Pericoli attuali;
Pericoli potenziali.
Per il primo punto non possiamo fare a meno di ricordare il terrorismo,
dapprima volto a colpire singoli individui per ragioni di tipo politico (ad
esempio), il quale oggi ha assunto un target di vittime ben più ampio (vedi
l’attentato alle Twin Towers di New York dell’11 settembre 2001).
Ciò che più colpisce, al di là dell’analisi dei pericoli di cui sopra, è che questi non
possono essere
Punto di partenza delle indagini è analisi prove, uno studioso fece notare la
difficolta nel capire testimonianza vera e falsa.
Un caso particolare è la prova del DNa che pero risulta non infallibile,
dichiarato nel 1967.
Sono queste le premesse per lo sviluppo dei principi enunciati in America dalla
celebre sentenza del Daubert del 1993: I giudici, debbono pronunciare le loro
decisioni sull’affidabilità delle ipotesi scientifiche basandole sul doppio criterio,
induttivistico e falsificazionista, dell’alto grado di conferma e della provvisoria
corroborazione, ottenuta attraverso il superamento dei tentativi di falsificazione.
Hart e Honoré :se dietro alla massima utilizzata non si celano dei precisi
enunciati scientifici o se il giudice non interpella il magazzino della scienza per
capire se ci sono dei controesempi verranno a mancare le condizioni per una
selezione giuridica delle massime di esperienza da utilizzare.
Secondo una prima versione, il problema della verità nel processo, va risolto
ricorrendo ad un calcolo quantitativo delle probabilità, che consenta di
prospettare l’ipotesi sul fatto come ipotesi probabilmente vera.
Lex Afferma che l’imputato deve essere assolto se l’accusa non ha dato la prova
oltre ogni ragionevole dubbio; in questa regola risiede il potente criterio
probatorio e di giudizio che consente di dar vita concreta alla massima per cui è
molto meglio lasciar libero un colpevole che condannare un innocente.
Sent 2002 sez unite penali corte suprema : l’incertezza del riscontro probatorio
sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio sulla reale
efficacia condizionante della condotta omissiva del medico, comportano la
neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del
giudizio.
Es: Sulla piazza c’è un impiccato, condannato a morte dal giudice. Solo dopo
l’esecuzione della pena, si scopre che l’impiccato era innocente; dunque la
sentenza era ingiusta. Chi, si chiede Calamandrei, è responsabile di aver
assassinato quell’innocente? Esaminiamo le posizioni di legislatore e giudice. Il
primo sostiene di aver la coscienza tranquilla, poiché la sentenza è un sillogismo
di cui ha soltanto costruito la premessa maggiore, un’innocua formula ipotetica
generale ed astratta; chi l’ha assassinato è stato il giudice, perché è colui il quale
dalle premesse innocue ha tratto la conclusione sbagliata. Il secondo, invece,
sostiene di non aver colpa poiché la sentenza è un sillogismo dal quale non ha
fatto altro, il giudice, che estrapolare la conclusione dalla premessa imposta dal
legislatore; chi l’ha assassinato, dice il giudice, è stato il legislatore con la sua
legge, la quale era già una sententia generalis, in cui anche la condanna di
quell’innocente era racchiusa. CONCLUSIONE (di Calamandrei): Questa non
può essere la giustizia di una democrazia: questo non può essere il giudice degno
della Città degli uomini liberi.
Tut vittime di oggi e di ieri nella prospettiva del modello del danno e della
causalità e subito dopo il problema della tutela delle vittime del
“futuro” .Rispetto al primo problema, gli studiosi del mondo intero sono
unanimi nel riconoscere che le questioni dei danni provocati dal moderno assetto
industriale presentano un ampio grado di incertezza scientifica . poiché anche la
regola del più probabile che no incontra degli ostacoli insormontabili nella prova
della responsabilità individuale, il modello tradizionale dell’illecito civile viene
piegato alle esigenze della modernità e trasformato in un nuovo modello in cui a
quella regola ed al relativo onere a carico dell’attore, vengono affiancate altre
regole, quali quella dell’inversione dell’onere probatorio, della quota di mercato,
della proporzionalità, ecc.
