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Genio e Regolatezza
Il Concerto in Sol di Maurice Ravel
Cesare Marinacci
Il concerto in sol a due mani, è un concerto nel senso proprio del termine ed è scritto
secondo lo spirito di quelli di Mozart e di Saint-Saens. Penso, infatti, che la musica di un
concerto debba essere gaia e brillante, senza pretendere di scendere in profondità o di rag-
giungere effetti drammatici. Si è detto di alcuni grandi musicisti che i loro concerti sono
concepiti non per il pianoforte ma contro il pianoforte; per conto mio, considero questo
giudizio come perfettamente motivato. All’inizio pensavo di intitolare la mia opera “Diver-
tissement”, poi ho sentito che non ce n’era bisogno, dato che il titolo di concerto è suffi-
cientemente esplicito per quanto riguarda il carattere della musica che lo compone; sotto
alcuni aspetti il concerto presenta una certa relazione con la mia sonata per violino; pre-
senta anche alcuni elementi chiesti in prestito al Jazz, ma con moderazione...1
Questa la dichiarazione con cui lo stesso Ravel intendeva sommariamente pre-
sentare il suo concerto, in un’intervista al Daily Telegraph del 1931, evidenzian-
done i caratteri di semplicità e chiarezza. Una dichiarazione che avrebbe certa-
mente confortato lo Stendhal il quale aveva affermato: «...i compositori che ardo-
no dalla voglia di distinguersi cadono nella ricercatezza, nella stravaganza, nell’ir-
ragionevolezza e cercano di stupire più che commuovere. Le difficoltà dei concerti
e la noia da essi prodotta invadono ogni cosa. Il peggio è che l’abitudine ai cibi
preparati con tutte le spezie dell’India ci rende insensibili al profumo di una sem-
plice pesca».
Avrebbe confortato anche Gabriel Fauré, il grande maestro di Ravel scomparso
nel 1924, il quale ammoniva l’allievo contro i pericoli di una ricerca esasperata
dell’effetto a discapito della coerenza, talvolta criticandone alcune scelte anche
forse troppo severamente: «ecco quali sono i risultati dei procedimenti, detti musi-
cali, del momento […] è incontestabile che Ravel e i suoi, nelle loro forme, non
conoscono che la prodigalità, e non molto altro prodigano che grandi effetti»2.
Ravel, nel suo cammino, senza rinunciare alle preziosità di una sensibilità armo-
nico-timbrica senza pari, raggiungerà un’ideale sintesi di originale ricerca espressi-
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3 Il concerto in Re per la mano sinistra venne concepito per il pianista Paul Wittgenstein, fratello del filo-
sofo, che aveva perduto l’uso di un arto in guerra. Fu eseguito il 27 novembre 1931 tuttavia in una versione ini-
zialmente semplificata rispetto all’impervio originale.
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Esempio 1
Ravel manifesta chiaramente il suo pensiero ed il suo sentire, anzi non vuole sia
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frainteso. Tuttavia la cura maniacale del particolare grafico, così come dell’indica-
zione dinamica e dell’agogica codificata, lungi dal manifestare un’ironia irrinun-
ciabile, pericoloso viatico per l’aridità espressiva ed intellettuale, confermano una
tale voluttà di passioni, sfumature di sentimento e ricchezza di pensiero da non po-
ter essere lasciate al caso, tanto meno all’arbitrio interpretativo. Tutto ciò è pre-
sente nel Concerto in Sol: divertimento e non dileggio, curiosità del nuovo e dell’e-
sotico ma non collezionismo di chincaglierie, sentimento e non languore, passione
della ragione. In questo rigore creativo certamente si ode la voce paterna del mae-
stro Fauré il quale tuttavia per tante ragioni si era chiuso, nell’ultima parte della
sua opera, in un ascetismo solitario e lontano, costellato di bagliori improvvisi ma
anche di troppe rinunce7.
Ricerca continua dunque, l’arte si nutre di tirocinio, di artigianato. Non impor-
ta se poi il cammino si spinge lontano o addirittura in altre direzioni. Ogni materia
può essere plasmata ed esprimere un’assoluta e genuina beltà. In effetti, anche ri-
guardo al Concerto, dell’antico progetto di rapsodia su temi baschi non rimane
molto, se non forse, la meravigliosa varietà d’idee che s’intrecciano nell’andamen-
to. Come il modello Mozart anche Ravel inserisce numerosi incisi secondari, di
grande bellezza e pregnanza, che spesso appare riduttivo indicare come idee acces-
sorie o elementi di transizione; come in Mozart si può pensare a veri e propri ‘grup-
pi tematici’. La propulsione ritmica, peculiare della poetica di Ravel, si propone
originalmente in questo brano come componente preponderante nel primo e nel
terzo movimento, ma anche nel secondo, come elemento più velato e sfuggente.
