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“La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana”

(Concilio Vaticano II)

IL CANTO GREGORIANO
E LA LITURGIA TRADIZIONALE
di Raimondo Mameli

Con questo saggio il giovane amico e socio di “Una Voce” Raimondo Mameli di Quartu Sant’Elena (Cagliari)
inizia la sua collaborazione al nostro bollettino.
Giovane, sì, ma ricco d’una cospicua esperienza.
Dopo gli studi classici, ha conseguito il diploma di canto lirico presso il Conservatorio “Palestrina” di Cagliari,
dove ha anche studiato composizione, musica corale e direzione di coro.
Si è perfezionato presso l’Accademia Internazionale di Cagliari con Katia Ricciarelli (canto), Philippe Bender
(direzione d’orchestra), Yoko Kubo e Paul Mefano (composizione); ha frequentato un seminario di composizione
tenuto dal M° Azio Corghi.
Ha studiato canto gregoriano con Nino Albarosa e liturgia con Frans Kok. Nella direzione di coro si è
perfezionato sotto la guida di don Antonio Sanna, Pierpaolo Scattolin e Giorgio Mazzuccato.
Attivo come cantante lirico, pianista, organista, direttore di coro, e compositore, si dedica a studi e ricerche
musicologiche che fra l’altro, hanno portato, sotto la sua stessa direzione, alla prima assoluta del “Vespro della Beata
Vergine” di Tomas Luis de Victoria.
E’ professore a contratto di canto e tecnica vocale presso le Scuole Civiche di Musica della Sardegna.
Ha recentemente debuttato nel ruolo di Struley in “Adelson e Salvini” di Vincenzo Bellini sotto la direzione
del M° Sandro Sanna.
Sue composizioni sacre e profane sono state eseguite da interpreti di caratura internazionale in festival e
rassegne prestigiose (Quartetto d’archi del Teatro alla Scala di Milano, Thomas Keck, Clara Marzorati, Ensemble
vocale “Alfredo Ottaviani”, “Echos Ensemble” etc.).
Con un intervento sulla “Musica Sacra nei documenti del Magistero” è stato relatore al Convegno
Internazionale di Studi sulla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, svoltosi a Cagliari il 10 dicembre 2005.
Un curriculum davvero ragguardevole per un 28enne!
Grazie, Raimondo, per questo tuo primo intervento e per i successivi apporti preziosi che sicuramente non
mancherai di offrirci.

Introduzione

Desideriamo occuparci, in questo studio, del recupero del canto gregoriano nella prassi liturgica della
Chiesa Cattolica di rito latino, auspicato dai documenti di Magistero ma disatteso nella prassi liturgica.
Abbiamo circoscritto l’analisi al repertorio della Messa e al canto gregoriano (promulgato in edizioni
ufficiali con l’imprimatur ecclesiastico); riteniamo utile, tuttavia, qualche accenno al canto dell’Ufficio
Divino e agli altri generi di musica sacra ammessi dal Magistero pontificio (da San Pio X ai giorni nostri).
In particolar modo, parleremo della musica sacra nella liturgia tradizionale, celebrata secondo le
rubriche del Missale Romanum nell'edizione tipica del 1962, il cui uso è regolato dal “Motu Proprio”
Ecclesia Dei (1988) del Santo Padre Giovanni Paolo II di venerata memoria e dalla Lettera Circolare
Quattuor abhinc annos, inviata, in data 3 ottobre 1984, dalla Congregazione per il Culto Divino ai Presidenti
delle Conferenze Episcopali.

Del ministero liturgico del musicista

Prima di addentrarci nel discorso sulla musica sacra e i suoi libri liturgici, ricorderemo alcuni
pronunciamenti del Magistero cattolico sul ministero liturgico del musicista.
Nel 1903 il Papa San Pio X di venerata memoria ebbe a scrivere: “La musica sacra, come parte
integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e
edificazione dei fedeli” [1] e proseguiva “…i cantori hanno in chiesa vero officio liturgico” [2].
Per quanto riguarda i musicisti di Chiesa, prescrisse: “…non si ammettano a far parte della cappella
di chiesa se non uomini di conosciuta pietà e probità di vita, i quali, col loro modesto e devoto contegno
durante le funzioni liturgiche, si mostrino degni del santo officio che esercitano. Sarà pure conveniente che i
cantori, mentre cantano in chiesa, vestano l’abito ecclesiastico e la cotta…” [3].
L’obbligo della talare e della cotta non ci risulta sia mai stato abrogato.
Il venerabile Pio XII, riallacciandosi al magistero di San Pio X, scrisse: “Infatti, quanti o
compongono musica, secondo il proprio talento artistico, o la dirigono, o la eseguono sia vocalmente sia
per mezzo di strumenti musicali, tutti costoro senza dubbio esercitano un vero e proprio apostolato, anche
se in modo vario e diverso, e riceveranno perciò in abbondanza da Cristo Signore le ricompense e gli onori
riservati agli apostoli, nella misura con cui ognuno avrà fedelmente adempiuto il suo ufficio. Essi perciò
stimino grandemente questa loro mansione, in virtù della quale non sono solamente artisti e maestri di arte,
ma anche ministri di Cristo Signore e collaboratori nell'apostolato, e si sforzino di manifestare anche con la
condotta della vita la dignità di questo loro ufficio” [4].
Nel 1958 la Sacra Congregazione dei Riti pubblicò un’Istruzione sulla musica sacra e la Santa
Liturgia, firmata dal Card. Cicognani, dove si legge che “i laici di sesso maschile - bambini, ragazzi o adulti
che siano – allorquando siano deputati dalla competente autorità ecclesiastica al servizio dell’altare e
all’esecuzione della musica sacra, svolgendo le loro funzioni in guisa conforme alle rubriche, esercitano un
servizio ministeriale diretto ma delegato” (traduzione nostra).
Il Concilio Vaticano II ribadisce con forza che “tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento
intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una
sacra imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla
pietà e alla formazione religiosa dei fedeli” [5].

