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ELEMENTI DI LEGISLAZIONE Luca Benci

ELEMENTI DI LEGISLAZIONE SANITARIA E DI BIODIRITTO


SANITARIA E DI BIODIRITTO
Questo volume nasce per contemperare diverse
esigenze, in primo luogo, quella di riportare in
un unico testo una serie di questioni relative al
ELEMENTI DI LEGISLAZIONE
diritto sanitario e al cosiddetto biodiritto, con il
quale si intende il diritto delle questioni legate SANITARIA E DI BIODIRITTO
alle tematiche dell’inizio e della fine della vita.
Se i temi relativi alla legislazione sanitaria
generale fanno riferimento al dibattito

Acquistato da Luca Benci su Bookrepublic Store il 2012-04-01 10:12 Numero Ordine Libreria: b218039-9788838690440 Copyright © 2012, McGraw-Hill Companies
sviluppatosi negli ultimi trent’anni del secolo
scorso, quelli inerenti al biodiritto sono esplosi
in questi ultimi anni in modo assolutamente
rilevante, grazie ai progressi tecnici e all’incontro
tra medicina e biologia che hanno aperto
scenari assolutamente impensabili fino
a poco tempo fa.
Nella legislazione, nella giurisprudenza, nel
dibattito dottrinario, professionale e bioetico
assistiamo spesso a uno scontro contrapposto
tra posizioni di fondo e diverse scuole di
pensiero. Per prevenire possibili obiezioni si è
deciso dunque di riportare le posizioni sia della
bioetica laica, con il suo richiamo alla “qualità
della vita”, sia della bioetica cattolica, che
privilegia invece la “sacralità della vita”, ossia i
due grandi modelli teorici di riferimento della
nostra società.

Luca Benci

www.biomedica.mcgraw-hill.it

€ 21,00 (i.i.)
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ELEMENTI DI LEGISLAZIONE SANITARIA
E DI BIODIRITTO
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nella preparazione o pubblicazione di quest’opera hanno posto ogni
attenzione per garantire che le informazioni ivi contenute siano accu-
rate e complete in ogni loro parte, compatibilmente con le conoscenze
disponibili al momento della stampa; essi, tuttavia, non possono essere
ritenuti responsabili dei risultati ottenuti dall’utilizzo di tali informazioni.
ELEMENTI
DI LEGISLAZIONE
SANITARIA
E DI BIODIRITTO

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Luca Benci

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di adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i micro-
film e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

McGraw-Hill
A Division of the McGraw-Hill Companies

Editor: Teresa Massara


Produzione: Donatella Giuliani
Redazione: Lorenza Dainese, Padova
Impaginazione: Studio Gerardi, Dolo (VE)

ISBN 978-88-386-9044-0
Indice

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L’Autore IX

Prefazione XI

Parte I • LEGISLAZIONE SANITARIA

Capitolo 1
La legislazione sanitaria: aspetto storico-evolutivo.
Dai primi del Novecento al Servizio sanitario nazionale 3
Aspetto storico 3
La riforma ospedaliera 5
L’istituzione delle regioni 5
L’organizzazione mutualistica 6
Verso la riforma sanitaria 6
Istituzione del servizio sanitario nazionale 7
I principi del servizio sanitario nazionale 8
Gli obiettivi del servizio sanitario nazionale 8
Competenze statali in materia di sanità 10
Competenze regionali in materia di sanità 10
Le unità sanitarie locali (USL) 11

Capitolo 2
Organi e competenze statali in materia di sanità 15
La devoluzione in ambito sanitario:
ridistribuzione delle competenze tra stato e regioni 15


Indice

Ministero della salute 18


Agenzia per i servizi sanitari regionali 22
Consiglio superiore di sanità 23
Istituto superiore di sanità 24

Capitolo 3
L’aziendalizzazione del servizio sanitario nazionale 27
Tutela del diritto alla salute e programmazione sanitaria 28
Competenze regionali 30
Le aziende USL e le aziende ospedaliere 31
Organi e organismi delle aziende USL e delle aziende ospedaliere 32
Il sindaco e la conferenza dei sindaci 35
I distretti 35

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L’integrazione socio-sanitaria 36
L’accreditamento 37
Fondi integrativi del servizio sanitario nazionale 39
Il collegio di direzione 40
I dipartimenti 40
Il controllo di qualità e la carta dei servizi 41

Capitolo 4
La normativa sui trapianti 45
Trapianti da vivente 46
Trapianti da cadavere 48
Informazione sui trapianti 48
Il consenso alla donazione di organi 49
Organizzazione dei prelievi e dei trapianti 50
Norme sul personale 51
Divieti e sanzioni 51

Capitolo 5
La normativa sulla malattia mentale 53
Aspetto storico e culturale 53
Procedimento per il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) 54

Parte II • ELEMENTI DI BIODIRITTO

Capitolo 6
La contraccezione 59
La contraccezione nel nostro ordinamento 59

VI
Indice

Le tipologie di metodi contraccettivi 62


Le diverse classificazioni dei metodi contraccettivi 65
La prescrizione terapeutica e l’obiezione di coscienza:
il caso della pillola del giorno dopo 68
Problematiche giuridiche della sterilizzazione 74

Capitolo 7
L’interruzione volontaria della gravidanza 77
L’evoluzione del dibattito sull’interruzione volontaria
della gravidanza 77
Le tipologie di interruzione della gravidanza 83
Obiezione di coscienza 87
Aborto clandestino 94

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Capitolo 8
La procreazione medicalmente assistita 97
Le cause di infertilità e sterilità e le tecniche
di fecondazione assistita 97
La normazione legislativa e le linee guida 100
Obiezione di coscienza 114

Capitolo 9
Il dibattito sulla rianimazione e sulle cure intensive
dei “grandi prematuri” 117
Il concetto di vitalità 119
I documenti italiani sulle cure dei “grandi prematuri” 121
Profili giuridici della rianimazione dei “gradi prematuri” 126

Capitolo 10
Le mutilazioni genitali femminili 129
La normativa italiana sulle mutilazioni genitali femminili 132
La possibilità di un rito alternativo:
la cosiddetta sunna lievissima 136

Capitolo 11
Il consenso informato 139
Premessa 139
L’informazione 142
Il consenso 143
La forma del consenso 149
La modulistica nella routine 157

VII
Indice

Capitolo 12
L’accanimento terapeutico 163
Definizioni di accanimento terapeutico 165
I pazienti in stato vegetativo 168
La nutrizione e l’idratazione artificiali 169
Il caso di Eluana Englaro 174
Il caso di Piergiorgio Welby 178

Capitolo 13
Le direttive anticipate 183
Le diverse definizioni delle direttive anticipate 183
L’autore e gli altri soggetti delle direttive anticipate 185
Il contenuto delle direttive anticipate 185

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La vincolatività e la cogenza delle direttive anticipate 187
La forma e l’implementazione delle direttive anticipate 189
Un esempio di testamento biologico:
la proposta della Fondazione Veronesi 190

Capitolo 14
L’eutanasia 193
Il concetto giuridico di morte 193
La tutela penale della soppressione della vita 196
Figure speciali di omicidio: infanticidio e omicidio del consenziente 199
Eutanasia 201
Le problematiche giuridiche dell’eutanasia volontaria 204
Le esperienze internazionali di legalizzazione dell’eutanasia:
la legge olandese 206

Parte III • ALLEGATI

Allegato 1
Legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” 211

Allegato 2
Legge 19 febbraio 2004, n. 40 “Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita” 221

Bibliografia 231

Indice analitico 239

VIII
L’Autore

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Giurista, direttore dal 1998 al 2004 della Rivista di diritto delle professioni
sanitarie (Lauri edizioni) di cui è, a tutt’oggi, membro della redazione.
Autore di pubblicazioni sul diritto sanitario e sulle professioni sanitarie
tra cui Aspetti giuridici della professione infermieristica, McGraw-Hill,
5a ed., 2008; La prescrizione e la somministrazione di farmaci: responsa-
bilità giuridica e deontologica, McGraw-Hill, 2007; Le professioni sanitarie
non mediche: aspetti giuridici, deontologici e medico legali, McGraw-
Hill, 2002; Manuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing,
McGraw-Hill, 2a ed., 2001; 118 Un servizio integrato per l’emergenza
territoriale (coautore insieme a Cunial e Cipolotti), McGraw-Hill, 1999; Il
medico e l’infermiere a giudizio (a cura di) Atti del convegno nazionale
sulle responsabilità condivise, Siena, 1997, Lauri edizioni. È compo-
nente della redazione della Rivista Italiana di Emergenza – Urgenza
Pediatrica.
È coordinatore del Comitato scientifico del convegno annuale “Il
medico e l’infermiere a giudizio”.
Svolge attività di consulenza e docenza presso Aziende USL e
ospedaliere, società di formazione, Università degli Studi, Associazioni,
Collegi e Ordini professionali in materia di diritto sanitario, responsabi-
lità professionale e biodiritto.
È professore a contratto presso l’Università degli Studi di Firenze
per i corsi di laurea specialistica delle classi di laurea delle professioni
sanitarie e membro del Comitato ordinatore del master di primo livello
sulla metodologia della responsabilità professionale.

IX
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Prefazione

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Questo volume nasce per contemperare più esigenze. In primo luogo la
necessità di riportare in un unico testo una serie di questioni legate al
diritto sanitario e al cosiddetto biodiritto, intendendosi come tale il diritto
delle questioni inerenti alle tematiche dell’inizio e della fine della vita.
In questo intento il lavoro risulta decisamente sbilanciato, come
approfondimento, più sulla seconda parte che non sulla prima.
Le tematiche relative alla legislazione sanitaria generale, con par-
ticolare riferimento alla nascita e all’evoluzione del Servizio sanitario
nazionale sono in gran parte collegate al dibattito degli anni Settanta – la
nascita – e degli anni Novanta – l’aziendalizzazione – dello scorso secolo.
Diversamente invece il dibattito e le novità sulle problematiche
dell’inizio e della fine della vita sono esplose in questi anni in modo
assolutamente rilevante, complici l’esplosione della tecnicalità medica
e l’incontro tra medicina e biologia che hanno aperto scenari assoluta-
mente impensabili fino a pochi anni orsono.
Alcune sono questioni antiche, che si ripropongono nel dibatti-
to con nuove motivazioni. Si pensi alle polemiche che si rinnovano
costantemente in particolare sulla contraccezione e sulla interruzione
volontaria della gravidanza. Altre sono nuove, o relativamente nuove,
come la procreazione assistita, la rianimazione dei grandi prematuri, il
testamento biologico e, più in generale, tutte le decisioni di fine vita.

XI
Prefazione

Nella legislazione, nella giurisprudenza, nel dibattito dottrinario,


professionale e bioetico, spesso o quasi sempre assistiamo a uno scon-
tro contrapposto tra posizioni che rivelano diverse posizioni di fondo e
diverse scuole di pensiero.
Al fine di semplificare tali orientamenti abbiamo deciso di riportare
tali posizioni, praticamente per ogni grande argomento, secondo una
suddivisione che può sembrare ed essere schematica – in questo modo
tentiamo di prevenire una serie di obiezioni – ma che ci sembra possa
avere un suo deciso senso: verranno quindi riportate le posizioni della
bioetica laica e quelle della bioetica cattolica.
Ci sembra la scelta più coerente che si possa adottare in un lavoro
di questo tipo. D’altra parte questi sono “i due grandi modelli teorici, i
quali si ispirano a due concezioni generali del mondo e a due distinte

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filosofie: una di matrice religiosa e una di matrice laica.”1
Il modello della bioetica cattolica, come è largamente noto, è
sostanzialmente rappresentato dal principio della “sacralità della vita”
che si contrappone sostanzialmente al modello di bioetica laica deno-
minato della “qualità della vita”. Non vi è dubbio che, nonostante sia
una contrapposizione talvolta negata, siano due concezioni ben pre-
senti nella società e nel dibattito.
È un’impostazione che può essere accusata di schematismo, ma
riporta fedelmente le diverse posizioni in campo.
Questo lavoro non vuole dichiaratamente – da qui il titolo che
inizia con “Elementi” – essere esaustivo delle tematiche che tratta. La
ricchezza del dibattito, una parte del quale in costante divenire, rende
impossibile riportare in questa sede tutte le posizioni e le argomenta-
zioni che sono state prodotte negli ultimi anni.

Luca Benci
www.lucabenci.it

1 Fornero G., Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano, 2005, p. 15.

XII
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LEGISLAZIONE SANITARIA
Parte I
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Capitolo

1
La legislazione sanitaria:
aspetto storico-evolutivo
Dai primi del Novecento
al Servizio sanitario nazionale

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Aspetto storico

Subito dopo l’Unità d’Italia (1861), venne varata la legge 20 marzo 1865,
n. 2248, in cui si stabiliva che l’azione sanitaria dello stato era limitata
alla difesa della salute della popolazione da cause morbose esterne,
e affidando ai prefetti unicamente la profilassi delle malattie infettive.
L’assistenza sanitaria veniva lasciata alla solidarietà privata, soprattutto
religiosa.
L’ente competente a occuparsi di sanità era il Ministero dell’in-
terno.
Nel 1888 venne approvata la legge 22 dicembre 1888, n. 5849, deno-
minata “Per la tutela dell’igiene e della sanità pubblica”, che istituiva in
seno al Ministero dell’interno la Direzione generale della sanità pubblica
con a capo un medico igienista.
L’organizzazione periferica era così strutturata:
• l’ufficiale sanitario in ogni provincia;
• il medico condotto;
• l’Ufficio di igiene nei comuni con più di 25 000 abitanti.

Un’altra data importante è costituita dall’entrata in vigore della legge


17 luglio 1890, n. 6972, che istituisce le IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assi-
stenza e Beneficenza). Pur non contenendo una regolamentazione specifica
per le istituzioni assistenziali, iniziano ad assumere importanza le norme
per gli ospedali con alcuni obblighi, soprattutto verso i cittadini indigenti.


Parte I • Legislazione sanitaria

Gli ospedali erano in gran parte gestiti da Opere pie create dall’azione
caritatevole motivata da ragioni di ordine religioso, che intervenivano a
favore degli indigenti e dei non abbienti. Il concetto di salute come diritto
era ancora lontano dall’essere considerato come diritto fondamentale.
Durante il regime fascista viene affermandosi il concetto di assistenza:
vengono emanati il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 “Approvazione del Testo
Unico delle leggi sanitarie”, e il R.D. 30 settembre 1938, n. 1631 recante
“Norme generali per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale
sanitario degli ospedali”.
Si regolamentano così per la prima volta in modo organico gli ospe-
dali, operando una prima distinzione tra ospedali “generali” e “specializ-
zati” e individuando gli elementi per l’organizzazione ospedaliera come
la “sezione” e il “reparto”. Questa organizzazione resse sostanzialmente

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fino al 1945.
Dopo la Seconda Guerra mondiale la Direzione generale della sanità
pubblica venne sostituita dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità
pubblica alle dirette dipendenze della Presidenza del consiglio. L’orga-
nizzazione periferica rimase immutata.
Nel 1948 entrò in vigore la Costituzione Repubblicana che all’art. 32
disponeva:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse


della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana.

Vengono quindi riconosciuti dalla Carta costituzionale il diritto indi-


viduale e un interesse collettivo legittimo alla salute. La previsione della
gratuità delle cure è solo per gli “indigenti”.
Il secondo comma dell’art. 32 introduce il principio della volontarietà
dei trattamenti sanitari, principio al quale si può derogare soltanto per
espressa disposizione di legge (riserva di legge) che, comunque, deve
rispettare la persona.
La stessa Costituzione all’art. 117 demanda alle regioni il potere di
legiferare in materia sanitaria, anche se nell’ambito delle leggi cornice
dello stato.
Nel 1958 viene istituito il Ministero della sanità con la legge 13 marzo
1958, n. 296.
A quel punto l’organizzazione sanitaria era così composta:


La legislazione sanitaria: aspetto storico-evolutivo • Capitolo 1

• al centro: il Ministero della sanità con il Consiglio superiore di sanità


(organo consultivo) e l’Istituto superiore di sanità (organo tecnico);
• in periferia: l’ufficio del medico provinciale, l’ufficio del veterinario
provinciale, gli uffici sanitari dei comuni e dei consorzi comunali, gli
uffici speciali (uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera; uffici
veterinari di porto, aeroporto e di confine).

Non erano ancora state istituite le regioni.

La riforma ospedaliera

La riforma ospedaliera viene varata con la legge 12 febbraio 1968, n. 132

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e gli ospedali vengono costituiti in enti autonomi.
Ciascun ente ospedaliero comprende uno o più ospedali. Gli organi
dell’ente ospedaliero sono:
• il Consiglio di amministrazione;
• il Presidente;
• il Collegio dei revisori;
• il Consiglio dei sanitari.

Gli ospedali vengono classificati in generali e specializzati, per lun-


godegenti e per convalescenti.
Altri punti importanti sono ravvisabili nell’attribuzione alle istituende
regioni dei compiti di individuazione dei bisogni sanitari della popola-
zione e della relativa facoltà di pianificazione.
A completamento della riforma ospedaliera vengono, l’anno succes-
sivo, emanati i seguenti decreti:
• D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 “Ordinamento interno dei servizi ospe-
dalieri”;
• D.P.R. 27 marzo 1969, n. 129 “Ordinamento interno dei servizi di as-
sistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura”;
• D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 “Stato giuridico dei dipendenti degli enti
ospedalieri”.

L’istituzione delle Regioni

Nel 1970 vengono istituite le regioni e negli anni successivi, dal 1972 al
1977, viene trasferita alle stesse una serie di funzioni amministrative di
competenza dello stato.


Parte I • Legislazione sanitaria

Questo trasferimento di competenze rappresenta la necessaria pre-


messa per l’istituzione del Servizio sanitario nazionale.

L’organizzazione mutualistica

Accanto all’organizzazione dello stato sorse, soprattutto per iniziativa


del mondo del lavoro e sindacale, l’organizzazione mutualistica.
Le prime Casse mutue furono volontarie e vennero istituite in seguito a
rivendicazioni sociali tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Il vero sistema mutualistico si sviluppò però negli anni tra la Prima
e la Seconda Guerra mondiale, e dopo la Seconda guerra mondiale fino
all’entrata in vigore della legge n. 833 del 1978.

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Tutti gli appartenenti a una determinata categoria di lavoratori mette-
vano in comune il rischio di malattia e costituivano un fondo gestito dalla
Cassa mutua finanziato con i loro salari. Quando un lavoratore o un suo fa-
miliare si ammalavano, interveniva la Cassa mutua, coprendo le spese.
Era, sia pure con qualche differenza, un regime di tipo assicurativo.
Successivamente molte Casse mutue si fusero tra di loro dando ori-
gine a grandi enti come l’INAM, l’ENPAS, l’INADEL, l’ENPDEP.
Alcuni di questi enti praticavano un’assistenza diretta (al verificarsi
della malattia e delle spese a essa conseguenti interveniva direttamente
l’ente mutualistico), altri un’assistenza indiretta (al verificarsi della ma-
lattia il lavoratore sosteneva direttamente le spese e poi si faceva rim-
borsare dall’ente).
I contributi per l’assistenza mutualistica erano versati sia dai lavora-
tori sia, in forma più cospicua, dai datori di lavoro.
Il progresso che si ebbe con il sistema mutualistico rispetto al pre-
cedente sistema, che riconosceva solo ai “poveri” e agli “indigenti” l’as-
sistenza, fu evidente.
Il sistema non era, e non aveva la pretesa di essere, un sistema com-
pleto.
Erano escluse dalla copertura assicurata dalle mutue alcuni tipi di pa-
tologie che godevano di altre coperture assicurative. Tra di esse spiccava
la tubercolosi, coperta dall’INPS, le malattie e gli infortuni professionali,
coperti dall’INAIL, le malattie infettive e diffusive e le malattie veneree.

Verso la riforma sanitaria

Ben presto anche la riforma ospedaliera mostrò i suoi limiti.


La crisi che colpì il sistema ospedaliero non era solo una crisi finanzia-


La legislazione sanitaria: aspetto storico-evolutivo • Capitolo 1

ria (le mutue pagavano in ritardo le “rette di degenza”), ma complessiva


del sistema. I ricoveri aumentavano di numero, si allungavano i tempi di
degenza, non esisteva alcun filtro tra il territorio e l’ospedale: a tutto ciò
conseguì un aumento del numero dei ricoveri impropri.
Il Governo dovette emanare un decreto legge, poi convertito dal Par-
lamento con la legge 17 agosto 1974, n. 386, in cui vennero fissate le
“Norme per l’estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli
enti ospedalieri”, dando l’avvio alla riforma sanitaria.
In pratica lo stato si accollava tutti i debiti accumulati dalle mutue nei
confronti degli ospedali; furono inoltre bloccate tutte le convenzioni mu-
tualistiche e venne fissato lo scioglimento delle mutue entro il 30 giugno
1977. L’avvio della riforma sanitaria non era più differibile.
Prima dell’avvento della riforma sanitaria vennero approvate alcune

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importanti leggi:

• legge 22 dicembre 1975, n. 685 “Disciplina degli stupefacenti e


sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza”, che riformava la normativa sulle tossi-
codipendenze introducendo, tra l’altro, innovazioni legate alla non
punibilità degli stati di tossicodipendenza;
• legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, in cui so-
stanzialmente si depenalizzavano alcune fattispecie abortive;
• legge 13 maggio 1978, n. 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari
volontari e obbligatori”, in cui si pose fine al regime manicomiale
introducendo nuovi concetti per il trattamento della malattia mentale.
Venne disciplinato con dovizia di particolari il “trattamento sanitario
obbligatorio”. I tre articoli a esso dedicati vennero poi trasfusi nella
legge di riforma sanitaria.

Queste tre leggi erano sostanzialmente anticipatrici della legge di


riforma sanitaria. Il 23 dicembre 1978, con l’approvazione della legge
n. 833, venne istituito il Servizio sanitario nazionale.

istituzione del servizio sanitario nazionale

Il Servizio sanitario nazionale viene istituito con la legge 23 dicembre


1978, n. 833.
È la legge che permette il definitivo superamento del sistema assi-
curativo su base mutualistica, lo scioglimento di tutti gli enti con finalità
assistenziali e la loro confluenza verso l’istituendo Servizio sanitario


Parte I • Legislazione sanitaria

nazionale. È soprattutto la legge che permette un maggior coordinamento


tra l’ospedale e il territorio circostante.
Non si crea una supermutua,1 bensì un servizio concepito come un
insieme coordinato e organico di strutture e di personale che si occupa
professionalmente di salute e sanità.
Oltre al puro aspetto curativo e terapeutico, tipico del sistema ospe-
daliero e mutualistico, il Servizio sanitario nazionale ha tra i suoi obiettivi
prioritari, come vedremo, l’aspetto “preventivo” e “riabilitativo”. È una
legge che, soprattutto nella sua parte istituzionale, ha subìto numerose
modifiche nel tempo. Nei paragrafi che seguono prendiamo in esame
i primi due articoli, riguardanti i “principi” e gli “obiettivi” del Servizio
sanitario nazionale.

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I princIpi DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Legge 833/1978

Art. 1
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività mediante il Servizio sanitario nazionale.
La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e
della libertà della persona umana. Il Servizio sanitario nazionale è costituito dal
complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla
promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la
popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità
che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione
del Servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle Regioni e agli enti locali
territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini.
Nel Servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento e il coordinamento
con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi,
che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute
degli individui e della collettività.
Le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del Servizio
sanitario nazionale nei modi e nelle forme stabiliti dalla presente legge.

Gli obiettivi DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Il conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo è assicurato


mediante:

1 Cosmacini G., Storia della medicina e della sanità nell’Italia contemporanea,


Laterza, Bari, 1994.


La legislazione sanitaria: aspetto storico-evolutivo • Capitolo 1

1. la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di


un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;
2. la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita
e di lavoro;
3. la diagnosi e la cura degli eventi morbosi, quali che ne siano le cause,
la fenomenologia e la durata;
4. la riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità somatica e psi-
chica;
5. la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’am-
biente naturale di vita e di lavoro;
6. l’igiene degli alimenti, delle bevande, dei prodotti e degli avanzi di ori-
gine animale per le implicazioni che attengono alla salute dell’uomo,
nonché la prevenzione e la difesa sanitaria degli allevamenti animali

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e il controllo della loro alimentazione integrata e medicata;
7. una disciplina della sperimentazione, produzione, immissione in com-
mercio e distribuzione dei farmaci e dell’informazione scientifica sugli
stessi diretta ad assicurare l’efficacia terapeutica, la non nocività e la
economicità del prodotto;
8. la formazione professionale e permanente nonché l’aggiornamento
scientifico-culturale del personale del Servizio sanitario nazionale.

Il Servizio sanitario nazionale nell’ambito delle sue competenze per-


segue:

a) il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sani-


tarie del Paese;
b) la sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro
organizzazioni, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli
alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro
gli strumenti e i servizi necessari;
c) le scelte responsabili e consapevoli di procreazione e la tutela della
maternità e dell’infanzia, per assicurare la riduzione dei fattori di
rischio connessi con la gravidanza e con il parto, le migliori condi-
zioni di salute per la madre e la riduzione del tasso di patologia e di
mortalità perinatale e infantile;
d) la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attua-
zione dei servizi medico-scolastici negli Istituti di istruzione pubblica
e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e
favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati;
e) la tutela sanitaria delle attività sportive;
f) la tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuo-
vere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione;


Parte I • Legislazione sanitaria

g) la tutela della salute mentale privilegiando il momento preventivo e


inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo
da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione pur
nella specificità delle misure terapeutiche, e da favorire il recupero e
il reinserimento sociale dei disturbati psichici.

Era prevista dalla legge 833 anche una competenza in tema di inqui-
namento, ma la disposizione è stata abrogata dal referendum popolare
del 18-19 aprile 1993.

Competenze statali in materia di sanità

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Secondo la legge n. 833/1978, la funzione di indirizzo e coordinamento
delle attività amministrative delle regioni in materia sanitaria spetta
allo stato e viene esercitata mediante deliberazioni del Consiglio dei
ministri.
Al Ministero della sanità sono devoluti compiti di programmazione,
di determinazione dei livelli delle prestazioni sanitarie, la fissazione dei
requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori
sanitari ecc.
Il Ministero della sanità si avvale di due organi: il Consiglio superiore
di sanità, che è un organo consultivo, e l’Istituto superiore di sanità che è
un organo tecnico-scientifico.
Il Consiglio superiore di sanità esprime pareri obbligatori sui rego-
lamenti generali e sulle convenzioni internazionali riguardanti la salute
pubblica, sui progetti per la costruzione di ospedali, sulla determinazione
dei lavori pericolosi, sulle norme igieniche del lavoro ecc.
L’Istituto superiore di sanità ha compiti di consulenza e di ricerca
tecnico-scientifica. Organizza in collaborazione con l’università, con le
regioni e con le altre istituzioni scientifiche a carattere pubblico, corsi di
specializzazione e aggiornamento in materia di sanità pubblica per gli ope-
ratori sanitari, con esclusione del personale tecnico-infermieristico (art. 9).
Le competenze attuali del Ministero della salute (ex Ministero della
sanità), del Consiglio superiore di sanità e dell’Istituto superiore di sanità
sono stare riformulate e ridefinite (vedi cap. 2).

Competenze regionali in materia di sanità

Le regioni esercitano le funzioni legislative in materia di assistenza sa-


nitaria e ospedaliera nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle

10
La legislazione sanitaria: aspetto storico-evolutivo • Capitolo 1

leggi dello stato ed esercitano le funzioni amministrative proprie o loro


delegate.
Le leggi regionali devono, in particolare, conformarsi ai seguenti
principi:
a) coordinare l’intervento sanitario con gli interventi negli altri settori
economici, sociali e di organizzazione del territorio di competenza
delle regioni;
b) unificare l’organizzazione sanitaria su base territoriale e funzionale
adeguando la normativa alle esigenze delle singole situazioni regio-
nali;
c) assicurare la corrispondenza tra costi dei servizi e relativi benefici
(art. 11).

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Le Unità sanitarie locali (USL)

Alla gestione unitaria della tutela della salute si provvedeva in modo


uniforme sull’intero territorio nazionale mediante una rete completa di
Unità sanitarie locali.
L’Unità sanitaria locale era il complesso dei presidi, degli uffici e dei
servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane, i quali
in un determinato ambito territoriale assolvevano ai compiti del Servizio
sanitario nazionale di cui alla presente legge.
Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale, i comuni, singoli o
associati, e le comunità montane articolavano le Unità sanitarie locali in
distretti sanitari di base, quali strutture tecnico-funzionali per l’eroga-
zione dei servizi di primo livello e di pronto intervento (art. 10).
L’ambito territoriale di attività di ciascuna Unità sanitaria locale venne
delimitato in base a gruppi di popolazione, di regola compresi tra 50 000
e 200 000 abitanti, tenendo conto delle caratteristiche geomorfologiche
e socioeconomiche della zona.
Nel caso di aree a popolazione particolarmente concentrata o sparsa,
e anche al fine di permettere la coincidenza con un territorio comunale
adeguato, erano consentiti limiti più elevati o, in casi particolari, più
ristretti.
Nell’ambito delle proprie competenze, l’Unità sanitaria locale prov-
vedeva in particolare:
a) all’educazione sanitaria;
b) all’igiene dell’ambiente (materia non più di competenza delle unità
sanitarie locali in virtù del referendum abrogativo tenutosi il 18-19
aprile 1993);

11
Parte I • Legislazione sanitaria

c) alla prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psi-


chiche;
d) alla protezione sanitaria materno-infantile, all’assistenza pediatrica
e alla tutela del diritto alla procreazione cosciente e responsa-
bile;
e) all’igiene e medicina scolastica negli Istituti di istruzione pubblica e
privata di ogni ordine e grado;
f ) all’igiene e medicina del lavoro, nonché alla prevenzione degli infor-
tuni sul lavoro e delle malattie professionali;
g) alla medicina dello sport e alla tutela sanitaria delle attività spor-
tive;
h) all’assistenza medico-generica e infermieristica, domiciliare e am-
bulatoriale;

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i ) all’assistenza medico-specialistica e infermieristica, ambulatoriale e
domiciliare, per le malattie fisiche e psichiche;
l ) all’assistenza ospedaliera per le malattie fisiche e psichiche;
m) alla riabilitazione;
n) all’assistenza farmaceutica e alla vigilanza sulle farmacie;
o) all’igiene della produzione, lavorazione, distribuzione e commercio
degli alimenti e delle bevande;
p) alla profilassi e alla polizia veterinaria; all’ispezione e alla vigilanza ve-
terinaria sugli animali destinati ad alimentazione umana, sugli impianti
di macellazione e di trasformazione, sugli alimenti di origine animale,
sull’alimentazione zootecnica e sulle malattie trasmissibili dagli animali
all’uomo, sulla riproduzione, allevamento e sanità animale, sui farmaci
di uso veterinario;
q) agli accertamenti, alle certificazioni e a ogni altra prestazione medico-
legale spettanti al Servizio sanitario nazionale, con esclusione di quelle
relative ai servizi di cui alla lettera z) dell’articolo 6 (art. 14).

Organi dell'Unità sanitaria locale

L’Unità sanitaria locale, secondo la legge n. 833, era una struttura opera-
tiva dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane.
Gli organi dell’Unità sanitaria locale (USL) previsti dalla legge
833/1978 erano:

1. l’Assemblea generale;
2. il Comitato di gestione e il suo presidente;
3. il Collegio dei revisori, composto di tre membri, uno dei quali desi-
gnato dal Ministro del tesoro e uno dalla regione.

12
La legislazione sanitaria: aspetto storico-evolutivo • Capitolo 1

L’Assemblea generale era costituita:

a) dal Consiglio comunale se l’ambito territoriale dell’Unità sanitaria


locale coincideva con quello del comune o di parte di esso;
b) dall’Assemblea generale dell’associazione dei comuni, se l’ambito terri-
toriale dell’Unità sanitaria locale corrispondeva a quello complessivo
dei comuni associati;
c) dall’Assemblea generale della comunità montana se il suo ambito terri-
toriale coincideva con quello dell’Unità sanitaria locale. Se il territorio
dell’Unità sanitaria locale comprendeva anche comuni non facenti
parte della comunità montana, l’assemblea doveva essere integrata
da rappresentanti di tali comuni.

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L’Assemblea generale eleggeva, con voto limitato, il Comitato di ge-
stione, il quale nominava il proprio presidente. Il Comitato di gestione
compiva tutti gli atti di amministrazione dell’Unità sanitaria locale.
Era inoltre previsto e operante un Ufficio di direzione dell’Unità sani-
taria locale, articolato distintamente per le responsabilità sanitaria e am-
ministrativa e collegiale, preposto all’organizzazione, al coordinamento
e al funzionamento di tutti i servizi e alla direzione del personale.

Riassumendo, l’assetto istituzionale della USL sopra descritto si com-


poneva dei seguenti organi:

• l’Assemblea generale;
• il Comitato di gestione e il suo presidente;
• il Collegio dei revisori dei conti (introdotto con la legge 26 aprile 1982,
n. 181).

Questo assetto ha subìto varie modifiche nel tempo. La prima è stata


apportata con l’approvazione della legge 15 gennaio 1986, n. 4, che ha
previsto la soppressione dell’Assemblea generale e la riduzione del nu-
mero dei componenti del Comitato di gestione.
Le competenze dell’Assemblea generale vengono attribuite al Con-
siglio comunale o all’Assemblea generale della comunità montana o
dall’Assemblea dell’associazione intercomunale. Le norme di dettaglio
vengono poi definite dalle singole regioni.
Un’altra modifica, questa volta più radicale, dell’assetto istituzionale
delle USL si è avuta con la conversione del decreto legge 6 febbraio 1991,
n. 35 “Norme sulla gestione transitoria delle Unità sanitarie locali”. Si
passò da una gestione “assembleare” caratterizzata da organi collegiali
a una gestione caratterizzata da organi unipersonali, cioè composti da
una sola persona.

13
Parte I • Legislazione sanitaria

Con quest’ultima legge gli organi della USL diventano:


• l’Amministratore straordinario;
• il Comitato dei garanti.

Vennero soppressi quindi il Comitato di gestione e il suo presidente.


L’Amministratore straordinario sostituì il Comitato di gestione e divenne
il legale rappresentante della USL. Il Comitato dei garanti aveva invece
funzioni di indirizzo e di controllo.
Le norme sul nuovo assetto istituzionale erano chiaramente tran-
sitorie in attesa di una riforma organica. La riforma aziendalistica del
Servizio sanitario nazionale viene posta in essere con i decreti legislativi
30 dicembre 1992, n. 502 e 7 dicembre 1993, n. 517.

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14
Capitolo

2
organi e competenze statali
in materia di sanità

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La devoluzione in ambito sanitario:
rIdistribuzione delle competenze
tra Stato e Regioni

Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al titolo V


della parte seconda della Costituzione”, confermata dal referendum del
7 ottobre 2001, sono state poste le basi per una definizione diversa delle
competenze tra stato e regioni nell’organizzazione dell’ordinamento
pubblico in generale, e della sanità e della regolamentazione delle pro-
fessioni in particolare.
Il processo di devoluzione1 e di trasformazione dello stato unitario in
una sorta di stato federale era già cominciato intorno alla metà degli anni
Novanta del secolo scorso con una serie di leggi (le più importanti sono
le cosiddette leggi Bassanini,2 dal nome del ministro proponente) che

1 Il termine inglese devolution è ormai entrato nel lessico politico e giuridico ita-
liano e viene utilizzato per indicare il decentramento a organi periferici dei poteri
usualmente spettanti allo Stato.
2 Si tratta di tre provvedimenti legislativi emanati tra il 1997 e il 1998. Sono: la

legge 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e


compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione
e per la semplificazione amministrativa”; la legge 15 marzo 1997, n. 127 “Misure
urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di deci-
sione e di controllo”; e la legge 16 giugno 1998, n. 191 “Modifiche ed integrazioni
alle leggi 15 marzo 1997, n. 59 e legge 15 maggio 1997, n. 127, nonché in materia
di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche
amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica”.

15
Parte I • Legislazione sanitaria

avevano già introdotto nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà


e di “federalismo amministrativo”, il tutto a costituzione invariata.
Con la riforma del titolo V della Costituzione si imprime un’accelera-
zione in senso devoluzionistico, attribuendo alle regioni attività legislativa
prima esclusivamente di competenza statale. Successivamente con legge
ordinaria – legge 5 giugno 2003, n. 131 “Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3” – si è provveduto all’applicazione dei nuovi principi costituzionali.
In questa sede ci interessa in particolare l’art. 117 che inizia premet-
tendo che la potestà legislativa è esercitata “dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Successivamente si precisa l’ambito di legislazione esclusiva dello

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stato (ovvero solo lo stato può emanare leggi in queste materie) che
provvediamo a elencare:

a) politica estera e rapporti internazionali dello stato; rapporti dello stato


con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini
di stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello stato; armi, munizioni ed esplo-
sivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concor-
renza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello stato;
perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello stato e relative leggi elettorali; referendum statali; ele-
zione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello stato e degli enti
pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, a esclusione della polizia amministrativa
locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giu-
stizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
comuni, province e città metropolitane;

16
Organi e competenze statali in materia di sanità • Capitolo 2

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;


r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo
statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale
e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Per quanto di interesse in questa sede, assumono particolare valenza


il punto sub m) sulla determinazione dei livelli civili e soprattutto sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio, e il punto sub n) con-
cernente le norme generali sull’istruzione.
Sono invece materie di legislazione concorrente3 quelle relative a:
rapporti internazionali e con l’Unione europea delle regioni; commercio
con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autono-

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mia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della
formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica
e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute;
alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del ter-
ritorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;
ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armo-
nizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica
e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali
e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio,
casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fon-
diario e agrario a carattere regionale.
Ci interessano in particolare la tutela e la sicurezza del lavoro, le
professioni e la tutela della salute. Nel testo previgente e in vigore fino
al 2001 competeva alle regioni la potestà legislativa concorrente “nei
limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato, sempre-
ché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale
e con quello di altre Regioni”. Come si può notare, il passo in avanti
verso la devoluzione è stato rilevante. Nelle materie sopra elencate le
regioni concorrono con lo stato nella formazione di dettati legislativi in
“settori di marcato rilievo politico-istituzionale nel rispetto dei principi
fondamentali che vengono determinati con legge dello Stato”. Le regioni,
inoltre, hanno una competenza esclusiva – art. 117, comma 4 – che si
caratterizza “per essere individuata in via residuale rispetto a ciò che

3 Per legislazione concorrente si intende la ripartizione, all’interno di una stessa


materia, della competenza legislativa tra Stato e regioni. Compete allo Stato l’in-
dividuazione di principi generali, mentre spetta alle regioni l’individuazione della
normativa di dettaglio.

17
Parte I • Legislazione sanitaria

non viene ricompreso nella legislazione esclusiva statale o concorrente


statale regionale, e che verrà esercitata unicamente dalle regioni senza
alcuna limitazione o ingerenza dello stato, salvo per quanto attiene alle
clausole trasversali (di tutela dei diritti civili e sociali, dell’ordinamento
civile e penale, della disciplina della concorrenza ecc.) che continuano
a contraddistinguere l’intervento esclusivo dello Stato)”.4
Deve essere inoltre rilevato che le espressioni usate dal testo vigente
dell’art. 117 in materia di sanità sono “tutela della salute” in luogo di
“assistenza sanitaria e ospedaliera” contenuta nel testo previgente, e
che le regioni per la prima volta si occupano di regolamentazione delle
professioni.
La riforma del titolo V della Costituzione rappresenta quindi una pro-
fonda innovazione nel sistema delle competenze che, a dire il vero, sta

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provocando un notevole contenzioso di fronte alla Corte costituzionale
sulle attribuzioni tra stato e regioni, e che per funzionare necessita di un
ruolo preminente – che non sempre si è realizzato – del luogo pattizio
per eccellenza nel sistema attuale che è costituito dalla Conferenza
Stato-Regioni.5

Ministero della salute

Il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 “Riforma dell’organizzazione del Governo,


a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” aveva previsto
l’accorpamento delle competenze del Ministero della sanità in un unico
dicastero denominato “Ministero del lavoro, della salute e delle politiche
sociali”.

4 Cilione G., Diritto sanitario, Maggioli, Rimini, 2003, p. 92.


5 La Conferenza Stato-Regioni è stata istituita con il D.P.C.M. 12 ottobre 1983.
Successivamente ha avuto la prima organica disciplina con la legge 23 ottobre
1988, n. 400, art. 12, che le attribuì compiti di “informazione, consultazione e
raccordo in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle
materie di competenza regionale, esclusi gli indirizzi relativi alla politica estera,
alla difesa, alla sicurezza nazionale e alla giustizia”. Con il successivo D.Lgs. 16
dicembre 1989, n. 418, le funzioni della Conferenza sono state aumentate ed
estese ai pareri su tutte le questioni attinenti al coordinamento intersettoriale
delle attività di programmazione inerenti ai rapporti tra lo stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti infraregionali. Con il D.Lgs. 28
agosto 1997, n. 281, la Conferenza Stato-Regioni si è vista ampliare ulteriormente
la funzione consultiva, rendendola obbligatoria per tutti gli schemi di disegni di
legge, regolamenti e schemi di decreti legislativi in materia di competenza regio-
nale adottati dal Governo.

18
Organi e competenze statali in materia di sanità • Capitolo 2

Con il successivo cambio di legislatura e di maggioranza politica si


è avuto un ripensamento e con il D.L. 12 giugno 2001,6 in materia di or-
ganizzazione del Governo si è provveduto a riscorporare le competenze
sanitarie in un ministero dedicato.
Successivamente con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 “Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)” si è provveduto a fare rivivere la disposizione specifi-
cando testualmente: “A partire dal Governo successivo a quello in carica
alla data di entrata in vigore della presente legge, il numero dei Ministeri
è stabilito dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
300, nel testo pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale
n. 203 del 30 agosto 1999.7 Il numero totale dei componenti del Governo
a qualsiasi titolo, ivi compresi ministri senza portafoglio, viceministri e

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sottosegretari, non può essere superiore a sessanta e la composizione
del Governo deve essere coerente con il principio stabilito dal secondo
periodo del primo comma dell’articolo 51 della Costituzione”.
Nel momento in cui scriviamo8 il Ministero della salute è quindi accor-
pato al ministero del lavoro e ha assunto la denominazione di “Ministero
del lavoro, della salute e delle politiche sociali”. Si può ragionevolmente
prevedere – senza necessariamente avere ragione della previsione – che
si arriverà allo “spacchettamento” delle competenze e alla ricostituzione

6 D.L. 12 giugno 2001, n. 217 “Modificazioni al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300,


nonché alla L. 23 agosto 1988, n. 400” convertito dalla legge 3 agosto 2001, n.
317 “Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 giugno 2001, n. 217,
recante modificazioni al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, nonché alla L. 23 agosto
1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo”, in Gazzetta Ufficiale del
6 agosto 2001, n. 181.
7 I ministeri previsti dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 “Riforma dell’organizza-

zione del Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59” sono i
seguenti:
1) Ministero degli affari esteri
2) Ministero dell’interno
3) Ministero della giustizia
4) Ministero della difesa
5) Ministero dell’economia e delle finanze
6) Ministero dello sviluppo economico
7) Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
8) Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
9) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
10) Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali
11) Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
12) Ministero per i beni e le attività culturali.
8 Gennaio, 2009.

19
Parte I • Legislazione sanitaria

del ministero. Al momento comunque il Ministero della salute è accorpato


al Ministero del lavoro.
Il Ministero della salute ha le competenze statali in “materia di tutela
della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e sicurezza degli alimenti” e sono
di fatto trasferite tutte le funzioni del disciolto Ministero della sanità.
Il Ministero, in particolare, svolge le funzioni di spettanza statale nelle
seguenti aree funzionali:

a) ordinamento sanitario: indirizzi generali e coordinamento in materia


di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie umane,
ivi comprese le malattie infettive e diffusive; prevenzione, diagnosi
e cura delle affezioni animali, ivi comprese le malattie infettive e
diffusive e le zoonosi; programmazione sanitaria di rilievo nazionale,

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indirizzo, coordinamento e monitoraggio delle attività regionali; rap-
porti con le organizzazioni internazionali e l’Unione europea; ricerca
scientifica in materia sanitaria;
b) tutela della salute umana e sanità veterinaria: tutela della sa-
lute umana anche sotto il profilo ambientale, controllo e vigilanza
sui farmaci, sostanze e prodotti destinati all’impiego in medicina
e sull’applicazione delle biotecnologie; adozione di norme, linee
guida e prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria, relative
anche a prodotti alimentari; organizzazione dei servizi sanitari;
professioni sanitarie; concorsi e stato giuridico del personale del
Servizio sanitario nazionale; polizia veterinaria; tutela della salute
nei luoghi di lavoro.

Il Ministero della salute inoltre esercita la vigilanza, d’intesa con la


conferenza permanente per i rapporti tra lo stato e le regioni e le province
autonome, sull’Agenzia per i servizi sanitari regionali.
Il Ministero della salute si articola nei seguenti quattro Dipartimenti,
ognuno dei quali suddiviso in Direzioni Generali:

1. qualità;
2. innovazione;
3. prevenzione e comunicazione;
4. sanità pubblica veterinaria, nutrizione e sicurezza degli alimenti.

Il Dipartimento qualità si occupa di interventi per lo sviluppo e il


monitoraggio di sistemi di garanzia della qualità del Servizio sanitario
nazionale e per la valorizzazione del capitale fisico, umano e sociale,
di osservazione sul servizio all’utente, della formazione del personale e
dell’individuazione dei fabbisogni informativi. Svolge inoltre compiti in

20
Organi e competenze statali in materia di sanità • Capitolo 2

materia di definizione dei livelli essenziali di assistenza e monitoraggio


sulla attuazione degli stessi e degli altri principi etici del sistema; veri-
fica delle liste di attesa e promozione di interventi finalizzati alle loro
riduzioni; promozione dello sviluppo e verifica sulla diffusione dell’isti-
tuto della certificazione di qualità. Questo dipartimento comprende tre
Direzioni generali:

a) programmazione sanitaria, livelli essenziali di assistenza e principi


etici di sistema;
b) risorse umane e delle professioni sanitarie;
c) sistema informativo.

Il Dipartimento innovazione svolge attività di promozione e vigi-

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lanza per lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica in materia
sanitaria e a sostegno di azioni di studio e creazione di reti integrate di
servizi sanitari e sociali per l’assistenza a malati acuti, cronici, terminali,
ai disabili, agli anziani. Comprende tre Direzioni generali:

a) farmaci e dispositivi medici;


b) ricerca scientifica e tecnologica;
c) personale, organizzazione e bilancio.

Il Dipartimento prevenzione e comunicazione svolge attività di


coordinamento e vigilanza e di diretto intervento di spettanza statale in
tema di tutela della salute, dell’ambiente e delle condizioni di vita e di
benessere delle persone; si occupa inoltre dell’informazione e comunica-
zione agli operatori e ai cittadini e delle relazioni interne e internazionali.
Comprende tre Direzioni generali:

a) prevenzione sanitaria;
b) comunicazione e relazioni istituzionali;
c) rapporti con l’Unione Europea e rapporti internazionali.

Il Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e


la sicurezza degli alimenti si occupa di garantire la sicurezza alimentare
e la sanità veterinaria ai fini della tutela della salute umana e animale;
promuove inoltre il benessere degli animali, la ricerca e la sperimenta-
zione, il finanziamento e il controllo degli Istituti zooprofilattici sperimen-
tali, i rapporti internazionali concernenti il settore di competenza, anche
nei confronti degli organismi internazionali e comunitari quali l’OIE, la
FAO, l’OMS e l’UE, la valutazione del rischio in materia di sicurezza ali-
mentare e il coordinamento degli uffici veterinari per gli adempimenti

21
Parte I • Legislazione sanitaria

comunitari (UVAC) e dei posti d’ispezione frontaliera veterinari (PIF);


si occupa della nutrizione, dei dietetici e degli integratori alimentari a
base di erbe, del farmaco veterinario, dei fitofarmaci, dell’alimentazione
animale e delle attività di verifica dei sistemi di prevenzione veterinaria
e alimentare. Comprende tre Direzioni generali:

a) direzione generale della sanità animale e del farmaco veterinario;


b) direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione;
c) segretariato nazionale della valutazione del rischio della catena ali-
mentare.

Il Ministero della salute dispone di un sito web (http://www.mini-


sterosalute.it/) dove è possibile reperire numerose informazioni sulle

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materie di competenza.

agenzia per i servizi sanitari regionali

L’Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR) è regolamentata dal D.Lgs.


31 marzo 1998, n. 115 9 e dal D.M. 31 maggio 2001.10 È un ente con per-
sonalità giuridica di diritto pubblico e agisce come organismo di supporto
al Ministero della salute.
Sono in particolare attribuite all’ASSR le seguenti competenze:

a) esprimere pareri obbligatori su iniziative o segnalazioni per una serie


di materie determinate per il raccordo tra le competenze di stato e
regione;
b) assicurare il costante monitoraggio delle modalità di accredita-
mento delle strutture pubbliche e private che erogano prestazioni
sanitarie e dei conseguenti oneri per il Servizio sanitario nazio-
nale, nonché dell’attuazione dei protocolli di intesa tra università
e regioni previsti dall’art. 6 del D.L. 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni.

Per specifica previsione legislativa, il Ministero della salute, le re-


gioni e le province autonome, le aziende sanitarie locali e le aziende

9 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 115 “Completamento del riordino dell’Agenzia per i


servizi sanitari regionali, a norma degli articoli 1 e 3, comma 1, lettera c), della L.
15 marzo 1997, n. 59”.
10 D.M. 31 maggio 2001 “Approvazione del regolamento dell’Agenzia per i servizi

sanitari regionali”.

22
Organi e competenze statali in materia di sanità • Capitolo 2

ospedaliere forniscono all’Agenzia, anche su richiesta, documenti e


informazioni in loro possesso per l’esercizio delle funzioni della me-
desima Agenzia.
L’Agenzia ha un presidente, un consiglio di amministrazione, un di-
rettore e un collegio dei revisori dei conti tra le sue cariche, che durano
cinque anni e sono rinnovabili una sola volta.

Consiglio superiore di sanità

È l’organo consultivo-tecnico del Ministero della salute ed è composto


ai sensi del D.M. 27 febbraio 1997, n. 76 11 da cinquanta componenti
non di diritto e dai componenti di diritto. I componenti non di diritto

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sono scelti dal Ministro della salute tra docenti universitari, dirigenti di
secondo livello del Servizio Sanitario Regionale, soggetti particolarmente
qualificati nelle materie attinenti le competenze istituzionali del Consiglio
e, limitatamente a due unità, appartenenti alla magistratura ordinaria,
amministrativa, contabile o agli avvocati dello stato.
Sono componenti di diritto i dirigenti generali preposti ai diparti-
menti e servizi del Ministero della sanità, il direttore dell’Agenzia per
i servizi sanitari regionali, il direttore dell’Istituto superiore di sanità,
i1 direttore dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza
del lavoro.
Le competenze del Consiglio superiore di sanità sono determinate
dal D.Lgs. 30 giugno 1993, n. 266 12 e sono:

a) prendere in esame i fatti riguardanti la salute pubblica, su richiesta


del Ministro per la sanità;
b) proporre lo studio di problemi attinenti all’igiene e alla sanità;
c) proporre indagini scientifiche e inchieste su avvenimenti di rilevante
interesse nel campo igienico e sanitario;
d) proporre all’amministrazione sanitaria la formulazione di schemi di
norme e di provvedimenti per la tutela della salute pubblica:
e) proporre la formulazione di standard costruttivi e organizzativi per
l’edificazione di ospedali, istituti di cura e altre opere igieniche da
parte di pubbliche amministrazioni.

11 D.M. 27 febbraio 1997, n. 76 “Regolamento recante sostituzione del regolamento

concernente la composizione e l’ordinamento del Consiglio superiore di sanità,


adottato con decreto ministeriale 21 dicembre 1996, n. 583”.
12 D.Lgs. 30 giugno 1993, n. 266 “Riordinamento del Ministero della sanità, a

norma dell’art. 1, comma 1, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.

23
Parte I • Legislazione sanitaria

Inoltre il Consiglio superiore di sanità esprime parere obbligatorio:


a) sui regolamenti predisposti da qualunque amministrazione centrale
che riguardino la salute pubblica;
b) sulle convenzioni internazionali relative alla predetta materia;
c) sugli elenchi delle lavorazioni insalubri e dei coloranti nocivi;
d) sui provvedimenti di coordinamento e sulle istruzioni obbligatorie per
la tutela della salute pubblica da adottarsi dal Ministero della sanità,
ai sensi dei nn. 2 e 3 dell’art. 1 della legge 13 marzo 1958, n. 296;
e) sugli insetticidi da impiegare nella lotta contro gli anofeli e altri insetti
domestici nocivi per l’uomo e gli animali;
f) sulla determinazione dei lavori pericolosi, faticosi o insalubri delle
donne e dei fanciulli e sulle norme igieniche del lavoro;
g) sulle domande di attestati di privativa industriale per invenzioni e

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scoperte concernenti generi commestibili di qualsiasi natura;
h) sulle modificazioni da introdursi negli elenchi degli stupefacenti;
i) sul diniego e sulla revoca di registrazione delle specialità medicinali;
l) sui servizi diretti a prevenire ed eliminare i danni delle emanazioni
radioattive e delle contaminazioni atmosferiche in genere, che non
siano di competenza delle unità sanitarie locali.

istituto superiore di sanità

L’Istituto superiore di sanità (ISS) è ente di diritto pubblico, dotato di


autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile ed è
regolamentato dal D.P.R. 20 gennaio 2001, n. 70.13
L’ISS è organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale del
quale si avvalgono il Ministero della salute, le regioni e, tramite queste,
le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere. È sottoposto alla
vigilanza del Ministero della salute.
L’ISS esercita nelle materie di competenza dell’area sanitaria del Mini-
stero della sanità funzioni e compiti tecnico-scientifici e di coordinamento
tecnico; in particolare, svolge funzioni di ricerca, di sperimentazione, di
controllo, di consulenza, di documentazione e di formazione per quanto
concerne la salute pubblica. Le attività dell’Istituto superiore di sanità
sono schematizzate nella tabella 2.1.
Sono organi dell’Istituto superiore di sanità il presidente, il consiglio
di amministrazione, il direttore generale, il comitato scientifico e il col-
legio dei revisori.

13 D.P.R.20 gennaio 2001, n. 70 “Regolamento di organizzazione dell’Istituto su-


periore di sanità, a norma dell’articolo 9 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419”.

24
Organi e competenze statali in materia di sanità • Capitolo 2

tabella 2.1 istituto superiore di sanitÀ

Funzioni di ricerca e sperimentazione e controllo


a) L’Istituto svolge direttamente attività di ricerca scientifica;
b) stipula convenzioni, contratti e accordi di collaborazione con ammi-
nistrazioni, enti, istituti, associazioni e altri soggetti giuridici pubblici
o privati, nazionali, esteri o internazionali, anche ricevendone con-
tributi, per lo svolgimento di ricerche particolari attinenti ai compiti
istituzionali;
c) sostiene programmi di studio e ricerca e programmi di interesse na-
zionale nel campo della promozione e tutela della salute, anche in
collaborazione con le altre strutture del Servizio sanitario nazionale,
nonché con enti pubblici e privati di elevata rilevanza tecnico-scien-

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tifica;
d) promuove lo svolgimento di sperimentazioni cliniche e sviluppi tec-
nologici di avanguardia di interesse nazionale, in collaborazione con
gli istituti di ricovero e di cura a carattere scientifico e con le aziende
ospedaliere;
e) partecipa a progetti di attività nazionali e internazionali finalizzati alla
tutela della salute pubblica, ovvero a programmi di studio e ricerca di
amministrazioni, enti, istituti, associazioni e organismi, anche inter-
nazionali, pubblici e privati.

Per quanto attiene alle funzioni di controllo l’Istituto superiore di sanità:

a) interviene, su richiesta del ministro o delle regioni, nell’ambito dei


controlli che richiedono un’elevata competenza scientifica non di-
sponibile a livello regionale, o di interesse nazionale;
b) effettua controlli su vaccini, farmaci e dispositivi medici, prodotti de-
stinati a un’alimentazione particolare, presidi chimici e diagnostici
previsti dalle norme interne e comunitarie;
c) provvede all’accertamento della composizione e dell’innocuità dei
prodotti farmaceutici di nuova istituzione prima della sperimentazione
clinica sull’uomo;
d) esegue, nei casi previsti dalla legge, accertamenti ispettivi, controlli di
stato e controlli analitici;
e) compie accertamenti e indagini di natura igienico-sanitaria in rela-
zione ad assetto territoriale, aria, acque, luoghi di lavoro e ambienti
di vita;
f) esercita la vigilanza, limitatamente all’attività di sanità pubblica, sugli
istituti zooprofilattici;
g) esercita la vigilanza sui laboratori per il controllo sanitario sull’attività
sportiva, previsti dall’articolo 4, comma 1, della legge 14 dicembre
2000, n. 376. (segue)

25
Parte I • Legislazione sanitaria

tabella 2.1 (continua)

Funzioni di consulenza e formazione


a) Fornisce consulenza al Ministro della sanità, al Governo e alle regioni
in materia di tutela della salute pubblica;
b) collabora con il Ministero della sanità all’elaborazione e all’attuazione
della programmazione sanitaria e scientifica;
c) svolge attività di consulenza del Governo e delle regioni per la formazione
dei rispettivi piani sanitari;
d) promuove convegni e dibattiti scientifici a carattere nazionale e in-
ternazionale su temi attinenti ai propri compiti istituzionali; partecipa
con propri esperti a convegni e dibattiti nazionali e internazionali
attinenti ai propri compiti istituzionali; rende noti, mediante pubbli-
cazioni scientifiche, i risultati delle ricerche effettuate, i metodi di

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analisi elaborati e in generale la documentazione scientifica prodotta
o raccolta nell’interesse della sanità pubblica;
e) esplica attività di consulenza per la tutela della salute pubblica in colla-
borazione con l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del
lavoro (ISPESL) e con gli altri enti o amministrazioni che si occupano
di produzione e impiego dell’energia termoelettrica, nucleare e delle
sostanze radioattive e di qualunque forma di energia usata a scopi
diagnostici e terapeutici;
f) esercita, nei casi previsti dalla legge, attività di formazione, perfezio-
namento e aggiornamento sulla salute pubblica e l’organizzazione
sanitaria, rivolte al personale del Servizio sanitario nazionale e degli
altri organi ed enti di promozione e tutela della salute.

L’Istituto superiore di sanità, inoltre:


a) interviene a tutela della salute pubblica nel campo igienico sanitario,
provvedendo in particolare all’elaborazione delle norme tecniche con-
cernenti farmaci, alimenti, sanità veterinaria, prodotti, attività e opere
del settore;
b) produce, su richiesta del Ministero della sanità, sostanze terapeutiche,
profilattiche e diagnostiche, nell’interesse pubblico;
c) appronta e aggiorna l’inventario nazionale delle sostanze chimiche e
preparati corredati delle caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche
necessarie per la valutazione del rischio sanitario connesso alla loro
presenza nell’ambiente;
d) collabora con il proprio personale all’attività del Centro nazionale
trapianti, istituito presso l’Istituto medesimo;
e) provvede alla tenuta di un sistema informativo per la raccolta, nel ri-
spetto delle disposizioni della normativa vigente, dei dati sugli infortuni
negli ambienti di civile abitazione rilevati dagli osservatori epidemio-
logici regionali, in collaborazione con le aziende sanitarie locali;
f) esercita le funzioni di controllo, vigilanza e coordinamento tecnico-
scientifico a livello nazionale in materia di attività trasfusionali e di
produzione di plasma.

26
Capitolo

3
L’aziendalizzazione
del Servizio
sanitario nazionale

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I decreti legislativi 30 dicembre 1992, n. 502 1 e 7 dicembre 1993, n.
517,2 emanati in seguito alla legge delega 23 ottobre 1992, n. 421,3
hanno attivato una profonda riforma del sistema istituzionale del Ser-
vizio sanitario nazionale, tale da assumere la denominazione di “ri-
forma bis”, pur confermando i principi fondamentali introdotti dalla
legge 833/1978 istitutrice del Servizio sanitario nazionale. In particolare,
hanno infatti trovato conferma i concetti di globalità degli interventi,
uguaglianza dei cittadini, tutela della salute come da disposto costitu-
zionale (art. 32), unitarietà strutturale del Servizio sanitario nazionale,
programmazione nazionale delle attività sanitarie e necessario coin-
volgimento dei cittadini.
A questo complesso legislativo ha fatto seguito, a distanza di pochis-
simi anni, la “riforma ter” attuata con D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 4

1 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria,


a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.
2 D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 “Modificazioni al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n.

