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MOZART STUDIEN

Herausgegeben von
Manfred Hermann Schmid

Band 25

VERLEGT BEI HOLLITZER VERLAG


Wien 2018
Mozart e Paisiello: a proposito dell’aria
Mentre ti lascio, o figlia K. 513
Lucio Tufano

L’aria per basso Mentre ti lascio, o figlia K. 513 fu scritta da Mozart per il
suo amico Gottfried von Jacquin (1767–1792), primogenito del famoso bota-
nico Nikolaus Joseph. Il Verzeichnüss aller meiner Werke attesta che essa fu
composta – o quanto meno terminata – il 23 marzo 1787 a Vienna.1 La limi-
tata estensione vocale e la scrittura non virtuosistica si spiegano considerando
che il dedicatario era un abile dilettante e non un musicista di professione.
Ciò non ha impedito all’aria, una delle otto dedicate da Mozart alla voce di
basso2, di godere di una significativa fortuna. Nel presente contributo aggiun-
gerò qualche dettaglio alla storia del brano; in particolare, tenterò di chiarire
l’origine del testo poetico in esso utilizzato e di accertare se Mozart abbia
conosciuto – e tenuto in considerazione – precedenti intonazioni dei mede-
simi versi.
[1]
Nella prefazione al volume della eue Mozart Ausgabe che contiene l’aria
K. 5133, il curatore Stefan Kunze afferma che le strofe usate dal compositore
di Salisburgo appartengono al libretto La disfatta di Dario di un non meglio
precisato »duca Sant’Angioli-Morbilli«.4 Kunze ricorda che il testo era stato
musicato da Giovanni Paisiello nel 1777 (vedremo tra poco che questa data
è inesatta) e da Tommaso Traetta nel 1778; inoltre fornisce in nota brevi
informazioni circa le versioni di Mentre ti lascio, o figlia dei due maestri
italiani e segnala come entrambe condividano con la creazione mozartiana la
scelta del mi bemolle maggiore, »eine Tonart, die typisch für pathetische
Abschiedsszenen ist«.5
________________
1 Cfr. Mozart Briefe, vol. IV, n. 1042, p. 39; il catalogo tematico che Mozart compilò a
partire dal febbraio 1784 si conserva alla British Library ed è consultabile online (www.bl.uk/
manuscripts; accesso: dicembre 2016); la stessa data compare sulla partitura autografa dell’aria,
dove però è vergata da una mano diversa da quella del compositore: cfr. Stefan Kunze, Vorwort,
in: MA II/7:4, pp. vii–xiii: viii.
2 Su questo comparto della produzione vocale mozartiana si veda la sintesi di Alan Elliott
Cross, The eight concert arias for bass and orchestra of W. A. Mozart, MA Diss., University of
Southern Mississippi 1995.
3 Cfr. MA II/7:4, n. 37, pp. 19–36.
4 Stefan Kunze, Vorwort, p. viii; il nome di battesimo manca anche nell’intitolazione del
brano: cfr. MA II/7:4, p. 19.
5 Stefan Kunze, Vorwort, p. viii, nota 8.

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In realtà, le vicende della Disfatta di Dario sono assai più complesse. Il
testo di partenza risale al 1756 e venne posto in note per la prima volta da
Pasquale Cafaro per il teatro di San Carlo di Napoli; la rappresentazione, che
segnò il debutto operistico del compositore pugliese, ebbe luogo la sera del
20 gennaio, giorno del compleanno del re Carlo di Borbone.6 Il frontespizio
della princeps indica il poeta semplicemente come »duca di S. Angelo Mor-
billi«. Il testo venne incluso nella Raccolta de’ drammi di Morbilli data alle
stampe nel 1778, dalla quale si apprende che l’autore si chiamava Carlo.7 Da
altre sue pubblicazioni si ricava anche il secondo nome, Diodato.8 Pertanto il
creatore della Disfatta può essere identificato in Carlo Diodato Morbilli duca
di Sant’Angelo.9 Membro della nobiltà minore, egli fu uno dei pochissimi
letterati napoletani ad avere il privilegio di vedere rappresentati i propri lavori
sulle tavole del San Carlo.10 Il 20 gennaio 1757 un altro libretto suo, L’incen-
dio di Troja, pure musicato da Cafaro, fu rappresentato sullo stesso palco-
scenico regio.11 Nel 1759 Morbilli pubblicò, in edizioni esclusivamente lette-
rarie, tre drammi che non risultano successivamente musicati: La Claudia12,
Muzio Scevola13 e L’Enea nel Lazio;14 essi ricompaiono nella Raccolta del
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6 La disfatta di Dario. Dramma per musica del duca di S. Angelo Morbilli da rappresentarsi
nel real teatro di S. Carlo a dì 20 gennaro 1756, Napoli 1756 (esemplare cons.: I-Nc).
7 Raccolta de’ drammi, cantate e sonetti composti dal duca di S. Angelo D. Carlo Morbilli
patrizio salernitano, Napoli 1778. Il volume è dedicato Agl’itali cigni dal figlio dell’autore;
potrebbe pertanto trattarsi di un’edizione postuma.
8 Cfr. infra, nota 12.
9 Alla stessa conclusione giunge Roberto Scoccimarro, Le intonazioni de La disfatta di
Dario di Giuseppe Giordani (1789) e Giovanni Paisiello (1776), in: La figura e l’opera di Giu-
seppe Giordani, atti del convegno (Fermo, 3–5 ottobre 2008), a c. di Ugo Gironacci e Francesco
Paolo Russo, Lucca 2013, pp. 455–495: 455.
10 La circostanza è rimarcata da Benedetto Croce, I teatri di Napoli. Secolo XV–XVIII,
Napoli 1891, p. 479.
11 L’incendio di Troja. Dramma per musica del duca di S. Angelo Morbilli da rappresentarsi
nel real teatro di S. Carlo a dì 20 gennajo 1757, Napoli 1757 (esemplare cons.: I-Nc).
12 La Claudia. Opera drammatica del duca di S. Angelo Morbilli napoletano, Napoli 1759
(esemplare cons.: I-Rig); nella dedica All’illustrissimo signor D. Antonio Potenza barone delle
Salvitelle (p. [iii]), lo stampatore afferma che il »signor duca di S. Angelo D. Carlo Diodato
Morbilli […] per suo piacere […] tiene occupata la maggior parte dell’animo suo« nella scrittura
drammatica.
13 Muzio Scevola. Dramma per musica del duca di S. Angelo Morbilli napoletano, Napoli
1759 (esemplare cons.: I-Rig).
14 L’Enea nel Lazio. Dramma per musica del duca di S. Angelo Morbilli napoletano, seconda
ed., Napoli 1759 (esemplare cons.: I-Nc); l’avviso Lo stampatore a chi legge (pp. [i]–[ii])
segnala il rapido esaurimento della prima edizione del libretto – della quale non è noto alcun
esemplare – e la conseguente necessità di »rinnovarne […] l’impressione per così soddisfare alle
comuni brame«; secondo lo stesso avviso, il testo era originariamente apparso in contemporanea
con »altri due« drammi dell’autore (evidentemente La Claudia e Muzio Scevola).

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1778 insieme ad alcuni componimenti minori.15
Entro lo scarno catalogo del duca di Sant’Angelo, La disfatta di Dario è
senz’altro il titolo più fortunato. Il libretto, che pure era stato oggetto di criti-
che nell’ambiente napoletano16, gode di una notevole longevità e conosce una
ramificata circolazione. Nella t a v o l a 1 ho provato a schematizzarne
l’irradiazione; le caselle di maggiore ampiezza sono nuove intonazioni, men-
tre i rettangoli minori corrispondono a semplici riprese; contorni e linee trat-
teggiate indicano, rispettivamente, le versioni che non ho potuto visionare
direttamente e i rapporti che queste presumibilmente intrattengono con il
resto della tradizione.

Tavola 1: Diffusione del libretto de La disfatta di Dario.

Tanto per cominciare, la partitura di Cafaro viene riproposta eccezionalmente


a Napoli a distanza di un anno in circostanze non del tutto chiare. Il 20 gen-
naio del 1757 il San Carlo ospita il debutto del già ricordato Incendio di
Troja di Morbilli e Cafaro. Tuttavia per la medesima stagione di carnevale è
pervenuto un libretto della Disfatta caratterizzato da un frontespizio assai
curioso, che ripete i dati cronotopici relativi alla prima apparizione ma li
________________
15 Accanto ai cinque libretti maggiori (con l’Enea nel Lazio sia nella versione originale, sia
in quella »rinovata«), la raccolta del 1778 include L’innocenza trionfante (»sagro componi-
mento […] in onore del glorioso S. Niccolò di Bari arcivescovo di Mira«), la Cantata a tre voci
per festeggiarsi nel real teatro di S. Carlo il felicissimo giorno natalizio di Sua Maestà e La fe-
licità di Partenope (»festa teatrale per li reali imenei di Ferdinando Borbone re delle due Si-
cilie«); seguono alcuni componimenti poetici (sonetti, cantate, canzonette) e quattro sonetti in
lode dell’autore.
16 Cfr. Croce, I teatri di Napoli, nota 6 alle pp. 479–480: »Posseggo tra i miei mss. una
parodia del dramma del Morbilli, int: La disfatta di Dario Dramma per il calascione composto
solamente per fare ridere la signora principessa Calamita da recitarsi da musici rauchi ad
uditori o pazienti o sordi uscito li 6 di febraio 1756, opera del duca di Parete. Alla fine un
sonetto napolitano del duca di Maddaloni, anche contro il dramma del Morbilli«.

