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Società scientifiche

Oggi parliamo di società scientifiche. Cosa vuol dire? Vuol dire che, all’interno di diverse categorie, è
possibile associarsi in società. La normativa italiana negli anni ha deciso che la Società scientifica aveva
determinati scopi, ambizioni e comunque determinati requisiti perché si potesse costituire. Un po' di anni
fa la prof, su sollecito di Federfarma, aveva in mente di fondare una società scientifica per gestire quella
che era l’informazione scientifica per le farmacie di comunità. All’epoca però, uno dei requisiti minimi era
che ciascuno dei soci rappresentasse il 70% delle regioni italiane. All’epoca però non erano organizzati per
riuscire ad avere questo tipo di rappresentanza e quindi saltò tutto. Poi, da un punto di vista normativo ad
un certo è venuta meno la normativa sulle società scientifiche e c’è stato il solito periodo intermedio in cui
tutto era possibile. Quindi, qualche gruppo di professionisti, si è registrato dal notaio definendosi come
società scientifica, non sbagliando di fatto. Questo perché in quel periodo in cui non era previgente la
normativa precedente e si era in attesa di modificarla per avere una normativa nuova, vigente era possibile
chiamare società scientifica un’associazione che di fatto non aveva i requisiti previgenti della società
scientifica e non sapevamo se gli avrebbe avuti successivamente perché era la normativa non c’era.
Sicuramente questo è stato un vantaggio per quelli che si sono fondati in quell’interregno perché lo hanno
potuto fare senza quei vincoli e lo hanno fatto a beneficio degli associati perché molte volte le persone che
si aggregano con queste finalità fanno del bene alla comunità che rappresentano perché diffondono delle
conoscenze scientifiche che vanno a beneficio del numero di associati. Ci siamo? Mentre magari un gruppo
di persone avrebbe avuto la possibilità di diffondere delle informazioni utili a un gruppo di professionisti ma
non aveva la valenza di società scientifica per farlo. Quindi, quando poi andremo a vedere sul libro, in realtà
ci sono delle società che non sono scientifiche in senso stretto ma che oggi sono annoverate tra le società
scientifiche. L’elenco che andremo a vedere non è esaustivo perché lo abbiamo fatto nel 2020 quando
abbiamo pubblicato il libro ma soprattutto perché per via del covid non hanno mai pubblicato un elenco
aggiornato delle società scientifiche in base alla nuova normativa vigente.