502, recante Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1


della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.
3 Legge 23 ottobre 1992, n. 421 “Delega al Governo per la razionalizzazione e la

revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza


e di finanza locale”.
4 D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 “Norme per la razionalizzazione del Servizio

sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n.


419”.

27
Parte I • Legislazione sanitaria

che ha fatto seguito seguito alla legge delega 30 novembre 1998, n. 419.5
Da questo complesso legislativo l’assetto del Servizio sanitario nazio-
nale ha subìto una radicale trasformazione che andiamo a esaminare.

tutela del diritto alla salute


e programmazione sanitaria

La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse


della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della
persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso
delle funzioni e delle attività assistenziali dei servizi sanitari regionali e
delle altre funzioni e attività svolte dagli enti e istituzioni di rilievo nazio-

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nale, nell’ambito dei conferimenti previsti dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
nonché delle funzioni conservate allo Stato dal medesimo decreto.
Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finan-
ziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i
princìpi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre
1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza (LEA) definiti
dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei princìpi della dignità della
persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assi-
stenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle
specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse.
Sono quindi ribaditi i principi e gli obiettivi della legge istitutiva del Servi-
zio sanitario nazionale, la legge 833/1978. La legge prevede l’indicazione
da parte dello stato dei livelli essenziali e uniformi di assistenza tenendo
conto “delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale,
nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di
finanza pubblica nel Documento di programmazione economico-finan-
ziaria. Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza
sono garantite dal Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con
partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste
dalla legislazione vigente”. I LEA sono stati regolamentati dal decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) 29 novembre 2001.6
Sono stati completamente esclusi dai livelli essenziali di assistenza
le prestazioni di chirurgia estetica non conseguenti a incidenti, tutti i far-

5 Legge 30 novembre 1998, n. 419 “Delega al Governo per la razionalizzazione


del Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di
organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502”.
6 D.P.C.M. 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”.

28
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

maci non convenzionali, le vaccinazioni non obbligatorie per i soggiorni


all’estero, le certificazioni mediche non rispondenti ai fini di tutela della
salute collettiva e molte prestazioni di medicina fisica e riabilitativa. Il
principale strumento di pianificazione è costituito dal Piano sanitario
nazionale che è predisposto dal governo, sentite le commissioni parla-
mentari permanenti competenti per materia, e indica:

a) le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva ri-


duzione delle diseguaglianze sociali e territoriali nei confronti della
salute;
b) i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio
di validità del Piano;
c) la quota capitaria di finanziamento per ciascun anno di validità del

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Piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza;
d) gli indirizzi finalizzati a orientare il Servizio sanitario nazionale verso
il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza, anche attra-
verso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale;
e) i progetti-obiettivo, da realizzare anche mediante l’integrazione fun-
zionale e operativa dei servizi sanitari e dei servizi socio-assistenziali
degli enti locali;
f) le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sa-
nitaria, prevedendo altresì il relativo programma di ricerca;
g) le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi
alla formazione continua del personale, nonché al fabbisogno e alla
valorizzazione delle risorse umane;
h) le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici allo scopo
di favorire, all’interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di
modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica
e assistenziale e di assicurare l’applicazione dei livelli essenziali di
assistenza;
i) i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati
in rapporto a quelli previsti.

In base al Piano sanitario nazionale entro un tempo prefissato (150


giorni) le regioni adottano i propri piani sanitari regionali uniformandoli
alle indicazioni del Piano sanitario nazionale.
Il piani sanitari regionali vengono definiti come i “piani strategici”
degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi, la
mancanza dei quali però non comporta l’inapplicabilità delle disposizioni
contenute all’interno del Piano sanitario nazionale.
Di particolare rilievo la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 7,
così come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 229/1999, dove si recepisce il

29
Parte I • Legislazione sanitaria

dibattito professionale sulla cosiddetta medicina basata sull’evidenza


scientifica o su prove di efficacia. Si specifica infatti che “sono posti
a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le
prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche
o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini
di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impie-
gate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio
sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni
sanitarie che:
a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi
ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2;
b) non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero
la loro efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche

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disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non
corrispondono alle indicazioni raccomandate;
c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le me-
desime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nel-
l’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente
delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione
dell’assistenza”.

Spettano inoltre alle regioni e alle province autonome di Trento e


Bolzano le funzioni amministrative e legislative in materia di assistenza
sanitaria e ospedaliera con particolare riferimento all’organizzazione
e all’erogazione dei servizi, al finanziamento delle USL e delle aziende
ospedaliere.

competenze regionali

Competono alle regioni la determinazione dei principi sull’organizzazione


dei servizi e sull’attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di
finanziamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le
attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle
predette unità sanitarie locali e aziende, anche in relazione al controllo
di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie (art.
2 del D.Lgs. 502/1992 e successive modificazioni e integrazioni).
La regione disciplina inoltre:
a) l’articolazione del territorio regionale in unità sanitarie locali, le quali
assicurano attraverso servizi direttamente gestiti l’assistenza sanitaria
collettiva in ambiente di vita e di lavoro, l’assistenza distrettuale e l’as-

30
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

sistenza ospedaliera, salve le attribuzioni delle aziende ospedaliere;


b) i principi e criteri per l’adozione dell’atto aziendale;
c) la definizione dei criteri per l’articolazione delle unità sanitarie lo-
cali in distretti, da parte dell’atto di cui all’articolo 3, comma 1-bis,
tenendo conto delle peculiarità delle zone montane e a bassa densità
di popolazione;
d) il finanziamento delle unità sanitarie locali, sulla base di una quota
capitaria corretta in relazione alle caratteristiche della popolazione
residente;
e) le modalità di vigilanza e di controllo, da parte della regione mede-
sima, sulle unità sanitarie locali, nonché di valutazione dei risultati
delle stesse, prevedendo in quest’ultimo caso forme e modalità di
partecipazione della Conferenza dei sindaci.

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Dato il dibattito e le determinazioni operate anche con la recente
riforma costituzionale, il Servizio sanitario presenta sempre di più ca-
ratteri di regionalizzazione. Il riferimento è, in particolare, alla riforma
dell’art. 117 della Costituzione, che ha ampliato i poteri regionali in tema
di legislazione concorrente con lo Stato.

Le aziende USL e le aziende ospedaliere

Le unità sanitarie locali della legge 833/1978 sono oggi costituite “in
aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”.
La loro organizzazione e il funzionamento sono disciplinati con atto
aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e dei criteri previsti
dalle disposizioni regionali. L’atto aziendale individua le strutture ope-
rative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette
a rendicontazione analitica.
Le aziende agiscono nella propria attività con criteri di efficacia, effi-
cienza ed economicità, e sono tenute al “rispetto del vincolo di bilancio,
attraverso l’equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse
finanziarie”.
Per specifiche ragioni di carattere assistenziale e di ricerca o di di-
dattica, possono essere costituite in aziende ospedaliere se in possesso
dei seguenti requisiti:

a) organizzazione dipartimentale di tutte le unità operative presenti


nella struttura;
b) disponibilità di un sistema di contabilità economico patrimoniale e
di una contabilità per centri di costo;

31
Parte I • Legislazione sanitaria

c) presenza di almeno tre unità operative di alta specialità;


d) dipartimento di emergenza di secondo livello, ai sensi dell’atto di
indirizzo e coordinamento approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 27 marzo 1992 contenuto nell’Atto di intesa tra Stato e
regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza
sanitaria pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 17 maggio
1996;
e) ruolo di ospedale di riferimento in programmi integrati di assistenza
su base regionale e interregionale, così come previsto dal Piano sa-
nitario regionale e in considerazione della mobilità infraregionale e
della frequenza dei trasferimenti da presidi ospedalieri regionali di
minore complessità;
f) attività di ricovero in degenza ordinaria, nel corso dell’ultimo triennio,

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per pazienti residenti in regioni diverse, superiore di almeno il dieci
per cento rispetto al valore medio regionale, salvo che per le aziende
ubicate in Sicilia e in Sardegna;
g) indice di complessità della casistica dei pazienti trattati in ricovero
ordinario, nel corso dell’ultimo triennio, superiore ad almeno il venti
per cento rispetto al valore medio regionale;
h) disponibilità di un proprio patrimonio immobiliare adeguato e suffi-
ciente per consentire lo svolgimento delle attività istituzionali di tutela
della salute e di erogazione di prestazioni sanitarie.

Nella realtà non sempre le aziende ospedaliere costituite sul territo-


rio nazionale hanno i requisiti richiesti dalla normativa vigente: esistono
infatti alcune vistose eccezioni in alcune regioni.

organi e organismi delle aziende USL


e delle aziende ospedaliere

Sono organi delle aziende il direttore generale e il Collegio sindacale.


Sono organismi delle aziende sanitarie e delle aziende ospedaliere il
direttore amministrativo, il direttore sanitario e il Consiglio dei sa-
nitari.
Il direttore generale ha i poteri di gestione e di rappresentanza legale
dell’azienda, adotta l’atto aziendale di cui al comma 1-bis, è responsa-
bile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture
operative dell’azienda.
Il direttore generale, oltre a tutti i poteri di gestione e di rappresen-
tanza aziendale, ha il compito “di verificare mediante valutazioni com-
parative dei costi, dei rendimenti e dei risultati, la corretta ed economica

32
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

gestione delle risorse attribuite e introitate, nonché l’imparzialità e il buon


andamento dell’azione amministrativa”.
Il direttore generale viene nominato direttamente dalla regione
previo avviso da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale e deve produrre,
entro diciotto mesi dalla nomina, il certificato di frequenza del corso di
formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione
sanitaria attivato dalle regioni in collaborazione con le università e di
durata non inferiore a 120 ore.
Le regioni devono determinare preventivamente “in via generale, i
criteri di valutazione dell’attività dei direttori generali, avendo riguardo
al raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro della programma-
zione regionale, con particolare riferimento all’efficienza, efficacia e fun-
zionalità dei servizi sanitari. All’atto della nomina di ciascun direttore

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generale, esse definiscono e assegnano, aggiornandoli periodicamente,
gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con riferimento
alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia gestionale dei
direttori stessi”.
Il direttore generale è coadiuvato, nell’esercizio delle proprie fun-
zioni, dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario. Il direttore
amministrativo e il direttore sanitario sono nominati dal direttore ge-
nerale. Essi partecipano, unitamente al direttore generale che ne ha la
responsabilità, alla direzione dell’azienda, assumono diretta responsa-
bilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con
la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni
della direzione generale.
Il direttore sanitario è un medico che non abbia compiuto il ses-
santacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni
qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sa-
nitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. Il direttore
sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi e igienico-sanitari
e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle
materie di competenza.
Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o
economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età
e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di di-
rezione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o
private, di media o grande dimensione. Il direttore amministrativo dirige
i servizi amministrativi dell’unità sanitaria locale.
Il direttore generale è tenuto a motivare i provvedimenti assunti in
difformità dal parere reso dal direttore sanitario, dal direttore ammini-
strativo e dal Consiglio dei sanitari.
Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministra-

33
Parte I • Legislazione sanitaria

tivo e del direttore sanitario è esclusivo e regolato da contratto di diritto


privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni,
rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro
quinto del c.c. La regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto
con il direttore amministrativo e il direttore sanitario.
Il Collegio sindacale ha le seguenti attribuzioni:

a) verifica l’amministrazione dell’azienda sotto il profilo economico;


b) vigila sull’osservanza della legge;
c) accerta la regolare tenuta della contabilità e la conformità del bilancio
alle risultanze dei libri e delle scritture contabili ed effettua periodi-
camente verifiche di cassa;
d) riferisce almeno trimestralmente alla regione, anche su richiesta di

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quest’ultima, sui risultati del riscontro eseguito, denunciando imme-
diatamente i fatti se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità; tra-
smette periodicamente, e comunque con cadenza almeno semestrale,
una propria relazione sull’andamento dell’attività dell’unità sanitaria
locale o dell’azienda ospedaliera rispettivamente alla Conferenza dei
sindaci o al sindaco del comune capoluogo della provincia dove è
situata l’azienda stessa.

Il Collegio sindacale dura in carica tre anni ed è composto da cinque


membri, di cui due designati dalla regione, uno designato dal Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, uno dal Ministro
della sanità e uno dalla Conferenza dei sindaci; per le aziende ospedaliere
quest’ultimo componente è designato dall’organismo di rappresentanza
dei comuni. I componenti del Collegio sindacale sono scelti tra gli iscritti
nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero di grazia e giu-
stizia, ovvero tra i funzionari del Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica che abbiano esercitato per almeno tre anni
le funzioni di revisori dei conti o di componenti dei collegi sindacali.
Il Consiglio dei sanitari è organismo elettivo dell’unità sanitaria
locale con funzioni di consulenza tecnico-sanitaria ed è presieduto dal di-
rettore sanitario. Fanno parte del consiglio medici (in maggioranza) e altri
operatori sanitari laureati – con presenza maggioritaria della componente
ospedaliera medica se nell’unità sanitaria locale è presente un presidio
ospedaliero – nonché una rappresentanza del personale infermieristico e
del personale tecnico-sanitario. Nella componente medica è assicurata la
presenza del medico veterinario. Il Consiglio dei sanitari fornisce parere
obbligatorio al direttore generale per le attività tecnico-sanitarie, anche
sotto il profilo organizzativo, e per gli investimenti a esse attinenti. Il
Consiglio dei sanitari si esprime altresì sulle attività di assistenza sani-

34
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

taria. Tale parere è da intendersi favorevole ove non formulato entro il


termine fissato dalla legge regionale. La regione provvede a definire il
numero dei componenti nonché a disciplinare le modalità di elezione e
la composizione e il funzionamento del Consiglio.

Il sindaco e la conferenza dei sindaci

Nelle unità sanitarie locali il cui ambito territoriale coincide con quello del
comune, il sindaco, al fine di corrispondere alle esigenze sanitarie della
popolazione, provvede alla definizione, nell’ambito della programma-
zione regionale, delle linee di indirizzo per l’impostazione programmatica
dell’attività, esamina il bilancio pluriennale di previsione e il bilancio di

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esercizio e rimette alla regione le relative osservazioni, verifica l’an-
damento generale dell’attività e contribuisce alla definizione dei piani
programmatici trasmettendo le proprie valutazioni e proposte al direttore
generale e alla regione.
Nelle unità sanitarie locali il cui ambito territoriale non coincide con il
territorio del comune, le funzioni del sindaco sono svolte dalla Conferenza
dei sindaci o dei presidenti delle circoscrizioni di riferimento territoriale,
tramite una rappresentanza costituita nel suo seno da non più di cinque
componenti nominati dalla stessa Conferenza con modalità di esercizio
delle funzioni dettate con normativa regionale.

I distretti

Le aziende sanitarie sono articolate in distretti secondo la disciplina che


viene indicata dalle singole leggi regionali. Il distretto viene individuato
nell’atto aziendale tenendo conto di una popolazione minima di almeno
sessantamila abitanti, fatte salve le zone particolari.
Il distretto assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle atti-
vità sanitarie e socio-sanitarie, nonché il coordinamento delle proprie
attività con quella dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i pre-
sidi ospedalieri, inserendole organicamente nel Programma delle attività
territoriali. Al distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli
obiettivi di salute della popolazione di riferimento. Nell’ambito delle ri-
sorse assegnate, il distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed
economico-finanziaria, con contabilità separata all’interno del bilancio
dell’unità sanitaria locale.
Le regioni disciplinano l’organizzazione del distretto in modo da
garantire:

35
Parte I • Legislazione sanitaria

a) l’assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale, attra-


verso il necessario coordinamento e l’approccio multidisciplinare, in
ambulatorio e a domicilio, tra medici di medicina generale, pediatri
di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e festiva e i presidi
specialistici ambulatoriali;
b) il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di
libera scelta con le strutture operative a gestione diretta, organizzate
in base al modello dipartimentale, nonché con i servizi specialistici
ambulatoriali e le strutture ospedaliere ed extraospedaliere accredi-
tate;
c) l’erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate
da specifica ed elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali
di rilevanza sanitaria se delegate dai comuni.

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Il distretto garantisce:

a) assistenza specialistica ambulatoriale;


b) attività o servizi per la prevenzione e la cura delle tossicodipen-
denze;
c) attività o servizi consultoriali per la tutela della salute dell’infanzia,
della donna e della famiglia;
d) attività o servizi rivolti a disabili e anziani;
e) attività o servizi di assistenza domiciliare integrata;
f) attività o servizi per le patologie da HIV e per le patologie in fase
terminale.

Trovano inoltre collocazione funzionale nel distretto le articolazioni


organizzative del dipartimento di salute mentale e del dipartimento di
prevenzione, con particolare riferimento ai servizi alla persona.

L’integrazione socio-sanitaria

Si definiscono prestazioni socio-sanitarie tutte le attività atte a soddisfare,


mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona
che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione
sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra
le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
Le prestazioni socio-sanitarie comprendono:

a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate


alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimo-

36
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

zione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie


congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del si-
stema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di
bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti
lo stato di salute.

Le prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria sono


caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della
componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-
infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da
droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in
fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-

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degenerative.
Le prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria sono
assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di
assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente nor-
mativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo
nazionali e regionali.
Sul punto si segnala la legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge qua-
dro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali”.

L’accreditamento

Le regioni assicurano e garantiscono i livelli essenziali e uniformi di


assistenza attraverso i presidi direttamente gestiti dalle aziende unità
sanitarie locali, dalle aziende ospedaliere, dalle aziende universitarie
e dagli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, e dai soggetti
accreditati.
I cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professio-
nisti nell’ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appo-
siti accordi contrattuali. L’accesso ai servizi è subordinato all’apposita
prescrizione, proposta o richiesta, compilata sul modulario del Servizio
sanitario nazionale.
La realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e so-
cio-sanitarie sono subordinati ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si
applicano alla costruzione di nuove strutture, all’adattamento di strut-
ture già esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all’ampliamento o alla
trasformazione, nonché al trasferimento in altra sede di strutture già
autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie:

37
Parte I • Legislazione sanitaria

a) strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero


a ciclo continuativo o diurno per acuti;
b) strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in re-
gime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica
strumentale e di laboratorio;
c) strutture sanitarie e socio-sanitarie che erogano prestazioni in regime
residenziale, a ciclo continuativo o diurno.

L’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie è richiesta anche


per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie,
ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ov-
vero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o
che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché per le

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strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche, svolte anche
a favore di soggetti terzi.
L’esercizio delle attività sanitarie e socio-sanitarie da parte di strut-
ture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi,
strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e
coordinamento.
Le regioni hanno il compito di disciplinare le modalità e il rilascio
dell’autorizzazione all’esercizio delle attività sanitarie.

L’accreditamento istituzionale

L’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture


autorizzate, pubbliche o private e ai professionisti che ne facciano ri-
chiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di
qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programma-
zione regionale e alla verifica positiva dell’attività svolta e dei risultati
raggiunti.
La regione determina il fabbisogno all’interno del Piano sanitario
regionale.
La qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le
aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale a corrispondere la re-
munerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrat-
tuali. I requisiti ulteriori costituiscono presupposto per l’accreditamento
e vincolo per la definizione delle prestazioni previste nei programmi
di attività delle strutture accreditate, così come definiti dall’articolo
8-quinquies.
Con atto di indirizzo e di coordinamento il Ministero specificherà
inoltre:

38
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

a) la definizione dei requisiti ulteriori per l’esercizio delle attività sanitarie


per conto del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sani-
tarie e dei professionisti, nonché la verifica periodica di tali attività;
b) la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e alla
funzionalità della programmazione regionale, inclusa la determi-
nazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantità di
prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo
da assicurare un’efficace competizione tra le strutture accreditate;
c) le procedure e i termini per l’accreditamento delle strutture che ne fac-
ciano richiesta, ivi comprese la possibilità di un riesame dell’istanza
in caso di esito negativo e di prescrizioni contestate dal soggetto
richiedente, la verifica periodica dei requisiti ulteriori e le procedure
da adottarsi in caso di verifica negativa.

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L’atto di indirizzo e di coordinamento deve tenere presente che le
strutture accreditate dovranno assicurare condizioni di organizzazione
interna atte a garantire un’adeguata dotazione professionale qualitativa e
quantitativa e prevedere la partecipazione della struttura a programmi
di accreditamento professionale tra pari. All’interno dell’atto di indi-
rizzo si dovrà inoltre prevedere, tra gli altri requisiti, la partecipazione
degli operatori a programmi di valutazione sistematica e continuativa
dell’appropriatezza delle prestazioni erogate e della loro qualità, interni
alla struttura e interaziendali, e indicare i requisiti per l’accreditamento
istituzionale dei professionisti, anche in relazione alla specifica espe-
rienza professionale maturata e ai crediti formativi acquisiti nell’ambito
del programma di formazione continua. Per quanto riguarda l’accredi-
tamento dei professionisti la legge prevede un’adeguata partecipazione
degli Ordini e dei Collegi professionali.

Fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale

La legge prevede la possibilità di formare fondi per l’erogazione di forme


di assistenza sanitaria integrative rispetto a quelle assicurate dal Servizio
sanitario nazionale o che si integrino con queste.
Le fonti istitutive dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale
sono le seguenti:

a) contratti e accordi collettivi, anche aziendali;


b) accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi
dai loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno provinciale;
c) regolamenti di regioni, enti territoriali ed enti locali;

39
Parte I • Legislazione sanitaria

d) deliberazioni assunte, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti,


da organizzazioni non lucrative operanti nei settori dell’assistenza
socio-sanitaria o dell’assistenza sanitaria;
e) deliberazioni assunte, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti,
da società di mutuo soccorso riconosciute.

Il Collegio di direzione

In ogni azienda è costituito il Collegio di direzione, di cui il direttore


generale si avvale per il governo delle attività cliniche, la programma-
zione e valutazione delle attività tecnico-sanitarie e di quelle ad alta
integrazione sanitaria.

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Il Collegio di direzione concorre alla formulazione dei programmi di
formazione delle soluzioni organizzative per l’attuazione dell’attività li-
bero-professionale intramuraria, e alla valutazione dei risultati conseguiti
rispetto agli obiettivi clinici. Il direttore generale si avvale del Collegio di
direzione per l’elaborazione del programma di attività dell’azienda, l’or-
ganizzazione dei servizi, anche in attuazione del modello dipartimentale
e dell’utilizzo delle risorse umane, e lo sviluppo dei servizi.
La regione disciplina l’attività e la composizione del Collegio di di-
rezione, prevedendo la partecipazione del direttore sanitario e ammini-
strativo, di direttori di distretto, di dipartimento e di presidio.

I dipartimenti

L’organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione ope-


rativa di tutte le attività delle aziende sanitarie.
Il direttore di dipartimento è nominato dal direttore generale fra i
dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel
dipartimento; il direttore di dipartimento rimane titolare della struttura
complessa cui è preposto.
La preposizione ai dipartimenti strutturali, sia ospedalieri che ter-
ritoriali e di prevenzione, comporta l’attribuzione sia di responsabilità
professionali in materia clinico-organizzativa e di prevenzione, sia di
responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta pro-
grammazione e gestione della risorse assegnate per la realizzazione
degli obiettivi attribuiti.
A tal fine il direttore di dipartimento predispone annualmente il piano
delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili, negoziato con la
direzione generale nell’ambito della programmazione aziendale. La pro-

40
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

grammazione delle attività dipartimentali, la loro realizzazione e le fun-


zioni di monitoraggio e di verifica sono assicurate con la partecipazione
attiva degli altri dirigenti e degli operatori assegnati al dipartimento.
La regione disciplina la composizione e le funzioni del Comitato di
dipartimento nonché le modalità di partecipazione dello stesso all’indi-
viduazione dei direttori di dipartimento.
Il dipartimento si distingue dall’area funzionale omogenea, che si
configura come un insieme di unità operative corrispondenti a diverse
specialità mantenute distinte, ma suscettibili di un’integrazione funzionale
in termini di risorse e spazi. Il dipartimento quindi, rispetto all’area funzio-
nale omogenea, impone una maggiore trasformazione e integrazione delle
unità operative aggregate. A livello normativo la logica dell’organizza-
zione dipartimentale non è nuova. Già nella riforma ospedaliera del 1968

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vi era la previsione di organizzare strutture di carattere dipartimentale al
fine di migliorare l’efficienza operativa delle divisioni e dei servizi.
Nella normativa aziendalistica si afferma in modo definitivo il modello
dipartimentale, con specifiche attribuzioni alle regioni di riorganizzare
tutti i presidi ospedalieri in dipartimenti e con la previsione di esportare
il modello dipartimentale anche fuori dell’ambito ospedaliero.

Il controllo di qualità e la carta dei servizi

L’art. 10 del D.Lgs. 502/1992 ha introdotto in via ordinaria il metodo di


verifica e revisione di qualità (VRQ). È un metodo per valutare la qualità
delle cure e dell’assistenza erogata e risponde a precisi obblighi che l’Italia
ha sottoscritto in sede internazionale con l’Organizzazione Mondiale
della Sanità. In realtà già il D.P.R. 384/1990 “Contratto dei lavoratori della
sanità” istituiva le commissioni di verifica e revisione di qualità.
L’art. 14 conferisce al Ministro della sanità d’intesa con le regioni
il potere di emanare un decreto “sui contenuti e le modalità di utilizzo
degli indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie con
particolare riferimento:

a) alla personalizzazione e all’umanizzazione dell’assistenza;


b) al diritto dell’informazione;
c) alle prestazioni alberghiere;
d) all’andamento delle attività di prevenzione delle malattie”.

Affinché il cittadino possa scegliere consapevolmente, è stata varata,


in ottemperanza all’art. 14, con il D.P.C.M. del 19 maggio 1995, lo “schema
generale di riferimento della Carta dei servizi pubblici sanitari”.

41
Parte I • Legislazione sanitaria

Come puntualmente notano gli esperti di qualità, il cittadino utente


si trova spesso a dover decidere a quale servizio rivolgersi in base a
una serie di elementi esteriori, percepibili immediatamente e non in
base a un’analisi scientifica o dimostrabile della qualità. Lo strumento
della Carta dei servizi mira a eliminare questo inconveniente, a orien-
tare consapevolmente il cittadino e a rendere effettivo il principio della
libera scelta.
Il D.P.C.M. del 19 maggio 1995 specifica che la Carta “è essenzial-
mente volta alla tutela dei diritti degli utenti: non si tratta di una tutela
intesa come mero riconoscimento formale di garanzie al cittadino, ma
di attribuzione allo stesso di un potere di controllo diretto sulla qualità
dei ser­vizi erogati”.
Gli enti erogatori di sanità devono quindi adottare “gli standard di quan-

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tità e di qualità del servizio di cui assicura il rispetto”. Questo punto viene
specificamente definito come “il principio cardine della carta dei servizi”.
Una volta adottati gli standard, le aziende e gli enti del Servizio sani-
tario nazionale devono pubblicizzarli idoneamente e verificarne il rispetto
e il grado di soddisfazione da parte dell’utente. Devono inoltre garantire
il rispetto dello standard adottato, “assicurando al cittadino la specifica
tutela rappresentata da forme di rimborso nei casi in cui sia possibile
dimostrare che il servizio reso è inferiore, per qualità e tempestività, allo
standard pubblicato”.
È bene precisare che il D.P.C.M. fornisce solamente uno “schema di
riferimento” che dovrà servire a ogni singola azienda o ente per adottare
una propria Carta dei servizi con gli opportuni adattamenti.
In attuazione della normativa vigente e della stessa Carta, ogni
azienda o ente dovrà garantire agli utenti le seguenti funzioni:

1. informazione;
2. accoglienza;
3. tutela;
4. partecipazione.

Tutte queste funzioni sono assicurate tramite l’istituzione dell’Ufficio


relazioni con il pubblico (URP).
La stessa Carta precisa che l’attività dell’URP è duplice: da un lato,
infatti, è essenzialmente rivolta all’esterno con compiti di informazione
all’utenza; dall’altro lato, all’interno della struttura assolve compiti di
ricezione e istruttoria della domanda, trasmissione della domanda ai
servizi ecc.
La funzione di tutela viene assicurata attraverso il contatto diretto
con il pubblico, attivando le iniziative dirette al superamento di eventuali

42
L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale • Capitolo 3

disservizi, di ricezione dei reclami, di intervento presso la direzione delle


aziende o enti.
La logica della Carta dei servizi è completamente diversa dalla pura
tutela dei diritti riscontrabile in passato; essa infatti è orientata verso
la logica della soddisfazione del consumatore (customer satisfaction),
strategia su cui si basano i moderni sistemi manageriali orientati alla
qualità totale.7 L’idea di fondo alla base della customer satisfaction è la
trasformazione dell’utente in cliente che, come tale, è soggetto capace di
condizionare una scelta e, di conseguenza, il Servizio sanitario stesso.

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7 Zanetti M. et al., Il medico e il management, Accademia nazionale di medicina,


Genova, 1996, p. 422.

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Capitolo

4
la normativa sui trapianti

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I trapianti possono essere classificati in base alla diversa identità tra
donatore e ricevente in:

• trapianti autoplastici (o autologhi o autotrapianti) in cui il donatore e il


ricevente si identificano in quanto le parti anatomiche sono prelevate
dallo stesso organismo che le riceve;
• trapianti eteroplastici (o eterotrapianti) in cui donatore e ricevente
sono soggetti distinti e appartenenti a specie diverse;
• trapianti omoplastici (o omotrapianti) in cui donatore e ricevente sono
della stessa specie e, in particolare, quando si realizza un trapianto
da uomo a uomo.

In relazione ai trapianti omoplastici si usa distinguere il trapianto


da vivente, quando la parte anatomica proviene da persona in vita, dal
trapianto da cadavere, quando il prelievo della parte anatomica viene
effettuato da cadavere.
Con riferimento alla natura delle parti anatomiche occorre distinguere
ulteriormente in trapianti di tessuti (o isotrapianti) e trapianti di organi
(od organo-trapianti).
In generale le legislazioni, sia quella italiana che quella internazionale,
hanno la tendenza a disciplinare più che il “trapianto”, il “prelievo a scopo
di trapianto”, limitandosi a regolare la materia, soprattutto e in modo fram-
mentario, dall’angolo visuale del donatore e non anche del ricevente.

 Mantovani F., Discipline penalistiche (aggiornamento), Digesto, 2004. Pubblica-


to anche in Umanità e razionalità nel diritto penale, Cedam, Padova, 2008, p. 1536.

45
Parte I • Legislazione sanitaria

Da un punto di vista giuridico si riscontra una differenza sostanziale


proprio nella diversa classificazione tra trapianti da vivente e da cada-
vere.

TRAPIANTI DA VIVENTE

Il trapianto da vivente coinvolge due persone: il donatore e il ricevente.


Dato che uno solo – il ricevente – risulta essere il beneficiario di tale
attività sanitaria, mentre il donatore può esserne danneggiato, vanno
individuati i corretti fondamenti giuridici e i limiti che tale attività com-
porta.
Tra i fondamenti giuridici devono essere segnalati i necessari limiti

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oggettivi di salvaguardia della vita, della salute e della integrità fisica del
donatore “in base ai quali sono leciti i prelievi che non comportano una
menomazione permanente della integrità fisica” (di tessuti, di sangue,
di pelle ecc.) e, pertanto, sono vietati i prelievi non solo di organi unici
(cuore, pancreas, milza ecc.), ma anche di organi doppi (di un occhio, di
un polmone, di una ghiandola sessuale ecc.).
Le eccezioni a questo principio sono due: il trapianto di rene e il
trapianto parziale di fegato. Il trapianto di rene è stato il primo a essere
regolamentato con la legge 26 giugno 1967, n. 458 “Trapianto del rene
tra persone viventi”, che stabilisce testualmente:

Art. 1
In deroga al divieto di cui all’art. 5 del Codice civile, è ammesso disporre a titolo
gratuito del rene al fine del trapianto tra persone viventi.
La deroga è consentita ai genitori, ai figli, ai fratelli germani o non germani del
paziente che siano maggiorenni, purché siano rispettate le modalità previste dalla
presente legge.
Solo nel caso che il paziente non abbia i consanguinei di cui al precedente comma
o nessuno di essi sia idoneo o disponibile, la deroga può essere consentita anche
per altri parenti e per donatori estranei.

Art. 2
L’atto di disposizione e destinazione del rene in favore di un determinato paziente
è ricevuto dal pretore del luogo in cui risiede il donatore o ha sede l’Istituto auto-
rizzato al trapianto.
La donazione di un rene può essere autorizzata, a condizione che il donatore
abbia raggiunto la maggiore età, sia in possesso della capacità di intendere e di
volere, sia a conoscenza dei limiti della terapia del trapianto del rene tra viventi e
sia consapevole delle conseguenze personali che il suo sacrificio comporta.

46
La normativa sui trapianti • Capitolo 4

Il pretore, accertata l’esistenza delle condizioni di cui al precedente comma e


accertato altresì che il donatore si è determinato all’atto della donazione di un
rene liberamente e spontaneamente, cura la redazione per iscritto delle relative
dichiarazioni.
L’atto, che è a titolo gratuito e non tollera l’apposizione di condizioni o di altre
determinazioni accessorie di volontà, è sempre revocabile sino al momento del-
l’intervento chirurgico e non fa sorgere diritti di sorta del donatore nei confronti
del ricevente.
Il pretore, accertata l’esistenza del giudizio tecnico favorevole al prelievo e al tra-
pianto del rene contenuto nel referto medico collegiale di cui all’articolo seguente,
può concedere, con decreto da emettersi entro tre giorni, il nulla osta all’esecuzione
del trapianto.
In caso contrario ed entro lo stesso termine, dichiara, con decreto motivato, il
proprio rifiuto.

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Contro tale decreto si può proporre reclamo con ricorso al Tribunale, che si pro-
nuncia in Camera di consiglio.
Tutti gli atti del procedimento davanti al pretore e al tribunale non sono soggetti
alle disposizioni della legge sulle tasse di registro e bollo.

La norma è chiara sia in merito alle finalità strettamente terapeutiche


del ricevente sia in relazione alle modalità particolari e rigide – il con-
senso deve essere espresso davanti a un magistrato di tribunale vista la
scomparsa della figura pretorile – e di accertamento di ogni di vizio che
possa inficiare la volontà del donatore.
Questa normativa si applica – per previsione della legge 16 dicembre
1999, n. 483 “Norme per consentire il trapianto parziale di fegato” – an-
che al trapianto parziale di fegato per quanto compatibile con il diverso
contesto.
Entrambe le situazioni, è stato notato, si pongono “al limite della
tollerabilità costituzionale non solo per la particolare situazione psicofi-
sica in cui viene a trovarsi il donatore dopo la cessione dell’organo, ma
anche per l’inquietante interrogativo se e fino a che punto sia lecito porre
l’uomo (genitore, figlio, fratello, ma anche ognuno di noi) nell’angosciosa
alternativa tra l´eroismo e il rimorso, denudandolo di fronte alla propria
coscienza”.
Problemi decisamente minori derivano dai trapianti di tessuti per i
quali si pone oggi come punto di riferimento la normativa generale della
legge 1 aprile 1999, n. 91.

 Mantovani F., op. cit.

47
Parte I • Legislazione sanitaria

trapianti DA CADAVERE

La legge 1 aprile 1999, n. 423 ”Disposizioni in materia di prelievi e di


trapianti di organi e tessuti” ha innovato profondamente la materia pre-
cedentemente regolata dalla legge 2 dicembre 1975, n. 644.
Oggetto della legge è “il prelievo di organi e di tessuti da soggetti di
cui sia stata accertata la morte” ai sensi della normativa vigente in tema
di accertamento di morte, e regolamenta “le attività di prelievo e di tra-
pianto di tessuti e di espianto e di trapianto di organi”.
La nuova legge precisa che l’attività di trapianto costituisce un “obiet-
tivo del Servizio sanitario nazionale” e ha previsto una campagna di
informazione, nuove disposizioni in merito alla dichiarazione di volontà
e al consenso, e una nuova organizzazione del sistema dei prelievi e dei

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trapianti.

Informazione sui trapianti

La legge prevede una campagna di informazione a due livelli.


Compete al Ministero della sanità, di concerto con i Ministri del-
l’Università e della pubblica istruzione e in collaborazione con scuole,
associazioni di volontariato, aziende sanitarie locali ecc. di promuovere
iniziative di informazione rivolte ai cittadini dirette a diffondere:

a) la conoscenza delle disposizioni contenute nella legge;


b) la conoscenza di stili di vita utili a prevenire l’insorgenza di patologie
che possano richiedere come terapia anche il trapianto di organi;
c) la conoscenza delle possibilità terapeutiche e delle problematiche
scientifiche collegate al trapianto di organi e di tessuti.

Compete invece alle regioni e alle aziende sanitarie locali adottare


iniziative volte a:

1. diffondere tra i medici di medicina generale e tra i medici delle strut-


ture sanitarie pubbliche e private la conoscenza delle disposizioni
della legge;
2. diffondere tra i cittadini una corretta informazione sui trapianti di
organi e di tessuti, anche avvalendosi dell’attività svolta dai medici
di medicina generale;

3 Gazzetta Ufficiale del 18 aprile 1999.

48
La normativa sui trapianti • Capitolo 4

3. promuovere l’educazione sanitaria e la crescita culturale in materia


di prevenzione primaria, di terapie tradizionali e alternative, e di tra-
pianti.

Il consenso alla donazione di organi

Le aziende sanitarie locali dovranno notificare a tutti i cittadini mag-


giori di età una lettera in cui gli stessi “sono tenuti a dichiarare la pro-
pria volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio
corpo successivamente alla morte” entro novanta giorni dalla data di
ricevimento della lettera. Verranno inoltre informati che “la mancata
dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione”.

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È stato cioè introdotto il principio del silenzio-as­senso.
I soggetti che non hanno dichiarato alcuna volontà in ordine alla do-
nazione di organi e di tessuti dovranno essere “sollecitati periodicamente
a rendere tale dichiarazione di volontà anche attraverso l’azione dei
medici di medicina generale e degli uffici della pubblica amministrazione
nei casi di richiesta dei documenti personali di identità”.
I cittadini ai quali non sia stata notificata la richiesta di manifestazione
di volontà sono considerati non donatori.
Per i minori la dichiarazione “è manifestata dai genitori esercenti la
potestà. In caso di non accordo tra i due genitori non è possibile procedere
alla manifestazione di disponibilità alla donazione”.
Non è consentita la manifestazione di volontà in ordine alla dona-
zione per le seguenti categorie:

• i nascituri;
• i soggetti non aventi la capacità di agire;
• i minori affidati o ricoverati presso istituti di assistenza pubblici o
privati.

Il prelievo di organi e tessuti è quindi effettuato nel caso in cui la


persona di cui sia stata accertata la morte abbia dato il consenso (“abbia
espresso in vita dichiarazione di volontà favorevole”) oppure non si sia
espressa (“non abbia espresso alcuna volontà”).
Rispetto alla normativa precedente è quindi fortemente diminuito il
ruolo dei parenti, che oggi possono solo opporsi all’interno del periodo
di osservazione, presentando una “dichiarazione autografa di volontà
contraria al prelievo del soggetto di cui sia accertata la morte”.
I medici hanno l’obbligo, all’inizio del periodo di osservazione, di
informare il coniuge non separato o il convivente more uxorio, oppure

49
Parte I • Legislazione sanitaria

in loro mancanza i figli maggiori di età o, in mancanza di questi ultimi,


i genitori ovvero il rappresentante legale.

Organizzazione dei prelievi e dei trapianti

L’organizzazione nazionale dei prelievi e dei trapianti è costituita:

• dal centro nazionale per i trapianti;


• dalla consulta tecnica permanente per i trapianti;
• dai centri regionali o interregionali per i trapianti;
• dalle strutture per i prelievi;
• dalle strutture per la conservazione dei tessuti prelevati;

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• dalle strutture per i trapianti;
• dalle aziende sanitarie locali.

Il centro nazionale per i trapianti è istituito presso l’Istituto superiore


di sanità e ha le seguenti funzioni:

a) cura la tenuta delle liste delle persone in attesa di trapianto, diffe-


renziate per tipologia di trapianto, attraverso un apposito sistema
informativo;
b) definisce i parametri tecnici e i criteri per l’inserimento dei dati relativi
alle operazioni, alle persone in attesa di trapianto in base alle urgenze
e alle compatibilità;
c) individua i criteri per la definizione di protocolli operativi per l’asse-
gnazione degli organi e dei tessuti secondo parametri stabiliti esclu-
sivamente in base alle urgenze e alle compatibilità;
d) definisce le linee guida rivolte ai centri regionali o interregionali per
i trapianti allo scopo di uniformare l’attività di prelievo e di trapianto
sul territorio nazionale;
e) procede all’assegnazione degli organi per i casi relativi alle ur-
genze;
f ) individua il fabbisogno nazionale di trapianti;
g) definisce i parametri per la verifica di qualità e di risultato delle strut-
ture per i trapianti.

La consulta tecnica permanente per i trapianti “predispone gli


indirizzi tecnico-operativi per lo svolgimento delle attività di prelievo
e di trapianto di organi e svolge funzioni consultive a favore del centro
nazionale”.
I centri regionali e interregionali per i trapianti coordinano le atti-

50
La normativa sui trapianti • Capitolo 4

vità di raccolta e di trasmissione dei dati relativi alle persone in attesa di


trapianto e le attività di prelievo e i rapporti tra i reparti di rianimazione;
procedono all’assegnazione degli organi in applicazione dei criteri stabiliti
dal centro nazionale; coordinano il trasporto dei campioni biologici, delle
équipe sanitarie, degli organi e dei tessuti; curano i rapporti di collabora-
zione con le autorità sanitarie e con le associazioni di volontariato.
Le strutture per i prelievi degli organi sorgono presso centri sanitari
accreditati dotati di reparti di rianimazione. La semplice attività di prelievo
di tessuti può essere svolta anche nelle strutture sanitarie accreditate non
dotate di reparti di rianimazione. I prelievi inoltre possono essere eseguiti
anche presso strutture diverse da quelle di appartenenza del sanitario
chiamato a effettuarli, “a condizione che tali strutture siano idonee a
effettuare l’accertamento della morte”, ai sensi della legge vigente. Il

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prelievo degli organi deve essere effettuato in modo da evitare mutila-
zioni o dissezioni non necessarie e il cadavere, dopo il prelievo, deve
essere ricomposto con la massima cura. Le regioni devono individuare
le strutture sanitarie per la conservazione dei prelievi, che hanno
il compito di conservare e distribuire i tessuti prelevati, certificandone
l’idoneità e la sicurezza, e le strutture per i prelievi.

Norme sul personale

I medici che effettuano i prelievi e i medici che effettuano i trapianti


devono essere diversi da quelli che accertano la morte. Inoltre, sempre
l’art. 18 della legge 91/1999 precisa che “il personale sanitario e ammi-
nistrativo impegnato nelle attività di prelievo e di trapianto è tenuto a
garantire l’anonimato dei dati relativi al donatore e al ricevente”. Si
tratta quindi di una norma di rafforzamento del segreto professionale.
L’art. 21 prevede l’attribuzione di borse di studio per la formazione del
personale “anche non laureato addetto all’assistenza ai donatori e alle
persone sottoposte a trapianto”.

Divieti e Sanzioni

È vietato il prelievo delle gonadi e dell’encefalo. È vietata inoltre la ma-


nipolazione genetica degli embrioni.
Le violazioni delle disposizioni che impongono:

• il prelievo di organi presso le strutture accreditate dotate di reparti di


rianimazione;

51
Parte I • Legislazione sanitaria

• la conservazione di organi e tessuti in apposite strutture sanitarie


pubbliche individuate dalle regioni;
• l’effettuazione dei trapianti solo in strutture idonee individuate dalle
regioni

comportano la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di


una somma da 1032 euro a 10 329 euro salvo che il fatto non costituisca
reato.
La legge inoltre punisce con sanzioni penali “chiunque procura per
scopo di lucro un organo o un tessuto prelevato da soggetto di cui sia
stata accertata la morte” ai sensi della normativa vigente, ovvero ne fa
“comunque commercio”. Il fatto è punito con la reclusione da due a cinque
anni e con la multa da 10 350 euro a 155 000 euro. Se il fatto è commesso

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da persona che esercita una professione sanitaria, alla condanna conse-
gue l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione.
Nel caso in cui la persona che procura un organo o un tessuto prele-
vato agisca senza scopo di lucro, le sanzioni sono minori, con la reclu-
sione fino a due anni, mentre se il soggetto che agisce è un professionista
sanitario, alla condanna consegue l’interdizione temporanea fino a un
massimo di cinque anni dall’esercizio della professione.

52
Capitolo

5
la normativa
sulla malattia mentale

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Aspetto storico e culturale

Fino al 1978 l’assistenza psichiatrica veniva erogata prevalentemente


nelle istituzioni manicomiali in cui il malato mentale era considerato
perlopiù come una persona da “contenere” e da rinchiudere, più che da
curare.
La vecchia legislazione manicomiale era composta essenzialmente
dalla legge 14 febbraio 1904, n. 36 “Disposizione sui manicomi e sugli
alienati” e dal relativo decreto di attuazione recepito con il R.D. 16 agosto
1909, n. 615 “Regolamento sui manicomi e sugli alienati”.
L’art. 1 della legge 36/1904 stabiliva che “debbono essere custodite
e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alie-
nazione mentale, quando siano pericolose a sé e agli altri o riescano di
pubblico scandalo, e non siano e non possano essere convenientemente
custodite e curate fuorché nei manicomi”.
Si poteva dunque ricoverare in manicomio persone “pericolose a sé e
agli altri” o anche semplicemente quando fossero “di pubblico scandalo”.
Inoltre è da sottolineare che si ricoveravano malati mentali anche quando
necessitavano solo della “custodia”.
Sia pure con alcuni correttivi, questa situazione durò fino all’appro-
vazione della riforma psichiatrica che venne varata con la legge 13
maggio 1978, n. 180.
La nuova legge si poneva come obiettivo prioritario il superamento
del sistema manicomiale con il conseguente divieto di ricovero di nuovi
malati.

53
Parte I • Legislazione sanitaria

Per rendere più incisivo il taglio con il passato, l’art. 10 soppresse


dalla legislazione vigente le espressioni “alienati di mente” e “infermi
di mente”.
La legge fu ingiustamente accusata di avventurismo e ideologismo
quando invece poneva fine a un anacronistico e spesso inumano trat-
tamento dei malati di mente dandogli dignità di cittadino. Cessava,
con il varo della legge 180, il trattamento “custodialistico e carce-
rario” dei malati di mente e si iniziava a privilegiare il trattamento
terapeutico.
Per rafforzare il senso e l’importanza della legge 180, il legislatore
trasfuse pochi mesi dopo i tre articoli sugli accertamenti e i trattamenti sa-
nitari obbligatori nella legge 23 dicembre 1978, n. 833 di riforma sanitaria.
Con tale operazione si volle evitare il fatto che l’assistenza psichiatrica

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fosse oggetto di una legge “speciale”, ma poteva tranquillamente essere
riconducibile all’assistenza sanitaria in generale, come qualsiasi altra
malattia.

Procedimento per IL trattamento sanitario


obbligatorio (TSO)

L’art. 1 della legge 180/1978 specifica che “gli accertamenti e i trattamenti


sanitari sono volontari”, principio sancito dall’art. 32 della Costituzione
della Repubblica italiana.
La Costituzione consente delle eccezioni alla volontarietà del trat-
tamento sanitario che però possono essere previste solo “per espressa
disposizione di legge” (cosiddetta riserva di legge).
Nel caso dei malati di mente gli accertamenti e i trattamenti sanitari
obbligatori (TSO) possono essere disposti dall’autorità sanitaria con un
apposito provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria,
su proposta motivata di un medico.
Presupposti: il TSO per malattia mentale “può prevedere che le cure
vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano
alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli
stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni
e le circostanze che consentano di adottare tempestive e idonee misure
sanitarie extra-ospedaliere”.
È scomparso quindi ogni riferimento alla pericolosità sociale che ca-
ratterizzava la precedente legislazione manicomiale.
Il provvedimento con il quale il sindaco dispone il TSO deve essere
emanato entro 48 ore dalla convalida, operata dal medico specialista della
USL, di un certificato di TSO richiesto da un medico.

54
La normativa sulla malattia mentale • Capitolo 5

Tale provvedimento deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero,


tramite il messo comunale, al giudice tutelare.
“Il giudice tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni
e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato
a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunica-
zione al sindaco”, il quale in caso di mancata convalida deve disporre la
cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in regime di degenza
ospedaliera.
Nel caso in cui il TSO debba protrarsi oltre il settimo giorno, il sa-
nitario responsabile del servizio psichiatrico dell’Unità sanitaria locale è
tenuto a formulare una proposta motivata al sindaco che ha disposto il
ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare con un’indica-
zione sull’ulteriore presumibile durata del ricovero stesso.

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Un’ulteriore tutela si ha con la facoltà concessa a colui che è sotto-
posto a TSO e “a chiunque vi abbia interesse” a proporre al Tribunale
competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato
dal giudice tutelare.
Il ricovero per un TSO può essere autorizzato solo nelle sezioni di
psichiatria degli ospedali generali.
Come è possibile rilevare con il procedimento ora esaminato, la legge
ha voluto circondare di tutela e di diritti il paziente che venga sottoposto a
un trattamento sanitario obbligatorio tentando di “depurare” dagli eccessi
del passato la possibilità che il ricovero, contro la volontà del malato,
possa ricordare gli aspetti più propriamente custodialistici e carcerari
dell’istituzione manicomiale.
In quest’ottica va visto il complesso procedimento autorizzativo di un
TSO, l’intervento del sindaco e l’intervento del giudice tutelare.
La legge però lascia una lacuna non facilmente colmabile.
Che cosa succede in un caso di necessità di un ricovero urgente
nelle 48 ore in cui non sia ancora arrivata la convalida da parte del
secondo medico?
L’unica risposta possibile, stante la non dilazionabilità dei tempi del
ricovero, è la legittimità del ricovero stesso, pur in mancanza del prov-
vedimento del sindaco.
Da un punto di vista giuridico la legittimità del ricovero si basa sull’art.
54 del c.p. che prevede lo stato di necessità, cioè dall’avere agito per pre-
servare il paziente “dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

55
Parte I • Legislazione sanitaria

Schema riassuntivo del procedimento per IL TSO

richiesta di ricovero DA PARTE di un medico

entro 48 ore

convalida da parte del medico specialista della usl

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entro 48 ore

provvedimento del sindaco che dispone il ricovero

entro 48 ore

notificazione al giudice tutelare

che convalida che non convalida

il ricovero il Sindaco dispone


prosegue la cessazione del ricovero

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Elementi di biodiritto
Parte II
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Capitolo

6
LA CONTRACCEZIONE

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La contraccezione nel nostro ordinamento

I contraccettivi sono stati a lungo discriminati dal nostro ordinamento giu-


ridico che risentiva della normativa penalistica che li inquadrava – fino al-
l’inizio degli anni ’70 del secolo scorso – come delitti contro l’integrità e
la sanità della stirpe con una specifica previsione all’art. 553 del codice
penale rubricato come “Incitamento a pratiche contro la procreazione”.
Era vietato fare propaganda, pubblicizzare e fabbricare mezzi con-
traccettivi. La sessualità era vista come pratica strettamente connessa

 Art. 553 c.p. – Incitamento a pratiche contro la procreazione


Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propa-
ganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa
fino a lire quattrocentomila Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è
commesso a scopo di lucro.
 R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza


Art. 112 – È vietato fabbricare, introdurre nel territorio dello Stato, acquistare,
detenere, esportare, allo scopo di farne commercio o distribuzione, o mettere in
circolazione scritti, disegni, immagini o altri oggetti di qualsiasi specie contrari
agli ordinamenti politici, sociali o economici costituiti nello Stato o lesivi del pre-
stigio dello Stato o dell’autorità od offensivi del sentimento nazionale, del pudore
o della pubblica decenza, o che divulgano, anche in modo indiretto o simulato o
sotto pretesto terapeutico o scientifico, i mezzi rivolti a impedire la procreazione
o a procurare l’aborto o che illustrano l’impiego dei mezzi stessi o che fornisco-
no, comunque, indicazioni sul modo di procurarseli o di servirsene.
È pure vietato far commercio, anche se clandestino, degli oggetti predetti o distri-
buirli o esporli pubblicamente.

59
Parte II • Elementi di biodiritto

alla procreazione e rigorosamente riservata all’ambito matrimoniale: at-


to sessuale, matrimonio e procreazione risultavano tra loro collegati, in-
scindibili e voluti da Dio e quindi non modificabili dall’uomo.
Solo in seguito all’intervento della Corte costituzionale si sono rese leci-
te queste attività considerate come reato dal regime fascista con l’evidente
scopo di favorire le nascite e di proteggere un’idea cristiana di famiglia.
Del tutto connaturato con questa impostazione vi era anche la puni-
zione dell’adulterio e della relazione adulterina, tutta però declinata al
femminile. Si puniva infatti la donna adultera e non l’uomo, se non co-
me correo del reato. Anche in questo caso si è reso necessario l’inter-
vento della Corte costituzionale che ne sancisse l’illegittimità.
Come conseguenza ancora più grave vi era – sempre nel campo della
sessualità – il riconoscimento dell’omicidio per causa d’onore che puni-

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va in modo lieve l’uomo che uccideva la moglie, la figlia e la sorella nel
momento in cui ne scopriva la “illegittima relazione carnale”. Anche
questo tutto a carico della componente femminile, e in questo caso l’in-
tervento del legislatore per l’abrogazione della “rilevanza penale della
causa d’onore” è arrivato addirittura negli anni ’80 del secolo scorso.
Anche l’ordinamento del codice civile – che è originario del 1942 –
sposa una ideologia autoritaria tipica dell’epoca: “il padre marito è il ca-

L’autorità locale di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare il sequestro in via


amministrativa dei predetti scritti, disegni e oggetti figurati.
Art. 114 – È vietata l’inserzione, nei giornali o in altri scritti periodici, di avvisi o
corrispondenze di qualsiasi genere che, anche in modo indiretto o simulato, o
con un pretesto terapeutico o scientifico, si riferiscano ai mezzi diretti a impedire
la procreazione o a procurare l’aborto.
 Pio XI, Enciclica Casti connubii, 31 dicembre 1930.
 Corte costituzionale, sentenza del 10 marzo 1971, n. 49.
 Art. 559 c.p. – Adulterio

La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena
è punito il correo dell’adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso
di relazione adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito.
 A titolo esemplificativo i termini sono questi: a) in caso di rapporto tra una

donna sposata e un uomo, si puniva la donna e il correo uomo; b) in caso di


rapporto tra un uomo non sposato e una donna l’uomo non veniva punito.
 Corte costituzionale, sentenza del 19 dicembre 1968, n. 126.
 Art. 587 c.p. – Omicidio e lesione personale per causa d’onore

Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui
ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa
recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della perso-
na che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
 Legge 5 agosto 1981, n. 442 “Abrogazione della rilevanza penale della causa

d’onore”.

60
La contraccezione • Capitolo 6

po della famiglia, cellula costitutiva dello Stato e ha la potestà patria sui


figli e maritale sulla moglie”.10
In seguito al mutare dei tempi e al cambiamento di mentalità, alla com-
parsa dei movimenti di protesta degli anni ’70 e all’esplosione del movi-
mento femminista si cominciò a realizzare sul piano dei diritti civili una pa-
rificazione nel rapporto uomo-donna e nelle relazioni familiari che si con-
cretizzò con l’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia nel 1975.
Sempre nel 1975 si istituiscono – con la legge 40511 – i consultori fami-
liari che hanno tra i propri compiti quelli della “preparazione alla maternità
e alla paternità responsabile” e alla “somministrazione dei mezzi necessa-
ri per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in
ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle condizioni etiche
e dell’integrità fisica degli utenti”. Infine i consultori devono divulgare in-

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formazioni “idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza consi-
gliando i metodi e i farmaci adatti a ciascun caso”. La legge 405/1975 lan-
cia quindi in grande stile la contraccezione lasciando un margine di incer-
tezza sulle prerogative dei minorenni. Con l’approvazione della legge 22
maggio 1974, n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’in-
terruzione volontaria della gravidanza” viene chiarito definitivamente que-
sto aspetto. Si legge infatti all’ultimo comma dell’art. 2 che “la sommini-
strazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori,
dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine
alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”. Il legislatore
quindi, in deroga al generale principio del consenso che devono esprime-
re coloro che esercitano la potestà genitoriale, consente ai minori di acce-
dere alle pratiche contraccettive liberamente e su loro richiesta. La gestio-
ne dell’affettività e della sessualità viene attribuita direttamente ai soggetti
interessati, indipendentemente dal raggiungimento della capacità di agire.
Sul significato di minore vi sono stati – soprattutto in passato – di-
battiti e interrogativi, se minore età significasse comunque un’età il cui
limite fosse comunque individuabile anche da altre norme dell’ordina-
mento oppure no. La migliore dottrina giuridica ci avverte che in ma-
teria di atti di disposizione del proprio corpo “non vale il principio della
maggiore età civile, ma il principio realistico dell’età variabile a secon-
da dell’oggetto dell’atto dispositivo”.12 Nel silenzio della legge dev’esse-
re quindi trovata una soluzione analogica.

10 Santosuosso A., Corpo e libertà – Una storia tra diritto e scienza, Raffaello Corti-
na, Milano, 2001, p. 215.
11 Legge 29 luglio 1975, n. 405 “Istituzione dei consultori familiari”.
12 Mantovani F., Problemi giuridici della contraccezione dei minori, Adolescenza e

sessualità, 270,1985; riproposto anche nel volume Umanità e razionalità nel diritto
penale, Cedam, Padova, 2008, p. 1324.

61
Parte II • Elementi di biodiritto

Le ipotesi erano relative al limite minimo dei 14 anni visto che il co-
dice penale riconosce tale limite come età presuntiva per il consenso va-
lido ai rapporti sessuali. Secondo questo orientamento, quindi, il mino-
re con età inferiore ai 14 anni non può prestare un valido consenso. Vi è
stato chi,13 in passato, ha proposto un abbassamento del limite a 12 an-
ni in prospettiva di un adeguamento legislativo che poi non è arrivato.
Non si può non condividere l’orientamento di chi non vede in alcun mo-
do la possibilità di stabilire un’età minima che non sia quella della don-
na già in grado di concepire.14

Le tipologie di metodi contraccettivi

In questo paragrafo – al fine di meglio comprendere le problematiche

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etiche, deontologiche, giuridiche e medico-legali – riportiamo un elenco
dei diversi tipi di contraccettivi, rimandando al paragrafo successivo per
una più compiuta classificazione.

Billings

Metodo di regolazione naturale della fertilità che trae il nome dal meto-
do messo a punto dai coniugi australiani Billings basato sull’astensio-
ne dei rapporti sessuali nei giorni in cui la donna osserva la fuoriuscita
di muco vaginale fluido. Il muco vaginale diventa più fluido proprio nei
giorni dell’ovulazione.

Coito interrotto

Metodo basato sulla eiaculazione extravaginale da parte dell’uomo.

Diaframma

è una sorta di cappuccio di gomma che serve a evitare, opportunamente


inserito in vagina, il contatto tra la cellula uovo e gli spermatozoi. Vie-
ne spesso usato in combinazione con creme spermicide che vengono di
norma applicate prima del rapporto sessuale.

13 Vimercati F., Vinci F., La contraccezione nel minore: problemi sociali e medico-
legali, Rivista italiana di medicina legale, 9, 72-87, 1987.
14 Benciolini P., Aprile A. L’interruzione volontaria della gravidanza – compiti, pro-

blemi, responsabilità, Liviana, Padova, 1990, p. 39.

62
La contraccezione • Capitolo 6

IUD o spirale

Lo IUD (acronimo del termine inglese intrauterine device) è un dispositi-


vo intrauterino di materiale plastico a forma di “T”, di “V” o di àncora ca-
povolta, della grandezza di 2-3 cm, con avvolto, in genere, un filamen-
to di ramo o di rame e argento al suo interno. Crea una sorta di infiam-
mazione endometriale impedendo l’annidamento dell’ovulo fecondato.
È talvolta medicato con progestinici.

Metodo Ogino-Knauss

Storico metodo naturale di controllo della fertilità elaborato dal medi-

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co giapponese Kiusaku Ogino e dal medico austriaco Hermann Knauss,
basato sul calcolo presuntivo e approssimativo del giorno dell’ovula-
zione, che oggi sappiamo essere quattordici giorni dopo la fine del ciclo
mestruale. Secondo i calcoli di questi due medici – parzialmente diver-
si in realtà – il periodo fertile della donna era compreso tra diciannove
e dodici giorni prima di ogni mestruazione (in un ciclo di ventotto gior-
ni). Il metodo nel tempo si è arricchito di maggiori conoscenze relative
alla fisiologia ed è stato associato ad altre metodiche come il rilievo del-
la temperatura basale – che aumenta durante l’ovulazione – e l’osserva-
zione del muco cervicale che diventa filante e fluido durante l’ovulazio-
ne o nel periodo immediatamente precedente.

