Eduardo Nappi
15 102 Ugo Di Furia
Ancora su Ippolito Borghese: la cappella Paolo De Matteis per la confraternita
De Mari ai Camaldoli di Napoli e altri del Monte dei morti di Chieti: cronistoria
documenti per la sua attività di una committenza
21 Stefano Pierguidi Documenti e materiali
Napoli, Madrid e Salamanca: tre casi dalla Fondazione De Vito
di antologie delle scuole pittoriche 125 Nadia Bastogi
tra Spagna e Viceregno De Vito e l’Assunta di Nunzio Rossi
Correvano gli anni Dieci del secolo scorso quando, alla finestra della storiografia artistica partenopea, si af-
facciava per la prima volta il nome di Giovan Tommaso Montella. A pronunciarlo fu la voce autorevole di
Giovan Battista D’Addosio, dagli spalti di quella che rimane un’insostituibile pietra angolare nelle ricognizioni
sulla cultura figurativa di area meridionale1. Scavando tra le carte d’archivio degli antichi banchi napoletani,
più in particolare, nel 1913 lo studioso dissotterrò un primo pagamento emesso all’indirizzo di “Gio[van]
Thomase Montella pittore”2. Un acconto di venti ducati che risaliva al maggio del 1611 e che, ricollegato al
retablo con la Visitazione e i Santi Onofrio e Carlo Borromeo (figg. 1-4) conservato ancora oggi nella chiesa
aversana di Santa Maria la Nova3, riusciva persino a dare un volto a una personalità sino a quel momento del
tutto negletta nei circuiti della ricerca partenopea. Dopo quel rinvenimento, poi, il D’Addosio ne inanellava a
stretto giro un secondo, una caparra relativa a un dipinto che ora risulta disperso e che, per conto del mona-
stero della Sapienza, nel 1607 il pittore fu chiamato a realizzare direttamente sulla piazza napoletana4.
Sebbene quelle precoci acquisizioni sembrassero poter davvero dare la stura a una progressiva riabilitazio-
ne moderna dell’artista, così come è accaduto per altri petit-maîtres attivi nella Napoli postridentina, una
svolta reale nel destino critico di questa personalità non mi pare si sia mai effettivamente concretizzata.
Certo, le concise voci biografiche redatte nell’Allgemeines Lexikon5 e da Maria Minicuci6, così come le
riflessioni portate da Eduardo Nappi7, da Giuseppina della Volpe8 e poi da Gérard Labrot9 e Aldo Pinto10,
hanno allargato l’angolo di visuale sul cammino di Giovan Tommaso che, al presente, risulta aver operato
per quasi un quarto di secolo, dal 1596 al 161911. Ma è pur vero, però, che al tavolo del dibattito storio-
grafico, un confronto serrato sul pittore non sembra essere mai stato avviato. Senza considerare, poi, che
l’unico altro autografo riemerso oltre al polittico aversano – e parlo della misconosciuta Immacolata (fig. 5)
custodita nell’Annunziata dei Catalani a Messina – ha seguito a lungo un binario critico del tutto parallelo,
essendo stato agganciato al percorso campano dell’artista non più di una quarantina di anni fa e senza una
circostanziata argomentazione di tipo stilistico12.
Se questo è il quadro che si prospetta a chi incrocia oggi la fisionomia del Montella, il fortunato ritrova-
mento di un nuovo dipinto sicuro incoraggia a riprendere il filo del discorso sul pittore. Sia per tentare
una lettura finalmente più organica di tutti gli elementi già noti, sia, più in generale, per precisarne
meglio la posizione all’interno del parterre artistico vicereale.
Chissà se legato da un vincolo di parentela agli intagliatori Francesco Antonio, Giovan Simone e Nicola
Montella, ripetutamente documentati a Napoli dal 1586 al 163513, Giovan Tommaso si formò sullo scorcio
del Cinquecento, sotto l’ala di una delle personalità più acclamate del tempo. Plausibilmente contendendo
i pennelli e la scena al giovane Pompeo Landulfo, infatti, il pittore fu introdotto al mestiere nel lanciatissi-
mo studio di Giovan Bernardo Lama. A provarlo, è una quietanza del 25 giugno del 1596, una carta che
la critica maneggia ormai da più di un secolo ma che, forse per la presenza dell’ingombrante nome del
caposcuola partenopeo, è stata associata al profilo del Montella appena un paio di anni fa14. Alludo, più in
particolare, al “finale pagam[en]to” girato al Lama per la ben nota Trinità e santi (fig. 6) di Caramanico15,
un’opera che viene da sempre conteggiata tra quelle condotte in proprio dal grande artista napoletano ma
per la quale, mi pare, gli elementi a nostra disposizione rivendicano a Giovan Tommaso un ruolo tutt’altro
che marginale16. Percepita la somma pattuita con il committente, infatti, Giovan Bernardo la stornò per
intero a “Gio[van] tomase montella de lauro suo creato”, riconoscendogli un compenso che mi sembra
parli abbastanza chiaro sull’effettiva responsabilità di quest’ultimo nell’impresa. E in effetti, avendo negli
2. Giovan Tommaso
Montella
Visitazione
particolare
Aversa, chiesa di
Santa Maria la Nova
occhi l’ovale immelanconito del viso dell’Immaco- conto di un altrimenti sconosciuto Felice Sirignano
lata (fig. 5) messinese, come non farsi venire un di Visciano18. A quattro anni di distanza da quel-
dubbio almeno al cospetto della Maria Maddalena la impresa, l’attività del Montella riaffiora con ben
collocata nel secondo piano della pala abruzzese. altra evidenza lontano dai circuiti convenzionali
Una figura di una castigatissima bellezza femmini- del mercato artistico napoletano. Appoggiandosi a
