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italiana (Italo) e quella tedesca (Svevo), nacque a Trieste, allora territorio dell’Impero asburgico,
nel dicembre del 1861 da una agiata famiglia borghese. I genitori erano entrambi di origine ebraica.
Gli studi del ragazzo si indirizzarono verso la carriera commerciale, mandato in collegio in
Germania studiò materie utili a quel tipo di attività e si impadronì perfettamente del tedesco. In
Germania si dedicò anche alla lettura di alcuni scrittori tedeschi, dimostrando così il suo interesse
letterario.
Tornato a Trieste a 17 anni, cominciò a comporre testi drammatici e cominciò a collaborare al
giornale triestino “L’Indipendente”, con articoli letterari e teatrali. Politicamente era vicino alle
posizioni irredentistiche manifestando interesse anche per il socialismo.
Nel 1880, in seguito ad un investimento industriale sbagliato, il padre fallì: Svevo conobbe così
l’esperienza del declassamento sociale, passando dall’agio borghese ad una condizione di
ristrettezza. Fu costretto a cercar lavoro e si impiegò in banca. Il lavoro impiegatizio gli risultava
arido ed opprimente (questa esperienza trova trasposizione letteraria nel personaggio di Alfonso
Nitti nel romanzo “Una vita”). Per sfuggire a questa situazione cercò evasione nella letteratura
dedicandosi alle prime prove narrative, scrivendo alcune novelle e progettando il suo primo
romanzo “Una vita” che pubblicherà nel 1892.
Nel 1895 morì la madre. Al suo capezzale incontrò una cugina, molto più giovane di lui, Livia
Veneziani, e se ne innamorò. Nel 1896 furono celebrate le nozze.
Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo. In primo piano, sul piano
psicologico, ma mutava anche radicalmente la condizione sociale dello scrittore. I Veneziani erano
facoltosi industriali e Svevo poté finalmente lasciare l’impiego in banca ed entrò nella ditta dei
suoceri. Si trasformò in dirigente d’industria e venne a contatto con un mondo borghese in cui
contava solo il profitto. In questo momento, Svevo lascia la letteratura preso dal senso di colpa
dell’intellettuale che si sente superfluo e parassitario nell’età del trionfo industriale. La passione
letteraria è, però, dura a morire. Importante nella storia di scrittore di Svevo è l’incontro con lo
scrittore irlandese Joyce al quale sottopone i suoi scritti e dal quale ottiene l’incoraggiamento a
proseguire l’attività letteraria. Altro evento fondamentale risulta essere l’incontro con la psicanalisi
dopo che il cognato aveva sostenuto una terapia con Freud.
Durante la prima guerra mondiale, la fabbrica dei suoceri fu requisita dalle autorità austriache e,
libero da ogni incombenza pratica, Svevo riprende la sua attività letteraria. Fu in questo periodo che
scrisse il suo terzo romanzo “La coscienza di Zeno” pubblicato nel 1923 senza riscuotere il
successo auspicato. Il successo arrivò solo grazie all’intervento di Joyce che, riconosciuto il valore
straordinario dell’opera, si adoperò per diffonderlo in Francia. Il successo fu immediato in tutta
Europa tranne che in Italia dove il solo Montale gli riconobbe la sua grandezza.
Negli anni successivi progettò un quarto romanzo, con protagonista sempre Zeno, di cui scrisse
ampi frammenti ma che rimase incompiuto a causa della sua morte avvenuta in seguito ad un
incidente stradale presso Treviso nel settembre del 1928.
La fisionomia letteraria di Svevo appare profondamente diversa da quella del tradizionale letterato
italiano. Elemento fondamentale di differenziazione è il luogo di nascita. Trieste (fino al 1918 non
appartiene all’Italia ma all’impero asburgico) è una città di confine, in cui convergono la civiltà
italiana, quella tedesca e quella slava. Lo scrittore stesso, adottando lo pseudonimo letterario di Italo
Svevo, vuole segnalare come in lui vengano a confluire la cultura italiana e quella tedesca. Non va
sottovalutata neppure l’influenza esercitata dalla cultura ebraica seppure egli non fosse religioso.
L’ambiente triestino gli consente uno stretto rapporto con la cultura mitteleuropea (quella
dell’Europa centrale). Oltre ad essere crocevia di culture, Trieste è anche una città commerciale e
nella borghesia imprenditoriale Svevo ha le sue radici. Egli, quindi, non coincide con la figura
tradizionale dello scrittore italiano, il letterato puro, la cui attività predominante è la letteratura. La
scrittura letteraria non fu la sua professione, ma un’attività parallela a quella quotidiana. Anche la
sua formazione non fu quella, rigorosamente umanistica, tipica del letterato italiano; la sua cultura
letteraria e filosofica fu, infatti, autodidattica, conquistata attraverso ampie letture personali.