Del Magistero della Chiesa Cattolica sulla musica sacra

San Pio X

Dal “Motu Proprio de musica sacra” del Sommo Pontefice San Pio X Tra le sollecitudini (22
novembre 1903):

3. Queste qualità [capacità di accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche e di


rivestire con “acconcia” melodia il testo liturgico sì da disporre l’anima dei fedeli a meglio accogliere i frutti
della Grazia; esclusione d’ogni elemento di profanità; sicuro possesso delle qualità precipue della liturgia, e
cioè della santità e della bontà delle forme con la conseguente acquisizione del carattere di universalità] si
riscontrano in grado sommo nel canto gregoriano, che è per conseguenza il canto proprio della Chiesa
Romana, il solo canto ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente lungo i secoli
nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai fedeli, che in alcune parti della liturgia
esclusivamente prescrive e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e
purezza.
Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica
sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è
più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia
gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.
L’antico canto gregoriano tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto,
tenendosi da tutti per fermo, che una funzione ecclesiastica nulla perde della sua solennità, quando pure
non venga accompagnata da altra musica che da questo soltanto.
In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli
prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi.

4. Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente
della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier
Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e
musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto
gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più
solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi
largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in
quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto.
7. La lingua propria della Chiesa Romana è la latina. È quindi proibito nelle solenni funzioni
liturgiche di cantare in volgare qualsivoglia cosa; molto più poi di cantare in volgare le parti variabili o
comuni della Messa e dell’Officio.

Pio XII

Per conoscere il magistero di Pio XII, i musicisti che anelino a occuparsi di liturgia dovranno
studiare l’Enciclica Mediator Dei sulla sacra liturgia (1947). Nel 1955, Papa Pacelli scriverà Musicae sacrae
disciplina, dove leggiamo:

A questa santità [la santità quale requisito essenziale della musica sacra: v. supra S. Pio X, Tra le
sollecitudini] soprattutto si presta il canto gregoriano, che da tanti secoli si usa dalla chiesa, sì da poterlo
dire di suo patrimonio. Questo canto, per la intima aderenza delle melodie con le parole del sacro testo, non
solo vi si addice pienamente; ma sembra quasi interpretarne la forza e l'efficacia, istillando dolcezza
all'animo di chi ascolta; e ciò con mezzi musicali semplici e facili, ma pervasi di così sublime e santa arte,
da suscitare in tutti sentimenti di sincera ammirazione e da divenire per gli stessi intenditori e maestri di
musica sacra fonte inesauribile di nuove melodie.
Conservare con cura questo prezioso tesoro del canto gregoriano e farne ampiamente partecipe il
popolo spetta a tutti coloro, ai quali Gesù Cristo affidò di custodire e di dispensare le ricchezze della chiesa.
[…] Noi vogliamo e prescriviamo che … nella celebrazione dei riti liturgici si faccia largo uso di tale canto,
e si provveda con ogni cura affinché sia eseguito con esattezza, dignità e pietà.

Non è Nostra intenzione, con ciò che abbiamo detto per lodare e raccomandare il canto gregoriano,
rimuovere dai riti della chiesa la polifonia sacra, la quale, purché ornata delle debite qualità, può giovare
assai per la magnificenza del culto divino e per suscitare pii affetti nell'animo dei fedeli. È ben noto infatti
che molti canti polifonici, composti soprattutto nel secolo XVI, risplendono per tale purezza d'arte e tale
ricchezza di melodie, da essere del tutto degni di accompagnare e quasi illuminare i riti della chiesa.

Queste norme devono applicarsi altresì all'uso dell'organo e degli altri strumenti musicali. Fra gli
strumenti a cui è aperto l'adito al tempio viene a buon diritto in primo luogo l'organo, perché è
particolarmente adatto ai canti sacri e sacri riti e dà alle cerimonie della chiesa notevole splendore e
singolare magnificenza, commuove l'animo dei fedeli con la gravità e la dolcezza del suono, riempie la
mente di gaudio quasi celeste ed eleva fortemente a Dio e alle cose celesti.

Giovanni XXIII

Sebbene non si occupi espressamente di musica sacra, citeremo alcuni passi della Costituzione
Apostolica Veterum Sapientia del Papa Giovanni XXIII (1962), sullo studio e l’uso del latino:

Infine, poiché la Chiesa Cattolica, perché fondata da Cristo Nostro Signore, eccelle di gran lunga in
dignità su tutte le società umane, è sommamente conveniente che essa usi una lingua non popolare, ma ricca
di maestà e di nobiltà.