Come anticipato dal musicista stesso troviamo ‘con moderazione’ il jazz alla ‘ma-
niere de Ravel’; il compositore mostra, indagando vari significati della tecnica ‘pa-
rodia’, da un lato un materiale distillato e rielaborato, dall’altro quella frizzante di-
sinvoltura da music-hall, quasi da ‘circo equestre’, passatempi tanto di moda nella
musica francese che Satie e i ‘Sei’ sé n’eran fatti un’esclusiva, sviluppando i sugge-
rimenti pittorici di Serat e Toulouse Lautrec.
Ravel si distingue ancora; egli non intendeva essere monocorde, tantomeno
stravagante, dunque gli basta l’evocativo colpo di frusta iniziale per dare l’avvio ad
un rapsodico intreccio d’agili figure ed apparizioni collegate da fili sottili quanto
resistenti. Con grazia e agilità si fondono immagini sonore apparentemente lonta-
ne, facilmente si passa dalle intonazioni jazzistiche, con la peculiare partecipazione
in ‘sordina’ delle trombe, ai ‘clacson blues’, scorrendo poi in più elitarie remini-
scenze da Tombeau de Couperin. Il compositore, rispetto anche al concerto in Re,
ritrova serenità ed una ‘sostenibile’ leggerezza dell’essere. Si riscopre il Ravel che
sottintende, che si lascia scoprire a poco a poco, che scherza con se stesso da raffi-
7 La produzione pianistica di Gabriel Fauré è convenzionalmente divisa in tre periodi: al primo appartengo-
no le composizioni più spiccatamente romantiche per scrittura e linguaggio, al secondo pagine più riflessive come
il Sesto Notturno, al terzo composizioni meditative da più difficile ascolto, dalle linee scarne e severe, che nulla
più hanno dell’efflorescente e carezzevole pianismo tardo romantico.
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ne questa, che Ravel usa di frequente per sfumare l’affermatività di talune cadenze.
L’arpeggio della mano sinistra è, invece un rivolto di Re#7 seconda specie. Si cerca,
dunque, un tappeto dalle sonorità cristalline ed impalpabili, costruito su arpeggi
bitonali, mentre l’orchestra amplifica questa evanescenza, riprendendo, in accordi
pizzicati, le armonie del pianoforte.
Esempio 2
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Esempio 3
Esempio 4
In Ravel, come anche in Fauré, l’utilizzo delle scale modali, più che un esotismo
archeologico, rappresenta un espediente per rendere ingannevole il cammino ar-
monico e soprattutto differire le cadenze; il suo interesse si concentra sull’ambi-
guità maggiore-minore, inoltre sfuma la chiusura dei periodi degradando le sensibi-
li, talvolta omettendo direttamente la terza o gli elementi caratterizzanti di un ac-
cordo e preferendo agglomerazioni costituite solo dal basso accordale e dalle ten-
sioni, come nella ritmata parte centrale del primo movimento dove abbiamo ad
esempio su basso Do l’armonia Re#-Fa#-Si, dunque 9# 11# 7 in tono di Do.
Il pianoforte dopo aver svolto la turbinante introduzione con l’orchestra propo-
ne ora un momento in cui la scrittura è molto rarefatta ed intima, talvolta mono-
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dica quasi a ricordare il canto solitario dell’Ondina di Gaspard de la Nuit. Ecco Ra-
vel che comincia a scherzare con se stesso quando quel canto morbido, qui rievo-
cato, viene disturbato dalle prime pulsazioni della mano sinistra e poi da un ele-
mento ancor più estraneo. Tornerà questo piccolo ossimoro espressivo, più volte,
in particolare nel secondo tema e nei momenti più sognanti, come ad alleggerire
un ragionamento che va a farsi troppo serio, come a dire ‘ma va’ la’.