Cap 2 ROORD
In Germania grazie a Stree nel 1962, il quale con la sua opera pone le basi per
una riflessione la quale farà approdare la dottrina tedesca a conclusioni
sostanzialmente identiche a quelle della dottrina liberale italiana dell’Ottocento
e del periodo anteguerra del Novecento. Anche per Stree: E’ meglio lasciare
impunito il delitto di un colpevole, piuttosto che condannare un innocente,
attraverso l’applicazione della regola di giudizio “nel dubbio a favore
dell’imputato”.
valori messi in gioco dal processo penale medesimo: la dignità umana, il diritto
di ogni individuo al rispetto della comunità, l’attenzione sociale. Questi valori,
sono annientati dal processo penale, in virtù del biasimo morale che ogni
sentenza di condanna reca con sé. Il potere punitivo, deriva dal diritto dello
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Stato di garantire l’ordine giuridico, di infondere la sua forza, di garantire
l’ordine morale fondamentale e di proteggere la collettività. Conclusioni di
Stree: Le leggi penali stabiliscono in sostanza che chi ha fatto questo e questo,
viene punito così e così; non dicono “chi ha presumibilmente fatto questo e
questo, viene punito così e così” .
Il libero convincimento, quindi, deve cedere il passo alla legge, cioè alla regola
dell’oltre il ragionevole dubbio. Qui sta la distanza tra i due tipi di ordinamento;
mentre nei sistemi di diritto continentale la protezione dell’innocente tende a
restare confinata nel limbo della enunciazione dei principi, dottrinali e
costituzionali, nei paesi di common law è diventata “diritto vissuto”
nell’esperienza giudiziaria di tutti i giorni.
Ogni società di uomini liberi, deve avere al centro delle sue preoccupazioni la
protezione dell’innocente, anche per un’altra ragione potente: è importante che
ogni cittadino nell’occuparsi dei suoi affari ordinari abbia fiducia che la società
cui appartiene non promuoverà nei suoi confronti processi penali per condotte
legali.
La risposta è la seguente: la legge chiede che la giuria, nel caso di un delitto, sia
certa oltre ogni ragionevole dubbio della colpevolezza dell’accusato, prima di
condannarlo; in questo senso, le prove richieste nelle cause penali dimostrano
una preferenza per l’errore di tipo 2, vale a dire l’accettare l’ipotesi nulla –
l’innocenza – quindi la preferenza per il rischio di assolvere un colpevole.
Nel caso Simpson affermato che: il ragionevole dubbio non è un mero dubbio
possibile, perché qualsiasi cosa si riferisca agli affari umani è aperta a qualche
dubbio possibile o immaginario. E’ quella situazione che, dopo tutte le
considerazioni, lascia la mente dei giurati nella condizione in cui non possono
dire di provare una convinzione incrollabile sulla verità dell’accusa.
13
L’importanza del processo Simpson, dimostra che tutto il processo penale ruota
attorno all’oltre ragionevole dubbio. O.J. Simpson, accusato di aver ucciso la
moglie Nicole ed il suo nuovo compagno, tutti e due bianchi, è stato assolto in
sede penale e condannato al risarcimento in sede civile. Trovato guanto, ma
messo sul posto dalla pula magari x motivi raziali. Guanto no sue dimensioni.
Il giudice, davanti alla regola dell’oltre il ragionevole dubbio non può concepire
la sentenza alla stregua di un sentimento, come manifestazione della sua
intuizione. Egli, deve rinunciare alle convinzioni che si formano nel crogiuolo del
suo spirito, alle sue intuizioni, emozioni, sentimenti: ciò che la legge gli impone, è
di stabilire se le prove presentate dall’accusa, oggettivamente considerate,
lasciano spazio a dei dubbi, anche se questi non sono sostanziali, gravi.
L’accusa deve provare al di là del ragionevole dubbio, significa dire che l’accusa
ha l’onere di persuadere il giudice che la ricostruzione dei fatti prospettata non
lascia spazio a dubbi ragionevoli.
PARTE II Capitolo I
Tutela delle vittime, può solo significare risposta vendicativa oppure una
risposta con finalità di deterrenza o rieducative; come tale, riferibile non
soltanto alle vittime che hanno già subito il danno, ma a possibili vittime future.