Spinti anche Noi da questi gravissimi motivi, come i nostri Predecessori e i Sinodi Provinciali, con
ferma volontà intendiamo adoperarci perché lo studio e l'uso di questa lingua, restituita alla sua dignità,
faccia sempre maggiori progressi. Poiché in questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti
luoghi l'uso della lingua Romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento,
abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo documento, di fare in modo che l'antica e mai
interrotta consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia
completamente ripristinata.

I medesimi Vescovi e Superiori Generali degli Ordini religiosi, mossi da paterna sollecitudine,
vigileranno affinché nessuno dei loro soggetti, smanioso di novità, scriva contro l'uso della lingua latina
nell'insegnamento delle sacre discipline e nei sacri riti della Liturgia e, con opinioni preconcette, si
permetta di estenuare la volontà della Sede Apostolica in materia e di interpretarla erroneamente.
Concilio Vaticano II

La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia (1963) prescrive:

54. Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla
lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella «orazione comune» e, secondo le condizioni dei vari
luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però
che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della messa
che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più ampio della lingua nazionale
nella messa, si osservi quanto prescrive l'art. 40 di questa costituzione.

116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò
nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica
sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché
rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30.

117. Si conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione
più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che
contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole.

120. Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale
tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di
elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto
divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli
articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del
tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.

Paolo VI

Per un confronto con Veterum Sapientia di Giovanni XXIII, leggiamo un passo di Paolo VI, dal
“Motu Proprio” Studia latinitatis (22 febbraio 1964):

VI. L'insegnamento [presso il Pontificio Istituto Superiore di Latinità] dovrà comprendere un


numero adeguato di discipline principali e ausiliarie, atte ad introdurre gli alunni profondamente e
attraverso una metodologia scientificamente accreditata, nella migliore conoscenza dell'antica e più recente
Latinità. Detto insegnamento sarà accompagnato e sostenuto da un continuo esercizio dello scrivere Latino,
affinché gli alunni, non solo abbiano a possedere una solida conoscenza della lingua Latina, ma riescano
anche a scriverla in modo spedito, con purezza ed eleganza.

Nel 1967 apparve l’Istruzione Musicam Sacram del «Consilium» e della Sacra Congregazione dei
Riti:

7. Tra la forma solenne più completa delle celebrazioni liturgiche, nella quale tutto ciò che richiede
il canto viene di fatto cantato, e la forma più semplice, nella quale non si usa il canto, si possono avere
diversi gradi, a seconda della maggiore o minore ampiezza che si attribuisce al canto. Tuttavia nello
scegliere le parti da cantarsi si cominci da quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima
di tutto quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il popolo, o che devono essere cantate
dal sacerdote insieme con il popolo; si aggiungano poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli
o della sola «schola cantorum».

8. Ogni volta che, per una celebrazione liturgica in canto, si può fare una scelta di persone, è bene
dar la preferenza a coloro che sono più capaci nel canto; e ciò soprattutto quando si tratta di azioni
liturgiche più solenni, di celebrazioni che comportano un canto più difficile o che vengono trasmesse per
radio o per televisione.
27. Nella celebrazione dell’Eucaristia, con la partecipazione del popolo, specialmente nelle
domeniche e nei giorni festivi, si preferisca, per quanto è possibile, la forma della Messa in canto anche più
volte nello stesso giorno.

28. Rimane in vigore la distinzione tra Messa solenne, Messa cantata e Messa letta, stabilita dalla
Istruzione del 1958 (n. 3), secondo la tradizione e le vigenti leggi liturgiche. Tuttavia, per motivi pastorali,
vengono proposti per la Messa cantata dei gradi di partecipazione, in modo che risulti più facile, secondo le
possibilità di ogni assemblea liturgica, rendere più solenne con il canto la celebrazione della Messa. L’uso
di questi gradi sarà così regolato: il primo potrà essere usato anche da solo; il secondo e il terzo,
integralmente o parzialmente, solo insieme al primo. Perciò si curi di condurre sempre i fedeli alla
partecipazione piena al canto.

29. Il primo grado comprende:


a) nei riti d’ingresso:
— il saluto del sacerdote celebrante con la risposta dei fedeli;
— l’orazione;
b) nella liturgia della parola:
— le acclamazioni al Vangelo;
c) nella liturgia eucaristica:
— l’orazione sulle offerte;
— il prefazio, con il dialogo e il Sanctus;
— la dossologia finale del Canone;
— il Pater noster con la precedente ammonizione e l’embolismo:
— il Pax Domini;
— l’orazione dopo la comunione;
— le formule di congedo.

1. Il secondo grado comprende:


a) il Kyrie, il Gloria e l’Agnus Dei;
b) il Credo;
c) l’orazione dei fedeli.

2. Il terzo grado comprende:


a) i canti processionali d’ingresso e di comunione;
b) il canto interlezionale dopo la lettura o l’epistola;
c) l’Alleluia prima del vangelo;
d) il canto dell’offertorio;
e) le letture della sacra Scrittura, a meno che non si reputi più opportuno proclamarle senza canto.