Esempio 5
Esempio 6
Ad una prima frase serena, giocata sugli elementi fondanti degli accordi, usati
quasi come appoggiature verso le tensioni, segue un secondo periodo di sapore ma-
linconicamente modale che sfrutta un movimento plagale nel relativo minore elu-
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Esempio 7
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Esempio 8
Nel ‘fortissimo’ una breve cadenza solistica, dopo l’evocazione di un VIb con
enarmonica ‘sesta tedesca’, annuncia la ripresa in Sol (batt. 173). Lo sviluppo eb-
bene non presenta subito modulazioni forti e improvvise, in quanto si apre con
l’ambiguo Fa# pedale gravitazionale, per poi dirigersi metodico verso toni lontani e
presentando il maggior movimento poco prima della ripresa, anzi sfociando in es-
sa. Si tratta di una scelta di equilibrio formale ancora una volta tanto efficace
quanto apparentemente semplice. Ravel ci seduce ingannando la nostra percezio-
ne del particolare, talvolta cambia semplicemente la cornice della sua figura sono-
ra, talaltra accende unicamente un colore, di tanto in tanto sposta disinvolto il di-
pinto su un’altra parete senza informarci e dunque sorprendendoci con l’evidenza,
quella disarmante del genio.
Finalmente è il pianoforte ad esporre il tema principale con una danza fra le
mani di pieni accordi, quasi una gioiosa fanfara. Si ripete l’andamento iniziale con
il secondo gruppo melodico esposto alla dominante secondaria (La) e la ‘nuance
frigia’ sciolta in un melisma quasi iberico; enfatica, la sigla blues incornicia un suc-
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cessivo quadro dall’atmosfera irreale: ecco emergere dei glissandi fantastici dell’ar-
pa nuovamente il canto dell’Ondina derivato dal secondo tema, un canto affidato
agli armonici su un drappo steso dagli archi la cui dolcezza viene ancora disturbata
da arpeggi bimodali e frullate d’ottavino a sproposito, rimandata, per meglio assa-
porarla nella attesa cadenza solistica. Il tema è ripreso dal corno che segue l’incan-
to di un tempo dilatato dal cambio della misura, da binaria a ternaria, dal sapiente
uso di sincopi e contraccenti; stavolta il compito di diffondere una luce morbida e
fatata è affidato ai fiati: fagotto, flauto, clarinetto e infine, oboe. La battuta 231
propone il lirico secondo tema nella consueta tonalità principale, avvolto da ar-
peggi, trilli, in un notturno paesaggio che ricorda certe opere di Chopin e del pri-
mo Fauré. L’iniziale visione è sognante, la seconda appassionata, il tema viene av-
volto dall’orchestra in un crescendo breve, meraviglioso e crudelmente struggente
perché ci lascia soavemente inappagati, come in un sogno da cui ci si desta troppo
in fretta; il risveglio è affidato ad una cascata d’arpeggi bitonali che ripropongono
lo spirito iniziale, cambiano repentinamente scena e ci guidano al finale. Dall’oasi
onirica rientriamo presto nella città strombettante. Riappare presto l’impulso rit-
mico su un altro basso ‘ostinato’ di La, che poco ha in comune con le armonie so-
vrastanti, fino alla modulazione in Sol minore, dove risuona ancora il primo tema;
con sempre maggiore forza propulsiva ricomincia il gioco degli equivoci tonali,
delle terze bimodali, degli urti dissonanti e percussivi e, infine, ancora la progres-
sione per quarta sui bassi di Sol-Do, Fa-Sib, armonizzati con settime alterate, fino
ad arrivare ancora sul Mib che ripropone il frammento in comune col terzo movi-
mento. Stavolta non è un VI grado che risolve sulla dominante bensì sul IV, fun-
zionalmente ancor più semplice ma come al solito inaspettato. Il riavvicinamento
tramite note comuni passa per il VI e il III grado con triadi, dominate secondaria,
dominante con ritardi non risolti e infine tonica sul tema principale che risuona
gioioso nella voce della tromba finché non intervengono il pianoforte, con l’ar-
peggio rovesciato rispetto all’inizio, e l’orchestra a pieni accordi a chiudere il mo-
vimento su un frammento di scala napoletana, come parodiando un’orchestrina di
varietà che chiude pomposamente un Can-can.