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La prova della causalità e della colpevolezza oltre il ragionevole dubbio, non
trova neppure ai nostri giorni cittadinanza nei processi penali che si svolgono
nell’Europa continentale, perché il giudice continua a decidere secondo il
proprio personale convincimento. I giudici europei, insomma, non vogliono
barriere al proprio libero convincimento, perché si considerano autorità alla
quale i cittadini debbono soggiacere; diciamo, quindi, che la giurisdizione penale
viene esercitata nell’ambito della c.d. pretesa punitiva statuale, e che
quest’ultima non è mai stata separata dalla ragion di Stato come esigerebbe una
concezione democratica di comunità sociale.
Quando l’assunzione delle prove giunge ad un esito incerto sulla questione della
causalità, la letteratura prevalente rimanda al principio in dubio pro reo.
Purtroppo, il principio del dubbio viene inteso dalla giurisprudenza nel senso
che debbono essere valutati a favore dell’imputato soltanto i dubbi che il giudice
ha sulla prova della causalità; se il giudice si è formato il convincimento che la
causalità sia provata, allora il principio del dubbio non viene neanche preso in
considerazione.
Per la scienza, non vi è alcun dubbio che tale termine voglia indicare che il
giudice potrà affermare che un’azione od omissione sono state causa di un
evento in quanto possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di una
legge, o proposizione scientifica che enunci una connessione tra eventi, in una
percentuale vicina a 100. Osserva la corte che: si può dire che una spiegazione
statistica adeguata del singolo evento lesivo presuppone una legge statistica, con
un coefficiente percentualistico vicino a 100 e deve sfociare in un giudizio sul
nesso di condizionamento di alta probabilità logica.
CAPITOLO 2 pg58
Non ovunque presente conditio sine qua non , nel Regno Unito Hart e Honoré
hanno proposto di sostituire la causa but for con una nozione causale che
sarebbe ricavabile dal linguaggio comune, e coinciderebbe con il concetto di
antecedente che determina una variazione nel corso normale degli eventi.
Le difese della condizione necessaria, funzionano in modo invincibile: il nesso di
condizionamento tra condotta ed evento resta così il minimo assoluto per
l'imputazione penale, in coerenza con le scelte operate dalla Costituzione. Il
modello classico di diritto penale non può che funzionare in questo modo, e
questa pare l'unica ragione della sua incapacità di flessibilizzazione: i valori
altissimi di cui il criterio della condizione sine qua non o causa but for è
espressione, spiegano la sua perenne vitalità e fanno capire che nessuna esigenza
può avere un'efficacia plasmatrice tale da fargli perdere i suoi connotati tipici.
Il primo comma dell'art.40 c.p., infatti, per l'esistenza del nesso causale esige
soltanto che l'evento dannoso o pericoloso sia conseguenza dell'azione od
omissione, e cioè sia effetto del comportamento umano. Il criterio del nostro
codice implica un giudizio a posteriori.
Due punti fermi che nessuno mette in discussione: la teoria della causalità
adeguata è sorta e si è sviluppata per ridurre l'ambito della responsabilità, in
ipotesi in cui il ricorso al mero concetto di condizione necessaria sembra
condurre a conclusioni assurde ; il criterio della causalità adeguata opera in
aggiunta, non in sostituzione del nesso di condizionamento; è necessario, infatti,
che l'uomo col suo comportamento abbia posto in essere una condizione del
risultato, per cui il nesso condizionale è sempre indispensabile per l'imputazione
soggettiva.
Dice bene Romano, quando osserva che: ci si occupa dapprima del nesso causale
propriamente detto, ovvero del nesso di condizionamento tra azione ed evento,
poi della c.d. Imputazione oggettiva. In un primo tempo si risponde
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all'interrogativo: quando e a quali condizioni un evento è conseguenza
dell'azione del soggetto? In un secondo momento la domanda suona: sul
presupposto che l'agente ha causato l'evento, che tale evento sia riconducibile
alla sua condotta da un nesso condizionalistico, vi sono criteri, e quali, di
delimitazione della rilevanza di tale nesso condizionalistico? Secondo la teoria
dell'imputazione oggettiva dell'evento, sarebbe necessario che l'agente abbia
creato un pericolo riprovato dall'ordinamento e che tale pericolo si sia poi
realizzato nel concreto prodursi dell'evento.