I ROMANZI
“UNA VITA”
Pubblicato nel 1892 a spese dell’autore, “Una vita” è il primo romanzo di Italo Svevo. Il
protagonista è Alfonso Nitti, giovane colto che vive in ristrettezze economiche ed è costretto a
trasferirsi dall’amato paese natale in città, per lavorare presso la banca Maller. Tormentato dalla
nostalgia per la sua terra ed oppresso dal lavoro, Alfonso trova conforto solo nelle visite in casa
Maller, soprattutto in virtù dell’amicizia con la figlia del principale, Annetta, che gli propone la
stesura di un romanzo a quattro mani e conquista rapidamente il suo cuore. Costretto a separarsi
dalla giovane a causa di una lunga malattia e dalla successiva morte della madre, al suo ritorno
Alfonso scopre che Annetta si è fidanzata con il cugino Macario.
Sconvolto, egli chiede alla ragazza un ultimo appuntamento, ma al posto di Annetta si presenta il
fratello di lei, Federico. Sottrattosi al duello, Alfonso sceglie come estrema soluzione il suicidio.
Il romanzo, che doveva intitolarsi “Un inetto”, è la storia di un uomo solo, scisso dalla società ed
incapace di accettarne le regole. Il tentativo di uscire dal proprio isolamento si rivela fallimentare ed
evidenzia l’esistenza di un confine invalicabile tra il mondo dell’alta borghesia capitalista e
l’universo piccolo borghese.
Alfonso Nitti è un antieroe che vive continuamente in bilico tra il desiderio di affermarsi, le velleità
letterarie, la consapevolezza della propria superiorità rispetto al mondo esterno, ed un’innata
incapacità ad agire. Ogni tentativo si rivela vano perché Alfonso rimane sempre uguale a se stesso;
anche il gesto estremo del suicidio non ha niente di eroico, rappresentando, bensì, l’ennesimo
compito svolto meccanicamente.
Negli anni del superuomo di D’Annunzio, Italo Svevo crea un personaggio la cui inettitudine non
possiede alcunché di nobile, essendo causa primaria della sua marginalità. La stessa Trieste, che in
quegli anni viveva uno straordinario fervore culturale per il suo ruolo di ponte tra mondo latino e
Mitteleuoropa, si riduce ad una città squallida e grigia, specchio della debolezza del protagonista.
“Senilità”
Pubblicato nel 1898 a spese dell’autore, il romanzo andò incontro ad un triste insuccesso e
all’indifferenza della critica. Fu Joyce che nel 1927, dopo aver dichiarato pubblicamente il suo
apprezzamento per questo libro, ne decretò il trionfo. Altro estimatore del libro fu Eugenio Montale.
La vicenda è collocata nell’ambiente triestino e si sviluppa intorno a quattro personaggi: Emilio
Brentani, Stefano Balli, Angiolina e Amalia. I fatti esteriori, gli ambienti sociali e fisici, seppur
descritti, non assumono rilevanza nella narrazione, poiché questa è essenzialmente rivolta
all’indagine psicologica e all’introspezione dei protagonisti. Fra essi spicca il ritratto di Emilio
Brentani, attraverso la cui mente si districa e svolge tutta la storia. Dal punto di vista sociale Emilio
è un intellettuale piccolo borghese (in virtù di un romanzo scritto in gioventù). Dal punto di vista
psicologico, invece, egli è un inetto, un debole, un uomo che mente a se stesso pur di non scoprirsi
infelice e inappagato. Il protagonista sveviano si difende dal mondo che lo circonda riparandosi
entro le mura del nido domestico e sotto le ali protettrici di Amalia, una sorella che è, allo stesso
tempo, figura materna. Da inetto qual è, Emilio sogna l’uscita dal nido protettivo della famiglia e il
godimento dei piaceri della vita e, quando nella sua esistenza appare Angiolina, una bionda dagli
occhi azzurri, alta, snella e flessuosa, in lei vede incarnati i simboli della pienezza vitale. Tuttavia,
sarà proprio nel rapporto con Angiolina che emergerà l’inettitudine e l’immaturità del protagonista.
Emilio prova una forte paura nei confronti della donna del popolo, tanto da giungere a trasfigurarla
in una figura angelica e pura, dalla quale Angiolina è molto lontana. Lo stesso possesso fisico della
donna lo lascia insoddisfatto poiché ne contamina l’ideale.
A contrastare la figura di Emilio è quella dell’amico scultore Stefano Balli, amore non corrisposto
di Amalia. Stefano è ciò che Emilio non ha il coraggio di essere: un uomo forte, sicuro di sé.
Malgrado l’apparenza, esaminando la psicologia di Stefano Balli, anch’egli appare uomo fragile e
impreparato ad affrontare le scelte della vita.
Mentre Emilio reagisce alla sua debolezza con una sorta di vittimismo di fronte agli eventi, Stefano
maschera i propri limiti lasciandosi trasportare dall’illusione dell’onnipotenza.
La storia ha come fulcro il rapporto sentimentale tra Emilio e Angiolina. Superficialmente sembra il
racconto di un amore ossessivo, in realtà è il quadro psicologico dell’intellettuale piccolo borghese
in crisi con se stesso.
L’epilogo della storia vede la fine della frequentazione di Emilio e Stefano, la fuga di Angiolina con
un altro uomo e la morte di Amalia (la sorella del protagonista). Ad Emilio, rimasto chiuso in una
senilità precoce, non resta che guardare al passato perché turbato dalla realtà.
Il romanzo assume quasi sempre il punto di vista di Emilio, il quale non impara nulla dalla vicenda
e resta inetto, incapace e immaturo.