Pillola estroprogestinica

Per lungo tempo la pillola estroprogestinica è stata l’unico contraccet-


tivo ormonale disponibile. Oggi presenta una serie di varianti sotto for-
ma di: depositi per via intramuscolare; progestinici vaginali, intrauterini
e sottocutanei; estroprogestinici per via transcutanea e vaginale; estro-
progestinici somministrati dopo i rapporti sessuali. Vi sono contraccetti-
vi di questa categoria composti da soli progesteroni, come per esempio
la cosiddetta “minipillola”, generalmente riconosciuta come meno effi-
cace dei contraccettivi in associazione.15
L’azione contraccettiva è data da un triplice meccanismo:

1. azione inibitoria che impedisce l’ovulazione;

Goodman & Gilman, Le basi farmacologiche della terapia, XIa ed., McGraw-Hill,
15

Milano, 2006, p. 1564.

63
Parte II • Elementi di biodiritto

2. alterazioni delle modificazioni endometriali e produzione di un mu-


co viscido e spesso che riduce la penetrazione degli spermatozoi;
3. modificazioni della motilità delle tube di Falloppio che impediscono
il passaggio degli spermatozoi.

Sembra che il primo meccanismo sia quello determinante. Infatti la


letteratura medica ci avverte che “è difficile determinare quantitavamen-
te il contributo di questi due (ultimi) effetti, poiché i farmaci bloccano
l’ovulazione molto efficacemente”.16

Pillola del giorno dopo

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La pillola del giorno dopo è una combinazione ormonale – il cui princi-
pio attivo è il levonorgestrel – in compressa unica da assumere entro 72
ore dal rapporto sessuale non protetto; ha un effetto antiannidamento
agendo sulla modificazione endometriale. Nasce come farmaco post-
stupro e viene oggi generalmente ricondotta alla cosiddetta contracce-
zione di emergenza. Si basa sull’esistenza di un periodo progestaziona-
le che va dal rapporto sessuale all’impianto dell’embrione in utero e che
viene generalmente calcolato in 5-6 giorni;17 durante tale periodo l’ovulo
fecondato è libero nelle vie genitali e inizia il suo viaggio verso la cavità
uterina. Il meccanismo di azione contraccettivo consiste nell’impedire –
intercettare – il trasporto tubarico, rendendo l’endometrio inadatto al-
l’annidamento. È inefficace in caso di gravidanza accertata.

Pillola abortiva – RU 486

L’inserimento in questo paragrafo di questo farmaco è in realtà del tutto im-


proprio, in quanto si tratta di un vero e proprio farmaco abortivo. Il princi-
pio attivo è il mifepristone ma è maggiormente conosciuto con il nome RU
486, dove RU è l’acronimo dell’azienda produttrice francese Roussel Uclaf.
Contrariamente alla pillola del giorno dopo, che agisce prima dell’im-
pianto dell’ovulo (ma dopo la sua fecondazione), il mifepristone inibisce
lo sviluppo embrionale e causa il distacco e l’eliminazione della mucosa
uterina. Agendo dopo l’accertamento della gravidanza è quindi un far-
maco abortivo e dev’essere assunto nei primi 56 giorni di amenorrea,

16 Goodman & Gilman, Le basi farmacologiche della terapia, op. cit., p. 1564.
17 Flamigni C., Il controllo della fertilità – Storia, metodi e problemi dall’antico Egitto
ad oggi, Utet, Torino, 2006, p. 891.

64
La contraccezione • Capitolo 6

generalmente in associazione alle prostaglandine. La somministrazio-


ne delle prostaglandine segue di 36-60 ore l’assunzione del mifepristo-
ne. La letteratura precisa che nel “92-96% dei casi si ottiene l’espulsio-
ne totale del prodotto del concepimento, mentre nell’1-1,5% dei casi la
gravidanza non viene interrotta; nel 3-4% dei casi è necessario un inter-
vento di isterosuzione o un raschiamento”.18

Profilattico o preservativo o condom

Il preservativo o condom19 è costituito da un cappuccio in lattice dello


spessore di 0,3-0,8 mm – a volte dotato di serbatoio – che impedisce la

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dispersione del seme durante il rapporto sessuale. Viene spesso usato
anche con finalità di prevenzione di malattie. Ha tra le sue complican-
ze la rottura durante il rapporto sessuale dovuta in genere a errato po-
sizionamento dello stesso.

Spermicidi

Gli spermicidi sono sostanze chimiche disponibili in varie formulazio-


ni: gel, candelette, perle, schiume, film solubili o tavolette schiumogene.
Hanno come caratteristica principale la capacità di inattivare gli sperma-
tozoi depositati in vagina e agiscono distruggendo la membrana che av-
volge la testa dello spermatozoo. Un tempo molto più diffusi, oggi ven-
gono per lo più utilizzati – data la loro relativa efficacia – in combinazio-
ne con altre metodiche contraccettive come il diaframma. Sono in gene-
re introdotti prima del rapporto sessuale, talvolta anche successivamen-
te (per esempio, in seguito a rottura del preservativo).

Le diverse classificazioni dei metodi contraccettivi

Attualmente la contraccezione utilizzata può essere suddivisa in ba-


se a varie classificazioni, non sempre univoche. In questa sede tente-

Flamigni C., Il controllo della fertilità, op. cit., p. 487.


18

Non è ben chiara l’origine del termine condom. Secondo alcuni autori, condom
19

sarebbe il nome di un medico inglese che esercitava la professione in Guascogna


nel 1600. Secondo altri – Flamigni C., Il controllo della fertilità, op. cit. – si tratta di
una ricostruzione fasulla.

65
Parte II • Elementi di biodiritto

remo di fare una sintesi, operando una schematizzazione di due clas-


sificazioni, tenendo comunque presente i limiti che una tale operazio-
ne comporta.
Come in altri campi eticamente sensibili, le due classificazioni so-
no in genere accettate sulla base del regime di valori a cui afferisco-
no. In particolare ricordiamo che nel suo complesso, secondo gli in-
segnamenti del magistero cattolico, la contraccezione – con eccezio-
ne di alcuni metodi naturali – è da considerarsi moralmente illecita in
quanto “priva intenzionalmente l’atto coniugale della sua apertura al-
la procreazione e opera in tal modo una dissociazione volontaria della
finalità del matrimonio”.20 La Chiesa riconosce legittimità ai vari me-
todi di calcolo dei periodi infecondi in quanto naturali, mentre è con-
traria a tutti i metodi artificiali di contraccezione in quanto questo uso

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fa “temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezio-
nali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del
suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice
strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, ri-
spettata e amata”.21
Il magistero della Chiesa cattolica si spinge a comparare la contrac-
cezione con l’aborto, pur riconoscendo che “contraccezione e aborto, dal
punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l’una contrad-
dice all’integra verità dell’atto sessuale come espressione propria del-
l’amore coniugale, l’altro distrugge la vita di un essere umano; la prima
si oppone alla virtù della castità matrimoniale, il secondo si oppone al-
la virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino «non ucci-
dere»”. Ancora, il magistero cattolico precisa che la pratica contraccetti-
va affonda “le radici in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante
nei confronti della sessualità e suppone un concetto egoistico di libertà
che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria per-
sonalità”. Condanna quindi senza appello, che ovviamente si ripercuote
sulle diverse classificazioni che stiamo per proporre.

Secondo una prima classificazione i contraccettivi possono essere


classificati come:

a) contraccettivi di barriera;
b) contraccettivi ormonali;
c) metodi naturali di contraccezione.

20 Enciclica Casti Connubii (Pio XI).


21 Enciclica Humanae Vitae, 25 luglio 1968 (Paolo VI).

66
La contraccezione • Capitolo 6

Contraccettivi di barriera Contraccettivi ormonali Metodi naturali

Profilattico Pillola estroprogestinica Ogino-Knauss

Diaframma Pillola del giorno dopo Temperatura basale

IUD o spirale Muco cervicale

Coito interrotto

Billings

Secondo una seconda classificazione (come quella che segue) la di-


stinzione è più articolata:

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a) contraccettivi di barriera;
b) contraccettivi ormonali;
c) intercettivi;
d) contragestativi;
e) metodi naturali.

Contraccettivi Contraccettvi Intercettivi Contragestativi Metodi


di barriera ormonali naturali

Profilattico Pillola estro- Pillola del Pillola abortiva Temperatura


progestinica giorno dopo – RU 486 basale

Diaframma IUD o spi- Muco cervi-


rale cale

Billings

Coito interrotto

Ogino-Knauss

I contraccettivi di barriera come il profilattico e il diaframma non


creano problemi di sorta a nessuno dei due schieramenti, quanto meno
a classificarli tali, essendo unanimemente riconosciuti come contrac-
cettivi puri. Sui contraccettivi ormonali – limitando al momento l’analisi
alla pillola estroprogestinica e similari – si creano le prime divisioni. Si
riconosce, da parte cattolica,22 una natura abortigena a due degli effetti

22 Sgreccia E., Manuale di bioetica, vol. I, Vita e Pensiero, Roma, 1999, p. 415; Di
Pietro M.L., Minatori L., Sull’abortività della pillola estroprogestinica e di altri
contraccettivi, Medicina e Morale, 1996, 5, 63-900.

67
Parte II • Elementi di biodiritto

della pillola estroprogestinica – la modificazione endometriale e la mo-


dificazione della motilità tubarica – mentre il nostro ordinamento rico-
nosce la pura natura contraccettiva della pillola estroprogestinica e an-
che della pillola del giorno dopo.

La prescrizione terapeutica e l’obiezione di coscienza:


il caso della pillola del giorno dopo

L’agire professionale del medico si caratterizza per l’autonomia, l’indi-


pendenza, la beneficialità. Quando queste condizioni vengono minac-
ciate, il codice di deontologia medica prevede il “rifiuto d’opera profes-
sionale” che si configura come una sorta di obiezione di coscienza deon-

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tologica.
Il recente codice del 2006 contiene una modifica sul punto. L’origi-
naria rubrica “Rifiuto d’opera professionale” è stata cambiata in “Auto-
nomia e responsabilità diagnostico-terapeutica”. Riportiamo, nello sche-
ma che segue, il previgente e l’attuale articolo, evidenziando in neret-
to i cambiamenti.

Codice di Deontologia Medica (1998) Codice di Deontologia Medica (2006)


Art. 19 – Rifiuto d’opera professionale Art. 22 – Autonomia e responsabilità
diagnostico-terapeutica

Il medico al quale vengano richieste Il medico al quale vengano richieste


prestazioni che contrastino con la sua prestazioni che contrastino con la sua
coscienza o con il suo convincimento coscienza o con il suo convincimento
clinico, può rifiutare la propria opera, clinico, può rifiutare la propria opera, a
a meno che questo comportamento meno che questo comportamento non
non sia di grave e immediato nocu- sia di grave e immediato nocumento
mento per la salute della persona per la salute della persona assistita e
assistita. deve fornire al cittadino ogni utile
informazione e chiarimento.

Quindi il medico che non condivida le prestazioni che “vengano richie-
ste” e quando queste contrastino “con la sua coscienza o con il suo con-
vincimento clinico” può rifiutare la propria opera. Il rifiuto però dev’esse-
re motivato in quanto – secondo le innovazioni codicistiche del 2006 – il
medico “deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”.
Il tutto, però, se non sia di grave e immediato danno al paziente stesso.
I casi a cui si può applicare l’obiezione di coscienza sembrano essere
legati all’accanimento terapeutico (a cui però il codice dedica uno spe-
cifico articolo; vedi Cap. 12), alla richiesta di eutanasia (anche in questo

68
La contraccezione • Capitolo 6

caso il codice dedica uno specifico articolo), all’interruzione volontaria


della gravidanza (specifico articolo anche su questa materia) e al dissen-
so terapeutico in generale.
Nel nostro ordinamento sono solo due le possibilità in ambito sa-
nitario di obiezione di coscienza e sono da sempre considerate tassa-
tive: l’obiezione di coscienza alle procedure abortive e l’obiezione al-
le tecniche di procreazione medicalmente assistita. L’obiezione di co-
scienza23 alle procedure abortive è ovviamente quella che più ci inte-
ressa anche se, a prima vista, certo non applicabile alla tematica del-
la contraccezione.
In questi anni tuttavia la polemica si è sviluppata intorno al caso del-
la prescrizione della pillola del giorno dopo. Questa pillola – principio at-
tivo levonorgestrel – è stata immessa in commercio come “contraccettivo

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orale di emergenza”. Deve essere assunta, come abbiamo visto, entro 72

23 Legge 22 maggio 1978, n. 194 ”Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria della gravidanza”.
Art. 9 – Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a pren-
dere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e agli interventi per l’interruzione
della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiara-
zione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provin-
ciale e, nel caso di personale dipendente dell’ospedale o della casa di cura, anche
al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o
dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a for-
nire prestazioni dirette all’interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una
convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni.
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei
termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce
effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività
ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e neces-
sariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assi-
stenza antecedente e conseguente all’intervento.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad as-
sicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione
degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità
previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione
anche attraverso la mobilità del personale.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed
esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il
loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in im-
minente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha
sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravi-
danza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente.

69
Parte II • Elementi di biodiritto

ore dal rapporto sessuale non protetto. Il meccanismo di azione viene


definito contraccettivo e quindi mira a inibire l’impianto dell’ovulo nel-
l’utero similmente ad altri meccanismi contraccettivi. Non mira quindi a
inibire o a interrompere la gravidanza.24 Non si dovrebbe porre pertan-
to il problema dell’obiezione di coscienza che nel nostro ordinamento è
riservato alle procedure abortive. Tra l’altro in altri Paesi questo farma-
co viene ormai venduto senza ricetta medica.25
Il riconoscimento della pillola del giorno dopo come contraccezio-
ne, sia pure di emergenza, e non come interruzione della gravidanza, ha
avuto anche una conferma giurisprudenziale. Il Tar del Lazio ha avuto
modo di precisare che:

• il decreto che autorizza la commercializzazione del Norlevo (no-

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me commerciale del levonorgestrel) “non contrasta con la legge
194/1978, poiché il farmaco autorizzato agisce con effetti contrac-
cettivi in un momento anteriore all’innesto dell’ovulo nell’utero ma-
terno”;
• il Norlevo “esplica effetti di prevenzione della gestazione al pari di al-
tri usuali metodi contraccettivi, quali lo IUD o spirale, che parimenti
mirano a inibire l’impianto dell’ovulo fecondato, e in ordine ai qua-
li non si pone questione circa la qualificazione come pratiche abor-
tive…”.26

La sentenza del TAR del Lazio è del tutto coerente con la nota presa di
posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che definisce gravi-
danza solo il momento successivo all’impianto dell’embrione in utero.
Il tutto sembrerebbe quindi chiaro. Invece è intervenuto il Comitato
Nazionale di Bioetica con una “Nota sulla contraccezione di emergen-
za”27 in cui si legge che: “…il medico il quale non intenda prescrivere o
somministrare il levonorgestrel in riferimento ai suoi possibili effetti post-
fertilizzazione abbia comunque il diritto di appellarsi alla «clausola di co-
scienza», dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela
del concepito che motiva l’astensione, e dunque a prescindere da dispo-
sizioni normative specificamente riferite al quesito in esame”.

24 Goodman & Gilman, Le basi farmacologiche della terapia, op. cit., p. 1565.
25 Corriere della Sera, Negli Stati Uniti pillola del giorno dopo senza ricetta medica,
25 agosto 2006, p. 15.
26 TAR Lazio, sez. I Bis, 12 ottobre 2001, n. 8465.
27 Comitato Nazionale di Bioetica, Nota sulla contraccezione di emergenza, 28

maggio 2004, in http://www.governo.it/bioetica/testi/contraccezione_emer-


genza.pdf

70
La contraccezione • Capitolo 6

Si introduce nel dibattito una – fino a oggi sconosciuta – “clausola


di coscienza”, che riflette, a parere del Comitato Nazionale di Bioetica,
quanto già previsto dagli articoli del Codice di Deontologia Medica sopra
riportati. L’obiezione di coscienza deontologica troverebbe quindi la sua
applicazione per la prescrizione della pillola del giorno dopo. La presa di
posizione del Comitato appare evidentemente assai discutibile e rischia
di porre delle difficoltà evidenti al funzionamento dei servizi e al soddi-
sfacimento della domanda dell’utenza interessata.
Sul punto è intervenuta la Federazione Nazionale degli Ordini dei Me-
dici28 la quale, pur prendendo atto del parere del Comitato Nazionale di

28 Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri – Comu-


nicazione n. 81, Roma, 11 dicembre 2006.

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Ai Presidenti degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri.
Oggetto: Pillola del giorno dopo e obiezione di coscienza.
Sono pervenute alla Federazione numerose richieste di informazioni in meri-
to alla problematica dell’obiezione di coscienza relativamente alla prescrizione
della “pillola del giorno dopo” con particolare attenzione alla posizione dei me-
dici che prestano il servizio di continuità assistenziale.
Si ritiene pertanto opportuno fornire a tutti gli Ordini provinciali chiarimenti in
proposito considerando anche l’aspetto della responsabilità civile del medico in
merito alla questione specifica.
La Commissione Nazionale di Bioetica si è pronunciata con una nota del 28 mag-
gio 2004 sulla contraccezione di emergenza sostenendo il diritto del medico di
appellarsi alla “clausola di coscienza” nel caso di prescrizione e somministrazio-
ne della pillola del giorno dopo.
Pur essendo tale “clausola di coscienza” concetto più sfumato rispetto all’obie-
zione di coscienza (riconosciuta nel nostro ordinamento solo nei casi di aborto
e servizio militare, cioè nei casi in cui l’azione del singolo è diretta alla soppres-
sione della vita), tuttavia trova la sua consacrazione nell’art. 19 del Codice di
Deontologia Medica del 1998.
Tale norma, prevedendo che il medico al quale vengano richieste prestazioni
che contrastino con la sua coscienza o il suo convincimento clinico può rifiu-
tare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e
immediato nocumento alla salute della persona assistita, è stata correttamente
letta come disposizione che attribuisce alla coscienza uno spazio di espressione
maggiore rispetto a quello che risulta esplicitamente attribuito dalle disposizioni
di legge.
Il diritto del medico all’obiezione di coscienza non può comunque, in alcun
modo, ledere il diritto del paziente a una prestazione che l’ordinamento giuri-
dico riconosce come dovuta (art. 1, Legge 405/1975 “Istituzione dei consultori
familiari”).
È necessario pertanto individuare un punto di equilibrio che consenta a tutti i
soggetti coinvolti di potere esercitare i loro diritti senza che ciò implichi difficoltà
rilevanti e restrizione di fatto delle libertà e dei diritti civili e sociali riconosciuti
che porterebbero a inevitabili contenziosi.

71
Parte II • Elementi di biodiritto

Bioetica, tenta di circoscrivere gli effetti di tale documento avvertendo


che “Il diritto del medico all’obiezione di coscienza non può comunque,
in alcun modo, ledere il diritto del paziente a una prestazione che l’ordi-
namento giuridico riconosce come dovuta”. Il riferimento è alla legge 29
luglio 1975, n. 405 “Istituzione dei consultori familiari” che all’art. 1 pri-
mo comma punto b) prevede “la somministrazione dei mezzi necessari
per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in
ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni eti-
che e dell’integrità fisica degli utenti” e avverte che diventa “necessario
pertanto individuare un punto di equilibrio che consenta a tutti i sogget-
ti coinvolti di potere esercitare i loro diritti senza che ciò implichi diffi-
coltà rilevanti e restrizione di fatto delle libertà e dei diritti civili e sociali
riconosciuti che porterebbero a inevitabili contenziosi”.

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Considerando, inoltre, il caso specifico dei medici che forniscono servizio di con-
tinuità assistenziale bisogna considerare che i medesimi all’interno dello stesso
possono intervenire in situazioni di urgenza con relativa prescrizione di farmaci
ed è in questa veste che, verosimilmente, sono tra i più interessati dalla pro-
blematica e tra i più esposti a eventuali denunce per omissione di atti di ufficio
conseguenti alla mancata prescrizione.
La Federazione ritiene, per quanto evidenziato, che nel caso in cui al medico
obiettore di coscienza sia richiesta la prescrizione di cui trattasi, lo stesso non
può limitarsi a esprimere la propria obiezione ma debba provvedere nell’ambito
delle proprie responsabilità affinché la richiedente possa accedere con tempi e
modalità appropriati alla prescrizione.
Tale posizione trova riscontro nella postilla alla nota del Comitato di Bioetica
che, prendendo atto che l’ampliamento della libertà riconosciuto al medico nel
caso di prescrizione della pillola del giorno dopo comporta come conseguenza
la possibilità di disagi aggiuntivi all’accesso al principio farmacologico, invita le
Autorità e le Istituzioni competenti a vigilare e provvedere affinché l’esercizio
della clausola di coscienza non si traduca di fatto nella restrizione delle libertà e
diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico.
La FNOMCeO ritiene, inoltre, che trovando la legittimazione a esercitare la clau-
sola di coscienza la sua ragione d’essere nella disposizione di cui all’art. 9 del-
la Legge 194/1978 (legge sull’interruzione della gravidanza), i medici debbano
adottare le modalità prescritte nell’articolato medesimo e pertanto debbano in-
viare la dichiarazione relativa all’obiezione di coscienza al direttore generale
della ASL e al direttore sanitario nel caso di dipendente dall’ospedale.
Ciò significa che, per il caso della “pillola del giorno dopo”, il medico non può
limitarsi a esprimere la propria obiezione, ma deve provvedere, nell’ambito delle
proprie responsabilità, affinché la richiedente possa accedere con tempi e moda-
lità appropriati alla prescrizione.
Questo perché l’esercizio della “clausola di coscienza” non si traduca di fatto
nella restrizione delle libertà e dei diritti riconosciuti alle donne dall’ordinamento
giuridico.

72
La contraccezione • Capitolo 6

La soluzione deve essere individuata – secondo la Federazione Na-


zionale degli Ordini dei Medici – nel comportamento del medico di con-
tinuità territoriale (ma potrebbe tranquillamente essere esteso ai medici
di medicina generale e talvolta, ai medici in servizio al pronto soccorso
e nei punti di urgenza-emergenza) che “non può limitarsi a esprimere
la propria obiezione, ma deve provvedere, nell’ambito delle proprie re-
sponsabilità, affinché la richiedente possa accedere con tempi e moda-
lità appropriate alla prescrizione. Questo perché l’esercizio della «clau-
sola di coscienza» non si traduca di fatto nella restrizione delle libertà e
dei diritti riconosciuti alle donne dall’ordinamento giuridico”.
La preoccupazione che traspare dalle parole della FNOMCeO è evi-
dente. Il rischio che l’obiezione di coscienza deontologica apra la stra-
da a possibili denunce per rifiuto di atti d’ufficio, ex art. 328 c.p., è evi-

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dente, tanto che si propone addirittura l’istituzionalizzazione dell’obie-
zione di coscienza deontologica sulla pillola del giorno dopo invitando i
medici e dichiarare nei modi e nei tempi previsti l’obiezione di coscien-
za prevista dalla legge sull’interruzione della gravidanza.
Si arriva al paradosso di un farmaco che, introdotto in commercio
con specifica autorizzazione come farmaco contraccettivo, viene tra-
sformato di fatto in abortivo.
Deve essere anche specificato che la tematica della contraccezione
e della contraccezione di emergenza trova spesso, nel mondo cattolico,
voci fortemente contrarie alla natura contraccettiva.29
Forse la soluzione del problema si può trovare nella derubricazio-
ne dei farmaci della contraccezione di emergenza da farmaci soggetti a
prescrizione medica a farmaci non soggetti a prescrizione medica come
previsto ormai in molte legislazioni di Paesi esteri.30

29 Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione “Dignitas personae. Su alcu-


ne questioni di bioetica”, 8 settembre 2008. In questo documento si specifica che
in chi chiede la somministrazione di mezzi intercettivi o contragestativi è senza
dubbio presente l’intenzionalità abortiva e quindi questo comportamento rientra
“nel peccato di aborto”; vedi anche Casini M., Spagnolo A.G., Aspetti giuridici,
deontologici ed etici della prescrizione degli estroprogestinici a scopo contrac-
cettivo, Medicina e Morale, 2002, 3, 429-451; e Sgreccia E., Manuale di bioetica,
vol. I, Vita e Pensiero, Roma, 2000, p. 417: “La pillola del giorno dopo è una vera
e propria tecnica abortiva che, per il meccanismo di azione, non ha nulla a che
vedere con la pillola estroprogestinica contraccettiva: non inganni, dunque, il
nome di ’pillola’ o la composizione chimica (estrogeni e/o progestinici) simile a
quella della pillola contraccettiva”.
30 Stati in cui la pillola del giorno dopo viene venduta senza prescrizione medica:

Albania, Australia, Belgio, Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Gran


Bretagna, India, Israele, Marocco, Norvegia, Nuova Zelanda, Portogallo, Sud Afri-
ca, Svezia, Svizzera, Tunisia, Stati Uniti. Fonte: Toscana Medica, 2008, 2.

73
Parte II • Elementi di biodiritto

Problematiche giuridiche della sterilizzazione

Per sterilizzazione si intende un atto di carattere sanitario mirante a in-


cidere in modo permanente sulla fertilità di una persona.
Si distingue una sterilizzazione attuata per motivi terapeutici (per
esempio, infiltrazione tumorale) da una sterilizzazione attuata per mo-
tivi non terapeutici. Mentre la prima non crea problemi di sorta e viene
scriminata dalla necessità dell’intervento e dal consenso del paziente de-
bitamente informato, per la seconda – quella non terapeutica – è emer-
sa una serie di problemi che andremo ad analizzare.
La sterilizzazione assume ovviamente caratteri diversi a seconda che
sia rivolta alle donne o agli uomini. Nelle donne viene messa in atto at-
traverso la chiusura chirurgica delle tube ovariche in modo da impedire

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l’accesso alla cellula uovo da parte degli spermatozoi; l’intervento vie-
ne effettuato per via laparoscopica o laparotomica. L’ovulazione e il flus-
so mestruale si svolgono regolarmente e il quadro ormonale non viene
modificato.
La sterilizzazione maschile consiste invece nella legatura dei dotti
deferenti con conseguente emissione di sperma senza spermatozoi. Non
presenta effetti collaterali e non influisce sul desiderio sessuale.
La sterilizzazione nella storia ha assunto spesso inquietanti aspet-
ti legati alla selezione della razza (eugenetica) o ad altro comunque non
commendevole motivo.31 Come abbiamo visto, non crea problemi di sor-
ta la sterilizzazione terapeutica, mentre si discute ancora oggi sulla licei-
tà della sterilizzazione non terapeutica attuata con evidenti finalità con-
traccettive.
Il testo originario del codice penale prevedeva un autonomo Titolo X
relativo ai “Delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe” comprensivo,
tra gli altri, all’art. 552, del delitto di “Procurata impotenza alla procrea-
zione”, in base al quale era punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni
“chiunque compisse su una persona, dell’uno o dell’altro sesso, col con-
senso di questa, atti diretti a renderla impotente alla procreazione”. Era
pertanto sancita l’indisponibilità assoluta della potentia generandi, la cui
offesa era punita, anche nella semplice ipotesi del tentativo, nonostan-
te il consenso dell’interessato. Tale titolo è stato in seguito interamen-
te abrogato dall’art. 22 della legge 194/1978 in materia di disciplina del-
l’interruzione volontaria di gravidanza.
Le posizioni giuridiche e bioetiche sull’attuale liceità della sterilizza-
zione volontaria, come anche in altri campi consimili, divergono forte-

Il riferimento è alla castrazione operata ai preadolescenti cantori e al fenome-


31

no delle cosiddette voci bianche.

74
La contraccezione • Capitolo 6

mente. Cominciamo dalle posizioni giuridiche. Si discute se l’abolizio-


ne del reato previsto dall’art. 552 del codice penale abbia “sic et simplici-
ter comportato la liceità di ogni forma di sterilizzazione”.32 Da un lato si
afferma che l’abrogazione operata dalla legge 194/1978, lungi dal con-
cretare una abolitio criminis, avrebbe determinato la riespansione della
norma base dettata in tema di lesioni personali nella forma aggravata di
cui al cennato art. 583 c.p.33
La dottrina giuridica che sostiene questa tesi afferma che l’art. 552
del c.p. è stato abrogato in quanto concepito non in tutela della perso-
nalità umana bensì a “sostegno della politica demografica ed espansio-
nistica del regime dell’epoca”.34 Anche la bioetica cattolica si pone sul-
la stessa lunghezza d’onda facendo presente che, sia il giudizio morale
che quello etico, nella condanna alla pratica della sterilizzazione a ef-

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fetti contraccettivi, si affiancano, in quanto si lede l’integrità fisica e la
possibilità di procreare nel matrimonio.35
Di diverso avviso la Suprema Corte di Cassazione che ha invece ri-
tenuto che tra le due norme non vi fosse un rapporto di specialità, ar-
gomentando, tra l’altro, sulla base della differente oggettività giuridica
tutelata dalle disposizioni in esame: in un caso l’integrità della stirpe, e
nell’altro l’integrità fisica della persona.
Pertanto l’abrogazione dell’art. 552 del codice penale avrebbe deter-
minato l’eliminazione per l’ordinamento giuridico di qualsiasi disvalo-
re rispetto alla pratica della sterilizzazione consensuale cosiddetta edo-
nistica, sancendone la piena liceità attraverso una vera e propria abo-
litio criminis.

32 Mantovani F., Problemi giuridici della sterilizzazione, Rivista Italiana di Medici-


na Legale, 840, 1983.
33 Art. 583 – Circostanze aggravanti

La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:


1. se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona of-
fesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni
per un tempo superiore ai quaranta giorni;
2. se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo;
La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni,
se dal fatto deriva:
1. una malattia certamente o probabilmente insanabile;
2. la perdita di un senso;
3. la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la
perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una perma-
nente e grave difficoltà della favella;
4. la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.
34 Mantovani F., Problemi giuridici della sterilizzazione, op. cit.
35 Sgreccia E., Manuale di bioetica, op. cit., p. 599.

75
Parte II • Elementi di biodiritto

Nella celebre sentenza sul cosiddetto caso Conciani (Cass. Penale,


sez. V, 18 marzo 1987) relativa al caso di un medico che ebbe a prati-
care numerosi interventi di vasectomia previa richiesta degli interessa-
ti, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che considerare lecita
la sterilizzazione volontaria non contrasta con l’art. 32 della Costituzio-
ne. Statuisce la Corte:

Non può invero negarsi che lo sterilizzando tende a una maggiore distensione nei
rapporti con il coniuge o con il partner, per finalità di norma socialmente rilevanti
(come l’evitare un numero eccessivo di figli o la trasmissione a essi di malattie) o
anche socialmente indifferenti, non autorizzando l’attuale sistema normativo l’esclu-
sione della sterilizzazione cosiddetta edonistica.
Non si vede infatti come possa essere leso l’interesse della collettività alla salute

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da interventi come la “sterilizzazione”, che possono giovare all’equilibrio psichico
dell’individuo che volontariamente vi si sottopone, senza nocumento per la collet-
tività medesima, una volta preso atto dell’assenza di pericolose contrazioni demo-
grafiche, constatata nei principali Paesi del mondo occidentali e orientali, in cui
da decenni è ammessa di diritto o di fatto tale pratica.

La disposizione contemplante la procurata impotenza alla procrea-


zione non era speciale rispetto a quella di cui all’art. 583 c.p., capoverso
n. 3. Ne consegue che, dopo l’abrogazione, a opera dell’art. 22 della leg-
ge 22 maggio 1978, n. 194, dell’art. 552 c.p., l’illiceità penale della steri-
lizzazione volontaria (cosiddetta vasectomia) è venuta definitivamente
meno né può essere affermata con riferimento al reato di lesioni gravis-
sime non scriminabili dal consenso dell’avente diritto.
La Corte tuttavia auspicò l’intervento “urgente” del legislatore – la
sentenza è del 1987 e l’intervento non vi è stato – non per legittimare la
sterilizzazione volontaria “già chiaramente scriminata con l’abrogazio-
ne dell’art. 552 c.p.”, ma per tutelare l’interesse del coniuge e per even-
tualmente porre un limite di età.
In conclusione, sembra di poter concludere affermando la sostanzia-
le legittimazione delle pratiche di sterilizzazione volontaria avallata dal-
la autorevolezza della pronuncia della Cassazione e non smentita da al-
tre pronunce successive.

76
Capitolo

7
L’interruzione volontaria
della gravidanza

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L’EVOLUZIONE DEL DIBATTITO
SULL’INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA

Sono antiche e annose le discussioni etiche e giuridiche sull’interruzione


volontaria della gravidanza.
La chiesa cattolica è intervenuta ripetutamente sul tema dell’inter-
ruzione volontaria della gravidanza in modo sempre coerente. L’impo-
stazione pro life della chiesa ha trovato attuazione in diverse encicliche
papali tra le quali ricordiamo “Casti connubii”, “Gaudium et spes” e “Hu-
manae vitae”. In questi autorevoli documenti la posizione della chiesa
appare sempre orientata verso la condanna totale delle pratiche abortive,
anche se espletate per ragioni terapeutiche.
Il pensiero laico, invece, parte da una concezione completamente
diversa e pone il principio di autodeterminazione della donna a base del
riconoscimento decisionale pro choice da parte della donna. Il problema
dell’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) viene visto dal pen-
siero cattolico come “soppressione della vita” e come tale, da un punto
di vista giuridico, da considerare illecito.
Fino al 1978 in Italia l’interruzione volontaria della gravidanza era
considerata un reato. In particolare il codice penale del 1930 – cosiddetto
“Codice Rocco” – considerava illecito “l’aborto di donna consenziente” in
cui si puniva sia chi praticava l’aborto, sia la donna stessa, con una pena
che variava da un minimo di due a un massimo di cinque anni; veniva
inoltre punita la donna che si procurava da sola l’aborto con una pena
che variava da un minimo di uno a un massimo di quattro anni. Nessuna
pena era prevista per il marito o il partner della donna. L’aborto quindi

77
Parte II • Elementi di biodiritto

veniva considerato un illecito penale, e non si poteva ricorrervi neanche


in caso di pericolo per la vita della donna (il cosiddetto aborto terapeu-
tico). I reati erano inseriti all’interno del titolo X del codice denominato
“Dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe”.1 La concezione che
stava alla base di questa classificazione partiva dal presupposto che i
delitti di aborto offendessero prima di tutto l’interesse sociale alla tutela
della maternità e all’incremento demografico della nazione.2
Sul punto intervenne la Corte costituzionale con la sentenza 18 feb-
braio 1975, n. 27, in cui venne dichiarata l’illegittimità costituzionale della
legge nella parte in cui non prevedeva che la gravidanza potesse essere in-
terrotta quando la prosecuzione della gestazione avrebbe potuto compor-
tare danno o pericolo grave per la salute della madre. La Corte motivò tale
sentenza specificando che “non esiste equivalenza tra il diritto non solo

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alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre,
e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”.
La strada a questo punto era spianata e il Parlamento intervenne
con la legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”: con tale legge
si è passati da un principio di illiceità penale a un principio di sostanziale
legalizzazione dell’aborto, sia pure con i limiti e le forme stabilite dalla
legge. In realtà, l’intervento del legislatore andò oltre il riconoscimento
dell’aborto terapeutico legalizzando l’aborto volontario.

1 I reati previsti dal codice penale per l’aborto erano i seguenti:


Art. 545 – Aborto di donna non consenziente
Chiunque cagiona l’aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con
la reclusione da sette a dodici anni.
Art. 546 – Aborto di donna consenziente
Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la
reclusione da due a cinque anni. La stessa pena si applica alla donna che ha
consentito all’aborto. Si applica la disposizione dell’articolo precedente:
1. se la donna è minore degli anni quattordici, o, comunque, non ha capacità
d’intendere o di volere;
2. se il consenso è estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero è carpito
con inganno.
Art. 547 – Aborto procuratosi dalla donna
La donna che si procura l’aborto è punita con la reclusione da uno a quattro
anni.
Art. 548 – Istigazione all’aborto
Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato preveduto dall’articolo precedente,
istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei, è punito
con la reclusione da sei mesi a due anni.
2 Perchiunno F., Interruzione di gravidanza e diritto alla vita – profili costituzionali,

Cacucci Editore, Bari, 2000, p. 14.

78
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

A questo fine è importante distinguere l’interruzione volontaria della


gravidanza o aborto volontario, in cui la donna decide autonomamente
e per motivazioni che vedremo, ma comunque ampie, dall’aborto tera-
peutico in cui le motivazioni risiedono nel pericolo di vita della donna
in caso di prosecuzione della gravidanza.
La legge 194/1978 è stata oggetto nel 1981 di un referendum abrogativo
che ha superato positivamente. In realtà i quesiti referendari erano ben tre:
uno cosiddetto minimale, uno cosiddetto radicale e uno cosiddetto mas-
simale. I referendum ammessi sono stati solo due: il referendum radicale,
che mirava ad abrogare tutta una serie di norme al fine di fare raggiungere
il pieno e incondizionato controllo dell’interruzione della gravidanza da
parte della donna, e il minimale, proposto dal Movimento per la vita, che
si caratterizzava per la richiesta abrogativa delle circostanze giustificatrici

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l’interruzione della gravidanza. Il quesito, sempre del Movimento per la
vita, cosiddetto massimale, non fu ammesso per il contrasto con il diritto
alla salute della donna, già oggetto della sentenza 27/1975.3
Nel 1997 inoltre, la Corte costituzionale ha avuto modo di rigettare
un’altra richiesta di referendum radicale, anch’essa tesa a una maggiore
liberalizzazione dell’interruzione di gravidanza, “facendo cadere i proce-
dimenti e i controlli amministrativi e giurisdizionali attualmente previsti,
nonché le connesse fattispecie incriminatrici”. Le motivazioni per l’inam-
missibilità sono state giustificate dal fatto che l’abrogazione “travolge-
rebbe disposizioni a contenuto normativo costituzionalmente vincolato
sotto più aspetti, in quanto renderebbe nullo il livello minimo di tutela
necessaria dei diritti costituzionali inviolabili alla vita, alla salute, nonché
di tutela necessaria della maternità, dell’infanzia e della gioventù”.4
La necessità della liceità dell’interruzione di gravidanza è stata og-
getto anche di una presa di posizione dell’Unione europea che ha rac-
comandato che “al fine di salvaguardare la salute e i diritti riproduttivi
femminili, l’aborto debba essere legale, sicuro e accessibile a tutti”.5
Più recentemente il Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione
dove si specifica che l’aborto deve essere considerato un vero e proprio
diritto.6 A questo proposito le posizioni come al solito divergono: da un
lato si sostiene che l’aborto al massimo potrebbe essere depenalizzato

3 Corte costituzionale, sentenza 10 febbraio 1981, n. 26.


4 Corte costituzionale, sentenza n. 35/1997.
5 Risoluzione del Parlamento europeo sulla salute e i diritti sessuali riproduttivi

n. 2001/2128 (INI).
6 Risoluzione 1607/2008 “Access to safe and legal abortion in Europe”; As-

sembly debate on 16 April 2008 (15th Sitting) (vedi Doc. 11537 rev., report of the
Committee on Equal Opportunities for Women and Men, rapporteur: Mrs Gisela
Wurm; e Doc. 11576, opinion of the Social, Health and Family Affairs Committee,

79
Parte II • Elementi di biodiritto

o legalizzato,7 dall’altro invece se ne sostiene la natura di vero e pro-


prio diritto8 sul modello della Corte suprema degli Stati Uniti che nella
famosa sentenza Roe definì l’aborto un diritto costituzionale – in quanto
espressione del diritto alla privacy e protetto dal 14° emendamento – e di
conseguenza illegittime tutte le leggi statali che restringevano il diritto
all’interruzione della gravidanza. La legge italiana si pone in una situa-
zione di sostanziale legalizzazione dell’aborto con differenze però di fatto
significative tra l’aborto volontario e l’aborto terapeutico.9
Va sottolineato che l’aborto non viene considerato dalla legge un
mezzo per il controllo delle nascite (art. 1), che anzi considera “il diritto
alla procreazione cosciente e responsabile” e riconosce “il valore sociale
della maternità”.
Il diritto alle procedure abortive previste dalla legge 194/1978 è esteso

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anche alle donne extracomunitarie non in regola con il permesso di
soggiorno, come precisato dalla legge 6 marzo 1998, n. 40 “Disciplina
dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero”.10, 11
Le polemiche sulla liceità dell’interruzione volontaria della gravidanza
sono costanti, con uno schema di riferimento ripetitivo: lo schieramento
pro life che combatte per la sua abrogazione e lo schieramento pro choice
teso a difendere la legge 194/1978. Il dibattito si arricchisce continua-
mente con prese di posizione da una parte e dell’altra.12 Inoltre per la

rapporteur: Mrs Christine McCafferty). Text adopted by the Assembly on 16 April


2008 (15th Sitting). Il testo completo della risoluzione è riportato in http://assem-
bly.coe.int/Mainf.asp?link=/Documents/AdoptedText/ta08/ERES1607.htm
7 Benagiano G., Mancuso M. Consiglio d’Europa e aborto volontario, Bioetica

– Rivista interdisciplinare, 2008, 3, 451-461; Fiori A., La risoluzione del Consiglio


d’Europa: un’affermazione contraria ai diritti umani, Medicina e Morale, 2008, 3,
479-482.
8 Mori M., Aborto e morale – capire un nuovo diritto, Einaudi, Torino, 2008; Barto-

lommei S., Aborto da “deprecabile rimedio” a “diritto civile della persona”, Bioetica
– Rivista interdisciplinare, 2008, 3, 462-470; Viale S., Risoluzione del Consiglio
d’Europa sull’aborto: si può essere insieme “pro choice” e “pro life”?, Bioetica
– Rivista interdisciplinare, 2008, 3, 471-486.
9 Per l’analisi della differenza tra legalizzazione e liberalizzazione dell’aborto,

vedi Mori M., Aborto e morale – capire un nuovo diritto, op. cit., pp. 23-24.
10 Vedi D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti

la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.


11 Magliona B., L’interruzione della gravidanza della donna extracomunitaria “ir-

regolare” o “clandestina”, Diritto penale e processo, 1996, 3, 386.


12 Il riferimento è all’iniziativa di Giuliano Ferrara e al suo appello sulla cosiddetta

“moratoria sull’aborto”. In un articolo del 19 dicembre 2007 sul quotidiano Il Fo-


glio si afferma, similmente a quanto avvenuto per la pena di morte per la quale
l’ONU ha chiesto la cessazione delle esecuzioni delle pene di morte, la necessità
di promuovere anche la “grande moratoria della strage degli innocenti”. Secondo

80
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

prima volta alle elezioni politiche della XVI Legislatura si è presentata una
lista elettorale cosiddetta di scopo, con al centro del suo programma la
problematica dell’interruzione volontaria della gravidanza. Il programma
prevedeva una serie di misure.13 La normativa sull’interruzione della

questo orientamento l’interruzione della gravidanza coinvolge “persone legalmente


innocenti, create e distrutte dal mero potere del desiderio, desiderio di avere figli
e di amare e desiderio di non averli e di odiarsi fino al punto di amputarsi del-
l’amore”. La parte laica risponde con altrettanta nettezza di posizioni denunciando
la strumentalizzazione e la estremizzazione di tale posizione, arrivando a parlare
di nuova crociata (Paolo Flores D’Arcais, Laicamente, Micromega, 2008, 1, 8).
13 Riportiamo per esteso il programma della Lista “Aborto no grazie” tratto dal

sito del quotidiano Il Foglio del 21 marzo 2008.


Programma della Lista “Aborto no grazie”

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• Promuovere legislativamente il dovere di seppellire tutti i bambini abortiti nel
territorio nazionale, in qualunque fase della gestazione e per qualunque motivo.
Le spese sono a carico del pubblico erario.
• Vietare per decreto legge l’introduzione in Italia della pillola abortiva RU 486 e si-
mili veleni capaci di reintrodurre la convenzione dell’aborto solitario e clandestino
contro lo spirito e la lettera della legge 194 di tutela sociale della maternità.
• Stabilire per via di legge che accoglienza, rianimazione e cura dei neonati sono
un compito deontologico dei medici a prescindere da qualunque autorizzazione
di terzi.
• Emendare l’articolo 3 della Costituzione, comma 1. Dove è scritto “tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” aggiungere una virgola
e la frase “dal concepimento fino alla morte naturale”.
• Impegnare il governo della Repubblica a costruire un’alleanza capace di emen-
dare la “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite” all’ar-
ticolo 3. Dove è scritto “ogni individuo ha diritto alla vita” aggiungere una virgola
e la frase “dal concepimento fino alla morte naturale”.
• Difendere la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita, escludendo
per via di legge e linee guida interpretative ogni possibilità, adombrata in recenti
sentenze giudiziarie, di introdurre la pratica eugenetica della selezione per an-
nientamento dell’embrione umano al posto della cura e della relativa diagnostica
terapeutica. Introdurre nei primi cento giorni una moratoria per la ricerca sulle
cellule staminali embrionali, sulla falsariga di quella europea abbandonata dal
governo Prodi, e rafforzare la ricerca sulle staminali adulte o etiche.
• Fondare in ogni regione italiana una Agenzia per le adozioni il cui compito spe-
cifico sia quello di favorire l’adozione, con procedura riservata e urgente, di quei
bambini che possono essere sottratti a una decisione abortiva di qualunque tipo.
• Adottare le modalità del “Progetto Gemma” sul sostegno materiale alle gestanti
in difficoltà e alle giovani madri di ogni nazionalità e status giuridico per la prima
accoglienza ed educazione dei bambini, con l’erogazione di consistenti somme
per i primi trentasei mesi di vita dei figli.
• Applicare la parte preventiva e di tutela della maternità della legge 194. Po-
tenziare in termini di risorse disponibili e di formazione del personale pubblico,
valorizzando il volontariato pro vita, la rete insufficiente dei consultori e dei Centri
di aiuto alla vita in ogni regione e provincia italiana.

81
Parte II • Elementi di biodiritto

gravidanza è stabilita da norme statali, insuscettibili di essere modificate


in sede regionale.14
I dati sull’attuazione della legge 194 vengono resi noti annualmente
nella relazione che il Ministro della salute (attualmente Ministro del wel-
fare)15 fa al Parlamento.
Negli anni il numero degli aborti è andato decrescendo fino ad arri-
vare a quasi la metà dai primissimi anni di applicazione della legge. Si
tenga presente che nel 1982 il numero degli aborti era di 234 000 mentre
nel 2007 è stato di 127 000. La diminuzione è ancora più sensibile se si
scorpora il dato dei cittadini italiani da quello dei migranti. Infatti – dati
del 2006 – oltre il 31% delle donne che ha effettuato un’interruzione della
gravidanza non sono italiane (nel 1998 la percentuale è stata del 10%).
La diminuzione delle interruzioni di gravidanza si registra maggior-

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mente tra le donne con più elevato grado di istruzione, che hanno un
lavoro, e tra le coniugate.
Si registrano ancora casi di aborto clandestino, stimati in circa 15 000
l’anno (contro una stima di 100 000 nel 1983). La diminuzione dell’abor-
tività clandestina si associa alla diminuzione dell’abortività legale.16
La maggior parte degli aborti – 91% dei casi – comporta una degenza
di durata inferiore al giorno con la metodologia abortiva di isterosuzione
secondo Karman. Permane elevato il ricorso all’anestesia generale (84%)

• Triplicare i fondi per la ricerca sulle disabilità e istituire una Agenzia di tutela e
integrazione del disabile in ogni regione italiana.
• Sostenere con sovvenzioni pubbliche adeguate l’attività dell’associazione di
promozione sociale denominata Movimento per la vita.
• Le risorse per il programma elettorale sono da fissare nella misura di mezzo
punto calcolato sul prodotto interno lordo e verranno rese disponibili attraverso
lo stanziamento di 7 miliardi di euro attualmente giacenti presso i conti correnti
dormienti in via di smobilitazione e altri cespiti di entrata.
14 Il riferimento è alla vicenda della Regione Lombardia che è intervenuta con

il Decreto di Giunta 22 gennaio 2008, n. 327 Atto di indirizzo per l’attuazione


della legge 22 maggio 1978 n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria della gravidanza”. In tale atto di indirizzo la Regione
poneva dei vincoli non presenti nella legge. Sono intervenuti, in primo luogo il TAR
Lombardia, Milano, sezione III, ordinanza 8 maggio 2008, n. 804, sospendendo
l’atto, e successivamente il Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 7 ottobre 2008,
n. 5311, che ha escluso “la possibilità di un intervento regionale amministrativo
teso a specificare i termini indicati alla legge statale”
15 Ministero della salute, relazione del Ministro della salute sulla attuazione della

legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione
volontaria della gravidanza, 21 aprile 2008.
16 I dati sull’abortività clandestina, sono stimati e sono riferiti solo ed esclusiva-

mente alle donne italiane in quanto, precisa la relazione ministeriale del 2008,
non si dispongono di cifre affidabili per le donne clandestine.

82
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

che risulta “non giustificato.”17 Il 97% delle interruzioni riguarda il periodo


incluso entro le 12 settimane di gestazione (cioè entro i 90 giorni).

LE TIPOLOGIE DI INTERRUZIONE DELLA GRAVIDANZA

Le metodiche per l’interruzione della gravidanza sono classificabili in me-


todiche chirurgiche e in metodiche mediche. Nelle prime rientrano sia il
raschiamento o curettage che l’aspirazione o isterosuzione generalmente
secondo il metodo Karman. Il primo metodo prevede il raschiamento del
rivestimento della cavità uterina, e il secondo l’aspirazione del prodotto
del concepimento contenuto nell’utero della donna.
Esiste inoltre un metodo abortivo di carattere farmacologico che si

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basa sulla somministrazione della cosiddetta RU 486 (dove RU è l’acro-
nimo dell’azienda produttrice francese Roussel Uclaf), farmaco com-
posto da mifepristone e prostaglandine, nelle prime sette settimane di
gravidanza.18 Come già specificato nel capitolo 6 sulla contraccezione,
la RU 486 non deve essere in alcun modo confusa con la cosiddetta
pillola del giorno dopo, stante la sua natura di contraccettivo.
La pillola abortiva interviene quindi come metodo di interruzione della
gravidanza che non necessita di una modificazione legislativa della legge
194, inserendosi appunto come metodica in un quadro giuridico di liceità
dell’aborto volontario. Lo scontro sulla sua adozione segue ancora una
volta il classico schema di contrapposizione laici-cattolici.19
Dal 2005 alcune regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Mar-
che, Puglia) hanno introdotto – mediante l’importazione del farmaco
– la metodica dell’aborto farmacologico mediante la somministrazione
del mifepristone (RU 486). La relazione ministeriale sottolinea come in
altri Paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Svezia) questa metodica è
utilizzata dagli anni ’90 e nel 2006 più di un quarto di donne ha utilizzato

17 Ministero della salute, Relazione del Ministro della salute sull’attuazione della
legge, cit.
18 Al momento della stesura di questo capitolo (gennaio 2009) il metodo abortivo

farmacologico è possibile solo tramite l’importazione del farmaco dall’estero,


essendo la procedura di registrazione dello stesso ancora in corso.
19 Si rimanda in particolare al volume di Morresi A., Roccella E., La favola dell’aborto

facile – Miti e realtà della pillola RU 486, Franco Angeli, Milano, 2006, e anche alle
parole del cardinale Camillo Ruini, Presidente della Conferenza episcopale italiana,
contenute nella prolusione alla 55a Conferenza Episcopale tenuta ad Assisi il 15
novembre 2005, dove si accusa la pillola RU 486 di banalizzare l’atto abortivo
in quanto “tende a non fare percepire la reale natura dell’aborto, che è e rimane
soppressione di una vita umana innocente”.

83
Parte II • Elementi di biodiritto

questa metodica, senza che la sua introduzione abbia modificato l’anda-


mento del tasso di abortività e il rischio di complicanze”.20
L’introduzione nel nostro Paese della pillola abortiva è stato auspicato
anche dalle rappresentanze istituzionali dei medici.21
Non si comprende in effetti l’ostracismo mostrato nei confronti della
pillola abortiva, inserita ovviamente all’interno delle procedure previste
per l’interruzione volontaria della gravidanza. A questo punto, non si
può non concordare che

“ogni valutazione in merito dipende da una valutazione di costi e benefici sul


piano sanitario”. Anche l’obiezione, spesso operata, sulla maggiore superficialità
che il metodo farmacologico rispetto al metodo chirurgico imporrebbe alla donna,
appare del tutto priva di fondamento. Non si comprende infatti per quale motivo
una donna non sia in grado di ponderare adeguatamente la propria scelta solo per

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la metodologia di interruzione di gravidanza meno invasiva. Anche in questo caso
non si può che concordare con chi ritiene che questa impostazione rivelerebbe una
“considerazione davvero ingenerosa delle scelte delle donne”.22

Secondo alcuni autori l’introduzione della RU 486 avvicina “sempre di


più l’aborto alla contraccezione, dando alla donna il radicale e totale con-
trollo (negativo) della fertilità” e “l’aspetto biologico arretra ulteriormente
rispetto al sociale, segnando, almeno sul piano simbolico, il crollo definitivo
del fronte posto a difesa della concezione tradizionale della famiglia”.23

Per quanto riguarda le norme che disciplinano l’interruzione volon-


taria della gravidanza bisogna distinguere quando l’aborto sia richiesto
entro i primi 90 giorni o successivamente.

Interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni

Art. 4
Può essere richiesta quando la prosecuzione della gravidanza, il parto o la mater-
nità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica, in relazione
al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, o alle
circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o mal-
formazioni del concepito.

20 Ministero della salute, relazione del Ministro della salute sull’attuazione della
legge, cit.
21 Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO),

comunicato del 23 febbraio 2008.


22 Reichlin M., Aborto, la morale oltre il diritto, Carocci, Roma, 2008, p. 152.
23 Mori M., Aborto e morale – capire un nuovo diritto, Einaudi, op. cit., p. 110.

84
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

Si osserva come il ventaglio di possibilità e di circostanze in cui la


donna può richiedere l’interruzione volontaria della gravidanza sia ampio.
In particolare è da sottolineare che il pericolo per la salute fisica o psichica
della donna non è solamente quello derivante dalla prosecuzione della
gravidanza o del parto, ma anche quello derivante dalla maternità.
Una donna che desideri procedere all’interruzione della gravidanza si
deve rivolgere a un consultorio, o a una struttura abilitata dalla Regione,
oppure a un medico di sua fiducia.
Sia il consultorio sia il medico di fiducia devono accertare l’esistenza
dei presupposti di legge e, quando la richiesta di interruzione di gravi-
danza ha motivazioni economiche, devono indicare alla donna le possibili
soluzioni alternative e informarla sui diritti di carattere sociale a cui ha
diritto.

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Particolare discussione è sorta in relazione al problema del coinvolgi-
mento del partner della donna, sentito solo se “la donna lo consente”.
Il ruolo del partner della donna è stato anche oggetto di discussione
di legittimità costituzionale dell’impianto legislativo “nella parte in cui
non riconosce rilevanza alla volontà del padre del concepito, marito
della donna, che chiede di interrompere la gravidanza per violazione
degli articoli 29 e 30 della Costituzione”. La Corte costituzionale, investita
del problema, ha dichiarato la questione prospettata “manifestamente
inammissibile […] in quanto implica scelte discrezionali riservate al le-
gislatore”. La suprema Corte ha avuto modo di sottolineare che la scelta
legislativa “di lasciare la donna unica responsabile della decisione di in-
terrompere la gravidanza, […] non può considerarsi irrazionale in quanto
coerente al disegno dell’intera normativa e, in particolare, all’incidenza,
se non esclusiva sicuramente prevalente, dello stato di gravidanza sulla
salute sia fisica che psichica della donna”.24
Superati questi iter, il medico di fiducia o del consultorio, se riscon-
tra l’esistenza di una situazione di urgenza, rilascia immediatamente
un certificato attestante tale condizione, altrimenti rilascia copia di un
documento, sottoscritto anche dalla donna, attestante lo stato di gravi-
danza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni.
Trascorso tale periodo, la donna può presentarsi presso una delle strutture
autorizzate per sottoporsi a interruzione della gravidanza.
Dunque la legge distingue il “documento” dal “certificato”. Il primo
viene sottoscritto anche dalla donna e attesta lo stato di gravidanza e la
richiesta di interruzione. Il secondo ha natura di vero e proprio certificato
medico in cui devono essere motivate le condizioni cliniche di urgenza. Nel
documento non sono invece previste la specificazioni delle motivazioni.

24 Corte costituzionale, ordinanza 31 marzo 1988, n. 389.

85
Parte II • Elementi di biodiritto

Sostanzialmente, come riconosce la dottrina medico-legale, il docu-


mento costituisce titolo per ottenere l’intervento e di fatto attesta il diritto
di autodeterminazione della donna in ordine alla decisione finale senza
che spetti al medico il reale controllo delle motivazioni addotte.25
Questa interpretazione – di riconoscimento del diritto sostanziale di
autodeterminazione – viene riconosciuta, con accenti ovviamente nega-
tivi, anche dalla dottrina bioetica cattolica che parla della legge 194/1978
come di una “legge non sincera e ingiusta”.26

Interruzione della gravidanza dopo i 90 giorni

Dopo i 90 giorni l’interruzione volontaria della gravidanza può essere

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praticata nei seguenti casi:

1. quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per


la vita della donna;
2. quando siano accertati processi patologici, compresi quelli relativi
a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinano
un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Risulta evidente che l’ambito della norma che disciplina l’aborto oltre
il terzo mese di gravidanza restringe notevolmente i casi in cui la donna
può richiederlo, delimitando la situazione ai casi in cui la prosecuzione
della gravidanza o il parto comportino un “grave pericolo per la vita della
donna” o quando il feto presenti “anomalie o malformazioni” pericolose
per “la salute fisica e psichica della donna”. Quando, in seguito alla pro-
cedura abortiva, vi sia la possibilità di vita autonoma del feto, il medico
“ha l’obbligo di adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del
feto”. Grandi polemiche e dibattito sono sorti intorno a questo punto. Per
gli approfondimenti del caso si rimanda al capitolo 9 sulla rianimazione
dei grandi prematuri.
Abbiamo già precisato che la fonte di riferimento è solo statale e non
possono intervenire le regioni a stabilire limiti non previsti dalla legge
194/1978.27

25 Benciolini P., Aprile A., L’interruzione volontaria della gravidanza, Liviana, Padova,

1990, pp. 48-49.


26 Casini C., A trent’anni dalla legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza,

Cantagalli, Siena, 2008, p. 27.


27 Abbiamo già fatto riferimento al Decreto della Giunta regionale della Lom-

bardia 22 gennaio 2008, n. 327 Atto di indirizzo per l’attuazione della legge 22
maggio 1978 n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione

86
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

L’interruzione volontaria della gravidanza può essere praticata da


medici ginecologi solo nell’ambito dei servizi predisposti all’interno
degli ospedali generali, presso gli ospedali pubblici specializzati e, solo
nei primi novanta giorni, anche presso le case di cura autorizzate dalla
regione.

Interruzione di gravidanza in donna minore

La richiesta di interruzione volontaria della gravidanza deve essere sempre


fatta personalmente dalla donna. Nel caso di donna minore di 18 anni è
richiesto l’assenso di chi esercita la potestà o la tutela. In alternativa
a questo procedimento, in caso di aborto richiesto nei primi 90 giorni, la

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donna può richiedere l’autorizzazione del giudice tutelare. Questo può
avvenire anche in caso di dissenso dei genitori o di non accordo. Il giu-
dice tutelare, entro cinque giorni dalla richiesta, sentita la donna e tenuto
conto della sua volontà e delle motivazioni addotte, può autorizzare l’in-
terruzione volontaria della gravidanza (art. 12). Invece, dopo i primi 90
giorni, alla donna minore si applicano le stesse procedure previste per le
maggiorenni, senza alcun intervento del giudice tutelare.28

Obiezione di coscienza

La definizione concettuale di obiezione di coscienza è un compito non


facile, in quanto si tratta di un fenomeno sociale in evoluzione e difficil-
mente riconducibile a unità.

volontaria della gravidanza” e bocciato dalla giurisprudenza amministrativa. In


relazione all’aborto terapeutico la Regione Lombardia era intervenuta ponendo
dei vincoli non previsti alla legge statale. Riportiamo, per dovere di completezza,
le indicazioni della Regione: “I dati scientifici oggi a disposizione indicano che
a 23 settimane di età gestazionale è possibile la vita autonoma del neonato.
Considerando però che è dimostrato un margine di errore nella datazione della
gravidanza, anche se effettuata in epoca gestazionale precoce, e che la possibilità
di vita autonoma del neonato migliora, tra la 22a e la 24a settimana, del 2-3% per
ogni giorno di gravidanza, si ritiene che l’interruzione di gravidanza di cui all’ar-
ticolo 6b (aborto terapeutico) non debba essere effettuata oltre la 22a settimana
+ 3 giorni, a eccezione dei casi in cui non sussista la possibilità di vita autonoma
del feto, per i quali devono essere fornite cure confortevoli e il nato deve essere
trattato con rispetto e delicatezza”.
28 Aprile A., Ducolin G., Interruzione volontaria della gravidanza: ancora dubbi

su una legge che ha quasi trenta anni, Rivista di diritto delle professioni sanitarie,
2005, 28-32.