Esempio 9
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Esempio 10
II mov 1-7
I mov. 142
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Più che un segnale ritmico formale, appare la stessa intenzione, un’ebbrezza che
si materializza; ancora la consonanza breve a favore di un’apertura, quel timido di-
sagio quando il La naturale urta con il Sol# dell’accompagnamento, una vaghezza
inappagata che si compiace del piccolo dolore. La seconda, maggiore o minore,
uno degli intervalli preferiti da Ravel per la sua valenza timbrica ed armonica, uno
spigolo, un dubbio o una carezza come nella seconda battuta, una piccola fitta co-
me nella quarta, ma anche un ripiegamento tenerissimo e intimo subito dopo.
Stesso materiale completamente ripensato, un’altra sorpresa. Sorprendente è an-
che il canto che si leva da questo ritmo, un canto spoglio, intimo, commovente,
estremamente espressivo e inesauribile, un canto come raramente da tempo si tro-
vava in Ravel8.
Come riferisce Marguerite Long, pare che quest’infinita melodia sia stata con-
cepita attraverso molte fatiche e ripensamenti, eppure, la spontaneità di questa ar-
caica sarabanda, che evoca il ricordo delle Gymnopedies di Erik Satie, è così disar-
mante da far pensare ancora una volta che sia sgorgata naturalmente sotto le dita
di Ravel.
La voce, la poesia, i sensi, la storia del musicista, tutto s’idealizza, divenendo più
impalpabile e tralucente; anche il tempo sembra fermarsi incantato ad ascoltare
quella melodia del pianoforte che, in un intimo monologo, continua in modo qua-
si serafico per ben 33 battute, finché la solennità diventa struggente sul sereno ca-
denzare del solista, quando la voce di un flauto lontano viene a posarsi sul ‘respiro’
degli archi, come un dono dal cielo…la melodia assume il timbro di un oboe e poi
di un clarinetto prima di tornare al flauto che conduce verso un sereno e luminoso
Re diesis maggiore.
La parola torna al pianoforte che propone dei raffinati contrasti tra melodia ed
armonia. Ravel ricrea per due volte una situazione di ‘disagio’, insistendo esplicita-
mente sulla bimodalità da un lato, presentando il tono Re# con Fa# e Fa##, dall’altro
disturbando la sensibile presentando il settimo grado contemporaneamente nella
melodia. Le figurazioni qui utilizzate ed in parte variate dal tema, introducono ed
anticipano la sezione B che inizia alla battuta 58.
Esempio 11
8 Ravel stesso confida in una lettera di aver constatato una svolta, verso un processo di semplificazione e di
nuova ispirazione melodica a partire dalla Sonata per Pianoforte e Violino del 1927.
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Esempio 12
Nella ripresa della prima sezione le figure efflorescenti del pianoforte evocano
un sereno paesaggio, ricordando in parte anche l’adagio del primo concerto in Mi
m. di Chopin; il tema, stavolta, è affidato al timbro malinconico ed ovattato del
corno inglese, che lo rende ancor più vibrante, toccando i vertici di un lirismo
senza pari, in cui maggiore è la semplicità, maggiore lo struggimento.
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Quattro decisi accordi dei fiati su rullo di tamburo ci destano quasi ‘dispettosa-
mente’ dal miraggio a cui ci eravamo abbandonati; si ripresenteranno in seguito
come un motto ricorrente ed unificatore del terzo movimento.
Esempio 13
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Esempio 14
Il richiamo ‘formale’ porta di nuovo a Mozart per l’abbondanza d’idee che si sus-
seguono, e talvolta s’incalzano, durante il brano. L’effetto frenetico ricorda certi
lavori di Gershwin, come la Second Raphsody o An american in Paris ma anche di
Stravinskij, con quell’entrata così a sproposito e ribadita ancor più stridente, subi-
to dopo, dall’ottavino; potrebbe far pensare ad un’evocazione di quella vita vivace
e frenetica che tanto aveva colpito Ravel nella ‘città’ statunitense; qui si tratta di
un francese a New York, ed infatti il profilo di questo ‘marameo’ ricorda meglio la
smaliziata irriverenza di un ‘gigolò’ che uno spaesato viandante nel traffico, forse
ancor meglio il brulichio indistinto di un esuberante quartiere parigino.