32. L’uso legittimamente vigente in alcuni luoghi, qua e là confermato con indulto, di sostituire con
altri testi i canti d’ingresso, d’offertorio e di comunione che si trovano nel Graduale, può essere conservato,
a giudizio della competente autorità territoriale, purché tali canti convengano con il particolare momento
della Messa, con la festa e il tempo liturgico. La stessa autorità territoriale deve approvare il testo di questi
canti.

33. È bene che l’assemblea partecipi, per quanto è possibile, ai canti del «Proprio»; specialmente
con ritornelli facili o forme musicali convenienti.
Fra i canti del «Proprio» riveste particolare importanza il canto interlezionale in forma di graduale
o di salmo responsoriale. Esso, per sua natura, fa parte della liturgia della parola; si deve perciò eseguire
mentre tutti stanno seduti e in ascolto e anzi, per quanto è possibile, con la partecipazione dell’assemblea.

34. I canti che costituiscono l’Ordinario della Messa, se sono cantati su composizioni musicali a
più voci, possono essere eseguiti dalla «schola» nel modo tradizionale, cioè o «a cappella» o con
accompagnamento, purché, tuttavia, il popolo non sia totalmente escluso dalla partecipazione al canto.
Negli altri casi, i canti dell’Ordinario della Messa possono essere distribuiti tra la «schola» e il
popolo, o anche tra due cori del popolo stesso, in modo cioè che la divisione sia fatta a versetti alternati, o
in altro modo più conveniente, che tenga conto di sezioni più ampie del testo.
In questi casi, tuttavia, si tenga presente:

— Il Credo, essendo la formula di professione di fede, è preferibile che venga cantato da tutti, o in un modo
che permetta una adeguata partecipazione dei fedeli.

— Il Sanctus, quale acclamazione finale del prefazio, è preferibile che sia cantato, ordinariamente da tutta
l’assemblea, insieme al sacerdote.

— L’Agnus Dei può essere ripetuto quante volte è necessario, specialmente nella celebrazione, durante la
frazione del Pane. E’ bene che il popolo partecipi a questo canto, almeno con l’invocazione finale.

35. È conveniente che il Pater noster sia cantato dal popolo insieme al sacerdote. Se è cantato in
latino, si usino le melodie approvate già esistenti; se si canta in lingua volgare, le melodie devono essere
approvate dalla competente autorità territoriale.

36. Nulla impedisce che nelle Messe lette si canti qualche parte del «Proprio» o dell’«Ordinario».
Anzi talvolta si possono usare anche altri canti all’inizio, all’offertorio, alla comunione e alla fine della
Messa: non è però sufficiente che siano canti «eucaristici», ma devono convenire con quel particolare
momento della Messa, con la festa o con il tempo liturgico.

48. Là dove è stato introdotto l’uso della lingua volgare nella celebrazione della Messa, gli
Ordinari del luogo giudichino dell’opportunità di conservare una o più Messe in lingua latina, specialmente
in canto, in alcune chiese, soprattutto delle grandi città, ove più numerosi vengono a trovarsi fedeli di
diverse lingue.

Dei libri liturgici

Missale Romanum

Il vademecum del musicista liturgico dovrebbe essere composto, oltre che dai documenti di
Magistero, da un buon Missale Romanum, di cui dovrà conoscere a menadito le rubriche, e dai libri di canto.
In questo capitolo, forniremo indicazioni sul Missale Romanum.
Per quanto riguarda il Novus Ordo Missae, cioè il rito della Messa riformato dopo il Concilio
Vaticano II, occorrerà studiare l’Institutio Generalis Missalis Romani (tertia editio typica) [6], la quale è
venduta anche separatamente, in lingua italiana (cfr. Ordinamento generale del Messale Romano, 15 Maggio
2004, Libreria Editrice Vaticana, prezzo: EUR 7,88).
Poiché il nostro obiettivo era di occuparci della liturgia tradizionale, celebrata secondo le rubriche
del Missale Romanum nell'edizione tipica del 1962, promulgato dal Beato Giovanni XXIII, passiamo in
rassegna alcune tra le varie edizioni in commercio, facilmente reperibili.
Il Centro Liturgico Vincenziano di Roma (Tel. +39 063216114 - Fax +39 063221078) ha in catalogo
una ristampa anastatica del Missale Romanum Anno 1962 promulgatum [7].
L’Abbazia di Sainte-Madeleine presso Le Barroux, in Francia (Tel. +33 (0)490625631 - Fax
+33(0)490625605), ha in catalogo il Messale quotidiano per i fedeli, bilingue (latino-francese), con custodia,
Prefazione del Card. Joseph Ratzinger. 10 x 16 cm, 2088 pag. Prix (€) : 49,00.
La Fraternità di San Pio X è in attesa di ristampa di un Messalino quotidiano, bilingue (latino-
italiano).
Presso alcuni antiquari e in alcuni siti internet, son disponibili copie usate di Messalini editi negli
anni 50 e 60, con traduzione italiana e testo latino a fronte (per esempio, quelli del Can. Antonio Masini,
editi da Salani).
Chi naviga su internet, potrà visitare il sito http://www.ecclesiacatholica.com/ che riporta tutti i libri
liturgici in vigore nel 1962.
Libri di canto