87
Parte II • Elementi di biodiritto

Alcuni tratti caratteristici possono comunque essere individuati.29


L’obiezione di coscienza:

1. è un atto tipicamente individuale;


2. è un fenomeno sociale minoritario;
3. è strettamente legata a un sistema di valori;
4. ha un valore sociale.

La situazione che preesiste all’obiezione si concretizza nel conflitto


tra due doveri: uno imposto dallo Stato con una certa cogenza, l’altro con
la propria coscienza e con il proprio sistema di valori lato sensu morali.
Vi sono determinati casi in cui questo conflitto può essere risolto
attraverso l’obiezione di coscienza, cioè attraverso la possibilità che la

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persona possa far prevalere i propri valori rispetto all’osservanza di leggi
dello Stato.
Si può concordare con la presente definizione di obiezione di co-
scienza: “il rifiuto di un comportamento imposto da una norma fonda-
mentale e legittima dello Stato e motivato sulla base di una norma, di
contenuto opposto, interiorizzata dalla coscienza dell’obiettore”.30
Il diritto all’obiezione di coscienza alle procedure abortive è previsto
dall’art. 9 della legge 194/1978.
Data l’importanza e la delicatezza dell’argomento, riteniamo utile
riportare per esteso l’articolo in questione.

Legge 194/1978
Art. 9 – Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a pren-
dere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e agli interventi per l’interruzione
della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiara-
zione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale
e, nel caso di personale dipendente dall’ospedale o dalla casa di cura, anche al
direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal
conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire
prestazioni dirette all’interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una
convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni.
L’obiezione può essere sempre revocata o venire proposta anche al di fuori dei
termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce
effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.

29 Bertolino R., Obiezione di coscienza – profili teorici (voce), Enciclopedia Giuridica

Treccani, Roma, 1991.


30 Palazzo F., Obiezione di coscienza (voce), Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano,

1979, p. 539.

88
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività


ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e ne-
cessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza e non dal-
l’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad as-
sicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art. 7 e l’effettuazione degli
interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste
dagli artt. 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso
la mobilità del personale.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente
le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale
intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha
sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza
previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente.

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Nel nostro ordinamento la possibilità di non adempiere al precetto legi-
slativo è consentita, attraverso l’istituto dell’obiezione di coscienza, solo in
due casi: il servizio militare e l’interruzione volontaria della gravidanza.
Come è stato notato, però, la differenza tra le due situazioni è note-
vole. Nel servizio militare l’obiezione veniva concessa, nel caso dell’in-
terruzione volontaria della gravidanza viene invece -dichiarata. Inoltre
nella prima era richiesta una prestazione sostitutiva dell’obbligo non
soddisfatto, nella seconda no. Queste considerazioni hanno fatto parlare
più che di vera e propria obiezione di coscienza, di “facoltà di scelta”31
e di “cosiddetta obiezione di coscienza”.32
La motivazione di tale differenza risiede, secondo alcuni autori, nel
fatto che l’obiezione al servizio militare incide su un dovere previsto dal-
l’art. 52 della Costituzione, mentre l’obiezione all’interruzione volontaria
di gravidanza “consente di sottrarsi a un dovere professionale scaturente
da una legge ordinaria”.33
Diverso, di conseguenza, è stato il ruolo della giurisprudenza, in
quanto nel caso del servizio militare, essa “si è sforzata di sviluppare e,
talora, correggere le originarie previsioni normative (molto guardinghe
e preoccupate di contenere il fenomeno) in direzione di un sempre più
ampio e incondizionato riconoscimento delle esigenze della coscienza in-

31 Garino V., Obiezione di coscienza (voce), Novissimo Digesto, Appendice V, Torino,

1984, pp. 340 e ss.


32 Mori M., Aborto e obiezione di coscienza – Alcuni spunti di riflessione per

un’eventuale revisione della legge n. 194. Un dibattito connesso alle nuove fron-
tiere della bioetica, Micromega, 1997, 2, 67 e ss.
33 Zanchetti M., La legge sull’interruzione della gravidanza – Commentario sistematico

alla legge 22 maggio 1978, n. 194, Cedam, Padova, 1992, p. 22.

89
Parte II • Elementi di biodiritto

dividuale. Per l’obiezione all’interruzione di gravidanza, invece, di fronte


a un dato normativo già di per sé molto aperto verso gli obiettori, la giu-
risprudenza ha preferito, per lo più, assumere un indirizzo improntato a
notevole prudenza, tendente a contenere e frenare, più che a sviluppare,
le indicazioni favorevoli al riconoscimento delle esigenze di coscienza
contenute nel sistema legislativo”.34
I soggetti autorizzati a chiedere l’obiezione di coscienza sono “il
personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie”. La formulazione
della norma non è tra le più felici e pone dubbi interpretativi in quanto
non vi sono problemi per la dicitura “personale sanitario” in cui si ri-
comprendono generalmente i medici, i biologi ecc. I dubbi nascono per
l’espressione personale “esercente le attività ausiliarie”. Il riferimento
normativo risale all’art. 99 del Testo Unico per le leggi sanitarie del

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1934 che divideva le professioni sanitarie principali (medico, farmacista,
veterinario) dalle professioni sanitarie ausiliarie (ostetrica, infermiere
diplomato) e dalle arti delle professioni sanitarie. Sull’interpretazione
da dare all’espressione in questione la dottrina si è divisa in quanto vi
è chi ricomprende tra i soggetti autorizzati alla richiesta dell’obiezione
di coscienza non soltanto i professionisti sanitari, siano essi laureati
o diplomati, e gli esercenti le arti ausiliarie (infermieri generici), bensì
anche gli esercenti le attività ausiliarie in quanto coinvolti “in qualche
modo in una procedura o un intervento previsto dalla legge 194 (per
esempio, il portantino)”.35 Contraria all’estensione a quest’ultima figura
e a tutte le altre figure che non siano “specificamente e necessariamente”
coinvolte nella pratica abortiva, altra parte della dottrina medico-legale.36
Parte della dottrina include nell’espressione del personale esercente le
attività ausiliarie anche “gli allievi tirocinanti delle scuole per infermieri
professionali e per ostetriche”37 (oggi studenti di corso di laurea). Oggi la
situazione viene riletta alla luce di quanto disposto dall’art. 1 della legge
26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”
che pone fine all’anacronistica distinzione tra le professioni sanitarie non
più suddivise tra “principali” e “ausiliarie”. Per espressa disposizione della

34 Moneta P., Obiezione di coscienza all’interruzione di gravidanza (voce), Enci-


clopedia Giuridica Treccani, Roma, 1991.
35 Zanchetti M., La legge sull’interruzione della gravidanza, op. cit.; Casini C., Cieri

F., La nuova disciplina sull’aborto. Commento alla legge 22 maggio 1978, n. 194,
Cedam, Padova, 1978.
36 Norelli G.A., Riflessioni medico legali sull’esperienza della legge 22 maggio

1978, n. 194, Giustizia penale, 86, I, 1981, pp. 216-223.


37 Benciolini P., Aprile A., L’interruzione volontaria della gravidanza, compiti, pro-

blemi, responsabilità, Liviana, Padova, 1990.

90
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

legge 42/1999 38 la dicitura “professione sanitaria ausiliaria” è oggi sosti-


tuita dalla denominazione pura e semplice di “professione sanitaria”.
L’oggetto dell’obiezione di coscienza è rappresentato dall’esonero
per il personale dal compimento “delle procedure e delle attività specifi-
camente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gra-
vidanza e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.
Sull’individuazione in concreto dei compiti oggetto dell’obiezione di co-
scienza, la dottrina e la giurisprudenza non sono univoche sul punto.
La giurisprudenza amministrativa sembra interpretare in modo più
ampio il diritto all’obiezione di coscienza di quanto non faccia la giuri-
sprudenza penale. La prima, infatti, ha riconosciuto “illegittimo l’ordine
di servizio con cui un ente ospedaliero intima ad alcuni medici addetti
al proprio servizio di analisi che abbiano presentato la dichiarazione di

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obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9 della legge 22 maggio 1978,
n. 194 l’esecuzione di esami di laboratorio preordinati – per indicazione
dello stesso provvedimento – all’interruzione volontaria della gravi-
danza”.39 I giudici penali40 invece hanno condannato un’ostetrica per
omissione o rifiuto di atti d’ufficio, ex art. 328 c.p., che si rifiutava di
preparare il campo sterile per l’esecuzione di un aborto e di procedere
“all’apposizione di una candeletta di laminaria avente la funzione di dila-
tare con gradualità il canale cervicale”, tenendo presente che l’intervento
abortivo sarebbe stato operato all’indomani. La motivazione ha precisato
che per individuare la mansione che può essere oggetto di obiezione
“deve trattarsi di un atto non meramente preparatorio o accessorio, bensì
strettamente attinente al processo propriamente chirurgico con il quale si
determina l’interruzione della gravidanza nelle varie tecniche in uso”.41
Questo perché non deve essere dimenticato che la norma sull’obiezione
di coscienza “è nata per salvaguardare la coscienza e la sensibilità di chi
reputi l’aborto incompatibile con le proprie convinzioni morali, e non
certo per consentire, come pure è notoriamente avvenuto, disoneste
forme di boicottaggio tendenti a perpetuare il ben più remunerativo
mercato degli aborti clandestini”.42

38 Legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizione in materia di professioni sanitarie”:

Art. 1 – La denominazione “professione sanitaria ausiliaria” nel testo unico delle


leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive
modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla deno-
minazione “professione sanitaria”. Omissis.
39 Consiglio di Stato, 10 ottobre 1983, n. 428, Consiglio di Stato, 1983, p. 1027.
40 Pretura di Penne, 6 dicembre 1983, Rivista Italiana di Medicina Legale, 1983, 6,

859-867.
41 Pretura di Penne, loc. cit.
42 Pretura di Penne, loc. cit.

91
Parte II • Elementi di biodiritto

Appare quindi evidente che solo l’attività di strumentista all’intervento


direttamente abortivo può costituire oggetto di obiezione.
Sempre la giurisprudenza penale ha precisato che per l’obiezione di
coscienza devono essere fissati dei “limiti obiettivi con criteri estrema-
mente rigidi” e che “l’obiezione di coscienza si presenta sempre come un
caso eccezionale e, in quanto tale, soggetto a interpretazione soggettiva”.43
L’interpretazione restrittiva viene giustificata dalla ratio stessa della
norma che permette all’obiettore di non adempiere a un dovere previsto
da una legge dello Stato e che, pertanto, l’atto sottoposto a obiezione
deve essere “dotato di una sua intrinseca attitudine a turbare la coscienza
dell’obiettore, ciò che può avvenire solo con l’atto direttamente e astrat-
tamente idoneo a produrre l’evento interruttivo e non certo con attività
preparatorie e fungibili, non dotate di rilevanza causale diretta nel pro-

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cesso di interruzione della gravidanza”.44
La dottrina giuridica ha avuto modo di dire tutto e il contrario di tutto. Vi
è infatti chi ha ritenuto esclusi dall’obiezione di coscienza gli esami clinici
e l’assistenza ospedaliera generica, come in genere qualsiasi prestazione
che possa riferirsi anche a un altro intervento. La dichiarazione di obie-
zione di coscienza viene presentata direttamente dal soggetto interessato
e senza specifica motivazione. La dichiarazione deve essere presentata
entro un mese “dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione
presso un ente tenuto a fornire prestazioni” di carattere abortivo.
Può inoltre essere proposta anche fuori dai termini indicati, “ma in tal
caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presenta-
zione”. In tale periodo si ritiene che il personale sanitario abbia l’obbligo
di partecipare all’evento interruttivo della gravidanza.
Il quinto comma dell’art. 9 della legge 194/1978 opportunamente
esclude dalle attività di esonero all’obiettore i casi in cui “data la parti-
colarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile
per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.
L’obiezione di coscienza si intende revocata se chi l’ha sollevata
prende parte alle procedure abortive. Ferma restando la libertà del per-
sonale sanitario di sollevare obiezione di coscienza, i centri autorizzati,
precisa la legge, “sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento”
delle procedure abortive. La regione in questo caso “controlla e garantisce
l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Quest’ultima
disposizione, nonostante numerose critiche ricevute, è in realtà estre-
mamente chiara e attribuisce il potere-dovere da parte degli enti, oggi in
genere aziende, di spostare il personale obiettore per garantire “comun-

43 Pretura di Ancona, 9 ottobre 1979, Giurisprudenza di merito, 1982, II, 973.


44 Pretura di Penne, loc. cit.

92
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

que” il servizio richiesto. Se questo non fosse sufficiente deve intervenire


la regione attraverso una mobilità del personale tra più aziende.
Questi provvedimenti non devono, però, in alcun caso essere consi-
derati come provvedimenti di carattere sanzionatorio verso coloro che
sollevano obiezione di coscienza, bensì come provvedimenti organiz-
zativi per garantire il servizio.
Tanto è vero che la giurisprudenza45 ha riconosciuto il reato di rifiuto
di atti d’ufficio, ex art. 328 c.p., sia al legale rappresentante dell’ente ospe-
daliero che non ha predisposto i locali e i necessari mezzi e servizi per
l’interruzione volontaria della gravidanza, sia al presidente e all’assessore
regionale della sanità che non hanno adempito ai compiti di controllo e
di garanzia attraverso la mobilità del personale.
Anche i codici deontologici delle professioni della salute si occupano

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di obiezione di coscienza con modalità e toni diversi. Riportiamo per
esteso i codici deontologici della Federazione dei medici, degli infermieri
e delle ostetriche.

Codice di deontologia medica, FNOMCeO 2006


Art. 43 – Interruzione volontaria di gravidanza
L’interruzione della gravidanza, al di fuori dei casi previsti dalla legge, costituisce
grave infrazione deontologica tanto più se compiuta a scopo di lucro.
L’obiezione di coscienza del medico si esprime nell’ambito e nei limiti della legge
vigente e non lo esime dagli obblighi e dai doveri inerenti alla relazione di cura
nei confronti della donna.
Codice deontologico dell’infermiere, IPASVI 1999
Art. 2.5. – Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche, l’infermiere
si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. In presenza di volontà pro-
fondamente in contrasto con i principi etici della professione e con la coscienza
personale, si avvale del diritto all’obiezione di coscienza.
Codice deontologico dell’ostetrica, FNCO 2000
Art. 3.4 – L’interruzione della gravidanza, al di fuori dei casi in cui è ammessa dalla
legge, costituisce grave infrazione deontologica specialmente se compiuta a scopo
di lucro.
L’ostetrica/o obiettore di coscienza può rifiutarsi di intervenire nella interruzione
volontaria della gravidanza, sempreché non sussista una situazione di imminente pe-
ricolo per la vita della donna che non possa essere fronteggiata da altra collega.

Si può notare che mentre i codici dei medici e delle ostetriche con-
tengono norme specifiche sull’obiezione di coscienza in merito all’in-
terruzione di gravidanza, il codice degli infermieri utilizza l’espressione

45 Pretura di Milano, sentenza 27 gennaio 1981, Foro italiano, 1981, II, 311.

93
Parte II • Elementi di biodiritto

“obiezione di coscienza” in modo più ampio. Comunque le norme di


medici e ostetriche, figure professionali decisamente più coinvolte nel
processo, sono sostanzialmente sovrapponibili e di richiamo al dettato
legislativo.
L’obiezione di coscienza mostra una tendenza all’aumento e registra,
nel territorio nazionale, una percentuale del 70% per i ginecologi, del 50%
per gli anestesisti e del 42% per infermieri e ostetriche. La distribuzione
degli obiettori sul territorio nazionale varia – se prendiamo a riferimento
i ginecologi – con punte di astensione vicine e superiori all’80% in regioni
come il Veneto, la Sicilia e la Puglia.46
Per quanto riguarda le problematiche relative all’obiezione di co-
scienza nella contraccezione di emergenza – la cosiddetta pillola del
giorno dopo – si rimanda al capitolo 6 sulla contraccezione.

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aborto clandestino

La legge 194/1978 al suo varo aveva come obiettivo, tra gli altri, quello di
eliminare la piaga dell’aborto clandestino, cioè di quei procedimenti di
interruzione della gravidanza illeciti o che addirittura la donna si “auto-
procurava”.
I mezzi abortivi vengono distinti, dalla letteratura medico-legale, a
seconda del meccanismo di azione, in psichici, chimici e fisici .47
I mezzi psichici sono considerati inefficaci e consistono nel provo-
care uno stimolo emozionale che, in donne predisposte, può dare luogo
a contrazioni uterine.
I mezzi chimici, di vario tipo, provocano l’interruzione della gravi-
danza tramite l’aumento del flusso mestruale e la congestione dell’endo-
metrio tale da provocare “il distacco, per emorragia, dell’uovo annidato”.
Altri si caratterizzano per la capacità di stimolo della contrattilità uterina,
provocando l’espulsione dell’uovo. Sono mezzi chimici la cantaride, il
solfato di magnesio, gli estratti di ruta, di rosmarino, di tabacco, di bella-
donna, di prezzemolo. Molti di questi mezzi hanno effetti tossici a livello
epatico e renale. Più fisiologici come abortivi sono gli ormoni, come
l’ossitocina e la prostaglandina.
Tra i mezzi fisici si distinguono i mezzi indiretti, non considerati
efficaci, come gli strapazzi fisici e sessuali, gli sforzi ripetuti, la com-

46 Ministerodella salute, relazione del Ministro della salute sull’attuazione della


legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione
volontaria della gravidanza, 21 aprile 2008.
47 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, Esculapio, Bologna, 1996.

94
L’interruzione volontaria della gravidanza • Capitolo 7

Procedimento
per L’interruzione volontaria della gravidanza (IVG)
di una donna maggiorenne richiesta entro 90 giorni

Richiesta personale della donna a un


medico di sua fiducia o a un consultorio

Il medico valuta l’esistenza dei presup-


posti di legge e, quando la richiesta di
IVG ha motivazioni economiche, deve
indicare alla donna le soluzioni alterna-
tive e i diritti di carattere sociale previsti

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Se il medico riscontra una situazione Se il medico non riscontra una situa-
di urgenza, rilascia immediatamente il zione di urgenza, rilascia una copia
certificato valido per l’IVG di un documento firmato anche dalla
donna e la invita a soprassedere per
sette giorni. Dopo sette giorni la donna
può presentarsi in una delle strutture
autorizzate per l’IVG

Procedimento
per L’interruzione volontaria della gravidanza (IVG)
di una donna minore di anni 18

Richiesta personale della donna

Assenso di coloro che esercitano la La donna può richiedere l’autorizza-


potestà genitoriale o la tutela zione al giudice tutelare

entro 5 giorni

Il giudice tutelare, sentita la donna e te-


nuto conto della sua volontà, può auto-
rizzare l’interruzione della gravidanza

95
Parte II • Elementi di biodiritto

pressione addominale ecc., e i mezzi indiretti. Quest’ultimi consistono


nell’iniezione di liquidi, nell’introduzione di corpi estranei e nei mezzi
transparietali come “la spremitura, il massaggio e la contusione del-
l’utero praticati attraverso la parete addominale”; questi ultimi possono
provocare gravi lesioni fino alla morte. Essendo oggi sostanzialmente
legalizzata l’interruzione volontaria della gravidanza vengono punite
solo particolari ipotesi di aborto, tra le quali spiccano, per ordine di
importanza:

a) chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza le procedure


indicate dalla legge 194 (la donna viene punita solo con una multa
fino a centomila lire, mentre il medico, o altra persona che cagiona
l’interruzione, viene punito con una pena fino a tre anni);

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b) chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso
della donna;
c) chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza a seguito di lesioni
personali dolose.

96
Capitolo

8
La procreazione
medicalmente assistita

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Le cause di infertilità e sterilità
e le tecniche di fecondazione assistita

La procreazione assistita è uno degli argomenti più roventi su cui la so-


cietà civile, il mondo professionale sanitario, gli esperti di bioetica, i giu-
risti, i filosofi e i politici si sono confrontati e scontrati negli ultimi anni.
Il desiderio di genitorialità oggi può essere ottenuto con una pluralità di
tecniche laddove i metodi naturali non riescono ad avere effetti positivi.
Le cause della sterilità sono di vario tipo e non sempre la statistica e la
letteratura medica riescono a fornire cifre omogenee. A puro titolo cono-
scitivo riportiamo la tabella tratta dal D.M. 11 aprile 2008, che espone le
“Linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita” emanate
ai sensi dell’art. 7, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 “Norme
in materia di procreazione medicalmente assistita”.

Causa di sterilità Spira Collins


Frequenza Frequenza
Fattore femminile 57% 54%
Difetto ovulatorio 29% 27%
Fattore tubarico 16% 22%
Endometriosi 7% 5%
Fattore cervicale 2% –
Fattore uterino 3% –
Fattore maschile 21% 25%
Sterilità inspiegata 4% 17%
Fattore maschile-femminile 18% –
Altri 4% –

97
Parte II • Elementi di biodiritto

Altre fonti danno dati diversi: sterilità maschile 35%, sterilità femminile
meccanica 40%, sterilità femminile ormonale 15%, sterilità immunologica
e di coppia 2% e sterilità da cause ignote 8%.1
Nella letteratura medica si suole distinguere i concetti di infertilità e di
sterilità. Generalmente – riferendosi alla coppia e non ai singoli componenti
di essa – per infertilità si intende la situazione nella quale una coppia “non
è stata in grado di concepire e procreare un bambino dopo un anno o più
di rapporti sessuali non protetti”; per sterilità si intende invece la situazione
nella quale “uno o entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica
permanente che non rende possibile la procreazione”. Nelle linee guida
ministeriali i due termini sono stati usati come sinonimi e la definizione
ministeriale omnicomprensiva recita testualmente: “viene definita sterilità
(infertilità) l’assenza di concepimento, oltre ai casi di patologia riconosciuta,

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dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali”.
Dopo una discussione durata molti anni, il Parlamento ha varato una
legge che non ha fatto cessare le polemiche già esistenti sulla questione.
D’altra parte, ogni qualvolta si tenti di regolare una materia legata a
questioni biogiuridiche – quali l’interruzione volontaria della gravidanza,
la procreazione assistita, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia ecc. – le
posizioni si radicalizzano in uno schema ormai consolidato nel nostro
Paese. Da un lato, la posizione sostanzialmente riconducibile agli inse-
gnamenti della religione cattolica – che sostiene l’intangibilità della vita
sin dall’inizio, il riconoscimento del diritto naturale e il non intervento
dell’uomo – dall’altro, la scuola laica che invece difende la liceità di
questo intervento.
Sono ben note le tradizionali avversità della chiesa cattolica in mate-
ria. Non si tratta soltanto di obiettare le posizioni legate alla fecondazione
di tipo eterologo, ma di avanzare riserve anche rispetto alla fecondazione
omologa,2 con particolare riguardo alla dissociazione tra raccolta del
seme e atto sessuale.

1 Flamigni C., La procreazione assistita, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 16.


2 Il riferimento è al documento della Congregazione della dottrina della Fede,
al punto 6, rubricato “Come valutare dal punto di vista morale l’inseminazione
artificiale omologa?”. Si specifica che “L’inseminazione artificiale sostitutiva
dell’atto coniugale è proibita in ragione della dissociazione volontariamente
operata tra i due significati dell’atto coniugale. La masturbazione, mediante la
quale viene normalmente procurato lo sperma, è un segno di tale dissociazione;
anche quando è posto in vista della procreazione, il gesto rimane privo del suo
significato unitivo: gli manca [...] la relazione sessuale richiesta dall’ordine mo-
rale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l’integro senso della
mutua donazione e della procreazione umana”, 1987, in http://www.vatican.
va. Vedi anche i commenti dei più autorevoli esponenti della Chiesa cattolica,

98
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

Il punto di vista laico parte invece da presupposti diversi legati alla


“libertà e autonomia della persona nelle scelte fondamentali della no-
stra Costituzione, nella garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2),
nel principio di non discriminazione (art. 3), nella garanzia della libertà
personale (art. 13)”.3
Preliminarmente all’esame del testo legislativo è utile richiamare
quanto le linee guida riportano in merito alle diverse tecniche di pro-
creazione medicalmente assistita.

Tecniche di I livello

• Inseminazione sopracervicale in ciclo naturale eseguita utilizzando

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tecniche di preparazione del liquido seminale;
• induzione dell’ovulazione multipla associata a inseminazione sopra-
cervicale eseguita utilizzando tecniche di preparazione del liquido
seminale;
• eventuale crioconservazione dei gameti maschili.

Tecniche di II livello
(procedure eseguibili in anestesia locale e/o sedazione profonda)

• Fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione (FIVET);


• iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI);
• prelievo testicolare dei gameti (prelievo percutaneo o biopsia testi-
colare);
• eventuale crioconservazione di gameti maschili e femminili ed em-
brioni (nei limiti delle normative vigenti);
• trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili (GIFT),
zigoti (ZIFT) o embrioni (TET) per via transvaginale ecoguidata o
isteroscopica.

come Tettamanzi L., Dizionario di bioetica, Piemme, Casale Monferrato, 2002, pp.
232-234; e Sgreccia E., Manuale di bio­etica, Vita e Pensiero, Milano, 1999, pp. 515-
520. Queste preoccupazioni di ordine etico, morale e religioso sono state frutto
anche di un Parere del Comitato Nazionale di Bioetica, Problemi della raccolta e
trattamento del liquido seminale umano per finalità diagnostiche, 5 maggio 1991,
in http://www.governo.it/bioetica.
3 Ferrando G., Libertà, responsabilità e procreazione, Giuffrè, Milano, 1999, p. 309.

99
Parte II • Elementi di biodiritto

Tecniche di III livello


(procedure che necessitano di anestesia generale con intubazione)

• Prelievo microchirurgico di gameti dal testicolo;


• prelievo degli ovociti per via laparoscopica;
• trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili (GIFT),
zigoti (ZIFT) o embrioni (TET) per via laparoscopica.

La normazione legislativa E LE LINEE GUIDA

La legge 19 febbraio 2004, n. 40 “Norme in materia di procreazione me-


dicalmente assistita” è la legge di rango primario che regolamenta le

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procedure di fecondazione in Italia. La legge prevede, all’art. 7, l’ema-
nazione da parte del Ministero della salute, con la forma del decreto
ministeriale, di linee guida “contenenti l’indicazione delle procedure e
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”. Le linee guida, di
durata triennale, precisa la legge, “sono vincolanti per tutte le strutture
autorizzate” e vengono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni,
in relazione all’evoluzione tecnico-scientifica.
Le prime linee guida furono approvate immediatamente dopo la legge
e recepite con il D.M. 16 dicembre 2004, n. 336 “Regolamento recante
norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. Recentemente
sono state rinnovate attraverso il D.M. 11 aprile 2008 denominato “Linee
guida in materia di procreazione medicalmente assistita”.
Come vedremo, si sono create delle discrepanze tra il testo legislativo
e le linee guida, su cui si è espressa più volte la giurisprudenza. Ricor-
diamo che la legge è stata – in alcune sue parti – sottoposta a referendum
abrogativo che non ha avuto effetto per il mancato raggiungimento del
quorum del 50% dei votanti.4

4 I referendum, consistenti in quattro quesiti abrogativi, si sono svolti il 12 e il 13


giugno 2005 e puntavano sostanzialmente ad abrogare le parti relative al divieto
di crioconservazione, al divieto di formazione di più di tre embrioni, all’obbligo
di impiantare con un unico e contemporaneo impianto gli embrioni formati, ad
abrogare il vincolo di utilizzare le tecniche di procreazione assistita solo per
curare i problemi legati alla sterilità o alla infertilità e ad abrogare il divieto di
fecondazione di tipo eterologo. Non furono invece ammessi al referendum ipotesi
di abrogazione totale della legge in quanto, ha specificato la Corte Costituzionale
con la sentenza 28 gennaio 2005, n. 45, non è possibile abrogare l’intera materia
in quanto attiene a una normativa “costituzionalmente necessaria”.

100
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

Le finalità e l’accesso alle tecniche di procreazione assistita

La legge all’art. 1 testualmente recita:

1. Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità


o dall’infertilità umana, è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente
assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge,
che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
2. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non
vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o
infertilità.

Su questo articolo si sono appuntate le critiche di buona parte della

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dottrina giuridica che lo ritiene privo di costituzionalità laddove parifica
“i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Il riferimento è
alla storica sentenza della Corte cosituzionale che non ammise l’equiva-
lenza tra “il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute proprio di chi
è persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona
deve ancora diventare”.5 Una stretta equivalenza tra la salute e la vita
di chi è già persona e chi persona non è, pone problemi di violazione
dell’art. 2 della Costituzione.
L’art. 4 disciplina, invece, l’accesso alle tecniche di procreazione
precisando che il ricorso a tali tecniche è consentito solo “quando sia
accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della
procreazione, ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infer-
tilità inspiegate documentate da atto medico, nonché ai casi di sterilità
o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.6 Le linee
guida del 2008, diversamente da quelle emanate nel 2004, precisano
che la certificazione dello stato di infertilità deve essere effettuata da
specialisti competenti – in genetica, ginecologia, endocrinologia e uro-
logia – “tenendo anche conto di quelle peculiari condizioni”, quali essere
portatori di malattie virali sessualmente trasmissibili (come per esempio
le infezioni da HIV, HBV o HCV) che comportano – dato l’elevato rischio
per la madre o per il feto – una condizione di infecondità.
Le tecniche di procreazione devono essere attuate in base ai principi di
gradualità, di minore invasività e al consenso informato della coppia.

5 Corte costituzionale, sentenza 19 febbraio 1975, n. 57.


6 In realtà l’espressione “certificata da atto medico” è sovrabbondante, posto
che questo tipo di certificazione costituisce l’atto di scienza richiesto al medico.
Se la certificazione è atto medico, non si capisce bene cosa abbia voluto dire il
legislatore con questa espressione.

101
Parte II • Elementi di biodiritto

Per quanto attiene ai requisiti soggettivi per l’accesso alle tecniche,


l’art. 5 stabilisce che “possono accedere alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate
o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Registriamo delle novità rispetto all’impostazione che, su casi simili,
ha avuto il legislatore. In primo luogo vi è il riconoscimento della cop-
pia di fatto che aspira a diventare una famiglia di fatto. La convivenza
– generalmente more uxorio – non è preclusiva all’accesso alle tecniche
come lo è invece l’adozione. In questo caso, quindi, il legislatore, più che
attenersi a una famiglia ideale non sempre esistente, ha riconosciuto
una parte dei modelli normativi familiari.7 D’altra parte si osserva che la
procreazione naturale di una coppia non unita in matrimonio è del tutto
lecita e pone di fatto i figli della coppia alla pari dignità e tutela dei figli

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nati in costanza di matrimonio: non si vede pertanto quale giustificazione
possa essere data per la negazione di accesso a una terapia.8
Precedenti disegni di legge stabilivano il requisito della stabilità della
convivenza, requisito oggi non presente nelle lettera della legge. Anche
il codice di deontologia medica fa specifico riferimento alla stabilità della
convivenza.9
Rimane invece fermo il divieto per l’accesso alle tecniche di procrea-
zione medicalmente assistita per le donne single e le coppie omosessuali.
In questo caso vi è da registrare una differenza tra la procreazione naturale
e la procreazione artificiale. È stato infatti osservato che “uomini e donne

7 Naddeo F., Accesso alle tecniche, in Stanzione P., Sciancalepore G., Procreazione
assistita – commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Giuffrè, Milano, 2004, p.
57.
8 I timori sono stati giustificati dalla possibile “degiuridizzazione del matrimonio

legale” in contrasto con l’art. 29 della Costituzione. Vedi Palazzani L., La legge
italiana sulla procreazione assistita: aspetti filosofico-giuridici, Diritto di famiglia
e delle persone, 1999, p. 746 e ss.
9 FNOMCeO, Codice di deontologia medica, 1998, art. 42 “Fecondazione assistita”:

“Le tecniche di procreazione umana medicalmente assistita hanno lo scopo di


ovviare alla sterilità. è fatto divieto al medico, anche nell’interesse del bene del
nascituro, di attuare:
– forme di maternità surrogata;
– forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili;
– pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce;
– forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner.
È proscritta ogni pratica di fecondazione assistita ispirata a pregiudizi razziali; non è
consentita alcuna selezione dei gameti ed è bandito ogni sfruttamento commerciale,
pubblicitario, industriale di gameti, embrioni e tessuti embrionali o fetali, nonché la
produzione di embrioni ai soli fini di ricerca. Sono vietate pratiche di fecondazione
assistita in studi ambulatori o strutture sanitarie privi di idonei requisiti”.

102
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

single, quale che sia il loro orientamento sessuale, possono avere figli in
relazioni stabili o in incontri occasionali”.10 Questo principio di libertà nella
procreazione viene di fatto negato quando il concepimento non sia frutto
di una relazione sessuale, ma avvenga grazie all’intervento medico.
L’ultimo comma dell’art. 4 pone il divieto a tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo.

La diagnosi pre-impianto

La diagnosi pre-impianto è volta a stabilire eventuali malformazioni del


nascituro. Le posizioni sulla materia sono note e vedono la bioetica
cattolica decisamente contraria in base agli insegnamenti sul rispetto

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della legge naturale e, di contro, la bioetica laica favorevole in base al
principio di autodeterminazione.
La legge 40/2004, all’art. 13 dispone:

È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.


La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a con-
dizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche a
essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e
qualora non siano disponibili metodologie alternative.
Sono, comunque, vietati:
a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comun-
que a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero
interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque
tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico
dell’embrione o del gamete, ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche,
a eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al
comma 2 del presente articolo.

Le linee guida del 2004, le prime emanate in applicazione della legge,


e oggi superate dalle linee guida del 2008, oltre a riproporre il testo let-
terale della norma, avevano precisato:

È proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica.


Ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi
dell’articolo 14, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale.

10 Ferrando G., Libertà, responsabilità e procreazione, op. cit.

103
Parte II • Elementi di biodiritto

Qualora dall’indagine vengano evidenziate gravi anomalie irreversibili dello svi-


luppo di un embrione, il medico responsabile della struttura ne informa la coppia
ai sensi dell’articolo 14, comma 5.
Ove in tal caso il trasferimento dell’embrione, non coercibile, non risulti attuato, la
coltura in vitro del medesimo deve essere mantenuta fino al suo estinguersi.

Sin dall’inizio, le linee guida del 2004 apparvero come più restrittive
del dettato legislativo. D’altra parte l’espressione “diagnosi pre-impianto”
fa la sua comparsa solo nelle linee guida e non nel testo legislativo. Que-
sto ha provocato l’intervento della magistratura amministrativa11 che ha
annullato le linee guida per illegittimità rispetto alla legge 40 in quanto,
mentre la legge consente la ricerca clinica e sperimentale su ciascun
embrione umano, sia pure per finalità esclusivamente terapeutiche e

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diagnostiche volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione
stesso, e si consentono interventi aventi finalità diagnostiche e terapeu-
tiche, sempre al medesimo scopo, nelle linee guida tale possibilità viene
contratta al punto di essere limitata alla sola osservazione dell’embrione.
La contrazione operata dalle linee guida del 2004 contrasta con la legge
40 perché è solo il legislatore, e non il ministero con un regolamento,
a dovere eventualmente contrarre tale possibilità, del resto ammessa
dall’attuale testo della legge stessa.
Anche la magistratura ordinaria è intervenuta sul punto12 censurando
le linee guida del 2004 in quanto all’art. 14 della legge stessa si dà la pos-
sibilità ai genitori di conoscere “lo stato di salute degli embrioni prodotti”.
Argomenta il Tribunale di Firenze che tale “informazione non può essere
collegata a una fatua curiosità dei futuri genitori, ma deve evidentemente
essere posta in relazione alla necessità che i trattamenti terapeutici siano
accompagnati dalla informazione necessaria a esprimere il necessario
consenso” arrivando a richiamare la legge 194/1978 sull’interruzione
della gravidanza che consente la diagnosi prenatale. Se esami invasivi
sul feto vengono riconosciuti e praticati, sottolinea la giurisprudenza, a
maggiore ragione dev’essere riconosciuta la diagnosi “alla donna alla
quale l’impianto non è stato ancora praticato”. Conclude il Tribunale di
Firenze che è da considerarsi “irrazionale, ma addirittura fuori dal senso
morale è semplicemente pensare che si debba procedere all’impianto per
poi, successivamente, alla valutazione clinica del feto, procedere a un
aborto, che questa sarebbe la conseguenza del riconoscere l’esistenza
di un divieto di diagnosi preimpianto nella legge 2004”.13

11 TAR del Lazio, sede di Roma, sezione III quater, sentenza 31 ottobre 2007.
12 Tribunale di Cagliari, 22 settembre 2007; Tribunale di Firenze, 17 dicembre 2007.
13 Tribunale di Firenze, sentenza 17 settembre 2007, cit.

104
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

Coerentemente con queste decisioni giurisprudenziali, le linee guida


del 200814 hanno eliminato le limitazioni della ricerca clinica e sperimen-
tale sugli embrioni riferite alla pura pratica osservazionale. Quindi oggi
è consentita la diagnosi pre-impianto.

La conservazione e l’impianto degli embrioni

L’articolo 14 della legge 40/2004 denominato “Limiti all’applicazione


delle tecniche sugli embrioni” recita testualmente:

1. È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando


quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.

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2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnico-
scientifica e di quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, non devono creare
un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario a un unico
e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre.
3. Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave
e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna
non prevedibile al momento della fecondazione, è consentita la crioconserva-
zione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non
appena possibile.
4. Ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è vietata
la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla
legge 22 maggio 1978, n. 194.
5. I soggetti di cui all’articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta,
sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero.
6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi precedenti
è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50 000 a 150 000
euro.
7. È disposta la sospensione fino a un anno dall’esercizio professionale nei con-
fronti dell’esercente una professione sanitaria condannato per uno dei reati di
cui al presente articolo.
8. È consentita la crioconservazione dei gameti maschile e femminile, previo
consenso informato e scritto.
9. La violazione delle disposizioni di cui al comma 8 è punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 5 000 a 50 000 euro.

Una delle disposizioni più controverse riguarda il divieto della criocon-


servazione e della soppressione degli embrioni, fatte salve ovviamente le

14 D.M. 11 aprile 2008 “Linee guida in materia di procreazione medicalmente as-


sistita”.

105
Parte II • Elementi di biodiritto

previsioni della legge 194/1978 riguardo all’interruzione volontaria della


gravidanza. Anche questa norma non appare coerente con l’ordinamento
generale e alogica per quanto riguarda l’interesse generale. Non appare
coerente in quanto l’embrione impiantato, come abbiamo già visto, può
essere soppresso in una forma di vita maggiore (il feto). Alogica in quanto
porta di fatto all’estinzione degli embrioni formati nella previgente nor-
mativa (o più correttamente in assenza di normativa).
Inoltre non deve essere creato un numero di embrioni superiore a
quello strettamente necessario a un unico e contemporaneo impianto,
comunque non superiore a tre. Anche tale disposizione pone problemi
di legittimità costituzionale nel momento in cui alla salute della donna,
che si deve sottoporre a pesanti terapie per la stimolazione ovarica, il
legislatore dà la preferenza all’embrione, equiparando quindi donna ed

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embrione, già negata trent’anni orsono dalla Corte costituzionale nella
già citata storica sentenza.
Non vi può essere in effetti uguaglianza tra la posizione dell’embrione
– che può essere fecondato anche solo in provetta – e la posizione della
madre. Queste preoccupazioni sono state fatte proprie dal TAR del Lazio
che ha rimandato la questione alla Corte Costituzionale con le seguenti
argomentazioni:

[…….]
Ed invero, nel caso di impianto contemporaneo di due o tre embrioni, la legge
ammette implicitamente che nel caso in cui un solo embrione dia luogo a una
gravidanza, gli altri possano disperdersi.
Ora, l’ammissione di tale implicita possibilità non può che trovare la sua giustifi-
cazione, come prima accennato, nella necessità di assicurare concrete attese di
gravidanza della donna che si sottopone al procedimento di procreazione medi-
calmente assistita.
Si consente un impianto di embrioni fino a tre nella speranza che almeno uno
vada a buon fine.
Se fosse stata riconosciuta, all’embrione, una tutela estesa fino alla sua latitudine
massima, allora la disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo 14 avrebbe
dovuto consentire la produzione e l’impianto di un solo embrione alla volta al fine
di evitare il sacrificio degli altri contemporaneamente impiantati.
Ammettere, come ha fatto la legge n. 40 del 2004, all’articolo 14, comma 2, la
possibilità di un impianto di più embrioni (fino a un massimo di tre) nella consa-
pevolezza che alcuni di essi potranno disperdersi significa accettare che per una
concreta aspettativa di gravidanza è necessario procedere a un impianto superiore
all’unità e accettare, altresì, che alcuni di essi o anche uno solo oltre a quello che
dà luogo a una gravidanza, possano andare dispersi.
Del resto, nel caso di totale insuccesso di un tentativo, la tutela piena e incon-
dizionata dell’embrione avrebbe dovuto comportare il divieto di ripetizione del

106
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

procedimento, atteso che nell’ammissione di tale ripetizione c’è l’accettazione


della possibile perdita di uno o di tutti gli embrioni impiantati se all’impianto non
segue la gravidanza tutte le volte che si ripete il tentativo.
Nelle situazioni appena descritte la legge consente che la tutela dell’embrione
affievolisca per lasciare spazio al fine perseguito che è quello di consentire il
ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita garantita da concrete
speranze di successo.
Infatti, è per favorire concrete speranze di gravidanza che si ammette l’impianto
di tre embrioni, pur sapendo che in parte o tutti possono perdersi, ed è sempre
per consentire un’aspettativa di gravidanza che si consente il ricorso ripetuto alle
tecniche disciplinate dalla legge n. 40 del 2004.
Ora, se tale argomento si rivela corretto, nel senso che finalità della legge è quella
di individuare un giusto bilanciamento tra l’interesse di tutela dell’embrione e
quello di tutela dell’esigenza di procreazione, allora non si comprende la ragione
della previsione che impone la produzione di embrioni in numero tale da rendere

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possibile l’effettuazione di un unico impianto e comunque in numero non superiore
a tre e la ragione del sostanziale divieto di crioconservazione, ammessa nella sola
ipotesi di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna insorto successi-
vamente alle fecondazione.
Si tratta di norme, quelle contenute nei commi 2 e 3 dell’articolo 14 nella parte
sopra esaminata, che non sembrano collocarsi nella scia del fine che la stessa
legge afferma di voler perseguire nella misura in cui appaiono svincolate da ogni
valutazione sulla concreta possibilità di successo della pratica da effettuare, ma
si preoccupano, eminentemente, di evitare che attraverso la produzione di un
numero di embrioni superiore a tre – come massimo impiantabile anche alla luce
della pratica seguita prima della legge n. 40 del 2004 – si possa rendere necessario
il ricorso alla crioconservazione.
Se la tutela dell’embrione non è assoluta ma si spinge fino al punto di assicurare
concrete aspettative di gravidanza secondo quanto è stato esposto finora, allora
la legge n. 40 del 2004 con le norme che si commentano non avrebbe dovuto
escludere la possibilità di consentire l’accertamento delle molte variabili che ac-
compagnano la vicenda della procreazione assistita, quali per esempio la salute
e l’età della donna interessata e la possibilità che la donna produca embrioni
non forti intendendo con ciò non quelli che sono capaci di produrre una “razza
migliore” – espressamente e giustamente vietata dalla legge n. 40 del 2004 –, ma
semplicemente quelli che si possono rivelare più idonei a realizzare il risultato della
gravidanza e della procreazione.
In tali ipotesi, venendo meno la correlazione necessaria tra affievolimento e concrete
aspettative di gravidanza, pur ricorrendosi a un impianto degli embrioni nel numero
consentito dalla legge, l’impianto degli embrioni in un numero predeterminato dalla
legge può rivelarsi un inutile sacrificio dei primi proprio a causa delle fortemente di-
minuite probabilità di successo della tecnica di procreazione medicalmente assistita.
Si ammette, insomma, non un affievolimento della tutela dell’embrione in presenza
di un risultato possibile, ma un sostanziale sacrificio di esso a fronte di un risultato
fortemente improbabile.
In ciò, sembra al Collegio, che le due disposizioni rivelino la loro intrinseca irra-
gionevolezza.

107
Parte II • Elementi di biodiritto

Né tale situazione può ritenersi insussistente a causa del numero variabile da uno
a tre degli embrioni impiantabili sulla scorta del comma 2, dell’articolo 14 della
legge n. 40 del 2004, i quali consentirebbero quella variabilità indispensabile per
tener conto nella giusta misura della diversità di condizioni della donna.
La previsione del comma 2 dell’articolo 14 della legge n. 40 del 2004, sulla base
della pratica seguita fino alla sua introduzione, tende ad assicurare concrete pos-
sibilità di gravidanza alle persone di medie condizioni fisiche, mentre non fornisce
la medesima possibilità, nel senso che non la assicura nei confronti delle donne
non giovani o di quelle che non riescono a produrre contestualmente tre embrioni
di buona qualità nei sensi prima precisati. E in ciò si rivela, inoltre, la disparità di
trattamento dovuta alla circostanza che situazioni diverse debbono soggiacere allo
stesso trattamento predeterminato per legge.
La predeterminazione del numero degli embrioni producibili e successivamente
impiantabili, imposta dalla norma in modo aprioristico e a prescindere da ogni

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concreta valutazione del medico curante, sulla persona che intende sottoporsi al
procedimento di procreazione medicalmente assistita, appare rivelarsi non in linea
con quel bilanciamento di interessi (tutela dell’embrione – procreazione) che la
legge n. 40 del 2004 sembra voler perseguire.
E ancora, non tiene in nessuna considerazione la circostanza che nel caso della
procreazione medicalmente assistita, la cui peculiarità e delicatezza non vogliono
essere disconosciute, si è in presenza di un trattamento sanitario, vale a dire di
una “pratica terapeutica tesa a sopperire ad alterazioni dell’organismo” per la cui
somministrazione dovrebbe essere riconosciuta, al medico curante, la possibilità
di una valutazione del singolo caso sottoposto al trattamento.
Ma le disposizioni di cui si discute sembrano incorrere anche in un contrasto con
il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione.
Infatti, la limitazione del numero degli embrioni producibili e contestualmente im-
piantabili e il divieto della loro crioconservazione – se non nella circoscritta ipotesi
prima descritta – comporta che nell’ipotesi, tutt’altro che improbabile, di un tentativo
non andato a buon fine è necessario assoggettare la donna a un successivo tratta-
mento ovarico, a una pratica medica che comporta in sé il rischio della sindrome
da iperstimolazione ovarica e che trova nella legge, e non in esigenze di carattere
medico il suo fondamento. Pratica che, oltre a prescindere da ogni valutazione sulle
conseguenze sul piano fisico e psicologico della paziente a essa sottoposta, appare
addirittura in contrasto con i principi ai quali la legge n. 40 del 2004 dichiara di vo-
lersi ispirare, e che risultano espressamente enunciati nell’articolo 4, comma 2, lettera
a) nella parte in cui si afferma che uno dei principi di applicazione delle tecniche di
procreazione medicalmente assistita è quello della “minore invasività”.
Non sembra che possa ritenersi tale la limitazione della produzione del numero
degli embrioni e il divieto di crioconservazione di quelli eventualmente non im-
piantati che può comportare, nelle ipotesi tutt’altro che infrequenti di insuccesso del
tentativo, la ripetizione del procedimento a partire proprio dal trattamento ovarico
secondo quanto è stato appena esposto.
Tutto questo in presenza, peraltro, di una garanzia di tutela dell’embrione che la
stessa legge n. 40 del 2004 non riconosce in via assoluta.

108
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

Quindi tutela “affievolita” dell’embrione a favore del successo della


tecnica procreativa. Su questi aspetti giudicherà la Corte costituzio-
nale.
Solo qualora “il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti
possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo
stato di salute della donna non prevedibile al momento della feconda-
zione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla
data del trasferimento, da realizzare non appena possibile”.
Questo fatto non determina di per se alcun cambiamento o alcun
arresto automatico della procedura. Le linee guida hanno comunque
modo di precisare che nel caso di scoperta dalla pura osservazione del-
l’embrione di gravi anomalie, la coppia decida – in violazione del divieto
di revoca del consenso – il non impianto, questo non può essere “coerci-

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bile”. In tale caso l’embrione viene mantenuto in vita in vitro fino al suo
estinguersi. Anche in questo caso nessun possibile uso ai fini di ricerca
dell’embrione stesso.
È infine vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, anche
in questo caso fatto salvo quanto previsto dalla legge 194/1978.

La fecondazione omologa e la fecondazione eterologa

Le tecniche di procreazione assistita si distinguono, tra le altre classi-


ficazioni, a seconda che il seme o l’ovulo utilizzati nella fecondazione
appartengano o meno alla coppia dei genitori del nascituro.
Una fecondazione si definisce “omologa” quando il seme e l’ovulo
fecondati appartengono alla coppia del nascituro, mentre si definisce
“eterologa” quando il seme oppure l’ovulo appartengono a un soggetto
esterno alla coppia.
Ancora diverso è il caso della cosiddetta surrogate mother, general-
mente chiamato “utero in affitto” o più correttamente maternità surrogata,
di cui parleremo più avanti.
La fecondazione omologa – ammessa dalla legge italiana – trova co-
munque la contrarietà del magistero cattolico che la condanna “salvo il
caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell’atto coniugale, ma
si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il
suo scopo naturale”.15 Ancora più netta la condanna sulla fecondazione
eterologa – non ammessa dalla legge italiana – in quanto il concepi-
mento umano viene ottenuto mediante l’incontro di gameti di almeno

15 Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae, 25 marzo 1995.

109
Parte II • Elementi di biodiritto

un donatore diverso dagli sposi che sono uniti in matrimonio. Specifica il


magistero cattolico che “la fecondazione artificiale eterologa è contraria
all’unità del matrimonio, alla dignità degli sposi, alla vocazione propria
dei genitori e al diritto del figlio a essere concepito e messo al mondo
nel matrimonio e dal matrimonio”. Inoltre ha modo di aggiungere che “il
ricorso ai gameti di una terza persona, per avere a disposizione lo sperma
o l’ovulo, costituisce una violazione dell’impegno reciproco degli sposi
e una mancanza grave nei confronti di quella proprietà essenziale del
matrimonio, che è la sua unità. La fecondazione artificiale eterologa lede
i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali
e può ostacolare la maturazione della sua identità personale”.
L’opposizione alla fecondazione eterologa si sostanzia – tra gli altri
argomenti – “in uno scardinamento dell’ordine sociale naturale in quanto

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si creerebbero due figure di genitori: quelli biologici che forniscono il
materiale genetico e quelli legali che alleveranno il bambino”.16
Sul fronte laico si replica da un lato che il rapporto di procreazione
può avvenire anche al di fuori del matrimonio in una coppia di fatto o
in una donna single, dall’altro che non si può parlare di “dissociazione
generativa” tra i genitori genetici e biologici in quanto nel nostro or-
dinamento già esiste questa dissociazione ed è data dall’adozione. La
genitorialità, quindi, lungi dall’essere un fenomeno biologico, può anche
essere adottiva e procreativa.17
La legge, comunque, sul punto è chiara e pone uno specifico divieto
alla fecondazione di carattere eterologo.

Il divieto della surrogazione di maternità

La maternità surrogata è una forma di “eterointegrazione dell’insuffi-


cienza biologica della donna sterile” e consiste nell’intervento di una
volontaria estranea alla coppia, nel processo procreativo, determinando
una nuova forma di fecondazione artificiale eterologa.18
In realtà si usa distinguere la surrogazione di maternità – che si rea-
lizza ogni qualvolta una donna volontaria, a titolo gratuito o dietro com-
penso, si impegna a farsi fecondare artificialmente con il seme del marito
(o convivente) di una donna sterile, a condurre a termine la gravidanza

16 Forum delle Associazioni familiari, Manifesto in difesa del valore della vita
umana, Bioetica – Rivista interdisciplinare, 1998, VI, 330.
17 Vedi tra gli altri contributi, Mori M., La fecondazione eterologa in uno stato laico,

Diritto penale e processo, 1999, 4, 513.


18 Faraoni B.A., La maternità surrogata, Giuffrè, Milano, 2002.

110
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

e a consegnare il figlio concepito, rinunciando a ogni diritto su di esso


– dalla locazione d’utero in relazione alla contaminazione genetica del
nascituro. Quest’ultima pratica, infatti, non realizza una partecipazione
genetica della donna che pone l’utero “in affitto”, ma consiste solamente
nell’impegno a portare avanti la gravidanza con il materiale genetico
della coppia committente.
La surrogazione di maternità è vietata dalla legge 40/2004 e viene
punita con sanzioni penali. A differenza delle sanzioni previste per la
fecondazione eterologa, nel caso della surrogazione esse colpiscono non
soltanto il personale sanitario, ma anche la coppia e, in generale le parti
(anche la madre gestativa quindi) che hanno realizzato la surrogazione.

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Il principio del consenso informato

Uno dei principi cardine della legge è il “consenso informato”. Questo


tipo di informazione e di acquisizione del consenso assume caratteri-
stiche particolari in questa legge, in quanto si registra un ampliamento
dell’informazione a carico del medico che deve informare la coppia “sui
problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici
conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di
successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conse-
guenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro. Alla coppia
deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione
o di affidamento […] come alternativa alla procreazione medicalmente
assistita”. Queste informazioni devono essere fornite “per ciascuna delle
tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà
consapevole e consapevolmente espressa”.
Infine devono essere prospettati i costi economici dell’intera ope-
razione.
Il compito a cui è chiamato il medico è notevole, in quanto presuppone
una serie di informazioni e di conoscenze non strettamente professionali,
ma anche giuridiche, bioetiche e psicologiche. Le informazioni giuridiche
che il medico è tenuto a fornire alla coppia sono quanto meno quelle
relative allo stato giuridico del nato e al divieto del disconoscimento della
paternità e dell’anonimato della madre.
La volontà della coppia di accedere alle tecniche di fecondazione
deve essere “espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile
della struttura”. Trattasi quindi di un principio derogatore al generale
principio della libertà della forma nell’acquisizione del consenso: per
le tecniche di procreazione medicalmente assistita vi è quindi l’obbligo
della forma scritta.

111
Parte II • Elementi di biodiritto

Anche in questa sottoscrizione congiunta registriamo una novità ri-


spetto alla sottoscrizione degli usuali trattamenti sanitari, ove la volontà
espressa deve essere degli assistiti e non del medico. Similmente alla
normativa sull’interruzione di gravidanza “tra la manifestazione della
volontà e l’applicazione della tecnica, deve intercorrere un termine non
inferiore a sette giorni”. Questa sorta di spatium deliberandi che intercorre
tra l’informativa del medico, la sottoscrizione del modulo e l’applicazione
della tecnica, può essere dilatata in quanto la legge stessa stabilisce che
“la volontà può essere revocata da ciascuno dei componenti della coppia
fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. Successivamente non può
più essere revocata. Questo è senza dubbio uno dei punti più controversi
della legge e ci domandiamo se prefiguri una sorta di trattamento sanitario
obbligatorio laddove, in particolare, sia la donna a revocare il consenso

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prima dell’impianto in utero dell’ovulo fecondato. La legge non parla
di trattamento sanitario obbligatorio, ma l’irrevocabilità del consenso
sembra prefigurare una situazione nella quale il medico sia obbligato a
procedere comunque, a prescindere dal consenso e in palese violazione
del principio di volontarietà delle cure sancito dall’art. 32 della Costitu-
zione. Se si prefigurasse, invece, nella volontà della legge l’esistenza di
un trattamento sanitario obbligatorio, la più puntuale dottrina giuridica
ha comunque precisato che l’incostituzionalità della norma non verrebbe
salvata, dato che la seconda parte dell’art. 32 della Costituzione precisa
che la “legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana”. D’altra parte la ratio della norma è del tutto oscura
visto che la donna può procedere, una volta impiantato l’embrione e questi
diventato feto, all’interruzione volontaria della gravidanza.19 Laddove
invece fosse l’uomo a revocare il consenso, e questo non avrebbe esito
se la donna si facesse comunque fecondare, egli acquisirebbe comunque
la paternità del figlio nato senza possibilità alcuna di disconoscimento.
In realtà la norma avrebbe fatto bene a distinguere – come ha da
anni deciso anche il codice di deontologia medica – tra informazione al
paziente (in questo caso alla coppia) e relativa successiva acqusizione del
consenso. Anche perché l’informazione e il relativo consenso che deve
fornire la donna presenta profili diversi rispetto all’uomo. Alla donna si
prospetta un intervento medico e l’assunzione di responsabilità sull’even-
tuale figlio nato; all’uomo rileva soltanto quest’ultimo punto. Nulla infatti
vieta – anzi può essere auspicabile – l’opportunità di arrivare a “colloqui
individuali diretti ad approfondire questo o quel profilo”.20

19 Naddeo F., Accesso alle tecniche, in Stanzione P., Sciancalepore G., Procreazione

assistita – commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Giuffrè, Milano, 2004, p. 114.
20 Ferrando G., Libertà, responsabilità e procreazione, op. cit.

112
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

La posizione del medico è ovviamente diversa. Egli infatti può deci-


dere “di non procedere alla procreazione medicalmente assistita esclu-
sivamente per motivi di ordine medico-sanitario”, fornendo alla coppia
motivazione scritta di tale decisione.
Al fine di facilitare l’informazione alle coppie e l’ottenimento del
consenso da parte delle stesse, è stato emanato il D.M. 11 aprile 2008
“Regolamento recante norme in materia di procreazione medicalmente
assistita” che delinea uno schema di modulistica ricognitivo e integra-
tivo dei principi contenuti nella legge. Sono lasciati alla compilazione
della struttura e del medico responsabile le indicazioni bioetiche, gli
effetti collaterali, gli effetti psicologici, le probabilità di successo della
tecnica, i possibili rischi per il nascituro derivanti dalla tecnica e il grado
di invasività della stessa, specificato per le varie fasi, nei confronti della

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donna e dell’uomo.

Status dei figli nati

I figli nati dall’applicazione delle tecniche di procreazione assistita hanno


lo stesso status dei figli nati nel matrimonio (legittimi) o dei figli ricono-
sciuti (naturali). La parità di status tra figli si è raggiunta in Italia in epoca
relativamente recente, nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia. Fino
ad allora, il codice civile discriminava i bambini nati fuori dal matrimonio
ponendoli in una situazione di sfavore, con evidenti meccanismi tesi a
“scoraggiare le libere unioni o quanto meno favorire matrimoni ripara-
tori”. Oggi i figli godono dello stesso status qualsiasi sia la loro origine:
legittima, naturale, adottiva e (ora) artificiale.21
Coerentemente si stabilisce che la madre del nato non può avvalersi
della facoltà di non essere nominata e non riconoscere il figlio. La legge si
preoccupa anche dei figli nati in deroga illegittima al divieto delle tecniche
di tipo eterologo. In questo caso “il donatore di gameti non acquisisce
alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può avvalersi di
alcun diritto nei suoi confronti né essere titolare di obblighi, mentre il
coniuge o convivente “il cui consenso è ricavabile da atti concludenti,
non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità”. Curio-
samente quindi il consenso non espresso in forma scritta, ma solo da
atti concludenti, rileva al fine del riconoscimento di un figlio nato con la
fecondazione di tipo eterologo.

21 Ferrando G., Libertà, responsabilità e procreazione, op. cit.

113
Parte II • Elementi di biodiritto

Divieti e misure di tutela degli embrioni

La legge 40/2004 pone, all’art. 13 primo comma, un divieto assoluto alla


sperimentazione “su ciascun embrione umano”. Questo divieto tuttavia
non è assoluto in quanto, già dal secondo comma, si ammette “la ricerca
clinica e sperimentale su ciascun embrione umano”, a condizione che si
perseguano “finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche a essa
collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso,
e qualora non siano disponibili metodologie alternative”. Questo divieto
pone una serie di limiti alla ricerca scientifica con particolare riferimento
alla ricerca sulle cellule staminali di origine embrionale.22

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OBIEZIONE DI COSCIENZA

Viene introdotta una forma di obiezione di coscienza per il personale


sanitario che non vuole prendere parte alle procedure di procreazione
medicalmente assistita. La norma dell’art. 16 che la prevede ricalca so-
stanzialmente l’unica altra forma di obiezione di coscienza prevista dal-
l’ordinamento in materia sanitaria: quella riportata nella legge 194/1978.
Lo sforzo del legislatore in questo caso è stato realmente minimo. Non
ha infatti avuto cura neanche di aggiornare il disposto che specifica che
la norma riguarda la persona “esercente le attività sanitarie ausiliarie”
visto che tale dizione è stata abolita dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42
recante “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”.
Riportiamo comunque per esteso la norma in questione.

