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export.
Di
Benedetto Santacroce
Non può non rilevarsi come spesso, sia il valore di transazione, sia gli elementi ad
esso accessori, non siano noti agli operatori al momento dell’effettuazione delle
operazioni doganali o, se noti, possono comunque non essere attendibili in
quanto soggetti a sicure variazioni successive (anche di molto) al momento
doganale. È il caso, ad esempio, dell’ormai noto, difficile rapporto tra la disciplina
in materia di transfer pricing e quella doganale, da anni dibattuta tra gli operatori
ed i gruppi multinazionali, che genera criticità non solo nella accettabilità del
prezzo di trasferimento in sé, ma anche nell’accettabilità e nella gestione degli
eventuali aggiustamenti periodici post transazione.
Come già previsto dal WTO, il sistema doganale è basato sul c.d. valore di
transazione, per cui, come da art. 71 del CDU, “la base primaria per il valore in
dogana delle merci è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato
o da pagare per le merci quando sono vendute per l'esportazione verso il
territorio doganale dell'Unione, eventualmente adeguato”; per l’effetto, dunque,
una adjustment del prezzo a posteriori (ai fini TP) è un aggiustamento del valore
di transazione (ai fini doganali) che deve necessariamente trovare soddisfazione
anche con riferimento alla fiscalità di confine.
A mente della predetta disposizione del CDU, le autorità doganali possono infatti
autorizzare, su richiesta, la determinazione sulla base di criteri specifici, se non
sono quantificabili alla data di accettazione della dichiarazione in dogana:
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b) degli gli importi che devono essere inclusi o non devono essere considerati
quali elementi del valore in dogana (quali le spese per commissioni, trasporti,
assicurazioni, ecc..).
Così operando, è permesso quantificare gli esatti importi dovuti a titolo di diritti
di confine fin dal momento dell’importazione, evitando complesse procedure di
revisione dell’accertamento o di differimento della determinazione del valore
secondo la procedura dello sdoganamento semplificato, di difficile gestione
anche per l’Amministrazione.
Quando il valore doganale delle merci non può essere determinato, in tutto o in
parte, in quanto la base primaria del valore di transazione, ovvero alcuni dei costi
comunque rilevanti in dogana, si formano in momenti successivi alle operazioni
doganali, si pone dunque il problema della dichiarazione doganale delle merci,
per la Dogana risolvibile secondo due modalità operative.
In secondo luogo, anche per ovviare alle difficoltà operative delle dichiarazione
incompleta, solo per il regime dell’importazione, è utilizzabile lo strumento di cui
all’art. 73 CDU, attraverso il quale, come sopra illustrato, “nel riconoscimento
dell’“arm’s length principle” e dell’analisi di comparabilità ad esso sottesa”, è
possibile operare una forfettizzazione non più solo di alcuni elementi del valore,
ma anche la sua stessa base primaria costituita dal valore di transazione.
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Per espresso richiamo effettuato dall’Agenzia, la dichiarazione incompleta
rimane, invece, strumento utilizzabile per gli aggiustamenti all’export, che
rilevano anche ai fini della corretta costituzione del plafond IVA, sebbene in
questi casi sarebbe opportuno prevedere strumenti di rettifica cumulativi.
Dal punto di vista normativo la posizione delle Dogane è ineccepibile (il sistema
del valore è, ex lege, il sistema dell’import), ma occorre ora interrogarsi su come
gestire i flussi di rettifica per le ipotesi di esportazione. In questi casi, sarebbe
opportuno prevedere espressamente, in maniera uniforme, strumenti di rettifica
cumulativi, ricorrendo alla revisione dell’accertamento o a modalità tecniche di
gestione della dichiarazione incompleta. A parte il tecnicismo, insomma, si
ritiene utile ragionare su un sistema condiviso che assicuri sicurezza e speditezza
non solo agli operatori, ma alle stesse autorità di controllo.