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integra con l’indicazione di una ripresa;17 la lettera dedicatoria presente nelle
soglie reca la data del 5 febbraio 1757.18 Se ne può forse dedurre che l’In-
cendio non incontrò i favori del pubblico e che a un certo punto si decise di
interromperne le rappresentazioni e di ricorrere alla creazione degli stessi
autori andata in scena con successo dodici mesi prima?19 Forse sì, visto che il
nuovo libretto riprende pari pari il testo drammatico della princeps ma, per la
conclusione del secondo atto, sostituisce il duetto di Statira e Alessandro
Vorrei spiegarti, oh dio! con l’analogo numero di Agamennone e Cassandra
Serena i mesti rai presente nella scena II.9 dell’Incendio di Troja.20 Insomma,
all’eclissi dell’Incendio sembra scampare un solo pezzo chiuso, forse preser-
vato perché gradito agli spettatori in virtù della sua struttura piuttosto origi-
nale21 e perciò recuperato all’interno della Disfatta per conferirle un tocco di
novità. Sempre nel carnevale del 1757 l’opera di Cafaro viene eseguita anche
a Macerata22, mentre nell’autunno successivo approda alla Pergola di Firen-
ze;23 è molto probabile che a propiziare il transito in Toscana siano alcuni
interpreti: dal secondo allestimento partenopeo provengono infatti due ruoli
principali (il castrato Giovanni Manzoli e il tenore Domenico Magalli, rispet-
tivamente Alessandro e Dario) e una parte secondaria (Giuseppe Guspeldi,
Seleuco).
Nel frattempo i versi di Morbilli hanno cominciato a destare l’attenzione di
altri compositori. Nel carnevale del 1757, a Genova viene presentata una
Sconfitta di Dario con note del partenopeo Michelangelo Valentini.24 Nel
1762 il libretto riappare a Londra, dove fornisce l’ossatura di un pasticcio25
con musica »di vari celebri autori eseguita sotto la direzione del signor
Gioacchino Cocchi maestro napolitano«.26 Nella capitale britannica i recita-
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17 La disfatta di Dario. Dramma per musica del duca di S. Angelo Morbilli rappresentato nel
real teatro di S. Carlo a dì 20 gennajo 1756 […] e di nuovo si rappresenta in questo corrente
anno, Napoli 1757 (esemplare cons.: I-Nc).
18 Ivi, p. [ii].
19 Così sembrano ritenere implicitamente gli autori della più recente cronologia del massimo
teatro napoletano, che collocano il ritorno sulle scene della Disfatta nella data della dedica: cfr.
Paologiovanni Maione – Francesca Seller, Teatro di San Carlo di Napoli. Cronologia degli
spettacoli, vol. I: 1737–1799, Napoli 2005, p. 93.
20 L’innesto di Serena i mesti rai comporta significative modifiche nel recitativo che pre-
cede, in quanto, a differenza di Statira che protesta il suo amore ad Alessandro, Cassandra,
nell’Incendio, attacca violentemente Agamennone accusandolo di essere un »perfido traditore«.
21 Si veda la partitura autografa conservata in F-Pn, Département de la musique, Ms. 1669,
vol. II, cc. 86r–99v.
22 Cfr. Claudio Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 7 voll., Cuneo 1990–
1994, n. 7989.
23 Cfr. ivi, n. 7988.
24 Cfr. ivi, n. 21324.
25 La disfatta di Dario. Drama da rappresentarsi sopra il teatro di S. M. B., London 1762
(esemplare cons.: GB-Lbm).
26 Ivi, p. 2.

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tivi del 1756 vengono sottoposti a energiche potature che tuttavia non intac-
cano l’architettura drammatica primitiva; i versi lirici sono quasi tutti nuovi,
a riprova del carattere raccogliticcio dello spettacolo, e due sono i numeri ag-
giunti. La creazione del duca di Sant’Angelo, dunque, diventa una sorta di
scheletro sul quale si innestano oggetti sonori di provenienza disparata. La
spericolata operazione, del tutto in linea con le abitudini produttive d’oltre-
manica, incontra un ampio consenso soprattutto grazie alla forte componente
spettacolare della performance, sottolineata dagli osservatori coevi.27
Dopo dodici anni il testo di Morbilli torna utile a Torino, dove La disfatta
di Dario va in scena con musiche del romano Giovanni Masi.28 In questo
caso, un anonimo poeta, sia pure rispettando la struttura generale del modello,
razionalizza e riarticola la successione delle scene, introduce testi sostitutivi
per molti pezzi chiusi e sottopone la versificazione a una minuziosa parafrasi
con intenti di affinamento stilistico.
Il rinnovato interesse per il libretto si traduce in un ulteriore cimento crea-
tivo. Nel febbraio del 1776 il teatro di Torre Argentina di Roma mette in
scena una nuova Disfatta di Dario con note di Giovanni Paisiello.29 L’ignoto
raffazzonatore romano interviene pesantemente sulla traccia originale del
1756, come si può osservare con l’aiuto della t a v o l a 2.
Accanto a tagli e rielaborazioni del tessuto poetico, si evidenziano modifiche
sensibili nel plot determinate dall’innesto di episodi secondari. Il primo atto è
interessato da una libera ridisposizione degli accadimenti, e notevole appare
la rielaborazione della scena finale, che diviene drammaturgicamente più
movimentata e musicalmente più accattivante grazie alla sostituzione dell’aria
di Statira prevista da Morbilli con un terzetto per i tre interpreti principali.
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27 Il 23 marzo 1762 Elizabeth Harris così scrive a James Harris jr: »There was a new opera
last Saturday; it is the defeat of Darius. I have not seen it, but I hear the songs are collected from
many operas & some are very fine. ’Tis a very showy thing for there is a very great battle, not a
common stage skirmish but a regular fight & all the men have been exercisd on purpose. There
is also a castle besieg’d & beat down. The fine ladies make great complaint that the gun powder
stinks so they are almost kill’d, but I hope their affectation will not putt a stop to it till I have
seen it, which I hope to do next Saturday« (lettera pubblicata in Donald Burrows – Rosemary
Dunhill, Music and theatre in Handel’s world. The family papers of James Harris, 1732–1780,
Oxford 2002, p. 374).
28 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi nel regio teatro di Torino nel
carnovale del 1774, Torino s.a. (esemplare cons.: I-Bc).
29 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi nel teatro di Torre Argentina
nel carnevale dell’anno 1776, Roma s.a. (esemplare cons.: CDN-Ttfl). Il debutto dell’opera è
registrato da una cronaca coeva: »Sabato 3 del corrente [febbraio] fu posta [sic] in scena nel
teatro d’Argentina il nuovo dramma intitolato la Disfatta di Dario, musica del celebre sig. Gio.
Paesiello, che incontrò l’universal soddisfazione come ancora il ricco e bene inteso vestiario, i
nuovi scenari e le decorazioni« (Gazzetta universale III/13, 13 febbraio 1776, corr. da Roma del
7 febbraio, p. 102); cfr. anche Mario Rinaldi, Due secoli di musica al Teatro Argentina, 3 tt. con
num. unica delle pp., Firenze 1978, t. I, p. 211.

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Tavola 2: Confronto tra il libretto originale del 1756 (a sinistra) e la versione musicata da
Paisiello nel 1776 (a destra).

Anche il secondo atto conosce modifiche significative, mentre complessiva-


mente meno innovativo risulta il terzo, toccato solo da blandi alleggerimenti.
Uno degli effetti più importanti di questa larga ed energica revisione è la
preminenza assegnata al personaggio di Dario, che rispetto alla trama primi-
tiva si ritrova ad avere maggiore risalto e migliori occasioni sceniche. Tale
esito non meraviglia quando si consideri che il title role a Roma viene rico-
perto da un tenore applauditissimo, Giovanni Ansani. È lui la star all’Ar-
gentina, giacché decisamente meno prestigiosi appaiono i cantanti impegnati
nelle altre due prime parti, gli evirati Antonio Muzi (Alessandro) e Tommaso
Galeazzi (Statira).
Non a caso, Ansani porta La disfatta di Dario di Paisiello a Firenze nell’au-
tunno dello stesso anno.30 Il pubblico apprezza molto la sua interpretazione,
come si evince da un resoconto della Gazzetta universale:
Giovedì sera [24 ottobre] fu posta in scena nel teatro di via del Cocomero la nuova
opera intitolata La disfatta di Dario messa in musica dal celebre sig. Giovanni Pae-
siello, che incontrò l’universale approvazione. Le decorazioni e il vestiario sono di
________________
30 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi in Firenze nel teatro di via del
Cocomero nell’autunno dell’anno 1776, Firenze 1776 (esemplare cons.: I-Bc); Ansani è l’unico
interprete in comune con il cast romano.

