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NTRODUZIONE ALLA "DIVINA COMMEDIA" DI DANTE - GENESI

La Divina Commedia fu scritta da Dante durante l'esilio , tra il 1308 e il 1320.

Narra un immaginario viaggio del poeta , iniziato l'8 aprile del 1300 e durato sette giorni , attraverso i tre
regni ultraterreni dell'Inferno del Purgatorio e del Paradiso .

Il viaggio nell'aldilà è tema assai diffuso nel Medioevo occidentale e islamico, ma Dante poco o nulla derivò
da essi, rifacendosi piuttosto all'Eneide di Virgilio. Scopo dichiarato del poema è di riportare gli uomini sulla
via del bene e della verità, mediante la rappresentazione delle pene e dei premi che attendono rispettiv. i
peccatori e i buoni nella vita eterna. Il racconto, nel suo schema fondamentale, ha un preciso significato
allegorico. Dante che, smarritosi in una selva, per uscirne è condotto prima da Virgilio a visitare l'Inferno e il
Purgatorio, e poi da Beatrice alla visione dei beati e di Dio nel Paradiso, rappresenta l'anima umana che,
caduta nell'errore e nel peccato, riconosce gli sbagli e se ne pente sotto la guida della Ragione o Sapienza
umana (Virgilio). L'anima, così purificata, può poi comprendere le superiori verità della fede, sotto la guida
della Sapienza divina affidata al magistero della Chiesa, cioè della Teologia (Beatrice), e pervenire alla
beatitudine celeste e all'unione con Dio, che è il fine ultimo per cui essa è stata creata e a cui naturalmente
tende.

È diviso in 3 cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, e ogni cantica in 33 canti; pertanto l'opera, con il
canto del proemio, consta di 100 canti in terzine alternate a rima incatenata (ABAB…..).

(3 e 10 erano per Dante numeri di speciale significato, come simbolo l'uno della Trinità, l'altro di
perfezione).

La Divina Commedia può essere considerata un viaggio verso la salvezza attraverso l'analisi di tutte le
passioni umane che ci allontanano da essa . E' un ritratto dell'umanità con i suoi vizi , le sue perversioni e
anche con i suoi aspetti positivi di generosità .

TRAMA

Verso i 35 anni Dante si smarrisce in "una selva oscura" (simbolo del peccato) ; a fatica giunge ai piedi di un
colle (la salvezza). La gioia per lo scampato pericolo dura poco , perché tre fiere , una lonza (la lussuria) un
leone (la superbia) , una lupa (l'avarizia) lo spingono di nuovo nel buio della selva , da questa disperata
situazione viene tratto fuori da Virgilio (la ragione) che gli consiglia di tenere "altro viaggio" : egli deve
visitare il regno dei dannati (l'inferno) quello di coloro che momentaneamente stanno espiando i loro
peccati ma che potranno in futuro godere della presenza di Dio (il purgatorio)e infine il regno delle anime
beate (il paradiso). Virgilio sarà suo compagno e guida nei primi due Mondi; nell'ultimo viaggio sarà
accompagnato da Beatrice (la grazia), a simboleggiare che per raggiungere il Paradiso non basta la sola
ragione, ma c'è bisogno dell'aiuto della Grazia Divina .

SIGNIFICATI DELL’OPERA

Nel “Convivio” Dante spiega che la Divina Commedia può avere quattro significati : il senso letterale ,
l'allegorico , il morale e l'anagogico .
Nel SENSO LETTERALE , l'opera narra il viaggio immaginario di Dante attraverso l'Inferno, il Purgatorio e il
Paradiso .

Nel SENSO ALLEGORICO vuole invece significare la conversione di DANTE dal suo traviamento con l'aiuto
della ragione umana ( Virgilio) che lo induce a meditare sulla gravita del peccato nel viaggio attraverso
l'Inferno e il Purgatorio; mentre poi Beatrice , simbolo della verità rivelata , per intercessione di Maria , lo
conduce alla visione di Dio.

Nel SENSO MORALE è un ammonimento ai cristiani , perché considerino quanto sia facile cadere in peccato
e difficile liberarsene , se non si meditano le pene riservate nell'eternità ai peccatori e il premio concesso ai
giusti.

