosciuta la spettanza del titolo di conte, con decreto ministeriale a firma
di Benito Mussolini.
Organista e compositore, era zio paterno del più noto Edgardo Carducci Agustini
(vedi ad vocem), nonché secondo cugino del marchese di Fragagnano Cataldo
Carducci Agustini dell’Antoglietta, padre del musicista Giovanni Gualberto (vedi
ad vocem).
Attivo nei maggiori luoghi di culto tarantini, ha suonato a lungo il più antico
organo a mantice manuale della città (fine XVII secolo - inizi XVIII), collocato
nella chiesa barocca di San Michele Arcangelo, su via Duomo.
Personaggio eclettico e anticonvenzionale, al rientro da un suo viaggio a Roma
esegue pubblicamente un oratorio di Lorenzo Perosi di cui l’autore non consentiva
la riproduzione, ma che Carlo Carducci Agustini aveva ascoltato e trascritto – nota
per nota – nel corso di alcune funzioni liturgiche della Cappella Sistina.
Sposato con Francesca Cosa, risiedette a Taranto, in via Paisiello 56, dove
morirà senza figli nel gennaio 1959. Dopo la scomparsa, le sue carte sono state
disperse dall’unico erede – un nipote dal lato della moglie – con l’eccezione dello
spartito autografo dell’operetta Ninetta (1944) e di alcune composizioni musicali
minori, depositate in altri archivi privati del luogo.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

L’unica composizione teatrale di cui si abbia oggi memoria è l’operetta in tre atti
Ninetta, di cui l’autore scrisse versi e musica (il manoscritto autografo del libretto
contempla anche il sottotitolo Pancrazio). La composizione risale al maggio-
agosto 1944; non sono note rappresentazioni pubbliche. Del lavoro si conservano,
in archivio privato: il libretto autografo in chiara grafia, sottoscritto dall’autore;
due copie dattiloscritte dello stesso, con firma autografa; lo spartito per canto e
pianoforte unitamente alle parti di flauto, 2 violini, oboe, clarinetto, tromba,
trombone, violoncello, contrabasso e batteria jazz. Si tratta dunque di un organico
ispirato alle orchestrine di musica leggera, del tutto consono ai toni della partitura
che abbonda di ritmi ballabili alla moda (tango, valzer, one-step, ecc.).

1
Le informazioni sono state gentilmente fornite dal prof. Alberto Carducci Agustini dell’Antoglietta
che sentitamente ringraziamo.
54

Della restante sua attività compositiva resta traccia in alcuni brani strumentali
e canzoni (versi e musica): Sempre così!.. (strumentale); Tarantella (strumentale);
Perché diciam: perché? (canzone); Un bimbo non comune (Giovanni Carducci),
“canzone spirù” dedicata a Giovanni Carducci Agustini dell’Antoglietta, dei
marchesi di Fragagnano (nato a Sava l’8 agosto 1948). Fra i componimenti sacri,
una Preghiera a Dio per coro a due voci (parole e musica) e una tradizionale
Pastorale, suonata in passato dalle bande natalizie tarantine.

Opere drammatiche

1. Ninetta [Pancrazio], operetta in tre atti, parole e musica di Carlo Carducci Agustini,
maggio-agosto 1944, non rappresentata.

Marco Beghelli
55

EDGARDO CARDUCCI AGUSTINI


Bari, 7 giugno 1898 - Torino, 17 settembre 1967

Cronologia1

1898-1905. Nasce a Bari il 7 giugno dal ramo tarantino della nobile stirpe fiorentina
dei Carducci: i conti Carducci Agustini; in ambito artistico semplificherà spesso il
nome in Edgardo Carducci. Il padre Luigi, capitano di fanteria nell’Esercito, si
dilettava di musica (violino, chitarra e composizione di musica vocale e da ballo),
così come la madre Giuseppina Trapani (pianista), la sorella Pia («della musica
cultrice gentile»)2, lo zio paterno Carlo Carducci Agustini (organista e compositore:
vedi ad vocem) e la cugina tarantina Margherita Cosa (valente pianista e docente di
pianoforte). In famiglia si segnala anche il terzo cugino Giovanni Gualberto Carducci
Agustini dell’Antoglietta, pianista e compositore (vedi ad vocem).
1906-1908. A otto anni comincia lo studio del violino col padre, a dieci quello
del pianoforte con la madre, diventando presto abile nella lettura a prima vista.
1910-1911. Si esercita nella composizione; a tredici anni scrive un’opera lirica di
argomento mitologico su libretto del padre, che lo aiuta nella strumentazione dello
spartito.
1911-1915. Si avvia agli studi classici, frequentando il ginnasio e il liceo, prima
a Bari poi, seguendo la carriera del padre, a Barletta, dove prende lezioni di armonia
da un organista del luogo.
1917-1918. Verso la fine dell’anno, la famiglia si trasferisce a Roma, cosa che gli
permette di diventare allievo del compositore Giacomo Setaccioli, all’epoca diret-
tore del Liceo Musicale di Santa Cecilia, dove si diploma in composizione e dire-
zione d’orchestra. Prosegue invece in autonomia lo studio del pianoforte. Contem-
poaneamente frequenta l’Università «La Sapienza» (Facoltà di Lettere e Filosofia):
avrà quali docenti di riferimento Fausto Torrefranca (Storia della musica ed Esteti-
ca musicale), Ernesto Bonaiuti (Storia del Cristianesimo) e Adolfo Venturi (Storia
dell’arte medievale e moderna), laureandosi con una tesi su Giuseppe Verdi.
1919-1921. Scrive le prime composizioni ufficiali: romanze per voce e pianoforte
(su testi propri) e musica strumentale da camera.
1921-1924. Avvia l’attività concertistica, come pianista, direttore d’orchestra e
compositore. Nel 1921 pubblica a Roma, presso l’editore De Santis, la sua prima
composizione: la lirica per canto e pianoforte Solitudini (un esemplare in I-Rsc),

1
La maggior parte delle notizie sono tratte da CARDUCCI AGUSTINI post 1967. Un particolare ringraziamento al
dott. Antonio Addamiano, bibliotecario del Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma, e al prof. Alberto Carducci
Agustini dell’Antoglietta per i numerosi documenti forniti.
2
Così la dedica sul manoscritto autografo La serenata di Luigi Carducci Agustini (Taranto, collezione privata).
56

rimasta una delle poche opere musicali edite in vita. Scrive articoli su vari argomenti
musicali: Lo Stabat Mater dello Steffani (in «Rivista mondana», 1 aprile 1921);
Esecutori ed esecuzioni (in «Musica», 15 aprile 1923); Concezione della
musicologia (in «Nuova critica», 15 febbraio 1923); L’opera italiana del primo
Ottocento (in «Nuova critica», 1 febbraio 1924); Arrigo Boito (in «Vita», 6 giugno
1924); La poetizzazione della musica di Verdi in una delle sue pagine celebri (in
«Musica d’oggi», 1924). Nel 1923 il direttore e impresario Angelo Ferrari lo ingaggia
come maestro sostituto per la stagione lirica del Teatro Adriano in Roma, dove il 21
novembre dirige Rigoletto.
1924. Conosce il maestro di canto Georges Cunelli (Couneni), direttore della
Scuola Internazionale di Canto, il quale lo assume come insegnante di Estetica e
Musicologia.
1925. Seguendo la Scuola di Cunelli, si trasferisce a Parigi, restando in carica
nell’insegnamento fino al 1928.
1927. Con decreto ministeriale, Benito Mussolini conferma il titolo nobiliare di
Conte al padre Luigi e ai di lui fratelli Nicola, Gerardo e Carlo. Edgardo, pur
avendone diritto per discendenza, ne farà limitato uso.
1928-1936. Nella capitale francese studia con Paul Dukas, si avvicina alla
musica di César Frank e conduce ricerche sul musicista settecentesco Nicola Fago
detto “Il Tarantino”, studiandone i manoscritti conservati nella Bibliothèque du
Conservatoire Nationale de Musique (la sua trascrizione del Te Deum fu donata
nel 1935 alla Biblioteca Comunale di Taranto, città dove la famiglia di origine
si era nel frattempo trasferita). Studia anche il canto gregoriano e la paleografia
musicale, avvalendosi dei manoscritti della Bibliothèque Sainte-Geneviève.
Frequenta il salotto di Madame Barrès (vedova dello scrittore Maurice Barrès),
dove conosce i bei nomi della cultura parigina (da Roland Manuel a James Joyce,
da Paul Valéry a Georges Bernanos), guadagnandosi l’onore di un ciclo di tre
conferenze alla Sorbona su L’arte italiana dalle origini ai nostri giorni (1928).
Attira in tal modo le attenzioni di André Pirro, docente di Storia della musica in
quella Università, che gli propone una tesi dottorale proprio incentrata su Fago
(1930-31). Insegna armonia e contrappunto all’Institut Scientifique de la Voix
(1928-1937). Scrive nel contempo composizioni musicali di ampio respiro, che già
rivelano la sua idea mistica della composizone musicale, coltivata nei decenni
successivi: un Poema corale a 8 voci su testi evangelici (1928), un Requiem per
due cori, 2 pianoforti ed archi su testo di Jean Suberville (1929), il poema sinfonico
Purgatorio (1930), d’ispirazione dantesca (prima parte di una Trilogia mistica per
2 soprani, coro, organo, pianoforte e orchestra completata nel 1942), l’oratorio
Santo Francesco per soli, coro e orchestra (1932); ma si deve accontentare
perlopiù di esecuzioni private e parziali, affidate al solo pianoforte, benché molto
apprezzate dalla ristretta cerchia degli intenditori presenti. Prosegue anche l’attività
saggistica, tra Francia e Italia: Rapports entre la musique et les autres arts (in
«La Revue Musicale», VII/10, 1 agosto 1926, pp. 133-140); Davico (in «Il
pianoforte», VIII, agosto 1927); Opere di Nicola Fago esistenti a Parigi (in
«Taras», Taranto, II, 1928); La genèse de Tristan et Iseut (in «Mercure de France»,
1 dicembre 1928, pp. 339-354).
57

1930-1933. Gode dell’amicizia di James Joyce e di sua moglie Nora Barnacle;


per alcuni mesi è solito leggere a Joyce due ore al giorno, testi in lingua italiana
(cfr. ELLMANN 1981, p. 661). Forte delle teorie apprese da Cunelli, scrive il saggio
The Tenor Voice in Europe, che Joyce ha modo di conoscere in anteprima (suo
figlio era stato allievo di quella scuola di canto), raccomandandone al direttore
d’orchestra Thomas Beecham la pubblicazione sulla rivista «Milo» (lettera del 21
marzo 1930); il testo comparirà invece su «Music & Letters» (XI/4, ottobre 1930,
pp. 318-323). Alla fine del 1931, aderisce al progetto editoriale The Joyce Book,
promosso da Herbert Hughes e Arthur Bliss (cfr. DEMING 1977, p. 106): tredici
compositori amici di Joyce realizzeranno un volume di canti per voce e pianoforte
da dedicare al poeta, basati sul suo ciclo di liriche Pomes Penyeach (1927); Carducci,
unico italiano a partecipare all’iniziativa, intona Alone, decima poesia del ciclo;
prima esecuzione a cura del Contemporary Music Centre: Londra, College of Nursing,
16 marzo 1932, con i cantanti Dorothy Moulton, John Armstrong, Sinclair Logan e
il pianista William Busch (cfr. «Daily Telegraph», 17 marzo 1932, p. 8 e «The
Times», 18 marzo 1932, p. 12); il volume comparirà in edizione limitata (500 copie)
presso l’editore The Sylvan Press di Londra nel 1933 (Alone è alle pp. 58-61).
1931. Progetta un imponente Trattato di composizione e studio delle forme
musicali, che intende percorrere la materia dalle origini al presente; troverà una
regolare diffusione a stampa soltanto postuma, a cura degli eredi (Roma 1972).
1932-1935. Su invito di Roland Manuel, direttore della Casa Pathé, compone
colonne sonore per documentari cinematografici di argomento religioso: Le
Monastère (1932) e Le Soleil de minuit (1933): è l’inizio di un’importante esperienza
artistica sviluppatasi poi in Italia negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Da
una lettera di Joyce al figlio George (3 giugno 1935), apprendiamo la sua ferma
intenzione di scrivere anche la musica per un film sull’Ulysses, di cui Joyce sta
valutando il copione; il film non verrà però realizzato.
1933. Si sposa con Maria Simona Munro, di nobile famiglia scozzese. Stando a
Joyce, due anni dopo il matrimonio è già in crisi: «Il Conte Edgardo Carducci si è
fatto vivo. Stava per divorziarsi ma poi ha cambiato parere», scrive alla figlia Lucia
(29 maggio 1935); e nella lettera successiva, al figlio George, il romanziere registra
una nuova liaison sentimentale: «Agisce insieme con una dama o forse damigella
che si chiama Pallustre. Essa è piena d’entusiasmo per la mia opera della quale però
non ha letto una sola riga» (3 giugno 1935). Il 28 febbraio 1936 nascerà comunque
un figlio in seno al matrimonio, battezzato coi nomi Francesco Luigi Roberto.
1935. Affievolitosi in lui l’interesse per la musica sacra, su consiglio del padre
tenta la strada del teatro musicale, più vicina agli interessi del grande pubblico
di quanto non lo sia l’oratorio, «meglio adatto a scelte adunanze» (CARDUCCI
AGUSTINI 1936, c. 2). Si affida perciò al poeta spagnolo Joaquín de Luna casualmente
conosciuto a Parigi, e confeziona insieme con lui il libretto dell’opera Il geloso
Don Felice, ossia Amore sotto chiave, dalla novella El celoso estremeño di
Cervantes: più che un’opera comica, sarà una «commedia musicale», «diversa
dall’opera buffa in quanto ammette l’elemento lirico» (ivi, c. 1). La gestazione
della partitura (Parigi 1935-36) è al centro di un memoriale manoscritto del padre
Luigi, datato «Taranto, fine 1936», recante il titolo Amore sotto chiave. Impressioni.
Note. Commenti (Taranto, collezione privata): da esso si evince il fitto rapporto
epistolare intercorso in quegli anni fra padre e figlio, con i condizionamenti
esercitati da Luigi sulle scelte di Edgardo, non solo in ambito musicale.
1936. Su pressione del padre, il 27 settembre Edgardo Carducci ritorna
definitivamente in Italia, risiedendo a Taranto presso la famiglia di origine, che
aveva comunque continuato a frequentare grazie a periodici rientri temporanei.
L’occasione del viaggio, presumibilmente con moglie e figlio al seguito, è data
dal favorevole «ribasso ferroviario concesso pel Congresso Cattolico di Roma» (cfr.
CARDUCCI AGUSTINI 1936, c. 51), cui il compositore doveva essere comunque
interessato in prima persona. Entro l’anno, organizza a Taranto un’audizione
privata di Amore sotto chiave, cui assiste fra gli altri lo zio paterno organista (ivi,
c. 43).
1937. Sottoposta al “Comitato di lettura per le opere liriche nuovissime della
S.I.A.E.”, la partitura teatrale da poco conclusa ottiene favorevoli consensi a Roma,
col particolare apprezzamento di Tullio Serafin, all’epoca direttore del Teatro
Reale nella capitale. Già destinata alla stagione estiva 1937 del teatro di Aix-les-
Bains, la partitura viene dunque ritirata all’ultimo momento per riservarle un
debutto tutto italiano: con dedica al Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri
e col titolo Amore sotto chiave, va in scena il 3 e 5 ottobre 1937 al Teatro delle
Novità di Bergamo, sotto la direzione di Armando La Rosa Parodi e per la regia
di Mario Frigerio. La critica considera banale il libretto, scarsamente originale la
musica; l’opera ottiene nondimeno buon successo di pubblico e viene ripresa a
distanza di pochi giorni alla E.I.A.R. di Torino in forma di concerto con i medesimi
interpreti (radiodiffusione il 13 e 15 ottobre 1937: confronta l’allegato allo spartito
conservato in I-BRq).
1938. A Taranto compone la sua seconda opera teatrale, Il povero Enrico [La
leggenda di Enrico e Godeliebe], su libretto proprio in versi sciolti, da Hauptmann;
il “Comitato di lettura” della S.I.A.E. la segnala al Ministero della Cultura
Popolare per un’esecuzione, che l’incombere della guerra evidentemente impedisce.
L’autore rivedrà completamente l’opera nel 1945, assegnandole il titolo Mathelda
(anch’essa apparentemente non rappresentata).
1940-41. Si trasferisce a Roma, città che diverrà la sua residenza definitiva (da
ultimo, in Corso Trieste 174). Al Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma,
approfondisce la composizione di musica religiosa con Licinio Refice e Raffaele
Casimiri, canto gregoriano con Gregori Maria Suñol, conseguendo il magistero
“summa cum laude”.
1940-43. Si afferma rapidamente come compositore di colonne sonore
cinematografiche fra le maggiori case produttrici romane (Scalera Films, Fono-
Roma, Istituto Luce): in appena quattro anni, ben dodici pellicole firmate dai registi
più vicini al regime fascista.
1943. Compone le musiche di scena per il dramma Il prato di Diego Fabbri (nato
nel 1940 come radiodramma e già eseguito alla E.I.A.R. di Roma il 5 agosto 1940)
viene rappresentato il 27 maggio 1943 al Teatro Eliseo di Roma dalla Compagnia
del Teatro G.U.F., con la regia di Gerardo Guerrieri.
59

1944-1954. Il Pontificio Istituto di Musica Sacra lo chiama nel 1944 a insegnare


Armonia e Critica musicale. Terminata la Guerra, si dedicherà ancora
occasionalmente al cinema, ma il suo impegno sarà rivolto soprattutto alla musica
sacra e alla politica culturale in favore del consolidamento della musica nelle
chiese (importanti interventi in convegni specifici e su riviste del settore). Nel 1946
si occupa della revisione della Passione di Cristo di Giovanni Paisiello (1784)
finalizzata a una esecuzione radiofonica della E.I.A.R. di Roma. Nella stessa sede
vengono eseguite numerose sue composizioni cameristiche ed oratoriali dalla forte
impronta spirituale, segno del sostegno da parte delle istituzioni ecclesiastiche: Il
calice, ciclo lirico per 2 solisti e quartetto di archi e di legni, su testi tradotti
dall’arabo (1945); Sonata in mi maggiore per violino e pianoforte (1946); Libro
d’ore, ciclo di liriche per 3 solisti, coro e orchestra d’archi (1945, con altre due
repliche negli anni successivi); Commento al Pater Noster, per voci recitanti, arpa,
organo e orchestra d’archi (1947); Il gigante egoista, fiaba musicale per voce
recitante e piccola orchestra, da Oscar Wilde (1947); Contemplazione, poemetto
musicale per soprani, tenori, voci bianche, arpa, organo e orchestra d’archi su un
tema di Bach, con testo La pecorella smarrita di Giovanni Pascoli (1949). Trovano
invece sbocco in ambito liturgico le numerose messe composte negli anni per varie
ricorrenze: Missa Cum jubilo e Vespro delle Domeniche (1942); Missa Jesu dulcis
memoria, a 3 voci e organo (1947); Missa In Festo Sanctissimae Trinitatis, per
coro maschile; Missa In Festo Nativitatis Beatae Mariae Virginis, a 8 voci; Missa
In Festis Beatae Mariae Virginis, a 4 voci e onde Martenot; Missa Tempore
Paschali.
1949. Tanta è la distinzione ormai raggiunta nella capitale, che il suo nome viene
accolto nel Piccolo dizionario musicale per tutti di Cesare Valabrega.
1955-1967. Il Pontificio Istituto di Musica Sacra gli affida nel 1955 la prestigiosa
cattedra di Contrappunto e fuga, mantenuta fino alla morte. Insegnerà anche Forme
musicali e Strumentazione. Carducci fa ormai dell’insegnamento il suo impegno
principale (numerose le opere didattiche), vantando allievi da tutto il mondo,
specialmente dall’Estremo Oriente. In ambito compositivo, scrive l’oratorio Vita di
Maria per soli, piccolo e grande coro e orchestra (1961) e sperimenta la dimensione
concertistica di opere nominalmente liturgiche: Requiem da concerto, per coro e
orchestra (1954); Messa de Requiem, per coro maschile (1960); Messa da concerto,
per coro e orchestra di fiati (1962); Messa da concerto, per doppio coro, organo e
piccola orchestra (1964). Parallelamente, sviluppa la lirica da camera d’argomento
spirituale: Nove liriche su testi biblici, per voce e pianoforte; Undici liriche di
Tagore, per voce recitante, violino, clarinetto e pianoforte, su testi di Rabindranath
Tagore (Rabíndranáth Thákhur), da Gitanjali (1959); Tre brevi liriche su testi biblici.
1967. Muore a Torino il 17 settembre, dopo breve agonia, colpito da malessere
durante un soggiorno di vacanza in un paesello piemontese. Lascia incompiuto
l’oratorio Passione di Cristo. La sorella Pia pubblicherà a Taranto una biografia
agiografica per consolidare la memoria dell’artista. Cinque anni dopo la morte, al
festival Incontri Musicali Romani del 1972 sono eseguite le Undici liriche di Tagore.
Il 23 aprile 2008 il Pontificio Istituto di Musica Sacra organizza a Roma un concerto
commemorativo di sue composizioni sacre e profane, segno di un ricordo non ancora
sopito.
60

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Personaggio eclettico in ambito musicale, Edgardo Carducci non coltivò tuttavia


soltanto la musica fra i suoi interessi, se James Joyce ebbe a dire a Samuel Beckett
negli anni ’30: «L’unico filosofo dilettante d’un qualche valore che io conosca è il
Carducci» (informazione raccolta dalla voce dello stesso Beckett: ELLMANN 1981,
p. 661). Alla figlia Lucia, così Joyce ne scriveva in perfetto italiano: «È sempre
pieno d’idealismo ed ama le paste e la musica. Insomma, un buonissimo italiano»
(lettera del 29 maggio 1935).
Carducci si è dedicato compiutamente al teatro musicale praticamente in una
sola importante occasione, con la commedia lirica del 1937 Amore sotto chiave. Lo
stile musicale dell’opera può essere riassunto dal giudizio critico che Franco Abbiati
scrisse a commento del primo e unico allestimento: «imita e assimila e saccheggia e
plasma e deforma senza requie, con un indiscutibile talento, il più logoro bagaglio
dell’opera, del canzoniere e perfino dell’operetta dei tempi che sono e che furono»
(«Il Popolo» di Torino, 21 ottobre 1937).
Molta maggior fortuna e credito riscosse nel campo della musica cinematografica
(sia colonne sonore, sia semplici canzoni), forse anche grazie a una piena adesione
al regime politico dominante, che lo volle ripetutamente attivo. Di buona popolarità
fra il grande pubblico godette nel 1942 la canzone Violette nei capelli (parole di
Giovanni Sordi), inserita nel film omonimo di Carlo Ludovico Bragaglia, interpretata
da Dea Garbaccio ed Ernesto Bonino (spartito pubblicato a Roma dall’editore
Marletta).
Nel suo catalogo spiccano alcune composizioni strumentali (una Sonata per
pianoforte del 1920; una Sonata in mi maggiore per violino e pianoforte del 1945;
sei Quartetti per archi nati fra il 1958 e il 1963; un Quintetto con liriche, per soprano,
pianoforte e archi del 1945, rivisto nel 1956; un Sestetto per archi del 1961; uno
sperimentale Triplo quartetto del 1965; un Concerto per pianoforte e orchestra del
1958; una Sinfonia non datata); ma certamente maggiore fu l’impegno nell’ambito
della musica sacra, fra oratorii e composizioni varie d’ispirazione religiosa (si veda
l’elenco in CARDUCCI AGUSTINI post 1967, pp. 74-77; molti manoscritti conservati in
I-Rism).
L’interesse per questo particolare ambito si estrinsecò anche in pubbliche prese
di posizione con articoli su riviste del settore e partecipazioni a convegni: in
particolare, Tradizione e modernità (nel «Bollettino Ceciliano», XXXVIII/9-10,
1943), Se i sistemi esclusivisti della musica contemporanea siano conciliabili
con lo stile sacro (negli Atti del [I] Congresso internazionale di musica sacra,
Roma 25-30 maggio 1950, a cura di Igino Anglès, Desclée & C.ie, Tournai 1952,
pp. 395-397), Necessità di una valutazione cristiana dell’arte musicale e della
sua storia (in Zweiter internationaler Kongreß für katholische Kirchenmusik. Zu
Ehren des Heiligen Papstes Pius X, Wien, 4.-10. Oktober 1954, a cura di Matthias
Glatzl, Franz Kosch e Leopold Nowak, Herold, Wien 1955, pp. 274-278). Il suo
atteggiamento estetico era possibilista nei confronti delle nuove correnti musicali,
purché la modernità non arrivasse a rinnegare la tradizione. La parola chiave era
per lui la «sintesi» fra il nuovo e l’antico: «Il maggiore e il minore non vanno
proscritti; ma la ossificazione nel maggiore e nel minore è inconcepibile in piena
metà del secolo XX. La modalità ecclesiastica offre alla sensibilità religiosa dei
61

nostri musicisti le sue molte possibilità» (da Tradizione e modernità); e il suo


compositore di riferimento non poteva allora che essere Ildebrando Pizzetti.
L’impegno più significativo di Carducci in campo artistico rimane comunque
quello didattico, coltivato per oltre vent’anni: addestrò infatti decine di compositori
provenienti a Roma da tutto il mondo per specializzarsi nel campo della musica
sacra. Nonostante le numerose opere teoriche prodotte, ma di circolazione
relativamente ristretta (Tecnica della modulazione, Editore Pioda, Roma s.d., 60
pp.; Armonia diatonica di modo maggiore e minore: formule, seconda edizione,
Arti Grafiche Sampaolesi, Roma s.d., 108 pp.; Lezioni sull’arte musicale, s.e.,
Roma 1970, 198 pp., un esemplare in I-FERc; L’estetica della musica religiosa,
1945?; Trattato di composizione e studio delle forme musicali, 2 voll., De Santis,
Roma 1972, 608 pp., esemplari in I-Bmischiati, I-FERc, I-Mc, I-Rsc, I-Rism, I-
SASc), Carducci volle chiosare il suo postumo Trattato di Composizione e studio
delle forme musicali con l’aforisma: «Un’opera d’arte non è mai uscita da uno
statuto e le deliberazioni di tutti i congressisti del mondo non generano neppure una
nota di capolavoro».

Bibliografia
(DEUMM, ES)

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Censura teatrale e fascismo (1931-1944): la storia, l’archivio,
l’inventario, a cura di Patrizia Ferrara, Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale
per gli Archivi, Roma 2004, vol. I, p. 271.
Archivio del Cinema Italiano, vol. II: Il cinema sonoro: 1930-1969, a cura di Aldo Bernardini, Edizioni
Anica, Roma 1992.
BARTOCCI Aldo, Figure da ricordare: Edgardo Carducci (1898-1967), in «Bollettino Ceciliano», LXIX/
11 (novembre 1974), p. 311.
BERTIERI Claudio, Filmlexicon degli autori e delle opere, vol. I, Edizioni di Bianco & Nero, Roma
1958, col. 1087.
BULL Storm, Index to Biographies of Contemporary Composers, vol. I, The Scarecrow Press, New
York 1960, p. 70.
CARDUCCI AGUSTINI Luigi, Amore sotto chiave. Impressioni. Note. Commenti, ms. autografo, Taranto
fine 1936 (I-TA coll. priv.): contiene la trascrizione di molte lettere di Edgardo Carducci al padre da
Parigi (1935-36) e di resoconti giornalistici.
CARDUCCI AGUSTINI Pia, Edgardo Carducci Agustini, Tarentum, Taranto [post 1967], con numerose
testimonianze, rassegna stampa, fotografie, catalogo delle opere e due scritti del musicista (Gradini,
pp. 23-28; Il contenuto dell’opera di Beethoven, pp. 29-38).
COLPI Henri, Défense et illustration de la musique dans le filmý, Société d’Édition de Recherches et
de documentation cinématographiques, Lyon 1963, p. 331.
COMUZIO Ermanno, La bella addormentata in camicia nera. La musica per film in Italia durante il
fascismo (1930-1944), in «Bianco & Nero» XLV/ 2 (aprile-giugno 1984), pp. 31-73.
CROLLALANZA Giovanni Battista di, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili
italiane estinte e fiorenti, vol. I, Presso la direzione del Giornale araldico, Pisa 1886, p. 236.
DAWSON Hugh J., Thomas MacGreevy and Joyce, in «James Joyce Quarterly» XXV/3 (Spring 1988),
pp. 305-321: 314.
DEMING H. Robert, A Bibliography of James Joyce Studies, G. K. Hall & Co., Boston 19772, p. 106.
DONELLA Valentino, Dal pruno al melarancio: musica in chiesa dal 1903 al 1963, Edizioni Carrara,
Bergamo 1999, pp. 124, 248.
ELLMANN Richard, James Joyce, Oxford University Press, New York 1959, 19812, p. 661.
Encyclopédie de la musique, a cura di François Michel, François Lesure, Vladimir Fédorov, vol.
I, Fasquelle, Paris 1958, p. 490.
62

FABBRI Diego, Teatro, vol. I: Orbite, Paludi, La libraria del sole, Il prato, Vallecchi, Firenze 1959, p.
390.
FARGNOLI Nicholas - GILLESPIE Michael Patrick, James Joyce A to Z: The Essential Reference to the
Life and Work, Oxford University Press, Oxford 1955, p. 125.
GUALERZI Giorgio - MARINELLI Roscioni Carlo, 50 anni di opera lirica alla Rai 1931-1980, Eri, Torino
1981, pp. 68-69.
Letters of James Joyce, vol. III, a cura di Richard Ellmann, Faber and Faber, London 1966, pp. 205,
306, 307, 353, 357, 358.
MADDOX Brenda, Nora, the real life of Molly Bloom, Mariner Books, Boston 1988, 20002, pp. 294, 299.
Panorama biografico degli italiani d’oggi, a cura di Gennaro Vaccaro, vol. I, Curcio, Roma 1956, p.
303.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 47.
Il Teatro delle Novità di Bergamo: 1937-1973, Comune di Bergamo, Assessorato alla Cultura e allo
Spettacolo, Bergamo 1985, pp. 106-107 (con bozzetti dell’opera Amore sotto chiave e rassegna
stampa).
VALABREGA Cesare, Il piccolo dizionario musicale per tutti, Ed. Il Faro, Roma 1949.

Opere drammatiche
Opere liriche

1. [Una partitura adolescenziale di argomento mitologico], libretto di Luigi Carducci


Agustini, 1911, non rappresentata.
2. Il geloso Don Felice, ossia Amore sotto chiave, commedia lirica in tre atti di Gioachino
[Joaquín] de Luna ed Edgardo Carducci da El celoso estremeño di Miguel de Cervantes
Saavedra, BG Teatro delle Novità 3 ottobre 1937 (libretto in I-Fn, I-FPfanan, I-Raf, I-Tt;
spartito per canto e pianoforte in I-BRq con dedica autografa a Eugenio Faustini Fasini
e allegato un biglietto ms. d’invito al medesimo per le radiodiffusioni del 13 e 15 ott.
1937, I-VAcl). Opera dedicata a Dino (Edoardo) Alfieri.
3. Il povero Enrico, opera in tre atti, libretto di Edgardo Carducci da Der arme Heinrich di
Gerhart Hauptmann, 1938, non rappresentata (depositata all’Ufficio Censura Teatrale di
Roma nel 1939 col titolo La leggenda di Enrico e Godeliebe).
4. Mathelda, completo rifacimento della precedente su nuovo libretto tratto dall’omonimo
poema medievale Der arme Heinrich di Hartman von Aue, 1945, non rappresentata?
(partitura e riduzione per canto e pianforte in I-Rism).

Oratorii

1. Santo Francesco, oratorio per soli, coro e orchestra, su testi dai Fioretti e dalle due Vite
di Francesco d’Assisi, 1930, revisionata nel 1959 (partitura e riduzione per canto e
pianforte in I-Rism).
2. Vita di Maria, oratorio per soli, piccolo e grande coro e orchestra, 1961.
3. Passione di Cristo, oratorio, 1967 (compiuta solo la prima parte e l’inizio della seconda).

Fiabe musicali

1. Il gigante egoista, fiaba musicale per voce recitante e piccola orchestra, da Oscar Wilde,
1946, eseguito a Roma, E.I.A.R., 1947.
2. Il principe felice, commento musicale per pianoforte e archi alla fiaba di Oscar Wilde,
1955.
63

Balletti

1. Balletto delle Stagioni, 1965.


2. Danza delle fanciulle, 1965.

Musiche di scena per il teatro e musiche per il cinema3

1. per il dramma Il prato di Diego Fabbri (1940), Roma, Teatro Eliseo, 27 maggio 1943.
2. Le Monastère, 1932 (documentariio).
3. Le Soleil de minuit, 1933 (documentario).
4. Il ponte di vetro, 1940 (regia di Goffredo Alessandrini), insieme a Umberto Mancini.
5. Incanto di mezzanotte, 1940 (regia di Mario Baffico).
6. Kean, 1940 (regia di Guido Brignone).
7. Confessione, 1941 (regia di Flavio Calzavara), insieme a Ettore Fecchi (Carducci è autore
delle canzoni Luna, dimmelo tu e Nostalgia di felicità).
8. Sancta Maria (La muchacha de Moscù), 1941 (regia di Edgar Neville e Pier Luigi Faraldo
per la versione italiana).
9. Se non son matti non li vogliamo, 1941 (regia di Esodo Pratelli), insieme a Franco
Casavola (Carducci direttore d’orchestra).
10. Uomini sul fondo, 1941 (regia di Francesco De Robertis).
11. È caduta una donna, 1941 (regia di Alfredo Guarini).
12. Alfa Tau!, 1942 (regia di Francesco De Robertis).
13. Gioco pericoloso, 1942 (regia di Nunzio Malasomma), insieme a Ezio Carabella e Rafael
Martinez Torre.
14. Violette nei capelli, 1942 (regia di Carlo Ludovico Bragaglia), insieme a Alberto Paoletti
e Lyno Benedetti.
15. Marinai senza stelle, 1943 (regia di Francesco De Robertis), come direttore musicale.
16. L’isola del sogno, 1947 (regia di Ernesto Remani): solo per le canzoni (in unione con
Cesare A. Bixio).
17. I dritti, 1957 (regia di Mario Amendola).
18. Le dritte, 1958 (regia di Mario Amendola).
Marco Beghelli

3
Sono elencati tutti i titoli di film in cui Carducci abbia un qualche ruolo musicale dichiarato in locandina.
64

GIOVANNI GUALBERTO CARDUCCI AGUSTINI DELL’ANTOGLIETTA


Fragagnano (TA), 31 dicembre 1891 - ivi, 28 febbraio 1959

Cronologia1

Primogenito del marchese di Fragagnano, Cataldo Carducci Agustini


dell’Antoglietta, e di Lucia Circelli, ricevette le prime lezioni di musica dal padre
(educato nel collegio napoletano degli Scolopi e buon suonatore di armonium), il
quale vergò per lui le note del pentagramma sul marmo bianco del tavolo da cucina,
come su una lavagna. Non si hanno notizie sulla successiva formazione musicale,
anche se è certo che un secondo cugino del padre, l’organista e compositore tarantino
Carlo Carducci Agustini (vedi ad vocem) frequentò a lungo il palazzo marchesale
di Fragagnano (in famiglia, si segnala anche il terzo cugino Edgardo Carducci
Agustini: vedi ad vocem). Divenuto presto ottimo pianista, fece della musica
professione esclusiva.
1910 ca. Sin da giovanissimo dà lezioni private di canto e dirige la banda musicale
di Fragagnano.
1913. Due sue composizioni (la marcia Il concorso della Casa Belati e la polka
Marietta) vengono premiate con medaglia d’argento al concorso dello Stabilimento
Musicale Tito Belati di Perugia (commissari Armando Mercuri e Dedalo Rossini).
1915. Compone una Marcia Pastorale (presto entrata nella tradizione natalizia
delle bande tarantine), e un’Ave Maria per soprano, in seguito adattata per voce
maschile.
1915-1918. Richiamato alle armi, è nominato “capo-musica” e dirige bande
musicali in zona di guerra. A tale periodo risalgono molte sue composizioni di
circostanza, principalmente marce ed inni. Durante la ritirata di Caporetto, la notte
del 29 ottobre 1917, salva la vita a una giovane donna di Tricesimo (UD), sbandata
su un ponte del fiume Tagliamento e venutasi a trovare tra i due fuochi. Militare
controvoglia, promosse nel suo piccolo gesti di pace, come quando la notte di Natale
uscì di trincea per familiarizzare col nemico, arrivando a scambiare la pistola con
un soldato austriaco. Ferito a un piede nell’estate 1918, organizza un coro di
commilitoni ricoverati nell’ospedale da campo n. 132 di Ghèdi (Brescia) e, qualche
mese dopo, dirige un complesso bandistico di cinquantasette militari nel teatro di
Noventa Vicentina.

1
La maggior parte delle informazioni sono state raccolte direttamente dalla testimonianza del figlio del
compositore, prof. Alberto Carducci Agustini dell’Antoglietta, medico, che sentitamente ringraziamo. A lui si deve
anche la ricognizione sulla partitura della Divina tragedia. A lui si devono anche le notizie su Carlo Carducci
Agustini.
65

1919. Sposa l’insegnante elementare di Grottaglie (TA) Nicoletta Piergianni, dalla


quale avrà numerosi figli. Ripresa a Fragagnano l’attività bandistica e di docente
privato di musica, dirige un gruppo musicale di accompagnamento ai film muti in
un cinema grottagliese.
1920. Altre due sue composizioni, la tarantella per pianoforte Il voto politico alle
donne e il valzer lento Ore gioconde, vengono premiate con medaglia di bronzo al
suddetto concorso perugino (commissari Carlo Bufaloni e Mariano Bartolucci).
1924-1936. Il lungo periodo è dedicato principalmente alla sua creazione più
impegnativa, testo e musica: l’opera in quattro atti La divina tragedia incentrata
sulle ultime ore della vita di Gesù. Nel 1939 sottopone la partitura alla giuria del
Premio San Remo di Musica e al “Comitato di lettura per le opere liriche nuovissime
della S.I.A.E. da segnalare, come meritevoli di esecuzione, al Ministero della Cultura
Popolare, Direzione per il Teatro”.
1937-1940. Trasfesce la propria residenza a Taranto, dove insegna privatamente
canto e costituisce un affiatato complesso musicale (soprano, flauto, due violini,
violoncello, contrabbasso e organo) col quale si esibisce in molte chiese cittadine
(in particolare quella di S. Antonio), generalmente per feste nuziali. Tra le varie
esibizioni del gruppo, si segnala quella tarantina del 14 aprile 1940 nel Circolo
Sottufficiali della Marina Militare “Principe Aimone di Savoia”, sotto gli auspici
de «Il Popolo di Roma».
1940-1945. Richiamato nuovamente alle armi, viene destinato a servizi di
segreteria in città, che gli consentono di continuare l’attività privata di docente di
canto e di direttore d’orchestra nelle chiese e nei teatri di Taranto.
1945. Compone un Inno degli Sposi, «dedicato alla sig.na Cornelia Auditore,
soprano dalla voce non comune e allieva mia prediletta, nel dì delle sue nozze», per
coro maschile e gruppo strumentale.
1955 ca. Progetta una fiaba musicale di cui abbozza il soggetto (protagonista una
fata), per la quale comincia a cercare la disponibilità di voci bianche.
1959. Muore il 28 febbraio a Fragagnano, dove viene sepolto nella Cappella di
famiglia.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

L’unico lavoro teatrale compiuto è l’opera d’argomento sacro La divina tragedia.


L’enigmatico sottotitolo «Opera seconda de la vita di Gesù» potrebbe far supporre
un più ampio progetto drammaturgico mai realizzato, comprendente una prima parte
dedicata all’infanzia o alla predicazione di Gesù di Nazareth. Il libretto, in versi, è
creazione dello stesso musicista; si struttura in quattro atti, preceduti da un “poema
sinfonico-corale” inteso come «sintesi» dell’intera vicenda, così ripartita:
SINTESI (a sipario chiuso). Gesù nasce (Pastorale); Preghiera dei pastori (coro sottovoce);
Gesù nella vita: entrata delle palme (coro); Odissea di Gesù; Agonia di Gesù (una voce
di tenore); Gesù muore (campana, voci bianche); La terra si muove (accell. e cresc.);
Gesù risorto (Grandioso, soprani, tenori, baritoni e bassi).
66

ATTO I. Sinedrio: La congiura dei Sommi Sacerdoti (tenori, baritoni e bassi); Il popolo
entra: Caifa, una guardia, Giuseppe, un sicario, popolo (tenori, baritoni e bassi), Anna,
Nicodemo, Giuda; Sinedrio (2° coro): Entra il popolo (tenori, baritoni e bassi), Caifa,
Giubal, Abia, Soliloquio di Giuseppe; Intermezzo cantato (a sipario momentaneamente
chiuso). L’ultima cena con gli apostoli (tenori, baritoni e bassi), Gesù, Pietro, Giuda,
Pietro (sorpreso e pensieroso), Coro degli Apostoli.
ATTO II. Intermezzo (a sipario chiuso). Il Monte degli ulivi: Gesù prega; l’angiolo
sospeso nel vuoto offre il calice a Gesù; Giuda seguito dai soldati bacia Gesù; Pietro
taglia l’orecchio a Malco e Gesù lo riattacca; Giuda con coro (tenori, baritoni e bassi);
Giuda s’impicca.
ATTO III. Una piazza, con la casa di Pilato: Pietro, un’ancella, un servo, un altro servo,
diversi servi e guardie; Il gallo canta tre volte; Pietro s’inginocchia e piange; Maddalena
e Giuseppe (duetto); Maddalena, Giuseppe, Maria e Giovanni (quartetto); Pilato e i
Sommi Sacerdoti (tenori, baritoni e bassi); Popolo, Gesù e Barabba; Maria e Giuseppe;
Maria, Maddalena, Giovanni e Giuseppe (tempo di marcia funebre, tromba e tamburo
scordato, tenori, baritono e bassi); Giovanni a Maria; Giovanni al popolo; Caduta di
Gesù; Maria al figlio; Il Figlio alla Madre; Maria, Maddalena, Gesù, Giovanni e
Giuseppe (quintetto); Coro (tenori, baritoni e bassi) e nuovamente quintetto.
ATTO IV. Preludio (a sipario chiuso). In fondo alla scena vi è la Croce con Gesù
inchiodato, ai suoi piedi le tre Marie e Giovanni, sul pavimento al centro della scena
tre soldati che giocano a dadi e che fuggono quando la terra inizia a tremare: Terremoto;
Giuseppe e Nicodemo calano il sacro corpo; Lamento di Giuseppe; Maria
(amorevolmente); Maddalena, Giovanni, Nicodemo e Giuseppe (quartetto, «molto largo
e piano, quasi un mormorio, mentre la scena si oscura gradatamente»).
Nonostante l’articolazione in numerose scene e momenti musicali e a dispetto
della lunghissima gestazione (oltre un decennio di lavoro), l’opera non è di ampie
proporzioni, totalizzando 135 carte di partitura (107 in un secondo esemplare di
formato maggiore e con modifiche alla strumentazione). Non è chiaro se sia mai stata
rappresentata nella sua intierezza; di certo alcune sue parti più significative (e segna-
tamente l’atto IV) furono eseguite ripetutamente a Taranto fino ai primi anni ’50, sia
in forma scenica nei cinema-teatri cittadini, sia come commento musicale alle sacre
rappresentazioni della Settimana Santa tarantina, cui l’autore prestava il suo diretto
apporto in qualità di direttore. In una nota dattiloscritta conservata all’interno del
secondo esemplare, l’autore dichiara di essersi attenuto ai canoni operistici dell’Ot-
tocento che anche i contadini conoscono e comprendono, e di aver scelto un soggetto
adatto alla rappresentazione sia nei teatri chiusi che aperti, con un numero di musi-
cisti variabile a seconda delle necessità. La sua restante produzione è strettamente
legata alle occasioni di vita locale (circa ottanta composizioni autografe conservate
nell’archivio di famiglia, molte su testo proprio): da un lato il pubblico intrattenimen-
to, con varie canzoni e ballabili (il tango A lumi spenti, il valzer lento Mia bella
nomade, la serenata Fra sonno e veglia, le mazurke Monella e Magna mia, ecc.);
dall’altro la devozione liturgica, con numerose composizioni sacre, non di rado
dedicate a particolari momenti eucaristici (Preludio per l’elevazione, Sanctus, Tantum
ergo, inni A Maria SS.ma “Stella del Mare” (1947), A S. Giuseppe, A S. Luigi, Per
la Gioventù Antoniana), oppure destinate a qualche occasione festiva (A Don Paolo
Acquaro in occasione della sua prima Messa. Fragagnano 9 settembre 1951, A
Padre Barella, Per la festa alla Direttrice, ecc.).
67

Stando ai registri della (S.I.A.E.), che lo vide iscritto a partire dal 1939, alcune
composizioni risultano eseguite anche nei paesi scandinavi.

Bibliografia

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Censura teatrale e fascismo (1931-1944): la storia, l’archivio,
l’inventario, a cura di Patrizia Ferrara, Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale
per gli Archivi, Roma 2004, vol. I, p. 271.

Opere drammatiche e oratorii

1. La divina tragedia, opera seconda de la vita di Gesù, su testo proprio, 1924-36


(conservato in due versioni che divergono nella strumentazione e nella raffigurazione
scenica del finale: I-TA, collezioni private).
2. [fiaba musicale], incompiuta (abbozzato il solo soggetto), 1955 ca.

Marco Beghelli
68

FRANCO CASAVOLA
Modugno (BA), 13 luglio 1891 - Bari, 7 luglio 1955

Cronologia

1910-1927. Franco Casavola nasce a Modugno, borgo nei pressi di Bari, da


Donato e da Giovanna Russo. Si avvia agli studi musicali con Pasquale La Rotella,
proseguendoli a Milano con Luigi Mapelli e a Roma, dal 1915, con Ottorino
Respighi del quale segue i corsi in un periodo di apprendistato grazie a cui entra
in contatto con esponenti del mondo musicale italiano tra i quali Zanella, Masca-
gni, Giordano e Alfredo Casella. Partecipa alla prima guerra mondiale con il grado
di capitano e durante i combattimenti sul Carso è insignito di medaglia al valor
militare. Ritornato a Bari viene attratto dal poeta rosacrociano, profugo armeno,
Hrand Nazariantz che non poco ebbe ad influirne le scelte legate al simbolismo
esplicitate in musica da liriche di antichi poeti giapponesi (Tankas) che riecheg-
giano gli stilemi di Lucini, Ada Negri, Pascoli e Ivan Goll. Nel 1919 si guadagna
un franco riconoscimento quando, su invito di Diaghilev, ha l’incarico di musicare
il dramma mimico Hop Frog (tratto dall’omonimo racconto di E. A. Poe) nel
quadro della moda della danza moderna di gusto orientaleggiante che i “Ballets
Russes” avevano promosso e diffuso sui palcoscenici europei; qui incomincia a
sperimentare certi ammiccamenti al jazz con ritmi irregolari sparsi a piene mani
nello spartito autografo conservato a Bari-Fondo Casavola. A questi primi anni
Venti risale la convinta adesione al movimento futurista che lo vede protagonista
nelle ricerche attorno alle teorie del nuovo apparato strumentale con esperienze
che aveva già saggiato nella città natale quando, tra il 1922 e il 1923, l’Asso-
ciazione Studentesca barese «De Palma» aveva presentato alcune performances
di Marinetti, Cangiullo e De Angelis seguite da sue piéces per pianoforte (Ranoc-
chi al chiaro di luna, La danza delle scimmie, Lo specchio delle rosee nudità).
Il debutto nazionale vero e proprio lo fa alla Casa d’Arte Bragaglia di Roma
quando, nel 1922, presenta con Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini un Ballo mec-
canico futurista con l’intervento rumoristico di una motocicletta in scena. Due
anni dopo partecipa a Roma al Primo Congresso Futurista Italiano e lì presenta
i suoi cinque manifesti teorici: La musica futurista (poi pubblicato su “Il Futu-
rismo. Rivista sintetica illustrata” dell’11 dicembre 1924); Le atmosfere croma-
tiche della musica; Le versioni scenico-plastiche della musica (cofirmato insieme
a Bragaglia); Teatro degli attimi dilatati; Le sintesi visive della musica (redatto
con Luciani). In questo stesso periodo, oltre a consolidare i rapporti di collabo-
razione con altri giovani esponenti del movimento come Silvio Mix, si avvicina
a Luigi Russolo autore, già nel 1913, del fondamentale manifesto della musica
futurista L’arte dei rumori. È proprio Casavola, infatti, che si fa convinto difensore
delle invenzioni macchinistiche (il rumorarmonio e l’arco enarmonico) in anni in
cui egli va manifestando un impegno creativo sia come direttore d’orchestra, sia
69

come compositore di musiche adattate alla rivoluzionaria strumentazione futurista,


sempre in sintonia con l’apertura europea propugnata dall’unico movimento musicale
d’avanguardia italiano. La forte coscienza innovativa spinge Casavola ad ispirarsi
alle teorie dello spettacolo totale mutuate dal barisien-parisien Ricciotto Canuto
già sodale di Apollinaire, alle “visioni” di Skrjabin, al jazz, col fine di proporre
un’idea di creazione musicale in quanto arte “eminentemente sintetica” e a “por-
tare l’improvvisazione nell’insieme orchestrale”, convinto assertore (almeno in
questa fase) della fine storica del melodramma in favore di nuove forme musicali
non poco suggestionate dall’astrattismo di Steiner e Schuré (“drammi mimici”,
pantomime, “sintesi visive”). Del suo periodo futurista si devono menzionare
alcune liriche per canto e pianoforte, dalla Canzone di Uriele al Fox trot zoologico
dal sapore cabarettistico, sino al moderno jingle per pubblicizzare l’analcolico
Campari, insieme a musiche che scrive in occasione dei balletti andati in scena
al teatro degli Indipendenti di Roma: Anihccam del 3000 (costumi e bozzetti di
Depero, ma la partitura è andata perduta forse distrutta dallo stesso Casavola),
Danza dell’elica con un motore a scoppio protagonista finale ovvero il marinet-
tiano Cabaret epilettico, presentati a Gorizia nel 1923 al Teatro Semifuturista di
Sofronio Pocarini e poi in tournée italiana; quindi Piedigrotta (balletto ispirato
al poema paroliberista di Cangiullo con rumori e suoni degli strumenti della
tradizione popolare napoletana); La ballata degli gnomi e La notte di San Pietro
(testo di Cavacchioli). In questi anni molti di siffatti lavori vengono presentati a
Milano e a Parigi, e sue sono le musiche di scena per Ritornello azzurro di Arturo
Rossato (Milano 1924) e I Prigionieri di Filippo T. Marinetti (Parigi 1926) in
uno con il pezzo sinfonico Fantasia meccanica (1923). A testimoniare la sua
collaborazione con i massimi protagonisti del secondo futurismo italiano, vanno
infine ricordate le pantomime Il Mercante di cuori e Tre momenti sulla base di
scene e costumi firmati da Enrico Prampolini e Luciano Folgore per uno spettacolo
composito in cui sono utilizzati gli intonarumori. Quello fu il tentativo di esportare
in Europa le invenzioni futuriste italiane grazie ad un programma presentato
durante la tournée del Teatro della Pantomima della danzatrice Maria Ricotti, al
parigino Théâtre de la Madeleine. In questi stessi anni di fervida attività creativa
Casavola si cimenta anche nella narrativa scrivendo i due romanzi Avviamento alla
pazzzzia (Edizioni futuriste di Poesia, prefazione di Marinetti, Milano 1924) e
Diario di guerra di Leonardo Cottres (1924).
1927-1954. Con le musiche composte a ridosso degli anni Trenta, siamo già in
presenza di opere che vanno a costituire la seconda stagione della creatività
musicale di Franco Casavola, il quale man mano si allontana dalla importante
stagione futurista sino a rinnegarla del tutto. Risale a questo periodo il percorso
artistico a ritroso del musicista barese, che se da un lato si ricollega all’opera verista
e al filone lirico-sentimentale mai domo nell’Italia musicale del suo tempo, dall’altro
inizia l’attività di organizzatore culturale sempre partecipe dei nuovi fermenti
artistici; in particolare sono da segnalare le pioneristiche composizioni di musiche
per film composte negli anni della nascente “musica applicata” al cinema sonoro,
il cosiddetto Fonofilm. L’opera che marca nettamente un primo distacco dalla
poetica futurista è Il gobbo del califfo (libretto di Arturo Rossato), atto unico
vincitore del concorso bandito dal governatorato di Roma. Presentato in prima
esecuzione all’Opera di Roma nel maggio del 1929 sotto la direzione di Gino
70

Marinuzzi e con la regìa di Sanin, il lavoro incontrerà un notevole successo di


pubblico tanto da essere replicato in Italia, alla Scala di Milano e al Petruzzelli
di Bari, in Argentina al Colón di Buenos Aires, in Germania in lingua tedesca
(Stoccarda, 1931), in Egitto e in Norvegia. Con l’intento di riattualizzare le
suggestioni dell’opera lirico-sentimentale che pure aveva abiurato nella fase futurista,
Casavola compone in seguito i balletti Il castello del bosco (Roma, teatro dell’Opera,
1931); L’alba di Don Giovanni che ebbe l’ambito privilegio d’essere presentato
al Festival della Biennale di Venezia del 1932; l’opera giocosa Le astuzie d’amore
(su libretto di Rossato, Bari, teatro Petruzzelli 1936) e infine Salammbô (libretto
di Emidio Mucci, dal romanzo di Flaubert, Roma, teatro dell’Opera 1948). Da
segnalare le musiche di scena per L’Arzigogolo (1938), Antigone di Sofocle
(Roma, teatro dell’Università 1950); per spettacoli di danza quali Canidia (danza
per coro e percussione, 1943, mai rappresentata); Il cantico dei cantici (danza per
coro e percussione, 1951, mai rappresentata); Bolle di sapone, Operazioni
aritmetiche e Molto strepito per nulla (Roma, teatro dell’Opera 1954). Nell’ultimo
periodo della sua vita ritorna a farsi intensa l’attività di critico musicale per altro
già iniziata negli anni giovanili con interventi su Il Corriere delle Puglie, attività
che si intreccia con il lavoro di organizzatore culturale di spettacoli per lo più
legati alla terra d’origine. Diventa critico musicale de Il Tempo dal 1944 al 1947;
collabora al Corriere della Nazione nel 1947; fonda e dirige la rivista Modernità,
e in occasione del 150° anniversario della morte di Niccolò Piccinni scrive una
serie di articoli pubblicati sulla Gazzetta del Mezzogiorno di Bari poi raccolti nelle
pubblicazioni dell’Archivio storico pugliese, (IV, 1951). Alle celebrazioni partecipa
con una sua regìa dell’opera inedita di Nicolò Piccinni, Lo sposo deluso e compone
le musiche del balletto Passo d’addio su musiche dello stesso compositore
settecentesco. Postumo, viene pubblicato un suo pioneristico saggio su Tommaso
Traetta (Tommaso Traetta di Bitonto, 1727-1779. La vita e le opere, Società di
Storia patria per la Puglia, Bari 1957). Da ricordare infine, in occasione delle
celebrazioni pirandelliane di Agrigento del 1951, la composizione di sue musiche
di scena per La sagra del Signore della nave.
L’aspetto più originale dell’ultima fase creativa di Casavola è legata alla
composizione di musiche per film. La mole e la qualità dei suoi interventi musicali
testimonia l’attenzione costante, dalla metà degli anni Trenta fino a primi anni
Cinquanta, rivolta ad un genere poco esplorato dai musicisti contemporanei, e
proprio nel tempo della nascente industria cinematografica italiana. C’è da dire
che questo suo interesse è riconducibile alla scoperta delle potenzialità espressive
del cinema sonoro, da intendersi in quanto tratto della sua parabola artistica sempre
vicina alla curiosità intellettuale per le applicazioni tecniche propria del movimento
futurista. Sue dunque sono le musiche per i lungometraggi Sette giorni all’altro
mondo (regia di Mario Mattioli, 1936); La damigella di Bard (Mario Mattioli,
1936); Montevergine (Carlo Campogalliani, 1937); Terra di nessuno (Mario
Baffico, 1937); Hanno rapito un uomo (Gennaro Righelli, 1938); Il destino in
tasca (Gennaro Righelli, 1938); Fuochi d’artificio (Gennaro Righelli, 1938);
L’ultimo scugnizzo (Gennaro Righelli, 1938); Fascino (Giacinto Solito, 1939);
Casa lontana (Johannes Meyer, 1939); Leggenda azzurra (Giuseppe Guarino,
1939); Mare (Mario Baffico, 1940); L’uomo del romanzo (Mario Bonnard, 1940);
Il pozzo dei miracoli (Gennaro Righelli, 1940); La regina di Navarra (Carmine
Gallone, 1941); Se non son matti non li vogliamo (Esodo Pratelli, 1941); A che
71

servono questi quattrini (Esodo Pratelli, 1942); Carmela (Flavio Calzavara, 1942
con protagonista la famosa attrice Doris Duranti); Canal Grande (di Flavio
Calzavara, 1942); Tempesta sul golfo (di Gennaro Righelli, 1943); Resurrezione
(di Flavio Calzavara, 1943); Addio mia bella Napoli (di Mario Bonnard, 1945);
Aquila nera (regia di Riccardo Freda, 1946); Furia (di Goffredo Alessandrini,
1946); Eleonora Duse (di Francesco M. Ratti, 1947); Anni difficili (regia di Luigi
Zampa, 1948); La sepolta viva (di Guido Brignone, 1948); Il falco rosso (di Carlo
Ludovico Bragaglia, 1949); La figlia del mendicante (di Carlo Campogalliani,
1949); Quel fantasma di mio marito (di Camillo Mastrocinque, 1950); Ippodromi
all’alba (documentario, 1950); Alina (di Giorgio Pastina, 1950); Contro la legge
(di Flavio Calzavara, 1950); Sigillo rosso (di Flavio Calzavara, 1950); I due
derelitti (di Flavio Calzavara, 1952); Amore rosso (di Aldo Vergano, 1953).
Trasferitosi definitivamente in Puglia, Franco Casavola riincontra il poeta Nazariantz
e viene ancora una volta suggestionato dal movimento graalista per la cui rivistina
locale, «Graal», egli pubblica una Lettera sul teatro lirico che è insieme un amaro
bilancio della sua vita artistica e un lucido atto d’accusa contro la politica musicale
del Fascismo. Muore a Bari il 7 luglio del 1955. Contrariamente a quanto egli
stesso aveva dichiarato, la sua produzione musicale futurista non è affatto andata
distrutta, tanto che nel 1992 è stata fortunosamente rinvenuta in una delle abitazioni
delle sue sorelle, andando poi a formare un ricco fondo documentario, generosamente
donato dai nipoti, e oggi catalogato e consultabile presso la Biblioteca Provinciale
De Gemmis di Bari.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Invero già dal 1924 Casavola, in un abbozzo di estetica musicale delineato con il
sodale di sempre Sebastiano Arturo Luciani, il quale non poco ebbe ad influenzarne
l’intelligenza conoscitiva, fissava una proposta organica in vista della «nuova
opera»: l’opera dei futuristi della seconda ora che doveva risolvere il dissidio e la
separatezza dei ruoli tra canto, recitativo e forma scenica per puntare invece «a
limitare le parole (le parole del libretto) al puro necessario rendendo la trama
intellegibile come in una pantomima; e a far sì che il canto non sia un arresto
dell’azione, ma parte importantissima dell’azione, logicamente e strettamente legata
all’azione e che naturalmente dall’azione scaturisca come, nella vita, sono logiche
e legate alla vita una canzone ed una serenata». A ben vedere, Casavola resterà, alla
fine del suo cammino compositivo, un seguace di Respighi specie in virtù dell’abile
mestiere di strumentatore appreso dal famoso maestro. Tutt’al più, nelle prove
d’ampio respiro si affermerà come seconda linea, certamente di qualità, della
generazione tardo-verista, egli un tempo catturato dal vortice del futurismo e dotato
di sincere curiosità intellettuali e di un certo fiuto creativo per le novità accampate
dal film sonoro e dalla modern-dance. Sino ad intuire e a scorgere nel jazz (ed egli
fu tra i primi in Italia) la possibilità «di identificare l’esecutore con il creatore, di
portare l’improvvisazione nell’insieme orchestrale»; meglio se in un vortice
«eminentemente sintetico», dunque sin-estetico in quanto «l’intensità delle vibrazioni
visive è infinitamente superiore e la sensazione luminosa più rapida di quella
auditiva».
72

Ma la risposta a tale tensione ideale sempre condivisa con il conterraneo Sebastiano


Arturo Luciani (una sorta di suo ghost writer) si rivelò, alla lunga, inadeguata,
come si palesa nell’ultimo atto di un’avventura intellettuale iniziata all’avanguardia
trent’anni prima, ma poi sfociata nella «tragedia lirica» Salammbô, un melodramma
interessante, old fashioned, andato in scena il 27 aprile del 1948 nel teatro della
capitale. Le cronache del tempo ci dicono che nel ruolo della protagonista, «purissima
vergine cartaginese consacrata alla Dea Tani’t» debuttava Renata Tebaldi, una
ancor giovane soprano che si inerpica, nella prima aria all’inizio dell’opera, su
di un re sovracuto: “vezzo canoro” nella più pura delle tradizioni tardo-veriste
sfruttato dal compositore barese quando egli involontariamente ma fatalmente
finisce per citare, nella scena-madre, un’altra e ben più famosa principessa orientale.
Il libretto di Emidio Mucci non si distacca molto dall’originale flaubertiano: tutto
sa di orientalismo un po’ posticcio con irruenze di danze scandite all’inizio degli
atti, in momenti topici della storia d’amore proibita tra la sacerdotessa e il capitano
libico Matho. L’andamento generale della musica che riveste questo ultimo dramma
a sfondo storico, risulta alla fine godibile perché rassicurante, senza strappi o balzi
in avanti, magari con ritorni ai luoghi comuni del puccinismo assurto a moda.
Interessante è tuttavia l’attenzione posta da Casavola a precisi colori strumentali
evocatori di atmosfere chiarosculari (uso costante di clarinetto basso e corno
inglese); mentre la canzone dei soldati numidi (Di dardi innumeri bella la nuvola,
zailà! Zailà!) è debitrice del facile melodizzare mascagnano con passaggi orchestrali
in cui ci è persino dato riconoscere autocitazioni del Casavola futurista che egli
trae da un suo precedente brano sinfonico della rinnegata stagione futurista (Fantasia
meccanica).

Bibliografia

(DBI, DEUMM, EITNER, ES, MGG, NG2001, NGO, STIEGER)

BIANCHI Stefano, La musica futurista: ricerche e documenti, LIM, Lucca 1995, pp. 124-127.
BIRARDI Beatrice, I futurlieder di Franco Casavola, Tesi di laurea specialistica, Università degli Studi
di Lecce, a.a. 2005-2006, rel. Prof. Roberto Giuliani.
–, Dal futurismo al Bitter Campari. Le liriche da camera di Franco Casavola, in «Rivista Italiana
di Musicologia», vol. XLII (2007), n. 2, pp. 267-308 (con ricco apparato bibliografico).
CASAVOLA Franco, Difesa del jazz, in «L’Impero», 14 agosto 1926.
COLAZZO Salvatore, Il contributo di Franco Casavola, in Futurismo e Meridione, Catalogo della
mostra, Electa, Napoli 1996 .
DE ANGELIS Alfredo, Franco Casavola, in «La propaganda musicale», n. 7-8, 1929.
DE LISO Giuseppe, Il cinquantenario della morte di Franco Casavola, Litopress, Bari 2005.
–, Franco Casavola e il futurismo pugliese cinquant’anni dopo, Atheneum, Firenze 2008.
DELL’AQUILA Michele, Parnaso di Puglia nel ‘900, Adriatica ed., Bari 1993.
DORFLES Gillo, Il divenire delle arti, Bompiani, Milano 1996, pp. 185-189, 231-240.
Estasi brevi. Futuristi di Puglia: Casavola, Luciani e gli altri, a cura di Salvatore Colazzo, Amaltea,
Castrignano de’ Greci 2005.
FOLGORE Luciano, La musica futurista, l’arte dei rumori, in «Almanacco italiano», XXVIII, 1923.
GIANNONE Antonio Lucio, Futurismo e dintorni, Congedo ed., Galatina 1993.
GIOVINE Alfredo, Franco Casavola, in Musicisti e cantanti di terra di Bari, Levante, Bari 1968,
pp. 11-14.
LEUCCI Fiorenza, Satie, Canudo e Péladan dal simbolismo all’Esprit Nouveau, in Verso la modernità
a cura di Giovanni Dotoli, Schena, Fasano 1994.
73

–, Parade in Italia. Sperimentazioni rumoristiche negli anni Dieci in Italia e in Francia, in


«Musica/Realtà», 50, luglio 1996.
LISTA Giovanni, Futurisme. Manifestes-documents-proclamations, Terrail, Parigi 2001.
LOMBARDI Daniele, Il suono veloce. Futurismo e futurismi in musica, Unicopli-LIM, Milano-Lucca
1996.
–, La sfida alle stelle! Aspetti della musica futurista, in «Musica/Realtà», 5 (1981), pp. 51-70
–, Rumori futuri. Studi e immagini sulla musica futurista, Vallecchi, Firenze 2004, pp. 95-98.
–, Nuova Enciclopedia del Futurismo musicale, Mudima, Milano 2009, pp. 71-85.
LUCIANI Sebastiano Arturo, L’arco enarmonico, in «Musica d’Oggi», VIII, 11, 1926.
–, Le Astuzie di Amore, in «L’Italia letteraria», 9 febbraio 1936.
MOLITERNI Pierfranco, Una Piedigrotta ritrovata, in Marinetti e il Futurismo a Napoli a cura di
Matteo D’Ambrosio, De Luca ed., Roma 1996, pp. 99-106.
–, Franco Casavola. Il Futurismo e lo spettacolo della musica, Adda, Bari 2000.
–, Dalle Villanelle alla napoletana al teatro-danza. Ancora sulla modernità di Sebastiano Arturo
Luciani, in Bibliografia di Sebastiano A.Luciani, a cura di B. Brunetti, B.A. Graphis, Bari 2000.
NICOLODI Fiamma, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Discanto, Fiesole 1984, pp. 88-93.
Arturo Prampolini e la pantomima futurista, in «L’Ambrosiano», 12 maggio 1927.
RUSSOLO Luigi, Il musicista futurista Franco Casavola, in «Teatro», III (1927), pp. 37-38.
SEBASTIANI Grazia, Franco Casavola e la sua musica tra futurismo e tradizione, Edizioni dal Sud,
Bari 1996.
–, Franco Casavola: un itinerario di musica futurista, in «Sonus», viii/1 (1996), pp. 30-37.
–, Il Fondo Musicale Franco Casavola, Edizioni dal Sud, Bari 1996.
Théâtre futuriste italien. Anthologie critique, ii, Lausanne 1976, pp. 89-93, 181-193.
Verso le avanguardie. Gli anni del Futurismo in Puglia: 1909-1944, a cura di Giuseppe Appella,
Adda, Bari 1996, pp. 199-231.
SINISI Silvana, Prampolini e Casavola, in Verso le avanguardie. Gli anni del Futurismo in Puglia:1909-
1944 a cura di Giuseppe Appella, Adda, Bari 1996, pp. 233-248.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 43-44.
–, Il futurismo pugliese, Levante, Bari 1992.

Opere drammatiche

1. Il gobbo del califfo, atto unico di Arturo Rossato da Le Mille e una notte, Costanzi,
Roma 1929.
2. Le astuzie d’amore, opera comica in due atti di Arturo Rossato, BA Petruzzelli 1936.
3. Salambò, tragedia lirica in quattro atti di Emidio Mucci dall’omonimo romanzo di
Flaubert, Roma teatro dell’Opera 27 aprile 1948.

Pierfranco Moliterni
74

NICOLA CASSANO
Ruvo di Puglia (BA), 2 gennaio 1857 - Bari, 25 gennaio 1915

Cronologia

Nicola Cassano nasce a Ruvo di Puglia il 2 gennaio 1857 da Biagio, farmacista, e


Rosa Vella, figlia del notaio Nicola. Lo zio materno Raffaele Vella è compositore e
maestro di cappella della Cattedrale di Ruvo; alla sua morte, nel 1870, gli succede-
rà l’allievo Francesco Cassano, zio paterno di Nicola, che ricoprirà l’incarico per
40 anni. Orfano di madre già in tenera età, il piccolo Nicola cresce dunque in un
ambiente ricco di stimoli musicali e, piccolissimo, viene avviato allo studio del
violino. A dodici anni è al Real Collegio di Musica «S. Pietro a Majella» di Napoli,
dove si mette presto in luce tra gli allievi più dotati. Il suo maestro di composizione,
Paolo Serrao, che è anche il direttore del Conservatorio, scrive per lui nel 1873 una
fuga a due voci dal titolo Sibillina. A poco più di vent’anni Cassano si diploma in
Pianoforte e in Composizione. Saggio finale di quest’ultima disciplina L’alpigiani-
na, un’opera lirica in un atto e due parti che si avvale della collaborazione di Enri-
co Golisciani, librettista assai prestigioso. L’opera, una “comédie larmoyante” di
fine Ottocento che alterna fresche e semplici melodie di carattere sentimentale a
quadri d’ambiente affidati a un’orchestrazione già condotta con mano sicura, viene
messa in scena al Real Collegio di Musica il 21 aprile 1880 al cospetto di uno
spettatore d’eccezione, Richard Wagner, in visita al Conservatorio di Napoli, che
esprime apertamente il suo vivo apprezzamento. Lo ricorderà anni dopo anche il
compagno di studi Francesco Cilea, divenuto intanto operista affermato e direttore
del Conservatorio di Napoli, in una lettera del 1925 scritta in occasione del decen-
nale della scomparsa del musicista ruvese. L’alpigianina resterà l’unica prova di
teatro musicale per Cassano, che, conseguiti i diplomi, si ferma per qualche anno a
Napoli come “maestrino” di armonia e contrappunto nella classe di composizione
di Paolo Serrao, un apprendistato didattico per il quale utilizza anche un Corso di
contrappunto scritto quando era ancora allievo. Avvia già a Napoli un’attività di
insegnante privato di pianoforte, principale fonte di sostentamento, che non abban-
donerà più negli anni a venire, quando ritornerà a Ruvo e infine, con la moglie
Maria Cantatore e una famiglia via via più numerosa, si stabilirà a Bari. Qui, tra
intense frequentazioni mondane e amicizie personali che lo legano a musicisti come
Puccini e Mascagni, diviene protagonista della vita musicale cittadina e nel 1893 il
sindaco Giuseppe Bottalico lo nomina componente della Deputazione del Teatro
Comunale Piccinni. Pianista formidabile (per Florestano Rossomandi «il più forte
pianista del Mezzogiorno d’Italia»), si esibisce in pubblico con una certa regolarità
e compone nel corso degli anni numerose pagine pianistiche, molte delle quali pub-
blicate da prestigiosi editori, che nella ricca varietà della scrittura strumentale te-
stimoniano quanto l’autore abbia assorbito della formidabile scuola pianistica degli
ultimi decenni del secolo con la quale ha avuto occasione di essere a stretto contat-
to. Nicola Cassano muore a Bari il 25 gennaio 1915.
75

Bibliografia
BOCCUZZI Francesco, Profili ruvesi, Officine Grafiche Pansini, Ruvo 1926, pp. 74-75.
BUCCI Cleto, Nicola Cassano, musicista ruvese, Università della Terza Età - Centro Studi e Ricerca,
Ruvo di Puglia 2009.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatorii, vol. IV, Stabilimento
Tipografico di Vinc. Morano, Napoli 1881, pp. 530-531.
GIOVINE Alfredo, L’opera in musica nei teatri di Bari. Statistica delle rappresentazioni dal 1830 al
1969, Archivio delle tradizioni popolari baresi, Bari 1969, pp. 39, 45, 51, 110.
LEGGER Gianni, Drammaturgia Musicale Italiana. Dizionario dell’italianità nell’opera dalle origini
al terzo millennio, Teatro Regio di Torino, Torino 2005, p. 166.
LONGO Alessandro, Riccardo Wagner al Conservatorio di Napoli. Una visita - Una lettera, in «L’arte
pianistica», I, n. 21, 1 novembre 1914, pp. 5-6.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi, Raeli, Tricase 1925, p. 63.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900, Olschki, Firenze 2003.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, 1966, p. 51.
TEDONE Angelo, Ruvo di Puglia. Uomini illustri, Centro Studi Meridionali, Giovinazzo 1997, p. 19.
TESTINI N., Musicisti ruvesi dimenticati, Ruvo di Puglia 1937.

Opere drammatiche

L’alpigianina, idillio in un atto e due parti di Enrico Golisciani, prima rappresentazione Real
Collegio di Musica, Napoli 21 aprile 1880.
Angela Annese
76

NICOLA COSMO
Acquaviva delle Fonti (BA), 30 aprile 1918 - Bari, 13 dicembre 1984

Cronologia

Compositore e didatta, Nicola Cosmo inizia gli studi musicali all’età di dieci anni,
nel 1928, seguendo i corsi di Composizione e Pianoforte tenuti da Amilcare
Zanella nel Conservatorio «Gioachino Rossini» di Pesaro. Nel 1937 si iscrive al
Conservatorio «S. Pietro a Majella» di Napoli, dove si perfeziona in Pianoforte
con Paolo Denza e in Composizione con Jacopo Napoli: si diplomerà in Pianoforte
nel 1940 e l’anno successivo conseguirà i diplomi in Strumentazione per banda
e in Alta Composizione. Nel 1941 segue i corsi di perfezionamento in Composizione
e Direzione d’orchestra tenuti da Antonio Guarnieri all’Accademia Chigiana di
Siena. Ha svolto attività didattica come docente di Lettura della partitura nel Liceo
Musicale di Bari (successivamente Conservatorio «Niccolò Piccinni») ed è stato
a lungo segretario del Sindacato Nazionale Musicisti. Tra le sue numerose
composizioni cameristiche si segnalano la Sarabanda e Toccata per pianoforte
(1942), il Girotondo per pianoforte, la Giullaresca a tre per pianoforte, flauto e
violoncello (1944), la Berceuse per pianoforte (1944), Jolao e Corinna, per arpa
e flauto (1944) e Eros, intermezzo per violino e pianoforte (1944) (cfr. GIOVINE,
1968). È autore anche di un’apprezzata opera didattica per pianoforte: due volumi
di Scale semplici e Scale doppie legate a schema fisso per pianoforte. Cosmo
si cimenta con il teatro musicale a partire dal 1950, quando compone Jaufré Rudel,
opera in un atto su libretto di Vincenzo Spinelli rappresentata per la prima volta
a Bari in forma di concerto nel 1955 e in prima teatrale nel Teatro Duni di Matera
il 27 aprile 1967, sotto la direzione dell’autore. L’opera fu accolta con successo
ed ebbe come interpreti Tommaso Frascati, Elvidia Titano, Renzo Catacchio,
scenografo Gennaro Fatiguso. Il lavoro successivo, la Redenzione di Davide, è
un’opera in un atto e 4 quadri basata su un libretto di Vincenzo Spinelli; fu
rappresentata per la prima volta a Bari il 1 febbraio 1964. Resta inedita e mai
rappresentata la Reine-Claire, opera in tre atti su libretto della moglie Eloisa
Curatolo dalla commedia Bifur di Simon Gantillon. È autore anche di un balletto
(mai eseguito) intitolato Pigmalione, con coro in lingua greca, su testo di Sebastiano
Arturo Luciani.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Secondo Alfredo Giovine la produzione teatrale di Cosmo «si tiene lontano dalle
stravaganze e astruserie d’avanguardia» ed è caratterizzata «dalla sintesi del
linguaggio musicale» e da una «intrinseca coerenza fra testo letterario e espressione
musicale. Per ottenere una maggiore compattezza fra gli interpreti ed il pubblico,
77

le voci tradizionali del canto recitano: declamato ritmico, quando l’azione richiede
il dialogo serrato e cantato per esprimere con più aderenza le umane passioni. Il
teatro di Cosmo si stacca dalla tradizione per immettere nel teatro lirico un
declamato ritmico con un sottofondo sonoro orchestrale, sia per quel che riguarda
il coro sia per i singoli personaggi» (cfr. GIOVINE, 1968). Nella Redenzione di
Davide l’autore sviluppa il tema del sentimento amoroso puro che, sorretto dalla
fede, eleva le creature terrene alla sfera dei sentimenti e dei sensi sublimati. Alcuni
dei testi scelti da Cosmo rispecchiano i più autorevoli temi culturali del Novecento
(Il tempo, lo spazio e l’uomo su testi di Cesare Brandi, 1982. Cfr FABRIS e RENZI,
1983).

Bibliografia
(DEUMM)

CALBI Otello, Musicisti contemporanei: compositori e musicologi: panorama biografico, Simeoli,


Napoli 1957.
COSMO Nicola, Il Liceo “Piccinni” di Bari, «S. Carlo», II/2, 1960, p. 26.
COSMO Nicola, Scale semplici e Scale doppie legate a schema fisso per pianoforte, Salvati, Bari 1954,
2 voll.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 59.
GIOVINE Alfredo, Musicisti e cantanti in terra di Bari, Tipografia Mare, Bari 1968, pp. 15-16.
TRIGGIANI Giuseppe, Il melodramma nel mondo 1597-1987, Levante, Bari 1988, p. 51.
La musica a Bari dalle cantorie medievali al Conservatorio Piccinni, a cura di Dinko Fabris e Marco
Renzi, Levante, Bari 1993, pp. 202-203.

Opere drammatiche

1. Jaufré Rudel, opera in un atto di Vincenzo Spinelli, MT Teatro Duni 27 aprile1967


(libretto in I-Fn, I-REt).
2. La Redenzione di Davide, opera in un atto di Vincenzo Spinelli, BA 1 febbraio1964
(libretto in I-Fn, I-REt).
3. Reine-Claire, opera in tre atti di Eloisa Curatolo, non rappresentata.
4. Pigmalione, musiche per coreografia e per coro in lingua greca su testo di Sebastiano
Arturo Luciani, non rappresentato.
Nicola Badolato
78

PASQUALE MARIO COSTA


Taranto 24 luglio 1858 - Montecarlo 27 settembre 1933

Cronologia

1858-1869. Pasquale Antonio Cataldo Maria detto Pasquale Mario nasce a


Taranto, in via Duomo 189, secondo dei cinque figli di Angelo, controllore di
dogana, di origini napoletane, e Maria Giuseppa Malagisi, nobildonna imparentata
con le famiglie Montera e Marzulli di Taranto. La sua dinastia comprende noti
musicisti: tra i suoi zii ci sono Michele Costa (1808-1884), compositore e direttore
d’orchestra, e Carlo Costa (1826-1888), maestro di armonia presso il conservatorio
di Napoli; suo prozio era il compositore Giacomo Tritto (1733-1824), originario
di Altamura, nonno del direttore d’orchestra Michele Andrea Agniello (1808-
1884). Nel 1865 il padre si trasferisce a Napoli per motivi di lavoro, portando
con sé tutta la famiglia. La circostanza è favorevole, poiché la nuova casa è attigua
all’abitazione dello zio Carlo, dove si tengono frequentemente incontri ed esecuzioni
musicali cui partecipano fra gli altri Francesco Paolo Tosti, Luigi Denza, Giuseppe
Martucci, tutti che personaggi che in seguito avrebbero segnato la formazione e
la carriera del compositore. Il precoce interesse mostrato da Costa nei confronti
della musica è assecondato dalla famiglia, che accoglie il giovane Martucci, allora
studente di conservatorio, per impartirgli le prime lezioni di pianoforte.
1870-1880. All’età di dodici anni Costa entra nel Conservatorio di «S. Pietro
a Majella», allora diretto da Saverio Mercadante, dove studia canto con Domenico
Scafati e Alfonso Guercia (o Quercia), pianoforte con Costantino Palumbo, armonia
e contrappunto con lo zio Carlo e composizione con Paolo Serrao. Stringe un forte
legame con l’allora direttore dell’archivio del conservatorio, Francesco Florimo,
al quale si rivolgerà spesso per confidargli i suoi successi, i suoi problemi con gli
editori o le sue difficoltà economiche. Le prime composizioni sono soprattutto
romanze e canzoni, come la barcarola In alto mare, su versi di Enrico Golisciani,
ma anche inni, come il Saluto alla patria (1873). Inizialmente Costa è apprezzato
soprattutto per le sue doti di cantante, grazie alle quali partecipa come tenore in
alcune operette nei teatri di Napoli. Quando a vent’anni lascia il conservatorio,
dopo essersi diplomato in pianoforte, ha già composto una cinquantina di romanze,
numero che raddoppia nel giro di un paio d’anni. Ben presto diventa uno dei
cantanti più noti in città, tiene concerti, accompagnandosi col pianoforte, presso
molti salotti napoletani e impartisce lezioni alle signore e ai rampolli dell’alta
società. Fin dagli anni di studio, stabilisce un rapporto strettissimo con la città di
Napoli, tanto da segnare profondamente il suo stile musicale, nonostante poi la
sua carriera si svolga in gran parte altrove.
1881-1885. Coinvolto nella vita culturale napoletana, Costa entra in contatto con
personaggi quali Ferdinando Russo, Roberto Bracco, Edoardo Scarfoglio, Peppino
79

Turco, Matilde Serao, Gabriele D’Annunzio e soprattutto Salvatore di Giacomo,


con cui intraprende un lungo sodalizio artistico che porterà entrambi a firmare
alcune delle più memorabili canzoni napoletane, fra le quali Era de maggio, Oje,
Carulì, Luna nova, Oilì - oilà, Catarì, Serenata napulitana, Munasterio, Lariulà,
Nannì. A questo periodo risalgono anche altre note canzoni, come ‘A frangesa,
di cui scrive anche il testo, e Scètate, su versi di Russo, e alcune delle sue romanze
più note: Il nome suo, tratta dall’ode di Giosuè Carducci Panteismo, Un organetto
suona per la via, su versi di Lorenzo Stecchetti, Chanson de Barberine e J’ai
dit à mon coeur, su versi di Alfred Musset. La sua fama di chansonnier raggiunge
Tosti, che nel 1881 gli scrive una lettera proponendogli di raggiungerlo a Roma,
per poi proseguire insieme verso Londra. Dopo aver ricevuto numerose lettere di
presentazione per la società inglese da parte dei suoi sostenitori napoletani, Costa
giunge a Roma, dove ha modo di eseguire le sue composizioni in casa di Luigi
Mancinelli, alla presenza di Grieg e di Brahms. Prima di partire per Londra, Tosti
e Costa si fermano un po’ di giorni a Milano, dove fanno visita all’editore Giulio
Ricordi – che nel frattempo ha pubblicato alcune sue romanze – e ad Arrigo Boito,
impegnato allora nella composizione del Nerone. Lo stesso anno i due compositori
arrivano a Londra, dove Costa si esibisce da solo con il suo repertorio o in duetto
con Tosti, nelle serate mondane dell’aristocrazia britannica. Qui ha modo di
conoscere personaggi nobili, letterati e artisti, fra i quali il Principe di Galles
(futuro re Edoardo VII) e il musicista Arthur Sullivan. A Londra intraprende anche
un’intensa attività didattica in qualità di maestro di canto, e scrive alcune romanze
su testi inglesi, spesso traduzioni di successi italiani o francesi, come Song of
Mignon (La canzone di Mignon). Mentre è a Londra, si trasferisce per qualche
tempo a Madrid, dove le sue esecuzioni sono molto apprezzate presso la corte di
Alfonso XIII, il quale lo nomina commendatore dell’Ordine di Isabella la Cattolica.
1886-1909. Torna per un breve periodo a Napoli dopo aver appreso della morte
del padre, in seguito alla quale la madre si ristabilisce a Taranto. Si trasferisce
poi a Milano, per concertare alcune esecuzioni di musicisti napoletani presso
l’Esposizione del 1886. Il 24 luglio 1886 si sposa con Carolina Sommer, figlia
di un antiquario di Francoforte, ma il matrimonio non è dei più felici: i continui
contrasti fra i due, dovuti soprattutto allo spirito libero e vagabondo del musicista,
portano ben presto alla separazione e, anni dopo, alla rottura definitiva. Nel 1887
scrive ’A retirata, canzone su versi di Di Giacomo ispirata all’impresa d’Africa,
mentre nel 1889 compone Tarantì...tarantelle, su versi di Bracco, in occasione
della visita di Umberto I e Vittorio Emanuele Principe di Napoli a Taranto. In questi
anni Costa, pur senza abbandonare la produzione di canzoni e romanze, comincia
a mostrare un interesse crescente nei confronti del teatro. Nel 1889 mette in scena
a Napoli Le disilluse, fiaba per marionette in un atto su libretto di Bracco, con
la quale partecipa all’operetta collettiva ’O munno a smerza (Il mondo alla
rovescia), nel 1894. Nel 1890 si trasferisce a Parigi, prendendo parte alla vita
salottiera della ricca borghesia italiana che lì risiede. Nel 1893, in dodici giorni,
compone la pantomima Histoire d’un Pierrot, su libretto di Fernand Beissier,
ottenendo un enorme successo amplificato poi dall’adattamento cinematografico
del 1913, realizzato da Baldassarre Negroni e prodotto da Italica Ars-Celio Film.
Tra il 1893 e il 1894 compone altre due pantomime per i teatri parigini: Model
Rêvé e Voyage de noces (o Une nuit de noces). Nel 1894 scrive la pantomima
80

La dame de pique, che va in scena a Londra rimanendo in cartellone per un anno


e mezzo di fila. Durante gli anni parigini si reca per un breve periodo in Brasile
per dirigere alcuni concerti. Nel 1902 collabora a Piedigrotta-album, pubblicazione
curata da Salvatore di Giacomo, cui partecipano Benedetto Croce, Ugo Ricci,
Edoardo Nicolardi, Ernesto Murolo, Tosti e altri. Nel 1909 a Torino va in scena
Il Capitan Fracassa, opera comica ispirata all’omonimo romanzo di Théophile
Gautier. Dopo esser stata rappresentata in diversi teatri italiani, l’opera è parzialmente
riadattata dal compositore per i teatri parigini.
1915-1933. Durante la guerra tiene concerti per i combattenti nelle città di
Milano, Torino, Napoli, e compone inni e marce, fra cui Omaggio all’esercito
(1916) e Italia! (1918). A partire dal dopoguerra si dedica all’operetta, genere che
caratterizza la sua produzione più matura: nel 1919 viene rappresentata Il re di
chez Maxim a Milano (realizzata da Lombardo cucendo assieme brani già editi
di Costa), seguono poi Posillipo (1921), Scugnizza (1922), e, nel 1925, Il re delle
api e Mimì Pompon. Nei primi anni Venti si separa dalla moglie, dalla quale aveva
anche avuto un figlio, Giorgio, che muore pochi anni prima del padre.
Non ci sono dati certi riguardo ai rapporti di Costa col fascismo, anche se
durante il ventennio non mancano brani di ispirazione patriottica quali Ai balilla
d’Italia, di cui scrive versi e musica, Inno a Roma (1929), Rapsodia eroica (1933)
e infine, l’Inno al duce (1933), molto probabilmente la sua ultima opera, allo stato
attuale irreperibile.
Seguendo il consiglio del suo medico, si trasferisce a Montecarlo, dove avrebbe
trovato un clima più adatto alla sua insufficienza cardiaca. Per i teatri della città
Costa riscrive in francese Il Capitan Fracassa e Scugnizza, ma ben presto la sua
attività si arresta. Durante tutta la sua vita il musicista vive un un rapporto difficile
col denaro, mostrandosi incapace di gestire le ricchezze provenienti dalle sue
opere, a causa di una vita lussuosa condotta al di sopra delle sue possibilità e di
un’indole generosa e conviviale che lo portano spesso a indebitarsi. Forse l’aggravarsi
delle condizioni fisiche e la consapevolezza della fine vicina, rendono ancor più
eccessiva la vita condotta a Montecarlo negli ultimi anni. Muore nella città
francese il 27 settembre 1933, ma, nel rispetto delle sue ultime volontà, la salma
viene tumulata a Taranto il 27 giugno 1934, in una tomba monumentale offerta
dal comune della città natale.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La carriera compositiva di Costa si sviluppa secondo una ben precisa direzionalità,


che vede il musicista procedere verso il teatro musicale attraverso una serie di
tappe, non premeditate, ma più spesso scaturite dalla casualità o dalla necessità.
All’operetta Costa giunge negli anni della maturità, al termine di un percorso che,
partendo dalla romanza e dalla canzone, lo vede cimentarsi nell’iniziale esperimento
della fiaba per marionette Le disilluse (1889), per poi approdare al genere della
pantomima. L’indole bohémienne di Costa lo porta a condurre una vita sempre
ai limiti, tra momenti di folgorante successo e periodi di profonda miseria, una
condizione che influisce anche sulle sue scelte musicali, ben attente al mercato
musicale e ai gusti del pubblico. Ma i motivi che possono aver spinto inizialmente
81

Costa verso la composizione di opere di più ampio respiro, non bastano a spiegare
l’impegno e lo studio che caratterizzano il suo approccio al teatro musicale. Il
soggiorno parigino, con i successi raggiunti dalle sue pantomime, lo aiuta a vincere
la diffidenza iniziale nei confronti dell’opera in musica, forse considerata in
precedenza troppo complessa per un compositore abituato alle piccole forme della
canzone e della romanza. L’occasione giunge dall’editore londinese Chappell che,
dopo aver pubblicato le partiture delle sue pantomime, gli propone un lungo
soggiorno in una casa della campagna inglese, per dedicarsi in tutta tranquillità
alla scrittura di un’opera. Il risultato è Il Capitan Fracassa, opera comica su
libretto di Olindo Malagodi, Gigi e Antonio Cippico (che si firmano con lo
pseudonimo O. Magici) tratto dal romanzo omonimo di Gautier ridotto da Guglielmo
Emanuel. Non un’operetta, né una vera e propria opera comica, Il Capitan Fracassa
resta l’opera prediletta del compositore, la più riuscita, quella che, se pur non
compresa al momento, sarebbe stata di certo apprezzata dai posteri. La prima
rappresentazione del 1909 a Torino, registra da un lato gli applausi della critica,
dall’altro i fischi del pubblico, giudizi contrastanti che determinano la delusione
del musicista e la sua decisione di interrompere il percorso compositivo appena
intrapreso. Ma la combinazione di due fattori contribuisce al ripensamento. In
primo luogo l’accoglienza positiva che Il Capitan Fracassa riceve presso il
Costanzi di Roma l’anno seguente; in secondo luogo, il successo dell’operetta Il
re di chez Maxim che Carlo Lombardo concepisce con l’editore Tito Ricordi
utilizzando una serie di canzoni di Costa già edite, ma unite adesso tramite un
unico filo conduttore. L’effetto sorprende lo stesso compositore, il cui impegno era
stato unicamente quello di approvare il prodotto finale. I risultati positivi
dell’iniziativa rendono manifeste a Costa le opportunità che il mondo dell’operetta
offre, l’ambito perfetto in cui poter conciliare la sua vocazione per la canzone e
l’attrazione per il palcoscenico, ma anche genere molto in voga, capace di intercettare
i gusti di un folto pubblico. L’approccio di Costa all’operetta ha molto in comune
con la scrittura delle canzoni, in entrambi i generi il musicista infonde la stessa
vena melodica, l’identica passione per una costruzione musicale fluida, quasi
spontanea, la stessa semplicità di mezzi musicali.
Dopo appena due anni, giunge sulle scene Posillipo, operetta composta su un
libretto realizzato dallo stesso Costa utilizzando i versi di tre poeti napoletani:
Achille Campanile, Salvatore Di Giacomo e Ernesto Murolo. Posillipo è prima
di tutto un omaggio alla città di Napoli, ritratta in tutta la sua vivacità, con i suoi
colori, i suoi personaggi, i suoi luoghi, i suoi suoni. A partire dal successo di
Posillipo, Costa avvia il suo personale percorso operettistico, nel quale l’esperienza
della canzone napoletana si intreccia con gli influssi americani e mitteleuropei.
Il rapido entusiasmo per questo genere musicale, porta Costa a scrivere in tempi
brevissimi la sua operetta più famosa, Scugnizza, realizzata in stretta collaborazione
con Lombardo. La storia di due scugnizzi innamorati, la cui felicità è disturbata
dall’arrivo di un ricco signore americano che crede di poter comprare tutto, anche
una donna, col denaro, si traduce in uno scontro/confronto tra due culture e due
modi di vivere differenti, occasione proficua per cimentarsi in svariate soluzioni
drammaturgiche e musicali. In Scugnizza la lingua americana del potere si mescola
a quella napoletana della semplicità e della miseria; le melodie partenopee, il
caratteristico fischio dei popolani, si intrecciano con atmosfere da musical, come
mostra l’inserimento dello shimmy, un ballo molto in voga all’epoca. Scugnizza
82

esemplifica una delle caratteristiche tipiche della «piccola lirica» italiana dell’epoca,
ossia la notevole importanza rivestita dai contenuti – come avviene nell’opera
lirica – a dispetto dell’accusa di utilizzare trame banali al servizio della musica.
La vicenda dimostra, infatti, che l’amore trionfa sempre sull’arroganza del potere,
un messaggio forte anche se veicolato attraverso i toni leggeri dell’operetta, in
modo discreto e privo di protesta. La prima rappresentazione a Torino, consacrata
dalla presenza famosa soubrette Nella Regini (nome d’arte di Tilde Scarneo) nei
panni della protagonista Salomè, è soltanto l’inizio dell’ascesa di Scugnizza, che
a partire dagli anni Venti fino al dopoguerra rimane stabile nel repertorio di molte
compagnie di operetta.
Assecondando i ritmi rapidi del mercato musicale, Costa scrive a breve distanza
altre due operette, sempre in collaborazione con Carlo Lombardo, Mimì Pompon
e Il Re delle api, gli ultimi lavori di ampio respiro prima del trasferimento a
Montecarlo. Pur senza raggiungere le vette di Scugnizza, entrambe le operette sono
accolte in molti teatri con successo, a parte l’unico tonfo subito da Il Re delle Api
presso il Teatro Petruzzelli di Bari, che, proprio perché avvenuto nella sua terra
nativa, suscita la profonda delusione del compositore.
Dopo la comparsa delle versioni francesi di Il Capitan Fracassa e di Scugnizza
sulle scene di Montecarlo, la presenza delle sue operette sui cartelloni delle
stagioni liriche diviene sempre più rara. Nella fase più matura della sua carriera,
al compositore resta il rimpianto di non esser riuscito a realizzare il progetto –
concepito già fra il 1915 e il 1917 – di un’opera lirica “seria” sul Piccolo Santo
di Roberto Bracco, testo che aveva attirato l’attenzione anche di Mascagni e
Renato Simoni. A differenza delle operette, le sue canzoni non sono scalfite dal
passare del tempo e dall’imperversare di nuove tendenze, prime fra tutte il jazz,
continuando a risuonare grazie ai concerti, alla radio, ai grammofoni. Pur consi-
derando la fortuna delle sue operette, Costa sembra restare prigioniero della sua
gloria di canzoniere, un aspetto che, nonostante abbia forse impedito un pieno
riconoscimento delle sue qualità di operista, è stato in parte alimentato dallo stesso
Costa che parlando di sé affermava «Compositore di canzoni? Sì, e me ne vanto»
(ACQUAVIVA, p. 20).

Bibliografia
(DBI, DEUMM, ES, IBI, NG2001, NGO, PIPER, SCHMIDL, STIEGER)
ACQUAVIVA Giovanni, Mario Costa fra Taranto e Napoli, Scorpione, Taranto 1986.
Annali del teatro italiano, I: 1901-1920, L’Eclettica, Milano 1921, pp. 274, 283.
APONTE Salvatore, “Il Capitan Fracassa” al Costanzi, in «Orfeo», Roma, a. I, n. 19 (4 novembre
1910), p. 2.
MATNEER (pseud. Di Ferdinando Bideri), Mario Costa e la sua produzione musicale, in Piedigrotta
Bideri, Bideri, Napoli s.d., pp. 1-3.
CELLETTI Rodolfo, Profilo di Mario Costa (programma di sala), in 11° Festival della Valle D’Itria
- Martina Franca 1985, Grafischena, Fasano 1985.
CESARDI T. O. (pseudonimo di Eugenio Sacerdoti), Mascagni e Costa, in «La Tavola Rotonda», Bideri,
Napoli, a. XXIV n. 5 (24 maggio 1914), pp. 141-142.
CHEMI Tatiana, Mario Costa tarantino napoletano: contributo alla storia della canzone napoletana,
Bellini, Napoli 1996.
–, La romanza di Mario Costa: ricognizione storica e geografica, in La romanza italiana da salotto,
a cura di Francesco Sanvitale, EDT-Istituto Nazionale Tostiano, Torino 2002, pp. 301-318.
83

COSTA Mario, Cose di tanti anni fa..., in «Opera comica», a. XX, n. 23 (20 ottobre 1926), p. 1.
DELLA CORTE Andrea, Romanze e canzoni del tempo di Mario Costa, in «Pan», luglio 1934, pp. 346-
359.
DI GIACOMO Salvatore, L’opera romantica di Mario Costa, in «Orfeo», a. I n. 19 (4 novembre 1910),
pp. 1-2.
FIORENTINO Waldimaro, L’operetta italiana, Catinaccio, Bolzano, pp. 124-129, 280-286.
GENNARINI Diego, Mario Costa melodioso musicista tarantino, in «Il Salento», vol. VIII, 1934, pp.
235-239.
INCAGLIATI Matteo, La musica del Fracassa, in «Orfeo», anno I, n. 19 (4 novembre 1910), p. 3.
LANCELLOTTI Arturo, Mario Costa, in Vite di musicisti, Palombi, Roma 1957, pp. 809-819.
Mario Costa: note di vita e d’arte, a cura di Niccolò Tommaso Portacci, «Taras» fascicolo straordinario,
Cressati, Taranto 1934.
OPPICELLI Ernesto G., L’operetta. Da Hervé al musical, Fratelli Melita Editori, La Spezia 1989, pp.
202-203.
PASQUALI Ernesto, Mario Costa, in «La lettura», a. IX n. 12 (dicembre 1909), pp. 999-1006.
ROTA Daniela, Pasquale Mario Costa e la romanza italiana dell’Ottocento, Arti grafiche pugliesi,
Martina Franca 1983.
Scugnizza, a cura di Pino Nugnes, Bellini, Napoli 1990 («Libri di scena. Sezione operette» 2).
SESSA Andrea, Il melodramma italiano, 1861-1900: dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, pp. 139-140.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 60-62.
TRAUBNER Richard, Operetta. A theatrical History, Oxford University Press, New York-Oxford 1989,
p. 432.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Il Re di Chez Maxim. Gallino Fabbri 1992 [collana «L’operetta


L’operetta e il suo tempo e la commedia musicale»]
(selezione di brani)

Il Re di Chez Maxim (duetto Gallino RCA


del viaggio)

Scugnizza. Magia dell’operetta Gallino 1966 Cetra [collezione 10 dischi


(selezione di brani) «Nel regno dell’operetta»]
Nuova Fonit Cetra 1999
Fabbri 1992 [collana «L’operetta
e la commedia musicale»]

Scugnizza (selezione di brani) Costabile RCA


Replay Music

Scugnizza (duetto dello Shimmy) Brunsvik M 1127 (78 gg. lato B)

Scugnizza (selezione di brani) Minerbi Targa

Scugnizza (selezione di brani) NAR 2004 [collana


«Operetta che passione»]

Scugnizza Gruber 1979 Rai Trade - RCS libri 2009

Scugnizza Gallino 1958 Fabbri 2009 [collana «Le grandi


operette», 34]
84

Edizioni

– Il Capitan Fracassa, riduzione per canto e pianoforte di Pasquale Mario Costa, Chappell,
London, 1910; «Isabella», canzone antica atto II, riduzione per canto e pianoforte di P.
M. Costa, Chappel, London 1909; «Zerbina», strofe atto II, riduzione per canto e pianoforte
di P. M. Costa, Chappel, London 1909; valzer sopra i motivi più favoriti dell’operetta
per pianoforte di P. M. Costa, Chappell, London 1910; riduzione per pianoforte di
Guglielmo Emanuel, Chappell, London 1910.
– Il re di chez Maxim, riduzione per canto e pianoforte di P. M. Costa, Ricordi, Milano
1919; «Il mio cor, qual mister...», duetto comico atto I, riduzione per pianoforte solo di
di P. M. Costa, G. Ricordi e C., Milano 1919; «La marcia della danza - il jazz», atto II,
riduzione per pianoforte solo di P. M. Costa, G. Ricordi e C., Milano 1919; grande fantasia
per banda/riduzione di Rocco Cristiano, Belati, Perugia s.d.; riduzione per pianoforte solo
di Arturo Cadore, Ricordi, Milano 1920; fantasia/riduzione per piccola orchestra di Arturo
De Cecco, Ricordi, Milano 1927.
– Scugnizza, «Salomé», duetto comico, riduzione per canto e pianoforte di P. M. Costa,
Carlo Lombardo, Milano 1922; «fox-trott della Scugnizza», riduzione per canto e pianoforte
di P. M. Costa, ed. Carlo Lombardo, Milano 1922.
– Il re delle api, riduzione per canto e pianoforte di Edoardo Marocco, Sonzogno, Milano,
1925; «Mary e Quickly», duetto comico, Sonzogno, Milano 1925; «Le amanti», fox-trot,
riduzione per piccola orchestra di P. M. Costa, Sonzogno, Milano 1925.