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ottimo gusto, e il noto sig. Tommaso Guarducci e rinomatissimo sig. Giovanni Ansani
31
tenore vi si fanno distinguere per l’eccellente maniera di recitare e cantare.
Nel carnevale del 1777 Ansani interpreta la Disfatta paisielliana anche a Li-
vorno;32 di nuovo, il tenore è il cantante più in vista del cast, nel quale è
affiancato da Marcello Pompili (Alessandro) e dal soprano inglese Maria
Barthélemon nata Young (Statira):
Martedì sera 21 del corrente andò a scena in questo teatro la nuova opera La
disfatta di Dario […], la quale non potea meglio incontrare il generale gradimento per
tutti i lati. Furono meritamente applauditi il sig. Marcello Pompili soprano e la sig.
Maria Barthelemon prima donna, ma specialmente poi il […] sig. Ansani tenore che,
quasi unico ai giorni nostri per la sua rara abilità e nell’azione e nel canto, può dirsi il
primo sostegno dello spettacolo, e però fu distinto sopra tutti dalle acclamazioni
33
e dagli applausi.
Sempre Ansani è responsabile, nell’estate del 1777, del ritorno della Di-
sfatta di Dario al San Carlo di Napoli in una versione molto alterata che meri-
ta di essere esaminata in dettaglio. Stando a quanto attestato da documenti
d’archivio oggi perduti34, come seconda opera della stagione 1777–1778 le
autorità teatrali napoletane avevano scelto »il noto dramma l’Ifigenia in
Tauride con la musica di Traetta, che fu cagione della rinomanza dell’attuale
primo uomo Rubinelli, il quale la rappresentò a Firenze«. La partitura, però,
risulta poco gradita ad Ansani, il quale fa osservare che in essa »vi è pochis-
sima parte per lui« e, »per dimostrare l’interesse che ha per soddisfare il
pubblico«, insiste per sostituire l’Ifigenia con La disfatta di Dario, vale a dire
il titolo che gli ha assicurato applausi unanimi a Roma, Firenze e Livorno. Il
cantante mobilita in suo favore la principessa di Belmonte, che caldeggia la
scelta dell’opera di Paisiello. L’evirato Giovanni Rubinelli, però, non ci sta e
a sua volta presenta »istanza acciocché non si deferisca alle premure del teno-
re Ansani per la mutazione del dramma in S. Carlo, poiché esso Rubinelli non
vi avrebbe veruna parte, e dee piuttosto sentirsi il primo uomo che il tenore«.
Il 27 giugno il re Ferdinando IV pone fine al contenzioso ordinando che il 13
agosto si rappresenti »La disfatta di Dario con la musica del Paisiello fatta a
________________
31 Gazzetta universale III/86, 26 ottobre 1776, corr. da Firenze del 25 ottobre, p. 684; nello
stesso fascicolo del periodico fiorentino, i fratelli Pagani, stampatori e librai, pubblicizzano »un
terzetto ed una scena del celebre sig. Gio. Paisiello del tutto nuovi, che sono eseguiti nella
Disfatta di Dario« (ivi, p. 688).
32 Cfr. Sartori, I libretti, n. 7995.
33 Gazzetta universale IV/8, 28 gennaio 1777, corr. da Livorno del 22 gennaio, p. 63.
34 La ricostruzione che segue, con le citazioni che la accompagnano, si basa su quanto
pubblicato a suo tempo da Eugenio Faustini-Fasini, Opere teatrali, oratori e cantate di Giovanni
Paisiello (1764–1808). Saggio storico-cronologico, Bari 1940, pp. 72–73; l’autore leggeva dal
fascio 21 della serie »Teatri« dell’Archivio di Stato di Napoli, distrutta nel 1943.

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Roma«. In realtà, il risultato della laboriosa trattativa è un patchwork che
nella sua natura ›mostruosa‹ reca i segni del bisticcio e del compromesso. Dal
libretto35 lo spettatore apprende che sta per assistere a uno spettacolo
composito, figlio di molti padri:
La musica è del sig. Giovanni Paiesello [sic] assente; la direzione è del sig. Gio-
vanni Valentini maestro di cappella napolitano, il quale ha di nuovo composto il
duetto e le arie contrasegnate coll’asterisco *, ed alcune altre virgolate sono d’altri
autori, poste da’ cantanti per commodo delle diloro voci.
La corrispondente partitura, custodita presso il Conservatorio di Napoli36,
assegna le tessere che compongono il bizzarro mosaico a cinque diversi
autori: Pasquale Cafaro, Gaspare Gabellone, Pietro Alessandro Guglielmi,
Giovanni Paisiello e Giovanni Valentini. La t a v o l a 3 riporta sia i simboli
(asterisco e virgolette) presenti nel libretto in corrispondenza di alcuni pezzi
chiusi, sia le attribuzioni che compaiono nella fonte musicale; come si può
osservare, tra i due sistemi di segnalazione sussistono alcune incongruenze
che rendono ancora più ingarbugliata la matassa.37 L’anarchia che regna nella
messinscena del 1777 sembra il frutto di una reazione a catena: il cattivo
esempio dato dal tenore e dal primo uomo fa sì che gli altri interpreti si sen-
tano autorizzati a comportarsi allo stesso modo, e pertanto ciascuno propone
– o impone – i propri numeri prediletti. Va osservato come Ansani, che pure
insiste tanto per portare in scena la Disfatta paisielliana, non si periti di so-
stituire una delle arie create dal maestro tarantino con una pagina firmata da
Gabellone (A pugnar col cielo irato, I.6). Rubinelli preferisce arie scritte
appositamente per lui da Valentini (Della guerriera tromba, I.3; Un amante
sventurato, III.4), ma sorprendentemente recupera un brano proveniente dalla
partitura di Cafaro, ormai vecchia di vent’anni: Belle luci che accendete
(II.5), che nel 1756 aveva ottenuto uno straordinario successo.38 Il numero,
però, non viene riproposto nella forma originale, ma con vistose modifiche
nella strumentazione (in virtù dell’aggiunta di oboi e corni ai soli archi pre-
visti da Cafaro) e nella linea melodica (che evita le note acute e tende a per-
manere nell’area centrale del registro), così da assecondare le caratteristiche
e accontentare le richieste del nuovo interprete.
________________
35 La disfatta di Dario. Dramma per musica del duca di S. Angelo Morbilli patrizio salerni-
tano da rappresentarsi nel real teatro di S. Carlo nel dì 13 agosto 1777, Napoli s.a. (esemplare
cons.: I-Bc).
36 I-Nc, 30.6.15–17.
37 Le arie contrassegnate con l’asterisco in I.2 e in II.5 non sono di Valentini; le arie delle
scene II.6, II.12, III.1 e III.5, benché prive di virgolettatura, non sono di Paisiello.
38 Secondo Sigismondo, Belle luci che accendete »si cantava insino da’ volanti della nobiltà
e da’ facchini del teatro« (Giuseppe Sigismondo, Apoteosi della musica del Regno di Napoli,
a c. di Claudio Bacciagaluppi, Giulia Giovani e Raffaele Mellace, con un saggio introd. di Rosa
Cafiero, Roma 2016, p. 218).

140
Sinfonia Paisiello

I.1 Statira, Pensa, rifletti (oh dio!) Guglielmi


I.2 Barsene, Vorrei dir gl’affanni miei* Paisiello
I.3 marcia [Paisiello]
Alessandro, Della guerriera tromba* Valentini
I.5 Nearco, Se un dolce zeffiro* Valentini
I.6 Dario, A pugnar col cielo irato Gabellone
I.8 Seleuco, Deh non partir, t’arresta Cafaro
I.11 Alessandro, Statira, Dario, So che fra poco, indegno Paisiello

II.1 Nearco, Fiamma ignota nell’alma mi scende Paisiello


II.2 Seleuco, Fra le nemiche schiere Cafaro
II.4 Barsene, Bastano all’alma mia Paisiello
II.5 rec. acc. Alessandro, Sì quello il giura. E se mancar lo vedi Valentini
Alessandro, Belle luci che accendete* Cafaro
II.6 Statira, Odo una lieta voce Guglielmi
II.7 marcia Paisiello
II.9 rec. acc. Dario, Dove, ahi dove son io? Misero padre Paisiello
Dario, Mentre ti lascio, o figlia Paisiello
II.12 rec. acc. Statira, Come? on vive più l’amato bene? Paisiello
Statira, Perché taci e non rispondi? Cafaro
rec. acc. Statira, Alessandro, Infelice Statira, ah tu vaneggi! Valentini
Alessandro, Statira, on mi ravvisi, o cara* Valentini

III.1 Seleuco, Ben lo sai se un vero amore Cafaro


III.4 rec. acc. Alessandro, Donna di te più infida Valentini
Alessandro, Un amante sventurato* [Valentini]
III.5 Statira, Deh non morirmi in seno Guglielmi
III.6 marcia [= II.7]
Dario, A chi soffre un mar d’affanni Paisiello
III.8 Coro, Sempre di palme adorno manca

Tavola 3: Schema dei pezzi chiusi del pasticcio napoletano del 1777.

141
L’episodio napoletano conferma indirettamente che La disfatta di Paisiello
è – o è diventata – un’opera per il tenore. Se ne è accorto un altro divo del se-
condo Settecento, Giacomo David, che si è impossessato del ruolo creato per
Ansani e lo ha interpretato a Bologna nella primavera del 1777.39 Nel primo e
nel secondo atto, la versione bolognese rispetta il tracciato romano, salvo
qualche sostituzione nei pezzi chiusi; il terzo atto è invece sottoposto a una
drastica contrazione che salva, sfoltendole, solo le ultime tre delle nove scene
presenti nel modello e contiene un unico pezzo chiuso, ossia un esteso en-
semble conclusivo cantato da tutti i personaggi.
David compare nel ruolo di Dario anche nella nuova Disfatta firmata da
Tommaso Traetta per il teatro di San Benedetto di Venezia nel carnevale del
1778.40 Il testo intonato dal compositore di Bitonto mostra punti di contatto
evidenti con il libretto stampato a Bologna l’anno precedente (la parentela è
stretta nel terzo atto, che propone all’incirca la stessa scorciatura bolognese
salvo risarcire i tre ruoli principali di un numero a testa). Sembra proprio che
David, scoperte le potenzialità del soggetto e del libretto grazie al setting di
Paisiello, abbia deciso di farsi cucire addosso una nuova intonazione. Anche
in questo caso, il tenore è il personaggio di spicco del cast, e pertanto è ben
possibile che sia stato lui a proporre il titolo, così da poter avere una ›sua‹
versione della Disfatta, diversa da quella ormai strettamente legata al nome di
Ansani. A quanto pare, però, l’operazione non riesce. David non ripropone la
partitura di Traetta in alcuna piazza e anzi nel carnevale del 1782, a Genova,
canta di nuovo la Disfatta di Paisiello.41 Quest’ultima riappare per l’ultima
volta a Braunschweig nell’estate del 1784.42
Nel frattempo, nell’ottobre 1779 ad Alessandria è stato eseguito un altro
dramma per musica basato sul testo di Morbilli, quasi certamente nella sua
declinazione romana;43 il compositore responsabile di questa ennesima musi-
cazione è il misconosciuto Giuseppe Ferrero, mentre l’interprete del ruolo di
Dario è il noto tenore Domenico Mombelli.
Sempre dalla versione intonata da Paisiello nel 1776 deriva infine il libretto
della Disfatta utilizzato da Giuseppe Giordani ›Giordaniello‹ per il teatro alla

________________
39 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi in Bologna nel teatro Zagnoni
la primavera dell’anno 1777, Bologna s.a. (esemplare cons.: CDN-Ttfl).
40 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi nel nobilissimo teatro di S. Be-
nedetto il carnovale dell’anno 1778, Venezia 1778 (esemplare cons.: I-Bc); sull’opera si vedano
le brevi annotazioni di Jörg Riedlbauer, Die Opern von Tommaso Trajetta, Hildesheim-Zürich-
New York 1994, pp. 259–260, 379–380.
41 Cfr. Sartori, I libretti, n. 7999.
42 Cfr. ivi, n. 8000.
43 Cfr. ivi, n. 7998.