È utile essere soci di una società scientifica? In alcuni ambiti è praticamente obbligatorio, come gli
ospedalieri. Tutti i farmacisti ospedalieri sono obbligati ad essere iscritti a una società scientifica e in linea
di massima ne beneficiano molto perché le società scientifiche dei farmacisti ospedalieri fanno un grosso
lavoro di riordino di conoscenze e di informazioni per i propri soci. Lo fanno facendo degli aggiornamenti
professionali a livello mondiale e non europeo e basta. Sicuramente l’essere socio di una società scientifica
storica dei farmacisti ospedalieri, che si chiama SIFO, è un grosso patrimonio per l’associato. Queste società
scientifiche storiche di fatto diventano una commistione tra la parte scientifica e la parte politica. Nel caso
dei farmacisti ospedalieri era praticamente obbligatoria l’appartenenza alla SIFO; qualche anno fa è nata
una seconda società scientifica per i farmacisti ospedalieri molto più innovativa, molto meno paludata della
SIFO e che gestiva anche questioni per i farmacisti ospedalieri che lavorano sul territorio, non
necessariamente in farmacia ospedaliera. È emerso che il farmacista ospedaliero non sceglie se iscriversi
all’una o all’altra ma si iscrive alla SIFO e poi si iscrive anche all’altra società che si chiama SIFAC. Questo
perché la SIFO ha delle radici storiche talmente profonde ed è talmente capillare che ci sono i delegati
provinciali, regionali, i delegati presenti nelle strutture ospedaliere e così via. Quindi gestisce anche la
politica del farmacista ospedaliero. Per esempio, è chiamata a tutti i tavoli ministeriali se si parla di
medicinali, fa dei convegni nazionali di assoluto rilievo, ecc. nell’ultimo convegno che si è svolto ad ottobre
hanno presentato un progetto molto articolato sull’importanza dell’home delivery. Un po' di anni fa la prof
aveva dato una tesi su questi home delivery (glovo, just eat) ed era venuto fuori che insieme alla pizza ci
arrivava il moment. Alla stessa temperatura della pizza. Quindi è emerso che questi home delivery non era
strutturati per trasportare medicinali e che per trasportare medicinali, prescindendo dagli obblighi
normativi, bisogna avere un rigore diverso perché il medicinale sia ben conservato. Durante il covid, venute
meno le possibilità di spostarsi agilmente, la distribuzione intermedia che porta le scatolette di medicinali a
casa, aveva elaborato un progetto in accordo con le aziende farmaceutiche (Bayer, Menarini, Glaxo) per
portare direttamente a casa le prescrizioni ospedaliere. Invece di mandare la signora Pina all’ospedale di
Verduno, la distribuzione intermedia si faceva carico (andando negli Ospedali) di prendere le medicine per i
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pazienti cronici o che comunque avessero bisogno di medicinali che vengono erogati in diretta
direttamente dall’ospedale. Le Aziende erano contente, il progetto era interessante ma le isorisorse si sono
messe di traverso. Si sono messi di traverso i famosi ospedalieri perché ritenevano che fosse opportuno che
la distribuzione diretta fosse appannaggio loro. Vero, ma da un punto di vista normativo non è appannaggio
loro la consegna a domicilio. Durante il famoso covid un paio di ospedali del cuneese hanno fatto la
consegna a domicilio ma sulla macchina dell’infermiere che staccava il turno alla sera alle 18. Sicuramente è
un ottimo servizio per la popolazione ma senza la tutela del trasporto. Soprattutto contro legge perché i
medicinali non possono essere trasportati così. È stato così fino a fine primavera/ inizio estate. Al convegno
SIFO di ottobre viene presentato uno studio molto articolato, in parte sperimentato e da estendere a livello
nazionale in cui è previsto che le farmacie ospedaliere consegnino a casa i medicinali. Avranno il magazzino,
il magazzienere, il furgoncino ma questa cosa fa politica. Non è la distribuzione intermedia del piemonte
che ha metà della popolazione che vive nelle valli e che difficilmente raggiunge l’ospedale e che si offre di
fare questo servizio posto che di lavoro fa il servizio, consegnare medicinali. Lo propone, le aziende sono
contente, gli ospedali no. No perché nel cuneese lo vogliono fare loro. Era però una robina fatta in casa. A
livello nazionale esce un progetto ben strutturato. A quel punto lì, esce questa idea di prendere il lavoro di
altri e farlo proprio. Secondo la prof il farmacista ospedaliero ne ha da vendere con tutte le attività di cui ha
parlato la dottoressa Fruttero. Non ha nessun bisogno di andare a casa della signora pina a dire come deve
prendere le statine perché sono patologie croniche che sono gestite dai farmacisti di comunità, non dai
farmacisti ospedalieri. Oltre al fatto che in teoria dovrebbe essere un farmacista che fa un counselling, non
che viene fatto per telefono. Poi però la farmacia ospedaliera è indubbiamente una potenza a livello
nazionale e soprattutto è servizio pubblico. Lo stipendio di questi signori è pagato dallo stato e quindi è la
proposta di mettere in essere un ulteriore servizio all’interno dei budget aziendali delle aziende
ospedaliere. Nel momento in cui il servizio viene fatto da dei privati, il privato non è un ente di beneficienza
ed è ovvio che dovrà trarne un’utile. Anche se il privato farà un servizio migliore se poi c’è una disparità di
costi o si rimanda o si sceglie ciò che costa meno.

In base all’ultima legge, del 2017 attuata con il decreto ministeriale successivo che dovrebbe pubblicare gli
elenchi che non sono ancora stati pubblicati, ci dice che le società devono essere:

• Di rilevanza di carattere nazionale – con rappresentanza almeno in 12 regioni


• Rappresentatività di almeno il 30% dei professionisti – abbiamo 3600 iscritti all’Ordine di Torino e il
30% deve essere iscritto a quella società. Cumulati i farmacisti ospedalieri in tutta Italia, la società
dei farmacisti ospedalieri deve vantare il 30% degli iscritti ai vari ordini che fanno quel tipo di
lavoro.