le che, per la studiata delicatezza dei tratti somati- un canale di relazioni che non mi è possibile met-
ci, per l’indole ritrosamente devota e per il fragile tere a fuoco nelle dinamiche precise ma che, no-
allungamento del collo rasato dal lume, mi pare nostante il passaggio di qualche decennio, sembra
davvero assai consentanea alla Vergine siciliana. essersi ancora avvantaggiato della rotta tracciata
Plausibilmente coinvolto nelle altre iniziative intra- nel secolo precedente da Deodato Guinaccia19, nel
prese dal Lama a cavallo tra i due secoli, il Montel- 1606 il pittore firma e data la già citata Immaco-
la compare sulla scena artistica meridionale come lata (fig. 5) messinese20, a conti fatti la più antica
maestro autonomo con un incarico risalente al testimonianza del suo profilo stilistico. Restituita
giugno del 1602. Una commessa, nota solo attra- all’Annunziata dei Catalani solo nel 1997, e dopo
verso un pagamento rintracciato da Nappi17, che un diuturno soggiorno nei depositi del Museo
lo vide alle prese con la “pittura e indoratura” di Regionale cominciato all’indomani del famigera-
una non meglio identificata “cona”, eseguita per to terremoto del 190821, la tela vanta una discreta
4. Giovan Tommaso
Montella
San Carlo Borromeo
Aversa, chiesa di
Santa Maria la Nova
fortuna nel giro dei periegeti peloritani dell’Otto- didascalica e teneramente accostante dalla marcata
cento22, una notorietà sicuramente alimentata dal- inflessione partenopea. All’orizzonte della pittura
la sua collocazione in una delle chiese più illustri riformata napoletana – e in particolare a quel filo-
della cittadina isolana23. Con il pertinente riferi- ne devoto che, sul primissimo Seicento, guardava
mento al Montella, la pala è stata quindi levata alle ancora al Lama come a uno degli interpreti più ac-
attenzioni della moderna critica locale da Maria Pia creditati –, rimanda innanzitutto l’allungata silhou-
Pavone Alajmo24 che, pur non cogliendo il nesso ette della Vergine, palesemente ispirata a un tipo
con le tracce dell’artista già emerse in area napole- compositivo che fu di larghissimo consumo nella
tana, la avvertiva giustamente come un prodotto di religiosità vicereale postridentina25. Di una gracile
importazione. E in effetti, al netto di una vicenda bellezza adolescenziale che, nella scrittura minuta
conservativa alquanto travagliata, il dipinto lascia del viso, pare essersi specchiata nei tipi femminili
intendere alla prima un carattere del tutto estra- del Landulfo maturo, la figura di Maria rivela un’a-
neo al panorama culturale messinese, una parlata ria innocentemente dimessa che, alla vis espressiva
predicazione cappuccina. Benché sul piano com- del 1618 destinò ai frati cappuccini la considerevo-
positivo non si fatichi ad avvistare la ripresa di le somma di cento ducati39. Dalle sue ultime volon-
soluzioni adottate già nella più antica Concezione tà, però, si ricava con chiarezza come sia stato un
siciliana (fig. 5) – e penso, in particolare, al modo altro soggetto a interpellare Giovan Tommaso e, di
in cui la luce stira sul ginocchio sinistro di Maria conseguenza, ad accordarsi con questi sul tema che
le lunghe falcature dell’abito –, è solo ammetten- avrebbe dovuto rappresentare l’opera. Attenen-
do un infittirsi del dialogo con i più avanzati testi dosi a una consuetudine piuttosto ricorrente nelle
napoletani del Borghese che possono spiegarsi province vicereali del tempo, infatti, il De Rinaldo
alcuni raggiungimenti formali37. Rispetto alle sue rimise l’intera scelta alla volontà del padre guardia-
altre due prove accertate, infatti, Giovan Tom- no, una figura di cui nel testamento non viene spe-
maso sembra qui maneggiare con molta più con- cificata l’identità precisa ma che, date alla mano, va
fidenza i mezzi espressivi tipici del luminismo necessariamente riconosciuta in uno tra Francesco
naturalistico del maestro umbro. E basterebbe, Da Taurisano – alla guida del convento montese
per rendersene conto, appuntare lo sguardo sui proprio sino al 1618 – e il subentrante Giovanni
corpicini dei putti che si librano ai fianchi della Dalla Piana (1618-1625)40. Chi tra i due, poi, si sia
Vergine, rassodati da un gioco chiaroscurale che, effettivamente messo sulle tracce del Montella, al
come mai prima, mira a contrastare i passaggi to- momento resta difficile stabilirlo. Di sicuro, però,
nali e a levigare le superfici. nel realismo devoto proposto dall’artista, entrambi
Un ragionamento a parte, poi, andrà fatto sulla vi- poterono riconoscere una formula particolarmen-
cenda della committenza, un argomento che con- te adatta alle esigenze espressive dell’ordine. Una
verrà abbordare rileggendo una carta d’archivio già formula piana ed efficace sotto l’aspetto didattico,
nota ma che, a tutt’oggi, attende ancora di essere che riusciva a tradurre in un’immagine concreta
allacciata al nome del pittore38. Si tratta del lega- una disputatissima questione teologica come quella
to di Giovanni Francesco De Rinaldo, un notabile sull’Immacolata Concezione41 e che, nello scenario
montese che, per la realizzazione di una cona da regionale, avrebbe aperto la strada alle esperienze
issare “al altare magiore” della chiesa, il 4 giugno di Francesco Da Martina e di Giacomo San Vito42.
ISBN 978-88-569-0578-6
€ 33,00
9 788856 905786