142
Scala di Milano nel 1789.44 Le modifiche, in questo caso, sono cospicue. Dal
punto di vista macrostrutturale, la natura e la distribuzione degli accadimenti
vengono grosso modo rispettate, ma mutati appaiono diversi dettagli del plot;
inoltre lo spettacolo, in ossequio al gusto di fine secolo, si arricchisce di
significativi apporti corali che aggiungono solennità alle scene di massa (I.4 e
6, II.3 e 10, III.9). Per quanto riguarda la grana della versificazione, l’anoni-
mo revisore lombardo lascia intatti pochi segmenti testuali e preferisce di
gran lunga ridisporre e riscrivere. Il libretto di Milano, pertanto, pur man-
tenendo forti legami con la tradizione della Disfatta, è un prodotto assai
lontano dal capostipite partenopeo del 1756. La partitura di Giordani passa
a Brescia in quello stesso 178945, e successivamente funge da base per il
pasticcio messo in scena a Napoli nel 179046, che rinuncia al coro e si articola
in due sole parti in virtù dell’atrofizzazione del terzo atto milanese, accorpato
al secondo.
La ricostruzione di questo intricato processo di trasmissione riguarda da
vicino il tema principale affrontato nelle presenti pagine. L’aria Mentre ti
lascio, o figlia, infatti, non appartiene al testo originale della Disfatta musi-
cato da Cafaro nel 1756. Essa fa la sua apparizione nella scena II.9 del li-
bretto utilizzato a Roma nel 1776 da Paisiello47, che dunque è il primo com-
positore a intonarla. Il pezzo chiuso si ritrova nel libretto veneziano del 1778
per Traetta.48 Nell’opera di Giordani per Milano del 1789, la medesima con-
giuntura scenica prevede un diverso contenuto poetico (Io ti lascio, o figlia
amata, II.11)49, e una soluzione ancora diversa è proposta nel pasticcio
________________
44 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi nel teatro grande alla Scala il
carnevale dell’anno 1789, Milano s.a. (esemplare cons.: CDN-Ttfl); si vedano le positive recen-
sioni di questo spettacolo riportate sotto la data del 9 febbraio 1789 da Dascia Delpero, Il »Gior-
nale enciclopedico di Milano« (1782–1797) e la »Gazzetta enciclopedica di Milano« (1780–
1802): due nuove fonti per la storia della musica milanese, in: Fonti musicali italiane 4, 1999,
pp. 55–111: 84, 104.
45 Cfr. Sartori, I libretti, n. 8000a; sulla rappresentazione bresciana cfr. le testimonianze ri-
portate da Giovanni Polin, Documenti e notizie sull’attività operistica di Giordani nella Serenis-
sima: una prima ricognizione, in: La figura e l’opera di Giuseppe Giordani, pp. 229–248: 240.
46 La disfatta di Dario. Dramma per musica da rappresentarsi nel real teatro di S. Carlo nel dì
13 di agosto 1790, Napoli 1790 (esemplare cons.: I-Bc); a p. 20 compare il seguente avviso: »La
musica è di diversi celebri autori, diretta dal signor D. Gaetano Marinelli maestro di cappella
napoletano, di cui è il duetto nell’atto secondo«.
47 Cfr. La disfatta di Dario, ed. Roma 1776, p. 30.
48 Cfr. La disfatta di Dario, ed. Venezia 1778, p. 37.
49 »Io ti lascio, o figlia amata, | il più tenero amor mio; | caro prence, in questo addio (a e-
arco) | una figlia abbandonata | a te fida il genitor. || Or convien ch’io vada a morte, | così vuol
l’avverso fato; | ah tu perdi chi t’adora, (a Barsene) | e tu perdi il padre amato; (a Statira) | che
momento sventurato di spavento e di terror!« (La disfatta di Dario, ed. Milano 1789, p. 43). Una
breve analisi comparativa tra il brano di Giordani e Mentre ti lascio, o figlia di Paisiello si trova
in Scoccimarro, Le intonazioni de La disfatta di Dario, pp. 470–472. Mi pare interessante no-

143
napoletano del 1790 (Il più dolce e caro pegno, II.10).50 L’esame dell’intera
tradizione della Disfatta di Dario dimostra dunque che Mentre ti lascio, o
figlia è presente esclusivamente nelle versioni di Paisiello e di Traetta. Allo
stesso tempo, non è più possibile dare un nome all’autore di queste strofe. La
scena II.9 del libretto romano del 1776, infatti, è un segmento interamente
nuovo rispetto al dramma per musica del duca di Sant’Angelo. L’identità del
raffazzonatore che approntò la revisione per il teatro Argentina non è nota.
Un avviso presente nelle soglie del libretto a stampa fa escludere che si possa
trattare dello stesso Morbilli:
Tuttociò che si trova cangiato nel dramma si è dovuto fare per adattarsi alle circo-
stanze presenti del teatro; si è procurato per altro di servirsi dei sentimenti medesimi
51
del primo autore sparsi nell’altre opere da lui composte.
Queste parole sembrano suggerire che i segmenti aggiunti provengono da
altri componimenti drammatici del duca; tuttavia le verifiche effettuate sui
suoi lavori attualmente noti non hanno evidenziato alcuna attestazione pre-
cedente di Mentre ti lascio, o figlia. Un labile indizio attributivo proviene
semmai dal libretto della Disfatta stampato per la rappresentazione del 1779
ad Alessandria;52 in questa edizione compare la seguente dichiarazione:
____________________________________________________________________________
tare come i versi scaligeri intrattengano legami strettissimi con un’aria di Rodoaldo che compare
– a quanto sembra per la prima volta – nella scena II.7 del Ricimero re de’ Goti musicato da
Baldassarre Galuppi nel 1753, libretto appartenente a un ramo tardo della frastagliata tradizione
della Fede tradita e vendicata (1704) di Francesco Silvani: »Io ti lascio, o figlia amata, | il più
tenero amor mio. | Caro prence, in questo addio | una figlia sventurata | a te fida il genitor. || Se
vo forte incontro a morte, | perché, oh dio, perché piangete? | Al mio sguardo nascondete |
quell’inutile dolor« (Ricimero re de’ Goti. Drama per musica da rappresentarsi nel real teatro di
S. Carlo a dì 4 novembre 1753, Napoli s.a., p. 26; esemplare cons.: I-Bc). Il testo ricompare in
successive versioni del Ricimero, tra cui quelle di Gian Francesco de Majo (1759), Giovanni
Battista Borghi (1773), Pietro Alessandro Guglielmi (1777) e Niccolò Zingarelli (1785).
50 »Il più dolce e caro pegno | che io ti do nell’ora estrema | è un amplesso ed un addio; | ma
ti stringo a un cor che trema | fra le smanie e fra l’orror. || Ma qual interna voce | mi sgrida e vuol
vendetta? | Barbaro cielo, affretta | la morte ormai per me. || Vado; tu piangi, oh dio! | Che fiero
caso è il mio! | In cento parti e cento | Ah mi si spezza il cor« (La disfatta di Dario, ed. Napoli
1790, p. 41). La prima quartina di questo numero riprende, adattandola, la strofa iniziale
dell’aria cantata da Ataliba nella scena II.5 del Pizzarro dello stesso Giordani, dato per la prima
volta a Livorno nel 1783 e replicato l’anno dopo a Verona e Firenze: »Il più dolce e caro pegno |
ch’io vi do nell’ora estrema | è un amplesso ed un addio; | ma vi stringo a un cor che trema | fra
le smanie e fra l’orror. || Ah si vada, ahi qual momento! | Voi piangete? Oh fier tormento! | Ah
che regger non poss’io | agli affanni ed al dolor« (Pizzarro nell’Indie o sia La distruzione del
Perù. Dramma per musica da rappresentarsi in Firenze la primavera dell’anno 1784 nel nuovo
regio teatro degl’Intrepidi detto la Palla a corda, Firenze s.a., p. 28; esemplare cons.: I-Bc). Le
ultime quattro linee, invece, mostrano una parentela evidente con la seconda stanza di Mentre ti
lascio, o figlia.
51 La disfatta di Dario, ed. Roma 1776, p. xii.
52 Cfr. supra, nota 43.

144
Il presente dramma, composto molti anni sono in diversa forma dal duca Morbelli
[sic] napoletano e ridotto poi ad uso teatrale dall’abate Giuseppe Casali romano, si è
ora variato, anche notabilmente, per adattarlo al maggior comodo della musica e alle
53
circostanze di questo teatro.
È forse il misconosciuto Giuseppe Casali54 il responsabile della metamor-
fosi romana della Disfatta di Dario di Morbilli e, quindi, l’autore dei versi
musicati da Mozart nel 1787? I riferimenti presenti nel passo appena citato
sono troppo vaghi per permettere di rispondere con sicurezza a tale interro-
gativo. Pertanto, sulla base delle conoscenze disponibili, sarà più prudente
assegnare il testo intonato dal salisburghese a un poeta non identificato attivo
a Roma alla metà degli anni settanta del XVIII secolo.