Opere drammatiche
1. Le disilluse, fiaba per marionette in un atto di Roberto Bracco, NA Società Filarmonica
aprile 1889 \ NA Fenice maggio 1894.
2. Histoire d’un Pierrot, pantomima in tre atti su libretto di Fernand Beissier, Parigi 1893
(poi in versione filmica 1913).
3. Model Rêvé, pantomima, Parigi 1893.
4. Voyage de noces, pantomima, Parigi 1894.
5. La dame de pique, pantomima, Londra 1894.
6. Il Capitan Fracassa, opera comica in tre atti di Guglielmo Emanuel e O. Magici, TO
Alfieri 14 dicembre 1909 \ Roma Costanzi novembre 1910; Buenos Aires Politeama
Argentino 20 giugno 1910; Vienna Volksoper 27 gennaio 1911; Parigi 1919.
7. Il re di chez Maxim, operetta in tre atti di Carlo Lombardo e Arturo Franci, MI Fossati
10 maggio 1919 \ BA Petruzzelli 22 dicembre 1922.
8. Posillipo, commedia lirica in tre atti su libretto proprio da Achille Campanile, Salvatore
di Giacomo, Ernesto Murolo, Roma Eliseo 8 novembre 1921.
9. Scugnizza, operetta in tre atti di C. Lombardo, TO Alfieri 16 dicembre 1922 \ Roma
Costanzi 15 maggio 1923; VE Fenice 8 maggio 1924; BA Petruzzelli novembre 1924;
Canosa di Puglia (BA) Politeama 18 dicembre 1926; BA Vittoria 19 maggio 1932;
BA Piccinni 26 dicembre 1938; TS Politeama Rossetti agosto 1979; TS Verdi agosto
1980; PA Bellini 1989; TS Verdi settembre 1996; TS Verdi settembre 2002; Cavriago
(RE) Multisala Novecento 31 dicembre 2006; TS Sala Tripcovich settembre 2008.
10. Il re delle api (La regina delle api), operetta in tre atti di Giuseppe Adami, MI Lirico 11
febbraio 1925 \ BA Petruzzelli settembre 1925; TA Politeama Alhambra settembre 1925.
11. Mimì Pompon, operetta in tre atti di Giuseppe Adami, MI Lirico 23 ottobre 1925.
Beatrice Birardi
85

VITO (VITANTONIO, VITANGELO) COZZOLI


Molfetta (BA), 13 aprile 1777 - ivi, 5 gennaio 1817

Cronologia
1777. Il 13 aprile Vito Antonio Raffaele Cozzoli nacque a Molfetta da Gennaro
Cozzoli e Maria Laura Pansini.
1787-1795. Studiò al seminario vescovile di Molfetta, dove nel 1794 diventò
chierico con il rito della prima tonsura. In questo periodo si suppone abbia studiato
musica sotto la guida del maestro di canto gregoriano Francesco Saverio Massari
(autore di due Uffici conservati presso l’archivio diocesano di Molfetta) e
presumibilmente di altri maestri che in quel periodo lavoravano in seminario: Paolo
Giovanni de Leone, il primicerio Sallustio, Natale Magarelli, Pantaleo Spagnoletta.
1802-1805. Nel 1802 ricevette l’ordinazione presbiteriale e tre anni dopo occupò
il ruolo di “partecipante cantore” nel Capitolo della cattedrale. Non è certo se
Cozzoli nel 1805, come afferma Michele Romano (cfr. ROMANO 1842), iniziò lo
studio della musica a Napoli sotto la guida di Fedele Fenaroli. In quella data risulta
essere studente di Giurisprudenza, discepolo del Terracina; non è tuttavia improbabile
che avesse appreso i rudimenti della composizione studiando i trattati didattici di
Fenaroli e di Francesco Durante.
1811. A quest’anno risale un pagamento al Cozzoli da parte del seminario per
aver composto oratori (cfr. ROMANO 1842 e SALVEMINI 1878). La produzione oratoriale
di Cozzoli a tutt’oggi conosciuta si limita a due soli titoli (Ester e Giuditta),
confezionati dal sindaco di Molfetta Felice Fiore, dei quali non si conosce la data
della prima esecuzione. Cozzoli compose anche un Ufficio in canto gregoriano:
In Festo Maternitatis B. Mariæ Virginis.
1816-1817. Il Venerdì Santo (12 aprile) del 1816 venne eseguita nella cattedrale
di Molfetta la sua Passio D.N.I.C. Secundum Joannem per voci soliste, coro e
strumenti. Nel gennaio dell’anno seguente l’autore morì a Molfetta.

Bibliografia

(IBI, STIEGER)
FONTANA Aldo, Molfetta, raccolta di notizie storiche: galleria degli uomini illustri, A. Mezzina,
Molfetta 1965.
PERUZZI Francesco, Maestri compositori e musicisti molfettesi, Picca e Figlio, Molfetta 1931.
ROMANO Michele, Saggio sulla storia di Molfetta dall’epoca dell’antica Respa sino al 1840, De
Bonis, Napoli 1842.
SALVEMINI Antonio, Saggio storico della città di Molfetta, Tip. dell’Accademia Reale delle Scienze,
Napoli 1878.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 62.
–, Per una storia del teatro pugliese, prefazione di Giorgio Saponaro, Schena, Fasano 1984.
86

Edizioni

– Passio D.N.I.C. secundum Ioannem: a più strumenti, con cori di ripieno, a cura
di Gaetano Magarelli, Mezzina, Molfetta 2006.

Opere drammatiche e oratorii

1. Giuditta, dramma sacro di Francesco Fiore, Molfetta cattedrale?


2. Ester, dramma sacro Francesco Fiore, Molfetta cattedrale?
3. Passio Domini nostri Jesu Christi secundum Joannem, oratorio dal Vangelo
di Giovanni, Molfetta cattedrale 12 aprile 1816 (libretto in I-MFad).
Nicola Usula
87

GIUSEPPE CURCI
Barletta, 15 giugno 1808 - ivi, 5 agosto 1877

Cronologia

1808-1822. Giuseppe Curci nacque a Barletta il 15 giugno 1808 da Angelo,


notaio, e da Irene Cortese. I primi rudimenti musicali li apprese dallo zio paterno
Leonardo, dilettante di chitarra, strumento sul quale il giovane Giuseppe iniziò
a dar prova del suo talento musicale convincendo la famiglia a fargli intraprendere
la carriera musicale.
1823-1835. Nel 1823 iniziò il suo tirocinio presso il Conservatorio di Napoli
sotto la guida di Giovanni Furno (partimenti), Nicola Zingarelli e Pietro Raimondi
(contrappunto). Uno degli ultimi celebri castrati, Girolamo Crescentini, fu il suo
maestro di canto. Tra le prime prove compositive si segnala una Messa a 4 voci
diretta nella chiesa annessa al conservatorio dallo stesso Zingarelli nel 1829,
seguita da vari brani sacri: un Dixit dominus a 4 voci eseguito in S. Camillo de
Lellis, poi un Tantum Ergo a 3 voci, un Coro per la festa di S. Giovanni e una
Pastorale per basso e orchestra. Nella Napoli degli anni ‘30 dell’Ottocento l’esordio
di un aspirante operista seguiva il percorso del secolo precedente: sotto il parere
del maestro più autorevole, un allievo particolarmente meritorio scriveva una
partitura buffa per il teatrino del Conservatorio con la speranza di suscitare l’interesse
di un impresario – figura professionale nelle cui competenze rientrava anche quella
di talent scout capace d’individuare nel composito vivaio del Regal Collegio di
Musica quali sarebbero stati gli autori “vincenti” e le nuove stars canore – al fine
d’ottenere una scrittura nei teatri cittadini. Curci non si discostò da tale iter: nel
1832 musicò la “commedia buffa” (in prosa e musica) di Michele Paturzo Un’ora
di prigione, il cui successo gli procurò una commissione per l’autunno di quello
stesso anno da parte dell’impresario del Teatro Nuovo sopra Toledo, Turchiarola
(si tratta del Ciabattino medico e la morte, opera semiseria di Giuseppe Ceccherini).
Nel 1833 una seconda “commedia buffa”, sempre composta per il Conservatorio
e sempre in canto misto a prosa (Un matrimonio conchiuso dalle bugie, libretto
di Andrea Pàssaro), attirò l’attenzione di Domenico Barbaja che la propose al
teatro milanese della Canobbiana, in sua gestione. Fu sempre Barbaja ad impegnare
Curci sia per il carnevale del 1834 al teatro napoletano del Fondo – con il
melodramma in due atti, ancora su testo di Andrea Pàssaro, Il Sarto ed i Tabarri
– sia per il gennaio 1835 con un’“azione drammatica” di Cesare Dalbono, Ruggiero
duca di Puglia, che fece approdare il maestro barlettano al San Carlo, seppur
nell’effimero ambito di una serata di gala. Va precisato che l’interesse dimostrato
da Barbaja nei confronti di Curci, come pure di altri giovani “prodotti” della scuola
di Zingarelli, rientrava in una prassi già da tempo collaudata e che in quegli anni
stava rinsaldando i rapporti tra l’istituto musicale e i teatri. L’articolo IX dell’ultimo
88

contratto stipulato da Barbaja nella sua estrema stagione napoletana prevedeva


infatti che all’interno delle cinque opere “nuove” vi figurasse una «in uno o due
atti da scriversi da uno dei migliori allievi del Real Collegio di Musica di Napoli,
o di altro maestro di second’ordine».
1836-1838. Conclusi gli studi al Conservatorio e trasferitosi a Milano, Curci
«non trovò adito per iscrivere un’opera» (cfr. FLORIMO, p. 337) – forse per l’ostracismo
mossogli da Donizetti – e decise di tentare la propria affermazione a Torino. Il
mancato approdo alle scene milanesi, in quegli anni assurte a banco di prova per
la carriera di un operista, fu uno dei motivi che preclusero a Curci futuri successi
internazionali e la buona accoglienza dell’opera semiseria Il Proscritto al teatro
D’Angennes di Torino non ebbe immediate ripercussioni sul suo percorso
professionale. Anche la messinscena dell’opera buffa Don Desiderio (carnevale
1838, libretto di Leone Fontana), voluta dall’impresario del teatro Apollo di
Venezia, Rubini – che l’anno precedente aveva allestito la “prima” della Pia de’
Tolomei di Donizetti – non innescò il giro di commissioni auspicato dal maestro
barlettano che, dopo aver stazionato una seconda volta a Milano in attesa di
eventuali scritture, decise di fare rotta verso Vienna ripiegando sulla didattica e
sulla composizione di romanze vocali.
1839-1845. La data della partenza per Vienna non dovrebbe coincidere con il
1840, come ritiene erroneamente Florimo (seguito da tutti coloro che si sono
occupati di Curci), bensì con i primi mesi del 1838 se è vera l’affermazione di
Curci stesso, contenuta in una sua lettera del 9 marzo 1839: «Io mi trovo in Vienna,
è già un anno». L’ingresso di Curci nei salotti viennesi fu favorito da Giulietta
Guicciardi, moglie del conte Wenzel Robert Gallenberg compositore dei balli
allestiti al San Carlo (colà attivo almeno fino al 1836) e socio di Barbaja nella
direzione del Kärtnertortheater. Non è un caso se il maestro di Barletta ebbe la
possibilità di entrare a far parte dell’organigramma di questo teatro proprio grazie
alla protezione della famiglia Gallenberg (così il Curci in una sua lettera: «sono
scritturato all’Imperial Teatro della Corte come maestro al Canto, guadagno bene
e son contento d’esservi, scrivo romanze, arie e tutto ciò che posso fare, la mia
musica qui piace, mi chiamano il sentimentale chansonnier» e, in un’altra lettera,
datata 19 ottobre 1844, «io scrivo sempre, non so se la mia musica sia bella, solo
so che l’editore ne vende e ne rivende, facendone doppie edizioni; ciò vuol dire
che piace»). L’unico impegno operistico, durante la permanenza viennese, si
concretizzò in una breve opera buffa, I due mariti, rappresentata nel teatro privato
del conte Giuseppe Seldern in Stranersdorf, durante l’estate del 1845.
1846-gennaio 1848. Il barone Ozezy di Budapest, la principessa Schouvaloff-
Ditrichstein, le famiglie Czaeky e Ladinsky, reclutarono Curci in qualità di insegnante
di canto à la page, apprezzato per l’inventiva melodica delle sue romanze,
particolarmente felice nel caso della raccolta Le printemps, l’été, l’autoumne,
l’hiver, edita dal corrispondente viennese di Ricordi, Pietro Mechetti (e non
Micheletti come riporta Florimo), che gli «valse il titolo di romanziere napoletano».
Il numero dei dedicatari della musica vocale di Curci rivela in effetti una rete di
conoscenze negli ambienti nobiliari di Vienna e Budapest che tuttavia condusse
ad impieghi effimeri e a vaghe attestazioni di stima, peraltro riservate a tanti altri
maestri italiani in virtù della loro aura “esotico-mediterranea” (Curci ammette:
89

«qui parlando di Napoli è come se si parlasse dell’Africa»). Le preziose testimonianze


epistolari conservate da Florimo se da un lato dimostrano la relativa soddisfazione
di Curci per la sua sistemazione professionale a Vienna («io me la passo bene
fisicamente e moralmente» 31 ottobre 1844), dall’altro lasciano trapelare un mai
sopito interesse per il mondo teatrale partenopeo. La condizione lavorativa di Curci
non mutò durante il soggiorno ungherese, che lo vide attivo nell’insegnamento del
canto presso le più altolocate famiglie magiare e nella confezione di un fortunato
sussidio didattico successivamente ristampato a Parigi e a Londra, Le petit solfège
pour voix d’alto avec accompagnement de piano.
Febbraio 1848-1856. Il trasferimento di Curci a Parigi – preceduto, a detta del
Florimo, da alcune tappe in Germania e Belgio – nel febbraio 1848, in compagnia
della moglie, Emma Lebrun Robert (nobildonna parigina conosciuta in casa Czaeky),
probabilmente fu imposto dal burrascoso clima politico che attraversava l’impero
austro-ungarico e che era destinato a dilagare per l’intera Europa. I tempi non
potevano essere favorevoli per il conseguimento di un lavoro in pianta stabile nella
capitale francese ma Curci tentò comunque di mettersi in luce, intuendo con
intelligenza che la corda da battere era quella patriottica, inaugurata dal Charles
VI di Halévy (1843). Dopo il plauso ottenuto con un non meglio precisato Inno
di guerra, partecipò, arrivando tra i finalisti, al Prix de France con il Choeur pour
voix d’hommes sans orchestre. La produzione curciana lungo gli otto anni di
permanenza a Parigi non fu certo copiosa: otto opere di musica vocale da camera
e due lavori drammatici non approdati alle scene, Le moine blanc e Le Bachelier
d’Oviedo, entrambi su testo di Gustave Bigoire ed appartenenti al versatile filone
dell’opéra-comique nello stile di Auber. Una breve parentesi trascorsa a Manchester
(1855) costituì l’ultima tappa delle peregrinazioni di Curci che nella città inglese
s’impegnò come maestro della locale scuola di canto nonché compositore di alcuni
lavori didattici espressamente pensati per le esecuzioni nella Gentlemen’s Concerts,
allora diretta da Carlo Halle: si tratta del manuale intitolato Il bel canto (edito
a Londra da Westel) e delle trascrizioni per voci e coro di quattro lieder schubertiani.
Nonostante la buona accoglienza del suo metodo di canto, per Curci non si
concretizzarono proposte lavorative e l’esito inevitabile di una carriera che aveva
mancato l’incontro con il mondo del palcoscenico fu rappresentato dal ritorno alla
città natale e dal ripiego verso la composizione di musica sacra, nella speranza
di venire assunto presso qualche istituzione ecclesiastica.
1856-1877. Tornato a Barletta intorno ai primi mesi del 1856, Curci, in virtù dei
suoi trascorsi europei, fu nominato direttore dell’orchestra del neonato teatro barese
intitolato a Niccolò Piccinni – inaugurato il 4 ottobre 1854 – dall’Intendente della
Provincia di Terra di Bari, il cavaliere Salvatore Mandarini. In quello stesso 1856
la direzione del teatro Piccinni gli commissionò l’intonazione di una “cantata”
da eseguirsi per il genetliaco di Ferdinando II su testo di Francesco Rubino, Alfonso
il magnanimo, che tuttavia all’ultimo momento (il lavoro era giunto alla fase di
prove in teatro) non fu rappresentata in quanto la sua cornice storica (gli Aragonesi
vincono gli Angioini) avrebbe potuto risultare offensiva nei confronti della Francia.
Si ripiegò allora su un Inno composto da Giulio Petroni – Alla Sacra Real Maestà
di Ferdinando II – e felicemente intonato da Curci. Questo fu uno degli ultimi
incarichi ufficiali del compositore prima del suo definitivo ritiro a Barletta, dove
90

fu impiegato come docente di francese in un istituto scolastico locale. Colpito dai


gravi lutti familiari (morte della moglie e di tre figli) ed angustiato dall’indifferenza
delle istituzioni cittadine, terminò nell’ombra la sua esistenza, dedicandosi in
prevalenza alla composizione di musiche sacre, senza tuttavia abbandonare la
speranza di riacquistare il prestigio perduto. Ancora nel 1871 pregava Florimo
affinché caldeggiasse una sua improbabile candidatura alla direzione del
Conservatorio di Milano. L’indefesso attivismo di Curci lo spinse un anno prima
della morte ad un’estrema operazione di divulgazione della sua musica
concretizzatasi nel trimestrale «L’Antologia musicale» curato insieme al figlio
Roberto (che proseguirà l’attività musicale del padre) e sostenuto dall’editore
napoletano Del Monaco. Curci morì il 5 agosto del 1877, l’anno che con la
scomparsa di Pietro Antonio Coppola, Federico Ricci ed Errico Petrella vedeva
estinguersi un’intera generazione di compositori formatasi all’ombra del “Capo-
scuola Rossini” che non era stata in grado di evolversi né d’adeguarsi al moderno
canone operistico imperniato sulla contaminazione tra diverse drammaturgie.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

L’attività teatrale di Curci – limitata a poco più di un lustro se si considerano le


opere effettivamente rappresentate – è indicativa delle modalità con cui poteva
avviarsi la carriera di un operista “napoletano” durante il decennio compreso tra
il ritiro di Rossini (1829) e il debutto di Verdi (1839), un periodo che fu cruciale
per il definirsi di una nuova koiné melodrammaturgica e che fu interessato da una
netta demarcazione tra compositori “di cartello” e dignitosi artigiani. Le prime
cinque opere di Curci testimoniano una fase di elaborazione del modello compo-
sitivo rossiniano – condivisa da molti suoi compagni di studio quali Carlo Conti
(1796-1868) i fratelli Luigi (1805-1859) e Federico (1809-1877) Ricci, Giovanni
Antonio Speranza (1811-1850), Lauro Rossi (1812-1885), Errico Petrella (1813-
1877), Giuseppe Lillo (1814-1863), Salvatore Sarmiento (1817-1869), Nicola De
Giosa (1819-1885) – che ogni operista “napoletano” doveva attraversare prima di
affrontare l’agone teatrale milanese e veneziano. Osservando più in dettaglio la
fattura di queste opere emergono tuttavia forti legami con una tradizione pre-
rossiniana che si riferisce, talora con evidenza palmare, allo stile di Paisiello. Non
è un caso che proprio il maestro tarantino sia chiamato in causa da più d’un giornale
napoletano quale nume tutelare e modello normativo per auspicati ritorni agli
antichi fasti della “scuola napoletana”. I tratti caratteristici di siffatto prolunga-
mento della scrittura tardo-settecentesca possono essere rintracciati facilmente nei
lavori giovanili di Curci: per quanto concerne la texture orchestrale si nota che
la condotta melodica viene delegata ai violini mentre i fiati assolvono ad una
funzione coloristica e di riempitivo; l’ordito vocale dei concertati si articola
attraverso l’alternanza fra estese sezioni in stile “parlante” (ora solistiche ora in
dialogo serrato tra le voci) ed altre, più brevi, in roboante omofonia; i duetti e
i terzetti buffi fanno leva sulla verve attoriale dei cantanti, sorretti da motivi
orchestrali ritmicamente cangianti ed assemblati secondo una logica paratattica;
la vocalità dei ruoli “seri” si orienta verso stilemi belcantistici che trovano nell’arte
di Crescentini il modello di riferimento; gli elementi di “color locale” (cfr. il «coro
91

di Marinari» nel Matrimonio conchiuso dalle bugie) sono impiegati con frequen-
za, così come gli ammiccamenti alla musica “popolare” impliciti negli slittamenti
cromatici cadenzali e nell’abbondanza di ritmi in 6/8 (cfr. il brindisi corale che
apre Il sarto ed i tabarri) e in 12/8 (cfr. la cavatina di Adolfo nell’Introduzione
della medesima opera). Di segno nuovo rispetto all’epoca di Paisiello e di Zin-
garelli è semmai la strumentazione sovrabbondante che non disdegna aggregati
timbrici di marca bandistica né l’utilizzo parossistico di determinati strumenti,
quali ad esempio il trombone e l’ottavino nel duetto buffo tra il basso Diego e
il tenore Pastofalo nel I atto del Matrimonio conchiuso dalle bugie. Non stupisce
che gli esiti artistici di maggior rilievo Curci li raggiunga nel momento in cui si
trova a collaborare con Andrea Pàssaro uno dei più valenti e prolifici autori di
questa tipologia di opera comica, sospesa tra il tentativo di assimilazione della
drammaturgia dell’opéra-comique contemporaneo e l’anacronistica riproposta dello
stile di Palomba e Lorenzi. Nel dissodare queste neglette fonti librettistiche e
musicali emerge dunque una tradizione melodrammatica buffa, tutta partenopea
e parallela al “grande Ottocento” di Bellini-Donizetti-Verdi, che, lungi dall’esau-
rirsi con l’astro rossiniano e donizettiano, attraverserà l’intero XIX secolo attuando
una lenta ma costante mitizzazione e museificazione del passato settecentesco
“napoletano”. Se ben poco si può dire dell’opera viennese I due mariti – soltanto
ipotizzabile nel suo assetto visto che l’unica fonte superstite riporta le linee di canto
– altrettanto scarsi sono i dettagli relativi agli atteggiamenti compositivi che
emergono dalle partiture confezionate a Parigi. Dai frammentari materiali supersiti
si deduce tuttavia una mancata assimilazione del modello francese, dove il brano
cantato si poneva come continuazione naturale delle sezioni in prosa e dove gli
ensembles erano brevi e non indulgevano in oasi liriche. La concisione dramma-
tica, la continuità tra canto e dialogo, l’attenzione agli aspetti gestuali e visivi
rappresentavano infatti i connotati salienti della drammaturgia francese ottocen-
tesca (debitrice nei confronti del mélodrame di fine Settecento) alla quale Curci
antepose un’impostazione all’italiana, fedele alla successione cantabile-cabaletta,
all’alternanza tra momenti d’azione e sezioni lirico-contemplative, alla gestione
dei pezzi d’assieme intesi come ampie architetture musicali prima ancora che
drammatiche. Nella Parigi degli anni compresi tra Le Prophète di Meyerbeer
(1849) e Les Vêpres Siciliennes di Verdi (1855), Curci continuò così a rivolgersi
in direzione dell’estetica rossiniana che assegnava il primato non al dramma ma
alla musica. Osservando nel suo insieme l’esperienza europea curciana, non si può
fare a meno di notare come essa si sia sempre mossa nell’angusto spazio dei salotti
aristocratici – senza mai venire a contatto con la pratica della scena e dunque con
le nuove istanze della drammaturgia romantica – così come era accaduto per altri
compositori di formazione napoletana già sopra menzionati: Giuseppe Lillo (a
Parigi dal 1847 al 1848), Federico Ricci (a San Pietroburgo nel 1853 e a Parigi
nel 1869) e Luigi Ricci (a Praga dal 1858 fino alla morte avvenuta l’anno
seguente), Lauro Rossi (in Messico, a l’Avana e New Orleans tra il 1834 ed il
1843), Salvatore Sarmiento (a Parigi dal 1852 al 1854). Un rapido sguardo alla
partitura di Afonso il magnanimo può aiutare a comprendere gli anacronismi
dell’ultima fatica teatrale curciana che si rintracciano non tanto nel taglio formale
“a numeri”, internamente organizzato secondo i dettami della “solita forma”,
quanto nella volontà di confezionare una partitura estremamente complessa nel-
92

l’armonia – abbondante è l’impiego di concatenazioni enarmoniche e i piani tonali


sono gestiti tramite una continua irrequietezza modulante – raffinata (e opulenta)
nella strumentazione, indulgente verso compiacimenti contrappuntistici. In Alfonso
il magnanimo l’orchestra viene pertanto ad assumere valore in sé, perdendo la sua
funzionalità nei confronti della scena e della definizione dell’attività psichica dei
personaggi. Bisogna inoltre aggiungere che la necessità di una “riforma” del gusto
propugnata da Mercadante – tesa ad arginare l’uso del crescendo, delle cabalette
accattivanti, delle bande sul palco, delle formule cadenzali ridondanti – non
sempre trova concorde Curci, che proprio a quelle risorse e a quegli “effettismi”
concede largo spazio (basti osservare il grandioso Finale con le ripetute stereofonie
tra fanfare di ottoni e tra l’orchestra e la banda sulla scena). Scorrendo la partitura
dell’Alfonso si nota che il maestro di Barletta nel rapportarsi al contenuto dram-
matico dei libretti segue l’impostazione dell’“antica scuola” che parcellizzava il
testo poetico in segmenti musicalmente trattati secondo un formulario retorico-
musicale tanto collaudato quanto precostituito nei suoi fonosimbolismi. Curci –
e con lui decine di altri compositori ugualmente preparati sul piano tecnico –
sembra ideare la sua partitura a partire dall’espressione melodica soggettiva,
seguendo un belliniano labor limae orientato al raggiungimento della “bella
melodia” e dell’armonia ricercata.

Bibliografia
(DBI, DEUMM, ES, MGG, NG2001, NGO, PIPER, SCHMIDL, STIEGER)
CAROCCIA Antonio, La corrispondenza salvata. Lettere di maestri e compositori a Francesco
Florimo, Mnemes, Palermo 2004, pp. 36-37.
CASSANDRO Michele, Un musicista barlettano dell’Ottocento. Giuseppe Curci, in «Japigia» nuova
serie VII, 1936, pp. 330-337.
–, Barletta nella storia e nell’arte, Comune di Barletta, Tipografia Rizzi e Del Re, s.d. [ma 1955],
pp. 375-377.
CASSANDRO SERNIA Anna, Giuseppe Curci musicista barlettano, in «Archivio Storico Pugliese»,
XXXI (1978), fasc. I-V, pp. 234-263 (rist. anast. Rotas, Barletta 2005).
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatori, Morano, Napoli 1880-82,
vol. III, pp. 335-343.
GORGOGLIONE Gianluigi, Giuseppe Curci musicista barlettano dell’Ottocento: indagine musicologica
della sua produzione sacra, tesi del Corso di perfezionamento liturgico-musicale, Ufficio Liturgico
Nazionale, Roma 1998.
MATTEI Lorenzo, L’importanza dei “minori”: appunti su Giuseppe Curci, in L’«altro» melodramma.
Studi sugli operisti meridionali dell’Ottocento a cura di Pierfranco Moliterni, Graphis, Bari 2007
(Università degli Studi di Bari, «Gli Strumenti/Moduli» 17), pp. 55-79.
MELUCCI Mariagrazia, Il fondo musicale Curci della biblioteca comunale di Barletta, Biblioteca
Comunale «S. Loffredo», Barletta 1999 («Ricerche della Biblioteca» 26), pp. 13-52 (con catalogo
delle opere).
RUGGIERO Paolo, La musica sacra di Giuseppe Curci, Quaderni I.S.A.S., Barletta 1986.
TAMBURINI Luciano, Il teatro D’Angennes di Torino a metà Ottocento, in «Studi piemontesi», XXXI
(2002), n. 1, pp. 41-52.

Risorse on-line
Sul sito www.internetculturale.it sono consultabili tutte le opere di Curci conservate presso
la Biblioteca del Conservatorio «S. Pietro a Majella» di Napoli. I saggi di Michele Cassandro
93

(in «Japigia») e di Anna Cassandro Sernia (in «Archivio Storico Pugliese») sono disponibili
sul sito emeroteca.provincia.brindisi.it

Opere drammatiche

1. Un’ora di prigione, commedia in canto e prosa in due atti di Michele Paturzo, NA


Conservatorio 1832 (partitura in I-Nc*).
2. Il ciabattino medico e la morte, opera semiseria di Giuseppe Ceccherini, NA Nuovo
autunno 1832 (partitura in I-Nc) \ L’Aquila 1842.
3. Un matrimonio conchiuso dalle bugie/Buggie e verità, commedia in canto e prosa in
due atti di Andrea Passaro, NA Conservatorio 1833 (partitura in I-Nc*).
4. Il Sarto ed i Tabarri, melodramma in due atti di Andrea Passaro, NA Fondo carnevale
1834 (partitura in I-BAR*, I-Nc).
5. Ruggiero duca di Puglia, azione drammatica in un atto di Cesare Dalbono, NA S. Carlo
12 genn. 1835 (I-Nc*).
6. Il Proscritto, melodramma in due atti di Pietro Salatino, TO teatro D’Angennes
primavera 1835 (partitura in I-BAR*, I-Nc) \ CO autunno 1835; VA teatro Comunale
autunno 1835.
7. Don Desiderio, melodramma giocoso in due atti di Leone Fontana, VE teatro Apollo
carnevale 1838 (duetto e terzetto I-BAR*).
8. I due mariti, opera buffa in due atti di Giuseppe Gianfranceschi, Stranersdorf Teatro
privato del conte Seldern estate 1845 (libretto ms e parti vocali I-BAR*).
9. Le Moine Blanc, Opéra di Gustave Bigoire, Parigi, non rappr. 1848 (partitura incompleta
I-BAR*).
10. Le Bachelier d’Oviedo, Opéra-comique di Gustave Bigorie, Parigi, non rappresentata
1848 (partitura incompleta in I-BAR*).
11. Alfonso il magnanimo, azione drammatica in un atto di Francesco Rubino, BA Piccinni
(ma non rappresentata) 1856 (partitura in I-BAR*).

Lorenzo Mattei
94

ROBERTO CURCI
Bari, 1856 - Bisceglie, 22 settembre 1924

Cronologia

1856-1877. Roberto Curci, figlio di Giuseppe e di Emma Lebrun Robert, nacque


a Bari nel 1856, l’anno in cui il padre era rientrato da Parigi nella speranza di
ricevere incarichi che gli permettessero di proseguire l’attività compositiva. Roberto
tentò di seguire la carriera del padre col quale aveva collaborato alla confezione
della Antologia musicale «diretta dal M° Giuseppe Curci e Figlio». Rimasto
orfano a ventun anni, chiese alla municipalità di Barletta un sussidio per studiare
nel Conservatorio di Napoli (la tornata consiliare del 26 dicembre 1877 prendeva
«in considerazione la dimanda del figlio del defunto Maestro, signor Roberto
Curci, per andare in Napoli a compiere i suoi studi musicali»).
1886-1897. Compiuto un probabile tirocinio formativo a Napoli, Roberto Curci
sposò Angela Soldani a Bisceglie stabilendosi in questa città per insegnare musica
privatamente. A Barletta fece rappresentare la sua unica opera teatrale Delitto
d’amore che annoverava tra i principali interpreti Margherita Vassallo e Carlo
Listelli.
1923-1924. Roberto Curci fu in amicizia con il compositore Antonio Damato che,
considerata la non felice situazione economica del collega, decise di devolvergli
il 45% della vendita, stabilita con il comune di Barletta, di alcuni manoscritti di
suo padre Giuseppe. Da una lettera spedita dal Damato al Curci il 12 settembre
1923 si apprende che Roberto possedeva un brano del padre – La tempesta per
due pianoforti e voci – poi andato perduto durante gli infausti sviluppi della
vendita: Roberto infatti morì il 22 settembre 1924, lasciando la moglie con il
rischio di sfratto; morto anche il Damato, sua moglie, Rosa di Sessa, non riconobbe
alla la vedova Curci nessun diritto contrattuale.

Bibliografia
(DEUMM, ES)
ANNA CASSANDRO SERNIA Anna, Giuseppe Curci musicista barlettano, in «Archivio Storico Pugliese»
XXXI (1978) fasc. I-V, pp. 234-263.
MELUCCI Mariagrazia, Il fondo musicale Curci della biblioteca comunale di Barletta, Biblioteca
Comunale «S. Loffredo», Barletta 1999 («Ricerche della Biblioteca» 26), pp. 13-52 (con catalogo
delle opere).

Opere drammatiche
1. Delitto D’Amore, melodramma in due atti di Luigi Albrizio, Barletta teatro comunale
27 gennaio 1897 (partitura in I-BAR*).
Lorenzo Mattei
95

NICOLA (NICCOLÒ) D’AMMACCO


Taranto, seconda metà del XIX° secolo - ?, ?

Cronologia
Scarsissime sono le informazioni relative a questo compositore. Secondo Sorrenti
(cfr. SORRENTI 1966), che ricorda un O salutaris hostia con accompagnamento di
organo o harmonium (Izzo, Napoli 1904) e una Ave Maria per mezzosoprano e
analogo accompagnamento (1905), è da considerare «musicista prevalentemente
ecclesiastico». Rimangono di D’Ammacco la romanza Primavera! e, manoscritti,
un Idillio Campestre ed una Suite, entrambi per orchestra, conservati a presso la
Biblioteca di S. Pietro a Majella di Napoli (è sul frontespizio di tali partiture che
appare la variante del nome “Niccolò”). È ancora Sorrenti a citare l’opera in un
atto, su libretto di Menotti-Buja, Rosa d’Inverno, rimasta inedita. Non si ha notizia
di ulteriori contributi nel genere operistico.

Bibliografia

SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 67-68.

Opere drammatiche

1. Rosa d’inverno, opera in un atto di Antonio Menotti-Buja, s.d. non rappresentata.

Paolo Valenti
96

NICOLA (NICCOLA) DE GIOSA


Bari, 3 maggio 1819 - ivi, 7 luglio 1885

Cronologia

1819-1841. Nicola De Giosa nasce il 3 maggio del 1819, nel borgo antico di
Santa Scolastica della città adriatica, da Angelantonio e Lucia Favia, esponenti
di una modesta famiglia borghese. Il giovane Nicola viene avviato allo studio del
flauto e nel 1834 inizia a frequentare il Real Collegio di Napoli, dapprima come
allievo nella classe di flauto del maestro Pasquale Buongiorno e successivamente
in quella di composizione dei maestri Ruggi, Zingarelli e Donizetti di cui diventa
uno dei discepoli prediletti. Una delle prime prove compositive è la preghiera per
soprano coro e orchestra Una lacrima sulla tomba del conte di Gallenberg, seguita
da un Inno funebre a 4 voci. Nel 1840, improvvisamente, abbandona l’istituto per
oscuri dissapori con il neodirettore Saverio Mercadante, concorrente questi di
Donizetti per quella ambita carica e per la primazia nell’agone operistico locale.
1842-1847. Nel 1842 debutta con franco successo al teatro Nuovo con La casa
dei tre artisti, cui segue Elvina (1845) su libretto di Almerindo Spadetta, laddove
già mostra uno stile attardato su temi e maniere della decaduta opera comica
napoletana. In tale chiave si muove anche La casa di tre artisti, poi mutata col
nuovo titolo L’arrivo del signor zio (1846) presentata in varie sedi italiane e con
alterne fortune: a Torino (teatro Sutera), a Milano (teatro Re, con repliche subitamente
oscurate dalla contemporanea messinscena dei Due Foscari di Verdi), al Carlo
Felice di Genova e infine, nel 1847, all’Argentina di Roma. Negli anni a seguire
De Giosa non si discosta molto dalla cifra stilistica a lui consentanea grazie a opere
comiche come Ascanio il gioelliere (Torino teatro d’Angennes 1847); Le due
guide (Livorno teatro degli Avvalorati 1848) e, infine, con la più nota e fortunata
di esse, Don Checco su libretto di Spadetta (Napoli teatro Nuovo 1847) replicata
a lungo come una delle preferite del pubblico napoletano e poi presentata in altri
teatri italiani.
1848-1864. La convinta adesione agli stilemi dell’amato maestro non tardano
a farsi sentire nel periodo della maturità compositiva di De Giosa, grazie a titoli
di opere serie come Folco d’Arles su libretto di Salvatore Cammarano tratto da
Ruy Blas di Victor Hugo (Napoli S. Carlo 1851); ovvero Guido Colmar (Napoli
S. Carlo 1852), cui seguono due interessanti tentativi che hanno l’intento di
illustrare in musica vicende romanzate di altrettanti momenti rappresentativi la
storia di Bari sua città natale, e della Puglia: Ida di Benevento (riveduta in seguito
col titolo Il Seudan di Bari) commissionatagli nel 1853 per la inaugurazione del
teatro comunale barese «Niccolò Piccinni», ma mai andata in scena, ove si
racconta dello storico assedio saraceno alla città dell’857; quindi Ettore Fieramosca
97

o La disfida di Barletta (Napoli S. Carlo 1855) che narra la famosa vicenda già
narrata in prosa da Massimo D’Azeglio sullo sfondo di un amore tragico tra il
paladino italiano e la nobile Ginevra.
1864-1885. Altre opere serie e comiche fanno da cornice alla successiva attività
compositiva come l’ambizioso Il bosco di Dafne (Napoli S. Carlo 1864 di cui si
conosce una prima redazione del 1853 col titolo Elena) dove De Giosa proietta
la narrazione in musica al tempo di Giuliano l’Apostata e dei primi conflitti
religiosi tra pagani e cristiani; Un geloso e la sua vedova (Napoli teatro Nuovo
1857); Isella la modista (Napoli teatro del Fondo 1857); Silvia 1864 e Il marito
della vedova 1870 (Napoli teatro Nuovo); Il pipistrello su libretto di Golisciani
proposta nel 1847 all’Opéra-Comique di Parigi; Il conte di S. Romano (Napoli
teatro Bellini 1878); Rabagas (Roma Argentina 1882). Un posto a sé merita senza
meno Napoli di Carnevale opera giocosa su libretto di D’Arienzo (Napoli teatro
Nuovo 1876) che forse è il suo più notevole e meritato successo grazie ad un gioco
metateatrale che proietta l’amato modello tardo-settecentesco napoletano in
dimensioni nostalgiche e inaspettatamente moderne.
Significativa fu infine la lunga stagione di vita da lui spesa come direttore
d’orchestra specialmente nel massimo teatro napoletano (quasi ininterrottamente
dal 1860 al 1876, dirigendo tra l’altro le prime esecuzioni de Un ballo in maschera
di Verdi, Il profeta di Meyerbeer, Faust di Gounoud) e nel biennio 1867-68 alla
Fenice di Venezia. A tale proposito è degno di nota il ruolo che De Giosa volle
e seppe far riconoscere al direttore-concertatore, considerato il responsabile unico
della fase preparatoria e di quella esecutiva all’interno del composito spettacolo
musicale. Con questo compito De Giosa fu attivo oltre che al S. Carlo, al Politeama
e al Sannazzaro napoletani, in giro anche in altri teatri italiani sino ad arrivare
al Colón di Buenos Aires (1873) e infine al Teatro Vicereale del Cairo, laddove
entrò in contatto con Verdi spinto dalla ambizione di dirigere, egli stesso, nel 1871,
la prima di Aida (cosa che non avvenne anche a causa di una reciproca rivalità
scaturita dalla annosa questione della standardizzazione, mai condivisa, dell’al-
tezza del diapason). Notevole fu anche la sua attività di docente di composizione
(ebbe come allievo il conterraneo Niccolò van Westerhout), alfiere della tutela e
della riqualificazione dei giovani compositori: De Giosa infatti rivestì una parte
attiva sia nella fondazione della Associazione dell’Arte Musicale Italiana sia
nell’organizzazione del Primo Congresso Musicale Italiano (Napoli, febbraio 1864).
Alla morte di Mercadante, nel 1871, Niccola De Giosa (così come curiosamente
amava firmarsi) presentò senza successo la sua candidatura a direttore del Real
Collegio di Musica S. Pietro a Majella, mentre di alcuni anni dopo è la organiz-
zazione di una serie di spettacoli d’opera tra cui la ripresa napoletana de Il Turco
in Italia di Rossini per ribadire l’eccellenza dell’opera comica italiana di contro
alla nascente moda dell’operetta francese, a cui del resto egli stesso, nel 1847,
aveva offerto la modesta prova de La chauve-souris. Gli ultimi tre anni della sua
vita furono trascorsi nella città natale ove la deputazione teatrale del Comune volle
nominarlo presidente onorario del comitato per le celebrazioni piccinniane. Qui
morì il 7 luglio del 1885. Nel 1936 i nipoti suoi eredi donarono tutti i manoscritti
in loro possesso alla Biblioteca Consorziale «Sagarriga Visconti Volpi», oggi
Biblioteca Nazionale di Bari, che li ha raccolti e catalogati in un apposito fondo.
98

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La parabola artistica di uno strenuo epigono dell’opera comica napoletana fa sì


che questo schivo maestro della profonda provincia meridionale parta dalla terra
dei Leo, Traetta, Piccinni e Paisiello (ma anche del rivale Mercadante che non
poco ne contrastò la carriera) e riesca ad affermarsi come uno dei più vivaci seguaci
di Gaetano Donizetti, proprio durante i perigliosi anni di un teatro musicale che
stava giocando la difficile partita di transizione dal melodramma rossiniano al
pieno melodramma romantico (senza meno dimenticare il glorioso passato tutto
napoletano dell’opera comica che egli continuò ad amare e illustrare come pochi).
La storia artistica di De Giosa infatti – durante il trentennio che va dagli ultimi
e felici esiti donizettiani passando dalle prime sancarliane del Verdi di Alzira
(1845) e di Luisa Miller (1849) sino a spingersi all’indomani della liberazione
dal gioco borbonico – si inscrive in una fase storica che è stata stimata irrilevante
e che invece si palesa fervida di opere di autori di secondo piano che sono utili
a delineare un necessario quadro di riferimento. Atteso che, esaminando le partiture
sconosciute conservate nel Fondo-De Giosa della Biblioteca Nazionale di Bari,
la sua musica sta dignitosamente tra quei due poli (Rossini-Verdi) che sono tali
proprio in quanto riflettono la loro luce sui cosiddetti “minori”. E con ciò rimandiamo
al Donizetti e al Verdi della prima maniera, entrambi debitori al principe dei
librettisti di questa età, Salvatore Cammarano, il quale, non a caso, prestò i versi
al Folco d’Arles di un De Giosa impegnato nel tener dietro a cotanti modelli. Resta
allora del tutto evidente che la caratteristica dell’itinerario degiosiano è da cercare
nella ipoteca stilistica impostagli dal suo maestro, Donizetti, che non poco ebbe
ad influire sulla formazione. Ipoteca rintracciabile in vari modi e gradi a partire
dall’oscillare tipicamente donizettiano di scelte felici in ambito serio (Folco,
Seudan, Rabagas, Il bosco di Dafne) e sguardi nostalgici al passato (la lunga
sequela di opere comiche di conio napoletano e di più immediato successo), sino
ad arrivare a inequivocabili segnali di devozione rappresentata dalla Messa di
requiem scritta in suo ricordo, ovvero dal pirotecnico Scherzo sinfonico per
triangolo e tamburo composto sì da Donizetti ma che egli custodiva gelosamente
o forse spacciava per suo insieme ad una curiosa, forse iettatoria Messa da vivo.
Significativo fu il conservatorismo mostrato dalla totale avversione per la musica
di Wagner che egli osteggiò sia con interventi sulla rivista «Napoli musicale» sia
con il clamore suscitato dal rifiuto di dirigere l’ouverture del Tannhäuser nella
serie di concerti operistici che egli stesso aveva organizzato nel 1875. Tipicamente
partenopea invece fu la mano felice mostrata in alcune raccolte di romanze da
salotto o canzoni per voce e pianoforte, diventate all’epoca popolari e che aprivano
la strada al modello tostiano (Sogno, Io questa notte in sogno l’ho veduto, Una
sera mi disse il mio Geppino, A’ stella mia, L’addio). Interessante infine è la
possibile e auspicabile ricostruzione storico-filologica legata alla vicenda della
sparizione della partitura di Maria Stuarda di Donizetti, opera che si potrebbe
sovrapporre alla degiosiana Le due regine la cui (inedita) partitura barese mostra
d’essere una sorta di Ur-text della ben più famosa Stuarda rielaborata dal maestro
sullo schema fornitogli dall’allora suo allievo barese, sorta di ghostwriter musicale.
Per non tacere infine di occasioni celebrative che videro anteporre il nome del
venerato autore di Lucia al tornaconto personale, come all’occasione del 1854,
99

anno della inaugurazione del teatro municipale «Niccolò Piccinni» in predicato


d’essere aperto con le note del suo Seudan di Bari, poi giubilato, non a caso, dal
donizettiano Poliuto (ma su volere dello stesso De Giosa).
Come è noto, la musicologia corrente ha negativamente etichettato il periodo
racchiuso nel decennio 1850-1860 in quanto affatto epigonico. Il fatto è che dopo
i moti rivoluzionari del 1848 si assiste, a Napoli, ad una recrudescenza della
censura che smorza ancora di più i pochi empiti riformistici; ne fanno le spese,
appunto, proprio due opere, Maria Stuarda di Donizetti che metteva in scena un
regicidio, e Ettore Fieramosca di De Giosa in quanto tra le sue pieghe incitava
alla ribellione tout-court. Era quello il tempo in cui, causa lo scadimento gestionale
dei teatri napoletani e del sistema di cui si nutriva, l’asse centralistico dal massimo
teatro si spostava verso altri palcoscenici della città (Fondo, Politeama, Bellini,
Sannazzaro, San Carlino) meno succubi di un ingombrante passato. In tale difficile
contesto non era facile dare testimonianza di sé, ed è un titolo di merito di chi,
come De Giosa, si adoperò affinché la grande avventura dell’opera comica na-
poletana sopravvivesse ma interpretando, pur nei limiti di un buon artigianato,
quella sorta di palingenesi che si aspettava dal “dopo Bellini” e dal “dopo Donizetti”,
e prima della affermazione di un artista nuovo come Giuseppe Verdi che proveniva
da tutt’altro mondo musicale. Eppure, il trittico di opere La casa dei tre artisti,
Don Checco e Napoli di Carnevale pongono il loro autore a fianco di Errico
Petrella e dei fratelli Ricci, ultimi testimoni della lunga e fortunata stagione
dell’opera comica. Per il resto, ci si potrebbe interrogare sul perché Cammarano,
anche quando legato alle fortune di Donizetti, Verdi e Mercadante, proponesse
alcuni libretti a musicisti di secondo rango comunque scelti in base alla loro
credibilità artistica: e fu il caso di De Giosa e dell’interessante Folco d’Arles che
egli aveva già proposto, nel 1842, proprio a Donizetti, mentre De Giosa era fresco
reduce dei successi del Don Checco. Alla bisogna il librettista effettua alcuni
cambiamenti al solo scopo di depistare la censura borbonica da una vicenda in
cui sin troppo evidenti erano i riferimenti al malaffare politico. Ne vien fuori il
tipico dramma pseudo-storico trasportato lontano nel tempo, in una Provenza del
XV secolo, dove si narra del solito amore contrastato e della conseguente vendetta.
La prima del 22 gennaio del 1851, al San Carlo, viene impreziosita da un cast
di prim’ordine, segno della stima interna al teatro che De Giosa ebbe a godere
per lungo tempo quando (insieme a Giuseppe Puzone) era diventato una sorta di
direttore stabile ante litteram: Eugenia Tadolini famosa soprano di ruoli donizet-
tiani (e non ultimo dell’Alzira verdiana) prestava la sua voce alla Contessa di
Provenza, oltre a note voci maschili come Baldanza, Bassini, Arati, Solvetti. Per
una serie di circostanze favorevoli e di conoscenze incrociate, la prima, importante
prova del De Giosa serio sfociata nel Folco d’Arles, e si situa dunque sulla scia
del donizettismo più puro, benché seguita da altri due titoli di scarsa rilevanza
(Guido Colmar e Elvina). Ma è con il dittico Il Seudan di Bari - Ettore Fiera-
mosca che il maestro barese, nel giro appena di un anno, dal 1854 al 1855, va
a legare la personale avventura artistica alla illustrazione locale di due avvenimenti
storici che, in chiave “nazionalpopolare”, celebrano la terra d’origine, e che
travalicano i confini provinciali per come essi si presentano stilisticamente maturi.
Operazione che il compositore si impegna a fare all’indomani di una prestigiosa
occasione: inaugurare il 4 di ottobre 1854 il teatro municipale «Niccolò Piccinni»,
100

finalmente edificato su progetto di Antonio Niccolini, in grazia d’una partitura


come Il Seudan che intendeva rispecchiarsi in uno dei rari momenti “epici” della
storia barese. Il libretto gli viene fornito da Francesco Rubini, un seguace dello
storico locale Giulio Petroni e già autore del testo per due opere comiche di Lauro
Rossi (Dottor Bobolo e Il domino nero) e poco importa se, a causa di frizioni
personali, il libretto verrà in larga parte riversificato dallo stesso De Giosa. Prova
di una passione civile testimoniata dalla pignola documentazione storica che egli
si procura e che spiega lungamente in un Preambolo e in un Cenno storico vergati
di suo pugno, all’inizio e alla fine del manoscritto autografo facente parte del
Fondo De Giosa della Biblioteca Nazionale di Bari. L’esame della scrittura
orchestrale densa e attenta all’uso dei timbri strumentali, in uno col trattamento
delle voci e l’inserimento di vaste parti corali, riporta la sua mano compositiva
a quella dell’illustre maestro: studiate atmosfere del corno inglese, impasti scuri
tra fagotto e clarinetto basso, rispetto della “solita forma” nei duetti e terzetti,
ampio dispiegamento di cori di saraceni e baresi oppressi, nonché spettacolari
ballabili piazzati nei punti giusti per suggerire in scena la grandiosità della storia
millenaria e del conflitto di civiltà e di religioni tra le due sponde dell’Adriatico,
fanno del Seudan di Bari un interessante esempio minore ma non di meno probante
il gusto che a quei tempi attraversava le scene dei teatri italiani.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, MGG, NG2001, NGO, SCHMIDL, STIEGER)


ACUTO Angelo, Nicola De Giosa, con l’elenco delle opere redatte da G. Salvioli, in «Gazzetta
Musicale di Milano», XL (1885), nn. 39-41, pp. 331-345.
AMBIVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998, pp. 58-59.
BLACK John, The making of an Italian Romantic Opera Libretto - Salvatore Cammarano’s Folco
d’Arles, in «Italian Studies», 35, 1980, pp. 68-80.
–, The Italian Romantic Libretto. A study of Salvadore Cammarano, EUP, Edinburgh 1984, pp. 84-
86 e 130-133.
CAFIERO Rosa, L’opera in musica nei teatri di Napoli (1870-1890) prefazione a Salvatore Di
Giacomo La fiera, Guida, Napoli 2003, pp. 9-34.
CARLI BALLOLA Giovanni, Epigoni a metà Ottocento, in Storia dell’opera, UTET, Torino 1977, vol.
II, pp. 397, 417, 419.
CAROCCIA Antonio, I musicisti pugliesi dell’Ottocento e l’epistolario di Francesco Florimo, in L’«altro»
melodramma. Studi sugli operisti meridionali dell’Ottocento a cura di Pierfranco Moliterni, Graphis,
Bari 2007 (Università degli Studi di Bari «Gli Strumenti/Moduli» 17), pp. 170-185.
CIARLANTINI Paola, Il Don Checco di Nicola De Giosa, in L’«altro» melodramma. Studi sugli
operisti meridionali dell’Ottocento a cura di Pierfranco Moliterni, Graphis, Bari 2007 (Università
degli Studi di Bari «Gli Strumenti/Moduli» 17), pp. 26-53.
COMMONS John, L’età di Donizetti, in Il teatro di San Carlo 1737-1987, Guida, Napoli 1987, pp.
167-203.
FÉTIS, François-J., Biographie universelle des musiciens, Librairie de Firmin et Didot, Paris 1869,
vol. I, pp. 384 e sgg.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, Morano, Napoli 1880-83,
vol. III, pp. 148, 386-392, vol. IV, pp. 198, 202, 214, 220, 228, 324, 326, 334, 398, 436, 472.
GIOVINE Alfredo, Niccola De Giosa, Biblioteca dell’archivio delle tradizioni popolari baresi, Bari 1968.
GRECO Franco Carmelo, Immagini della città sulla scena musicale napoletana dell’Ottocento, in
Gli affetti convenienti all’idee. Studi sulla musica vocale italiana, a cura di Rosa Cafiero, Maria
Caraci Vela, Angela Romagnoli, ESI, Napoli 1993, pp. 315-381.
101

INCAGLIATI Mario, Nicola De Giosa e il genio musicale di Puglia, Cressati, Bari 1923.
MOLITERNI Pierfranco, Nicola De Giosa tra opera seria e opera nazionalpopolare, in L’“altro”
melodramma. Studi sugli operisti meridionali dell’Ottocento a cura di Pierfranco Moliterni,
Graphis, Bari 2007 (Università degli Studi di Bari «Gli Strumenti/Moduli» 17), pp. 3-25.
NAPOLI Jacopo, Il tramonto dell’opera buffa, in Cento anni di vita del teatro di S. Carlo (1848-
1948), ed. F. de Filippis, Napoli 1948, p. 63.
PANNAIN Guido, Ottocento musicale italiano, Curci, Milano 1952, pp. 133-137.
PROCIDA Angelo, “I direttori d’orchestra”. Cento anni di vita del Teatro di San Carlo, 1848-1948,
de Filippis, Napoli 1948, pp. 133-37.
PROTOMASTRO Giuseppe, Autori celebri: Nicola De Giosa, in Cronistoria del teatro di Trani, Vecchi,
Trani 1899.
RINALDI Mario, Due secoli di musica al teatro Argentina, Olschki, Firenze 1978, vol. II, pp. 819,
884, 1014, 1098, 1103, 1110.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 73-75.
SPAGNOLETTI Orazio, Nicola De Giosa, in «Rassegna Pugliese di Scienze lettere ed arti», 10 marzo
1888, n. 4, pp. 51-53.
TAMBURINI Luciano, Il teatro D’Angennes di Torino a metà Ottocento, in «Studi piemontesi», XXXI
(2002), n. 1, pp. 41-52.
TARALLO Alfredo, Una sconosciuta partitura sinfonica di Gaetano Donizetti, in Donizetti, Napoli,
l’Europa, a cura di Franco Carmelo Greco e Renato di Benedetto, ESI, Napoli 2000, pp. 361-370.
TERENZIO Vincenzo, La musica italiana nell’Ottocento, Bramante, Milano 1976, pp. 305, 368, 675,
714.
ZAVADINI Giovanni, Donizetti. Vita. Musiche. Epistolario, Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo
1948, pp. 504, 565, 781.
ZOPPELLI Luca, Redenzione di una regina, in Il teatro di Donizetti, a cura di Paolo Cecchi e Luca
Zoppelli, Fondazione Donizetti, Bergamo 2004, vol. II, p. 10.

Risorse on-line

Su Google.books sono consultabili per intero i libretti di Don Checco e Napoli di Carnevale.
Sul sito www.internetculturale.it sono presenti gli autografi conservati presso la Biblioteca
del Conservatorio «S. Pietro a Majella» di Napoli e molte altre opere manoscritte.

Opere drammatiche

1. La casa dei tre artisti, opera buffa in due atti di Andrea Passaro, NA Nuovo estate
1842 [I-Nc] \ NA Nuovo 1843; MI teatro Re estate 1846 (partitura in I-Mc; I-Mr*);
TO Sutera 1846; col titolo L’arrivo del signor zio, GE Carlo Felice 1846; Roma
Argentina 1847.
2. Elvina, opera semiseria in tre atti di Almerindo Spadetta, NA Nuovo 1845 (partitura
in I-Nc) \ TO Carignano autunno 1847.
3. Ascanio il gioielliere, opera semiseria in tre atti di Giuseppe Sesto Giannini, TO teatro
D’Angennes primavera 1847 (partitura in I-Mr*).
4. La chauve-souris, operetta comica di A. De Forges (pseudonimo), 1847 rev. come Il
pipistrello operetta in tre atti di Enrico Golisciani, NA teatro Società Filarmonica
gennaio 1875.
5. Le due guide, melodramma in quattro atti di Marco d’Arienzo, LI Avvalorati carnevale
1848 (brani in I-Nc).
6. Don Checco, opera buffa in due atti di Almerindo Spadetta, NA Nuovo 11 luglio 1850
(I-Nc*) \ MC carnevale 1858.
102

7. Folco d’Arles, melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S. Carlo


1851 (partitura in I-Nc) \ FI Pergola 1852 poi Politeama fiorentino estate 1869.
8. Guido Colmar o Diego Garias, opera seria in tre atti di Domenico Bolognese, NA
S. Carlo 1852, (partitura in I-Nc) / col tit. Silvia, NA 1864.
9. Ida di Benevento/Il Seudan di Bari/L’assedio di Bari, melodramma n.n., BA 1854
non rappresentato (partitura in I-BAn*).
10. Ettore Fieramosca, tragedia lirica in tre atti di Domenico Bolognese, NA S. Carlo 1855
(partitura in I-Nc).
11. Un geloso e la sua vedova, opera comica in tre atti di Ernesto del Preite, NA Nuovo
1857 \ MI teatro di S. Redegonda quaresima 1858 (partitura in I-Mr*).
12. Isella la modista, opera giocosa in tre atti di Leopoldo Tarantini, NA Fondo estate
1857 (partitura in I-Nc).
13. Elena, dramma cristiano in tre atti di Michele Achille Bianchi, 1853 non rappresentato;
rev. come Il bosco di Dafne, dramma cristiano in tre atti di Michele Achille Bianchi,
NA S. Carlo primavera 1864 (partitura in I-Nc).
14. Il gitano, melodramma n.n., 1859 non rappresentato; rev. come Lo zingaro, NA Nuovo
s.d. (partitura in I-BAn*).
15. L’eroica popolana, melodramma n.n., 1865 non rappresentato (partitura in I-BAn*).
16. Ester d’Engaddi, melodramma n.n., 1865 non rappresentato (partitura in I-BAn*).
17. Le due regine, melodramma n.n., 1868 non rappresentato (partitura in I-BAn*).
18. I galanti, melodramma n.n., 1872 non rappresentato (partitura in I-BAn*).
19. Napoli di carnevale, opera giocosa in tre atti di Marco D’Arienzo, NA Nuovo 1876
(partitura in I-Mr*).
20. La schiava polacca ovvero Osmano II melodramma n.n. 1878 non rappresentato
(partitura in I-BAn*).
21. Il conte di S. Romano, dramma lirico in quattro atti di Enrico Golisciani, NA teatro
Bellini 1878 (partitura in I-Mr*).
22. Il capitano Mario, melodramma n.n., 1881 non rappresentato (partitura in I-BAn*).
23. Rabagas, opera comica in quattro atti di Enrico Golisciani, Roma Argentina 1882
(partitura in I-BAn*).
24. Giovanna di Navarra, melodramma n.n., non rappresentato.
25. Satana, grande opera tragica n.n., solo progettata.

Pierfranco Moliterni
103

FRANCESCO DE MATTEO
Deliceto (FG), 17 aprile 1877 - Davos Platz, 18 giugno 1899

Cronologia

Francesco De Matteo nacque a Deliceto nel 1877 da Michele e da Maria Modesta


Campanella in una famiglia di agiate condizioni economiche. Non ancora adolescente
si trasferì a Siena per frequentare l’Accademia Militare presso l’Istituto Collegio
«Tolomei» e più tardi a Napoli per proseguire gli studi classici presso il Liceo
Nazionale «Vittorio Emanuele I». Al termine del Ginnasio, Francesco De Matteo
vinse la riluttanza del padre Michele che voleva avviarlo agli studi di legge o di
medicina grazie all’intercessione di Pietro Mascagni, che persuase definitivamente
il genitore ad assecondare la spontanea inclinazione del figlio verso la musica. In
una lettera inviata da Napoli il 7 dicembre 1894 al Preg.mo Signor Michele De
Matteo così Mascagni si esprimeva «dopo di aver esaminato attentamente le
composizioni di suo figlio, presentatomi giorni fa dall’On. Maury, e dopo aver
conosciuto la spietata battaglia con la quale contrasta i nobili intendimenti del
suddetto figliuolo. Né, se avessi un figlio tale, vorrei avere il rimorso di avergli
fatta intraprendere una carriera estranea agli studii musicali. […] Il mio consiglio
dunque è quello che lei faccia studiare, se non può al Conservatorio, almeno
particolarmente per quest’anno, suo figlio, e lasci libero il corso alla sua tendenza,
poiché nelle sue piccole composizioni ho dovuto ammirare delle frasi spontanee,
veramente inspirate. Nella speranza che l’ideale di suo figlio sia coronato, con
stima e rispetto la riverisco».
Francesco De Matteo frequentò tra il 1895 e il 1896 il Conservatorio «San
Pietro a Majella» di Napoli diplomandosi precocemente in composizione sotto la
guida di Daniele Mosé Napoletano (Saviano, 4 ottobre 1872 - Napoli, 18 gennaio
1943), discendente della scuola di Pietro Platanìa. Tra la fine del 1895 e i primi
mesi del 1896 intraprese una amichevole corrispondenza con Jules Massenet che
aveva in precedenza conosciuto; il 6 febbraio 1896 questi scriveva a De Matteo
«Un ami de France vous remercie absolument de votre attention si flatteuse».
Massenet gli dedicò qualche mese più tardi la sua Sapho, pièce lyrique basata sul
romanzo di Alphonse Daudet su libretto di Henri Cain e Arthur Bernède che aprì
la stagione dell’Opéra-Comique il 27 novembre 1897. Daudet aveva dedicato il
suo romanzo «ai miei figli quando raggiungeranno l’età di venti anni» e
verosimilmente Massenet vide in De Matteo un analogo destinatario di quella
stessa dedica. Nell’aprile del 1898 Massenet si recò a Milano per le prove di Sapho
presso il teatro lirico di Sonzogno ed è plausibile che la famiglia De Matteo
incontrasse Massenet nuovamente in quella circostanza. La dedica di Massenet «à
mon excellent confrère Francesco de Matteo très cordialement Sapho Paris 1898»
ricorda l’affettuoso epiteto di “Confrère” che Liszt aveva rivolto per via epistolare
allo stesso Massenet il 26 agosto del 1885.
104

Il 23 gennaio del 1897 De Matteo aveva esordito sulle scene del Teatro
Comunale di Catanzaro con la breve scena lirica Dramma eterno, interpretata dalla
signorina France, dalla signorina Nicosia e dal tenore Badaracco, della quale la
sera del 12 dicembre del 1896 presso il Circolo Calabrese di Napoli aveva
presentato in anteprima la Serenata e la Romanza e di cui aveva redatto anche
il testo. Il 28 gennaio del 1897 dalle colonne dell’«Operaio» di Catanzaro il
recensore descrisse l’evento molto favorevolmente: «Il lavoro è ardito come ardito
si mostra l’animo dell’autore, nello svolgere, in soli 18 minuti un’azione di affetti
e di sospetti, di ansie e di dolori, di amore e di odio che spegna l’oggetto chi sa
quanto amato: e questa arditezza mostra anche l’animo spinto e sicuro del giovane
maestro a nuove conquiste nell’arte sua, al quale noi, sebbene operai, mandiamo
un saluto e un augurio di alti allori.»
Il Dramma eterno venne ripreso il 13 marzo 1897 al Teatro Mercadante (già
Fondo) di Napoli e Federigo Polidoro, corrispondente partenopeo della «Gazzetta
Musicale di Milano», riferì come la musica fosse «ricca di invenzione; quasi
sempre pregevole per la forma» e come l’influsso verista fosse vissuto tutt’altro
che sotto forma di spenta imitazione spenta, e pure perfettamente in linea con i
dettami della tradizione partenopea. Fu così che De Matteo pervenne all’attenzione
del pubblico di lettori milanesi e della Casa Sonzogno, e più tardi anche della
Stheiner di Vienna.
A quegli stessi anni risale l’amore non ricambiato per Aida Conforti, una
ragazza di Procida, che diede ispirazione a Francesco De Matteo per alcuni
componimenti poetici e in prosa. Alla fine del 1897 contrasse una grave tubercolosi
polmonare. Anche il padre Michele, che nel frattempo aveva cercato di sottoporlo
alla cura di diversi medici presso i migliori istituti del tempo, si ammalò e morì
il 15 novembre del 1898. Francesco e la madre furono ospiti della famiglia Magno
a San Giorgio a Cremano nel dicembre del 1898 e agli inizi di febbraio del 1899:
Agenóre Magno, suo fraterno compagno di scuola, era figlio dell’avvocato Saverio,
già animatore delle riunioni intellettuali organizzate nella Sala Ricordi, in una
delle quali Francesco De Matteo ebbe ad eseguire il preludio del suo Marco.
La ricerca della guarigione e del sollievo dalla malattia indusse Francesco De
Matteo a recarsi insieme con la madre in varie località di cura quali Saint Moritz,
Posillipo, Sanremo (3 marzo 1899). Il 10 maggio del 1899 partirono da Milano
e il 12 maggio del 1899 giunsero a Davos-Platz presso il noto Sanatorium del dottor
Turban, dopo un viaggio contrassegnato da particolare disagio fisico. Qui le
condizioni di Francesco De Matteo si aggravarono irrimediabilmente ed egli morì
il 18 giugno 1899 a soli 22 anni. Il 23 giugno il corpo giunse alla stazione
ferroviaria di Bovino e venne trasportato a Deliceto. La mattina del 24 il corteo
mosse dalla casa verso la chiesa del SS. Salvatore di Deliceto e la cerimonia
funebre raccolse nel dolore l’intero paese natale.
Oltre a diversi altri lavori per la scena rimasti incompiuti (Jeannette) o mai
rappresentati dei quali era l’autore anche dei testi (Il demente dedicato all’attore
Ermete Novelli, I demoni, Spiritismo, tratta dalla commedia, peraltro non parti-
colarmente stimata dai redattori del «Trovatore», di Victorien Sardou già rappre-
sentata da Sarah Bernhardt), Francesco De Matteo concepì numerose liriche per
canto e pianoforte (fra le quali il Preludio di F. Angelico, Madame Bovary di
Almerico Ribera e Rimpianto di Adolfo Genise). Gli unanimi attestati di stima
105

in vita e in memoria hanno da sempre accompagnato l’amarezza della prematura


scomparsa. Il prof. Angelo Lamotta e il figlio Antonio Lamotta, concittadini di
De Matteo, gli dedicarono un’accademia musicale a Sondrio nel 1973.

Bibliografia
CELLETTI Rodolfo, Il melodramma delle aree depresse. Miseria e nobiltà del Meridione nelle opere
dei veristi minori, in «Discoteca», III, n. 22, 15 luglio 1962, p. 25.
«Corriere di Foggia», Anno V, n. 199, 25 giugno 1899.
«Corriere di Foggia», Anno V, n. 200, 2 luglio 1899.
DI TARANTO Consalvo, La Vita Paesana in Capitanata, Conti, Matera 1927.
FANTASIA Rita e TALLINI Gennaro, Poesia e Rivoluzione. Simbolismo, Crepuscolarismo, Futurismo,
Franco Angeli, Milano 2004.
Fantasie [e] racconti vari dell’alunno F. De Matteo 1891, a cura di Grazia Iossa, Litostampa, Foggia
2008.
Foglie verdi: in memoria di Francesco De Matteo. 18 giugno 1899-1900, Melfi & Joele, Napoli
1900. [Preludio per l’amico francesco De Matteo di Giuseppe Aldo Randegger per pianoforte,
scritti commemorativi di Luigi Borrello da Bova, Pietro Bologna, prof. Egidio Candia, F. Bernardini,
Teresio Viglino, Tommaso Parisi, Federigo Polidoro, G. Agenóre Magno, prof. Salv. Falzone, dott.
Massimino D’Armento.]
Francesco De Matteo (1877-1899) poeta, musicista, compositore, Saverio Magno “A Francesco
De Matteo Commemorazione 13 Novembre 1899”, a cura di Grazia Iossa, Litostampa, Foggia
2005.
«Gazzetta Musicale di Milano», LII (1897), p. 179 [Recensione di Federigo Polidoro].
“Il libro… de l’anima” e “Lagrime”, a cura di Grazia Iossa, Litostampa, Foggia 2004.
«Operaio» di Catanzaro, Anno IV, n. 2, 28 gennaio 1897, p. 4 [Recensione della prima del Dramma
Eterno.]
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900 Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, p. 167.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 80-82.
«Il Trovatore», XLV, n. 22, 28 maggio 1898, p. 2.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904,
pp. 601-602.

Opere drammatiche

1. Spiritismo, opera in due quadri su libretto proprio da Victorien Sardou, non rappresentata.
2. Spasimo!... melodramma in un atto su libretto proprio, non rappresentato (libretto Stab.
Tip. Lanciano e Pinto, Napoli, 1896).
3. Jeannette, dramma lirico in due quadri su libretto proprio, non rappresentato (libretto
Tipografia Melfi & Joele, 1899 in I-Nc).
4. Dramma Eterno, scena lirica o melodramma lirico in due atti su libretto proprio, CZ
Teatro Comunale 23 gennaio 1897 \ NA Teatro Mercadante 13 marzo 1897.
5. Marco, melodramma in un atto e due quadri di Salvatore Falzone tratto dai Racconti
calabresi di N. Misasi, 1895-1896, non rappresentato.
6. Maria, dramma lirico in tre atti di Francesco De Luca (libretto Tip. Aurelio Tocco,
Napoli, 1898 in I-Nc).
7. Nina, scena lirica n.n., non rappresentata.
8. Il Demente, scena drammatica in un atto (dedicato a Ermete Novelli, libretto Melfi &
Joele, Napoli, 1898, in I-Nc).
9. I demoni, opera su libretto proprio, 1898 non rappresentata.
Daniele Buccio
106

FRANCESCO PAOLO DE RENZIO


Bitonto (BA), 24 settembre 1916 - ivi, 20 maggio 1967

Cronologia

Francesco Paolo nasce a Bitonto da Modesto De Renzio e Maria Sgamarella. Fin


da bambino si accosta alla musica grazie allo zio, il sacerdote Pietro De Renzio,
Primicerio della cattedrale di Bitonto, compositore e insegnante di canto molto
noto in città per le sue esecuzioni di musica sacra corale e orchestrale. In seguito
alla perdita del padre, avvenuta durante il primo conflitto mondiale, De Renzio
si trasferisce presso la casa di don Pietro e di sua zia Caterina, insegnante, che
lo seguono negli studi. La sua prima formazione musicale ha inizio con il
coinvolgimento nelle attività artistiche dello zio, che lo porta con sé ai concerti,
lo fa assistere alle sue lezioni musicali, gli fa studiare i primi spartiti, soprattutto
opere da lui composte. Nonostante i tanti stimoli e il precoce interesse per l’arte
musicale, De Renzio non mostra di voler intraprendere seriamente la carriera di
musicista. Raggiunta la maggiore età, decide di non proseguire alcun percorso
accademico di studi, vince un concorso pubblico e inizia a lavorare come funzionario
dell’Amministrazione Finanziaria dello Stato. Tale scelta non ne spegne la giovanile
passione tanto che, dopo alcuni anni, torna agli studi musicali con un rinnovato
impegno e una dedizione mai mostrata prima, grazie anche alla spinta della giovane
moglie Maria Valenzano. Ben presto, con l’ausilio di numerosi testi didattici e il
sostegno sempre valido dello zio, De Renzio si appropria degli strumenti atti a
dar forma alle sue prime creazioni musicali, in cui adopera una scrittura semplice,
legata alle regole classiche della tonalità. Inizialmente il compositore si inserisce
nel solco dello zio componendo soprattutto musiche vocali sacre, opere che
condividono con il resto della produzione, il fatto di essere tuttora inedite e
difficilmente collocabili cronologicamente. Grazie alle segnalazioni dell’organista
Francesco Gesualdo sono state rintracciate alcune sue composizioni sacre: la Messa
in gloria, per organo e due tenori, l’Invocazione alla Vergine, per coro e orchestra,
il Largo per l’elevazione e il Largo per offertorio, entrambi per orchestra d’archi,
l’Adagio-Preghiera alla Vergine, per voce, organo e archi e l’Ave Maria per
soprano, organo e archi, scritta in occasione del suo matrimonio. Scrive inoltre una
Marcia funebre per il complesso bandistico di Bitonto «Tommaso Traetta». Alla
produzione sacra si affianca quella profana, costituita soprattutto da musica da
camera e canzoni.
Il punto culminante della carriera compositiva è costituito dall’opera musicale
Mimmo, che vede De Renzio autore delle musiche e del libretto, nonché scenografo
e regista per l’unico allestimento di cui si ha notizia, quello del 21 febbraio 1959
presso il cinema-teatro Odeon di Bitonto. Attratto dalla musica vocale in tutti i
suoi aspetti, il musicista, agli inizi degli anni Sessanta, si inoltra nel campo della
musica leggera scrivendo diverse canzoni con cui partecipa a concorsi canori in
107

giro per l’Italia. I suoi brani ottengono il primo premio in alcuni concorsi quali
«Voci d’oro» (Molfetta, 1962), «Città di Alessandria» (1964) e «Città di Trani»
(1965). Queste sono le ultime esperienze che caratterizzano la breve parabola
compositiva di De Renzio, che muore improvvisamente nel 1967.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Pochissime sono le fonti che trattano della figura di Francesco Paolo De Renzio,
la cui carriera, breve e dai tratti naïf, trova voce soltanto in pubblicazioni di ambito
strettamente locale. Ciò probabilmente deriva anche da un certo atteggiamento del
compositore, che non valicò mai i confini della propria città se non negli ultimissimi
anni di vita. I suoi interessi si rivolsero soprattutto alla musica vocale, come mostra-
no le prime esperienze nell’ambito della musica sacra e della canzone, ma attratto
dalle molteplici possibilità del teatro, non tardò a cimentarsi nell’opera in musica,
dando alla luce Mimmo. Scarse sono le informazioni riguardanti l’opera. Quel che
è certo è che il compositore si dedicò interamente e in maniera vivacemente
artigianale alla creazione di Mimmo, occupandosi delle musiche, del libretto, della
scenografia e della regia. In breve tempo realizzò la partitura e trasformò la sua casa
in una sorta di laboratorio per la realizzazione delle scene, per le quali collaborò
il prof. Raffaele Catucci nella pittura dei bozzetti e dei figurini. Lo stesso De Renzio
si impegnò personalmente per ottenere l’autorizzazione alla rappresentazione del-
l’opera da parte del Consiglio dei Ministri. Nella preparazione fu sostenuto da molti
concittadini e dalla stessa amministrazione comunale della sua città. Per la prima
e, a quanto ci risulta, unica rappresentazione di Mimmo, fu scritturata l’orchestra
del Teatro Petruzzelli di Bari, diretta dal M° Alberto Fiore, mentre i cori furono
affidati al M° Emanuele Scivattaro di Bitonto. Le cronache raccontano di una serata
di grande successo, durante la quale le autorità conferirono al compositore il
cavalierato e una medaglia d’oro come ricordo. L’evento ebbe una risonanza sostan-
zialmente locale, forse anche perché gli stessi caratteri “cittadini” intrinseci alla
realizzazione e all’allestimento di Mimmo, la rendevano un’opera difficilmente
esportabile, più facilmente destinata all’oblìo. Allo stato attuale l’assenza del
materiali e la scarsità degli studi che si occupano della figura di De Renzio non
permettono di delineare un più completo quadro stilistico.

Bibliografia

MOREA Nicola, I De Rienzo musicisti bitontini, in «Studibitontini», n. 7, maggio 1972, pp. 48-55.

Opere drammatiche

1. Mimmo, melodramma su libretto proprio, Bitonto Cinema-Teatro Odeon 21 febbraio


1959.
Beatrice Birardi
108

PASQUALE DI CAGNO
Bari, 27 gennaio 1888 - Milano, 27 ottobre 1965

Cronologia

1888-1908. Nato da Francesco e Olimpia Milella, Pasquale Di Cagno dimostra


attitudine alla musica, già in giovanissima età, nella pratica di chitarra e pianoforte.
Dopo il Liceo classico, nonostante la poca propensione dei genitori, prende lezioni
di violino dal maestro Giuliani e in seguito studia armonia e composizione con
Pasquale La Rotella, insieme al quale raggiunge ottimi risultati che gli permettono
di avviare i primi contatti col mondo musicale.
1909-1912. La casa editrice Sonzogno pubblica alcune sue composizioni da
camera e orchestrali. Esordisce come direttore d’orchestra a Bari, dirigendo la
Società del Quartetto da lui stesso fondata, che per alcuni anni anima la vita
culturale cittadina, fino al suo scioglimento dovuto al cambio di residenza di Di
Cagno (attorno al 1912).
1911. In occasione del cinquantenario del Regno d’Italia, presenta alcuni lavori
al Teatro Petruzzelli di Bari, tra cui una Suite, in cinque tempi, che dirige
personalmente e, sempre lo stesso anno, vince il concorso indetto dal «Corriere
delle Puglie», con la canzone per voce e orchestra Amor’a mme, dedicata a Mario
Costa.
1912c-1923. Trasferitosi a Milano, Di Cagno si inserisce nell’ambiente musicale
della Scala, dove conosce Arturo Toscanini, col quale collabora intensamente; lo
sostituisce anche alla direzione dell’orchestra del teatro milanese, in un concerto
tenuto presso il Conservatorio, durante il quale dirige anche la propria Suite.
1924. Termina le musiche di Frida, dramma in tre atti, su libretto di Giuseppe
Adami; l’opera viene rappresentata al Teatro Petruzzelli di Bari lo stesso anno,
con buon successo di pubblico e di critica.
1925-1932. Compone Passiflora, opera in un atto su libretto di O. Nigra, e
Ondina, in tre atti, su libretto dello stesso autore, opera quest’ultima che Di Cagno
considera il proprio capolavoro.
Il successo di Frida è confermato dalla ripresa, nel 1932, al Teatro S. Carlo
di Napoli.
1933-1934. Scrive, sempre su libretto di Adami, Maremma: definita dall’autore
“acquaforte in un atto”, è presentata ad un concorso alla Scala, per il quale Di
Cagno – temendo pregiudizi da parte della commissione – adotta lo pseudonimo
di Costante Costanti; la giuria comunque non prende in grande considerazione tale
opera.
Fra gli altri lavori di Di Cagno – che si occupa anche di critica musicale,
collaborando con la «Gazzetta del Mezzogiorno» di Bari – si ricordano: La
109

chanson-dance per canto e pianoforte (trasmessa da Radio Bari nel 1933),


Improvvisazione cromatica su tema di walzer (id.), Capriccio (id.) e Gavotta e
scherzo (id.).
1935-1960. Di Cagno rallenta la propria produzione artistica e attività direttoriale.
La diffusione della sua opera viene ostacolata dalla distruzione della Casa Sonzogno,
che conteneva i suoi lavori, nel corso della seconda guerra mondiale. Anche le
lastre per la stampa di Ondina, depositate in una tipografia lombarda, vanno
distrutte nel conflitto.
1961. Presso la Canergie Hall di New York, in occasione della manifestazione
“Mezzo secolo di musiche italiane”, sono eseguite ed apprezzate dal pubblico
diverse composizioni di Di Cagno. Infatti, se in Italia la diffusione della sua
produzione artistica resta bloccata, negli Stati Uniti il figlio Walter promuove
alcune iniziative di questo tipo per far conoscere le opere del padre.
1965. Nel mese di agosto la RAI trasmette radiofonicamente un concerto di sue
musiche, ultima consolazione per il maestro che muore nell’ottobre dello stesso
anno.
1966. In considerazione della favorevole accoglienza a questo programma, nel
mese di maggio la RAI trasmette anche Maremma.
1968. Maremma viene rappresentata per la prima volta nel mese di gennaio al
Petruzzelli di Bari.
La notorietà di Di Cagno è soprattutto legata a Frida, opera che rientra
nell’ambito della corrente verista, e anche se egli non riuscì ad inserirsi nell’ambiente
musicale del suo tempo, è da taluni considerato uno dei massimi esponenti della
cultura musicale pugliese del Novecento.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, IBI, SCHMIDL)

APPELLA Giuseppe, Verso le avanguardie: gli anni del futurismo in Puglia, 1909-1944, Adda, Bari
1998, p. 199.
BERGONZINI Luciano, Lo schiaffo a Toscanini: fascismo e cultura a Bologna all’inizio degli anni
Trenta, Il Mulino, Bologna 1991, p. 214.
CASELLI Aldo, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Olschki, Firenze 1969, pp. 142-143.
CELLA Franca, Verso il nostro tempo, in Storia dell’opera, III, UTET, Torino 1977, p. 143.
CELLI T., In memoria di Pasquale Di Cagno, in «Ripresa nazionale. Rassegna economico-sociale,
organo del Centro di documentazione e valorizzazione dell’operosità italiana», 10 ottobre 1968.
COLAZZO Salvatore, Estasi brevi. Futuristi di Puglia: Casavola, Luciani e gli altri, Amaltea,
Castrignano dei Greci 2005, p. 43.
DE ANGELIS Alberto, Cento anni di vita del teatro di S. Carlo (1848-1948), Napoli 1948, p. 124.
–, L’Italia musicale d’oggi: dizionario dei musicisti, Ausonia, Roma 1918, p. 118.
DINKO Fabris - RENZI Marco, La musica a Bari: dalle cantorie medievali al conservatorio Piccinni,
Levante, Bari 1993, p. 197-198.
DE FILIPPIS Felice - ARNESE Raffaele, Cronache del Teatro di S. Carlo: 1737-1960, I, Politica
popolare, Napoli 1961, p. 101, 154, 359.
GIOVINE Alfredo, Musicisti e cantanti di terra di Bari, Biblioteca delle tradizioni popolari baresi,
Bari 1968, p. 22.
110

GIOVINE Alfredo, Musicisti e cantanti lirici baresi, Biblioteca delle tradizioni popolari baresi, Bari
1968, pp. 29-30.
–, Il Politeama barese: cronologia delle opere in musica rappresentate e note critiche coeve,
Biblioteca delle tradizioni popolari baresi, Bari 1967.
–, Il teatro Petruzzelli di Bari: stagioni liriche dal 1903 al 1982, Laterza, Bari 1983, pp. 59, 128.
GUALERZI Giorgio - MARINELLI ROSCIONI Carlo, Cinquanta anni di opera lirica alla RAI: 1931-1980,
ERI, Torino 1981, p. 234.
LA SORSA Saverio, La vita di Bari nell’ultimo sessantennio, Tip. Ciccolella, Bari 1963, p. 280.
Le prime rappresentazioni. “Frida” del maestro Di Cagno, a Bari, in «Musica d’oggi», anno IV,
n. 11, 1924.
MAURIZI Paola, Quattordici interviste sul nuovo teatro musicale in Italia, Morlacchi Editore, Perugia
2004, pp. 124, 142.
PANDIANI Paola, I luoghi della musica, Touring Editore, Milano 2003, p. 235.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, laterza & Polo, Bari 1966, p. 86.
TRIGGIANI Giuseppe, Il melodramma nel mondo 1597-1987, Levante Editori, Bari 1988, p. 60.

Edizioni

– Frida riduzione per canto e pianoforte dell’autore Milano, Sonzogno, 1931.

Opere drammatiche

1. Frida, dramma lirico in tre atti di Giuseppe Adami, BA Petruzzelli 18 ottobre 1934
(libretto in I-Vgc; partitura a stampa in I-Fn, I-Nc, I-Rsc) \ NA S. Carlo 1932.
2. Passiflora, opera in un atto di O. Nigra, non rappresentata.
3. Ondina, opera in tre atti di O. Nigra, non rappresentata.
4. Maremma, opera in un atto di Giuseppe Adami, RAI 26 maggio 1966 \ BA Petruzzelli
27 gennaio 1968.

Linda Cimardi
111

MARCO FALGHERI
Ostuni (BR), 15 agosto 1871 - Taranto, Dicembre 1919

Cronologia

1871-1890. Marco Falgheri nasce ad Ostuni, in terra d’Otranto, il 15 agosto 1871.


Sugli anni giovanili si hanno notizie di scarso rilievo e, per averne qualcuna
significativa, bisogna giungere agli anni in cui Falgheri si trasferisce a Napoli nel
cui Conservatorio di San Pietro a Majella viene ammesso nel novembre 1885
dapprima come “alunno esterno” e pochi mesi dopo, nel gennaio 1886, nella qualità
di “interno pagante”, secondo l’attestazione rilasciata dal direttore Pietro Platania
l’8 maggio 1890, per frequentare i corsi di composizione di Paolo Serrao e violino
del maestro Dworzak (cfr. FORESIO 1984). Ultimati gli studi lascia Napoli e con in
tasca l’abilitazione all’insegnamento del violino, Falgheri si trasferisce a Taranto
dove il suo primo impegno artistico si concretizza in un concerto benefico nel Teatro
D’Ayala nel corso del quale accompagna al piano, suona il violino e dirige alcuni
artisti e strumentisti della compagnia lirica attiva nel piccolo teatro cittadino. Tra
le musiche eseguite suscita particolare interesse una trascrizione per tre violini, arpa
e piano che il giovane musicista ostunese aveva ricavato dal celebre rondò della
Cenerentola rossiniana. Il successo lo porta ben presto ad instaurare con i tarantini
un rapporto di lavoro proficuo avviato con una serie di lezioni private presso le
famiglie dell’alta borghesia e con l’offerta di numerosi concerti presso le chiese del
borgo umbertino, soprattutto in occasione di particolari cerimonie religiose (cfr.
FORESIO 1984). La svolta si ha nel maggio 1894 quando, durante le recite della Forza
del destino di Verdi, nel Politeama Paisiello, Falgheri sostituisce il direttore titolare,
Domenico Bastia, ammalato, ottenendo una brillante affermazione.
1896-1900. Si delinea per il maestro Falgheri l’avvio di carriera come direttore
d’orchestra ma nell’attesa che le occasioni si facciano meritevoli di considerazione,
si adopera per istituire a Taranto una società filarmonica. È il 1898. Con caparbietà
Falgheri seleziona un discreto numero di giovani talenti e inizia l’opera di formazione.
È ancora troppo presto perché si parli di “Filarmonica” ma ci sono tutte le premesse.
Si decide di intitolarla al sommo Paisiello, e il concerto inaugurale, fissato per
il 10 maggio 1898, viene accolto in maniera entusiastica. Sempre nel medesimo
anno Falgheri è premiato con una medaglia d’oro a Palermo durante un concorso
regionale per una composizione da camera Allora ed ora mentre a Catania, un’altra
composizione vocale da camera, intitolata Dall’album di mia figlia, vince un
concorso nazionale (cfr. FORESIO,1984). Da qui inizia a comporre per diversi
committenti alcune romanze da salotto stilisticamente riconducibili al modello
“tostiano”, ricordiamo: L’idolo di ieri, Pentimento, Barcarola tarantina, Canzonetta
appassionata. Contemporaneamente non rinuncia alla composizione di brani sacri,
alcuni dei quali di un certo pregio, un tempo molto eseguiti: Le 3 ore di agonia
di Nostro Signore sulla Croce, un Tantum Ergo e dieci Ave Marie appositamente
dedicate a ciascun figlio in occasione delle rispettive prime comunioni.
112

1902-1919. Il 7 ottobre 1902, nel Teatro Vittorio Emanuele di Torino, va in scena


la prima dell’opera in un atto su libretto di C.A. Blengini, per la musica di Marco
Falgheri dal titolo Maricca preferito all’originario Il bandito, presente sul testimone
manoscritto di proprietà degli eredi della famiglia Falgheri. Il breve dramma
rappresenta il tentativo del maestro di rifluire verso un verismo di ritorno in cui
riaffermare una propria identità musicale. Maricca segue le tracce lasciate da
Cavalleria sebbene, dal punto di vista drammaturgico, risenta degli influssi di
quell’intero filone che dal capolavoro mascagnano passa per i Pagliacci di
Leoncavallo, Mala vita di Giordano, Tilda di Cilea, A basso porto di Spinelli.
Tuttavia, se esiste un musicista al quale Falgheri maggiormente si ispira, questi è
il calabrese Francesco Cilea, per quel modo elegante di esprimere la soavità
dell’invenzione melodica. Se la premiére sarà segnata da un bel successo di pubblico
e un po’ meno di critica, non diversa sarà l’accoglienza che si avrà nel 1910 in
occasione dell’unica ripresa al Politeama Alhambra di Taranto segnandone di fatto
l’oblìo. Negli anni che separano le due rappresentazioni, Falgheri si impegna su più
fronti: quello didattico, fonte primaria di reddito, a quello direttoriale tant’è che si
cimenta in alcune importanti esecuzioni sul podio dell’Alhambra di Taranto. Falgheri
tuttavia non rinuncia alla composizione: le agenzie teatrali lanciano la notizia di
una nuova opera Calimera tarantina su libretto del letterato Agenore Magno (cfr.
FORESIO,1984) che rimarrà solo un desiderio diversamente dall’operetta Gardenia
Hotel, su testo di Elio Mazza, che porterà a termine nell’estate del 1919 durante
una forzata immobilità. Il debutto all’Alhambra, il 13 settembre, segna un successo
che si rinnova qualche settimana dopo, al Teatro Bellini di Napoli, a cura della
Grande Compagnia di Operette “Roma n. 2”.

Bibliografia
(SCHMIDL, STIEGER)
CARETTA Jolanda, Il verismo letterario e Musicale: Marco Falgheri compositore pugliese, Università
degli Studi di Lecce Facoltà di Magistero (Corso di Laurea in Pedagogia), a.a. 1994-95.
DE ANGELIS Alberto, Marco Falgheri, in «L’Italia musicale d’oggi». Dizionario dei musicisti con
appendice, Ausonia, Roma 1918, p. 373.
FORESIO Dino, Marco Falgheri e il miraggio della città ideale, in «Euterpe Tarantina» (Storia della
Musica e dei Teatri a Taranto dal Seicento ai giorni nostri), Mandese Editore, Taranto 1984, pp.
113-131.
Marco Falgheri, in «Lo Staffile. Giornale illustrato di lettere, arti, teatri e sport», 23 agosto, 1903,
p. 3.
Marco Falgheri, in «Cronache Teatrali delle Puglie», Anno I, numero di saggio, Taranto 11 marzo
1920, p. 2.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 94-95.

Opere drammatiche
1. Maricca /Il bandito, melodramma di C.A.Blengini (pseudonimo di Carlo Albani), TO
Vittorio Emanuele 1902 \ TA Politeama Alhambra 1910 (I-TAfalgheri*).
2. Gardenia Hotel, opera di Elio Mazza, TA Politeama Alhambra 1919 \ NA Teatro Bellini
1919 (I-TAfalgheri*).
Dino Foresio
113

IVAN FEDELE
Lecce, 6 maggio 1953

Cronologia

Ivan Fedele nasce a Lecce nel 1953. Trasferitosi giovanissimo a Milano con la
famiglia, intraprende lo studio del pianoforte diplomandosi nel 1972 presso il
Conservatorio «Giuseppe Verdi». Avrà come maestri Bruno Canino, Vincenzo
Vitale e Ilonka Deckers. Gli studi pianistici hanno accompagnato la formazione
compositiva di Fedele e, per alcuni anni, lo hanno anche condotto a svolgere
attività concertistica. A Milano frequenta anche il liceo Parini, completando la sua
formazione classica presso la facoltà di Filosofia all’Università Statale. Suoi
docenti sono stati, tra gli altri, Enzo Paci, Ludovico Geymonat, Giulio Giorello.
Figlio di un matematico, deve all’insegnamento del padre la passione per questa
disciplina che lo accompagnerà in diverse importanti ricerche compositive; e
proprio lo studio della composizione, in questi anni, costituisce l’occupazione
formativa più intensa del giovane artista, che ha come maestri Renato Dionisi per
Armonia e Contrappunto e Azio Corghi, col quale si diploma in Composizione nel
1981. Angelo Paccagnini per la musica elettronica (diploma nel 1985) e Franco
Donatoni all’Accademia di Santa Cecilia a Roma (1982) completano la sua
formazione compositiva. Con il premio Gaudeamus, ottenuto ad Amsterdam nel
1981 (Primo Quartetto d’archi e Chiari per orchestra) Fedele si rivela a livello
internazionale. Sarà il primo di una lunga serie di premi, che gli varranno importanti
commissioni (tra cui Duo en résonance per l’Ensemble InterContemporain) e che
culminerà con il riconoscimento ad Antigone, opera commissionata dal Teatro
Comunale di Firenze per l’apertura del Maggio Fiorentino 2007 e insignita del
XXVII Premio «Franco Abbiati» dell’Associazione Critici Musicali Italiani come
migliore “novità assoluta” del 2007.
Il catalogo di Ivan Fedele comprende un’ottantina di titoli, e sarebbe ancora
più numeroso se si includessero le opere (soprattutto giovanili) trascurate o escluse
dalla considerazione del compositore. Il primo titolo risale al 1977 ed è Dodici
figlie di O, per pianoforte e nastro magnetico, al quale seguono, in sequenza
cronologica pressoché ininterrotta a partire dagli anni Ottanta, composizioni per
gli organici più diversi che spaziano dagli strumenti solisti (pianoforte, flauto e
violino i più frequentati), all’elettronica, composizioni da camera, ensemble,
orchestra (con o senza solisti), musica vocale (con o senza strumenti), musica per
film ed opere radiofoniche. Spicca nel catalogo la già citata Antigone, visto che
l’opera era stata fino al 2006 un’assenza vistosa. L’unico lavoro teatrale presente
era la cantata Oltre Narciso del 1982 (se si esclude il dramma in un atto Iper-
mnestra del 1984 che l’autore ha deciso di ritirare dal catalogo). Le sue compo-
sizioni sono pubblicate dalle Edizioni Suvini Zerboni – SugarMusic.
A partire dagli anni Novanta Ivan Fedele ha svolto anche un’intensa attività
didattica all’interno di importanti istituzioni come l’Università di Harvard,
114

l’Università di Barcellona, la Sorbona e l’IRCAM di Parigi, l’Accademia Sibelius


di Helsinki, l’Accademia Chopin di Varsavia, il Centro Acanthes di Avignone, il
CNSM di Lione e il CNR di Strasburgo, oltre che nei Conservatori di Milano,
Bologna e Torino. Nel 2000 è stato insignito dal Ministro della Cultura Francese
dell’onorificenza di “Chevalier de l’Ordre des Lettres et des Arts”. Nel 2005 è
nominato Membro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. Nel 2007
il Ministero della Cultura Italiano gli ha assegnato la Cattedra di Composizione
nell’ambito dei Corsi di Perfezionamento in Studi Musicali presso la stessa Accademia.
La ricerca compositiva di Fedele è sempre stata sensibile alle più ardite e attuali
sperimentazioni tecnologiche: «Nell’aprile 2005, all’Arsenale di Metz è stato
presentato in prima mondiale Capt-Actions per quartetto d’archi, accordeon e
dispositivo elettronico, che utilizza per la prima volta un nuovo sistema di “capteurs”,
i quali sono in grado di inviare al computer i dati del profilo di un gesto strumentale
e di farlo interpretare, in tempo reale, secondo modelli di trasformazione del suono
predisposti dal compositore. Questa nuova tecnologia, messa a punto da Thierry
Coduys negli studi della Kitchen di Parigi, apre prospettive d’invenzione finora
inesplorate» (cfr. http://www.esz.it/aut/ita/ivan_fedele/curriculum.htm).
La musica di Fedele è stata diretta, tra gli altri, da Pierre Boulez, Myung-Whun
Chung, Esa-Pekka Salonen, Riccardo Muti, Peter Eotvos, ed eseguita da orchestre
ed ensemble quali BBC, Radio di Berlino, Orchestra Sinfonica di Chicago, SWR
di Stoccarda, WDR di Colonia, Orchestra Sinfonica di Varsavia, Tokio Symphony
Orchestra, National de France, Orchestre de Paris, National de Lyon, Orchestra
di Santa Cecilia, Orchestra I Pomeriggi Musicali, Filarmonica della Scala, Tonhalle
di Zurigo, Ensemble Intercontemporain, London Sinfonietta, Klangforum Wien.
Numerosi sono i concerti monografici a lui dedicati: alla Cité de la Musique di
Parigi, alla BBC, all’Auditorium di Barcellona, a Metz, a Stoccarda e Berlino,
a Tokio e New York, ai festival di Strasburgo, di Helsinky, di Varsavia, di Caen,
di Bruxelles.
Attualmente Fedele sta preparando un libro che raccoglie tutte le sue lezioni
di composizione e i suoi saggi organizzati secondo un principio metodologico che
si basa sulla “fenomenologia” e sulla “percezione” della musica. Un altro libro
sulla sua opera musicale uscirà a breve: si tratta di una raccolta di saggi di studiosi
e musicisti tra i più qualificati del panorama mondiale. Entrambe le pubblicazioni
saranno edite da Sugar Music Milano (in italiano e in inglese) e dalle Editions
du CNR di Strasburgo (in francese).
Dal 2009 Fedele è Direttore Artistico dell’Orchestra «I Pomeriggi Musicali»
di Milano.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La poetica di Ivan Fedele si distingue per una costante ricerca della chiarezza
formale e un’innata tensione drammaturgica. La ricerca di una sintesi tra esigenze
della modernità mescolate all’artigianato di un compositore erede della grande
tradizione sinfonica del classicismo, hanno permesso a Fedele di raggiungere
un’originalità inedita, se commisurata alle problematiche consuete della compo-
sizione contemporanea. Più che la generazione della materia sonora, la struttura
infinitesimale e gli automatismi di interconnessione tra i suoni, Fedele pone la
115

costruzione della grande forma alla base del suo fare, mai eludendo, d’altra parte,
la necessità di costruire un melos nuovo e originale.
Fedele è giunto relativamente tardi alla composizione operistica, ma alla sua
musica è stata riconosciuta da sempre una capacità di “raccontare” attraverso i suoni,
cioè una intrinseca vocazione drammaturgica. «Nella scrittura di Fedele è chiaramente
ravvisabile una spiccata sensibilità per le forme musicali organicamente compatte e
coese, una propensione per la creazione di complessi intrecci di eventi sonori legati
fra loro da un reticolo di relazioni e nessi che determinano svariati richiami, ritorni,
ripetizioni, reminiscenze: un “teatro del comporre” che per almeno un ventennio,
secondo l’influente direttiva estetica di Franco Donatoni, ha tenuto Fedele lontano
dal vero e proprio “comporre per il teatro”» (cfr. MOIRAGHI 2008).
L’unico lavoro teatrale di Fedele prima della realizzazione dell’opera Antigone
(composta nel 2005-2006 e rappresentata a Firenze nel 2007) era stato la cantata
Oltre Narciso, che risale al 1982 (il sottotitolo recita: cantata profana per un’azione
scenica in un atto); un narcisismo quello di Fedele più del pensiero che dell’immagine,
ispirato ai simboli di Borges. Il dramma in un atto Ipermnestra di poco successivo
(1984), con tematiche legate ad Orwell, fu ritirato dal catalogo. Antigone è quindi
la prima vera opera compiuta di Fedele. Il soggetto risente delle riscritture,
riadattamenti e rielaborazioni cui è stato sottoposto nel recente passato: Walter
Hasenclever (1917), Jean Cocteau (1922), Jean Anouilh (1944), Bertolt Brecht
(1948). Per quel che concerne l’opera, dopo una notevole tradizione settecentesca
che culmina con l’Antigona (1772) di Marco Coltellini e Tommaso Traetta, il soggetto
viene ripreso e aggiornato nell’Antigone (1927) di Jean Cocteau e Arthur Honegger
e quindi nell’Antigonae (1949) di Carl Orff, fondata come nel caso del dramma di
Brecht sulla versione di Hölderlin della tragedia di Sofocle. Opera mitica, quindi,
e non si tratta di una novità nel catalogo del compositore, che annovera, tra l’altro,
il racconto in musica Orfeo al cinema Orfeo (1994), i venti quadri radiofonici
Barbara Mitica (1996), Coram Requiem (1996), Animus Anima (2000), e che per
i testi si avvale della collaborazione di Giuliano Corti. «Se per quanto riguarda il
soggetto l’archetipo è la vicenda di Antigone, che compie il suo destino per aver
anteposto le leggi divine a quelle umane (come rilevava già Hegel nella Fenomenologia
dello spirito), l’impianto dell’opera riproduce la struttura della tragedia greca: Prologo,
Parodo, cinque Episodi alternati ad altrettanti Stasimi, Esodo». (cfr. FERTONANI 2007).
Cimentandosi per la prima volta con il dilemma compositivo di una grande opera
teatrale con un celebre e impegnativo argomento mitologico, Fedele ha fatto ricorso
ad uno dei criteri fondamentali del suo universo poetico: il “teatro della memoria”,
ovvero un luogo dell’immaginario compositivo in cui gli avvenimenti sonori si
presentano, si sviluppano e s’intrecciano, come personaggi la cui azione rimanda ad
un principio di organizzazione formale che è metafora della drammaturgia.

Bibliografia
BRAMANI Lidia, Ivan Fedele, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», 1990, n. 1.
CORTI Giuliano, Antigone, archetipo della pietà (programma di sala), in Maggio Musicale Fiorentino,
2007.
FEDELE Ivan, Arte, Stile, Scrittura, in «Società di pensieri», n. 8, 1994.
FEDELE Ivan, Texture, écriture et analyse, intervista raccolta da Pierre Michel, «Analyse Musicale»,
n. 38, 2001.
116

–, Tout m’a poussé vers ce projet d’Antigone, intervista raccolta da Laurent Barthel, in «Opéra
Magazine», n. 17, 2007.
FERTONANI Cesare, Presentazione di Antigone (programma di sala), in Maggio Musicale Fiorentino,
2007.
–, Gli archetipi e la memoria. Una conversazione con Ivan Fedele, note introduttive del libretto
allegato al CD Ivan Fedele. Scena, Ruah, Concerto per violoncello, Stradivarius STR 33650, 2003.
GERVASONI Arturo, Directionnalités dans la musique d’Ivan Fedele, tesi di dottorato, Università
Rennes 2 - Haute Bretagne (Bibliothèque de l’Université de Rennes), 2007.
GIRARDI Enrico, Il teatro musicale italiano oggi. La generazione della post-avanguardia, Paravia,
Torino 2000.
MOIRAGHI Marco, Antigone (2005-2006) di Ivan Fedele. Vocalità, orchestrazione, forma, abstract
del «VI incontro di studio di Analitica», Rimini 2008.
RIVOLTA Renato, Tempo e direzionalità, in «Syrinx», n. 17, 1993.
STOIANOVA Ivanka, note introduttive a Ivan Fedele. Concerto per pianoforte, Epos, Chiari, Stradivarius
STR 33348, 1994.
–, La musique de Fedele. Tradition et innovation, in «Le Magazine du Centre», n. 92, 1996.

Risorse on-line

La pagina del sito ufficiale delle Edizioni Suvini Zerboni dedicata a Ivan Fedele (http://
www.esz.it/aut/ita/ivan_fedele/index.html) offre dell’autore curriculum, bibliografia,
discografia, elenco delle opere e rassegna stampa. Una schedatura dettagliata relativa alle
opere di Fedele si trova in http://mediatheque.ircam.fr. Un altro sito molto ricco di riferimenti
incrociati e d’informazioni sull’opera, la discografia e la bibliografia dell’autore è http://
brahms.ircam.fr/composers/composer/1269/.