Alla fine dell’Ottocento, circolavano delle ristampe del Graduale Mediceo (1614) [8], fatto
ristampare per iniziativa della Sacra Congregazione dei Riti (1868).
San Pio X promulgò una nuova edizione del Graduale Romanum (1908) [9] per il repertorio della
Messa e l’Antiphonale Romanum (1912) per il repertorio dell’Ufficio Divino.
Sino al Concilio Vaticano II, del Graduale Romanum restò in vigore l'editio typica promulgata sotto
San Pio X, via via adattata alle riforme che si susseguivano nel corso degli anni.
Non essendo semplice reperire un’edizione del Graduale Romanum aggiornata al 1962, i musicisti
potranno invece procurarsi in una libreria antiquaria o su internet un Liber Usualis [10], celeberrima
antologia di canti per la Messa e per l’Ufficio, secondo le rubriche ed i testi approvati dal Papa Giovanni
XXIII il 25 luglio 1960, perfetto per la celebrazione cattolica tradizionale secondo l’indulto Ecclesia Dei.
Per quanto riguarda i riti della Settimana Santa, riformati da Papa Pio XII nel 1955 col decreto
Maxima redemptionis, uno strumento indispensabile è l’Officium hebdomadae Sanctae [11], che contiene
tutte le melodie dell'Ufficio e della Messa, dalla Domenica delle Palme (compreso il mattutino) sino a tutta
l'ottava di Pasqua.
Sebbene avessimo circoscritto la nostra analisi alla liturgia tradizionale, bisognerà ricordare che nel
1974 uscì, sotto Paolo VI, il nuovo Graduale Romanum, adattato alle riforme liturgiche postconciliari;
accanto alla notazione quadrata (o “vaticana”) vi sono i neumi dei manoscritti di Laon e di San Gallo, in
edizione interlineare – il cosiddetto Graduale Triplex [12].
Uno studioso serio non può non conoscere questo volume. La semiologia gregoriana dovrà essere
uno strumento utile per la restituzione, anche e soprattutto nella liturgia tradizionale, delle melodie
gregoriane.
Ci limitiamo a queste poche, ragionevoli indicazioni; il repertorio gregoriano consta di oltre 5000
brani e sarebbe impensabile recuperarli tutti.

Del canto dell’Ufficio Divino

Vetus ordo

Fonti: Breviarium Romanum, M. Sodi – A.M. Triacca (edd.), Breviarium Romanum. Editio Princeps
(1568). Edizione anastatica, Introduzione e Appendice. Presentazione di S.E. Card. V. Noè, Lev, Città del
Vaticano 1999, pp. XXII + 1056, € 50,61.
Breviarium Romanum ex decreto Ss. Concilii Tridentini restitutum, Summorum Pontificum cura
recognitum. Editio iuxta typicam (editio typica), 1961. Ne esistono due versioni, entrambe autorizzate, che
utilizzano un diverso testo dei Salmi: una cum textu psalmorum e versione Pii Papae XII auctoritate edita,
l'altra cum textu psalmorum e vulgata Bibliorum edizione.
Lo studioso dovrà consultare il Caeremoniale Episcoporum, Clementis VIII, Innocentii X et
Benedicti XIII iussu editum. Benedicti XIV et Leonis XIII auctoritate recognitum. Editio prima post typicam;
Leçons de liturgie à l'usage des séminaires di L. Hébert, Paris 1952 (consultabile sul sito internet
http://www.ceremoniaire.net/).
Per quanto riguarda i libri di canto: Antiphonale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae Pro Diurnis
Horis (Liber Antiphonarius Pro Diurnis Horis), Romae, Typis Polyglottis Vaticanis, 1912.
Chi naviga su internet, visiti il sito www.nocturnale.de, ricco di partiture per l’Ufficio Divino.

San Pio X, nel “Motu proprio” Inter Sollicitudines, all’art. 11 prescrive:

b) Nell’officiatura dei Vesperi si deve ordinariamente seguire le norme del Cœremoniale


Episcoporum, che prescrive il canto gregoriano per la salmodia e permette la musica figurata pei versetti
del Gloria Patri e per l’inno.
Sarà nondimeno lecito nelle maggiori solennità di alternare il canto gregoriano del coro coi
cosidetti falsibordoni e con versi in simile modo convenientemente composti.
Si potrà eziandio concedere qualche volta che i singoli salmi si propongano per intero in musica,
purché in tali composizioni sia conservata la forma propria della salmodia: cioè purché i cantori sembrino
salmeggiare tra loro, o con nuovi motivi, o con quelli presi dal canto gregoriano, o secondo questo imitati.
Restano dunque per sempre proibiti i salmi cosidetti di concerto.

c) Negli inni della chiesa si conservi la forma tradizionale dell’inno. Non è quindi lecito comporre,
per es. il Tantum ergo per modo che la prima strofa presenti una romanza, una cavatina, un adagio, e il
Genitori un allegro.
d) Le antifone dei Vesperi devono essere proposte d’ordinario con la melodia gregoriana loro
propria. Se però in qualche caso particolare si cantassero in musica, non dovranno mai avere né la forma di
una melodia di concerto, né l’ampiezza di un mottetto e di una cantata.