[2]
Si è visto come la Disfatta di Paisiello goda di una significativa circolazione,
con riprese a Firenze, Livorno, Bologna, Napoli, Genova e Braunschweig. Il
successo dell’opera e la sua importanza nella carriera dell’autore sono indi-
rettamente testimoniati dal ritratto del maestro tarantino eseguito da Élisabeth
Vigée-Lebrun nel 1790; in questo celebre dipinto, attualmente conservato
a Versailles, La disfatta di Dario compare entro una ristretta rosa di titoli im-
pressi sul dorso di un’irrealistica miscellanea che serve a celebrare i meriti di
Paisiello come compositore di opere eroiche.55
Ma a circolare non è soltanto la partitura nel suo insieme. Come spesso ac-
cade, alcuni numeri godono di speciale fortuna e, una volta estrapolati dal
corpo dell’opera, conquistano un’esistenza autonoma. Uno tra questi, e anzi il
più fortunato, è proprio l’aria Mentre ti lascio, o figlia, che si diffonde come
pezzo staccato insieme al recitativo obbligato che la precede (Dove, ahi dove
son io? Misero padre). Numerose sono le copie del numero di Dario attual-
mente sparse nelle biblioteche di mezzo mondo.56 La fortuna – come si vedrà
tra poco – è più che meritata, in quanto la pagina è caratterizzata da origina-
lità di concezione, eleganza di scrittura ed efficacia drammatica.
________________
53 Nell’impossibilità di visionare direttamente il libretto, cito la dichiarazione così come ri-
portata in Oscar George Theodore Sonneck, Library of Congress. Catalogue of opera librettos
printed before 1800, 2 voll., Washington 1914, vol. I, p. 389.
54 L’abate Giuseppe Casali, pastore arcade, risulta autore di un Componimento sacro per
musica da farsi cantare nella festa fra l’ottava di S. Filippo eri sul monte di S. Onofrio da’
RR. PP. della Congregazione dell’Oratorio di Roma stampato a Roma nel 1774.
55 Cfr. John A. Rice, Elisabeth Vigée-Lebrun’s portrait of Giovanni Paisiello, in: Daniel
Heartz, Artists and musicians. Portrait studies from the Rococo to the Revolution, with con-
tributing studies by Paul Corneilson and John A. Rice, ed. by Beverly Wilcox, Ann Arbor 2014,
pp. 312–337: 331–333.
56 Cfr. Michael F. Robinson, Giovanni Paisiello. A thematic catalogue of his works, with the
assistance of Ulrike Hofmann, 2 voll., Stuyvesant 1991–1994, vol. I: Dramatic works, n. 1.51,
pp. 229–235: 233.

145
Mentre ti lascio, o figlia è inoltre accompagnata da una fama specifica e te-
nace, destinata a superare il confine del secolo. All’interno del profilo auto-
biografico scritto nel 1811 per l’amico Gioacchino Avellino, Paisiello affer-
ma che nella Disfatta di Dario »comparve per la prima volta l’aria di due
caratteri cantata dal tenore Ansani Mentre ti lascio, o figlia etc., che in seguito
tutti i compositori ne hanno fatto uso«.57 Un’»aria di due caratteri« è un’aria
slow/fast; i ›caratteri‹ menzionati nella definizione sono le due sezioni di
andamento contrastante, la prima lenta, l’altra veloce. Di certo Paisiello esa-
gera quando si attribuisce l’invenzione di questa tipologia formale. Tuttavia è
proprio intorno alla metà degli anni settanta che le arie slow/fast diventano di
gran moda, sicché diversi compositori, indipendentemente l’uno dall’altro,
conducono un’intensa sperimentazione su tali strutture fino a giungere alla
codificazione del vero e proprio rondò vocale in due tempi.58 D’altra parte la
Méthode de chant del Conservatorio di Parigi, pubblicata nel 1803, annovera
l’aria di Paisiello tra i migliori esempi di »airs à deux mouvemens« o – secon-
do la terminologia italiana – di »airs de deux caractères«.59
Nel 1840 il marchese di Villarosa ancora ricorda »la celebre aria Mentre ti
lascio, o figlia, che per la novità produsse il più grande effetto«.60 Del pre-
sunto primato si torna a parlare in una biografia di Paisiello pubblicata
a puntate nella Gazzetta musicale di Milano tra il giugno e l’agosto del 1842
da un autore che si cela dietro la sigla »G. B.«:
Prima del suo viaggio in Russia Paisiello compose cinquantadue opere per teatro,
comprese però alcune cantate, nella penultima delle quali, che fu la Disfatta di Dario,
si udì per la prima volta un’aria in due tempi, cominciata cioè coll’Adagio e terminata
con un Allegro. Quest’aria Mentre ti lascio, o figlia, cantata la prima volta dal tenore
Ansani, servì di modello alle mille e mille che poi si scrissero in due tempi, ben di
rado per servire alla natura del punto drammatico e al movimento incalzante degli
affetti, unica legge ubbidita da Paisiello in quel primo esempio di emancipazione
all’usata forma, ma per lo più all’uopo di sottrarsi alla somma difficoltà di comporre
________________
57 Nino Cortese, Un’autobiografia inedita di Giovanni Paisiello, in: La rassegna musicale 3,
1930, pp. 123–135: 127, nota 8.
58 Su queste complesse dinamiche cfr. Marco Beghelli, Alle origini della cabaletta, in: L’aere
è fosco, il ciel s’imbruna. Arti e musica a Venezia dalla fine della Repubblica al Congresso di
Vienna, atti del convegno (Venezia, 10–12 aprile 1997), a c. di Francesco Passadore e Franco
Rossi, Venezia 2000, pp. 593–630; Andrea Chegai, La cabaletta dei castrati. Attraverso le
»solite forme« dell’opera italiana tardosettecentesca, in: Il saggiatore musicale 10, 2003, pp.
221–268; Marino Nahon, Le origini del rondò vocale a due tempi. Tempo musicale e tempo
scenico nell’aria seria tardosettecentesca, in: Musica e storia 13, 2005, pp. 25–80.
59 Cfr. Méthode de chant du Conservatoire de Musique contenant les principes du chant, des
exercices pour la voix, des solfèges tirés des meilleurs ouvrages anciens et modernes et des airs
dans tous les mouvemens et les différens caractères, Paris An 12, pp. 81–82.
60 Carlantonio de Rosa marchese di Villarosa, Memorie dei compositori di musica del Regno
di Napoli, Napoli 1840, p. 125.

146
un pezzo tessuto d’un sol movimento e variato nelle varie fasi dell’espressione dram-
matica, non tanto pel meccanismo del ritmo come per l’indole e il carattere diverso
61
dei passi e delle modulazioni e transizioni.
Un’altra importante testimonianza sulla fama raggiunta dalla pagina pai-
sielliana proviene dalla prima biografia di un grande tenore del tardo Sette-
cento, Matteo Babini. L’episodio che qui interessa viene riferito in toni assai
vivaci:
Al teatro di Modena, ove trovavasi il celebre Paisiello di persona ad assistere la
esecuzione di un suo dramma, si produsse per la prima volta Matteo Babini in qualità
di secondo tenore. A que’ tempi ogni artista teatrale veniva obbligato a intraprendere
la sua carriera dalle parti secondarie. Bisogna credere, per quanto si dirà in seguito,
che questa sortita del nostro Babini (forse per l’imbarazzo naturale a un principiante)
non ripromettesse di lui sovverchiamente, perché Paisiello non ne concepì alcuna
opinione. Da Modena Babini passò nella stessa qualità di secondo tenore al teatro
dell’opera a Venezia, nel quale, infermatosi il tenor primo, egli fu incaricato di sup-
plirlo; e con tale fortuna di successo riuscì in questa incombenza, che il pubblico non
volle più oltre che se ne dimettesse. Fu allora che, trovandosi l’ambasciatore russo
a Venezia impegnato a fermare per la sua corte il famosissimo tenore Giovanni
Ansani (uomo già provetto e celebrato sino da quel tempo), né essendosi potuto
concludere di scritturarlo, deliberò quel ministro di eleggere in sua vece il nostro
Babini, che oltrepassava allora di poco i venti anni. Opportunissimo riuscì al giovane
Babini questo collocamento, anche perché nel passare di Vienna fu onorato d’invito
a cantare al circolo dell’imperatore. Nel quale incontro così sorprese i nobilissimi
astanti la straordinaria abilità di lui nell’eseguire quell’aria notissima di Paisiello che
comincia Mentre ti lascio, o figlia, che la gazzetta della corte ne riferì le meraviglie
e a Pietroburgo ne prenunziò acconciamente il merito e la eccellenza. E colà giunto
difatto il Babini e ito dal maestro della cappella di Corte (il nominato Paisiello)
a fargli riverenza, questi gli disse le seguenti parole: »Ma sei tu veramente quello
stesso Babini che io intesi a Modena e che mi paresti sì gran cane?«. »Sì«, rispose
angustiato il Babini. E l’altro: »E tu lo stesso che hai cantato a Vienna la mia aria
Mentre ti lascio, o figlia e hai ottenuto tanti applausi?«. »Appunto«, replicò il
giovanetto. »Ebbene«, soggiunse Paisiello, »bisogna che tu immediatamente mi faccia
sentire quest’aria«. Babini obbedì, e ad ogni periodo quel sommo maestro,
rivoltandosi dal cembalo al cantante, esclamava: »Bravo, bravissimo, egregiamente«,
ec.; e da questo punto Babini, che cercava solamente in lui un precettore, vi trovò
62
insieme un amico che gli durò tutta la vita.
________________
61 G. B., Giovanni Paisiello, in: Gazzetta musicale di Milano 1842, pp. 107–108, 112–113,
129–130, 141–142: 142.
62 Pietro Brighenti, Elogio di Matteo Babini detto al Liceo filarmonico di Bologna […] nella
solenne distribuzione dei premj musicali il 9 luglio 1819, Bologna 1821, nota 13 alle pp. 15–16.