Dopo la riproposta del motto, si ode un nuovo spunto melodico avvicinabile a
quelli del primo movimento (es. battuta 160 e seg.). L’idea è ritmicamente ben
marcata, fatta d’accordi congiunti in terza posizione melodica, che rende evidenti
le quinte parallele ed un certo carattere ancora rusticano; il motivo è ripreso dal-
l’orchestra e il pianoforte lo fregia di ribattuti, fino ad arrivare ad un episodio in
cui il solista dialoga fittamente con i legni. Siamo alla misura 57: ancora le semi-
crome del tema cicalano tra loro sulla scala lidia esposte prima dai fiati poi dal so-
lista modulando al Fa maggiore che facilmente si muta in Do e cede sul Si dove il
‘motto’ chiude anche questa sezione.
Comincia un effettivo sviluppo, come nel primo movimento improvvisamente
ad un tono lontano, un variopinto episodio centrale ove tutto ciò che interviene è
l’elaborazione modulante degli elementi precedenti: forse anche l’episodio che
apre la battuta 78, non è del tutto nuovo! Il metro è mutato in 6/8 e ciò permette
di rendere ‘in tempo’ la risata che si presentava in terzine alla diciannovesima mi-
sura, dandole dignità tematica, e di dilatare il ritmo degli accordi alla mano sini-
stra, derivati dal ‘motto’. Ravel crea su questo schema un’apparenza di fanfara,
aperta dalla tromba, in cui lo stridore delle armonie esalta l’aspetto ‘bandistico’.
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Esempio 15
Dopo una ‘americana’ figurazione discendente degli ottoni, che ripropone per
aumentazione il secondo spunto tematico (batt. 37), il tema è riproposto dal soli-
sta in Si maggiore con risposta al tritono; al pianoforte è affidata l’ombra del tema
che si cela nelle risposte, rapidi arpeggi e ottave spezzate, per riaffiorare più chiara-
mente a sprazzi. In questa sezione è il ‘motto’ad operare una serie di modulazioni
siglando gli episodi: prima alla battuta 123, giungendo ad un Si carico della 13° e
poi alla 135 in Sol# con la 9° di dominante nella cadenza. Il tema in semicrome si
maschera nella frase successiva, assumendo pressoché le fattezze di un virtuosistico
e politonale rag-time, su una progressione prima per salti, poi cromatica fino a ri-
solvere su un Mib, insistente VI grado abbassato che come nel primo movimento
annuncia la ripresa.
Esempio 16
La prima ripresa è introdotta dal fagotto, o meglio dal fagottista, cui è impieto-
samente affidato il tema principale (batt. 154). Non era raro che Ravel chiedesse
ai propri interpreti fraseggi inconsueti o ‘fuori tecnica’ – persino gli eletti pianisti
soffrono un po’ nell’affrontare i glissati doppi dell’Alborada – eppure anche i mi-
surati ‘tentennamenti’ di fronte ad una scrittura inconsueta sono calcolati e volu-
ti; non la virtuosità nel superare un ostacolo deve scaturirne, quanto l’umanità
nell’affrontarlo. Dunque l’esplorazione dei propri limiti creativi si esplicava tran-
quillamente anche nell’approfondimento dei limiti altrui, ricorda Marguerite
Long:
«…ai legni e agli ottoni sono richiesti vari virtuosismi…ripenso allo sgomento del fa-
gottista, quando alle prove dovette decifrare la sua parte del ‘finale’ e sentir chiedere da
Ravel, serenamente, di prendere un movimento estremamente veloce…un autentico eser-
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cizio d’alta scuola che faceva impallidire d’angoscia l’infelice professore, sorridere l’ascolta-
tore e risplendere il pianista, lì pronto a riprendere lo stesso tema con la disinvoltura degli
eletti…».9
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pianto; diversamente da Jeux d’eau, ove si presentava lo stesso espediente come ri-
sorsa timbrica, stavolta c’è anche un significato rivelato dal continuo gioco tra le
‘seconde’ del concerto…resta dunque come una firma definitiva dell’aura ‘chiara-
mente oscura’ di tutta l’opera.
Ravel ci sorprende con il dejavu, la sua musica c’invia messaggi subliminali du-
rante lo svolgimento, segnali di cui non ci accorgiamo ma di cui, senza sapere, de-
sideriamo quel manifestarsi che puntualmente ci rapisce… è come un fiore che
sboccia pian piano, lentamente esso si dipana, non vediamo i petali schiudersi, lo
immaginiamo, eppure, come dal nulla sorpresi, ammiriamo al mattino, solo il suo
luminoso incanto.
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