E Pio XII nella Lettera Enciclica Mediator Dei raccomanda:

L'Ufficio Divino è, dunque, la preghiera del Corpo Mistico di Cristo, rivolta a Dio a nome di tutti i
cristiani e a loro beneficio, essendo fatta dai sacerdoti, dagli altri ministri della Chiesa e dai religiosi, a
questo dalla Chiesa stessa delegati. Quali debbano essere il carattere e il valore di questa lode divina si
ricava dalle parole che la Chiesa suggerisce di dire prima di iniziare le preghiere dell'Ufficio, prescrivendo
che siano recitate "degnamente, attentamente e devotamente” .
[…] Nel tempo antico l'assistenza dei fedeli a queste preghiere dell'Ufficio era maggiore; ma
gradatamente diminuì, e, come ora abbiam detto, la loro recita attualmente è riservata al Clero ed ai
Religiosi. A rigore di diritto, dunque, nulla è prescritto ai laici in questa materia; ma è sommamente da
desiderare che essi prendano parte attiva al canto o alla recita della ufficiatura del Vespro, nei giorni
festivi, nella propria parrocchia. Raccomandiamo vivamente, Venerabili Fratelli, a voi ed ai vostri fedeli,
che non cessi questa pia consuetudine e che si richiami possibilmente in vigore ove fosse scomparsa. Ciò
avverrà certamente con frutti salutari se il Vespro sarà cantato non solo degnamente e decorosamente, ma
anche in maniera da allettare soavemente in vari modi la pietà dei fedeli.

Novus ordo

Fonti: Antiphonale monasticum I, 2005, pro diurnis horis de temporis, 13,5 x 20,5, 608 p.; Liber
Hymnarius cum invitatoriis et aliquibus responsoriis (Antiphonale romanum tomus alter).
L'edizione dei canti per l'Ufficio notturno verrà approntata dai monaci benedettini di Solesmes tra il
2008 e il 2010.

Dall’Istruzione Musicam Sacram del «Consilium» e della Sacra Congregazione dei Riti:

37. La celebrazione in canto dell’Ufficio divino è la forma che maggiormente si addice alla natura
di questa preghiera ed è segno di una più completa solennità e di una più profonda unione dei cuori nel
celebrare la lode di Dio. Secondo il desiderio espresso dalla Costituzione sulla sacra Liturgia, questa forma
è caldamente raccomandata a coloro che celebrano l’Ufficio divino in coro o in comune.
È bene che essi cantino almeno qualche parte dell’Ufficio divino e in particolare le Ore principali,
cioè le Lodi e i Vespri, soprattutto la domenica e i giorni festivi.
Anche altri chierici che per ragione di studio fanno vita in comune, o vengono a trovarsi insieme in
occasione di esercizi spirituali o di altri convegni, santifichino opportunamente i loro incontri con la
celebrazione in canto di alcune parti dell’Ufficio divino.

38. Nella celebrazione in canto dell’Ufficio divino, fermi restando il diritto vigente per coloro che
sono obbligati al coro e ogni indulto particolare, può ammettersi il principio della solennizzazione
progressiva: si possono cioè cantare quelle parti che per loro natura sono più direttamente destinate al
canto, come i dialoghi, gli inni, i versetti, i cantici, e recitare le altre.

39. Si invitino i fedeli, e si educhino con una conveniente catechesi, a celebrare in comune, la
domenica e i giorni festivi, alcune parti dell’Ufficio divino, specialmente i Vespri o altre Ore, secondo la
consuetudine dei luoghi e delle varie comunità. Generalmente s’indirizzino i fedeli, e in particolare i più
istruiti, ad usare nelle loro preghiere i salmi, compresi nel loro senso cristiano, cosicché siano a poco a
poco iniziati ad usare e gustare maggiormente la preghiera pubblica della Chiesa.

40. Questa iniziazione sarà assicurata in modo particolare ai membri degli Istituti che professano i
consigli evangelici, affinché da essa attingano ricchezze più abbondanti per alimentare la loro vita
spirituale. Ed è bene che essi celebrino anche in canto, per quanto è possibile, le Ore principali, per
partecipare più intensamente alla preghiera pubblica della Chiesa.

41. A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, secondo la secolare tradizione del rito latino,
per i chierici sia conservata nell’Ufficio divino, celebrato in coro, la lingua latina.
Ma poiché la stessa Costituzione sulla sacra Liturgia prevede l’uso della lingua volgare nell’Ufficio
divino, sia per i fedeli che per le monache e i membri, non chierici, degli Istituti che professano i consigli
evangelici, si curi la preparazione delle melodie da usarsi nel canto dell’Ufficio divino in lingua volgare.