147
L’autore della biografia, Pietro Brighenti, era legato da stretta amicizia a
Babini;63 si può pertanto supporre che, nel passo citato, egli riporti un’in-
formazione comunicatagli direttamente dal cantante, che a sua volta attingeva
ai propri ricordi personali. Benché la sequenza degli avvenimenti narrati
risulti un po’ compressa e imprecisa64, l’aneddoto è assai prezioso, in quanto
ricorda come gli interpreti potessero fungere da formidabili veicoli per la
circolazione del repertorio operistico e, più specificamente, attesta che Men-
tre ti lascio, o figlia di Paisiello conquistò un’ampia rinomanza europea.
Significativa, inoltre, è la modalità di impiego documentata da Brighenti:
l’aria paisielliana attira l’attenzione di alcuni tra i migliori tenori della secon-
da metà del Settecento, i quali la eseguono non soltanto in scena (come An-
sani e David), ma anche in sala (come Babini, che nel corso della sua carriera
non interpreterà mai la Disfatta di Dario in teatro). Mentre ti lascio, o figlia
viene utilizzata come aria da concerto in diversi centri musicali: a Lipsia nel
178565, a Bordeaux nel 178966, a Londra nel 179067, a Napoli nel 1813.68 La
pagina del 1776 è ancora un brano ›favorito‹ – e, probabilmente, un classico
e un banco di prova per i tenori – nella Londra tardo-georgiana, se nel 1829
viene cantata in un concerto di ›musica antica‹ da Domenico Donzelli69, che
due anni dopo creerà il ruolo di Pollione nella orma di Vincenzo Bellini.
________________
63 Cfr. ivi, p. 25, nota 24: »io trovai costantemente in Babini l’egregio maestro, il sincero
consiglio e il tenero e fedelissimo amico«; di questa intimità fornisce prova la lettera di Pietro
Giordani a Brighenti databile al settembre 1815, pubblicata da Giovanni Ferretti, Pietro Gior-
dani sino ai quaranta anni, Roma 1952, n. l, p. 298 (»Se vedete ancora Babbini [sic], riveritelo
caramente per me«).
64 Il primo incontro tra Babini e Paisiello avvenne effettivamente a Modena nel 1771,
quando il tenore interpretò il ruolo secondario di Mitrane nel Demetrio posto in musica dal
compositore tarantino per il teatro di corte; tuttavia il suo arrivo a San Pietroburgo, che Bri-
ghenti presenta come di poco successivo, avvenne non prima del 1777.
65 Si veda il programma del concerto del 19 dicembre 1785 a beneficio del violinista
Bartolomeo Campagnoli pubblicato da William Weber, Les programmes de concerts, de Bor-
deaux à Boston, in: Le Musée de Bordeaux et la musique, 1783–1793, textes réunis par Patrick
Taïeb, Jean Gribenski et Natalie Morel-Borotra, Mont-Saint-Aignan 2005, pp. 175–193: 190.
66 Si veda il programma del concerto del 29 maggio 1789 pubblicato da Odile Touzet –
Patrick Taïeb, Programmes musicaux des séances publiques du Musée de Bordeaux, in: Le
Musée de Bordeaux et la musique, pp. 195–218: 213.
67 Si veda il programma del concerto del 18 febbraio 1790 pubblicato da Simon McVeigh,
The Professional Concert and rival subscription series in London, 1783–1793, in: RMA Re-
search Chronicle 22, 1989, pp. 1–135: 86; va rimarcato come in questo caso l’interprete sia un
evirato, Gaspare Pacchierotti.
68 Si veda la nota delle musiche copiate per i concerti palatini del novembre 1813 pubblicata
da Paologiovanni Maione, Organizzazione e repertorio musicale della corte nel decennio fran-
cese a Napoli (1806–1815), in: Fonti musicali italiane 11, 2006, pp. 119–173: 161.
69 Si veda il programma del concerto del 27 maggio 1829 pubblicato in Concerts of antient
music under the patronage of His Majesty as performed at the new rooms, Hanover Square
1829, London s.a., pp. 147–163: 147, 151.

148
Una prova indiretta della perdurante notorietà della scena e aria è fornita dalla
sua inclusione, in versione ridotta per canto e pianoforte, nella celebre rac-
colta Les gloires de l’Italie di Gevaert.70
La cospicua notorietà e l’ampia circolazione di Mentre ti lascio, o figlia di
Paisiello pongono sotto una nuova luce la composizione mozartiana. In parti-
colare, l’episodio raccontato da Brighenti dimostra che l’aria italiana aveva
raggiunto precocemente Vienna ed era conosciuta nell’ambiente musicale
della capitale imperiale (una città – si noti – che non ospitò alcun allestimento
della Disfatta). Alla luce di tutti questi elementi, si può supporre che Mozart
abbia voluto fornire la propria versione musicale di un testo famoso e
immediatamente associato, nella coscienza dei contemporanei, all’intonazione
di Paisiello. Forse nel maestro salisburghese agiva un certo spirito di emula-
zione: lo stesso spirito, a ben vedere, sotteso a un’altra splendida creazione
risalente al medesimo periodo, la scena e aria Bella mia fiamma, addio / Re-
sta, o cara; acerba morte K. 528, composta a Praga per Josepha Duschek
e basata su un noto precedente jommelliano.71 Mozart, insomma, non sceglie
a caso due strofe da mettere in musica, ma decide – di sua iniziativa o su
suggerimento di Gottfried von Jacquin – di scrivere una nuova aria utiliz-
zando i versi resi celebri dall’illustre collega italiano e, quindi, di confrontarsi
con l’apprezzato modello.72 Se ciò è vero, è assai probabile che la fonte dalla
quale egli ricavò le strofe fosse non un libretto a stampa, ma una copia
dell’aria di Paisiello. Questa circostanza, come si vedrà, aiuta a comprendere
alcune caratteristiche della composizione e rischiara il significato comples-
sivo dell’interessante esperienza mozartiana.

________________
70 Cfr. François-Auguste Gevaert, Les Gloires de l’Italie. Chefs-d’œuvre de la musique
vocale italienne aux XVIIe et XVIIIe siècles, 2 voll., Paris 1868, vol. II, n. 23, pp. con num.
autonoma.
71 Sia permesso il rinvio a Lucio Tufano, »Bella mia fiamma, addio / Resta, o cara« tra
Jommelli e Mozart: osservazioni e ipotesi sull’aria K. 528, in: Böhmische Aspekte des Lebens
und des Werkes von W. A. Mozart, Bericht über die Prager internationale Konferenz (27.–28.
Oktober 2006), hrsg. von Milada Jonášová und Tomislav Volek, Praha 2011 [ma 2013], pp.
125–151; cfr. inoltre Geoffrey Chew, The public and private affairs of Josepha Duschek:
a reinterpretation of Mozart’s Bella mia fiamma, addio KV 528, in: Early Music 40, 2012, pp.
639–657.
72 A titolo di curiosità, si può segnalare che un altro membro della famiglia Mozart venne
successivamente in contatto con la Disfatta di Paisiello: Johanna, figlia di Nannerl, possedeva
infatti sia una copia in partitura, sia una riduzione per canto e basso del recitativo e aria di
Alessandro Ai numi il giuro / Sì, ben mio, fedel t’amai (scena II.5); cfr. Manfred Hermann
Schmid, Nannerl Mozart und ihr musikalischer Nachlaß. Zu den Klavierkonzerten im Archiv St.
Peter in Salzburg, in: Mozart-Jahrbuch 1980–1983, Kassel 1983, pp. 140–147: 140–142.

149
[3]
Il confronto tra le diverse musicazioni di Mentre ti lascio, o figlia realizzate
da Paisiello, Traetta e Mozart riserva notevoli sorprese (nell’esame che segue,
non terrò conto del recitativo accompagnato che precede l’aria nelle partiture
dei due maestri italiani). Per cominciare è opportuno esaminare il testo e la
situazione drammatica. Come si è detto, nella versione romana del 1776, il
libretto della Disfatta di Dario risulta largamente rivisto rispetto alla stesura
originaria di Morbilli. Cospicua è la ristrutturazione che investe la parte
conclusiva del secondo atto, attuata con il chiaro intento di rendere più
avvincente l’azione e di accrescerne il pathos. Del tutto nuova, in particolare,
è la nona scena, nella quale viene introdotto lo scontro diretto tra i grandi
antagonisti del dramma, Dario e Alessandro. I due si affrontano al termine
della battaglia campale tra i loro eserciti. Alessandro ha la meglio e ordina al
fido Nearco, comandante della sua armata, di fare prigioniero il nemico
atterrato, che nel frattempo ha finalmente rivelato la propria identità;73
sopraggiunge però Statira, figlia di Dario, che intercede per il padre; dopo
che Alessandro si è allontanato senza proferire parola, Nearco insiste per
condurre via Dario, e quest’ultimo si congeda da Statira per mezzo di una
farewell aria:

Mentre ti lascio, o figlia,


in sen mi trema il core.
Ahi che partenza amara!
Provo nel mio dolore
le smanie ed il terror.
Parto. Tu piangi? Oh dio! (a Statira)
Ti chieggo un sol momento. (a earco)
Resta. (a Statira) Che fier tormento!
Ah mi si spezza il cor. (parte con earco)74

L’aria è articolata in due strofe, rispettivamente di cinque e quattro sette-


nari. Nella prima, Dario si rivolge a Statira e poi sembra astrarsi nella propria
dolorosa condizione. Più movimentata appare la seconda.75 Subito dopo aver
________________
73 Dario aveva già affrontato Alessandro nella scena I.10, anch’essa nuova rispetto al libretto
di Morbilli, senza tuttavia palesarsi come re di Persia.
74 La disfatta di Dario, ed. Roma 1776, p. 30; il pezzo chiuso si ritrova, con minime varianti,
nel libretto veneziano del 1778 per Traetta: cfr. La disfatta di Dario, ed. Venezia 1778, p. 37.
75 Va notato come la seconda strofa presenti una sorprendente somiglianza con gli ultimi
quattro versi del numero cantato da Arsace nella scena II.9 del Medonte di Giovanni De Gamer-
ra musicato per la prima volta da Felice Alessandri nel 1775: »Cara, deh prendi in pace | l’estre-
mo addio funesto; | l’ultimo pegno è questo | del mio costante amor. || Vado… Tu piangi?…
Amico, (ad Evandro) | lasciami un sol momento… | Mio ben… resta… oh tormento! | Ah mi si