Nel SENSO ANAGOGICO dimostra come tutta l'umanità dallo stato di infelicità e di disordine, seguendo la
guida dell'impero (Virgilio) nelle cose temporali, e della chiesa (Beatrice) nella spirituali possa pervenire alla
felicità.

L'ARCHITETTURA DEL MONDO ULTRATERRENO

L'aldilà è descritto da Dante secondo un ben preciso schema architettonico. Tutto l'oltretomba si dispone
intorno a un asse ideale che parte dal centro di Gerusalemme e, attraverso la voragine infernale che si apre
sotto la città, giunge al centro della Terra. Da qui, prolungato sino all'altro emisfero, diventa l'asse di un
tronco di cono (Purgatorio), andando a finire al centro di un piano (Paradiso terrestre) dove termina, che è
quindi diametralmente opposto a Gerusalemme. Prolungandosi ancora, l'asse ideale sale, di cielo in cielo,
sino al centro della rosa dei beati, cioè dell'Empireo.

COMPOSIZIONE E TITOLO DEL POEMA

Gli studiosi ritengono che la D.C. sia stata composta da Dante durante l'esilio (forse a partire dal 1304 o dal
1307); è inoltre probabile che le due prime cantiche siano state divulgate durante la vita di Alighieri, mentre
il Paradiso venne pubblicato postumo. Quanto al titolo, è da osservare che nel Medioevo si era persa la
nozione di tragedia e commedia come rappresentazioni sceniche; questi termini, quindi, indicavano
semplicemente componimenti narrativi, che si distinguevano tra loro per diversità di contenuto (fine
doloroso, personaggi socialmente e culturalmente alti, la tragedia; lieto fine, personaggi borghesi o
popolari, la commedia) e per la lingua e lo stile (raffinati nella tragedia, più semplici nella commedia). La
presenza nella D.C. di toni e argomenti quotidiani, anche se mescolati ad altri elevati ed elevatissimi, portò
pertanto Dante a scegliere di intitolareComedìa il suo poema. L'aggettivo divina, usato per primo da G.
Boccaccio, divenne parte stabile del titolo dopo la sua apparizione sul frontespizio dell'edizione veneziana
del 1555.
Dante

Il più grande poeta italiano

La fama universale di Dante Alighieri, poeta fiorentino vissuto fra il 13° e il 14° secolo, è
legata alla Divina Commedia, la sua opera maggiore da lui intitolata
semplicementeCommedia, che riceverà nel Cinquecento il titolo ormai tradizionale. Dante
la scrisse in volgare, nella lingua popolare e non in quella dei dotti, che era allora il latino,
riversandovi una complessa esperienza umana e letteraria, maturata fin dagli anni
giovanili. Nelle terzine tradusse le sue aspirazioni religiose e politiche, e le proprie
conoscenze filosofiche, storiche e scientifiche, usando ora i toni del raccoglimento
spirituale e del misticismo, ora quelli polemici, dell'invettiva e della satira

La prima giovinezza

Appartenente a una famiglia di piccola nobiltà e di modeste risorse economiche, Dante


nacque a Firenze probabilmente alla fine di maggio del 1265 da Alighiero degli Alighieri e
da Bella degli Abati. Trascorse la fanciullezza nel capoluogo toscano, dove apprese i primi
rudimenti del latino; alla morte del padre, quando era circa diciassettenne, dovette
occuparsi per qualche tempo degli affari familiari.

A vent'anni sposò Gemma Donati e dal matrimonio nacquero tre figli (Pietro, Jacopo e
Antonia). Fra il 1286 e il 1287 soggiornò a Bologna; nel 1289 prese parte alla battaglia di
Campaldino contro Arezzo, combattendo nella prima schiera dei cavalieri.

Beatrice e La vita nuova

Intorno ai diciotto anni Dante manifestò la sua vocazione letteraria. A parte alcune prove
minori, scrisse poesie amorose per una donna di nome Beatrice, identificabile con Bice di
Folco Portinari, sposata a Simone de' Bardi e morta nel 1290. Le dedicò la Vita
nuova(1292-93 o 1294) nella quale raccolse le rime composte per lei, accompagnandole
con il racconto in prosa delle diverse circostanze che le avevano ispirate.