Un anno prima Paolo VI, nella Lettera Apostolica Sacrificium Laudis sulla lingua latina da usare
nell'Ufficio Liturgico corale da parte dei religiosi tenuti all'obbligo del coro, esortava:

Dalle lettere di alcuni di voi e da parecchie missive giunteci da varie parti siamo venuti a
conoscenza che i cenobi o le province da voi dipendenti - parliamo solo di quelle di rito Latino - hanno
adottato differenti modi di celebrare la divina Liturgia: alcuni sono molto attaccati alla lingua Latina, altri
nell'Ufficio corale vanno chiedendo l'uso delle lingue nazionali e vogliono inoltre che il canto cosiddetto
Gregoriano sia sostituito qua e là con canti oggi in voga; altri addirittura reclamano l'abolizione della
lingua latina stessa.
Dobbiamo confessare che tali richieste Ci hanno non lievemente colpiti e non poco rattristati; e vien
da chiedersi da dove sia sorta e, perché si sia diffusa questa mentalità e questa insofferenza in passato
sconosciuta.

Quale lingua, quale canto vi sembra che possa nella presente situazione sostituire quelle forme della
pietà cattolica che avete usato finora? Bisogna riflettere bene, perché le cose non diventino peggiori dopo
aver rinnegato questa gloriosa eredità. Poiché vi è da temere che l'Ufficio corale venga ridotto a una
recitazione informe, della quale voi stessi sareste certamente i primi a risentire la povertà e la monotonia.
Sorge anche un altro interrogativo: gli uomini desiderosi di sentire le sacre preci entreranno ancora così
numerosi nei vostri templi, se non vi risuonerà più l'antica e nativa lingua di quelle preghiere, unita al canto
pieno di gravità e bellezza? Preghiamo dunque tutti gli interessati, di ponderare bene quello che vorrebbero
abbandonare, e di non lasciare inaridire la fonte alla quale hanno fino ad oggi abbondantemente attinto.
Senza dubbio la lingua latina crea qualche, e forse non lieve, difficoltà ai novizi della vostra sacra milizia.
Ma questa, come sapete, non è da ritenere tale che non possa essere superata e vinta, soprattutto tra voi
che, più lontani dagli affanni e dallo strepito del mondo, potete più facilmente dedicarvi allo studio. Del
resto quelle preghiere permeate di antica grandezza e nobile maestosità continuano ad attrarre a voi i
giovani chiamati all'eredità del Signore; in caso contrario, una volta eliminato il coro in questione, che
supera i confini delle Nazioni ed è dotato di mirabile forza spirituale, e la melodia che scaturisce dal
profondo dell'animo, dove risiede la fede e arde la carità, il canto gregoriano cioè, sarà come un cero
spento che non illumina più, non attrae più a sé gli occhi e le menti degli uomini.

Di un concetto abusato: la “participatio actuosa”

La più volte citata Istruzione Musicam Sacram del 1967 ci spiega bene il concetto di “participatio
actuosa”.

Questa partecipazione:
a) deve essere prima di tutto interna: e per essa i fedeli conformano la loro mente alle parole che
pronunziano o ascoltano, e cooperano con la grazia divina;
b) deve però essere anche esterna: e con questa manifestano la partecipazione interna attraverso i
gesti e l’atteggiamento del corpo, le acclamazioni, le risposte e il canto;
Si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la partecipazione interiore,
mentre ascoltano ciò che i ministri o la «schola» cantano.

16. Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta,
esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si
manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine:
a) Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle
preghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici.
b) Con una adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca gradatamente il popolo ad una
sempre più ampia, anzi fino alla piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta.
c) Si potrà tuttavia affidare alla sola «schola» alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non
sono ancora sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo
non sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è da approvarsi l’uso di affidare per intero alla
sola «schola cantorum» tutte le parti cantate del «Proprio» e dell’«Ordinario», escludendo completamente
il popolo dalla partecipazione nel canto.

17. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio; per esso, infatti, i fedeli non sono ridotti a
partecipare all’azione liturgica come estranei e muti spettatori, ma si inseriscono più intimamente nel
mistero che si celebra, in forza delle disposizioni interne, che derivano dalla Parola di Dio che si ascolta,
dai canti e dalle preghiere che si pronunziano, e dall’unione spirituale con il sacerdote che proferisce le
parti a lui spettanti.

Vent’anni prima, Pio XII di venerata memoria scriveva:

Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più agevole e fruttuosa al popolo
cristiano la partecipazione al Sacrificio Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del
popolo il "Messale Romano", di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote, preghino con lui con le sue
stesse parole e con gli stessi sentimenti della Chiesa; e quelli che mirano a fare della Liturgia, anche
esternamente, una azione sacra, alla quale comunichino di fatto tutti gli astanti. Ciò può avvenire in vari
modi: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le norme rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del
sacerdote, o esegue canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l'una e l'altra cosa: o infine,
quando, nella Messa solenne, risponde alternativamente alle preghiere dei ministri di Gesù Cristo e insieme
si associa al canto liturgico.

[…] Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il "Messale Romano" anche se è scritto in
lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie
liturgiche. L'ingegno, il carattere e l'indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono
ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I
bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei
singoli. Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti cristiani non possono partecipare al
Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni
riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di
pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono
per la loro natura [13].