Quello che è più importante dire è che tra gli obiettivi di queste società scientifiche ci sono degli argomenti
da approfondire, divulgare, studiare e nella fattispecie tutto il sistema della qualità e tutte le linee guida per
la gestione dei medicinali. Lo Stato stesso si affida a un organismo nazionale che gestisce queste linee guida
nazionali per i diversi sanitari.

SIFO è quella che ci ha detto, la più importante. Fa dei convegni di rilevanza internazionale, annovera la
maggioranza dei farmacisti ospedalieri iscritti.

SIFAC è successiva ed è inerente alla farmacia clinica, culturale e scientifica. Sostiene lo sviluppo della
farmacia clinica e della farmacoterapia e così via.

SIFACT riunisce sia la farmacia clinica che la terapia. Il ruolo che il farmacista ha quando è accanto al
paziente.

ASFI è una di quelle che ha beneficiato dell’interregno cioè non aveva il 30%, non aveva le 12 regioni, ma
aveva delle cose interessanti da dire. Sono nate nel periodo in cui i requisiti venivano meno. Una volta nate,
ci sono rimaste. È coordinata da un docente di Bologna ormai in pensione, Maurizio Cini che è l’unico che sa
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a memoria tutti i commi del 219. È proprio un amante della normativa. Leggere gli argomenti che vengono
messi in discussione o pareri vari su quello che dice Cini è molto interessante. Il protocollo di intesa che
hanno fatto a settembre sulla vaccinazione antiinfluenzale recitava che il farmacista potesse fare anche la
vaccinazione antiinfluenzale se avesse un tot di corsi. Nel protocollo di intesa c’era scritto “dovete ricevere
la prescrizione medica se vendete i vaccini”. L’idea dell’accordo nazionale tipo covid era che invece se mi fa
il vaccino il farmacista, in farmacia, mi fa un’anamnesi e in piattaforma carica il fatto che Paola Brusa ha
ricevuto il vaccino lotto X. La regione Piemonte di impeto ha scritto che comunque ci vuole la prescrizione
medica. Una società scientifica, scevra dal dare giudizio, potrebbe fare un ragionamento pubblico dicendo:
se ci vuole comunque la prescrizione medica, l’anamnesi chi la fa? Aveva senso aggiungere che ci volesse la
prescrizione medica? No, perché chi vaccina deve fare l’anamnesi, chiunque esso sia: medico, infermiere o
farmacista. Due cose devi chiederle. È anche vero che se il farmacista riceve la prescrizione medica vuol dire
che il medico ha fatto il suo lavoro fino a lì. A questo punto, passando all’aspetto politico/sindacale, i 6,16€
a chi li diamo?

SIFAP è un’altra società scientifica, di fatto non era scientifica, vecchia come il cucco di cosiddetti farmacisti
preparatori. Sono così bravi? Forse sì. Sono potenti? Molto. Sono a tutti i tavoli in cui si decide di dire
qualcosa su Farmacopea o su allestimento galenico in farmacia.

Poi ne esistono altre. L’ultima è UTIFAR (Unione Tecnica Italiana Farmacisti) che è una società vecchia che
per i farmacisti aveva rappresentato un faro. Era coordinata da dei farmacisti molto in gamba che davano
delle informazioni tecniche molto utili al farmacista di comunità, galenica inclusa.

Banco farmaceutico dal punto di vista normativo

Ne parliamo perché io non posso decidere che lunedì do i medicinali all’oratorio, piuttosto che al ricovero,
nel mio sacchettino. È stato un lavoro molto difficile ma si è arrivati a fare un documento di legge che
normasse la donazione dei medicinali. Perché il documento di legge per normare i medicinali e non per
normare i maglioni di lana? Ci vuole una legge perché devo garantire la conservazione. Bisogna fare tutta
una norma per capire come faccio a garantire che siano conservati bene. Bisogna capire cosa vuol dire
conservare bene e chi ha conservato bene. Per fare l’iniziativa dona un farmaco valido ha lavorato un sacco
di ore con il Dottor Colombo per scrivere un documento che firmassero tutti che fosse inattaccabile. Se io
farmacia Brusa decido di donare qualcosa non ho problemi: chiamo il distributore, compro, pago, la roba mi
arriva ben conservata e la mando. Magari faccio anche consegnare direttamente alla distribuzione
intermedia. Diverso è quando la signora Pina va in farmacia e porta i medicinali che lo zio, il figlio non usa
più. Come faccio a sapere che a casa della signora tutto abbia funzionato bene?