Art. 16 – Obiezione di coscienza


1. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a
prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di procreazione
medicalmente assistita, disciplinate dalla presente legge, quando sollevi obie-
zione di coscienza con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore
deve essere comunicata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge al direttore dell’azienda unità sanitaria locale o dell’azienda
ospedaliera nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario nel caso di
personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate.

22 Come è noto, le cellule staminali sono totipotenti, cioè in grado di svilupparsi


in tessuti di diverso tipo. Una volta che le cellule si sono sviluppate, il tessuto
può essere utilizzato innestandosi nell’organo malato, sostituendolo progressiva-
mente. Secondo la comunità scientifica, la ricerca sulle cellule staminali servirà
a combattere malattie come il diabete, la leucemia, i tumori, l’infarto, l’ictus, le
distrofie muscolari, la sclerosi multipla ecc.

114
La procreazione medicalmente assistita • Capitolo 8

2. L’obiezione può essere sempre revocata o proposta anche al di fuori dei termini
di cui al comma 1, ma in tal caso la dichiarazione produce effetto dopo un
mese dalla sua presentazione agli organismi di cui al comma 1.
3. L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività
sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specifica-
mente e necessariamente dirette a determinare l’intervento di procreazione
medicalmente assistita, e non dall’assistenza antecedente e conseguente l’in-
tervento.

Notiamo che il legislatore continua a procedere alla regolamenta-


zione dell’obiezione di coscienza attraverso casi determinati senza fare
assumere alla stessa una valenza di carattere generale, come da alcuni
è pure auspicato. Dato il carattere tendenzialmente illimitato e personale

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della coscienza di ognuno, qualche interprete propone un riconosci-
mento generale dell’obiezione di coscienza, quantomeno per tutte le
situazioni costituzionalmente tutelate. Il Comitato Nazionale di Bioetica
sembra avere sposato questa impostazione,23 mentre il legislatore pare
riconoscere solo i casi determinati tassativamente dalla legge: obiezione
di coscienza alle procedure abortive e alle procedure di procreazione
medicalmente assistita.
Per il resto, la regolamentazione dell’obiezione, ivi comprese le at-
tività escluse, ricalca le norme già viste sulle procedure abortive (vedi
Cap. 7).

23 Il
riferimento è al documento “Nota sulla contraccezione di emergenza” del
28 maggio 2004 (http://www.governo.it/bioetica/mozioni/index.html) in cui si
invoca il riconoscimento della cosiddetta “clausola di coscienza” in merito alla
contraccezione di emergenza, dato il riconosciuto “rango costituzionale dello
scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione e, dunque, a prescindere da
disposizioni normative specificamente riferite”.

115
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Capitolo

9
IL DIBATTITO
SULLA RIANIMAZIONE
E SULLE CURE INTENSIVE
DEI “GRANDI PREMATURI”

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Com’è noto la gravidanza ha convenzionalmente un indice di misura-
zione in settimane. Le settimane di cui si compone una gravidanza so-
no 40, ma rientra comunque nei parametri di normalità una gravidanza
che dura da 38 a 42 settimane.
Quando una gravidanza si interrompe prima della 37a settimana la
donna partorisce un bambino pretermine. Una gravidanza che si inter-
rompe tra la 33a e la 37a settimana viene definita “lievemente pretermi-
ne”. La sorte di questi bambini è ormai percentualmente simile a quel-
la dei nati a termine.
Quando la gravidanza si interrompe tra la 28a e la 32a settimana si
parla di gravidanza “molto pretermine”. In questi casi, ai giorni nostri,
le possibilità di sopravvivenza sono elevate – intorno al 95% – soprat-
tutto dopo l’avvento di cure importanti come le terapie cortisoniche e a
base di surfattante.
Quando la gravidanza si interrompe prima della 28a settimana si par-
la di gravidanze “estremamente pretermine” e di conseguenza di bam-
bini “grandi prematuri” o di “età gestazionale estremamente bassa”.1 In
questa fascia bisogna ulteriormente distinguere tra bambini nati tra la
26a e la 27a settimana, in cui generalmente si ritiene che le cure, pur se

1 In due documenti ufficiali si ritrovano queste diverse definizioni. Il Consiglio


superiore di sanità definisce questo tipo di età “età gestazionale estremamente
bassa”, mentre il Comitato Nazionale di Bioetica, nel parere del 29 febbraio 2008,
ha chiamato il documento “I grandi prematuri”. Non si ritiene di entrare nella
polemica sulla diversa definizione. Si precisa soltanto che per età gestazionale
si intende il tempo che intercorre tra l’ultima mestruazione e l’età del parto.

117
Parte II • Elementi di biodiritto

Settimane di gestazione compiute

<22
– 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43

Neonato
di incerta
vitalità

Perdita Estremamente Molto Lieve


totale pretermine pretermine pretermine

Post-
Pretermine A termine
termine

Figura 9.1 Definizione internazionale di neonato in relazione all’età gestazionale


(Da: J. Tucker, 2004).

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complesse e di difficile gestione, siano assolutamente opportune e con
possibilità di successo, e la fascia di gravidanze che si interrompono tra
le 22a e le 25a settimana di gestazione, i cui bambini vengono definiti di
“incerta vitalità” e la cui sopravvivenza o la sopravvivenza senza esiti
risultano a percentuali bassissime (Fig. 9.1).
Si registra una incertezza all’interno della fascia di età in cui si defi-
nisce il neonato di incerta vitalità. Nella letteratura internazionale vi sono
classificazioni più ampie (comprese tra ventidue a ventotto settimane) e
classificazioni più ristrette (comprese tra ventidue e venticinque settima-
ne); nella letteratura italiana vi è la tendenza a sposare la classificazio-
ne più ristretta.
Il bambino nato tra la 22a e la 25a settimana di età gestazionale na-
sce con un peso compreso tra i 400 e i 600 g, con organi e sistemi im-
maturi a fortissimo rischio di episodi settici e di emorragie.2
Le motivazioni di ordine clinico che portano all’anticipazione del
parto a epoche così immature sono di vario tipo e di vario ordine: gravi-
danza multipla o spontanea o da superstimolazione farmacologica del-
l’ovulazione, trasferimento di embrioni nelle tecniche di procreazione
assistita, malformazioni uterine, insufficienza cervicale ecc., fino ad ar-
rivare all’interruzione volontaria della gravidanza di tipo terapeutico al
limite delle 22-24 settimane.
Si pone in questi casi il problema della liceità e dell’opportunità etica
di rianimare e di sottoporre a cure intensive questa tipologia di neonati.

2 Pignotti S.M., All’alba della vita – gli incerti confini delle cure intensive neonatali,
Le Lettere, Firenze, 2008, p. 66.

118
Il dibattito sulla rianimazione e sulle cure intensive dei “grandi prematuri” • Capitolo 9

IL CONCETTO DI VITALITÀ

La difficoltà di stabilire se iniziare o meno le cure – e in questi casi le cu-


re sono sempre di carattere intensivo e invasivo – si scontra immediata-
mente con la difficoltà di stabilire in primo luogo se il neonato sia o me-
no nato vivo. Il concetto di vitalità non lo si evince né dai documenti uf-
ficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) né tanto meno
dalla legislazione italiana.
Per l’OMS è nato vivo “il prodotto del concepimento di qualsiasi età
gestazionale, completamente espulso o estratto dalla madre che, dopo
la separazione da essa, respiri o mostri una qualunque evidenza di vita-
lità come: pulsazioni cardiache, del cordone ombelicale o qualsiasi mo-
vimento della muscolatura volontaria sia che il cordone ombelicale sia

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stato reciso oppure no”. Di conseguenza, sempre secondo l’OMS è nato
morto “il prodotto del concepimento di 28 settimane di gestazione (196
giorni) o più, completamente espulso o estratto dalla madre che non mo-
stri una qualunque presenza di vitalità come: respiro spontaneo o dopo
stimolazioni, pulsazioni cardiache o del cordone ombelicale”.
Nella legislazione italiana la definizione di aborto – e quindi non di
“nato vivo” – è piuttosto datata, in quanto risale agli anni ’70. Si defini-
sce aborto “l’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza che
si verifica prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione”.3 Di conse-
guenza “è considerata invece come parto, a tutti gli effetti, l’interruzio-
ne spontanea, o terapeutica, della gravidanza successiva al 180° giorno
dall’inizio della gestazione”. In una interpretazione letterale della nor-
ma si considera quindi aborto ogni nato prima delle 25 settimane di ge-
stazione. La giurisprudenza ha precisato che tale norma “fa riferimen-
to a una nozione di evento interruttivo diversa da quella propria della
scienza medica, facendo coincidere tale evento – per evidenti esigenze
di certezza e in armonia con le finalità di tutela perseguite dalla legge –
non con la morte del prodotto del concepimento (non sempre accerta-
bile con facilità e sicurezza) ma con il dato certo dell’espulsione del fe-
to, rapportato all’altro dato, certo e legislativamente stabilito, costituito
dai 180 giorni dall’inizio della gravidanza”.4 Esigenze di certezza legate
ai diritti delle lavoratrici madri hanno portato alla definizione di aborto,
che non ci è granché utile in questa sede.
Peraltro di questi nati non viene nemmeno fatta la denuncia di na-
scita, ma “i prodotti abortivi” vengono seppelliti e “a richiesta dei geni-

3 D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026 “Regolamento di esecuzione della legge 30


dicembre 1971, n. 1024 sulle lavoratrici madri”, art. 12.
4 Corte di cassazione, sez. lav., sentenza 9 luglio 1984, n. 3993.

119
Parte II • Elementi di biodiritto

tori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche
prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane”.
In questi casi “i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24
ore dall’espulsione o estrazione del feto, domanda di seppellimento al-
l’unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi
la presunta età di gestazione e il peso del feto”.
Come abbiamo visto nel capitolo 7 dedicato all’interruzione volon-
taria della gravidanza, l’art. 7 della legge 194/1978 specifica che “quan-
do sussiste possibilità di vita autonoma del feto”, l’interruzione volon-
taria della gravidanza “può essere praticata solo nel caso in cui la gra-
vidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”
e “il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea
a salvaguardare la vita del feto”. Il legislatore quindi non fa alcun riferi-

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mento all’età gestazionale, ma alla possibilità di vita autonoma del fe-
to. Le posizioni in campo – sull’interpretazione da dare al disposto legi-
slativo della legge sull’interruzione della gravidanza – divergono, come
spesso accade, fortemente.
In una prospettiva che potremmo definire di tipo laico, ma anche di
tipo professionale, si sostiene che il criterio sposato dal legislatore è di
tipo clinico e l’accertamento della vitalità viene fatto con giudizi medici
che possono spostare il limite legale dei 180 giorni. Ovviamente la pos-
sibilità di vita autonoma del feto e la sua capacità di sopravvivenza so-
no legate all’età gestazionale, alle evidenze scientifiche disponibili e al-
la reale possibilità di vita autonoma5 tenendo quindi conto che la na-
scita da una “terminazione di gravidanza” fa sì che si debbano consi-
derare due fattori “importantissimi e pesantissimi: l’estrema prematuri-
tà e la grave patologia da cui è affetto”. Da una prospettiva che potrem-
mo definire di tipo cattolico si sostiene invece che la “possibilità di vita
autonoma” di cui parla la legge deve essere “sottolineata perché indica
qualcosa di assai diverso dalla probabilità e prende perciò in considera-
zione anche ipotesi assolutamente rare”.6 Da un lato quindi si sostiene
che bisogna seriamente valutare le possibilità di successo di vita auto-
noma e la qualità della vita residua tenendo conto dei gravi handicap a
cui può andare incontro, dall’altro invece si sostiene sempre l’interven-
to medico. Quest’ultima posizione appare in effetti difficilmente soste-
nibile nell’era della medicina basata sull’evidenza scientifica, in quanto
le cure comunque devono sottostare al principio etico della beneficiali-
tà e non si possono giustificare trattamenti che non siano improntati a

5 Pignotti S.M., All’alba della vita, op. cit., p. 122.


6 Casini C., A trent’anni dalla Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidan-
za, Cantagalli, Siena, 2008, p. 35.

120
Il dibattito sulla rianimazione e sulle cure intensive dei “grandi prematuri” • Capitolo 9

questo principio senza scadere nel cosiddetto accanimento terapeuti-


co. Non si può quindi non condividere la posizione secondo la quale per
vitalità si intende la possibilità concreta di vita extrauterina e non fer-
marsi alle manifestazioni estemporanee, come i battiti cardiaci conse-
guenti a un massaggio cardiaco, o a “fatti vitali incoordinati ed effime-
ri”.7 È auspicabile a questo riguardo che venga trovata, a livello scienti-
fico, una definizione condivisa di nato vivo alla luce delle attuali cono-
scenze e scoperte scientifiche.
Viene ricordato che in letteratura l’atteggiamento su cui si basano
neonatologi e intensivisti nell’approccio alle cure dei grandi prematuri
sono sostanzialmente di tre tipi:

1. un atteggiamento di tipo statistico, tipico del mondo svedese, che

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porta a non intraprendere trattamenti in quelle condizioni nelle qua-
li vi siano dati statistici di prognosi infausta;
2. un approccio prognostico-individualistico, tipico del mondo britan-
nico, consistente nella propensione a sospendere ogni trattamento
di fronte a un deterioramento della situazione clinica;
3. un approccio di attivismo terapeutico, definito anche dell’attesa, ti-
pico del mondo statunitense, caratterizzato dall’intervento intensivi-
stico in ogni caso del neonato prematuro, che viene continuato solo
fino a che si sia certi della imminente morte del bambino.8

I DOCUMENTI ITALIANI SULLE CURE DEI “GRANDI PREMATURI”

I documenti a cui viene fatto riferimento sono sostanzialmente tre: la


cosiddetta “Carta di Firenze” elaborata nel 2006 da un gruppo di ostetri-
ci, bioeticisti e giuristi, il documento del Consiglio superiore di sanità –
organo consultivo del ministero della salute (attualmente del welfare) –
che ha preso come base di lavoro proprio la “Carta di Firenze” –, e il pa-
rere del Comitato Nazionale di Bioetica sulla “Carta di Firenze”.
La “Carta di Firenze” definisce le cure che i neonati di “incerta vitali-
tà” devono ricevere come: cure straordinarie intensive, indicazioni oste-
triche e rianimatorie.
Le indicazioni della Carta di Firenze possono così riassumersi:

7 Adamo M., Infanticidio e vitalità, Atti del X Congresso di Medicina Legale e delle
Assicurazioni, Parma, 1949, citato in Pignotti S.M., All’alba della vita, op. cit.
8 Questa classificazione è stata ricostruita all’interno del parere del Comitato

Nazionale di Bioetica del 29 febbraio 2008 denominato I grandi prematuri – note


bioetiche, che sarà oggetto di analisi nel prossimo paragrafo.

121
Parte II • Elementi di biodiritto

1. Età gestazionale 22 settimane (da 154-160 giorni di vita endou-


terina). Le decisioni di trattamento della madre devono basarsi sul
suo stato di salute. Il taglio cesareo deve essere praticato unicamen-
te per indicazione clinica materna, e le madri che lo richiedono per
altri motivi devono essere informate degli svantaggi e dissuase. Al
neonato devono essere offerte le cure confortevoli, salvo in quei ca-
si del tutto eccezionali che mostrassero capacità vitali significative.
2. Età gestazionale 23 settimane (161-167 giorni). Non si racco-
manda il taglio cesareo su indicazione fetale. La vitalità del neona-
to dev’essere attentamente valutata alla nascita. L’intervento riani-
matorio dev’essere intrapreso (decisione che deve essere condivisa
con i genitori) se il neonato mostra capacità di sopravvivenza, men-
tre se presenta situazioni cliniche fortemente compromesse, il me-

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dico deve prendere in considerazione l’opportunità di non iniziare o
continuare le cure straordinarie che sarebbero “sproporzionate” al-
l’obiettivo di operare sempre nel migliore interesse del paziente. Ov-
viamente, tali opportunità devono essere partecipate e valutate con
i genitori. A questi bambini devono sempre essere assicurate le cure
ordinarie, cioè l’assistenza confortevole.
3. Età gestazionale 24 settimane (168-174 giorni). Il taglio cesareo
può eccezionalmente essere preso in considerazione per motivi fe-
tali. Il trattamento intensivo del neonato è più indicato che a 23 setti-
mane, sempre però sulla base di criteri clinici obiettivi favorevoli che
suggeriscano di procedere con le cure straordinarie, come la presen-
za di sforzi respiratori spontanei, la presenza di una frequenza car-
diaca valida, la ripresa del colorito cutaneo.
4. Età gestazionale 25 settimane (175-180 giorni). Il taglio cesareo
può essere effettuato anche per indicazione fetale. I neonati devo-
no essere rianimati e sottoposti a cure intensive, straordinarie, sal-
vo che non presentino condizioni cliniche gravemente compromes-
se che suggeriscano una impossibilità alla sopravvivenza.

La “Carta di Firenze” è stata la base su cui ha lavorato il gruppo di la-


voro “Cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25
settimane)”,9 istituito nell’aprile 2007 dal Ministro della salute Livia Tur-

9 Consiglio Superiore di Sanità, Raccomandazioni per le cure perinatali nelle età gesta-
zionali estremamente basse (22-25 settimane) http://www.ministerosalute.it/imgs/
C_17_minpag_549_documenti_documento_0_fileAllegatoDoc.pdf. Il gruppo, coordi-
nato dal presidente del Consiglio Superiore di Sanità Prof. Franco Cuccurullo e dalla
Dott.sa Maura Cossutta, ha messo a punto un documento conclusivo condiviso all’una-
nimità dai rappresentanti dell’ISS, delle Società scientifiche e delle associazioni di gi-
necologia e ostetricia, pediatria, neonatologia, medicina perinatale e medicina legale.

122
Il dibattito sulla rianimazione e sulle cure intensive dei “grandi prematuri” • Capitolo 9

co, con la finalità di contribuire alla definizione di apposite raccoman-


dazioni rivolte agli operatori sanitari coinvolti nell’assistenza alla gravi-
danza, al parto e al neonato estremamente pretermine.
Per quanto riguarda le modalità di cura e assistenza rispetto alle età
gestazionali il documento indica che:

• tra 22+0 e 22+6 settimane “al neonato devono essere offerte solo le
cure compassionevoli, salvo in quei casi, del tutto eccezionali, che
mostrassero capacità vitali”;
• tra 23+0 e 23+6 settimane “quando sussistano condizioni di vitalità, il
neonatologo, coinvolgendo i genitori nel processo decisionale, deve
attuare adeguata assistenza, che sarà proseguita solo se efficace”;
• tra le 24+0 e 24+6 settimane “il trattamento intensivo è sempre indi-

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cato e va proseguito in relazione alla sua efficacia”;
• a partire dalle 25+0 settimane di età gestazionale vi è elevata proba-
bilità di sopravvivenza, anche se dipendente da cure intensive.

Nelle raccomandazioni che sono suggerite agli operatori sanita-


ri nell’assistenza alla gravidanza, al parto e al neonato estremamen-
te pretermine (22-25 settimane) si precisa che “ogni decisione deve es-
sere individualizzata e condivisa con i genitori, sulla base delle condi-
zioni cliniche del neonato alla nascita e non può prescindere dalla va-
lutazione dei dati di mortalità e disabilità riportati in letteratura riferi-
ti alla propria area”.
Il documento sottolinea che “il neonato non sottoposto a cure inten-
sive, perché considerato non vitale, ha diritto a cure compassionevoli.
Deve essere trattato con rispetto, amore e delicatezza. A tali cure è an-
che candidato il neonato, pur rianimato inizialmente, che non dimostri
possibilità di sopravvivenza e per il quale il trattamento venga conside-
rato non efficace e inutile”.
In ogni ambito di decisione, ai genitori deve essere offerto il massi-
mo supporto sul piano psicologico.
Per i bambini dimessi dalle terapie intensive si raccomanda inoltre il
follow-up almeno fino all’età scolare.

Infine è intervenuto il Comitato Nazionale di Bioetica10 proprio sulla


“Carta di Firenze”, bocciandola di fatto nella parte in cui – nelle raccoman-
dazioni dei nati pretermine alla 22a e alla 23a settimana – propone una
desistenza terapeutica assoluta per i primi e una parziale desistenza per i
secondi. Argomenta il Comitato Nazionale di Bioetica che “la valutazione

10 Comitato Nazionale di Bioetica, I grandi prematuri: note bioetiche, 29 febbraio


2008, in http://www.governo.it/bioetica/testi/Prematuri.pdf

123
Parte II • Elementi di biodiritto

alla nascita dei parametri vitali non può avere un rigoroso valore progno-
stico e non può giustificare una aprioristica decisione di desistenza tera-
peutica”; inoltre, specifica , non si deve sottovalutare il fatto che il danno
cerebrale acuto maggiore, ovvero l’emorragia cerebrale di quarto grado,
“può dare esito a normalità neurologica in circa il 10-15% dei casi” e infi-
ne “il mero fatto che la vita del neonato, dopo le prime cure rianimatorie,
possa continuare con un handicap dovuto alla sua prematurità e ai dan-
ni cerebrali che possono in certi casi conseguirne, non dimostra la futilità
del trattamento cui sia stato sottoposto”. Secondo il Comitato Nazionale
di Bioetica interrompere un trattamento gravoso non è bioeticamente ac-
cettabile solo per il fatto di evitare “la gravosità di una vita con handicap”.
L’impostazione pro life di matrice cattolica è evidente nelle parole del
Comitato di Bioetica. Altro motivo di dissenso con la “Carta di Firenze” è

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rappresentato dal ruolo dei genitori. La “Carta di Firenze” infatti, nel ca-
so di cure sperimentali prevede sempre il coinvolgimento dei genitori nel
processo decisionale. Tale posizione si basa sui principi generali del con-
senso informato11 e sulla necessità che proprio i genitori devono avere
l’ultima parola su terapie sperimentali che possono anche non essere di
alcun beneficio per quel bambino o che possono mantenerlo vivo al costo
di gravissime disabilità. Su tutt’altro pianeta si pone invece il Comitato Na-
zionale di Bioetica laddove specifica che “il criterio bioetico fondamentale
che deve orientare ogni decisione in materia debba essere la tutela della
vita del neonato, che non può ricevere pregiudizi per il solo fatto della sua
nascita prematura”, quindi prescindendo da un eventuale dissenso dei ge-
nitori. Conclude il Comitato Nazionale di Bioetica che in generale si devo-
no adottare per la rianimazione dei neonati criteri “non differenti da quelli
che vengono adottati per rianimare un bambino uscito dalla fase neonata-
le o un adulto”. Infine appare “eticamente inaccettabile, oltre che scientifi-
camente opinabile, la pretesa di individuare una soglia temporale a parti-
re dalla quale rifiutare, a priori, ogni tentativo di rianimazione”.
Il dissenso con la “Carta di Firenze” non poteva essere più netto, l’im-
postazione culturale agli antipodi.
Sul punto della critica a un’età gestazionale minima per rianimare si
obietta che “l’età gestazionale è un parametro serio, attendibile, scienti-
ficamente provato, che testimonia una maturità fetale acquisita o da ac-
quisire, pur con tutta la variabilità biologica che esiste tra un individuo e
un altro. L’età gestazionale è il parametro valutato come statisticamen-
te significativo per la prognosi in tutto il mondo”.12

11 Vedi
capitolo 11.
12 Pignotti
S., Il dovere del medico e i cinici della sopravvivenza a oltranza, Mi-
cromega, 2008, 2.

124
Il dibattito sulla rianimazione e sulle cure intensive dei “grandi prematuri” • Capitolo 9

Anche il mondo scientifico italiano ha preso posizione contraria sul


documento del Comitato Nazionale di Bioetica precisando di “essere in
totale disaccordo con ogni esortazione tesa a rianimare in ogni caso il
nato con prematurità estrema, o in presenza di malformazioni incom-
patibili con la vita, e addirittura anche con la madre”.13
Nello schema che segue si propone una sintesi delle diverse posizio-
ni della “Carta di Firenze”, delle raccomandazioni del Consiglio superio-
re di sanità (CSS) e del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB).

22a settimana 23a settimana 24a settimana 25a settimana

Taglio cesareo solo Taglio cesareo Taglio cesareo Taglio cesareo


su indicazione prevalentemente anche su sempre indicato
materna su indicazione indicazione fetale

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materna
Carta
No RCP No RCP RCP + TIN indicate RCP + TIN indicate
di
solo se è presente salvo situazioni
Firenze Sì cure palliative Sì cure palliative attività vitale incompatibili
con la vita

Coinvolgimento Coinvolgimento Coinvolgimento Coinvolgimento


genitori genitori genitori genitori

Taglio cesareo solo Taglio cesareo Taglio cesareo Taglio cesareo


su indicazione prevalentemente anche su sempre indicato
materna su indicazione indicazione fetale
materna

CSS No RCP (salvo casi Sì RCP RCP + TIN sempre RCP + TIN sempre
eccezionali) indicate indicate

Sì cure palliative Sì TIN se RCP efficace

Coinvolgimento Coinvolgimento Coinvolgimento Coinvolgimento


genitori genitori genitori genitori

Taglio cesareo Taglio cesareo Taglio cesareo Taglio cesareo


sempre indicato sempre indicato sempre indicato sempre indicato

CNB RCP + TIN sono RCP + TIN sono RCP + TIN sono RCP + TIN sono
sempre indicate sempre indicate sempre indicate sempre indicate

Decisione medica Decisione medica Decisione medica Decisione medica

Legenda: CSS = Consiglio Superiore di Sanità; CNB = Comitato Nazionale di Bioetica; RCP =
Rianimazione Cardiopolmonare; TIN = Terapia Intensiva Neonatale.

13 Ilriferimento è alla “Lettera aperta al Ministro del lavoro, della salute e delle
politiche sociali” inviata nel giugno 2008 dai Consigli direttivi della società di
anestesia, rianimazione neonatale e pediatria italiana (SARNePI), di Italian Re-
suscitation Council (IRC) e del Club italiano degli anestesisti di ostetricia (CIAO).

125
Parte II • Elementi di biodiritto

Profili giuridici della rianimazione


dei “grandi prematuri”14

La tematica della rianimazione di neonati nati in età gestazionale estre-


mamente bassa – da 22 a 25 settimane – si pone come estremamente de-
licata per i profili etici, deontologici e giuridici che essa comporta.
È noto come la sopravvivenza sia estremamente bassa (sotto il 10%
nei nati entro la 22a settimana gestazionale) e l’efficacia di queste cure
sia estremamente dubbia con esiti invalidanti spesso gravissimi (cecità,
sordità, gravi compromissioni neurologiche).
Come già visto, sul punto si registrano tre distinti documenti di ca-
rattere professionale, istituzionale e bioetico:

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a) la “Carta di Firenze” elaborata da un gruppo di ostetrici, bioeticisti e
giuristi nel 2006;
b) il documento del Consiglio superiore di sanità – organo consultivo
del ministero della salute (oggi del welfare) – che ha preso come ba-
se di lavoro proprio la “Carta di Firenze”;
c) il parere del Comitato Nazionale di Bioetica sulla “Carta di Firenze”.

I problemi e i disaccordi a questo riguardo nascono da alcuni punti


fondamentali. In questa sede diamo conto di due questioni fondamen-
tali: il problema del consenso dei genitori e il valore normativo di indi-
cazioni che provengono da organismi istituzionali.
Infatti, mentre nella “Carta di Firenze” viene posto come assoluta-
mente necessario il consenso dei genitori alle cure, per il Comitato Na-
zionale di Bioetica i medici possono prescindere da tale consenso.
In primo luogo deve essere affrontato il problema della natura delle
cure che vengono poste in essere. La letteratura parla di cure sperimen-
tali, e i dati a disposizione mostrano spesso una modestissima efficacia
delle cure stesse. Ci si pone il problema se tali cure possano rientrare in
quelle erogabili dalle strutture del Servizio sanitario nazionale. Ricor-
diamo che “Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assi-
stenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche
condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo
beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte
delle risorse impiegate” (art. 1 D.Lgs. 502/1992, comma 8). Inoltre, sem-
pre la normativa sul Servizio sanitario nazionale specifica che “le presta-

14 Intervento al convegno “Le sfide della neonatologia alla bioetica e alla società:
le buone ragioni della Carta di Firenze” tenuto presso l’azienda ospedaliera Meyer
a Firenze il 30 e 31 ottobre 2008 e organizzato dalla Consulta di Bioetica.

126
Il dibattito sulla rianimazione e sulle cure intensive dei “grandi prematuri” • Capitolo 9

zioni innovative per le quali non sono disponibili sufficienti e definitive


evidenze scientifiche di efficacia possono essere erogate in strutture sa-
nitarie accreditate dal Servizio sanitario nazionale esclusivamente nel-
l’ambito di appositi programmi di sperimentazione autorizzati dal Mini-
stero della sanità”. Definire dotate di evidenza scientifica le cure presta-
te in questo ambito neonatologico appare assai improbabile e quindi di
dubbia legittimità; inoltre – ci riferisce la letteratura – non esistono pro-
tocolli e situazioni validate.
Le uniche incertezze che presiedono sul punto sono relative quindi
alla qualificazione delle cure in una situazione in cui entrambe le opzioni
non portano a risposte soddisfacenti. Se le cure sono sperimentali, quel-
le in questione vengono erogate in modo assolutamente irrituale; se le
cure non hanno evidenza scientifica, non devono essere erogate.

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Supponiamo di essere nel primo caso, quello delle cure sperimen-
tali: prescindere dal consenso dei genitori contrasta con i principi co-
stituzionali, con i principi delle leggi ordinarie e sopratutto con i prin-
cipi di civiltà. Soprattutto laddove (è il Comitato Nazionale di Bioetica
che lo scrive) “la previsione di una disabilità anche grave, ma compati-
bile con la vita, destinata a colpire il neonato prematuro, non può giu-
stificare la desistenza delle cure a suo favore”. Un intervento di caratte-
re sanitario che rischia di provocare, con altissime probabilità, una di-
sabilità grave non è un intervento che possa prescindere dal consen-
so dei genitori.
Intervenire comunque a prescindere dal consenso e quindi dalla vo-
lontà configura grave violazione del secondo comma dell’art. 32 della
Costituzione che limita i trattamenti sanitari obbligatori alla previsione
di specifici testi di legge che li prevedano.
Il secondo punto da affrontare è relativo al valore normativo delle
raccomandazioni ministeriali e del Comitato Nazionale di Bioetica. L’Ita-
lia è verosimilmente l’unico Paese in cui le linee guida vengono pub-
blicate addirittura nella Gazzetta Ufficiale. è ben curioso che compor-
tamenti clinici, suscettibili di ricerca, aggiornamenti e sperimentazioni
possano essere cristallizzati in una sorta di atto normativo.
Vi sono inoltre confusioni semantiche su questi documenti, che ven-
gono chiamati di volta in volta linee guida, job descriptions, protocolli,
raccomandazioni ecc. Lo stesso Ministero fino al 2005 era propenso a
chiamarli linee guida, mentre oggi parla di raccomandazioni, salvo poi
specificare che sono delle linee guida. Ricordiamo la recente ordinanza
del Consiglio di Stato (5311/2008) sulla limitazione posta dalla Regio-
ne Lombardia alla eseguibilità dell’interruzione volontaria della gravi-
danza alle 22 settimane anziché alle 24 con la motivazione, tra l’altro,
che non si possono normare, da parte dell’autorità amministrativa, at-

127
Parte II • Elementi di biodiritto

tività che possano fare aggravare i rischi della responsabilità professio-


nale dei sanitari.
Il medico quindi, e più in generale ogni professionista sanitario, de-
ve attenersi alla letteratura e alle eventuali linee guida professionali, at-
ti che costituiscono il vero punto di riferimento dell’attività professio-
nale.
Del tutto fuorvianti, inoltre, appaiono i richiami alla responsabilità
penale del medico che decide il non intervento nei casi in cui il giudi-
zio prognostico dell’intervento stesso implichi bassissime probabilità di
successo e con esiti gravemente invalidanti. Le ipotesi di omicidio col-
poso, omissione di soccorso, rifiuto di atti d’ufficio che vengono talvol-
ta evocate appaiono più strumentali a polemiche di parte che non fina-
lizzate all’esistenza di reati reali posti in essere dal personale sanitario.

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128
Capitolo

10
Le mutilazioni
genitali femminili

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Le ondate migratorie hanno portato il nostro Paese a confrontarsi con
fenomeni nuovi, quali le mutilazioni genitali femminili (MGF, dette an-
che FGM, female genital mutilation), che hanno trovato, dopo ampio di-
battito, la risposta del nostro legislatore.
Un fenomeno di tale ampiezza e di tale gravità coinvolge non sol-
tanto i problemi giuridici ma anche la riflessione bioetica, deontologica
e psicologica del problema.
In primo luogo c’è da chiarire con esattezza cosa si intende per muti-
lazioni genitali, termine che è da preferire al più blando e tranquillizzante
“circoncisione femminile” e che echeggia la “circoncisione maschile”, fe-
nomeno che solo lontanamente assomiglia alle mutilazioni femminili.
Per mutilazioni genitali femminili si intendono tutte quelle procedure
che comportano la rimozione totale o parziale dei genitali esterni fem-
minili o altri interventi dannosi sugli organi genitali per ragioni culturali
o religiose e sicuramente non terapeutiche.
Le MGF si suddividono convenzionalmente in quattro distinte tipolo-
gie, anche se è bene precisare che le varietà che si incontrano possono
essere ben più numerose:

1. la circoncisione cosiddetta sunna, che consiste nel taglio del prepu-


zio o cappuccio del clitoride (Fig. 10.1);
2. l’escissione del clitoride e delle piccole labbra (Fig. 10.2);
3. l’infibulazione, che consiste nell’asportazione del clitoride, delle pic-
cole labbra e almeno dei due terzi anteriori delle grandi labbra. I due
lati della vulva vengono poi uniti insieme e suturati, occludendo in

129
Parte II • Elementi di biodiritto

tal modo l’accesso vaginale a eccezione di una piccola apertura che


consente il passaggio dell’urina e del sangue mestruale. L’infibula-
zione in questa forma viene anche chiamata infibulazione “sudanese”
o “faraonica” (Fig. 10.3);
4. infibulazione intermedia, che consiste nella rimozione del clitoride e
di alcune parti o di tutte le parti delle piccole labbra (Fig. 10.4).

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Fig. 10.1 Sunna. Fig. 10.2 Escissione del clitoride
e delle piccole labbra.

Fig. 10.3 Infibulazione con sutura. Fig. 10.4 Infibulazione senza sutura.

130
Le mutilazioni genitali femminili • Capitolo 10

Le origini delle MGF non sono così chiare. Certamente preesistevano


all’islam e sembra che solo successivamente siano state interiorizzate
dalla legge islamica, peraltro in modo non pacifico. Il Corano, infatti, tra-
scura completamente la circoncisione femminile (mentre parla di quella
maschile). Le uniche fonti sono date da alcuni detti o racconti del Profeta
contenuti in raccolte di dubbia autenticità. Per quanto riguarda il termine
sunna, comunemente usato per la forma di circoncisione meno mutilante,
non si può non notare che con questo stesso termine viene indicato an-
che un atto conforme alle azioni e al pensiero del Profeta.
Le motivazioni delle MGF sono tradizionalmente due: il contenimento
del desiderio femminile e un fattore estetico. I potenziali benefici derivanti
dal taglio del clitoride e delle piccole labbra vengono ricondotti a una mag-
giore igiene e all’eliminazione dei cattivi odori, ma, soprattutto, alla di-

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minuzione della libido femminile. Il mondo islamico è diviso riguardo le
MGF, e vi è anche una corrente di oppositori che contesta che tale pratica
sia realmente islamica, dato che era preesistente all’islam; inoltre, sosten-
gono gli oppositori, non sembra assolutamente possibile pensare che “Dio
ordini alla donna di mutilare un organo sano frutto della sua creazione”.
Ben gravi possono essere i danni che vengono causati dalle MGF, che
possiamo distinguere in danni a breve termine e danni a lungo termine.
Rientrano tra i primi episodi emorragici, shock, infezioni, lacerazioni di altri
organi come vescica, uretra e pareti vaginali, ritenzione urinaria. Rientrano
nei danni a lungo termine gli esiti cicatriziali che possono complicare il
parto e i rapporti sessuali, il ristagno di urine e sangue mestruale, la forma-
zione di fistole, frigidità, assenza di orgasmo, depressione, psicosi ecc.
Da un punto di vista bioetico è intervenuto il Comitato Nazionale di
Bioetica (CNB) dichiarando l’inaccettabilità della pratica delle mutila-
zioni genitali femminili con le testuali motivazioni che seguono:

 La legge islamica, o Shari’a, si fonda su “quattro radici del diritto”, o fonti, che
sono rappresentate:
a) dal Corano che è la fonte suprema della religione e del diritto;
b) dalla Sunna, o tradizione, che è l’insieme delle regole fondate sulle parole, le
azioni e gli assensi del Profeta;
c) dal consenso unanime, o Igma: il consenso dei fedeli, quando è ininterrotto e
unanime, è riconosciuto come autentica parola di Dio;
d) dal ragionamento analogico, o Qiyas, a cui si accede solo quando le prime
tre fonti non forniscono una chiara regola di comportamento. A differenza delle
prime tre fonti, questa non è di origine divina.
 Dariusch Atighetchi, Islam, musulmani e bioetica, Armando Editore, Roma,

2002, p. 211.
 Dariusch Atighetchi, Islam, musulmani e bioetica, op. cit.
 Comitato Nazionale di Bioetica, La circoncisione: Profili bioetici, 25 settembre

1998, in http://www.governo.it/bioetica/testi/250998.html

131
Parte II • Elementi di biodiritto

Il CNB è ben consapevole del rispetto che è doveroso prestare alla pluralità delle
culture, anche quando queste si manifestino in forme estremamente lontane da
quelle della tradizione occidentale, e del gran valore del giusto confronto con la
diversità culturale, che è oggetto di continuo studio. Ritiene non di meno – e con-
sapevolmente contro il parere di pur illustri antropologi – che nessun rispetto sia
dovuto a pratiche, ancorché ancestrali, volte non solo a mutilare irreversibilmente
le persone, ma soprattutto ad alterarne violentemente l’identità psicofisica, quando
ciò non trovi una inequivocabile giustificazione nello stretto interesse della salute
della persona in questione. È evidente che le pratiche di circoncisione femminile
non sono poste in essere per ovviare a problemi di salute né fisica, né psichica delle
donne che le subiscono, anzi esse comportano gravi conseguenze negative sulla
salute delle donne che a esse vengono sottoposte. Il CNB non può quindi che ri-
tenerle eticamente inammissibili sotto ogni profilo e auspicare che vengano espli-
citamente combattute e proscritte, anche con l’introduzione di nuove, specifiche

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norme di carattere penale.

Successivamente – sul versante deontologico – è intervenuto il co-


dice di deontologia medica (versione 2006) della Federazione Nazionale
degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) che all’art.
52 specificava testualmente: “È vietato al medico di praticare qualsiasi
forma di mutilazione sessuale o menomazione”. Significativo il fatto
che tale divieto fosse contenuto all’interno di un articolo rubricato come
“Tortura e trattamenti disumani”. Non si rinvengono articoli specifici
negli altri codici deontologici delle professioni della salute.

La normativa italiana
sulle mutilazioni genitali femminili

Gli auspici del Comitato Nazionale di Bioetica sono stati recepiti dal legi-
slatore con la legge 9 gennaio 2006, n. 7 “Disposizioni concernenti la pre-
venzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”.
La legge, oltre a contenere norme sanzionatorie severe, prevede una
serie di attività dirette “alla prevenzione, all’assistenza alle vittime e alla

 Riportiamo per esteso l’articolo del Codice di deontologia medica, FNOMCeO,


1998:
Art. 50 – Tortura e trattamenti disumani
Il medico non deve in alcun modo o caso collaborare, partecipare o semplice-
mente presenziare ad atti esecutivi di pena di morte o ad atti di tortura o a trat-
tamenti crudeli, disumani o degradanti.
È vietato al medico di praticare qualsiasi forma di mutilazione sessuale femmi-
nile.

132
Le mutilazioni genitali femminili • Capitolo 10

eliminazione delle pratiche di mutilazione genitale femminile”. Tali at-


tività vengono articolate in varie iniziative, quali le campagne informa-
tive rivolte agli immigrati al momento della concessione del visto negli
uffici consolari, la promozione di iniziative di sensibilizzazione presso
le comunità di immigrati, l’organizzazione di “corsi di informazione per
le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati a una corretta pre-
parazione al parto”, fino alla emanazione di linee guida destinate alla
formazione del personale sanitario e tendenti a realizzare un’attività di
prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già
sottoposte a MGF.
La parte sanzionatoria è prevista dall’art. 6 della legge 7/2006 che ag-
giunge un articolo al codice penale con la tecnica della reiterazione del
precedente. Data l’importanza, viene qui riportato per esteso:

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Art. 583 bis – Pratiche di mutilazione genitale femminile
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli or-
gani genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini
del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi geni-
tali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pra-
tica che cagioni effetti dello stesso tipo.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le
funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate
al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con
la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione
è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo
comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per
fini di lucro.
Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso
all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di
cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito
a richiesta del Ministro della giustizia.

L’articolo punisce “chiunque”, e non solo il personale sanitario, e


quindi trattasi di reato comune, “in assenza di esigenze terapeutiche”
– l’assenza di terapeuticità è il tratto caratterizzante delle MGF – “cagiona
una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione
da quattro a dodici anni”. Prima dell’approvazione della legge sulle mu-
tilazioni la persona (chiunque) che cagionava delle mutilazioni genitali
rispondeva del reato di lesioni personali volontarie.
Riportiamo il dibattito precedente alla legge della migliore dottrina
penalistica:

133
Parte II • Elementi di biodiritto

Per quanto concerne il profilo giuridico-penale, le suddette mutilazioni appaiono


integrare il reato di lesioni personali dolose, quanto meno gravi (art. 583/1 c.p.): a)
poiché esse comportano, per le ragioni sopraindicate, pur sempre un indebolimento
permanente di un organo; b) perché l’indebolimento permanente di un organo sus-
siste anche se esso è rimuovibile attraverso un intervento chirurgico, come nel caso
di specie, poiché la permanenza va riferita alla normale funzione dell’organo e poi-
ché il soggetto leso non è tenuto a esporsi ai rischi o ai dolori relativi.

Inoltre nella legislazione previgente si era posto il problema delle


scriminanti previste dagli artt. 50 e 51 del codice penale e ci si poneva
il problema della loro applicabilità. La risposta era negativa in quanto,
per quanto riguarda il primo problema (il consenso dell’avente diritto), il
fatto non poteva essere scriminato in quanto “il suddetto consenso scri-

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mina, stante il limite previsto dall’art. 5 del codice civile, rispetto agli
interventi nel corpo umano, quelli che non comportano una menoma-
zione permanente dell’integrità fisica” e i genitori possono validamente
consentire agli interventi sul corpo delle figlie minori solo in quanto si
presentino utili per le stesse, e quindi siamo al di fuori delle ipotesi pre-
viste per le mutilazioni genitali.
Né tantomeno può essere scriminato il fatto sulla base dell’art. 51,
in quanto “non è rinvenibile nel nostro ordinamento a favore dei geni-

 Mantovani F., Le mutilazioni genitali femminili, parere espresso all’interno del


gruppo di lavoro della Commissione regionale di bioetica della Regione Toscana
e che ha prodotto il documento “Prevenzione delle mutilazioni genitali femminili
(MGF): liceità etica, deontologica e giuridica della partecipazione dei medici alla
pratica di un rito alternativo”, in http://www.salute.toscana.it/parliamodi/bioe-
tica/Documenti_CRB/MGF.pdf
 Art. 50 c.p. – Consenso dell’avente diritto

Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona
che può validamente disporne.
 Art. 51 c.p. – Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere

L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma


giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato ri-
sponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto
abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente
alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
 Art. 5 c.c. – Atti di disposizione del proprio corpo

Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una dimi-
nuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla
legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

134
Le mutilazioni genitali femminili • Capitolo 10

tori alcun diritto a effettuare la mutilazione, né alcun diritto che possa


affondare le proprie radici nella consuetudine”.10
Quindi, nella legislazione previgente, il medico o colui che operava
la mutilazione genitale rispondevano di lesioni personali gravi persegui-
bili di ufficio e punibili con la reclusione da tre a sette anni, mentre i ge-
nitori rispondevano dello stesso reato a titolo di concorso.
Con la legge 7/2006 che introduce la nuova fattispecie di reato nel
codice penale le sanzioni si inaspriscono e la pena della reclusione sale
da quattro a dodici anni.
Il secondo comma dell’art. 583 bis inquadra invece come lesioni per-
sonali gravi “chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al
fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali fem-
minili” diverse da quelle tipizzate nel primo comma (clitoridectomia,

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escissione e infibulazione) e da cui derivi una malattia nel corpo e nella
mente. La riconducibilità delle mutilazioni genitali – di qualunque tipolo-
gia – nella categoria delle lesioni personali volontarie era stata già ope-
rata dalla dottrina giuridica e medico-legale.11
Vi è inoltre un aggravante se il fatto viene commesso nei danni di un
minore o se il fatto viene commesso per fini di lucro.
Interessante è anche l’ultimo comma dell’art. 583 bis, laddove si de-
roga al generale principio del locus commissi delicti previsto dall’art. 6
del codice penale,12 che sancisce, come è noto, la punibilità nel territorio
dello Stato italiano di fatti costituenti reato, e andando ad aggiungersi di
fatto alle fattispecie previste dall’art. 7 del codice penale.13

10 Mantovani F., Le mutilazioni genitali femminili, op. cit.


11 Turillazzi E., Le mutilazioni genitali femminili: dalla dimensione socio-cultu-
rale alla urgenza deontologica e medico-legale, Professione – Sanità pubblica e
medicina pratica, 2000, 6, 27-30.
12 Art. 6 c.p. – Reati commessi nel territorio dello Stato

Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge
italiana.
Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omis-
sione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato
l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione.
13 Art. 7 c.p. – Reati commessi all’estero

è punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in


territorio estero taluno dei seguenti reati:
1. delitti contro la personalità dello Stato italiano;
2. delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
3. delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in
valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;
4. delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri
o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;

135
Parte II • Elementi di biodiritto

Per gli esercenti una professione sanitaria – quindi non soltanto me-
dica – è prevista, in caso di condanna, la pena accessoria per l’interdi-
zione della professione da tre a dieci anni. L’ultimo periodo dell’art. 583
ter recita che della sentenza di condanna viene data comunicazione al-
l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Stante le innovazioni
apportate anche per le altre professioni sanitarie e la istituzione di albi
professionali con relativi ordini, quest’ultima disposizione deve inten-
dersi valida anche per le altre professioni.14
Sono infine previste sanzioni severe anche per la struttura in cui si
praticano le mutilazioni genitali femminili. L’art. 8 della legge 7/2006 in-
troduce infatti una modifica al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina
della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle so-
cietà e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma

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dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300” e introduce a tale
fonte l’art. 25 quater, che riportiamo per esteso:

Art. 25 quater – Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili


1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 583-bis del codice
penale si applicano all’ente, nella cui struttura è commesso il delitto, la san-
zione pecuniaria da 300 a 700 quote e le sanzioni interdittive previste dall’ar-
ticolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno. Nel caso in cui si
tratti di un ente privato accreditato è altresì revocato l’accreditamento.
2. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo
unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indi-
cati al comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’eserci-
zio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3.

LA possibilità di un rito alternativo:


la cosiddetta Sunna lievissima

Nel 2003 si aprì un dibattito nazionale su proposta del Dott. Omar Abdul-
cadir, ginecologo del Centro di riferimento regionale per la prevenzione

5. ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni inter-
nazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.
14 Il riferimento è alla legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Disposizioni in materia di

professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e


della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini profes-
sionali”.

136
Le mutilazioni genitali femminili • Capitolo 10

e cura delle mutilazioni dei genitali femminili dell’azienda ospedaliera


di Careggi di Firenze, in merito a un rito alternativo (la sunna lievissima)
che preservasse la ritualità ma evitasse la mutilazione. La sunna lievis-
sima prevede quanto segue: previa anestesia locale con crema aneste-
tica contenente lidocaina (EMLA), si punge il prepuzio al di sopra del cli-
toride con una lancetta monouso o con un ago in modo da fare uscire
poche gocce di sangue; quindi si disinfetta con toccature di betadine per
uso locale. La proposta è stata portata all’attenzione del Comitato regio-
nale di bioetica della Regione Toscana, che l’ha analizzata anche attra-
verso la costituzione di un gruppo di lavoro.
La sunna lievissima si pone come obiettivo quello di trasformare
in innocuo un atto mutilante, conservandone la ritualità e come mo-
mento transitorio verso la sua definitiva scomparsa. Un atto legislativo

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– pur forte come quello che è stato poi recepito con la legge 7/2006
– difficilmente può cambiare la mentalità e i principi religiosi radicati
nel tempo. Data l’importanza del rito, questo viene conservato, ma
si evitano gli effetti mutilanti. Queste sono state le motivazioni eti-
che favorevoli che sono emerse. Tra le motivazioni etiche contrarie vi
è quella che sostiene che la pratica sostitutiva delle infibulazioni è la
sostanziale accettazione dei disvalori che sono alla base delle muti-
lazioni genitali.
Da un punto di vista deontologico, la Commissione regionale di bioe-
tica della Regione Toscana afferma che tale rito alternativo, non essendo
mutilante né doloroso (vista la previa applicazione della crema ane-
stetica), può essere considerato come atto da inserire nella globale at-
tività di prevenzione dei danni da infibulazione. Esso non deve essere
considerato un atto strettamente medico, ma rientra nella più generale
categoria degli “atti sanitari” e può essere assimilato alla circoncisione
rituale maschile, anch’essa caratterizzata da ritualità e mancanza di
terapeuticità, e che in realtà è maggiormente foriera di rischi rispetto
alla sunna lievissima, ma accettata come rito. La Commissione regio-
nale toscana dà inoltre indicazioni al personale sotto il duplice profilo
della opportunità e della coercitività della partecipazione delle profes-
sioni della salute a tale pratica. Riportiamo testualmente:

a) “si afferma che il medico/infermiere/ostetrica che si rende dispon-


bile ad agire in tal senso non determina danno alla salute del minore,
favorisce la prevenzione di fatti ben più gravi e non commette alcun
reato”;
b) “allo stesso tempo si afferma che nessun medico/infermiere/oste-
trica debba ritenersi obbligato a compiere tale atto, nel pieno rispetto
della sua coscienza”.

137
Parte II • Elementi di biodiritto

Da uno stretto punto di vista giuridico tale pratica – pur potendo con-
tenere quanto meno come ipotesi di scuola ipotesi di reato15 – può essere
tutto sommato considerata lecita o quanto meno da tollerare visti i rischi
“pressoché inconsistenti” di azioni giudiziarie con medici e genitori.
Infine, sotto il profilo della possibilità di effettuazione nelle strutture
pubbliche, la sunna lievissima è da considerarsi non praticabile, e stante
l’assenza di terapeuticità non è consentito quindi l’utilizzo di risorse fi-
nanziarie pubbliche che “può dare luogo al delitto di peculato per distra-
zione (art. 314 codice penale)”.16
Non vi è dubbio che la sunna lievissima rappresenta una delle stra-
tegie che si prefigge la diminuzione della pratica delle mutilazioni. Non
possiamo quindi non concordare con il suo ideatore, che auspica che
questa pratica porti almeno ad evitare a una bambina la tragedia della

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mutilazione.

15 Nella relazione giuridica della Commissione regionale di bioetica della Regio-


ne Toscana l’autorevole giuspenalista Ferrando Mantovani ipotizza, sia pur per
ragioni tuzioristiche e di principio, la possibilità anche per il rito alternativo di
illiceità penale. Può infatti dare luogo al reato di percosse ex art. 581 c.p. “poiché
il termine percuotere non viene qui assunto nel solo significato di battere, pic-
chiare, colpire, bensì in quello più lato comprensivo di ogni assoggettamento del
corpo altrui a un’azione violenta, idonea a produrre una sensazione dolorifica”.
Si può inoltre ipotizzare il reato di violenza privata ex art. 610 c.p. poiché “sog-
getto passivo di tale reato possono essere anche i minori, in quanto suscettibili di
essere oggetto di costrizione a sopportare qualche cosa, come nel caso di specie,
il prelievo forzoso delle gocce di sangue”.
16 Art. 314 c.p. – Peculato

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione


del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra
cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole
ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso
momentaneo, è stata immediatamente restituita.

138
Capitolo

11
il consenso informato

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Premessa

Il dibattito sul consenso informato è, nel nostro Paese, relativamente


recente e si è innestato con una certa forza nella tradizione medica
italiana, dato che questa è da sempre permeata di un retaggio di tipo
ippocratico-paternalistico, tanto da essere recepita dal medico come
novità destabilizzante.1
Il principio del consenso informato mira a superare una concezione
paternalistica della medicina. Detta concezione si sostanziava, e in certe
situazioni si perpetua ancora, nelle tipiche forme di supremazia medica,
non tenendo in alcun conto la volontà del paziente. Il medico, cioè, pro-
prio come un buon padre di famiglia, decideva nell’interesse supposto del
paziente. Le novità sul consenso informato sono spesso state introdotte
dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che negli ultimi anni “ha
adottato uno standard di notevole rigore nel valutare la responsabilità
dei medici”.2
Bisogna a questo punto prendere atto che il principio del consenso in-
formato è oramai un “principio immanente” nel nostro ordinamento e che
non sono più in alcun modo possibili “interventi extraconsensuali”.3

1 Spinsanti S., Sul buono e sul cattivo uso, Pa­norama della Sanità, 20, 25 maggio
1998.
2 Santosuosso A. (a cura di), Il consenso informato, tra giustificazione del medico

e diritto per il paziente, Raffaello Cortina, Milano, 1996.


3 Mantovani F., Diritto penale. Parte speciale – Delitti contro la persona, Cedam,

Padova, 1996, p. 94.

139
Parte II • Elementi di biodiritto

Sin dal 1992 il Comitato Nazionale di Bioetica, nell’ormai noto docu-


mento “Infor­ma­zio­ne e consenso all’atto medico”, aveva avuto modo di
precisare che si ritiene tramontata “la stagione del paternalismo medico
in cui il sanitario si sentiva legittimato a ignorare le scelte e le incli­na­
zioni del paziente [...]”.
Nel nostro ordinamento giuridico vige quindi il principio della vo-
lontarietà del trattamento sanitario. In primo luogo, l’art. 32 della Co­
stituzione della Repubblica stabilisce che nessuno può essere obbligato
a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di leg­ge
e, anche in quel caso, comunque, la legge non può in alcun modo violare
i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Unanimemente la dottrina giuridica e i vari documenti delle Com-
missioni di bioetica ritengono che il consenso informato “costituisce

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il fondamento della liceità dell’atto medico e come tale deve diventare
prassi”.4
Sul punto è intervenuta la giurisprudenza della suprema Corte di
Cassazione, la quale ha stabilito che il consenso costituisce l’essenziale
e imprescindibile legittimazione giuridica dell’atto medico, altrimenti
passibile d’essere valutato come reato.5
Il codice di deontologia medica (2006) all’art. 35 stabilisce che “il
medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza
l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente”.
Il consenso, per essere validamente prestato, deve essere informato.
Il consenso informato non può considerarsi implicito o automaticamente
desumibile dal fatto che l’attività del medico sia preordinata al bene del
paziente. Nell’etica medica attuale, il consenso informato ha assunto un
ruolo chiave, consentendo la piena valorizzazione delle scelte compiute
dal paziente competente, sulla base del principio di autonomia.6
La tematica del consenso informato si è imposta per le elaborazioni
dottrinali, giurisprudenziali e bioetiche. Brillava per assenza la regola-
mentazione normativa, a parte alcune leggi di settore. A questa lacuna
stanno ovviando due importanti fonti normative che devono ancora però
avere piena attuazione nel nostro Paese: la cosiddetta “Carta di Nizza” e
la cosiddetta “Convenzione di Oviedo”.
La “Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea”, detta “Carta
di Nizza”, in quanto ivi ratificata il 7-9 dicembre 2000 – una sorta di em-

4 Commissione Regionale di Bioetica – Regione To­sca­na, 1994.


5 Cassazione penale, sez. IV, 12 luglio 1991, in Barni M., I testamenti biologici:
un dibattito ancora aperto, Ri­vista italiana di medicina legale, XVI, 1994.
6 Comitato Nazionale di Bioetica, Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento

sanitario nella relazione paziente-medico, 24 ottobre 2008.

140
Il consenso informato • Capitolo 11

brione normativo di una futura costituzione europea – dedica in pratica


un intero articolo, l’art. 3, alla tematica del consenso informato, anche
se viene rubricato come “Diritto all’integrità della persona”.
L’art. 3 della “Carta di Nizza”, quando si riferisce al consenso infor-
mato, recita testualmente: “nell’ambito della medicina e della biologia
devono in particolare essere rispettati:

• il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le


modalità definite dalla legge”.

Sull’altro versante l’Italia ha già ratificato la cosiddetta “Convenzione


di Oviedo” recependola con la legge 28 marzo 2001, n. 145.7 La “Conven-
zione di Oviedo” dedica ben sei articoli (dal 5 al 10) alle problematiche

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dell’informazione e del consenso. Riportiamo qui di seguito l’art. 5 che
delinea una “regola generale”, mentre nei paragrafi successivi verranno
discussi gli altri articoli. L’art. 5 della “Convenzione di Oviedo” recita:

Qualsiasi intervento in campo sanitario non può essere effettuato se non dopo
che la persona interessata abbia dato il proprio consenso libero e informato.
Questa persona riceve preventivamente un’informazione adeguata in merito
allo scopo e alla natura dell’intervento nonché alle sue conseguenze e ai suoi
rischi.
La persona interessata può liberamente ritirare il proprio consenso in qualsiasi
momento.

Siamo comunque in assenza di una legge quadro sul consenso


informato. Vi sono, lo vedremo, normative di settore specifiche che
prevedono l’obbligatorietà dell’informazione e dell’acquisizione del
consenso. Questo comunque non sposta l’importanza della pratica del
consenso informato. Ha precisato la giurisprudenza della Cassazione
che la pratica del consenso “è elemento strutturale interno al rapporto
giuridico che determina il consenso al trattamento sanitario, anche
in assenza di una esplicita norma che riconosca al malato il diritto
fondamentale e irrinunciabile all’adeguata informazione sulla presta-
zione sanitaria, e quindi al consenso informato, il cui contenuto deve

7 Legge 28 marzo 2001, n. 145 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del


Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere
umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui
diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del
Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di
esseri umani”.

141
Parte II • Elementi di biodiritto

essere necessariamente arricchito dalla previa corretta informazione


sulla qualità e sicurezza del servizio sanitario e sulla adeguata previa
informazione sui rischi operatori e postoperatori, anche in relazione
all’efficienza della struttura sanitaria ospitante, operando in tal senso
la garanzia del diritto alla salute”.8
Data l’importanza che riveste l’informazione al paziente rispetto al-
l’acquisizione del consenso, nei prossimi paragrafi – invertendo l’espres-
sione “consenso informato” – tratteremo per primi i caratteri dell’infor-
mazione e quindi le problematiche dell’acquisizione del consenso.

L’informazione

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Assumono quindi rilevanza l’informazione e i ca­ratteri della stessa. Il
medico viene riconosciuto come il soggetto a cui è demandato il dovere
di informare,9 di dare un’informazione.
Il medico ha il dovere di informare e il paziente ha il diritto di essere in-
formato, ma non può essere obbligato a essere informato. Cor­ret­­tamente,
il Codice di deontologia medica 2006 ha stabilito che “la documentata vo-
lontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro
soggetto l’informazione deve essere rispettata”. “Documentata volon­tà”
significa quindi espressione del paziente in forma scritta o espressa per
testimoni. Ana­lo­gamente il Codice di deontologia infermieristica (1999)
precisa che l’infermiere riconosce al paziente “il diritto alla scelta di non
essere informato”, oltreché adoperarsi affinché lo stesso paziente “di-
sponga di informazioni globali e non solo cliniche” (art. 4.5 C.D.I. 1999).

8 Cassazione civile, sez. III, sentenza 19 ottobre 2006, n. 22390.


9 L’affermazione è oramai consolidata. Si veda in proposito Corte di cassazione,
III sez. civile, sentenza 30 aprile 1996-15 gennaio 1997, n. 364, Guida al diritto, n.
5 dell’8 febbraio 1997. In questa sentenza si legge “La formazione del consenso
presuppone una specifica informazione su quanto ne forma oggetto [si parla, in
proposito, di consenso informato], che non può che provenire dallo stesso sanitario
cui è richiesta la prestazione”. All’interno delle strutture ospedaliere il compito di
informare può essere dato sia al dirigente di 2° livello, ex primario, sia a un altro
medico, in quanto all’interno dei presidi ospedalieri vale il principio non della
personalità del consenso, in quanto la “cura degli infermi è affidata a un’équipe di
medici e il paziente acconsente al trattamento ben sapendo che diverse possono
essere le persone che lo eseguiranno, sicché il consenso prestato a un sanitario
per un certo trattamento vale implicitamente anche nei riguardi degli altri medici
che fanno parte del reparto in cui il paziente è ricoverato. Trattasi del principio
di fungibilità o se si vuole di impersonalità della prestazione di cure in ambiente
ospedaliero” (Documento del Consiglio superiore di sanità sul consenso informato,
sessione XLII, Assemblea generale, 17 aprile 1996).