Opere drammatiche

1. Oltre Narciso, cantata profana per una azione scenica su libretto proprio, MI Piccola
Scala 20 settembre 1982.
2. Ipermnestra, dramma in musica in un atto di Giuliano Corti, FE Sala Polivalente 13
giugno 1984 [ritirata dal catalogo dal compositore].
3. Orfeo al cinema Orfeo, racconto in musica per due voci recitanti e tastiere Midi su testo
di Giuliano Corti, RM Rai III, 13 dicembre 1994.
4. La chute de la maison Usher, musica per il film omonimo di Jean Epstein (1928), Paris
Cité de la Musique 26 dicembre 1995.
5. Barbara Mitica, venti quadri radiofonici sui miti di coppia su testi di Giuliano Corti,
1996.
6. Antigone, opera in sette quadri di Giuliano Corti, FI Teatro Comunale 24 aprile 2007.

Gioacchino Palma
117

NICOLA FERRI
Mola di Bari (BA), 4 novembre 1831 - Londra, 26 marzo 1886

Cronologia

1831-1855. Figlio di Giovanni Agostino e Orsola Renna. A sedici anni, «con


insegnamenti disordinati e autodidattici» (SORRENTI 1966, p. 99), compone l’opera
Luigi Rolla, rappresentata privatamente con buon successo: il governo napoletano
gli assegna una pensione annua per perfezionarsi al Conservatorio «S. Pietro a
Majella» con Saverio Mercadante. Il 26 luglio 1855 Ida di Benevento viene
rappresentata al Teatro Piccinni di Bari durante la stagione lirica inaugurale: «la
tragedia, data in prima assoluta, fu accolta dal pubblico con gran soddisfazione»
(GIOVINE 1970, p. 22). Secondo UVA 1964 l’opera seria Lara sarebbe stata messa
in scena alla Scala di Milano, ma la notizia non è attendibile.
1861-1879. Nel 1861 si sposta a Parigi (probabilmente dopo un diverbio coi
maggiorenti della Scala), guadagnando buona reputazione con la sua musica da
camera: diventa membro della Società degli Autori e Compositori. Nel 1876 si
trasferisce a Londra.
1880-1886. Riceve, nel 1880, la nomina a professore di canto alla Guildhall
School of Music; all’anno della morte la sua rinomata classe conta ben 120 allievi.
Compone romanze per voce e pianoforte, anche in francese e in inglese (i testi
inglesi risultano talvolta curati da Mad.me L. Diani Ferri: è possibile ipotizzare
che si tratti di sua moglie).
Il fratello GIOVANNI (29 ottobre 1821 - 6 ottobre 1877) fu un rinomato tenore.
Avviato al sacerdozio, intraprese poi la carriera di cantante: con lo pseudonimo
anagrammatico di Ettore Irfrè girò i maggiori teatri di Italia, Francia, Spagna (dove
riceve l’appellativo di Niño de España), Russia e America.

Bibliografia

(ES, SCHMIDL)

GIOVINE Alfredo, L’opera in musica in teatri di Bari. Statistica delle rappresentazioni dal 1830
al 1969, Biblioteca dell’archivio delle tradizioni popolari baresi, Bari 1969.
–, Il teatro Piccinni di Bari. 1854-1964: 110 anni di attività operistica e altre manifestazioni
artistiche affini. Cenni storici, cronologia, bibliografia, illustrazioni, Biblioteca dell’archivio
delle tradizioni popolari baresi, Bari 1970, p. 22.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 98-99.
UVA Nicola, Saggio storico su Mola di Bari, Dedalo, Bari 1964, pp. 214-15.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904,
pp. 1261-62.
118

Risorse on-line

Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) registra la collocazione di una dozzina


di romanze da camera di Ferri in lingua francese e inglese. In http://www.jstor.org sono
reperibili alcuni articoli di «The Musical Times and Singing Class Circular», datati fra il
1881 e il 1882, che testimoniano l’attività concertistica di Ferri e degli allievi della Guildhall
School of Music di Londra.

Opere drammatiche

1. Luigi Rolla, melodramma n.n., rappresentato in residenza privata a Mola di Bari nel
1848.
2. Ida di Benevento, tragedia lirica in tre atti di Francesco Rubino, BA Piccinni 26 luglio
1855 (libretto in I-Bc, I-Nc).
3. Lara, opera seria di Giuseppe Bardare, s.l., s.d., non rappresentata.
Rocco De Cia
119

GIOVANNI FESTA
Altamura (BA), 1806 - Napoli, 1839

Cronologia

Ultimo figlio di Giovanni Nicola, fratello di Andrea, Ludovico e Vincenzo (tutti


violinisti attivi tra Sette e Ottocento in Puglia e a Napoli), Giovanni – dopo aver
ricevuto dal padre nel paese natale i primi insegnamenti musicali – prosegue gli
studi di violino e composizione in Conservatorio a Napoli. Qui, al teatro Nuovo,
nel 1827 (secondo DE FILIPPIS nel 1824) esordisce come operista con un’opera buffa:
Dev’esser una e son quattro. Quattro anni dopo, nello stesso teatro, è attestata
la rappresentazione dell’opera semiseria Il vecchio della selva di Ardenna. Come
molti altri colleghi, una volta mancata l’affermazione sulle scene, Giovanni tenta
l’inserimento in istituzioni religiose nella veste di maestro di cappella (l’attività
in ambito sacro è testimoniata da molte composizioni religiose che si conservano
presso l’«Archivio Biblioteca Museo Civico» di Altamura).
La disponibilità on-line delle due partiture di Festa permette di tracciare una
sintesi sulla sua melodrammaturgia interamente modellata sulle architetture for-
mali rossiniane. Del genio pesarese Festa si spinge ad imitare (talvolta rasentando
il plagio) la costruzione melodica, come pure le scelte di colore orchestrale e
l’inconfondibile vis ritmica. La forte connotazione partenopea, assicurata dalle
parti in dialetto, conferisce tuttavia tratti di indipendenza dal “verbo” rossiniano
accostando Festa ai degni prosecutori di una tradizione comica tutta napoletana.
Fioravanti, Sarmiento, Curci sono nomi di più affermati operisti coevi, accanto
ai quali l’alto artigianato di Festa non sfigura. Gli autografi lasciano piuttosto
trasparire un certo impaccio con gli strumenti traspositori, segno di una ancora non
solida preparazione nell’affrontare i problemi legati all’orchestrazione. Vista la
presenza on-line di tale materiale sarebbe auspicabile una riproposta in sede
esecutiva al fine di mostrare gli esiti artistici di uno dei tanti “Rossini napoletani”
di cui si continua a scrivere (negativamente) senza che il vivo ascolto possa
convalidare o smentire gli assunti della critica musicologica.

Bibliografia
DE FILIPPIS Felice - MANGINI Mario, Il teatro Nuovo di Napoli, Berisio, Napoli 1967, p. 193.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, con uno sguardo sulla
storia della musica in Italia, Morano, Napoli 1880-82.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1954-
55, vol. I (1954), pp. 379.
SERENA Ottavio, I musicisti Altamurani Notizie raccolte e pubblicate da Ottavio Serena in occasione
del centenario di Saverio Mercadante, Tip. F.lli Portoghese, Altamura 1895.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Altamura, in «Altamura», nn. 31-32 (1989-1990), p. 205.
120

Risorse on-line

Sul sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) sono presenti le due partiture autografe
di Festa conservate presso la Biblioteca del Conservatorio di Napoli.

Opere drammatiche

1. Dev’esser una e son quattro, opera buffa di G. S., NA Nuovo 1824 (partitura in I-Nc*).
2. Il vecchio della selva di Ardenna, opera semiseria in due atti di Andrea Passaro, NA
Nuovo primavera 1831 (libretto in I-MATts, I-Mc, I-Vgc; partitura in I-Nc*).

Lorenzo Mattei
121

SALVATORE FIGHERA (FICHERA)


Gravina di Puglia (BA), 1771? - Napoli, 1836

Cronologia

1771-1782. Salvatore Fighera viene condotto a Napoli per intraprendere gli studi
legali dallo zio paterno, Oronzo Fighera, uomo assai noto nell’ambiente della
giurisprudenza. Salvatore comincia di nascosto a dedicarsi all’arte musicale;
scoprendo la cosa, lo zio ne resta addolorato e vieta al giovane di proseguire, ma
scorgendo che questa era la sua naturale inclinazione, alla fine vi acconsente. Il
22 novembre 1779 entra così al Conservatorio di «S. Maria di Loreto» a Napoli
e studia canto e contrappunto sotto la guida di Giacomo Insanguine; a queste
discipline unirà poi lo studio della composizione sotto la guida di Fedele Fenaroli.
Riguardo alla data di nascita del nostro compositore, va detto che non esiste
documento negli archivi della città natale che la confermi. Sta di fatto che nel
1779, anno di ingresso al conservatorio napoletano, Fighera aveva otto anni, età
compatibile con l’inizio di studi musicali ma “problematica” con gli studi di
giurisprudenza che avrebbe intrapreso prima di entrare in Conservatorio.
1783-1836. Il 2 aprile 1783 lascia il Conservatorio di «S. Maria di Loreto» e
si dirige a Milano, dove fa rappresentare la sua opera buffa La sorpresa (Teatro
della Canobbiana, primavera 1800; alcune parti sono state rappresentate anonime
quattro anni prima al Teatro alla Scala), e dove compone due cantate, La finta
istoria e Lo sdegno e la pace.
Ritorna in seguito a Napoli e diviene maestro di cappella in alcuni conventi,
tra cui il Monastero di S. Sebastiano, posto che conserverà fino alla morte. Per
questi conventi scrive molte composizioni religiose, in gran parte perdute: due
messe a due cori con orchestra; una Messa funebre a due cori, con orchestra; una
Messa funebre a due cori in stile fugato, con orchestra, per i funerali della regina
Maria Carolina d’Austria; quattro messe a quattro voci, con orchestra, di cui due
scritte per la beatificazione e canonizzazione di S. Alfonso de’ Liguori; molte
messe alla Palestrina; un Miserere a otto parti reali alla Palestrina; un Miserere
a quattro voci, con orchestra; un oratorio a quattro parti, con orchestra; un Oratorio
per la festività de’ dolori di Maria; due Credo a otto voci, in stile madrigalesco.
Scrive inoltre recitativi e arie, canzonette, cavatine e duetti con orchestra o con
cembalo, e cori con orchestra, i cui manoscritti sono conservati alla Biblioteca del
Conservatorio «S. Pietro a Majella» di Napoli e alla Biblioteca del Conservatorio
«Giuseppe Verdi» di Milano ed anche musica strumentale – Intavolature, Arpeggi
e Divertimenti per pianoforte – i cui manoscritti sono conservati sempre presso
la Biblioteca del Conservatorio di Milano.
Oltre queste opere, lascia anche un trattato didattico, Studio di canto, concepito
secondo i precetti di Nicola Porpora.
122

Bibliografia
(DEUMM, ES, IBI, MGG, SCHMIDL)
BELLUCCI Michele Attilio, I musicisti baresi, in «Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», II
(1885), pp. 196-200.
Catalogo della collezione d’autografi, lasciata alla R. Accademia Filarmonica di Bologna
dall’accademico ab. dott. Masseangelo Masseangeli, Regia Tipografia, Bologna 1881, pp. 114.
FAENZA Vito, I maestri di musica della provincia di Bari, in «Barinon», numero unico (agosto 1881),
pp. 17-21.
FÉTIS François-Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique.
Supplément et complément, Firmin-Didot, Paris 1878-812, vol. I (18782), p. 331.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, con uno sguardo sulla
storia della musica in Italia, Morano, Napoli 1880-82, vol. II: Cenno storico sulla scuola
musicale di Napoli e suoi conservatorii, con le biografie dei maestri usciti dai medesimi (1882),
p. 449.
GIUSTO Domenico, Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi viventi e dei morti nel
presente secolo, Stabilimento tipografico letterario di L. De Bonis, Napoli 1893.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1954-
55, vol. I (1954), p. 379.
MASUTTO Giovanni, I maestri di musica italiani del secolo XIX. Notizie biografiche raccolte dal
professore Giovanni Masutto, Stab. Tipografico di Gio. Cecchini, Venezia 18823.
MERSEBURGER Carl Wilhelm, Kurzgefasstes Tonkünstler-Lexikon für Musiker und Freunde der Musik,
begründet von Paul Frank (pseudonimo di Merseburger), Bosse, Regensburg 1936.
NARDONE Domenico, Notizie storiche sulla città di Gravina, Macri, Bari 19412.
PETRONI Giulio, Della storia di Bari. Dagli antichi tempi sino all’anno 1856, 2 voll., Stamperia e
cartiere del Fibreno, Napoli 1857-58.
DE ROSA Carlo Antonio, marchese di Villarosa, Memorie dei compositori di musica del Regno di
Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1840, pp. 241-243.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 101-102.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904;
nuova edizione ampliata, Morano, Napoli 1920.

Risorse on-line

Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali), offre la possibilità di effettuare downloads


gratuiti dei manoscritti delle seguenti opere: La Beneficenza Premiata, La Rosa, Aria con
Recitativo Ah s’è ver il tuo bel pianto da Lo sdegno e la pace.

Opere drammatiche e oratorii

1. La sorpresa, opera buffa n.n., MI Scala primavera 1800 (brani in I-Nc).


2. La Baronessa villana, opera buffa n.n., NA? (aria Al veder que’ vaghi occhietti I-Nc).
3. Oratorio di Maria SS.ma Addolorata, oratorio n.n., NA 1813 (partitura in I-Nc*).
4. La beneficenza premiata, cantata scenica n.n., NA residenza Francesco Ricciardi 1814
(partitura in I-Nc).
5. La Rosa, cantata scenica di Gasparo Mollo, NA residenza Francesco Granat (partitura
in I-Nc).
6. La finta istoria, cantata scenica n.n., MI?
7. Lo sdegno e la pace, cantata scenica n.n., MI? (scena e aria Ah s’è ver il tuo bel pianto
I-Nc).
Francesco Scognamiglio
123

VINCENZO FIODO
Taranto, 1 settembre 1778 - Napoli, 5 settembre 1862

Cronologia

1778-1808. Vincenzo nacque a Taranto dal commerciante Gennaro Fiodo e da


Chiara Condella (cfr. FLORIMO che posticipa la data di nascita al 2 settembre 1782).
Sulla base della testimonianza di un documento legale del 7 agosto 1849 – «Fiodo
e Fiodo» incentrato su un ricorso relativo a questioni ereditarie (cfr. Giurisprudenza
Civile 1850) – si viene a conoscenza che la famiglia Fiodo, oltre a Vincenzo,
contava tre fratelli (Domenico, Gabriele, Michele) e due sorelle (Margherita,
Mariangela). Allievo di Giuseppe Salini (solfeggio e partimento) di Alessandro
Speranza (contrappunto) e di Giacomo Tritto (composizione) al Conservatorio di
Napoli, Fiodo affinò il tirocinio formativo con Paisiello concludendo gli studi nel
1806, dopo aver offerto come prima prova compositiva l’oratorio Giuseppe
riconosciuto (Napoli, teatrino del Conservatorio 1804). Fu proprio Paisiello che
agevolò il debutto sulle scene di Fiodo, avvenuto a Roma nel 1808 con la farsa
di Michelangelo Prunetti Il disertore (ancora nel 1838 quando Fiodo rielabora la
strumentazione di una messa paisielliana del 1799, egli si fregia del titolo di
“allievo” del maestro tarantino).
1809-1819. Dopo l’ottima accoglienza riservata al Trionfo di Quinto Fabio,
allestito al Regio di Parma nel 1809 a Fiodo fu commissionata l’intonazione di
Ciro riconosciuto dalla direzione della Pergola di Firenze (1810). Fu probabilmente
a seguito di questa performance che egli ottenne l’incarico di seguire l’istruzione
musicale della famiglia del ministro danese Schubart residente a Pisa. In questa
città Fiodo rimase fino al 1819. Carlo Gervasoni nella sua Nuova teoria di musica
ingloba Fiodo tra i “Virtuosi Filarmonici Italiani” offrendone un breve profilo che
giova citare per esteso: «nato in Taranto nel regno di Napoli nel 1782 ed in oggi
di residenza in Pisa in qualità di maestro di canto e di cembalo presso S.E. il
ministro di Danimarca Barone de Schubart. Egli fu educato col più felice successo
nel Conservatorio della Pietà de’ Turchini in Napoli ed ebbe la sorte d’essere
diretto ne’ suoi studi di composizione dai celebri maestri Sala e Paisiello dai quali,
a dir vero, acquistò tutte le conoscenze più estese dell’arte. Fra le ottime sue
produzioni gl’intelligenti ammirano l’Oratorio sacro Giuseppe riconosciuto, scritto
in conservatorio nel 1804. La farsa Il disertore composta in Roma nel 1808 ed
il dramma serio Il Trionfo di Quinto Fabio che pose sulle scene in Parma nel 1809
sono pure sue composizioni».
1820-1845. Rientrato a Napoli – dopo una parentesi professionale che lo vide
attivo in alcune attività commerciali – Fiodo insegnò in Conservatorio e fu maestro
di cappella in varie chiese e monasteri (tra cui S. Maria delle Anime del Purgatorio,
dal 1820 alla morte; cfr. LANZILLOTTA 1995) dedicandosi, come ogni altro operista
124

non più inserito nel circuito melodrammatico, sia alla composizione di musica sacra
(numerosi autografi sono stati di recente censiti e sono presenti sull’OPAC dell’ICCU
di SBN), sia alla stesura di testi didattici (scrisse un Corso di contrappunto che
ebbe ottimo incontro).
1846-1862. Nel 1846 fu nominato ispettore di canto delle scuole ‘satellite’ del
Conservatorio napoletano dove l’8 settembre 1858 ottenne l’ambita cattedra di
Solfeggio. Nel 1850 era entrato come socio onorario nella Real Accademia di Belle
Arti di Napoli (onoreficenza anche questa assai ambita e concessa a pochi docenti
del conservatorio partenopeo). Morì a Napoli il 5 settembre 1862. I necrologi
apparsi sulla «Gazzetta musicale di Napoli» (X, 28 settembre 1862, n. 11) e su
«L’Univers musicale» (anno 11 del 22 gennaio 1863, n. 4, p. 29 dove Fiodo viene
menzionato come «ancien professeur au conservatoire de musique de Naples»)
testimoniano la buona notorietà che il maestro tarantino aveva conseguito grazie
alla sua strenua attività didattica.

Melodrammaturgia, stile, fortuna


Secondo Maria Caraci Vela (cfr. CARACI VELA 1988) – unica tra gli studiosi ad aver
preso in esame i manoscritti di Fiodo nella loro completezza – sulla fortuna di questo
misconosciuto autore pesò il giudizio di Florimo che «accanto a generiche espressioni
di stima per le qualità didattiche e l’onestà professionale del musicista, rileva senza
mezzi termini come “pel campo dell’arte passò quasi inosservato, e sebbene fosse
dei più coscienziosi seguaci della nostra scuola nell’insegnamento, pure non mise
mai un passo avanti quello che gli avevano insegnato i maestri suoi, e solo nell’autorità
di questi era fondato tutto il suo sapere musicale”». In realtà è difficile non rintracciare
un chiaro epigonismo nella scrittura di Fiodo dipendente, sul piano dell’orchestrazione
e della costruzione fraseologica, dai modelli paisielliani e cimarosiani che in essa
vengono banalizzati nella loro logica costruttiva, basata sulla paratassi di motivi
ritmici congeniali ad un lavoro di microvariazione (procedimento che Fiodo non
mostra di padroneggiare). Nelle partiture superstiti di Fiodo l’ampliamento dell’aria
in direzione multisezionale e il maggior impiego della risorsa corale nei pezzi
d’assieme o, in guisa di pertichino, nei brani solistici – entrambi richiesti da un
mutamento di abitudini insieme produttive e ricettive – sono testimonianza di un
blando aggiornamento stilistico, peraltro inevitabile per chiunque scendesse nell’agone
melodrammatico. Rispetto a Tritto, Zingarelli e Lavigna – per nominare tre dei
migliori operisti dell’estrema stagione della scuola napoletana settecentesca – Fiodo
non palesa un’analoga dimestichezza nel piegare alle esigenze sceniche la logica
additiva con cui si costruivano i singoli “numeri”; né mostra scioltezza nel rapportare
alle voci un’orchestra divenuta più ricca soltanto nella volumetria sonora e non
nell’intreccio timbrico. Fiodo si propone dunque agli occhi della critica come un
operista “anacronistico” che pur vivendo tre quarti di Ottocento (morì due mesi
prima del debutto di Forza del destino di Verdi) si ostinò a seguire pedissequamente
le impostazioni poetiche, la semiosi e la retorica affettistica del melodramma
settecentesco. Rispetto ad altri operisti coevi Fiodo non tentò neppure di imitare il
nascente astro rossiniano e non è un caso che proprio nel 1810 – data del debutto
per Rossini e dell’addio alle scene per decine e decine di operisti di “scuola
napoletana” – egli rinunciasse definitivamente alla carriera teatrale.
125

Bibliografia
(DBI, DEUMM, ES, MGG, NGO, SCHMIDL, STIEGER)
Almanach aus Rom für Künstler und Freunde der bildenden Kunst, Roma 1810, vol. II, p. 176.
CAMPA Cecilia, Il musicista nelle rivoluzioni dei poteri: mutamenti e costanti nel codice celebrativo,
in Giovanni Paisiello e la cultura europea del suo tempo, atti del convengo internazionale di
studi (Taranto 20-23 giugno 2002) a cura di Francesco Paolo Russo, LIM, Lucca 2007, p. 133.
VOLPICELLA Luigi, Bibliografia storica della provincia della Terra di Bari, Tip. Dell’Accademia
Reale delle Scienze, Napoli 1884, p. 89.
CARACI VELA Maria, La produzione di Vincenzo Fiodo nel fondo Noseda della Biblioteca del
Conservatorio di Milano, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Seicento
e Settecento, atti del convegno internazionale di studi (Lecce 6-8 dicembre 1985) a cura di Detty
Bozzi e Luisa Cosi, Roma, Torre D’Orfeo 1988, pp. 227-240.
CASELLI Aldo, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Firenze 1969, p. 164.
DE ROSA Carlo marchese di Villarosa, Memorie dei compositori di musica del regno di Napoli,
Stamperia Reale, Napoli 1840, p. 78.
FABRIS Dinko, Maestri e allievi italiani di Piccinni, in Il tempo di Niccolò Piccinni. Percorsi di un
musicista del Settecento, a cura di Clara Gelao, Michèle Sajous D’Oria, Adda, Bari 2000, p. 22.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatori, Morano, Napoli 1880-82,
vol. III, 1882, pp. 93 e sgg.
«Gazzetta Musicale di Napoli», X, 28 settembre 1862, n. 11 (contiene il necrologio di Fiodo).
GERVASONI Carlo, Nuova teoria di musica ricavata dall’odierna pratica […] Blanchon, Parma 1812,
p. 138.
Giurisprudenza Civile ossia raccolta con ordine cronologico delle decisioni emesse dalla corte
suprema di giustizia in Napoli pubblicate da Ferdinando Albisinni, Stamperia Fibreno, Napoli
1850, voll. VII-VIII, pp. 105-106.
LANZILLOTTA Pierluca, Non oro, non gemme. Giacomo Insanguine detto Monopoli, Schena, Fasano
1995, p. 108.
LORETO Alessandro, Musica e musicisti a Siracusa nel XIX secolo, Istituto siciliano di studi politici
ed economici, Palermo 1998, p. 290.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1954,
vol. I, p. 381.
PIPERNO Franco, Rossini (vero e falso), il “Quinto Fabio” di Nicolini (Roma 1817) e “L’Atalia”
di Mayr (Napoli 1822), in Pensieri per un maestro. Studi in onore di Pierluigi Petrobelli a cura
di Stefano La Via e Roger Parker, EDT/Musica, Torino 2002, p. 173.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, p. 336.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi e moderni, Vecchi, Trani 1904, p. 356.

Opere drammatiche e oratorii

1. Giuseppe riconosciuto, oratorio di Pietro Metastasio, NA Conservatorio quaresima


1804 (partitura in I-Mc; aria in I-Nc).
2. Il disertore, farsa in un atto di Michelangelo Prunetti, Roma Valle primavera 1808
(partitura in I-Mc).
3. Il trionfo di Quinto Fabio, dramma per musica in due atti di Michelangelo Prunetti,
Parma Regio imperial teatro 4 febbraio 1809 (libretto in I-Fm, I-Nc, I-Vgc; partitura
in I-Mc).
4. Ciro riconosciuto, dramma per musica in tre atti di Pietro Metastasio, Firenze Cocomero
primavera 1810 (parti in I-Fc).
Lorenzo Mattei
126

GIUSEPPE FIORE
Corato (BA), 1877ca. - Milano, 30 aprile 1957

Si ignora la quasi totalità dei dati biografici di questo compositore e direttore


d’orchestra che ha maturato la sua formazione presso il conservatorio San Pietro
a Majella di Napoli. Patroni Griffi menziona un Giuseppe Fiore di Corato,
agrimensore di professione, che potrebbe essere il nonno del musicista. Dei due
melodrammi menzionati da Calbi e Sorrenti non è stato possibile recuperare altre
notizie.

Bibliografia

(IBI)

CALBI Otello, Musicisti contemporanei, Cembalo, Napoli 1957.


PATRONI GRIFFI Giuseppe, L’amministrazione municipale di Corato: note ed appunti del Cav.
Giuseppe Patroni Griffi, Giannini, Napoli 1876, p. 235.
RAGNO Tiziana, Il teatro nel racconto: la fabula scenica della matrona di Efeso, teatralità e fortuna
teatrale di una novella petroniana, con un’appendice sulla drammaturgia del sec. XX (1925-
1950), tesi dottorale Università degli Studi di Foggia, a.a. 2003-2004, rel. Giovanni Cipriani.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 104-105.

Opere drammatiche

1. La matrona di Efeso, melodramma, s.d., s.l.


2. Sabato, melodramma, s.d., s.l.

Vincenzo Germano
127

MATTEO LUIGI FISCHETTI


Martina Franca (TA), 28 febbraio 1830 - Napoli, gennaio 1888

Cronologia
Pianista e compositore, studiò nel Conservatorio «San Pietro a Majella» di Napoli.
Fu allievo di Michele Cerimele per il pianoforte e di Errico Petrella, Fortunato
Raejntroph, Giuseppe Lillo, Salvatore Pappalardo e Giovanni Moretti per armonia
e contrappunto. Si dedicò all’insegnamento, testimoniato dalle numerose riduzioni
pianistiche a due e quattro mani a scopi didattici di brani d’opera, dal metodo
pianistico Istituto musicale op. 123, e dal Manuale per l’insegnamento del canto
corale ad uso delle scuole, scritto con il collaboratore Giuseppe Capobianco. Compose
divertimenti brillanti, reminescenze e fantasie per pianoforte, su motivi operistici
tratti da un repertorio che spazia da Cimarosa a Offenbach. Tra di esse spicca il titolo
Due Fantasie in una, ovvero gran pezzo concertato per due pianoforti a quattro
mani ciascuno, eseguendosi contemporaneamente sopra un pianoforte Ernani,
sull’altro pianoforte I Lombardi. Fu pure autore di pezzi originali per pianoforte
solo, per voce e pianoforte, e di alcune composizioni sacre. La sua produzione per la
scena comprende quattro titoli, tra i quali una parodia di Aida.
Bibliografia e risorse on-line
(SCHMIDL, STIEGER)
AMBIVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998, p. 68.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, Morano, Napoli 1880-82,
IV (1882), p. 420.
FRASSONI Edilio, Due secoli di musica a Genova, Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Genova
1980, I, p. 407.
LEGGER Gianni, Drammaturgia Musicale Italiana, Fondazione Teatro Regio di Torino, Torino 2005,
p. 317.
MASUTTO Giovanni, I maestri di musica italiani del secolo XIX, Tipografia Cecchini, Venezia 18843,
p. 74.
SAPIENZA Annamaria, La parodia dell’opera lirica a Napoli nell’Ottocento, Lettere Italiane, Napoli
1998, p. 122.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003 («Historiae Musicae Cultores», 97), p. 198.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 105.
TOWERS John, Dictionary-Catalogue of Operas and Operettas, Acme publishing, Morgantown 1910,
p. 753.

Opere drammatiche

1. La sorrentina, melodramma n.n., NA Politeama 9 giugno 1873.


2. Aida di Scafati, Varietà comico musicale danzante in un prologo e tre atti Enrico
Campanelli, NA La Fenice 6 novembre 1873 (partitura in I-Nc) \ GE Margherita 1892.
3. Un’altra figlia di Madama Angot, operetta n.n., NA Mercadante 17 maggio 1874.
4. Il conte di Marana, operetta n.n., NA 1886 ma non rappresentata.
Paolo Vittorelli
128

ORAZIO FIUME
Monopoli (BA), 16 gennaio 1908 - Trieste, 21 dicembre 1976

Cronologia

1908-1915. Orazio Fiume, quinto di dieci figli, nasce il 16 gennaio 1908 da Donato
e Rosaria Contento. Il padre, industriale oleario, amministra con il cugino la R.O.M.
(Raffineria Olearia Meridionale), e spera che il figlio Orazio si avvii a collaborare
nell’azienda di famiglia. A diciotto mesi questi viene colpito dalla poliomielite e
subisce vari interventi chirurgici; ma la sua tempra forte e le cure amorevoli della
madre lo mettono in condizione di affrontare in modo ottimale la vita.
1916-1930. Il 30 giugno 1916 consegue la licenza elementare presso la Scuola
«A. Volta» di Monopoli. Inizia gli studi musicali con il maestro Orso e in seguito
con Maria Rota da Taranto. Conosce Luigi Russo, futuro senatore della Repubblica,
col quale instaura un’amicizia destinata a durare tutta la vita. Il 30 giugno 1924
consegue il Diploma di V ginnasio presso la Scuola «G. Galilei» di Monopoli e il 30
ottobre 1930 la Licenza di Pianoforte presso il Conservatorio «San Pietro a Majella»
di Napoli dove si trasferisce per intraprendere gli studi di composizione con il maestro
Mario Pilati.
1931-1934. Compone i seguenti brani: Dalla mia terra per canto e pianoforte op.
1, Melodia per pianoforte op. 2 (1931), Tre pezzi per pianoforte op. 3 (1932), Marcia
per banda op. 4, Minuetto per pianoforte op. 5, Io come te per canto e pianoforte
op. 6 (1934).
1935-1937. Si trasferisce a Palermo per seguire il maestro Mario Pilati presso
Conservatorio «Vincenzo Bellini». Frequenta il “Gruppo dei quattro”: Lia Pasqua-
lino Noto, Nino Franchina, Giovanni Barbera e Renato Guttuso con cui divide l’ap-
partamento e qui Fiume, coinvolto dal fascino di questo ambiente pregno di grande
vivacità culturale, si inserisce nel sodalizio d’arte per combattere il conformismo e
aprirsi al nuovo; compone Due pezzi per violino e pianoforte op. 7, Marcetta per
pianoforte op. 8. In virtù del suo lodevole profitto al Conservatorio, gli viene donata
una copia della partitura del Tristano e Isotta di Richard Wagner, premio istituito
dal maestro Benedetto Morasca. Nel 1936 compone Fantasia eroica per violoncel-
lo e orchestra op. 10, opera inclusa nel repertorio editoriale della Ricordi per lo
stile «sempre chiaro, netto, ben condotto senza incertezze e senza stranezze.» (cfr.
GIANNELLI 2005 p. 25). Nel 1937 compone Divertimento in cinque tempi per picco-
la orchestra op.11; Introduzione ad una tragicommedia per orchestra op. 12; Pic-
cola suite per pianoforte op. 13; Variations Sérieuses per orchestra op. 54. Vince il
secondo posto nei “Littoriali della Cultura e dell’Arte” di Napoli con la composi-
zione Fantasia eroica op. 10.
129

1938-1940. Il 12 ottobre 1938 consegue il Diploma di Magistero di Composizione


presso il «Regio Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini» di Palermo dove gli
viene attribuito il titolo di “Littore” con l’opera Divertimento in cinque tempi per
piccola orchestra op. 11. Quale vincitore dei Littoriali, “Olimpiadi della cultura”,
viene premiato durante la manifestazione presieduta da Mussolini a palazzo Venezia
in Roma con una ricompensa in denaro, il fregio “M” d’oro che rappresentava «il
più alto segno d’onore per la gioventù» dell’epoca e proposto per la giuria dei
concorsi per l’anno successivo. Compone: Due liriche: Gennaio e Canto d’amore
per soprano e piccola orchestra op. 15. Nel 1939 frequenta, presso la «Regia
Accademia Santa Cecilia» in Roma, i corsi superiori di alto perfezionamento con
Ildebrando Pizzetti, per la composizione, e Bernardino Molinari per la direzione
d’orchestra. Compone Canto funebre per la morte di un eroe per coro e orchestra
op. 16. Nel 1940 compone Ajace per coro e orchestra op. 17 e per il valore delle sue
composizioni e per le alte referenze segnalate dal maestro Ildebrando Pizzetti, riceve
il «Premio Montefiore» in ex-equo con il compositore Armando Renzi.
1941-1948. Il 21 maggio 1941 consegue il Diploma di perfezionamento nel corso
di composizione presso la «Regia Accademia di Santa Cecilia» in Roma. Viene
incaricato dal Ministro Bottai did insegnare Armonia e Contrappunto presso il «Regio
Conservatorio di Musica Arrigo Boito» di Parma. Il 29 maggio 1942 partecipa alla
Mostra dei compositori contemporanei di Francoforte per la “Settimana musicale
italiana”. Nel 1944 compone Due liriche: Ninna nanna e Nella città di Mantova
per voce e pianoforte op. 18; del 1947 è il Concerto per orchestra op. 19. Il 5
agosto 1948 a seguito del “Concorso nazionale” indetto dal Ministero alla Pubblica
Istruzione consegue borsa di studio per recarsi a Parigi per conoscere la musica
contemporanea. Nello stesso anno sposa Liana Camassa di Brindisi.
1949. Si trasferisce a Parigi e stringe rapporti di amicizia con André Jolivet, Serge
Nigg, Olivier Messiaen, Claude Delvincourt, Françoise Auber, Eric-Antoine Sarnette,
Tony Aubin, Serge Lifar, Arthur Honegger. Nasce il primogenito Donato.
1950-1955. Su chiamata del direttore Giorgio Federico Ghedini ricopre la catte-
dra di Armonia e Contrappunto al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano e
riceve attestazioni di servizio eccellente e degno di lode per la sua dedizione e
professionalità come docente. Inizia la stesura dell’opera Il tamburo di panno me-
lodramma in un atto op. 23. Nel 1952 nasce la secondogenita Simonetta; dal 1953
insegna Composizione presso del Conservatorio di Milano.
1956-1959. Nel 1956 viene segnalato al «Premio Marzotto» per la musica. Vince
il “Concorso per una sinfonia” indetto a Napoli per il centenario della nascita di
Giuseppe Martucci. Compone la Sinfonia in tre tempi op. 20 edita da Curci e già
intitolata Secondo Concerto per orchestra con edizioni Ricordi. Nel 1957 vince il
Concorso musicale internazionale “Reine Elisabeth de Belgique” con la Sinfonia
in tre tempi op. 20, composizione scelta all’unanimità fra quelle di 237 candidati
provenienti da 38 paesi e giudicata positivamente da Dmitrij Šostakovic perché
condotta in maniera magistrale. Compone Suite per orchestra op. 21. Il 4 gennaio
1958 riceve una medaglia d’oro per i riconoscimenti nazionali ed internazionali dal
maestro Nino Rota, dal dott. Cappellini, Prefetto di Bari e dal senatore Luigi Rus-
so, e l’onorificenza di “Cavaliere del lavoro” dal presidente della Repubblica Gio-
130

vanni Gronchi. Nell’ottobre 1959 vince il concorso indetto dal Ministero della P. I.
per la cattedra di Fuga e Composizione e dirige il «Conservatorio di Musica Gioac-
chino Rossini» di Pesaro creando occasioni di confronto e approfondimento tra
musicisti di provenienza e cultura differenti. Su invito del «Museum Gesellschaft»
di Francoforte scrive una Ouverture per orchestra che Fiume dedica all’amico Gu-
glielmo Pasqualino, marito della pittrice Lia Noto di Palermo. Compone Ouverture
per orchestra op. 22 e porta a compimento la stesura del melodramma Il tamburo di
panno op. 23 con dedica al senatore Luigi Russo.
1960-1976. Il 1 ottobre 1960 vince il concorso per direttore di Conservatorio e si
insedia nel «Giuseppe Tartini» di Trieste. Qui sviluppa le scuole di archi, fiati,
quelle di percussione, clavicembalo e chitarra. Rinnova i repertori e alimenta interessi
per la musica antica e contemporanea. Promuove il restauro di Palazzo Rittmeyer,
sede del Conservatorio, e l’organizzazione del patrimonio librario, della sala museale
intitolata a Giuseppe Tartini e della scuola media ad indirizzo musicale. Il 2 giugno
1961 su proposta di Amintore Fanfani, presidente del Consiglio dei Ministri, riceve
l’onorificenza di ufficiale “al merito della Repubblica italiana”. Nel 1965 Compone
Sinfonia per archi e timpani, op. 24. Il 14 settembre 1969 nominato accademico di
Santa Cecilia in Roma. Il 1 ottobre 1971 passa alla direzione del Conservatorio di
Milano ma dopo un mese rientra a Trieste. Viene nominato, per i risultati conseguiti,
membro dell’«Accademia Tiberina» in Roma. Compone In una notte di bufera
balletto corale, op. 25. Il 21 dicembre 1976 muore a Trieste. Le sue spoglie mortali
riposano a Monopoli.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

«Iniziando lo studio della composizione avevo pensato di dedicare ogni mia futura
attività al teatro lirico: compositore, allora, per me era sinonimo di operista. Una
volta acquistate conoscenza ed esperienza della tecnica compositiva, mi trovai,
invece, intento ad una produzione prevalentemente sinfonica. Ma tale contraddizione
pratica non venne mai, da me, accettata come un dato di fatto inappellabile. Anzi,
proprio quando le accoglienze tributate ai miei lavori sinfonici, sia in Italia sia
all’estero, avrebbero dovuto motivare una legittima soddisfazione, provai ancora
più vivo rammarico di essere venuto meno ad un impegno assunto verso me stesso.»
Così dichiarava Fiume parlando del suo interesse per il melodramma (cfr. FIUME
1962). Il tamburo di panno, atto unico, iniziato nell’anno 1952 e terminato nel
1959 è dedicato a Luigi Russo, «in segno di fraterna e affettuosa amicizia, con
animo grato». Insieme al balletto-corale In una notte di bufera, Il tamburo di panno
si pone a coronamento della sua carriera. Nelle composizioni sceniche rispetto a
quelle strumentali «lo stimolo esterno dei testi letterari esalta la fantasia del
compositore spingendolo a raggiungere soluzioni timbriche ed estetiche personali»
(cfr. GIANNELLI 2005). Entrambe le opere sceniche non sono state più rappresentate
dopo la morte del compositore. L’idea della stesura de Il tamburo di panno viene
suggerita a Fiume dal compositore Carlo Pinelli che teneva sulla rivista «La scala»
una rubrica in cui segnalava una pièce o una novella riducibili in un libretto d’opera.
Il testo, liberamente adattato da Fiume, è tratto da un nô giapponese del secolo XIV
di autore anonimo ma impropriamente attribuito all’imperatore Go-Hanazono. I
131

personaggi dell’opera sono il vegliante, realizzato dalla voce di basso; il giardiniere-


spirito e il cortigiano, realizzati dalla voce di tenore; la principessa, realizzata dalla
voce di soprano, il coro costituito da damigelle, guerrieri, cortigiani e fanciulli.
L’«espressione [...] simbolica del teatro giapponese [...] il clima favolistico e
orientaleggiante spinse l’autore a esplorare le ricercatezze di atmosfera, velate e
sospese, senza impiego di materiali musicali esotici conosciuti, affidandosi invece
a una timbrica strumentale raffinata e trasparente tranne che nei momenti di maggiore
coinvolgimento e di essenzialità musicale e drammatica» (cfr. GIANNELLI 2005).
L’opera narra di una perfida principessa che si prende gioco di un vecchio giardiniere
innamorato, il quale, dopo il tentativo invano di richiamare l’attenzione di lei
mediante il suono di un tamburo, ricoperto da un panno, si toglie la vita. Anche la
principessa presa dai rimorsi poi muore. La vicenda de Il tamburo di panno
immancabilmente riporta alla storia di un’altra principessa, la Turandot di Giacomo
Puccini che presenta qualche assonanza dal punto di vista musicale. Tuttavia
l’atmosfera essenziale della prima differisce da quella epica della seconda. Il
linguaggio utilizza un’armonia liberamente atonale; la vocalità è trattata in maniera
articolata e spazia dal declamato al canto lirico. Il coro, elemento fondamentale del
nô giapponese non compare mai sulla scena ma è posizionato ai lati dell’orchestra
ed è diviso in due semicori. Il suo impiego parte dalla declamazione all’unisono, in
un parlato ritmato da sprechchor intrecciando dialoghi antifonici per poi giungere
a blocchi armonici a due voci e ai fugati con imitazioni a tre e quattro voci. Mediante
questo utilizzo del coro Fiume rafforza la tragicità dell’azione e si «avvicina più di
quanto si possa pensare ai modelli risalenti all’Oedipus stravinskijano [e a quelli]
del maestro Pizzetti» (cfr. MOLITERNI 2003). È interessante notare, sempre in
riferimento all’utilizzo del coro, come Fiume riprenda la scrittura utilizzata nel
Canto funebre per la morte di un eroe, del 1939, con l’intonazione delle sole
vocali per alcuni passaggi drammatici quali la morte del giardiniere prima e della
principessa dopo. L’opera si caratterizza per il fluire musicale che non si arresta mai
ad eccezione di alcuni passi che riportano alla tradizione operistica tardo ottocentesca
(come si evidenzia dopo il prologo e nell’intermezzo strumentale per la danza delle
damigelle).
«I motivi dell’opera si fondano su nuclei di quattro o cinque suoni cromatica-
mente vicini che vengono trattati con libertà. [Sono] frammenti melodici ricoprenti
un segmento della scala cromatica, senza esaurirla né raggiungere la fisionomia di
una qualsiasi serie dodecafonica. Non sono escluse dalla scrittura orchestrale […]
inversioni e trasposizioni di motivi. […] Sebbene più elaborato rispetto ai “nô”
tradizionali, il dramma […] è quasi filologico e allusivo. La metafora di questa
favola è nell’impossibilità di suonare un tamburo muto che simboleggia l’incon-
ciliabilità eterna tra sogno e realtà, come lo stesso autore lo definisce. […] In
questo melodramma, tra i più espressivi prodotti dell’epoca, il linguaggio musicale
di Fiume, aperto alle esperienze europee contemporanee, ma senza punte polemiche
d’avanguardia, offre un mirabile esempio di coerenza stilistica in perfetta aderenza
ai vari momenti della vicenda, rivissuti con partecipazione. Pur non avendo deci-
samente rotto con il passato egli aveva accettato alcune fondamentali tesi del
linguaggio atonale sfruttandone le risorse con gusto e sapienza.» (cfr. GIANNELLI
2005). La prima si tenne al Teatro dell’Opera di Roma riscuotendo notevole suc-
cesso di critica e di pubblico e successivamente nei più importanti teatri d’Italia.
132

Guido Pannain scrive su «Il Tempo» di Roma: «Una partitura che non fa una grinza,
una sicurezza pittorica infallibile, una elaborazione armonica e di svolgimento che
non cade mai in fallo» (cfr. PANNAIN 1962). Ferdinando Lunghi su «Il giornale
d’Italia» scrive: «Un atto vivo nella forma e nel contenuto: nasce da una condizione
fantastica e poetica insieme che senza dubbio appartiene all’arte» (cfr. LUNGHI
1962). Sol [Danilo Soli] nel «Messaggero Veneto»: «Un grosso impegno quello
affrontato dal maestro Fiume e risolto magistralmente. Si tratta di un compositore
di scuola rigorosa e severa, fedele agli ideali contrappuntistici e agli scarni mezzi
espressivi di un Hindemith e di un Ghedini, [che] ha creato uno spartito di profonda
bellezza» (cfr. SOLI 1963). Mario Messinis su «Il gazzettino» dichiara: «Ci troviamo
dunque di fronte ad una partitura che accanto alle consuete sovrapposizioni tonali
talvolta non cela una propensione verso certi modi espressionistici, specialmente del
Wozzeck berghiano» (cfr. MESSINIS 1966).
Orazio Fiume si avvicina alla poesia di Rainer Maria Rilke attraverso la segna-
lazione di Paolo Mirko Bononi e subito ne rimane affascinato. nel 1968 inizia la
stesura di quello che diverrà un balletto-corale nel 1972. Rappresentata in prima
assoluta al Teatro dell’Opera di Roma il 12 giugno del 1973, tutta la critica si
interessa all’opera «mettendo in evidenza le implicazioni mitteleuropee palesemen-
te presenti e dovute alla lunga permanenza dell’autore nell’ambiente triestino» (cfr.
GIANNELLI 2005). L’opera toccante e di presa immediata raggiunge grande successo,
come testimoniato dalle tante recensioni: Silvana Gaudio su «Il piccolo» di Trieste
scrive: «La carica emotiva traspare evidente […] accorata e angosciosa, illuminata
da una spiritualità filtrata, dalla quale appare affiora la “lezione”, se così si può
chiamare, di Ildebrando Pizzetti, che è stato maestro di Orazio Fiume» (cfr. GAUDIO
1973); Rosita Fragola sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» di Bari scrive: «Più che di
un vero balletto si tratta di un’azione mimata che tende ad esprimere plasticamente
le mille notti di bufera che travagliano l’esistenza umana in genere, la vita di un
artista qui celato nel personaggio del poeta in particolare» (cfr. FRAGOLA 1973); Gino
Tani su «Il messaggero» di Roma evidenzia che il lavoro di Fiume «ha voluto e saputo
anzitutto dimostrare come, nell’epoca del turpe, osceno e prosaico rumore, è ancora
possibile far musica» (cfr. TANI 1973). Questo lavoro di In una notte di bufera si può
considerare l’unica composizione di Fiume di ascendenza espressionista poiché ri-
chiama sia il genere del piccolo teatro musicale sia l’atmosfera stravolta da incubo,
come quella del Pierrot lunaire di Schoenberg. Il materiale musicale si caratterizza
per il libero tonalismo realizzato mediante rapide pennellate espressive che si ade-
guano all’esoterismo visionario di Rilke. Il testo si compone di un frontespizio segui-
to da sette pagine ciascuna delle quali evoca uno stato d’animo. Tutti i versi sono
declamati da una voce recitante, mentre il coro, che non pratica narrazione, si limita
a vocalizzare a bocca chiusa o ad intonare su una sola vocale. L’organico orchestrale
si compone di un gruppo di sette fiati un pianoforte e nove percussioni fra le quali c’è
un metronomo amplificato, solo in un secondo momento compaiono gli archi.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, NG2001)

BRUNELLI Maria, Orazio Fiume, in «La zattera», a. II, fasc. 1, marzo 1958, pp. 14-16.
133

CARBONARA Stefano, Personaggi illustri. Musica classica, in Monopoli, ti ricordi. Immagini e storia
del novecento. Album della città, Art stampa, Monopoli 2010, pp. 165 e 265.
CHIECO Franco, Il “Tamburo di panno” vendica la morte del vecchio giardiniere innamorato. Felice
debutto a Roma dell’opera di Orazio Fiume, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 20 aprile
1962.
–, Con Paisiello e Fiume brillante “prima” al S. Carlo. Ieri a Napoli spettacolo lirico di classe, in
«La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 1 maggio 1967.
–, Scopriamo la Puglia, a cura di Vito Maurogiovanni, Adda, Bari 1976, pp. 69-73.
–, Il diabolico contrabbasso di Bottesini. Controcorrente al momento giusto, in Contrappunti. Diario
musicale pugliese, Adriatica presso tipografia Mare, Bari 1971, pp. 158-159 e 192-193.
CORDARO Bianca, “Il tamburo di panno” per la prima volta a Palermo. Va in scena domani sera al
teatro Massimo l’attesa opera di Orazio Fiume, in «Telestar», Palermo, 6 maggio 1968.
–, Dimensione fiabesca del “Tamburo di panno”. Successo a Palermo dell’opera di Orazio Fiume,
in « La Sicilia », Palermo, 8 maggio 1968.
DESIO Franco, “Il tamburo di panno” al Massimo di Palermo. Successo dell’opera di Orazio Fiume,
in « Il piccolo», Palermo, 8 maggio 1968.
FIUME Orazio, Carica poetica di un testo giapponese - Il tamburo di panno, in Stagione lirica 1961-
62, Teatro dell’Opera di Roma, 19 aprile 1962.
FRAGOLA Rosita, Successo per Fiume. Due “prime” all’Opera, in «Telesera», Roma, 20-21 aprile 1962.
–, Con i balletti di Fiume e Guaccero conclusa la stagione dell’“Opera”. Successo di due “Novità
assolute” di autori pugliesi, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 13 giugno 1973.
GAUDIO Silvana, Applaudito il balletto di Orazio Fiume a Roma. “In una notte di bufera” al teatro
dell’Opera, in «Il piccolo», Roma, 13 giugno 1973.
GHERBITZ Claudio, Festeggiato al “Tartini” il direttore Fiume. Decisivo impulso al Conservatorio,
in «Il Piccolo sera», Trieste, 6 serrembre 1965.
–, “Il Tamburo di panno” alla Fenice di Venezia. Nuova affermazione di Orazio Fiume, in «Il piccolo»,
Trieste, 19 gennaio 1966.
–, Nel segno di Pizzetti inaugurazione al “Tartini”. Per l’anno scolastico 1968-69, in «Il piccolo»,
Trieste, 10 dicembre 1968.
GIANNELLI Annamaria, Orazio Fiume Musicista del Novecento, Papageno, Bari 2005.
LEVI Vito, Orazio Fiume, in La vita musicale a Trieste. Cronache di un cinquantennio 1918-1968,
Editrice All’insegna del pesce d’oro, Milano 1968, pp. 161-164.
–, Vincenzo Cardarelli e Orazio Fiume. Stralcio di un incontro tra musica e poesia, in «Alba Pratalia»,
a. I, 2002, pp. 26-29.
–, Paparatti Sandro, Quando la poesia aiuta il balletto. Rilke sprona le musiche di Fiume e le scene
di Ludovisi, in «Il dramma», a. 51, n. 2, 1975, pp. 59-62.
LUNGHI Ferdinando, Il Maestro Orazio Fiume ha vinto il premio “Regina del Belgio”. Illustre
musicista insegnò per dieci anni armonia presso il nostro Conservatorio, in « Gazzetta di Parma»,
Parma, 7 novembre1957.
MAFFEI Maria Irene, La presenza di Orazio Fiume a Trieste, in Lungo il novecento. La musica a
Trieste e le interconnessioni tra le arti. Festschrift in onore del centenario della Fondazione del
Conservatorio Giuseppe Tartini di Trieste 1903-2003, a cura di Maria Girardi, Marsilio, Venezia
2003, pp. 325-327.
MAGNOLATO Vasco, Premio Marzotto per la musica, in I premi Marzotto 1951-1968, Mondadori,
Milano 1986, pp. 146-148.
MESSINIS Mario, Suggestivo spettacolo alla Fenice. La stagione lirica invernale. Una novità per
Venezia, la favola orientale “Il Tamburo di panno” di Orazio Fiume, in « Il gazzettino », Venezia,
19 gennaio 1966.
MORGANTE Domenico, Orazio Fiume: considerazioni in margine al suo linguaggio, in «Monopoli
nel suo passato», 2, 1958, pp. 261-274.
–, L’ultimo addio a Orazio Fiume. Il compositore noto in tutto il mondo. I funerali a monopoli, in
«Avvenire», Roma, 30 dicembre 1976.
Orazio Fiume 1908-1976, a cura di Maria Irene Maffei, Levante, Bari 2003. Contiene: Moliterni
Pierfranco, Oltre la generazione dell’Ottanta. Una favola per il Nô tra epos e modernismo, Galliano
Luciana, Amori e tradimenti: “Il tamburo di panno” e l’originale “Aya no tsuzumi”, Ciliberti
Galliano, Per una lettura delle opere sinfoniche di Orazio Fiume, Girardi Maria, Gli anni triestini
di Orazio Fiume, Sità Maria Grazia, Orazio Fiume al Conservatorio di Milano, Salvetti Guido, A
134

margine della vicenda di Milano, Maffei Maria Irene, Lettere di Orazio Fiume conservate nella
biblioteca del Conservatorio di Musica di Monopoli, Bettinelli Bruno, Ricordo di Orazio Fiume,
Radole Giuseppe, Ricordando il M° Orazio Fiume, Pilati Esposito Laura, Ritratto di Mario Pilati.
PANNAIN Guido, “Tamburo di panno” di Orazio Fiume. Fiaba nipponica, in «Il tempo», Roma, 20
aprile 1962.
PASQUALINO NOTO Lia, Una testimonianza autobiografica, in Il gruppo dei quattro, Una situazione
dell’arte italiana, a cura di Sergio Troisi, Arti grafiche Reiner, Palermo 1999, pp. 41-46.
RADOLE Giuseppe, Orazio Fiume e il Premio “Trieste”, in Le scuole musicali a Trieste e il
Conservatorio “Giuseppe Tartini”, Italo Svevo, Trieste 1992, pp. 130-135.
ROSSINI Elsa, Il calore della “sua” Puglia nella musica di Orazio Fiume. La sua “Sinfonia per archi
e timpani” dopo aver fatto il giro del mondo verrà eseguita stasera al Petruzzelli dall’orchestra
di Bari, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 23 marzo 1970.
SBISÀ Nicola, Orazio Fiume “artista ed uomo onesto in tutto”. Il musicista monopolitano ricordato
dall’orchestra di Bari diretta da Bruno Campanella; la commemorazione fatta da Mario Rinaldi,
in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 22 aprile 1977.
SBISÀ Ugo, Orazio Fiume gloria di Monopoli. Stasera un concerto in memoria del compositore, in
«La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 16 gennaio 1997.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 105-106.
ZAFRED Mario, Novità al teatro dell’Opera. “Il tamburo di panno” di Orazio Fiume, in «La giustizia»,
20 aprile 1962.

Saggi e articoli in volumi miscellanei

Il fondo Orazio Fiume si trova presso la Biblioteca del Conservatorio «Nino Rota», di
Monopoli dove è possibile visionare lettere, spartiti, partiture e recensioni.. Altre notizie e
documenti sono custoditi presso la Biblioteca «Prospero Rendella», di Monopoli.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/n. di catalogo


Orazio Fiume. DVD prodotto
Il respiro dell’anima dal «Conservatorio Nino
Rota» di Monopoli
Il tamburo di panno F. Scaglia Curci VE00002397 VE 108
Nastro

Si segnala l’esistenza di un racconto radiofonico sulla vita e le opere di Orazio Fiume, dal
titolo Ritratto di un compositore ideato da Federica Barbo e realizzato dalla sede regionale
RAI per il Friuli Venezia Giulia Radio con le voci recitanti di Omero Antonutti, Marco Casazza
e Mariella Terragni. Consulente musicale: Dario Caroli. Consulente Tecnico: Federico Comar.
Regia: Angela Rojaz. Il lavoro si compone di n. 5 puntate: 1) L’infanzia in Puglia; il primo
apprendistato musicale 1908-1930; 2) Gli studi. Napoli, Palermo, Roma 1930-1940; 3) Gli
anni della guerra tra Parma e Roma. Il primo dopoguerra, 1939-1949; 4)Il periodo Milanese
1951-1959; 5) Gli anni Triestini di Orazio Fiume 1960-1976.
Si offre qui un elenco delle registrazioni radiofoniche effettuate presso sedi RAI riguardanti
le composizioni di Orazio Fiume: Fantasia eroica per violoncello e orchestra, edizione Ricordi,
esecutore al vlc Egaddi Umberto, direttore Umberto Cattini, Orchestra Sinfonica della RAI di
Torino. Riversamento effettuato il 27 gennaio 1983 da TO/15/68284, Nastro RC 00003255
DR/32/83 MONO Nastroteca esercizio. Concerto per orchestra edizione Ricordi direttore
135

Pietro Argento Orchestra Sinfonica della RAI di Milano. Copia stereo a Torino MI/15/S/
53961. Nastro NA 00031844 NAB92 Stereo Torino Nastroteca esercizio. Concerto per
orchestra edizione Ricordi, direttore Fulvio Vernizzi, Orchestra Sinfonica della RAI di Torino,
riversamento effettuato il 25 giugno 1969 da TO/15/76182 di RC. Nastro RC 00002036
DR02855 Stereo Torino Nastroteca esercizio. Sinfonia per archi e timpani edizione Curci,
direttore Elio Boncompagni, Orchestra Sinfonica della RAI di Napoli. Copia stereo a Torino
NA/15/S/31832. Nastro RC 00001022 ORDRC38 Mono Nastroteca esercizio. Sinfonia per
archi e timpani edizione Curci, direttore Ferruccio Scaglia Orchestra Sinfonica della RAI di
Torino, Copia stereo a Torino TO/15/S/142016. Nastro TO00180292 TO7761 Stereo Torino
Nastroteca esercizio. Sinfonia in tre tempi edizione Curci, direttore Ferruccio Scaglia,
Orchestra Sinfonica della RAI di Torino. Riversamento effettuato il 27 settembre 1977 da
TO/15/102434. Nastro RO 00074599 RO 99455 Mono Nastroteca esercizio. Canto funebre
per la morte di un eroe, manoscritto, per coro e orchestra, Direttore Ferruccio Scaglia, Direttore
di coro Nino Antonellini, Orchestra e Coro della Rai di Roma. Sistemazione effettuata il 27
ottobre 1958 con ORD 100189. Nastro RO00115416 ROA31249 Mono Nastroteca esercizio.
Ouverture per orchestra edizione Curci, direttore Franco Mannino, Orchestra Sinfonica della
RAI di Roma. Sistemazione effettuata l’1 luglio 1977. Nastro TO00119664 TO33582 Stereo
Torino Nastroteca esercizio. Ouverture per orchestra edizione Curci, direttore Bruno Bogo,
orchestra Tatro La Fenice di Venezia. Ajace cantata per coro e orchestra edizione Ricordi
Direttore Eliauh Inbal Maestro di coro Ruggero Maghini Orchestra e coro della RAI di Torino.
Copia stereo a Torino TO/15/S/119667. Nastro 00142014 TOB2316 Stereo Torino Nastroteca
esercizio. Il tamburo di panno, edizione Curci, direttore Ferruccio Scaglia, direttore coro
Fulvio Angius, Orchestra e coro della RAI di Torino; personaggi e interpreti: il vegliante
Renzo Gonzales (bs), il giardiniere-spirito-cortigiano Antonio Liviero (ten), la principessa
Michie Akisada (sopr). Copia stereo a Torino TO/15/S 180294 95 Nastro TS00008788 TS5356
Mono nastroteca esercizio.

Opere drammatiche e oratorii

1. Il tamburo di panno melodramma in un atto su libretto proprio, Roma Teatro dell’Opera


19 aprile1962 (partitura in I-MONcom) \ TS Verdi 16 marzo 1963; CA Massimo 29
marzo 1966; BO Comunale 15 dicembre 1966; NA S. Carlo 30 aprile 1967; PA Massimo
7 maggio 1968; GE Margherita 5 maggio 1969; CT Bellini 20 marzo 1971; VE Fenice 18
gennaio 1996.
2. In una notte di bufera balletto-corale da Rainer Maria Rilke, Roma Teatro dell’Opera 12
giguno 1973 (partitura in I-MONcom).
3. Ajace oratorio di Vincenzo Cardarelli, TO RAI aprile 1948 (prima esecuzione radiofonica)
Roma Argentina 19 ottobre 1953 (prima teatrale)\ BA Petruzzelli 26 gennaio 1957; MI
Scala 19 ottobre 1963.
Annamaria Giannelli
136

NICOLA FORNASINI
Bari, 17 agosto 1803 - Napoli, 24 giugno 1861

Cronologia

1803. Nicola Fornasini nacque a Bari il 17 agosto dai bresciani Angelo Fornasini
e Maddalena Di Pietro Columbo. In questa città intraprese i primi studi musicali
di tromba col padre, che di quello strumento era docente. Dopo il trasferimento
a Napoli con la famiglia, per l’interessamento della contessa Viti d’Altamura, entrò
come allievo esterno nel Regio collegio di musica S. Sebastiano.
1815-1826. Dopo aver superato gli esami per l’ammissione gratuita nel 1815,
entrò come allievo interno al S. Sebastiano (allora sotto la direzione di Nicola
Zingarelli) e iniziò a seguire le lezioni di Giovanni Furno per il “partimento”
(esercizio su basso figurato), Francesco Ruggi e Domenico Tritto per il contrappunto
e la composizione, Luigi Mosca per il canto; suoi compagni di corso furono
Mercadante, Conti, Bellini e i fratelli Ricci.
1821. Fornasini assistette all’arrivo delle truppe austriache a Napoli, e in particolare
ebbe l’occasione di ascoltare la banda (i cui musicisti erano ospitati proprio nei
locali del conservatorio di S. Sebastiano) del reggimento Kaiser Alexander diretta
dal maestro Leonhardt, col quale strinse un’amicizia fruttuosa che lo iniziò al
genere bandistico.
1822. L’esordio operistico avvenne con Il Marmo, melodramma scritto nello stile
rossiniano, allestito nel teatrino del conservatorio, primo di una serie di buoni
successi che Fornasini riscosse in campo melodrammatico e bandistico.
1826. In quest’anno venne nominato capomusica del I reggimento Svizzero; in
un secondo momento passerà, con uguale ruolo, nel II reggimento granatieri della
guardia reale.
1846-1861. Nel 1846 compose le musiche per il Torneo di Caserta, carosello
cavalleresco messo in opera dal re e dalla sua corte e, prima di morire, ricoprì
varie importanti cariche musicali nel Regno Borbonico. Sempre in quest’anno fu
eletto con regio decreto «direttore di tutte le bande e fanfare militari dell’armata
del regno» e svolse anche il compito di ispettore delle classi di strumenti a fiato
del conservatorio e di direttore della musica di scena al teatro di San Carlo. Morì
a Napoli il 24 giugno 1861.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, SCHMIDL, STIEGER)

AMBÌVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Roma, Gremese 1998.


137

ANESA Marino, Dizionario della musica italiana per banda e gruppi di fiati: biografie dei compositori
e catalogo delle opere dal 1800 ad oggi, Associazione bergamasca Bande musicali, Bergamo
2004, p. 187.
BELLUCCI Michele Attilio, I musicisti baresi, in «Rassegna pugliese di Scienze, lettere ed arti», n. 13,
1885, p. 199.
BROWN James Duff, Biographical Dictionary of Musicians. With a Bibliography of English Writings
on Music, G. Olms, Hildesheim 1970.
DASSORI Carlo, Opere e operisti: dizionario lirico, Tip. editrice R.I. Sordomuti, Genova 1903.
DE FILIPPIS Felice - ARNESE Raffaele, Cronache del Teatro di S. Carlo: 1737-1960, Berisio, Napoli
19682, I, p. 166.
FAENZA Vito, I maestri di musica della provincia di Bari, in «Barinon», numero unico, Bari 1881.
FÉTIS François Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique,
Firmin-Didot, Parigi 1873-1880.
FRANK Paul, Kurzgefasstes Tonkunstler-Lexikon: fur Musiker und Freunde der Musik, Bosse,
Regensburg 1936.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e suoi conservatori, Morano, Napoli 1881-1883,
III, p. 503; IV, pp. 176, 178, 308, 522.
GIOVINE Alfredo, Musicisti e cantanti lirici baresi, Biblioteca delle Tradizioni Popolari Baresi, Bari
1968.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1954.
MASUTTO Giovanni, Maestri di musica italiani del nostro secolo: ricordi e cenni biografici, Tip.
Fontana, Venezia 1880.
–, I maestri di musica italiani del secolo 19: notizie, Gio. Cecchini, Venezia 1882.
PETRONI Giulio, Della storia di Bari: 1860-1895, Tip. Unione, Bari 1912, p. 400.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 106-107.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904,
p. 368.

Risorse on-line

Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) offre la possibilità effettuare download


gratuiti di quanto conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Napoli «S. Pietro
a Majella».

Opere drammatiche e oratorii

1. Il Marmo, operetta n.n., NA S. Sebastiano 1822.


2. Le cantatrici villane o L’impresa di Montefocca, opera buffa in due atti n.n., CE 1827.
3. Amalia di Réaumur, melodramma in tre atti di Andrea Leone Tottola, NA Nuovo
carnevale 1828.
4. Oh, quante imposture!, opera buffa in due atti n.n. il I atto, Dionisio Gagliardi il II
atto, NA Nuovo autunno 1829 (I-Nc*).
5. Un matrimonio per medicina, operetta in due atti di Ferdinando Livini, NA Nuovo
autunno 1829 (partitura in I-Nc*).
6. L’Avvocato in angustie, farsa in due atti n.n., NA Nuovo 1831 (partitura in I-Nc*).
7. La Vedova scaltra, operetta in due atti di Luigi Ricciutti, NA Nuovo settembre1831
(partitura in I-Nc*).
8. Roberto di Costanzo o I Seripandi e Costanzi, melodramma in tre atti di V. N., NA
S. Carlo 30 maggio 1838 (partitura in I-Nc).
9. Il contestabile di Chester o I fidanzati, melodramma di Domenico Gilardoni, NA S.
Carlo 1842.
Nicola Usula
138

RAFFAELE GERVASIO
Bari, 26 luglio 1910 - Roma, 4 luglio 1994

Cronologia

1910-1936. Raffaele Gervasio nasce a Bari il 26 luglio 1910, primo di tre fratelli
(Elena e Giuseppe) da Michele e Rosa De Leonardis. Il padre era un famoso
archeologo, celebrato per le importanti scoperte effettuate nei luoghi della battaglia
di Canne, nonché professore di Storia antica, archeologia e paleontologia alla
facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di Bari; la madre avviò il piccolo
Raffaele precocemente alla musica. Nel 1923 Gervasio si iscrive al Liceo musicale
«Niccolò Piccinni» di Bari dove studia pianoforte con Italo Delle Cese, armonia
con Don Cesare Franco e violino con Gioconda De Vito. Nel 1927, su invito di
Amilcare Zanella, si trasferisce presso il Conservatorio «Gioachino Rossini» di
Pesaro dove prosegue gli studi di composizione con lo stesso Zanella e di violino
con Chiti. Dopo il diploma di violino conseguito nel 1929, Gervasio continua gli
studi di composizione con Zanella fino al 1931 per poi trasferirsi presso il
Conservatorio «Luigi Cherubini» di Firenze nella classe di Vito Frazzi dove
consegue il diploma di composizione nel 1933 con medaglia d’oro. Frequenta poi
a Roma il corso di perfezionamento tenuto da Ottorino Respighi presso l’Accademia
di Santa Cecilia, vincendo nel 1935 il Premio Ministeriale come miglior allievo
del corso. Sempre a Santa Cecilia Gervasio segue anche, nello stesso periodo, il
Corso di avviamento alla Musica per riproduzione (cinematografia, grammofonia,
radiofonia), tenuto dall’Ingegner Ernesto Cauda.
1938-1960. Dopo aver scritto alcuni lavori sinfonici e cameristici, Gervasio si
dedica prevalentemente alla cosiddetta “arte applicata” cercando un più immediato
e diretto rapporto con il pubblico attraverso la radio, il teatro, il cinema e poi, la
televisione. Dal 1940 al 1960 è compositore e consulente generale dell’Ufficio
Musica della INCOM-Industrie cortometraggi. In questo periodo Gervasio cura il
commento musicale, con musiche originali e di repertorio, di migliaia di cortometraggi,
trovando un campo particolarmente fecondo di esperienze musicali e di ricerche
tecnico-stilistiche. Non vi è genere nel quale Gervasio, nel periodo che va dalla fine
degli anni ’30 al 1960, non si sia cimentato: dalle musiche di scena per spettacoli
di prosa (Francesca da Rimini, Faust, Il mercante di Venezia), alla Terze Pagine
Radiofoniche, tra cui spicca la Ballata italiana (1951) su testi di Edoardo Antòn,
alle Sigle per produzioni cinematografiche, radiofoniche e televisive (il cinegiornale
Settimana Incom, Voci dal Mondo, la sigla del GR2, la famosissima sigla televisiva
Carosello), alle colonne sonore cinematografiche (I Pirati della Malesia, Luna di
miele, Quartetto pazzo, La roccia incantata, L’incantevole nemica, Il capitano
nero, Carosello napoletano, Piccola posta), allo spettacolo Philips di suoni e luci
Romani de Roma per la regia di Ettore Giannini (1958), al balletto (Viaggio di nozze
scritto nel 1959 per la Compagnia del Balletto Italiano diretta da Ugo Dell’Ara).
139

1943. Sposa Raffaella Botta da cui nascono i figli Michele e Rosa Maria.
1950-1954. Particolare rilievo assume, in questa produzione professionale di
Gervasio, il Carosello napoletano, grande spettacolo teatrale prodotto dalla Errepì
nel 1950 per la regia di Ettore Giannini e rappresentato in tutto il mondo, per il
quale venne attribuita a Gervasio la Maschera d’argento per la musica. A seguito
dello straordinario successo, Carosello napoletano viene trasportato sugli schermi
dalla Lux Film, ottenendo successo e riconoscimenti tra cui il Premio Internazionale
al Festival di Cannes. La partitura della colonna sonora è di circa 1.500 pagine,
di cui due terzi sono elaborazioni e parafrasi ed un terzo composizioni originali.
1961-1970. A partire dal 1961 Gervasio si dedica quasi esclusivamente alla
musica “pura”. È del 1961 il Concerto spirituale per coro, viola, organo ed arpe,
scritto in memoria del padre. Seguono alcuni lavori seriali, due dei quali vincono
premi internazionali. Il Preludio e Allegro concertante op. 66 per archi, pianoforte
e percussioni vince nel 1967 il premio «Ferdinando Ballo»; il Concerto per violino
e orchestra op. 70 vince nel 1968 il premio «Umberto Giordano». Di questo periodo
seriale sono anche la Composizione in la op. 75 per violino e pianoforte (1968),
poi trascritta per violino e archi, e Logos op. 77 per orchestra (1969). Con la fine
degli anni ’60 la serialità, più o meno programmatica, non è più rintracciabile nella
musica di Gervasio, mentre viene potenziata la sua attitudine a cercare nuove
interdipendenze verticali o orizzontali tra i suoni, in uno stile che nel tempo si
chiarificherà sempre più, in una sorta di “nuovo tonalismo”.
1967-1980. Su insistente richiesta dell’amico Nino Rota, Gervasio assume nel
1967 la Cattedra di Composizione nel Conservatorio «Niccolò Piccinni» di Bari
e nel 1969 passa alla Direzione del neo Conservatorio «Egidio Romualdo Duni»
di Matera dove per sette anni si dedica con impegno e passione ad iniziative
didattiche che hanno, per il loro livello, una risonanza nazionale. Sono di questo
periodo una serie di lavori espressamente scritti per i giovani allievi del Conservatorio
di Matera. Tornato alla Cattedra barese di Composizione nel 1977, la lascia
definitivamente nel 1980. Nel 1978 viene eletto Accademico di Santa Cecilia.
1981-1994. Dell’ultima produzione di Gervasio si segnalano per particolare
successo di pubblico la Fantasia per pianoforte (richiesta e poi presentata dal
celebre Rudolf Firkusny), le Invenzioni di Aprile per flauto, viola e chitarra, i Moti
lucenti per ottoni e percussioni, Il filo rosso per quintetto di fiati, i Movimenti
perpetui per orchestra, il Concerto da camera per undici strumenti, il Doppio
Concerto per violino, chitarra e orchestra d’archi, la Composizione orchestrale
scritta tra il 1986 ed il 1987 su commissione dell’Accademia di Santa Cecilia di
Roma, Matera Interviene per voce recitante, coro ed orchestra, Un’Orchestra e
tre Recitanti per Giulietta e Romeo per tre voci recitanti e orchestra, il Triplo
Concerto “degli oleandri” per flauto, viola, chitarra ed orchestra d’archi e
percussioni. Muore a Roma il 3 Luglio 1994.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Carosello napoletano non è solo l’opera più nota (insieme alla sigla del program-
ma-contenitore pubblicitario televisivo Carosello) di Gervasio, ma rappresenta
140

anche una sintesi delle sue qualità di “compositore-artigiano” e un unicum nel


panorama teatral-cinematografico italiano ed europeo per almeno tre motivi fon-
damentali: per la sua struttura, del tutto nuova e non assimilabile ad alcuna forma
passata e futura (pur restando visibili riferimenti storici importanti all’Intermezzo
di scuola napoletana, alla Commedia dell’arte, ai Balletti russi di Djagilev o al
musical americano); per l’inusuale concentrazione di straordinarie personalità
artistiche chiamate a concorrere alla realizzazione dello spettacolo (Gianni Ratto
per la scenografia, Ettore Giannini per i dialoghi, la sceneggiatura e la regia, Ugo
dall’Ara per le coreografie, Maria De Matteis per i costumi) infine per la sua
struttura narrativa che non individua un personaggio principale (se non la città di
Napoli stessa, con i suoi colori, i suoi profumi, i suoni prodotti dalla sua gente).
Questa, in sintesi, la vicenda: un cantastorie napoletano funge da cornice ai vari
episodi di vita partenopea che si alternano sullo schermo; dopo aver subìto lo sfratto
dalla sua abitazione, occupata abusivamente, il capofamiglia si avvia per le strade
di Napoli alla ricerca di una nuova sistemazione trascinando con sé il pianino di
Barberia con cui tenta di guadagnarsi da vivere ed alla cui sommità sono attaccati
gli spartiti musicali delle canzoni; il vento che fa volare i fogli di musica nelle
direzioni più disparate, dà avvio alla serie di rievocazioni storiche incentrate sugli
avvenimenti partenopei più significativi (dominazione borbonica, inaugurazione
della funicolare vesuviana, nascita della classe borghese, prima guerra mondiale,
fenomeni malavitosi, secondo dopoguerra) concluse da una catartica Tarantella
finale. Carosello napoletano nacque nella mente di Giannini come progetto ci-
nematografico ma, per non configgere con l’imperante neorealismo, venne con-
cretizzato come pièce teatrale grazie all’appoggio dell’impresario Remigio Paone
(spettacoli Errepì), che ne produsse la prima rappresentazione a Firenze con il titolo
inglese Neapolitan Carousel scelto in vista dell’allestimento londinese che avreb-
be ospitato lo spettacolo per un’intera stagione. L’accordo italo-inglese sfumò
comportando un ribaltamento di tutta la macchina produttiva: l’ingranaggio tea-
trale nato per una rappresentazione di tipo stanziale, formato da migliaia di
elementi scenici e attrezzature, dovette diventare agile e facilmente smontabile
per adattarsi alle esigenze di allestimenti sempre diversi. Anche la tanto sospirata
realizzazione filmica (1953) incontrò problemi e necessità di cambiamenti: nel
preparare l’arrangiamento per il film Gervasio passò dai venticinque esecutori, più
i solisti e il piccolo coro, alla grandissima orchestra con grande coro (inoltre scirsse
ex novo le musiche per i titoli di coda e di testa); inoltre le sessioni di registrazione,
affidate all’Orchestra Radiofonica di Roma diretta da Fernando Previtali, sotto
la supervisione del compositore, si svolsero all’aperto (per evitare le risonanze che
affliggevano le sale di registrazione) e in ore notturne (onde evitare i disturbi dei
rumori esterni). Nel 1954 il film presentato, con il titolo di Carrousel Fantastique,
alla VII edizione del Grand Prix International di Cannes, sottoposto al giudizio
di una commissione presieduta da Jean Cocteau e avente come membri personalità
di spicco del mondo cinematografico quali Bazin e Buñuel, ottenne un grande
successo: «Il Papa è a Roma, ma Dio è a Napoli» arriva addirittura ad esclamare
Cocteau, motivando l’assegnazione del primo premio all’opera cinematografica
italiana. Molti critici fanno raffronti con la produzione cine-musicale americana,
allora di recente importazione, ma tutti sono concordi nel sostenere che il film
di Giannini è di gran lunga superiore per la grazia degli attori, la perfezione dei
141

danzatori, la magnificenza delle coreografie, lo splendore delle voci, la bellezza


dei costumi, l’impiego del colore, la tecnica vorticosa ed infallibile. È curioso
notare come per l’uscita inglese del film (alla cui prima presenzia la Regina
Elisabetta d’Inghilterra) la produzione non riesumi l’originale titolo, Neapolitan
Carousel, pensato proprio per il pubblico inglese, ma preferisca coniarne uno
nuovo: Neapolitan Fantasy. Paradossalmente, il Carosello Napoletano, così
acclamato dalle platee mondiali, così esaltato dalla critica nazionale ed europea,
vincitore di vari premi nel mondo, non riceve nessun riconoscimento ufficiale in
Italia per i ruoli principali, ad eccezione del Nastro d’Argento assegnato a Mario
Chiari per le scenografie.
In moltissime recensioni critiche, soprattutto estere, il Carosello viene paragonato
al genere del musical americano ma rispetto a questa tipologia di spettacolo nello
spettacolo di Giannini-Gervasio, il momento musicale più formalizzato non
interrompe l’azione, al contrario la permea adattando ad essa le proprie architetture;
inoltre se nel musical vige una forte stereotipia nell’orchestrazione, in Carosello
napoletano Gervasio sfodera un bagaglio di esperienze, sapienza e talento nel
riformulare arrangiamenti in maniera sempre diversa, che modula in funzione della
situazione narrativa. Nella caratterizzazione di alcune canzoni popolari – che
vengono spogliate della loro veste originale, e ricollocate in un’ambientazione di
tipo belcantistico (Michelemmà, con i sottili richiami a Bellini) o verista (I
Guappi) – si palesa la conoscenza profonda del repertorio lirico e sinfonico,
sfoggiata insieme a un massiccio uso di contrappunto e di virtuosismo strumentale.
Ciò detto giova sottolineare i punti di contatto col musical d’Oltreoceano, rievocato
con la scena dello sbarco a Napoli del marinaio americano, ove appare chiara la
citazione del Gene Kelly di On the Town. Altre sequenze dove il compositore
strizza l’occhio al sound americano, sono: il lungo preambolo a “Lily Khangy”,
con l’evidente citazione del Golliwogg’s Cake-walk di Debussy, e la scena di
Reginella, dove – inaspettatamente – la popolare canzone napoletana viene avvolta
in calde armonie gershwiniane (tipiche le progressioni di settima per moto contrario).
Se infine la fusione di vitalità ritmica, di verve parodistica e ludica è uno dei
fondamenti primi del musical, allora senza dubbio la Tarantella finale segna il
punto di massimo contatto tra quello e Carosello napoletano.

Bibliografia

ANNESE Angela, “Musica per tutti”. I documentari musicali di Raffaele Gervasio, in «Ombre
Sonore», musica, cinema e musicisti di Puglia, a cura di Pierfranco Moliterni, Edizioni dal Sud,
Bari 2008, pp. 131-149.
BIGNARDI Roberta, «Carosello napoletano». Il cinema, la danza e il teatro nell’opera di Ettore
Giannini, Liguori editore, Napoli 2008.
BIRARDI Beatrice, “Tra le due guerre”. L’Italia “sonora” nei documentari INCOM di Raffaele
Gervasio, in «Ombre Sonore», cit., pp. 117-130.
CAPRARA Valerio, «Spettabile pubblico». Carosello napoletano di Ettore Giannini, Alfredo Guida
editore Sud, Casoria (NA) 1998.
GERVASIO Raffaele, La musica nel documentario, in «Bianco e Nero», rassegna mensile di studi
cinematografici, n. 5-6, Maggio-Giugno 1950, Edizioni dell’Ateneo, Roma.
MOLITERNI Pierfranco, Intervista a Gervasio, in Cineasti di Puglia, a cura di Vito Attolini, Alfonso
Marrese e Maria A. Abenante, Adda editore, Bari 2006, pp. 267-271.
142

SCARDICCHIO Nicola, La musica del cinema secondo Raffaele Gervasio, in Ombre Sonore, cit., pp.
88-99.
VENTRELLA Nicola, Carosello napoletano, il primo musical italiano?, in Ombre Sonore, cit., pp. 101-
116.

Risorse on-line

Il sito http://www.raffaelegervasio.com offre una notevole messe di documenti sull’autore.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/n. di catalogo


Carosello napoletano Previtali/1954 Cristaldi Film PSV8364
Matera Interviene op. 122 Pelliccia/2006 LAB sonic

Opere drammatiche e oratorii

1. Golgotha op. 8, oratorio per soli, coro e orchestra (partitura in I-biblioteca privata
Famiglia Gervasio).
2. Musiche per il “Faust” op. 28, musiche di scena (partitura in I-biblioteca privata
Famiglia Gervasio).
3. Musiche per “Francesca da Rimini” op. 30, musiche di scena (partitura in I-biblioteca
privata Famiglia Gervasio).
4. Carosello napoletano op. 45, spettacolo teatrale di Ettore Giannini, FI Teatro La
Pergola 14 marzo 1950 (partitura in I-biblioteca privata Famiglia Gervasio).
5. Romani de Roma op. 58, spettacolo Philips di suoni e luci di Ettore Giannini (partitura
in I-biblioteca privata Famiglia Gervasio).
6. Viaggio di nozze op. 60, balletto di Ugo dall’Ara (partitura in I-biblioteca privata
Famiglia Gervasio).
7. Musiche per “Il mercante di Venezia” op. 71, musiche di scena (partitura in I-
biblioteca privata Famiglia Gervasio).
8. Matera Interviene op. 122, oratorio, MT Teatro Duni 19 dicembre 2006 (partitura in
I-biblioteca privata Famiglia Gervasio).
9. Rivelazioni op. 125, oratorio (partitura in I-biblioteca privata Famiglia Gervasio).
10. Un’orchestra e tre recitanti per Giulietta e Romeo op. 129, oratorio (partitura in
I-biblioteca privata Famiglia Gervasio).
Nicola Ventrella
143

VINCENZO GIANNINI
Altamura (BA), 5 marzo 1914 - Daly City (California USA), 24 febbraio 2006

Cronologia
Compositore, direttore di coro e d’orchestra, si diploma in Alta Composizione e
Violino nel Conservatorio «S. Pietro a Majella» di Napoli, dove si specializza
anche nella Direzione d’orchestra, nella Direzione del Coro e nella Polifonia
vocale. È stato docente di Musica Corale e Direzione di Coro nel Conservatorio
«Pierluigi da Palestrina» di Cagliari, dove ha insegnato anche Armonia e Con-
trappunto. Gli interessi per la didattica sfociano nella pubblicazione di un trattato
di canto corale (3 voll. del 1940). Nel 1959 viene scritturato come maestro del
coro all’Opera di San Francisco, dove svolge anche il ruolo di direttore d’orchestra.
Nella città californiana fonda la «San Francisco Polyphonic Chorale», società
dedicata all’organizzazione di concerti per orchestra da camera, solisti e coro
polifonico. Nella sua lunga carriera di direttore d’orchestra ha partecipato alla
realizzazione di molte opere di Verdi, Donizetti, Bellini, Rossini, Puccini, Ma-
scagni. Ha composto molta musica da camera, sinfonica, sacra e operistica (cfr.
SORRENTI, 1989-90). Particolarmente interessante e rara è la sua produzione, stru-
mentale e vocale, ispirata alla musica popolare pugliese e dell’Italia meridionale,
come la Ninna nanna per soprano e coro (Matera, 1940), i Tre canti sacri senza
parole per coro misto, violino e pianoforte (Matera, 1943), il Canto nostalgico
e la Tarantella per violoncello e pianoforte (Cagliari, 1945), le Liriche di poeti
sardi (Cagliari, 1950). Alla musica vocale Giannini si dedica con particolare
interesse anche negli anni “americani”: a San Francisco compone la raccolta Songs
of Innocence per soprano e pianoforte (1965), un Vocalizzo per soprano, flauto
e fagotto (1966), i Four Poems for Soprano and Instruments (1968) e la Crumbs
Illogical Suite (1975). Restano inediti due saggi in lingua italiana: Il coro e il
suo maestro con regole ed esperienze per la formazione del coro, la sua con-
certazione e la sua esecuzione nell’opera, nel concerto sinfonico e nel concerto
corale e il diario autobiografico Storie, storioni, storielle: racconto della mia vita
(cfr. SORRENTI, 1989-90). Fra le opere teatrali si segnalano: Befana Fascista,
operetta su libretto di G. Denora (1938); Pinocchio piccola opera per piccoli
ascoltatori in 2 atti, con parti recitate, piccolo coro e orchestra (1983); La miniera,
opera in 3 quadri per soli, coro e orchestra (1987); Il nuovo reggiseno, opera
comica in 2 quadri (1990).

Bibliografia

GIANNINI Vincenzo, Canto Corale ad uso della real Scuola d’avviamento: Teoria, Solfeggi parlati
e cantati, Brani per esercitazioni corali, STEM, Matera 1940.
–, Musica e Canto Corale ad uso dei r. Istituti magistrali. Parte pratica: Solfeggi parlati e cantati,
Brani per esercitazioni corali, STEM, Matera 1940.
144

–, Musica e Canto Corale ad uso dei r. Istituti magistrali. Parte teorica: Teoria musicale e Storia
della musica, STEM Matera, 1940.
–, Due salmi per coro misto, Zanibon, Padova 1951.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Altamura, in «Altamura», nn. 31-32 (1989-90), pp. 208-211.

Risorse online

L’archivio online del San Francisco Opera dà notizia di tutte le rappresentazioni (dal 1959
al 1967) cui Vincenzo Giannini ha preso parte come direttore del coro o dell’orchestra:
http://archive.sfopera.com/qry4WebCrewlist.asp?psearchall=on&psearch=giannini&psearchtype=.

Opere drammatiche

1. Befana Fascista, operetta di G. Denora, MT teatro Duni stagione 1938-1939.


2. Pinocchio, piccola opera per piccoli ascoltatori in due atti, 1983.
3. La miniera, opera in tre quadri, 1987.
4. Il nuovo reggiseno, opera comica in due quadri, 1990.
Nicola Badolato
145

UGO GIUSEPPE GIGANTE


Brindisi, 24 agosto 1885 - New York, 1961

Cronologia

Ugo Giuseppe Gigante nasce a Brindisi il 24 agosto 1885 da Mariano Gigante,


primo ufficiale delle Regie Poste di Brindisi, e Balbina Torsellini, senese, prima
direttrice dell’asilo comunale di Brindisi. Il padre, apprezzato poeta e musicista
pur dilettante, lo avvia alla passione per l’arte e in particolare per la musica, che
subito attecchisce in presenza di uno spiccato talento. A quindici anni il giovane
Ugo, che a otto ha esordito come violinista accompagnato al mandolino dal padre
in un Divertimento sul Trovatore di Verdi, vince un importante concorso indetto
dalla Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto: la borsa di studio consente alla
famiglia Gigante di guardare lontano e Ugo viene ammesso al Conservatorio di
Pesaro, dapprima come studente di violino poi anche come studente di Compo-
sizione, dal Direttore dell’Istituto, Pietro Mascagni. Il promettente allievo mette
presto in luce le sue qualità come strumentista e come compositore (la sua romanza
Un organetto suona per la via viene pubblicata dal prestigioso editore bolognese
Bongiovanni) e, ancora prima di concludere gli studi di Conservatorio, vince vari
concorsi come “professore di scuola orchestrale” o come “maestro di banda”. Il
1907 è un anno straordinario: si diploma in Strumentazione per banda, in Musica
corale, in Violino con Raffaello Frontali, in Composizione con Amilcare Zanella,
che nel frattempo ha sostituito Pietro Mascagni andato in pensione, e riceve il
premio Bodoyra come miglior allievo di Composizione per un Inno a Rossini per
soli, coro e orchestra, ora perduto. Dopo un breve periodo come direttore della
scuola musicale di Fano, vince un concorso internazionale che lo porta a Quito,
in Ecuador, dove vive anni intensissimi e ricchi di successi come insegnante di
violino nel Conservatorio, compositore – è in questi anni che matura e porta
compimento la sua unica opera lirica, L’ultimo giorno di Pergolesi –, violinista
virtuoso e direttore di tutte le bande militari della nazione. Dopo aver combattuto
nella Prima Guerra Mondiale al servizio della marina statunitense, si trasferisce
a New York, dove fonda un’Accademia della Musica nell’Upper West Side molto
frequentata e diventa molto popolare come strumentista e direttore ma anche come
arrangiatore di canti popolari italiani, ecuadoregni e dei nativi d’America. Tra le
due guerre la sua fama d’Oltreoceano trova grande eco in Italia, particolarmente
in Puglia, dove ogni suo ritorno viene annunciato con orgogliosa enfasi dai giornali
locali. Muore a New York nel 1961.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Concepita immediatamente dopo la conclusione degli studi al Conservatorio di


Pesaro per celebrare nel 1910 il secondo centenario della nascita del grande
146

musicista marchigiano, l’unica opera di Gigante, L’ultimo giorno di Pergolesi,


scritta su libretto dell’avvocato fiorentino Ugo Cola, non è mai stata rappresentata.
Solo poche pagine hanno incontrato il pubblico in sede di concerto, soprattutto
tra il 1910 – l’autore essendo ancora in Italia – e il 1912, quando Gigante ne ha
presentato di volta in volta i brani più significativi al pubblico di Quito in
molteplici occasioni concertistiche. Il lavoro, che reca visibile l’influenza verista
di Mascagni in momenti ricchi di colore come quello in cui il coro dei pescatori
canta un testo in dialetto napoletano su un caratteristico ritmo di barcarola, è un
omaggio al genio di Jesi da parte di un giovane promettente ben consapevole del
gusto del suo tempo e della tradizione da cui proviene, con la quale si misura non
solo in ampie ed elaborate citazioni dallo Stabat Mater ma anche nell’affettuosa
e deferente rivisitazione di modelli formali, melodici, ritmici filtrati attraverso una
nuova, maggiore ricchezza della strumentazione e una moderna sensibilità armo-
nica, sempre conservando al racconto in musica una sincera adesione alla psico-
logia dei personaggi e una naturale, fluida unitarietà.

Bibliografia

(SCHMIDL)

DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale di oggi. Dizionario dei musicisti, Ausonia, Roma 1918, p.
373.
GIGANTE Giuseppe, Dal melodramma l’“opera” rinnovata, Amici della “A. De Leo”, Brindisi 1990
(alle pp. 81-225 si trova l’edizione anastatica dello spartito autografo per canto e pianoforte
dell’Ultimo giorno di Pergolesi).
RAELI Vito, Musicisti e cantanti contemporanei e anime musicali salentine, in «Studi salentini»,
V-VI, giugno-dicembre 1958, Lecce 1958, pp. 196-197.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 115-116.

Ragioni di spazio non permettono di riportare le numerosissime recensioni critiche e le


notizie comparse su vari periodici del tempo, italiani ed esteri. Tutti i manoscritti e la musica
a stampa giunti sino a noi sono conservati, insieme ad altra documentazione, nel fondo
Quitadamo custodito a Brindisi presso la «Biblioteca pubblica arcivescovile Annibale De
Leo». La Biblioteca Provinciale di Brindisi conserva un “Album Gigante” contenente ar-
ticoli, programmi di sala, fotografie, diplomi e attestati che documentano l’attività del
compositore nei primi tre decenni del Novecento.

Opere drammatiche

1. L’ultimo giorno di Pergolesi, favola scenica in un atto di Ugo Cola, non rappresentata;
sono stati eseguiti in forma di concerto: il Preludio orchestrale (Fano, Teatro della Fortuna,
1 febbraio 1910), il Duetto per organo e tenore (Pesaro, 22 maggio 1910, Liceo Musicale
“Rossini”), la romanza per tenore Femminee risa (Quito, Teatro Sucre, 24 maggio 1912)
e L’ultimo lamento (Quito, Teatro Sucre, 10 agosto 1914). (libretto, partitura e spartito in
I-BRI*).
Angela Annese
147

UMBERTO GIORDANO
Foggia, 28 agosto 1867 - Milano, 12 novembre 1948

Cronologia

1867-1879. Umberto Menotti Maria Giordano nasce a Foggia il 28 agosto 1867


da Ludovico, farmacista, e Sabata Scognamillo. Il padre, che lo avrebbe voluto
medico o per lo meno maestro di scherma, lo avvia agli studi ginnasiali. Contro
il volere dei genitori comincia a coltivare la sua passione per la musica, ricevendo
i primi rudimenti dell’arte da un amico di famiglia, l’ingegnere e musicista
dilettante Gaetano Briganti. Studia in seguito con due maestri locali, Luigi Gissi
e Giuseppe Signorelli.
1880-1890. Nel 1880 viene ammesso come alunno “esterno” al Real Collegio
di Musica «San Pietro a Majella» di Napoli, dove frequenta i corsi di composizione
e pianoforte. Qui conosce il quattordicenne Francesco Cilea, al quale resterà legato
da un’amicizia duratura. Costretto a far ritorno a Foggia da avverse circostanze
familiari, presenta un’istanza al Consiglio Provinciale di Capitanata per la con-
cessione di un sussidio che gli permetta di studiare al Regio Collegio di Napoli.
L’istanza viene respinta ma nel 1881 il quattordicenne Giordano prende parte al
concorso per un “posto franco interno di composizione” nello stesso Collegio. Al
primo tentativo non supera la prova del basso armonizzato e viene respinto. Tuttavia
i saggi di composizione da lui presentati suscitano l’interesse di uno degli inse-
gnanti, Paolo Serrao, che lo prende a cuore e gli impartisce lezioni gratuite,
consentendogli di superare il successivo concorso dopo sei mesi. Entra così nel
conservatorio napoletano nel 1882, dove studia contrappunto e composizione con
lo stesso Serrao, pianoforte con C. Martucci, organo con Bossi, e violino con Ferni.
Quando è ancora studente, nel luglio 1888, l’editore Sonzogno bandisce un con-
corso per un’opera in atto. Giordano partecipa con Marina su libretto di Enrico
Golisciani. Vincitrice del concorso è il capolavoro di Mascagni, Cavalleria
Rusticana, mentre Giordano risulta sesto. La commissione però nota il talento del
giovane foggiano, al quale Sonzogno offre l’incarico per un’opera intera, Mala
Vita, su libretto di Nicola Daspuro tratto dalle “scene popolari napoletane” di
Salvatore Di Giacomo e Gaetano Cognetti. Il 6 novembre 1890 consegue il diploma
di composizione, ottenendo il primo premio d’onore del Conservatorio.
1892-1894. Il 21 febbraio 1892 debutta ufficialmente come operista con Mala
vita al teatro Argentina di Roma. La rappresentazione, che porta sulla scena la
vita dei bassifondi napoletani, ottiene un discreto successo di pubblico e critica.
Cade invece a Napoli, dove va in scena il 27 aprile dello stesso anno. Qui la
crudezza delle scene e i caratteri “caricati” di alcuni personaggi (soprattutto
Annetiello) vengono mal digeriti dal pubblico. Ma sono proprio il colore locale
e la drammaticità della vicenda a procurare il trionfo delle recite di Vienna, Berlino
148

e Praga. Ottiene intanto una nuova commissione da Sonzogno per l’opera in due
atti Regina Diaz, libretto di Targioni-Tozzetti e Menasci, tratta dalla Maria di
Rohan di Cammarano. Il lavoro debutta a Napoli (1894) registrando un chiaro
insuccesso e viene ritirato dopo la seconda rappresentazione. È criticato soprattutto
il libretto, mentre parte della critica sottolinea i progressi fatti dal giovane autore.
Il risultato di Regina Diaz, unito alle critiche a Mala vita, costa a Giordano l’ira
di Edoardo Sonzogno, deciso a licenziarlo. Solo l’intercessione di Alberto Fran-
chetti fa sì che l’editore milanese conceda un’altra possibilità: si tratta di Andrea
Chénier, dramma storico ambientato nella Francia della Rivoluzione, il cui libretto
è affidato a Luigi Illica. Si trasferisce a Milano per essere a più stretto contatto
con il librettista.
1896-1900. Andrea Chénier viene accolto trionfalmente alla sua prima al Teatro
alla Scala di Milano (28 marzo 1896), dove verrà replicato per dieci sere. L’opera,
che inaugura la stagione dei migliori lavori di Giordano, ottiene successi nei più
importanti teatri del mondo, donando all’autore un ruolo di primo piano tra i
compositori della cosiddetta “giovane scuola”.
Il 18 novembre 1896 sposa Olga Spatz-Wurms, figlia di Joseph Spatz, proprie-
tario dell’omonima catena di alberghi. Dall’unione nasceranno quattro figli: Fedora,
Elisabetta, Caterina, Mario. Sull’onda del successo di Chénier, Sonzogno riesce
ad acquistare da Victorien Sardou i diritti per la riduzione librettistica di Fedora.
Intanto va in scena, il 10 novembre 1897 al Lirico di Milano, Il voto, una nuova
versione di Mala vita, ritoccata in varie parti e depurata degli aspetti più crudi.
La critica è concorde nel ritenere che l’opera non esca migliorata dalle nuove
modifiche e che anzi perda in verità. Nel 1898 torna il grande successo con Fedora,
un vero e proprio giallo musicale ridotto per la scena lirica da Arturo Colautti.
Grande rivelazione della prima (Lirico di Milano, 17 novembre) è il giovane tenore
Enrico Caruso che è costretto a bissare l’aria Amor ti vieta. Come per l’Andrea
Chénier anche per Fedora si aprono i grandi teatri stranieri. A Vienna (Hofoper,
16 maggio 1900) sul podio del direttore d’orchestra sale Gustav Mahler, che
manifesterà a Giordano tutta la sua stima. Firma intanto un contratto con Sonzogno
per Siberia, su libretto di Illica.
1903-1912. Siberia, vicenda ambientata nella Russia della prima metà dell’Ot-
tocento, debutta alla Scala il 19 dicembre 1903. È il terzo dei grandi successi
giordaniani. Nel 1905 Edoardo Sonzogno organizza una stagione lirica al teatro
Sarah Bernhardt di Parigi. Di Giordano sono rappresentate Andrea Chénier, Fedora,
e Siberia. Quest’ultima in particolare riceve calorosi consensi dal mondo musicale
francese, ottenendo l’ammirazione di Alfred Bruneau, Camille Saint-Saëns e
soprattutto di Gabriel Fauré. La successive realizzazioni non riusciranno ad egua-
gliare i trionfi dei tre capolavori. È il caso di Marcella, del 1907, “idillio moderno”
tratto da un libretto di Henry Cain ed Edouard Adenis tradotto in italiano da
Lorenzo Stecchetti. Il lavoro non suscita grandi entusiasmi. Nel dicembre del 1908
Giordano presenta al Congresso musicale didattico internazionale, che si tiene
presso il Conservatorio di Milano, il suo sistema di notazione a suoni reali nelle
chiavi di SOL e di FA per tutti gli strumenti, anche quelli traspositori. Questo
sistema (già usato per le proprie partiture sin dalla stesura dell’Andrea Chénier)
viene approvato all’unanimità dal Congresso e ottiene le lodi di Jules Massenet.
149

Intanto il compositore lavora a Mese mariano, bozzetto lirico da un dramma di


Salvatore Di Giacomo, che ne cura anche la stesura in versi. Lo scarso successo
dell’opera (1910) conferma il momento di crisi, che non è tanto personale quanto
di tutto il melodramma italiano dell’epoca. Nel 1911 Siberia trionfa all’Opéra di
Parigi nella versione francese di Paul Millet. L’anno successivo Vittorio Emanuele
III nomina Giordano Commendatore della Corona d’Italia mentre il governo fran-
cese gli fa presentare le insegne di Cavaliere della Legion d’onore.
1915-1921. Al Metropolitan di New York va in scena, il 25 gennaio 1915,
Madame Sans-Gêne, una commedia musicale tratta da un lavoro di Sardou e
Moreau. Direttore è Arturo Toscanini. L’idea per questa realizzazione (libretto di
Renato Simoni) risaliva a diversi anni prima e Giordano racconterà essere stato
l’anziano Giuseppe Verdi a fugare i suoi dubbi sulla difficoltà di rappresentare il
personaggio di Napoleone in una commedia (cfr. MORINI 1968, p. 244). Il contratto
con Sonzogno per Madame Sans-Gêne (1912) prevede la rinuncia alla realizza-
zione di un’altra opera che resterà incompiuta, La festa del Nilo, il cui progetto
risaliva al 1905. Nel 1921, dopo tanti anni di rinvii e dubbi, viene rappresentata
Giove a Pompei, un’operetta su libretto di Illica musicata a quattro mani da
Franchetti e Giordano (che aveva terminato la sua parte già nel 1901).
1924-1929. L’ultimo successo di Giordano è La cena delle beffe, che debutta
alla Scala il 20 dicembre 1924 diretta da Toscanini (libretto di Sem Benelli). Il
dramma, ambientato nella Firenze medicea, pur non eguagliando i trionfi dei lavori
maggiori, viene rappresentato in numerosi teatri italiani e stranieri. Dopo cinque
anni (1929) viene messa in scena l’ultima opera, Il re, fiaba musicale su libretto
di Giovacchino Forzano. Nello stesso anno è nominato Accademico d’Italia.
1939-1948. L’assenza dalla ribalta è interrotta nel 1939 dal Cesare, dramma di
Forzano per il quale Giordano scrive le musiche di scena. Nel 1940 muore a Milano
Olga Spatz, moglie del compositore, che si risposerà due anni dopo con Sara De
Cristofaro. Il 4 gennaio 1946, al Lirico di Milano, con una recita dell’Andrea
Chénier, diretta dal quasi ottantenne autore, si festeggiano i cinquant’anni del-
l’opera. L’anno successivo, nell’ambito delle celebrazioni per il suo ottantesimo
anno, il Maestro riceve l’affetto del pubblico della Scala, in occasione della
rappresentazione di Siberia. Stesse ovazioni gli sono tributate per il cinquantenario
di Fedora, il 7 gennaio 1948. Il 12 novembre dello stesso anno, dopo essersi
ammalato gravemente, Giordano muore a Milano. Una folla imponente partecipa
ai funerali, mentre alla Camera e al Senato si pronunciano orazioni commemorative
in onore del compositore foggiano.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Figlio della plurisecolare scuola napoletana, che tanti mirabili frutti aveva donato
al teatro musicale, sin dagli esordi con Mala vita Giordano si inserisce nel filone
del verismo musicale. La melodrammaturgia di Giordano condivide con gli altri
autori della “giovane scuola” (Mascagni, Puccini, Leoncavallo, Cilèa) alcuni
elementi stilistici: l’estroversa tensione passionale alternata al languore sentimen-
tale (a cui corrispondono determinati atteggiamenti della scrittura musicale); la
150

pianificazione egualitaria dei vari componenti della struttura operistica (recitativo,


aria, concertato, etc.); l’abolizione pressoché totale di ogni fioritura belcantistica
(cfr. MORINI 1968, p. 29); una vocalità caratterizzata «dall’uso sistematico del
timbro caldo della tessitura di centro e dal frequente svettare del canto fino al
livello del registro acuto; artificio nel quale si esibisce tutto il compiacimento della
drammaturgia musicale verista per le esplosioni amoroso-passionali» (ibid., p. 24).
Già nel lavoro di debutto – alla cui connotazione veristica contribuiscono gli spunti
“etnici” di canti e danze di Piedigrotta, le grida di pescatori e ambulanti, il taglio
stesso dei personaggi – si delineano alcune caratteristiche proprie della sua arte
operistica: una passionalità che si esprime in una coinvolgente inventiva musicale
e soprattutto la capacità di creare una tensione drammatica che tiene avvinto il
pubblico.
Dalle prime opere fino al Re il linguaggio di Giordano fu sempre in evoluzione,
in un costante affinamento sia dei mezzi musicali (cha non si espandono mai però
in senso rivoluzionario) che di quelli teatrali. Nell’Andrea Chénier, il capolavoro
che rivela al mondo il suo talento, si compie un passo ulteriore nella definizione
di uno stile personalissimo. Emerge infatti un procedimento originale che porta
ad una separazione di funzioni tra il palcoscenico e l’orchestra: quest’ultima,
subordinata all’azione drammatica, contiene tutto ciò che è commento, enfatiz-
zazione, interpretazione dell’autore. «È il gesto musicale che fa esplodere ed
imprimere l’attimo negli occhi dello spettatore, grazie al suo ascolto: un anacoluto
sonoro che ha la forza del primo piano registico» (cfr. MASTROMATTEO 2003, p. 36).
All’intreccio serrato della vicenda corrisponde così una spettacolare mutevolezza
espressiva nei modi del canto, nella melodia, nella sintassi armonica, nell’orche-
stra, tale da tenere sempre desta l’attenzione dello spettatore. La trama da “po-
liziesco” di Fedora, con la sua varietà di situazioni, permetterà poi a Giordano
una molteplicità e una complessità inventiva anche superiori a quelle dell’opera
precedente, generando quell’incisività drammatica che destò l’ammirazione dello
stesso Mahler.
Ma l’opera sicuramente più ricca di innovazioni è Siberia. A parte l’uso
abbondante della scala esatonale (la scala di sei toni caratteristica del linguaggio
di Debussy e Ravel), spicca un sapiente e raffinatissimo impiego dell’orchestra-
zione che destò l’entusiasmo di alcuni grandi musicisti francesi dell’epoca, primo
fra tutti Fauré. Tanto che un brano tratto da Siberia è l’unico esempio di opera
italiana incluso nel trattato Technique de l’orchestre moderne (1904) di Charles-
Marie Widor, supplemento al celebre Grand traité d’instrumentation et d’orche-
stration modernes (1843) di Hector Berlioz.
La preziosità della scrittura musicale resterà una costante delle composizioni
successive (in particolare Madame Sans-Gêne e La cena delle beffe) che pure non
raggiunsero i risultati complessivi ed il lustro dei capolavori. Se da un lato quindi
si può notare nell’arte di Giordano un continuo perfezionamento degli strumenti
tecnici del compositore colto – un lavoro “di lima” possibile grazie alla solida
preparazione scolastica e all’esperienza del mestiere – dall’altro emerge l’interesse
per elementi tratti dal basso, dalla musica popolare, i quali rendono più vivo ed
esotizzante il suo operismo: i ritmi e i canti napoletani in Mala vita e Mese
mariano; le canzoni della Francia rivoluzionaria in Chénier e Madame Sans-
Gêne; la musica tradizionale russa in Fedora e Siberia; le canzoni di strada toscane
nella Cena delle beffe.
151

Giordano resta l’autore di alcuni tra i più celebri brani del melodramma italiano
(Amor ti vieta e l’intermezzo da Fedora, La mamma morta da Chénier, per citarne
alcuni). Ebbe da subito l’onore di entrare nei repertori dei teatri di tutto il mondo
e di essere interpretato dalle più grandi voci, grazie specialmente ad Andrea
Chénier (per le possibilità che la partitura offre al ruolo del tenore protagonista)
e a Fedora (il cui personaggio principale è scritto in modo da esaltare il ruolo
della “prima donna”). La sua musica ha mantenuto intatto il suo posto sulla scena
e nella produzione discografica.