Al centro del libro era Dante stesso, o meglio la storia del suo amore dal momento
dell'innamoramento alla morte di Beatrice; un sentimento sopravvissuto alla scomparsa
della donna e ricostruito nelle varie fasi in cui si era manifestato: dapprima come passione
bruciante, poi come l'espressione di un animo pago di contemplare la bellezza e la virtù
dell'amata, infine come testimonianza di una fedeltà sempre viva nel ricordo. Il poeta
applicava in questo modo la lezione del "Dolce stil novo", come egli stesso definì la
tendenza rappresentata dal bolognese Guido Guinizzelli oltre che dall'amico Guido
Cavalcanti; una tendenza alla quale seppe dare un apporto personale, sollevando il suo
amore a oggetto di un'esigenza di assoluta perfezione interiore.

L'impegno politico

Fra il 1295 e il 1304 Dante s'impegnò attivamente nella realtà politica di Firenze. Per
qualche anno dopo la scomparsa di Beatrice aveva continuato a coltivare i suoi interessi
esclusivamente letterari, lasciando emergere la sua propensione a sperimentare un
linguaggio poetico anche diverso da quello della Vita nuova: come nelle canzoni
cosiddette "pietrose", ispirate da una donna dura e insensibile come la pietra; ritornò infine
ai modi dello stil novo in alcuni componimenti d'argomento dottrinale e morale.

Nel 1295 il poeta sottostette all'obbligo, cui erano tenuti i nobili desiderosi di prendere
parte alla vita pubblica, d'iscriversi a una corporazione, una specie di sindacato; scelse
quella dei medici e degli speziali (cioè dei farmacisti) e poté così intraprendere la carriera
politica. Erano per Firenze anni sconvolti dalla rivalità che divideva le fazioni dei Bianchi e
dei Neri, sostenute rispettivamente dalla famiglia dei Cerchi e da quella dei Donati
(Firenze). Dopo varie incombenze, il poeta fu eletto tra i priori (i rappresentanti delle
corporazioni) per il bimestre 15 giugno-15 agosto 1300.

Nel 1301 le pesanti ingerenze di papa Bonifacio VIII nella politica fiorentina lo indussero a
schierarsi con i Bianchi, superando così la posizione di neutralità mantenuta fino ad allora.
Nello stesso anno fu inviato a Roma presso il pontefice con l'incarico di scongiurare il
pericolo rappresentato per l'autonomia di Firenze da Carlo di Valois, legato papale col
compito in apparenza di mettere pace fra le fazioni in lotta, in realtà di adoperarsi per la
vittoria dei Neri, aprendo così la via alla totale soggezione della Toscana agli interessi
della Chiesa. Carlo di Valois raggiungeva intanto il suo obiettivo. Richiamava in patria
dall'esilio, cui erano stati condannati, i capi della parte nera e consegnava a loro il governo
delComune.

L'esilio e la morte
Sulla strada del ritorno da Roma, probabilmente a Siena, Dante apprese di essere stato
condannato il 27 gennaio del 1302 all'esilio per due anni oltre che all'esclusione dagli uffici
pubblici. Era accusato di "baratteria", e cioè di avere fatto commercio degli incarichi
ricevuti dal Comune, con l'aggravante di essersi dimostrato ostile al papa e al suo
rappresentante; non essendosi presentato a discolparsi, una successiva sentenza lo
condannava a morte.

Ha inizio così la sua vita di fuoriuscito, che lo vedrà peregrinare di corte in corte nell'Italia
settentrionale: da Forlì a Verona, ad Arezzo, poi nel Trevigiano e in Lunigiana; quindi si
recò forse a Parigi. Nel 1304, dopo essere stato il rappresentante dei Bianchi in esilio, il
poeta romperà definitivamente con loro, probabilmente deluso dall'esito disastroso di
un'iniziativa militare (la battaglia della Lastra) che aveva energicamente avversata.

Nel 1310 la discesa in Italia dell'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo riaccese in lui la
speranza di tornare a Firenze, ma la morte improvvisa di Arrigo nel 1313 gli spense ogni
illusione; già alla metà di quell'anno (per qualcuno non prima del 1315) fu ospite a Verona,
fino al 1318-20, di Cangrande della Scala e successivamente, a Ravenna, di Guido
Novello da Polenta. Al ritorno da un'ambasceria a Venezia, il poeta morì tra il 13 e il 14
settembre del 1321.