142
Il consenso informato • Capitolo 11

Vediamo ora quali sono i caratteri essenziali dell’informazione, che


deve essere:
a) onesta, cioè deve essere effettuata con “chiarezza di linguaggio ed
essenzialità di contenuti”. L’art. 33 del codice di deontologia medica
precisa che “il medico nel comunicare con il paziente dovrà tenere
conto delle sue capacità di comprensione” senza quindi usare termini
scientifici sovrabbondanti non utili alla comprensione del caso;
b) veritiera, il medico non deve sottacere la verità. Sempre l’art. 35 del
codice di deontologia medica stabilisce che “le informazioni riguar-
danti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupa-
zioni e sofferenze particolari alla persona, devono essere fornite con
prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere
elementi di speranza”;

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c) completa, il contenuto dell’informazione deve avere per oggetto “i
dati essenziali, attinenti alla diagnosi, alla prognosi, alla terapia me-
dica e chirurgica, alle alternative terapeutiche, ai benefici e rischi della
medesima, al decorso postoperatorio, ai tempi di degenza, all’inci-
denza dell’intervento sulla vita futura, dovendo il livello di informa-
zione essere proporzionato anche alla gravità dell’intervento e altresì
adeguato alla volontà di conoscenza, espressa dalle richieste del sog-
getto”. Anche su questo punto è intervenuto l’art. 33 del Codice di
deontologia medica il quale precisa che “ogni ulteriore richiesta di in-
formazione da parte del paziente deve essere comunque soddisfatta”.

IL CONSENSO

L’informazione non può ridursi a neutra presentazione di diverse opzioni


considerate equivalenti, ma è finalizzata a consigliare, sostenere e – fatto
salvo il rispetto per l’autonomia personale – persuadere il paziente nelle
scelte terapeutiche che sono in grado di offrire le migliori chance.10
I soggetti che devono prestare il consenso nella routine e nell’emer-
genza sono:

• il maggiorenne;
• il maggiorenne incosciente;
• il minore;
• il paziente inabilitato e interdetto.

10 Comitato Nazionale di Bioetica, Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento


sanitario nella relazione paziente-medico, 24 ottobre 2008.

143
Parte II • Elementi di biodiritto

Il consenso nella routine 

È ormai assodato che il consenso deve essere prestato dallo stesso sog-
getto destinatario del trattamento sanitario. Questo è un principio sancito
dal Codice di deontologia medica, dalla giurisprudenza e dal principio
personalistico desumibile dal nostro ordinamento giuridico. Il soggetto
deve essere maggiorenne e capace di intendere e volere, e il suo consenso
informato deve essere attuale e reale.

Il consenso nell’emergenza 

Nel caso di trattamenti d’urgenza e indifferibili in cui il paziente non può

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prestare il suo consenso perché non cosciente, si fa riferimento alla teoria
del consenso presunto o presumibile.11 In questo caso si ricorre alla
presunzione che il soggetto agisca secondo l’id quod plerumque accidit,
cioè si agisce come se ci fosse il consenso, in quanto si presume che il
paziente avrebbe prestato, se avesse potuto, il proprio consenso al tratta-
mento sanitario. In questo caso non si riconosce alcun potere ai familiari
o ai prossimi congiunti. Il termine prossimo congiunto non è chiaro ed è
indeterminato; inoltre bisogna tenere presente che il familiare può avere
un interesse contrapposto a quello del paziente, poiché ne è l’erede. Il
codice di deontologia medica, al riguardo, specifica che “l’informazione
ai congiunti è ammessa solo se il paziente consente”.
Vi possono essere situazioni in cui il soggetto abbia, da cosciente,
lasciato disposizioni per i trattamenti sanitari futuri proprio in previsione
di casi in cui non avesse potuto prestare il consenso.
Non essendoci riferimenti normativi in proposito, la dottrina giuri-
dica prevalente richiede però che il consenso e il mancato consenso o
addirittura, come in questo caso, il dissenso, debbano essere attuali. In
mancanza di tale requisito e in mancanza della possibilità di adottare in
Italia il living will 12 o testamento biologico, il medico può intervenire. È
utile precisare però che, sul punto, le opinioni non sono concordi.

11 La teoria del consenso presunto non è l’unica teoria sul punto. La dottrina giu-
ridica ne ha elaborate altre quali “la teoria dell’atipicità del fatto per la socialità
del trattamento medico, la teoria della scriminante non codificata detta anche
necessità medica, ricorrenza dello stato di necessità ex art. 54 c.p.” Per una rico-
struzione puntuale delle varie teorie, vedi Iadecola G., Potestà di curare e consenso
del paziente, Cedam, Pa­do­va, 1998, p. 90.
12 Il living will è un “documento redatto da soggetto competente prima del futuro

verificarsi di particolari circostanze cliniche”, che contiene indicazioni sulla natura


e il tipo di trattamento terapeutico o assistenziale da porre in essere nel caso che

144
Il consenso informato • Capitolo 11

La “Convenzione di Oviedo” specifica all’art. 8 che “quando a causa


di una situazione d’urgenza non si può avere il consenso appropriato si
potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispen-
sabile per il beneficio della salute della persona interessata”. La perento-
rietà dell’enunciazione può lasciare perplessi, ma essa è temperata dal
successivo art. 9 che disciplina la volontà espressa precedentemente. In
tal caso la convenzione stabilisce che “saranno prese in considerazione
le volontà precedentemente espresse nei confronti dell’intervento medico
da parte del paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di
esprimere la propria volontà”.
Affermare che “saranno prese in considerazione” indica un vincolo
non cogente. Sarà compito del medico tentare di capire se le volontà
precedentemente espresse siano il frutto di una reale, consapevole presa

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di posizione (per esempio, in tema di rifiuto alle cure) e delle conseguenze
di tale rifiuto. In mancanza di una reale e consapevole presa di posizione
del paziente deve valere la regola del consenso presunto, non essendo
accettabile un consenso che non presenti i requisiti dell’attualità. Diverso
si presenta invece un documento di direttive anticipate sull’accanimento
terapeutico rispetto al rifiuto del trattamento salvavita per le implicazioni
etiche che comporta.

Il paziente minore 

Nell’ordinamento giuridico italiano il minore non può prestare il suo


consenso. Vi sono sul punto opinioni contrarie, in quanto si tende a
considerare l’adolescente come soggetto che può prestare il consenso
a certe condizioni.
Il consenso deve essere prestato da entrambi i genitori. Come è larga-
mente noto, nel nostro Paese, dalla riforma del diritto di famiglia avvenuta
nel 1975,13 è stata abolita la patria potestà ed è stata introdotta la potestà
genitoriale. En­trambi i genitori hanno la potestà.

nel soggetto stesso, per ragioni cliniche, venga meno la possibilità di prendere
un’autonoma decisione”. Barni M., I testamenti biologici: un dibattito aperto, Rivista
italiana di medicina legale, 835, 4, 1994.
13 Art. 316 c.c. (così sostituito dall’art. 137, legge 19 maggio 1975, n. 151 “Riforma

del diritto di famiglia”) – Esercizio della potestà dei genitori


Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o all’emancipa-
zione.
La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.
In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori
può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più
idonei.

145
Parte II • Elementi di biodiritto

È necessario pertanto analizzare le situazioni e i casi particolari


che possono scaturire dalla normativa vigente:

Se sussiste un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, il padre


può adottare i provvedimenti urgenti e indifferibili.
Il giudice, sentiti i genitori e il figlio, se maggiore di anni quattordici, suggerisce le
determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se
il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori
che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.
Art. 317 c.c. – Impedimento di uno dei genitori
Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impos-
sibile a uno dei genitori l’esercizio della potestà, questa è esercitata in modo
esclusivo dall’altro. La potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito
di separazione, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili
del matrimonio, i figli vengono affidati a uno di essi. L’esercizio della potestà è

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regolato, in questi casi, secondo quanto disposto dall’art. 155.
Art. 317 bis c.c.– Esercizio della potestà
Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui.
Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta
congiuntamente a entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni
dell’art. 316. Se i genitori non convivono, l’esercizio della potestà spetta al genitore
con il quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo
che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell’esclusivo interesse del figlio, può
disporre diversamente; può anche escludere dall’esercizio della potestà entrambi
i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore.
Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull’istruzione, sul-
l’educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore.
Art. 155 c.c. – Provvedimenti riguardo ai figli
Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di
mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere
cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi
con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la
finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione perso-
nale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento
all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che
i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi
i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso
ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.
Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i
genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale
è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli
relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo
tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle
decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i
genitori esercitino la potestà separatamente. …Omissis…

146
Il consenso informato • Capitolo 11

• è presente uno solo dei genitori: l’altro genitore cioè, non può
esercitare la potestà per motivi di “lontananza, incapacità o altro
impedimento”. Il codice civile in questo caso stabilisce che la potestà
deve essere esercitata “in modo esclusivo” dal genitore presente; di
conseguenza ogni decisione spetta a lui;
• i genitori sono divorziati o separati: in questo caso la recente rifor-
mulazione dell’art. 155 c.c. stabilisce che “il figlio minore ha il diritto
di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di
essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi” i geni-
tori. Se il giudice affida i figli a entrambi i genitori – situazione che è
da considerarsi ordinaria – i diritti-doveri dei genitori sono identici;
altrimenti se stabilisce che i figli sono affidati a uno dei genitori deve
fissare le misure con cui ciascun genitore deve contribuire alla cura,

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al mantenimento e alla istruzione dei figli;
• i genitori non sono in accordo sul trattamento sanitario da porre
in essere: in questo caso entrambi i genitori possono ricorrere al Tribu-
nale per i minorenni che deciderà in base all’interesse per il minore;
• incombente pericolo di un grave pregiudizio per il minore: in
questo caso l’art. 316 c.c. stabilisce che “il padre può adottare i prov-
vedimenti urgenti e indifferibili”.

È importante sottolineare che c’è un diritto del figlio maggiore di 14


anni a essere sentito dal giudice per questioni di particolare importanza.

Il ruolo delle figure dell’amministratore di sostegno


e del tutore nella prestazione del consenso

Nel caso di pazienti incapaci di esprimere validamente il consenso ci si


pone il problema della titolarità a esprimere il consenso. Abbiamo visto
che il soggetto che nasce acquisisce per il fatto della nascita la “capacità
giuridica” e al compimento del diciottesimo anno la “capacità di agire”.
Con la capacità giuridica un individuo è soggetto di diritto e acquista
la possibilità di essere titolare di diritti e di doveri, contemplati e protetti
dall’ordinamento.
Non esiste una forma di incapacità giuridica (ovvero “la morte ci-
vile”, equivalente alla privazione dei diritti, inbita ora dall’art. 22 della
Costituzione); esistono invece forme di capacità giuridica o incapacità
giuridica speciali, presupposte di volta in volta attraverso l’attribuzione
o la sottrazione di singoli diritti e doveri. Con la capacità di agire, invece,
il soggetto può compiere atti giuridici ritenuti validi e meritevoli di tutela
dall’ordinamento. In questo caso ci possono essere, per vari motivi, delle

147
Parte II • Elementi di biodiritto

limitazioni della capacità di agire, mentre abbiamo visto, queste, non


essere possibili per la capacità giuridica.
Infine si parla di “capacità di intendere e volere” quale condizione
necessaria per concludere un contratto o ai fini della imputabilità di un
illecito.
Normalmente capacità di agire e capacità di intendere e volere coinci-
dono. Quando non coincidono, nel caso di un maggiorenne, significa che
si sono applicati gli istituti limitativi della capacità di agire: l’interdizione,
l’inabilitazione e l’amministratore di sostegno.14
Gli istituti tradizionali della limitazione della capacità di agire – in-
terdizione e inabilitazione – da sempre presenti nel nostro ordinamento
sono stati affiancati recentemente dall’istituto dell’amministratore di
sostegno. L’interdizione si caratterizza come misura estrema che com-

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porta una limitazione completa della capacità di agire e il soggetto viene
sostituito da un tutore negli atti da compiere.15 L’inabilitazione16 è una
misura intermedia e viene applicata quando non vi siano le condizioni
di gravità per l’interdizione e il soggetto viene affiancato da un curatore.
È comunque una misura gravosa.
La figura dell’amministratore di sostegno – ultima nata – punta a
tutelare le persone prive dell’autonomia nell’espletamento delle funzioni
della vita quotidiana, intervenendo con il minore grado di limitazione di
capacità di agire. Al contrario dell’interdizione è una misura a carattere
particolare e l’amministratore di sostegno riceve direttamente, nel decreto
di nomina, “l’oggetto dell’incarico e degli atti che [l’amministratore di

14 Legge 9 gennaio 2004, n. 6 “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice
civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica
degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di
interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordina-
mento e finali”.
15 Art. 414 c.c. – Persone che possono essere interdette

Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale


infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono
interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.
16 Art. 415 c.c. – Persone che possono essere inabilitate

Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da
dar luogo all’interdizione, può essere inabilitato.
Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale
di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi
pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima
infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione
dell’articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai
propri interessi.

148
Il consenso informato • Capitolo 11

sostegno] ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario”


e “degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza del-
l’amministratore di sostegno”.
A questo punto è lecito domandarsi se tra gli atti che l’amministratore
di sostegno può compiere rientrino anche atti importanti di consenso alle
cure e, soprattutto di “rifiuto alle cure”.
La giurisprudenza sul punto è incerta e ondivaga. Vi sono pronunce,
come la seguente, che sostengono la legittimità dell’amministratore di
sostegno a dare il consenso alle cure:

L’amministratore di sostegno può essere autorizzato dal giudice a dare il consenso


a un intervento chirurgico sulla persona dell’assistito quando tale intervento sia
necessario per evitare danni permanenti e l’interessato non sia in grado – per le pro­

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prie condizioni psichiche – di percepire appieno la gravità della situazione.17

Vi sono, dall’altro lato, decisioni che negano questo diritto dell’am-


ministratore di sostegno:

Il destinatario del provvedimento di amministratore di sostegno deve mantenere


quanto meno in misura ridotta una propria autonomia e capacità. La legge 6/2004
riferendosi ai soggetti privi in tutto o in parte di “autonomia nell’espletamento delle
funzioni di vita quotidiana”, presuppone non già un’incapacità, bensì una impos­
sibilità dei beneficiari di provvedere ai propri interessi da cui si desume che il
legislatore abbia avuto a mente fattispecie di impedimento a provvedere ai propri
interessi non coincidenti con l’incapacità posta a fondamento dell’interdizione,
e abbia quindi disciplinato interventi di sostegno alla persona e non di integrale
sostituzione alla stessa.18

Vi sono infine pronunce che autorizzano l’amministratore di sostegno


a rifiutare le cure in modo deciso19 e che approfondiremo più avanti, nel
paragrafo “Il rifiuto delle cure”.

La forma del consenso

A eccezione di alcuni casi tassativamente determinati, la forma del con-


senso è libera, nel senso che può essere prestata in forma orale o scritta.

17 Tribunale di Modena, decreto 28 giugno 2004.


18 Tribunale di Torino, decreto 22 maggio 2004.
19 Tribunale di Modena, decreto 13 maggio 2008.

149
Parte II • Elementi di biodiritto

Il Comitato Nazionale di Bioetica ha stabilito che “il consenso scritto è da


ritenere allo stato attuale un dovere morale del medico in tutti quei casi
in cui le prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche in ragione della loro
natura sono tali da rendere opportuna una manifestazione inequivoca e
documentata della volontà del paziente”. Dovere morale quindi, non giu-
ridico. L’e­spressione “manifestazione inequivoca” è stata peraltro fatta
propria anche dal recente codice di deontologia medica. È importante
sottolineare che “qualsiasi modulo, predisposto o no, costituisce soltanto
un mero elemento di prova a tutela di un’informazione fornita. Nessun
consenso, neppure scritto, modifica o diminuisce la responsabilità del
medico per eventuale superamento dei limiti oggettivi indicati nei pre-
cedenti paragrafi o per colpa medica”. Il codice di deontologia medica
stabilisce che il consenso in forma scritta “è integrativo e non sostitutivo”

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dell’informazione e della richiesta del consenso di forma orale.
Essendo vigente il principio della libertà della forma, scritta od orale,
anche il consenso può essere revocato in qualsiasi momento dal paziente.
È del tutto irrilevante la forma del recesso, essendo sufficiente una qual-
siasi manifestazione di volontà espressa dal paziente. Di conseguenza, un
consenso prestato in forma scritta può essere annullato da un “semplice”
dissenso orale.
Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno sempre tenuto a precisare
che il consenso dev’essere sempre “espresso”. Conseguentemente, la
dottrina precisa che il consenso non può essere né tacito né implicito.20
Per la giurisprudenza, invece, l’avvenuta prestazione del consenso in-
formato non può desumersi per facta concludentia, cioè per il solo fatto
che il paziente si affidi al medico e si faccia eseguire le prestazioni,
in quanto tali situazioni non costituiscono “comportamenti presuppo-
nenti e indicativi che il consenso fosse stato richiesto e ottenuto né,
soprattutto, che fosse intervenuta una perfetta e adeguata informazione
sulla natura delle prestazioni che sarebbero state eseguite e sui rischi
a essa connessi”.21 Mancano in questo caso i requisiti della certezza
e della trasparenza nel rapporto medico-paziente per trasformarlo in
un assenso.22
D’altra parte l’avvenuta informazione del tipo di intervento, da parte
del chirurgo, anche se modificato all’atto dell’esecuzione, ma debitamente
firmato dal paziente in una modulistica che contenga l’informazione, è
stato ritenuto valido e non opponibile a fronte di una prova testimoniale

20 Toscano G., Informazione, consenso e responsabilità sanitaria, Giuffrè, Milano,


2006, p. 90.
21 Corte di appello di Bari, sentenza 27 marzo 2007.
22 Toscano G., Informazione, consenso e responsabilità sanitaria, op. cit.

150
Il consenso informato • Capitolo 11

contraria.23 La modulistica, però, non deve essere considerata in modo


rigido o intoccabile in quanto può essere ben integrata dall’informazione
data oralmente.
La giurisprudenza di merito ha precisato che:

Non può ritenersi fondata la contestazione di non esaustività del consenso infor­
mato sottoscritto anche nel caso in cui la struttura sanitaria abbia successivamente
sostituito il modulo con uno più dettagliato, ciò allorquando il paziente sia stato
reso edotto oralmente di particolari evenienze che avrebbero potuto verificarsi a
seguito dell’intervento.24

I casi di obbligatorietà del consenso informato scritto 

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Vi sono alcuni casi in cui il consenso è obbligatoriamente richiesto in
forma scritta.

1. Consenso alla donazione di sangue. Il decreto del Ministro della


salute 3 marzo 2005, contenente i protocolli per l’accertamento della
idoneità del donatore di sangue ed emocomponenti, precisa che il
candidato donatore, preventivamente e debitamente informato, deve
“esprimere il proprio consenso alla donazione e al trattamento dei dati
personali”. In allegato al decreto è riportato il modulo di accettazione
e consenso alla donazione.
2. Consenso alla trasfusione di sangue, di emocomponenti e alla
somministrazione di emoderivati. Il decreto del Ministro della sa-
nità 1 settembre 1995, all’art. 4 stabilisce che il consenso, in questi
casi, deve essere e­spresso “mediante sottoscrizione di apposita di­
chiarazione conforme al testo allegato”. In caso di pazienti minori “il
consenso deve essere richiesto a entrambi i genitori o all’eventuale
tutore. In caso di disaccordo tra i genitori, il consenso va richiesto al
giudice tutelare”. In caso di pericolo di vita il “medico può procedere
a trasfusione di sangue anche senza consenso del paziente. Devono
essere indicate nella cartella clinica, in modo particolareggiato, le
condizioni che determinano tale stato di necessità”.
In questo caso il decreto ministeriale ha recepito la teoria dottri-
naria del “consenso presunto o presumibile”. Il medico cioè agisce
secondo l’id quod plerumque accidit, cioè a­gi­sce in modo da conside-
rare sussistente la volontà del paziente in quanto basata sull’istinto

23 Corte di appello di Roma, III sez., sentenza 27 marzo 2007.


24 Tribunale di Benevento, sentenza 2 maggio 2008.

151
Parte II • Elementi di biodiritto

di “autoconservazione e della volontà di vivere del soggetto, e che


quindi egli a­vreb­be prestato, se avesse potuto, il proprio con­senso
alla terapia”.25
Sul punto, però, il tenore letterale del decreto non solo non è chiaro,
ma può indurre in errore. La teoria del consenso presunto o presu-
mibile è oggi unanimemente accettata sia dalla dottrina giuridica che
dalla giurisprudenza. Il terzo comma dell’art. 4 del decreto in questione
però specifica soltanto che il medico può procedere a trasfusione di
sangue non quando vi sia un pericolo imminente di vita e il paziente
non può prestare il proprio consenso, ma si limita a dire “quando vi
sia un pericolo imminente di vita” lasciando intendere, forse incon-
sapevolmente, che il paziente potrebbe essere cosciente.
È un’interpretazione che deve essere respinta con forza in quanto

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contrasta con il principio personalistico oggi prevalente che attribui-
sce al paziente, e solo al paziente, la decisione sul trattamento.26
Nei casi che comportano trattamenti trasfusionali ripetuti, il consenso
si presume formulato per tutta la durata della terapia salvo esplicita
revoca da parte del paziente.
Al di là delle considerazioni che si possono fare sul consenso e sulle
modalità del consenso scritto, il testo di dichiarazione del consenso
allegato al decreto ministeriale è senza dubbio un modulo reale di
consenso informato. Il sottoscrittore è reso edotto dei rischi infettivi
e trasfusionali che tale pratica comporta, e dei rischi derivanti dalla
mancata trasfusione. In linea con questo, ovviamente, il consenso al-
l’atto trasfusionale deve essere espresso direttamente dal paziente.
Data l’importanza delle innovazioni introdotte dal decreto sul buon
uso del sangue, riportiamo qui di seguito gli allegati pubblicati in
Gazzetta Ufficiale sul consenso informato alla trasfusione di sangue
e di emoderivati. Una notazione si impone, in quanto il modulo deve
essere necessariamente modificato in caso, e solo in questo caso,
di paziente minore, in quanto il decreto stabilisce che a firmarlo
devono essere entrambi i genitori e il modulo non prevede questa
modalità.

25 Commissione Regionale di Bioetica della regione To­scana: “Il consenso informato

nei trattamenti sanitari”. Sul punto, vedi anche Battaglino F., Ravioli A., Con­senso
informato nell’attività medico terapeutica, Federazione Medica, 1993, 10, 356.
26 Vedi le argomentazioni poste dalla dottrina giuridica e medico-legale: Bilan-

cetti M., Fineschi V., Le ambiguità medico-legali della normativa sul buon uso del
sangue, Sanità pubblica e medicina pratica, 3, 1998; Santacroce G., Trasfusioni di
sangue, somministrazione di emoderivati e consenso informato del paziente, La
Giustizia Penale, 1997, 112.

152
Il consenso informato • Capitolo 11

Allegato 1

CONSENSO INFORMATO ALLA TRASFUSIONE

Io sottoscritto/a...............................................................................................
nato/a ................................................................il ............/............/.............
sono stato informato dal dott. ............................... che per le mie condizioni
cliniche potrebbe essere necessario ricevere trasfusione di sangue omologo/
emocomponenti (*), che tale pratica terapeutica non è completamente esente da
rischi (inclusa la trasmissione di virus dell’immunodeficenza, dell’epatite ecc.).
Ho ben compreso quanto mi è stato spiegato dal dott. ................................ sia in
ordine alle mie condizioni cliniche, sia ai rischi connessi alla trasfusione come a
quelli che potrebbero derivarmi se non mi sottoponessi alla trasfusione. Quindi
acconsento/non acconsento (*) a essere sottoposto presso codesta struttura al

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trattamento trasfusionale necessario per tutto il decorso della mia malattia.

Data ................................

Firma ...................................................

(*) Cancellare quanto non interessa.

Allegato 2

CONSENSO INFORMATO AL TRATTAMENTO CON EMODERIVATI

Io sottoscritto/a...............................................................................................
nato/a ................................................................il ............/............/.............
sono stato informato dal dott. ............................... che per le mie condizioni
cliniche devo essere sottoposto a un trattamento terapeutico con emoderivati,
che tale pratica terapeutica non è completamente esente da rischi (inclusa la
trasmissione di virus dell’immunodeficenza, dell’epatite ecc.). Ho ben compreso
quanto mi è stato spiegato dal dott. ................................ in ordine alle mie
condizioni cliniche, ai rischi connessi alla terapia e a quelli che potrebbero
derivare non sottoponendomi al trattamento. Quindi acconsento/non accon­
sento (*) a essere sottoposto al trattamento terapeutico necessario per tutto il
decorso della mia malattia.

Data ................................

Firma ...................................................

(*) Cancellare quanto non interessa.

153
Parte II • Elementi di biodiritto

La novità maggiore introdotta dal decreto dell’1 settembre 1995 non è


stata tanto l’introduzione dell’obbligo del consenso informato scritto
per l’emotrasfusione e per gli emocomponenti, quanto piuttosto per
gli emoderivati, an­che in questo caso, con apposito modulo, sem­pre
allegato alla Gazzetta Ufficiale.
L’adozione obbligatoria di questa modulistica può essere esclusa nelle
attività di profilassi antitetanica e in altri casi in cui l’albumina venga
usata come eccipiente, stabilizzante o diluente.27
3. Donazione di rene tra persone viventi e trapianto parziale di fegato.
La liceità della donazione di un rene a fini di trapianto è stata resa pos-
sibile dalla legge 26 giugno 1967, n. 458 che “in deroga al divieto di cui
all’art. 5 c.c.” dispone l’ammissione “a titolo gratuito” della donazione
di rene. La deroga è consentita ai genitori, ai figli, ai fratelli germani o

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non germani del paziente che siano maggiorenni, “purché siano state
rispettate le modalità previste dalla presente legge”. La legge prevede
che in caso di assenza di “consanguinei” o di loro inidoneità “la deroga
può essere consentita anche per altri parenti e per donatori estranei”.
Fatta questa necessaria premessa, assume im­portanza la modalità
prevista dalla legge sulla forma del consenso. L’art. 2 prevede una
particolare forma dell’atto di disposizione che deve essere “ricevuto
dal pretore del luogo in cui risiede il donatore o ha sede l’istituto auto-
rizzato al trapianto”. “La donazione di un rene può essere autorizzata,
a condizione che il donatore abbia raggiunto la maggiore età, sia in
possesso della capacità di intendere e di volere, sia a conoscenza dei
limiti della terapia del trapianto del rene tra viventi e sia consapevole
delle conseguenze personali che il suo sacrificio comporta”. Il pretore
(oggi il giudice del tribunale), una volta accertate le condizioni appena
elencate, “cura la redazione per iscritto delle relative dichiarazioni”.
L’atto non tollera, per espressa previsione di legge, l’apposizione di

27 Ministero della sanità, circolare n. 900-bis/CNST 39/75 del 30/01/1997. In


questa circolare il Ministero ha reso noto un parere del Consiglio Superiore di
Sanità, espresso nella seduta del 25 settembre 1996, in cui si precisa come “una
interpretazione letterale e della ratio dei soprarichiamati DD.MM. escluda che il
consenso informato debba essere richiesto anche nei casi in cui l’albumina venga
usata come eccipiente, diluente o stabilizzante”. Questa deroga viene giustificata
dal fatto che “l’albumina è posta in commercio a norma della vigente legislazione
solo dopo essere stata sottoposta a una serie di procedure che prevedono il con-
trollo del plasma di origine, la validazione dei procedimenti di purificazione e
soprattutto i processi di inattivazione virale, e tenuto conto anche del fatto che
proprio in conseguenza dell’obbligo di queste procedure non è mai stato segnalato
nella letteratura scientifica internazionale un caso documentato di trasmissione di
infezione da HIV, da HBV o da HCV a seguito di somministrazione di albumina”.

154
Il consenso informato • Capitolo 11

condizioni o di altre determinazioni accessorie di volontà; è inoltre


“sempre revocabile sino al momento dell’intervento chirurgico e non
fa sorgere diritti di sorta del donatore nei confronti del ricevente”.
“Il pretore, accertata l’esistenza del giudizio tecnico favorevole al pre-
lievo e al trapianto del re­ne contenuto nel referto medico collegiale”,
spe­cifica sempre l’art. 2, “può concedere, con de­creto da emettersi
entro tre giorni, il nulla o­sta all’esecuzione del trapianto. In caso con-
trario ed entro lo stesso termine, dichiara, con decreto motivato, il
proprio rifiuto. Contro tale decreto si può proporre reclamo con ricorso
al tribunale, che si pronuncia in camera di consiglio”.
La particolare macchinosità della forma del consenso, che viene ri-
cevuta addirittura da un giudice, si spiega con l’estrema delicatezza
della questione che solleva problemi di ordine morale ed etico.

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Rimane il divieto di donazione per i minori, sia perché la legge richiede
espressamente la maggiore età, sia perché per obbligo costituzionale i
genitori hanno il dovere di “mantenere” i figli, espressione che non può
che essere intesa quanto meno con l’obbligo di mantenerli in salute.
Lo stesso procedimento viene applicato anche per il trapianto par-
ziale di fegato, secondo quanto stabilito dalla legge 16 dicembre
1999, n. 483 “Norme per consentire il trapianto parziale di fegato”.
All’art. 1 si legge infatti che “in deroga al divieto di cui all’art. 5 c.c. è
ammesso disporre a titolo gratuito di parti di fegato al fine esclusivo
del trapianto tra persone viventi.”
In conseguenza di questo si applicano le disposizioni della legge
458/1967 “in quanto applicabili”.
4. Terapia elettroconvulsivante (elettroshock – TEC). La terapia con
elettroshock è stata oggetto di numerosi dibattiti in ordine alla sua ef-
ficacia in ambito psichiatrico. Sul punto ha avuto modo di intervenire
il Ministero della sanità28 che ha posto una serie di limiti, indicazioni
e controindicazioni all’uso di questo tipo di terapia, anche sulla scorta
di un parere del Comitato Nazionale di Bioetica29 che ha osservato
che “la psichiatria attualmente dispone di ben altri mezzi per alleviare
la sofferenza mentale”.
Comunque può essere utilizzata in determinati casi, per specifi-
che indicazioni e con determinate precauzioni e solo in strutture
“di ricovero pubbliche e private accreditate, in anestesia generale
e miorisoluzione, alla presenza dello psichiatra e dell’anestesista”.

28 Ministero della sanità, circolare sulla “Terapia elettroconvulsivante” del febbraio

1999.
29 Parere del Comitato Nazionale di Bioetica sulla te­rapia elettroconvulsivante,

1995, p. 7.

155
Parte II • Elementi di biodiritto

Quindi solo in strutture dotate di apparecchiature e medicamenti sia


per l’anestesia generale che per la rianimazione e comunque idonee
a garantire la corretta esecuzione del trattamento, la sicurezza del
paziente e il trattamento delle possibili complicanze.
“La TEC può essere praticata solo quando il paziente esprime un
consenso libero, consapevole, attuale e manifesto. A tal fine, occorre
che il medico curante fornisca, sia oralmente che in forma scritta,
esaurienti informazioni in or­­dine, oltre che ai vantaggi attesi, agli
effetti collaterali eventuali, ai possibili trattamenti alternativi, alle
modalità di somministrazione. L’assenso del paziente deve essere
scritto e allegato alla cartella clinica, e va ripetuto per ogni applica-
zione. Nei casi in cui il paziente, in ragione della sua malattia, non sia
in grado di esprimere liberamente il proprio assenso, il trattamento

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può essere praticato con il consenso del tutore legale, e tramite la
procedura del Tso”.
5. Sperimentazione clinica di farmaci. L’ob­bligo del consenso in-
formato scritto deriva dalle linee guida di good clinical practice del-
l’Unione europea recepite in Italia con il D.M. del 15 luglio 199730 in
cui si precisa che il linguaggio usato nel modulo deve essere il più pos-
sibile pratico, non tecnico, e comprensibile per il paziente. Il modulo
deve essere datato e firmato personalmente dal soggetto o dal suo
rappresentante legale. Se il paziente non è in grado di leggere, deve
essere presente un testimone imparziale che deve firmare e datare
per lui il modulo. Né lo sperimentatore né il personale che partecipa
allo studio devono esercitare alcuna coercizione o influenza indebita
sul soggetto per indurlo a partecipare o continuare a partecipare allo
studio.
Il punto 4.8.10 delle linee guida indica infine tutti i punti che devono
essere contenuti nel modulo di consenso informato scritto.
6. Procreazione medicalmente assistita. L’obbligo di procedere all’in-
formazione e all’acquisizione del consenso in forma scritta è stato
introdotto dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40 “Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita” e successivamente regolamen-
tato dal D.M. 11 aprile 2008 “Linee guida in materia di procreazione
medicalmente assistita”. Per l’approfondimento di questo aspetto si
rimanda al capitolo 8.

30 D.M. 15 luglio 1997 “Recepimento delle linee guida dell’Unione europea di buona

pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali”, in


Gazzetta Ufficiale n. 162 del 18 agosto 1997.

156
Il consenso informato • Capitolo 11

La modulistica nella routine 

È ormai diventata consuetudine adottare dei moduli a dimostrazione del


consenso. Pur con i limiti sopra indicati, è utile soffermarsi sulle caratte-
ristiche della modulistica. Particolarmente accurata è stata l’elaborazione
della Commissione di Bioetica della Regione Toscana,31 di cui riportiamo
per intero il paragrafo dedicato alla modulistica .

Qualsiasi modulo, predisposto o no, costituisce soltanto un mero elemento di prova


a tutela di una informazione scritta. Nessun consenso, neppure scritto, modifica
o diminuisce la responsabilità del medico per eventuale superamento dei limiti
oggettivi indicati nei precedenti paragrafi o per colpa medica.
L’adesione sottoscritta in un modulo predisposto è particolarmente consigliabile

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in alcuni atti medici di particolare rilevanza, come va pure consigliato per il parto
a domicilio.
Nei moduli del consenso informato debbono essere presenti i seguenti requisiti:

a) il luogo e la data di acquisizione del consenso informato;


b) i dati di individuazione del medico e dei medici che provvedono all’informa­
zione e all’acquisizione del consenso;
c) i dati di identificazione del paziente e nei debiti casi del rappresentante legale;
d) i dati attinenti alla diagnosi, alla prognosi, alla terapia, ai relativi benefici e
rischi, alle eventuali alternative diagnostiche e terapeutiche e alle metodologie
di attuazione diagnostica e terapeutica;
e) l’informazione del paziente sulla sua facoltà di ottenere in qualunque momento
ulteriori informazioni;
f) tutto ciò che, comunque, è rilevante ai fini di un consapevole consenso;
g) l’indicazione dell’eventuale rifiuto del paziente alle informazioni e alle soluzioni
diagnostiche e terapeutiche;
h) la sottoscrizione del medico, del paziente e, nei debiti casi, del rappresentante
legale e di eventuali testimoni.

Di ogni modulo firmato deve essere obbligatoriamente consegnata una copia (anche
fotostatica) al paziente.
La formulazione delle tipologie di modulistica va opportunamente affidata agli
organismi deontologici competenti ad assicurare adeguatezza e uniformità.

31 Il
riferimento è al documento sul consenso informato approvato dalla Commis-
sione regionale di bioetica nella riunione del 12/10/1994. Pur essendo il docu-
mento di una regione, è da considerarsi di una certa autorevolezza dato il valore
professionale di alcuni suoi componenti, tra i quali ricordiamo i professori Mauro
Barni, Paolo Cattorini, Car­lo Fazzari, Ferrando Mantovani e San­dro Spinsanti.

157
Parte II • Elementi di biodiritto

Il rifiuto delle cure 

Una volta rigettata la visione paternalistica che ha caratterizzato la pro-


fessione medica, il problema del consenso ha assunto una determina-
zione e un’importanza prima sconosciute.
Se in passato era il medico ad agire nell’interesse del paziente, adesso
è il paziente ad autodeterminarsi nel suo stesso interesse. È utile, a tal
fine, riportare una notissima sentenza32 che ha riconosciuto la respon-
sabilità penale di un chirurgo, il professor Massimo, sul consenso:

Nel diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute e integrità
personale, pur nei limiti previsti dall’ordinamento, non può che essere ricom­
preso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando che la malattia segua il suo

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corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non può essere considerato il
riconoscimento di un diritto positivo al suicidio, ma è invece la riaffermazione
che la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto
interessato dal volere o, peggio, dall’arbitrio altrui, ma deve fondarsi e­sclu­si­va­
mente sulla volontà dell’avente diritto, trattandosi di una scelta che riguarda la
qualità della vita, e che pertanto lui, e lui solo, può legittimamente fare.

Il paziente può quindi rifiutare, senza che alcun medico o alcuna


autorità possa imporre a lui il trattamento, anche se questo è un tratta-
mento salvavita.
La rinuncia o il rifiuto consapevole da parte del paziente a un de-
terminato trattamento non vanno automaticamente identificati con
l’atto finale della relazione terapeutica. Essa inaugura piuttosto una
nuova fase del rapporto di cura, in cui il medico è chiamato a for-
nire al paziente tutte le cure – diverse da quelle di rinuncia/rifiuto
– che siano utili a garantire la massima qualità di vita del malato.33
Residuano in realtà ancora prassi molto discutibili sul piano della
legittimità, con cui a volte Procuratori della Repubblica “impongono”
trasfusioni di sangue a testimoni di Geo­va, ma sono prassi destinate a
scomparire per il pieno affermarsi del principio della autodeterminazione.
Rimangono ovviamente fuori i trattamenti sanitari obbligatori previsti
dalla legge come “coattivi”, come per esempio il trattamento sanitario
obbligatorio per malati di mente previsto dalla legge n. 180/1978.
Ritiene la migliore dottrina giuridica che “di fronte a un rifiuto auten-
tico (constatato dal medico dopo adeguata opera di informazione) delle

32 Cortedi Assise di Firenze, sentenza n. 13/1990.


33 Comitato Nazionale di Bioetica, Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento
sanitario nella relazione paziente-medico, 24 ottobre 2008.

158
Il consenso informato • Capitolo 11

emotrasfusioni, nessun potere legislativo, giudiziario, amministrativo,


può imporre tale trattamento. E il medico deve desistere, fondandosi il
suo dovere di curare innanzitutto sul consenso del paziente”.34 An­che il
nuovo codice di deontologia medica all’art. 32 precisa che “in ogni caso,
in presenza di documentato rifiuto del paziente capace di intendere e di
volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o cura-
tivi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà
della persona [...]”. Il tutto ovviamente senza alcuna ripercussione sulla
responsabilità del medico.35
Diverso è il caso in cui il paziente non sia maggiorenne. In questo
caso la violazione degli obblighi di assistenza ai figli, sanciti dalla Costi-
tuzione, è evidente e si giustifica ampiamente l’intervento del Tribunale
dei minorenni per la sospensione della potestà parentale.36

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Il rifiuto alle cure si è manifestato in questi anni anche fuori dal
tradizionale caso dei testimoni di Geova e ha introdotto il dibattito sulle
cure alternative e quelle tradizionali (il riferimento è al cosiddetto caso
Di Bella). In quest’ultima situazione, pur sostenendo che il consenso
alle cure è atto fondamentale per la liceità di qualsiasi trattamento sa-
nitario, è anche vero che non ogni trattamento medico diventa lecito
per la sola richiesta del paziente,37 come avvenuto durante il periodo
della sperimentazione Di Bella. Infatti, in caso di una pluralità di tec-
niche terapeutiche il medico non ha libertà di scelta secondo l’abusata
affermazione “secondo scienza e coscienza”, “ma ha il preciso dovere
di praticare il trattamento che presenta la maggiore idoneità terapeutica
complessiva secondo la migliore scienza ed esperienza del momento
storico, restando egli libero di scegliere secondo la propria scienza e
coscienza solo nei casi in cui i diversi trattamenti siano tutti scientifi-
camente seri e non risulti ancora comprovata la superiorità terapeutica
dell’uno rispetto all’altro”.38

34 Mantovani F., Il consenso informato: pratiche consensuali, Rivista italiana di

medicina legale, 2000, 1, 16.


35 Pretura di Roma, 3 aprile 1997 “Non risponde di o­micidio colposo il medico che

ometta di eseguire una trasfusione di sangue salvavita a un paziente che per mo-
tivi religiosi la rifiuti, perché il medesimo, in mancanza di consenso del paziente,
non è destinatario di un obbligo giuridico di intervento coattivo”, in Rivista italiana
di medicina legale, 1998, 4-5, 836 (massima e sentenza); vedi anche Cassazione
penale, 387, 605, 1998, con commento di Iadecola G., La responsabilità penale del
medico tra posizione di garanzia e rispetto della volontà del paziente.
36 Vedi tra gli ultimi, Tribunale per i minorenni di Trento, decreto n. 214 del 30

dicembre 1996, in Rivista ita­liana di medicina legale, 1998, 4-5, 835.


37 Mantovani F., Il consenso informato: pratiche consensuali, op. cit.
38 Mantovani F., Il consenso informato: pratiche consensuali, op. cit.

159
Parte II • Elementi di biodiritto

Nel nostro ordinamento quindi “se da un lato è riconosciuto un fon-


damentale diritto a essere curati, dall’altro non è configurabile per il
singolo un obbligo generale di curarsi, non essendo la tutela della salute
di imposizione coattiva, se non nei limiti e con le garanzie previste dalla
costituzione”.
Infatti si precisa che sebbene “il personale sanitario sia investito di una
posizione di garanzia rispetto alla vita e alla salute del paziente, l’obbligo
giuridico di attivarsi allo scopo di preservare tali beni trova un limite nella
cosciente, libera e informata opposizione dell’interessato” .
Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale ha avuto modo di
pronunciarsi sulla tematica del diritto a non subire trattamenti medici non
voluti, precisando che rientra “tra i valori supremi, quale indefettibile nu-
cleo essenziale dell’individuo, non diversamente dal contiguo e connesso

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diritto alla vita e alla integrità fisica, con il quale concorre a creare la ma-
trice prima di ogni altro diritto costituzionale protetto dalla persona”.39
Un deciso passo avanti nel pieno riconoscimento del principio del
consenso informato si è avuto nel “caso Englaro” di cui parleremo ap-
profonditamente nel capitolo 12.
Nella vicenda giudiziaria che lo riguarda, la Corte di Cassazione ha
avuto modo di stabilire che “non è attribuibile al medico un generale diritto
di curare, a fronte del quale non avrebbe alcun rilievo la volontà dell’am-
malato che si troverebbe in una posizione di soggezione su cui il medico
potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza”.
L’espressione spesso usata e abusata all’interno del mondo professionale,
di chiara natura paternalistica, secondo cui il medico agiva in “scienza e
coscienza” è tipica di quella cultura. Oggi è il paziente che decide se cu-
rarsi o meno, se prestare o meno quindi il consenso alle cure. Consenso,
è bene ulteriormente precisarlo, che può essere revocato anche laddove
inizialmente prestato. Sono sempre le parole della Cassazione a precisarlo:

Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le


diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare
la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della
vita, anche in quella terminale.40

Quindi consenso informato significa: consenso alle cure, rifiuto alle


cure, sospensione delle cure. Per un approfondimento sul diritto al ri-
fiuto alle cure e più in generale sulle tematiche di fine vita si rimanda
al capitolo 12.

39 Corte costituzionale, sentenza 238/1996.


40 Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza 16 ottobre 2007, n. 21748.

160
Il consenso informato • Capitolo 11

Le conseguenze di un intervento chirurgico


eseguito senza consenso

Questione annosa e problematica – nella dottrina e nella giurisprudenza


– è quella relativa alla qualificazione e alla rilevanza penale della man-
canza di consenso.
In primo luogo vi è da domandarsi se la mancanza del consenso
possa o meno determinare responsabilità penale. Le posizioni in campo
sono due:

1. il consenso si pone come presupposto fondamentale del consenso


(opportunamente informato) del malato e la sua invalidità determina
un trattamento sanitario arbitrario e quindi una responsabilità penale

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del medico;41
2. la volontà del paziente ha un ruolo decisivo solo quando viene
espressa in forma negativa essendo il medico, nel nostro ordina-
mento, legittimato a sottoporre il paziente al trattamento terapeutico
che giudica necessario alla salvaguardia della sua salute indipenden-
temente dalla presenza di un esplicito consenso e di conseguenza è
da escludere che la condotta del medico che intervenga in carenza di
un informato consenso possa corrispondere alla fattispecie astratta
di un reato.42

In secondo luogo vi è da domandarsi – una volta risposto positiva-


mente alla prima ipotesi e quindi accertata la responsabilità penale del
medico che agisce senza consenso – quale qualificazione giuridica sia
corretta per una simile condotta. Inizialmente – agli albori del consenso
informato nel noto caso “Massimo” – si affermò l’orientamento che ri-
corresse il delitto di lesioni personali volontarie anche laddove eseguito
a scopo di cura e con esito fausto. Questa condotta implica comunque
una lesione personale in quanto lede l’integrità corporea del soggetto,
che quindi consiste in una qualunque alterazione anatomica e funzionale
dell’organismo e rientra nei dettami dell’art. 582 del codice penale.43

41 Corte di cassazione, V sezione penale, sentenza 21 aprile 1992, n. 5639; IV


sezione penale, sentenza 11 luglio 2001, n. 35822; IV sezione penale, sentenza
11 luglio 2001, n. 11335.
42 Corte di cassazione, I sezione penale, sentenza 29 maggio 2002, n. 26446; IV

sezione penale, sentenza 27 marzo 2001, n. 36519.


43 Art. 582 c.p. – Lesione personale

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia
nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.

161
Parte II • Elementi di biodiritto

Nella migliore delle ipotesi le lesioni potranno essere colpose laddove


il sanitario agisca nella convinzione, per negligenza o imprudenza, del-
l’esistenza del consenso.
Nell’altra scuola di pensiero, invece, pure nel riconoscimento della
arbitrarietà del trattamento svolto senza consenso, si ritiene che un trat-
tamento medico-chirurgico “non è mai diretto a provocare una malattia
(lesioni personali) ma semmai a rimuoverla”.44 Di conseguenza il tratta-
mento sanitario svolto senza consenso assume sì rilevanza penale, ma
non come lesioni personali bensì come “attentato alla libertà individuale
del paziente, e rende perciò configurabile il reato di violenza privata.45
Infine si registra la posizione intermedia di chi sostiene che il delitto
di violenza privata debba essere riconosciuto al puro trattamento medico
(non chirurgico) eseguito senza consenso, mentre andrebbe riservata

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la fattispecie delle lesioni personali al trattamento chirurgico eseguito
senza consenso.
L’incertezza normativa e dottrinaria ha comportato la richiesta del
pronunciamento delle sezioni unite della Corte di cassazione che ancora
non si sono pronunciate.46

Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna
delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle
indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a
querela della persona offesa.
44 Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 9 marzo 2001, n. 28132.
45 Art. 610 c.p. – Violenza privata

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere


qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.
46 Corte di cassazione, sezione V, ordinanza 8 ottobre 2008, n. 38345.

162
Capitolo

12
L’accanimento terapeutico

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L’espressione “accanimento terapeutico” è da sempre di difficile defini-
zione e anche di contraddittorio significato. Non vi è dubbio che il termine
accanimento contrasti in modo assolutamente evidente con il significato
più genuino di terapia la quale è improntata da sempre al criterio della be-
neficialità. Da sempre la terapia dovrebbe perseguire il bene del paziente
e, di conseguenza, non potrà mai essere vista come accanimento.
Nel mondo anglosassone si utilizza l’espressione di “cure futili” e
vi è chi propone di utilizzare l’espressione “accanimento clinico” che
quanto meno non pone contraddizioni. Anche in Italia vi è chi propone
di abbandonare l’espressione “accanimento terapeutico” per il suo ca-
rattere emozionale e negativo e per la sua perdurante confusione con
l’eutanasia passiva di cui si pone, in realtà, come un fenomeno assolu-
tamente contrapposto. Mentre infatti l’eutanasia passiva evoca una sorta
di abbandono e di desistenza terapeutica, l’accanimento terapeutico si
caratterizza per una ostinata continuazione delle cure anche quando
appaiono del tutto inutili.
Come in altri campi del biodiritto e della bioetica – e forse in questo
campo più di altri negli ultimi decenni – lo scontro tra le opposte visioni
che caratterizzano il dibattito in questi campi è di assoluta contrappo-
sizione. Se è pur vero che non esiste nessuno che si dichiari a favore
dell’accanimento terapeutico, è anche altrettanto vero che il fenomeno
ha acquisito con il progredire delle conoscenze e della tecnicalità medica

 Mantovani F., Biodiritto e problematiche di fine della vita, in Umanità e raziona-


lità nel diritto penale, Cedam, Padova, 2008, p. 1575.

163
Parte II • Elementi di biodiritto

un’ampiezza di dimensioni mai viste in precedenza. In sostanza, non


vi è un accordo tra la bioetica laica e la bioetica cattolica sulla corretta
definizione del fenomeno.
Andiamo per gradi. Il codice di deontologia medica prova a dare una
definizione di accanimento terapeutico. Nell’ultima versione del codice
all’art. 16 – rubricato come “Accanimento diagnostico-terapeutico” – si
legge testualmente:

Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve
astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa
fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento
della qualità della vita.

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Quindi, secondo il codice di deontologia medica – che tiene conto an-
che delle volontà precedentemente espresse dal paziente e quindi apre al
cosiddetto “testamento biologico” – si definisce accanimento terapeutico
“l’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa
attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento
della qualità della vita”. Sono quindi due i criteri che i medici italiani
pongono per la prosecuzione delle cure: il beneficio per la salute e il
miglioramento della qualità della vita.
È proprio su questo ultimo punto che vi possono essere i maggiori
dissidi. La definizione codicistica è senza dubbio di impronta laica e rico-
nosce il bene vita come non strettamente legato alla mera sopravvivenza
biologica, ma tiene conto anche della “qualità della vita”. Sulla stessa
linea si pone anche il codice dell’altra professione sanitaria coinvolta
nelle cure di fine vita: il codice deontologico degli infermieri. Nel codice
del 1999 all’art. 4.15 si legge che “l’infermiere tutela il diritto a porre dei
limiti a eccessi diagnostici e terapeutici non coerenti la concezione della
qualità della vita dell’assistito”. Rispetto al codice di deontologia medica
appare meno paternalistico. Mentre il codice di deontologia medica opera
un riferimento astratto alla qualità della vita in generale, il codice degli
infermieri vincola tale concetto alla concezione della qualità di vita del-
l’assistito. Questa definizione appare però in via di precisazione in quanto
nella versione del codice del 2009 – nella versione in bozza approvata nel
2008 e non ancora quindi definitiva – si legge all’art. 37 che “l’infermiere
tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non

 Codice di deontologia medica, FNOMCeO, 2006.


 Codice deontologico dell’infermiere, IPASVI, 1999.

164
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la conce-


zione da lui espressa della qualità di vita”.
Compare quindi il concetto di proporzione della cura e il suo legame
più stretto con la condizione clinica del paziente.

definizioni di accanimento terapeutico

Le definizioni di accanimento terapeutico sono numerose e non tutte


concordanti. Ne riportiamo alcune con indicate le relative fonti.

La posizione del magistero cattolico

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Un concetto dirimente per il magistero cattolico – ormai come imposta-
zione tradizionale – sull’accanimento terapeutico è quello relativo alla “or-
dinarietà” e “straordinarietà” delle cure. Questo concetto venne introdotto
negli anni ’50 del secolo scorso e venne ribadito anche successivamente.
Sostanzialmente si sosteneva che fosse obbligatorio per il morente uti-
lizzare i mezzi terapeutici ordinari, mentre si poteva in quei casi, con il
consenso del paziente, rinunciare ai mezzi straordinari. Questa distinzione
viene oggi giudicata difficile dalla stessa bioetica cattolica in quanto “molti
mezzi che ieri erano giudicati straordinari, sono diventati ordinari ragione
per cui vi è oggi la tendenza a parlare non più di ordinarietà e straordina-
rietà delle cure, ma di “mezzi proporzionati” e di “mezzi sproporzionati”.
In sostanza si sostiene che “ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi
curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono prestare la loro
opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno
necessari o utili”. Il tutto viene declinato così:

• in mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai


mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora
allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli,
l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità;
• è anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati delu-
dono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si
dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché
del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio
giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è

 Congregazione per la dottrina della fede, Pio XII, 1957.


 Sgreccia E., Manuale di bioetica, vol. I, Vita e Pensiero, Milano, 1999, p. 736.
 Sgreccia E., Manuale di bioetica, vol. I, op. cit., p. 737.

165
Parte II • Elementi di biodiritto

sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono


al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre;
• è sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non
si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere a un tipo di cura che, per
quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il
suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accettazione
della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo
medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di
non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività;
• nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in
coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero
soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia inter-
rompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il medico
non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza a una
persona in pericolo.

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Si introduce inoltre un’altra distinzione tra “cure normali” e “cure
palliative”. Le prime devono intendersi “l’alimentazione e l’idratazione
(artificiale o meno), l’aspirazione dei secreti bronchiali, la detersione
delle ulcere da decubito”.
Nel quesito 471 del compendio del catechismo della Chiesa Catto-
lica del 2005 si domanda quali procedure mediche siano consentite in
situazioni nelle quali la morte sia considerata imminente. La risposta
recita testualmente:

Le cure che d’ordinario sono dovute a una persona ammalata non possono essere
legittimamente interrotte. Sono legittimi invece l’uso di analgesici, non finalizzati
alla morte, e la rinuncia “all’accanimento terapeutico”, cioè all’utilizzo di procedure
mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo.

Altre definizioni di accanimento terapeutico presenti in letteratura

• Trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga


la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente
con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta
chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica.

 Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione su l’eutanasia – Iura et


Bona, 5 maggio 1980.
 Sgreccia E., Manuale di bioetica, vol. I, Vita e Pensiero, Milano, 1999, p. 737.
 Manni C., Accanimento terapeutico in rianimazione e terapia intensiva, in Bom-

pinani A., Bioetica in medicina, CIC Edizioni Internazionali, Roma, 1996, p. 321.

166
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

• Prosecuzione ostinata e senza scopo di un trattamento che risulti inutile per il


paziente” ovvero la “persistenza nell’uso di procedure diagnostiche come pure
di interventi terapeutici, allorché è comprovata la loro inefficacia e inutilità sul
piano di un’evoluzione positiva e di un miglioramento del paziente, sia in termini
clinici che di qualità della vita”.10
• Espressione colloquiale, resa popolare dai mezzi di comunicazione, nelle lin-
gue romanze, che traduce in maniera parziale anche se espressiva il termine
“distanasia”, parola di origine greca che significa “morte difficile o travagliata”.
Nel vocabolario etico si utilizza la parola distanasia per indicare l’utilizzo nel
processo del morire di tratta­menti che non hanno altro scopo che quello di pro-
lungare la vita biologica del paziente. La dizione inglese life sustaining treatment
è la più consona al suddetto significato, sopprimendo l’intenzionalità negativa,
di causare danno, insita nel termine “accanimento”, che non corrisponde alla
realtà né rende giustizia ai medici.11
• Ostinata rincorsa verso risultati parziali a scapito del bene complessivo del ma-

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lato.12
• Somministrazione ostinata di trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati
ottenibili e non in grado, comunque, di assicurare al paziente una più elevata
qualità della vita residua, in situazioni in cui la morte si preannuncia imminente
e inevitabile.13
• Trattamento terapeutico insistito praticato su un malato in fase terminale, con il
solo scopo di prolungargli di poco la vita.14
• Per accanimento clinico si intende una sproporzione tra l’efficacia e la gravosità
delle cure praticate e i benefici ottenibili nelle circostanze cliniche concrete (si
parla al riguardo di cure futili), fermo restando che ogni trattamento va valutato
bilanciandone i potenziali apporti positivi (beneficialità) o negativi (neminem
ledere).15

È del tutto evidente che il disaccordo di fondo non si registra quando le


cure siano completamente inutili e sproporzionate. In questo caso appare
assolutamente evidente non soltanto che cessi di fatto e di diritto l’obbligo
delle cure da parte di qualsivoglia professionista della salute.

10 Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), Questioni bioetiche relative alla fine della
vita umana (14 luglio 1995). Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Diparti-
mento per l’Informazione e l’Editoria, 1998.
11 Abel F., Accanimento terapeutico, in Leone S., Privitera S., Nuovo dizionario di

bioetica, Città Nuova, Roma, 2004, p. 3.


12 Cattorini P., Bioetica: metodo ed elementi di base per affrontare problemi clinici.

Masson, Milano, 1996, p. 53.


13 Ministero della Salute, Consiglio Superiore di Sanità, Sessione XLVI, seduta del

20 dicembre 2006, Assemblea Generale.


14 Garzanti, Grande Dizionario Italiano, 2007.
15 Comitato Nazionale di Bioetica, Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento

sanitario nella relazione paziente-medico, 24 ottobre 2008.

167
Parte II • Elementi di biodiritto

Il disaccordo nasce invece, in parte, sul generale diritto di rifiuto alle


cure e, in questi ultimi anni, sulla problematica dei pazienti in stato vege-
tativo permanente. La contrapposizione tra il dovere di curarsi invocato
dal magistero cattolico e il diritto di curarsi invocato dal mondo laico
non può essere più evidente.
Sul piano del consenso e delle volontà del paziente, nonché sulla
difficoltà di stabilire quali cure siano o meno proporzionate, si sotto-
linea come non ci sono cure che siano “oggettivamente accanimento
terapeutico”, arrivando a precisare che è accanimento tutto ciò che non
è voluto dal paziente.16

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I PAZIENTI IN STATO VEGETATIVO

Il dibattito sul rifiuto alle cure, nato e sviluppatosi nel nostro Paese par-
tendo dal rifiuto alle cure trasfusionali posto per motivi religiosi dai Te-
stimoni di Geova e continuato con il caso Di Bella, si è arricchito di un
ulteriore aspetto, quello dei pazienti in stato vegetativo permanente.
Lo stato vegetativo è una condizione clinica di recente classificazione,
che negli ultimi decenni viene tendenzialmente distinta in modo netto
dal coma vigile, ed è un quadro “clinico caratterizzato da un apparente
stato di vigilanza senza coscienza, con occhi aperti, frequenti movimenti
afinalistici di masticazione, attività motoria degli arti limitata a riflessi di
retrazione agli stimoli nocicettivi senza movimenti finalistici”.17
In questo contesto “il paziente ventila, gli occhi possono restare aperti,
le pupille reagiscono, i riflessi del tronco e spinali persistono, ma non
vi è alcun segno di attività psichica e di partecipazione all’ambiente, e
le uniche risposte motorie riflesse consistono in una ridistribuzione del
tono muscolare”.18
Quindi un paziente in stato vegetativo non ha la consapevolezza di
sé e degli altri, non interagisce con l’ambiente, non comunica, ha inconti-
nenza urinaria e fecale e mantiene le funzioni respiratorie. Di conseguenza
non è dipendente da alcuna macchina e non si pone il problema – usando
l’espressione verosimilmente più abusata in questo campo – “di staccare
la spina”. Questi soggetti, con un’assistenza medica e infermieristica e con
una costante idratazione e alimentazione, continuano a vivere.

16 MoriM., Il caso Eluana Englaro, Pendragon, Bologna, 2008, p. 190.


17 Comitato Nazionale di Bioetica, L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in sta-
to vegetativo persistente, 30 settembre 2005.
18 Commissione Veronesi-Oleari, Ministero della salute, 20 ottobre 2008.