Bibliografia
(DBI, DEUMM, ES, NG2001, NGO, PIPER, SCHMIDL, STIEGER)

Opere monografiche
ALVERÀ Pierluigi, Giordano, Treves, New York 1986.
BELLINCIONI Gemma, Io e il palcoscenico: trenta e un anno di vita artistica, R. Quintieri, Milano
1920.
CELLAMARE Daniele, Umberto Giordano: la vita e le opere, Garzanti, Milano 1949.
–, Umberto Giordano, Palombi, Roma 1967.
I Centenario della nascita di Umberto Giordano 1867-1967: mostra bibliografica e documentaria,
Catalogo, Museo civico, Foggia 1967.
CIAMPI Vincenzo, Foggia e Umberto Giordano, Arti graf. Pescatore, Foggia 1949.
CONFALONIERI Giulio, Umberto Giordano: Foggia 1867-Milano 1948, Sonzogno, Milano 1958.
DE RENSIS Raffaello, Per Umberto Giordano e Ruggero Leoncavallo, Ticci, Siena 1949 («Quaderni
dell’Accademia Chigiana», 20).
DE RENSIS Raffaello, Musica vista: dal primo Novecento ad oggi, Ricordi, Milano 1961.
GALLI Amintore - MACCHI Gustavo - PARIBENI Giulio Cesare, Umberto Giordano nell’arte e nella
vita: note biografiche ed estetiche, E. Sonzogno, Milano 1915.
FAURÉ Gabriel, Lettres intimes (1885-1924), a cura di Philippe Fauré-Fremiét, Grasset, Paris 1951.
–, Opinions musicales, Les editions Rieder, Paris 1930.
GIAZOTTO Remo, Umberto Giordano, E.A.Teatro alla Scala, Milano 1949.
LEPORE Paola, Umberto Giordano e Malavita: manifesto dell’opera verista, Leone, Foggia 1993.
MASTROMATTEO Francesco, Umberto Giordano tra verismo e cinematografia, Bastogi, Foggia 2003.
PANNAIN Guido, La musica operistica in Italia dal “Falstaff ad oggi, Edizioni d’Arte Bestelli, Roma
1954.
PANNAIN Guido, Ottocento musicale italiano, Curci, Milano 1952.
PARIBENI Giulio Cesare, Madame Sans-Gene di U. Giordano: guida attraverso la commedia e la
musica, R. Caddeo e C., Milano 1923.
PENNELLA Concetta, Lettere inedite di Umberto Giordano, Societa editrice napletana, Napoli 1977.
RINALDI Mario, Musica e verismo: critica ed estetica di una tendenza musicale, De Santis, Roma
1932.
RUSCILLO Agostino, Per un lirismo delle umane passioni. La genesi di “Siberia” in un carteggio
Giordano-Illica, Sonzogno, Milano 2005.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 116-119.
STREICHER Johannes, Ultimi splendori: Cilea, Giordano, Alfano, Ismez, Roma 1999.
TEDESCHI Rubens, Addio, fiorito asil: il melodramma italiano da Rossini al verismo, Studio tesi,
Pordenone 1992.
TERENZIO Vincenzo, Il neo-verismo musicale a Bari, Levante, Bari 1991 («Bari anni ’30-’40», 3).
–, Ricordando Umberto Giordano, Olschki, Firenze 1967.
Umberto Giordano, a cura del Comitato pro monumento, Tipografia Leone, Foggia 1956.
Umberto Giordano, a cura di Mario Morini, Sonzogno, Milano 1968.
Umberto Giordano 1948-2008, a cura di Carmen Battiante, Di Palma e Romano, Foggia 2008.
Umberto Giordano a Milano, Catalogo della Mostra (Milano, Museo Teatrale alla Scala 24 aprile -
30 maggio 1993), Sonzogno, Milano 1993.
Umberto Giordano dieci anni dopo la morte, Studio editoriale dauno, Foggia 1959.
“Verismi” in musica. “Verismi” della musica, a cura di Pierfranco Moliterni, Graphis, Bari 1999 («I
Materiali», 22).
VILLANI Carlo, Scrittori e artisti pugliesi. Antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904
(rist. anastatica Forni, Bologna 1974), pp. 427-429.
ZAN Davide, La morte come oggetto scenico nell’opera lirica italiana della seconda metà dell’Ot-
tocento, in Scapigliatura & Fin de siècle, a cura di Johannes Streicher, Sonia Teramo e Roberta
Travaglino, Ismez, Roma, s.d. [ma 2007], pp. 37-48.
Atti di convegno
Umberto Giordano e il verismo, Atti del convegno di studi tenutosi in occasione del 64° festival
(Verona 2-3 luglio 1986), a cura di Mario Morini e Piero Ostali, Sonzogno, Milano 1989.
Umberto Giordano e la Francia, Atti del convegno internazionale (Martina Franca 29 luglio 1998),
a cura di Giovanni Dotoli, Schena, Fasano 1999 («Biblioteca della ricerca. Puglia europea», 20).
Saggi e articoli in volumi miscellanei
D’AMICO Fedele, L’“Andrea Chénier” e l’opera verista, in I casi della musica, Il Saggiatore, Milano
1962 («La cultura. Storia, critica, testi», 66).
GAVAZZENI Gianandrea, Ricordo di Umberto Giordano, in id., I nemici della musica, All’insegna del
Pesce d’oro, Milano 1965.
SANSONE Matteo, Il verismo di Fedora e di Zazà, in Ruggero Leoncavallo nel suo tempo, Atti del
I Convegno internazionale di studi su Ruggero Leoncavallo (Locarno, Biblioteca Cantonale 3-
4-5 ottobre 1991), a cura di Jurgen Maehder e Lorenza Guiot, Sonzogno, Milano 1993, pp. 163-
180.
ZAMPIERI G., La notazione della partitura d’orchestra secondo il sistema Giordano, in Haydn-
Zentenarfeier...: III Kongress der internationalen Musikgesellschaft (Vienna, Bericht vorgelegt
vom Wiener Kongressausschuss, 25-29 maggio 1909), Artaria, Wien 1909.
Saggi e articoli in pubblicazioni periodiche
André Chénier, in «L’avant-scène opéra», n. 121 (1989) [numero dedicato].
FAURÉ Gabriel, Siberia, in «Le Figaro», 5 maggio 1905.
GUARNIERI CORAZZOL Adriana, Opera and Verismo: Regressive Points of View and the Artifice of
Alienation, in «Cambridge Opera Journal», V/1 (1993), pp. 39-53.
INNAURATO Albert, The Last Prima Donna: Mirella Freni and Fedora - A Glimpse of What Singing
and Opera Used to Be, in «Opera News», LXI/15 (1997), pp. 8-15.
MARCHES Leo, Umberto Giordano, in «La Liberté», 9 giugno 1905.
GRIFFITH MC DONALD Katherine, Improvviso. Making the most of the libretto’s impetuous moments,
Giordano captured a poet’s spontaneity in his music, in «Opera News», XXVII/15 (2 marzo
1963).
MASUCCI Riccardo, Giove a Pompei, in «L’Opera», a. III, n. 6 (gennaio-marzo 1967).
MORINI Mario, Come nacque “Chénier”, in «La Scala», n. 99 (febbraio 1959).
NAPOLI Jacopo, Giordano allievo di S.Pietro a Majella, in «L’Opera», a. III, n. 6 (gennaio-marzo
1967).
NICOLODI Fiamma, Parigi e l’opera verista: dibattiti, riflessioni, polemiche, in «Nuova Rivista
Musicale Italiana», a. XV, n. 4 (1981), pp. 577-623.
PACHOVSKY Angela, Gustav Mahler und die italienische Oper in Wien, in «Nachrichten zur Mahler
Forschung», 42 (2000), pp. 12-25.
PARIBENI Giulio Cesare, Giordano tecnico e esteta, in «Musica e scena», 1924.
PINZAUTI Leonardo, Le ragioni di Andrea Chénier, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», a. XV, n.
2 (aprile-giugno 1981), pp. 216-226.
RAELI Vito, Umberto Giordano, in «Japigia», anno II (1931), fasc. II, pp. 201-210 (on-line su
emeroteca.provincia.brindisi.it) poi confluito in Pagine di storia ed arte di Puglia, Laterza, Bari
1933.
RINALDI Mario, Le melodie nelle opere di Umberto Giordano, in «La Scala», n. 134 (gennaio 1961).
SANDRI Luigi, Umberto Giordano, in «Music and Art», Los Angeles, marzo 1958.
SANSONE Matteo, Giordano’s Mala vita: a verismo Opera too True to be Good, in «Music & Letters»,
LXXV, n. 3 (August 1994), pp. 381-400.
153

Santi Piero, «Madame Sans-Gene», in «Nuova Rivista Musicale Italiana», a. I, n. 1 (maggio-giugno


1967).
SCHERER Barrymore Laurence, Passion Flower: Umberto Giordano Based Fedora on One of Victo-
rien Sardou’s Deep-Purple Melodramas - Does This Cult Chestnut Really Need an Apology?,
in «Opera News», LXI/15 (1997), pp. 16-19.
VIALE FERRERO Mercedes, Da “Fédora” a “Fedora”: smontaggio e rimontaggio di uno scenario
(melo)drammatico, in «Il Saggiatore musicale», II/1 (1995), pp. 93-104.
Umberto Giordano, in «Musica e scena», III (1926) [numero dedicato].

Risorse on-line

Attraverso la sezione «Contenuti digitali» del sito www.internetculturale.it è possibile


accedere ai fondi digitalizzati della biblioteca del Conservatorio «San Pietro a Majella» di
Napoli, dove sono custoditi alcuni autografi di Giordano. Dalla stessa sezione del portale
si può accedere a contenuti multimediali riguardanti autore, tra i quali si trovano registrazioni
di varie epoche. Dalla IMSLP/Biblioteca Musicale Petrucci (biblioteca on-line di spartiti
musicali di pubblico dominio, http://imslp.org/wiki/Category:Giordano,_Umberto) è possi-
bile scaricare gli spartiti completi per canto e pianoforte di Andrea Chénier (ed. Sonzogno
1896) e di Marcella (ed. Sonzogno 1907). Una discografia con schede dettagliate è presente
sul sito www.operadis-opera-discography.org.uk.
Il sito www.umbertogiordano.com contiene un’ampia bibliografia e una ricca galleria di
immagini.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Mala vita Cavallaro 2002 Bongiovanni 2003 [GB 2348-2]


Andrea Chénier Molajoli 1929 Myto 1994 [2 MCD 945.114] Arkadia [78042]
Naxos «Historical» 2001 [8.110066/7]
Questa1955 Myto 1994 [2 MCD 941.95]Great Opera Perfor
mances 2006 [G.O.P. 66359] Premiere Opera (DVD)
[DVD 5065]Bel Canto Society (DVD) [BCSD
0003]
Capuana 1961 Legato Classics [LCD 214-2 ]Opera d’Oro 1999
[OPD 1199] Opera Depot 2009 [OD 10396-2]
Encore 2005 (DVD) [DVD 2007] VAI 2007 (DVD)
[DVD 4419]
Levine 1976 RCA Victor 1989 [GD 82046] poi BMG RCA
«Opera Treasury» [74321 50164]
Chailly 1982/1984 Decca 1985 [410 117-2]
Chailly 1985 Premiere Opera 2003 [894-2] Warner Vision 2006
(DVD) [NVC Arts 3984 26655-2]
Patanè 1986 CBS 1987 [M2K 42369] poi Sony Classical [M2K
42369]
Viotti 1992 House of Opera 2003 [CDBB 255] Premiere Opera
2006 [CDNO 2180-2]
Armiliato 2010 Decca 2010
154

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Fedora Molajoli 1931 Gala 2006 [GL 100758]


Arturo Basile 1961 Opera d’Oro 2008 [7054]
Gardelli 1969 Decca 1992 [433 033-2] poi 2006 [475 762-2]
Gatto 1988 Premiere Opera 2002 [CDNO 8722]Premiere Opera
2005 (DVD) [DVD 5423]
Gavazzeni 1993 Premiere Opera [CDNO 3851]TDK 2006 (DVD)
[DVWW OPFED]
Guadagno 1999 Charles Handelman - Live Opera 2004
Siberia Belardinelli 1974 Opera d’Oro 2003 [OPD 1375] Bongiovanni 2004
[GB 2353/4-2] Gala 2004 [GL 100737]
Callegari 1999 Premiere Opera 2001 [CDNO 105-2]
Benzi 2003 Dynamic 2004 [CDS444]
Belardinelli Bongiovanni 2006 [GB 2353/4-2]
Marcella Benzi 2007 Dynamic 2008 [CDS573]
Benzi 2007 Naxos 2009 (DVD) [2.110263]
Mese mariano Palumbo1998 Dynamic 1999 [CDS 231/1-2]
Premiere Opera 2005 [CDNO 1705-1]
Madame Sans-Gêne Basile1957 Bongiovanni 1995 [GB 1129/30-2]
Gavazzeni 1967 Nuova Era 1998? [2387/88]
Bartoletti 1997 Encore 2006 (DVD) [DVD 2227]
Ranzani 1999 Dynamic 1999 [CDS 247/1-2]
La cena delle beffe De Fabritiis 1955 Myto 2000 [2 MCD 002 220] poi 2005 [2 MCD
052 H 103]
Sanzogno 1988 Bongiovanni 1989 [GB 2068/9-2]
Bartoletti 1999 Encore 2005 (DVD) [DVD 2096]
Silipigni 2004 Premiere Opera 2005 [CDNO 1666-2]
Il re Biondi 1971 Gala 2004 [GL 345 ]
Gorkovienko 1998 Stradivarius 1998 [STR 33466]
Palumbo1998 Dynamic 1999 [CDS 231/1-2]
Fratta 2006 Bongiovanni 2009 (DVD) [AB 20014]

Opere drammatiche

1. Marina, opera in un atto di Enrico Golisciani, 1889 ma non rappresentata.


2. Mala vita, opera in tre atti di Nicola Daspuro, Roma Argentina 21 febbraio 1892
(partitura in I-Nc*) \ NA San Carlo 27 marzo 1892; Vienna Esposizione musicale 27
settembre 1892. Rimaneggiata con il titolo Il voto MI Lirico 10 novembre 1897
(libretto in I-FOG; partitura in I-Nc*).
3. Regina Diaz, opera in due atti di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, NA
Mercadante 5 marzo 1894.
155

4. Andrea Chénier, dramma storico in quattro atti di Luigi Illica, MI Scala 28 marzo 1896
\ GE Politeama 28 novembre 1896; New York Acad. of Music 15 novembre 1896.
5. Fedora, opera in tre atti di Arturo Colautti, MI Lirico 17 novembre 1898 \ MN Sociale
14 gennaio 1899; Buenos Aires Opera 14 maggio 1899.
6. Siberia, opera in tre atti di Luigi Illica, MI Scala 19 dicembre 1903 \ NO Coccia 6
gennaio 1904; Lisbona San Carlos 9 marzo 1904.
7. Marcella, opera in tre atti di Henri Cain - Edouard Adenis - Lorenzo Stecchetti, MI
Lirico 9 novembre 1907 \ GE Politeama 26 dicembre 1907; Lucerna 6 luglio 1927.
8. Mese Mariano, bozzetto lirico di un atto di Salvatore Di Giacomo, PA Massimo 17
marzo 1910 \ Roma Costanzi 12 aprile 1910; Buenos Aires Opera 23 luglio 1910.
9. Madame Sans-Gêne, commedia in tre atti di Renato Simoni, New York Metropolitan
25 gennaio 1915 (partitura con “puntature” per Mezzosoprano in I-FOG) \ Montecarlo
Opéra 19 marzo 1916; Torino Regio 28 febbraio 1915.
10. Giove a Pompei, commedia musicale in tre atti di Luigi Illica - Ettore Romagnoli, Roma
La Pariola 5 luglio 1921 (partitura in I-Mr*) \ VE Malibran 17 luglio 1921 [composta
in collab. con A. Franchetti].
11. La cena delle beffe, poema drammatico di Sem Benelli, MI Scala 20 dicembre 1924
(libretto con annotazioni autografe in I-FOG, partitura in I-Nc*) \ BS Grande 25
gennaio 1925; Buenos Aires Colón 27 agosto 1925.
12. Il re, novella in tre atti di Giovacchino Forzano, MI Scala 12 gennaio 1929 \ TO Regio
6 marzo 1929; Buenos Aires Colón 9 agosto 1929.
13. Cesare, musiche di scena per la pièce di Giovacchino Forzano, Roma Argentina 24
aprile 1939 \ MI Lirico 11 maggio 1939.
14. La festa del Nilo, opera (incompleta) di Victorien Sardou - Emile Moreau (riduzione
per canto e piano in I-FOG).
Nicola Cicerale
156

DOMENICO GUACCERO
Palo del Colle (BA), 11 aprile 1927 - Roma, 24 aprile 1984

Cronologia

1927-1956. Figlio di Paolo (organista presso la chiesa principale del paese natale,
ma musicista non strettamente professionista, anche se c’è traccia memoriale di una
sua formazione musicale a Napoli) e di Anna Tricarico, compie parallelamente studi
musicali e umanistico-filosofici, diplomandosi in pianoforte a Bari sotto la guida di
Donato Marrone, e conseguendo la Laurea in Lettere presso l’Università di Bari con
la tesi L’interpretazione dell’opera d’arte nell’estetica contemporanea (relatore
A. Corsano). Subito dopo si trasferisce a Roma, dove studia armonia, contrappunto
e fuga con Barbara Giuranna (1950-53), e composizione con Goffredo Petrassi
(1953-56). Quest’ultimo rappresenta per Guaccero un incontro fondamentale, non
solo come guida didattica – di cui Guaccero erediterà le caratteristiche di “empi-
rismo illuminato”, ovvero di antidogmatismo sorretto tuttavia da una razionalità
limpida e rigorosa – ma pure come lezione di prassi etico-compositiva, improntata
a una radicale rimessa in discussione (e perciò torsione) delle coordinate stilistiche
sulla base delle esigenze di sviluppo storico e di approfondimento personale del
linguaggio (per cui il modello del maestro non può e non deve essere riprodotto
dall’allievo), e come esempio di militanza nell’orizzonte dei problemi sociali e
civili da parte del compositore. Negli stessi anni, entra in contatto con molti degli
allievi di Petrassi (Clementi, Bertoncini, Porena, Razzi, Morricone, Bortolotti etc.)
che di lì a poco sostanzieranno le fila della Nuova Musica romana in una forma di
sodalizio umano e intellettuale. Questa fase di apprendistato termina significativa-
mente con un piccolo testo operistico, La farmacista, realizzata in forma di concerto
in Conservatorio al termine degli studi curriculari; a dirigerla, Daniele Paris,
interprete elettivo della Nuova Musica romana fino ai primi anni settanta e com-
ponente egli stesso di quella cerchia petrassiana.
1957-1970. La formazione di Guaccero si perfeziona anzitutto attraverso la pre-
senza ai Ferienkurse di Darmstadt (documentata nel 1957 e 1959): un crocevia che
gli consente di conoscere senza mediazioni le tecniche del serialismo, ma – quasi
contemporaneamente, dunque fuori da un assorbimento esclusivo di quelle tecniche
che avrebbe potuto condurre a un dogmatismo seriale – anche le ricerche elettroniche
e la sperimentalità spesso “gestuale” di Cage, Kagel, Schnebel. La percezione di un
gap tra la vita musicale contemporanea romana e quella europea porta Guaccero (che
nel frattempo ha stretto un legame artistico e umano profondo con i compositori
Egisto Macchi e Franco Evangelisti e col pittore Franco Nonnis) a fondare: 1) uno
studio di musica elettronica (più teorico che pratico) presso l’Accademia Filarmo-
nica Romana (1958); 2) il Sindacato Musicisti Italiani che, a cavallo del 1960, è un
motore vitale (auspice Petrassi) nel propagare nuove composizioni degli iscritti nelle
stagioni concertistiche, nell’organizzare eventi di musica contemporanea, nel propi-
157

ziare l’introduzione della Musica nella Scuola dell’obbligo e la riformulazione di un


corso di composizione moderno e aggiornato, varato nel 1970 e denominato Nuova
Didattica della composizione; 3) la rivista Ordini (un solo numero pubblicato nel
1959); nel 1960 “informalmente” (la costituzione ufficiale arriverà nel 1964, ma
senza la partecipazione di Guaccero all’atto giuridico di fondazione), l’importante
associazione Nuova Consonanza, che dall’anno successivo propone un festival di
musica contemporanea tuttora esistente. Sempre nel 1960, Guaccero prende parte
alla nascita delle Settimane Internazionali di Nuova Musica di Palermo, e tre anni
più tardi della versione stampata della rivista Collage: determinanti in questo caso
i contatti con i siciliani Francesco Agnello, Paolo Emilio Carapezza e Antonino
Titone, guide del GUNM di Palermo. Nel 1968, infine, fonda con Branchi, Evange-
listi, Macchi, Marinuzzi jr., Ketoff e Guiducci lo Studio di Musica Elettronica R7.
In questo dispiegarsi di iniziative, ce n’è una che riguarda il teatro musicale: la
costituzione nel ’65 – con Egisto Macchi, e negli intenti anche con Sylvano Bussotti
– della Compagnia del Teatro Musicale di Roma, nata con ambiziosi propositi di
organizzazione di una stagione di teatro musicale sperimentale “off” rispetto alla
istituzionalità – gestionale e artistica – degli Enti Lirici, ma poi limitata alla realiz-
zazione dei progetti teatrali dei fondatori fino al 1968: per Macchi, A(lter)A(ction)
(1965 e 1966); per Guaccero, Rappresentazione et esercizio e Scene del potere,
entrambe del 1968: successo della prima, caduta della seconda, ma essenzialmente
per incompleta o carente preparazione dell’allestimento e dell’esecuzione (nono-
stante – o forse proprio per – la compartecipazione di un soggetto grand’istituzionale,
l’Ente Lirico Teatro Massimo di Palermo, non certo portatore di un’attitudine a
seguire e produrre opere fortemente sperimentali). Sul fronte didattico, Guaccero
insegna fino al 1970 presso il Conservatorio di Pesaro (dove nel 1970-71 avvia un
corso straordinario di Musica Elettronica). Su quello privato, sposa nel 1961 Anna
Maria Toro, matrimonio dal quale nascono due figli, Paolo (1963) e Giovanni (1966),
dediti anch’essi alla professione musicale.
1970-1984. L’attività didattica prosegue (insegnamento di composizione) nei
Conservatori di L’Aquila (1970-73), Frosinone (1973-78) e Roma (1978-1984): tra
gli allievi di spicco formatisi con Guaccero, i compositori Carlo Crivelli, Michelan-
gelo Lupone, Giorgio Nottoli, Sergio Rendine, Alessandro Sbordoni, nonché molti
interpreti (il direttore Gianluigi Gelmetti). Si fa abbastanza intensa anche l’attività
di autore di musiche di scena, nelle quali porta la sua inclinazione a lavorare in équipe
sperimentali e multidisciplinari: significative sono, in questo settore, le musiche
dello spettacolo Kombinat Joey elaborato dal collettivo intercodice Gruppo Altro
(suo membro era Achille Perili, personalità artistica romana catalizzatrice di vari
progetti di teatro musicale sperimentale), e quelle per il ciclo dell’Orestiade con il
Teatro Stabile d’Abruzzo, in un allestimento innovativo per l’uso dello spazio (regia
di A. Calenda). Gli anni Settanta vedono Guaccero proseguire senza pause il suo
impegno con Nuova Consonanza, e suscitare una serie di ristretti gruppi di studio o
esecutivi, di tipo improvvisativo (anche teatral-musicale, ma più spesso elettronico,
grazie alla diffusione dei primi sintetizzatori in voltage control: Centro per la Musica
Sperimentale; De Dé; Musica ex Machina; Intermedia…), insieme ai suoi allievi o
ad altri musicisti e performer, quali Alvin Curran, Luca Lombardi, Mario Schiano,
Bruno Tommaso etc. È una germinazione analoga e coeva al diffondersi di un teatro
sperimentale agile e anti-convenzionale nelle cosiddette “cantine romane”, che se-
158

gna anche un ripiegarsi “semi-privato” della ricerca dopo le utopie degli anni Ses-
santa. Gli ultimi allestimenti di articolate opere di teatro musicale (molti altri brani
del suo catalogo fino alla morte hanno comunque una componente fortemente “ge-
stuale”) risalgono dunque agli anni 1972-73, quando vanno in scena, con esito curio-
samente simmetrico a quello della coppia del 1968, Novità assoluta, una pièce di
dimensioni cameristiche dopotutto ben recepita da un pubblico pur mondano (era
destinata, nel Piccolo Festival di Positano del ’72, a far coppia con l’Histoire du
soldat), e il balletto Rot, “miccia” nel 1973 di tumulti nel pubblico ideologicamente
prevenuto del Teatro dell’Opera. Da lì in poi, l’attività di Guaccero nel teatro mu-
sicale – compresa una ripresa di Novità assoluta nel ’77 – è principalmente lo sbocco
di quelle iniziative di laboratorio, portate avanti quasi iniziaticamente con pochi fidi
performer (nel caso del gruppo Intermedia, dal 1977-78 in poi, Lucia Vinardi, Lydia
Biondi e Claudio Conti), e analoghe all’orientamento dei gruppi-laboratorio statu-
nitensi (Living Theatre, Oper Theatre), del Teatr Laboratorium di Grotowski, del-
l’Odin Teatret di Barba, e di molte altre esperienze del nuovo teatro italiano di quegli
anni, peraltro perfettamente note a Guaccero proprio per la loro collocazione geogra-
fica romana (Quartucci, Celli, Ricci etc.). Pur prodotto dal Teatro dell’Opera di
Roma, lo spettacolo Fatti d’amore e di guerra del 1980 non contraddice questa linea,
trovandovisi coinvolti i medesimi performer di Intermedia e il regista Ezio Alovisi
(già committente e regista della pièce cameristica Novità assoluta), e per di più
inglobante il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, quale incuna-
bolo di una drammaturgia musicale che prescinde dagli schemi produttivi operistici.
Poco dopo aver fondato a Roma con Macchi l’Istituto della voce, Guaccero si spegne,
dopo una lunga malattia, all’età di 57 anni.

Melodrammaturgia, stile, fortuna


L’esordio teatral-musicale, nel 1956, di un Guaccero ancora studente, reca precise
coordinate stilistiche e letterarie: pur con una vena personale, La farmacista si
inserisce nel filone della melodrammaturgia di vena grottesca appena successiva
al secondo dopoguerra; i riferimenti più prossimi per l’autore sono costituiti dal
Petrassi de Il cordovano e Morte dell’aria, anche se il tono leggero da commedia
con cui è declinata l’insoddisfazione esistenziale del ruolo del titolo rinvia più
alla prima opera che ai profondi e tragici interrogativi etici della seconda.
Un successivo progetto per Le petit prince da Saint-Exupéry viene abbandonato
all’altezza dell’incontro di Guaccero con le più avanzate tendenze linguistiche
della neo-avanguardia musicale, compresa quella del cosiddetto “teatro strumen-
tale” o “musica gestuale”, che in Europa esplode dopo la storica presenza di Cage
ai Ferienkurse del 1958: la crisi del linguaggio musicale vi viene rappresentata
disarticolando il gesto dal suono e dall’orizzonte di senso linguistico destinato ad
esser prodotto da entrambi, immettendo così nell’opera elementi fortemente ete-
rogenei e metacritici. Guaccero si inserisce in questo filone soprattutto negli anni
1963-65, con una serie di lavori per piccolissimo organico che da un lato mettono
in scena la crisi della comunicazione linguistico-musicale attraverso l’importazio-
ne di azioni e testi dal teatro dell’assurdo di Ionesco (Incontro a tre, Nuovo
incontro (a tre), in cui sono centonizzati motivi teatrali da Le sedie, La cantatrice
calva e La lezione); dall’altro cerca di superarla con un’attitudine ludica e
159

valorizzatrice della nuda materia timbrica o corporeo-performativa (Negativo, o


la serie degli Esercizi, eseguibile – come negli happening cageani – in libera
sovrapposizione simultanea dei quattro brani).
In realtà, già a quest’altezza cronologica Guaccero sta elaborando, nella teoria
(unico in Italia insieme a Nono) e nella prassi compositiva (nel qual caso ci si
riferisce a Scene del potere), una nuova forma di teatro musicale, che non scarta
a priori – anche se in sostanza lo evita – il tradizionale impianto melodramma-
turgico operistico. La critica dialettica di Guaccero al teatro operistico è al
contempo storica (l’opera è ormai una forma non-attuale ed epigonale) e sistema-
tica (le relazioni standardizzate tra le componenti drammaturgiche in un’opera
lirica, e finanche l’impostazione dello spazio con la sua univocità di direzione,
mortificano la ricchezza di potenziali relazioni insita nel teatro musicale ampia-
mente considerato), ma traspare la consapevolezza di una alta e vitale funzione
sociale e collettiva dell’opera in passato, funzione che un nuovo teatro musicale
deve – per un militante come Guaccero – saper reinventare.
Ciò è possibile sintetizzando in chiave attiva il teatro di rappresentazione
(corrispondente al teatro brechtiano, che nel rappresentare istituisce una distanza
critica e sprona il fruitore a prendere attivamente una posizione) e di partecipazione
(l’happening, in cui vengono annullati i confini tra “celebranti” e “fruitori” del
rito teatral-musicale). Questo quadro teorico rimarrà sostanzialmente immutato
fino alla produzione tarda, quando Guaccero prediligerà il performer quale luogo
di questa sintesi nel vivo del proprio corpo-mente, agente allo stesso tempo da
mimo, vocalista e strumentista: prende il sopravvento dunque l’aspetto esoterico
e sintetico (il performer deve de-specializzarsi, ed essere in uno attore, cantante
e interprete strumentale), mentre a metà anni Sessanta, quando Guaccero fonda
la Compagnia del Teatro Musicale di Roma, pur già presente il tema della de-
specializzazione (nei brani gestuali, così come in Scene del potere, al direttore
e ai pochi strumentisti è prescritto di recitare a tutti gli effetti, di considerare i
propri strumenti alla stregua di “oggetti scenici”, e al compositore è richiesto di
saper conoscere e coordinare in équipe altre competenze tecnico-creative diverse
da quella strettamente compositiva), l’approccio è ancora fortemente essoterico e
analitico. Non è un caso che sia portato a riferimento lo Stravinsky dell’Histoire
du soldat (una delle drammaturgie più “analitiche” di uno Stravinskij ancor più
radicale rispetto alle istanze di autonoma espressione dei linguaggi artistici e di
loro raccordo – ma non fusione – progettuale portate avanti nei Ballets Russes);
né è un caso che i materiali preparatori per Scene del potere, fino a quelli per
Rot, lascino emergere una concezione contrappuntistica del teatro musicale, con
le diverse dimensioni formali-espressive (suono vocale cantato o parlato, strumen-
tale, elettronico, movimenti coreografici e azioni corporee, elementi visivi –
scenografie luci o proiezioni) a tramare un ordito polifonico variamente intrecciato
per densità e tipologia di relazione semantica.
Nonostante l’esiguità numerica degli interpreti, Scene del potere è un progetto
complesso, a partire dal dedalico montaggio testuale, passando per l’innovativo
percorso relazionale nello spazio tra interpreti e spettatori (da una prima parte di
fruizione frontale si passa a una terza parte ribaltata, col pubblico sulla scena e i
performer in sala), fino all’elaborazione dei materiali scenici, co-firmata (come il
testo) con il pittore romano Franco Nonnis, a conferma di un’organica relazione tra
neo-avanguardie pittoriche e musicali nella Roma di quegli anni. Il progetto lunga-
160

mente gestato, ambizioso, forse eccessivamente articolato, di Scene del potere, cui
Guaccero lavora sin dal 1961 (la prima versione verrà abbandonata e riformulata),
è una prima grande sintesi di tali motivi, tenuta assieme dal tema del potere, non solo
quello politico-economico-scientifico subìto (parte prima) o agito, seppur inconsape-
volmente (parte seconda), ma anche quello sperimentato su se stessi, la “discesa
all’interno” necessaria a una iniziatica esperienza di “salita di grado” (parte terza).
Analoga ambivalenza, del tutto coscientemente portata avanti, investe il balletto
Rot, anche in questo caso un parto sofferto (il Teatro dell’Opera lo aveva program-
mato sin dal 1970, ma andrà in scena con le coreografie di Amedeo Amodio solo
nel 1973, curiosamente nella stessa serata della prima di un altro autore pugliese,
Orazio Fiume): la successione di tre colori scenici (nero - bianco - rosso) richiama
il processo alchemico, ma – nell’apparizione finale di un immenso drappo rosso –
anche un processo di liberazione politico-sociale, nel quale Guaccero (socialista
dopo i moti di Budapest nel 1956) non esita a citare – in chiave problematica – moti
anti-sovietici, particolare che accentuò la baruffa “tutti contro tutti” alla prima
romana.
Un più scoperto valore sacro-esoterico o politico (senza abbandonare del tutto
la polisemia delle strutture simboliche) hanno rispettivamente Rappresentazione
et esercizio e Novità assoluta. Il primo dei due, col suo tenersi sul crinale tra
rappresentazione e rito, concretizza una spinta decisiva nella direzione sintetica
e laboratoriale: i dodici interpreti, pur partendo da una competenza performativa
specifica (attoriale / vocale / strumentale), condividono anche le altre, da prepararsi
in base a una partitura di azioni molto definita quanto a timing, e ricorrente a una
notazione che è sia grafico-analogica, sia simbolico-operativa (con segni da as-
similare ad hoc, o rinvianti spesso alla notazione neumatica gregoriana). Il tragitto
narrativo va dalla genesi del logos alla sua incarnazione e resurrezione, confluente
– questa – dalla “rappresentazione” al con-fondersi arte/vita dell’esercizio mistico-
spirituale, una struttura simile allo sbocco nella terza parte di Scene del potere.
Il secondo lavoro mette in scena il divorarsi progressivo dei poteri (religioso,
giudiziario, militare, scientifico) sotto la regia di un super-potere, e sotto la spinta
delle nuove forze sociali: un’immagine visionaria, che guarda all’utopica palin-
genesi dello stato borghese come a una – improbabile – “novità assoluta”. Simil-
mente a tutti gli altri lavori, la rosa degli interpreti è ristretta (nove) e gli stru-
mentisti – pur non cantando né recitando – sono on stage, interagendo con gli altri
interpreti; i materiali musicali, più ancora che nei lavori precedenti, mostrano una
molteplicità linguistica governata dal loro potenziale scenico-teatrale e, soprattut-
to, dal loro essere materia sonora che si fa situazione narrativa: per questo, è
lasciato ampio spazio all’elaborazione performativa dell’interprete (il contenuto
teatrale-musicale di molte scene è più prescritto da istruzioni, che descritto in
notazione mensurale o cronometrica, e alcune pagine di partitura appaiono alla
stregua di un copione con inserti in notazione musicale), e dunque a una sorta di
“scrittura scenica”, com’era definita – nella sperimentazione teatrale del tempo
– la prassi dell’elaborazione inventiva delle azioni da parte di performers e regista.
In tutti i lavori citati successivi al 1965 (e con particolare incidenza in Scene
del potere e Rot) viene utilizzata in modo non ancillare la tecnologia elettroa-
custica: Guaccero la impiega per ampliare lo spettro dei materiali (suoni e voci
con carattere documentario) o il loro comportamento sonoro, modulandone il
161

potenziale in direzione referenziante o puramente acustica, oppure per costruire


differenti piani di spazialità sonora. Nonostante il teatro musicale di Guaccero sia
una forma di teatro agibile (così Guaccero definisce, sulla scorta dell’Histoire du
soldat, le opere teatral-musicali da camera, con un numero di interpreti dal vivo
ben lontano dalle masse operistiche e un apparato tecnico e scenografico in qualche
modo trasportabile), non è a tutti gli effetti un teatro povero alla Grotowski, ovvero
un teatro centrato solo ed esclusivamente sul corpo dell’attore, per quanto esso
corpo – con la sua educazione/preparazione performativa – sia fondamentale anche
in Guaccero quale luogo privilegiato della sintesi teatrale.
Tali caratteristiche, insieme alla ricchezza, alla novità e alla multiformità di
spunti, rendono l’opera di Guaccero tanto interessante e densa di significato,
quanto problematica nella ricezione e nella modellizzazione. Altamente conside-
rata nell’ambiente della sperimentazione multidisciplinare, la sua opera è stata
sulla scena finché l’autore ne ha tenuto viva la sua concezione e prassi labora-
toriale: l’esperienza che porta alla realizzazione è in questo caso importante quanto
l’evento terminale. Il lascito del teatro musicale di Guaccero si lascia individuare
più in alcune soluzioni profetiche in parte ancora da sviluppare, nell’invito al
superamento dei confini tra generi e forme d’espressione in direzione di nuove
forme multi-media, o in una prassi oggi abituale nel teatro meglio che nell’opera
contemporanea: chiosando un giudizio di uno storico del teatro del ‘900, Marco
De Marinis (In cerca dell’attore. Un bilancio del Novecento teatrale, Bulzoni
Editore, Roma 2000, p. 126), «un teatro vi finisce, forse irreversibilmente, ma altre
possibilità, altri embrioni drammatici vi brulicano e aspettano di essere variamente
fecondati».

Bibliografia
(DBI, DEUMM, MGG, NG2001)
ALOVISI Ezio, Disamina affettuosa di un decennio di avventure teatrali con Domenico Guaccero,
in Domenico Guaccero, teoria e prassi dell’avanguardia, atti del Convegno Internazionale di
Studi (Roma, Università «La Sapienza», 2-4 dicembre 2004), a cura di Daniela M. Tortora, Aracne
Editrice, Roma 2009, pp. 431-440.
ANDERSON Christine, Sperimentare con musica e scena. Le prime gestuali di Domenico Guaccero
a confronto, in Domenico Guaccero, teoria e prassi dell’avanguardia, atti del Convegno
Internazionale di Studi (Roma, Università «La Sapienza», 2-4 dicembre 2004), a cura di Daniela
M. Tortora, Aracne Editrice, Roma 2009, pp. 249-296.
ANNIBALDI Claudio, Musica gestuale e nuovo teatro, in «La musica moderna», vol. VII: le avan-
guardie, Fratelli Fabbri Editore, Milano 1967, pp. 129-157.
Di Domenico Guaccero. Prassi e teoria, Nuova Consonanza editrice, Roma 1984.
Domenico Guaccero, Numero monografico «Archivio Musiche del XX secolo», CIMS, Palermo 1995.
Domenico Guaccero. Iter di un musicista operativo, a cura di Dino Tarantino, Tip. Mare, Bari 2004.
Kombinat Joey, numero monografico di «Grammatica», n. 4, settembre 1972.
GIANNI Stefania, Domenico Guaccero. La vita come arte, in «Musica/Realtà», XX, n. 60 (novembre
1999), pp. 57-78.
GUACCERO Domenico, Un’esperienza di “teatro” musicale, 1963, in di Domenico Guaccero. prassi
e teoria, Nuova Consonanza editrice, Roma 1984, pp. 147-166 (edito precedentemente, ma privo
dell’ultimo capitolo, in «Il Verri», nuova serie, n. 21, 1966, pp. 53-66).
–, Postilla sul teatro musicale, 1966, in «Duemila», II (1966), n. 6, pp. 79-85.
–, Testo parallelo A:B sulla storia della musica “sacra” in occidente, in «Lo spettatore musicale»,
IV, novembre-dicembre 1969, pp. 10-16.
162

–, Sulla tradizione del teatro musicale, in di Domenico Guaccero. prassi e teoria, Nuova Con-
sonanza editrice, Roma 1984, pp. 180-192.
–, “Un iter segnato”. Scritti e interviste, a cura di Alessandro Mastropietro, Ricordi-LIM, Lucca 2004.
MASTROPIETRO Alessandro, Nuovo Teatro Musicale tra Roma e Palermo, 1961-1973, tesi di dottorato
in Storia e Analisi delle Culture Musicali, XIV ciclo, a.a. 2003-2004, Università «La Sapienza»
di Roma - Università di Palermo.
–, Riflessione teorica e presenza storica in alcuni brevi scritti di Domenico Guaccero, in «Musica/
Realtà», XXV, n. 75 (novembre 2004).
–, L’interno/esterno della voce: su Scene del potere di Domenico Guaccero, in Voce come soffio,
Voce come gesto. Omaggio a Michiko Hirayama, atti del Convegno Internazionale di Studi,
(Roma, Università «La Sapienza», 9-10 giugno 2003) a cura di Daniela M. Tortora, Aracne Editrice,
Roma 2008, pp. 121-170.
–, Ancora una “scena del potere”: Novità assoluta (1972), in Domenico Guaccero, teoria e prassi
dell’avanguardia, atti del Convegno Internazionale di Studi, (Roma, Università «La Sapienza»,
2-4 dicembre 2004) a cura di Daniela M. Tortora, Aracne Editrice, Roma 2009, pp. 297-316.
–, Rot, un teatro musicale contrappuntistico-alchemico-militante, in Un iter inverso, atti dell’In-
contro di Studi su D. Guaccero nel ventennale della morte, a cura di Maria C. De Amicis, L’Aquila,
Istituto Gramma, Solisti Aquilani, Accademia di Belle Arti e Conservatorio “A. Casella” dell’Aqui-
la, novembre 2004, in preparazione.
MONOPOLI Giuseppe, Il teatro musicale di Domenico Guaccero tra rappresentazione et esercizio,
in Conservatorio di Bari «N. Piccinni». Ricerca musicologia e didattica, a cura di Salvatore
Colazzo, Amaltea, Bari 2000, pp. 47-74. Ripubblicato in «Sonus», 2002, n. 21/22, pp. 40-63.
SALIS Giuliano, Gli “Esercizi” di Domenico Guaccero, in «Studi musicali», 2000, n. 2, pp. 499-523.
TORTORA Daniela M., Nuova Consonanza. Trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-
1988), LIM, Lucca 1990.
TROZZI Gianni, Il Gruppo Altro, uno sguardo retrospettivo tra linguaggi, forme e gesti nei primi
spettacoli, in «Chorégraphie», III, n. 6 (autunno 1995), pp. 91-102.
Visione che si ebbe nel cielo di Palermo, a cura di Floriana Tessitore, Cidim/Amic - Nuova Eri, Roma
2003.
ZILOCCHI Letizia, La farmacista di Domenico Guaccero, opera da camera in un atto da un racconto
di Èechov, in Domenico Guaccero, teoria e prassi dell’avanguardia, atti del Convegno Inter-
nazionale di Studi (Roma, Università «La Sapienza», 2-4 dicembre 2004) a cura di Daniela M.
Tortora, Aracne Editrice, Roma 2009, pp. 249-276.

Risorse on-line

Piuttosto che segnalare una serie di siti contenenti disparate notizie su Guaccero si preferisce
rimandare il lettore unicamente a www.guaccero.it dove gli si offre un’abbondante messe
di informazioni e di collegamenti ad altri strumenti di ricerca on-line.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

La farmacista Daniele Paris, 1956 Arson-Disques Pyral, L’Echo du Monde


Rappresentazione et esercizio Sergio Rendine, 1984 Musica Immagine Records, MR Clasics
MR 10016
Rot Marco Angius, 2004
(per il nastro magnetico
Gianluigi Gelmetti, 1973) Die Schachtel, DS6
Cinque canti del tasso (da
Fatti d’amore e di guerra) 2010 Nireo (in uscita)
163

Opere drammatiche

1. La farmacista, opera da camera in un atto di Enrico Panunzio e Domenico Guaccero


da Cechov, Roma Conservatorio di Musica S. Cecilia 19 giugno 1956.
2. Incontro a tre (Variazioni su Ionesco), per flautista e due pianisti, montaggio testuale
a cura dell’autore, AQ Auditorium del Castello 26 maggio 1963.
3. Nuovo incontro (a 3), per voce femminile e due pianisti, montaggio testuale a cura
dell’autore, Roma Teatro Ateneo 19 aprile 1964.
4. Negativo, per un flautista su testi propri, Darmstadt Ferienkurse 18 luglio 1964.
5. Esercizi, per attore/mimo, voce, pianista, clarinettista su testi propri, 1965 ma prima
esecuzione completa Roma 22 novembre 2001.
6. Scene del potere, azione scenico-musicale in tre tempi su testi originali di Domenico
Guaccero e Franco Nonnis con frammenti da autori vari, PA Teatro Biondo 30 dicembre
1968.
7. Rappresentazione et esercizio, azione sacra su montaggio testuale a cura dell’autore,
PG Chiesa di S. Filippo Neri 28 settembre 1968.
8. Kombinat Joey, azione teatrale a cura del Gruppo Altro, Roma, Teatro Abaco 1-5 luglio
1970.
9. Orestiade, musiche di scena per il ciclo tragico di Sofocle con regia di Antonio
Calenda, AQ Teatro Stabile d’Abruzzo 1970.
10. Novità assoluta, azione teatrale su montaggio testuale a cura dell’autore, Positano 30
giugno 1972 \ Roma Teatro Alberico 1977.
11. Rot, azione coreografica, montaggio testuale a cura dell’autore, Roma Teatro dell’Ope-
ra 12 giugno 1973.
12. Fatti d’amore e di guerra, testi dalla Gerusalemme Liberata a cura di Ezio Alovisi,
Roma Teatro Araldo 1 aprile 1980.

Alessandro Mastropietro
164

GIACOMO LAPOLLA
Gravina (BA) 1843 - ivi dicembre 1925

Di Giacomo Lapolla è arduo ricostruire un profilo biografico stante l’insufficienza


di notizie. Recentemente è stata avviata un’operazione di riscoperta di questo
musicista in seno alle manifestazioni culturali del suo paese natale (il 13 maggio
2002 e il 19 marzo 2005).

Bibliografia

SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Bari, Laterza & Polo, 1966, p. 134.
«Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», XI, n. 3, 1894, p. 28.

Opere drammatiche

1. Papà Gianni, commedia lirica in tre atti di Matteo Pignatelli, non rappresentata. (I atto
presso la Fondazione Pomarici Santromasi).
2. Saridda, bozzetto lirico drammatico di Matteo Pignatelli, 1892-1898 non rappresentato.
3. Padron Giorgio, commedia lirica in tre atti di Matteo Pignatelli, non rappresentato.

Fabrizio Bugani
165

REINHOLD RAOUL LAQUAI


Molfetta (BA), 1 maggio 1894 - Oberrieden, 3 ottobre 1957

Figlio di Johann Georg Wilhelm, chimico e industriale, e di Emma Sophie Fornachon.


Molti dizionari (tra cui lo Schmidl) fissano il luogo di nascita a Zurigo, quando
invece è oramai assodato che Laquai vide la luce a Molfetta. Dal 1908 al 1915
studiò con Lothar Kempter e Volkmar Andreae (teoria e composizione) al
Conservatorio di Zurigo e con Ferruccio Busoni a Berlino. Dopo un soggiorno di
cura a Leysin (1916-18), fu docente presso il Conservatorio di Zurigo e svolse il
ruolo di organista della chiesa francese protestante (dal 1920 al 1955). Tra il 1921
e il 1925 si distinse come uno dei compositori svizzeri di maggior successo con
un alto numero di rappresentazioni alla Tonhalle di Zurigo. Dopo il 1926 iniziò
un periodo di declino e di allontanamento dalla produzione scenica a tutto vantaggio
di quella strumentale; Laquai fu infatti autore prolifico di sinfonie, musica da
camera, composizioni per pianoforte, brani per coro e lieder.

Bibliografia

(SCHMIDL)

LANDAU Annette, Dizionario storico della Svizzera www.hls-dhs-dss.ch


SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Bari, Laterza & Polo, 1966, p. 134.
WYLER Robert, Reinhold Laquai, 1894-1957: Werkverzeichnis mit erganzenden Ubersichten und
Belegen zur Biographie und Werkrezeption, Schweizerische Landesbibliothek, Bern 1981.

Opere drammatiche

1. Der Schleier der Tanit, Schauspiel in einem Aufzug von Ernst Bauer (da Salambò di
Falubert) luglio 1923.
2. Die Revisionsreise, Komische Oper in zwei Akten von Ernst Bauer, 4 giugno 1924.

Lorenzo Mattei
166

PASQUALE LA ROTELLA
Bitonto (BA), 26 febbraio 1880 - Bari, 20 marzo 1963

Cronologia

1880-1893. Pasquale La Rotella nasce a Bitonto in via Termite da Vito, scrivano,


e da Bibiana Ambrosi. Le difficoltà economiche in cui vive la famiglia si aggravano
quando nel 1885 muore il padre. Molte notizie biografiche sono narrate dallo stesso
La Rotella nei suoi Appunti aneddotici sulla mia vita dall’infanzia a oggi, scritti
nel luglio 1955 e ritrovati fra le carte conservate dalla figlia Wanda. La Rotella
racconta di essersi accostato alla musica all’età di quattro anni, suonando melodie
a orecchio su un rudimentale zufolo di stagno. Nel 1886 entra a far parte della
banda musicale giovanile di Bitonto, diretta da Nicola Bellezza, oboista e padre
del più noto direttore d’orchestra Vincenzo Bellezza. L’esordio avviene il giorno
di ferragosto con l’esecuzione al flauto del valzer di Strauss An der schönen blauen
Donau. A otto anni entra come convittore nel Conservatorio napoletano di «San
Pietro a Majella», dove viene ammesso nonostante non avesse ancora l’età prevista
dal regolamento (questo grazie al maestro Camillo De Nardis che assiste al suo
esame di ammissione e dispone per la deroga). Qui studia nella classe di flauto
di Italo Piazza. Nel 1893, dopo aver conseguito il diploma, ripropone la sua
ammissione al conservatorio per intraprendere un nuovo percorso musicale. Viene
ammesso come alunno esterno e completa la sua formazione studiando organo con
Enrico Maria Bossi, pianoforte con Vincenzo Romaniello, composizione con Nicola
D’Arienzo.
1894-1896. L’indigenza della sua famiglia, la condizione di alunno esterno privo
dei benefici dei convittori, e gli scarsi guadagni provenienti da lezioni private e
attività orchestrali, spingono il compositore a tenere concerti la sera in alcuni cafè
chantant. Il periodo che va dal 1894 a parte del 1895 è per La Rotella uno dei
più tristi di tutta la sua esistenza, alla miseria costante che gli impedisce di
dedicarsi con serenità agli studi, si aggiunge la malattia della sorella che poco dopo
muore. La svolta avviene quando De Nardis propone al compositore di strumentare
in sua vece l’opera Rocco di Emanuele Gianturco jr., un suo allievo, e di dirigerla
presso il Teatro Mercadante. Il successo dell’opera rende noto il nome del giovane
direttore bitontino, non ancora quindicenne, ma nello stesso tempo gli comporta
l’espulsione dal conservatorio, il cui regolamento non permetteva agli allievi di
esporsi al pubblico giudizio prima del diploma. La Rotella continua comunque a
studiare preparandosi agli esami finali, brillantemente superati nel 1896. Nel
frattempo viene ingaggiato per dirigere la stagione lirica del Teatro Umberto I di
Bitonto, con opere quali Cavalleria Rusticana, Ernani, Faust e Napoli di car-
nevale di Nicola De Giosa. In questa occasione conosce Domenico Pannone, che
prende a cuore la sua sorte e quella della sua famiglia, sostiene il giovane musicista
diventando una sorta di mecenate. A partire da queste prime esperienze, ha inizio
167

una densa e lunga attività direttoriale che lo porterà a lavorare in moltissimi teatri
in Italia e all’estero.
1896-1911. Nel 1896 si trasferisce a Milano dove comincia a dedicarsi alla
composizione, partecipando alla vita culturale della città e guardando con interesse
al clima di rinnovamento che stava investendo il panorama musicale italiano.
Nonostante ciò, La Rotella resta estraneo alle istanze della “Generazione dell’Ot-
tanta”, sentendosi invece attratto dall’opera e dalla tradizione melodrammatica
ottocentesca. Un romanzo d’appendice sul «Secolo» di Milano fornisce lo spunto
per la sua prima opera Ivan, su libretto di Armando Perotti. L’opera va in scena
nel gennaio 1900 per la stagione del Teatro Piccinni di Bari ottenendo un grande
successo che determina quattordici serate di replica e l’approdo al Teatro Dal
Verme di Milano. L’anno successivo La Rotella ritorna a Bari per assumere
l’incarico di direttore della Schola Cantorum della Basilica di San Nicola, ottenuto
dopo aver superato un concorso ministeriale. Nel periodo in cui ricopre tale carica,
dal 1902 al 1911, compone molta musica vocale sacra, messe e brani polifonici
rimasti inediti, fra cui spiccano l’Inno a S. Nicola, la Messa degli Angeli e la
Missa in honorem S. Nicolai. Tra i suoi allievi ci sono i compositori Franco
Casavola e Pasquale Di Cagno. Il primo periodo presso la Schola coincide con
l’anno di volontariato svolto dal compositore in luogo del servizio militare. In
questi mesi incontra Goffredo di Crollalanza (padre del futuro senatore Alfredo)
con cui progetta la sua seconda opera Dea, rappresentata nella prima stagione del
neonato Teatro Petruzzelli (1903). Il successo è buono nonostante le critiche inferte
al librettista, lo stesso Crollalanza che per i suoi versi si era ispirato al romanzo
Les nuits du Père-Lachaise di Léon Gozian. Nel 1904 sposa Angela Scannicchio,
appassionata di musica e cantante dilettante, che collabora con lui alla realizza-
zione dell’opera successiva Fasma (1908), su libretto di Arturo Colautti. Tra il
1910 e il 1911 La Rotella si accinge a scrivere la sua quarta opera Maria di Trento,
ispirata al romanzo Il destino di Nicola Misasi, attualmente irreperibile e forse
mai completata.
1911-1919. Dopo aver lasciato la carica presso la Schola Cantorum, ha inizio
per La Rotella un periodo lavorativo molto intenso, con la direzione di numerose
opere presso il Teatro Petruzzelli di Bari e in Francia, Belgio, Nord America,
Messico, nei teatri di città quali Nizza, Barcellona, Budapest, Cairo. Nel 1912
si ristabilisce a Milano, ma l’inizio della guerra e la chiamata alle armi lo costringe
a interrompere per qualche tempo l’attività direttoriale. Scrive alcune marce
militari, fra cui Gorizia, Rompete le righe e l’Inno a Fiume su testo di D’An-
nunzio, il quale lo ricompensa con l’Ordine della Stella d’Oro di Fiume. Nella
città occupata il compositore, grazie alla mediazione di Ricciotto Canudo, viene
chiamato a dirigere un concerto per raccogliere fondi in favore dei bimbi poveri
di Fiume. Durante gli anni del conflitto muore la figlia Fasma di nove anni, evento
che contribuisce alla paralisi dell’attività compositiva, già gravemente compromes-
sa dalla sensazione di disagio nei confronti di una realtà musicale italiana che
sembra allontanarsi sempre più dai suoi orizzonti rimasti legati alla tradizione
verista. Terminata la guerra, mentre l’attività direttoriale riprende a pieno ritmo,
quella compositiva persevera in un lungo silenzio che si estende sino ai primi anni
Trenta.
168

1920-1950. Negli anni Venti La Rotella continua a lavorare come direttore in


Italia e all’estero. Nel 1928 riporta sulle scene l’opera di Niccolò Piccinni La
Cecchina ossia La buona figliuola, dirigendone la prima esecuzione integrale
presso il Teatro Petruzzelli, in occasione del secondo centenario della nascita del
compositore. Per celebrare l’evento, La Rotella scrive anche un saggio dal titolo
Niccolò Piccinni commemorato dal maestro Pasquale La Rotella (Tipografia
Cressati, Bari, 1928). Alla fine degli anni Venti risalgono le opere sinfoniche
Mattino della montagna, bozzetto campestre (1928), e Poema di gioia (1929).
Il ritorno all’opera in musica avviene con Corsaresca (1933), su libretto di Enrico
Cavacchioli, che, accanto a Donna lombarda di Alessandro Cicognini, vince il
Concorso triennale organizzato dalla Corporazione dello Spettacolo. Probabilmen-
te allo stesso periodo risale l’opera Vincenzella, da un testo di Libero Bovio, su
versi dello stesso Cavacchioli, anch’essa irreperibile e forse mai portata a termine.
Nel 1933 è nominato direttore stabile dell’Opéra di Montecarlo, incarico che porta
avanti fino al 1950. Contemporaneamente si trasferisce nuovamente a Bari per
assumere la direzione dell’allora liceo musicale «Niccolò Piccinni» di Bari, carica
ricoperta dal 1934 al 1949, con un permesso annuale di 45 giorni per assolvere
agli impegni di Montecarlo. Sotto la sua guida il liceo progredisce: si aggiungono
nuovi insegnamenti, viene sviluppato un vasto programma di esercitazioni orche-
strali e corali, si riorganizza l’intero piano didattico fino ad arrivare all’equipa-
razione con i conservatori del Regno nel 1937. Il successo di Corsaresca lo induce
a trarne una suite sinfonica in 5 tempi, diretta in prima assoluta da Dimitri
Mitropoulos all’Opéra di Montecarlo, il 27 marzo 1935. L’occasione per cimen-
tarsi in una nuova opera nasce dall’incontro con un amico di vecchia data, Arturo
Rossato, librettista e uomo di teatro. Quella che sarà anche l’ultima opera di La
Rotella richiede diversi anni di lavoro: i due collaborano a partire dai primi anni
Quaranta fino al secondo dopoguerra, concependo un’opera ambientata in Messico
dal titolo Fattoria – come raccontato dallo stesso compositore – o La ragazza della
Fattoria (riportata con data 1942 nel II volume di Censura teatrale e fascismo
(1931-1944): la storia, l’archivio, l’inventario, a cura di Patrizia Ferrara, Mi-
nistero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2004).
L’opera è rappresentata per la prima volta al Teatro di Nizza nel 1948 con il titolo
definitivo di Manuela.
1950-1963. Con la morte di Arturo Rossato, il compositore ritiene ormai impos-
sibile trovare nuovi stimoli che lo spingano a comporre un’opera. Gli anni Cinquanta
sono densi di impegni direttoriali, mentre sul fronte compositivo l’attenzione si
rivolge ad altri generi, soprattutto musica sacra e musica da camera. Del 1955 sono
la Preghiera della Vergine, per orchestra, su testo di Hrand Nazariantz, e il Poema
sinfonico, che viene diretto da Rossi e trasmesso da Radio Torino il 14 febbraio.
L’impossibilità di scrivere nuove opere non gli impone di rinunciare a quello che
definisce «un intimo dovere», ossia il rifacimento della partitura di Fasma, andata
distrutta durante la seconda guerra mondiale nel bombardamento che aveva colpito
l’edificio dell’editore Sonzogno. Nel 1960 scrive la Messa su temi gregoriani e lo
Stabat Mater, dedicato al pontefice Pio XII. Muore a Bari il 20 marzo 1963. Nel
1977 viene eretto un busto in suo onore nella villa comunale del suo paese natale.
Presso la biblioteca del conservatorio «Niccolò Piccinni» di Bari è depositato il
fondo musicale La Rotella, donato nel 1986 dagli eredi del compositore.
169

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La personalità musicale di Pasquale La Rotella esprime i suoi frutti migliori


nell’opera in musica, ritenuto il genere maggiormente adatto a soddisfare la sua
primaria esigenza di comunicare col grande pubblico. La produzione operistica di
La Rotella resta sostanzialmente legata al clima e alla drammaturgia della tradi-
zione verista italiana, ma non è del tutto insensibile alle moderne istanze italiane
ed europee, cui il musicista si accosta soprattutto grazie alla sua esperienza
direttoriale.
La collocazione dei lavori teatrali in quell’ambito musicale definito neo-verista,
è determinata soprattutto da due fattori presenti nell’opera di La Rotella. In primo
luogo la specifica visione del verismo quale teatro di «verità e immediatezza di
rappresentazione umana» (Gianandrea Gavazzeni, La musica e il teatro, Nistri-
Lischi, Pisa, 1954, p. 63); in secondo luogo la centralità del canto, poiché «senza
melodia e senza canto non vi può essere teatro lirico “italiano”» (La Rotella, Il
trionfale successo di “Corsaresca” al Petruzzelli, «La Gazzetta del Mezzogior-
no», 8 febbraio 1934, p. 3).
Nel dissidio fra la coerenza ai valori musicali consacrati dalla tradizione e
l’interesse verso la modernità, la posizione di La Rotella nel panorama musicale
della prima metà del Novecento non può che risultare scomoda, vissuta dal
musicista tra difficoltà di adattamento e faticosi tentativi di proporre, senza frain-
tendimenti, la propria idea di musica. Nel suo percorso compositivo si alternano
momenti di entusiasmo, periodi di crisi e di stasi compositiva, nonostante il
puntuale successo di ogni opera riscosso presso il pubblico e la critica. L’ esordio
con l’opera Ivan si colloca pienamente nella tradizione verista già a partire dalla
scelta del soggetto, tratto da un feuilleton di fine secolo in cui una sofferta vicenda
d’amore si svolge nella Russia rivoluzionaria di metà Ottocento. Nonostante l’am-
bientazione, La Rotella resta immune dal fascino dell’esotico, non ricorre a temi
originali russi o a specifici moduli localistici, se non nell’unico caso della russa
Canzone dell’usignolo inserita all’inizio del terzo atto. Il linguaggio di Ivan è
prettamente “occidentale”, privo di quel colore locale tipico di molte opere veriste.
La Rotella predilige la cantabilità, la romanza, ma non nasconde le moderne
influenze evidenti nei cauti cromatismi e nel ricorso alla tecnica del leitmotiv.
Ivan, nonostante i successi ottenuti, cade nel dimenticatoio. Secondo il parere del
compositore, Ricordi e Sonzogno non acquistarono l’opera per via del suo carattere
rivoluzionario, elemento presente anche in altre opere di stampo verista che dunque
non giustifica pienamente l’epilogo di Ivan. L’opera successiva, Dea, prosegue
sulla scia di Ivan, ma risulta meno riuscita, soprattutto per via del libretto di
Crollalanza, poco efficace dal punto di vista drammaturgico e oggetto di numerose
critiche. In quest’opera La Rotella sperimenta per la prima volta l’intermezzo
strumentale, elemento peculiare del verismo e largamente presente nella successiva
produzione del compositore. La terza opera, Fasma, costituisce una vera e propria
svolta rispetto alle esperienze precedenti, determinata soprattutto da un rinnovato
impianto drammaturgico-narrativo e dalla novità delle risorse musicali messe in
campo. Il primo elemento che emerge è la forte presenza del colore locale prima
rifiutato. La vicenda amorosa di una zingara ambientata in Polonia durante gli anni
del conflitto russo-polacco del 1830 – storia appartenente al filone inaugurato da
170

Carmen, opera più volte diretta dallo stesso La Rotella – offre il materiale adatto
per sviluppare alcuni modi compositivi già inaugurati e sperimentare del nuovo.
Una forza drammatica più matura, una tecnica del leitmotiv maggiormente fun-
zionale, un’attenzione particolare all’armonia con il ricorso al modalismo e alla
scala gitana, una vocalità più curata, sono alcuni dei tratti che rendono Fasma
una delle opere più riuscite di La Rotella. Il nuovo corso intrapreso dal compositore
sembra avere un immediato sviluppo con Maria di Trento, opera cui ci si può
accostare solo tramite fonti indirette, vista la scomparsa della partitura. Per que-
st’opera il compositore impone specifiche indicazioni al librettista, col preciso
intento di sperimentare una notevole esiguità di mezzi musicali, eliminando quasi
del tutto coro e romanze per lasciare maggior spazio all’azione. Allo stato attuale,
non sappiamo se Maria di Trento sia stata mai ultimata. Al fervore di questo
periodo segue una lunga pausa compositiva dovuta a ragioni mai chiaramente
esplicitate dal musicista, ma probabilmente riconducibili soprattutto alle difficoltà
di tornare alla scrittura operistica in una realtà musicale sempre più distante dalle
sue aspirazioni. L’incontro con Enrico Cavacchioli e il concorso nazionale indetto
dalla Corporazione dello Spettacolo lo stimolano alla composizione di una nuova
opera, Corsaresca, che compare sulle scene venticinque anni dopo Fasma. Il
compositore resta legato al verbo verista, ma il linguaggio mostra i suoi debiti nei
confronti di Debussy e dello Strauss del Rosenkavalier. Lo stesso soggetto del-
l’opera, a cavallo tra mito e realtà, ne denota la modernità, anche se l’impianto
resta squisitamente tradizionale, con la centralità assoluta del canto. Gli apprez-
zamenti del pubblico e di critici – anche di quelli poco inclini ad apprezzare il
tardo verismo, quali Alceo Toni e Mario Labroca – sanciscono il successo dell’ope-
ra, replicata in numerosi teatri italiani. L’iter compositivo inaugurato da Fasma
e proseguito con Corsaresca non ha seguito e, dopo alcuni anni di silenzio, il
compositore torna alla scrittura operistica virando decisamente verso il passato,
riappropriandosi nuovamente di una concezione drammaturgica verista che preve-
de, in particolare, la ripresa del folklore e dell’enfasi melodica, e una semplifi-
cazione del linguaggio specialmente dal punto di vista armonico. Tutto ciò carat-
terizza l’ultima opera, Manuela, che presenta già nel soggetto e nell’ambienta-
zione messicana – ispirata da una tournée direttoriale nel centro America – la sua
perfetta appartenenza a una passata stagione musicale. Difficile stabilire le ragioni
di questo atteggiamento d’altronde comune, in quegli anni, a molti altri musicisti
che, per coerenza, convinzione o altro, non si avventurarono nel nuovo rimanendo
refrattari a tutto quello che in modo sempre più corrosivo stava “violando” la
tradizione lirica italiana. In occasione della trionfale prima di Manuela a Nizza,
La Rotella così si esprimeva: «contrariamente a quello che pensano i “dodeca-
fonisti”, io dico, che oggi più che mai il dovere degli operisti moderni dovrebbe
esser quello di ridonare al nostro gloriosissimo teatro lirico il suo antico splendore,
percorrendo il cammino sulla via lasciata da Verdi, da Mascagni, da Puccini, da
Giordano. Il repertorio teatrale va sempre più impoverendosi perché non nascono
opere, che interessino il pubblico, il quale comincia a dar segni di stanchezza per
certi lavori cerebrali, che sono la negazione del vero classico teatro italiano»
(Manuela, «La Gazzetta del Mezzogiorno», 25 aprile 1948, p. 3). L’opera in
musica nella visione di La Rotella deve dunque rifarsi alla tradizione del bel canto
italiano e spogliarsi dei “tecnicismi”, poiché solo in questo modo può assolvere
171

al suo precipuo compito di essere arte comunicativa capace di instaurare un


rapporto proficuo col pubblico. L’irreperibilità di Maria di Trento e Vincenzella
sottrae certamente materiale prezioso ai fini di una ricostruzione più precisa del
percorso compositivo di La Rotella in ambito operistico.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, EITNER, ES, NG2001, NGO, PIPER, SCHMIDL, STIEGER)

CASTELLANO Antonio, Pasquale La Rotella, Raffaello, Bitonto 1994 («Bitonto», 3).


FASSONE Alberto, La Rotella e la metamorfosi della musa verista in Italia, Schena, Fasano 1991.
LA ROTELLA Pasquale, Appunti aneddotici di Pasquale La Rotella, a cura di Michele Viggiano, in
«Miscellanea di studi pugliesi», a cura di Paolo Malagrinò, Schena, Fasano 1984, pp. 141-151.
LOMONACO G. A., La “Dea”del maestro Pasquale La Rotella, in «Rassegna Pugliese di scienze, lettere
ed arti», n. 3, 1903, pp. 92-94.
SERENA DI LAPIGIO Nicola, Maria di Trento, la nuova opera del maestro Pasquale La Rotella, in
«Rassegna Pugliese di scienze, lettere ed arti», n. 1, 1911, pp. 48-49.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano, 1861-1900: dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, pp. 263-264.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 135-136.

Edizioni

– Ivan, riduzione per canto e pianoforte di Pasquale La Rotella, Fantuzzi, Milano 1903.
– Fasma, riduzione per canto e pianoforte di Pasquale La Rotella, Sonzogno, Milano 1908.
– Corsaresca, riduzione per canto e pianoforte di Pasquale La Rotella, proprietà dell’autore, 1933.

Opere drammatiche

1. Ivan, dramma lirico in tre atti di Armando Perotti, BA Piccinni 20 gennaio 1900
(partitura in I-BAcp*) \ MI Dal Verme 24 giugno 1900.
2. Dea, dramma lirico in tre atti di Goffredo di Crollalanza, BA Petruzzelli 11 aprile 1903
(partitura in I-BAcp*).
3. Fasma, dramma lirico in tre atti di Arturo Colautti, MI Dal Verme 28 novembre 1908
(atto I, interludio atto III e aria Croce, croce di Dio in I-BAcp*.) \ BA Piccinni 21
gennaio 1928; Il Cairo Teatro Reale 13 marzo 1929; BA Petruzzelli 3 gennaio 1939.
4. Maria di Trento, melodramma in tre atti di Nicola Misasi, non rappresentato.
5. Corsaresca, visione tragica in tre atti di Enrico Cavacchioli, Roma Argentina 13 no-
vembre 1933 (partitura in I-BAcp*) \ BA Petruzzelli 7 febbraio 1934.
6. Vincenzella, melodramma in tre atti di Enrico Cavacchioli, non rappresentato.
7. Manuela/La Fattoria, dramma lirico in tre atti di Arturo Rossato, Nizza Municipale
4 marzo 1948 (partitura in I-BAcp*) \ CT Bellini 16 aprile 1950 \ BA Petruzzelli 14
gennaio 1951.
Beatrice Birardi
172

VINCENZO LAVIGNA
Altamura (BA), 21 febbraio 1776 - Milano, 14 settembre 1836

Cronologia

1776-1789. Vincenzo (Giuseppe, Angelo, Antonio) nasce ad Altamura il 21


febbraio 1776 dal materano Ludovico Lavigna e dall’altamurana Apollonia Ca-
rone. Non si è a conoscenza della formazione musicale compiutasi probabilmente
presso la cattedrale cittadina.
23 giugno 1790 - 23 luglio 1799. Queste le date, riportate in un documento
edito da Salvatore Di Giacomo («Idea Nazionale», 13 dicembre 1915), del de-
cennale tirocinio compositivo svoltosi presso il Conservatorio «S. Maria di Loreto»
di Napoli sotto la guida di Fedele Fenaroli, Saverio Valente, Saverio Verde e, forse,
Giuseppe Gargani. La stessa fonte attesta l’ottimo curricolo dell’allievo forestiero
cui venne diminuita progressivamente la retta, da 40 ducati a 12 ducati nel 1797,
anno in cui assunse il ruolo di “mastricello” (il corpo docenti e gli allievi del S.
Maria di Loreto si era trasferito presso il Conservatorio di Sant’Onofrio a Capua-
na). Tra i primi impegni compositivi si distinguono un gruppo di sei fughe (datate
novembre 1792) e di sette quaderni d’esercizi che recano correzioni firmate da
Saverio Verde, oggi conservati nel Fondo Noseda della Biblioteca del Conserva-
torio di Milano, eloquenti testimonianze di un training svoltosi all’insegna del
contrappunto (lo stesso che Lavigna imporrà in modo coercitivo al giovane Verdi).
Tra il 1797 e il 1798, insieme ad altri “mastricelli” del conservatorio, Lavigna
provvede alla musica per la festività di Sant’Irene nella chiesa di San Luigi dei
Francesi e riceve la prima paga: 5 ducati.
1802-1805. Entrato sotto l’ala protettiva di Paisiello, Lavigna spera in un debutto
extra-napoletano ed accompagna a Milano il maestro tarantino (diretto verso Parigi
dove lo aveva richiesto Napoleone). Alla Scala (14 giugno 1802, terza opera della
stagione di primavera), probabilmente grazie alle pressioni esercitate da Paisiello
stesso sull’impresario Francesco Benedetto Ricci, Lavigna riesce a far rappresentare
la sua prima opera: la farsa in un atto La muta per amore ossia il medico per forza,
su libretto di Giuseppe Foppa tratto dal Médecin malgré lui di Molière, che a detta
del non sempre attendibile Pompeo Cambiasi fu coronata da «esito buonissimo». Il
felice incontro dell’esordio di Lavigna operista è confermato dalla replica della
farsa come quinta e ultima opera della stagione di carnevale 1803. Nell’autunno
1802 Lavigna vince il concorso per accedere al ruolo di maestro al cembalo alla
Scala – la notizia trova conferma in LUCA DE SAMUELE CAGNAZZI nell’opera manoscrit-
ta Notizie varie di Altamura e dei distinti cittadini altamurani del suo tempo; una
lettera di Paisiello (cfr. DE NAPOLI, p. 54) contiene gustosi consigli del maestro su
come blandire la commissione – ruolo che manterrà fino al 1832. Nel contempo
Lavigna è cooptato per la composizione delle musiche dei balli pantomimi degli
spettacoli scaligeri (la prima prova fu con il pantomimo Gengis-Kan di Antonio
173

Monticini). Non è certa la notizia che fissa, sempre nel 1803, la composizione
dell’Idolo di se stesso per il Comunale di Ferrara. Nel 1804, pur proseguendo
l’impegnativo compito di estensore delle musiche per i balli, sempre alla Scala
riesce a mettere in cartellone l’opera buffa L’impostore avvilito (11 settembre). Il
quadriennio di commissioni per il massimo teatro di Milano si conclude con Eraldo
ed Emma, scritta in collaborazione con Mayr e Orlandi (8 gennaio 1805).
1806-1822. Il buon successo ottenuto alla Scala attira su Lavigna l’attenzione
degli impresari del Regio di Torino (dove si rappresentano ben tre opere nel giro
di quattro stagioni, tra il 1806 e il 1809) e della Fenice di Venezia (nella primavera
1807 si mette in scena il dramma eroicomico di Foppa Le metamorfosi). L’attività
a Milano resta comunque indefessa confermata da documenti conservati nell’Ar-
chivio Storico milanese (Spett. pubbl., cart. 47, f. 7, protocollo della direzione
n. 15061 del 27 maggio 1812) e nella Biblioteca Trivulziana, testimonianze
preziose per comprendere, sulla base di una comparazione tra onorarii, quanto
ancora il maestro altamurano fosse considerato un artista di medio livello (1.500
lire per la composizione d’un’opera seria e 1.050 per una buffa erano paghe
mediocri). In questi anni Lavigna ha modo di conoscere i più significativi nomi
del melodramma pre-rossiniano e assume dimestichezza con le loro partiture (che
spesso deve adattare, ritoccare, concertare). Insieme alle novità dei vari Federici,
Generali, Mayr, Morlacchi, Nicolini, Paer, Pavesi, egli resta un convinto assertore
del valore formativo insito nei grandi maestri del passato lontano (il Durante della
tradizione contrappuntistica) e più recente (Haydn e Mozart); proprio di Mozart
cura l’allestimento milanese del Così fan tutte (19 settembre 1807) e del Don
Giovanni (17 ottobre 1814) additando ai suoi discepoli (Verdi compreso, suo
allievo dal 1832 al 1835) quelle opere come uno dei migliori modelli di scrittura
operistica. Dal 1818 inzia a dare lezioni di composizione (in quell’anno accoglie
un giovanissimo Ruggero Manna).
1823-1836. Nel 1823 assume il ruolo di docente di Solfeggio nel Conservatorio
milanese (la cattedra era stata di Ferdinando Orlandi) che mantiene fino alla morte.
Da questo momento Lavigna intensifica l’attività didattica, anche in ambito privato,
imponendosi come uno degli insegnanti più ricercati a Milano (in questi anni, oltre
a Verdi, insegna composizione a una serie di talentuosi compositori esordienti, tra
cui il suo famulus Giacomo Panizza). I primi segni di un forte esaurimento nervoso
si palesano a cominciare dal 1827. Dal matrimonio con Teresa Sivelli nacque di
certo una figlia, Francesca. Non si hanno invece notizie sicure su SALVATORE LAVIGNA
che alcuni biografi indicano come un possibile figlio di Vincenzo: Salvatore è noto
per aver fatto rappresentare l’opera Matilde al Nuovo di Napoli il 26 settembre 1851
(cfr. Florimo, IV, p. 212). Dopo aver diradato gli impegni didattici in modo drastico
già dal 1829, Lavigna si spense il 14 settembre 1836.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Lavigna ebbe modo di assorbire in uno dei maggiori palcoscenici internazionali


quanto di meglio stava esibendo il melodramma nostrano nel primo decennio
dell’Ottocento. La pratica con le nuove leve dell’operismo europeo s’accompa-
174

gnava a un’ottima conoscenza dei maestri del passato, da Corelli a Benedetto


Marcello, da Scarlatti fino a Haydn e Mozart. Desta quindi stupore che, forte di
una tale preparazione, Lavigna non fosse stato in grado di andare oltre alle
conquiste dell’ultimo Paisiello, pur stagliandosi rispetto a molti operisti di pro-
venienza “napoletana”, quali ad esempio Raffaele Orgitano o il conterraneo Fiodo
– tra i due si ravvisano notevoli coincidenze circa l’iter professionale – in par-
ticolare per la finezza di strumentatore e per l’efficacia drammatica degli ensem-
bles. In seno alla proteiforme melodrammaturgia pre-rossiniana Lavigna tenta di
mantenere saldo un equilibrio formale di conio settecentesco prediligendo la
componente vocale su quella strumentale e mostrando di essere a proprio agio in
architetture più esili rispetto a quelle opulente di Federici, Fioravanti o Mayr. La
sua è una concezione “neoclassica” che si sposa, non a caso, con i presupposti di
poetica espressi da Luigi Romanelli, librettista col quale Lavigna collaborò in più
occasioni. Nonostante ciò l’aver intonato i testi di Foppa, Rossi e Anelli – dove
il rinnovamento dell’opera seria e buffa prendeva le mosse da una complessa
mescidanza stilistica – ha comportato per Lavigna un forte adeguamento a istituti
morfologici elastici e tutti plasmati sull’azione prima ancora che sulla parola.

Bibliografia
(DBI, DEUMM, ES, IBI, MGG, NG2001, NGO, SCHMIDL, STIEGER)
Gli affetti convenienti all’idee: studi sulla musica vocale italiana, a cura di Rosa Cafiero, Maria
Caraci Vela e Angela Romagnoli, ESI, Napoli 1993, pp. 549-580.
L’arcano incanto. Il teatro Regio di Torino 1740-1990, a cura di Alberto Basso, Electa, Milano 1991,
pp. 59, 341, 536-538.
CAMBIASI Pompeo, La Scala 1778-1906. Note storiche e statistiche, Ricordi, Milano 1906.
DE NAPOLI Giuseppe, Nel centenario verdiano: due musicisti altamurani maestri di Giuseppe Verdi,
in «Rassegna Pugliese di scienza, lettere ed arti», nn. 6-8, ottobre 1913, pp. 299 e sgg.
–, Il maestro di Verdi: Vincenzo Lavigna, in «La Lettura», XXVIII, fasc. 2 (febbraio 1928), pp. 138-
144 (on-line su emeroteca.braidense.it).
–, La triade melodrammatica altamurana: Giacomo Tritto (1733-1824), Vincenzo Lavigna (1776-
1836), Saverio Mercadante (1795-1870), Industrie Rosio & Fabe, Milano 1931; ristampa ana-
statica, Altagusta Editrice, Altamura 1984.
Diminution and Harmony-oriented Counterpoint in Late Eighteenth Century Naples: Vincenzo
Lavigna’s Studies with Fedele Fenaroli, in Amerikanische und europäische Traditionen der
Schenker-Rezeption, edited by Oliver Schwab, Michael Polth, Hartmut Fladt, Olms, Hildesheim
2006.
FÉTIS François-Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique,
F. Didot, Paris 1873, vol. V, p. 232.
GATTI Carlo, Verdi, Alpes, Milano 1931, I, pp. 62-79, 189.
HANNENMANN Beate, Canti rivoluzionari e culto del sole: l’opera rivoluzionaria e massonica al
teatro La Fenice 1797-1815, in «L’aere è fosco il ciel s’imbruna». Arti e musica a Venezia dalla
fine della Repubblica al congresso di Vienna, atti del convegno internazionale di studi (Venezia
10-12 aprile 1997) a cura di Francesco Passadore e Franco Rossi, Fondazione Levi, Venezia 2000,
pp. 299-314: 311-312 [su Le metamorfosi].
MANFERRARI Umberto, Dizionario Universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1955,
II, p. 218.
RIZZO Dino, L’apprendista compositore: Provesi e Lavigna maestri di musica di Giuseppe Verdi,
in «Arte organaria e organistica», VIII (2001), 38, pp. 12-19.
–, Provesi & Lavigna. Musiche per organo, edizione critica a cura di Dino Rizzo, Bergamo, Caparra,
2002 (il lavoro è confluito in sede discografica Provesi & Lavigna maestri di Giuseppe Verdi.
Sinfonie, sonate, adagi e fughe per organo San Paolo audiovisivi EAN 8013147470621)
175

SERENA Ottavio, I musicisti Altamurani Notizie raccolte e pubblicate da Ottavio Serena in occa-
sione del centenario di Saverio Mercadante, Tip. F.lli Portoghese, Altamura 1895, pp. 25-27.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 142-143.
ZIINO Agostino, Luigi Romanelli ed il mito del classicismo nell’opera italiana del primo Ottocento,
in «Chigiana», XXXVI (1984), pp. 173-215.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Duetto Come potrò resistere?


da Hoango sta in A Hundred
Years of Italian Opera 1800-1810 David Parry/ 1979 CD Opera Rara ORCH101

Risorse on-line

L’Archivio Biblioteca Museo Civico di Altamura possiede un fortepiano appartenuto a


Lavigna che è stato esposto al pubblico nel 2009 in occasione di una mostra dedicata a
Mercadante: la mostra è visibile sul sito www.trmtv.it.

Opere drammatiche

1. La muta per amore ossia il medico per forza, farsa in un atto di Giuseppe Foppa da
Molière, MI Scala 14 giugno 1802 \ MI Scala carn. 1803 (libretto in I-Fm, I-Mc, I-
Nc, I-Vgc).
2. Idolo di se stesso, melodramma n.n., FE Comunale 1803?
3. L’impostore avvilito, melodramma giocoso di Luigi Romanelli, MI Scala 11 settembre
1804 (libretto in: I-Fm, I-Mc, I-Vgc).
4. Eraldo ed Emma, melodramma eroico in due atti di Gaetano Rossi (in collaborazione
con con Mayr e Orlandi), MI Scala 8 gennaio 1805 (libretto in I-Bam, I-Mc, I-Mcom,
I-Rn).
5. Coriolano, melodramma serio in due atti n.n. di Luigi Romanelli?, TO Regio 20
gennaio 1806 (un rondò e una cavatina in I-Mc).
6. Hoango, opera seria di Giandomenico Boggio, TO Regio 19 gennaio 1807 \ rielaborato
da Luigi Romanelli col titolo Orcamo MI Scala 28 gennaio 1809 (partitura in I-Mc*).
7. Le metamorfosi, dramma eroicomico in un atto di Giuseppe Foppa, VE Fenice pri-
mavera 1807 (libretto in I-Vgc).
8. Di posta in posta, melodramma giocoso in due atti di Luigi Romanelli, MI Scala 2
luglio 1808 (libretto in I-Fm, I-Mc, I-Mcom).
9. Palmerio e Claudia, opera seria di Luigi Romanelli, TO Regio 20 gennaio 1809
(Rondò e cavatina in I-Mc).
10. Zaira, melodramma n.n., FI 1809?
11. Chi s’è visto s’è visto, dramma giocoso in due atti di Angelo Anelli, MI Scala 23 aprile
1810 (libretto in I-Fm, I-Mc, I-Nc; partitura in I-Mc*).
Lorenzo Mattei
176

FRANCESCO LIBETTA
Galatone (LE), 16 ottobre 1968

Cronologia

1968-1987. Francesco Giuseppe Libetta nasce a Galatone, dove i genitori ge-


stiscono una farmacia. Trasferitosi a Nardò con la famiglia, apprende precocemente
i rudimenti della lettura musicale dai cugini, intraprendendo poi lo studio sistemati-
co del pianoforte prima con Francesca Cioffi e, dal 1980, con Vittoria De Donno,
che nel 1987 lo porta al diploma con lode e menzione d’onore presso il Conser-
vatorio di Lecce.
1988-1998. Dopo alcune lezioni con Cosimo Colazzo, Libetta studia contrap-
punto con Igino Ettorre; nel 1991 si trasferisce a Roma, per studiare composizione
con Gino Marinuzzi jr., e nel 1993 a Parigi, per seguire i corsi di Jacques Castérède
e le attività dell’Ircam. Qui ha modo di suonare vari pezzi all’Espace de Projection
(tra cui Pluton di Philippe Manoury, con l’autore al mixer) e di frequentare
seminari e corsi tenuti da Tristan Murail e Pierre Boulez. Nel 1994 rientra in Italia,
riprendendo la carriera di concertista solista ed eseguendo tra l’altro alla Sala Verdi
di Milano il ciclo completo dei cinquantatre Studi elaborati da Leopold Godowsky
sugli Studi di Fryderyk Chopin, esecuzione che gli assicura notorietà internazio-
nale.
1998-2008. Trasferitosi a Lecce, dove insegna Musica da Camera al Conserva-
torio, inizia a collaborare con il Balletto del Sud del coreografo Fredy Franzutti,
componendo musica per balletto (Duo), dirigendo orchestre per titoli di repertorio
(La Bella addormentata nel bosco, Lo Schiaccianoci di Pëtr Il’ic Cajkovskij),
ovvero per balletti di nuova ideazione (Carmen, con musiche di Georges Bizet, Jules
Massenet, Isaac Albéniz e Emmanuel Chabrier) e gala. Anche nell’attività di con-
certista Libetta dimostra interesse per l’opera lirica e il teatro: tra le sue prime
registrazioni dicografiche figurano, di Franz Liszt, sia le parafrasi pianistiche su
opere italiane e francesi, sia le trascrizioni e parafrasi su musiche di Richard Wagner;
né manca l’interesse verso il melodramma del Settecento, come dimostra la realiz-
zazione e registrazione di una Serenata a dispetto elaborata su temi tratti da Amor
vuol sofferenza di Leonardo Leo. Un suo concerto solistico (particolarmente “te-
atrale” per virtuosismo e scelte orientate da valenze visive, nonché per la presenza
di musiche da balletto, quali la sua trascrizione del “Pas de deux dell’Uccello Blu”
dalla Bella Addormentata, e un brano da Sylvia di Léo Delibes, il cui tema è suonato
da un solo dito) viene filmato durante il festival francese della Roque d’Anthéron
da Bruno Monsaingenon, ed è accolto dalla critica francese con grande entusiasmo
(cfr. recensioni in «Diapason d’or», «Choc de Le Monde de la Musique», «Racco-
mandé par Classica»). Con la Fondazione statunitense Patrons of Exceptional
Artists e con amici salentini, Libetta nel 2002 fonda a Lecce l’Associazione «Nireo»
177

per una sempre più intensa attività sul territorio. Nel 2005 è invitato da Franco
Battiato a recitare nel film su Ludwig van Beethoven Musikanten. Nel 2006 registra
le trentadue sonate di Beethoven e, in un video live di due concerti milanesi, i
cinquantatre Studi di Godowsky-Chopin.
2008-2010. Su invito della Farm e suggerimento di Battiato, che supervisiona
il lavoro, Libetta scrive le musiche (e i versi di alcune arie) per l’opera Ottocento,
ispirata all’assedio subito da Otranto nel 1480 per parte degli Ottomani: il testo,
curato da Fredy Franzutti, segue la lettura che Maria Corti fa dell’evento nel
romanzo L’ora di tutti. La prima esecuzione si tiene appunto ad Otranto (bastioni
del Castello aragonese) nell’agosto del 2009, con ripresa a Roma (Auditoriom della
Conciliazione) nel gennaio 2010. L’attività pianistica di Libetta prosegue con la
registrazione a fine 2009 dell’opera integrale per tastiera di Georg Friedrich
Händel e, nei primi mesi del 2010, con l’esecuzione dell’integrale di Chopin.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La definizione di Ottocento come “opera popolare”, dovuta essenzialmente a fini


commerciali, introduce a problemi di carattere strutturale. Libetta, che ha trattato
della nascita ed evoluzione della “musica leggera” anche in alcuni saggi (cfr.
L’effimera arte della verità, in Quando le sere al placido, a cura di Giovanni
Invitto, Grafiche Panico, Galatina 2008), partecipa con i suoi lavori alle problema-
tiche della recente moda del “cross-over”: fenomeno che, pur generando spesso
musica di facile ascolto ma di aspetto patinato, potrebbe più efficacemente
ricollegarsi alle esperienze del Volks e Kunstlied, nonché alla “popolarità” del
melodramma tradizionale. Secondo lo stesso Libetta, pur nella volontà di scrivere
musica “leggera”, Ottocento non si può definire “di consumo”, come dimostra l’uso
costante dello stile gregoriano (cfr. l’Introduzione strumentale, dove lo stile è citato
in forma trasfigurata o reinventata; la scena della Litania, dove lo stesso motivo
torna armonizzato, sovrapposto e modulato; e l’ultima scena, con il Coro dei Martiri,
parafrasi di un Inno del IV secolo). Evidenti sono poi gli omaggi a Francis Poulenc
(l’intermezzo danzato su un a solo di violino e le ultime pagine, con medesima
struttura dei Dialogues des Carmelites); mentre musiche popolari “salentine” (Dan-
za delle maghe greche) sono accostate a rielaborazioni di musiche da muezzin di
diversa estrazione mediterranea (a solo dell’Araldo nel I atto, con un soprano di
coloratura nel ruolo del turco castrato che, cantando con dizione volutamente
incomprensibile, è tradotto frase per frase da un attore-interprete). Ma gli accosta-
menti tra citazioni volutamente mascherate sono una costante della scrittura di
Ottocento: la scena alla corte di Napoli è basata sul mottetto Lamentatio Sanctis
Matris Ecclesiae Costantinopolitanae di Guillaime Dufay, scritto appunto a Napoli
verso il 1458. Anche per i due canti popolari intonati sui bastioni dai pescatori
improvvisatisi soldati, endecasillabi seicenteschi (dall’Idriade di Francesco Me-
gha) si intersecano a versi (pure rimaneggiati) di Voltaire (da Le Baron d’Otrante).
Ottocento ha conosciuto, come open work, tagli, arrangiamenti (con e senza stru-
menti elettronici) e mutazioni testuali, essendo proposto in versioni molto diverse
tra loro (in questo si avvicina alla natura ‘modulare’ del melodramma tradizionale).
178

Mai rappresentato, Iopa (epico cantore alla corte di Didone) ha un linguaggio più
elusivo. Il lavoro teatrale si è presto dissolto in molti pezzi strumentali e vocali,
eseguiti o pubblicati separatamente.
Operazione teatrale fuori schema resta la lettura di inedite poesie giovanili di
Carmelo Bene da parte della sorella del poeta, Maria Luisa, nella grotta della
Poesia di Roca, su un palco sospeso sull’acqua. La crudezza degli accostamenti
stilistici del giovane Bene si riflette nell’eterogeneo materiale musicale con cui
Libetta punteggia le letture, in alternanza o sovrapposizione. Il linguaggio, spesso
modale, si appoggia ad una scrittura informale e aleatoria, per rientrare in citazioni
(Wagner, Epitaffio di Sicilo) e autocitazioni (da Iopa e varia musica cameristica).
Suoni elettronicamente rielaborati e un ensemble dal vivo si integrano.

Bibliografia

BOLOGNINI Pierluigi-MONTEFUSCO Luigiantonio, Lecce nobilissima, Edizioni del Grifo, Lecce 1998.
DE PASCALIS Vincenzo, Nardò nella Provincia di Lecce, Grafiche Panico, Galatina 1997.
–, Nardò maestra di civiltà, Grafiche Panico, Galatina 2000.
LOVATO Vanna, Franco Battiato - L’interminabile cammino del Musicante, Editori riuniti, Roma
2007.
MAFFEI Adolfo, In Poltrona, Il Corsivo, Manduria 1998, pp. 22-31.
MITCHELL Mark, Vladimir de Pachman: a Piano Virtuoso’s Life and Art, Indiana University Press,
Bloomington 2002.
Non solo Lirica. Il concertismo a Milano fra ‘700 e ‘900, a cura di Luisa Longhi, Nuove Edizioni,
Milano 1996.
PESCE BUONAMICO Lori, Quando ero piccolo. Rircordi d’infanzia di cinquanta protagonisti della
cultura salentina, Schena Editore, Fasano 2002, pp. 56-57.
PIANA Roberto, Around the Piano, Magnum Edizioni, Sassari 2000.
RIMM Robert, The Composer-Pianist, Amadeus Press, Portland 2002.
SATORU Takaku, Francesco Libetta, in «The Record Geijutsu», gennaio 2002.
SANTORO Luigi, La poesia nella Poesia. Carmelo Bene, poesie giovanili, Adriatica Editrice Salentina,
Lecce 2009.

Risorse on-line

Si veda il sito www.libetta.it per l’attività del musicista. Sulla realizzazione e concezione
di Ottocento, con numerose foto di scena, è ottimo il sito www.operapopolare.it Per una
discografia completa si rimanda al sito www.nireo.it.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Musiche per Bene Ensemble 2009 Nireo 012


Four souls De Maria/Libetta 2005 VAI, VAIA 1212
Ottocento 2010 Nireo (in uscita)
Le Candide (da Iopa) 1998 Eventyr ED 180481202
179

Edizioni

– Touche et Continuità senza soluzione da Iopa (versione per pianoforte solo), Manduria,
Barbieri Editore, 1994.

Opere drammatiche

1. Iopa, opera teatrale, Roma,Villa Medici, giugno 1996.


2. Duo, musiche per il balletto di Fredy Franzutti, Lecce Teatro Paisiello, marzo 2001.
3. Four Souls, musiche per balletto, Fort Lauderdale, Broward Center, febbraio 2002.
4. Musiche per Bene, musiche di scena, Roca, Grotta della Posia, settembre 2005.
5. Eolitabularia musica, musiche per balletto, Taranto, Teatro Orfeo 2006.
6. Tema del viaggio musiche per Sognavo le nuvole colorate, film-documentario di Mario
Balsamo prodotto da Oistros e Torelli, Roma 2009.
7. Ottocento - Il Martirio di Otranto, opera popolare su testi di Fredy Franzutti, Otranto,
Castello Aragonese, agosto 2009 \ Roma, Auditorium della Conciliazione, gennaio
2010.