Ci sono delle regole: le confezioni devono essere chiuse, il farmacista deve controllare che lo siano. Bisogna
fare in modo che ci sia un controllo sulla conservazione. La prof aveva fatto una procedura, in base agli
studi che ha fatto, ed ha potuto dare dei consigli. Ha fatto consegnare un foglio in cui si ammetteva di aver
ben conservato i medicinali a casa loro. Questo perché per poterlo controllare io, come farmacia, devo
avere un laboratorio di controllo di qualità e quindi vuol dire che devo smontare delle scatole per andare a
vedere come stanno. Bisognava quindi costruire bene la filiera e non solo per il banco farmaceutico ma
anche per poter donare. A livello nazionale si è quindi deciso se i medicinali nelle RSA possono essere
donati. Non sono medicinali del signor Pino o della signora Pina perché li ha pagati lo Stato. E se avanzano?
Possono uscire dalle RSA per andare a beneficio di qualcuno che ha la stessa patologia?

Io ho donato in un modo non congruo tutti i medicinali avanzati dal papà della mia amica che era seguito
H24 da degli infermieri, anche se le scatole erano già aperte perché ero certa che fossero ben conservati.
Mi sono però assunta una responsabilità come privato. È giusto in linea generale sapere che ci siano delle
linee da seguire.

Il banco ce lo farà poi bene la Dottoressa Pensa.


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Abbiamo già visto le associazioni di categoria. Tra un po' vedremo l’intervento di Federfarma, il sindacato
dei proprietari di farmacia privata aperta al pubblico. Assofarm è il sindacato delle farmacie comunali.
Cosiddette perché in molte province d’Italia dei privati hanno comprato le quote delle farmacie comunali.
Nella fattispecie delle farmacie di Torino i privati hanno in mano il 70%. In Emilia-Romagna sono
rigorosamente comunali, nelle altri parti d’Italia dipende. Ci sono i privati che sono entrati e hanno
comprato. In Piemonte ha funzionato bene perché i privati che hanno comprato sono farmacisti e quindi
hanno salvato la rete delle farmacie, non è entrato Amazon.

Esistono anche le associazioni dei farmacisti non titolari, cioè la maggioranza dei farmacisti italiani. In
farmacia almeno 1-2 farmacisti non proprietari ci lavorano. In Piemonte una delle prime città in cui è nata
questa associazione è Torino. I non titolari sono la forza delle farmacie d’Italia anche perché in molti casi
non sono i titolari che stanno a banco. La prof ci spinge come collaboratori ad associarci a qualcosa, se
esiste, e a rivendicare i nostri diritti senza però calpestare gli altri. (esempio del togliere la polvere). In tutto
ciò, fanno corsi, segnalano offerte di lavoro e questo lo fa anche la FOFI.

Quello che è importante è che fanno delle riunioni con i consulenti del lavoro. Vuol dire che un anno la prof
aveva avuto il caso di due gemelli, al master, che lavoravano in due realtà differenti dallo stesso tempo, con
due stipendi diversi. Se i gemelli avessero chiamato il consulente del lavoro che faceva le buste paghe ai
titolari non gli avrebbero risposto nemmeno al telefono. Poter avere un consulente del lavoro fuoricampo
che ti legge la busta paga e ti spiega per quale motivo sono diverse è un valore aggiunto di un associazione
sindacale di non titolari. Magari è voluto, magari è una distrazione ma è giusto che te lo dica uno che non è
quello che ha preparato la busta paga per la farmacia.

Con il tempo hanno fatto una federazione nazionale con AISFA sindacale (tipo Federfarma) e hanno
chiamato SINASFA quella culturale, come se fosse la SIFO. Quindi, ci sono più strutturati che si parlano gli
uni con gli altri e per dare informazioni sindacali e culturali, che dovrebbero essere uguali prescindendo dal
ruolo che uno esercita. L’essersi associati a livello nazionale che vantaggi comporta? Comporta di essere
seduti come rappresentanti a tutti i tavoli, magari nessuno li prende in considerazione però sentono. Poi
non è detto che non vengano presi in considerazione perché, prescindendo dagli iscritti, rappresentano i
2/3 dei farmacisti.

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