168
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

Lo stato vegetativo viene usualmente suddiviso in persistente e per-


manente. Quando in un soggetto lo stato vegetativo si protrae per più di
un mese si parla di stato vegetativo persistente, mentre quando si protrae
per più di un anno si parla di stato vegetativo permanente. Lo stato di
permanenza viene considerato irreversibile.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che:

I concetti di persistenza e di permanenza vanno distinti. Mentre l’aggettivo per-


sistente si riferisce solo a una condizione di passata e perdurante disabilità con
un incerto futuro, l’aggettivo permanente implica l’irreversibilità. Può dirsi quindi
che quella di Stato Vegetativo Persistente sia una diagnosi, mentre quella di Stato
Vegetativo Permanente sia una prognosi.19

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Alcuni autori precisano – parlando di stato vegetativo permanente
– che esso sia da considerarsi una “prognosi definitiva”.20
Le cause degli stati vegetativi sono conseguenza di insulti cerebrali di
tipo traumatico oppure ipossico-ischemico o riferibili a emorragie, ence-
faliti e intossicazioni. Altre cause si osservano in alcune malformazioni
(l’anencefalia o l’idrocefalo congenito) e in malattie cronico-progressive
come la malattia di Alzheimer. Infine, ma in realtà come situazione se-
condaria, uno stato vegetativo può far seguito a un arresto cardiaco non
prontamente rianimato. In tutti i casi, comunque, il paziente passa in uno
stato di coma, a cui segue lo stato cronico caratterizzato dalla riapertura
degli occhi senza recupero però della consapevolezza.21

LA NUTRIZIONE E L’IDRATAZIONE ARTIFICIALI

Il problema nel dibattito bioetico e giuridico è relativo alla natura della


idratazione e alimentazione artificiali. Il paziente in stato vegetativo non
è un paziente che può – ai sensi dell’attuale normativa – essere dichiarato
morto in quanto non sussistono le condizioni della morte cerebrale. Il pa-
ziente in stato vegetativo conserva una minima attività elettrica cerebrale.
La nutrizione e l’idratazione artificiali sono trattamenti composti da
una miscela nutrizionale che può essere introdotta all’interno dell’organi-
smo di una persona sia dalla via enterale (enteral nutrition) con sostanze
nutritive più complesse, sia attraverso la via parenterale (total parenteral
nutrition) con sostanze nutritive più semplici.

19 Corte di Appello di Milano, decreto 25 giugno 2008.


20 Defanti C.A., Soglie – Medicina di fine vita, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 174.
21 Defanti C.A., Soglie – Medicina di fine vita, op. cit., p. 175.

169
Parte II • Elementi di biodiritto

Nel dibattito etico lo scontro è acceso e le posizioni non possono


essere più distanti. Tutto ruota intorno al concetto di cura. Si discute se
l’idratazione e l’alimentazione artificiali siano da considerarsi atti medici
o comunque atti sanitari, oppure atti di mera alimentazione. Se si spo-
sasse la prima impostazione, sulla base dei principi generali sul consenso
informato, così come risulta da una ormai costante giurisprudenza, vi
sarebbe la possibilità di rifiutare l’idratazione e l’alimentazione artificiali
in quanto terapia e quindi situazione soggetta al consenso del paziente
o di chi lo rappresenta in quel momento della sua vita; viceversa, se si
sposasse l’impostazione dell’idratazione e dell’alimentazione come pura
alimentazione, le considerazioni sarebbero diverse.
Le due posizioni sono ben rappresentate dal parere di due organismi
istituzionali che hanno affrontato il problema con approccio radicalmente

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diverso: la Commissione ministeriale che porta il nome “Veronesi-Oleari”
e il Comitato Nazionale di Bioetica.
Nel 2000 una commissione di esperti istituita all’interno del Mini-
stero della salute adotta la posizione che i trattamenti di alimentazione
e idratazione artificiali siano da considerarsi atto medico. Riportiamo
uno stralcio testuale delle argomentazioni poste:

[…] nell’idratazione e nutrizione artificiale in individui in SVP viene somministrato


un nutrimento come composto chimico (una soluzione di sostanze necessarie alla
sopravvivenza), che solo medici possono prescrivere e che solo medici sono in
grado di introdurre nel corpo attraverso una sonda nasogastrica o altra modalità e
che solo medici possono controllare nel suo andamento, anche ove l’esecuzione
sia rimessa a personale infermieristico o ad altri. Mentre il beneficiato non solo non
può apprezzare il preparato o i suoi effetti, ma soprattutto non può, e non potrà
mai più, rendersi conto del fatto di essere alimentato.
Quando l’alimentazione e l’idratazione si svolgono in tali condizioni esse perdono
i connotati di atto di sostentamento doveroso e acquistano quello di trattamento
medico in senso ampio.
Così come, solo per fare due esempi tra i vari possibili, dare il braccio a un non
vedente è atto di assistenza e di solidarietà, mentre intervenire sul suo apparato
visivo è atto medico, oppure aiutare una persona con difficoltà motorie ad attra-
versare la strada è atto di assistenza e di solidarietà, mentre applicare una protesi
a un arto è atto medico, alla stessa stregua aiutare una persona che non è in grado
di farlo da sola a mangiare e a bere è atto di assistenza mentre sopperire alle esi-
genze di idratazione e di nutrizione del corpo di individui in SVP, attraverso sonda
nasogastrica o altra modalità tecnica, è trattamento medico.

Sul versante opposto, il Comitato Nazionale di Bioetica nega che


l’alimentazione e l’idratazione artificiali siano da considerarsi atto medico
e pone le seguenti motivazioni:

170
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

Le persone in SVP non necessitano di norma di tecnologie sofisticate, costose e di


difficile accesso; ciò di cui hanno bisogno per vivere è la cura, intesa non solo nel
senso di terapia, ma anche soprattutto di care: esse hanno diritto a essere accudite.
In questo senso si può dire che le persone in SVP richiedono un’assistenza ad alto
e a volte altissimo contenuto umano, ma a modesto contenuto tecnologico.
Non bisogna dimenticare che non sono né la qualità della patologia né la probabilità
della sua guarigione a giustificare la cura: questa trova la sua ragione sufficiente
nel bisogno che il malato, come soggetto debole, ha diritto di essere bioeticamente
accudito ed eventualmente sottoposto a terapia medica.
Per giustificare bioeticamente il fondamento e i limiti del diritto alla cura e all’ac-
cudimento delle persone in SVP, va quindi ricordato che ciò che va loro garantito
è il sostentamento ordinario di base: la nutrizione e l’idratazione vanno considerati
atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto
indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere.

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Acqua e cibo non diventano infatti una terapia medica soltanto perché vengono
somministrati per via artificiale: si tratta di una procedura che, a parte il piccolo
intervento iniziale, è gestibile e sorvegliabile anche dagli stessi familiari del pa-
ziente. Si tratta di una procedura che, rispettando le condizioni minime, risulta
essere ben tollerata, gestibile a domicilio da personale non esperto con opportuna
preparazione.
Procedure assistenziali non costituiscono atti medici solo per il fatto che sono messe
in atto inizialmente e monitorate periodicamente da operatori sanitari.

Per la Commissione Veronesi-Oleari l’alimentazione è un atto medico


in quanto attività complessa, posta in seguito a una valutazione dello
stato energetico del paziente e monitorata da medici e operatori sanitari
professionali; per il Comitato Nazionale di Bioetica l’alimentazione e
l’idratazione sono da considerarsi sostanzialmente “acqua e cibo”.
Le conseguenze dell’uno e dell’altro orientamento sono evidenti e
sottintendono anche valori di fondo contrapposti. Da un lato un pensiero
orientato alla laicità che fa del diritto all’autodeterminazione il suo valore
fondante; dall’altro un pensiero orientato all’insegnamento del magistero
cattolico che fa della vita un bene indisponibile. Infatti, secondo il Comi-
tato Nazionale di Bioetica:

La vita umana va considerata un valore indisponibile, indipendentemente dal li-


vello di salute, di percezione della qualità della vita, di autonomia o di capacità
di intendere e di volere.
Qualsiasi distinzione tra vite degne di essere vissute e non degne di essere vissute è
da considerarsi arbitraria, non potendo la dignità essere attribuita, in modo variabile,
in base alle condizioni dell’esistenza.
L’idratazione e la nutrizione dei pazienti in SVP vanno considerate alla stregua di
un sostentamento vitale di base.

171
Parte II • Elementi di biodiritto

Le uniche aperture che si registrano, da parte del Comitato Nazionale


di Bioetica, sono quelle relative alla deriva dell’accanimento terapeutico
incontestabile:

La sospensione dell’idratazione e della nutrizione a carico di pazienti in SVP è da


considerare eticamente e giuridicamente lecita sulla base di parametri obiettivi
quando si realizzi l’ipotesi di un autentico accanimento terapeutico.
La predetta sospensione è da considerarsi eticamente e giuridicamente illecita tutte
le volte che venga effettuata, non sulla base delle effettive esigenze della persona
interessata, bensì sulla base della percezione che altri hanno della qualità della
vita del paziente.

Sul versante del magistero cattolico si registra la posizione della Con-

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gregazione per la dottrina e la fede – organismo dello Stato Vaticano
– dove in modo estremamente sintetico rispetto ai quesiti posti dalla
Conferenza episcopale statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione
artificiali si precisa:22

Primo quesito: È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per


vie naturali oppure artificiali) al paziente in “stato vegetativo”, almeno che questi
alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano
essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico?
Risposta: Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di
principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi
obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità
propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal
modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’inanizione e alla disidratazione.

Secondo quesito: Se il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali


a un paziente in “stato vegetativo permanente”, possono essere interrotti quando
medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà
mai la coscienza?
Risposta: No. Un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la
sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie
e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di
acqua e cibo, anche per vie artificiali.

Sul fronte più strettamente professionale e scientifico si registra la


presa di posizione della Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed

22 Congregazione per la dottrina e la fede, Risposte a quesiti della Conferenza Epi-


scopale statunitense circa l’alimentazione e la nutrizione artificiale, 1 agosto 2007,
in http:/www.vatican.va.

172
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

Enterale23 che sposa la linea della nutrizione come atto medico. Ripor-
tiamo testualmente:

La Nutrizione artificiale è da considerarsi, a tutti gli effetti, un trattamento medico


fornito a scopo terapeutico o preventivo. La nutrizione artificiale non è una misura
ordinaria di assistenza (come lavare o imboccare il malato non autosufficiente).
Come tutti i trattamenti medici, la nutrizione artificiale ha indicazioni, controindica-
zioni ed effetti indesiderati. L’attuazione della nutrizione prevede il consenso infor-
mato del malato o del suo delegato, secondo le norme del codice deontologico.

La posizione del mondo scientifico d’altra parte non poteva non par-
tire dal presupposto che la miscela nutrizionale alla base della nutrizione

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artificiale sia a tutti gli effetti un composto farmaceutico e più esattamente
una preparazione “galenica magistrale”.24
La giurisprudenza italiana è stata recentemente chiamata a dirimere
la questione sul cosiddetto “caso Englaro” stabilendo che:

Non vi è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasoga-


strico costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento
che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi
proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come
composti chimici implicanti procedure tecnologiche.

Quindi, per la più autorevole e massima giurisprudenza italiana, l’ali-


mentazione e l’idratazione artificiali sono da considerarsi “atto medico”
con tutte le conseguenze – in ordine alla rifiutabilità – del caso.

23 Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale (SINPE), Precisazioni


in merito alle implicazioni bioetiche della nutrizione artificiale, gennaio 2007, in
http://www.sinpe.it.
24 Per preparazione galenica si intende un composto farmaceutico preparato

da un farmacista, dietro prescrizione medica, e consistente nell’unione di due


o più principi attivi esistenti ma non presenti in quella forma in commercio. Per
preparazione galenica si intendono anche tutte le miscelazioni, diluizioni, ripar-
tizioni eseguite per il singolo paziente”. Per l’approfondimento, vedi Benci L.,
La prescrizione e la somministrazione di farmaci – responsabilità giuridica e deon-
tologica, McGraw-Hill, 2007, p. 25; Lattarulo M., Appunti di farmacia clinica. La
nutrizione artificiale, Il Pensiero Scientifico, Roma, 199, p. 34; Vincieri F., Cirinei
C., Cervini D., La gestione normativa dei medicinali, Il Pensiero Scientifico, Roma,
2006, p. 7.

173
Parte II • Elementi di biodiritto

IL CASO DI ELUANA ENGLARO

Il caso di Eluana Englaro è assolutamente l’esempio più paradigmatico


relativo al rifiuto alle cure e alla nutrizione e all’alimentazione artificiale.
Ripercorriamone le tappe.
Eluana Englaro nel 1992, all’età di 21 anni, viene coinvolta in un grave
incidente stradale. Ricoverata all’ospedale di Lecco per le cure del caso,
le vengono diagnosticate una frattura dell’osso frontale, una frattura-
lussazione della seconda vertebra cervicale, un’emorragia nell’emisfero
cerebrale sinistro e lesioni in diverse sedi del cervello, in particolare nella
regione frontotemporale dell’emisfero sinistro e nei nuclei talamici di
ambo i lati. Viene intubata e sottoposta a ventilazione artificiale. A seguito
dell’aggravarsi della situazione, l’edema degli emisferi cerebrali provoca

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la compressione del tronco encefalico e la comparsa di un’emorragia
nel mesencefalo.25
Successivamente Eluana viene estubata e comincia a respirare auto-
nomamente, passando dallo stato di coma allo stato vegetativo, inizial-
mente persistente e successivamente permanente.
Eluana, in occasione di vicende personali precedenti all’incidente,
aveva espresso la sua contrarietà per le cure intensive a cui venivano
sottoposti i pazienti nelle rianimazioni senza che vi fosse la possibilità
di recupero di una qualità di vita che lei riteneva irrinunciabile. Comincia
una lunga battaglia culturale e soprattutto giudiziaria da parte del padre
per dare attuazione a quelle volontà della figlia che ne connotavano
profondamente la personalità.
Non è questa la sede per dare conto di tutta la vicenda giudiziaria per
cui ci limiteremo al suo epilogo.26

25 Englaro B., Nave E., Eluana – La libertà e la vita, Rizzoli, 2008, Milano, pp. 10-11.
26 Le tappe della lunga battaglia sono riportate cronologicamente nel volume
testimonianza del padre Beppino Englaro, Eluana – La libertà e la vita, op. cit. Le
tappe sono state:
1) 14 marzo 1999: ricorso-reclamo alla Corte di Appello di Milano, ex art. 739
codice di procedura civile. Esito: rigettato;
2) 26 febbraio 2002: nuovo ricorso al Tribunale di Lecco ex art. 732 codice di
procedura civile. Esito: rigettato;
3) nuovo ricorso alla Corte di Appello di Milano. Esito: rigettato il 16 maggio 2003;
4) ricorso alla corte di cassazione, ex art. 111 Costituzione: il 20 aprile 2005 la
Corte dichiara inammissibile il ricorso, ritenendo necessaria la presenza di un
curatore speciale;
5) il 30 settembre 2005 richiesta al Tribunale di Lecco della nomina di un curatore
speciale;
6) il 16 dicembre 2006 la Corte di Appello di Milano dichiara il nuovo ricorso non
ammissibile ma non suscettibile di accoglimento.

174
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

Il punto di svolta della complessa vicenda giudiziaria di Eluana En-


glaro è data dalla sentenza della Corte di cassazione del 2007.27 Il punto
di partenza è la tematica del consenso informato. Argomenta la suprema
Corte che “il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e
fondamento del trattamento sanitario: senza il consenso informato l’in-
tervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse
del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una
forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il persegui-
mento dei suoi migliori interessi”.
Il consenso informato infatti, precisa la Corte, trova il suo fondamento
negli artt. 2 – diritti fondamentali dell’uomo tra cui la dignità – e 32 – diritto
alla salute – della Costituzione.
Dopo avere operato una disamina delle leggi nazionali e sovrana-

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zionali alla base del consenso informato, la cassazione specifica che il
diritto del singolo alla salute, “come tutti i diritti di libertà, implica la tutela
del suo risvolto negativo” che consiste nel “diritto di perdere la salute, di
ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza
secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di la-
sciarsi morire”. Il rifiuto delle terapie mediche e chirurgiche quindi “anche
quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di
eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita,
causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un
atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo
corso naturale”. In mancanza di consenso, quindi, l’obbligo del medico di
curare viene meno in quanto tale obbligo si basa proprio sul consenso.
Dopo avere ripercorso i poteri del padre in qualità di tutore, la Cassazione
entra nel merito della nutrizione e idratazione artificiali stabilendo che:

Non v’è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasoga-
strico costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento
che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi
proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come
composto chimico implicanti procedure tecnologiche.
Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica inter-
nazionale; trova il sostegno della giurisprudenza nel caso C. e nel caso B.; si allinea,
infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, la quale ricomprende
il prelievo ematico – anch’esso “pratica medica di ordinaria amministrazione” – tra
le misure di “restrizione della libertà personale quando se ne renda necessaria la
esecuzione coattiva perché la persona sottoposta all’esame peritale non acconsente
spontaneamente al prelievo” (sentenza n. 238 del 1996).

27 Corte di cassazione, I sez. civile, 16 ottobre 2007, n. 1748.

175
Parte II • Elementi di biodiritto

La Cassazione, inoltre, precisa che non può essere richiesto al giudice


di ordinare il distacco del sondino nasogastrico che non rappresenta di
per sé una forma di accanimento terapeutico. È compito del giudice invece
controllare la scelta del tutore nell’interesse dell’incapace. Tale scelta può
essere autorizzata solo in presenza di determinate condizioni:

a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base a un rigoroso


apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento
medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello interna-
zionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima
possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e
di ritorno a una percezione del mondo esterno;
b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base a elementi di

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prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato,
tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convinci-
menti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in
stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona.

Le conclusioni e i principi di diritto della cassazione sono ovviamente


tarati sul caso di Eluana e quindi di “una paziente in stato vegetativo da
oltre 17 anni tenuta in vita artificialmente mediante un sondino naso-
gastrico che provvede alla sua alimentazione e idratazione”
Le parole chiave che si evincono dalla sentenza della Cassazione
sono quindi irreversibilità dello stato del paziente, volontà del paziente
chiara ed evincibile “dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai
suoi convincimenti” espressa prima di cadere in stato di incoscienza.
La “disattivazione” della nutrizione può essere data solo in presenza di
questi presupposti rigorosi che devono essere accertati dalla Corte di
appello di Milano.
Così la Corte di cassazione. La Corte di appello di Milano, I sezione
civile si è espressa con il decreto del 25 giugno 2008, con il quale ha
accertato i rigorosi criteri richiesti dalla cassazione riconoscendone la
sussistenza e dando anche ulteriori indicazioni. Dispone la Corte di ap-
pello di Milano che:

L’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale con sondino


nasogastrico, la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali (antibiotici
o antinfiammatori ecc.) o di altre procedure di assistenza strumentale avvengano, in
hospice o altro luogo di ricovero confacente, ed eventualmente – se ciò sia oppor-
tuno e indicato in fatto dalla miglior pratica della scienza medica – con perdurante
somministrazione di quei soli presidi già attualmente utilizzati atti a prevenire o
eliminare reazioni neuromuscolari paradosse (come sedativi o antiepilettici) e nel

176
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

solo dosaggio funzionale a tale scopo, comunque con modalità tali da garantire un
adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona (per esempio,
anche con umidificazione frequente delle mucose, somministrazione di sostanze
idonee a eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi, cura dell’igiene del
corpo e dell’abbigliamento ecc.) durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà
dopo la sospensione del trattamento, e in modo da rendere sempre possibili le visite,
la presenza e l’assistenza, almeno, dei suoi più stretti familiari.

Le indicazioni che provengono dal decreto della Corte di appello di


Milano sono sostanzialmente di natura professionale – ricovero in ho-
spice, somministrazione di farmaci per evitare reazioni neuromuscolari
e addirittura esemplificative misure di stretta natura assistenziale come
l’umidificazione delle mucose e l’igiene del corpo.

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Come era ben pronosticabile, questa sentenza della Cassazione e il
relativo decreto del Corte di appello di Milano hanno suscitato un forte
dibattito e reazione contrapposte.
In primo luogo si è addirittura registrata una presa di posizione del
Parlamento il quale ha sollevato un conflitto di attribuzione presso la
Corte costituzionale, sostenendo il superamento delle competenze da
parte di un giudice – la Corte di cassazione appunto – nei confini che sono
riservati alla legislazione e non alla giurisdizione. La Corte costituzionale
ha dichiarato inammissibile il ricorso.28
La vicenda giudiziaria si è definitivamente conclusa.29 Sul piano dottri-
nario si sono riscontrate le posizioni favorevoli di chi, dopo avere elogiato

28 Il ricorso presentato dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubbli-
ca il 17 settembre 2008 ha sollevato conflitto di attribuzione in quanto la Corte
di cassazione avrebbe “esercitato attribuzioni proprie del potere legislativo, co-
munque interferendo con le prerogative del potere medesimo”. In particolare
la Cassazione, con la sentenza in esame, avrebbe “colmato il vuoto normativo
assunto a presupposto delle varie pronunce mediante una attività che assume
sostanzialmente i connotati di una vera e propria produzione normativa”, attività
riservata al legislatore. La Corte costituzionale ha dichiarato, con l’ordinanza
dell’8 ottobre 2008, inammissibile il ricorso in quanto la sentenza della Corte di
cassazione sul caso Englaro ha “tutte le caratteristiche dell’atto giurisdizionale”.
29 La Procura generale presso la Corte di appello aveva presentato il ricorso contro

il decreto della Corte di appello di Milano. Con la sentenza 13 novembre 2008,


n. 27145 delle sezioni unite civili della Suprema Corte di cassazione il ricorso è
stato dichiarato inammissibile per mancanza di legittimità della procura stessa a
ricorrere sul decreto. Si registra inoltre, sempre da un punto di vista giudiziario,
la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 22 dicembre 2008 che
ha dichiarato irricevibile il ricorso di 34 associazioni cattoliche italiane contro le
decisioni della Corte di appello di Milano in quanto i ricorrenti non avevano alcun
legame diretto con Eluana Englaro e quindi non legittimati a proporre ricorso.

177
Parte II • Elementi di biodiritto

la sentenza in quanto si è mostrata in grado di coniugare il diritto italiano


con la giurisprudenza degli altri Paesi, ha auspicato la traduzione della
sentenza stessa per farla conoscere oltre i confini nazionali.30 Sul piano
professionale e bioetico vi è chi ha parlato di “fine di un incubo”.31
Di segno opposto le reazioni del mondo cattolico, che hanno defini-
to la sentenza e l’epilogo della vicenda “incivili e disumani”.32
Sul piano extragiudiziario si deve dare conto infine della nota di in-
dirizzo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali che
invita le regioni a disattendere le decisioni della giurisprudenza e ad
“adottare le misure necessarie affinché le strutture pubbliche e private”
si adeguino a tale atto.33 L’atto del ministero pone seri problemi di legit-
timità in quanto la stessa Corte costituzionale, come abbiamo visto, ha
giudicato l’intervento della giurisprudenza rientrante nei confini della

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giurisdizione. Appare francamente strano che l’autorità amministrativa,
per di più governativa, inviti a disattendere una sentenza della magi-
stratura.

IL CASO DI PIERGIORGIO WELBY

Grande interesse ha suscitato il caso di Piergiorgio Welby. All’età di 18


anni (nei primi anni ’70) gli viene diagnosticata la distrofia muscolare
progressiva. La malattia procede lentamente, e negli anni ’80 Welby inizia
a perdere l’uso delle gambe e nel 1997 viene tracheostomizzato e venti-
lato artificialmente. Con gli anni diminuiscono le sue residue capacità di
movimento e vengono sempre più compromesse le funzioni vitali. Viene
alimentato artificialmente e può comunicare solo attraverso un computer
dotato di un apposito software.
Comincia la battaglia politica e giudiziaria di Welby per interrompere
le cure che lo tengono artificialmente in vita e per avere una sedazione

30 Santosuosso A., La volontà oltre la coscienza – la cassazione e lo stato vege-


tativo, Nuova giurisprudenza civile commentata, 1, 2008.
31 Defanti C.A., Eluana Englaro: la fine di un incubo? Bioetica, 2007, 4, 114.
32 Fiori A., Il caso Englaro, Medicina e Morale, 2008, 935.
33 Il riferimento è all’atto di indirizzo del Ministro del lavoro, della salute e delle

politiche sociali del 16 dicembre 2008 indirizzato alle Regioni e alle Province
autonome e avente per oggetto “Stati vegetativi, nutrizione e idratazione” in cui
si cita il parere del Comitato nazionale di bioetica del 2005 e della Convenzione
dei diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (non ancora ratificata
in Italia) e si invita – in modo perentorio – le Regioni a fare disattendere il decreto
della Corte di appello di Milano.

178
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

per non soffrire la sensazione di soffocamento che ne può derivare. La


problematica è relativa al possibile reato di omicidio del consenziente
in cui può incorrere chi lo assiste.
Welby si rivolge al Tribunale di Roma con un ricorso d’urgenza ai
sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile richiedendo di procedere,
da parte delle persone che lo avevano in cura, all’immediato distacco
del ventilatore artificiale con modalità idonee a prevenire o eliminare
qualsiasi stato di sofferenza.
Il Tribunale di Roma34 dopo avere precisato che “il principio del-
l’autodeterminazione individuale e consapevole in ordine ai trattamenti
sanitari può considerarsi ormai positivamente acquisito ed è collegato
al dovere del medico di informare il paziente sulla natura, sulla portata
e sugli effetti dell’intervento medico, che è condizione indispensabile per

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la validità del consenso”, argomenta che la tematica “presenta aspetti
problematici in termini di concretezza ed effettività rispetto al profilo della
libera e autonoma determinazione individuale sul rifiuto o l’interruzione
delle terapie salvavita nella fase terminale della vita umana”.
Il Tribunale di Roma, curiosamente, precisa che Welby ha il diritto di
interrompere le cure, ma in concreto ci sono dei problemi.
Il diritto di Welby è chiaro in quanto il nostro ordinamento, precisa
il Tribunale, prevede che:

Il divieto di accanimento terapeutico è un principio solidamente basato sui principi


costituzionali di tutela della dignità della persona, previsto nel codice deontologico
medico, dal Comitato nazionale di bioetica, dai trattati internazionali, in partico-
lare dalla Convenzione europea, nonché condiviso anche in prospettiva morale
e religiosa.
Esso, tuttavia, sul piano dell’attuazione pratica del corrispondente diritto del pa-
ziente a “esigere” e a “pretendere” che sia cessata una determinata attività medica
di mantenimento in vita (il problema si è posto, in particolare, per l’alimentazione e
l’idratazione forzate e, come nel caso di specie, per la respirazione assistita a mezzo
di ventilatore artificiale), in quanto reputata di mero accanimento terapeutico, lascia
il posto all’interpretazione soggettiva e alla discrezionalità nella definizione di con-
cetti sì di altissimo contenuto morale e di civiltà e di intensa forza evocativa (primo
fra tutti la “dignità della persona”), ma che sono indeterminati e appartengono a un
campo non ancora regolato dal diritto e non suscettibile di essere riempito dall’in-
tervento del giudice nemmeno utilizzando i criteri interpretativi che consentono il
ricorso all’analogia o ai principi generali dell’ordinamento.
Ciò perché i principi sono incerti ed evanescenti, manca una definizione condivisa
e accettata dei concetti di “futilità” del trattamento, di quando l’insistere con tratta-
menti di sostegno vitale sia ingiustificato o sproporzionato, sugli stessi concetti di

34 Tribunale di Roma, I sezione civile, 16 dicembre 2006.

179
Parte II • Elementi di biodiritto

insostenibilità di qualità della vita o di degradazione di persona da soggetto a oggetto


e perché non esistono linee guida di natura tecnica ed empirica di orientamento
dei comportamenti medici che, in definitiva, riempiano di contenuti il divieto di
“accanimento terapeutico” e il correlativo diritto a far cessare l’accanimento stesso
con la richiesta di interruzione della terapia di sostentamento vitale.

Conclude infine il Tribunale di Roma che il diritto di Welby a richiedere


l’interruzione della respirazione assistita e il distacco del respiratore,
previa somministrazione della sedazione terminale, deve ritenersi sus-
sistente […] ma trattasi di un diritto non concretamente tutelato dall’or-
dinamento e di conseguenza non può prendere decisione sul punto.
La decisione del Tribunale di Roma apparve subito come assoluta-

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mente contraddittoria – si riconosce infatti il diritto, ma non il suo effettivo
esercizio – e vi è chi ha parlato di denegata giustizia proprio a opera di
chi, il Tribunale, costituisce “il luogo dove le nuove domande di diritti
possano trovare immediate risposte sulla base dei principi già esistenti
nel sistema giuridico”.35
In ambito ministeriale viene reso noto il parere del Consiglio superiore
di sanità36 – organo consultivo del Ministero della salute (oggi accorpato
al Ministero del welfare) – dove veniva chiesto se il trattamento a cui
era sottoposto Welby fosse da considerarsi “accanimento terapeutico”.
Il Consiglio superiore, dopo avere precisato che “il trattamento medico e
infermieristico, prestato al signor Welby come a qualsiasi altro paziente,
consiste, propriamente parlando, sia in termini medici che etici, in una
cura”, e che non vi sono dubbi sul fatto che il rifiuto alle cure è un diritto
del paziente capace di autodeterminarsi, pone tuttavia degli interrogativi
per “l’interruzione delle terapie di sostegno alle funzioni vitali, la cui
sospensione determini sic et simpliciter la terminazione biologica della
vita”. Le cure si possono rifiutare tranne quelle di sostegno alle funzioni
vitali? L’organo di consulenza del Ministero arriva a sostenere che “sul
piano tecnico-professionale ed etico deontologico nessuna procedura
terapeutica va di per sé ritenuta una forma di accanimento terapeutico”
e che “astenersi dall’accanimento terapeutico non significa abbandonare
ogni progetto di cura per il paziente”. Di conseguenza la ventilazione
meccanica a cui era sottoposto Welby non configurava lo stato di “ac-
canimento terapeutico”.

35 Rodotà S., Prefazione al libro di Milano G., Riccio M., Storia di una morte oppor-
tuna, Sironi, Milano, 2008.
36 Ministero della salute, Consiglio superiore di sanità, seduta del 20 dicembre

2006, Assemblea generale.

180
L’accanimento terapeutico • Capitolo 12

A fronte di questa serie di dinieghi, Welby contatta un medico ria-


nimatore – nella persona del dottor Riccio – la sera stessa in cui viene
reso noto il parere negativo del Consiglio superiore di sanità, affinché
provveda al distacco del respiratore e alla contemporanea sedazione con
farmaci (Propofol e Midazolam). Piergiorgio Welby muore dopo un’ora
dal distacco dal ventilatore polmonare.37
Il dottor Riccio viene denunciato per omicidio del consenziente, ex art.
579 del codice penale. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Roma38 in primo luogo viene chiamato ad accertare la causa di morte
di Welby, che viene attribuita unicamente all’impossibilità di respirare
spontaneamente e non causata dai farmaci usati per la sedazione data
la loro “esigua concentrazione”. Successivamente, ripercorrendo la giuri-
sprudenza della Corte costituzionale, il giudice ribadisce che una persona

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non può essere sottoposta a un intervento sanitario non voluto e ricorda
l’importanza della volontà del paziente quando questa si manifesti in
forma non equivoca. Analizza inoltre il comportamento del dottor Riccio
che ha – con il distacco del respiratore – posto in essere una condotta chia-
ramente diretta, con il consenso del paziente, a fare cessare le funzioni
vitali del paziente stesso. Sulla permanenza della volontà del paziente
di cessare il trattamento il Tribunale non ha avuto dubbi.
Restava a questo punto da qualificare il comportamento del medico
rianimatore. Il rapporto tra lui e Welby, specifica il Tribunale di Roma, è
qualificabile come il rapporto tipico “che si instaura tra un medico e il
suo paziente, preceduto da una precisa acquisizione di informazioni da
parte del medico sulle condizioni del paziente, ed esso aveva a oggetto
competenze di carattere squisitamente sanitario, quali quella di porre fine
al trattamento di respirazione assistita con il distacco del predetto dalla
macchina e quella di somministrare contestualmente una terapia sedativa
al paziente”. Quindi il contesto in cui si è mosso il dottor Riccio è stato
quello del “legittimo esercizio del diritto di autodeterminazione della per-
sona attraverso la richiesta di interruzione del trattamento sanitario”.
A fronte quindi della sussistenza del reato di omicidio del consen-
ziente e al correlativo rapporto-obbligo del medico di rispettare la volontà
del paziente di non essere più curato vi sono gli estremi previsti dalla
scriminante dell’art. 51 del codice penale in merito all’adempimento di un
diritto. Per tale norma, infatti, l’esercizio di un diritto o l’adempimento di
un dovere imposto da una norma giuridica escludono la punibilità.

37 Tuttala cronologia della morte e della vicenda di Welby è raccontata in prima


persona dal dottor Mario Riccio in una recente monografia scritta con Gianna
Milano: Milano G., Riccio M., Storia di una morte opportuna, op. cit.
38 Tribunale di Roma, Giudice dell’udienza preliminare (GUP), 23 luglio 2007.

181
Parte II • Elementi di biodiritto

Conclude il Tribunale di Roma che in questo caso parlare generica-


mente di eutanasia appare “fuorviante da un punto di vista concettuale
e della comprensione dei fatti” e ha prosciolto il dottor Riccio in quanto
ha agito in presenza di un dovere giuridico che ne ha scriminato (giu-
stificato) la condotta.
La sentenza di assoluzione del dottor Riccio – assolutamente lineare
e logica sul piano giuridico – che ha ricostruito il piano di principi che
presiedono e possono sovraintendere, anche in assenza di una legge or-
dinaria, le decisioni di fine vita, viene considerata un’“eredità preziosa”39
da chi in campo laico pensa che i principi di libertà e autodeterminazione
non potessero che portare a questa conclusione.
Sul fronte avverso si registra la dura posizione di chi sostiene che il
caso Welby è stato un caso di eutanasia.40

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Con la sentenza Welby, come del resto con la vicenda giudiziaria del
caso Englaro, si è portato a compimento il principio dell’autodetermina-
zione del paziente anche laddove si metta in discussione la prosecuzione
della vita.

39 Rodotà S., Prefazione al libro di Milano G., Riccio M., Storia di una morte oppor-
tuna, op. cit.
40 Fiori A., Il caso Welby: i medici, i pesi e le misure (editoriale), Medicina e Mora-

le, 2007, 1, 11.

182
Capitolo

13
LE DIRETTIVE ANTICIPATE

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LE DIVERSE DEFINIZIONI DELLE DIRETTIVE ANTICIPATE

La tematica dell’autodeterminazione della persona e del consenso in-


formato trova delle difficoltà nelle condizioni di fine vita della persona,
soprattutto nel momento in cui il paziente non cosciente non è in grado
di esprimere un valido consenso.
Le scoperte scientifiche avanzate e l’esplosione della tecnicalità me-
dica hanno posto all’ordine del giorno la necessità del consenso del pa-
ziente anche per le cure di fine vita, consenso che deve essere dato in
modo anticipato rispetto alle condizioni di incoscienza del paziente.
Le direttive anticipate sono il massimo grado di espressione dell’au-
tonomia della persona e del principio dell’autodeterminazione e sono
auspicate da organismi istituzionali come il Comitato Nazionale di Bio-
etica e fortemente sostenuti dalla bioetica laica. Sul fronte della bioetica
cattolica, non si nasconde il fatto che la discussione sulle direttive anti-
cipate possa far emergere il rischio che la posta in gioco sia la legaliz-
zazione dell’eutanasia e non il testamento biologico. Sono discussioni
assolutamente fuorvianti: eutanasia e testamento biologico sono due
concetti assolutamente diversi.
Le espressioni che si usano sono diverse e spesso di significato non
esattamente univoco: testamento biologico, testamento di vita, diretti-
ve anticipate di trattamento, dichiarazioni anticipate di trattamento. Le
definizioni di questi diversi documenti sono comunque molto simili e in-

 Balestra L., Il testamento biologico nell’evoluzione del rapporto medico-pa-


ziente, Famiglia, persona e successioni, 2006, 2, 102.

183
Parte II • Elementi di biodiritto

dicano dei documenti mediante il quale un soggetto, in previsione della


sua futura eventuale incapacità, detta disposizioni in merito alle cure a
cui intende o non intende essere sottoposto. Ne proponiamo a seguire
una ragionata sintesi.

Testamento biologico

Questa espressione viene preferita ad altre per la maggiore vincolatività


che esprime. L’istituto del testamento, tipico per la successione di beni
patrimoniali, riprende quindi il nome di un istituto giuridico vincolante,
il quale però, a differenza del testamento biologico detta disposizioni
dopo la morte del soggetto. Si sottolinea però che l’utilizzo del nomen

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juris “testamento” potrebbe rivelarsi utile “per attribuire valenza formale
a un documento che non contiene disposizioni patrimoniali, ma non per
questo è meno importante e vincolante per chi è chiamato ad attuare le
dichiarazioni di volontà in esso contenute”.

Testamento di vita

Espressione che viene utilizzata per enfatizzare la differenza con il te-


stamento di carattere patrimoniale. Si conserva il termine “testamento”
per la maggiore cogenza del termine associato a “vita”.
In effetti, mentre il testamento patrimoniale rappresenta una decisio-
ne di fine vita e, più precisamente, di quando la morte è stata dichiarata, il
testamento di vita ha invece valore nel momento precedente alla morte,
quando cioè il paziente, pur vivo, non è cosciente e in grado di decidere. Il
testamento di vita detta quindi disposizioni per la fase terminale della vita e
non, come nel caso del testamento patrimoniale, disposizioni post mortem.

Direttive anticipate di trattamento

L’espressione in questione deriva dal mondo anglosassone (advance di-


rectives) e si caratterizza per un linguaggio meno giuridico del testamen-
to. Anche in questo caso, si intende un documento attraverso il quale
una persona detta disposizioni sulla propria salute in previsione di una
eventuale futura incapacità.


Salito G., Il testamento biologico: ipotesi applicative, Notariato, 2004, 2, 196.

Veronesi U., De Tilla M., Nessuno deve scegliere per noi: la proposta del testa-
mento biologico, Sperling e Kupfer, Milano, 2007, p. 5.

184
Le direttive anticipate • Capitolo 13

Dichiarazioni anticipate di trattamento

Sono simili alle precedenti ma si caratterizzano per una minore vincolati-


vità. È l’espressione utilizzata dal Comitato Nazionale di Bioetica italiano.

L’autore e gli altri soggetti delle direttive anticipate

Le direttive anticipate – o qualsiasi altra espressione utilizzata – devono


essere formulate e sottoscritte in un momento anteriore all’incapacità
naturale del soggetto. Con questo atto il soggetto detta quindi delle di-
sposizioni relative al momento in cui non sarà più in grado di decidere. È
l’espressione più ampia del diritto di autodeterminazione, di autonomia

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e del processo del consenso informato.
In relazione alle disposizioni dettate, possono essere coinvolti anche
altri soggetti. Le direttive possono infatti prevedere disposizioni per il
medico, per il personale sanitario, per il clero (laddove si dettino dispo-
sizioni inerenti alla sepoltura e al rito religioso da seguire), per i familiari
che lo assistono e per l’eventuale fiduciario che può essere nominato per
interpretare le volontà precedentemente espresse. Il fiduciario si pale-
sa come una figura importante nel contesto delle direttive anticipate in
quanto, laddove presente, può interpretare il pensiero e lo stile di vita
della persona a fronte di disposizioni dettate in precedenza allo stato di
incapacità dal soggetto stesso.
Il fiduciario è tenuto ad agire nell’esclusivo e migliore interesse (il
cosiddetto best interest) dell’incapace, deve tenere conto della volontà
espressa, dei valori e delle convinzioni precedenti allo stato di incapa-
cità.

Il contenuto delle direttive anticipate

Le direttive anticipate contengono disposizioni di vario tipo in merito


alle cure di fine vita. Il limite delle direttive è rinvenibile esclusivamente
all’interno delle norme presenti in seno all’ordinamento giuridico. Una
norma sicuramente non lecita è quella relativa alle volontà eutanasiche
espresse nelle direttive stesse. Come vedremo, il concetto di eutanasia è
ben più ristretto del significato che in genere si usa attribuire. È quindi da
considerarsi una pratica diretta a provocare la morte di una persona con
il suo consenso, ben diversa dal rifiuto alle cure e dal rifiuto al trattamen-

 Vedi cap. 14.

185
Parte II • Elementi di biodiritto

to sanitario. Il Comitato Nazionale di Bioetica, esprimendosi in relazione


al contenuto delle direttive anticipate – che il Comitato stesso chiama
dichiarazioni – ha precisato che il principio generale al quale ispirarsi in
merito al contenuto delle direttive può essere il seguente: “ogni persona
ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in re-
lazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa
i quali può lecitamente esprimere la propria volontà attuale”. Sempre nel
documento del 2003, il Comitato Nazionale di Bioetica indica quali sono
le disposizioni di cui in genere si compongono le direttive anticipate, che
riportiamo qui di seguito:

1. indicazioni sull’assistenza religiosa, sull’intenzione di donare o no gli organi


per trapianti, sull’utilizzo del cadavere o parti di esso per scopi di ricerca e/o

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didattica;
2. indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative,
richiesta di essere curato in casa o in ospedale ecc.);
3. indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio
delle possibilità diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il
decorso della malattia;
4. indicazioni finalizzate a implementare le cure palliative;
5. indicazioni finalizzate a richiedere formalmente la non attivazione di qual-
siasi forma di accanimento terapeutico, cioè di trattamenti di sostegno vitale
che appaiano sproporzionati o ingiustificati;
6. indicazioni finalizzate a richiedere il non inizio o la sospensione di tratta-
menti terapeutici di sostegno vitale, che però non realizzino nella fattispecie
indiscutibili ipotesi di accanimento;
7. indicazioni finalizzate a richiedere la sospensione dell’alimentazione artifi-
ciale.

Mentre per alcune indicazioni non emergono problemi di sorta, per


l’ultimo punto lo scontro è, come abbiamo già visto nel capitolo sull’ac-
canimento terapeutico, molto acceso. I termini del dibattito sono noti: il
riconoscimento o meno del carattere sanitario dell’alimentazione artifi-
ciale. Nel primo caso l’alimentazione è da considerarsi terapia e quindi
rifiutabile dal paziente; nel secondo caso, essendo pura “acqua e cibo”,
non sarebbe rifiutabile, ma atto dovuto di accadimento.
Abbiamo visto che, nella ricostruzione operata dalla più recente giuri-
sprudenza sul caso Englaro, la Corte di Cassazione ha definito la nutrizione
artificiale come indubbio atto sanitario e quindi rifiutabile dal paziente.
Vi è da tempo una discussione sull’ampiezza e sul livello di dettaglio
che devono o che possono avere le direttive anticipate. Si avverte infat-
ti del pericolo che ogni documento di direttive anticipate “deve evitare
due errori contrapposti: l’eccesso di genericità e l’eccessiva definizione

186
Le direttive anticipate • Capitolo 13

di situazioni patologiche specifiche”. Il pericolo, infatti, nel primo caso


risiede nel perdere di valore proprio per la loro intrinseca genericità; nel
secondo caso, invece, essendo le direttive troppo specifiche e dettagliate,
rischiano di escludere situazioni similari e omogenee.

La vincolatività e la cogenza delle direttive anticipate

Il problema della obbligatorietà del rispetto del contenuto delle direttive


anticipate è fonte di discussione. Sul carattere orientativo o vincolante
si è espresso il Comitato Nazionale di Bioetica proponendo una me-
diazione. Secondo quest’ultimo, il disaccordo sul punto è più di natura
concettuale che etica e propone una mediazione partendo dal concetto

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di “alleanza terapeutica”. Se è vero, come è vero, argomenta il Comi-
tato, che chi redige una direttiva anticipata “manifesta chiaramente la
volontà che i suoi desideri vengano onorati”, al tempo stesso vuole che
i suoi desideri siano rispettati alle stesse condizioni in cui li aveva indi-
cati. Riportiamo testualmente il passaggio argomentativo del Comitato
Nazionale di Bioetica:

Si può, infatti, ragionevolmente presumere che nessun paziente intenda incoraggiare


attitudini di abbandono terapeutico, privandosi così della possibilità di godere dei
benefici dei trattamenti che eventualmente si rendessero disponibili quando egli
non fosse più in grado di manifestare la propria volontà. Questo carattere non
(assolutamente) vincolante, ma nello stesso tempo non (meramente) orientativo,
dei desideri del paziente, non costituisce una violazione della sua autonomia, che
anzi vi si esprime in tutta la sua pregnanza; e non costituisce neppure (come alcuni
temono) una violazione dell’autonomia del medico e del personale sanitario. Si
apre qui, infatti, lo spazio per l’esercizio dell’autonoma valutazione del medico, che
non deve eseguire meccanicamente i desideri del paziente, ma anzi ha l’obbligo
di valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica di questo e agli eventuali
sviluppi della tecnologia medica o della ricerca farmacologica che possano essere
avvenuti dopo la redazione delle dichiarazioni anticipate o che possa sembrare
palese che fossero ignorati dal paziente.

Quindi “desiderio” del paziente e autonomia del medico nella ricostru-


zione della decisione del contesto cronologico che ha portato il paziente
a formulare le richieste e sua riconducibilità alla situazione attuale.

 Orsi L., Bailo R., Gallucci M., La Biocard. La carta di autodeterminazione della
Consulta di bioetica, in Cattorini P. (a cura di), Le direttive anticipate del malato,
Masson, Milano, 1999, p. 74.

187
Parte II • Elementi di biodiritto

Su questo aspetto si fanno valere anche le differenze semantiche. Il


termine “dichiarazione” al posto di “direttiva” porta alla logica conclu-
sione che la prima sia più orientativa e la seconda più obbligatoria. Può
quindi il medico disattendere il contenuto delle direttive anticipate?
L’obiezione che si muove è relativa alla distanza che intercorre dal
momento in cui l’autore delle direttive esprime le proprie convinzioni
al momento in cui queste sono destinate a essere attuate, senza che
l’autore stesso sia in grado di confermarle. Si sono prospettate diverse
situazioni di incapacità. Vi sono infatti casi in cui l’incapacità è conse-
guente “al progressivo sviluppo di una malattia degenerativa a un certo
stadio, o addirittura programmata come conseguenza di un intervento
chirurgico”, e altri in cui il paziente “versa in una condizione di inco-
scienza per eventi di origine accidentale”. Nel primo caso la possibilità

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di dare corso alle direttive anticipate non crea problemi di sorta per
la consapevolezza del paziente stesso della propria situazione; nel se-
condo si sostiene che il paziente abbia espresso la propria volontà in
una situazione temporale di sostanziale “ignoranza diagnostica”, il che
ne rende problematica l’attuazione. In altre parole la discussione sulla
vincolatività delle direttive anticipate sconta il requisito della mancanza
dell’attualità del consenso che, manifestato “ora per allora”, risulterebbe
del tutto “decontestualizzato rispetto alla futura e ipotetica situazione”
nella quale è chiamato a operare il personale sanitario.
In una prospettiva legislativa futura, de jure condendo, il rispetto del-
l’autodeterminazione viene riportato nei disegni di legge di parlamentari
di diverse scuole di pensiero sia pure con accenti diversi. Si ritrovano
situazioni perentorie assolute dell’autodeterminazione del paziente a
situazioni in cui le direttive anticipate “sono impegnative per le scelte
sanitarie del medico, il quale può disattenderle solo quando non più cor-
rispondenti a quanto l’interessato aveva espressamente previsto al mo-
mento della redazione della dichiarazione anticipata di trattamento, sulla
base degli sviluppi delle conoscenze scientifiche e terapeutiche, e indican-
do compiutamente le motivazioni della decisione nella cartella clinica”.
Una normativa sulle direttive anticipate che permette al medico di
disattendere le direttive stesse si pone però contro i principi di autodeter-
minazione così come sono oggi intesi in una lettura costituzionalmente
orientata.

 Salito G., Il testamento biologico: ipotesi applicative, Notariato, 2004, 2, 196.


 Cattorini P., Sotto scacco, bioetica di fine vita, Liviana Medicina, Napoli, 1993, p. 89.
 Sesta M., Riflessioni sul testamento biologico, Famiglia e diritto, 2008, 4, 407.
 Il riferimento è – tra i tanti progetti di legge presentati nella XVI legislatura – ai

progetti di Umberto Veronesi (pdl 972 Atto Senato) e di Tomassini, Malan e De


Lillo (pdl 51 Atto Senato).

188
Le direttive anticipate • Capitolo 13

Ovviamente, come nelle reali disposizioni testamentarie, le direttive


anticipate devono essere considerate sempre revocabili.

La forma e l’implementazione delle direttive anticipate

Nel suo più volte richiamato documento sulle direttive anticipate il Co-
mitato Nazionale di Bioetica ha precisato sia la forma sia le modalità di
implementazione delle direttive anticipate. Riportiamo le conclusioni del
parere del Comitato:

a) abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in for-


ma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere

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e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione
familiare, sociale, ambientale;
b) non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che con-
traddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deonto-
logia. Comunque il medico non può essere costretto a fare nulla che
vada contro la sua scienza e la sua coscienza;
c) ai fini di una loro adeguata redazione, in conformità a quanto indica-
to nel punto b), si auspica che esse siano compilate con l’assistenza
di un medico, che può controfirmarle;
d) siano tali da garantire la massima personalizzazione della volontà
del futuro paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di mo-
duli o di stampati, siano redatte in maniera non generica, in modo
tale da non lasciare equivoci sul loro contenuto e da chiarire quanto
più possibile le situazioni cliniche in relazione alle quali esse debba-
no poi essere prese in considerazione.

Per quanto riguarda la forma – mentre tutti concordano sulla forma


scritta – non vi sono accordi su chi debba conservarla. Le scelte del-
l’ambito sono due: quello sanitario e quello notarile. Il primo vedrebbe il
medico e l’azienda sanitaria locale direttamente coinvolti (non solo nel-
la redazione ma anche nella conservazione), mentre il secondo ambito
avrebbe lo scopo di rendere più testamentarie le direttive anticipate.
Senza dubbio è da evitare che le direttive anticipate siano ridotte alla
sottoscrizione di moduli e stampati. La deriva burocratica della pratica
del consenso informato di questi anni suggerisce questa indicazione.
Sull’opportunità o meno di intervenire con una legge sul testamen-
to biologico spesso si argomenta con la motivazione della necessità di
“colmare un vuoto legislativo”. Si sottolinea da più parti che in realtà si
è in presenza di “un pieno di diritto” ben stabilito e precisato dalle più

189
Parte II • Elementi di biodiritto

recenti pronunce della giurisprudenza, con particolare riferimento ai ca-


si Welby ed Englaro:10 rispetto e autonomia del paziente come concetti
chiave e una serie di richiami normativi molto ampi come la Costituzio-
ne (artt. 13 e 32), la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biome-
dicina, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.11 Si rischia
cioè di imporre con legge il dominio di altri – medici e tecnicalità – sul
principio di autonomia del paziente, facendo indebitamente confusione
tra testamento biologico e altri concetti distinti come l’accanimento tera-
peutico, il rifiuto alle cure e l’eutanasia.12 L’intervento legislativo è quindi
auspicabile laddove si voglia riconoscere la piena autonomia del pazien-
te mentre non lo è laddove si intenda con legge limitare tale diritto.
Sul piano giurisprudenziale si registrano i primi interventi in cui
si legittimano gli amministratori di sostegno a intervenire “in nome e

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per conto della persona assistita” a compiere atti rilevanti dal punto
di vista sanitario, quali negare il consenso ad attività invasive come
la ventilazione forzata e la tracheotomia. Si sottolinea anche la “as-
soluta superfluità di un intervento del legislatore volto a introdurre e
disciplinare il cosiddetto testamento biologico”.13 Non si nega l’impor-
tanza dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, ma pare eccessiva
la conclusione sulla superfluità dell’intervento del legislatore sulla base
della normativa attualmente vigente.

Un esempio di testamento biologico:


la proposta della Fondazione Veronesi

Nelle more di un intervento legislativo si riporta lo schema di testamento


biologico elaborato dalla Fondazione Veronesi.

Testamento biologico
Io sottoscritto/a
Nome e cognome ……………………………………………………………….
Luogo di nascita……………….. Data di nascita………………………………
Domicilio……..............................................................………...……
Documento di identità……………......................................………………..
(segue)

10 Vedi capitolo 12.


11 Rodotà S., La via maestra per il testamento biologico, La Repubblica, 2 dicembre
2008, p. 25.
12 Rodotà S., Civiltà del testamento biologico, La Repubblica, 24 gennaio 2007, p. 1.
13 Tribunale di Modena, decreto del giudice tutelare 13 maggio 2008.

190
Le direttive anticipate • Capitolo 13

nel pieno delle mie facoltà mentali e in totale libertà di scelta dispongo
quanto segue.

In caso di:

– malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante


– malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o
sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione

chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico


né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di im-
possibilità ad alimentarmi autonomamente.

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Disposizioni particolari

Autorizzo la donazione dei miei organi per trapianti:


□ sì
□ no

Le presenti volontà potranno essere da me revocate o modificate in ogni


momento con successiva/e dichiarazione/i.

Luogo e data…………………….. Firma ………………………………………

Nomino mio rappresentante fiduciario il signore/la signora


Nome e cognome………….....……….…….………………………………..
Nato/a a…………………....………...……….. il………........………………
Recapito telefonico…………….......................................………………….
Residente a………………………….........................……………………….

Luogo e data………….................................………………………………..

Firma del sottoscrittore……………………...………………………………..


Documento di identità………………..............………………………………

Firma del fiduciario…………………………………..………………………..


Documento di identità………………............………………………………..

Firma del testimone………………………..…………………………………


Documento di identità……………….............……………………………….

191
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Capitolo

14
L’EUTANASIA

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IL CONCETTO GIURIDICO DI MORTE

I metodi di accertamento della morte si sono evoluti negli anni e si è pas-


sati da metodi essenzialmente empirici basati sull’osservazione passiva
del cadavere ad accertamenti sempre più precoci ed evoluti basati sul-
l’osservazione attiva del cadavere – e in particolare sull’assenza di fun-
zioni cardiache – integrata dall’uso di esami strumentali.
In particolare la svolta si è avuta alla fine degli anni ‘60 del seco-
lo scorso, con il cosiddetto “rapporto di Harvard”, in cui la definizione
di morte passava dall’accertamento dell’arresto cardiorespiratorio alla
“morte cerebrale”. La definizione di morte cerebrale intesa come morte
tout court è oggi universalmente accettata.
La legge 29 dicembre 1993, n. 578 recante “Norme per l’accertamen-
to e la certificazione di morte” identifica la morte con “la cessazione irre-
versibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. La legge 578/1993 è integrata
dal relativo decreto di esecuzione recepito con il D.M. 11 aprile 2008 “Ag-
giornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582 relativo al «Regolamen-
to recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte»”

 In realtà recentemente è stata messa autorevolmente in discussione da un


editoriale dal titolo “A quaranta anni dal rapporto di Harvard – I segni della mor-
te” dell’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, in cui una nota stori-
ca, Lucetta Scaraffia, riapre la discussione sull’opportunità o sull’esattezza della
coincidenza tra morte dell’organismo e morte cerebrale. Vedi anche Becchi P.,
Morte cerebrale e trapianto di organi, Morcelliana, Brescia, 2008.

193
Parte II • Elementi di biodiritto

che ha recentemente sostituito il primo decreto di attuazione della legge.


Dal complesso di tali norme si evince che:

• la morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respira-


zione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale
da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefa-
lo e l’accertamento può essere effettuato da un medico con il rilievo
grafico continuo dell’elettrocardiogramma protratto per non meno di
20 minuti primi registrato su supporto cartaceo o digitale;
• la morte nei soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti a misu-
re rianimatorie si intende invece avvenuta quando si verifica la “ces-
sazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. In questo caso
quando il medico di una struttura sanitaria ritiene che sussistano le

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seguenti indicazioni “deve darne immediata comunicazione alla di-
rezione sanitaria”:

1. stato dello stato di vigilanza e di coscienza, dei riflessi del tronco


encefalico e del respiro spontaneo;
2. assenza di attività elettrica cerebrale;
3. assenza di flusso ematico encefalico (solo in determinate situa-
zioni).

In seguito alla richiesta la direzione sanitaria è tenuta a convocare il


Collegio medico, che è composto da un medico legale, o in sua mancan-
za, da un medico della direzione sanitaria o da un anatomopatologo, da
un medico specialista in anestesia e rianimazione e da un medico neu-
rofisiopatologo o, in mancanza, da un neurologo o da un neurochirurgo
esperti in elettroencefalografia. Tutti i componenti del Collegio medico
devono essere dipendenti di strutture sanitarie pubbliche e devono espri-
mere un giudizio unanime sul momento della morte.

 D.M. 22 agosto 1994, n. 582 “Regolamento recante le modalità per l’accerta-


mento e la certificazione della morte”.
 È prevista l’esecuzione di indagini atte a escludere l’esistenza di flusso ematico

encefalico nelle sotto elencate situazioni particolari:


a) bambini di età inferiore a 1 anno;
b) presenza di farmaci depressori del sistema nervoso di grado tale da interferi-
re sul quadro clinico-strumentale complessivo; in alternativa al rilievo del flusso
ematico cerebrale, l’iter può essere procrastinato sino a escludere la possibile
interferenza dei suddetti farmaci sul quadro clinico-strumentale complessivo;
c) situazioni cliniche che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o
che impediscono la valutazione dei riflessi del tronco encefalico, l’esecuzione del
test di apnea o la registrazione dell’attività elettrica cerebrale.

194
L’eutanasia • Capitolo 14

Per i bambini di età inferiore a 1 anno, per quei pazienti in cui vi sia
la presenza di fattori concomitanti (farmaci depressori del sistema ner-
voso centrale, ipotermia, alterazioni endocrinometaboliche, ipotensio-
ne sistemica depressa) e per quelle situazioni che non consentano una
diagnosi eziopatogenetica certa devono essere fatte “ulteriori indagini
complementari”.
Il Collegio medico inizia il periodo di osservazione ai fini dell’accerta-
mento della morte. Questo periodo non deve essere inferiore a sei ore.
In tutti i casi di danno cerebrale anossico il periodo di osservazio-
ne “non può iniziare prima di 24 ore dal momento dell’insulto anossi-
co” a eccezione dei casi in cui sia stata rilevata l’assenza del flusso ema-
tico encefalico.
L’attività di origine spinale, spontanea o provocata, non ha alcuna ri-

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levanza ai fini dell’accertamento della morte, essendo compatibile con la
condizione di cessazione irreversibile di tutte le funzioni encefaliche.
Nel neonato, nelle condizioni di cui al presente articolo, l’accerta-
mento della morte può essere eseguito solo se la nascita è avvenuta do-
po la 38a settimana di gestazione e comunque dopo una settimana di vi-
ta extrauterina.
La morte viene dichiarata quanto si realizzano simultaneamente le
condizioni previste dal decreto di attuazione.

 È stata superata la precedente disposizione che stabiliva un diverso periodo di


osservazione a seconda dell’età del paziente e in particolare:
d) sei ore per gli adulti e i bambini in età superiore a cinque anni;
e) dodici ore per i bambini di età compresa tra uno e cinque anni;
f) ventiquattro ore per i bambini di età inferiore a un anno.
 D.M 11 aprile 2008

Art. 3 – Accertamento della morte nei soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti
a trattamento rianimatorio
1. Nei soggetti di cui all’art. 2, la morte è accertata quando sia riscontrata, per
il periodo di osservazione previsto dall’art. 4, la contemporanea presenza delle
seguenti condizioni:
a) assenza dello stato di vigilanza e di coscienza;
b) assenza dei riflessi del tronco encefalico:
– riflesso fotomotore,
– riflesso corneale,
– reazioni a stimoli dolorifici portati nel territorio d’innervazione del trigemino,
– risposta motoria nel territorio del facciale allo stimolo doloroso ovunque
applicato,
– riflesso oculovestibolare,
– riflesso faringeo,
– riflesso carenale;
c) assenza di respiro spontaneo con valori documentati di CO2 arteriosa non in-

195
Parte II • Elementi di biodiritto

Qualora, durante il periodo di osservazione di cui all’art. 4, si verifichi


la cessazione del battito cardiaco, l’accertamento della morte può essere
effettuato con la modalità semplice dell’accertamento elettrocardiografi-
co effettuato per non meno di 20 minuti.
L’art. 5 dell’allegato 1 del D.M. 11 aprile 2008 precisa che “l’esecuzio-
ne delle indagini elettroencefalografiche deve essere effettuata da tecni-
ci di neurofisiopatologia sotto supervisione medica”.

LA TUTELA PENALE DELLA SOPPRESSIONE DELLA VITA

Omicidio doloso o volontario

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L’omicidio volontario è previsto nell’ordinamento penale italiano dall’art.
575 del codice penale che testualmente recita:

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore


ad anni ventuno.