Carla Cantatore
180

GIUSEPPE LILLO
Galatina (LE), 26 febbraio 1814 - Napoli, 4 febbraio 1863

Cronologia
1814-1834. Giuseppe Lillo nasce il 26 febbraio 1814 a Galatina da Giosuè e
Maria Rosaria Ayroldi, ma la sua infanzia ha luogo a Lecce, dove la famiglia si
trasferisce tre anni più tardi. Il padre – un buon maestro di cappella e uno stimato
insegnante di canto – ravvisa fonti di maggiore guadagno presso le chiese e i
palazzi della nobiltà leccese, piuttosto che fra le vestigia dell’antico ducato di San
Pietro in Galatina. Giosuè avvia il figlio alla musica, ma in breve lo affida al
leccese Luigi Carnovale per lo studio del basso numerato. Il ragazzo, dotato di
inconsueta memoria auditiva ed eccezionale tecnica pianistica, a soli dieci anni
si esibisce con favore nei salotti della città, al punto che alcuni gentiluomini si
prodigano perché intraprenda più avanzati studi a Napoli. Giuseppe accede all’am-
bito Real Collegio di Musica della città partenopea proprio in quel 1826 quando
la sede è trasferita da San Sebastiano a San Pietro a Majella. Al cospetto delle
capacità musicali di Lillo, Nicola Zingarelli, il direttore del Real Collegio, gli
assegna una borsa di studio “per merito straordinario” e lo accoglie nella sua stessa
classe quale allievo di contrappunto. Giovanni Furno – già insegnante di Bellini
e Mercadante – è incaricato dell’insegnamento dell’“armonia sonata”, mentre
Francesco Lanza ne veglia i progressi al pianoforte. In occasione del Carnevale
del 1834, come saggio per il compimento degli studi, Lillo compone la sua prima
opera, La moglie per 24 ore, ossia L’ammalato di buona salute, una commedia
buffa in due atti allestita presso il teatrino del Real Collegio.
1835-1846. La fortuna di questa prima partitura operistica gli schiude le porte
del Teatro Nuovo, per il quale nel ’35 scrive Il giojello, “dramma per musica”
in due atti. La definitiva consacrazione dovrebbe aver luogo al Teatro San Carlo,
dove, nel ’37, si rappresenta Odda di Bernaver, ma l’opera, su libretto di Giovanni
Emanuele Bidera, riceve una tiepida accoglienza. Nuovi smacchi vengono dalla
“tragedia lirica” Rosmunda in Ravenna (1838) per la Fenice di Venezia e dal-
l’opera semiseria Alisia di Rieux (1838) per il Teatro Valle di Roma. Nondimeno,
le sorti di Lillo come autore teatrale si risollevano proprio al San Carlo con Il Conte
di Chalais (1839), su libretto di Salvatore Cammarano. L’osteria di Andujar
(1840), “azione comica” in due atti, è l’ultima opera di successo. Una serie di
fiaschi al San Carlo (Cristina di Svezia nel ’41, Lara nel ’42) porta il compositore
salentino ad abbandonare momentaneamente il teatro. Per quasi cinque anni, dal
’42 al ’46, si dedica all’insegnamento del pianoforte e alla composizione di musica
da salotto, recando un contributo importante alla produzione vocale da camera
della Napoli di metà Ottocento. Dal 20 settembre al 5 ottobre 1845 figura fra i
partecipanti al Settimo Congresso degli Scienziati italiani, un evento di rilevante
importanza perché nelle intenzioni di Ferdinando II di Borbone segna l’occasione
181

di stilare un resoconto della cultura scientifica del Regno, di cui egli è un appas-
sionato patrocinatore. Lillo vi è presente in qualità di “socio corrispondente della
R. Accademia di Belle Arti” per la sezione di Matematica. Ciò si spiega col fatto
che pochi mesi prima è stato nominato, al posto di Pietro Casella, “Ispettore della
classe di partimenti” presso le sezioni esterne del Real Collegio; e poiché lo studio
dei partimenti, ossia dell’armonia, è associato ai numeri, Lillo rientra nel settore
matematico a questo titolo. L’8 agosto 1846 subentra a Giacomo Cordella in qualità
di insegnante di armonia sonata presso il Real Collegio, ma Torino gli offre
l’opportunità di riprendere a comporre per le scene. Di fatto, prima della fine
dell’anno il Teatro Carignano ospita l’opera semiseria Il Cavaliere di San Giorgio,
ossia Il mulatto.
1847-1863. Dopo quattro mesi trascorsi a Torino, Lillo parte alla volta di Parigi.
Qui riceve l’entusiastico abbraccio di Gaspare Spontini; poi è introdotto alla corte
di Filippo d’Orléans dal duca di Serracapriola, l’ambasciatore del Regno delle due
Sicilie in Francia. Ma Lillo è acclamato pressoché esclusivamente come pianista
e insegnante di pianoforte; in questa veste la regina Maria Amelia cerca di
convincerlo a stabilirsi definitivamente nella capitale francese. L’invito è allet-
tante, e tuttavia Lillo torna a Napoli, dove si imbarca negli ultimi disperati tentativi
per imporsi come autore teatrale con Caterina Howard (Teatro San Carlo, 1949),
Delfina (Teatro Nuovo, 1850), La gioventù di Shakspeare, ossia Il sogno d’una
notte estiva (1851), Il figlio della schiava (1853). Nel ’59 Lillo è promosso
docente di contrappunto e composizione al posto di Carlo Conti. Due anni più tardi
è colpito dai primi disturbi mentali e viene internato nel manicomio di Aversa.
Vi rimane per nove mesi. Poi, in virtù di un manifesto miglioramento delle
condizioni di salute, rientra a Napoli e riprende in forma saltuaria l’attività
didattica. Fra gli allievi di Lillo si annoverano Filippo Marchetti, Salvatore
Giannini e Giorgio Miceli. Agli inizi del 1863 è preda di un ictus che dapprima
gli causa la paralisi del lato sinistro del corpo, infine la morte. Nel 1870 i fratelli
fanno donazione alla biblioteca di San Pietro a Majella degli autografi di Lillo
e di numerose partiture a stampa da questi custodite, nonché di svariate compo-
sizioni del padre Giosuè, per un totale di 120 volumi di musica.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Un’esauriente analisi della carriera musicale di Giuseppe Lillo dovrebbe tener


conto di ambo i sentieri su cui procede, con specifica attenzione a quello principale,
che risulta l’ancor meno vagliato dagli storici: intendiamo la rinomanza del pia-
nista, che – primo fra gli allievi di Lanza, con largo anticipo sullo stesso Costantino
Palumbo – ne fa uno dei campioni della scuola napoletana. L’odierno silenzio su
questo versante dell’attività musicale del Salentino è rotto da innumerevoli te-
stimonianze che lo dicono tra i maestri di pianoforte più richiesti a Napoli, nonché
dalle parole di Thalberg, il quale reputava Lillo pianista insuperabile fra quanti
ne avesse uditi. Peraltro, dall’ammaestramento di Lillo viene un pianista di ac-
clamata bravura come il calabrese Giorgio Miceli. A tutto ciò è connesso il
consistente contributo di Lillo alla musica da salotto della metà del diciannovesimo
secolo. L’altro filone, quello che fino a oggi gli ha meritato al più qualche notizia
182

campanilistica su periodici salentini ingloriosi, è rappresentato dalla musica tea-


trale. Ferma restando l’evidenza di un epigonismo linguistico che scaturisce dalla
dipendenza troppo accentuata dall’insegnamento di Nicola Zingarelli, Lillo è pur
tuttavia interessato al versante “romantico” della librettistica coeva. I testi da lui
messi in musica sono spesso drammi a tinte fosche, dove l’azione è concertata sulla
base di complessi intrighi politici. V’è già mostra di ciò in Odda di Bernaver e
in Rosmunda in Ravenna, opere serie che, quantunque accolte senza entusiasmo,
guadagnano la celebrità di qualche numero, prontamente riproposto da Casa Ricordi
nella riduzione per canto e pianoforte. Ma la collocazione di Lillo è resa esplicita
soprattutto dall’accoglimento di un libretto in precedenza scartato da Saverio
Mercadante. Si tratta di Cristina di Svezia, i cui versi Salvadore Cammarano aveva
modellato su Christine di Alexandre Dumas padre. Ritenendolo spoglio di tratti
edificanti – e quindi alieno al corso di un classicismo ormai perdente, ma di cui
si faceva portavoce – Mercadante aveva rigettato polemicamente il libretto. Di
risposta, Cammarano lo propose a Lillo. Questi incrociò l’arte di Dumas almeno
in un’altra occasione, ovvero con Caterina Howard, per la quale spese molto
tempo, ricavandone, tuttavia, un meritato successo. L’opera fu inserita nel cartel-
lone sancarlino del 1849, lo stesso che ospitava la Luisa Miller di Verdi. La
disponibilità di Lillo a cavalcare il vento del gusto corrente è palesata anche da
Lara, dal poema omonimo del 1814 di George Gordon Byron. Ma la testimonianza
più significativa è Il conte di Chalais, ancora su libretto di Cammarano. Il soggetto
– tratto dal dramma in tre atti Un duel sous le Cardinal Richelieu (1832) di Locroy
e Badon, a sua volta ispirato a Marion de Lorme di Victor Hugo – era destinato
a farsi libretto. Fra gli addetti ai lavori girava con interesse e già Bellini aveva
espresso a Francesco Florimo l’intenzione di realizzarne un’opera. Nel ’37 se ne
appassionò Gaetano Donizetti, il quale, dovendo scrivere per il Teatro La Fenice,
comunicò da Parigi: «Ho scelto Un duel sous le Cardinal Richelieu. È un dramma
di effetto, e specialmente ci vedo buffo e tragico, cosa che m’importa moltissimo
per Ronconi e per la Ungher. È bello, e se ti bastasse la scelta di Bellini, anch’egli
lo volea trattare. Eppoi è adatto per tre soggetti: Ungher, Ronconi e Moriani. Vi
sarà spettacolo; la corte di Luigi XIII. È originale e di lusso!» Pertanto interpellò
Cammarano perché ne traesse i versi, ma il poeta – pare per ragioni legate alla
censura veneziana – mise da parte l’idea. Un paio di anni più tardi, tuttavia,
realizzò il libretto – forse su suggerimento di Florimo – per la musica di Lillo.
Al San Carlo Il Conte di Chalais risollevò la fama del compositore salentino,
ancora sofferente dell’insuccesso di Odda di Bernaver, e ne proiettò momenta-
neamente le ambizioni oltre i confini del Regno. Soltanto nel ’40 Donizetti ritornò
al vecchio progetto, e, riutilizzando il libretto di Cammarano, ne trasse Maria di
Rohan. Imprecisioni di biografi improvvisati hanno sfalsato la cronologia, enfa-
tizzando il disappunto di Lillo per quello che sembrava un’indebita appropriazione
da parte di Donizetti. Ricordiamo, nondimeno, che lo stesso Giovanni Pacini sperò
di farne una versione per la Fenice con il titolo di Maria contessa di Rohan. Il
libretto di Cammarano è assai fedele al dramma francese originale, e anche
piuttosto innovativo. In occasione della rappresentazione della versione di Lillo
al San Carlo, i tre atti figuravano sotto titoli tematici: Triste conseguenze de’
duelli, Non Amore ma Riconoscenza, Una cieca vendetta. La commistione di
buffo e tragico di cui diceva Donizetti traspare anche nella musica di Lillo,
183

anzitutto a indice di una forma di teatro musicale ormai orientata al superamento


dell’ibridismo del genere semiserio. E viceversa, se si eccettua la partitura del-
l’esordio, ovvero la “commedia buffa” La moglie per 24 ore, il registro comico
di opere come La gioventù di Shakspeare o Ser Babbeo è temperato da accenti
drammatici che rendono atto dell’attenzione di Lillo per l’evoluzione del teatro
donizettiano e verdiano. La stessa invenzione lirica, quantunque orientata di
massima all’esempio di Zingarelli, sente l’imperante gusto francese. È manifesto
in specie nell’Osteria di Andujar, dove un elegante sentimentalismo – che strappa
la partitura alla semplicistica definizione di “azione comica” – è calato nei modelli
dell’opéra-comique, con un occhio particolare al Fra Diavolo di Auber. Opera
fra le più originali che Lillo abbia concepito, L’Osteria di Andujar può anche
essere collocata a fianco al Ventaglio di Raimondi, a Crispino e la Comare di
Ricci, a Napoli di Carnevale di De Giosa, ma infine esce dal novero in grazia
di un’invenzione melodica che a questo punto sembra fare la spola fra il teatro
e il salon aristocratico.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, PIPER, SCHMIDL, STIEGER)

AMBIVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998, p. 84.
ARDITI Giacomo, La corografia fisica e storica di Terra d’Otranto, Ammirato, Lecce 1879 (rist.
anast. Sala Bolognese 1979).
CAFIERO Rosa, Carlo Cotumacci nella tradizione didattica della scuola napoletana, in Affetti
musicali. Studi in onore di Sergio Martinotti a cura di Maurizio Padoan, Vita e pensiero, Milano
2005, pp. 105-120: 119-120.
FÉTIS François-Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique,
II, F.Didot, Paris, 1873.
FLORIMO Francesco, voce Giuseppe Lillo, in La scuola musicale di Napoli ed i suoi Conservatori,
Morano, Napoli 1880-82, pp. 375-385.
DE SIMONE Luigi Giuseppe, Lecce e i suoi monumenti descritti ed illustrati, Campanella, Lecce 1874.
DELLA NOCE Gaetano, Musicisti salentini: il Maestro Giuseppe Lillo, in «Rivista Storica Salentina»,
anno IX, maggio-giugno 1914, nn. 3-6, pp. 131-163.
GIARDA Maurizio, Il mestiere di operista nell’Ottocento, in «Suono Sud», n. 2, aprile-giugno 1990,
pp. 47-53.
LAMACCHIA Saverio, Un tempo, due affetti: una risorsa dell’aria romantica, in «Studi Verdiani», 14
(1999), pp. 51-68: 58n.
LO PRESTI Fulvio Stefano, Rosmunda “barbara” regina nel teatro di Giuseppe Lillo, in «Musicaaa!»,
anno XIV, n. 40, gennaio-aprile 2008, pp. 9-13 (on-line su www.scribd.com/doc/27353882/Mu-
sicaaa-AnnoXIV-Numero-40-Gennaio-Aprile-2008 )
MACCHIA Alessandro, Un singolare personaggio nel cuore dei salotti napoletani di metà Ottocento:
Giuseppe Lillo, in «Accademie e Società Filarmoniche in Italia» 8 (2008), pp. 151-170.
MAGLIO Orazio, Una messa di Giuseppe Lillo: contributi ed ipotesi interpretative, in «Studi
Bitontini», n. 71 (2001), pp. 113-116.
MARTINEZ Andrea, Su la Caterina Howard. Melodramma del Signor Giuseppe Lillo, in «Museo di
Letteratura e Filosofia», n.s., vol. XV, anno V, Napoli 1848, pp. 295-305 (on-line su Google.books).
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 151-153.
WEATHERSON Alexander, Lillo and the unhappy “Caterina Howard”, in «Donizetti Society New-
sletter», n. 92, june 2004, pp. 27-33.
–, Giuseppe Lillo and Gaetano Donizetti (le disgrazie d’un bel giovane), in L’“altro” melodramma.
Studi sugli operisti minori dell’Ottocento, a cura di Piefranco Moliterni, Graphis, Bari 2008, pp.
102-111.
184

ZOPPELLI Luca, I burattini del Cardinale. Maria di Rohan: spazio privato e drammaturgia del-
l’angoscia (programma di sala), Teatro La Fenice, Venezia 1999, pp. 57-58.

Lettere inedite di Lillo sono conservate in I-Fn (fondo Lanari), I-Nc, I-Vlevi,

Discografia

Titolo Interpeti/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Romanza Invan tentai di David harper pf. con Nuccia CD Opera Rara ORR219
spegnere (1843) e La Focile, Donata D’Annunzio
camelia (1844) sta in Sibilo Lombardi, Ildebrando
D’Arcangelo, Paul Charles
Clarke / 2002

Risorse on-line
Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) offre la possibilità di effettuare downloa-
ds gratuiti delle seguenti partiture di Lillo: Caterina Howard, Delfina, Cristina di Svezia,
La gioventù di Shakspeare, Lara, Odda di Bernaver, Il Conte di Chalais, La moglie per
24 ore, Il giojello, Il figlio della schiava.
Su Google.books sono presenti numerosi articoli inerenti all’attività di Lillo; si segnalano:
«Allgemeine Musikalische Zeitung», n. 52, dicembre 1836, col. 869; n. 11, marzo 1840,
col. 230-231; n. 33, agosto 1841, col. 668; «Poliorama Pittoresco», 13, del 9 novembre 1839,
p. 122 (contiene il sonetto di Francesco Spinelli Al signor Giuseppe Lillo per la sua musica
il Conte di Chalais); «Rivista Contemporanea», Unione tipografica editrice, Torino 1861,
vol. 24, anno nono, p. 469 (dove si dà notizia della follia che ha ottenebrato il maestro);
«Teatri Arti Letteratura», anno 18, n. 874, tomo 34, 19 novembre 1840.

Opere drammatiche

1. La moglie per 24 ore, ossia L’ammalato di buona salute, commedia buffa in due atti
di Andrea Passaro, Napoli, Teatro del Real Collegio di Musica, carnevale 1834 (I-
Nc*).
2. Il gioiello, dramma per musica in due atti n.n., Napoli, Nuovo autunno 1835 (I-Nc*)
\ FI Pergola autunno 1837.
3. Odda di Bernaver, opera seria in due atti di Emanuele Bidera, NA S. Carlo, inverno
1837 (I-Nc*) \ MI Scala primavera 1840.
4. Rosmunda in Ravenna, tragedia lirica in due atti di Luisa Amalia Paladini, VE Fenice,
26 dicembre 1837 (ed. a stampa in I-Vnm).
5. Alisia di Rieux, opera semiseria di Gaetano Rossi, Roma, Argentina, primavera 1838.
6. La modista, opera semiseria in due atti n.n., FI Pergola, 9 maggio 1839.
7. Il Conte di Chalais, melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S.
Carlo, ottobre 1839 (partitura in I-Nc*).
8. Le disgrazie di un bel giovane, ossia Il zio e il nipote, opera giocosa in due atti di
Leopoldo Tarantini, FI Pergola, primavera 1840.
9. Le nozze campestri, farsa in un atto di Giovanni Schmidt, con Cordella-Puzone-
Sarmiento, NA S. Carlo, 30 maggio 1840 (partitura in I-Mc).
185

10. L’osteria di Andujar, azione comica in tre atti di Leopoldo Tarantini, NA Fondo 30
settembre 1840 (partitura in I-Nc*) \ MI teatro Re 1845.
11. Cristina di Svezia, tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S. Carlo 21
gennaio 1841 (partitura in I-Nc*).
12. Lara, tragedia lirica in due atti di Leopoldo Tarantini, NA S. Carlo carnevale 1842
(partitura in I-Nc*).
13. Il cavaliere di San Giorgio, ossia Il mulatto, opera semiseria in due atti di Jacopo
Ferretti, TO Carignano autunno 1846.
14. Caterina Howard, melodramma tragico in quattro atti di Giorgio Giachetti, NA S.
Carlo 26 settembre 1849 (partitura in I-Nc*).
15. La Delfina, opera semiseria in tre atti di Marco d’Arienzo, NA Nuovo 5 marzo 1850
(partitura in I-Nc*).
16. La gioventù di Shakespeare, ossia Il sogno d’una notte estiva, commedia lirica in tre
atti di Giuseppe Sesto Giannini, NA Nuovo 29 dicembre 1851 (partitura in I-Nc*).
17. Ser Babbeo, opera semiseria in tre atti di Emmanuele Bardare, NA Nuovo 8 maggio
1853 (partitura in I-Nc*).
18. Il figlio della schiava, dramma lirico in tre atti di Giuseppe Sesto Giannini, NA Fondo
9 luglio 1853 (partitura in I-Nc*).
Alessandro Macchia
186

FRANCESCO LOTORO
Barletta, 28 novembre 1964

Cronologia
Francesco Lotoro nasce a Barletta il 28 novembre 1964. Dopo aver conseguito nel
1987 il diploma di Pianoforte presso il Conservatorio di Musica “Niccolò Piccinni”
sezione staccata di Monopoli (oggi Conservatorio di musica “Nino Rota”), si trasfe-
risce a Budapest dove si perfeziona con Kornel Zempleni presso l’Accademia “Franz
Liszt” e successivamente con Viktor Merzhanov, Tamas Vasary e Aldo Ciccolini. Ben
presto il suo interesse musicale si indirizza verso un repertorio insolito e nel 1992
incide le Sonate per pianoforte di Boris Pasternak e Ferruccio Busoni e brani pia-
nistici di Friedrich Nietzsche e Federico Garcia Lorca, dedicandosi poi alla non
facile ricostruzione musicale e letteraria del Weihnachtsoratorium per Soli, coro e
pianoforte dello stesso Nietzsche (eseguito e inciso sia con il Coro della Radio
Svizzera Italiana che con l’Ars Cantica Choir). Nel 1996, dopo averne commissio-
nato la traduzione, incide in prima assoluta la versione italiana dell’opera Brundibár
di Hans Krása. Interessato alla letteratura pianistica prodotta durante gli eventi più
drammatici del Novecento, a trent’anni dall’occupazione della Cecoslovacchia (1968-
1998), registra ed esegue a Praga tutte le opere pianistiche e cameristiche scritte da
Alois Pinos, Petr Pokorny, Petr Eben e Miloslav Istvan a seguito dei fatti che posero
fine alla storica Primavera di Praga. Negli anni successivi trascrive per due pianoforti
e registra la Musikalisches Opfer, i Concerti Brandeburghesi, la Deutsche Messe
e i 14 Canoni BWV1087 di Bach. Unanimemente considerato la massima autorità nel
campo della letteratura musicale concentrazionaria, sta incidendo in quarantotto
CD-volumi l’Enciclopedia discografica KZ Musik (Musikstrasse Roma-Membran
Hamburg), contenente l’intera produzione musicale composta nei campi di concen-
tramento d’Europa, Africa Settentrionale e coloniale, Asia e Oceania durante la
seconda guerra mondiale. È l’unico pianista al mondo ad aver eseguito e inciso la
monumentale Sinfonia n. 8 di Erwin Schulhoff per pianoforte (scritta nel Campo di
internamento di Wuelzburg) e le difficilissime partiture pianistiche del Don Quixote
tanzt Fandango di Viktor Ullmann (scritta a Theresienstadt) e del Nonet di Rudolf
Karel (scritta a Pankràc Praha). Nel 2003 compone l’opera Misha e i Lupi, rappre-
sentata il 25 gennaio 2005 al Teatro “Umberto Giordano” di Foggia, e nel 2006 la
Suite ebraica Golà per cantore e orchestra, eseguita dal Collegium Musicum al
Kursaal Santa Lucia di Bari. Attualmente sta completando il Dizionario della Let-
teratura Musicale Concentrazionaria. È docente di Pianoforte principale presso il
Conservatorio “U. Giordano” di Foggia.

Melodrammaturgia, stile, fortuna


Misha e i Lupi è un’opera in due atti su libretto dello stesso Lotoro e della moglie
Grazia Tiritiello e nasce dall’interesse da sempre manifestato da Lotoro per le
187

vicende riguardanti il popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale. Narra


la vicenda di una bambina ebrea che attraversa l’Europa centrale alla ricerca dei
propri genitori deportati in un campo di concentramento. L’opera è divisa in
ventotto brani. I personaggi sono: Misha (soprano), il Nonno (basso), la Madre di
Misha (voce fuori campo), Lupo Capo (tenore), il partigiano Janusz (basso pro-
fondo), i Monelli (coro femminile), i Ragazzi di Otwock (coro femminile), i Lupi
(coro femminile), i Partigiani (coro maschile). L’organico orchestrale prevede:
flauto (e ottavino), oboe (e corno inglese), clarinetto in Si bemolle, fagotto, corno,
tromba in Si bemolle, trombone, percussioni, pianoforte e archi.

Bibliografia

(DEUMM)

CANDIDO Paolo - LOTORO Francesco, Fonte di ogni bene: canti di risvaglio ebraico composti dal
1930 al 1945 a Sannicandro Garganico, Rotas editrice, Barletta 2009.
LOTORO Francesco - TIRITIELLO Grazia, Quaderno di storia concentrazionaria: gli ebrei nel Terzo
Reich, Rotas editrice, Barletta 2004.
NATOLI Cesare, Nietzsche musicista: frammenti sonori di un filosofo inattuale, L’Epos, Palermo
2007.
OLIVERI Dario, Hitler regala una città agli ebrei: musica e cultura nel ghetto di Theresienstadt,
L’Epos, Palermo 2008.

Opere drammatiche

1. Misha e i Lupi, opera in due atti su libretto di Francesco Lotoro e Grazia


Tiritiello, FG Teatro Giordano, 25 gennaio 2005.
Paolo Candido
ALFREDO MACCHITELLA
Ostuni (BR), 4 marzo 1875 - ivi, 24 febbraio 1947

Cronologia

1875-1895. Alfredo Macchitella, figlio di Giuseppe Domenico e Maddalena


Melpignano, nasce ad Ostuni il 4 marzo 1875. Viene indirizzato agli studi musicali
dal padre, calzolaio e appassionato melomane, e dal violinista Giuseppe Epifani,
fondatore e direttore della Filarmonica di Ostuni nella quale Macchitella si di-
stingue come oboista. Questa piccola istituzione musicale non raccoglie solo
musicisti dilettanti, ma anche giovani che intraprenderanno la carriera di concer-
tisti e di direttori di bande musicali. Tra questi il cantante Andrea Mongelli, che
si esibirà nei maggiori teatri del mondo e che proprio in questi anni stringe una
forte e duratura amicizia con Macchitella che in seguito gli dedicherà romanze
per voce e pianoforte. In questo periodo il musicista non circoscrive la sua attività
esclusivamente alla Filarmonica, ma si avvicina anche ai numerosi organismi
musicali bandistici locali, cominciando a maturare la consapevolezza di dover
indirizzare la sua carriera verso la composizione e la direzione di banda per potersi
affermare nella sua terra, terra d’elezione di bande stabili o da giro.
1896-1898. Il giovane musicista si trasferisce a Mantova per studiare con Angelo
Castellani, musicista eclettico, all’epoca stimato direttore di banda e stretto col-
laboratore di Alessandro Vessella. Indubbiamente la figura di Castellani inciderà
molto sulla formazione musicale di Macchitella. Al periodo mantovano collegano
(oltre a studi contrappuntistici) le prime riduzioni per organico bandistico e prove
di composizioni cameristiche per voci e strumenti, a dimostrazione che sul com-
positore, trasferitosi a Mantova con l’unico scopo di perfezionarsi nella compo-
sizione per banda, agiscono altre influenze provenienti da una vita musicale viva
e multiforme in cui egli si integra pienamente. In questi anni cruciali per la sua
formazione dunque, Macchitella si confronta con ambienti ed esperienze musicali
eterogenee e molto diverse da quelle che rappresentano il suo punto di partenza,
in parte destabilizzando quelli che considerava obiettivi fondamentali per la sua
carriera.
1899-1902. All’età di 24 anni si trasferisce a Napoli e si diploma in Compo-
sizione e Direzione d’orchestra sotto la guida di Oronzo Mario Scarano. Decisivo
nella formazione del giovane compositore sembra l’insegnamento di quest’ultimo,
che va a cristallizzare e a sistematizzare le conoscenze e le competenze del suo
allievo soprattutto nell’ambito operistico e cameristico. Questa figura, molto di-
versa da quella di Castellani, inciderà profondamente sulla produzione di Mac-
chitella il quale probabilmente negli anni mantovani aveva scoperto il suo vero
interesse nella musica da camera e nel teatro d’opera e, pur sapendo di dover
indirizzare la carriera verso la composizione e la direzione di banda per esigenze
189

di mero sostentamento, non rinuncia ad approfondire lo studio del genere came-


ristico e operistico con un maestro come Scarano. Infatti, nella produzione napo-
letana sono presenti numerose composizioni vocali e strumentali da camera e il
dramma lirico in tre atti Miriam, su libretto di Antonio Menotti Buja poeta e
scrittore leccese attivo a Napoli in quegli anni.
1903-1909. Tornato in Puglia, Macchitella intraprende la carriera di direttore di
banda già nel 1903 a Locorotondo e successivamente nel 1905 a Salice Salentino.
Una marcia sinfonica manoscritta rinvenuta nel fondo bibliografico-musicale del
Conservatorio di Bari, intitolata L’addio a Salice Salentina e composta nella stessa
cittadina il 7 febbraio 1909, segna la fine del rapporto lavorativo con la banda
di questo paese. Il percorso musicale intrapreso è duplice: da una parte si dedica
ad attività di insegnamento, di composizione e di direzione di banda, mentre
dall’altra continua a concepire composizioni cameristiche destinate ad esecuzioni
pubbliche e private. È proprio in questi anni che l’attività compositiva comincia
a destare interesse presso i critici musicali del tempo. Infatti, nel 1909 viene
pubblicata dal pubblicista e critico Giulio Firrao in La Puglia Musicale (periodico
diretto da Nicola Costa) la romanza Perché? composta a Salice il 4 novembre 1905
su testo di Francesco Gnazzi, Inoltre, non è da sottovalutare la copiosa produzione
di musica sacra di tale periodo, composta principalmente su commissione, dalla
quale si desumono altre interessanti notizie per la ricostruzione della biografia del
compositore. Infatti, risale al periodo salentino una Salve Regina per tenore e
organo, datata 4 giugno 1904, presumibilmente cantata dal tenore Tito Schipa; e
probabilmente risale a questo periodo il primo sodalizio tra i due musicisti che
si rincontreranno ad Ostuni in altre occasioni. Da una Marcia per banda composta
a Castellana nel 1909 (stesso anno in cui Macchitella lasciò l’incarico a Salice
Salentino) si ipotizza una collaborazione di breve durata con il corpo musicale
bandistico di questa cittadina.
1910-1911. Macchitella dimora a Roma, dal 1910 alla prima metà del 1911,
dove ottiene una medaglia di benemerenza dal Comune della capitale. Al periodo
romano risalgono alcune composizioni di musica da camera vocale e strumentale,
dalla cui stesura, accurata e meticolosa, si deduce la loro collocazione in contesti
e occasioni ufficiali. Non è escluso che, frequentando gli esclusivi salotti romani,
Macchitella abbia conosciuto Ildebrando Pizzetti al quale dedicherà una fuga per
archi nel 1921, e la poetessa Ada Negri ai cui versi si ispirerà nel 1912 in La
madre, composizione per quintetto d’archi, e nel 1933 nella romanza per voce e
pianoforte Pietà! Da composizioni e trascrizioni bandistiche successive si evince
che Macchitella trascorre la seconda parte del 1911 a Cava dei Tirreni come
direttore di banda. Nello stesso anno partecipa al concorso per l’ambìto posto di
maestro di musica del Real Ospizio Vittorio Emanuele II di Giovinazzo, importante
istituzione musicale dell’Italia meridionale.
1912-1922. Nel 1912 sposa Maddalena Loiacono e si trattiene ad Ostuni per un
breve periodo prima di trasferirsi a Giovinazzo. Infatti, nello stesso anno viene
nominato direttore della Scuola di Musica e della Banda Musicale del Real
Ospizio dalla commissione presieduta da Pasquale La Rotella e composta da Enrico
Annoscia e Luigi Preite. Al periodo giovinazzese risalgono, oltre a trascrizioni e
composizioni originali per banda, lavori per l’attività corale, bozzetti lirici, atti
190

unici, scene musicate, composizioni di musica sacra e di musica da camera. In


questi anni Macchitella mette in pratica gli insegnamenti di Scarano contribuendo
ad arricchire il palinsesto teatrale del Real Ospizio con due atti unici, Albe fiorite
e Il Cantastorie, e un bozzetto lirico in un atto, Il Mutilato. A causa delle
conseguenze derivanti dal conflitto mondiale, verso la fine del 1919 il compositore
è costretto ad interrompere la sua attività fino al 1920. Al suo rientro con enormi
difficoltà tenta di risollevare le sorti della scuola di musica e della banda, ormai
al tracollo dopo le ristrettezze patite durante la Grande Guerra, attraverso un’ac-
curata organizzazione della stagione concertistica. Dai documenti conservati
nell’Istituto Vittorio Emanuele II di Giovinazzo risulta che l’impegno qui profuso
lo condusse sulle soglie di un grave esaurimento nervoso che lo allontanò dall’in-
carico per tutto il 1921 portandolo quindi a rassegnare le dimissioni.
1922-1929. Macchitella si dimette dal Real Ospizio a causa di problemi per-
sonali di salute, anche se egli, dopo aver assistito alla vanificazione di tutti i suoi
sforzi volti alla ripresa della scuola di musica e della banda giovinazzese, ebbe
ad accettare proposte più stimolanti provenienti dalla sua terra d’origine. Già dal
1922 infatti, il Consiglio Comunale di Ostuni istituisce una Scuola di Musica con
annessa Schola Cantorum, finalizzata alla formazione di un Concerto Musicale
Cittadino, individuando per la realizzazione di questo progetto il pieno coinvol-
gimento di Macchitella al quale affida la direzione di entrambi gli organismi
musicali. Fino 1924 l’attività del Concerto Musicale si svolge senza ostacoli
riscuotendo ampio consenso nelle province di Lecce, Brindisi e Bari. Nonostante
la sua consacrazione come direttore di banda, Macchitella continua a dedicarsi
alla composizione di musica da camera e, nel 1925, scrive il breve bozzetto lirico
Sogno d’eroe. Nel 1927 la Scuola di Musica viene chiusa per mancanza di fondi
e Macchitella si ritira dalle attività bandistiche per dedicarsi totalmente alla
composizione, all’insegnamento privato e all’organizzazione di concerti e incontri
musicali, ai quali partecipano importanti artisti come la violinista Gioconda De
Vito. Nel 1929 torna temporaneamente a Giovinazzo spinto da una lettera del poeta
Gino Montella che lo invitava ad esaminare il libretto di un’operetta di Giovanni
Cavaniglia, della quale tuttavia non sono rimaste tracce.
1930-1947. Nel 1930 Macchitella compone l’operetta L’evaso venturiero ov-
vero Giacomo Casanova su libretto di Gino Montella e di Remis Testini. Nello
stesso anno accetta l’incarico di direttore della banda di San Vito dei Normanni
che mantiene fino al 1935, e al contempo si dedica alla composizione di musica
sacra e all’attività didattica. Tornato definitivamente ad Ostuni nel 1936 si con-
centra sulla composizione di musica da camera vocale e strumentale destinata alla
fervente vita musicale che si svolge all’interno del Teatro E. Rossi e dei salotti
più in vista della cittadina, spesso collaborando con grandi personalità musicali
come Tito Schipa, Andrea Mongelli, Nilde Pignatelli e Vito Raeli. In questo
periodo Macchitella organizza anche un complesso di strumenti a pizzico, al quale
spesso si aggiungono altri strumenti come il flauto e il violino per il quale compone
pezzi originali. Questa formazione, molto richiesta per occasioni civili e spettacoli
musicali, dopo pochi anni si scioglie a causa della dispersione dei partecipanti,
per lo più dilettanti. Intanto la presenza del regime fascista diventa sempre più
incombente e Macchitella si ritrova ad indirizzare al Duce e ai suoi collaboratori
191

inni e composizioni di vario genere. Al 1936 risale infatti, la fantasia lirica Fatma
composta su libretto di Giovanni Semerano, a celebrare le prime fasi del colonia-
lismo italiano in Libia. In questi anni il compositore collabora nuovamente con
Tito Schipa che torna ad Ostuni in svariate circostanze, come dimostrano la
romanza Sull’ali del 1935 e una Ninna Nanna del 1938. Copiosa è la produzione
di musica sacra di questo periodo e scritta su commissione, che probabilmente gli
assicurerà le entrate necessarie per il sostentamento non più garantite dalla remu-
nerativa attività di direzione bandistica. Questa occupazione gli assicura la pos-
sibilità di dedicarsi ai generi musicali che sente più congeniali alla sua espressione
artistica. Risale, infatti, al 1939 il bozzetto lirico Dante in Santa Croce del Corvo;
inoltre egli si dedica intensamente anche alla composizione di musica da camera
destinata ai suoi allievi, a diversi circoli musicali come il Circolo Madrigalistico
Leonardo Leo di San Vito dei Normanni, a convitti come quello dei Fanciulli
Gracili Orfani di Milano, e, infine, ai salotti delle famiglie più in vista delle
province pugliesi. Sarà, paradossalmente la musica sacra a portare la fama del
musicista oltre i confini regionali: nel 1943 verrà eseguita una sua imponente
Messa a 3 voci nella chiesa S. Petronio a Bologna. Nell’ultimo periodo Macchitella
sembra dedicare più attenzioni anche alla musica popolare e folcloristica tanto da
musicare i versi in vernacolo di alcuni poeti locali e dedicare una raccolta di
Stornelli Ostunesi al critico musicale Vito Raeli. A questo filone appartiene il
bozzetto lirico in due quadri La morte di Carnealu su libretto di Domenico Colucci
composto nel 1945 e allestito ad Ostuni nello stesso anno. Questo bozzetto lirico
può in effetti essere considerato l’ultimo lavoro destinato ad un grande pubblico
in quanto dal 1946 Macchitella si dedicherà esclusivamente alla composizione di
romanze, pezzi brevi per pianoforte e per piccole formazioni da camera.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Il nome di Alfredo Macchitella è passato alla storia della musica per la sua
attività legata alla composizione e alla direzione di banda. Poco si è indagato
invece sulla produzione di musica sacra e di musica da camera e operistica. Inoltre,
la mancanza di studi e di fonti in ambito musicologico riguardanti questo tipo di
produzione viene solitamente surrogata da una ricerca volta alla raccolta e all’os-
servazione critica di cronache dell’epoca e di corrispondenze epistolari, parallela
all’analisi di partiture manoscritte e a stampa rinvenute in diversi fondi bibliogra-
fico-musicali, che lasciano trasparire un riflesso di quelle che erano le consuetudini,
i luoghi e i contesti dell’Italia meridionale in cui si praticava il genere operistico
e cameristico. Il fondo bibliografico-musicale più consistente per studiare Mac-
chitella è quello del Conservatorio «Niccolò Piccinni» di Bari, mentre altri do-
cumenti sono conservati presso gli archivi dell’Istituto «Vittorio Emanuele II» di
Giovinazzo, della Fondazione «Ribezzi-Petrosillo» di Latiano e della Diocesi di
Ostuni. Dallo studio dei manoscritti ritrovati emerge che Macchitella trova più
congeniali alla sua indole le composizioni cameristiche, in particolare vocali, che
nella loro brevità racchiudono tutta la sua poetica musicale. Infatti, nonostante i
suoi interessi verso il teatro d’opera, i lavori operistici sembrerebbero occasionali
e legati a determinati contesti e situazioni, probabilmente connessi alla possibilità
192

di allestimento. Ad eccezione del suo ultimo bozzetto lirico, non vi sono riscontri
certi per quel che riguarda gli allestimenti, segno della scarsa risonanza che i suoi
lavori hanno avuto tra i coevi. Tuttavia le numerose indicazioni sceniche e alcuni
chiari riferimenti a luoghi o persone presenti su tutti i manoscritti delle compo-
sizioni operistiche, portano ad individuare la loro genesi e a supporre i contesti
entro i quali siano state messe in scena.
La prima composizione operistica è Miriam, dramma lirico in tre atti, composto
nel 1900 su libretto di Antonio Menotti Buja, poeta e scrittore attivo a Napoli,
presumibilmente allestito nella città partenopea in quello stesso anno. Miriam
risale al periodo napoletano in cui il compositore studia con Oronzo Mario Scarano
con il quale cerca ancora una propria dimensione compositiva. Infatti, questo
dramma lirico risente di una certa scolasticità e ricalca alcuni tòpoi operistici legati
alla tradizione verdiana. Dall’analisi congiunta del libretto e della partitura sem-
brerebbe che sia stato condotto un lavoro a quattro mani in quanto Macchitella
annota con accuratezza ogni minimo cambiamento presumibilmente accordato con
Buja. La composizione di quest’opera, che si articola in tre lunghi atti muovendosi
sullo sfondo di una storia d’amore tragico, è caratterizzata essenzialmente da uno
stile ancora immaturo nel quale egli resta imbrigliato nella rete di regole scola-
stiche per quel che riguarda il trattamento delle voci dei personaggi principali,
i cui concertati non si sviluppano appieno, mentre del tutto convenzionale è il coro,
che si muove generalmente con un andamento accordale e viene utilizzato prin-
cipalmente per rappresentare le masse e commentare i momenti salienti di alcune
scene. In alcuni punti, inoltre, Macchitella per sopperire alla semplicità delle linee
vocali affida all’orchestra il compito di descrivere situazioni ed emozioni attra-
verso espedienti strumentali e armonici meticolosamente indicati sulle parti
manoscritte. Tuttavia il giovane compositore, pur restando ancorato ad una scrittura
vocale semplice e lineare, mostra nelle arie affidate alle voci dei protagonisti la
propensione all’introspezione psicologica che caratterizzerà alcune romanze per
voce e pianoforte. Di carattere diverso risultano i lavori risalenti al periodo
giovinazzese allestiti nel teatro del Real Ospizio e interpretati con tutta probabilità
dagli allievi della Scuola di Musica, che mostrano un impianto più semplice e
scorrevole, adatto al pubblico e agli interpreti cui sono destinati. L’atto unico Albe
fiorite, la cui partitura è affiancata dal libretto manoscritto di autore ignoto, celebra
l’istituzione giovinazzese e la magnanimità del suo direttore e dei suoi collabo-
ratori, che si celano dietro situazioni e nomi fittizi. Infatti, pur non conoscendo
l’anno esatto di composizione è possibile risalire alla collocazione temporale di
quest’opera sia attraverso i riferimenti ai personaggi gravitanti in quegli anni
intorno al Real Ospizio sia attraverso l’analisi dell’organico orchestrale, desumi-
bile dalla partitura in forma ristretta pervenutaci, nella quale si individuano gli
strumenti presenti a quel tempo nell’istituto. Preponderante, inoltre, è l’utilizzo
del coro impiegato per aprire, commentare e chiudere l’atto. L’impianto scorrevole,
la semplicità degli intrecci vocali e l’andamento accordale confermano ancora una
volta la destinazione di questo lavoro che con tutta probabilità non oltrepassa le
mura dell’istituzione giovinazzese. Queste stesse caratteristiche contraddistinguo-
no l’atto unico Il Cantastorie, composto nel 1914, che al suo interno racchiude
anche due danze, per le quali è possibile supporre un allestimento coreografico.
Si presenta, invece, più organico e completo, Il Mutilato, del 1919, bozzetto lirico
193

in sei scene su libretto di Vincenzo Musci, il cui organico orchestrale conferma


la presenza degli archi nell’istituto. Questo bozzetto, la cui azione si svolge nel
1917 in pieno conflitto mondiale, ricalca fedelmente la tragedia vissuta in quegli
anni dallo stesso Macchitella, che non rinuncia con un Minuetto orchestrale alla
fine della Scena V a gettare un barlume di speranza e a preannunciare un lieto
fine su una realtà funestata dalla guerra.
Dopo anni di frenetica attività come direttore del Concerto Musicale di Ostuni,
nel 1925 Macchitella si dedica nuovamente alla composizione di un atto unico,
Sogno d’eroe su libretto di Corrado Flamini, che si articola in quattro brevi scene.
L’accompagnamento strumentale, affidato ad una piccola orchestra d’archi e alcuni
riferimenti apposti sulla partitura manoscritta lasciano supporre che questo lavoro
sia stato allestito in un contesto limitato alla realtà locale. Certo è che da questo
momento il compositore riprende ad interessarsi al teatro d’opera collaborando con
altri musicisti alla composizione di un’operetta di Giovanni Cavaniglia, di cui si
è persa ogni traccia.
Al 1930 risale l’operetta L’evaso venturiero ovvero Giacomo Casanova, su
libretto di Gino Montella e Remis Testini. Nonostante il testo lungo e impegnativo,
Macchitella sembra trovarsi a suo agio nel musicare una storia basata sui canoni
della commedia degli equivoci e mostra uno stile più maturo nell’utilizzo delle
voci e nel rapporto con il testo rispetto a Miriam. La partitura rinvenuta è incom-
pleta, ma la presenza di diverse copie di alcune romanze e arie, ridotte per voce
e pianoforte, rappresenta un indicatore del favore e della diffusione che questo
lavoro ha incontrato all’epoca.
Di carattere differente risulta la fantasia lirica in due atti Fatma che si colloca
invece nel gruppo di composizioni dedicate al regime fascista e va a celebrare le
imprese coloniali italiane. Composta tra il 1936 e il 1937 ad Ostuni, su libretto
di Giovanni Semerano, quest’opera, al cui interno sono racchiusi anche degli inni
molto in voga in quegli anni, appare meno curata delle altre e sembrerebbe
l’assoluzione di un obbligo nei confronti degli amministratori locali. Scarso rilievo
assume il bozzetto lirico Dante in Santa Croce del Corvo, composto ad Ostuni
nel 1939, che si sviluppa in un atto attraverso il celebre dialogo tra Dante e Frate
Ilario. Tuttavia dalle indicazioni presenti sulla partitura ridotta per voci e piano-
forte si desume un possibile allestimento presso il convento di San Francesco di
Ostuni impreziosito dall’inattesa presenza di due arpe all’interno dell’organico
strumentale composto essenzialmente da archi.
L’ultimo lavoro destinato al genere operistico e l’unico legato alla tradizione
popolare è La morte di Carnealu, bozzetto lirico in due quadri composto nel 1945
su libretto di Domenico Colucci, allestito ad Ostuni nell’androne di palazzo
Aurisicchio e in seguito riproposto nel Cinema Roma. Sembrerebbe quasi che il
compositore abbia la consapevolezza che quest’opera sia destinata a chiudere la
sua carriera in quanto l’utilizzo di due cori e la presenza di numerose danze
presuppone un allestimento in grande stile, ben lontano dalla sobrietà che aveva
caratterizzato i lavori precedenti. La produzione di Macchitella, dunque, attraversa
diversi generi con alterne fortune: si contraddistingue essenzialmente per la musica
da camera vocale e strumentale, per la quale acquisisce fama presso il pubblico
e i critici musicali, tanto che le uniche musiche a stampa del periodo appartengono
a questo genere. Nonostante la sua passione e il suo interesse per il teatro d’opera,
194

la produzione operistica risulta scarna e poco consolidata probabilmente a causa


delle scarse possibilità di allestimento e della necessità di sostentamento che gli
viene garantito quasi esclusivamente dalle attività bandistiche, e che per alcuni
periodi lo assorbono totalmente. Sebbene non si affermi come operista, la sua
migliore produzione bandistrica, conosciuta e fruita a livello locale, contribuì alla
diffusione del genere tra le più disparate classi sociali e permette di meglio
individuare il gusto musicale nei contesti del Meridione d’Italia.

Bibliografia

CATINO Anna, Alfredo Macchitella. La musica da camera nell’Italia meridionale tra XIX e XX
secolo, Cafagna Ed., Barletta 2010.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 164.

Opere drammatiche

1. Miriam, dramma lirico di Antonio Menotti Buja, NA 1900 (partitura in I-BAcp*).


2. Il Cantastorie, atto unico, n.n., Giovinazzo 1914 (partitura in I-BAcp*).
3. Il mutilato, bozzetto in un atto di Vincenzo Musci, Giovinazzo 1919 (partitura in I-
BAcp*).
4. Albe fiorite/Carità fiorite, atto unico n.n., Giovinazzo 1912-1920? (partitura in I-
BAcp*).
5. Sogno d’eroe, bozzetto lirico di Corrado Flamini, Ostuni 1925 (partitura in I-BAcp*).
6. L’evaso venturiero ovvero Giacomo Casanova, operetta di Gino Montella Remis Testini,
San Vito dei Normanni 1930 (partitura incompleta in I-BAcp*).
7. Fatma, fantasia lirica di Giovanni Semerano, Ostuni 1937 (partitura in I-BAcp*).
8. Dante in Santa Croce del Corvo, bozzetto lirico n.n., Ostuni 1939 (partitura in I-
BAcp*).
9. La morte di Carnealu, bozzetto lirico di Domenico Colucci, Ostuni 1945 (partitura
in I-BAcp*).
Anna Catino
195

FRANCESCO MAGLIOCCO
Manfredonia (FG), 17 ottobre 1880 - New York, post 1926

Cronologia1

Francesco Magliocco, figlio di Pasquale Magliocco “mediatore di grani” e Antonia


Lattanzio, nacque a Manfredonia il 17 ottobre 1880 e venne battezzato il 20
ottobre 1880 dal sacerdote Raffaele Mondelli presso la Cattedrale dedicata a San
Lorenzo Maiorano, patrono della città. A Manfredonia il Maestro Luigi De Sanctis
lo iniziò allo studio del violino e in adolescenza Magliocco si trasferì a Roma
presso la Pontificia Università Lateranense del Collegio Vaticano dove studiò canto
gregoriano e si aggregò per quattro anni alla Schola Cantorum annessa al Pontificio
Seminario Vaticano, negli stessi mesi in cui era stato chiamato ad insegnarvi canto
sacro il giovane Raffaele Casimiri. Ritornato nella città natale, nel 1904 Maglioc-
co venne nominato professore di filosofia e di storia presso il Seminario Arcive-
scovile e lì fondò la prima Schola Cantorum sipontina che animò sino al 1907.
Di particolare importanza negli anni della sua formazione furono gli insegnamenti
di armonia e di contrappunto del compositore e violinista messicano Julián Carrillo
Trujillo (delegato ufficiale del Congresso musicale di Roma del 1911 e futuro
direttore del Conservatorio Nazionale di Musica di Città del Messico); Magliocco
si perfezionò ulteriormente nel contrappunto e nella strumentazione con Michele
Bellucci (Manfredonia 23 maggio 1849 - Roma 23 dicembre 1944). Il 3 aprile
del 1905 egli compì un primo viaggio a New York, imbarcandosi da Napoli e
ritornando nel volgere di poche settimane; dopo un periodo di ritiro a Torrice vicino
Frosinone, si recò una seconda volta a New York nell’aprile del 1909 e vi si stabilì
definitivamente. Trovò la sua dimora nel Bronx presso la Chiesa di Nostra Signora
del Carmelo (Our Lady of Mt. Carmel Church) sita tra la 187th Street e Belmont
Avenue, inaugurata il 13 giugno del 1906 ed eretta per iniziativa del rev. Dott.
Daniel Burke «amico fervidissimo degl’italiani»; negli anni successivi Burke
venne coadiuvato da tre sacerdoti d’inimitabile attività nel campo educativo e
patriottico: da Giuseppe Caffuzzi, rettore della chiesa, dal dottor Francesco
Magliocco e dal reverendo Domenico Fiorentino. Fu qui che Magliocco diede vita
alla società corale Belmont Choir o Italian Oratorio Society o Mount Carmel
Chorus da lui diretta per circa due decenni, e composta di oltre 100 voci, solisti
e coristi quasi esclusivamente di origine italiana.

1
Desidero esprimere un sincero ringraziamento al dottor Antonio Tomaiuoli per il gentile aiuto nel rinvenimento
dell’esatto riferimento anagrafico nel libro dei Battesimi (XXXVIII-309) presso la Cattedrale di Manfredonia e nel
Registro Unico delle nascite del 1880 (atto n. 306) presso l’Ufficio di Stato Civile di Manfredonia. I documenti
conservati presso l’Archivio Capitolare della cattedrale di Manfredonia non sono di agevole accesso. Le ricerche
commissionate dallo scrivente al reverendo Rapaglia presso l’archivio della Our Lady of Mount Carmel Church di
New York non hanno avuto esito positivo.
196

A partire dai primi anni ’10 Magliocco si adoperò per la diffusione a New York
delle composizioni di Michele Bellucci; in una lettera risalente al 12 novembre
1912 egli riferì di una sua esecuzione della Messa di Requiem che riportò ampio
successo di critica ed acceso sinceri entusiasmi presso gli esecutori; così pure in
un’altra lettera a Bellucci del 14 settembre 1913 Magliocco ne descriveva un’ese-
cuzione presso la sala Bedford Park 202th St. con il concorso di duecento musicisti.
Nel primo dopoguerra ebbe modo di collaborare strettamente con il baritono Alfredo
Cibelli, con Nathaniel Shilkret (New York, 25 dicembre 1889 - 18 febbraio 1982),
che dal 1915 faceva parte del Dipartimento Esteri della Victor Talking Machine
Company (la futura RCA Victor) e con Rosario Bourdon (6 marzo 1885 - 24 aprile
1961) violoncellista dal 1909 per la Victor Talking Machine Company, con i quali
ebbe modo di realizzare diverse incisioni discografiche. Il 12 gennaio del 1916
diresse presso la storica Tammany Hall (East 14th Street) un concerto di beneficenza
per le famiglie dei soldati chiamati in guerra, preceduto da un discorso di Ferdinan-
do Parri. Più tardi anche la cantante signora Angelina Baccaro-Marrese promosse
un concerto a beneficio dei profughi e dei mutilati di guerra, presso la Carnegie Hall;
del comitato esecutivo e di patronato faceva parte tra gli altri anche il rev. prof.
Magliocco. Mrs. Kenneth J. Muir fu promotrice dell’International Musical Festival
Chorus con una sezione dedicata a brani «of foreign born citizens and their descen-
dants»; il direttore musicale della sezione italiana era il “well known musical
Prelate” Francesco Magliocco che rese possibile la presentazione il 17 aprile del
1918 presso la stessa Carnegie Hall di un concerto di sole composizioni italiane per
coro e orchestra sia di repertorio ottocentesco sia di recente creazione. Nel giugno
del 1919 organizzò un Concerto della Vittoria dato all’Harlem River Casino (127th
Street and Second Avenue) con un entusiastico successo. Nel settembre del 1919 il
coro di bambini della chiesa di Our Lady of Mt. Carmel da lui diretto omaggiò
Monsignor Raffaele Casimiri in visita a New York con il coro pontificio. Magliocco
divenne consigliere della “Lega Musicale Italiana” nel gennaio del 1920. Nell’apri-
le del 1921 i suoi cori suscitarono ammirazione in occasione della visita dell’Am-
basciatore italiano di Washington. Nel maggio del 1921 egli venne apertamente
elogiato dalle colonne de «Il Carroccio», la rivista diretta da Agostino de Biasi “di
coltura, propaganda e difesa italiana in America” che così scriveva: «Abbiamo in
colonia, nel rev. D. Francesco Magliocco, un musicista di razza, inspirato, colto,
appassionato d’arte, splendido tipo dell’anima italiana che trae dai penetrali della
genialità il segreto di render bella ogni sua manifestazione. Il pubblico ha potuto
avere in questi giorni la riprova della versatilità di talento di questo giovane
sacerdote-musicista, applaudendo due suoi lavori in un atto: Bambola vivente e
Lacrime e pentimento. Librettista di entrambi, il rev. Severino Focacci. - L’esecu-
zione fu data all’Hunt’s Point Palace [Southern and 163rd Street], con la coopera-
zione del rinomato Coro di Belmont che il maestro Magliocco ha organizzato e
dirige, suscitando la lode generale. Il cospicuo uditorio gustò con segni palesi di
ammirazione la musica del Magliocco, lasciandosene penetrare. Come compositore
il Magliocco è destinato a raccogliere gli stessi allori che ha meritamente mietuto
come filarmonico competente e come elegante scrittore di critica musicale».
Una sua Messa da Requiem inedita venne eseguita nel corso di una funzione
solenne in suffragio del Milite Ignoto Italiano tenuta il 4 novembre 1921 nella
Cattedrale di San Patrizio, alla presenza dei Delegati Italiani alla Conferenza del
197

Disarmo, di alcuni senatori italiani, del ministro plenipotenziario ing. Quattrone,


del vincitore di Vittorio Veneto generale Armando Vittorio Diaz a tre anni esatti
dalla celebre battaglia, il quale apparve a tutti «profondissimamente commosso».
Il recensore del Carroccio scriveva: «La nostra Guerra non poteva essere celebrata
in modo più elevato e la Vittoria meglio non poteva essere esaltata sotto la volta
d’un tempio d’America. […] La marcia reale fu eseguita col pubblico in piedi,
in una solennità più che impressionante […] Dopo la funzione alla Cattedrale, si
formò un corteo di automobili per andare a deporre corone al Monumento di
Garibaldi ed all’Arco di Washington». Magliocco fece parte del consiglio direttivo
della Lega Musicale Italiana di New York per l’anno 1922-23 in qualità di secondo
vice-presidente.
Tra i suoi migliori allievi per l’armonia e la composizione si ricorda Thomas
G. Peluso, futuro musical director per la National Broadcasting Company’s Western
Division, e già pianista prodigio allievo di Raphael Samuel. Magliocco svolse
attività di critico musicale presso il quotidiano newyorkese «Il Popolo» fondato
negli anni ’20 e poi consolidato col «Bolletino della sera» edito da Vincenzo
Giordano e fu una personalità assai rilevante nel contesto della vita religiosa di
New York ancor prima che per la divulgazione dello “stile italiano” e delle sue
doti artistiche; il profondo impegno civile e sociale entro il quale la musica
rivestiva un ruolo riconosciuto benemerito dell’educazione della gioventù italiana
nel Bronx è attestato dalle numerose conferenze da lui tenute su temi di attualità
(una di esse concerneva Le nazioni belligeranti e la guerra pronunciata il 5
novembre del 1917).
Magliocco fu autore di composizioni corali con accompagnamento d’organo e
orchestra, di non meno di tre messe, di diversi mottetti e altre composizioni inedite;
particolarmente feconde furono le collaborazioni con padre Severino Focacci,
pastore della chiesa Our Lady of Mt. Carmel come successore di padre Burke,
e con Silvio H. Picchianti (12 giugno 1908 - 19 settembre 1987), prolifero
drammaturgo e librettista.

Bibliografia

(ES, SCHMIDL)

BOSI, Alfredo, Cinquant’anni di vita italiana in America, Bagnasco Press, New York 1921.
BELLUCCI Mario, Lira musicale di Manfredonia: musicisti del passato e del presente, Centro studi
Michele Bellucci, Albano Laziale 1966.
BROWN, Mary Elizabeth, Churches, communities, and children: Italian immigrants in the Archdio-
cese of New York, 1880-1950, Staten Island, New York 1995.
Cronache d’arte, ne «Il Carroccio. The Italian review, Rivista di coltura, propaganda e difesa italiana
in America», Vol. XIII, n. 6 [June 1921].
Guida degli Archivi capitolari d’Italia III, a cura di Salvatore Palese, Emanuele Boaga, Francesco
De Luca e Lorella Ingrosso, Russo s.a.s., Napoli 2006.
Heroic priests, in «Kentucky Irish American», p. 3 [November 20, 1909].
Gli Italiani negli Stati Uniti, ne «Il Carroccio. The Italian review, Rivista di coltura, propaganda
e difesa italiana in America», Anno III, n. 10 [Ottobre 1917]; Anno III, n. 11 [Novembre 1917];
Vol. VII, n. 2 [Febbraio 1918]; Vol. IX, n. 6 [Giugno 1919]; Vol. XIII, n. 4 [April 1921]; Vol. XIV,
n. 5 [November 1921]; Vol. XV, n. 3 [Marzo 1922].
198

Vatican Choir of 70 Chants Its First Song in New World. Pontifical Organization That Never Left
Rome in 1,600 Years Reaches Port; Performs at the City Hall, in «New York Tribune», p. 11
[Wednesday September 17, 1919].
MANFERRARI, Umberto, Dizionario Universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1956.
Many Novelties Were Given, in «New York Tribune», p. 2, IV [Sunday April 14, 1918].
MARIANO, John Horace. The Italian contribution to American democracy, Christopher Pub. House,
Boston 1921.
SPOTTSWOOD, Richard Keith, Ethnic Music on Records: A Discography of Ethnic Recordings Pro-
duced in the United States, 1893-1942: Western Europe (Music in American Life) (v. 1),
University of Illinois Press 1991.
CANNISTRARO, Philip V., Blackshirts in Little Italy: Italian Americans and fascism, 1921-1929,
Bordighera Press 1999.
SCHIAVO, Giovanni Ermenegildo, Italian-American history, Vol. 2 The Italian contribution to the
catholic church in America, The Vigo Press, New York 1975.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 164-165.
La vita e le opere di Michele Bellucci, a cura di Michele Vocino, Arti Grafiche, Roma 1961.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/ n. di catalogo

Dormi, non piangere Bourbon/1917 Victor 69705 [Matrice B-20579]


La campana del villaggio Shilkret/1923 Victor 77333 [Matrice B-28088]
Biondo vin. Brindisi; Shilkret/ 1923 Victor 77333
Lagrime e pentimento [Matrice B-28089]

Opere drammatiche e oratorii

1. Dolores o L’eroina della guerra europea, commedia in tre atti n.n., New York, Academy
of music, 28 maggio 1915.
2. Lacrime e pentimento, commedia in un atto di Severino Focacci, New York, Hunt’s
Point Palace, 29 maggio 1921.
3. La bambola vivente, commedia in un atto di Severino Focacci, New York, Hunt’s Point
Palace, 29 maggio 1921.
4. Pantomima giapponese, New York, 2 giugno 1922.
5. Cantica Francescana, oratorio di Severino Focacci, New York e Philadelphia, 1926
nel Centenario francescano.

Daniele Buccio
199

GIUSEPPE MASCIA
Barletta, 3 febbraio 1808 - ivi, 1870

Cronologia

L’assenza di fonti documentarie impedisce una minima ricostruzione biografica di


Giuseppe Mascia che, al pari di altri operisti coevi, dopo aver ricevuto la formazione
musicale di base nel paese natale, si trasferisce in Conservatorio a Napoli (sotto
la guida di Giacomo Tritto) nella speranza di avviare una carriera teatrale. Con
molta probabilità non terminò gli studi conservatoriali; non è un caso che sul
frontespizio delle sue Canzonette per la novena dell’Immacolata (scritte per la
basilica di Foggia) egli si definisca «dilettante» (stesso appellativo nel suo Christus
e Miserere ridotto per organo da Emmanuele D’Abundo nel febbraio 1888). Ciò
nondimeno a soli diciotto anni, nel 1826, fu nominato Direttore d’orchestra della
Società Filarmonica Napoletana, cui destinò molte opere strumentali. L’unica
opera di cui è rimasta traccia fu rappresentata presso il Teatro Accademico S.
Severino di Napoli: Le rivali generose (nel 1828 secondo Schmidl, nel 1835
secondo Stieger).
All’attività di violinista e compositore affiancò quella di corrispondente della
«Gazzetta musicale di Milano» e della «Gazzetta Musicale di Napoli». La sua
attività giornalistica si perfezionò negli anni compresi tra il 1860 e 1870, cruciali
per la nascita della critica musicale italiana, e sfociò anche in approfondimenti
di taglio storico-estetico ospitati sulle colonne della «Napoli musicale».
La produzione artistica di Mascia conta circa duecento composizioni di musica
vocale e strumentale, di genere sacro e profano.

Bibliografia

(IBI, SCHMIDL, STIEGER)

MASUTTO Giovanni, I maestri italiani del XIX secolo, G. Cecchini, Venezia 1882, p. 108.
SORRENTI PASQUALE, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 170.

Opere drammatiche

1. Le rivali generose, melodramma giocoso in due atti di Luigi Romanelli, NA S. Severino


1828 o 1835.

Linda Cimardi
200

SAVERIO MERCADANTE
Altamura (BA), 17 settembre 1795 - Napoli, 17 dicembre 1870

Cronologia

1795-1805. Saverio Mercadante viene battezzato ad Altamura il 17 settembre


1795. L’atto di battesimo, conservato nella cattedrale della città, non riporta i nomi
dei genitori: il bambino è, infatti, figlio illegittimo del nobile Giuseppe Orazio
Mercadante e di una sua domestica, Rosa Bia. Adottato dal padre, riceve una prima
formazione musicale ad opera del fratellastro.
1806-1818. La famiglia Mercadante si trasferisce a Napoli. Qui il giovane
Saverio ottiene un falso certificato di nascita (attestante la sua nascita napoletana
nel 1797) che gli permette di accedere, nel 1808, al Conservatorio di S. Sebastiano.
Intraprende gli studi di violino, flauto e canto sotto la guida di Giovanni Furno
e quelli di contrappunto nella classe di Giacomo Tritto. Nel 1813 è ammesso nella
classe di composizione di Nicola Zingarelli, nella quale rimarrà quattro anni,
concentrandosi particolarmente sulla musica strumentale. Al 1817 risale la sua
prima pubblicazione, il Concerto per Flauto n. 6 in re maggiore.
1819-1826. La sua prima opera, L’apoteosi d’Ercole, viene rappresentata al
Teatro S. Carlo nel 1819 e riscuote un buon successo. Riceve commissioni anche
dai teatri dell’Italia settentrionale e nel 1821 consegue un vero e proprio trionfo
con Elisa e Claudio presso il Teatro alla Scala di Milano. Nel 1823 l’impresario
Domenico Barbaja ingaggia Mercadante con un contratto che prevede la realiz-
zazione di tre opere all’anno per tre anni. Per onorare tale impegno, il compositore
si reca nel 1824 a Vienna, dove tuttavia le tre opere rappresentate (Doralice, Le
nozze di Telemaco ed Antiope, Il podestà di Burgos) non ottengono lo sperato
successo; ciò determina la rescissione del contratto. Al 1826 risale il secondo
imponente successo mercadantiano, Caritea, regina di Spagna, rappresentata al
Teatro La Fenice di Venezia.
1826-1831. Alla fine del 1826 Mercadante accetta l’incarico di direttore mu-
sicale dell’Opera Italiana di Madrid. Qui compone I due Figaro e la seconda
versione de Il posto abbandonato (la prima era stata rappresentata alla Scala nel
1822) e ha modo di conoscere il colore musicale spagnolo che ispira la Sinfonia
spagnola (1826). Dopo un breve soggiorno a Torino e a Milano, torna a Madrid
nei primi mesi del 1827 e nel settembre di quello stesso anno è a Lisbona. Nella
capitale portoghese il compositore assume l’incarico di direttore del locale Teatro
di S. Carlo e compone Adriano in Siria, Gabriella di Vergy e la seconda Iper-
mestra (una prima opera, dallo stesso titolo ma su diverso libretto, era stata
rappresentata al S. Carlo nel 1825), oltre a La testa di bronzo, già realizzata per
il teatro privato del Barone di Quintella. Agli inizi del 1829 Mercadante è a
Cadice, dove riceve l’incarico di organizzare una breve stagione primaverile per
201

la quale compone La rappresaglia. Nell’estate dello stesso anno è a Milano per


ingaggiare altri cantanti; di ritorno, organizza una nuova stagione per il 1829-30
e compone la buffa Don Chisciotte alle nozze di Gamaccio. Nel 1830 accetta di
dirigere il Teatro Real di Madrid e, nuovamente per reclutare cantanti, torna in
Italia durante l’estate di quello stesso anno. Tra gli artisti scritturati è il soprano
Adelaide Tosi, con la quale il compositore intreccia una relazione sentimentale
la burrascosa conclusione della quale è tra i motivi che lo spingono a tornare in
Italia nel 1831.
1831-1832. Durante le prove per una rappresentazione di Gabriella di Vergy a
Genova, conosce Sofia Gambaro (1812-98), che sposa il 9 luglio 1832. Dal
matrimonio nasceranno due figli e una figlia.
1833-1840. Nel 1833 succede a Pietro Generali nella carica di maestro di
cappella presso la Cattedrale di Novara, incarico che da un lato gli assicura una
certa tranquillità economica, dall’altro lo colloca stabilmente nei pressi dei centri
più significativi (Milano, Torino, Venezia) della vita teatrale del tempo. Alla
consistente produzione sacra di questi anni si aggiunge un buon numero di nuove
opere, grazie in particolare alla fruizione di congedi appositamente concessi dai
Canonici della Cattedrale. Invitato da Rossini, Mercadante giunge a Parigi nel
settembre del 1835 per comporre un’opera da rappresentare al Thèâtre-Italien.
Felice Romani, incaricato di redigerne il libretto, viene meno all’impegno preso
e il compositore è costretto a ripiegare sul meno esperto Jacopo Crescini il quale
confeziona il libretto per I briganti. L’opera, rappresentata il 22 marzo del 1836,
riscuote successo di stima ma non provoca entusiasmo, e l’evento risulta senz’altro
oscurato dalla straordinaria risonanza di cui Les Huguenots di Meyerbeer aveva
goduto a partire dal 29 febbraio, giorno della sua prima rappresentazione. L’opera
successiva, Il giuramento, rappresentata alla Scala nel 1837, è unanimemente
ritenuta il lavoro che segna l’inizio della piena maturità mercadantiana, trattandosi
della prima appartenente al gruppo delle cosiddette “opere della riforma”. L’espres-
sione deriva da una lettera che accompagna la partitura di Elena da Feltre, spedita
da Milano all’amico Francesco Florimo in Napoli. Tali opere, cui vanno aggiunte
Le due illustri rivali, Il bravo e La vestale, sono accomunate da una più moderna
concezione drammaturgica e formale. Nel 1840 Mercadante ottiene la nomina a
direttore del Collegio di Musica «S. Pietro a Majella» di Napoli, carica, rimasta
vacante nel 1837 a seguito della scomparsa di Zingarelli, che egli manterrà fino
alla morte (scalzando il rivale Donizetti, già nominato pro-direttore), rifiutando
la proposta di Rossini che lo invitava a Bologna per dirigere il locale Liceo
Musicale e per svolgere, al tempo stesso, la funzione di maestro di cappella presso
la Basilica di S. Petronio.
1840-1870. Gli impegni derivanti dalla carica direttoriale, la lontananza dai
centri dell’Italia settentrionale maggiormente attivi nella vita musicale del tempo
e la presenza di un regime dispotico e sostanzialmente indifferente alla cultura,
ne rallentano i ritmi dell’attività compositiva. Le conquiste realizzate nel corso
degli anni precedenti rischiano di restare incomprese da un pubblico, quale quello
napoletano, piuttosto conservatore. Ciò non impedisce di accettare inviti prove-
nienti da altre città, tra le quali Torino che assiste alla prima de Il reggente (1843),
opera rifiutata a Napoli dalla censura borbonica. Con Leonora (1844) Mercadante
202

torna al genere buffo, e nello stesso anno assume l’incarico di direttore musicale
presso il Teatro S. Carlo, carica che manterrà fino al 1856. Risale al 1845 Il
vascello di Gama, l’opera mercadantiana forse più vicina alla concezione del
grand-opéra, mentre un grande successo riscuote Orazi e Curiazi, melodramma di
argomento classico e dalla costruzione monumentale. Un viaggio tra Venezia,
Trieste e Milano, risalente al 1847-48, è occasione per la commissione de La
schiava saracena, unica opera mercadantiana su libretto di Piave, rappresentata
alla Scala di Milano nel dicembre del 1848. La scelta del soggetto di Virginia,
dramma la cui protagonista eponima guida la rivolta che conduce all’istituzione
del tribunato della plebe, deriva, con ogni probabilità, dalla volontà di reazione
all’abolizione, nel 1849, della costituzione, solo da pochi mesi concessa, da parte
di Ferdinando II di Borbone. Tutto ciò, unitamente al rifiuto opposto dal compo-
sitore a qualunque modifica di ambientazione e di situazioni, determina il ritiro
dell’opera dalle scene per volere della censura; il lavoro vedrà la luce solo a
unificazione avvenuta, nel 1866. Il progetto per un nuovo viaggio a Parigi e per
la composizione di un’opera da rappresentarsi all’Opéra, ventilato in questo scorcio
degli anni ’40, non trova infine realizzazione. Nel 1852 Mercadante è nominato
ispettore delle bande militari reali. L’ultima opera mercadantiana, Pelagio, è
rappresentata al S. Carlo nel 1857. Gli anni successivi sono dedicati esclusiva-
mente alla musica strumentale, a quella sacra e alla composizione di romanze e
canzoni. Nel 1859 al compositore vengono commissionate le musiche per l’inco-
ronazione e il matrimonio di Francesco II. Nel 1862 Mercadante rimane comple-
tamente cieco, menomazione che gli impone di lasciare la direzione del S. Carlo
e che aveva nuovamente assunto in seguito all’unità d’Italia (ma non quella del
Conservatorio). Tale grave menomazione fisica è all’origine de Il lamento del
bardo, poema sinfonico di carattere autobiografico. La volontà di tornare al
melodramma è stroncata dalla morte: il compositore lascia incompiuta al Finale
del I atto Caterina di Brono, l’opera su libretto postumo di Cammarano alla quale
stava lavorando.

Melodramamturgia, stile, fortuna

Il declino della fortuna di Mercadante comincia già all’indomani della sua morte.
Una serie di concause hanno condotto alla scomparsa pressoché totale del patri-
monio operistico mercadantiano dalle scene internazionali fin dagli ultimi decenni
del XIX secolo, e assolutamente sparute possono considerarsi le messe in scena
attuatesi nel XX nonostante l’attenzione che, a partire dal 1970, anno del cen-
tenario della morte, la musicologia ha progressivamente dedicato al compositore
di Altamura. Solitamente si fa risalire la causa prima di questo oblio al “tradi-
mento” di Francesco Florimo, grande amico e collaboratore del compositore mentre
questi era in vita e proprio per tal motivo dotato di ampia credibilità; Florimo infatti
ne La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii (1881) ne traccia un ritratto
postumo niente affatto lusinghiero. Tale giudizio sarà seguito, nel corso degli anni,
da valutazioni che, spesso non corroborate da alcun contatto diretto con le partiture,
contribuiranno a diffondere l’immagine di un compositore superficiale, incolto e
grossolano. Tutto ciò, unitamente al mancato contatto di pubblico e artisti con la
203

musica mercadantiana, creerà una distanza con il compositore che gli studi più
recenti, attraverso la ricerca documentaria e l’analisi delle partiture, stanno cer-
cando di colmare.
Gli inizi della drammaturgia mercadantiana sono legati a filo doppio alla
cultura napoletana del ‘700: l’insegnamento di Zingarelli mirava alla formazione
di musicisti che se da un lato dovevano essere conoscitori della più recente cultura
strumentale europea del tempo, dall’altro dovevano rimanere fedeli alla tradizione
operistica napoletana e chiusi alle più recenti innovazioni rossiniane. Il successo
di un’opera come Elisa e Claudio (1821) nasceva anche dal suo essere erede diretta
della Cecchina piccinniana e, ancor più, del cimarosiano Matrimonio segreto. Il
discrimine rispetto a un atteggiamento più aperto alla contemporaneità va cercato
nel soggiorno viennese del 1824, in seguito al quale il compositore mostra una
maggiore disponibilità a indagare il modello rossiniano, mettendo già tuttavia in
discussione le convenzioni formali e manifestando una buona padronanza nella resa
psicologica dei personaggi. Tutto ciò è in linea con una ricerca drammaturgica che
in questo momento è già in corso: un’opera come Caritea, regina di Spagna,
caratterizzata da un buon livello di analisi psicologica e da un’interessante lettura
dei conflitti interiori che turbano i personaggi, rappresenta una tappa significativa
nell’ambito del percorso che condurrà il compositore alle soglie della maturità.
Da più parti si è sottolineato come il ricorso a libretti metastasiani (si pensi a
Didone abbandonata, Ezio, Adriano in Siria, Ipermestra) non fosse coerente con
le più recenti elaborazioni degli anni ’20; ma è pur vero (cfr. RUSSO 2003), che
l’utilizzo di tali testi si inseriva in una temperie culturale mirante all’utilizzo di
poesia di alta qualità in un’epoca in cui ancora il panorama librettistico italiano
non offriva sicuri punti di riferimento, fermo restando l’adattamento dei libretti
del poeta cesareo alla più moderna drammaturgia ottocentesca attraverso la tra-
sformazione di alcune arie in pezzi a più voci e mediante l’inserimento di cori
e concertati.
La permanenza nella penisola iberica, e soprattutto l’attività di direttore delle
stagioni d’opera di Lisbona e di Madrid, posero il compositore in una posizione
privilegiata che gli consentì di respirare l’aria di novità proveniente dall’Italia:
la rappresentazione di alcune delle più recenti produzioni belliniane rappresentò
un importante momento di riflessione le cui conseguenze sono ben leggibili sia
nella Francesca da Rimini, composta su un preesistente libretto di Romani, non
a caso opportunamente modificato, sia in Zaira, opera realizzata, al rientro in Italia,
sullo stesso libretto romaniano già utilizzato da Bellini ma caratterizzata da un
linguaggio originale che si sostanzia in una particolare concisione della scrittura
e in una singolare organizzazione della forma, oltre che in un trattamento armonico
e coloristico dell’orchestra e nella ricerca di particolari effetti drammatici che
lasciano intuire gli sviluppi dell’immediato futuro.
Tutto ciò rivela come I Normanni a Parigi, spesso considerata l’opera che
inaugura una nuova epoca nella drammaturgia mercadantiana, rappresenti in realtà
un’ulteriore tappa all’interno di un percorso evolutivo già da tempo avviato e
destinato ad arricchirsi con i lavori degli anni successivi, all’interno dei quali sarà
spesso possibile riscontrare la ferma volontà di sviluppare una continuità dram-
maturgica che inganni l’alternanza tra recitativi e pezzi chiusi pur formalmente
mai abbandonata.
204

Il soggiorno parigino degli anni 1835-1836 e la relativa coincidenza con la


prima rappresentazione de Les Huguenots di Meyerbeer (Opéra, 29 febbraio 1836)
sono spesso stati considerati all’origine di una particolare spinta propulsiva che,
attraverso il contatto con le novità introdotte dal grand-opéra, avrebbe accelerato
il cammino verso quella che è ormai unanimemente definita la “riforma” di
Mercadante. Recentemente Michael Wittmann (cfr. WITTMANN 2003) ha tuttavia
sottolineato come gli aspetti innovativi delle opere della maturità mercadantiana
fossero in realtà già presenti nei lavori precedenti, caratterizzati da uno sperimen-
talismo tanto ricco quanto originale, e come d’altro canto l’Altamurano non abbia
fondamentalmente compreso la portata innovativa dell’opera meyerbeeriana né ne
abbia assimilato le peculiarità drammaturgiche, evidenziando in tal modo come
se da un lato l’esperienza parigina abbia rappresentato uno stimolo senza dubbio
prezioso ai fini della crescita intellettuale del compositore, dall’altro il suo ruolo
nell’elaborazione delle idee riformistiche meriterebbe di essere ripensato.
La lettera-manifesto della cosiddetta “riforma” di Mercadante, inviata dal
compositore a Francesco Florimo, è datata 1 gennaio 1838 ed è riferita a Elena
da Feltre, la cui partitura accompagnava; ma nello stesso documento il musicista
fa risalire l’avvio della “rivoluzione” a Il giuramento. Va specificato, per inciso,
che in più di un’occasione Mercadante ringrazia proprio il Florimo per avergli
fornito, in vista della composizione di un’opera (il Marco Visconti) poi non
realizzata, preziosi consigli che lo avrebbero successivamente condotto a nuove
strategie compositive. Capisaldi di questa “nuova maniera”, così definita dallo
stesso compositore, sono l’eliminazione delle cabalette (mai integrale, ad onor del
vero, ma riferita particolarmente alle parti delle primedonne), la riduzione delle
ripetizioni, l’arricchimento dell’orchestrazione, l’attenzione al dramma e all’azio-
ne, l’originalità della forma. È possibile aggiungere, a questi, almeno altri due
aspetti interessanti: l’attenzione alla brevitas, finalizzata a favorire il mantenimen-
to della tensione ai massimi livelli possibili, e un utilizzo del testo poetico che
spesso contraddice le intenzioni formali del librettista sovrapponendo strutture
musicali affatto impreviste. Giova ricordare quanto Franz Liszt ebbe a scrivere
dopo aver ascoltato a Venezia Le due illustri rivali (cfr. PALERMO 1985, pp. 36-
37): «Ho assistito alle prime rappresentazioni della nuova opera di Mercadante
Le due illustri rivali. È una partitura scritta con abilità e coscienza: parecchie arie
d’assieme vi sono straordinarie, così il successo è stato completo. Le ultime opere
di Mercdante sono senza dubbio le meglio pensate del repertorio attuale».
Si è soliti comprendere nel gruppo delle “opere della riforma” quelle composte
fra il 1837 e il 1840, con propaggini che giungono fino al 1843. A Giovanni Carli
Ballola va ascritto il merito di aver rinvigorito lo studio della “riforma” merca-
dantiana fin dagli anni Settanta del ‘900, dando l’avvio a un movimento di pensiero
critico che negli ultimi anni si è progressivamente intensificato.
Il ritorno a Napoli nel 1840 e l’assunzione dell’incarico di Direttore del
Conservatorio determinano una significativa virata in un percorso che appariva
orientato in una direzione ben diversa rispetto a quanto sarebbe poi accaduto. Si
è parlato, a proposito delle opere dell’ultimo periodo napoletano, di “involuzione
formale”, ed è innegabile che un esame superficiale delle partiture operistiche di
quegli anni riveli un ritorno a stilemi espressivi e formali imprevedibile durante
gli anni della “riforma”. Sennonché un’analisi condotta in profondità rivela come
205

il compositore, lungi dal ritornare a una drammaturgia ormai superata, tenti in


realtà di soddisfare la tendenza conservatrice del pubblico napoletano rafforzando
il dramma all’interno dei pezzi chiusi, espandendo, a volte smisuratamente, questi
ultimi in modo da renderli organismi drammatici completi e compiuti in se stessi
e rinnovando così la forma tradizionale dall’interno. Ancora l’ultima opera mer-
cadantiana, Pelagio, a dispetto della tradizionale articolazione formale, si mostra
estremamente moderna nella realizzazione di una continuità capace di trascendere
le strutture previste dal libretto, nel sapiente adattamento di linee melodiche e
condotte armoniche alle trasformazioni psicologiche dei personaggi e, più in
generale, nella capacità di adesione della musica al dramma.
Tutto ciò rendeva probabilmente Mercadante troppo moderno per i conservatori
e troppo retrogrado per coloro che assistevano in quegli stessi anni all’evoluzione
della parabola verdiana, ossia di quel teatro che aveva fatto proprie le istanze
dell’età della “riforma” portandole a compimento nell’ottica di un’estetica pro-
gressivamente sempre più realistica.
Il crescente interesse che negli ultimi anni si è concentrato sulla figura e
sull’opera di Saverio Mercadante ha condotto, tra la fine del XX e gli inizi del
XXI secolo, alla rappresentazione di alcune opere (tra queste Caritea, regina di
Spagna, Il giuramento, Elena da Feltre, Il bravo, La vestale, Il reggente, Pelagio)
che non vedevano la luce da oltre un secolo; si è trattato, tuttavia, di episodi che,
nonostante la pregevolezza delle iniziative, non hanno colmato la notevole distanza
che ancora separa il grande pubblico dal compositore. Sempre più numerose sono,
d’altra parte, le incisioni discografiche di opere mercadantiane che consentono,
a un pubblico di specialisti e di appassionati, contatti progressivamente più fre-
quenti con la musica dell’Altamurano. Parallelamente negli ultimi anni si è as-
sistito a un intensificarsi degli studi scientifici che ha condotto alla pubblicazione
dell’epistolario nonchè di articoli, saggi e volumi miranti prevalentemente ad
indagare la fase più matura dell’attività del compositore. Se lo studio della
“riforma” necessita di approfondimenti che non possono prescindere dall’analisi
delle partiture e dal confronto con la coeva produzione melodrammaturgica, si resta
in attesa di esiti di ricerche che riguardino la giovanile produzione mercadantiana
(con particolare attenzione al periodo iberico) e l’ultimo trentennio napoletano,
oltre che di studi specifici riguardanti il vasto corpus di musica sacra e strumentale
prodotto dal compositore di Altamura.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, IBI, MGG, NG2001, NGO, PIPER, SCHMIDL, STIEGER)

BELLUCCI LA SALANDRA Mario, Mercadante controluce, in «La Gazzetta musicale», gennaio 1950.
BENNETT Douglas M., Il Giuramento, in «Donizetti Society Newsletter», 88, 2003, pp. 19-20.
BLAZE DE BURY Henry, Mercadante in Musiciens Contemporains, Michel Lévy Frères, Parigi 1856,
pp. 191-197.
BUDDEN Julian, “Simon Boccanegra” (First Version) in Relation to Italian Opera of the 1850’s,
in Verdi-Studien: Pierluigi Petrobelli zum 60. Geburstag, a cura di Siegarth Dohring-Wolfgang
Osthoff, Ricordi, München 2000, pp. 11-32.
BRANCA Emilia, Felice Romani e più reputati maestri del suo tempo, Loescher, Torino-Firenze-Roma
1882, pp. 217, 228, 242, 254.
206

BRIZIO Edoardo, Saverio Mercadante: cause e rimedi di un’ingiustizia, in «Altamura: bollettino


dell’Archivio Biblioteca Museo Civico», IX, 1967, pp. 85-92.
–, Mercadante e “i quattro grandi”, in «Altamura: bollettino dell’Archivio Biblioteca Museo Ci-
vico», XI, 1969, pp. 71-75.
BRYAN Karen McGaha, Mercadante’s experiment in form: the Cabaletta of “Elena da Feltre”, in
«Donizetti Society Journal», VI, 1988, pp. 37-56.
–, An Experiment in Form. The Reform Operas of Saverio Mercadante (1795-1870), UMI, Ann
Arbor 1994.
BUSTICO Guido, Saverio Mercadante a Novara, in «Rivista Musicale Italiana», XXVIII, 1921, pp.
361-396.
CAMBIASI Isidoro, Prospetto cronologico delle composizioni del maestro Saverio Mercadante, in
«Gazzetta musicale di Milano», VII, 11, 15.3.1848
CAMURRI Antonio, Saverio Mercadante (con lettere inedite tratte dalla raccolta della Beriana), in
«La Berio», II, 2, 1962, pp. 23-31.
CARLI BALLOLA Giovanni, Incontro con Mercadante, in «Chigiana», XXVI-XXVII, 1969-70, pp. 465-
500.
–, Mercadante e “Il Bravo”, in Il Melodramma italiano dell’Ottocento. Studi e ricerche per
Massimo Mila, a cura di Giorgio Pestelli, Einaudi, Torino 1977, pp. 365-401.
–, Mercadante bifronte (programma di sala), in 10° Festival della Valle d’Itria, Martina Franca 1984,
pp. 6-9
–, Un’opera bifronte (programma di sala), in 16° Festival della Valle d’Itria, Martina Franca 1990,
pp. 23-26
–, Saggio di una visione critica su Mercadante, in «Annuario del Conservatorio di musica “S. Pietro
a Majella”», Napoli 1971, pp. 24-36.
CASINI Claudio, Giuseppe Saverio Mercadante in Storia della Musica - L’Ottocento II - EDT/
Musica, Torino 1978.
–, L’analogo sintattico, in «Lo spettatore musicale», VII, 4, 1972.
CASSANELLI Giovanni - DE LEONARDIS Margherita, Saverio Mercadante (1795-1870). Tra storia
cultura e società, Pensierilunghi, Altamura 2000.
CASSANELLI Giovanni, Da Cadice a Napoli. I viaggi di “Pelagio” (programma di sala), in 34°
Festival della Valle d’Itria, Martina Franca 2008, pp. 95-102.
–, La “riforma” di Mercadante: a proposito di “Elena da Feltre”, in L’ “altro” melodramma. Studi
sugli operisti meridionali dell’Ottocento, a cura di Pierfranco Moliterni, Graphis, Bari 2008, pp.
80-101.
CELLETTI Rodolfo, Il vocalismo italiano da Rossini a Donizetti, in «Analecta Musicologica», V,
1968, pp. 267-294; VII, 1969, pp. 214-247.
–, Ma in fondo Mercadante ci piace?, in «Discoteca», CV, 1970.
CHIECO Franco, Riesumazione de “Il giuramento”, Bari, Petruzzelli, 23 maggio 1953, in «Altamura:
bollettino dell’Archivio Biblioteca Museo Civico», I, 1954, pp. 45-47.
CHILESOTTI Oscar, I nostri maestri del passato: note biografiche sui più grandi musicisti italiani
da Palestrina a Bellini, Ricordi, Milano 1882, pp. 432-444.
CICCONETTI Filippo, In morte di Mercadante, Roma, 1870.
COLUCCI Raffaele, Biografia di Saverio Mercadante, in «La scena», 19 settembre 1867.
CONATI Marcello, Florimo e Mercadante in Francesco Florimo e l’Ottocento musicale, a cura di Rosa
Cafiero - Marina Marino, Jason, Reggio Calabria 1999, pp. 121-133.
–, Mercadante fra Rossini e Verdi, in Saggi su Saverio Mercadante, a cura di Gian Luca Petrucci -
Giacinto Moramarco, Cassano delle Murge 1992, pp. 31-52.
CONFALONIERI Guido, Mercadante nella sua vera luce, in «L’Approdo del Sud», II, Napoli, maggio
1953.
D’AMICO Fedele, Il “Ballo in maschera” prima di Verdi, in «Bollettino dell’Istituto di Studi Ver-
diani», I, 3, 1960, pp. 1251-1328 (anche in «Chigiana», XXVI-XXVII, 1969-70, pp. 501-583).
DE ANGELIS Marcello, Le carte dell’impresario. Melodramma e costume teatrale nell’Ottocento,
Firenze 1982, pp. 199-206.
DELLA SETA Fabrizio, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT/Musica, Torino 1993 («Storia della musica
a cura della Società Italiana di Musicologia», 9), pp. 178-182.
DE NAPOLI Giuseppe, La triade melodrammatica altamurana: Giacomo Tritto (1733-1824), Vin-
cenzo Lavigna (1776-1836), Saverio Mercadante (1795-1870), Industrie Rosio & Fabe, Milano
1931, pp. 67-256 (rist. anast., Altagusta Editrice, Altamura 1984).
207

–, Altamura e Mercadante, Rosio, Milano 1931.


DI FONZIO M., Spigolature: Mercadante, in «Altamura: bollettino dell’Archivio Biblioteca Museo
Civico», II-IV, 1955, pp. 90-91.
EDWARDS Geoffrey Carleton-EDWARDS Ryan, Images of What Have Been. Drama and Dramaturgy
in Mercadante’s “Il giuramento”, in «The Opera Journal», XXIX, 3, 1996, pp. 2-16.
FÉTIS François-Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique,
II, F. Didot, Paris 1873.
FLORIMO Francesco, Saverio Mercadante in Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli, Tipo-
grafia Lorenzo Rocco, Napoli 1869 (riveduto e ampliato in La scuola musicale di Napoli e i suoi
conservatorii con un cenno della storia della musica in Italia, Morano Francesco, Napoli 1881-
83; rist. anast. Bologna, Forni, 1969).
FORESIO Dino, Mercadante e gli illustri rivali (programma di sala), in 34° Festival della Valle d’Itria,
Martina Franca 2008, pp. 143-147.
FRIEND Lisa B., Il linguaggio armonico di Mercadante, in «Mercadante. Bollettino dell’Associazione
Civica “Saverio Mercadante”», 1995, pp. 41-48.
GATTI Carlo, Il Teatro alla Scala nella storia e nell’arte, Ricordi, Milano 1964.
GIALDRONI Teresa - ZIINO Agostino, “Compositori originali” e “compositori imitatori” nel pensiero
di alcuni musicisti napoletani, in Napoli e il teatro musicale in Europa tra Sette e Ottocento.
Studi in onore di Friedrich Lippmann, Olschki, Firenze 1993, pp. 369-381.
GLINSCHI Mateuz, La congiura del silenzio, in «Osservatore romano», 5 luglio 1945.
–, La sorte di Saverio Mercadante, in «Osservatore romano», 12 luglio 1945.
–, Saverio Mercadante fra i grandi compositori dell’Ottocento, in «Osservatore Romano», 3 maggio
1946.
GOSSETT Philip, Introduzione a Elena da Feltre in Italian Opera [1810-1840], XX, Garland, New
York-Londra 1985, pp. V-IX.
–, Introduzione a Elisa e Claudio in Italian Opera [1810-1840], XIV, Garland, New York-Londra
1989, pp. V-XII.
–, Introduzione a Il bravo in Italian Opera [1810-1840], XXI, Garland, New York-Londra 1989,
pp. V-XI.
–, Introduzione a Il giuramento in Italian Opera [1810-1840], XVIII, Garland, New York-Londra
1986, pp. V-XI.
–, Introduzione a La Vestale in Italian Opera [1810-1840], XXII, Garland, New York-Londra 1986,
pp. V-X.
GUALERZI Giorgio, Mercadante nel secolo (programma di sala), in 10° Festival della Valle d’Itria,
Martina Franca 1984, pp. 10-11
–, Una boccata d’aria per sopravvivere. Mercadante operistico nel ‘900 (programma di sala), in
16° Festival della Valle d’Itria, Martina Franca 1990, pp. 28-31.
HAMILTON Kenneth, Reminiscenses of a Scandal - Reminiscenses of La Scala: Liszt’s Fantasy on
Mercadante’s “Il giuramento”, in «Cambridge Opera Journal», V, 3, 1993, pp. 187-198.
HENZE-DÖRING Sabine, Elisa e Claudio ossia L’amore protetto dall’amicizia (Saverio Mercadante),
in «Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters», a cura di Carl Dahlhaus -Sieghart Döring, V, München
1991, pp. 67-69.
–, I normanni a Parigi (Saverio Mercadante), in «Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters», a cura
di Carl Dahlhaus-Sieghart Döring, IV, München 1991, pp. 69-71.
IANNELLA Federica, Riconquistare Napoli. Mercadante, Cammarano, “Elena da Feltre” (programma
di sala), Teatro Rossini, Lugo di Romagna 1999, pp. 13-20.
ISOTTA Paolo, La ripresa moderna dell’“Elisa e Claudio” di Mercadante, in «Nuova Rivista Musicale
Italiana», VI, 2, 1971.
JACKSON Roland, Mercadante’s Résumé of Opera Reform in «Ars Musica, Musica Scientia, Festschrift
Heinrich Hüschen zum fünfundsechzigsten Geburtstag» am 2. März 1980, a cura di D. Altenburg,
Gitarre und Laute, Köln 1980, pp. 271-276.
JELLINEK George, The San Carlo Celebrates in «The Opera Quarterly», VI, 1988-89, pp. 69-76.
KAUFMAN Thomas G., International Dictionary of Opera, II, 1993, pp. 858-861.
–, Catalogue of Mercadante’s Operas - Chronology of Performances with Casts, in «Mercadante.
Bollettino dell Associazione Civica “Saverio Mercadante”», I, 1996, pp. 5-134.
–, Mercadante and Verdi, in «The Opera Quarterly», XIII, 3, 1997, pp. 41-56 (anche in «Mercadante.
Bollettino dell Associazione Civica “Saverio Mercadante”», II, 1997, pp. 31-49).
208

–, Saverio Mercadante in Verdi and his Major Contemporaries, Garland Publishing, New York 1990,
pp. 61-76.
KOWALS Rebecca R., Issues of Style in Saverio Mercadante’s Mature Operas, Diss. Brandeis Univ.
1997, UMI, Ann Arbor 2001.
LAURIA Giuseppe Aurelio, Mercadante in Altamura, in «Poliorama Pittoresco», IX, 1845, pp. 54-56.
LANDINI Giancarlo, Fraschini, Rossini, Pacini, Putrella e Mercadante: un problema d’interpreta-
zione ed un tenore lombardo nella fucina del romanticismo napoletano, in «La musica a Milano,
in Lombardia e oltre», a cura di Sergio Martinotti, II, Vita e Pensiero, Milano 2000, pp. 251-320.
–, La terza via di Mercadante, in «L’Opera», CXXXII, 1999, pp. 52 segg.
LANZA TOMASI Gioacchino, “Il Giuramento” di Saverio Mercadante nel quadro dell’opera roman-
tica (programma di sala), in 13° Festival dei 2 Mondi, Spoleto 1970.
LIDDEL Alex, Mercadante’s Elena da Feltre, in «Donizetti Society Newsletter», 73, 1998, pp. 8-10.
LINDNER Thomas, Mercadante è stato vinto da Mercadante. “Elena da Feltre” und die sogenannten
Reformopern Mercadantes, in «Notitiae Austriacae», 221/222, 1999, pp. 31-34.
–, Zur musikalischen Stilistik von Mercadantes “Donna Caritea”, in «Mitteilungen der Wiener
Donizetti-Gesellschaft», settembre 1995, pp. 16-20 (anche in «Mercadante. Bollettino dell’Asso-
ciazione Civica Saverio Mercadante», 2, 1997, pp. 51-58).
LIPPMANN Friedrich, Vincenzo Bellini und die italienische Opera seria seiner Zeit, in «Analecta
Musicologica», 6, 1969, pp. 328-340.
LO PRESTI Fulvio Stefano, Duecento candeline per Don Saverio, in «Donizetti Society Newsletter»,
67, 1996, pp. 19-20.
LUCIANI Sebastiano Arturo, Saverio Mercadante nei giudizi dei musicisti contemporanei, in Saverio
Mercadante (1795-1870): Note e Documenti raccolti nel 150° anniversario della sua Nascita,
a cura del Comitato “Pro Mercadante” di Altamura, Tip. Popolare, Bari 1945, pp. 13-17 (anche
in «Chigiana», XXVI-XXVII, 1969-70, pp. 459-463).
–, Saverio Mercadante e la critica, in «Chigiana», XXVI-XXVII, 1969-70, pp. 453-457.
LUPONE Ines, Mercadante un grande innovatore, in Fogli sparsi, Edizioni del Delfino, Napoli 1976.
MANDELLI Alfredo, Un “Giuramento” dimenticato (programma di sala), in 13° Festival dei 2 Mondi,
Spoleto 1970.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1955.
MARTET Richard, Alla ricerca del Mercadante perduto (programma di sala), in 21° Festival della
Valle d’Itria, Martina Franca 1995, pp. 47-52.
MARTINEZ Andrea, Mercadante in Altamura, in «Museo di Scienze e Letteratura», IV, 1844, pp. 125-
131.
MELISI Francesco, Contributo ad una rivalutazione di Saverio Mercadante, in Saggi su Saverio
Mercadante, a cura di Gian Luca Petrucci-Giacinto Moramarco, Messaggi, Cassano delle Murge
1992, pp. 137-142.
MILLER Norbert, Metzler Komponisten Lexikon, Stuttgart 1992, pp. 481-484.
–, voce Virginia (Saverio Mercadante), in «Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters», a cura di Carl
Dahlhaus-Sieghart Döring, IV, München 1991, pp. 90-93.
MIOLI Piero, Ballate, preghiere e stornelli. Titoli e generi della romanza da Mercadante a Respighi,
in La romanza italiana da salotto, a cura di Francesco Sanvitale, EDT/Musica, Torino 2002, pp.
5-54.
–, Saverio Mercadante. Un florilegio melodrammatico, in Saggi su Saverio Mercadante, a cura
di Gian Luca Petrucci - Giacinto Moramarco, Messaggi, Cassano delle Murge 1992, pp. 53-76.
–, Tradizione melodrammatica e crisi di forme nelle “Due illustri rivali” di Saverio Mercadante,
in «Studi Musicali», IX, 2, 1980, pp. 317-328.
MONTICELLI Paolo, Mercadante “sacro” (programma di sala), in 29° Festival della Valle d’Itria,
Martina Franca 2003, pp. 168-169.
MOONEY Anne. G., The operas of Saverio Mercadante, M. A. Thesis, University of Edinburgh 1970.
NEUMANN William, Giuseppe Verdi, Saverio Mercadante. Biographien, s.e., Kassel, 1855.
NICASTRO Aldo, Il melodramma e gli italiani, Rusconi, Milano 1982.
NOTARNICOLA Biagio, Saverio Mercadante nel III cinquantennio dalla nascita: biografia critica,
Tipografia F. Francioni, Roma 1945 (2ª ed. riveduta e ampliata, Saverio Mercadante nella gloria
e nella luce, Tipografia Diplomatica, Roma 1948).
–, Verdi e Mercadante. Risposta a Peucezio, Alderighi e Dodo, Francioni, Roma 1952.
–, Verdi non ha vinto Mercadante. Accertamenti e rivelazioni del M° Giulio Confalonieri, Tipo-
grafia F. Francioni, Roma 1955.
209

PALERMO Santo, Note sull’epistolario di Saverio Mercadante, in Saggi su Saverio Mercadante, a


cura di Gian Luca Petrucci-Giacinto Moramarco, Messaggi, Cassano delle Murge 1992, pp. 177-
183.
–, Saverio Mercadante. Biografia, epistolario, Schena, Fasano 1985.
–, Saverio Mercadante e il teatro alla Scala di Milano, in «Altamura: bollettino dell’Archivio
Biblioteca Museo Civico», X, 1968, pp. 45-71.
–, Mercadante e Donizetti e l’affare del Conservatorio di Napoli, in «Donizetti Society Newsletter»,
78, 1999, pp. 12-15.
PALOSCHI Giovanni, La patria di Mercadante, in «Gazzetta Musicale di Milano», XXXI, 25, 18 giugno
1876.
PANNAIN Guido, Mercadante in Ottocento musicale italiano: saggi e note, Edizioni Curci, Milano
1952.
–, Saggio su la musica a Napoli nel sec. XIX, da Mercadante a Martucci, in «Rivista Musicale
Italiana», XXXV, 1928, pp. 198-208: 331-342 (ed. riveduta e ridotta: La musica a Napoli dopo
Bellini: Saverio Mercadante in Ottocento musicale italiano, Curci, Milano 1952, pp. 114-126).
PERNA Stefania, “La Vestale” di Saverio Mercadante: approdo romantico di un mito neoclassico,
Schena, Fasano 1990.
PETRUCCI Gianluca - MORAMARCO Giacinto, Saverio Mercadante: l’ultimo dei cinque re, Editoriale
Pantheon, Roma 1995.
PETRUCCI Gianluca, Catalogo delle opere di Saverio Mercadante pubblicate per i tipi della Casa
Zanibon, Zanibon, Padova 1992.
PISA Paola, Saverio Mercadante e la didattica vocale dell’Ottocento, in Saggi su Saverio Merca-
dante, a cura di Gian Luca Petrucci - Giacinto Moramarco, Messaggi, Cassano delle Murge 1992,
pp. 85-104.
POMÈ A., Saggio critico sull’opera di Saverio Mercadante, s.e., Torino 1925.
PULIGNANO Ernesto, “Il giuramento” di Rossi e Mercadante, EDT/De Sono, Torino 2007.
QUATTROCCHI Arrigo, Vorläufer und Zeitgenossen: Rossini, Bellini, Donizetti, Mercadante, in Giu-
seppe Verdi und seine Zeit, a cura di M. Engelhardt, Laaber-Verlag, Laaber 2001, pp. 89-106.
RIGOTTI D., Saverio Mercadante musicista dimenticato, in «Rassegna musicale», Curci, Milano
1970.
RINALDI Mario, Significato di Mercadante, in Ritratti e fantasie musicali, De Sanctis, Roma 1970,
pp. 147-150.
RISI Clemens, Auf dem Weg zu einem italienischen Musikdrama. Konzeption, Inszenierung und
Rezeption des Melodramma vor 1850 bei Saverio Mercadante und Giovanni Pacini, Schneider,
Tutzing 2004.
–, Der funktionale Einsatz konventionalisierter Formen bei Saverio Mercadante am Beispiel von
“cantabile” und “cabaletta”, in Musikkonzepte-Konzepte der Musikwissenschaft. Bericht über
den Internationalen Kongreß der Gesellschaft für Musikforschung, Halle (Saale) 1998, a cura
di K. Eberl - W. Ruf, Bärenreiter, Kassel 2000, pp. 472-480.
ROLANDI Ulderico, Fortuna delle opere di Mercadante in Italia e all’estero in Saverio Mercadante.
Note e Documenti raccolti nel 150° anniversario della sua Nascita, a cura del Comitato “Pro
Mercadante” di Altamura, Bari 1945, pp. 19-21.
–, Quattro poeti e un compositore alle prese… per un libretto d’opera: il Bravo di Saverio
Mercadante, Marchesi, Roma 1931.
RONCAGLIA Gino, “Il giuramento”, in «La Scala», LXI, 1954, pp. 81-84.
ROSSI A. A., Intorno a gli “Orazi e Curiazi”, in Saverio Mercadante. Note e Documenti raccolti
nel 150° anniversario della sua Nascita, a cura del Comitato “Pro Mercadante” di Altamura,
Bari 1945, pp. 52-59.
ROSSI Beniamino, Saverio Mercadante, in «Il Giornale di Napoli», 1871.
–, Napoli o Altamura?, in «Gazzetta musicale di Milano», XXXI, 29, 31, 1876.
RUIZ TARAZONA Andrés, Músicos extranieros én España: Saverio Mercadante, in «Temporadas de
la música», VI, 2, 1987, pp. 41-43.
RUSSO Francesco Paolo, Su alcuni libretti metastasiani intonati da Saverio Mercadante, in Me-
tastasio nell’Ottocento, Atti del convegno di studi (Roma 21 settembre 1998), a cura di Francesco
Paolo Russo, Aracne, Roma 2003, pp. 61-79.
RUTA Michele, Storia critica delle condizioni della musica in Italia e del Conservatorio di S. Pietro
a Majella di Napoli, Detken & Rocholl, Napoli 1877.
210

SAPONARO Michele - VENTRICELLI Vito (a cura di), Saverio Mercadante. La vita, le opere, il gioco
del Cigno di Altamura, Gelsorosso, Bari 2008.
SARDONE Angelo Raffaele, Mercadante, le due patrie e la “Gran madre Italia”, in «Quaderni
dell’approdo del Sud», Moles, Napoli 1954.
SCHLITZER Franco, Mercadante e Cammarano, Bari 1945.
SCHMID Patric, Rediscovering Mercadante, in «Opera», XXVI, 4, 1975, pp. 332-337.
SEGALINI Sergio, Quattro compositori per Medea (programma di sala), in 21° Festival della Valle
d’Itria, Martina Franca 1995, pp. 55-57.
SELLER Francesca, La “Didone abbandonata” di Saverio Mercadante (1825), in Pietro Metastasio:
il testo e il contesto, a cura di M. Columbro - P. Maione, Altrastampa, Napoli 2000, pp. 165-
169.
–, Zingarelli, Mercadante, Florimo e la romanza nell’editoria musicale partenopea dell’Ottocento,
in La romanza italiana da salotto, a cura di F. Sanvitale, EDT/Musica, Torino 2002, pp. 197-
207.
SERENA Ottavio, I musicisti altamurani: notizie raccolte e pubblicate in occasione del centenario
di Saverio Mercadante, Tipografia F.lli Portoghese, Altamura 1895.
–, La patria di Mercadante ed altre notizie intorno ad alcuni musicisti del barese, in «Rassegna
Pugliese di scienze, lettere ed arti», II, 15, 1883, pp. 68-70.
SESSA Carlo, La patria di Mercadante, in «La Scena», IX, 1, 18 maggio e 1 giugno 1871.
SGUERZI Angelo, Due rivali, forse illustri, ma poco rivali, in «Lo Spettatore Musicale», dic. 1970,
pp. 20-22.
SOLAR-QUINTES Nicolas A., Saverio Mercadante in España y Portugual. Su correspondecia con la
Condesa de Benavente, in «Anuario Musical», 7, 1952, pp. 201-208.
SOLIMENE Giuseppe, La patria ed i genitori di Mercadante, Istituto meridionale di cultura Cavalli
Zitarosa, Napoli 1940.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 176-182.
STECCHI DE BELLIS Maria Antonietta, Altamura nel centenario di Saverio Mercadante, in «Itinerari»,
II, 3, 1970.
SUMMA Matteo, Caritea, Regina di Spagna (programma di sala), in 21° Festival della Valle d’Itria,
Martina Franca 1995, pp. 11-19.
–, Bravo Mercadante: le ragioni di un genio, Schena, Fasano 1995.
SYLOS Vincenzo, Mercadante in Altamura, in «Lucifero», VII, 1844-45, p. 251.
TRANCHINI I. - TARANTINI Leopoldo, Omaggio a Mercadante, Tip. Virgilio, Napoli 1844.
VALENTE Erasmo, Mercadante col “Reggente” spiana la strada a Verdi, in «L’Unità», XLII, 228,
1 settembre 1970, p. 7.
WALKER Frank, Mercadante and Verdi, in «Music and Letters», XXXIII, 1952, pp. 311-321; XXXIV,
1953, pp. 33-38.
WEATHERSON Alexander, Il maestro delle Gabalette? Mercadante’s Emma d’Antiochia, in «Donizetti
Society Newsletter», 91, 2004, pp. 13-16.
WITTMANN Michael, Liberalismus im antiken Gewände: Mercadantes Metastasio-Vertonungen für
Lissabon (1828) im politischen Kontext ihrer Zeit, in politische Mythen und nationale Iden-
titäten im (Musik-)Theater: Vorträge und Gespräche des Salzburger Symposions 2001, Müller-
Speiser, Anif-Salzburg 2003, pp. 461-470.
–, Meyerbeer and Mercadante? The reception of Meyerbeer in Italy, in «Cambridge Opera Journal»,
V, 2, 1993, pp. 115-132 (anche in «Mercadante. Bollettino dell’Associazione Civica “Saverio
Mercadante”», 1995, pp. 57-83; ed. riveduta e ampliata Meyerbeer und Mercadante? Überlegun-
gen zur italienischen Meyerbeer-Rezeption in Meyerbeer und das europäische Musiktheater,
a cura di A. Jacobshagen - S. Dohring, Laaber-Verlag, Laaber 1998, pp. 352-385).
–, Riflessioni per una rivalutazione delle composizioni operistiche di Saverio Mercadante, in
«Saggi su Saverio Mercadante», a cura di Gian Luca Petrucci - Giacinto Moramarco, Messaggi,
Cassano delle Murge 1992, pp. 15-30.
ZACCARIA Giuseppe, Musiche di Saverio Mercadante nella Biblioteca del Convento di San Fran-
cesco in Bologna, in «Altamura: bollettino dell’Archivio Biblioteca Museo Civico», XII, 1970.
–, Ricordi di Saverio Mercadante in Assisi, in «Altamura: bollettino dell’Archivio Biblioteca Museo
Civico», XIII, 1971.
–, Saverio Mercadante nei ricordi di un suo disepolo di Assisi, in «Altamura: bollettino dell’Ar-
chivio Biblioteca Museo Civico», VII, 1960.
211

ZONDERGELD Rein A., Die Wüste des dunklen Lebens: Saverio Mercadante und seine Reform-opern,
in «Neue Zeitschrift für Musik», CL, 9, 1989, pp. 10-15.
–, voce “Elena da Feltre”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-
Sieghart Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 77-79.
–, voce “Il bravo”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-Sieghart
Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 79-83.
–, voce “Il Giuramento”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-
Sieghart Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 71-75.
–, voce “Il reggente”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-Sieghart
Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 85-87.
–, voce “La vestale”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-Sieghart
Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 83-85.
–, voce “Le due illustri rivali”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-
Sieghart Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 75-77.
–, voce “Orazi e Curiazi”, in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, a cura di Carl Dahlhaus-
Sieghart Döhring, R. Piper GmbH & Co., München 1986-97, IV, 1991, pp. 87-90.
ZOPPELLI Luca, “Stage Music” in Early Nineteenth-Century Italian Opera, in «Cambridge Opera
Journal», II, 1, 1990, pp. 29-39.