Il trattato linguistico

Fra il 1303 e il 1304-07 scrisse due trattati, lasciandoli entrambi incompiuti: il primo in
latino sulla lingua volgare (De vulgari eloquentia), il secondo in italiano (Convivio).

Nel De vulgari eloquentia, progettato in quattro libri ma eseguito solo in due, illustrò il suo
ideale linguistico. Vi trattò dell'origine del linguaggio, dalla creazione di Adamo alla
distruzione della torre di Babele; si soffermò poi a considerare gli idiomi derivati in
particolare dal latino, e cioè il provenzale, il francese e l'italiano. A proposito di
quest'ultimo, giungeva alla conclusione che nessuno dei quattordici dialetti che lo
costituivano aveva le qualità proprie del volgare 'illustre'. Occorreva a suo giudizio che
fosse davvero la lingua comune della nostra penisola, in grado perciò di superare i
particolarismi locali, alla luce di un ideale che si rivelava politico e nazionale. Dante ne
illustrava i caratteri tecnici, sia dal punto di vista dei contenuti più convenienti (le armi,
l'amore e la virtù) sia in relazione allo stile, che voleva il più alto, e alla forma metrica che
riteneva preferibile, cioè la canzone.
Il Convivio

Nel trattato linguistico Dante metteva a frutto la propria esperienza di poeta stilnovista;
nelConvivio s'impegnò in un'opera enciclopedica e dottrinale. La concepì in quindici
trattati, il primo d'introduzione agli altri, destinati a commentare quattordici canzoni. Ma
anche ilConvivio non fu condotto a termine e rimase interrotto al quarto trattato.

L'obiettivo principale era diffondere la cultura, invitando a un "banchetto" di sapienza (da


cui il titolo dato all'opera: Convivio e dunque "riunione conviviale") coloro che ne fossero
esclusi, impediti da occupazioni familiari o pubbliche. A tale fine Dante si preoccupò di
usare la lingua più adatta a lettori semplici, il volgare e non il latino, che solo i dotti
avrebbero potuto intendere. Ma accanto all'obiettivo principale, scopo dichiarato
delConvivio era quello di difendere il poeta dalle accuse infamanti seguite alla condanna e
all'esilio. Di qui la scelta di una materia di alto impegno filosofico, che mirava a smentire i
nemici di Dante, dimostrando quale uomo egli fosse in realtà e quanto ingiustamente i
fiorentini se ne fossero sbarazzati.

Il poema "sacro"

Dante si dedicò al suo capolavoro dal 1306-07 alla morte. Lo divise in tre parti o
cantiche:Inferno, Purgatorio, Paradiso. Scritto in terzine ‒ il metro della poesia didascalica
‒ laCommedia è il racconto in prima persona di un viaggio nell'aldilà.

Dante, uscito dalla "selva oscura" del peccato, sarà guidato nell'Inferno e in gran parte del
Purgatorio dal poeta latino Virgilio, nel Paradiso da Beatrice, la donna del suo amore
giovanile. Il viaggio durerà circa una settimana e avrà inizio, così ci narra l'autore, nella
notte del venerdì santo del 1300. Nel regno dei dannati, situato sotto Gerusalemme e
immaginato in forma d'imbuto rovesciato, egli farà esperienza del male: incontrerà le
anime dei peccatori e conoscerà la natura dei diversi peccati, dai meno gravi ai più gravi,
distribuiti in nove cerchi o gironi.

Risalendo attraverso il corpo mostruoso di Lucifero dal centro della Terra agli antipodi di
Gerusalemme, il viaggiatore oltremondano esplorerà il Purgatorio, concepito come un
monte circondato dalle acque e sormontato dal Paradiso terrestre. Lì incontrerà gli spiriti
ormai salvi, obbligati a purificarsi delle loro tendenze peccaminose per essere, dopo
un'adeguata sosta, finalmente accolti tra i beati. Contrariamente ai dannati, perlopiù
dispettosamente preoccupati di celare a Dante la propria identità, le anime del Purgatorio
si fanno riconoscere volentieri, pregando il poeta affinché le ricordi nel mondo alle persone
care, così da ottenerne le preghiere necessarie per abbreviare i tempi della loro penitenza.
Il solo ardore di carità spinge i beati, nel Paradiso, ad accoglierlo gioiosamente e a
renderlo partecipe della gloria eterna.