Il reato si caratterizza dall’azione di “chiunque” ponga in essere at-


ti a sopprimere una persona e, in caso di soggetti gravanti da un obbligo
di garanzia verso gli altri, anche da omissione di atti. Oggetto materiale
del reato è un uomo, così come delineato dal nostro ordinamento giuri-
dico, e quindi vivo. Il concetto di morte cerebrale sposato dal nostro or-
dinamento riguarda esclusivamente il nato vivo. Non rileva, a integrare il
reato in questione, né la concezione di concepito (octide o embrione) né
di feto, ma solo di nato vivo attraverso il distacco dal feto dall’utero della
donna (per la nozione di infanticidio vedi oltre). L’evento si concretizza
quindi nella morte clinico-cerebrale dell’uomo ed è caratterizzato dalla
“cessazione irreversibile delle attività dell’encefalo”.
Tra la condotta del soggetto e l’evento deve esserci un nesso di causa-
lità. Non è questa la sede per approfondire il concetto di nesso di causa-
lità e della sua tormentata evoluzione giurisprudenziale. Il reato si perfe-

feriore a 60 mmHg e pH ematico non superiore a 7,40, in assenza di ventilazione


artificiale;
d) assenza di attività elettrica cerebrale, documentata da EEG eseguito secondo
le modalità tecniche riportate nell’allegato 1 al presente decreto, di cui costituisce
parte integrante;
e) assenza di flusso ematico encefalico preventivamente documentata nelle situa-
zioni particolari previste dall’art. 2, comma 2.
 Antolisei F., Manuale di diritto penale – parte speciale I, Giuffrè, Milano, 1986, p. 38.

196
L’eutanasia • Capitolo 14

ziona con la morte del soggetto che può anche avvenire successivamente
alla condotta criminosa (reato a evento differito).

Le aggravanti e le attenuanti dell’omicidio volontario

A seconda della diversa gravità dell’omicidio, l’art. 577 del codice penale
prevede delle specifiche aggravanti speciali per avere agito:

1. contro l’ascendente o il discendente. Nel primo caso si configura il par-


ricidio; nel secondo caso vi è il reato non soltanto contro la filiazio-
ne naturale e legittima, ma anche contro quella adottiva e procreati-
va. Per la filiazione naturale la pena è minore con l’eccezione dei figli

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naturali riconosciuti;
2. contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il
figlio adottivo, o contro un affine in linea retta. Viene classificato dalla
dottrina come parricidio improprio. Si rivolge al coniuge (uxoricidio)
che mantiene la sua qualità fino al divorzio (hanno valore solo i ma-
trimoni con effetti civili con esclusione dei matrimoni esclusivamen-
te religiosi). La qualità di affine (suocero, suocera, genero, nuora) vie-
ne mantenuta solo in costanza di matrimonio e viene quindi meno in
caso di scioglimento o di annullamento;
3. con premeditazione. Si ha il dolo di premeditazione quando l’azione
delittuosa viene compiuta a distanza di tempo dalla sua decisione. Il
lasso di tempo comporta “una persistenza tenace e ininterrotta del
proposito criminoso” e dimostra una coscienza del valore crimino-
so dell’azione che si pone in essere;
4. per motivi abietti o futili. I primi sono quelli relativi alle motivazioni che
secondo il comune sentire sono da considerarsi ripugnanti, sprege-
voli, turpi, ignobili. I secondi sono invece quelli che vengono consi-
derati sproporzionati rispetto al fatto commesso;
5. adoperando sevizie o con crudeltà verso le persone, laddove per sevizie
si intende l’inflizione di una sofferenza di natura fisica, mentre per

 Mantovani F., Diritto penale – Parte generale, Cedam, Padova, 1988, p. 317.
 Ormai costantemente la migliore dottrina rigetta l’impostazione tradizionale di
premeditazione come un fatto compiuto frigido pacatoque animo, dato che spesso
l’azione delittuosa si manifesta comunque in modo concitato. Quello che conta
oggi è il lasso di tempo tra la risoluzione criminosa e la sua attuazione e un’accu-
rata preparazione del delitto.
 Fiandaca G., Musco E., Delitto penale – Parte generale, Zanichelli, Bologna,

1995, p. 386.

197
Parte II • Elementi di biodiritto

crudeltà si intende l’inflizione di un patimento morale. Entrambi de-


notano un animo particolarmente malvagio;10
6. con il mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidio-
so. Le sostanze venefiche sono quelle destinate a provocare la mor-
te mediante l’azione tossica sull’organismo della persona. I mezzi in-
sidiosi sono invece quei mezzi che vengono adoperati per facilitare
l’azione criminosa. Le due situazioni possono confondersi tra di lo-
ro. È stato infatti notato che il mezzo venefico è potenzialmente in-
sidioso “anzi è il prototipo dell’insidia poiché, avendo la proprietà di
essere solubile e di agire in piccola quantità, può essere somministra-
to di nascosto con cibi e bevande o per altra via traendo in inganno
la vittima”.11 Tuttavia i mezzi insidiosi non si esauriscono con i vele-
ni, “perché possono essere utilizzati insidiosamente anche altri mez-

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zi lesivi quali le colture batteriche, l’energia elettrica”12 ecc.;
7. per eseguire od occultare un altro reato, ovvero per conseguire o assicu-
rare a sé o ad altri il profitto o il prodotto o il prezzo ovvero l’impunità di
un altro reato.
8. nell’atto di commettere i reati di violenza sessuale.

Sono inoltre presenti altre circostanze aggravanti riguardanti le qua-


lità dell’omicida. Si sottolineano in particolare le qualità di latitante co-
me essere l’omicida un latitante, un associato a delinquere o una perso-
na sottoposta a una misura antimafia.
A differenza delle aggravanti non sono previste, per il delitto di omi-
cidio, attenuanti specifiche, ma autonomi titoli di reato (vedi oltre, “Fi-
gure speciali di omicidio: infanticidio e omicidio del consenziente”). Il ri-
ferimento quindi è alle attenuanti comuni previste dall’art. 62 del codice
penale.13 Dell’elencanzione ivi contenuta ci interessa l’approfondimen-

10 I codici otttocenteschi parlavano di “brutale malvagità”.


11 Puccini C., Istituzioni di medicina legale, Ambrosiana, Milano, 1995.
12 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, Esculapio, Bologna, 1988, p. 187.
13 Art. 62 – Circostanze attenuanti comuni

Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze atte-


nuanti speciali, le circostanze seguenti:
1. l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
2. l’aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui;
3. l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di
riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’autorità, e il colpevole non è
delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per ten-
denza;
4. l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimo-
nio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale

198
L’eutanasia • Capitolo 14

to della prima delle attenuanti comuni che consiste nell’avere agito per
motivi di particolare valore morale o sociale. Viene notato che l’interpre-
tazione corretta è relativa ai motivi per cui si agisce.14 Il fine dev’essere
quindi, secondo i parametri comuni, rappresentato da una componente
altruistica e solidaristica. Si discute se l’uccisione pietosa possa rientra-
re in questi parametri (vedi oltre).

FIGURE SPECIALI DI OMICIDIO:


INFANTICIDIO E OMICIDIO DEL CONSENZIENTE

Infanticidio

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L’infanticidio è una “figura speciale di omicidio” (insieme all’omicidio del
consenziente) previsto dall’art. 578 del codice penale e rubricato come
“infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale” e testual-
mente recita:

La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto,
o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abban-
dono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro
a dodici anni.
A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione
non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire
la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi.
Non si applicano le aggravanti stabilite dall’articolo 61 del codice penale.

L’infanticidio, a differenza dell’omicidio, è un “reato proprio” in quan-


to può essere commesso solo dalla madre e si perfeziona con qualsia-
si azione od omissione che la stessa pone in essere in modo tale da ca-
gionarne la morte.

tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conse-
guire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche
l’evento dannoso e pericoloso sia di speciale tenuità;
5. l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione
del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;
6. l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarci-
mento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima
del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, ado-
perato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze
dannose o pericolose del reato.
14 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale – Parte generale, op. cit., p. 392.

199
Parte II • Elementi di biodiritto

Oggetto materiale del reato è rappresentato dal feto – nel periodo in-
tercorrente tra il distacco del feto dalla madre e il momento in cui acqui-
sisce vita autonoma – e del neonato “immediatamente dopo il parto”.
Infine la condotta dev’essere assunta per le condizioni di abbando-
no materiale e morale connesse al parto riscontrabili fino a quando per-
mangono le condizioni morali e materiali che hanno dato luogo alla con-
dotta feticida o infanticida e immediatamente dopo il parto (termine che
deve essere inteso che si verifichi durante lo stato di emozione che se-
gue il parto).

Omicidio del consenziente

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L’altra figura autonoma speciale di reato è data dall’omicidio di colui che
consente ed è previsto dell’art. 579 del codice penale che testualmen-
te recita:

Chiunque cagiona la morte di un uomo, con il consenso di lui, è punito con la


reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’art. 61.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
1. contro una persona minore degli anni diciotto;
2. contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza
psichica per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefa-
centi;
3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza,
minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

Si tratta del reato che compie colui che effettua una eutanasia vo-
lontaria sempreché siano sussistenti le condizioni relative al consenso.
Reato chiaramente ispirato dal principio della “indisponibilità della vita
umana”15 anche se temperato nella pena dalla presenza del consenso. Il
trattamento di favore viene individuato nella minore gravità del fatto che
viene attenuato dalla presenza del consenso della persona.
Viene anche definito “suicidio per mano altrui” dato che la volontà del
fatto materiale proviene dalla stessa vittima e il consenso alla condotta
deve essere determinante.
Il consenso deve essere prestato personalmente, dev’essere in equi-
voco anche se espresso in varie modalità, può essere condizionato al-

15 Mantovani F., Diritto penale – Parte speciale, op. cit., p. 170.

200
L’eutanasia • Capitolo 14

l’uso del mezzo con cui porre fine alla vita e prestato in modo attuale. Il
reato in questione presuppone “un consenso non solo serio, esplicito e
non equivoco, ma perdurante anche sino al momento in cui il colpevo-
le commette il fatto”.16
Il consenso non rileva – e quindi si applicano le disposizioni relative
all’omicidio volontario – quando viene prestato secondo i punti 1), 2) e
3) dell’art. 579 del codice penale.
La ratio della norma che limita il consenso è chiara anche se foriera
di vari problemi, come vedremo più avanti. Il consenso prestato deve es-
sere immune da vizi, altrimenti si ricade nella tipologia di omicidio vo-
lontario venendo meno la ratio benevolentiae costituita proprio dal con-
senso della vittima.

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Eutanasia

Il significato letterale di eutanasia è “dolce morte” o “morte felice” o


“buona morte”. In realtà le classificazioni del termine eutanasia sono
numerose.
Da un punto di vista storico17 l’eutanasia può essere sostanzialmen-
te suddivisa come segue:

1. eutanasia collettivistica caratterizzata dall’intervento statale che viene


posto in essere senza il consenso della persona per finalità di utilità
pubblica. A sua volta si suddivide in: (a) eutanasia eugenica volta alla
soppressione dei nati deformi con il dichiarato fine del miglioramen-
to della razza;18 (b) eutanasia economica caratterizzata dalla necessi-
tà di ridurre i costi a carico della collettività per persone che vengono
ormai considerate un peso per la società (anziani, malati incurabili
ecc.); (c) eutanasia criminale caratterizzata dall’eliminazione dei sog-
getti pericolosi; (d) eutanasia sperimentale caratterizzata dal sacrificio
di alcune persone per effettuare sperimentazioni mediche; (e) eutana-

16 Cassazione penale, sez. I, sentenza n. 8128 del 25 luglio 1991 (cc. del 27 giu-
gno 1991), Vornetti (rv 187999).
17 Mantovani F., Problemi giuridici dell’eutanasia, Archivio giuridico, 1970, 38;

Mantovani F., Eutanasia, Dig, IV, 1990; Mantovani F., Diritto penale – Delitti contro
la persona, Cedam, Padova, 1995, p. 118.
18 ll ricordo storico più recente è dato dell’esperienza nazista che, attraverso l’Eu-

thanasieprogramm, aveva stabilito una strategia statale volta al perseguimento


della “salute razziale” perseguita mediante una “soluzione finale” caratterizzata
dalla eliminazione delle razze considerate inferiori.

201
Parte II • Elementi di biodiritto

sia profilattica caratterizzata dalla necessità di eliminare persone in-


fette al fine di preservare la salute collettiva; (f) eutanasia solidaristica
caratterizzata dalla sacrificio di alcuni soggetti a favore di altri per il
prelievo di organi;
2. eutanasia individualistica o pietosa caratterizzata dal sentimento di pie-
tà verso pazienti terminali o cronici e/o cronico-degenerativi. Si può a
sua volta suddividere in: (a) eutanasia passiva caratterizzata dalla so-
spensione o dalla omissione dell’intervento terapeutico, e (b) eutana-
sia attiva consistente nel cagionare direttamente la morte del paziente.

L’eutanasia collettivistica si caratterizzava quindi per l’imposizione


della morte da parte dello Stato. Oggi è in discussione le pura eutanasia
pietosa, quella cioè posta in essere da un uomo verso un altro uomo con

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l’esclusivo movente di arrecare beneficio a chi si trova in situazioni pa-
tologiche particolari.

Eutanasia pietosa

La nozione di eutanasia pietosa ha subìto una “costante dilatazione con-


cettuale”19 che ne ha modificato l’assetto originario di morte naturale, le
cui sofferenze finali sono state alleviate da sostanze analgesico-oppiacee
(cosiddetta eutanasia lenitiva) fino a ricomprendere atti tesi direttamen-
te a provocare la morte in modo deliberato al fine di liberare il pazien-
te da sofferenze e dolori insopportabili (cosiddetta eutanasia terapeutica
o pietosa strictu sensu).
Secondo un’impostazione tradizionale l’eutanasia terapeutica a sua
volta può suddividersi in:

1. eutanasia attiva o positiva o diretta caratterizzata dalla uccisione indo-


lore di un malato terminale attraverso la somministrazione di farma-
ci o altri comportamenti attivi;
2. eutanasia passiva o negativa o indiretta caratterizzata dall’astensione
dall’intervento terapeutico quando si ravvisi l’inutilità della prosecu-
zione delle cure.

La distinzione tra i due tipi di eutanasia risiederebbe, a prima vista


nell’azione di terzi (generalmente medico o altro professionista sanita-
rio). Nella prima il medico si fa parte attiva, nel secondo si limita a non

19 Tripodina C., Il diritto nell’età della tecnica – il caso dell’eutanasia, Jovene, Napoli,
2004, p. 28.

202
L’eutanasia • Capitolo 14

ostacolare il decorso negativo della malattia. In realtà si è visto che que-


sti concetti si possono tra di loro contaminare. Si pensi al comportamen-
to sintetizzato – nell’eutanasia passiva – con l’espressione “staccare la
spina”, che indica un comportamento attivo, o alla decisione di omettere
una prescrizione di farmaci nell’eutanasia attiva, che indica un compor-
tamento attivo attraverso una omissione.

Le suddivisioni più recenti del concetto di eutanasia

L’eutanasia per omissione si concretizza nell’omissione di attività atte a


conservare la vita.
L’eutanasia per commissione si caratterizza invece per avere provocato

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attivamente la morte; può essere suddivisa ulteriormente in: (a) uccisione
diretta (aiuto a morire), e (b) uccisione indiretta (aiuto nel morire). Nel pri-
mo caso l’azione posta in essere è intenzionalmente perseguita dall’agen-
te, anche se ispirata da motivazioni altruistiche e pietistiche (un esempio
classico dell’aiuto a morire è l’overdose per compassione: si sommini-
strano in un’unica soluzione farmaci analgesici in dosi superiori rispetto
a quelle sufficienti per l’effetto antidolorifico. Nel secondo caso la mor-
te – seppure prevista – non è intenzionalmente perseguita; si pone in es-
sere, cioè, un’attività con l’obiettivo di alleviare la sofferenza del malato
nonostante si sia a conoscenza degli effetti collaterali dell’azione stessa.
L’esempio è dato dal cumulo nel tempo di antidolorifici, somministrati al
paziente con il solo scopo di alleviare il dolore, anche se si ha la consa-
pevolezza che l’effetto analgesico può accelerare la morte.20
Concettualmente simile all’eutanasia è l’aiuto al suicidio che si ha quan-
do la morte è conseguenza dell’atto suicida del paziente, consigliato e aiu-
tato da un terzo (spesso un medico). Questa azione determina nel nostro
ordinamento, come vedremo, una fattispecie autonoma di reato.
Se consideriamo l’eutanasia non come abbiamo visto finora, ovvero
un’azione di chi dà la morte, bensì dal punto di vista della volontà del pa-
ziente, la distinzione va fatta tra eutanasia volontaria e eutanasia involon-
taria. Si ha la prima quando la richiesta di porre fine alla vita viene fatta
direttamente dal paziente; si ha la seconda in assenza di tale richiesta, fa-
cendo riferimento, in genere, a giudizi e voleri di terzi (generalmente vi-
cini al paziente stesso, che si assumono il compito di interpretare le sue
volontà in relazione al caso concreto).

20 Tripodina C., Il diritto nell’età della tecnica– il caso dell’eutanasia, op. cit., p. 50.

203
Parte II • Elementi di biodiritto

Le problematiche giuridiche dell’eutanasia volontaria

Il principio di indisponibilità della vita sposato dal nostro codice penale


trova nell’omicidio del consenziente pene edittali eccessivamente eleva-
te, che difficilmente possono considerarsi proporzionate per un fatto co-
me l’eutanasia volontaria.21 Inoltre alcune circostanze ivi previste, spes-
so insite nell’atto eutanasico, ne limitano l’applicazione.
Abbiamo infatti visto che il terzo comma dell’art. 579 del codice pe-
nale prevede che tra le cause di invalidità del consenso vi siano il con-
senso prestato dal minore di anni 18, dalla ”persona inferma di mente o
che si trova in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità o
per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti”, e anche da una perso-
na “il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia

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o suggestione, ovvero carpito con inganno”. Ora, come è intuibile, sotto
l’espressione “deficienza psichica” può rinvenirsi una serie di situazioni
non strettamente legate alla pura malattia mentale, ma connesse anche
alla particolare situazione psicologica di malati terminali sedati (e quin-
di anche sotto l’influsso di sostanze stupefacenti).
Aggrava il quadro della inapplicabilità della fattispecie dell’uccisione
pietosa la presenza di aggravanti specifiche del reato di omicidio volon-
tario come quelle previste dall’art. 577 e che sono tipiche dei fatti di euta-
nasia volontaria. Ci riferiamo ai rapporti di parentela tra la vittima e l’uc-
cisore, l’uso di sostanze venefiche e la premeditazione. Ecco allora che
l’uccisione pietosa rischia di diventare un reato da ergastolo.
Detto questo, diventa necessario analizzare i passi della dottrina giu-
ridica e medico-legale nonché della giurisprudenza per mitigare i rigori
di taluni aspetti del codice penale vigente – che ricordiamo ancora esse-
re il “codice Rocco” del 1930 – rispetto alla percezione del fatto da par-
te del comune sentire a legislazione vigente, senza cioè introdurre fatti-
specie legittime del fatto eutanasico.
Diverse sono state le vie percorse, senza che però spesso si siano rag-
giunti degli accordi in merito. Riportiamo qui di seguito, per ogni punto,
le diverse posizioni in campo:

• il consenso della vittima: abbiamo visto che si pone il problema della


validità del consenso della vittima. Un soggetto in una data situazio-
ne (si pensi all’esempio sopra riportato del malato terminale sedato
con stupefacenti) è capace di prestare un valido consenso? Secondo

21 Cagli S., La rilevanza penale dell’eutanasia, tra indisponibilità della vita e princi-
pio di autodeterminazione, in Canestrari F., Fornasari G. (a cura di), Nuove esigenze
di tutela nell’ambito dei reati contro la persona, CLUEB, Bologna, 2001, p. 107.

204
L’eutanasia • Capitolo 14

alcuni autori – indipendentemente dalle reali condizioni del pazien-


te – una persona che arrivi a richiedere la soppressione della propria
vita non può che avere un grave squilibrio psichico.22 Altri autori in-
vece – e spesso la stessa giurisprudenza – danno rilievo alle concrete
condizioni della vittima che può sì essere talmente prostrato da non
avere la capacità di prestare un valido consenso, ma può altresì que-
sta capacità averla conservata intatta23 e quindi il consenso diventa
valido e si integra in questo modo la fattispecie prevista per l’omici-
dio del consenziente e non per l’omicidio volontario;
• il movente pietistico: si discute in questo caso dell’applicazione dell’at-
tenuante comune prevista dal primo comma dell’art. 62 del codice pe-
nale che prevede tra le circostanze attenuanti quella di avere posto in
essere il fatto per avere “agito per motivi di particolare valore socia-

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le o morale”;
• l’incapacità di intendere e di volere dell’agente;
• la mancanza di dolo nell’agente;
• la scriminante dello stato di necessità: come è noto, la causa di non pu-
nibilità scatta quando il fatto viene posto in essere nella condizione in
cui si è costretti dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attua-
le di un danno grave, e sempre che il fatto sia proporzionato al peri-
colo. Vi è chi ipotizza nella morte della persona affetta da dolori in-
sopportabili e non lenibili come una sorta di liberazione dal pericolo
di dolori futuri.24 I contrari sostengono che non vi è proporzione tra
rimedio e male minacciato: si elimina, è vero, il dolore, ma al prezzo
inaccettabile di sopprimere la vittima;
• la scriminante dell’adempimento del dovere: ricorrerebbe nei casi di se-
dazione a forti dosi di analgesici di pazienti in stato terminale e nei
casi di sospensione del trattamento per manifesto accanimento tera-
peutico. Secondo alcuni autori, dovere del medico è quello di porre
in essere tutti i tentativi in grado di lenire il dolore al paziente e quin-
di il suo comportamento viene giustificato; secondo altri si introdur-
rerebbero casi di vera e propria eutanasia larvata;
• la scriminante dei fatti socialmente adeguati;

22 Guadagno G., Riflessioni in tema di eutanasia, Critica penale e medicina legale,


1962, 132.
23 Giunta F., Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazione proble-

matica, Rivista Italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1997; Iadecola G.,
Eutanasia, problematiche giuridiche e medico-legali, Liviana, Napoli, 1991.
24 Questa scriminante è stata in gran parte utilizzata dalla giurisprudenza olan-

dese per mandare assolti i medici che avevano compiuto fatti eutanasici negli
anni ‘70 del secolo scorso.

205
Parte II • Elementi di biodiritto

• il ricorso all’istituto della grazia: una parte autorevole della dottrina au-
spica che nei casi di autentica eutanasia pietosa si possa prevedere de
jure condendo “fermo restando il principio della intangibilità della vi-
ta, un trattamento sanzionatorio differenziato e più benevolo rispet-
to a quello previsto dal codice penale vigente per i delitti di omicidio
comune e di omicidio del consenziente, fino a consentire, in certi ca-
si, la sospensione condizionale della pena”.25

LE ESPERIENZE INTERNAZIONALI DI LEGALIZZAZIONE


DELL’EUTANASIA: LA LEGGE OLANDESE

L’Olanda nei primi anni ‘9026 aveva approvato una legge di depenalizza-

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zione dell’eutanasia volontaria. In questa legge si definiva l’eutanasia co-
me “l’interruzione della vita del paziente dietro sua personale richiesta at-
traverso l’intervento attivo del medico”. Non vi era un disegno compiuto
di regolamentazione – l’eutanasia infatti continuava a essere considera-
ta un reato – ma una mera depenalizzazione in presenza di determinate
condizioni. In particolare:

a) doveva esserci una richiesta da parte del paziente esplicita e persi-


stente;
b) il medico doveva avere con il paziente una relazione sufficientemen-
te stretta da permettergli una valutazione sulla richiesta;
c) il paziente doveva avere una sofferenza insopportabile e senza pro-
spettive di miglioramento;
d) il medico e il paziente avevano discusso della richiesta;
e) il medico doveva aver consultato un altro medico terzo;
f) l’eutanasia doveva essere eseguita con buona pratica medica.

Il medico che praticava l’eutanasia doveva, successivamente alla mor-


te, compilare un modulo rivolto al coroner in cui attestava l’esistenza del-
le condizioni che avevano portato all’atto eutanasico.
Nel 2000 il Parlamento olandese approva, a larga maggioranza, la “Leg-
ge sul controllo dell’interruzione della vita su richiesta e dell’assistenza al

25 Mantovani F., La necessità della certezza o la sufficienza della probabilità del-


la premorienza per la non punibilità dell’omicidio? Commento a sentenza della
Corte di Assise di Appello di Milano, sez. I, 24 aprile-21 giugno 2002, n. 23, in
Mantovani F., Senza la prova certa dell’esistenza in vita impossibile l’omicidio del
paziente in coma, Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 2003, 1, 31-50.
26 Legge 30 novembre 1993.

206
L’eutanasia • Capitolo 14

suicidio; modifiche del codice penale e della legge mortuaria”. 27 Si tratta


di una vera e propria regolamentazione dell’eutanasia e non di mera de-
penalizzazione. Secondo questa legge – entrata in vigore il primo aprile
2001 – il medico che riceve la richiesta di eutanasia deve:

a) avere maturato la convinzione che si tratti di una richiesta sponta-


nea, ben ponderata e definitiva del paziente;
b) avere informato il paziente della situazione in cui si trova e delle pro-
spettive che ne derivano;
c) avere informato il paziente della situazione in cui si trova e delle pro-
spettive che ne derivano;
d) avere maturato, insieme al paziente, la convinzione che non esista
alcun’altra soluzione ragionevole per la situazione in cui il paziente

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medesimo si è venuto a trovare;
e) avere consultato almeno un altro medico indipendente che abbia a
sua volta visitato il paziente e abbia espresso un parere per iscritto
circa il rispetto dei criteri di diligenza, prudenza e perizia di cui alle
precedenti lettere da a) a d);
f) avere praticato l’interruzione della vita o dato assistenza al suicidio
secondo la regola di una buona pratica clinica.

In Olanda, infine, si sono rese lecite anche le decisioni di fine vita in


età pediatrica quando si realizzino determinate condizioni estremamen-
te precise quali: la qualità estremamente bassa della vita, la previsione
di non autosufficienza, la previsione di incapacità di comunicare, di di-
pendenza ospedaliera. In questi casi, nel rispetto di una rigida procedu-
ra, si può procedere all’eutanasia pediatrica.28

27 La traduzione in italiano della legge olandese è stata tratta da Ricca P., Eutana-
sia – la legge olandese, Claudiana, Torino, 2002; vedi anche Aramini M., L’eutana-
sia, commento giuridico-etico della nuova legge olandese, Giuffrè, Milano, 2003.
28 Verhagen E., Sauer P.J.J., The Groningen Protocol — Euthanasia in severely ill

newborns, New England journal of medicine, 2005, 959-962.

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ALLEGATI
Parte III
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ALLEGATO 1
LEGGE 22 MAGGIO 1978, N. 194
Norme per la tutela sociale
della maternità
e sull’interruzione volontaria
della gravidanza

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Art. 1
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsa-
bile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana
dal suo inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge,
non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni
e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, non-
ché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini
della limitazione delle nascite.

Art. 2
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo re-
stando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato
di gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione sta-
tale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concre-
tamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme
della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
c) attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle
strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la
gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risul-
tino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);

211
Parte III • Allegati

d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna


all’interruzione della gravidanza.
I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono
avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di
idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che
possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanita-
rie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità libera-
mente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita an-
che ai minori.

Art. 3

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Anche per l’adempimento dei compiti ulteriori assegnati dalla presente
legge ai consultori familiari, il fondo di cui all’articolo 5 della legge 29 lu-
glio 1975, n. 405, è aumentato con uno stanziamento di L. 50.000.000.000
annui, da ripartirsi fra le regioni in base agli stessi criteri stabiliti dal sud-
detto articolo.
Alla copertura dell’onere di lire 50 miliardi relativo all’esercizio finan-
ziario 1978 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stan-
ziamento iscritto nel capitolo 9001 dello stato di previsione della spesa
del Ministero del tesoro per il medesimo esercizio. Il Ministro del tesoro
è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni
di bilancio.

Art. 4
Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni,
la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravi-
danza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua
salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue con-
dizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avve-
nuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del con-
cepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo
2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura so-
cio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.

Art. 5
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i neces-
sari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente
quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’in-

212
Legge 22 maggio 1978, n. 194 • Allegato 1

cidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute


della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito,
ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza
della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possi-
bili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che
la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado
di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni
opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti
necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.
Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli
accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà
della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove
la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della

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donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla
base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la de-
terminano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui di-
ritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ri-
corso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie.
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o
il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere ur-
gente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato at-
testante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad
una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza.
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro
il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di
fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza
sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un do-
cumento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e
l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi
i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della
gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente
comma, presso una delle sedi autorizzate (4) (5).

Art. 6
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni,
può essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la
vita della donna;
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a ri-
levanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un
grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

213
Parte III • Allegati

Art. 7
I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo prece-
dente vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecolo-
gico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne cer-
tifica l’esistenza. Il medico può avvalersi della collaborazione di specia-
listi. Il medico è tenuto a fornire la documentazione sul caso e a comu-
nicare la sua certificazione al direttore sanitario dell’ospedale per l’in-
tervento da praticarsi immediatamente.
Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per immi-
nente pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato
anche senza lo svolgimento delle procedure previste dal comma prece-
dente e al di fuori delle sedi di cui all’articolo 8. In questi casi, il medico
è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale.

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Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interru-
zione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla let-
tera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare
ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.

Art. 8
L’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio
ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati
nell’articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, il quale verifica an-
che l’inesistenza di controindicazioni sanitarie.
Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici
specializzati, gli istituti ed enti di cui all’articolo 1, penultimo comma, della
legge 12 febbraio 1968, n. 132, e le istituzioni di cui alla legge 26 novembre
1973, n. 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1958,
n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano richiesta.
Nei primi novanta giorni l’interruzione della gravidanza può essere
praticata anche presso case di cura autorizzate dalla regione, fornite di
requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici.
Il Ministro della sanità con suo decreto limiterà la facoltà delle case
di cura autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravi-
danza, stabilendo:
1) la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che
potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori
eseguiti nell’anno precedente presso la stessa casa di cura;
2) la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di in-
terruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza
che nell’anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni
con la regione.

214
Legge 22 maggio 1978, n. 194 • Allegato 1

Le percentuali di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere non inferiori al


20 per cento e uguali per tutte le case di cura.
Le case di cura potranno scegliere il criterio al quale attenersi, fra i
due sopra fissati.
Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravi-
danza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle
unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguata-
mente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati
dalla regione.
Il certificato rilasciato ai sensi del terzo comma dell’articolo 5 e, alla
scadenza dei sette giorni, il documento consegnato alla donna ai sensi
del quarto comma dello stesso articolo costituiscono titolo per ottenere
in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero.

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Art. 9
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a
prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi
per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza,
con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve es-
sere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipen-
dente dell’ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, en-
tro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal consegui-
mento dell’abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a for-
nire prestazioni dirette all’interruzione della gravidanza o dalla stipula-
zione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecu-
zione di tali prestazioni.
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al
di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la di-
chiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al
medico provinciale.
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le
attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specifica-
mente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravi-
danza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni
caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7
e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti
secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla
e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sani-
tario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle

215
Parte III • Allegati

circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la


vita della donna in imminente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato,
se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’inter-
ruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi
di cui al comma precedente.

Art. 10
L’accertamento, l’intervento, la cura e l’eventuale degenza relativi all’in-
terruzione della gravidanza nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6, e
attuati nelle istituzioni sanitarie di cui all’articolo 8, rientrano fra le presta-
zioni ospedaliere trasferite alle regioni dalla legge 17 agosto 1974, n. 386.

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Sono a carico della regione tutte le spese per eventuali accertamenti,
cure o degenze necessarie per il compimento della gravidanza nonché
per il parto, riguardanti le donne che non hanno diritto all’assistenza mu-
tualistica.
Le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non previste dai precedenti
commi e gli accertamenti effettuati secondo quanto previsto dal secondo
comma dell’articolo 5 e dal primo comma dell’articolo 7 da medici dipen-
denti pubblici, o che esercitino la loro attività nell’ambito di strutture pub-
bliche o convenzionate con la regione, sono a carico degli enti mutuali-
stici, sino a che non sarà istituito il servizio sanitario nazionale.

Art. 11
L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l’intervento
è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente
per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito
dà notizia dell’intervento stesso e della documentazione sulla base della
quale è avvenuto, senza fare menzione dell’identità della donna.

Art. 12
La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della
presente legge è fatta personalmente dalla donna.
Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della
gravidanza è richiesto l’assenso di chi esercita sulla donna stessa la po-
testà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri
motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone
esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il
loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la strut-

216
Legge 22 maggio 1978, n. 194 • Allegato 1

tura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le proce-


dure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una
relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in
cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna
e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della rela-
zione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a
reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.
Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave
pericolo per la salute della minore di diciotto anni, indipendentemente
dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice
tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interru-
zione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere
in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero.

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Ai fini dell’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni,
si applicano anche alla minore di diciotto anni le procedure di cui all’ar-
ticolo 7, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la
tutela.

Art. 13
Se la donna è interdetta per infermità di mente, la richiesta di cui agli ar-
ticoli 4 e 6 può essere presentata, oltre che da lei personalmente, anche
dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato.
Nel caso di richiesta presentata dall’interdetta o dal marito, deve es-
sere sentito il parere del tutore. La richiesta presentata dal tutore o dal
marito deve essere confermata dalla donna.
Il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico
di fiducia, trasmette al giudice tutelare, entro il termine di sette giorni
dalla presentazione della richiesta, una relazione contenente ragguagli
sulla domanda e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento comunque
assunto dalla donna e sulla gravidanza e specie dell’infermità mentale
di essa nonché il parere del tutore, se espresso.
Il giudice tutelare, sentiti se lo ritiene opportuno gli interessati, de-
cide entro cinque giorni dal ricevimento della relazione, con atto non
soggetto a reclamo.
Il provvedimento del giudice tutelare ha gli effetti di cui all’ultimo
comma dell’articolo 8.

Art. 14
Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire
alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle na-

217
Parte III • Allegati

scite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che de-


vono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità perso-
nale della donna.
In presenza di processi patologici, fra cui quelli relativi ad anomalie
o malformazioni del nascituro, il medico che esegue l’interruzione della
gravidanza deve fornire alla donna i ragguagli necessari per la preven-
zione di tali processi.

Art. 15
Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuo-
vono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausi-
liarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui me-

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todi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso
delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica
della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza. Le re-
gioni promuovono inoltre corsi ed incontri ai quali possono partecipare
sia il personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone in-
teressate ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale,
al decorso della gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle
tecniche per l’interruzione della gravidanza.
Al fine di garantire quanto disposto dagli articoli 2 e 5, le regioni re-
digono un programma annuale d’aggiornamento e di informazione sulla
legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assisten-
ziali esistenti nel territorio regionale.

Art. 16
Entro il mese di febbraio, a partire dall’anno successivo a quello dell’en-
trata in vigore della presente legge, il Ministro della sanità presenta al
Parlamento una relazione sull’attuazione della legge stessa e sui suoi
effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione.
Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il
mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predispo-
sti dal Ministro.
Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto
riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero.

Art. 17
Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravi-
danza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

218
Legge 22 maggio 1978, n. 194 • Allegato 1

Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito


con la pena prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà.
Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la
violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata.

Art. 18
Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso
della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si con-
sidera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia
ovvero carpito con l’inganno.
La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della
gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.

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Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l’ac-
celeramento del parto.
Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte
della donna si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una
lesione personale gravissima si applica la reclusione da sei a dodici anni;
se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita.
Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna
è minore degli anni diciotto.

Art. 19
Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’os-
servanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la re-
clusione sino a tre anni.
La donna è punita con la multa fino a lire centomila.
Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accer-
tamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o co-
munque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi
la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi.
Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna
minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osser-
vanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è pu-
nito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumen-
tate fino alla metà. La donna non è punibile.
Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna,
si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione per-
sonale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la le-
sione personale è grave questa ultima pena è diminuita.

219
Parte III • Allegati

Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte


o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.

Art. 20
Le pene previste dagli articoli 18 e 19 per chi procura l’interruzione della
gravidanza sono aumentate quando il reato è commesso da chi ha sol-
levato obiezione di coscienza ai sensi dell’articolo 9.

Art. 21
Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 326 del codice penale, es-
sendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, ri-

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vela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla – di chi
ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente
legge, è punito a norma dell’articolo 622 del codice penale.

Art. 22
Il titolo X del libro II del codice penale è abrogato.
Sono altresì abrogati il n. 3) del primo comma e il n. 5) del secondo
comma dell’articolo 583 del codice penale.
Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna,
non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque ab-
bia commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della presente legge,
se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli arti-
coli 4 e 6.

220
ALLEGATO 2
LEGGE 19 FEBBRAIO 2004, N. 40
Norme
in materia
di procreazione
medicalmente assistita

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Capo I
Principi generali

Art. 1. Finalità
1. Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti
dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla pro-
creazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità
previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coin-
volti, compreso il concepito.
2. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito
qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le
cause di sterilità o infertilità.

Art. 2. Interventi contro la sterilità e la infertilità


1. Il Ministro della salute, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’uni-
versità e della ricerca, può promuovere ricerche sulle cause patologiche,
psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e della infer-
tilità e favorire gli interventi necessari per rimuoverle nonché per ridurne
l’incidenza, può incentivare gli studi e le ricerche sulle tecniche di crio-
conservazione dei gameti e può altresì promuovere campagne di infor-
mazione e di prevenzione dei fenomeni della sterilità e della infertilità.
2. Per le finalità di cui al comma 1 è autorizzata la spesa massima di
2 milioni di euro a decorrere dal 2004.

221
Parte III • Allegati

3. All’onere derivante dall’attuazione del comma 2 si provvede me-


diante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del
bilancio triennale 2004-2006, nell’àmbito dell’unità previsionale di base
di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero
dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente
utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute. Il Mini-
stro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con pro-
pri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 3. Modifica alla legge 29 luglio 1975, n. 405


1. Al primo comma dell’articolo 1 della legge 29 luglio 1975, n. 405,
sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

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d-bis) l’informazione e l’assistenza riguardo ai problemi della steri-
lità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione me-
dicalmente assistita;
d-ter) l’informazione sulle procedure per l’adozione e l’affidamento
familiare.
2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Capo II
Accesso alle tecniche

Art. 4. Accesso alle tecniche


1. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è
consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altri-
menti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto
ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico
nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata
da atto medico.
2. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono applicate
in base ai seguenti princìpi:
a) gradualità, al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado
di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispi-
randosi al principio della minore invasività;
b) consenso informato, da realizzare ai sensi dell’articolo 6.
3. È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assi-
stita di tipo eterologo.

222
Legge 19 febbraio 2004, n. 40 • Allegato 2

Art. 5. Requisiti soggettivi


1. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono
accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di
maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzial-
mente fertile, entrambi viventi (3/d).

Art. 6. Consenso informato


1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni
fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assi-
stita il medico informa in maniera dettagliata i soggetti di cui all’articolo
5 sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari
e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle pro-

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babilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle rela-
tive conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro.
Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure
di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184,
e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medical-
mente assistita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle con-
cernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e
dell’uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e
in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e con-
sapevolmente espressa.
2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi eco-
nomici dell’intera procedura qualora si tratti di strutture private auto-
rizzate.
3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di pro-
creazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente
al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con de-
creto dei Ministri della giustizia e della salute, adottato ai sensi dell’ar-
ticolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione
della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termine
non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno
dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecon-
dazione dell’ovulo (3/e) (3/f).
4. Fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico re-
sponsabile della struttura può decidere di non procedere alla procrea-
zione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine me-
dico-sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta
di tale decisione.
5. Ai richiedenti, al momento di accedere alle tecniche di procrea-

223
Parte III • Allegati

zione medicalmente assistita, devono essere esplicitate con chiarezza e


mediante sottoscrizione le conseguenze giuridiche di cui all’articolo 8 e
all’articolo 9 della presente legge.

Art. 7. Linee guida


1. Il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità,
e previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce, con proprio
decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
2. Le linee guida di cui al comma 1 sono vincolanti per tutte le strut-
ture autorizzate.

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3. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre
anni, in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica, con le medesime pro-
cedure di cui al comma 1.

Capo III
Disposizioni
concernenti la tutela del nascituro

Art. 8. Stato giuridico del nato


1. I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione me-
dicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti
della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche mede-
sime ai sensi dell’articolo 6.

Art. 9. Divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato


della madre
1. Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assi-
stita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma
3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti
non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi
previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile,
né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice (4/a).
2. La madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di pro-
creazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non
essere nominata, ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del regolamento di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

224
Legge 19 febbraio 2004, n. 40 • Allegato 2

3. In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione


del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acqui-
sisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere
nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi (4/b).

Capo IV
Regolamentazione delle strutture autorizzate
all’applicazione delle tecniche
di procreazione medicalmente assistita

Art. 10. Strutture autorizzate

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1. Gli interventi di procreazione medicalmente assistita sono realiz-
zati nelle strutture pubbliche e private autorizzate dalle regioni e iscritte
al registro di cui all’articolo 11.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano defi-
niscono con proprio atto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge:
a) i requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture;
b) le caratteristiche del personale delle strutture;
c) i criteri per la determinazione della durata delle autorizzazioni e dei
casi di revoca delle stesse;
d) i criteri per lo svolgimento dei controlli sul rispetto delle disposizioni
della presente legge e sul permanere dei requisiti tecnico-scientifici
e organizzativi delle strutture.

Art. 11. Registro


1. È istituito, con decreto del Ministro della salute, presso l’Istituto
superiore di sanità, il registro nazionale delle strutture autorizzate al-
l’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita,
degli embrioni formati e dei nati a seguito dell’applicazione delle tec-
niche medesime.
2. L’iscrizione al registro di cui al comma 1 è obbligatoria.
3. L’Istituto superiore di sanità raccoglie e diffonde, in collaborazione
con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al
fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procrea-
zione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti.
4. L’Istituto superiore di sanità raccoglie le istanze, le informazioni, i
suggerimenti, le proposte delle società scientifiche e degli utenti riguar-
danti la procreazione medicalmente assistita.

225
Parte III • Allegati

5. Le strutture di cui al presente articolo sono tenute a fornire agli os-


servatori epidemiologici regionali e all’Istituto superiore di sanità i dati
necessari per le finalità indicate dall’articolo 15 nonché ogni altra infor-
mazione necessaria allo svolgimento delle funzioni di controllo e di ispe-
zione da parte delle autorità competenti.
6. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, determi-
nato nella misura massima di 154.937 euro a decorrere dall’anno 2004, si
provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto,
ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsio-
nale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione
del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo
parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della
salute. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad appor-

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tare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Capo V
Divieti e sanzioni

Art. 12. Divieti generali e sanzioni


1. Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di sog-
getti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dal-
l’articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecunia-
ria da 300.000 a 600.000 euro (4/c).
2. Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell’articolo 5, applica tec-
niche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti
non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ov-
vero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati
o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
200.000 a 400.000 euro.
3. Per l’accertamento dei requisiti di cui al comma 2 il medico si av-
vale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti. In caso di
dichiarazioni mendaci si applica l’articolo 76, commi 1 e 2, del testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documenta-
zione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
28 dicembre 2000, n. 445.
4. Chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assi-
stita senza avere raccolto il consenso secondo le modalità di cui all’ar-
ticolo 6 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a
50.000 euro.
5. Chiunque a qualsiasi titolo applica tecniche di procreazione medical-

226
Legge 19 febbraio 2004, n. 40 • Allegato 2

mente assistita in strutture diverse da quelle di cui all’articolo 10 è punito


con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 300.000 euro.
6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la
commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di ma-
ternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa
da 600.000 a un milione di euro.
7. Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano
discendente da un’unica cellula di partenza, eventualmente identico,
quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita
o morto, è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa
da 600.000 a un milione di euro. Il medico è punito, altresì, con l’inter-
dizione perpetua dall’esercizio della professione.
8. Non sono punibili l’uomo o la donna ai quali sono applicate le tec-

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niche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5.
9. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio profes-
sionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condan-
nato per uno degli illeciti di cui al presente articolo, salvo quanto previ-
sto dal comma 7.
10. L’autorizzazione concessa ai sensi dell’articolo 10 alla struttura al
cui interno è eseguita una delle pratiche vietate ai sensi del presente arti-
colo è sospesa per un anno. Nell’ipotesi di più violazioni dei divieti di cui
al presente articolo o di recidiva l’autorizzazione può essere revocata.

Capo VI
Misure di tutela dell’embrione

Art. 13. Sperimentazione sugli embrioni umani


1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.
2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è
consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente tera-
peutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e
allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili me-
todologie alternative.
3. Sono, comunque, vietati:
a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione
o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei ga-
meti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di ma-
nipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti
ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero

227
Parte III • Allegati

a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli in-


terventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma
2 del presente articolo;
c) interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scis-
sione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia
di ricerca;
d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie di-
versa e la produzione di ibridi o di chimere.
4. La violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la reclu-
sione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. In caso
di violazione di uno dei divieti di cui al comma 3 la pena è aumentata.
Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti pre-
viste dal comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti

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rispetto a queste.
5. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio profes-
sionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condan-
nato per uno degli illeciti di cui al presente articolo.

Art. 14. Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni


1. È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo
restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evo-
luzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall’articolo 7, comma
3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello stretta-
mente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque
non superiore a tre.
3. Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possi-
bile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato
di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è
consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del
trasferimento, da realizzare non appena possibile.
4. Ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assi-
stita è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei
casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
5. I soggetti di cui all’articolo 5 sono informati sul numero e, su loro
richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nel-
l’utero.
6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi
precedenti è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da
50.000 a 150.000 euro.
7. È disposta la sospensione fino ad un anno dall’esercizio professio-

228
Legge 19 febbraio 2004, n. 40 • Allegato 2

nale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condannato


per uno dei reati di cui al presente articolo.
8. È consentita la crioconservazione dei gameti maschile e femmi-
nile, previo consenso informato e scritto.
9. La violazione delle disposizioni di cui al comma 8 è punita con la
sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.

Capo VI
Disposizioni finali e transitorie

Art. 15. Relazione al Parlamento

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1. L’Istituto superiore di sanità predispone, entro il 28 febbraio di cia-
scun anno, una relazione annuale per il Ministro della salute in base ai
dati raccolti ai sensi dell’articolo 11, comma 5, sull’attività delle strut-
ture autorizzate, con particolare riferimento alla valutazione epidemio-
logica delle tecniche e degli interventi effettuati.
2. Il Ministro della salute, sulla base dei dati indicati al comma 1, pre-
senta entro il 30 giugno di ogni anno una relazione al Parlamento sul-
l’attuazione della presente legge.

Art. 16. Obiezione di coscienza


1. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non
è tenuto a prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecni-
che di procreazione medicalmente assistita disciplinate dalla presente
legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiara-
zione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata entro tre
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge al direttore del-
l’azienda unità sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera, nel caso di
personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipen-
dente da strutture private autorizzate o accreditate.
2. L’obiezione può essere sempre revocata o venire proposta anche
al di fuori dei termini di cui al comma 1, ma in tale caso la dichiarazione
produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione agli organismi di
cui al comma 1.
3. L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente
le attività sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle at-
tività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’inter-
vento di procreazione medicalmente assistita e non dall’assistenza an-
tecedente e conseguente l’intervento.

229
Parte III • Allegati

Art. 17. Disposizioni transitorie


1. Le strutture e i centri iscritti nell’elenco predisposto presso l’Isti-
tuto superiore di sanità ai sensi dell’O.M. 5 marzo 1997 del Ministro della
sanità, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 1997, sono
autorizzati ad applicare le tecniche di procreazione medicalmente as-
sistita, nel rispetto delle disposizioni della presente legge, fino al nono
mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
le strutture e i centri di cui al comma 1 trasmettono al Ministero della sa-
lute un elenco contenente l’indicazione numerica degli embrioni prodotti
a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente as-
sistita nel periodo precedente la data di entrata in vigore della presente
legge, nonché, nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla tutela della riser-

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vatezza dei dati personali, l’indicazione nominativa di coloro che hanno
fatto ricorso alle tecniche medesime a seguito delle quali sono stati formati
gli embrioni. La violazione della disposizione del presente comma è punita
con la sanzione amministrativa pecuniaria da 25.000 a 50.000 euro.
3. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge
il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità, defi-
nisce, con proprio decreto, le modalità e i termini di conservazione de-
gli embrioni di cui al comma 2.

Art. 18. Fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita


1. Al fine di favorire l’accesso alle tecniche di procreazione medical-
mente assistita da parte dei soggetti di cui all’articolo 5, presso il Ministero
della salute è istituito il Fondo per le tecniche di procreazione medical-
mente assistita. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano sulla base di criteri determinati con decreto del Mi-
nistro della salute, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rap-
porti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Per la dotazione del Fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa
di 6,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2004.
3. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo si prov-
vede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai
fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’àmbito dell’unità previsionale
di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del
Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo par-
zialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero medesimo.
Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

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Bibliografia

Bibliografia

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Indice analitico

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Aborto, 119 – istituzionale, 38
– chirurgico, 83 Agenzia per i servizi sanitari re-
– clandestino, 82, 91, 94 gionali, 20-23
– farmacologico, 83 Aiuto al suicidio, 203
– legalizzazione dell’, 78 Alimentazione artificiale, 186
– terapeutico, 78, 79, 80 Alleanza terapeutica, concetto di,
– volontario, 78, 79, 80 187
Accanimento clinico, 163-182 Area funzionale omogenea dei
Accanimento diagnostico-tera- dipartimenti, 41
peutico, 121, 163-182 Assistenza, livelli essenziali e
– definizioni di, 166-168 uniformi di (LEA), 28
– divieto di, 179 ASSR, vedi Agenzia per i servizi
– il caso di Eluana Englaro, 173- sanitari regionali
177 Atti medici
– il caso di Piergiorgio Welby, – secondo il Comitato Nazionale
178-181 di Bioetica, 170-172
– in pazienti in stato vegetativo, – secondo la commissione Vero-
168 nesi-Oleari, 170-172
– posizione del magistero catto- Autotrapianti, 45
lico, 165-166 Aziende ospedaliere, 23
– parere del Consiglio superiore – organi delle, 32-35
di sanità sull’, 180 – requisiti delle, 31-32
Accreditamento, 37-39 Aziende sanitarie locali, 22

239
Indice analitico

– dipartimenti delle, 40 – nell’emergenza, 144


– distretti delle, 35-36 – – presunto o presumibile 144
– nella donazione di rene tra vi-
Carta dei servizi, 41 venti, 154-155
– pubblici sanitari, 41 – nella routine, 144
Carta di Firenze, 121-125 – obbligatorietà della forma scrit-
– parere del Comitato Nazionale ta del, 151
di Bioetica sulla, 123-124 – per il trapianto parziale di fega-
Carta di Nizza, 140-141 to, 155
Cassa mutua, 6 – ruolo del tutore, 148
Centro nazionale per i trapian- – ruolo dell’amministratore di
ti, 50 sostegno, 149
Circoncisione femminile, 129 Consenso presunto, 144

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Clausola di coscienza, 70, 71 Consiglio dei sanitari, 34
Coito interrotto, 62 Consiglio superiore della sanità,
Collegio di direzione, 40 competenze del, 10, 24-26
Collegio sindacale delle aziende Consultori, 61
ospedaliere, 34 Contraccettivi
Concetto di vitalità e rianimazio- – di barriera, 67
ne del neonato, 119-121 – ormonali, 67
Condom, 65 Contraccezione, 59-76
Conferenza stato-regioni, 18 – e consenso, 61
Consenso informato 139-162 – e obiezione di coscienza, 68
– acquisizione del, 143-150 – di emergenza, 70, 73
– ai trattamenti sanitari, 152 – metodi naturali di, 67
– alla donazione di sangue, 151 – normativa sulla, 59-62
– alla terapia elettroconvulsivan- Contragestativi, 67
te (elettroshock), 155-156 Controllo di qualità, 41
– alla trasfusione di sangue ed Convenzione di Oviedo, 141,
emoderivati, 151-154 145
– dei genitori alle cure sperimen- Crioconservazione
tali, 124 – degli embrioni, divieto della,
– e informazione, 142-143 99, 106
– e paziente incapace, 147 – di gameti femminili, 99
– e paziente minore, 145-147 – di gameti maschili, 99
– e procreazione medicalmente Cure
assistita, 111, 156 – consenso alle, 160
– e rifiuto delle cure, 158-160 – futili, 163-182
– e sperimentazione clinica di – normali, definizione di, 166
farmaci, 156 – palliative, definizione di, 166
– forma del, 150-151 – rifiuto delle, 160
– modulistica di routine, 157 – sospensione delle, 160

240
Indice analitico

– sperimentali e grandi prematu- Eterotrapianti, 45


ri, 126 Eutanasia, 175, 183, 185, 193-
Curettage, 83 207
– collettivistica, 201
Devoluzione in ambito sanita- – criminale, 201
rio, 15 – economica, 201
Diaframma, 62 – eugenica, 201
Diagnosi pre-impianto nella pro- – individualistica, 202
creazione medicalmente assi- – involontaria, 203
stita, 103 – legge olandese sull’, 206-207
Dichiarazioni anticipate di tratta- – lenitiva, 202
mento, 185. Vedi anche Diretti- – passiva, 163
ve anticipate – per commissione, 203

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Direttive anticipate, 183-191 – per omissione, 203
– autore delle, 185 – pietosa, 202
– contenuto delle, 185 – – attiva, 202
– di trattamento, 184 – – passiva, 202
– forma e implementazione del- – profilattica, 201
le, 189-200 – solidaristica, 202
– i soggetti delle, 185 – sperimentale, 201
– vincolatività e cogenza delle, – terapeutica, 202
187-189 – volontaria, 200, 203
Diritto alla salute, tutela del, 28-30 – – consenso della vittima, 205
Dissociazione generativa, 110 – – problematiche giuridiche del-
Donazione di organi, principio la, 203-206
del silenzio-assenso, 49
Fecondazione
Elettroshock (TEC) e consenso – assistita, tecniche di, 97-100
informato, 155-156 – in vitro (FIVET), 99
Embrione, impianto dell’, 64 – omologa ed eterologa, 109
Embrioni Fegato, trapianto parziale di, e
– conservazione degli, 105 consenso informato, 154-155
– diagnosi pre-impianto degli, FGM (female genital mutilation),
104 vedi Mutilazioni genitali fem-
– impianto di, 105 minili
– limiti all’applicazione delle tec-
niche sugli, 105 Genitorialità
– misure di tutela degli, 114 – adottiva, 110
Englaro E., il caso di, 173-177 – procreativa, 110
Enteral nutrition, 169 GIFT, 99. Vedi anche Fecondazio-
Escissione del clitoride e delle ne
piccole labbra, 129-130 Grandi prematuri

241
Indice analitico

– aspetti giuridici della rianima- LEA, vedi Livelli essenziali e uni-


zione dei, 126 formi di assistenza
– documenti italiani sulle cure Legge 194/1978, testo integrale,
dei, 121 211-220
– rianimazione e cure intensive Legge 40/2004, testo integrale,
dei, 117-128 221-230
Gravidanza Legislazione sanitaria, aspetto
– durata della, 117 storico, 3-14
– interruzione volontaria della, Levonorgestrel, 64, 69
77-95 Livelli essenziali e uniformi di as-
sistenza (LEA), 28
ICSI, 99. Vedi anche Fecondazio- Living will, 144. Vedi anche Testa-
ne mento biologico

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Idratazione artificiale, 169
Inabilitazione e consenso, 148 Malattia mentale, normativa sul-
Infanticidio, 199 la, 53-55
Infibulazione, 129 Maternità, norme per la tutela so-
Informazione e consenso infor- ciale della, 2011
mato, 142-143 Metodi contraccettivi, classifica-
Iniezione intracitoplasmatica di zione dei, 65
spermatozoi (ICSI), 99 Metodo
Inseminazione sopracervicale, 99 – Billings, 62
Intercettivi, 67 – Ogino-Knauss, 63
Interdizione e consenso, 148 MGF, vedi Mutilazioni genitali
Interruzione volontaria della gra- femminili
vidanza, 77-95, 118, 120 Ministero del lavoro, della salute
– dopo i 90 giorni, 86 e delle politiche sociali, 18
– entro i primi 90 giorni, 84-86, Ministero della salute, 19
95 – competenze statali del, 20
– in donna minore, 86-87, 95 – dipartimenti del, 20-22
– norme sulla, 211 Ministero della sanità
– tipologie di, 83-87 – competenze del, 10
Intervento chirurgico eseguito – istituzione del, 4
senza acquisizione del consen- Morte, concetto giuridico di, 193
so, conseguenze, 161-162 Mutilazioni genitali femminili
Isotrapianti, 45 (MGF), 129-138
Isterosuzione, 83 – assenza di terapeuticità delle,
Istituto superiore di sanità (ISS), 133
competenze del, 10, 24-26 – danni delle, 131
Istituzioni Pubbliche di Assisten- – e legge islamica, 131
za e Beneficenza (IPAB), 3 – sanzioni legislative, 133
IUD (intrauterine device), 63 – motivazioni delle, 131

242
Indice analitico

– normativa italiana sulle, 132-136 Principio del silenzio-assenso e


– origini delle, 131 donazione di organi, 49
Procreazione, 59
Neonato Procreazione medicalmente assi-
– di incerta vitalità, 118 stita, 97-115
- età gestazionale del, 118, 122 – accesso alle tecniche di, 100
Nutrizione artificiale, 169 – diagnosi pre-impianto, 104
– e consenso informato, 111-
Obiezione di coscienza 113, 156
– alle procedure abortive, 68 – e obiezione di coscienza, 114
– dichiarazione di, 91-93 – norme in materia di, 100, 221
– e contraccezione, 68 Profilattico, 65
– e interruzione volontaria della

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gravidanza, 87-93 Qualità della vita e accanimento
– e procreazione medicalmente terapeutico, 164
assistita, 114
Omicidio Raschiamento, 83
– del consenziente, 200 Regioni, istituzione delle, 5
– – e consenso della vittima, 201 Rene, donazione di, tra viventi, e
– doloso, 196 consenso informato, 154-155
– per causa d’onore, 60 Rifiuto delle cure, 149
– volontario, 196, 204 – e consenso informato, 158
– – aggravanti, 197 Riforma ospedaliera, 5
– – attenuanti, 198 Riforma sanitaria, 7
Omotrapianti, 45 RU-486, 64, 83
Organi, consenso alla donazio-
ne di, 49 Sangue, consenso alla donazio-
Organizzazione nazionale dei ne di, 151
prelievi e dei trapianti, 50 Sanità
Organo-trapianti, 45 – competenze regionali, 10-11
Ovulazione multipla, induzione – competenze statali, 10, 15-26
dell’, 99 Servizio sanitario nazionale
– aziendalizzazione del, 27-43
Piano sanitario nazionale, 29, 38 – istituzione del, 7-10
Pillola – obiettivi del, 8-10
– abortiva, 64, 83 – principi del, 8
– del giorno dopo, 64, 69 Sindaco e conferenza dei sinda-
– estroprogestinica, 63 ci, 35
– RU-486, 64, 83 Soppressione della vita, tutela
Preservativo, 65 penale della, 196-199
Prestazioni socio-sanitarie, defi- Sperimentazione clinica di farma-
nizione di, 36-37 ci e consenso informato, 156

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Indice analitico

Spermicidi, 65 – di tessuti, 45
Spirale, 63 – di rene tra persone viventi, 46
Stato vegetativo, pazienti in, 168 – divieti e sanzioni, 52
Sterilizzazione – eteroplastici, 45
– femminile, 74 – informazione sui, ai cittadini, 48
– maschile, 74 – normativa sui, 45-52
– per motivi terapeutici, 74 – norme sul personale, 51
– problematiche giuridiche della, – omoplastici, 45
74 – parziale di fegato, 46
– volontaria, 74, 76 – strutture per i prelievi di organi,
Suicidio per mano altrui, 200 51
Sunna, 129 Trasferimento intratubarico
– lievissima, 136-138 – di embrioni (TET), 99

Acquistato da Luca Benci su Bookrepublic Store il 2012-04-01 10:12 Numero Ordine Libreria: b218039-9788838690440 Copyright © 2012, McGraw-Hill Companies
Surrogazione di maternità, divie- – di gameti (GIFT), 99
to di, 110-111 – di zigoti (ZIFT), 99
Trasfusione di sangue ed emode-
TEC, vedi Elettroshock rivati, consenso alla, 151-154
– e consenso informato, 155 Trattamenso sanitario obbligato-
Testamento biologico, 164, 183, rio, 54, 158, 112, 156
184 TSO, vedi Trattamento sanitario
– esempio di, 200-201 obbligatorio
Testo unico delle leggi sanitarie, Tutela sociale della maternità,
4 norme per la, 211
TET, 99. Vedi anche Fecondazio-
ne Unità sanitaria locale (USL), 11-
Total parenteral nutrition, 169 14
Trapianti/o – organi dell’, 15-26, 32
– anonimato dei dati, 51 USL, vedi Unità sanitaria locale
– autologhi, 45
– autoplastici, 45 Vasectomia, 76
– da cadavere, 48
– da vivente, 46-48 Welby P., il caso di, 178-181
– – espressione del consenso per
i, 47 ZIFT, 99. Vedi anche Fecondazio-
– di organi, 45 ne

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