Risorse on-line
Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) offre la possibilità di effettuare downloads
gratuiti delle partiture custodite presso la biblioteca del Conservatorio di Napoli «S. Pietro
a Majella». Sono altresì scaricabili gratuitamente dalla stessa sezione del sito numerosi
spartiti e partiture contenenti musica sinfonica, sacra, da camera, cantate, brani d’opera,
romanze, pezzi celebrativi, tracce di concorso, esercizi didattici. Su Google books sono
presenti numerosi libretti di opere mercadantiane, unitamente a recensioni e saggi prodotti
tra il XIX e il XXI secolo riguardanti, a vario titolo, la figura e l’opera di Saverio Mercadante.

Edizioni
– Italian Opera 1810-1840: printed editions of complete operas and excerpts by contem-
poraries of Rossini, Bellini and Donizetti, Garland Publishing, New York-London, 1985-
1989 (L’Apoteosi d’Ercole, vol. XIV, 1985; Elena da Feltre, vol. XX, 1985; Il Giura-
mento, vol. XVIII, 1986; La Vestale, vol. XXII, 1986; Elisa e Claudio, vol. XIV, 1989;
Il Bravo, vol. XXI, 1989).
– Il Bravo, Elibron Classics, New York 2003 (canto e pianoforte).
– Donna Caritea, Elibron Classics, New York 2002 (canto e pianoforte).
– Il Giuramento, Elibron Classics, New York 2002 (canto e pianoforte).
– I Normanni a Parigi, Elibron Classics, New York 2003 (canto e pianoforte).
– La Vestale, Elibron Classics, New York 2002 (canto e pianoforte).
– Le sette ultime parole di Nostro Signore sulla croce, Kessinger Pub Llc, Whitefish 2010.

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n. catalogo

Amleto: Finale I “Qui fu Parry 1988-1993 Opera Rara 1994 [ORCH 104]
commesso, o popoli” in
A Hundred Years of Italian
Opera 1820-1830
212

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n. catalogo

Andronico: “Soave immagine” Bongiovanni [GB 10]


Andronico: “Nel seggio placido” Parry 2006 Opera Rara 2006 [OR 236]
L’Apoteosi d’Ercole: Quartetto Parry 1985-1987 Opera Rara 1989 [ORCH 103]
“Ambo unite!... Come palpiti cor
mio!” in A Hundred Years of
Italian Opera 1820-1830
Il Bravo Aprea 1990 Nuova Era 1991 [6971/73] poi 2005
[6872431]
Il Bravo Ferro 1976 Fonit Cetra 1977 [Italia CDC 94, anche
ITL 70002] poi Warner Fonit 2000 [8573
84435-2]
I Briganti: Duetto [Hit MR30.1]
“Deh! Risparmia ch’io racconti”
Caritea regina di Spagna Carella 1995 Nuova Era 1996 [7258/60] poi 2005
[8010984172589]
Le due illustri rivali Gracis 1970 [MRF 88]
Le due illustri rivali: Aria in Bella Voce 2001 [BELLA 107 234]
The Art of Monserrat Caballé
Le due illustri rivali: Duetto Magiera 1978 London [OS 26652]; Decca [SXLI 6970]
“Leggo già nel vostro cor” in poi 2005 [DEC 4756811]
Mirella Freni, Renata Scotto
in duet
Elena da Feltre Benini 1997 Marco Polo 1998 [8.225064-65]
Elena da Feltre: “Parmi che Parry 2006 Opera Rara 2006 [OR 236]
alfin dimenticata” in Paventa
insano
Elena da Feltre: Selezione Gatto 1970 [Voce-121]
Elisa e Claudio Rapalo 1971 Melodram 1991 [CDM 27099, anche
MRF 94]
Elisa e Claudio: Sinfonia in Ed. hit per Amici di Famiglia Cristiana
Musica in palcoscenico
Emma d’Antiochia Parry 2003 Opera Rara 2004 [ORC 26]
Emma d’Antiochia: Scena, Parry 2001 Opera Rara 2001 [OR 217]
aria e duetto finale in Bel
Canto Portrait
Gabriella di Vergy: Sestetto Parry 1988-1993 Opera Rara 1994 [ORCH 104]
“Ah che dici!... Quant’immagini
crudeli” in A Hundred Years of
Italian Opera 1820-1830
Il Giuramento Albrecht 1974 [HRE 223-2]
Il Giuramento Albrecht 1979 [HRE 319]; Orfeo 2006 [C 680 0621]
Il Giuramento Arena 1985 Rodolphe Productions/INA 1985 [RPC
32417/18] poi 2006 [RP 32417 FC]
Il Giuramento Campanella 1984 Warner Fonit 1988 [CET 82]; Fonit Cetra
1994 [CDC 82, anche LMAD 3035];
Warner Fonit 2000 [CET 3984 29177-2]
Il Giuramento Carella 1993 Nuova Era 1994 [7179/80]
213

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n. catalogoIl

Giuramento Schippers 1970 Marai/Memories 1990 [MEM 4174 75


FC]; Myto 1990 [MYT 90632]
Il Giuramento Simonetto 1952 Edizione privata in Inghilterra [M.R.
2001]; Andromeda [ANDRCD5080];
Cantus Classics 2009; WALHALL 2007
[WAL 5080 AND]
Il Giuramento: Cavatina di Wallberg Orfeo 1993 [C 321 931 Z]
Bianca “Ah! Sì, mie care –
Or là, sull’onda” in Bel Canto
Il Giuramento: Cavatina di Benzi 1976 Philips 1990 [426 643-2]
Viscardo “La Dea di tutti i
cor – Bella adorata incognita”;
Aria di Viscardo “Compita è
omai – Fu celeste” in José
Carreras sings Opera Arias
Il Giuramento: Cavatina di Callegari 2007 Deutsche Grammophon 2008 [DGG
Viscardo “La Dea di tutti i cor 4777593, anche DGG 4777224]]
– Bella adorata incognita”; Aria
di Viscardo “Compita è omai –
Fu celeste” in Cielo e mar
Il Giuramento: Pezzi in Katia Katz (pianoforte) 1975 Gala Music 2001 [GALA 341]
Ricciarelli e José Carreras in
concert
Leonora: “Tu tremi indegno” Parry 2006 Opera Rara 2006 [OR 236]
in Paventa insano
Maria Stuarda regina di Scozia: Allemandi 2005 Opera Rara 2007 [ORR241]
Selezione
Nitocri: Aria “Se m’abbandoni” Parry 1988-1993 Opera Rara 1994 [ORCH 104]
in A Hundred Years of Italian
Opera 1820-1830
I Normanni a Parigi: “Che Parry 2006 Opera Rara 2006 [OR 236]
tento? Che spero?” in Paventa
insano
Orazi e Curiazi Montgomery 1975 Opera Rara [MRF 120 S]
Orazi e Curiazi Parry 1993 Opera Rara 1995 [ORC 12]
Pelagio Rivas 2008 Dynamic 2010 [DYN 636/1-2]
Pelagio: Preghiera di Bianca Magone 1970 Melodram 1991 [CDM 27099, anche
MRF 88]
Il Reggente Martinotti 1970 Myto [MCD 905.28, anche MRF 73]
La Testa di bronzo: Sinfonia in Parry 1988-1993 Opera Rara 1994 [ORCH 104]
A Hundred Years of Italian
Opera 1820-1830
La Vestale Arrivabeni 2004 Marco Polo 2005 [8.225310-11]
La Vestale Sutej 1987 Bongiovanni 1989 [GB 2065/66-2]
La Vestale 1969 Registrazione privata ANNA Record
Company 1969 [ANNA 1012]
Virginia Benini 2009 Opera Rara 2009 [ORC39]
Virginia Judd 1976 Opera Rara [MRF 137]
214

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n. catalogoIl

Virginia: Aria di Appio “Ah! Parry 1994-1997 Opera Rara 1997 [ORR 202]
Tant’oltre non credea” in Bruce
Ford: Romantic Herpes
Virginia: Corteo al tempio di Magone 1970 Melodram 1991 [CDM 27099]
Imene
Virginia: “Paventa insano gli Parry 2006 Opera Rara 2006 [OR 236]
sdegni miei” in Paventa insano
Zaira - Selezione Parry 2002 Opera Rara 2003 [ORR 224]
Zaira: Duetto “Io troverò 1972 [UORC 126]
nell’Asia” in Opera rara
Recital TWO
Mercadante rediscovered Parry 2003 Opera Rara 2003 [ORR226]
(brani tratti da Virginia, Zaira,
Emma d’Antiochia, Gabriella
di Vergy, Orazi e Curiazi)
Primo disco antologico, edito a Brizio 1968
cura dell’Associazione “Saverio
Mercadante”, con brani da Il
Giuramento, La Vestale (Scena
ed invettiva di Metello), Orazi
e Curiazi, Il Reggente
Secondo disco antologico, edito Brizio 1971
a cura dell’Associazione “Saverio
Mercadante”, con brani da Elisa
e Claudio, I Briganti, Il
Giuramento, Il Reggente
Saverio Mercadante: Sinfonie Frontalini 1994 Bongiovanni 1994 [GB 2144-2, anche
da opere (Sinfonie di Elena da EJS 570]
Feltre, Nitocri, I Normanni a
Parigi, Il Reggente, La Schiava
Saracena, Gli Sciti)
Le sette ultime parole di Nostro Scapin 1995 Bongiovanni 1995 [BON 2188]
Signore
Parola quinta dalle Sette Parole Adler 1968 Decca [SXL 336781] poi 2007 [DEC
(“Qual giglio candido”) in O 4758383]
Holy Night

Opere drammatiche e oratorii


1. L’apoteosi d’Ercole, dramma per musica in due atti di Giovanni Schmidt, NA S. Carlo
19 agosto 1819 (A-Wn, F-Pn, I-Fc, I-Nc*, I-PAc, I-Rsc, US-Bp, US-Wc) \ MI 1820;
NA 1819.
2. Violenza e costanza, ossia I falsi monetari, dramma per musica in due atti di Andrea
Leone Tottola, NA Fondo 19 febbraio 1820 (partitura in I-Bc, I-Fc, I-Nc*) \ NA 1820;
come Il castello dei spiriti, Lisbona teatro privato del Barone di Quintella a Laranjeiras
14 marzo 1825.
3. Anacreonte in Samo, dramma per musica in due atti di Giovanni Schmidt, NA S. Carlo
30 giugno 1820 (partiture in F-Pn, I-Fc, I-Nc*, I-OS).
4. Il geloso ravveduto, melodramma buffo in due atti di Bartolomeo Signorini, Roma
Valle ottobre 1820 (partiture in F-Pn, I-Fc, I-Nc*).
215

5. Scipione in Cartagine, melodramma serio in due atti di Jacopo Ferretti, Roma Argen-
tina 26 dicembre 1820 (partiture in I-Fc, I-Mr, US-CA* US-Wc) \ MI 1821.
6. Maria Stuarda regina di Scozia/ Maria Stuart, dramma serio in due atti di Gaetano
Rossi (?), BO Comunale 29 maggio 1821 (partitura in F-Pn, I-Mr).
7. Elisa e Claudio, ossia L’amore protetto dall’amicizia, melodramma semiserio in due
atti di Luigi Romanelli, MI Scala 30 ottobre 1821 (partitura in B-Bc, D-Bsb, F-Pn,
GB-Lbl, I-Bc, I-Bsf, I-Fc, I-Mc, I-Mcom, I-MAC, I-Mr*, I-Nc, I-OS, I-PAc, I-PESc,
I-Rsc, US-Bp, US-Wc) \ MI 1821-1822; Parigi 1823.
8. Andronico, melodramma tragico in due atti di Dalmiro Tindario (pseudonimo di
Giovanni Kreglianovich), VE Fenice 26 dicembre 1821 (parti in I-Nc; I-OS) \ MI 1821-
1824.
9. Il posto abbandonato, ossia Adele ed Emerico, melodramma semiserio in due atti di
Felice Romani, MI Scala 21 settembre 1822 (partitura in I-Mc, I-Mr*) \ MI 1823;
revisionata per Madrid Príncipe autunno 1826; revisionato per Lisbona S. Carlos 18
giguno1828 (partitura in I-Nc).
10. Alfonso ed Elisa, melodramma serio in due atti n.n., MN Nuovo 26 dicembre 1822;
come Aminta ed Argira, RE Pubblico 23 aprile 1823 (parti in I-Gl, I-Nc, I-OS).
11. Amleto, melodramma tragico in due atti di Felice Romani, MI Scala 26 dicembre 1822
(partitura in I-Mc, I-Mr*).
12. Didone abbandonata, dramma per musica in due atti da Pietro Metastasio, TO Regio
18 gennaio 1823 (partitura in F-Pn, I-Fc, I-Nc, I-PAc, I-Tco, US-Wc) \ MI 1823;
revisionato per NA S. Carlo 31 luglio 1825 (partitura in I-Nc*).
13. Gli Sciti, dramma per musica in due atti di Andrea Leone Tottola, NA S. Carlo 18
marzo 1823 (partitura in I-Nc) \ MI 1823-1824.
14. Costanzo ed Almeriska, dramma per musica in due atti di Andrea Leone Tottola, NA
S. Carlo 3 settembre 1823 (partitura in I-Nc) \ NA ?1824.
15. Gli amici di Siracusa, melodramma eroico in due atti di Jacopo Ferretti, Roma
Argentina 7 febbraio 1824 (parti in I-Rsc).
16. Doralice, melodramma in due atti n.n. da Les troubadours, Vienna Kärntnertortheater
18 settembre 1824 (parti in I-Nc*).
17. Le nozze di Telemaco ed Antiope, azione lirica di Calisto Bassi, Vienna Kärntnertor-
theater 5 novembre1824, in collaborazione con altri autori (parti in D-Bsb*).
18. Il podestà di Burgos, ossia Il signore del villaggio, melodramma giocoso in due atti
di Calisto Bassi, Vienna Kärntnertortheater 20 novembre 1824 (partitura in F-Pn, I-
Nc) \ come Il signore del villaggio NA Fondo 28 maggio 1825 (in dialetto napoletano);
come Eduardo ed Angelica NA Fondo 1828 (partitura in I-Nc).
19. Nitocri, dramma per musica in due atti da Apostolo Zeno, TO Regio 26 dicembre 1824
(partitura in I-Tco*) \ MI 1826.
20. Les noces de Gamache, opéra bouffon in tre atti di Jean Henry Dupin e Thomas
Sauvage, Parigi Odéon 9 maggio 1825.
21. Erode, ossia Marianna, dramma tragico in due atti di Luigi Ricciuti, VE Fenice 27
dicembre 1825 (partitura in I-Nc*, I-Vlevi).
22. Ipermestra [I], dramma tragico in due atti di Luigi Ricciuti, NA S. Carlo 29 dicembre
1825 (partitura in I-Nc*).
23. Caritea, regina di Spagna, ossia La morte di Don Alfonso re di Portogallo/Donna
Caritea, melodramma serio in due atti di Paolo Pola, VE Fenice 21 febbraio 1826
(partitura in B-BC, F-Pn, GB-T, I-Bc, I-Fc, I-Mc, I-Nc, I-PAc, I-Vlevi, US-Wc) \ MI
1827; Parigi s.d.
216

24. Ezio, dramma per musica in due atti da Pietro Metastasio, TO Regio 2 febbraio1827
(partitura in I-Tc) \ MI 1827.
25. Il montanaro, melodramma comico in due atti di Felice Romani, MI Scala 16 aprile
1827 (sinfonia in I-Bc).
26. La testa di bronzo, ossia La capanna solitaria, melodramma eroicomico in due atti di
Felice Romani, Lisbona teatro privato del Barone di Quintella a Laranjeiras 3 dicembre
1827 (partitura in GB-Lbl, I-Mc, I-Nc) \ Parigi 1828.
27. Adriano in Siria, dramma eroico in due atti da Pietro Metastasio, Lisbona S. Carlos 24
febbraio 1828 (partitura in I-Nc).
28. Gabriella di Vergy, dramma tragico in due atti di Andrea Leone Tottola, Lisbona S.
Carlos 8 agosto 1828 (partitura in I-Mc, I-Nc); revisionato da Emanuele Bidera per GE
Carlo Felice 16 giugno 1832 (partitura in I-Mr*, I-Nc) \ MI 1833; NA s.d.
29. Ipermestra [II], dramma eroico in due atti da Pietro Metastasio, Lisbona S Carlos 29
settembre 1828 (partitura in I-Nc); revisionato per GE Carlo Felice 26 dicembre 1832
(partitura in F-Pn, I-Mr*).
30. La rappresaglia, melodramma buffo in due atti di Cesare Sterbini, Cadice Principal 21
febbraio 1829 (partitura in I-Nc, US-Wc).
31. I due Figaro, melodramma buffo in due atti di Felice Romani, 1826 ma prima
rappresentazione Madrid Principe 26 gennaio 1835.
32. Don Chisciotte alle nozze di Gamaccio, melodramma giocoso in un atto di Steffano
Ferrero, Cadice Principal carnevale 1829-30 (partitura in I-Nc).
33. Francesca da Rimini, melodramma in due atti di Felice Romani, Madrid 1830-31
(partitura in I-Bc*).
34. Zaira, melodramma tragico in due atti di Felice Romani, NA S. Carlo 31 agosto 1831
(partitura in I-Nc*, I-Rsc) \ MI 1831.
35. I normanni a Parigi, tragedia lirica in quattro atti di Felice Romani, TO Regio 7 febbraio
1832 (F-Pn, I-Bc, I-Fc, I-Nc, I-OS, I-Rsc*, I-Tc*, US-Bp) \ MI 1832.
36. Ismalia, ossia Amore e morte, melodramma in tre atti di Felice Romani, MI Scala 27
ottobre 1832 (partitura in A-Wn, I-Mc, I-Mr*) \ MI 1832.
37. Il conte di Essex, melodramma in tre atti di Felice Romani, MI Scala 10 marzo 1833
(partitura in I-Mc, I-Mr*) \ MI 1833.
38. Emma d’Antiochia, tragedia lirica in tre atti di Felice Romani, VE Fenice 8 marzo 1834
(partitura in F-Pn, I-Mc, I-Mr*, I-Nc, I-Vlevi) \ MI 1835.
39. Uggero il danese, melodramma in quattro atti di Felice Romani, BG Riccardi 11 agosto
1834 (partitura in D-Bsb) \ MI 1839.
40. La gioventù di Enrico V, melodramma in quattro atti di Felice Romani, MI Scala 25
novembre 1834 (partitura in I-Mc, I-PAc, I-Mr*) \ MI 1835.
41. Francesca Donato, ossia Corinto distrutta, melodramma in tre atti di Felice Romani,
TO Regio 15 febbraio 1835 (partitura in I-Tc*); revisionato da Salvatore Cammarano
per NA S. Carlo 5 gennaio 1845 (partitura in I-Nc*) \ MI ?1845.
42. I briganti, melodramma in tre atti di Jacopo Crescini, Parigi Italien 22 marzo 1836
(partitura in F-Pn, I-Nc, I-Raf) \ MI 1836; revisionato per MI Scala 6 novembre 1837
(partitura in I-Mc, I-Mr*).
43. Il giuramento, melodramma in tre atti di Gaetano Rossi, MI Scala 11 marzo 1837
(partitura in A-Wn, D-Bsb, D-Mbs, F-Pn, I-CAcon, I-Fc, I-Mc, I-Mr*, I-Nc, I-Nlp, I-
NOVd, I-Rsc, US-Wc) \ MI 1837; Parigi 1859; come Amore e dovere Roma 1839.
217

44. Le due illustri rivali, melodramma in tre atti di Gaetano Rossi, VE Fenice 10 marzo
1838 (partitura in I-Mc, I-Nc, I-Vlevi) \ MI 1838; Leipzig 1840; revisionato per MI
Scala 26 Dicembre 1839 (partitura in I-Mc, I-Nc*, I-Rsc).
45. Elena da Feltre, dramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano, autunno 1837
ma prima rappresentazione NA S. Carlo 1 gennaio 1839 (partitura in I-Fc, I-Mr, I-
Nc) \ MI 1839.
46. Il bravo, ossia La veneziana, melodramma in tre atti di Gaetano Rossi e Marco
Marcelliano Marcello, MI Scala 9 marzo1839 (partitura in A-Wn, D-Bsb, F-Pn, GB-
Lbl, I-Mc, I-Mr*, I-Nc, I-Rsc) \ MI 1839; NA s.d.; Parigi s.d.
47. La vestale, tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S. Carlo 10 marzo
1840 (partitura in I-Fc, I-Mc, I-Mr, I-Nc*, I-PAc, I-VEc) \ MI 1841; Parigi s.d.; come
Emilia Roma autunno 1842; come San Camillo (azione sacra) Roma 1851.
48. La solitaria delle Asturie, ossia La Spagna ricuperata, melodramma in cinque atti
di Felice Romani, VE Fenice 12 marzo 1840 (atto I in A-Wn*; atti II-V in I-Mr*;
partitura I-Vlevi).
49. Il proscritto, melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S. Carlo
4 gennaio 1842 (partitura in I-Nc*) \ MI 1842.
50. Il reggente, dramma lirico in tre atti di Salvatore Cammarano, TO Regio 2 febbraio
1843 (partitura in I-Mr*, I-Nc); revisionato per TS 11 novembre 1843 \ MI 1843; Parigi
s.d.
51. Leonora, melodramma in quattro atti di Marco d’Arienzo, NA Nuovo 5 dicembre 1844
(partitura in F-Pn, I-Mc, I-Mr*, I-Nc)\ MI s.d; Parigi s.d.; come I cacciatori delle
Alpi, MN 1859.
52. Il vascello de Gama, melodramma romantico in un prologo e tre atti di Salvatore
Cammarano, NA S. Carlo 6 marzo 1845 (partitura in I-Mr*, I-Nc) \ MI 1845.
53. Orazi e Curiazi, tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S. Carlo 10
novembre 1846 (partitura in I-Bc, I-Mc, I-Mr*, I-Nc) \ MI 1846; NA s.d.
54. La schiava saracena, ovvero Il campo di Gerosolima, melodramma tragico in quattro
atti di Francesco Maria Piave, MI Scala 26 dicembre 1848; revisionato per NA S. Carlo
29 ottobre 1850; (schizzi in F-Pn*; partitura in I-Mc, I-Mr*, I-Nc, US-NYpm); MI
1849–51.
55. Medea, tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano, NA S. Carlo 1 marzo 1851
(schizzi in I-Bc*, partitura in I-Mr*, I-Nc) \ MI 1864?; Roma s.d.
56. Virginia, tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano, 1849-1850 ma prima
rappresentazione NA S. Carlo 7 aprile 1866 (schizzi in I-Bc*; partitura in I-Nc*) \
MI 1845?; NA s.d.
57. Statira, tragedia lirica in tre atti di Domenico Bolognese, NA S. Carlo 8 gennaio 1853
(partitura in I-Nc*)\ Parigi 1853; NA s.d.
58. Violetta, melodramma in quattro atti di Marco d’Arienzo, NA Nuovo 10 gennaio 1853;
(partitura in I-Nc*) \ MI s.d.
59. Pelagio, tragedia lirica in quattro atti di Marco d’Arienzo, NA S. Carlo 12 febbraio
1857 (partitura in I-Nc*) \ MI s.d.
60. Caterina di Brono, melodramma in tre atti di Salvatore Cammarano, NA 1869-70,
incompiuta (partitura in I-Nc).
61. Giaele, azione sacra n.n., Lanciano 1841 (partitura in I-Rf) \ Roma 1855.
62. Le sette ultime parole (Le tre ore d’agonia) di Nostro Signore, oratorio n.n., MI 1841.

Giovanni Cassanelli
218

DONATO (DINO) MILELLA


Bari, 21 agosto 1907 - Taranto, 22 marzo 2002

Cronologia
1907-1920. Secondogenito di Lorenzo e Carmela Diana. Al nome di battesimo
di Donato viene presto preferito il diminutivo di Dino ad un bambino che vive
e recepisce appieno gli stimoli culturali e la vivezza di una città come quella barese
d’inizio secolo. A dieci anni è già immerso nello studio del pianoforte con Diana
Antico, mentre don Cesare Franco lo segue nel corso di armonia. A sedici anni,
dopo aver conseguito il diploma magistrale, si trasferisce a Roma per proseguire
gli studi al Conservatorio di S. Cecilia sotto la guida di Oreste de Rubertis, quindi
con Cesare Dobici e Francesco Baiardi. L’improvvisa scomparsa del padre lo
costringe a ritornare a Bari. Ciò non gli impedisce di portare a termine gli studi,
diplomandosi brillantemente in pianoforte a S. Cecilia.
1921-1939. Dopo qualche tempo assume l’incarico di maestro sostituto nel teatro
Petruzzelli, il che gli consente di affiancare, nel lavoro di preparazione, grandi
compositori (Mascagni, Zandonai, Refice) e illustri direttori (Leopoldo Mugnone,
Vincenzo Bellezza, Pasquale La Rotella). Nel giro di pochi anni accumula una
tale esperienza che è in grado di dirigere il repertorio corrente nel corso delle
stagioni liriche programmate al Petruzzelli. La sua preparazione varca i confini
regionali al punto che molti impresari di teatri italiani lo scritturano per l’alle-
stimento delle rispettive stagioni liriche. Nel 1935 compie un’importante tournée
in Norvegia quale sostituto di Issay Dobrowen. In seguito dirige da titolare a
Bruxelles, Anversa e nel Canton Ticino.
1940-1960. Tra il 1940 e il 1941 consegue il diploma in strumentazione per
banda presso il Liceo Musicale di Foggia, quelli in alta composizione e in direzione
d’orchestra al Conservatorio di S. Cecilia di Roma. Il maestro Pasquale La Rotella
lo chiama ad insegnare pianoforte nell’allora Liceo Musicale «Niccolò Piccinni»
di Bari. Nel novembre del 1943 viene assunto dal P.W.B. di Radio Bari in qualità
di direttore dell’orchestra sinfonica. Da gennaio ad agosto del 1944 diventa capo
del servizio artistico della stazione radio. Per alcuni mesi è sul podio del Teatro
Piccinni impegnato nella direzione di alcuni spettacoli lirici e concerti sinfonici
radiotrasmessi e destinati prevalentemente alle truppe anglo-americane. Nel 1945
decide si trasferirsi a Taranto per dirigere il prestigioso Concerto bandistico «Città
di Taranto» che guida fino al 1948 anno in cui riprende l’attività didattica, questa
volta presso il Liceo Musicale «Giovanni Paisiello» del capoluogo ionico, inse-
gnando armonia, teoria e solfeggio per poi passare a composizione.
È anche l’anno in cui compone il suo primo e significativo lavoro, il poema
sinfonico Il monte degl’ulivi che costituisce, nel panorama sinfonico post-bellico,
un raro esempio di recupero dell’essenza narrativa ispirata al tema della Passione,
raramente affrontato, in ambito sinfonico, dai musicisti del Novecento. Una com-
219

posizione in cui l’espansiva contabilità si converte in un lirismo concentrato e


pensoso, in accentuazioni epiche, utilizzando soluzioni armoniche articolate, ta-
lune sonorità e impasti timbrici in crescendo. In questo lavoro emerge particolar-
mente l’abilità del Milella “orchestratore” che gli consente di sfruttare, in maniera
sapiente, tutte le possibilità delle varie classi di strumenti. Ai corni, per esempio,
è affidato, su un movimento lento, in andante, l’introduzione al “mistero”; i
violoncelli e i contrabbassi, con i loro suoni sommessi, scandiscono la presenza
del Cristo sotto il peso della Croce; la celesta, l’arpa, i fiati e le percussioni danno
il loro apporto timbrico al tumulto della folla, espresso in figurazioni complesse
a tutta orchestra. L’argenteo squillo delle trombe si pone come richiamo al giudizio
universale, in una visione più biblica che evangelica, una sorta d’invito alla
riflessione sulla Resurrezione, in uno squarcio ampio e solare (cfr. FORESIO 1992).
1950-1960. All’interno della vita culturale tarantina, Milella è particolarmente
attivo tant’è che si prodiga per la rinascita artistica della rifondata Associazione
Amici della Musica. La passione per la direzione d’orchestra lo porta ad accettare
nel 1956 l’invito rivoltogli dal complesso bandistico Città di Mottola. Negli anni
successivi si adopera per la costituzione e l’affermazione a Taranto di una grande
orchestra lirico sinfonica che guiderà in periodi diversi e più o meno lunghi. Nel
febbraio 1960, in occasione delle manifestazioni promosse per l’inaugurazione del
monumento dedicato a Paisiello, dirige al Teatro Orfeo, Il barbiere di Siviglia
del compositore tarantino con la regia del grande tenore Tito Schipa (cfr. CHIECO
1971).
1961-1980. Gli anni di permanenza come docente al Liceo Musicale coin-
cidono con il pareggiamento dell’istituto ai Conservatori di Stato e ciò lo porta
anche ad istituire la sezione tarantina dell’A.Gi.Mus. Nel 1964 l’Amministrazione
Provinciale di Taranto, ente locale dal quale dipende l’istituto musicale, nomina
Milella direttore incaricato e cinque anni dopo vince il concorso nazionale quale
titolare. L’anno inizia sotto i migliori auspici con il “debutto” di Milella come
operista: infatti la sera del 28 gennaio 1969 il teatro Petruzzelli di Bari tiene a
battesimo la sua prima opera, La farsa della tinozza. L’opera nasce, per la verità,
come musica di scena per un saggio di fine anno del liceo musicale, però nello
scrivere la mano e l’ispirazione andarono oltre e ne venne fuori un’opera vera e
propria tant’è che si decise di non metterla in scena a conclusione dell’anno
scolastico 1965/66 ma di rinviarla di due anni. Ciò che emerge in questo lavoro,
dall’impianto tradizionale a numeri chiusi – con una introduzione sinfonica e dieci
scene – è l’unità di stile di elementi, solo apparentemente eterogenei: parti tonali,
atonali, combinazioni poliritmiche e politonali, urti dissonanti, declamazioni e urla
di altezza indeterminata, qualche passaggio seriale, squarci romantici e parti
recitate che non sono semplici cadute prosaiche dell’azione, bensì parte stessa della
musica, fuse in una strumentazione molto personale (cfr. ROTA 1992). Nel mentre
la Farsa della tinozza riscuote l’apprezzamento del pubblico in numerosi teatri
italiani, Milella studia la possibilità di comporre un altro lavoro di genere opposto
in modo da poter essere rappresentato unitamente alla Farsa. Nasce così su libretto
proprio, ispirato al dramma Wuthering Heights (Cime tempestose) di Emily Brontë,
Una storia d’altri tempi, quale dimostrazione viscerale del proprio credo, quello
dei valori della tradizione. Milella alterna «andamenti accademici, costruzioni
220

retoriche e squarci futuristi», evidenziando tutto l’impegno nel fare teatro musicale
(cfr. SARDI 1972). La premiére sulle scene del teatro Petruzzelli nel 1972 ottiene
un bel successo di pubblico che si rinnoverà in numerosi teatri, non ultimi il teatro
di San Carlo di Napoli (1975) e il teatro Metropolitan di Catania (1977) per la
stagione del Massimo Bellini.
Nel 1977, in occasione del suo settantesimo compleanno, il Comune di Taranto
promuove la prima assoluta della sua terza opera, Il Marchese di Roccaverdina,
tratta dal romanzo di Luigi Capuana. Forte dell’esperienza acquisita in cinquant’anni
di teatro, Milella cerca di sdoganare l’opera tardo-romantica attraverso la cultura
contemporanea senza lasciarsi da questa prevaricare. Ne scaturisce un lavoro
complesso dove, all’impianto tonale, il maestro associa cromatismi, dissonanze,
procedimenti modali, politonali, atonali in una omogeneità stilistica sorprendente.
Non poche le pagine di grande impatto emozionale ripartite nei tre atti dove persino
la vocalità assume connotazioni strumentali in perfetta sintonia con la parte or-
chestrale (cfr. FORESIO 1997).
Raggiunti i limiti di età, viene collocato in pensione ma continua a dirigere
opere e concerti a Bari, Lecce, Taranto, Siracusa.
1981-2002. Nel 1982 sale sul podio per l’ultima volta dirigendo il Marchese
di Roccaverdina al Teatro Romano di Benevento. Nel 1984 l’Unione Musicisti
di Taranto gli conferisce il Premio «Fiore all’occhiello» e nel 1985, per i suoi
cinquant’anni di attività nel campo artistico e dell’insegnamento, il Ministero della
P.I. gli concede la medaglia d’oro e il diploma di prima classe. Nel 1987 diviene
“Paul Harris” del Rotary Club di Taranto, nel 1991 riceve la «Troccola d’argento»
dall’Associazione cultuale «Capital» e il Premio di cultura «Renoir» dall’omo-
nimo centro culturale di Taranto. Nel 1995 la città di Taranto, con delibera del
Consiglio Comunale, gli attribuisce la cittadinanza onoraria. Un riconoscimento
analogo gli era stato conferito nell’87 dalla Città di Mottola.

Bibliografia

(DEUMM)
ANESA Marino, Dizionario della musica italiana per banda e gruppi di fiati. Biografie dei com-
positori e catalogo delle opere dal 1800 al 1945. Prefazione di Roberto Leydi, Gazzaniga,
Bergamo 2004.
ANTONUCCI Gianacarlo, Una vita spesa per la musica Dino Milella insignito della cittadinanza
onoraria, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 28 maggio 1995, p. 15.
–, Omaggio a Milella, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 17 settembre 2002, p. 13.
CANESSA Francesco, L’ispirata espressività di Dino Milella conquista il «San Carlo», in «La
Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 16 aprile 1975, p. 7.
C. F., “Cime tempestose” nella versione lirica del m. Dino Milella, in «Corriere del Giorno», Taranto
20 gennaio 1972, p. 10.
–, Il “Petruzzelli” tiene a battesimo un’altra opera di Dino Milella, in «Corriere del Giorno»,
Taranto 22 gennaio 1972, p. 10.
CHIECO Franco, Natale sul pentagramma, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 23 dicembre 1966,
p. 13.
–, Due generazioni: Nicola Costa / Dino Milella, in «Contrappunti. Diario musicale pugliese»,
Adriatica editrice, Bari 1971, pp. 212-214.
–, Ispirazione e sintesi drammatica di “Una storia d’altri tempi”, in «La Gazzetta del Mezzogior-
no», Bari 23 gennaio 1972, p. 6.
221

–, Milella fa rivivere il dramma del «Marchese di Roccaverdina», in «La Gazzetta del Mezzogiorno»,
Bari 12 febbraio 1979, p. 3
–, Dino Milella, nel suo cuor d’oro le grandi emozioni al Petruzzelli, in «ContrAppunti», Anno VIII
n. 4 [71], Bari aprile 2002, pp. 1-2.
DI PALMA Lucy, Al Liceo Paisiello invitante “chiusura”, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari
19 giugno 1968, p. 12.
–, Un’opera comica di Dino Milella eseguita a Taranto, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari
25 giugno 1968, p. 15.
–, Con i “Preludi” di Milella un’impressione indimenticabile, «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari
11 maggio 1977, p. 15.
–, Musica ardente e malinconica nel Marchese di Roccaverdina, in «La Gazzetta del Mezzogiorno»,
Bari 20 novembre 1977, p. 10.
FABRIS Dinko, Addio a Milella , il maestro di Del Monaco, in «La Repubblica», Bari 23 marzo 2002,
p. XI.
FORESIO Dino, Dino Milella, in Euterpe Tarantina (Storia della Musica e dei Teatri a Taranto dal
Seicento ai giorni nostri), Mandese Editore, Taranto 1984, pp. 156-181.
–, Il “Fiore all’occhiello” ha quasi ottant’anni, in «Quotidiano», Taranto 16 novembre 1984, p. 7.
–, Un lungo applauso al maestro Dino Milella, in «Quotidiano», Taranto 20 novembre 1984, p. 7.
–, Buon compleanno maestro Milella, in «Quotidiano», 19/20 luglio 1987, p. 5.
–, Dino Milella e l’ispirazione melodica, in «Pentagramma», Anno III, n. 2 (8), Bari aprile-giugno
1991, p. 12.
–, Un uomo una città, «Numero Unico [a cura di Silvana Milella] per il conferimento, da parte del
Consiglio Comunale di Taranto, della Cittadinanza Artistica Onoraria al Maestro Milella, Brizio
Grafiche, Taranto maggio 1995.
–, Abbraccio di Taranto a Dino Milella una festa per la scuola e la musica, in «ContrAppunti»,
Anno I, n. 4, Bari giugno 1995, p. 5.
–, Taranto onora Milella con la sua musica, in «ContrAppunti», Anno III, n. 9 [26], Bari novembre
1997, p. 3.
–, 75 anni con la musica 1922-1977, Editrice Scorpione, Taranto dicembre 1998.
–, Taranto, grazie Maestro. La sua vita per la musica, in «ContrAppunti», Anno VIII, n. 4 [71],
Bari aprile 2002, p. 8.
–, Taranto rende omaggio a Dino Milella, in «ContrAppunti», Anno XIII, n. 3[120], Bari marzo 2007,
pp. 3-4.
–, Dino Milella e la musica, la sua vita, in «ContrAppunti», Anno XIII, n. 4 [121], Bari aprile 2007,
pp. 10-11.
FUMAROLA Gabriella, Dino Milella la vita e l’opera, Grafiche Cressati, Taranto 1997.
MAURIZI Paola, Quattordici interviste sul “nuovo teatro musicale” in Italia con un elenco crono-
logico delle opere (1950-1980), Morlacchi Editore, Perugia 2004, pp. 127-130, 137.
MAZZOTTA Francesco, Dino Milella, addio a un raffinato musicista, in «Corriere del Mezzogiorno»,
Lecce 22 marzo 2002, p. 16.
MINERVINI Josè, A Milella il primo “Fiore all’occhiello” col maestro parliamo di musica e ricordi,
in «Corriere del Giorno», Taranto 16 novembre 1984, p. 12.
–, Milella, fiore all’occhiello, in «Corriere del Giorno», Taranto 20 novembre 1984, p. 12.
–, E la lirica? Forse dobbiamo rimpiangere i Borboni…, in «Corriere del Giorno», Taranto 10
dicembre 1985, p. 10.
–, Il mistero della Passione in un teorema musicale di singolare intensità, in «Corriere del Giorno»,
Taranto, 22 maggio 1991, p. 3.
–, “Monte degli Ulivi” e delizie mentali, in «Corriere del Giorno», Taranto, 15 aprile 1992, p. 16.
–, Il “grazie” di Taranto al maestro Dino Milella, in «Corriere del Giorno», Taranto 27 maggio 1995,
p. 17.
–, Grande festa… per un gentiluomo, in «Corriere del Giorno», Taranto 1 novembre 1997, p. 20.
–, Addio al Maestro Dino Milella, in «Corriere del Giorno», Taranto 22 marzo 2002, pp. 1-2.
–, Ricordo di Milella, musicista sensibilissimo, in «Corriere del Giorno», Taranto 21 settembre 2002,
p. 15.
–, Il genio musicale di Dino Milella, in «Corriere del Giorno», Taranto 21 marzo 2010, p. 29.
OSTALI Pietro jr., Cronologia della musica contemporanea, in «Casa Sonzogno, Testimonianze e
Saggi, Cronologie», II, Milano 1995, p. 450.
222

PARENTE Alfredo, Due autori meridionali Dino Milella - Otello Calbi, in «Il Mattino», Napoli 16
aprile 1975, p. 11.
PUGLIESE Alessandra, Ricordo di Milella, una vita per la musica, in «La Gazzetta del Mezzogiorno»,
Taranto 23 marzo 2002, p. 5.
–, Dino Milella, tarantino doc, in Quotidiano», Taranto 1giugno 1995, p. 7.
[Redazione] La cittadinanza onoraria di Taranto al m° Milella, in «Corriere del giorno», Taranto
24 maggio 1995, p. 5.
Caro maestro Milella, in «Quotidiano», Taranto 25 maggio 1995, p. 6.
Dino Milella, tarantino doc, in Quotidiano», Taranto 1 giugno 1995, p. 7.
Al Rotary di Taranto omaggio a Dino Milella, in «ContrAppunti», Anno VIII, n. 8, Bari ottobre
2002, p. 3.
Il Rotary Club ricorda il maestro Dino Milella, in «Taranto Sera», Taranto 12 settembre 2002, p. 9.
Taranto ricorda Dino Milella, in «ContrAppunti», Anno IV, n. 1, settembre 2002, p. 63.
Notizie dai club, in «Rotary Distretto 2120», n. 4, novembre 2002, p. 18.
Un ricordo del maestro Dino Milella, in «Corriere del Mezzogiorno», Lecce 17 settembre 2002, p. 13.
ROSCINO Domenico, Anche Conversano festeggerà il “suo” Dino Milella, in «ContrAppunti», Anno
IV, n. 1, Bari gennaio 1998, p. 6.
–, Dino Milella, tarantino doc, in Quotidiano», Taranto 1 giugno 1995, p. 7.
–, Il ricordo di Conversano, in «ContrAppunti», Anno VIII, n. 4, Bari aprile 2002, p. 2.
ROSSANO Antonio, Che emozione tornare a dirigere questa orchestra, in «La Gazzetta del Mez-
zogiorno», Bari 28 gennaio 1969, p. 11.
ROTA Daniela, Dino Milella, una vita per la musica, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 3 giugno
1992, p. 18.
–, Dino Milella, un “vecchio” che ha voglia di scherzare, in «Pentagramma», Anno IV, n. 2, Bari
aprile-giugno 1992, p. 5.
ROTONDO Gianni, Pubblicata un’opera di Dino Milella, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 24
maggio 1991, p. 19.
–, Una serata in ricordo del maestro Dino Milella, in «Corriere del Giorno», Taranto 22 ottobre
2003, p. 16.
–, Bari ricorda il compositore Dino Milella a un anno dalla scomparsa, in «Corriere del Mezzo-
giorno», Taranto 30 ottobre 2003, p. 17.
SARDI Silvano, Spuntano a maggio le speranze della musica classica, in «Corriere del Giorno»,
Taranto 22 maggio 1966, p. 9.
–, Da una affascinante esperienza concertistica l’efficienza della scuola musicale tarantina, in
«Corriere del Giorno», Taranto 22 giugno 1968, p. 11.
–, Poesia e comicità che si rinnovano sul filo della tradizione, in «Corriere del Giorno», Bari 29
gennaio 1969, p. 10.
–, Quattro risate in aperta campagna, in «Corriere del Giorno», Taranto 14 aprile 1970, p. 10.
–, Al faro appuntamento con la morte, in «Corriere del Giorno», Taranto 23 gennaio 1969, p. 10.
–, Un musicista temperato, in «Corriere del Giorno», Taranto, 2 gennaio 1973, p. 3.
–, Grosso successo di Dino Milella con “Una storia d’altri tempi”, in «Corriere del Giorno», 4
marzo 1973, p. 14.
–, Con Milella sul monte degli ulivi, in «Corriere del Giorno, Taranto 19 novembre 1976 p. 14.
–, Milella uno e due, in «Corriere del Giorno», Taranto 17 giugno 1977, p. 12.
–, La Sicilia amara di Dino Milella, in «Corriere del Giorno», Taranto 20 novembre 1977, p. 14.
SBISÀ Nicola, La musica sincera di un autore barese, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 17
giugno 1977, p. 7.
–, Musica: la Puglia ha perso Dino Milella, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», Bari 23 marzo 2002,
p. 27.
SORRENTI Pasquale, I Musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 183-184.
TRIGGIANI Giuseppe, Il melodramma nel mondo 1597-1987. Prefazione di Franco Mannino, Levante
Editore, Bari 1988.
VALLETTA Luigi, Novità al San Carlo di Milella e Calbi, in «Roma», Napoli 16 aprile 1975, p. 9.

Discografia
Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo
Il monte degl’ulivi Lorenzo Fico 2007 I.W. 2007
223

Opere drammatiche

1. La farsa della tinozza, opera buffa dalla traduzione di Elio Piattelli di anonimo del
XV secolo, BA Teatro Petruzzelli 1969 \ LE Politeama Greco 1969; TP Teatro Villa
Comunale 1969; TA Teatro Orfeo 1970; SP Teatro Astra 1970; Gradisca Teatro Comu-
nale 1970; Imola Teatro Cristallo 1970; Nardò Teatro Comunale 1971; Barletta Teatro
all’aperto 1971; Pisticci Teatro all’aperto 1971; Andria Teatro all’aperto 1971; BR
Teatro all’aperto 1971; GO Teatro “G. Verdi” 1972; CE Teatro della Reggia 1972; AQ
Teatro Comunale 1972; Pinerolo Teatro delle Manifestazioni 1973; Fossano Teatro Astra
1973; Francavilla Fontana Teatro all’aperto 1973; Fasano Teatro all’aperto 1973; Rovereto
Teatro Zandonai 1973; TN Teatro Sociale 1973; BN Teatro Romano 1974; Mondovì
Teatro Corso 1974; MI Teatro Concordia 1986; TA Salone della Provincia 1992; TA
Teatro S.A.R.A.M. 2003.
2. Una storia d’altri tempi, melodramma su libretto proprio da Emily Brontë, BA Teatro
Petruzzelli 1972 \ LE Politeama Greco 1972; BN Teatro Romano 1972; CE Teatro della
Reggia 1972; SS Teatro Comunale 1972; TA Teatro Orfeo 1973; CN Teatro Comunale
1973; NA Teatro di San Carlo 1975; San Severo (FG) Teatro Comunale G. Verdi 1975;
CA Teatro Metropolitan 1977.
3. Il marchese di Roccaverdina, melodramma su libretto proprio da Luigi Capuana, TA
Teatro Orfeo 1977 \ BA Petruzzelli 1979; LE Politeama Greco 1979; BN Teatro Romano
1982; TA Teatro Orfeo 1997.

Dino Foresio
224

VITANTONIO WALDEMARO MORGESE


Terlizzi (BA), 25 aprile 1887 - Mola di Bari (BA), 30 luglio 1965

Cronologia

Vitantonio Waldemaro Morgese nasce a Terlizzi ma vive a Mola di Bari, dove sin
da bambino mostra spiccate attitudini musicali come violinista, suscitando l’ammi-
razione di Niccolò van Westerhout, che addirittura si diletta nell’accompagnarlo
all’armonium nella Siciliana tratta da Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.
Giovanissimo si allontana da Mola di Bari per compiere gli studi: nel 1910 si
diploma presso il Liceo Musicale di Roma, nel 1913 si laurea in Scienze sociali
all’Istituto Superiore «Vittorio Alfieri» di Firenze e nel 1919 in Giurisprudenza
all’Università «Federico II» di Napoli, dando presto inizio a una lunga e prestigiosa
carriera di magistrato, alla quale, nel corso di tutta la sua vita, affianca, sostenuta
da un indubbio talento, la passione per il teatro musicale. Musicista per diletto,
accanto a pagine pianistiche e a romanze per voce e pianoforte è autore di testo e
musica di operette e commedie musicali di carattere brillante e giocoso, d’ambien-
tazione generalmente contemporanea e borghese, che alternando dialoghi parlati a
brani cantati di grande piacevolezza riscuotono grande successo nel Teatro Comu-
nale di Mola di Bari, dove vengono più spesso rappresentate, ma anche nel Teatro
Piccinni di Bari. Conseguita anche la laurea in Medicina all’Università di Bari nel
1935, una volta in pensione come magistrato apre a Mola uno studio medico dove
assiste gratuitamente pescatori e contadini. Muore a Mola di Bari il 30 luglio 1965.

Bibliografia
BARTOLO Viviana - MONACHINO Antonella - MONACHINO Giuliana, Il teatro musicale nella Terra di
Mola di Bari, Edizioni dal Sud, Bari 2007, pp. 19-104.
Censura teatrale e fascismo (1931-1944): la storia, l’archivio, l’inventario, a cura di Patrizia Ferrara,
Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale per gli archivi, Roma 2004, p. 610.

Edizioni
– La pupilla di Geremia ovvero Lia, commedia musicale in tre atti e quattro quadri di
Vitantonio Waldemaro Morgese, Contegiacomo, Mola di Bari 1937.

Opere drammatiche1
1. La pupilla di Geremia ovvero Lia, commedia musicale in tre atti e quattro quadri su
libretto proprio, 1937 (spartito in I-BAmorgese).

1
Si fa qui riferimento all’elenco dattiloscritto compilato dal figlio Giuseppe Morgese su richiesta del nipote
Waldemaro in occasione della prima manifestazione musicale dedicata a Vitantonio Waldemaro Morgese con il
musicista non in vita.
225

2. La Madonnina del legionario, commedia musicale in tre atti, 1940 (libretto dattilo-
scritto e spartito in I-BAmorgese).
3. Atteone l’infanticida, scherzo comico di Raffaele Viviani, Mola di Bari Teatro Co-
munale 8 giugno 1948.
4. Turlurù, scherzo comico musicale in due atti su libretto proprio, Mola di Bari Teatro
Comunale 8 giugno 1948 (libretto dattiloscritto e spartito in I-BAmorgese).
5. Mariola, operetta in tre atti su libretto proprio, Mola di Bari Teatro Comunale 7 aprile
1951.
6. La morte di Augusto, commedia musicale in un atto (libretto dattiloscritto e spartito
in I-BAmorgese).
7. Articolo 527 del Codice penale: oltraggio al pudore, commedia musicale in due atti
n.n. (libretto dattiloscritto, spartito e parti orchestrali in I-BAmorgese).
8. Una notte movimentata, commedia musicale in un atto n.n., non rappresentata.
9. La bella di Narciso, commedia musicale in tre atti n.n., non rappresentata.
10. Fiorella, commedia musicale in tre atti n.n., non rappresentata.
11. Il principe burlone, commedia musicale in tre atti n.n., non rappresentata.
12. La sposa riserbata, commedia musicale in due atti n.n., non rappresentata.

Angela Annese
226

DANTE MORLINO
San Severo (FG), 4 gennaio 1909 - Carugate (MI), 18 febbraio 1978

Cronologia1

Originario di una famiglia dedita ad attività rurali, Dante Morlino si iscrisse poco
più che quattordicenne alla scuola filarmonica municipale per strumenti ad arco
«Ludovico D’Alfonso» allora guidata dal maestro Michele Manno e in seguito da
Michele Nozzetti (musicista sanseverese autore di opere liriche), istituita nei primi
anni ’20 presso un locale del convento San Benedetto grazie all’interessamento
delle famiglie sanseveresi Fraccacreta e Masselli, nell’attuale sito del Teatro
Comunale. Qui venne iniziato allo studio del contrabbasso e prima ancora a quello
del solfeggio, sebbene Dante avesse precocemente manifestato un forte interesse
anche per il violino. Nel 1928, ritenuti conclusi gli studi, venne scritturato da
Francesco Monzione nell’ensemble che eseguiva musiche d’accompagnamento di
film muti durante le proiezioni nel Cinema Ideal. Ai primi anni ’30 risale un
incontro conviviale a Napoli con il maestro Camillo De Nardis presso la sua
abitazione in via Chiaia per l’acquisto del suo strumento Lòveri, a tutt’oggi in
possesso della famiglia Morlino. Il 6 dicembre del 1937, grazie al “vivo interes-
samento” del podestà in carica dal 1927 al 1935 Giovanni Colio, venne inaugurato
il Teatro Comunale oggi «Giuseppe Verdi». L’anno successivo Francesco Giannuz-
zi, allora direttore artistico, affidò a Dante Morlino la concertazione e la direzione
della commedia musicale Il gatto in cantina realizzata nel 1930 dal compositore
palermitano Salvatore Allegra (13 luglio 1898-1993) allievo di Cilea e Favara,
che incontrò un ottimo esito di pubblico. Pochi mesi più tardi nello stesso teatro,
Morlino colse l’opportunità di mettere in scena il suo primo lavoro su testo di Mario
Colio, giovane professore e futuro sindaco di San Severo, L’ereditiera innamorata
operetta rappresentata l’11 dicembre del 1941 sotto la direzione del maestro
Umberto Russi. Questa felice esperienza risolse definitivamente Dante Morlino a
dedicarsi alla composizione e a consacrarsi alla sua esclusiva vocazione operistica.
Durante gli anni della guerra egli fece parte dell’Orchestra dell’esercito italiano
al fronte e in seguito svolse attività occasionale di orchestrale presso il Teatro di
San Severo nella compagine delle produzioni liriche. Morlino iniziò a comporre
la Messa da Requiem nel 1953 a seguito della scomparsa dei genitori, con il
sostegno del parroco della chiesa di San Nicola, don Francesco Morisco, per il
reperimento dei testi liturgici; più tardi il maestro Giannino Zecca (Sannazzaro
de’ Burgondi, 1911-1991), già maestro di Cappella e organista della cattedrale
di Pavia, nonché primo esecutore del lavoro, lo esortò a scrivere il Lux Aeterna,

1
Ringrazio sentitamente il dott. Pasquale Morlino, figlio del musicista, per la gentile disponibilità e per la
ricchezza delle informazioni elargitemi.
227

che richiese a Morlino poco più che una mezza giornata di lavoro. Nel 1961 don
Michele Pisante gli commissionò l’episodio lirico Don Camillo su testi dell’amico
professore Ciro Pensato, rappresentato lo stesso anno presso la Parrocchia di Cristo
Re di San Severo.
La fanciulla del borgo è ritenuta dallo stesso Morlino l’opera maggiormente
compiuta, su testo dell’amico avvocato Vittorio Emanuele Giordano, di argomento
ispirato a vicissitudini legate al mondo contadino dei primi del ’900. Un momento
di particolare vigore creativo egli trovò a Foligno in un periodo di permanenza
nella Casa dei Sacerdoti del Sacro Cuore dove si era recato per trovare il figlio
Michele, prossimo ad essere ordinato sacerdote.
Durante gli anni ’60 si recò a Milano legandosi di sincera amicizia con il
compositore, direttore e didatta Sergio Massaron; grazie all’intercessione di questi
presso il teatro di San Severo e all’impresario Gilda Martini Rossi fu possibile
vincere le resistenze del Comune di San Severo e ottenere l’impegno del sindaco
e dell’assessore insieme con la necessaria sovvenzione dal Ministero dello Spet-
tacolo per la messa in scena della Fanciulla del Borgo. La prima ebbe luogo lunedì
26 aprile 1965 sotto la direzione dello stesso Massaron con la regia di Aimone
Vaccari. Dopo entusiastiche recensioni apparse su diverse testate locali, in maggio
comparvero sul «Corriere di San Severo» in forma anonima alcune opinioni
polemiche concernenti una presunta mortificazione del patrimonio musicale di San
Severo da parte di quell’opera di Dante Morlino.
Il 20 agosto 1966 Morlino partecipa al concorso di musica contemporanea
indetto dallo Sport Club «Pista del sole» presso il teatro del casinò municipale
di San Pellegrino Terme (BG) con la romanza Vieni tratta dal terzo atto della
Fanciulla del borgo, ricevendo un gratificante riconoscimento.
Nel 1967 mette a punto lo spartito per canto e pianoforte del Conte di Lodi
su soggetto risorgimentale e nel 1968 si dedica infine a Leyla, episodio lirico in
un atto e due quadri su libretto di Loromin (pseudonimo del figlio Michele Vittorio
Morlino). Dante Morlino morì nel 1978 a Carugate nei giorni in cui La messa
da requiem veniva preparata per l’incisione.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Lo stile drammaturgico musicale di Dante Morlino si contraddistingue per il suo


carattere linearmente conservatore. La formazione autodidatta e l’influsso indiretto
della tradizione operistica e accademica napoletana del primo dopoguerra lo
orientarono verso un pensiero musicale nel quale la consuetudine lirica italiana
e l’uso della tonalità che la informa veniva vissuta empiricamente e sorretta da
un proprio genuino intuito drammaturgico. Morlino è stato il più delle volte
l’artefice dei propri soggetti, dei caratteri drammatici e degli intrecci narrativi,
per la cui stesura definitiva in forma di libretto invocava l’aiuto poetico e metrico
dei suoi collaboratori. Egli concepisce sempre le forme musicali che devono servire
gli svolgimenti drammatici attraverso numeri chiusi; non è infrequente imbattersi
talora in recitativi “rossiniani” che intercalano arie reminiscenti di stili più tardi
o numeri di puro “colore locale”; ogni pagina è tonale nell’accezione maggior-
mente spontanea e l’invenzione armonica e fraseologica, che proviene maggior-
228

mente da una attività empirica di creazione più che da un antecedente progetto


teorico dei rapporti cadenzali, è programmaticamente sottoposta alla “naturalezza”
della costruzione melodica. Per Morlino l’impiego della tonalità, perlopiù nel
modo in cui essa è venuta ad atteggiarsi proprio in sede melodrammatica italiana,
rappresenta la chiave di volta per accedere ad una “comunicazione sincera” con
il pubblico, rinfrancato da un linguaggio vivo e dal riferimento talvolta assai fedele
ai più noti capolavori della nostra tradizione; le drammaturgie vivono anche di
associazioni per così dire di “memoria collettiva” di situazioni archetipiche di
Verdi, Mascagni, Puccini e Giordano. Il fratello Tullio riporta questo pensiero del
musicista: «Io giammai comporrei un’opera che sia frutto soltanto di un approfon-
dito studio armonico. In questo caso, sarei un compositore fallito in partenza, come
tanti altri.
Io, invece, sento nell’animo mio quell’ispirazione melodica, che ritengo impos-
sibile che si possa ricavare da un freddo studio. C’è bisogno di un’ispirazione che
si sente e che si trascrive come il cuore detta, se si vuol trasmettere agli altri quei
suoni melodici che conquistano il loro cuore e trascinano la sensibilità del loro
animo verso la bella musica, che ricrea lo spirito e ingentilisce gli animi […] Verdi
è rimasto proprio perché ha scritto la melodia semplice e bella: quella melodia
che sfida i secoli e si trasmette per generazioni!».
Il rapporto con il testo è generalmente privo di eccessive complicazioni ritmiche
e quello con la prosodia è meticolosamente curato, visto che il compositore
promuove il primato estetico della melodia sull’armonia, la cui vocalità gratifica
l’agio dei cantanti meglio votati al repertorio italiano di tradizione. Nel secondo
dopoguerra la musica di Morlino ha incontrato un rinnovato favore rispondendo
egli all’alternativa stilistica che consente di restare saldamente ancorati alla tra-
dizione viva e debitrice del più autentico pensiero musicale italiano del secondo
Ottocento.

Bibliografia

«Corriere di Foggia», 1° maggio 1965 [Recensione della prima della Fanciulla del borgo, prof. Daniele
Cellamare].
«Corriere di San Severo», 20 maggio 1965.
«Gazzetta del Mezzogiorno», 17 agosto 1966.
«Gazzetta del Mezzogiorno», 23 aprile 1965 [Annuncio della prima esecuzione della Fanciulla del
borgo prof. G. A. Tardio].
«Gazzettino Dauno», 3 maggio 1965 [Recensione della prima della Fanciulla del borgo, prof. Antonio
Milone].
F. M. Dante Morlino, in «Il Tempo», 29 aprile 1965.
MASSA Alfredo, Dante Morlino, in «La voce repubblicana», 1 maggio 1965.
«Il Messaggero», 29 aprile 1965.
MORLINO, Tullio, Mio fratello Dante e “La fanciulla del Borgo”, San Severo 1969 [S.i.e.m., Milano
2001].
MORLINO, Michele, Gli ultimi compositori lirici pugliesi. Italienische Komponisten des 18.-20.
Jahrhunderts aus Apulien, VHS - Università popolare, Worms 1983.

Le composizioni di Dante Morlino sono edite dalla SIEM (Società Italiana Edizioni Musicali di
Milano) da Pasquale Morlino.
229

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/n.catalogo

Leyla n.n. Teatro dell’arte di Milano.

Vieni [da La fanciulla del borgo] Massaron

Opere drammatiche

1. L’ereditiera innamorata, operetta di Mario Colio, San Severo Teatro Comunale, 11


dicembre 1941.
2. Don Camillo, scherzo comico in un atto di Ciro Pensato, San Severo parrocchia di
Cristo Re, 1961.
3. Leyla, opera in un atto e due quadri di Loromin (pseudonimo di Michele Vittorio
Morlino), 1968 ma prima rappresentazione MI Teatro Dell’Arte, 28 ottobre 2000.
4. Il Conte di Lodi, opera n.n., 1967 non rappresentata.
5. La fanciulla del borgo, episodio lirico in tre atti e quattro quadri di Vittorio Emanuele
Giordano, San Severo Teatro Comunale 26 aprile 1965 (revisione del testo di Enzo
Bertinazzo nel 2000).

Daniele Buccio
230

EVEMERO NARDELLA
Foggia, 25 settembre 1879 - Napoli, 23 aprile 1950

Cronologia

Evemero Nardella si formò sotto la guida di Giuseppe Martucci, di Pietro Serrao


e di Camillo De Nardis diplomandosi in composizione e canto presso il Regio
Conservatorio «San Pietro a Majella» di Napoli. Dal 1903 in avanti si dedicò alla
direzione e alla concertazione di opere liriche perlopiù nell’area del foggiano, ma
la sua celebrità resta indissolubilmente legata alle canzoni composte su testi dei
maggiori poeti dialettali napoletani; le liriche di sua composizione ottennero
considerevole diffusione e vennero pubblicate dalle case editrici Bideri, Izzo e
premiate nei migliori concorsi della canzone popolare. Nardella fu pure autore di
diverse composizioni strumentali e di un trattato di canto inedito. Il suo primo
successo fu Ammore ‘e femmena (1908) in collaborazione con il giovanissimo E.
A. Mario (Napoli 5 maggio 1884 - 24 giugno 1961, pseudonimo di Gioviano
[Giovanni] Gaeta). L’incontro con Eduardo Nicolardi (Napoli, il 28 febbraio 1878
- 26 febbraio 1954) avvenne nel 1909 con ‘Mmiez’o ggrano edita da Izzo al quale
seguirono Quanno ‘o destino ‘vo (1912), ‘E passere (1916), Mariastella (1935)
e Turnarraie (1939). Nella piccola casa editrice Izzo in piazza Dante avvenne il
primo incontro di Nardella con Rocco Galdieri (Napoli, 18 ottobre 1877 - 16
febbraio 1923), del quale compose la musica di Tu si’ n’ata (1910) alla quale
seguirono E bonasera ammore (1911, l’interpretazione di Gennaro Pasquariello
venne pubblicata dalla «Polyphon»), ‘Na vota sola (1912), Vocche desiderose
(1913), Napule e mò (1913), Mammà non vuole (1913), Menta cedra (1913), Mo’
nun dice ca songh’i’ (1913), Quanno uno è guaglione (1914), Lasciatevi baciare
(1914), Quanno cantave tu (1914), Femmena amata (1919), Stella che luce e
Barcarola napulitana. La personalità complessa di Rocco Galdieri trovava in
Nardella il proprio musicista di successo che credeva maggiormente nella sua
parola quale sollecitazione ispirativa e che praticava il ritorno ad uno stile di
canzoni marcatamente arioso. Galdieri negli anni ’20 sperava di dar vita ad un
Teatro Stabile napoletano e aveva rivelato che stava scrivendo una fiaba musicale
con Nardella Girasole della quale pubblicò alcuni versi; l’Isola azzurra, libretto
di Rocco Galdieri (nello pseudonimo Rambaldo) non rappresentata e tuttora inedita
costituisce un vertice di quella collaborazione.
Altre liriche celeberrime furono Carulì Carulì (1906), Si sta chitarra (1908),
Surdate (1909), Rumanzetta napulitana (1909), Canto p’a luna (1912), Sai
chiagnere tu (1912), Femmena amata (1919-1933), Petrusenella, Mandulinata
a luna (1922), Musica d’ammore (1922), Chiove (1923, edita dalla «Canzonet-
ta»), E luceva Maria (1923), su versi di Libero Bovio (Napoli, 8 giugno 1883
- 26 maggio 1942); Suspiranno (1909), Matenata (1909), Gira lu munno (1909),
Te si’ scurdata ‘e Napule (1912, edita dalla «Canzonetta», casa editrice condotta
231

da Francesco Feola), ‘Ncantesemo (1919), Senza catene (1940) su versi di Ernesto


Murolo (Napoli, 4 aprile 1876 - 30 ottobre 1939); A furastera, dal testo di Libero
Bovio ed Ernesto Murolo; Canzone all’antica su testo di Roberto Bracco (Napoli,
19 settembre 1858 - Sorrento, 20 aprile 1943); Che t’aggia dì (1938) di Corrado
Della Gatta; Addo’ ce mette o’ musso Margarita (1910), ‘E rrose (1911), Tutta
bella (1919) su testo di Giovanni Capurro (Napoli, 5 febbraio 1859 - Città del
Messico, 20 gennaio 1920); Nuttata doce (1922), Ddoje sore (1922), Pe ce vulè
cchiù bene (1924), Scummunicato (1924), Tre parole (1925), E mò addò staie?
(1926), su testo di Francesco Fiore (Napoli, 9 gennaio 1889 - 14 dicembre 1954);
O paese ‘e Maria (1895) su testo di Gennaro Ottaviano (Napoli, 25 luglio 1874
- 25 agosto 1936), Ve spusasse a tutte e ttre (1922) su testo di Beniamino Canetti
(Napoli, 29 dicembre 1887 - 13 gennaio 1960); Marinastella (1940), Natale
(1940) e Nun pozzo parlà e te (1940) su testo di Clemente Parrilli (Salerno, 27
marzo 1897 - Napoli, 25 maggio 1968); ‘E penziere (1933), e Santanotte a tutte
quante (1935) su testo di Cristofaro Letico dalla quale l’attore Agostino Clement
trasse l’omonima commedia musicale nel 1936. Sono da menzionare anche Su-
spirata (1909) e ‘Nce steve ‘na vota (1915) su testo di Russo; Nisciuna (1926)
su testo di Gallo; Non ti sposo (1923) su testo di Curcio; Nun sierve ‘o rre (1913)
su testo di Francesco Feola; Onestà e Nun te saccio (1921) su testo di Chiurazzi;
Bona gente (1908) e E vota vò (1914) su testo di Lardini; E ce stevano e rrose
(1923) su testo di De Lutio; Garofano schiavone (1938) su testo di Pisano; Tuorne
a Napule (1916), Voglio turnà pe’ n’ora (1917) e Gelusia (1925) su testo di Furnò;
Mandulinata napulitana (191x) su testo di Ferraro-Correra; Marenarella mia
[1947) su testo di De Gregorio; ‘O menù (1924) su testo di De Flaviis; ‘O regno
‘e l’ammore (1925) su testo di Bugni; Sciurillo ‘e neve (1941) su testo di Fiorelli;
Si canta Napule (1939) su testo di Paoli; Si sta varca (1917) su testo di Cassese;
Sole (1942) su testo di Volpe; Titina (1922) e ‘O sole ‘e marzo (1923) su testo
di Vetroni; Spartenza (1924) su testo di Franco; Tiempe passate (1941) su testo
di Edera; Tu me vuò bbene (1939) su testo di De Martino; Vicine o luntane (1912)
su testo di Salvatore Di Giacomo; ‘A Voce ‘e l’ommo (1931) su testo di Manlio.
Nardella rimase completamente assorbito dalla cultura napoletana e perfettamente
integrato in essa. Tra gli interpreti più celebri delle sue canzoni sono da ricordare
Elvira Donnarumma (Napoli, 18 marzo 1883 - 22 maggio 1933) e il celebre
Gennaro Pasquariello (Napoli, 8 settembre 1869 - 26 gennaio 1959). A distanza
di dieci anni dalla prima rappresentazione napoletana di Miss America, avvenuta
presso il Politeama di Napoli il 22 maggio del 1926, l’operetta venne riproposta
per la destinazione radiofonica dopo essere stata sottoposta al visto dell’Ufficio
Centrale della censura teatrale del fascismo. Nel 1950, “nella silenziosa casetta
sul Vomero si spense il popolare autore”.

Bibliografia

(SCHMIDL)

BELLUCCI Mario, Evemero Nardella, il Melodista foggiano, in «Corriere di Foggia», maggio 1951 (si
veda anche l’articolo su «Corriere di Foggia», 30 aprile 1950).
BORGNA Gianni, Storia della canzone italiana, Laterza, Roma 1985.
232

Censura teatrale e fascismo, 1931-1944: la storia, l’archivio, l’inventario, a cura di Ferrara,


Patrizia, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma 2004.
CERINO Salvatore, Napoli eterna musa. Mostra della canzone napoletana del 1937. Ricordi e
riflessioni di un poeta, Guida, Napoli 1994.
DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale d’oggi: dizionario dei musicisti, Ansonia, Roma 1918.
DE MURA Ettore, Poeti napoletani dal Seicento ad oggi, A. Marotta, Napoli 1973.
«Il foglietto: cronaca settimanale» i seguenti articoli: Al Comunale: Cronache ed interessi di San-
severo: La vita in provincia : corrispondenze particolari al Foglietto, Anno 18, n. 1635 (6
febbraio 1915), p. 3 e n. 1637 (20 febbraio 1915), p. 2; Al Dauno: Note foggiane: La vita in
provincia: corrispondenze particolari al Foglietto, Anno 18, n. 1640 (13 marzo 1915), p. 2; Al
Dauno l’Elixir d’amore: Note foggiane: La vita in provincia, Anno 19, n. 1686 (29 gennaio
1916), p. 2; Al Politeama: Cronache d’arte / T. Rivella, Anno 11, n. 1040 (2 luglio 1908), p. 3;
Al Politema: in Lucera, Anno 11, n. 1044 (16 luglio 1908), p. 3; Al teatro Garibaldi: La stagione
lirica di primavera, Anno 12, n. 1111 (1 aprile 1909), p. 3; Elisir e Sonnambula al Politeama:
Cronaca teatrale, Anno 19, n. 1689 (19 febbraio 1916), p. 3; Il maestro Nardella: Dai comuni
della Capitanata, Anno 6, n. 558 (20 agosto 1903), p. 2; La Norma al Politeama: Cronaca
teatrale: In Lucera, Anno 19, n. 1687 (5 febbraio 1916), p. 2; La Norma al Politeama: Cronaca
teatrale: In Lucera, Anno 19, n. 1688 (12 febbraio 1916), p. 3; Il Poliuto al Dauno: La vita in
provincia, Anno 19 n. 1688 (12 febbraio 1916), p. 2; La Sonnambula al Dauno: La vita in
provincia: corrispondenze particolari al Foglietto, Anno 19, n. 1687 (5 febbraio 1916), p. 2;
Teatro: Corriere di Sansevero: La vita in provincia: corrispondenze particolari al Foglietto,
Anno 18, n. 1634 (30 gennaio 1915), p. 2; Teatro: Cronaca di Sansevero / An., Anno 14, n. 1285
(8 gennaio 1911), p. 2; Theatralia: Corriere di Sansevero: La vita in provincia: corrispondenze
particolari al Foglietto / Vice-a., Anno 18, n. 1639 (6 marzo 1915), p. 2; La Tosca a Sansevero:
Nei teatri della provincia, Anno 14, n. 1288 (19 gennaio 1911), p. 2; La Traviata a Sansevero:
Nei teatri della provincia / An., Anno 14, n. 1284 (5 gennaio 1911), p. 2.
GRANO Antonio, Trattato di sociologia della canzone classica napoletana, Palladino, Campobasso
2004-2005.
PALIOTTI Vittorio, Storia della canzone napoletana, i primi canti popolari, le antiche villanelle,
Newton Compton, Roma 1992.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 190.
VIVIANI Vittorio, Storia del teatro napoletano, Guida, Napoli 1969.

Opere drammatiche

1. Isola azzurra, opera di Rambaldo (pseudonimo di Rocco Galdieri) non rappresentata.


2. Miss America, operetta di Enzo Luigi Murolo e Federico Astaritta, NA Politeama 22
maggio 1926 (il copione per la destinazione radiofonica di Miss America 1936 è
custodito nell’archivio dell’Ufficio censura teatrale presso Palazzo Balestra in via Veneto,
già sede del Ministero della cultura popolare, segnatura 364/6762).

Daniele Buccio
233

GIULIO PANSINI
Molfetta (BA), 1896 - ivi, 1923

Cronologia

Ultimo esponente della tradizione musicale molfettese del primo ‘900, Giulio Pansini
studia ragioneria ma coltiva la passione musicale che si realizza nella composizione
di Desy, operetta in tre atti di cui purtroppo sono perduti sia il libretto, sia la partitura.
Muore a soli ventisette anni nel 1923.

Bibliografia

PERUZZI Francesco, Maestri compositori e musicisti molfettesi, Picca e figlio, Molfetta 1931.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 209.

Opere drammatiche

1. Desy, operetta in tre atti n.n., Molfetta s.d.


Fedele De Palma
234

FRANCESCO PERUZZI
Molfetta (BA), 23 gennaio 1863 - ivi, 12 marzo 1946

Cronologia

1863-1889. Francesco Peruzzi nasce a Molfetta il 23 gennaio 1863 da Giuseppe,


noto compositore molfettese, da cui apprende sin da subito le prime nozioni di
musica. Si dedica in particolare allo studio del violoncello di cui diventa valente
esecutore sin dalla prima adolescenza. Terminati gli studi liceali decide di tra-
sferirsi a Napoli per iscriversi sia alla Facoltà di Giurisprudenza che al Conser-
vatorio S. Pietro a Majella dove ha come maestri Pietro Platania, Paolo Serrao,
Michele Ruta e Vincenzo Loveri. Durante gli anni napoletani frequenta assidua-
mente Paolo Rotondo, Leopoldo Mugnone, Nicolò Van Westerhout, Fernando de
Lucia e il giurista e musicista lucano Emanuele Gianturco; con molti di loro
manterrà una sincera amicizia anche negli anni a seguire. Il 16 luglio 1889
consegue il diploma in contrappunto e armonia presso il conservatorio napoletano.
1890-1897. Terminati gli studi nella città partenopea Francesco Peruzzi torna
nella sua Molfetta diventandone in breve il principale animatore culturale. Nel
1891 assume la direzione della stagione lirica invernale del Teatro Comunale
dirigendo Mignon di Thomas, Lucia di Lammermoor di Donizetti, Jone di Pe-
trella, Ernani di Verdi e Poliuto di Donizetti. Per questa sua prima stagione gli
impresari del Comunale riescono a mettergli a disposizione un organico di assoluto
rilievo che può contare, tra gli altri, anche sulla partecipazione del soprano Gemma
Bellincioni, fresca interprete del ruolo di Santuzza nella fortunata premiére del
1890 della Cavalleria Rusticana al Teatro Argentina di Roma. Il successo di questa
prima stagione consente a Peruzzi di mantenere la direzione artistica anche nelle
successive stagioni del Teatro Comunale. Fino al 1897 Peruzzi dirige Rigoletto,
Luisa Miller, I due Foscari e La Traviata di Verdi, Norma e I Puritani di Bellini,
Ruy Blas di Marchetti, Elisir d’amore, La Favorita e Lucrezia Borgia di Doni-
zetti, Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Fra’ Diavolo di Auber. Nel frattempo già
nel 1892 gli viene anche affidata la direzione della banda cittadina che egli
migliora sia nell’organico, sia nel repertorio. Particolarmente fortunata si rivela
la sua trascrizione per banda della Cavalleria Rusticana, opera che Peruzzi aveva
ascoltato al Teatro Argentina di Roma il 17 maggio 1890 su invito personale di
Mascagni e di cui riesce ad avere la partitura prima che lo stesso Mascagni
risolvesse la complessa vertenza sui diritti dell’opera con Giovanni Verga. L’espe-
rienza bandistica di Peruzzi termina nel 1893 dopo aver guidato la banda cittadina
in apprezzati concerti nel Mezzogiorno d’Italia. Particolarmente sentita fu l’ese-
cuzione bandistica della Cavalleria Rusticana nella Chiesa Madre di Cerignola,
città in cui dal 1886 era direttore della banda proprio Pietro Mascagni. Nel 1898
Peruzzi dirige l’ultima stagione del Teatro Comunale con Il Trovatore e La forza
235

del destino di Verdi, Faust di Gounod e Carmen di Bizet e con artisti quali il
basso Venturini e il mezzo soprano Calanci.
1898-1908. Le fortunate stagioni del Teatro Comunale molfettese spingono gli
impresari a progettare l’ampliamento del teatro in modo da accogliere un pubblico
sempre più numeroso e composito. Ma repubblicani e socialisti, vincitori nelle
elezioni comunali del 1902, dapprima sospendono i lavori e poi deliberano la
distruzione del teatro, scelta aspramente denunciata da Peruzzi. Alla chiusura del
teatro il compositore molfettese reagisce intensificando le proprie attività private
di promozione culturale e trasformando la sua casa natale nel più importante centro
culturale della città con un susseguirsi di concerti, rassegne, mostre e conferenze
sui principali temi estetici del tempo. In questi anni si dedica alacremente soprat-
tutto alla composizione di romanze da salotto per soprano e tenore e alle trascri-
zioni di arie d’opera per piccoli organici, prevalentemente per pianoforte, violino
e violoncello ma con l’introduzione talvolta anche di strumenti quali arpa, man-
dolino, corno inglese. Nelle trascrizioni operistiche, che spaziano da Pergolesi a
Catalani, da von Flotow a Zampa, da Ponchielli a Boito e Mascagni senza
ovviamente tralasciare i classici di Verdi, Rossini, Donizetti e Puccini, Peruzzi
si rivela musicista aggiornato sulle novità operistiche del proprio tempo e al
contempo dotato di raffinate tecniche compositive. Non marginale è infine anche
la produzione di musica sacra e di composizioni strumentali, prevalentemente per
violino e pianoforte, per quartetto d’archi o per pianoforte.
1909-1919. Nel 1909 si presenta l’occasione per costruire un nuovo teatro a
Molfetta. È proprio Peruzzi a convincere il commerciante molfettese Giovanni
Battista Attanasio ad utilizzare il legname ereditato dalla ditta del suocero per la
costruzione di quello che sarà il «Politeama Attanasio» – dal nome del suo
proprietario – poi inaugurato il 19 aprile 1909 con Un ballo in maschera. A
dirigere l’opera vi è Francesco Peruzzi che nei mesi precedenti si era recato a
Milano per scritturare gli artisti ottenendo la partecipazione, tra gli altri, del
soprano Gilda Butti e del baritono Enrico De Franceschi. Seguono altre tre opere
con la sua direzione: Cavalleria Rusticana, I Pagliacci e Rigoletto, in cui spicca
la partecipazione del baritono Giuseppe Viggiani e la presenza del coro e dell’or-
chestra proveniente in gran parte dal Petruzzelli di Bari. Le successive stagioni
teatrali, in cui a Peruzzi si alternano nella direzione Leopoldo Mugnone e Pasquale
La Rotella, richiamano ormai un crescente numero di appassionati anche dalle
province vicine, suscitando l’interesse di Antonio Quaranta, primo storico direttore
artistico del teatro Petruzzelli. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale sancisce
una nuova interruzione delle attività teatrali e la demolizione del Politeama
Attanasio per esigenze belliche. Le stagioni riprendono però con una certa costanza
nel 1919 con il Teatro La Fenice, costruito in soli quaranta giorni sul sito in cui
un incendio aveva distrutto un precedente teatro molfettese.
1920-1946. Nell’ultimo quarto di vita Peruzzi rallenta sensibilmente le proprie
attività pubbliche, pur mantenendo le redini della vita culturale cittadina attraverso
la costante organizzazione di eventi musicali nel proprio celebre salotto. La profon-
da conoscenza della vita musicale della propria città lo porta a pubblicare nel 1931,
con prefazione di Vincenzo Roppo, Maestri compositori e musicisti molfettesi, un
prezioso documento sull’attività musicale di Molfetta nei secoli XV-XIX. Inoltre,
236

dopo anni di intensa attività quale trascrittore e direttore di opere altrui, Peruzzi si
cimenta nella composizione di una propria opera, Il Conte Marchi, opera giocosa
in tre atti su libretto del concittadino Sergio Azzollini, rappresentata al teatro La
Fenice di Molfetta nel 1935 e quindi al Petruzzelli di Bari nel 1938 con la
partecipazione del basso Andrea Mongelli nella parte del protagonista. Per tutta la
vita ha alternato alla composizione e all’organizzazione di eventi culturali un’in-
tensa attività didattica, sancita dalla stesura di diverse opere tra cui un Manuale di
composizione, degli Studi graduati per violoncello, numerosi studi per violino
(Primi esercizi sul violino, Duettini didattici per violino) e antologie di brani
semplici per pianoforte. Muore a Molfetta il 12 marzo 1946.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Del Conte Marchi, unica opera di Peruzzi, si è purtroppo conservato solo il libretto
a stampa per i tipi di Spadavecchia Editore ed è oggi consultabile presso la
Biblioteca Comunale «G. Panunzio» di Molfetta. La storia ruota attorno alla figura
del Conte Marchi, un ricco aristocratico con insulse velleità letterarie opportuni-
sticamente incoraggiate però da don Fabrizio per ottenere il consenso al matri-
monio tra Piero, figlio di don Fabrizio e Alba, figlia del Conte. Ma Alba è
innamorata del Barone Dini il quale ricambia l’amore offrendole ogni sera una
serenata sotto la sua finestra. Vero motore dell’azione scenica è però l’astuto servo
Buonalana il quale convince il Barone Dini a travestirsi da attore per impersonare
il protagonista principale della commedia scritta dal Conte e ormai pronta per la
prima rappresentazione pubblica. Ovviamente il ruolo della protagonista è affidato
proprio ad Alba e i due possono così liberamente scambiarsi i loro messaggi
d’amore davanti all’ignaro Conte. Ormai tutto è pronto per la rappresentazione
della commedia del Conte: si aprono i sipari ma nello stupore generale esce
Buonalana che annuncia al pubblico che Alba e il Barone Dini sono fuggiti insieme.
La notizia è accolta con disappunto da don Fabrizio il quale, persa ormai la
speranza nel matrimonio tra Alba e Piero, si comporta in maniera sprezzante nei
confronti del Conte svelandogli così i suoi reali sentimenti. Solo allora il Barone
Dini e Alba si ripresentano al Conte il quale impara la lezione e offre il proprio
entusiastico consenso al matrimonio tra i due.
La trama riprende molte situazioni tipiche della drammaturgia operistica del
‘700 e del primo ‘800 (la serenata, il travestimento, il metateatro, il brindisi),
eppure il testo costruito su un libero alternarsi di quinari, senari, settenari,
decasillabi ed endecasillabi liberamente rimati, pur non mancando di strutture
chiuse tradizionali (ad esempio il duetto tra Alba e il Barone costruito con la
tradizionale “solita forma” quadripartita), sembra aver accolto le novità formali
del’operismo di primo Novecento. Difficile intuire quale possa esser stato l’inter-
vento musicale di Peruzzi e l’indubbia sua conoscenza del mondo operistico rende
forse ancor più grave la perdita della partitura di tale opera.

Bibliografia

FONTANA Aldo, Molfetta. Raccolta di notizie storiche. Galleria degli uomini illustri, Angelo Alfonso
Mezzina, Molfetta 1965.
–, Il genio musicale molfettese. Il teatro a Molfetta. La banda musicale, 1966, pp. 16-17, 22-23,
27, 35-36 dattiloscritto in I-MFc.
237

ROPPO Vincenzo, prefazione a PERUZZI Francesco, Maestri compositori e musicisti molfettesi, Picca,
Molfetta 1931.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza& Polo, Bari 1966, p. 217.

Opere drammatiche

1. Il Conte Marchi, opera giocosa in tre atti di Sergio Azzollini, Molfetta La Fenice 1935
(libretto I-MFc) \ BA Petruzzelli 1938.

Fedele De Palma
238

GIUSEPPE PERUZZI
Molfetta (BA), 1 maggio 1837 - ivi, 18 giugno 1918

Cronologia

Giuseppe Peruzzi nasce a Molfetta il 1 maggio 1837 da Francesco e da Margherita


Sigismondo, discendente da un’illustre famiglia aristocratica molfettese: il nonno
materno, Giuseppe Sigismondo, era stato nominato infatti Cavaliere Gerosolimi-
tano e aveva ricoperto più volte la carica di sindaco di Molfetta. Proprio da
quest’ultimo, appassionato di musica ed egli stesso musicista dilettante, Giuseppe
Peruzzi riceve la prima educazione musicale imparando a suonare il pianoforte.
Come era tradizione presso le famiglie aristocratiche del tempo, con Rescritto
Reale di Ferdinando II il 23 maggio 1852 Giuseppe Peruzzi viene nominato a soli
quindici anni “Guardia d’Onore a cavallo del Re delle Due Sicilie”. Eppure alla
pur promettente carriera politica antepone la crescente passione per la musica.
Decide pertanto di continuare i suoi studi musicali con il compositore Vincenzo
Valente il quale era appena tornato a Molfetta dopo aver conseguito il diploma
di composizione presso il Conservatorio San Pietro a Majella. Appassionato della
tradizione operistica italiana, Giuseppe Peruzzi studia attentamente i grandi clas-
sici di Rossini, Verdi, Bellini e Donizetti creando una propria importante collezione
operistica che inizia ad eseguire a memoria al pianoforte da capo a fondo. La
profonda conoscenza della tradizione operistica ottocentesca non si traduce però
nella composizione di opere liriche bensì di oratorii. Peruzzi ne scrive tre: La Via
Crucis (1867), La passione di Nostro Signore (1872) e Le Tre Ore di Gesù
agonizzante (1879). Considerevole è anche la produzione di musica sacra che
annovera ben venti messe, tre Credo, ventiquattro Tantum Ergo, Mottetti, Salmi,
Graduali, Responsorii, Marce funebri per banda, e due Requiem di cui merita
almeno una menzione la Solenne Messa da Requiem scritta nel 1869 ed eseguita
per la prima volta nell’aprile del 1872 per i funerali di alcuni giovani studenti
universitari molfettesi morti a Napoli durante l’eruzione del Vesuvio. Per tutta la
vita Peruzzi si dedica all’insegnamento del pianoforte e per scopi didattici scrive
anche due piccole composizioni per voci bianche. Tra i suoi alunni si deve
considerare anche il figlio Francesco che continuerà la carriera musicale del padre.
Giuseppe Peruzzi muore a Molfetta il 18 giugno 1872.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La scelta di dedicarsi prevalentemente alla composizione di oratorii e di musica


sacra è sicuramente in controtendenza rispetto al panorama nazionale ma può
agevolmente spiegarsi come espressione di un duraturo rapporto con le committenze
religiose della città. De La Via Crucis è conservata presso l’Archivio Diocesano di
239

Molfetta la partitura per quattro voci maschili (due tenori, un baritono e un basso)
e harmonium con testo in italiano. Si tratta di sedici numeri che corrispondono
all’inno Ave Crux spes unica, ad un’Introduzione e alle quattordici stazioni della
Via Crucis. Si alternano soli del tenore, del baritono e del basso in forma di romanza
o nella tradizionale aria col da capo, un duo di baritono e tenore, un terzetto tra i
due tenori e il basso e un duettino tra tenore e baritono. L’andamento melodico è
lineare, sempre aderente al testo; procedimenti contrappuntistici sono rari mentre
al contrario talvolta Peruzzi sceglie di procedere omoritmicamente per tutte e tre
le voci (stazione VII). Perduta è invece la partitura de La passione di Nostro
Signore, di cui si è conservata solo una trascrizione dello stesso Giuseppe Peruzzi
per legni (flauto, saxophon, clarino primo, clarino secondo, clarone). Considerata
da Francesco Peruzzi l’opera più riuscita del padre, Le tre ore di Gesù agonizzante
fu composta per tre voci di uomini, harmonium e legni nel 1879 ed eseguita nella
chiesa di San Domenico a Molfetta il Venerdì Santo dal 1879 al 1882. Nel 1922
Francesco Peruzzi, in memoria del padre, la rimise in partitura aggiungendovi le
voci femminili e integrando altri strumenti orchestrali. In questa nuova veste l’ora-
torio fu eseguito il 24 e il 26 marzo 1923 da oltre cento esecutori tra cantanti e
orchestrali nella chiesa di San Bernardino a Molfetta. Solo quest’ultima partitura
si è conservata presso l’Archivio Diocesano di Molfetta ma risulta difficile distin-
guervi il nucleo originario dai possibili interventi del figlio Francesco. La struttura
generale dell’oratorio così come si desume dalla partitura del 1923 prevede otto
numeri, ossia un’ouverture e le sette parole di Gesù agonizzante in cui si alternano
soli del baritono e del soprano, concertati con soprano e coro e tenore e coro, due
concertati. Gli oratorii di Giuseppe Peruzzi da una parte sono indubbiamente
debitori dalla produzione sacra di Rossini (Stabat Mater, Messa Solenne, Petite
Messe Solemnelle), Verdi (Messa da Requiem, Pater Noster, Stabat Mater) e
Mercadante (Ave Maria, Messa Solenne), dall’altra si collegano agli oratorii che
in quegli anni, seppur in modalità minoritarie rispetto all’operismo vero e proprio,
trovava in Simon Mayr, Giovanni Pacini, Nicolò Zingarelli, Paolo Bonfichi, Pietro
Raimondi e Saverio Mercadante importanti conferme. E proprio a quest’ultimo la
produzione oratoriale di Peruzzi sembra particolarmente vicina: sarà infatti il caso
di ricordare che anche il compositore altamurano aveva composto nel 1838 un
oratorio sulle sette parole di Gesù in croce.

Bibliografia
FONTANA Aldo, Molfetta. Raccolta di notizie storiche. Galleria degli uomini illustri, Angelo Alfonso
Mezzina, Molfetta 1965.
PERUZZI Francesco, Maestri compositori e musicisti molfettesi, Picca e figlio, Molfetta 1931.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 217-218.

Oratorii
1. La via Crucis, oratorio in sedici “numeri”, 1867 (partitura in I-MFad*).
2. La passione di Nostro Signore, oratorio in otto “numeri”, 1872.
3. Le Tre Ore di Gesù agonizzante, oratorio in nove “numeri” di S. Pansini?, Molfetta
chiesa di San Domenico primavera 1879 (partitura in I-MFad*) \ Molfetta, cattedrale,
1880, 1881, 1882; Molfetta, chiesa di S. Bernardino, 24 e 26 marzo 1923.
Fedele De Palma
240

OTTONE PESCE
Mola di Bari (BA), 28 agosto 1889 - Roma, 11 luglio 1967

Cronologia

Ottone Pesce nasce a Mola di Bari il 28 agosto 1889 da Angelo Delfino Pesce
e dalla sua giovanissima cugina Regina, che muore quaranta giorni dopo il parto.
Ultimo di undici figli, il neonato viene affidato alla nonna Luisa e allo zio Mimì,
poeta e musicista dilettante. Conclusa la frequenza del collegio, il giovane Ottone
comincia presto a viaggiare tra Napoli, Roma e Milano, approdando infine al
Conservatorio «S. Pietro a Majella di Napoli» dove si diploma in Pianoforte e
per alcuni anni studia anche violino. L’incombere della dittatura fascista convince
Ottone, che, sulle orme del fratello Piero Delfino Pesce, fondatore in Puglia del
movimento repubblicano e federalista, comincia a maturare convinzioni antifasciste,
e mutare il suo cognome in Pesce e soprattutto a tentare una propria strada oltre
oceano, partendo con un amico verso gli Stati Uniti. Sbarcato e fermatosi a New
York in cerca di lavoro come musicista, sostituisce per un caso fortuito un direttore
d’orchestra durante un concerto al Metropolitan ed è la svolta della vita. Nominato
presto ufficialmente al Metropolitan maestro collaboratore, diventa protagonista
come direttore di numerose tournée nelle principali città dell’intero continente
americano e conosce un personale successo come compositore di Arcadia, balletto
fantastico in un atto su un poema di Arturo Tomaiuoli che egli stesso dirige, insieme
con La sonnambula di Vincenzo Bellini, al National Theatre di Broadway il 30
marzo 1924. Occasione questa davvero speciale, poiché nella rappresentazione
dell’opera belliniana è impegnata una giovane cantante, Lina Palmieri, che presto
Ottone sposerà. Con il matrimonio, e sull’onda della propaganda fascista, i viaggi
in Italia si fanno sempre più frequenti fino al ritorno definitivo, prima a Milano
poi a Roma, dove però Pesce conosce minor fortuna: lavora saltuariamente come
accompagnatore di cantanti nel mondo della musica lirica romana e alla radio,
ma la sua acclarata fede antifascista gli impedisce di ottenere un impiego stabile
e di veder rappresentate e pubblicate due opere liriche pronte per andare in scena,
sebbene entrambe siano frutto della collaborazione prestigiosa con Antonio Lega,
poeta, critico teatrale e soggettista cinematografico molto affermato negli anni
Trenta, autore, tra l’altro, di libretti per opere di Arrigo Pedrollo e Amilcare
Zanella. Si tratta di La matrona d’Efeso, in origine intitolata Cleanta, commedia
lirica in un atto ispirata all’Arbiter Elegantiarum di Petronio, nella quale una serie
di equivoci viene brillantemente risolta guardando al riferimento dell’opera
pucciniana ormai del tutto priva di pezzi chiusi, e di La sposa del sole, tragedia
lirica in un atto e due quadri nella quale l’ambientazione nell’antico Egitto diviene
spunto per una solenne e austera messa in scena dalle forti tinte drammatiche, con
ascendenze quasi pizzettiane nella presenza di cori e grandi scene di massa così
come nell’uso della modalità e nel dispiego di imponenti forze orchestrali. Solo
241

alcune delle numerose pagine pianistiche e delle romanze per canto e pianoforte
vengono pubblicate, mentre, grazie ai buoni uffici di Ugo, un fratello di Ottone
generale dell’Aeronautica tra i progettisti della spedizione Nobile, la moglie Lina
riesce ad avere presso un Ministero un impiego di ruolo come archivista di terza
classe essenziale per il sostentamento della famiglia. Raccolte nel 1966 in un
album manoscritto le ultime pagine per pianoforte in gran parte dedicate ai suoi
familiari e ricche di accenti affettuosi e nostalgici, Ottone Pesce si spegne a Roma
l’11 luglio 1967.

Bibliografia

BARTOLO Viviana - MONACHINO Antonella - MONACHINO Giuliana, Il teatro musicale nella Terra di
Mola di Bari, Edizioni dal Sud, Bari 2007, pp. 105-178.

Le due opere e il balletto di Ottone Pesce sono inedite. Il materiale musicale manoscritto ad esse
relativo è conservato a Mola di Bari nell’archivio privato della figlia Franca. In particolare di La
matrona d’Efeso sono presenti lo spartito per canto e pianoforte e le parti orchestrali, di La sposa
del sole lo spartito per canto e pianoforte, di Arcadia la partitura orchestrale.

Opere drammatiche

1. Arcadia, balletto fantastico in un atto su un poema di Arturo Tomaiuoli, New York


National Broadway Theatre 30 marzo 1924.
2. La matrona d’Efeso, commedia lirica in un atto di Antonio Lega, non rappresentata.
3. La sposa del sole, tragedia lirica in un atto e due quadri di Antonio Lega, non rappresentata.

Angela Annese
242

GIOVANNI PETRUCCI
Barletta, inizi XIX sec. - Torino, fine XIX sec.

Poche notizie biografiche si possono ricavare sulla vita di questo autore che nacque
a Barletta nei primi dell’Ottocento e che trascorse a Torino gran parte della sua
vita. In questa città morì dopo aver lasciato varie composizioni sacre e profane,
tra le quali l’unico suo melodramma superstite, La Maledetta, rappresentato a
Barletta nel 1873 (ma, secondo il Sorrenti, conobbe un primo allestimento torinese)
e successivamente gratificato di riduzioni bandistiche inserite nel repertorio
molfettese di marce funebri per la settimana santa. Alcune fonti manoscritte degli
anni ’20 del Novecento si conservano presso al Biblioteca civica di Molfetta; in
una di esse (Marcia funebre sui motivi dell’opera La Maledetta del maestro
Petrucci) l’opera di Petrucci viene datata 1840.

Bibliografia

(IBI, STIEGER)

ANESA Marino, Dizionario della musica italiana per banda e gruppi di fiati. Biografie dei compositori
e catalogo delle opere dal 1800 ad oggi, con prefazione di Roberto Leydi, Gazzaniga, Bergamo
2004.
DASSORI Carlo, Opere e operisti: dizionario lirico, Tip. editrice R. I. Sordomuti, Genova 1903.
FÈTIS François Joseph, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique,
Firmin-Didot, Bruxelles 1873-1880.
«Il Mondo Artistico: Giornale di musica dei teatri e delle belle arti», VII, n. 13-14, 9 aprile 1873, p. 5.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano, 1861-1900: dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 219.

Opere drammatiche

1. La Maledetta, melodramma in tre atti dal romanzo storico di Raffaele Altavilla, Barletta
Teatro Comunale 22 marzo 1873 (partitura incompleta in I-BARc*).

Nicola Usula
243

FRANCESCO PISANO
Cerignola (FG), 1873ca. - ivi, 1960 ca.

Cronologia

Studiò al Liceo «G. Rossini» di Pesaro, dove fu allievo prediletto di Pietro Mascagni,
conseguendo nell’agosto del 1901, il diploma col massimo dei voti. La sua prima
opera è la Celeste, su libretto del poeta e sindaco di S. Miniato Agostino Bachi,
messa in scena al Teatro Verdi di San Miniato (PI) nel 1901, che incontrò un buon
successo. L’altra opera di cui si hanno notizie è la Taziana, rappresentata al Teatro
Mercadante di Cerignola (FG) nel 1922. Fu inoltre attivo come compositore di
musica vocale da camera.

Bibliografia

(IBI, SCHMIDL)

CELLAMARE Daniele, Pietro Mascagni “Cerignola, culla della mia musica”, Palombo, Roma 1965.
LEGGER Gianna, Drammaturgia Musicale Italiana, Torino 2005, p. 678.
MANFERRARI Umberto, Dizionario Universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1955,
vol. III, p. 90
«Nuova Antologia di scienze lettere ed arti» vol. CCIX (1906), p. 340 (si dà notizia della rappresentazione
torinese di Celeste).
PARSONS Charles H., Opera librettists and their works, Edwin Mellen Press, Lewiston-Quuenston
1987, vol. I, p. 26.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 235.

Edizioni

– Celeste revisione e nuovo adattamento di Donato Di Mallio e Daniele Cellamare, Palombi,


Roma s.d. [ma 1943].