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preso la decisione di allontanarsi, il personaggio si accorge delle lacrime della
figlia (»Tu piangi?«) e, pervaso dallo sconforto, si abbandona a un’esclama-
zione dolente (»Oh dio!«). Pertanto chiede a Nearco di indugiare un poco
(»Ti chieggo un sol momento«). Successivamente intima a Statira di non
seguirlo; l’ordine è pronunciato per mezzo di un imperativo in posizione
iniziale (»Resta«) che contrasta con l’affermazione posta ad apertura del sesto
verso (»Parto«), quasi a rimarcare la biforcazione degli stati e dei destini.
Infine, dopo aver dato sfogo alla sofferenza (»Che fier tormento! | Ah mi si
spezza il cor«), il re di Persia si lascia scortare fuori scena.
A ben vedere, le due stanze presentano un contenuto psicologico ed emo-
tivo omogeneo. Benché la seconda sia attraversata da una tensione maggiore
indotta dal nervoso contrasto di segmenti brevi, esse appaiono legate da una
sostanziale simmetria. Il testo non contiene una vera e propria climax, non
disegna un chiaro passaggio dalla contemplazione all’azione e, quindi, non si
candida per intrinseca natura a supportare un’aria ‘di due caratteri’.
Tanto più interessante, dunque, appare la soluzione formale scelta da Pai-
siello76, che forza in parte la struttura poetica e la piega a un esito musicale
imprevisto per scopi espressivi e scenico-drammaturgici. Nella sua intona-
zione (integralmente offerta nell’appendice 1), il compositore tarantino isti-
tuisce un netto contrasto tra il tempo lento per la prima strofa (2/4 Larghetto,
59 bb.) e il tempo veloce per i tre versi conclusivi (c Allegro, 88 bb.). Il
primo verso della seconda strofa è smaltito in forma di recitativo accompa-
gnato e funge da breve elemento di collegamento (5 bb.) tra le due sezioni
principali. Scritto nella tonalità patetica per eccellenza di mi bemolle mag-
giore, il numero presenta un’introduzione strumentale relativamente breve (12
bb.); la compattezza di questo preambolo è dovuta all’ampio recitativo
accompagnato precedente, che si estende per quindici versi e quarantuno
battute. Nel Larghetto che costituisce la parte iniziale dell’aria, Paisiello
riserva un’enfasi speciale alle »smanie« del verso 5, che suscitano impe-
gnative fioriture melismatiche (bb. 43–45, 51, 53 e 57–58). Notevoli, inoltre,
risultano gli ampi salti nella linea vocale (bb. 52–53 e 55), segnali espliciti
della lacerazione interiore che Dario prova nel momento di staccarsi dalla
____________________________________________________________________________
spezza il cor!« (Medonte re di Epiro. Dramma per musica da rappresentarsi nel regio-ducal
teatro di Milano per il carnovale dell’anno 1775, Milano s.a., p. 38; esemplare cons.: I-Bc; per le
successive trasformazioni di questo luogo cfr. l’edizione critica del libretto: Giovanni De Ga-
merra, Medonte, a c. di Marco Bizzarini, Treviso 2005, p. 45, nota ai vv. 839–846). Un contatto
tra i due spettacoli è costituito da Giovanni Ansani, che a Milano interpretò il ruolo di Medonte.
È dunque possibile che il tenore abbia suggerito di riutilizzare a Roma la congiuntura dramma-
tica e, in parte, il testo poetico dei quali aveva verificato l’efficacia – sia pure indirettamente –
sulle scene milanesi. Tanto più all’interno di un libretto che si andava trasformando a suo uso e
consumo e con lo scopo principale di mettere in risalto le sue doti vocali e interpretative.
76 Utilizzo la partitura autografa conservata in I-Nc, 16.7.1–2, vol. II, cc. 79r–90r.

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figlia. Il movimento lento si chiude in si bemolle maggiore, dominante della
tonalità d’impianto. A questo punto Paisiello apre la breve parentesi di reci-
tativo accompagnato in corrispondenza del verso 6, che contiene l’impulso al
movimento e la commozione causata dal pianto di Statira. Si tratta di una
scelta assai originale, che non proviene da una specifica ›prescrizione‹ della
traccia poetica; si può al massimo osservare come il compositore con questo
trattamento sfrutti la natura ambivalente del settenario, che è sia metro lirico,
sia modulo costruttivo del recitativo. La cerniera di poche battute rende tanto
più eclatante l’esplosione dell’Allegro, che prende avvio con la richiesta di
indugio rivolta a Nearco nel verso 7 (bb. 65–71). Subito dopo, anziché pro-
seguire con quanto resta della seconda strofa, Paisiello riprende i versi 1–2 e
adatta la corrispondente melodia ascoltata all’inizio della sezione lenta (bb.
13–20) alla nuova scansione metrica in andamento veloce (bb. 73–82). Ripe-
tuto anche il verso 3 (ma su materiali diversi da quelli che lo avvolgono nel
primo tempo), egli prosegue rimescolando frammenti poetici provenienti da
aree diverse del testo, quasi a raffigurare la confusione che regna nell’animo
turbato del personaggio. Il verso 9, chiamato in causa in posizione piuttosto
avanzata, produce un caratteristico madrigalismo: l’immagine del cuore
spezzato viene infatti tradotta in una curva melodica slegata e discontinua a
causa dell’impiego iterato delle pause, che non solo intervallano le parole ma
talvolta le spezzano (bb. 102–106, 113–118, 125–146).
L’aria di Paisiello non è propriamente un rondò. Mancano, nella parte lenta,
il tipico ritmo di gavotta della melodia principale e la sua ricorsività. Il ponte
in recitativo, inoltre, è un ingrediente che non troverà posto nella definizione
strutturale di questa importante tipologia vocale. E tuttavia il brano presenta
pure tratti che anticipano soluzioni formali solitamente associate allo stadio
più maturo del rondò in due tempi, come ad esempio la già ricordata ripresa
nella parte veloce del testo e della melodia d’esordio. Il dispositivo ideato da
Paisiello risulta nel complesso molto ben congegnato, di grande effetto e ca-
pace di valorizzare le attitudini vocali e attoriche dell’interprete, Giovanni
Ansani. All’interno di un unico numero, il cantante ha la possibilità di mo-
strare sia una vena di delicato patetismo animata a tratti da impennate virtuo-
sistiche (nel Larghetto), sia un piglio schiettamente eroico (nell’Allegro).
Tuttavia va sottolineato ancora una volta come l’architettura appena esami-
nata non sia diretta conseguenza dell’assetto del testo: la costruzione slow/
fast, la parentesi di recitativo e la stessa distribuzione del materiale poetico
tra le sezioni non sono una risposta automatica e, per così dire, obbligata
indotta dal contenuto o dalla forma delle strofe presenti nel libretto romano,
bensì il frutto di una pianificazione autonoma e pienamente consapevole. È
Paisiello, insomma, a stabilire l’articolazione interna del numero e a fissarne
con oculata strategia gli snodi principali.

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Si consideri ora l’intonazione realizzata a Venezia nel 1778 da Traetta.77
Nell’approntare la propria versione di Mentre ti lascio, o figlia, Traetta ri-
sente chiaramente dell’influsso di Paisiello, né ciò meraviglia quando si
ripensi al ruolo che nella genesi della partitura lagunare viene svolto da Gia-
como David, già interprete della parte di Dario nella Disfatta paisielliana data
a Bologna nel 1777. È probabile che David abbia richiesto a Traetta di mo-
dellare l’aria secondo la formula peculiare e ›moderna‹ ideata dal composi-
tore tarantino. Il risultato, tuttavia, non è una riproposizione pedissequa del
fortunato schema, ma una sua rivisitazione. Traetta ha sessantuno anni ed è
giunto quasi alla fine della sua lunga carriera (si spegnerà a Venezia l’anno
dopo); la sua pagina, pertanto, è emblematicamente sospesa tra vecchio e
nuovo, tra schemi formali – e mentali – consolidati e nuove tendenze alla
moda. Anche il maestro di Bitonto sceglie la tonalità di mi bemolle maggiore.
Di nuovo, la presenza di un ampio accompagnato78 giustifica le dimensioni
molto contenute del ritornello introduttivo (6 bb.), che però si avvale di un
oboe solista per fissare la tinta teneramente malinconica dell’addio. Il numero
si apre con un tempo lento (C Cantabile espressivo, 30 bb.) che accoglie
i primi sei versi del testo, vale a dire l’intera prima strofa più il verso iniziale
della seconda. Segue una concisa parte veloce (c Allegro agitato, 25 bb.)
nella quale vengono smaltiti i restanti tre versi. Questa suddivisione del testo
poetico è assai anomala, in quanto disattende completamente la forte marca-
tura strutturale della clausola tronca al verso 5. La stranezza si giustifica solo
pensando al modello: Traetta rispetta il punto di svolta scelto da Paisiello,
vale a dire il verso 7 nel quale Dario chiede una dilazione a Nearco, ma anzi-
ché riservare un trattamento separato al precedente verso 6, lo ingloba nella
parte lenta. Chiuso l’Allegro agitato nella tonalità della dominante, egli ripete
identiche le battute 7–13 del Cantabile espressivo, corrispondenti al distico
iniziale, e infine termina con un Allegro (c, 40 bb.). Benché nell’indicazione
di andamento manchi l’aggettivo agitato (forse per semplice sciatteria del
copista?), questo segmento è strettamente legato alla precedente sezione ve-
loce e ne riprende l’idea d’apertura, salvo procedere poi con materiali musi-
cali in parte indipendenti. Interessante, inoltre, è che l’Allegro conclusivo
utilizzi i versi 3–5 della prima strofa. Nella struttura ideata da Traetta, dun-
que, interagiscono – e interferiscono – principi costruttivi diversi. L’opzione
aggiornata slow/fast convive con un percorso sostanzialmente bipartito, nel
quale il blocco costituito dalla successione ›tempo lento – tempo veloce‹ si
chiude la prima volta nella tonalità della dominante e la seconda nella tonalità
d’impianto. Sul numero, però, aleggia anche il fantasma del da capo. A una
________________
77 Utilizzo la copia conservata in D-B, KHM 5498, vol. II, pp. 154–173.
78 Agli stessi quindici versi di recitativo già utilizzati da Paisiello, nella partitura di Traetta
corrispondono cinquantasette battute.