Conclusione

Nelle pagine precedenti abbiamo voluto fornire delle indicazioni bibliografiche e delle informazioni
storiche, musicali e liturgiche, sul canto gregoriano e la liturgia.
I Vescovi hanno il dovere di favorire, presso le Diocesi, la nascita delle Scuole diocesane di Musica
Sacra, auspicata dal Magistero di San Pio X, di Pio XII e del Concilio Vaticano II.
La Chiesa Cattolica ha il dovere di formare i musicisti di Chiesa, istruendoli da un punto di vista
liturgico e bandendo il dilettantismo cui siamo purtroppo avvezzi; dovrà altresì offrire loro un
riconoscimento ministeriale e contrattuale.
Sarebbe un bel cambiamento di rotta, che tutti noi, seguaci di Cristo, in comunione con tutta la
Chiesa, impetriamo dal Santo Padre Benedetto XVI, Vescovo di Roma e successore di Pietro.

Cagliari, 12 Marzo 2005, nella memoria del Santissimo Nome di Gesù

NOTE
[1] “Motu Proprio” Tra le sollecitudini del Sommo Pontefice Pio X sulla Musica Sacra (22 novembre 1903), art. 1.
[2] Ivi, art. 13.
[3] Ivi, art. 14.
[4] Pio XII, Musicae Sacrae Disciplina, 25 dicembre 1955.
[5] Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia (1963).
[6] Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli pp. VI
promulgatum, Ioannis Pauli pp. II recognitum - 18 Marzo 2002, Libreria Editrice Vaticana - Prezzo EUR 189,00.
[7] B.E.L. - SUPPLEMENTA (ILQ) - 2. Missale Romanum anno 1962 promulgatum. Reimpressio, introductione aucta
curantibus Cuthbert Johnson, o.s.b. & Anthony Ward, s.m. 1994. Prezzo: EUR 36,15 euro.
[8] E’ ripubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. Giacomo Baroffio – Manlio Sodi (edd.), Graduale de Tempore
iuxta Ritum Sacrosanctae Romanae Ecclesiae. Editio Princeps (1614). Edizione anastatica, Introduzione e Appendice.
Presentazione di G. Cattin, Lev, Città del Vaticano 2001, pp. XL + 631, EUR 50,61.
G. Baroffio – E.J. Kim (edd.), Graduale de Sanctis iuxta Ritum Sacrosanctae Romanae Ecclesiae. Editio Princeps
(1614-1615). Edizione anastatica, Introduzione e Appendice, Lev, Città del Vaticano 2001, pp. V + 724, EUR 50,61.
[9] Graduale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae de Tempore et de Sanctis SS. D. N. PII X. Pontificis Maximi Jussu
restitutum et editum ad exemplar editionis typicae concinnatum et rythmicis signis a solesmensibus monachis diligenter
ornatum.
[10] Liber Usualis Missae et Officii pro dominicis et festis - cum cantu Gregoriano - ex editione Vaticana adamussim
excerpto - et rhythmicis signis in subsidium cantorum a Solesmensibus monachis diligenter ornato. Desclée & socii - s.
sedis apostolicae et sacrorum rituum congregationis typographi - Parisiis-Tornaci-Romae-Neo Eboraci 1962.
Imprimatur: Tornaci, die 26 Octobris 1961. P. XC, 1882, 102*, 14, 16.
[11] Officium Hebdomadae Sanctae et octavae Paschae cum cantu iuxta ordinem Breviarii, Missalis et Pontificalis
Romani, Editio Typica – Typis Poliglottis Vaticanis – 1957-58.
[12] Graduale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae de Tompore et de Sanctis: Primum Sancti Pii X Iussu Restitutum et
Editum, Pauli VI Pontifices Maximi Cura Nunc Recognitum: Ad Exemplar Dispositum. Rhythmicis Signis a
Solesmensibus Monachis Diligenter Ornatum. Solesmis: Abbatia Sancti Petri, 1974. pp.918.
[13] Pio XII, Lettera Enciclica Mediator Dei, 1947.

IL PAPA AMA IL LATINO: GLI ORGANISTI ESULTANO


A commento del saggio di Raimondo Mameli riportiamo una nota di un famoso organista tratta dal Forum dell’AIOC:

Cari Lettori,
recentemente ho sentito uscire dalla bocca di un sacerdote di poco più di 40 anni che la lingua latina, morta
da secoli, è improponibile nella liturgia contemporanea! Forse che gli studia latinitatis debbano essere
aboliti nei Seminari, perché ci sono urgentiora?! Credo che Benedetto XVI non sarebbe d'accordo: leggete
sotto! Cordialmente Vostro
M° Paolo Bottini, segretario Associazione Italiana Organisti di Chiesa. (http://www.organisti.it/)
Cremona, il 1° di marzo A.D. 2006

CITTA' DEL VATICANO, 22 FEB. 2006 (VIS). Nei saluti particolari al termine dell'Udienza Generale di
oggi, il Papa si è rivolto agli studenti della Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche della Pontificia Università
Salesiana di Roma esprimendosi per la prima volta in lingua latina: “Giustamente i nostri predecessori” - ha
ricordato il Santo Padre – “avevano sollecitato lo studio della grande lingua latina per poter apprendere
meglio la dottrina salutare che si trova nelle discipline ecclesiastiche e umanistiche. Nello stesso modo – ha
concluso - incitiamo a continuare questa attività affinché quanti più possibile possano accedere a questo
tesoro e ne possano percepire l'importanza”.
Fonte: V.I.S. - Vatican Information Service Copyright © VIS – Vatican Information Service - 00120 Città del Vaticano.

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