Opere drammatiche

1. Celeste, bozzetto in tre atti di Agostino Bachi da Leopoldo Marenco, San Miniato (PI)
Teatro Verdi 13 novembre 1901 (libretto in I-Fn) \ TO autunno 1906; San Miniato (PI)
Teatro Verdi 11 novembre 1906; Cerignola, Teatro Mercadante 5 giugno 1943.
2. Taziana, opera seria in tre atti di L. Sbraglia, Cerignola Teatro Mercadante 13 dicembre
1922.

Vincenzo Germano
244

CARMELO PREITE
Presicce (LE), 14 febbraio 1866 - Milano, 27 marzo 1952

Cronologia

1866-1883. Avviato sin da bambino allo studio della tromba Preite si perfezionò
in questo strumento con Gaetano Martucci (padre del pianista Giuseppe) al
conservatorio «S. Pietro a Maiella» di Napoli dove studiò strumentazione per
banda e composizione con Paolo Serrao (suoi compagni di studi furono i “wagneriani”
Francesco Cilea, Umberto Giordano e il tarantino Pasquale Mario Costa).
1884-1889. Dopo essersi diplomato si trasferì a Bergamo. Vinto il concorso per
diventare direttore della banda militare del 45° reggimento fanteria, Preite si
spostò a Messina (1886), Peschiera (1889), Verona e Vercelli (1897), tutte città
in cui, con fama crescente, affiancò la pratica di direttore di banda a quella di
direttore d’orchestra nei vari teatri. Dal 1884 è attestata la sua collaborazione con
la rivista napoletana «La Musica» dove recensì un concerto vocale e bandistico
tenutosi in occasione delle feste in onore di San Tommaso a Ortona (CH).
1890. È l’anno della sua prima ed unica opera pervenutaci, Una spedizione dei
coscritti per l’Africa o Carmelo, messa in scena dagli stessi soldati del suo
reggimento (il libretto è scritto dal primo clarinetto della banda) stanziati nel
mantovano per il campo estivo a Castiglione delle Stiviere (in STIEGER pp. 75-77
i due lavori sono distinti: Una spedizione documentato a Peschiera nel gennaio
dell’89 e Carmelo datato al giugno del ‘90, a Castiglione delle Stiviere).
1895-1898. In questi anni si dedicò alla direzione di opere e oratorii in varie
città, tra cui Torino, Verona (dove dal ‘95 al ‘97 è concertatore e direttore delle
stagioni liriche), Vercelli e Bologna.
1900-1904. Preite continuò gli spostamenti con il reggimento, prima a Lecce
(dove nel 1901 diresse la stagione lirica e incontra Tito Schipa) poi a Napoli
(1904).
1907-1928. Nel 1907 vinse il concorso per il ruolo di direttore della banda
municipale di Venezia e, dopo aver chiesto il congedo temporaneo dall’esercito,
si occupò del riordino del corpo bandistico, oltre ad insegnare composizione e
strumentazione per banda al liceo musicale «Benedetto Marcello», e a ricoprire
il ruolo di direttore di molte opere alla Fenice. Negli stessi anni – con la parentesi
della chiamata alle armi in occasione della prima guerra mondiale – ricoprì il ruolo
di direttore in molte altre città, tra le quali Parigi per I gioielli della Madonna
di Ermanno Wolf Ferrari nel 1913.
1930. Dopo essersi ritirato dal campo bandistico militare a causa della nuova
situazione politica italiana, su invito del comune di Bologna curò l’assetto della
245

banda cittadina, così come farà l’anno successivo a Gioia del Colle (BA); qui sarà
direttore di banda fino al 1934.
1934-52. Si trasferì a Milano dove svolse il ruolo di consulente per le formazioni
strumentali di scena a carattere bandistico alla Scala e diede alle stampe il trattato
Istrumentazione per banda per la casa editrice Hoepli.

Il fratello LUIGI (1856-?) fu direttore di banda a Petritoli e Novacchio e maestro


di musica dell’Ospizio Vittorio Emanuele II di Giovinazzo, dove mise in scena
l’operetta I decurioni (Municipale, 5 maggio 1908).

Bibliografia

(IBI, SCHMIDL, STIEGER)

ANESA Marino, Dizionario della musica italiana per banda e gruppi di fiati. Biografie dei compositori
e catalogo delle opere dal 1800 ad oggi, con prefazione di Roberto Leydi, Gazzaniga, Bergamo
2004.
BIERLEY Paul - HOE Robert - REHRIG William, The heritage encyclopedia of band music: composers
and their music, Integrity Press, Westerville Ohio 1991.
Casa Musicale Sonzogno. Cronologie saggi testimonianze, Sonzogno, Milano 1995, II, pp. 16, 61,
576.
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal 3° secolo a.C. ai giorni nostri, Schena,
Fasano 1985, pp. 233-236.
DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale d’oggi: dizionario dei musicisti, Ausonia, Roma 1918.
DE MATTEIS Piergiuseppe, Musica e Musicanti. Note storiche sui complessi bandistici di Novoli,
Il Parametro, Novoli 2003.
FIORENTINO Waldimaro, L’operetta italiana. Storia, analisi critica, aneddoti, Catinaccio ed., Bolzano
2006, p. 74.
GIRARDI Michele - ROSSI Franco, Il Teatro La Fenice: cronologia degli spettacoli 1792-1936,
Albrizzi, Venezia 1989, pp. 401-440
PEDIO Edoardo, Il maestro Carmelo Preite, in «La città di Brindisi», XXVII, a. II, n. 27 del 27 agosto
1941.
Preite Carmelo, recensione, in «La Musica», a. 5, n. 9, 2 giugno 1884.
RAELI Vito, Musicisti e cantati contemporanei e anime musicali salentine, in «Studi salentini», n.
3, 1958 (presente on-line sul sito emeroteca.provincia.brindisi.it).
SESSA Andrea, Il melodramma italiano, 1861-1900: dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003.
SILVESTRI Giuseppe, Carmelo Preite: ritratto di un musicista, Edizioni di «Vita Veronese», Verona
1953.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 237-238.
VETRO Gaspare Nello, Teatro Reinach 1871-1944: gli spettacoli musicali, opere, concerti, operette,
Parma: comune di Parma - Archivio Storico Teatro Regio, 1995, pp. 581-637.
WOLFF Stéphane, L’Opera au Palais Garnier, 1875-1962: les oeuvres, les interpretes, L’Entr’acte,
Paris 1962.

Opere drammatiche

1. Una spedizione dei coscritti per l’Africa o Carmelo, dramma di Gaudenzio Betti,
Castiglione delle Stiviere (MN), giugno 1890.

Nicola Usula
246

TERESA PROCACCINI
Cerignola (FG), 23 marzo 1934

Cronologia

1934-1958. Teresa Procaccini nasce a Cerignola il 23 marzo 1934, figlia unica


di Vittorio e Maria De Tullio. Inizia a comporre a soli nove anni e a dodici la
RAI trasmette già un suo pezzo. Nel 1952 si diploma in Pianoforte con Massimo
Bacigalupi al Conservatorio «Umberto Giordano» di Foggia. Dopo un breve periodo
di studio al Conservatorio di Napoli con Achille Longo, del quale è l’ultima allieva,
si trasferisce a Roma dove frequenta il Conservatorio «Santa Cecilia», diplomandosi
nel 1957 in Organo con Fernando Germani e nel 1958 in Composizione con Virgilio
Mortari. Ancora allieva di conservatorio, vince nel 1956 il primo premio in due
concorsi di composizione: con il Trio per violino, violoncello e pianoforte (poi
op. 5) il «Concorso Caccini», con il Divertimento per pianoforte, tromba, sega,
vibrafono e timpani (poi op. 6) il «Concorso Viotti».
1959-2010. Conclusi gli studi di conservatorio, ha inizio nel 1959 la sua carriera
di insegnante, prima di Organo e poi di Composizione, presso il Conservatorio di
Foggia, del quale diviene Direttore (prima donna in Italia) tra il 1971 e il 1972.
Lasciata cadere la possibilità di un incarico d’insegnamento alla Berkeley University,
dove è stata invitata da Lukas Foss, si trasferisce poi al Conservatorio di Roma,
dove insegna Composizione fino al 2001, affiancando negli anni all’attività didattica
istituzionale quella nei corsi di perfezionamento in Composizione presso il Festival
di Città di Castello, l’«Accademia Respighi» di Assisi, gli «Internationalen
Meisterkursen» di Duren, l’«Estate Musicale Frentana» di Lanciano. Numerosissimi
gli allievi formatisi alla sua scuola, molti divenuti a loro volta figure di spicco
nel mondo musicale.
Avviata in giovanissima età – guardando a figure di riferimento come Bartók,
Berg e Stravinskij – la sua carriera di compositrice riceve nel 1972 un impulso
decisivo con la vittoria del Premio Casella per Clown Music op. 39 per quintetto
di fiati, per svilupparsi poi nel corso di tutta la seconda metà del Novecento fino
ai giorni nostri, anche attraverso incontri artistici importanti come quello con
Rafael Kubelik che nel 1976 dirige alla Bayerische Rundfunk di Monaco di
Baviera le Sensazioni sonore per orchestra. Nasce così un amplissimo e variegato
catalogo di oltre duecento composizioni, pressoché tutte edite ed eseguite con
successo in tutta Europa e Oltreoceano: dal teatro musicale in tutte le sue forme
alla musica sinfonica, dalla produzione cameristica a quella, significativamente
ricca, di intento didattico rivolta all’infanzia e agli strumentisti in erba.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

«Fra i compositori contemporanei, sono forse la più impegnata a mantenere i legami


con la generazione precedente, pur essendo proiettata verso sempre nuove acquisizioni.
247

Tradizione, modernità, fedeltà ai valori formali classici, ricerca di nuove sonorità,


sono costanti del mio linguaggio sempre teso a raggiungere l’equilibrio tra questi
fattori. Secondo alcuni critici, i miei lavori rivelano una coerenza stilistica tale da
risultare singolare nel contesto musicale contemporaneo caratterizzato dalla
proliferazione di esperienze avanguardistiche diverse, spesso sterili nel tempo. In
effetti la mia attività compositiva si svolge senza lasciarsi condizionare dalla ricerca
avanguardistica di nuovi processi creativi, avendo elaborato un mio proprio, compiuto
e confacente linguaggio espressivo. Le motivazioni di tale atteggiamento artistico
sono da ricercare in un culto di valori considerati imprescindibili dall’idea stessa
di musica. Esattamente: la musica come struttura, elaborazione di elementi strutturali
in una costruzione intelligibile all’ascolto, il cui valore fondamentale non sia nella
complessità ma nella compiutezza; il rifiuto di quelle esperienze compositive che
elaborando il concetto di forma fino alle estreme conseguenza, ne hanno corroso
l’idea stessa di intelligibilità, o annullandolo o rendendola così complessa da essere
difficilmente percepibile sulla stessa partitura. La musica come linguaggio essenziale
espressivo è tale da impegnare i processi emotivi dell’ascoltatore (con il quale è per
me della massima importanza comunicare). Per questo la mia musica viene concepita
secondo gli ideali estetici più classici e si caratterizza per i timbri incisivi, la
chiarezza degli schemi, la discorsività aliena da culturalismi, uniti ad un lirismo
melodico che si snoda in ampie linee. Elementi questi che conferiscono ai miei
lavori un livello di tensione emotiva assai elevato che ne facilita e favorisce la
comprensione». (cfr. PROCACCINI 1998).
I tratti fondamentali della poetica e dello stile descritti con tanta chiarezza dalla
stessa autrice connotano i tre titoli operistici che nascono tutti nei primi anni
Settanta, quando anche l’incontro con il mezzo radiofonico favorisce lo sviluppo
di un’idea di teatro musicale essenziale, di dimensioni contenute nella durata, nella
complessità della trama e nel numero di personaggi, moderno nell’ambientazione
e nel taglio narrativo. Proprio nel 1970 la Procaccini ritorna a La vendetta di
Luzbel, una sorta di oratorio (premio Cassa Nazionale Assistenza Musicisti 1971)
ispirato a Lope de Vega rimasto incompiuto che trasferisce alla scena conservando
al racconto della Genesi e della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre
un’appassionata drammaticità, che permane anche nella versione dall’organico
ridotto di poco successiva. Tutt’altra atmosfera caratterizza La prima notte e
Questione di fiducia, le due opere comiche in un atto che tra il 1972 e il 1973
nascono dalla felice collaborazione con il librettista Sergio Massaron. Coerente
con una consolidata tradizione drammaturgica, sempre attento alla caratterizzazione
musicale del personaggio, percorso da una spontanea inventiva e da una freschezza
ritmica che con naturalezza conferisce vivacità all’azione, il teatro musicale di
Teresa Procaccini trova forse qui la sua vena espressiva più schietta e felicemente
risolta in chiave di leggerezza quasi “rossiniana”, per certi versi antisentimentale,
dunque profondamente moderna.

Bibliografia
(DEUMM, NG2001)
ADKINS CHITI Patricia, voce Teresa Procaccini in Almanacco delle virtuose, primedonne, compositrici
e musiciste d’Italia: dall’A.D. 177 ai giorni nostri, De Agostini, Novara 1991.
–, Donne in musica, Armando, Roma 1996.
248

ANESA Marino, Dizionario della musica italiana per banda e gruppi di fiati. Biografie dei compositori
e catalogo delle opere dal 1800 al 1945, con prefazione di Roberto Leydi, Gazzaniga, Bergamo
2004.
Archiv Kassel Noten 1990. Bestandskatalog des Archivs Frau und Musik, Furore, Kassel 1990, pp.
22, 50, 54, 80, 109, 116, 119, 134, 141, 144, 150, 184, 192, 213; Archiv Kassel Noten 1994.
Ergänzungsband mit über 2.000 neuen Titeln, Furore, Kassel 1994, pp. 36, 49, 57, 60, 76, 80,
84, 88, 93, 135, 151.
CERATTO Marina, Teresa Procaccini, in Il “chi è” delle donne italiane, Mondadori, Milano 1982.
COHEN Aaron, Teresa Procaccini in International Encyclopedia of Women Composers, Books &
Music, New York 1981, vol. II.
DAMIANI Paola, Teresa Procaccini in The New Grove Dictionary of Women Composers, Macmillan,
London 1996.
DALOISO Maria, Progettare una scenografia, metodologia della progettazione. L’opera Piazza della
musica n. 1 di Teresa Procaccini, tesi di laurea, Accademia di Belle Arti di Foggia, marzo 2007.
EVANS Janet, Teresa Procaccini, in The International Directory of Distinguished Leadership,
American Bibliographical Institute, Raleigh 1986.
GIUDICI, Carla - NAPOLI Jacopo, Teresa Procaccini in Dizionario di autori e di composizioni
pianistiche, Curci, Milano 1999².
KAY Ernest, Teresa Procaccini, in Foremost Women of the Twentieth Century, International Biographical
Centre, Cambridge 1988.
MALITO Maria Giusi, Tradizione ed innovazione nella musica per flauto delle compositrici del XX
secolo, tesi di laurea, Conservatorio di Musica “Guido Cantelli” di Novara, marzo 2007.
MAURIZI Paola, Quattordici interviste sul nuovo teatro musicale in Italia, Morlacchi, Perugia 2004,
pp. 105, 106, 131, 132.
MUCHNICK Amy, Teresa Procaccini: An Overview of the Composer with emphasis on the literature
for viola, tesi di laurea, The University of Maryland, 1994.
NIES Christel, Unerhörtes Entdecken. Komponistinnen und ihr Werk, II, Bärenreiter, Kassel 1995.
OLIVIER Antje - BRAUN Sevgi, Teresa Procaccini, in Komponistinnen aus 800 Jahren, Sequentia,
Kamen 1996, pp. 326-328.
PARADISO Claudio, Il flauto in Italia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2005.
PROCACCINI Teresa, Musica e infanzia camminano insieme (intervista a cura di Tiziana Ragni), in
«Prospettive nel mondo», XIV, n. 3, marzo 1989, p. 38.
–, I nuovi programmi di educazione al suono e alla musica: una certezza, un’incognita o
un’avventura musicale?, in I programmi della scuola elementare - Dalla teoria alla pratica,
Armando, Roma 1986.
–, Note per il booklet del CD Musica per orchestra, PAN CD 3070, 1998.
–, Comunicare: un dovere dell’arte (intervista a cura di Carlotta Ghezzi), in «clingKlong: Musikszene
Frau», n. 45, Berna, autunno 2000.
PROCACCINI Teresa - TARTAGLIONE Simeone, Teresa Procaccini. Una vita per la musica, Edipan, Roma
(in stampa).
SANTOLI Carlo, Gabriele D’Annunzio. La musica e i musicisti, Bulzoni, Roma 1997, pp. 49, 517-
518.
YOUNGDAHL DEES Pamela, voce Teresa Procaccini, in A Guide to Piano Music by Women Composers:
Women born after 1900, Praeger, Westport 2004, p. 187.
TARTAGLIONE Simeone, Teresa Procaccini, compositrice nel XX secolo, tesi di laurea, Università degli
Studi di Palermo, marzo 2002.
ZAIMONT Judith Lang, The Musical Woman: An International Perspective, Greenwood Press, Westport
1983.

Risorse on-line

Il sito www.teresaprocaccini.it, curato personalmente dalla musicista stessa, riporta


informazioni continuamente aggiornate su ogni aspetto della sua attività. È possibile ascoltare
l’intera registrazione già pubblicata sul CD di Questione di fiducia, suddivisa in tre parti,
su www.youtube.com.
249

Discografia

Titolo Direttore / Data di registrazione Casa discografica / n. di catalogo

Questione di fiducia Silvano Frontalini / 1998 Edipan / PAN CD 3070


La prima notte - Silvano Frontalini / 2003 Bongiovanni / GB 5024-2
La vendetta di Luzbel

Opere drammatiche

1. La vendetta di Luzbel, opera lirica in un atto e due quadri su libretto proprio da La


Creacion del Mundo y primera culpa de l’hombre di Lope de Vega, Pinerolo 6 maggio
1973 \ versione con organico ridotto, Anversa, Vlaamse Kameropera 17 novembre 1975.
2. La prima notte, opera comica in un atto di Sergio Massaron, Anversa Vlaamse Kameropera,
7 febbraio 1977.
3. Questione di fiducia, opera comica in un atto di Sergio Massaron, Savigliano Teatro
Milanollo, 30 novembre 1974.
4. Medea, balletto in un atto su un testo di Donatella Ziliotto, Roma Teatro Olimpico 21
ottobre 1983.
5. La bella Galiana, balletto in cinque parti, VT Teatro Unione 7 settembre 1998.

Angela Annese
250

BENIAMINO ROSSI DE’ BARONI DI CAPRARICA


Lecce, 15 maggio 1822 - ivi, 4 settembre 1881

Cronologia
1822-1848. Di nobile famiglia, Beniamino Rossi compie i primi studi presso il
Reale Collegio leccese dei Padri Gesuiti, che, rientrati in città nel 1832, offrono
da subito per ornamento e diletto de’ loro convittori corsi di musica e in modo
particolare di pianoforte. Rossi ha tra i suoi maestri Giacomo Lombardi, musicista
di formazione napoletana (allievo a sua volta di Zingarelli e Raimondi), il quale
è peraltro anche al servizio, come didatta, direttore e compositore, del teatro lirico
leccese e dei principali palazzi e chiese del Salento, essendo nondimeno un
fervente patriota, segretamente affiliato alla Giovine Italia. Ed è sotto il magistero
del Lombardi che il giovane convittore, appena quindicenne, esprime il suo primo
saggio operistico, Roberto Conte di Lecce, in cui episodi della storia medievale
(in questo caso, patria) diventano metafora di aspirazioni e passioni tutte moderne:
per l’occasione Rossi scrive sia il libretto, sia la partitura, per una versatilità
espressiva che sarà costante di tutta la sua produzione.
Egualmente versato nella musica e nella letteratura, Rossi è però indirizzato
dalla famiglia agli studi giuridici che porta a termine a Napoli sotto l’egida di
Pasquale Stanislao Mancini. Nella capitale borbonica, tuttavia, il giovane studente
non manca di frequentare teatri d’opera e accademie culturali, trovando anche
ospitalità come critico musicale nel periodico scientifico-letteario-artistico «il
Sibilo». Nel contempo si consolida in lui quella idealità risorgimentale probabilmente
già inculcatagli dal Lombardi e certo rafforzatagli dalla frequentazione del Mancini,
così che pure Rossi diventa un affiliato della Giovine Italia. Rientrato a Lecce,
il giovane avvocato torna subito a mettersi in mostra come poeta e come musicista,
essendo tra l’altro promotore e garante, assieme ad altri notabili locali di fede
parimenti liberale (Pasquale Romano, Realino Cimino, Gaspare Balsamo, Donato
Zaccaria) della fondazione e della dotazione strumentale della nuova banda
municipale (1847), tutta composta da artigiani.
In occasione dei moti del 1848, Rossi prende parte attivamente alle feste leccesi
per la Costituzione (3-5 marzo), non mancando poi di partecipare alle barricate
di Napoli, allorché Ferdinando II decide inopinatamente di sciogliere il Parlamento
(15 maggio). Ritornato a casa, fonda l’uno dopo l’altro i giornali patriottici «L’Eco
del Salento», «Farfalla» e «Iapigia», che vengono puntualmente chiusi dalla
polizia borbonica a causa degli scritti sovversivi ospitati. Finalmente arrestato l’11
ottobre del 1848, nel carcere di Brindisi il versatile patriota scrive una tragedia
ispirata alle gesta della Lega lombarda, Uberto da Crema: tragedia che, bruciatagli
dalle guardie, riscriverà nel 1860 e farà pubblicare a sue spese nel 1864 (per
l’occasione Angelo De Gubernatis, su «La Civiltà Italiana», ne elogerà il rinnovato
impegno tematico, fatto come sempre di amore della patria e odio della servitù:
ma l’autorevole critico non mancherà al contempo di stroncare certe debolezze
di sceneggiatura e di versificazione dell’industrioso avvocato leccese).
251

1849-1860. Appena rimesso in libertà, nel marzo del 1849, l’indomito Rossi
scrive una messa funebre in onore del liberale Damiano Pontari, dirigendola in
pubblica esecuzione presso la chiesa leccese di Sant’Angelo; a distanza di un anno,
è nuovamente arrestato, con l’accusa di aver affisso cartelli inneggianti alla
Costituzione. Sigismondo Castromediano, il più famoso patriota del Risorgimento
salentino con cui divide il carcere, lo ricorda come un giovane d’indole “ardente
e irrequieta”, musico eccellente e autore di libretto e partitura dell’Iginia d’Asti,
opera in musica “ancora inedita” (e tale restò), molto probabilmente ispirata
all’omonima tragedia che pure Silvio Pellico aveva scritto in prigione, rivisitando
romanticamente un episodio della guerra civile fra Guelfi e Ghibellini. È peraltro
da notare che il soggetto aveva già ispirato, tra gli altri, il librettista Girolamo
Marini e il musicista Tommaso Genoves, per una fortunata rappresentazione
napoletana del 1840 probabilmente non ignota al Rossi. Smorzato temporaneamente
l’impegno politico, intensifica la sua attività di scrittore e musicista componendo
e dirigendo concerti per le devote manifestazioni indette dall’arciconfraternita
dell’Addolorata in Sant’Angelo e dai Gesuiti, nuovamente rientrati in città dopo
la parentesi costituzionale (l’afflato religioso, del resto, non fu mai da lui sentito
in contraddizione con le idealità risorgimentali). Intanto, la ideale sintonia col
primo maestro Giacomo Lombardi si conferma con la rappresentazione nel 1853,
presso il locale Teatro pubblico, dell’ Elfrida di Salerno: il Rossi ne ha scritto
il libretto, il Lombardi la musica, e le autorità, al solito, sembra non abbiano
apprezzato, almeno a leggere la corrispondenza privata di giovani letterati che al
tempo sono ospiti del Collegio dei Gesuiti (Ludovico Rienzi, Tommaso Briganti).
Il contesto municipale, autorizza a pensare ad una diretta derivazione dalla tragedia
Tancredi conte di Lecce di Davide Bertolotti (ed. 1832, tolta da una cronaca
pugliese: Elfrida vi figura come sposa segreta di Tancredi), piuttosto che dall’opera
lirica Elfrida di Sesto Giannini (versi) e Giuseppe Puzone (musica), andata in scena
al S. Carlo nel 1849.
1860-1881. Arrestato preventivamente negli ultimi mesi del regno borbonico e
finalmente messo in libertà nel settembre del 1860, il patriota leccese organizza
subito manifestazioni filogaribaldine, facendo poi eseguire (18 ottobre), nel teatro
cittadino, comunemente detto di S. Giusto, un proprio inno che plaude all’imminente
Plebiscito (sarà poi pubblicato a Napoli col titolo di Inno costituzionale). Nel
luglio dell’anno seguente, nello stesso teatro viene eseguita la sua tragedia lirica
Caterina di Guisa, con “spartito nuovo del tutto” (per una volta Rossi si è avvalso
di un libretto altrui, precisamente di Felice Romani, già usato da Carlo Coccia
nel 1833 e 1836). Sfogate le tensioni patriottiche, si impegna dunque nella
rivisitazione del tema della cieca gelosia, causa di morti innocenti – ma malgrado
l’impegno del baritono Sansone e del giovane direttore Pontari, questo nuovo
cimentarsi nel genere operistico appare molto audace ai cronisti locali, tanto più
che la Caterina è eseguita dopo che il pubblico leccese ha largamente applaudito
l’Attila e il Macbeth verdiani. Né la ripresa del titolo nel 1863, sempre al teatro
di Lecce, sortisce maggior fortuna, anche se questa volta la responsabilità è
attribuita alla “mediocrità” degli interpreti. E si deve probabilmente a questi anni
l’ideazione di uno svelto trattatello intitolato Il compositore autodidatta (poi
stampato a Portici, in anno imprecisato, presso l’editore Florio), i cui 4 capitoli
e 14 paragrafi (I: Accordo e disposizione delle parti, Moto delle parti, Forma e
252

costruzione della melodia, Armonizzazione della melodia; II: Triadi e cadenze,


Quadriadi o Accordi di settima, Accordi di nona e di tredicesima, Ritardi e
anticipazioni; III: Rivolti delle triadi, Rivolti delle quadriadi, Modulazione; IV:
Progressioni, Pedale, Contromelodia), ognuno concluso da un eserciziario orale e
scritto, intendono evidentemente istruire le anime ispirate a districarsi in qualche
modo fra le regole del comporre di napoletanissima tradizione.
Nel 1862 va in scena Bianca de’ Gaddi, la seconda opera scritta da Rossi per
il teatro leccese, questa volta tornando ad usare versi propri: si tratta dell’ultimo
cimento del poliedrico autore nel campo del melodramma. Nel frattempo, assieme
all’avvocato Giustiniano Gorgoni, egli ha fondato «La Riforma», giornale
dall’evidente indirizzo politico, per un impegno pubblicistico che prelude ad una
discreta carriera politica: tra l’altro Rossi nel 1865 è chiamato a sostituire Sigismondo
Castromediano in Parlamento, nel 1866 figura come sostituto procuratore del Re
e nel 1871 è eletto sindaco di Lecce.
Tanto impegno istituzionale, non impedisce al versatile personaggio di coltivare
e trasmettere nel sociale le passioni giovanili: così, quando nel 1863-65 amministra
assieme a Salvatore Pontari e Cesare Massa l’orfanotrofio cittadino (già detto di S.
Ferdinando, ed ora opportunamente intitolato a Garibaldi) non solo incentiva l’attività
della fanfara dei giovanissimi “spiziotti, in modo da farla desiderare per tutta la
provincia”, ma progetta anche “di aprire una scuola d’istrumenti da corda” da affidare
al maestro Giacinto Palombella (l’improvvisa partenza di questi frustra un bisogno
molto sentito nel nostro paese). Indicativi di un inesausto engagement sono anche
la pubblicazione nel 1868 de l’Emira d’Otranto, Novella in quattro Canti, edita “a
prò della insurrezione Polacca”, nonché la composizione, dieci anni dopo, di parole
e musica di un Inno corale cattolico per Leone XIII, papa che non a caso si annunciava
come promotore di un nuova responsabilità sociale della Chiesa postunitaria.
Ma anche per lo specifico del teatro musicale Rossi continua ad esser corifeo di
forti passioni: a partire dal 1871 egli è autorevole componente della commissione
che sovraintende alle stagioni operistiche del rifondato teatro cittadino (ora intitolato
a Paisiello), né manca di scrivere articoli di critica musicale sui giornali locali, fra
i quali si segnala la «Nuova Riforma» (1873), ennesimo periodico politico-
amministrativo-economico-letterario fondato e diretto dal Rossi stesso. Vi si segnalano
le biografie dei maestri salentini Giovanni Paisiello e Leonardo Leo (quelle di Luigi
Leone e Giuseppe Lillo restano solo annunciate) e sopratutto un appassionato
intervento sulla querelle fra wagneristi e verdiani, all’indomani del “grande trionfo”
dell’ Aida al S. Carlo di Napoli e del “fiasco colossale” del Lohengrin alla Scala
di Milano, Lohengrin che, a detta del Rossi è rimasto giustamente “sepolto sotto
il peso mortale della noja e dello sbadiglio”, malgrado gli auspici degli “avveniristi”.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Risultando a tutt’oggi perduti tanto i libretti quanto le partiture operistiche del


Rossi, non resta che farsene un’opinione sommaria collazionando residui
componimenti drammatici in versi (Uberto, Emira), romanze per voce pianoforte
(cfr. ad es. La Sera, notturno per due voci e pianoforte, ancora una volta su versi
propri) e composizioni sacre (oltre all’Inno corale citato, numerose Litanie e
Tantum ergo per soli e orchestra, nonché un Lacrymosa forse parte residua del
253

Requiem in morte del patriota Pontari, ed una Messa di Gloria a grande – sic –
orchestra, tutte composizioni in uso della confraternita leccese dell’Addolorata in
Sant’Angelo). E può esser anche utile accostare tale corpus a certe appassionate
critiche musicali dell’autore, il quale, dimostrando di ben conoscere la storia
dell’opera italiana, francese e tedesca con relative querelles, resta poi assoluto
partigiano della “fecondità linguistico-melodica” nazionale, cui l’armonia “dee far
da complemento” (la stessa Aida è vista come una sorta di aggiornamento filo-
francese, che lascia tuttavia “invulnerate le italiane tradizioni della melodia”).
Dall’insieme risulta l’impressione di un dilettante di talento, di un “compositore”,
effettivamente, “autodidatta”, inteso a supplire con l’entusiasmo e l’ispirazione,
nonché con la prudente imitazione dei grandi autori italiani coevi, alla mancanza
di studi regolari. Forgiato al fuoco patriottico del Risorgimento meridionale e a suo
modo partecipe – per il voler esser tutt’insieme poeta, musicista e critico delle arti
– dell’ideale romantico dell’artista totale, Beniamino Rossi impersona dunque, con
suggestiva vivezza le ambizioni e, alla lunga, i rimpianti di un piccolo mondo antico
che, marginale e periferico in una Italia essa stessa senza più primati, non ignorava
ma di fatto non capiva e forse al limite temeva le tensioni estetiche di contesti ben
più ampi e “avveniristici”.

Bibliografia
BERNARDINI Nicola, Lecce nel 1848. Figure, documenti ed episodi della rivoluzione, Bortone, Lecce
1913.
–, Giornali e giornalisti leccesi, Lazzaretti e figli, Lecce 1886, pp. 28, 89-96, 148-49.
CASELLI Aldo, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Olschki, Firenze 1969, pp. 254-255.
COSI Luisa, Il progresso dell’incivilimento ovvero la banda della Guardia Urbana di Lecce (1835-
1860) nella tradizione bandistica di Terra d’Otranto, in «L’Idomeneo», I/1998, pp. 351-389.
DELLA NOCE Gaetano, Musica patriottica in Lecce, in «Rivista Storica Salentina», VI (1909), pp. 292,
300-308.
DE SIMONE Luigi Giuseppe, Lecce e i suoi monumenti descritti ed illustrati, Campanella, Lecce 1874,
pp. 75, 79-80.
LA SORSA Saverio, Gli avvenimenti del 1848 in Terra D’Otranto - Narrazione storico-critica, Dante
Alighieri, Milano 1911.
MANSI MONTENEGRO Beatrice, Il Teatro di S. Giusto a Lecce: città e cultura musicale tra Settecento
e Ottocento, in «Itinerari di ricerca storica», X (1996), pp. 195-196.
PALUMBO Pietro, Risorgimento Salentino, G. Marcello, Lecce 1911.
PANAREO Salvatore, Dalle carte di Polizia dell’Archivio provinciale di Lecce. IV. Lecce, in «Rinascenza
Salentina», V/4 (1937), pp. 135 e sgg.
RIZZO Gino, La cultura letteraria: identità e valori, in Storia di Lecce. Dagli Spagnoli all’Unità,
a cura di B. Pellegrino, Laterza, Bari 1996, pp. 818-820, 824-825.
SCARDIA Marcello, Un diario in carcere di Sigismondo Castromediano, in «Rinascenza Salentina»,
I/2 (1933), p. 158.
VACCA Nicola, Giornali e giornalisti salentini, tip. ed. Salentina, Lecce 1940, pp. 29-34, 47-48.

Opere drammatiche
1. Roberto Conte di Lecce, melodramma su libretto proprio, LE teatrino del Reale Collegio
retto dai Gesuiti 1837.
2. Iginia d’Asti, melodramma su libretto proprio, 1848 non rappresentato.
3. Caterina di Guisa, melordamma di Felice Romani, LE teatro di S. Giusto luglio 1861
\ LE teatro di S. Giusto 1863.
4. Bianca de’ Gaddi, melodramma su libretto proprio, LE teatro di S. Giusto 1862.
Luisa Cosi
254

GIACINTO SALLUSTIO
Molfetta (BA), 15 agosto 1879 - Roma, 29 ottobre 1938

Cronologia

1879-1912. Figlio di Giacomo e Rosa de Bari, Giacinto Sallustio inizia i suoi


studi a Molfetta frequentando il seminario e prendendo lezioni di musica da
Riccardo Rasori. Giovanissimo si trasferisce a Roma dove si iscrive al Liceo
Musicale «Santa Cecilia» per studiare canto gregoriano con Filippo Mattoni; nello
stesso tempo inizia a dedicarsi al pianoforte e alla composizione. Tra i primi lavori
ci sono soprattutto opere corali, fra cui l’inno Omaggio a Gesù Cristo Redentore
ed al suo augusto vicario Leone XIII, su testo di M. Rosa Lisson, Sorgi o Roma.
Inno alla patria, su versi di Adalgiso Raffo, e il mottetto O quam suavis est.
Mentre intraprende una brillante carriera di pianista e compositore, Sallustio si
interessa sempre di più alla didattica musicale, iniziando a dare lezioni private
molto frequentate, fino a creare una vera e propria personale scuola. Si dedica
inoltre agli studi musicologici, ai problemi dell’estetica e della critica musicale,
formandosi un solido bagaglio culturale che gli permetterà di affrontare varie
esperienze in ambito accademico e giornalistico. Nel 1899 compone l’oratorio
Gesù all’orto del Getsemani. Nel mese di agosto del 1905 muore il fratello
sedicenne Angelo, violinista, enfant prodige, già primo violino a 12 anni presso
il Costanzi di Roma. Nel 1907 scrive la sua prima opera lirica L’ultima rosa, su
libretto di Ugo Fleres. In questi anni Sallustio lavora anche come trascrittore di
musiche antiche, realizzando, ad esempio, la strumentazione per il madrigale
Inganni dell’umanità di Antonio Lotti eseguito con successo durante i Concerti
storici di S. Cecilia nel 1912.
1912-1930. La fama di buon insegnante di canto, pianoforte e composizione, lo
rende uno dei personaggi più in vista nel panorama culturale della Roma di quegli
anni. Le sue lezioni sono parte integrante del percorso formativo di compositori
quali Giacinto Scelsi e Renzo Rossellini, solo per ricordare i suoi allievi più illustri.
Lavora come critico musicale presso il «Giornale d’Italia» (dove firma i suoi
articoli con lo pseudonimo di Vice), «La propaganda musicale» e «Musica d’oggi»
della Ricordi, mentre verso la fine degli anni Venti è corrispondente musicale
dall’Italia per il «Piccolo» di São Paulo del Brasile. Buona parte della produzione
di questi anni è costituita da brani per pianoforte che mostrano una particolare
attenzione verso le nuove tendenze provenienti dalla musica da ballo e dal jazz.
Per l’editore Ricordi pubblica: Tre danze per pianoforte: Miroir des reves, valse
hesitation – Mascotte, fox-trot – Fatma, fox-trot (1921), Tango-hesitation per
pianoforte (1922), Frine, fox-trot per pianoforte (1922). Delle Tre danze viene
realizzata anche una versione per piccola orchestra da Vincenzo Billi. Compone
l’operetta Il pipistrello, su libretto di G. Procacci. I saggi di critica musicale più
rilevanti di Sallustio sono quelli scritti per il «Fanfulla», rivista storica della
255

comunità italiana di S. Carlo in Brasile, riguardanti La campana sommersa di


Ottorino Respighi e il Giuliano di Riccardo Zandonai, opera il cui soggetto fu
probabilmente suggerito dallo stesso Sallustio al suo autore.
1930-1938. La mancanza di studi non permette di affrontare il discorso sui
rapporti tra il compositore e il regime fascista. Certo è che nei primi anni Trenta
egli compone l’Inno a Benito Mussolini per canto e pianoforte, su versi del
librettista Emidio Mucci, pubblicato da Ricordi nel 1935 ed eseguito all’Augusteo
di Roma l’8 maggio 1936 sotto la direzione di Bernardino Molinari, grande amico
del compositore. Fra le centinaia di canti realizzati in omaggio al duce durante
il ventennio, l’inno di Sallustio risulta uno dei più apprezzati, accolto con favore
dal mondo politico e musicale tanto da essere subito sottoposto a una serie di
trascrizioni da parte di altri musicisti, tra cui, la più eseguita, quella per banda
di Luigi Cirenei, direttore del corpo musicale dei Carabinieri. Il 28 ottobre 1933
riceve a Bari il Premio di operosità in occasione dell’11° Annuale della marcia
su Roma. Scrive una Messa di requiem per sole voci e molte romanze per pianoforte
e voce, fra le quali sono pubblicate La solitude (1931), su testo di Franz Toussaint,
Il divino infante (1933), su versi di Jacopone Da Todi, Spleen (1933), su testo
di Paul Verlaine, e Fiorella (1935), con parole dello stesso Sallustio. Il legame
mai spezzato con la sua terra d’origine prende forma nelle Canzoncine alla Vergine
(ottobre 1936), brani scritti appositamente con una «Strumentazione speciale per
gli elementi, di cui si compone oggi la residuale Banda di Molfetta» (ottobre
1936), come riporta il manoscritto. Negli ultimi anni Sallustio compone due opere
di ampio respiro, l’oratorio Il Redentore in Galilea e il poema sinfonico Trasfi-
gurazione. Quest’ultimo, considerato il suo lavoro più maturo, viene eseguito la
prima volta nel febbraio 1937 sotto la direzione di Ferruccio Calusio, ottenendo
numerosi consensi. L’anno successivo Molinari riprende l’opera per eseguirla
durante il concerto inaugurale della prestigiosa stagione sinfonica all’Adriano, una
serata che diviene commemorativa per via della scomparsa del musicista avvenuta
pochi giorni prima. L’ultimo lavoro composto da Sallustio è Il canto della sposa
rapita per violoncello e piccola orchestra, eseguito in prima assoluta un mese dopo
la sua morte presso l’EIAR sotto la direzione di Zandonai e con il violoncellista
Mazzacurati. Nel 1943 la moglie del compositore dona alla biblioteca del con-
servatorio musicale «Niccolò Piccinni» di Bari alcuni lavori di Sallustio, in parte
manoscritti.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

All’interno della poliedrica carriera di Sallustio la produzione operistica comprende


solo pochi titoli, lavori rimasti inediti e quasi certamente mai portati in scena.
Esigue sono le notizie riguardanti i suoi esordi nell’ambito del teatro musicale,
iniziati con due lavori, l’oratorio Gesù all’orto del Getsemani e l’opera L’ultima
rosa, quest’ultima, su versi di Ugo Fleres ispirati a un soggetto orientale.
Probabilmente le due opere non sono mai state rappresentate, e ben presto Sallustio
abbandona il percorso intrapreso forse anche perché sempre più coinvolto in altre
attività musicali, come l’insegnamento, gli studi musicologi e la composizione nel
campo delle piccole forme musicali. Alcune cronache dell’epoca raccontano del
256

modo discreto con cui Sallustio tenta la sua carriera di operista, da un lato
consapevole delle difficoltà di accedere al mondo dell’opera per un giovane e
sconosciuto compositore, dall’altro insicuro e fortemente critico nei confronti delle
sue prime realizzazioni. Devono passare diversi anni prima che egli torni a comporre
per il teatro musicale, con altri due lavori rimasti isolati quanto quelli giovanili,
l’operetta Il pipistrello e l’oratorio Il Redentore in Galilea, accomunati
dall’incertezza sulla datazione e dalla stessa scarsità di informazioni a riguardo.
Il nome di Sallustio è legato soprattutto alla sua fama di didatta, capace di dar
vita a una sua scuola, basata sul tradizionale insegnamento musicale, ma anche
cautamente aperta ad accogliere il nuovo, come mostra il suo interesse nei confronti
di compositori quali Respighi e Zandonai. La stessa moderazione caratterizza la
sua scrittura che, sia nella grande sia nella piccola forma, si mostra sostanzialmente
legata alla tonalità classica, attenta alla prosodia del testo e all’eleganza della
melodia, indirizzata alla ricerca di un equilibrio e di una correttezza formale, in
generale elementi tipici del suo approccio artistico. La sua ricca produzione
musicale, la pluralità di interessi e di attività musicali, lasciano emergere la
necessità di ulteriori indagini che possano contribuire a collocare doverosamente
la figura dell’artista all’interno del panorama musicale del secolo scorso.

Bibliografia

(SCHMIDL, STIEGER)

DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale di oggi. Dizionario di musicisti, Ausonia, Roma 19222, p.
436.
FONTANA Aldo, Molfetta, raccolta di notizie storiche: galleria degli uomini illustri, Angelo Alfonso
Mezzina, Molfetta 1965, p. 141.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi, Giovanni Raeli, Tricase 1925, p. 21.
LA SORSA Saverio, Storia di Puglia, IV, Levante, Bari, p. 202.

Opere drammatiche e oratorii

1. L’ultima rosa, melodramma in tre atti di Ugo Fleres, non rappresentato.


2. Gesù all’orto del Getsemani, oratorio n.n., non rappresentato.
3. Il pipistrello, operetta di Procacci, non rappresentata.
4. Il Redentore in Galilea, oratorio n.n., non rappresentato.

Beatrice Birardi
257

ORONZO MARIA SCARANO


Mottola (TA), 1 giugno 1847 - Napoli, 28 dicembre 1901

Cronologia

Il suo secondo nome è Mario. Figlio di un falegname, mostra sin da subito una
spiccata propensione per l’arte musicale tanto che il padre lo fa studiare contrap-
punto e composizione a Napoli con Giorgio Miceli, dove diviene presto trombet-
tista della Guardia Nazionale. Esordisce come compositore a ventidue anni con
una Messa e un Quartetto per archi. Inizia la sua carriera teatrale nel 1872 con
l’opera, La forza del denaro, su libretto di Angelo De Sanctis, rappresentata al
Teatro Nuovo di Napoli il 22 febbraio. A detta di alcuni, nello stesso giorno si
rappresentò anche un’opera del suo maestro Miceli, che ottenne però un successo
di gran lunga minore. Miceli, per “vendicarsi” di questo affronto, fece passare
Scarano per uno iettatore. La carriera proseguì, con opere come Il tartufo, Lo
starnuto di Giove, Trappola d’amore e soprattutto La tazza da the (Torino, Circolo
degli Artisti, 3 dicembre 1888), opera giocosa ambientata all’epoca della dinastia
dei Ming, che gli valse il primo premio del concorso nazionale del Comune di
Torino per musicare il libretto di Ugo Fleres. Perfino Giuseppe Verdi lo elogiò.
Costretto a rompere un contratto con l’editore Ricordi, che non si decideva a far
rappresentare l’opera Marion Delorme, Scarano vide la propria carriera volgere
verso il declino, nonostante il buon incontro di opere come Caporal Mimì (1894)
e il melodramma Renata o La tradita, col quale vinse poco prima di morire un
premio a Berlino. Nel 1892, partecipò, anche, al concorso bandito dal Regio
Istituto Musicale di Firenze con un Trio per violino, violoncello e pianoforte.
Compose, inoltre, diversa musica vocale da camera e dei pregevolissimi lavori
sinfonici. Trascorse buona parte della sua vita nel capoluogo partenopeo come
compositore e insegnante di pianoforte.
La fortuna di Oronzo Mario Scarano, al di là della malevola fama addossatagli
dal suo maestro, non fu duratura: dopo i primi successi (La forza del denaro, Lo
starnuto di Giove, La tazza da the) non riuscì più, per svariate vicende, a proporre
in patria una sua opera. Tra l’altro, il recente ritrovamento di una lettera di Miceli
inviata il 13 dicembre 1870, all’allora bibliotecario del Conservatorio di Napoli
Francesco Florimo, dimostra quali e quante difficoltà doveva affrontare un giovane
compositore dell’epoca che voleva far rappresentare i propri lavori, riferendosi
proprio alla Forza del denaro del giovane Scarano.
La “riscoperta” postuma di Scarano è avvenuta soltanto nel 1983 grazie all’in-
teresse dell’allora vice Presidente della Provincia di Taranto Gianvito Caldararo.
Nell’ambito delle manifestazioni musicali dell’estate 1983 furono organizzati due
concerti dall’Orchestra Sinfonica di Taranto e dal Coro dei Cantori della Con-
cattedrale di Taranto, diretti dal maestro Riccardo Saracino, con brani tratti
dall’opera Mater, dal Nino e Ninetta e dall’Ave Maria. In occasione dei concerti
258

del 1983 l’Amministrazione Provinciale fece pubblicare un pregevole libretto-


guida con testi di Piermario Pedone e Dino Foresio, contenente cenni critici e
biografici su Scarano.

Bibliografia

(DEUMM, SCHMIDL, STIEGER)

AMBÌVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998, p. 142.
CAROCCIA Antonio, “I canti soavi”: il carteggio Miceli-Florimo (1870-1886), in Giorgio Miceli
e la musica nel Mezzogiorno d’Italia nell’Ottocento, a cura di Maria Paola Borsetta e Annunziato
Pugliese, Vibo Valentia, Ibimus Calabria (in corso di stampa).
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal III secolo a.C. ai giorni nostri, con
schedario biografico degli artisti, cantanti e musicisti piu noti, Schena, Fasano 1985.
DASSORI Carlo, Opere e operisti. Dizionario lirico universale (1541-1902), Tip. editrice R. I.
Sordomuti, Genova 1903.
DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale d’oggi: dizionario dei musicisti, Ausonia, Roma 19283.
DELLA NOCE Gaetano, Musicisti salentini: Oronzio Mario Scarano, Martello, Lecce 1913.
FLORIMO Francesco, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Morano, Napoli 1880-82,
vol. IV, (1882), pp. 226-227, 230-231.
«Gazzetta musicale di Milano», LVII (1902), p. 11.
MANFERRARI Umberto, Dizionario universale delle opere melodrammatiche, Sansoni, Firenze 1955.
MASUTTO Giovanni, I maestri di musica italiani del secolo XIX. Notizie biografiche raccolte dal
professore Giovanni Masutto, Stab. Tip. di Gio. Cecchini, Venezia 18823, p. 178.
«Rivista teatrale italiana», II, vol. III, 1902, pp. 45-46.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Società di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano: 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, pp. 435-436.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 271-272.
«Il Teatro Illustrato», VIII, n. 96, dicembre 1888, p. 192.
Tendenze della musica teatrale italiana all’inizio del Novecento. Atti del 4. Convegno internazio-
nale Ruggero Leoncavallo nel suo tempo (Locarno, Biblioteca cantonale, 23-24 maggio 1998)
a cura di Lorenza Guiot e Jurgen Maehder, Casa musicale Sonzogno, Milano 2005, p. 88.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Vecchi, Trani 1904.

Opere drammatiche

1. La forza del denaro, opera comica di Angelo De Sanctis, NA Nuovo 22 febbraio 1872.
2. Griselda o La marchesa di Saluzzo, opera semiseria in tre atti di Enrico Golisciani,
NA Nuovo 6 gennaio 1878.
3. Lui..? Lei..? opera di Tullio Clare, NA Società del Quartetto Popolare maggio 1886
(libretto in I-Nc, I-Nn, I-Vgc).
4. Trappole d’amore, opera semiseria in tre atti di A. Riccionisi, NA Nuovo 21 maggio
1887 (libretto in I-Fn).
5. La tazza da the, opera giocosa in due atti di Ugo Fleres, TO Circolo degli Artisti 3
dicembre 1888 (libretto in I-Nc, I-Vgc).
6. Non toccate la regina, opera in tre atti di Almerindo Spadetta da Scribe, Parigi Opéra-
Comique 16 gennaio 1889 \ MI Manzoni 30 agosto 1890 (libretto in I-Vgc).
7. Bì bà bù, opera di Almerindo Spadetta, in collaborazione con De Nardis, NA Nuovo
marzo 1881.
259

8. Caporal Mimì, opera in un atto di A. Riccionisi, 1891 ma non rappresentata (libretto


in I-Vgc; partitura in I-Mr*; spartito in I-COc, I-Nn).
9. Aliza, opera n.n., 1890, non rappresentata.
10. Dilara, opera n.n., 1890, non rappresentata.
11. Il tartufo, opera di Antonio Menotti Buja da Molière, 1891, non rappresentata.
12. Mater, opera n.n., 1891, non rappresentata.
13. Renata o La tradita, opera di Antonio Menotti Buja, Berlino Theater des Westens,
gennaio 1901.
14. Lo starnuto di Giove, operetta n.n., s.d., non rappresentata.
15. La metropolitana, operetta n.n., s.d., non rappresentata.
Antonio Caroccia
260

NICOLA SCARDICCHIO
Bari, 17 luglio 1954

Cronologia

Nato da famiglia borghese, si diploma in musica corale e direzione di coro,


composizione e direzione d’orchestra al Conservatorio «Niccolò Piccinni» di Bari
e si laurea in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Bari con una tesi
su Gustav Mahler. Allievo, per la composizione, di Armando Renzi, Francesco
D’Avalos, Raffaele Gervasio e Ferdinando Sarno, all’età di quattordici anni incontra
Nino Rota, dal 1950 Direttore del conservatorio barese, che presto diventa per lui
figura di riferimento sotto il profilo musicale, artistico e umano con la quale
intraprende presto i primi esperimenti compositivi in un rapporto di vero e proprio
discepolato. L’assidua frequentazione del grande musicista gli offre anche
l’opportunità di conoscere, nel 1970, Igor Stravinskij, dal quale prende lezioni di
composizione a Venezia, il musicologo Fedele D’Amico e Leonard Bernstein, con
cui ha modo di maturare e condividere l’interesse per gli aspetti filosofici del
lavoro di musicista, e, nel corso degli anni successivi, alcune tra le figure di
maggior spicco nel panorama culturale e artistico degli anni Settanta: da Mario
Castelnuovo-Tedesco a Bruno Maderna, da Arturo Benedetti Michelangeli a Giorgio
De Chirico, da Maria Callas a Renata Tebaldi, da Luchino Visconti a Federico
Fellini, da Suso Cecchi D’Amico a Laura Betti, da Vinci Verginelli a Pier Paolo
Pasolini. Fondamentale per la sua formazione anche lo studio della direzione
d’orchestra con Fernando Previtali e Franco Ferrara.
Inizia nel 1978 al Conservatorio «Umberto Giordano» di Foggia l’attività
didattica, che dal 1983 prosegue al Conservatorio di Bari, dove tuttora insegna
Storia della musica ed estetica musicale. Tra il 1993 e il 1997 è tutor in Italia
per il Dipartimento di Musica del Massachusetts Institute of Technology.
Musicista e musicologo in senso molto ampio, è membro del comitato scientifico
dell’Archivio Nino Rota custodito presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia,
consulente per molte incisioni discografiche e curatore dell’edizione critica di
lavori rotiani. Sua la strumentazione di Il principe porcaro, opera giovanile di
Nino Rota della quale è giunto a noi il solo spartito per canto e pianoforte, con
la quale il lavoro è andato in scena per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia
nel 2003.
È autore di un ampio catalogo, in gran parte inedito, di composizioni sinfoniche
e cameristiche, molte delle quali sviluppano un forte interesse per la possibilità
della musica di riferirsi, in forme e con modalità diverse, a un testo letterario così
come a un contesto narrativo o simbolico. È il caso, ad esempio, della musiche
di scena per Zeza di Lamberto Lambertini (Parigi, Festival d’Automne, 1984) e
per Assunta Spina di Salvatore Di Giacomo (Napoli, Teatro Cilea, 1988), di
Filumena Marturano, balletto composto per Carla Fracci sull’omonimo dramma
261

di Eduardo De Filippo (Cagliari, Teatro Lirico, 1995), di Mosè, cantata per basso
e orchestra (Lecce, Politeama, 2005), di Platon. Una lettura dal Symposion, per
voce recitante, piccolo coro misto, flauto, arpa e percussioni (Napoli, Cappella
della Pietà dei Turchini, 2006), di Alla Musa, cantata per voce sola e orchestra
da camera su testo di Ugo Foscolo (Nizza, Orchestra Filarmonica, 2007).

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Sugli aspetti estetici e linguistici del rapporto di Nicola Scardicchio con il teatro,
riportiamo qui le parole dello stesso musicista.
«Fin da giovanissimo accanto alla musica autonoma ho sempre amato la musica
legata a teatro, cinema, danza, narrazione e tutto quanto riguardi il rapporto tra
musica e parola, detta o rappresentata. Un po’ per tradizione familiare – i miei
genitori provengono da famiglie della piccolissima borghesia molto amanti del
melodramma – fin da ragazzino ho frequentato il teatro d’opera e subito ho amato
il balletto. Naturalmente a questi amori si è aggiunto quello per il cinema, che
mi pare essere oggi la forma che ha preso il posto che fu del melodramma quale
forma di spettacolo globale di impatto popolare. Oltretutto in famiglia avevo mia
madre dotata di una bellissima voce di soprano, sulla quale aveva rinunciato ad
investire per metter su famiglia. Quando conobbi Nino Rota ne ascoltai I due
timidi, seguendo la produzione dell’opera presso il Petruzzelli ai primi degli anni
’70: mi accorsi che ancor oggi c’è spazio – uno spazio diverso da quello ottocentesco
– per la composizione di melodrammi e presto cominciai a pensare a comporne
anch’io. Ma nel frattempo già componevo musiche di scena per ogni sorta di
spettacolo teatrale: per una Medea di Euripide, mai rappresentata per mancanza
di mezzi, scrissi tanta musica dopo attenti studi sulla musica greca antica. E da
allora non ho smesso di pensare ad affiancarmi con la mia musica a cose di teatro
quale che sia. Verso la metà degli anni Settanta cominciai a pensare ad una vera
e propria opera su mio libretto tratto dal Dracula di Bram Stocker e in un
quinquennio completai il lavoro. Accanto ad una giovanile ricerca linguistica già
da allora emergeva la naturale inclinazione per il canto: senza ricorrere a pezzi
chiusi ogni personaggio ha la sua vocalità, i suoi momenti solistici (che sono vere
e proprie romanze) senza per questo interrompere la continuità teatrale. Il mio
modello è stato senza dubbio il Boris Godunov di Mussorgskji, così come non poca
influenza ebbero su di me la scrittura vocale dello Janacek dell’Affare Makropoulos
o certe interessanti formulazioni del Samuel Barber di Anthony and Cleopatra
o del Menotti di The Medium o ancora la pubblicazione, avvenuta in quel periodo,
di Mass di Leonard Bernstein, che m’indusse anche ad approfondire certi sintagmi
armonici e di scrittura. Insomma cercai la mia voce nel confronto con quelli che
mi parevano modelli melodrammatici a cui mi sentivo affine. Non a caso tra quei
modelli manca Igor Stravinskji, che pure è per me il massimo rappresentante della
musica del Novecento: musicista che amo senza riserve, ma che è diverso da quello
che cercavo nella mia epopea vampiresca.
Nel 1987 misi mano ad una cantata scenica basata sul capolavoro di Apuleio
Le metamorfosi. In ciò stimolato dal fraterno amico Momcilo Borojevic, grande
maestro di danza classica formatosi presso il Bolshoi di Mosca e coreografo
262

valentissimo, trassi un libretto su cui composi un’opera per voci recitanti, soprano,
baritono, basso, coro e due pianoforti che ebbe una prestigiosa rappresentazione
presso il Teatro Petruzzelli nello stesso anno, con due interpreti d’eccezione come
Salvatore Capozzi e Margherita Parrilla nel ruolo di Amore e Psiche, per la regia
dello stesso Borojevic. In questo caso ancora una volta ho cercato di comporre una
partitura che avesse una reale funzionalità teatrale ed insieme una chiara connotazione
melodica riproponendo, con libera invenzione, moduli melodici stilizzati per creare
le atmosfere arcaiche e misteriche connotanti la favola di Apuleio. Nel madrigale
rappresentativo sulla favola di Amore e Psiche ho riproposto la formula monteverdiana
dei ritornelli strumentali alternati alle strofe cantate e nel corteo di Iside della scena
finale una passacaglia accompagna l’incedere della processione misterica. In questo
atteggiamento apertamente neoclassico nelle citazioni di forme e stilemi antichi
non posso non rendere grazie agli esempi illustri di Carl Orff e dello Stravinskji
di Oedipus Rex, Perséphone o Apollon Musagète, opere di stile e scrittura del
tutto diversi da quanto andavo io componendo, ma che segnano una precisa
indicazione del rivivere il passato con occhi moderni. In questo lavoro, d’altro
canto, ho recuperato e rielaborato materiali musicali di un’opera tratta dal Satyricon
di Petronio, composta quasi per intero nel 1972, progetto abbandonato quando
seppi che Bruno Maderna aveva a sua volta lavorato allo stesso soggetto. Va da
sé che in quel mio Satyricon lo sguardo curioso e tutto inedito del capolavoro
felliniano aveva lasciato tracce evidenti.
Una ricerca intorno alle possibilità di affiancamento della musica alla parola,
nell’intento di “rappresentare”, narrare, rendere visibile l’azione attraverso la scrittura
musicale, vissuta anche attraverso brani con voce recitante così come nei miei lavori
per la danza, primo fra tutti Filumena Marturano, balletto tratto dalla celebre
commedia di Eduardo De Filippo composto per Carla Fracci con libretto di Beppe
Menegatti su temi di Nino Rota tratti dalle musiche composte per il film di Eduardo».

Bibliografia
La bibliografia su Nicola Scardicchio consiste esclusivamente di recensioni critiche. Si dà qui notizia
solo di quelle relative alla cantata scenica Asinus aureus.
C. S., L’Italia a Saarbrücken, in «Corriere d’Italia», 5 novembre 1994.
SBISÀ Nicola, Nuove speranze della danza con una partenza alla grande, in «La Gazzetta del
Mezzogiorno», 6 giugno 1987.

Risorse on line

Sul sito del giornale «Cannibali» sono presenti numerosi links con interviste a Nicola
Scardicchio. Si rimanda inoltre alla voce Nicola Scardicchio su Wikipedia.

Opere drammatiche
1. Dracula, opera su libretto proprio, 1978 (revisionata nel 2003).
2. Due carillons, musiche di scena per I ciechi di Maurice Maeterlinck, regia di Corrado
Veneziano, BA Centro Culturale «Re Artù», 21 luglio 1980.
3. Zeza, musiche di scena per lo spettacolo di Lamberto Lambertini, Paris Theatre de Paris
24 ottobre 1984.
263

4. Asinus Aureus, frammenti da Apuleio, cantata scenica su libretto proprio per soprano,
baritono, basso, coro, voci recitanti e due pianoforti, BA Petruzzelli 4 giugno 1987
\ BA Monastero di Santa Scolastica al Porto 14-16 maggio 1991; Saarbrücken
Schloâkirche 6 novembre 1994.
5. Assunta Spina, musiche di scena per il dramma di Salvatore Di Giacomo, regia di
Lorenzo Salveti NA Teatro Cilea dicembre 1987.
6. Filumena Marturano, musiche per la coreografia su temi di Nino Rota, regia di Beppe
Menegatti CA Teatro Lirico 18 aprile 1995.
7. Medea, musiche di scena per la tragedia di Lucio Anneo Seneca, regia di Nicola
Valenzano BA 2005.
8. Fedra, musiche di scena per la tragedia di Jean-Baptiste Racine, coreografia e regia
di Domenico Iannone, BA 2006.
9. Suite pour danseurs, musiche per la coreografia di Momcilo Borojevic, 2006.
10. Salomè, musiche di scena per la tragedia omonima di Oscar Wilde, regia di Nicola
Valenzano, Amman Al-Hussein Cultural Center Theatre 14 febbraio 2009.

Angela Annese
264

TITO SCHIPA
Lecce, 2 gennaio 1889 - New York, 16 dicembre 1965

Cronologia

27 dicembre 1888. Raffaele Attilio Amedeo Schipa nasce a Lecce, da Luigi e


Isabella Vallone. La registrazione anagrafica avviene il 2 gennaio 1889, allo scopo
di rimandare di un anno la leva militare.
1902-1911. Il talento canoro di Tito viene notato da Giovanni Albani, insegnante
di canto corale nelle scuole elementari che lo segnala all’appena insediato Monsignor
Gennaro Trama, napoletano, divenuto in quell’anno vescovo di Lecce. Questi
prende sotto la sua protezione il giovane e gli garantisce la prosecuzione degli
studi, anche di composizione, con l’entrata in seminario. Inizia a studiare con
Alceste Gerunda, noto maestro cittadino di canto, che lo sprona a recarsi a Milano,
per completare la sua preparazione con Emilio Piccoli. Il 4 febbraio 1909 debutta
a Vercelli in Traviata. Prosegue con numerose esibizioni in vari teatri di provincia.
Il 3 agosto 1911 interpreta per la prima volta il ruolo di Werther nell’omonima
opera di Massenet, al Teatro Quirino di Roma.
1912-13. Comincia a calcare i più prestigiosi palcoscenici italiani: Roma (Don
Pasquale, Teatro Costanzi), Napoli (Falstaff e Madama Butterfly, Teatro San
Carlo) e Milano (Tosca, Teatro Dal Verme).
1915-16. Incontra Arturo Toscanini, interpretando Traviata al Teatro Dal Verme.
Debutta alla Scala (Il principe Igor, Manon).
1917. Si moltiplicano le scritture anche in Europa e Oltreoceano (Buenos Aires).
A Montecarlo, il 27 marzo di quell’anno, si esibisce nella première della nuova
opera di Puccini, La Rondine.
1919. Schipa diventa un artista estremamente quotato. Sbarca negli Stati Uniti:
a Chicago (dove rimarrà per 15 anni) come a New York (Metropolitan), frequenta
soprattutto il repertorio belcantistico e lirico-leggero, imponendosi come uno dei
cantanti più affermati e apprezzati.
1920-1928. Sposa l’attrice Antoinette Michelle D’Ogoy, dalla quale avrà due
figlie (Elena e Liana) e dalla quale divorzierà nel 1947. In questi anni coltiva anche
il repertorio della canzone spagnola e napoletana e si presta al cinema – da poco
diventato sonoro – con numerose interpretazioni (le più celebri Tre uomini in frac,
Vivere!, Torna piccina mia).
1929. Viene messa in scena al Teatro Adriano a Roma La principessa Liana,
operetta su libretto di Santoro e Neri, dedicata alla secondogenita Liana.
265

1933-1943. Si inaugura a Lecce il Liceo Musicale, costruito su suolo del Comune


con il contributo di Schipa. Nel 1938, con il pareggiamento alle scuole statali,
verrà intestato al tenore. In questi anni Schipa riallaccia i legami con l’Italia grazie
alla nuova relazione con l’attrice Caterina Boratto. L’amicizia con Achille Starace,
anch’egli salentino, e l’inserimento stabile nell’organizzazione della vita musicale
durante il Fascismo, costituiranno un elemento di iniziale isolamento nell’immediato
Secondo Dopoguerra.
1944-1965. Conosce e sposa l’attrice Teresa Jolanda Borgna, in arte Diana
Prandi, dalla quale avrà Tito Schipa Jr. (1946). Lungo gli anni ’50 continua la
sua carriera con concerti in tutto il mondo. Nel 1954 si congeda definitivamente
dai palcoscenici della sua città natale (Lucia di Lammermoor) nella quale era
spesso ritornato per esibirsi in alcuni recital. Nel 1956 viene invitato a tenere un
corso di perfezionamento presso il conservatorio di Budapest. Negli anni ’60 torna
negli Stati Uniti e a New York nasce la sua scuola di canto. Muore il 16 dicembre
1965. Il 3 gennaio 1966 vengono celebrati solenni funerali cittadini a Lecce.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Talento dal profilo versatile e multiforme, Tito Schipa si cimenta frequentemente


con la composizione: si dedica, con esiti sempre favorevoli, al repertorio leggero,
scrivendo numerose canzoni insieme a brani di musica sacra. Spesso interpreta e
dirige i suoi pezzi, sia per le esecuzioni dal vivo sia quando vengono trasmessi
radiofonicamente o registrati per incisioni discografiche. La principessa Liana
costituisce il suo primo e unico approccio con l’operetta: la travagliata genesi di
questo lavoro sembra aver preso le mosse addirittura dodici anni prima rispetto
alla rappresentazione del 1929 al Teatro Adriano di Roma. Scrive il «Corriere
Meridionale», citando il «Corriere della Sera» «Nel 1917 […] il librettista Giu-
seppe Adami si trovava a Montecarlo dove a quel teatro internazionale si dava
la prima esecuzione della Rondine di Puccini. L’Adami conobbe uno degli inter-
preti della nuova opera, il tenore Tito Schipa. Costui gli disse un giorno: “Perché
non facciamo un’operetta insieme? Lei fa il libretto e io la musica”. […] L’anno
scorso l’artista capitò a Milano in vacanza e tornò alla carica con l’Adami
suggerendogli senz’altro l’argomento. All’opposto di ciò che di solito si usa, egli
propose di ridurre ad operetta un noto film dello stesso Adami: Mimì e gli
straccioni. Adami infatti ne ricavò tre atti d’ambiente americano e di sapore e
di gusto americani […] L’operetta, ridotta anche nel titolo togliendone gli strac-
cioni e lasciando solo Mimì, è ormai compiuta, tradotta in inglese, musicata e Tito
Schipa la farà presto rappresentare negli Stati Uniti, incominciando probabilmente
da Chicago». Ancora nel luglio del 1922 il tenore, in villeggiatura a Rocca di
Papa, attendeva alla composizione delle ultime scene dell’operetta. In realtà, Tito
Schipa jr, nella biografia dedicata al padre, rimette in ordine i tasselli di questa
intricata vicenda. Mimì non vide mai la luce: piuttosto si trasformò gradatamente
dopo aver attinto agli stilemi del jazz, con largo anticipo quindi rispetto al Porgy
and Bess di George Gershwin. Cambia il librettista (Alcide Santoro – non a caso,
leccese – coautore, Ennio Neri) che evidentemente fornisce un testo più consono
alle aspettative musicali e drammaturgiche del compositore, nonostante il libretto
266

non racconti altro che la storia piuttosto banale, immaginata in un contesto circense,
di un riconoscimento, con immancabile lieto fine. La musica, anche nelle arie
staccate che sono conservate, sembra essere decisamente migliore, visto il successo
di pubblico che l’operetta ottenne. Le rappresentazioni furono numerose: la già
citata prima messa in scena fu preceduta da una esibizione in forma di concerto
data a New York, il 30 aprile dello stesso anno, presso il Loreto Auditorium. Altre
repliche, sotto la direzione dello stesso Schipa, si ebbero nel 1935 a Milano (Teatro
Lirico) e a Lecce (Teatro Politeama Greco), a Torino (Teatro Vittorio Emanuele)
nel 1936. Nuovamente nel ’35 l’opera fu eseguita a Roma negli studi dell’EIAR.

Bibliografia

(DBI, DEUMM, ES, MGG, NG2001, NGO, PIPER, SCHMIDL)


BLAIR Donald S., Great opera singers of the twentieth century, 1927-1990, Edward Mellen Press,
Lewiston 1991.
CARLUCCIO Gianni, Tito Schipa un leccese nel mondo, Manni, Lecce 2009.
CASADIO Gianfranco, Opera e cinema: la musica lirica nel cinema italiano dall’avvento del sonoro,
Longo, Ravenna 1995.
CELLETTI Rodolfo, Le grandi voci, dizionario critico-biografico dei cantanti con discografia
operistica, Roma 1964.
D’ANDREA Renzo, Tito Schipa nella vita, nell’arte, nel suo tempo, Schena, Fasano 1980.
MONALDI Gino, Cantanti celebri (1829-1929), Tiber, Roma 1929.
LAURI-VOLPI Giacomo, Voci parallele, Garzanti, Milano 1955.
OPPICELLI Ernesto G., L’operetta da Hervé al musical, Sagep, Milano 1985.
SCHIPA Tito, Tito Schipa si confessa, Pubblimusica, Roma 1961.
SCHIPA Tito jr., Tito Schipa, Loggia dei Lanzi, Firenze 1994, poi ristampato da Argo, Lecce 20042.
STEAN John B., Singers of the century, II, Duckworth, London 1996.

Risorse online

Il sito ufficiale www.titoschipa.it contiene numerose fonti sul celebre tenore ed è ricco di
utili links.

Opere drammatiche

1. La Principessa Liana, operetta in tre atti di Alcide Santoro e di Ennio Neri, New York
Loreto Auditorium 30 aprile 1929 (libretto e arie in I-LEcon) \ Roma Teatro Adriano
22 giugno 1929; MI Teatro Lirico 1935; LE Teatro Politeama Greco 1935; Roma studi
EIAR 1935; TO Teatro Vittorio Emanuele 1936.

Sarah Iacono
267

ALFREDO LUIS (LUIGI) SCHIUMA


Spinazzola (BA), 1 luglio 1885 - Buenos Aires, 23 luglio 1963

Cronologia

Alfredo Luis (Luigi) Schiuma nasce a Spinazzola il 1° luglio 1885 da Raffaele


e Rosa Iula, che con la famiglia si stabiliscono a Buenos Aires nel 1889. La sua
è già una famiglia di musicisti, destinata a crescere ed espandersi con le generazioni
a venire. Violinista come i suoi fratelli Vincenzo e Daniele, Raffaele Schiuma,
simpatizzante garibaldino, è autore di brani da salotto e ballabili, ma anche di
marce per banda come quella composta per l’inaugurazione dell’Acquedotto del
Serino, che gli vale le felicitazioni personali del re Umberto I, e quella scritta per
la Società Generale di Roma intitolata Un saluto alle Società Operaie Italiane.
Insieme ad Alfredo, anche gli altri figli di Raffaele vivranno di musica: José sarà
pianista e direttore d’orchestra, Oreste musicologo, Eduardo violinista, Alberto
violoncellista, Blanca insegnante.
All’età di cinque anni Alfredo viene avviato dal padre allo studio del violino;
acquisiti la cittadinanza argentina e, nel 1906, il diploma di violino con David
Bolia, entra subito a far parte dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Buenos Aires,
in questi anni guidata da Arturo Toscanini, e poi, come primo violino, di quella
del Teatro Colon. L’attività di orchestrale viene presto interrotta per una carriera
prestigiosa, ma Schiuma non abbandonerà mai lo strumento: già il 14 ottobre 1912
si esibisce – accanto al fratello Alfredo, violoncellista – al teatro Odeon di Buenos
Aires, come primo violino di un quartetto che si esibirà in molte città argentine,
e il 10 marzo 1931 fonderà l’Associazione Argentina di Musica da camera e
dell’orchestra da camera La Peña.
Intrapresi nel 1906 gli studi di composizione, si diploma con Luis Romaniello
nel 1912, ma intanto ha già avviato una promettente carriera di direttore d’orche-
stra che lo porterà nei teatri più prestigiosi d’Argentina. Anche in veste di direttore,
il suo contributo di organizzatore della vita musicale argentina non sarà di poco
conto: nel 1943 fonda il Coro Municipale di San Martín, che dirigerà per vent’an-
ni; tra il 1944 e il 1946 è direttore stabile dell’orchestra del Teatro Argentino di
La Plata; il 1 aprile 1949 viene nominato direttore generale “ad honorem” dei
Teatri e dei Corpi artistici della città di Cordoba; soprattutto compirà una note-
volissima opera di diffusione della conoscenza della musica latino-americana,
dirigendo compositori del passato e contemporanei, in molti casi suoi amici per-
sonali.
Dopo le prime pagine per pianoforte e il poema sinfonico La fuente ispirato
a La vergine delle rocce di Gabriele D’Annunzio, tutti composti nel 1908, il 14
ottobre 1910 nel salone La Argentina di Buenos Aires esordisce come direttore
e come compositore con la Fantasia sinfonica in do minore e la Suite in quattro
parti per orchestra, con un buon successo di pubblico ma scarso apprezzamento
268

da parte della critica, che non riserva un’accoglienza favorevole neppure ai lavori
immediatamente successivi: il Quartetto in re minore (1912), l’opera lirica Bian-
cofiore (1913) e il Sestetto per archi in mi bemolle maggiore (1917). Solo nel
1917, con l’opera Amy Robsart, e poi nel 1920, con il poema sinfonico La pampa
e l’opera La sirocchia, critici e musicologi cominciano a riservare un’attenzione
positiva a Schiuma, che ora orienta la sua ricerca verso argomenti ed elementi
linguistici più vicini alla storia e alla cultura latino-americana. Nel 1923, final-
mente avviene la sua consacrazione con l’opera lirica Tabaré, che in quell’anno
vince il Premio Municipal de Óperas e, rappresentata per la prima volta al Teatro
Colón il 6 agosto 1925 con la direzione di Tullio Serafin, verrà ripresa in molte
stagioni successive a Buenos Aires e nei maggiori teatri d’Argentina. Accanto
all’intensa attività di direttore d’orchestra prosegue negli anni il lavoro di com-
positore, sempre legato al teatro. Nascono così il balletto La infanta (1937), l’opera
Las Vírgenes del Sol (1938), vincitrice del Premio della Comisión Nacional de
Cultura, e il racconto lirico in tre atti El manto mágico: Piel de asno (1947-49),
che non verrà mai rappresentato.
Fondatore a Buenos Aires del «Conservatorio Schiuma» che vede a poco a poco
impegnarsi nell’attività didattica tutti i numerosi musicisti della sua famiglia,
Alfredo Schiuma muore a Buenos Aires il 23 luglio 1963.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La presenza musicale europea, che ancora nei primi decenni del Novecento
monopolizza sotto ogni aspetto la vita musicale argentina, esercita tutta la sua
influenza sulla formazione stilistica ed estetica del giovane Schiuma. Particolarmente
presente e amata, anche tra i tantissimi immigrati appena giunti in cerca di fortuna,
è l’opera italiana: direttori europei e, soprattutto, tutti i più grandi cantanti lirici
italiani, sono ogni anno ospiti dei teatri di Buenos Aires nei titoli più rappresentativi
del repertorio ottocentesco ma anche nelle novità di sicuro successo, da Montemezzi
a Zandonai, da Franchetti a Puccini. È dunque quasi naturale che il giovane
Schiuma guardi a quell’opera italiana come a un sicuro riferimento per le sue prime
prove di teatro musicale, attirando su di sé molte critiche – soprattutto da parte
dei più eminenti membri dell’Associazione Wagneriana argentina – proprio per
la sua adesione incondizionata a un modello, quello della successione di lunghi
recitativi e pezzi chiusi, che si ritiene ormai superato. È una scelta cui si informano
le opere Biancofiore, La sirocchia – che già nel titolo, un’antica parola italiana
per “sorella” di ascendenze dantesche, rende ben chiari stile e ambientazione –
e Amy Robsart, ispirata come moltissimo teatro lirico ottocentesco, a un romanzo
storico di Walter Scott, cui viene rimproverata una veste musicale fin troppo
sontuosa e comunque inefficace nella ricostruzione dell’Inghilterra elisabettiana,
a partire dall’assenza di chiari riferimenti alla musica inglese di quel periodo.
D’altra parte, alla cultura letteraria e musicale europea sono legate anche due tra
le ultime creazioni per il teatro: il racconto lirico El manto mágico: Piel de asno,
dalla fiaba popolare francese riscritta da Charles Perrault, e il balletto La infanta,
ispirato al racconto di Oscar Wilde Il compleanno dell’infanta già soggetto
dell’opera di Zemlinsky Der Zwerg e di una omonima pantomima di Franz Schrecker,
269

nel quale l’ambientazione ispanica resa dalla musica con spontanea efficacia
rientra comunque in un impianto linguistico e formale nel solco della tradizione.
Tra la metà degli anni Venti e la fine dei Trenta Schiuma sviluppa un interesse
sempre più marcato per la cultura e la storia musicale dell’America Latina e
dell’Argentina in particolare, con un’attenzione orientata sia verso il folklore indio
delle origini sia verso quello ispanico dei conquistatori, cui attinge ampiamente
nella composizione di Tabaré, la sua opera più importante e rappresentata, per
mettere in scena la disperata lotta per la sopravvivenza dei Charrúa, tribù indigena
che abitava la zona oggi compresa Brasile meridionale, Uruguay e Argentina
settentrionale. Una ricerca che si arricchisce di nuova profondità nella successiva
Las Vírgenes del Sol, opera di ampia concezione molto amata da Héctor Villa-
Lobos in cui una sapiente mescolanza di generi e stili musicali racconta la fine
della cultura inca e la nascita, dalla fusione tra quella spagnola e quella indigena,
di una nuova stirpe e di una nuova civiltà.

Bibliografia
(DEUMM, ES, MGG, NG2001, NGO)

ANGLES Higinio - QUEROL GAVALDA Miguel - PENA Joaquin, Diccionario dela musica Labor, vol. II,
Barcellona 1954, p. 2318.
ALTMANN Wilhelm - FRANK Paul, Kurzgefasstes Tonkünstler-Lexikon für Musiker und Freunde der
Musik, Bosse, Regensburg 1936, p. 730.
ARIZAGA Rodolfo, Enciclopedia de la música argentina, Fondo Nacional de las Artes, Buenos Aires
1971, p. 371.
BERRENECHEA Mariano Antonio, Historia estetica de la musica, Editorial Claridad, Buenos Aires
1941³, p. 535.
BULL Storm, Index to Biographies of Contemporary Composers, Scarecrow Press, New York 1964,
p. 405, vol. II, Scarecrow Press, Metuchen 1974², p. 567.
CALOU Juan Pedro, Crónica Musical. Audición Schiuma, in «Nosotros», VII, n. 48, aprile 1913, pp.
209-211.
DI LOLLO Elena, La orquesta sinfonica de Cordoba 1932-1984, Frente y Dorso, Cordoba 1984, p. 82.
FISCHER Miguel - FURMAN John M. - FURMAN SCHLEIFER Martha, Latin American Classical Composers:
A Biographical Dictionary, Scarecrow Press, Lanham 1996, p. 407.
FLURY Lazaro, Historia de la música argentina, Ediciones Colmegna, Santa Fe 1967, pp. 68, 85.
GARCÍA ACEVEDO Mario, La Música Argentina. Contemporánea, Ediciones Culturales Argentinas,
Buenos Aires 1963.
GUARDIA Ernesto de la - HERRERA Roberto, El arte en el Teatro Colon (1908-1933), Zea y Tejero,
Buenos Aires 1933, p. 513.
LEGGER Gianni, Drammaturgia Musicale Italiana. Dizionario dell’italianità nell’opera dalle origini
al terzo millennio, Teatro Regio di Torino, Torino 2005, p. 805.
MAYER-SERRA Otto, Música y musicos de Latinoamerica, vol. II, Atlante, Città del Messico 1947,
p. 1134.
MITCHELL Jerome, More Scott operas: further analyses of operas based on works of Sir Walter Scott,
University Press of America, Lanham 1996, p. 328.
MONDOLO Ana Maria, Alfredo L. Schiuma - Catálogo de obras, in «Temas y Contracantos», III, n.
27, luglio 1987.
–, Los Schiuma, una famiglia de músicos en la Argentina, in «Todo es Historia», XXII, n. 260,
febbraio 1989.
OTERO Ana Maria - ESCUDERO Rodolfo - NICOTRA Carmen, Diccionario de la Música Española e
Hispanoamericana, Sociedad General de Autores y Editores, Cuyo 1999, pp. 861-862.
PLATE Leonor, Operas, Teatro Colón: esperando el centenario, vol. I, Dunken, Buenos Aires 2006,
pp. 42, 43, 53, 57, 58, 60, 61, 79, 88, 95.
270

SENILLOSA Mabel, Compositores argentinos, Casa Lottermosser, Buenos Aires 1956, p. 451.
SCHIUMA Oreste, Música y músicos argentinos, M. Lorenzo Raño, Buenos Aires 1943, pp. 35-36, 142.
–, Cien anos de música argentina: precursores, fundadores, contemporaneos, directores,
concertistas, escritores, Asociacion Cristiana de Jovenes, Buenos Aires 1956, p. 379.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 320.
SLONIMSKY Nicolas, Music of Latin America, Thomas Y. Cromwell, New York 1945, pp. 99-100.
TALAMÓN Gastón O., Sociedad Argentina de Música de Cámara, in «Nosotros», X, n. 91, novembre
1916, pp. 271-272.
VALENTI Ferro Enzo, Los directores: Teatro Colon 1908-1984, Ediciones de Arte Gaglianone,
Buenos Aires 1985, p. 406.
–, Historia de la opera argentina, Ediciones de Arte Gaglianone, Buenos Aires 1977, pp. 33, 38, 44.
–, 100 años de música en Buenos Aires: de 1890 a nuestros dias, Ediciones de Arte Gaglianone,
Buenos Aires 1992, pp. 143, 153, 199.

Le opere di Schiuma sono inedite. I manoscritti sono conservati a Buenos Aires nel Fondo
del Archivo particular de Alfredo L. Schiuma curato da Ana María Mondolo.

Risorse on line

Un ampio saggio di Ana Maria Mondolo su Schiuma è disponibile sul sito http://
www.uca.edu.ar e su http://www.musicaclasicaargentina.com/mondolo/sflia.pdf Notizie sul
musicista in Memoria del Teatro Colón IV 1931-1940: la crisis, la paz y la guerra, in
Revista, n. 43, rivista on line del teatro Colón all’indirizzo http://colon.is.com.ar/colonweb/
revista/rev43/memorias.html. Il Diccionario Biográfico Italo-Argentino, scaricabile
all’indirizzo http://www.dante.edu.ar/web/dic/s.pdf della Asociación Dante Alighieri de
Buenos Aires. Prólogo de Raúl Montero Bustamante a “Tabaré” de Juan Zorilla de San
Martín al sito www.archivodeprensa.edu.uy.

Opere drammatiche

1. Biancofiore, opera lirica in due atti di Agenor Magno, Buenos Aires Politeama Argentino
8 gennaio 1915.
2. Amy Robsart, opera lirica in quattro atti di Agenor Magno dal romanzo Kenilworth di
Walter Scott, Buenos Aires Teatro Coliseo 24 aprile 1920.
3. La sirocchia, commedia lirica in un atto di Agenor Magno, Buenos Aires Teatro Odeón
23 aprile 1922 \ col titolo Litigio de amor, Buenos Aires Teatro Colón 15 settembre
1931.
4. Tabaré, opera lirica in tre atti di Jorge Servetti Reeves dal poema omonimo di Juan
Zorilla de San Martín, Buenos Aires Teatro Colón 6 agosto 1925.
5. Las Vírgenes del sol, dramma lirico in tre atti di Ataliva Herrera dal poema omonimo
dello stesso autore, Buenos Aires Teatro Colón 9 giugno 1939.
6. La infanta, balletto sul racconto Il compleanno dell’infanta di Oscar Wilde, Buenos
Aires Teatro Colón 12 agosto 1941.
7. El manto magico: Piel de asno, racconto lirico in tre atti, 1947-1949 non rappresentato.

Angela Annese
271

RITO SELVAGGI
Noicattaro (BA), 22 maggio 1898 - Zoagli (GE), 19 maggio 1972

Cronologia1

1898-1914. Rito Selvaggi inizia precocissimo gli studi musicali con lo zio
materno Vitantonio Susca e con Giuliano Consiglio, rispettivamente clarinettista
e direttore della banda musicale di Noicattaro. Sostenuto nella sua passione per
la musica dalla famiglia, nel 1910 Selvaggi viene ammesso al liceo «G. Rossini»
di Pesaro, dove prosegue gli studi con i maestri Mario Vitale e Amilcare Zanella,
conseguendo il diploma in armonia e pianoforte. A quattordici anni si esibisce in
un concerto a Parigi, dove riceve gli apprezzamenti di due ascoltatori d’eccellenza,
Paderewski e Debussy. Poco tempo dopo, tiene un recital pianistico a Bologna dove
è notato da Ferruccio Busoni, del quale diviene in seguito allievo.
1914-1920. Non ancora diciottenne è chiamato alle armi come tenente nel 242°
Reggimento Fanteria, rimanendo ferito in un conflitto contro gli austriaci. In questo
periodo, tiene diversi concerti per i militari con l’orchestra interalleata di guerra,
ideata dallo stesso Selvaggi e composta da musicisti di varie nazionalità appartenenti
alle forze alleate presenti sul fronte italiano. Compone le sue prime opere sinfoniche:
Introduzione e Corale (1914), Meditazione per arpa e orchestra (1915), Tempo
di concerto per pianoforte e orchestra (1915), Vibrazioni notturne (1916). Fin dai
suoi esordi, la carriera di Selvaggi è caratterizzata da un costante interesse verso
la musica vocale sacra, alimentato da una profonda devozione religiosa che lo vede
cimentarsi nella composizione di messe, oratorii, brani polifonici, inni, laude, ecc..
Tale inclinazione riceve un ulteriore impulso dalle lezioni con Venceslav Bulicioff,
direttore della Cappella Sinfonica di Mosca e allievo di Sergej I. Taneev. La prima
importante composizione sacra è la Messa per quattro voci e orchestra del 1916.
Lo stesso anno scrive la sua prima opera in musica, il bozzetto drammatico Il falco
dalmata. Subito dopo l’armistizio, Selvaggi è a capo del Commissariato civile di
Rovereto dove, fra i vari compiti, si occupa della riedificazione del Teatro Sociale,
che decide poi di inaugurare con la Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai
(del quale fa inoltre ricostruire la casa natale ad Arco di Trento). Durante
l’occupazione di Fiume, collabora con D’Annunzio alla stesura della Carta del
Carnaro, per la parte della legislazione riguardante l’istruzione musicale, e diventa
centurione della milizia nella Legione Orfica. Nella città occupata scrive La città
olocausta, poema sinfonico per orchestra, e la Canzone del Carnaro, su testo di
D’Annunzio. Tiene inoltre varie conferenze in qualità di musicologo in varie città
italiane.

1
Si ringrazia sentitamente Rito Selvaggi jr. per le preziose informazioni fornite.
272

1920-1927. Negli anni del dopoguerra si esibisce come pianista, mentre si


intensifica la sua attività di direttore d’orchestra in varie città italiane ed europee.
Nel 1918 è maestro sostituto di Tullio Serafin al Teatro Regio di Torino; poco
dopo è invitato alla Cappella Metropolitana del Duomo di Milano per collaborare
con il direttore del coro Salvatore Gallotti. Nel 1921 dirige il poema sinfonico
Il Carnaro, di Padre Rizzi, presso il Regio Conservatorio di Milano, e nel 1923
commemora Alfredo Catalani dirigendo Dejanice al Petruzzelli di Bari. Lo stesso
anno compone Apulia, suite sinfonica per soli fiati eseguita per la prima volta a
Magdeburgo, e l’anno successivo il Poema rivoluzionario «28 ottobre 1922» op.
9, dedicato alla marcia su Roma. Tra le opere sacre composte in questo periodo
si ricordano: la Messa a cinque voci miste (1923) e l’oratorio Estasi francescana
(1926). Intanto la carriera direttoriale lo porta all’estero con una lunga tournée
che tocca Europa, India, Giappone e Australia.
1927-1930. Tornato in Italia, Selvaggi dirige il suo primo concerto sinfonico
all’Augusteo di Roma il 13 marzo 1927, con musiche di Martucci, Malipiero e
Pratella. Nel 1929 va in scena al Teatro S. Carlo di Napoli la sua opera più nota
Maggiolata Veneziana, su libretto redatto a quattro mani con Emanuele Cecconi,
che vince il Premio per la lirica del Governatorato di Roma. Le competenze
acquisite dirigendo concerti presso diverse stazioni radio europee (fra le quali
Lipsia, Amburgo, Varsavia, Vienna, Budapest, Oslo, Copenaghen, Mosca) e l’espe-
rienza con Guglielmo Marconi nel campo delle trasmissioni sonore, fanno sì che
Selvaggi venga contattato dal Comitato Superiore di Vigilanza per le radiodiffu-
sioni in qualità di esperto per l’organizzazione musicale. Dal 1929 al 1943 è
direttore artistico presso l’EIAR, segue da vicino le due neonate orchestre di Torino
e Roma sostenendo fortemente la musica contemporanea, con esecuzioni – spesso
anche sotto la sua direzione – di opere di Alfano, Pizzetti, Casella, Ghedini,
Malipiero, Tommasini, Petrassi, Rocca, Lualdi. Mette in musica i versi del Cantico
del pane di Mussolini componendo il Canto del pane per quattro voci (1928),
brano molto eseguito dalle corali del dopolavoro. Nel 1930, presso la Filarmonica
di Stoccarda, dirige la Seconda Sinfonia di Giuseppe Martucci, grazie alla quale
avvia la conoscenza della musica del compositore campano in Germania.
1931-1938. In questi anni riveste importanti ruoli in ambito didattico, senza mai
tralasciare le attività di compositore e direttore. Nel 1931 è chiamato a dirigere
l’istituto musicale «Giovan Battista Pergolesi» di Varese e la Scuola Italiana di
musica di Lugano; nel 1934 ottiene la cattedra di composizione presso il conservatorio
«Arrigo Boito» di Parma, presentando al concorso un trattato di suo pugno intitolato
Principi di Orchestrazione. Nel 1932 scrive Fiamma, opera su libretto di Antonio
Lega. Nel frattempo hanno luogo varie esecuzioni di sue musiche in molte città
italiane ed europee. I primi anni Trenta lo vedono impegnato nella composizione
dell’opera S. Lorenzo, secondo quadro della Trilogia del fuoco, tre misteri per
un teatro sacro, che comprende anche Giovanna d’Arco e Savonarola. Restando
in ambito religioso si segnalano la Messa Antoniana per quattro voci e orchestra
(1931), l’Ode a Regina Pacis per voce e quartetto d’archi (1931) e la Preghiera
all’Immacolata Concezione per voce e armonium (1932). Durante il ventennio
scrive diversi brani per coro e orchestra, pubblicati in anni differenti e infine
raccolti nella collana dei Canti alla Patria sotto il titolo di Canzoniere d’Italia.
273

Fra questi si segnalano il Canto della milizia (1930) e il Canto dei volontari
d’Italia (1943). Divenuto Commissario straordinario del Sindacato orchestrale
romano e presidente della Commissione di reggenza del Sindacato dei musicisti,
Selvaggi ottiene inoltre vari incarichi da parte del Ministero dell’Educazione
Nazionale, che lo invia all’estero per missioni di carattere culturale-musicale.
1938-1943. Nel 1938 assume la direzione del Conservatorio di Palermo, dove
gli viene assegnata anche la presidenza che detiene fino al 1941. Sotto la sua guida
iniziano i lavori di restauro dell’edificio e degli strumenti musicali ivi presenti,
si riorganizzano i corsi didattici con l’inserimento di sette nuovi insegnamenti, fra
cui direzione d’orchestra, clavicembalo e acustica, e viene inoltre creata, con il
contributo di tutti gli insegnanti, l’orchestra settecentesca «Alessandro Scarlatti»
per i venerdì musicali. Nel 1939 dirige alla radio una sua revisione della sinfonia
dell’Ifigenia in Tauride di Tommaso Traetta, come già aveva fatto per la sinfonia
dell’Ifigenia in Aulide dello stesso compositore. Nel 1940 il regista Domenico M.
Gambino, utilizza musiche di Selvaggi, Zandonai, Martucci, e Costantino Ferri,
per il commento musicale del film Arditi civili. Nel 1943 una bomba colpisce la
casa di Selvaggi, che in seguito subisce anche un grave saccheggio, con seri danni
per i materiali archivistici, librari e sonori.
1945-1956. Terminata la guerra, Selvaggi, che era riuscito a portare avanti le
sue attività durante gli anni di regime ottenendo anche importanti riconoscimenti,
preferisce non passare dalla parte dei vincitori, decidendo di chiudersi coerentemente
nel suo silenzio. Ciononostante riceve duri attacchi da parte degli antifascisti, che
lo accusano di esser diventato direttore del conservatorio di Palermo grazie a una
nomina dall’alto e non per regolare concorso, ragion per cui viene forzatamente
sollevato dall’incarico e isolato. Anni dopo, il Ministero lo destina alla
Soprintendenza Bibliografica per il Lazio e l’Umbria, con lo scopo di studiare dei
fondi musicali manoscritti, conservati in varie biblioteche, fino ad allora mai
sottoposti a un esperto musicale. Nel 1947 porta a termine la musica e il libretto
per La sposa di Fontebranda, oratorio dedicato a S. Caterina da Siena nel sesto
centenario della sua nascita. Nell’arco della sua carriera Selvaggi realizza numerose
elaborazioni e trascrizioni di musiche antiche, con l’intento di promuovere e far
conoscere questo prezioso patrimonio. Tra le prime si ricordano Suite drammatica
con musiche di Purcell, le suites Couperiniana, e Rameau, entrambe per orchestra
d’archi, e la Frescobaldiana, aria per oboe e archi. Tra le trascrizioni si segnalano
alcuni preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato di Bach, per archi e
strumenti vari, 12 Canzoni dall’organo di Zipoli, per oboe e archi, la Sonata Pian
e Forte di Giovanni Gabrieli, per fiati e viole, e un Concerto grosso di Corelli
per archi. Nel 1951 porta a termine la sua ultima opera Mitzi, la cui idea originaria
risale agli anni Venti.
1956-1972. Dal 1956 al 1959 ritorna a Parma come direttore del conservatorio,
occasione che suscita accese proteste da parte dell’amministrazione comunista della
città nei confronti del compositore che aveva messo in musica versi di Mussolini e
scritto l’Ave Maria per voce e quintetto d’archi per le nozze di Edda e Galeazzo
Ciano. La stessa situazione, in maniera anche più aspra, si ripresenta a Pesaro dove
ricopre la carica di direttore del conservatorio dal 1959 al 1963. Qui l’amministrazione
comunale si oppone duramente a Selvaggi, il quale, nonostante tutto, si adopera per
274

lo sviluppo delle attività didattiche del locale conservatorio creando l’orchestra


“Rossini”, riorganizzando la didattica dell’istituto e occupandosi dell’esumazione
e revisione di due opere dimenticate di Rossini: L’occasione fa il ladro e Adina. La
sua posizione si complica in seguito a un’accusa, esposta in una lettera anonima,
riguardante presunte irregolarità inerenti lo svolgimento di un corso straordinario per
lo studio e l’interpretazione del repertorio lirico italiano tenuto dallo stesso Selvaggi.
Tale denuncia, gettando sospetti sulla sua persona, costringe il musicista a lasciare
l’incarico. La questione si conclude con la sentenza del Tribunale di Bologna che
assolve pienamente Selvaggi, il quale, sebbene non possa riprendere l’incarico, vede
rinnovate la rispettabilità e la stima nei suoi confronti. Nel 1960 gli viene conferita
la Commenda di S. Gregorio Magno, una delle massime onorificenze previste
dall’omonimo Ordine cavalleresco. Giunto all’età del pensionamento, si ritira a vita
privata trascorrendo gli ultimi suoi anni, ancora densi di studio e lavoro, presso la sua
villa di Zoagli in compagnia della fedele moglie contessa Vittoria Cervelli e della
cognata Bianca. Muore il 19 maggio 1972, all’età di 74 anni. Quello che resta del
suo archivio è attualmente in possesso del nipote Rito Selvaggi Jr., il quale ha fornito
alla biblioteca comunale di Noicattaro copie delle partiture e altro materiale che in
futuro andrà sperabilmente a costituire il fondo Selvaggi.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

La produzione operistica di Rito Selvaggi è quasi interamente inedita, se si


eccettua l’unica pubblicazione dell’oratorio La sposa di Fontebranda. Dei ma-
noscritti si è conservata solo una parte presso gli eredi del compositore, mentre
il resto risulta allo stato attuale irreperibile. La scarsità di informazioni rintrac-
ciabili sulla figura di Selvaggi – anche in ambito locale – a dispetto di una
consistente produzione musicale e di una vivace attività artistica, è probabilmente
da connettere alla questione spinosa, e tuttora irrisolta, inerente la collocazione
del compositore nel complesso panorama storico del fascismo. Le vicende che lo
hanno visto protagonista durante il ventennio, non ancora debitamente studiate da
un punto di vista storico-scientifico, hanno alimentato la costruzione di un pre-
giudizio che ha marchiato l’opera e condizionato l’esistenza stessa del compositore
fino agli ultimi giorni, impedendo una visione distaccata del suo lavoro. Fin dagli
inizi della sua carriera, Selvaggi lavora come pianista, compositore, librettista,
direttore d’orchestra, letterato, critico musicale, tutte esperienze che formano il
suo approccio “totale” alla creazione musicale e lo portano, nel caso del teatro
musicale, a occuparsi in prima persona della scelta del soggetto e del libretto.
Selvaggi è profondo conoscitore del melodramma e della musica antica italiana,
studia e tiene conferenze in tutta Italia, è consapevole del suo presente musicale,
del rinnovamento in atto, e in questa dimensione attua le sue personali scelte. Nelle
vesti di operista, si impone al pubblico con Maggiolata Veneziana, probabilmente
prima opera del compositore a calcare le scene teatrali. Vincitrice del Premio del
Governatorato di Roma nel 1929, Maggiolata Veneziana, già nel soggetto prende
le distanze dalla tradizione verista italiana, ancora viva in quegli anni, per ad-
dentrarsi nei territori del simbolo e della religione. La scelta non è casuale se si
tiene conto del fatto che Selvaggi è un profondo credente, incline al misticismo,
lettore di scritti religiosi, attratto più dalla spiritualità che dagli elementi materiali
275

della vita e della storia. La sua vasta produzione di musica sacra esprime forse
ancora meglio questo lato della sua personalità. In Maggiolata Veneziana i temi
della maternità, del tempo che passa, della fede, della passione amorosa e del-
l’innocenza, sono affrontati attraverso personaggi fortemente simbolici, che si
muovono in uno spazio quasi astorico, appena contornato dallo sfondo della città
di Venezia. Pur muovendosi nel solco del melodramma italiano, Selvaggi non
concepisce il dramma in funzione della centralità del canto, ma adotta un linguag-
gio apertamente sinfonico in cui l’orchestra raggiunge un’autonomia espressiva
soprattutto nella partecipazione attiva ai sentimenti dei personaggi e nella descri-
zione degli spazi e dei momenti temporali che scandiscono la vicenda, interamente
sviluppata nell’arco di una giornata. Ampio spazio è dato anche ai cori e alle danze,
fra cui la Furlana, certamente una delle pagine più riuscite dell’opera.
La seconda opera di maggior fortuna è l’oratorio La sposa di Fontebranda,
completato in occasione del sesto centenario della nascita di S. Caterina nel 1947,
ma nato da un’idea risalente a molti anni addietro, quando Selvaggi riveste la
carica di direttore presso il conservatorio di Palermo. In quegli anni gli viene
donato dal padre domenicano suo amico Filippo Caterini una copia de I colloqui
con Dio di santa Caterina da Siena. Colpito dalla lettura dell’opera, Selvaggi
compie ulteriori ricerche sulla vita della Santa, fino a decidere di dare corpo
musicale al materiale raccolto con un lavoro che lo impegna per ben sei anni,
considerato dal musicista più un atto di fede che un’opera d’arte vera e propria.
Nella scelta della forma musicale da adottare, Selvaggi ricorre all’oratorio perché
gli «offriva le maggiori possibilità di utilizzazione di mezzi tecnici e formali per
dare alla concezione musicale e drammatica quella sostanza profondamente
spiritualizzata che il soggetto richiedeva» (AZZARITA Leonardo, Incontro con Rito
Selvaggi, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 8 maggio 1949, p. 3). La natura
stessa dell’oratorio determina la concezione musicale di Selvaggi, il quale affida
agli strumenti, piuttosto che al canto, un ruolo fondamentale, perché solo la musica
può andare oltre i limiti della parola e dare corpo all’inesprimibile. Sempre grazie
ad alcuni stratagemmi musicali, il compositore fa irrompere nella storia spirituale
e ascetica della Santa la realtà degli anni di guerra in cui l’opera viene composta,
attraverso l’inserimento di ritmi, squilli, spunti melodici, che svolgono una funzione
quasi di ponte tra due contesti solo apparentemente lontani. La fortuna operistica
di Selvaggi resta legata principalmente a queste due opere, mentre gli altri lavori
sono rimasti perlopiù inediti o appena citati.

Bibliografia

(SCHIMDL)
Lui chi è, II, Editrice Torinese, Torino 1969.
ROPPO Vincenzo, Noa, memorie storiche di Noicattaro, Ed. Fiorentino, Noicattaro 1927, pp. 502-504.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 276-277.

Risorse on-line

Il sito www.ritoselvaggi.it, curato da Rito Selvaggi Jr., nipote del compositore, offre molte
informazioni sulla vita e sulle opere di Selvaggi.
276

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Casa discografica/distribuzione/n.catalogo

Maggiolata veneziana: Rito Selvaggi Cetra CC 2030


Furlana, danza n. 2

Edizioni

– La sposa di Fontebranda (S. Caterina da Siena), edizione anastatica del manoscritto,


Roma, L’istantanea, s. d.