La scelta del titolo Commedia sembra alludere al suo contenuto: inizialmente, nell'Inferno,


orribile e disgustoso, alla fine, nel Paradiso, piacevole e pacificato; senza escludere
l'ulteriore allusione alla scelta del volgare, e cioè di una lingua familiare a differenza del
latino, in grado perciò di essere compresa anche dalle "donnette". Ma nel corso degli anni,
giunto alla terza cantica, Dante avvertì l'inadeguatezza di quel titolo ormai diffuso, e cercò
una definizione dell'opera meglio conveniente alle sue ambizioni; usò allora quella di
"poema sacro", ispirato direttamente da Dio.

I personaggi e le idee

Una folla di personaggi, mitici o storici, dell'antichità o del mondo moderno, anima il
poema dantesco. A partire da Virgilio, simbolo della ragione umana, prescelto a
rappresentare l'eredità del classicismo nella civiltà cristiana: come del resto l'altro poeta
latino Stazio, incontrato alla sommità del Purgatorio. Dante si professa esplicitamente
erede ma anche superatore della tradizione antica, in virtù della vera religione impostasi
su quella pagana. Il suo stesso viaggio nell'Oltretomba, concepito come un privilegio
concessogli da Dio, si oppone a quello di Ulisse, destinato a fallire tragicamente perché
non sorretto dalla fede autentica.

Passato sotto la guida di Beatrice, simbolo della teologia o meglio della volontà che,
conosciuto il male, s'indirizza al bene sommo della salvezza, il poeta dà fondo alle proprie
certezze spirituali. Alla luce della sua concezione provvidenziale della storia umana
disegna il modello di una società ordinata e giusta, condizione per il poeta di un mondo
che sappia riprodurre i valori dell'armonia e della pace, in preparazione di quelli godibili
per l'eternità nella gloria celeste. Questa preoccupazione attraversa l'intero poema.

Già nell'Inferno prende corpo il fermo rifiuto della realtà contemporanea: nella denuncia di
Bonifacio VIII e dei papi moderni, dimentichi dei loro compiti, dediti al lusso e all'obiettivo
di un potere soltanto mondano. La polemica antipapale continua nel Purgatorio e
nelParadiso estendendosi alla condanna di tutta la Chiesa del tempo; né viene risparmiata
l'istituzione dell'Impero nella persona in particolare degli ultimi imperatori. Nascono così,
interpreti degli ideali politici ed etici di Dante, i personaggi di Sordello, di Marco Lombardo,
di Giustiniano, di san Pietro; mentre al trattato politico la Monarchia (composto in latino e
collocabile fra il 1313 e il 1318) si collegano i numerosi episodi nei quali il poeta si fa
campione della Chiesa militante, sostenitore di una verità in grado di riportare sulla Terra i
principi irrinunciabili del vivere civile.

Alla memoria classica risale gran parte degli orridi personaggi delegati a custodire il regno
del male: da Caronte a Minosse, a Flegias, al Minotauro, ai Centauri; alla stessa matrice
culturale appartiene il diabolico Capaneo così come Catone, il severo guardiano
delPurgatorio, simbolo della libertà dal peccato. Si susseguono figure storiche improntate
al misticismo cristiano: da Manfredi di Svevia ai santi rievocati nel Paradiso, Francesco,
Domenico, Pier Damiani. Ma fanno spicco anche i personaggi, positivi o negativi, costruiti
o reinventati da Dante: Francesca da Rimini, Farinata degli Uberti, Pier della Vigna,
Brunetto Latini, il conte Ugolino; e poi Pia dei Tolomei, Sapìa senese, Piccarda Donati, il
trisavolo Cacciaguida. E mille altri, minori e minimi, sui quali il poeta proietta le sue
passioni, la sua umanità, la sua sensibilità artistica.

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