153
remota suggestione proveniente da questo archetipo sembra rispondere il
ritorno del Cantabile espressivo, breve miraggio del tutto estraneo alla logica
della climax propria del modello slow/fast, che semmai fagocita e ridice
l’esordio lento all’interno del tempo veloce. All’idea del da capo si uniforma
anche la distribuzione del testo poetico, ispirata a uno schema tripartito sia
pure declinato in maniera imperfetta: A = vv. 1–5 + v. 6 (bb. 1–30), B = vv.
7–9 (bb. 31–55), A = vv. 1–5 (bb. 56–102). L’aria di Traetta, insomma, è un
ibrido affascinante e precario, un hapax pregiato e pregevole ma senza futuro.
La composizione di Mozart non mostra punti di contatto con la pagina di
Traetta, che d’altra parte non sembra godere di grande fortuna, ma rivela
numerose somiglianze con quella di Paisiello. L’aria del salisburghese è in mi
bemolle maggiore, la stessa tonalità a suo tempo scelta dal tarantino. Signi-
ficativamente, anche Mozart adotta – sia pure su scala più vasta – uno schema
slow/fast che non è un rondò. In questa opzione si può già riconoscere
l’influsso del precedente italiano. Ho cercato di mostrare come la formula
ideata da Paisiello non derivi necessariamente della traccia poetica. Di fronte
alle due strofe presenti nel libretto romano del 1776, un compositore non è
automaticamente portato a concepire un’aria ›di due caratteri‹, giacché questa
opzione non rappresenta né l’unica, né la più ovvia realizzazione musicale dei
nove settenari con i quali Dario si congeda da Statira. Pur ammettendo che
nel 1787 l’architettura slow/fast è una modalità costruttiva molto diffusa, si
può ragionevolmente ritenere che Mozart ricavi il progetto generale di Men-
tre ti lascio, o figlia dalla nota e ammirata intonazione di Paisiello.
Ciò appare ancor più chiaramente quando si considerino i dettagli delle due
arie. La sezione lenta di Mozart (86 bb.) è un Larghetto in 2/4, proprio come
in Paisiello. Per quella veloce (132 bb.) anche il salisburghese opta per un
Allegro, ma con tempo tagliato anziché ordinario; in più, imprime un’accele-
razione al finale richiedendo un andamento Più allegro per le ultime quaran-
tasei battute. I contatti più significativi sono costituiti dagli snodi strutturali.
In Mozart l’avvio del movimento veloce cade esattamente nello stesso punto
scelto da Paisiello, vale a dire in corrispondenza del verso 7. Bisogna am-
mettere che nell’aria mozartiana manca del tutto un elemento caratteristico
dell’intonazione del maestro italiano, il recitativo accompagnato per il verso
6. Tuttavia, se si osserva la conclusione del Larghetto, si nota come le parole
»Parto. Tu piangi? Oh dio!« siano trattate separatamente rispetto a quanto
precede e diano vita a una specie di declamato (bb. 81–86). Dove Paisiello
introduceva una cesura netta, Mozart – come già Traetta – preferisce creare
una differenziazione più sottile all’interno del movimento lento.
Entrambi gli autori danno avvio al Larghetto con una ›messa di voce‹. Tutta-
via, se Paisiello indugia sulla parola »smanie« con gesti vocali vistosi e im-
pegnativi, Mozart preferisce affidare all’armonia e al cromatismo la rappre-

154
sentazione della sofferenza di Dario; nel diverso trattamento si può ravvisare,
oltre che una differenza di gusto, il condizionamento esercitato dai destinatari
delle due composizioni: Gottfried von Jacquin era un dilettante di talento, ma
non un virtuoso dalla tecnica raffinata come Ansani.
Nella sezione veloce si concentrano le affinità più significative. Per into-
nare il verso 7, Paisiello disegna una breve scala discendente caratterizzata da
una figurazione puntata. Mozart mostra un’idea molto simile nello stesso
luogo, salvo poi chiudere la frase con un gesto talmente caratteristico della
sua scrittura da apparire come una vera e propria firma (t a v o l a 4). Allo
stesso modo di Paisiello, Mozart, invece di proseguire con i versi 8–9 come ci
si attenderebbe, riprende il distico iniziale della prima strofa; tuttavia, a diffe-
renza del collega italiano che ›cita‹ anche il corrispondente tema musicale, il
salisburghese utilizza una linea melodica indipendente. Entrambi i composi-
tori ripetono poi la melodia di »Ti chiegg(i)o un sol momento« a mo’ di
refrain (si vedano le bb. 96–100 di Paisiello e 114–119 di Mozart). E ancora:
Paisiello propone per due volte un passaggio ostinato in orchestra (bb. 106–
112 e 118–124), e la stessa soluzione si ritrova anche in Mozart, che tuttavia
aggiunge con tocco sapiente un’efficace intensificazione nella seconda occor-
renza (bb. 120–125 e 156–163). Infine, come Paisiello, anche Mozart rende
l’immagine del cuore spezzato del verso 9 con un concitato balbettio ottenuto
isolando le sillabe per mezzo delle pause (bb. 128–135, 166–210).

Tavola 4: Confronto tra le intonazioni di Paisiello (sopra) e Mozart (sotto).

Se presi isolatamente, gli elementi fin qui elencati non possono essere consi-
derati prove certe di derivazione. Mi sembra tuttavia che la loro presenza
simultanea, lungi dall’essere fortuita, dimostri l’esistenza di uno stretto colle-
gamento tra le due pagine. Come nel caso della scena e aria Bella mia fiam-
ma, addio / Resta, o cara; acerba morte, Mozart non si limita a estrapolare il
testo poetico da una partitura italiana, ma trae ispirazione dall’intonazione
preesistente. In Mentre ti lascio, o figlia la composizione di Paisiello viene
utilizzata come una mappa: Mozart pianifica con grande attenzione la rotta,
segna le tappe e le svolte più importanti dell’itinerario e poi compie un viag-

155
gio che è soltanto suo. Entrambi gli episodi dimostrano come il salisburghese,
anche nella sua piena maturità, studi con attenzione i migliori esempi di musi-
ca vocale italiana allo scopo di carpire il segreto della loro bellezza. Il risulta-
to è un’assimilazione profonda che trascende il modello e diventa occasione
di creazione originale.

[4]
La storia di Mentre ti lascio, o figlia si conclude con un interessante epilogo
tardosettecentesco. Nella sua vasta irradiazione europea, l’aria di Paisiello
costituì un modello non soltanto per Mozart, ma anche per lo svedese Pehr
Frigel (1750–1842). Presso la Musik- och teaterbiblioteket di Stoccolma si
conservano due manoscritti autografi di questo autore intitolati Scena
nell’Arbace e datati 1795.79 La composizione che essi tramandano è costituita
da un recitativo accompagnato e da un’aria che si basano sui versi intonati da
Paisiello a Roma nel 1776. La parte vocale è scritta in chiave di violino ed è
assegnata al personaggio di Dario. L’indicazione »nell’Arbace« sembra sug-
gerire che la scena fosse destinata a essere utilizzata – come numero aggiun-
tivo o sostitutivo – in un’opera con questo titolo di altro compositore, visto
che Frigel non risulta autore di un Arbace. Sia l’accompagnato, sia l’aria
mostrano dimensioni più ampie rispetto al modello paisielliano. Inoltre la
strumentazione della pagina svedese è arricchita dall’impiego di clarinetti,
fagotti, corni e archi con violoncelli e contrabbassi divisi. L’aria, che tanto
per cambiare è in mi bemolle maggiore, segue fedelmente lo schema di Pai-
siello. Frigel non solo sceglie una struttura slow/fast, ma adotta la stessa ri-
partizione del testo tra le due sezioni e perfino il caratteristico ›ponte‹ di
recitativo accompagnato in coincidenza del verso 6. Lo schema è dunque il
seguente: c Larghetto (57 bb.), Recitativo (c Poco risoluto80, 6 bb.), c Alle-
gro con forza (113 bb.). Anche qui una messa di voce marca l’avvio della
sezione lenta. Anche qui, nel movimento veloce, dopo l’intonazione del verso
7 si incontra un riecheggiamento del tema d’apertura corrispondente al distico
iniziale, né manca una figurazione ostinata. Frigel, insomma, propone un
calco dell’aria paisielliana ancor più ravvicinato della versione mozartiana.
La sua creazione rappresenta una prova ulteriore della grande e perdurante
notorietà raggiunta dall’aria di Paisiello e della sua funzione di prototipo
formale, riguardato come esempio efficace da seguire e, allo stesso tempo, da
rinnovare.

________________
79 S-Skma, Z/Sv 1 (184 × 265 mm) e Z/Sv 2 (297 × 240 mm); il primo reca la data »1795. in
Aug.«, mentre sul secondo si legge »1795. d. 26. Aug.«.
80 L’indicazione è quella che si legge in Z/Sv 1; in Z/Sv 2 la prescrizione è L’istesso tempo.

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Appendice 1. Giovanni Paisiello, Mentre ti lascio, o figlia (1776)
I-Nc

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