Opere drammatiche

1. Il falco dalmata, bozzetto drammatico in tre atti su libretto propiro, non rappresentato.
2. Estasi di Santo Francesco/Estasi francescana, oratorio n.n., Studi EIAR 25 novembre
1934 (partitura in I-Noicattaro, archivio privato Selvaggi*).
3. Maggiolata veneziana, tragedia lirica in un atto di Emanuele Lecconi e Rito Selvaggi,
NA S. Carlo 16 aprile 1929 (canto e piano in I-Noicattaro, archivio privato Selvaggi*)
\ Studi EIAR 11 luglio 1933
4. Fiamma, melodramma in tre atti di Antonio Lega, non rappresentato.
5. Trilogia del fuoco: S. Lorenzo-Giovanna d’Arco-Savonarola, tre misteri per un teatro
sacro su libretto proprio, non rappresentato.
6. Profumo di Dio, oratorio n.n., non rappresentato (partitura in I-Noicattaro, archivio
privato Selvaggi*).
7. Mitzi, melodramma in un prologo e due atti su libretto proprio, non rappresentato
(partitura in I-Noicattaro archivio privato Selvaggi*)
8. La sposa di Fontebranda/Santa Caterina da Siena, oratorio con proemio storico in
un prologo e tre tempi su libretto proprio, MI Auditorium Rai 31 ottobre 1956 (libretto
e partitura in I-Noicattaro archivio privato Selvaggi*).
9. Per crucem ad lumen, dramma mistico in tre atti e un epilogo su libretto proprio, non
rappresentato (partitura incompiuta in I-Sacsc*).

Beatrice Birardi
277

CARLO SESSA
Trani, 30 gennaio 1843 - Milano, 29 dicembre 1919

Cronologia

1867. Carlo Sessa compie gli studi presso il Conservatorio «S. Pietro a Maiella»
di Napoli con i maestri Bonacci, Parisi e Serrao. Nello stesso anno compone l’opera
comica in due atti Un marito vecchio, mai rappresentata.
1876. L’opera in 3 atti Cuor di marinaro, su libretto di Enrico Golisciani, viene
rappreentata al Teatro Comunale di Reggio Emilia, 3 giugno.
1883. Vince il concorso annuale del Ministero dell’Interno per una composizione
nell’anniversario della morte di Re Carlo Alberto con una Messa da Requiem,
eseguita il 28 luglio dello stesso anno nel Duomo di Torino.
1884. L’opera in 4 atti Re Manfredi, su libretto di Enrico Golisciani viene
rappresentata al Teatro Dal Verme di Milano, 23 luglio.
1885. Il 29 gennaio dirige al Teatro Comunale di Trani Cuor di marinaro.
1890. Vince il concorso per titoli come maestro di cappella e organista della R.
Basilica Palatina di Acquaviva delle Fonti, assumendone la carica assieme a quella
di maestro della Banda municipale.
1893. Sessa è vincitore del Gran Premio d’onore, con medaglia e bacchetta d’oro,
nel Gran Concours International de composition musicale «Le Carillon» di Bruxelles
patrocinato dal Principe di Fiandra. Nello stesso anno si dimette dalla carica di
maestro di cappella, scegliendo di dedicarsi esclusivamente alla composizione e
alla trattatistica: pubblica, per i tipi della Tipografia S. Giuseppe Collegio degli
Artigianelli di Torino il manuale Teoremi d’armonia.
1896. Esecuzione della sinfonia Viggiona al Teatro Piccinni di Bari.
1897-1919. Sessa compone l’opera in tre atti Il Piccinni, mai rappresentata. Si
stabilisce a Milano, dove si dedica alla direzione di concerti e all’insegnamento
del canto. Tra i suoi allievi il tenore Giacomo Dammacco (Bari 26 giugno 1883-
Milano 6 febbraio 1966).

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Le quattro opere di Carlo Sessa sono un esempio di quel sommerso lavorio dei
tanti misconosciuti compositori che tra Otto e Novecento sono vissuti all’ombra
dell’ultimo Verdi e dell’emergente Mascagni. Dei quattro lavori per il teatro del
compositore tranese solo il secondo ed il terzo, ambedue su libretto di Enrico
Golisciani, hanno avuto una seppur breve fortuna. Di Cuor di Marinaro, tratto dal
278

bozzetto marinaresco Giorgio Gandi di Leopoldo Marenco, si ha notizia, oltre a


quelle di Reggio Emilia e Trani, di una rappresentazione al Teatro Carcano di
Milano (Cfr. VILLANI, 1920). Re Manfredi, tratto dal Golisciani da La battaglia
di Benevento di Francesco Domenico Guerrazzi, doveva essere rappresentato già
nel 1880 al Teatro Argentina di Roma: purtroppo il Sessa fu in questa occasione
truffato dall’impresario, e l’opera dovette aspettare ancora quattro anni prima di
andare in scena al Teatro Del Verme di Milano (Cfr. SESSA, 2003).

Bibliografia

(DEUMM, SCHMIDL)

AMBÌVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento Italiano, Gremese, Roma 1998, p. 144.
ANGELIS, Alberto de, L’Italia d’oggi: dizionario dei musicisti, con appendice, Ausonia, Roma 1928,
p. 169.
«Gazzetta dei teatri», VLVI, n. 29, 31 luglio 1884, p. 1.
«Gazzetta musicale di Milano», XXXI (1876), p. 3.
MASUTTO Giovanni, I maestri di musica italiani del secolo XIX. Notizie biografiche, 3. Ed. corretta
e aumentata, s.e., Venezia 1882, p. 180.
RINALDI Mario, Due secoli di musica al Teatro Argentina, Olschki, Firenze 1978, II, p. 1099.
SANGUINETTI Giorgio, Un secolo di teoria della musica in Italia. Bibliografia critica (1850-1950)
in «Fonti musicali italiane», II, 1997, p. 228.
SESSA Andrea, Il melodramma italiano 1861-1900, Olschki, Firenze 2003, pp. 443-445.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 277.
Storia della banda di Acquaviva delle Fonti, Regione Puglia, Acquaviva delle Fonti 1988, pp. 39-
40, 42-44, 64.
«Il tranasiere», XIX, n. 7, luglio 1977, pp. 9-13.
«Il teatro illustrato», V, n. 50, febbraio 1885, p. 27.
«Il teatro illustrato», IV, n. 44, agosto 1884, pp. 119, 122.
VILLANI Carlo, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, nuove addizzioni,
Alberto Morano, Napoli 1920, pp. 214-215.

Opere drammatiche

1. Un marito vecchio, opera comica, n.n. da Scribe, 1867, non rappresentata.


2. Cuor di marinaro, dramma lirico in tre atti di Enrico Golisciani dal Giorgio Gandi
di Marengo, RE Municipale 3 giugno 1876 \ Trani 29 gennaio 1985 (libretto in I-Nc).
3. Re Manfredi, dramma lirico in quattro atti di Enrico Golisciani, dalla La battaglia di
Benevento di Guerrazzi, MI Dal Verme 23 luglio 1884 (libretto in I-Nc, I-Mc, I-Vgc).
4. Il Piccinni, melodramma in tre atti n.n., 1897, non rappresentato.
Fabrizio Bugani
279

GIOVANNI SPEZZAFERRI
Lecce, 11 settembre 1888 - Lodi, 1 febbraio 1963

Cronologia

1888-1913. Giovanni Spezzaferri nasce a Lecce l’11 settembre 1888. Ben presto
si trasferisce a Pesaro per studiare nell’allora Liceo Musicale «G. Rossini”, nelle
classi di Amilcare Zanella, Mezio Agostini, Antonio Cicognani e Villanis. Nel
1910 si diploma in pianoforte e composizione. Il 2 giugno 1911 esce a Lecce il
primo numero di «Evoluzione musicale», diretto dal M° Spezzaferri, primo periodico
specialistico – a cadenza quindicennale – pubblicato in Puglia. Il 3 novembre 1911
viene inaugurato a Lecce il Conservatorio «Leonardo de Leo»: Spezzaferri, a
dispetto del disinteresse delle autorità cittadine, sostiene con tenacia la fondazione
dell’istituto, di cui assumerà la direzione. Esso si configura come la prima struttura
scolastica in Puglia appositamente e organicamente concepita per l’istruzione
musicale. Nel 1913 Spezzaferri effettua un’importante tournée, eseguendo proprie
composizioni cameristiche.
1916-1929. Si trasferisce a Lodi dove a partire dal 1918 e sino al 1930 dirige
il neonato Istituto Musicale «F. Gaffurio», che sotto la sua guida diviene ben presto
“civico istituto”. Nel 1928 dà vita, sempre a Lodi, alla “Rassegna Nazionale di
Musica”, attraverso la quale si impegna nella diffusione della musica dei principali
autori a lui contemporanei, come Cilea, Zandonai, Respighi, Alfano. Nel 1922 per
sua iniziativa si svolge nell’Istituto Gaffurio il II Convegno dell’Associazione dei
Musicologi Italiani, a vent’anni di distanza dal I, tenutosi nel 1908.
1930. Diventa direttore dell’Istituto Musicale «G. Nicolini» di Piacenza, carica
che conserva sino al 1954, riuscendo a portare la scuola all’equiparazione ai
Conservatori di Stato.
1933. Viene eletto membro dell’Accademia Filologica Italiana
1947. È presidente del sindacato Scuole di Musica.
1950. Promuove il primo Congresso Nazionale di Musica italiano del Dopoguerra
(Verona, 5-7 agosto).
1952. Diventa segretario per la Lombardia del Sindacato Nazionale Musicisti.
1953. Ottiene una laurea ad honorem dall’Università di Parigi.
1955. Viene premiato dal presidente della Repubblica per benemerenze nell’arte
nella cultura e nella scuola.
1 febbraio 1963. Muore a Lodi.

Meritano una menzione altri due membri della famiglia di Giovanni: GAETANO
SPEZZAFERRI (Lecce, 15-X-1895 - Lodi, 6-III-1920) valente violinista morto
giovanissimo per l’epidemia di spagnola degli anni Venti, fratello di Giovanni, lo
280

affianca nella gestione dell’Istituto Gaffurio e nelle operazioni di promozione culturale


della musica contemporanea a Lodi. LASZLÒ SPEZZAFERRI (Lecce, 9-V-1912 - ?)
Violoncellista, compositore, direttore d’orchestra e critico musicale, svolge attività
concertistica da solista e in gruppi da camera per oltre un ventennio. Docente in
diversi conservatori italiani, dirige a partire dal 1951 il Conservatorio di Verona.
Segretario nazionale del Sindacato Musicisti Italiani, è stato membro del Consiglio
della Fondazione Teatro di Verona.

Melodrammaturgia, stile e fortuna


«Nell’Incantesimo lo Spezzaferri ha sparse belle e alte ispirazioni sopra un prezioso
intreccio di disegni armonici e di colori strumentali. È un lavoro veramente
ammirevole per squisitezza di pittura, per varietà di intrecci, di ritmi e di disegni»
così il periodico romano La Vita nel 1908, a proposito di un’opera di Giovanni
Spezzaferri. Purtroppo a tutt’oggi per quanto concerne i lavori teatrali del nostro,
ci si può affidare solamente alla memoria che delle rappresentazioni ebbero i
contemporanei, che puntualmente annotavano impressioni e pareri nelle recensioni.
La collocazione delle musiche (partiture, spartiti o parti) è infatti sconosciuta, non
comparendo in nessun catalogo delle biblioteche italiane e mondiali, né sui principali
repertori. La cifra stilistica dell’autore comunque emerge dal complesso della
produzione cameristica, vocale e strumentale, di cui si conserva un certo numero
di edizioni: in particolar modo le composizioni religiose (la cantata Caterina da
Siena, per soprano, coro e orchestra) e quelle pianistiche. I riferimenti sono chiari:
Respighi, Debussy e l’impressionismo musicale. L’eleganza della scrittura,
l’attenzione al testo poetico e la ricchezza del colore orchestrale costituiscono le
caratteristiche precipue di un «musicista di razza […] che testimonia la sua piena
appartenenza al Novecento e nello stesso tempo, la sua fede nel valore comunicativo
ed espressivo della musica: un Novecento che, in lui, porta a una progressiva
liberazione da schemi e procedimenti accademici, con una totale disponibilità ad
esplorare soprattutto i nuovi orizzonti dell’armonia e del “suono”» (cfr. Guido
Salvetti, note di presentazione al CD Giovanni Spezzaferri. Piano Works, inciso
dal pianista Simeone Pozzini per la Stadivarius nel 2008).

Bibliografia
(DEUMM, SCHMIDL, STIEGER)
BRINDISINO Maria Giovanna, Notizie musicali sui periodici politico-letterari salentini dalla seconda
metà del XIX secolo al 1911, in «Periodica musica», III, Spring 1985.
D’ANDREA Renzo, Vita musicale a Lecce e nel Salento dal III secolo ai giorni nostri, Schena, Fasano
1985.
GABRIELLI, Lina, Giovanni Spezzaferri, musico e musicologo, Società Filarmonica Ascolana, Ascoli
Piceno 1957 («Quaderni della società filarmonica ascolana» 1).
SORRENTI, Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 278-279.
Giovanni Spezzaferri nella missione quarantennale, Arti Grafiche Biancardi, Lodi 1951.

Opere drammatiche e oratorii

1. L’incantesimo, bozzetto in un atto n.n., Pesaro 1908.


2. Velba, opera in tre atti di N. de Julio, 1912 (libretto in I-LE).
281

3. Wanda, opera in tre atti n.n., 1912.


4. Le Stagioni, azione mimico sinfonico vocale in quattro parti n.n.,1919.
5. Venere medicea, opera in una prologo e due quadri n.n., 1925.
6. La danzatrice di Khali, opera n.n., 1947.
7. Fede, opera n.n., 1951.
8. L’Immacolata, oratorio, 1954.

Sarah Iacono
282

GIOVANNI TAMBORRINO
Laterza (TA), 30 ottobre 1954

Cronologia

1954-1992. Compositore e performer, si diploma nel 1984 in percussioni al


Conservatorio di Bari e in canto al Conservatorio di Foggia. Alla fine degli anni
Ottanta studia percussioni a Colonia con Christoph Caskel e musica da camera
a Fiesole con Giuseppe Garbarino. Dopo l’incontro con Caskel, Tamborrino ap-
profondisce la letteratura del Novecento e inizia a eseguire brani di Stockhausen,
Xenakis, Donatoni, Bussotti, Corghi e Berio, compositore con il quale collabora
sin dal 1987 nell’ambito dell’Istituto Tempo Reale di Firenze. Le prime compo-
sizioni del musicista laertino sono tutte strumentali: tra il 1990 e il 1994 scrive
i Sei studi per marimba ispirandosi ad altrettanti disegni del pittore Paul Klee.
Del 1992 sono, invece, Cristalli per 2 glockenspiel, vibrafono e sonagli a lastra
metallica, Murge per clarinetto e percussioni, Somal per clarinetto piccolo, ma-
rimbetta africana e percussioni, Xilo per 3 clarinetti e Abbas per campane tubolari.
Nel frattempo la frequentazione del teatro di prosa lo porta a maturare una
personale idea di teatro musicale, l’“opera senza canto”, in cui procede all’ela-
borazione di una forma musicale autonoma basata sul sistema timbrico: in altre
parole un “terzo teatro” inteso come superamento del melodramma tradizionale
attraverso l’incontro tra teatro musicale e di prosa.
1992-2000. Nel 1992 Tamborrino compone la sua prima “opera senza canto”,
Reputi di Medea, su testi in italiano e griko (dialetto che si parla in certe zone
del Salento). Il libretto è dell’attrice, drammaturga e regista Teresa Ludovico, che
è anche interprete del lavoro, tratto da Euripide. L’opera viene presentata due anni
dopo al Festival di Santarcangelo di Romagna. In quello stesso anno il compositore
pubblica il volume Marimbaphon, trattato sulle nuove tecniche della marimba, e
scrive un altro pezzo strumentale, Ricercare I per tromba, marimba e vibrafono.
Nel 1995 porta in scena a Fiesole la sua seconda “opera senza canto”, III Riccardo
III, con testi tratti da Shakespeare di Claudio Morganti, che è anche interprete
del lavoro. Nel frattempo compone un’altra serie di brani strumentali, nel 1995
lo studio per clarinetto Semi-si 1 e nel 1996 la toccata per violino Oraz, Ricercare
II per 2 violini, la toccata per flauto Roli e lo Studio n. 7 per marimba. Sempre
nel 1996 viene eseguita la sua terza “opera senza canto”, Gordon Pym (testi di
Francesco Leprino da Edgar Allan Poe). Seguono nel 1997 Giuseppina la cantante
(testi di Gerardo Guccini da Kafka) e Canti marini 5, lavoro di teatro-danza per
il quale Tamborrino collabora con il coreografo e danzatore Virgilio Sieni. Lo
spettacolo viene presentato al Festival della Terra delle Gravine, manifestazione
lanciata l’anno precedente dallo stesso compositore. Gli anni Novanta si chiudono
con Epos in rock (testi di Tamborrino ispirati alle Operette morali di Leopardi).
283

2000-2004. Il 2000 è l’anno dell’ultima edizione del Festival della Terra delle
Gravine. La manifestazione chiude i battenti per il mancato sostegno degli am-
ministratori locali dopo aver rappresentato uno dei laboratori di ricerca più inte-
ressanti per il nuovo teatro musicale e luogo di forte ispirazione per le sperimen-
tazioni del compositore. L’anno successivo Tamborrino realizza altri due lavori:
uno strumentale, la toccata per chitarra Modu, e l’installazione sonora Il palazzo
del suono, spettacolo verticale costruito sulla facciata di un palazzo nel centro
di Laterza occupato da musicisti e attori. Dall’incontro con lo scultore Antonio
Paradiso, “l’artista dei voli”, nel 2002 nasce l’opera senza canto Ali di pietra che
viene eseguita per la prima volta nel Parco scultura La Palomba di Matera, città
dove dal 1985 Tamborrino è docente di percussioni al Conservatorio, e dove per
un periodo è anche responsabile del dipartimento “Nuovi linguaggi e nuove tec-
nologie” da lui stesso avviato. Sempre nel 2002 Tamborrino scrive le musiche per
il progetto drammaturgico Dialoghi con l’Angelo che va in scena in forma di studio
al MittelFest di Cividale del Friuli con la regia di Daniele Abbado prima del
debutto in forma compiuta al Teatro Piccinni di Bari.
2004-2010. Nel 2004 presenta a Taranto Il giusto paese dell’isola (su testi di
Jean Paul), opera che precede l’inizio della collaborazione del musicista con un
giornalista prestato al teatro, Enzo Quarto. Suoi sono i libretti del trittico di opere
L’anello di Egnazia, Elia e Lo sguardo di Abele. Le prime due vengono prodotte
e tenute a battesimo nel 2005 e nel 2008 dalla Fondazione lirico-sinfonica Pe-
truzzelli e Teatri di Bari; la terza debutta a Grottaglie nel 2009. In questo stesso
periodo Tamborrino pubblica il volume-manifesto Il teatro nel sistema timbrico
nel quale spiega le ragioni della propria ricerca e del suo particolare teatro
musicale. Contemporaneamente promuove e dirige per due edizioni, tra il 2006
e il 2007, la rassegna “Le Grandi Narrazioni” con la quale tenta di riprendere il
discorso del Festival della Terra delle Gravine interrotto nel 2000. Giunge infine
il debutto discografico, nel 2009, con la pubblicazione su disco degli Studi etnici:
il musicista recupera alcune vecchie registrazioni mai edite, tra cui le toccate per
marimba (Guar), chitarra (Modu) e flauto (Roli), e le sovraincide utilizzando
elaborazioni timbrico-percussive delle musiche extracolte, con soluzioni ritmiche
che rinviano alle circolarità ipnotiche della musica etnica, al tribalismo del
drum’n’bass e a certe sonorità della lounge music.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Le opere teatrali di Giovanni Tamborrino vengono rappresentate a lungo al di


fuori dei circuiti tradizionali, un po’ per le posizioni antiaccademiche del com-
positore e un po’ perché i suoi lavori teatrali (sintesi di prosa e melodramma)
faticano a trovare una collocazione precisa, sempre in bilico tra circuito dell’Eti
e teatro d’opera. Ispirandosi all’antica tragedia greca e alle lezioni degli attori e
drammaturghi Antonin Artaud e Carmelo Bene, Tamborrino si pone contro l’idea
di canto lirico tradizionale per approdare a una versione contemporanea del mèlo
francese dell’Ottocento. L’“opera senza canto” è il frutto di una lunga maturazione
sulla necessità di distruggere quella che il musicista considera una concezione
museale del melodramma in favore di un teatro musicale che deve recuperare l’uso
284

drammatico della voce naturale all’interno di un sistema teatrale timbrico carat-


terizzato da una forte componente percussiva. «Il canto è un distruttore della
drammaturgia che riduce il melodramma a un concerto in costume», la provocatoria
tesi di Tamborrino, che inizia a sperimentare su se stesso le possibilità fonetiche
della parola. Facendosi interprete della Sequenza III per voce sola di Luciano
Berio, il compositore getta le basi per l’elaborazione delle sue prime partiture
sceniche, Reputi di Medea, III Riccardo III e Gordon Pym, i capitoli della
cosiddetta trilogia di “opere senza canto”, nate per essere rappresentate in spazi
quasi sempre alternativi al teatro, così come le successive Epos in rock, Ali di
pietra e Il giusto paese dell’Isola. La componente drammaturgica è data dall’ade-
renza del suono della parola con quello prodotto dalla sezione strumentale, un’of-
ficina di percussioni tradizionali e di fattura artigianale spesso ricavati da oggetti
d’uso comune e materiali di scarto (vasi di creta, lastre di marmo, ammortizzatori
e cerchioni d’auto, tubi di plastica utilizzati per l’edilizia e quant’altro). Le opere
di Tamborrino rappresentano gli elementi di un puzzle molto simile a un work in
progress all’interno del quale il musicista si adopera per la costruzione di un teatro
musicale che ha ragione di esistere in relazione a determinati spazi di rappresen-
tazione, in particolare i luoghi del vasto sistema carsico che attraversa le Murge,
dove Tamborrino nasce e decide di vivere la propria esperienza umana e artistica.
Senza questa simbiosi l’intuizione e la definizione dell’“opera senza canto” non
avrebbe potuto avere origine perché le Murge «lasciano in eredità all’artista un
mondo arcaico che interagisce con la definizione degli obiettivi culturali e dei
mezzi espressivi» (cfr. GUCCINI 1998). Sono spazi e paesaggi che il compositore
considera “luoghi dell’assenza”, zone dove abita un’indifferenza della quale si
nutrono le sperimentazioni e le riflessioni del compositore. Anche quando scrive
il suo manifesto programmatico, Il teatro nel sistema timbrico, un saggio in forma
di dialogo in cui spiega genesi, sviluppo e ragioni della propria ricerca, Tamborrino
non solo si pone il problema del linguaggio e del suo rinnovamento, confrontando
le proprie analisi del teatro musicale con le avanguardie storiche, ma si schiera
contro l’arte concettuale per dichiarare la necessità di un teatro “povero” che
sappia fare chiarezza: un teatro “popolare” e “umano” in grado di restituire
l’inutilità della bellezza. Tamborrino fa della povertà uno dei punti di forza della
propria arte, anche sotto il profilo dei mezzi («ho scelto la strada della riduzione
e l’apertura alla trascendenza della cultura»), e arriva nel tempo a caricare i propri
lavori di una forte componente etica. Accade dopo l’esperienza di Ali di pietra,
opera nella quale l’artista si ispira ai racconti del padre comboniano Alex Zanotelli
sviluppando un’idea di teatro etico e politico aderente alle proprie intenzioni
musicali. Ali di pietra, un lavoro sulla “metafora della pesantezza”, come indica
chiaramente l’ossimoro del titolo, viene rappresentata nel Parco scultura La Palomba
ideato a Matera dall’“artista dei voli” Antonio Paradiso. Ma Tamborrino ha già
iniziato a portare le sue opere non solo in luoghi metafisici, come appunto cave
di pietre e grotte, ma anche in chiese e palazzi.
A partire da L’anello di Egnazia i lavori di Tamborrino tendono ad acquisire
una componente etica e spirituale sempre più determinante. Contestualmente la
violenza percussiva degli inizi va mitigandosi in favore di atmosfere più rarefatte
e di un linguaggio maggiormente comunicativo, che non per questo diventa in-
differente alle rivoluzioni espressive delle avanguardie storiche con le quali la
musica di Tamborrino non ha mai smesso di confrontarsi.
285

Bibliografia

(MGG)
GUCCINI Gerardo, Le opere senza canto di Giovanni Tamborrino, CLUEB, Bologna 1998.
GIRARDI Enrico, Il tamburino pugliese, in Il teatro musicale italiano oggi, De Sono - Paravia Bruno
Mondadori Editori, Torino 2000, pp. 132-146.
MAZZOTTA Francesco, Tamborrino e l’opera senza canto, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 27
dic. 2000 p. 13.
– , Lasciamo il Petruzzelli così com’è, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 26 gen. 2001, p. 14.
– , Le stazioni dell’arte a Laterza, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 8 ago. 2001, p. 16.
– , Un palazzo per restituire musica alla vita, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 1 sett. 2001,
p. 16.
– , Tamborrino va alla guerra, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 4 sett. 2001, p. 16.
– , Tamborrino fra i grandi del Novecento, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 27 sett. 2001, p. 16.
– , Tamborrino compleanno alla Scala, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 28 ott. 2001, p. 14.
– , Tamborrino, “Eresie” contro, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 5 nov. 2001, p. 16.
– , “Eresie”, Tamborrino rilegge Giordano Bruno, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 10 nov.
2001, p. 16.
– , Le ali di pietra di Giovanni Tamborrino, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 12 apr. 2002,
p. 15.
– , «Ali di pietra», metafora della pesantezza, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 19 giu. 2002,
p. 16.
– , Il primo volo dell’angelo di Diaghilev, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 19 lug. 2002, p. 12.
– , Angeli nel cielo di Bari, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 19 nov. 2002, p. 13.
– , «Dialoghi con l’angelo», un oratorio laico per dire l’indicibile, 22 nov. 2002, p. 14.
– , Il teatro musicale e politico di Giovanni Tamborrino, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia»,
25 giu. 2003, p. 15.
– , Tamborrino: “Porto la musica fuori dai teatri”, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 23 agosto
2003, p. 13.
– , Nell’officina del compositore: Giovanni Tamborrino e il mare, in «Corriere del Mezzogiorno
Puglia», 28 sett. 2003, p. 15.
– , Tamborrino, musica in chiesa per la sacralità della vita, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia»,
28 dic. 2003, p. 19.
– , Tamborrino indaga i suoni del sacro, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 4 giu. 2004, p. 13.
– , Cresce la mappa geosonica di Giovanni Tamborrino, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 12
ott. 2004, p. 21.
– , Tamborrino cerca un nuovo pubblico, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 19 dic. 2004, p. 17.
– , Tamborrino e i “Peccati di vecchiaia” di Rossini, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 5 mar.
2005, p. 15.
– , Le «Ali dir pietra» di Tamborrino a Reggio Emilia volano con l’arte, in «Corriere del Mez-
zogiorno Puglia», 26 ott. 2005 p. 19.
– , Tamborrino: «Il teatro musicale deve tornare umano», in «Corriere del Mezzogiorno Puglia»,
15 nov. 2005 p. 15.
– , Tamborrino e l’opera senza canto alla Fondazione lirica Petruzzelli, in «Corriere del Mezzo-
giorno Puglia», 19 nov. 2005 p. 19.
– , Metto in musica Giovanni Testori. È il mio canto in favore della vita, in «Corriere del Mez-
zogiorno Puglia», 3 feb. 2006, p. 13.
– , Il teatro timbrico spiegato al popolo, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 5 ott. 2006, p. 19.
– , La mia opera tra fede e nuovi linguaggi, in «Corriere del Mezzogiorno Puglia», 21mag. 2008,
p. 21.
TAMBORRINO Giovanni, Marimbaphon, Edizioni Suvini Zeboni, Milano 1994.
–, Il teatro nel sistema timbrico, Besa editrice, Nardò 2006.
VERSIENTI Fabrizio, Tamborrino e le opere senza canto, in Passaggio a Sud-Est. Atlante della vita
musicale pugliese, Laterza Edizioni della Libreria, Bari 2002, pp. 52-57.
286

Discografia

Titolo Direttore/data di registrazione Distribuzione

Studi etnici; L’Oriente e Tamborrino/2009 Videoradio 2009 [VRCD 000754]


l’Occidente dei suoni:
un’accoglienza
Elia Tamborrino/2010 Videoradio 2010
[EAN: 8017419011017]

Opere drammatiche

1. Reputi di Medea, opera senza canto di Teresa Ludovico, Savignano Teatro Moderno
25 marzo 1994.
2. III Riccardo III, opera senza canto di Claudio Morganti, Fiesole Teatro Romano 13
luglio 1995.
3. Gordon Pym, opera senza canto di Francesco Leprino, ME Teatro Savio 10 maggio
1996.
4. Giuseppina la cantante, opera senza canto di Gerardo Guccini, Gioia del Colle Teatro
Rossini novembre 1997.
5. Canti marini 5, spettacolo coreutica-musicale, Gravina 18 luglio 1997.
6. Epos in rock, concerto per attore n. 1 su libretto proprio, Mola di Bari Casa dei
Doganieri 7 febbraio 1999.
7. Ali di pietra, opera senza canto su libretto proprio, MT Parco scultura La Palomba
22 giugno 2002.
8. Dialoghi con l’Angelo, opera senza canto Boris Stetka, Cividale del Friuli Sala Centro
S. Francesco 20 luglio 2002.
9. Il giusto paese dell’isola, opera senza canto su libretto proprio, TA Chiostro di Santa
Chiara 29 settembre 2003.
10. L’anello di Egnazia, opera senza canto di Enzo Quarto, BA Castello Svevo 17
novembre 2005.
11. Elia, opera senza canto di Enzo Quarto, BA Cattedrale 29 maggio 2008 \ Bitonto
cattedrale 2008.
12. Lo sguardo di Abele, opera senza canto di Enzo Quarto, Grottaglie Teatro Monticello
29 gennaio 2009.

Francesco Mazzotta
287

GAETANO TARANTINI
Trani, 21 dicembre 1872 - Napoli, 14 gennaio 1927

Cronologia

1872-1898. Gaetano Tarantini nasce da Domenico e Rosa Verde, gemello di


Leopoldo (cfr. scheda). Il precoce talento musicale lo invita a cimentarsi nella
composizione di brani pianistici (la polka Non più lagrime è la sua prima opera,
datata 1891). Nello stesso anno (1897) in cui a Napoli si laurea in Giurisprudenza,
rimane orfano del padre; in autunno dirige al teatro Comunale di Trani La forza
del Destino di Verdi; da una locandina del 1897 si ha notizia di un dramma lirico
in due atti, Vendetta Veneta, musicato da Tarantini di cui sono perdute le fonti.
Forte dell’agiatezza economica garantita dalle rendite dei latifondi ereditati dopo
la morte del padre, Tarantini abbandona la carriera giuridica per abbracciare
appieno quella di compositore: nel 1898 si trasferisce infatti a Napoli per studiare
in Conservatorio.
1901-1913. L’11 giugno 1901 si sposa con Anita di Lorenzo dalla quale nascerà
Anna il 7 marzo 1902; in quell’anno scrive la sua prima opera, La principessa
di Valdieri (dedicata alla figlia) per presentarla nel 1904 al Primo concorso
internazionale Sonzogno, senza tuttavia sortire alcun successo né una rappresen-
tazione pubblica. Anche la seconda opera Maritana – ma prima in ordine di
composizione (è infatti datata 3-13 luglio 1901 con dedica alla neo-sposa Anita;
le ultime correzioni risalgono al 19 marzo 1904) – non fu ben accolta: il pubblico
del Petruzzelli (14 febbraio 1911) l’applaudì freddamente scorgendovi soltanto un
velleitario tentativo di imitazione wagneriana. Nel 1906 Tarantini abbozzò un’ope-
ra per coro e solisti in quattro atti sul testo dannunziano della Fiaccola sotto il
moggio, ma il progetto non fu portato a termine (restano frammenti del I e del
IV atto). Ben più brillante l’attività di compositore sinfonico, gratificata, nel luglio
1914, del secondo premio al concorso internazionale di musica sinfonica indetto
dal conservatorio di Malmö, con il poema sinfonico Notte fosca e notte insonne
(1910). Un altro poema sinfonico, Impressioni campestri, presentato allo stesso
concorso, si collocò al quarto posto di una seconda premiazione. Negli anni che
precedono la Grande Guerra Tarantini confeziona i lavori sinfonici Il poema del
mare (1911), Acqua dormente e acqua corrente (1913) insieme a un Concerto
romantico per pianoforte e orchestra (1913),
1914-1927. Con l’entrata in guerra dell’Italia Tarantini viene arruolato e si
distingue con una Croce di guerra al valor militare (consegnata a Roma il 7 febbraio
1926) che lo premia per l’impegno profuso sul fronte di Polcenico, strategico per
la riconquista di Trieste. Nel febbraio 1914 aveva terminato nella sua nuova
residenza di Posillipo la tragedia Rosmunda mai rappresentata a causa delle forti
divergenze insorte con il librettista Sem Benelli che aveva ceduto i diritti di
288

rappresentazione a Carlo Parinello (autore di un omonimo titolo nel 1917). Non


approdò alla prova del palcoscenico neppure l’ultima fatica teatrale, Kin-Fo, opera
comica tratta dalle Tribolazioni di un Chinese in China di Jules Verne su libretto
dei fratelli Cantoni (terminata nell’estate 1922).
Il 14 gennaio 1927 Tarantini muore a Posillipo lasciando i manoscritti musicali
alla figlia Anna che nel 1983 li ha donati alla Biblioteca «Giovanni Bovio» di
Trani. Questo materiale ha conosciuto nel 2007 una catalogazione completa ed
è facilmente accessibile agli studiosi.

Bibliografia
(IBI, ES, SCHMIDL, STIEGER)

CANTONI Ettore, Vita a rovescio, a cura di Silvia Acocella, Salerno, Roma 2002 (cfr. prefazione).
DE SIMONE Maria Rosaria, Gaetano Tarantini: la vita, le opere, Amaltea, Castrignano de Greci 1997.
–, Catalogo a stampa della donazione musicale “Gaetano Tarantini” custodita presso la Biblioteca
Comunale “G. Bovio” di Trani, A.C.M. editore, Roma 2007.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Società di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 283-284.

Opere drammatiche

1. Vendetta Veneta, dramma lirico in due atti, Trani teatro comunale 15 febbraio 1897.
2. Maritana, opera in tre atti di Enrico Golisciani, 3-13 luglio 1901 ma prima
rappresentazione BA Petruzzelli 14 febbraio 1911 (libretto, partitura e riduzione pianistica
in I-TRN*).
3. La principessa di Valdieri, atto unico con introito di Enrico Golisciani, 12 marzo-17
aprile 1902 non rappresentata (libretto, partitura e riduzione pianistica in I-TRN*).
4. La fiaccola sotto il moggio, opera per coro e solisti in quattro atti da Gabriele D’Annunzio,
1906-1907, incompiuta (partitura in I-TRN*).
5. Rosmunda, tragedia in quattro atti di Sem Benelli, 1914 non rappresentata (libretto,
partitura e riduzione pianistica in I-TRN*).
6. Kin-fo, opera comica in tre atti di Ettore Cantoni, 1922 non rappresentata (libretto,
partitura e riduzione pianistica in I-TRN*).

Lorenzo Mattei
289

LEOPOLDO TARANTINI
Trani, 21 dicembre 1872 - Napoli post 1910

Cronologia

Fratello gemello di Gaetano (cfr. scheda), studiò al conservatorio di Napoli con


Vincenzo Romaniello (pianoforte) e Paolo Serrao (composizione). Le sue opere
Manuel Garcia e Marion Delorme ebbero un discreto successo. Compose, inoltre,
il ballo teatrale Il Sindaco di Lebonnard (Napoli 1903), il poema inedito Terramadre
in tre atti su libretto di Carlo Zangarini, una Messa di gloria e diversi brani da
camera.

Bibliografia

(IBI, ES, SCHMIDL, STIEGER)

DE SIMONE Maria Rosaria, Gaetano Tarantini: la vita, le opere, Amaltea, Castrignano de Greci 1997.
–, Catalogo a stampa della donazione musicale “Gaetano Tarantini” custodita presso la Biblioteca
Comunale “G. Bovio2 di Trani, A.C.M. editore, Roma 2007.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Società di storia
patria per la Puglia, Tricase 1990.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 283-284.

Opere drammatiche

1. Manuel Garcia, opera in quattro atti di Enrico Golisciani, NA Sannazzaro 19 dicembre


1904 \ Trani Comunale febbraio 1909 (libretto in I-Nc, I-Vgc).
2. Marion De Lorme, dramma lirico in quattro atti di Antonio Menotti Buja, Trani
Comunale 25 gennaio 1910 (libretto in I-Vgc).

Antonio Caroccia
290

GIOVANNI TAURO
Castellana (BA), 1831 - Bari, 1910

Di questo autore – che fu ardente patriota e cospiratore rinchiuso dalle truppe


borboniche nel carcere napoletano di Santa Maria Apparente – ignoriamo la quasi
totalità dei dati biografici. È possibile ipotizzare che la sua formazione musicale
sia avvenuta nel Conservatorio di Napoli. La sua attività di compositore, non
prolifica, è attestata da inni patriottici e dall’unica opera, rimasta inedita e non
rappresentata, Arrigo II d’Inghilterra, che tuttavia venne apprezzata da Mascagni
che probabilmente ebbe modo di udirla in riduzione pianistica (Sorrenti nel 1966
attestava che la partitura di questo melodramma era in possesso degli eredi).

Bibliografia

SESSA Andrea, Il melodramma italiano: 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,


Olschki, Firenze 2005, p. 464.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 286.
VITERBO Michele, Castellana nel Risorgimento nazionale, Stab. Tip. Pasini, Bari 1910.
–, La morte di un benemerito patriota. Giovanni Tauro, in «Giornale d’Italia», 6 gennaio 1911.
–, Tipi e figure meridionali. Giovanni Tauro, in «Rivista del Sud», 15 febbraio 1911.

Opere drammatiche

1. Arrigo II d’Inghilterra, tragedia lirica in quattro atti su libretto proprio, 1901, non
rappresentata (libretto in I-Nc).

Antonio Caroccia
291

UMBERTO TUCCI
Foggia, marzo 1901 - ivi, post 1966

Cronologia1

Umberto Tucci intraprese lo studio del violino all’età di undici anni “con una
passione ritenuta straordinaria” e, dopo una forzata interruzione in adolescenza
dovuta a “tristi vicende”, riprese a dedicarsi al suo strumento all’età di diciotto
anni. Proseguì gli studi musicali presso il Conservatorio di Roma diplomandosi
in Violino e Viola e trasferitosi a Bologna si perfezionò nei primi anni ’20 presso
l’allora Liceo Rossini sotto la guida del maestro Federico Barera (illustre didatta
appena invitato presso l’istituto bolognese da Franco Alfano, violinista, futuro
animatore del Nuovo Quartetto Bolognese e accademico filarmonico di Bologna);
qui consegue il diploma in strumentazione per banda. A Bologna Tucci ottenne
pure il diploma di insegnante presso la Regia Accademia e a quel medesimo
periodo risale una occorrenza concertistica che gli valse le lodi sincere del violinista
Arrigo Serato (Bologna, 7 novembre 1877 - Roma, 27 dicembre 1948) figlio del
celebre violoncellista Francesco.
1922-1925. Viene chiamato a reggere la cattedra di Violino e di Viola presso
il Liceo Musicale «Umberto Giordano» di Foggia e più tardi a Manfredonia diresse
la Scuola per strumenti ad arco dove tra i suoi migliori allievi ebbe Cherubino
Salvatore Murgo (Manfredonia, 24 dicembre 1879 - ivi, 5 gennaio 1962). Nel
corso degli anni ‘20 prese parte più volte al Concorso Internazionale di Composizioni
musicali indetto dall’Ufficio Musicale «N. Salzano» di Nocera Inferiore e dette
vita a Foggia alla Scuola d’Archi «Giuseppe Verdi» e alla «Società del Trio». La
città di Foggia gli tributò un gratificante successo a seguito della rappresentazione
dell’operetta La Signorina dattilografa avvenuta presso il Cinema Dante nel
marzo del 1926 con la Compagnia d’Operetta città di Roma.
1932-1940. Risale al ’32 la pubblicazione per i tipi fiorentini dell’Unione Musicale
Italiana di una Serenata per violino e pianoforte, offerta in omaggio al Maestro
Amleto Zucchi, allora Direttore del Conservatorio di Bologna. Tra il 1933 ed il
1939 Tucci diresse molte bande italiane, tra cui quelle di Foggia, di Manfredonia,
di San Giovanni Rotondo, la banda filarmonica “Giuseppe Verdi” di Revere (MN)
della quale fu direttore stabile alla fine degli anni ’30 e quella di Fiuggi.
1941-1946. Diventa direttore del «Complesso di strumenti a fiato della R.A.I.
di Roma», il solo ensemble dell’immediato dopoguerra ad essere stabilmente
impegnato in regolari trasmissioni radiofoniche presso la stazione Radio di Roma,
che ebbe grande successo di critica e incontrò vivo favore tra gli appassionati;

1
Ringrazio la prof.ssa Lilly Carfagno per avermi cortesemente inoltrato lo scritto comparso nel «Corriere
internazionale della musica» celebrativo dei 60 anni del compositore.
292

costituitosi nel 1946, il Complesso era inizialmente formato da 23 strumentisti,


nel quale figuravano tra gli altri i solisti Ottavio Basile (clarinettista), Giorgio
D’Angelo (flicorno), Urso, allora trombettista solista della Banda dei Carabinieri
e Severino Gazzelloni, all’epoca già flautista solista dell’orchestra sinfonica della
R.A.I.. Le trasmissioni speciali alle quali prese parte Tucci con il suo ensemble
furono “Festa al paese”, “Festa in Caserma” e “Gare bandistiche”. Tucci fu autore
in quegli anni di diverse Marce sinfoniche e di musica per banda e orchestra
(Scherzando col Clarinetto e Rossiniana), di composizioni per organici di consumo
cameristico (la mazurka brillante Maria Teresa pubblicata dalle casa editrice
Fonos di Bologna nel 1949 ed altre composizioni per le edizioni Southern Music
di Milano e Fonoritmi nel 1957) nonché promotore attraverso il suo complesso
di nuove composizioni per banda di autori contemporanei, fra i quali Vezzosi,
Mileno e Musone, autore della virtuosistica Mazurka variata per clarinetto e
orchestra banda.
Il repertorio allora privilegiato da Tucci e dal suo complesso escludeva
trasposizioni bandistiche di composizioni sinfoniche ed era dedicato a marce
perlopiù militari, «ballabili caratteristici e appropriati intermezzi, pezzi di bravura
eseguiti da valorosi solisti».
All’epoca dell’intervista rilasciata per il «Risveglio bandistico», rivista mensile
di arte e cultura bandistica fondata a Roma nel 1947 e diretta da Francesco
Pellegrino e dal maestro Giovanni Orsomando, sensibilmente interessata alle
vicissitudini del gruppo della R.A.I. e del repertorio eseguito con esplicite ingerenze
nell’ampliamento dell’organico, Tucci aveva dichiarato la sua intenzione di
approntare per banda «delle fantasie di canzoni e melodie popolari regionali».
1955-1966. Intorno al 1956 Tucci animò presso la RCA un “Sestetto Caratteristico”
con il quale effettuò circa trenta incisioni discografiche di canzoni di propria
composizione e di altri autori, commercializzate anche in Spagna e negli Stati Uniti
(nel 1956 gli album Ricordi e Campagnola incisi con la sua orchestra). È verosimile
che a questo periodo risalgano alcune collaborazioni con Pino Rucher. Tucci si
dedica alla musica leggera e popolare continuando ad incidere per la “Vis Radio”
e la “Consorti” con un Complesso Caratteristico e uno Tipico da Ballo. La sua
produzione è stimata in oltre 200 composizioni per orchestra, banda, violino e
pianoforte; tra i brani di genere leggero di maggiore successo si ricorda il suo
Capriccio ungherese per violino e orchestra, la cui prima radiofonica, avvenuta
il 27 luglio del 1954, ebbe una certa risonanza internazionale.

Bibliografia

Album cenni biografici dei compositori, maestri e solisti contemporanei, Ufficio Musicale “N.
Salzano” di Nocera Inferiore, Tipografia Orlando, 1928, a cura di Salvatore Pucci, pp. 47-48.
ANESA Marino, Dizionario della musica italiana per banda e gruppi di fiati. Biografie dei compositori
e catalogo delle opere dal 1800 al 1945, con prefazione di Roberto Leydi, Gazzaniga, Bergamo
2004.
BELLUCCI Mario, Lira musicale di Manfredonia: musicisti del passato e del presente, Centro studi
Michele Bellucci, Albano Laziale 1966.
«Il foglietto: cronaca settimanale» articoli: Il concerto del violinista Tucci, Anno 30, n. 2290 (12
maggio 1927), p. 2 [Concerto tenuto presso il Cinema Dante]; Il concerto della Giordano
all’Università popolare, Anno 28, n. 2221 (31 dicembre 1925), p. 3 [Cooperativa musicale
293

Umberto Giordano]; Cronaca teatrale: Cronaca di Foggia, Anno 29, n. 2232 (18 marzo 1926),
p. 3 [Sulla prima della Signorina Dattilografa, Compagnia d’Operetta città di Roma]; L’8° Concerto
della Giordano, Anno 29, n. 2222 (7 gennaio 1926), p. 3; Nella scuola di musica G. Verdi, Anno
30, n. 2297 (30 giugno 1927), p. 3; Nella scuola di musica Umberto Giordano, Anno 29, n. 2252
(5 agosto 1926), p. 3; Nuovo attestato al prof. U. Tucci, Anno 29, n. 2224 (21 gennaio 1926),
p. 3; Piedigrotta pugliese, Anno 29, n. 2254 (26 agosto 1926), p. 3; Il saggio pianistico della
scuola Sartorio al Dauno, Anno 27, n. 2146 (29 giugno 1924), p. 3; La scuola di musica
Giuseppe Verdi, Anno 30, n. 2286 (7 aprile 1926), p. 5; La signorina dattilografa di Umberto
Tucci, Anno 29, n. 2230 (4 marzo 1926), p. 3 [Prima avvenuta presso il Cinema Dante].
«Risveglio bandistico», articoli: La R.A.I. e il suo complesso di strumenti a fiato, Anno I, n. 12 (15
febbraio 1947), p. 4; Nostra intervista con il Maestro Umberto Tucci, in «Risveglio bandistico»,
Anno III, nn. 6-7 (15 agosto 1948), pp. 14-15 [Intervista concessa il 5 agosto 1948].
Per il violinista U. Tucci: un giudizio del M. Serato, ne «Il rinnovamento: politico, amministrativo,
giudiziario» Anno 12, n. 49 (2 dicembre 1923), p. 4 [Attestazione di merito riconosciuta al
concittadino Umberto Tucci]
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 302.

Altri articoli su Tucci: Auguri al Mo Umberto Tucci, in «Corriere internazionale della musica», Anno
XVII, n. 177, marzo 1961; «La Tribuna del Popolo», Sabato 19 ottobre 1946; «Foggia Sport», 15
marzo 1956; «Musica e dischi», Anno X n. 97, Ottobre 1954.

Opere drammatiche

1. La signorina dattilografa, operetta in tre atti n.n., FG Cinema Dante marzo 1926.

Daniele Buccio
294

VINCENZO VALENTE
Molfetta (BA), 11 novembre 1830 - ivi, 20 ottobre 1908

Cronologia

Vincenzo Valente nasce a Molfetta l’11 novembre 1830 da Gaetano e Maria


Giuseppe Introna. Si trasferisce a Napoli per approfondire gli studi musicali presso
il Conservatorio «San Pietro a Majella» dove ha come insegnanti Saverio
Mercadante, Paolo Serrao e Luigi Albanese. Durante gli anni napoletani si allinea
su posizioni antiborboniche e liberali che lo spingono nel 1860 ad arruolarsi
nell’esercito garibaldino come Guardia a cavallo. Tornato a Molfetta e fresco di
studi, compone Roberta de’ Gherardini, opera seria in tre atti su libretto di suo
fratello Pasquale. Non corretto è invece quanto riportato da Peruzzi [PERUZZI 1931]
da Sorrenti [SORRENTI 1966] i quali descrivono l’opera come divisa in quattro atti.
L’opera viene rappresentata nel 1865 al Teatro Comunale di Molfetta e nello stesso
anno al Teatro Comunale di Pinerolo (TO) con le importanti partecipazioni del
tenore Ercole Pizzioli, del mezzosoprano Cornelia Pavoncelli e del baritono
Giovanni Valle, quest’ultimo noto anche per aver da poco pubblicato Cenni teorico-
pratici sulle aziende teatrali, un saggio interessante in cui si analizzano le diverse
normative contrattuali che legano i diversi protagonisti del mondo teatrale agli
impresari. In occasione della rappresentazione piemontese viene anche stampato
il libretto per i tipi di Giuseppe Chiantore, finora unica testimonianza dell’opera
essendo la partitura conservata in collezione privata e non consultabile. I mesi
successivi lo vedono impegnato nella promozione di questa sua prima fatica
operistica a Milano e a Verona ma difficoltà di tipo economico non gli consentono
le sperate rappresentazioni in quelle città. Deluso, torna a Molfetta dove assume
la direzione dell’orchestra del Teatro Comunale e della banda cittadina. Lasciata
ogni velleità operistica, Valente si dedica soprattutto alla composizione di musica
sacra e di trascrizioni bandistiche. Grande risonanza ha la composizione di un Inno
composto nel 1885 ed eseguito con la sua direzione da ben cinque bande in
occasione del centenario della traslazione nella nuova cattedrale settecentesca
delle spoglie di San Corrado, patrono di Molfetta. Di particolare interesse, inoltre,
risultano le sette marce funebri per banda che inaugurano una tradizione in cui
si cimenteranno negli anni successivi numerosi altri suoi concittadini, da Giuseppe
Peruzzi a Saverio Calò, da Vito Lucivero a Giuseppe De Candia e Francesco
Peruzzi, creando un modello musicale che presto verrà esportato anche nelle aree
limitrofe e che rappresenta ancor oggi uno dei generi peculiari della tradizione
bandistica pugliese. In quegli anni compone l’oratorio Maria Desolata di cui
purtroppo si sono conservate solo poche parti corali. Muore a Molfetta il 20 ottobre
1908.
Valente può essere considerato l’iniziatore della scuola molfettese che a cavaliere
tra l’800 e il 900 animò la vita teatrale della città con la produzione di numerose
295

opere e oratorii e che resero Molfetta una delle principali piazze culturali del
Mezzogiorno d’Italia.
Il debito dei musicisti molfettesi nei confronti di Valente fu riconosciuto
pubblicamente da Francesco Peruzzi [PERUZZI 1931] che in occasione della sua
commemorazione funebre lo definì «maestro dei maestri compositori contemporanei
molfettesi». Difficile è però la restituzione dell’effettivo valore operistico vista
la perdita di un gran numero di parti dell’oratorio Maria desolata e la temporanea
non fruibilità della partitura di Roberta de’ Gherardini.
Di quest’ultima si possono comunque avanzare ipotesi latamente stilistiche
attraverso un’analisi del libretto conservato presso la Biblioteca Comunale «G.
Panunzio» di Molfetta. I due fratelli Valente avevano scritto l’opera immediatamente
dopo la fine della campagna garibaldina nel Mezzogiorno d’Italia e l’importanza
di questo evento a cui Vincenzo aveva partecipato personalmente non poteva non
lasciare importanti segni nella genesi della trama. Roberta de’ Gherardini è infatti
ambientata nella Firenze del 1260 dilaniata dalle lotte tra guelfi e ghibellini.
Ubaldo de’ Gherardini, podestà guelfo di Firenze e padre di Roberta e Raimondo,
è spinto controvoglia dal perfido Everardo degli Abati a muovere guerra contro
Siena e al contempo ad emanare una legge per cui sarebbe stato punito con la morte
chiunque avesse dato asilo ad un ghibellino (ma tale atto è un pretesto per
conquistare Roberta, promessa sposa del valente Jacopo dei Pazzi). La situazione
però precipita: Roberta per obbedienza paterna accetta di sposare Everardo ma poi
decide di ingerire un potente veleno morendo tra le braccia del padre; Ubaldo,
disperato e braccato dal popolo che nel frattempo era venuto a conoscenza
dell’accoglienza al ghibellino Raimondo, si dà la morte con un pugnale.
Non è difficile intravedere nel libretto una sentita denuncia della negatività della
guerre civili, capaci di dilaniare irreparabilmente famiglie e città. Il rimando all’Italia
del tempo, divenuta nazione unita dopo anni di guerre, è continuamente adombrato
e diviene esplicito ad esempio nei seguenti versi in cui Roberta esorta Jacopo a
considerare anche i nemici quali figli d’Italia: «Nel bollor di pugna orrenda / sii
guerrier ma generoso/mai disio al cor ti scenda / di vendetta, o nimistà/[…] Son
d’Italia figli ancora/lo rimembra o pro’ guerriero; / li risparmia e il ciel allora/la
vittoria ti darà» (Atto I scena IV) o nei versi di Ubaldo «Un dì verrà che gl’Itali/
accolga una bandiera; e allor Regina e altiera/l’Italia diverrà» (Atto I scena V). Da
un punto di vista metrico Pasquale Valente costruisce un libretto omogeneo, basato
su endecasillabi, settenari e ottonari spesso in rima baciata e su una ripartizione tra
arie e recitativi suddivisi seguendo le consuetudini drammaturgiche dettate dalla
“solita forma”. Si può pertanto presumere che il linguaggio musicale di Vincenzo
Valente dovesse seguire l’alveo della tradizione melodrammatica di primo Ottocento,
non diversamente dalla tradizione stilistica del primo Verdi e del suo maestro
Mercadante.

Bibliografia
FONTANA Aldo, Molfetta. Raccolta di notizie storiche. Galleria degli uomini illustri, Angelo Alfonso
Mezzina, Molfetta 1965.
–, Il genio musicale molfettese. Il teatro a Molfetta, La banda musicale, 1966, pp. 15, 35 dattiloscritto
in I-MFc.
296

PERUZZI Francesco, Maestri compositori e musicisti molfettesi, Picca e figlio, Molfetta 1931.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 304-305.

Opere drammatiche e oratorii

1. Roberta de’ Gherardini, melodramma su libretto proprio, Molfetta teatro Comunale


1865 \ Pinerolo (TO) teatro Comunale 1865 (libretto I-MFc, mutilo in I-BApdg; partitura
collezione privata*).
2. Maria Desolata, oratorio n.n., Molfetta s.d. (parti I-MFad*).

Fedele De Palma
297

NICOLA (NICCOLÒ) VAN WESTERHOUT


Mola di Bari (BA), 17 dicembre 1857 - Napoli, 21 agosto 1898

Cronologia

1857-1882. Nicola van Westerhout, figlio del maestro di musica Onofrio Napoleone
e di Teresa Montini, nasce a Mola di Bari, città in cui un’epigrafe posta in via
Morgese ancora oggi commemora l’abitazione che gli diede i natali. Numerosi
studiosi, tratti forse in inganno da cenni autobiografici contenuti in una sua lettera
al librettista Arturo Colautti, hanno collocato la nascita nel 1862 (cfr. INCAGLIATI
1913, SCHMIDL 1928, PANNAIN 1952, STIEGER 1975-83, AMBIVERI 1998); l’atto di
nascita risale invece al 1857 (cfr. GIOVINE 1968).
Avviato precocemente allo studio del pianoforte, Nicola compone già all’età di
tredici anni una Ouverture per il Giulio Cesare di Shakespeare. Compie gli studi
liceali a Mola e a Monopoli, mentre per quelli musicali è affidato dal padre a
un ignoto maestro di armonia molese, allievo di Lauro Rossi, che lo giudica privo
di talento (cfr. UVA 1964, SORRENTI 1966). Dopo una diatriba che appassiona la
cittadina, e in cui Nicola si distingue musicando un testo ritenuto assai ostico (a
giudice viene interpellato Nicola De Giosa), il Comune di Mola delibera
l’assegnazione di una “piazza gratuita” presso il Collegio di «San Pietro a Majella».
Nel 1874 si trasferisce quindi a Napoli per studiare privatamente contrappunto col
barese Nicola De Giosa in preparazione all’ammissione all’istituto napoletano;
dopo il superamento di un esame di armonizzazione di un basso può quindi
studiarvi con Nicola d’Arienzo e Lauro Rossi, seguendo al contempo i corsi di
estetica tenuti da Antonio Tari all’Università. Secondo Pannain, nonostante sia uno
dei migliori musicisti vissuti a Napoli a fine Ottocento, incontra l’ostilità degli
accademici del Conservatorio, fra i quali spicca Rocco Pagliara «bibliotecario e
despota» (cfr. PANNAIN 1952, p. 155). Vivrà nella capitale partenopea per il resto
della vita, assieme al fratello Vincenzo e alla sorella Rosa, tornando a Mola
periodicamente per trascorrervi i soggiorni estivi.
Benché sempre in ristrettezze economiche e di salute assai precaria, “Niccolò”
– come usava farsi chiamare a Napoli, e come firmò tutte le sue composizioni –
si fa apprezzare nei salotti e nei circoli intellettuali della città. Fra gli amici e
i compagni di studi vanno menzionati Camillo de Nardis, Emanuele Gianturco,
Arturo Colautti, Giulio Massimo Scalinger, Saverio Procida, e infine il già citato
esteta Antonio Tari, che conia per lui l’epiteto di ‘Niccolò Orfico’. Inoltre in più
occasioni d’Annunzio, ospite del salotto di casa van Westerhout, lo ascolta suonare
trascrizioni wagneriane al pianoforte, traendone ispirazione per il completamento
del Trionfo della morte (cfr. GUARNIERI CORAZZOL 2000, p. 156).
1883-1892. Compone Tilde su libretto di Golisciani per il Teatro Bellini, mai
rappresentata e andata perduta (non c’è uniformità nella datazione di quest’opera,
poiché non ne sono rimaste tracce: RENEO propone il 1878, STIEGER il 1883,
298

CORSANO-MARRI-RAUSA il 1893). Nel 1883 van Westerhout comincia a pubblicare


pagine pianistiche e romanze per voce e pianoforte per i tipi di Ricordi. Nell’86
lavora al Cimbelino, di argomento shakespeariano e libretto dello stesso Golisciani,
in cui impiega materiale di una precedente opera lasciata incompiuta, Una notte
a Venezia. Secondo Massimeo Cimbelino sarebbe stata inizialmente intitolata
Imogene, dall’eroina eponima; Sorrenti e poi Sessa sostengono invece che Imogene
è un distinto melodramma incompiuto. Ricordi propone l’opera per il San Carlo,
tuttavia una serie di contrasti con l’impresario del teatro napoletano impedisce che
vada in scena. Essa viene rappresentata dapprima in forma privata a Napoli nel
1887, poi al Teatro Argentina di Roma nel 1892. Il rapporto con la casa editrice
milanese si deteriora in quanto van Westerhout, inesperto dei complessi meccanismi
impresariali, vorrebbe promuovere per proprio conto le sue creazioni presso i teatri
(gli riuscirà solo per Doña Flor, di fatto commissionata dal Comune di Mola);
d’altra parte Giulio Ricordi matura il convincimento che il musicista sia un
raffinato compositore di musica strumentale, ma che non sia altrettanto dotato per
il teatro (cfr. TRIPALDI 2007, p. 112). Per il successivo Fortunio, van Westerhout
trova un nuovo editore in Sonzogno, ma anche in questo caso il rapporto non dura
a lungo, e la successiva opera, Doña Flor, verrà pubblicata nuovamente da Ricordi
(si tratta sempre di libretti e di riduzioni per canto e pianoforte).
1891-1898. Dal 1891 van Westerhout avvia un fitto carteggio con Vito de Stasi,
sindaco di Mola, amico e mecenate, cui confida difficoltà professionali e ristrettezze
economiche. De Stasi, per favorire la carriera del giovane, fa sì che il Comune
gli commissioni un’opera per l’inaugurazione del teatro cittadino. Tuttavia,
impegnato nel problematico allestimento del Fortunio, previsto per la Scala ma
in seguito spostato al Lirico di Milano, van Westerhout rimanda più volte la
scrittura dell’opera molese, adducendo come scusa il ritardo del librettista Colautti,
e sostenendo di volerlo sostituire con Scalinger. Colautti infine produce il libretto:
Doña Flor reca la dedica «a Mola mia città nativa», e la sua messa in scena
costituisce un evento memorabile per la cittadina adriatica e per il suo piccolo
teatro, che viene intitolato al compositore. Le due recite molesi, seguite dalle
repliche al Piccinni di Bari, richiameranno sul posto non solo orchestrali napoletani
e baresi, ma anche critici e giornalisti da tutt’Italia. Nel 1897 van Westerhout
ottiene per chiara fama la cattedra di Armonia al Conservatorio di Napoli. L’anno
successivo muore a seguito di una peritonite. Lascia incompiuta l’opera Colomba,
strumentata poi da Leopoldo Tarantini e rappresentata nel 1923 al San Carlo per
interessamento di quella cerchia di intellettuali che avevano accolto e stimato il
compositore, in particolare di Matilde Serao.
La famiglia van Westerhout annovera altri compositori, fra i quali si ricordano
principalmente Onofrio (1740-1832; cfr. Operisti di Puglia, vol. I, p. 161), primo
musicista della famiglia, maestro di cappella della cattedrale di Monopoli, formatosi
alla scuola di Insanguine, e Vincenzo (1853-1926), fratello del Nostro, insegnante
di musica a Napoli, autore di pezzi per pianoforte, che si occupa, dopo la morte
prematura di Niccolò, di curare gli allestimenti postumi delle sue opere e le
edizioni dei lavori strumentali. Contrariamente a quanto asserisce Uva, Onofrio
Napoleone (1810 ca.-1880 ca.), padre di Niccolò, non era giunto in Puglia al
seguito di Murat ma era anch’egli nato a Mola; i fiamminghi van Westerhout infatti
si erano insediati nel barese nella seconda metà del Seicento. Il capostipite Enrico,
299

nato probabilmente attorno al 1663 e di professione maestro argentiere, era emigrato


da Anversa stabilendosi prima a Bari, poi a Monopoli. Sarà Nicola, nonno di
Niccolò, anch’egli maestro di musica, a trasferirsi a Mola, avviando col primogenito
Onofrio Napoleone il ramo molese della famiglia (cfr. MASSIMEO 1985, pp. 23-28).

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Coetaneo di Puccini e Martucci, nella sua produzione musicale van Westerhout


rispecchia il vivace clima culturale partenopeo del secondo Ottocento. Influenzato
dal neoidealismo della cerchia intellettuale raccolta attorno ad Antonio Tari, viene
a contatto con i diversi orientamenti musicali che emergono in città: da una parte
il nascente interesse per l’antico, manifestato da Lauro Rossi (direttore del Con-
servatorio «S. Pietro a Majella» dal 1871 al 1878) con le trascrizioni ed esecuzioni
di Frescobaldi e Janequin; dall’altra la fioritura di una scuola pianistica che,
inaugurata da Sigismund Thalberg (1812-1871) e portata avanti dal suo successore
Beniamino Cesi (1845-1907), si diffonde in tutt’Europa; infine l’affacciarsi di una
nuova tendenza che, basata inizialmente sull’attività di alcuni cenacoli aristocra-
tici (Società Filarmonica e Società del Quartetto) svolge una funzione di divul-
gazione e internazionalizzazione della cultura artistica napoletana. Un fervore
culturale di cui Giuseppe Martucci, primo direttore in Italia del Tristano (Bologna
1888), è un rappresentante esemplare.
Van Westerhout vive appieno questo clima, avvalendosi degli esiti più alti del
sinfonismo tedesco e del wagnerismo e accogliendo tratti del contemporaneo
linguaggio francese, in particolare di Bizet e Massenet. Significative a tal proposito
sono alcune sue dediche: rispettivamente a Cesi e a Brahms le due Sonate, a
d’Annunzio la raccolta di Insonnii per pianoforte. Le scelte dei soggetti per i
melodrammi mettono ulteriormente in luce un’inclinazione per l’arcaismo, l’eso-
tismo, il simbolismo, il decadentismo tipici del periodo. La passione per Shake-
speare, già manifestata negli anni giovanili pugliesi con l’Ouverture per il Giulio
Cesare, viene confermata nell’opera d’esordio Cimbelino (da Cymbeline, King of
Britain) su libretto di Golisciani. Tratto da Gautier è invece il Fortunio, su libretto
di Scalinger: un soggetto caro all’intellettuale napoletano, che conduceva un
omonimo periodico culturale. Nel Fortunio emergono con la massima evidenza
motivi venati di esotismo, in particolare nell’aria della serva giavanese: come
indica lo stesso autore «la musica di questo pezzo è imitata da un’Aria indiana,
pubblicata nel Catalogue of Indian Musical Instruments, del colonnello P.T.
French» (cfr. Fortunio, riduzione per canto e pianoforte, Sonzogno, p. 139). La
critica dell’epoca è in genere concorde nel metterne in luce una certa debolezza
drammaturgica dovuta anche all’infelice scelta del soggetto: l’esile traccia narra-
tiva di Gautier poco si presta ad una realizzazione scenica in tre atti.
Maggior fortuna van Westerhout ha con l’atto unico Doña Flor, ispirato ad una
novella di Mérimée e ambientato in un’aristocratica e plumbea Venezia del Seicento,
in cui il dramma della gelosia e del tradimento viene reso mediante una scansione
più incalzante e una più equilibrata gestione dei leitmotive. Così come nel precedente
Fortunio, l’interesse per il color locale si esplica fra l’altro in una Seguidilla e
una Habanera di stampo bizetiano; nell’Atto II è presente invece un raffinato
arcaismo: il Sonetto di Alvise, dal sapore settecentesco, mozartiano. L’opera è stata
300

ripresa in numerose occasioni e ha conosciuto anche una rappresentazione all’estero


(Breslavia, Teatro dell’Opera, ottobre 1900).
Fino a non molti anni fa la recezione dell’autore molese si concentrava su
Doña Flor e in generale sulla produzione operistica. Studi sviluppatisi dagli
anni ’80, e recenti incisioni discografiche, hanno suscitato un nuovo interesse
per la vasta produzione pianistica, cameristica e sinfonica. Da ricordare in
particolare il Concerto per violino e orchestra del 1884, uno dei rari esempi
di questo genere in Italia dopo l’insuperato modello brahmsiano (cfr. MOLITERNI
1994, p. 558), e le due Sinfonie del 1881 e del 1898 (incompiuta). Ai suoi
tempi van Westerhout era infatti apprezzato soprattutto per la musica strumentale,
mentre la vocazione teatrale fu accompagnata da alterne vicende, e suscitò
reazioni discordanti. L’infelice carriera operistica sembra quindi legata da una
parte alla scelta di libretti inadeguati, dall’altra alla difficile conciliazione delle
due anime della melodrammaturgia westerhoutiana, che oscilla incerta fra un
costruttivismo di stampo tedesco e una non robusta istintualità melodica. Le
raffinate scelte stilistiche del compositore non trovano largo consenso al di fuori
di un pubblico di intellettuali attirati da una poetica estetizzante, e a stento
si accordano con gli orientamenti veristi emergenti: l’impronta neoidealistica
della cerchia napoletana che lo ha accolto e formato ne condiziona le scelte,
che volentieri virano sui preziosismi dell’estetismo decadente, indirizzandolo
tuttavia verso una non comune ricercatezza del linguaggio armonico, aperta a
stilemi europei d’avanguardia e unita ad una sapiente scrittura orchestrale.

Bibliografia

(DEUMM, ES, IBI, MGG, NG2001, NGO, SCHMIDL, STIEGER)

AMBIVERI Corrado, Operisti minori dell’Ottocento italiano, Gremese, Roma 1998, p. 157.
BRUGNOLI Attilio, La musica pianistica italiana dalle origini al ‘900, Paravia, Torino 1932, p. 98.
CAFARO Pasquale, Niccolò van Westerhout, in «Rassegna Pugliese di Scienze Lettere e Arti», XXIX/
27, 1912, pp. 331-332.
CARLI BALLOLA Giovanni, Niccolò van Westerhout, in «Piano Time», n. 93, 1990, p. 22.
CASELLI Aldo, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Olschki, Firenze 1969, pp. 496-497.
DE MARTINO Pier Paolo, Napoli musicale fin de siècle nelle pagine di «Fortunio», in Napoli
musicalissima. Studi in onore di Renato Di Benedetto a cura di Enrico Careri e Pier Paolo De
Martino, LIM, Lucca 2005, pp. 211-233.
DE NATALE Marco, Considerazioni su N. van Westerhout, «Rassegna Musicale Curci», XVIII, settembre
1964, pp. 18-20.
DI BENEDETTO Renato, La musica a Napoli nell’Ottocento, in Storia e civiltà della Campania.
L’Ottocento, a cura di Giovanni Pugliese Carratelli, Electa, Napoli 1995, p. 383.
–, La cultura musicale, in Letteratura e cultura a Napoli tra Otto e Novecento, Atti del Convegno
di Napoli, 28 novembre - 1 dicembre 2001, a cura di Elena Candela, Liguori, Napoli 2001, pp.
34-35.
GIOVINE Alfredo, Nicola van Westerhout e i suoi antenati, in Musicisti e cantanti di Terra di Bari,
Archivio delle Tradizioni Popolari Baresi, Bari 1968, pp. 35-41.
GUARNIERI CORAZZOL Adriana, Sensualità senza carne. La musica nella vita e nell’opera di d’Annunzio,
il Mulino, Bologna 1990, pp. 148-149.
–, Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, Sansoni, Milano 2000, p. 156.
INCAGLIATI Matteo, Figure meridionali d’altri tempi, R. Carabba editore, Lanciano 1913, pp. 63-70.
MANFERRARI Umberto, Dizionario Universale delle opere melodrammatiche, III, Sansoni, Firenze
1955, pp. 409-410.
301

MARTINOTTI Sergio, Ottocento strumentale italiano, Forni, Bologna 1970, pp. 168, 465, 471.
–, Ricognizione del pianismo del secondo Ottocento di area meridionale, in Alessandro Longo:
l’uomo, il suo tempo, la sua opera, Atti del Convegno internazionale di studi, Amantea, Arcavacata
di Rende, 9-12 dicembre 1995, a cura di Giorgio Feroleto e Annunziato Pugliese, Istituto di
bibliografia musicale calabrese, Vibo Valentia 2001, pp. 101-102.
MASSIMEO Angelo, Niccolò Van Westerhout. Epistolario-Testimonianze, Laterza, Bari 1985.
MOLITERNI Pierfranco, La cittadella della musica, in Storia di Bari nell’Ottocento, a cura di Michele
Dell’Aquila e Biagio Salvemini, Laterza, Bari 1994, pp. 558-559.
PANNAIN Guido, Ottocento musicale italiano, Curci, Milano 1952, pp. 154-156.
RAELI Vito, Maestri compositori pugliesi, Tricase 1926.
RENEO Giovanna, La musica pianistica di Niccolò van Westerhout, Tesi di Laurea, Facoltà di Lettere
e Filosofia, Corso di Laurea D.A.M.S., Università di Bologna, a.a. 1993-1994, relatore Renato Di
Benedetto.
SESSA Andrea, Il Melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori,
Olschki, Firenze 2003, pp. 492-493.
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, pp. 306-309.
SUMMA Matteo, Destati, o bruna. Doña Flor di Niccolò van Westerhout, Lodo editore, Latiano 1998.
TERENZIO Vincenzo, La musica italiana dell’Ottocento, Bramante, Milano 1976, pp. 368-369, 567.
Un musicista crepuscolare: Niccolò van Westerhout (1857-1898), a cura di Galliano Ciliberti,
Florestano edizioni, Bari 2007. Contiene i seguenti saggi: CILIBERTI Galliano, Al lettore, pp. 7-
9; DI BENEDETTO Renato, Un musicista crepuscolare: Niccolò van Westerhout, pp. 13-14; MARRI
Luca - PALAZZO Paolo, Niccolò van Westerhout: immagini, pp. 15-20; RIZZO Silvia, Niccolò van
Westerhout: l’artista e l’uomo, pp. 21-30; CILIBERTI Galliano, Niccolò van Westerhout: nuovi
percorsi d’indagine per una ricostruzione bio-bibliografica, pp. 31-87; BUONGIORNO Maria
Antonietta, Westerhout e l’anelito nostalgico: alcune riflessioni sulle Rimembranze pugliesi, pp.
88-95; TRIPALDI Miriam, Westerhout e l’opera: un amore non corrisposto? La ricostruzione di
un rapporto difficile attraverso la corrispondenza con Giulio Ricordi, pp. 96-113; ARGENTIERI
Roberta, Niccolò van Westerhout e il sistema operistico italiano: alcune riflessioni, pp. 114-
125; CORSANO Gianluigi - MARRI Luca - RAUSA Ester, Niccolò van Westerhout e il mondo dell’opera:
dizionario biografico, spoglio della stampa periodica-epistolario, pp. 126-160; SUMMA Matteo,
Doña Flor tra storia e didattica, pp. 161-185; LASAPONARA Ornella, Niccolò van Westerhout e
i poeti della sua produzione vocale cameristica, pp. 186-206; GIORDANO Valeria - ROMANAZZI
Maria Elena, Su alcune Romanze di Niccolò van Westerhout: riflessioni di due esecutrici, pp.
207-216; ZIGNANI Alessandro, L’ordine necessario: sulla musica sinfonica di Niccolò van
Westerhout, pp. 217-226; CAPUTO Antonio, La Sonata in Fa minore di van Westerhout: analisi
critica, pp. 227-244; RENEO Giovanna, Niccolò van Westerhout: indagine tra le sue pagine
pianistiche migliori, pp. 245-276; SGURA Marco, I piccoli pezzi da salotto di van Westerhout
e la cultura salottiera nell’Italia dell’Ottocento, pp. 277-284; LORÈ Luigi - TRICARICO Giovanna,
L’idea della musica antica nella produzione pianistica di Niccolò van Westerhout, pp. 285-309;
LATTANTE Giuseppe, La Sonata di stile antico in La maggiore di Niccolò van Westerhout, pp.
310-319; DI CESARE Marika, Le composizioni per arpa di Niccolò van Westerhout, pp. 320-325;
COPPOLA Francesco, Le composizioni per banda di Niccolò van Westerhout, pp. 326-338; CORSANO
Gianluigi, Una Melodia religiosa di Niccolò van Westerhout unicum in una moltitudine produttiva
eterogenea, pp. 339-356; COCCOLI Giuseppe, Niccolò van Westerhout: Valse d’amour trascrizione
per clarinetto in Si bemolle e pianoforte, pp. 357-364; SEBASTIANI Grazia, Niccolò van Westerhout:
un progetto didattico, pp. 365-381; RENEO Giovanna, Catalogo delle composizioni di Niccolò
e Vincenzo van Westerhout, pp. 382-403.
RUBBOLI Daniele, La romanza da salotto italiana, in Tosti, a cura di Francesco Sanvitale, EdT, Torino
1991, p. 177.
ZIINO Agostino, D’Annunzio, Wagner e gli “Anni Napoletani”: poco più di un flash, in D’Annunzio
a Napoli, a cura di Angelo R. Pupino, Liguori, Napoli 2005, pp. 333-362.
UVA Nicola, Saggio storico su Mola di Bari. Dalle origini ai giorni nostri, Dedalo litostampa, Bari
1964, pp. 215-220.
VITALE Vincenzo, Il pianoforte a Napoli nell’Ottocento, Bibliopolis, Napoli 1983, pp. 87-88.
VILLANI Carlo, voce Nicola Ferri, in Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei,
Vecchi, Trani 1904 [rist. anast. Forni, Sala Bolognese 1974], pp. 1129-1132.
302

VILLANIS Luigi Alberto, L’arte del pianoforte in Italia (da Clementi a Sgambati), Bocca, Torino
1907, p. 247.
Per uno spoglio della stampa periodica fino al 1923, si veda CILIBERTI Galliano, Niccolò van Westerhout:
nuovi percorsi d’indagine per una ricostruzione bio-bibliografica, in Un musicista crepuscolare:
Niccolò van Westerhout (1857-1898), cit., pp. 31-87; e inoltre CORSANO Gianluigi - MARRI Luca - RAUSA
Ester, Niccolò van Westerhout e il mondo dell’opera: dizionario biografico, spoglio della stampa
periodica-epistolario, ibidem, pp. 126-160. Parte della stampa periodica è riportata in MASSIMEO 1985.

Risorse on-line

Il sito www.internetculturale.it (contenuti digitali) consente il download gratuito della


partitura orchestrale manoscritta della Doña Flor conservata presso la Biblioteca del
Conservatorio di «S. Pietro a Majella». In www.jstor.org sono reperibili alcuni articoli di
“The Musical Times and Singing Class Circular”, che testimoniano la fama di van Westerhout
al di fuori dei confini nazionali.

Discografia

Titolo Direttore/data Editore discografico

Doña Flor Clemente/2000 A.GI.MUS.

Opere drammatiche

1. Una notte a Venezia incompiuta e confluita nella successiva Cimbelino.


2. Cimbelino, dramma lirico in quattro atti di Enrico Golisciani, Roma Argentina 7 aprile
1892 (libretto in I-Fm, I-Ms, I-Nc, I-Rc, I-Vgc; partitura in I-BAcp, I-Nc*) \ BA Piccinni
1 marzo 1898.
3. Fortunio, dramma lirico in tre atti di Giulio Massimo Scalinger, MI Lirico 16 maggio
1895 (libretto in I-Ms, I-Nc; partitura I-Nc*; spartito Sonzogno, Milano 1895, in I-
BARc, I-MOa, I-Mc, I-Nc, I-Nn, I-PCcon, I-Rsc) \ NA Mercadante 2 dicembre 1910.
4. Doña Flor, dramma lirico in un atto di Arturo Colautti, Mola di Bari teatro van
Westerhout 18 aprile 1896 (I-Bca, I-Ms, I-Nc, I-Vgc; partitura in I-Mr*; spartito I-BAR,
I-BGc, I-COc, I-Mc, I-MOa, I-Nc*, I-PCcon, I-Rsc) \ BA Piccinni 26 aprile 1896; NA
S. Carlo 12 maggio 1896; Breslavia, Teatro dell’Opera ottobre 1900; Mola di Bari teatro
van Westerhout 1 settembre 1925; BA Petruzzelli carnevale 1951-52; Mola di Bari
Piazza XX Settembre 16 settembre 1952; Mola di Bari teatro van Westerhout 5 aprile
2000; Monopoli Conservatorio «Nino Rota» 20 luglio 2007; Mola di Bari Piazza XX
Settembre 24 luglio 2007.
5. Colomba, dramma lirico in quattro atti di Arturo Colautti orchestrazione di Leopoldo
Tarantini, NA S. Carlo 27 marzo 1923 (libretto I-Ms, I-Nc, I-Vgc; partitura I-Nc* ma
solo preludio Atto III, copia I-Nc).
6. Tilde, melodramma di Enrico Golisciani, non rappresentata.

Caterina Pulito
303

GIOVANNI VAVALLI
Bari, seconda metà del XIX secolo - ivi?, post 1930

Cronologia

Giovanni Vavalli nasce a Bari. Mancano notizie sulla sua formazione musicale.
Secondo De Angelis (DE ANGELIS 1928) in seguito è direttore di banda e direttore
del giornale «Musica di Roma». Pubblica in vita alcune opere di carattere sacro
(Inno a S. Anna: coro per soprani e contralti, Vavalli, Cosenza s.d.; Messa di
S. Anna: a due voci bianche con coro e harm.[sic], E. van den Eerenbeemt, Roma
s.d.,) e didattico (La scuola moderna: trattato teorico-pratico-estetico di armonia,
contrappunto e composizione). Sempre secondo De Angelis, che non fornisce però
una dettagliata cronologia, è autore di una Cantata a due voci, per coro e orchestra,
nonché di alcune sinfonie (Pronos, [sic, ma forse da intendersi Kronos o Cronos?]
Diana, Marte, Vulcano, Giunone), di evidente ispirazione mitologica. La rivista
parigina «Le Ménestrel» nel numero di domenica 15 gennaio 1905 annuncia le
imminenti esecuzioni di due opere di Vavalli, Nel cantiere, su libretto di Achille
Cavallo e Leonilda, su libretto di Francesco Saverio Padovani, entrambe a Cosenza,
nonché quella di una terza opera, Tisbe, che avrà luogo nella primavera successiva
a Roma. De Angelis attribuisce al compositore barese inoltre l’opera Saul, mentre
Sorrenti (SORRENTI 1966) parla di una quinta opera, Bona Sforza, rimasta inedita.
Sugli ultimi due titoli mancano ulteriori informazioni. Nel 1930 Vavalli tiene al
Primo congresso della Fiera del Levante di Bari una conferenza dal titolo La crisi
bandistica e teatrale, che nello stesso anno esce a stampa presso la Tipografica
Moderna di Bari.

Bibliografia

DE ANGELIS Alberto, L’Italia musicale d’oggi: dizionario dei musicisti, Ausonia, Roma 1928³.
«Le Ménestrel», LXXI/3, 15 gennaio 1905, p. 23 (on-line su gallica.bnf.fr)
SORRENTI Pasquale, I musicisti di Puglia, Laterza & Polo, Bari 1966, p. 309.

Opere drammatiche

1. Bona Sforza melodramma in tre atti n.n., non rappresentato.


2. Nel cantiere, opera in due atti di Achille Cavallo, CS teatro comunale inverno 1905.
3. Leonilda, dramma lirico in un atto di Francesco Saverio Padovani, CS teatro comunale
gennaio1905.
4. Tisbe, melodramma in quattro atti n.n., Roma teatro Adriano primavera 1905.
5. Saul, melodramma n.n., non rappresentato.

Paolo Valenti
304

RENATO VIRGILIO
Barletta, 27 agosto 1879 - Wiesbaden, 5 giugno 1959

Cronologia

1879-1900. Michele Ignazio Virgilio (in arte Renato) nacque a Barletta il 27


agosto 1879, quinto figlio di Francesco Paolo Gaetano e di Anna Maria Napolitano.
Ricevette la sua prima istruzione musicale dal concittadino Vincenzo Gallo,
compositore e direttore d’orchestra. Nel novembre 1893, all’età di quattordici
anni, fu ammesso in qualità di alunno esterno al «Regio Conservatorio di Musica»
di Napoli nella classe di Composizione (ramo Armonia) di Giuseppe Puzone e
dall’anno scolastico 1896-97, passò nella classe di Paolo Serrao (ramo Contrap-
punto). Fu, inoltre, allievo di Giuseppe Cotrufo (Pianoforte e Organo complemen-
tare), Alessandro Longo (Pianoforte complementare), Eusebio Dworzak von Walden
(Violino complementare) e Beniamino Carelli (Canto complementare). Il suo corso
di studi durò solo sette anni contro i nove previsti. Già durante il primo anno, pur
essendo stato ammesso al primo anno di corso, probabilmente per la sua già buona
preparazione, Virgilio passò automaticamente al secondo. Nell’anno scolastico
1898-99, Virgilio chiese ed ottenne di poter sostenere gli esami di passaggio al
IX corso nella sessione di ottobre, per poter terminare gli studi prima di espletare
il servizio di leva. Il 17 luglio 1900, conseguì il diploma di Licenza e Magistero
in Composizione, primo allievo del Conservatorio di Napoli a diplomarsi in tale
disciplina secondo i nuovi programmi previsti dal Regio Decreto del 2 marzo 1899
n.108. Al periodo napoletano appartengono le prime composizioni pervenuteci. Si
tratta prevalentemente di brani scritti per il Conservatorio: la romanza Spettro
d’amore!..., Sonetto musicato per voce e orchestra su versi di Lorenzo Stecchetti
(giugno 1899) e Scena d’amore, Preludio e Duetto per soprano, tenore e orchestra
su testo di Luigi Conforti (marzo 1900). Dello stesso periodo ci resta la testimo-
nianza di un poema sinfonico sui versi Lungi, lungi su l’ali del canto di Giosuè
Carducci (da Heinrich Heine) e di un altro brano, una scena dalla Vittoria, che
il soprano Elisa Petri cantò al Teatro Petruzzelli l’11 febbraio 1899: di questi
ultimi non è rimasta alcuna traccia. Già in queste prime composizioni, Virgilio,
approfittando forse del fatto di essere stato registrato con il solo nome di Michele,
cominciò ad aggiungere al suo il nome di Renato: tutti i sprimi lavori sono infatti
firmati Mich. (o semplicemente M.) Renato Virgilio. Al di fuori dell’ambito
scolastico Virgilio scrisse un Lento funebre (agosto 1900), brano orchestrale con
organo privo di titolo che l’anno successivo, in seguito alla morte di Giuseppe
Verdi, dedicò al “Grande Maestro” intitolandolo Elegia, e Rispunne tu!, una
Serenata a mmare su versi in dialetto napoletano di Achille Boccia pubblicata sul
numero unico Piedigrotta d’oggi del 1900. Di dubbia attribuzione è invece una
Berceuse per pianoforte, pubblicata intorno al 1900 con il solo nome di Michele
Virgilio.
305

1901-1909. Dopo un breve periodo a Milano, Virgilio si trasferì a Tortona dove


cominciò la sua vera attività compositiva. La prima opera che risale a questo
periodo, della quale si conserva un solo frammento, porterebbe il titolo di Vittime.
Non possiamo essere sicuri se tale opera sia mai stata ultimata né se si tratti di
una prima stesura della successiva opera, Jana, scritta a Tortona e rappresentata
al Teatro Dal Verme di Milano il 2 dicembre 1905, sotto la direzione del giovane
Tullio Serafin. La rappresentazione, che riscosse un notevole successo di pubblico,
vide tra gli interpreti il soprano Tina Poli-Randaccio nel ruolo di Jana, il tenore
Piero Schiavazzi nel ruolo di Gaddu ed il baritono Luigi Francesconi nel ruolo
di Giacomo Portu. L’opera, pubblicata dalla casa editrice Puccio fu successiva-
mente rappresentata in varie città italiane e alcuni suoi brani furono registrati dalla
Pathè, dalla Gramophone Records e dalla Victor. Spirito inquieto, Virgilio fu spesso
protagonista di episodi che non ne onorano l’integrità professionale, come il
tentativo di togliere all’amico e concittadino Antonio Gallo (fratello minore di
Vincenzo, primo maestro di Virgilio) la direzione della stagione teatrale 1907-08
di Novi Ligure, ricattando la direzione artistica col rifiuto di portare a termine
la direzione della sua stessa Jana (a dirigere il II atto fu lo stesso Antonio Gallo).
In seguito alla rappresentazione romana di Jana, il duca di Baviera Karl Theodor
von Wittelsbach, entusiasta delle qualità compositive di Virgilio, lo invitò a
trasferirsi in Germania per studiare a sue spese con Max Reger presso il «Köni-
gliches Konservatorium der Musik» di Lipsia. Catapultato in una realtà comple-
tamente sconosciuta, armato solo del poco francese appreso in Conservatorio, il
giovane Virgilio vi rimase per meno di due mesi (dal 9 aprile al 31 maggio 1907),
frequentando pochissime lezioni e abbandonando l’istituto senza alcun preavviso.
In quegli anni videro la luce, oltre ad alcune musiche cameristiche scritte per
l’editore Puccio, anche Hanno gittato in mare un angioletto, una romanza per
tenore e orchestra, di cui resta soltanto un’incisione discografica del 1906 inter-
pretata dal tenore Umberto Macnez per la Monarch Gramophone Record, e due
nuove opere: Reseda (1907) e Veronica Cybo (1908), di cui resta testimonianza
solo nelle cronache dell’epoca. Queste ultime non riscossero certamente il successo
della Jana e forse ciò portò Virgilio ad abbandonare le sue velleità compositive
ed a dedicarsi prevalentemente all’attività pianistica e direttoriale.
1910-1918. Dal 1910 Virgilio abbandonò quasi completamente l’Italia e intra-
prese una serie di concerti in Germania e Svizzera. Furono questi gli anni in cui
nacque un prezioso sodalizio artistico col tenore Enrico Caruso, con il quale
effettuò anche una tournée negli Stati Uniti. In occasione di un concerto tenuto
a Stoccarda il 13 ottobre 1913, lo stesso Caruso realizzò una caricatura del suo
pianista, di cui una copia fu pubblicata su numerosi quotidiani dell’epoca. Nel
1914, a St. Gallen (CH), Virgilio sposò tale Philippine Raab, una signora tedesca
divorziata, con la quale continuò a viaggiare per la Svizzera, senza mai avere una
fissa dimora. Dal 1916, il nome della Raab scompare dagli atti anagrafici che lo
riguardano e ciò lascia pensare che il matrimonio possa non aver avuto successo.
1919-1959. Dopo il 1918 mancano dati precisi sui suoi successivi spostamenti.
Terminata la Grande Guerra, cominciò a tornare ad esibirsi anche in Germania
(Mannheim, Düsseldorf, Brema, Amburgo) nonché in Austria, Cecoslovacchia e
Ungheria, sia come pianista, sia come direttore d’orchestra. In quegli anni, accom-
306

pagnato dalla fama di essere stato il principale accompagnatore di Caruso, ebbe


modo di diventare il pianista di molti dei più famosi cantanti lirici dell’epoca,
come i soprani Toti Dal Monte, Lina Pagliughi e Wanda Sorgi, i tenori Beniamino
Gigli, Clemens Andrijenko, Costa Milona, Nino Piccaluga e Aldo Tamagni, i
baritoni Domenico Marabottini, Luigi Montesanto e Giuseppe Taddei. A metà degli
anni ’30 era a Berlino, dove dirigeva una scuola di musica. Qui scrisse due romanze
per canto e pianoforte: Addio a Venezia (1936) su testo proprio, pubblicata dalla
Bote&G. Bock, e Notte su l’Avana (1937) su testo di Latanza, rimasta inedita.
L’esito disastroso del secondo conflitto mondiale portò sicuramente a Virgilio gravi
problemi economici. Agli inizi degli anni ’50 era ancora in attività e proprio negli
ultimi anni portò a compimento l’opera La morte del re (prob. 1958), il suo ultimo
sforzo, rimasto non rappresentato. Dopo un breve ritorno nella sua città natale nel
1958, tornò a Wiesbaden dove morì il 27 giugno 1959 presso lo Städtische
Krankenhaus. Il 27 agosto, giorno in cui avrebbe festeggiato il suo ottantesimo
compleanno, sul Wiesbadener Kurier comparve un necrologio dal titolo Erinne-
rung an Renato Virgilio, chiara testimonianza della fama e ammirazione che
Virgilio aveva conquistato in Germania, dove aveva trascorso circa mezzo secolo
di vita.

Melodrammaturgia, stile, fortuna

Jana rappresenta l’unica testimonianza rimasta della produzione operistica di


Renato Virgilio. Si tratta di un’opera verista di ambientazione sarda, caso non
insolito per l’epoca, visto che solo tra il 1902 e il 1907 furono rappresentate altre
opere di eguale ambientazione. La vicenda si impernia sul conflitto sociale tra
operai in sciopero e il loro datore di lavoro ma si incrocia inevitabilmente con
il sentimento della gelosia, tema ricorrente nella letteratura e nel teatro verista,
comune ad altri capolavori del genere. Purtroppo la partitura dell’opera andò
distrutta nel ’42 durante un bombardamento e la sua rielaborazione successiva, ad
opera dello stesso Virgilio, è per il momento irreperibile: pertanto ci si deve basare
sul solo spartito per canto e pianoforte edito dalla Puccio Editore. Dal confronto
con i lavori scolastici di poco precedenti, si può notare il tentativo di scostarsi
dal linguaggio dell’anziano Serrao e di trovare una strada personale, pur rimanendo
nell’alveo della tradizione musicale italiana. Nelle sue lettere Virgilio esprime da
un lato grande ammirazione ed entusiastico apprezzamento per La figlia di Iorio
di Alberto Franchetti, dall’altro un vero e proprio sdegno per la musica di Resur-
rezione di Franco Alfano. Si può concordare con quella parte della critica che,
in senso negativo, lo accomunava al Puccini della Madama Butterfly e al Mascagni
di Amica. Tale accostamento, che per l’epoca poteva suonare per taluni come
un’offesa, è, col senno di poi, il miglior complimento che egli potesse ricevere.
Gli stessi critici dovettero comunque riconoscere la bellezza di talune pagine: nel
I atto, il coro Cantiam la Pasqua, il duetto Gaddu a la triste casa, la preghiera
di Jana Mi sento in core… Madonna, ascolta, e l’aria di Gaddu Se vedrete pallida;
nel II, l’aria di Jana Or mozze m’abbia, con a seguire il duetto Or se l’antico
palpito e l’aria di Giacomo Portu O tu che piangi, e, per finire, l’aria di Gaddu
Sì dannato! E morrò e l’aria della morte di Jana Gaddu, voglio di salici. A questi
si aggiunga l’Interludio orchestrale eseguito a sipario chiuso. Bella invenzione
307

melodica, uso coloristico dell’armonia e grande senso drammaturgico sono le


caratteristiche salienti di questo lavoro. All’enorme successo di pubblico corrispo-
se, all’indomani della prima esecuzione, un severo giudizio della critica. In par-
ticolare, pur riconoscendo generalmente buone doti compositive e sincerità di
linguaggio, si criticava in particolar modo l’esuberanza dei toni vocali ed orche-
strali. Va anche notato che con tono non certo lusinghiero gli autori dei vari articoli
sottolineassero le origini meridionali dell’autore. Il maggior patrocinatore del-
l’esordio di Virgilio fu Serafin, da quell’anno direttore artistico della stagione
autunnale del Dal Verme, che ripropose Jana alla Fenice di Venezia. Le numerose
incisioni discografiche che seguirono testimoniano il largo favore incontrato da
Jana negli anni a seguire. L’oblio in cui poi è caduta e la rinuncia di Virgilio a
continuare nella carriera compositiva sono forse da ascrivere al suo carattere
difficile, che lo rese malvisto in molti ambienti musicali italiani, e all’eccessiva
impazienza con la quale pretendeva di veder decollare la sua carriera artistica.
Negli anni ’30, durante il soggiorno a Berlino, Virgilio provò a riproporne l’al-
lestimento e trovò anche un editore interessato, ma la situazione politica della
Germania nazionalsocialista non rappresentava certo un terreno fertile per un’opera
che parlava di “socialismo avventuriero” (per tale motivo, Virgilio si preoccupò
di farne modificare il testo da un librettista tedesco). La perdita della partitura
nel ’42, durante un bombardamento che colpì la sede del suo editore, diede il colpo
di grazia alla già poco fortunata esistenza di quest’opera.

Bibliografia

(DEUMM)

BATTEGAZZORE Umberto, Storia della musica di Tortona e del Tortonese, Società Storica Pro Iulia
Dertona, Tortona 2003, pp. 362-371.
CANDIDO Paolo - LOTORO Francesco, Renato Virgilio vita e opere di un musicista, Editrice Rotas,
Barletta 2010.
Catalog of copyright entries: Part 3 Musical compositions, United States Government Printing
Office, Washington 1937, vol. 31, n. 9, p. 1307.
CELLAMARE Daniele, Teatro Umberto Giordano: cronistoria degli spettacoli di 140 anni (1828-
1968), Fratelli Palombi Editori, Roma 1969.
DELL’IRA Gino, I teatri di Pisa (1773-1986), Giardini Editori e Stampatori, Pisa 1987, pp. 74, 117,
184.
FABRIS Dinko, Il fondo musicale Gallo della biblioteca comunale di Barletta, Biblioteca comunale
Sabino Loffredo, Barletta 1983, p. 213.
FRITZSCH Ernst Wilhelm, Renato Virgilio, in «Musikalisches Wochenblatt», 1906, vol. 37, p. 947.
FANELLI Jean Grundy, A chronology of operas, oratorios, operettas, cantatas and miscellaneous
stage works with music performed in Pistoia, 1606-1943, Edizioni Pendragon, Bologna 1998,
pp. 151, 251-255.
GALLO Nicola Ugo, Barletta d’ogni tempo - Enciclopedia di personaggi e avvenimenti barlettani,
Edizioni Gazzetta della Provincia, Barletta 1970.
GIOVINE, Alfredo, Il Teatro Petruzzelli di Bari: stagioni liriche dal 1903 al 1969, Archivio delle
tradizioni popolari baresi, Bari 1971, p. 25.
GIOVINE Alfredo, Il Teatro Piccinni di Bari 1854-1964: 110 anni di attività operistica e altre
manifestazioni artistiche affini. Cenni storici, cronologia, bibliografia, illustrazioni, Archivio
delle tradizioni popolari baresi, Bari 1970, p. 47.
GIRARDI Michele - ROSSI Franco, Il Teatro La Fenice. Cronologia degli spettacoli (1792-1936),
Albrizzi Editore, Venezia 1989.
308

HERMINGHOUSE Patricia - MUELLER Magda, Gender and Germanness: cultural productions of nation,
Berghahn Books, Oxford 1997, p. 167.
MANTOVANI Tancredi, Cronaca musicale in «Rassegna contemporanea» a cura di Ercole Rivalta. s.n.,
1909 vol. 2 parti 7-9, p. 548.
MARTENS Frederick Herman, A thousand and one nights of opera, D. Appleton & company, New
York 1926, p. 316.
Si vedano inoltre i seguenti articoli giornalistici apparsi su: Avanti!, 3 dicembre 1905; Corriere della
Sera, 3 dicembre 1905; La maschera: cronaca del teatro, Anno IV, 1908, p. 8; Il Messaggero, 17
giugno 1958; Il Messaggero, 4 luglio 1959; Il Rinascimento, Libreria editrice lombarda, 1905, nn.
1-3, p. 386; La Lombardia, 2 e 3 dicembre 1905; La Perseveranza, 3 dicembre 1905; La Voce
Democratica, 30 agosto 1902, n. 12; La Voce Democratica, 8 novembre 1902, n. 17; 17 ottobre 1903,
anno II, n. 41; 16 gennaio 1904; Opinione Liberale, 21 ottobre 1902; Piedigrotta d’oggi, 1900,
numero unico; Rivista musicale italiana, 1907, n. 1, p. 222; Rivista teatrale italiana, Ente Univer-
sitario del Teatro Milano, 1907, vol. 12, e 1913, vol. 17, p. 58; Signale für die musikalische Welt.
Verlag von Bartholf Senff., 1907, vol. 65, p. 257; Südländischer Tenorglanz, Berlin, 11 luglio 1936;
Wiesbadener Kurier, 27 agosto 1959 (contiene il necrologio di Renato Virgilio).

Discografia

Titolo Interprete/anno di registrazione Casa discografica/n.catalogo

Cantiam la Pasqua Coro e Orchestra del Teatro Gramophone Record


alla Scala di Milano, 054522/1888c
C. Sabajno, 1909
Gaddu, a la triste casa C. Melis, G. Taccani. 1907 Victor 58390/12666c
Gaddu, a la triste casa C. Melis, G. Taccani. 1907 Gramophone Record
054139/12666c
Gaddu, a la triste casa E. Santamarina, E. Cunego 1909 Gramophone Record
054292/1908c
Gaddu, mio Gaddu E. Santamarina, E. Cunego, 1909 Gramophone Record
054293/1909c
Gaddu! voglio di salici (Morte di Jana) E. Carelli, 190? Pathè, 4383
Hanno gittato in mare un angioletto U. Macnez, Grande Orchestra Monarch Gramophone
Milano, 1909 Record 052275/1915c
Mi sento in core...Madonna ascolta C. Melis. 1907 Victor 63422/10670b
Mi sento in core...Madonna ascolta C. Melis. 1907 Gramophone Record
10670b/53506
Or mozze…Or se l’antico palpito C. Melis, R. Minolfi. 1907 Victor 52519/10676b
Or mozze…Or se l’antico palpito C. Melis, R. Minolfi. 1907 Gramophone Record
10676b/54333
O tu che piangi R. Minolfi, 1907 Gramophone Record
2-52506/10666b
O tu che piangi G. Rimondini 1909 Gramophone Record 13997
Se vedrete pallida E. Cunego 1909 Gramophone Record
052287/1910c
Se vedrete pallida A.Tedeschi Pathè, 86199
Sì, dannato! E morrò G. Taccani, 1907 Gramophone Record
2-52587/10672b
Sì, dannato! E morrò U. Macnez, 1909 Gramophone Record
2-52726/14075
309

Opere drammatiche

1. Vittime, opera n.n., 1903 ca., non rappresentata.


2. Jana, scene sarde di Salvatore Aliaga (pseudonimo di Alberto Colantuoni), MI Dal
Verme 2 dicembre 1905 \ Roma Teatro Adriano novembre 1906; BA Petruzzelli febbraio
1907; VE Fenice febbraio 1907; Tortona teatro Civico ottobre-novembre 1907; Novi
Ligure teatro Carlo Alberto novembre 1907; Trani Comunale gennaio 1908; BO Co-
munale marzo 1908; AL teatro Finzi dicembre 1909; Barletta Comunale gennaio 1913;
PT Politeama Mabellini novembre 1914.
3. Reseda, 1907 ma non rappresentata.
4. Veronica Cybo, opera in tre atti, 1908 ma non rappresentata.
5. La morte del re, opera di Alberto Colantuoni, 1958 ma non rappresentata.

Paolo Candido
Volumi pubblicati in questa collana:
1. Gli stranieri in Biblioteca (2008)
2. Bibliodoc-Inn (2008)
3. Puglia - Futurismo e ritorno (2009)
4. Cara America! (2009)
5. Operisti di Puglia / 1 (2009)
6. Dear America! (2009)

La elaborazione e la pubblicazione di questo volume, e il relativo seminario di studi promosso


nell’ambito del Tredicesimo workshop di Teca del Mediterraneo (25 giugno 2010), non sarebbero stati
possibili senza l’impegno fattivo della Biblioteca Multimediale & Centro di Documentazione
del Consiglio Regionale della Puglia, Teca del Mediterraneo.
Il Curatore del volume desidera quindi caldamente ringraziare, anche a nome di tutti gli Autori,
il Presidente del Consiglio Regionale della Puglia, Onofrio Introna,
e il Direttore di Teca del Mediterraneo, Waldemaro Morgese, per la sensibilità dimostrata.

Ai sensi della legge sul diritto d’autore e del codice civile


è vietata la riproduzione di questo libro o di parte di esso
con qualsiasi mezzo: elettronico, meccanico, per
mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

In copertina:
Il Teatro Petruzzelli (1903), con il sipario dipinto da Raffaele Armenise
(il doge Orseolo II libera la città di Bari dall’assedio dei Saraceni).
(foto di Peppino Addante)

ISBN 978-88-7553-104-1

© 2010 Edizioni dal Sud


Via Dante Alighieri, 214 - tel. 080.9644745
70121 BARI
c/c postale n. 17907734
www.dalsud.it - e-mail: info@dalsud.it
Finito di stampare
nel mese di Giugno 2010
dalla Tipografia Mare - Bari
per conto di
Edizioni dal Sud

Potrebbero piacerti anche