CAPITOLO 3 PG65
Nel preambolo del 1998, l'agenzia sulla valutazione dei rischi di cancro
nell'uomo, si ribadisce che: la parola cancerogeno viene usata in questa
monografia per indicare un'esposizione in grado di aumentare l'incidenza di
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neoplasie negli esposti ad una certa sostanza. L'EPA si limita a dire: una
sostanza è definita cancerogena quando essa risulta in grado, cioè idonea a
produrre un aumento del rischio nella popolazione degli esposti.
La versione “forte” del più probabile che no è stata seguita dalla corte d’appello
con la sent 1987, nel 1998 con sent barnes vs American tabacco : siamo sul
terreno della causalità generale e, per dare la prova particolaristica, bisogna
passare sul terreno della causalità specifica.
Brennan dice: le Corti, vogliono delle cause del tipo “se non fosse stato per”
dalla scienza, cause che portino direttamente al singolo. Negli ultimi dieci anni
(scrive nel 1984), i ricorrenti hanno intentato un numero crescente di cause,
basate sulle prove probabilistiche di causalità, e tuttavia la maggior parte delle
corti ha continuato ad insistere sulla causa but for o sulla causa sufficiente e si è
rifiutata di accettare le prove probabilistiche su cui si basano da tempo medici e
scienziati per curare le malattie e curare i pazienti. Nei processi civili, va
dimostrato che la causalità individuale è più probabile che no. Le corti, talora,
ritengono che l'attore abbia soddisfatto il suo onere probatorio quando abbia
dimostrato che vi è una “ragionevole certezza medica” sulla causalità
individuata.
La versione “debole” del più probabile che no. Questa versione, è quella
adottata da un orientamento giurisprudenziale minoritario. In sintonia con il
pensiero di una scuola civilistica “progressista”, ritiene che la prova della
causalità individuale nel diritto civile sia un autentico rebus, e che dunque
devono farsi strada nuovi modelli di responsabilità, disancorati dalla prova della
causalità individuale. Alcune corti, ritengono che sia sufficiente, ma anche
necessaria, la dimostrazione di un raddoppio del rischio, a seguito
dell'esposizione; altre corti, invece, ritengono sufficiente anche un aumento del
rischio inferiore a 2.
Parte terza. E' dedicata all'esposizione delle ragioni politiche che inducono ad
aprire la strada a nuovi modelli di responsabilità civile, più aperti al
riconoscimento della rilevanza civilistica della nozione di causalità propria
dell'epidemiologia e meno legati alla nozione giuridica di prova particolaristica e
di causalità individuale: corrispondenza tra la scienza e l'onere giuridico della
prova, siamo persuasi che studi epidemiologici ben disegnati ed eseguiti possono
entrare a far parte della prova che supporta la causalità nei casi da sostanze
tossiche.
Quarta parte. La sentenza illustra le ragioni per le quali deve essere negato il
risarcimento agli attori, ragioni che vanno ravvisate nella inaffidabilità degli
studi epidemiologici, delle prove sugli animali.
Anche la dottrina civilistica, negli stati uniti, ha le idee ben chiare sui temi della
causalità generale e della causalità individuale. All'orientamento dei giudici che
seguono la versione “debole” del più probabile che no, si oppone la scuola dei
giuristi c.d. Libertari; secondo Epstein, il caposcuola, l'incertezza sulla causalità
individuale costituirebbe il cuore della teoria della causalità nell'ambito
dell'illecito civile, perché lo spostamento dell'individuo al gruppo
rappresenterebbe una lacerazione degli aspetti morali, tipici dei giudizi di
responsabilità per risarcimento.
Ci si chiede: possono forse gli oggetti di uso quotidiano, essere veramente una
minaccia più seria per la salute di quanto non sia l'inquinamento industriale?
Per la scienza, oggi, la risposta è SI.
CAPITOLO 4 pg78
suggellata dall'intervento delle Sezioni Unite penali della Corte Suprema del
luglio-settembre 2002 è l'idea che un comportamento possa essere considerato
causale quando costituisce una condizione necessaria dell'evento (non
dell'aumento del rischio). Da un punto di vista logico, la causa non può che
essere intesa come l'insieme delle condizioni necessarie, cioè come condizione
sufficiente; la condotta umana non è mai una condizione necessaria in assoluto,
ma lo è contingentemente, cioè nel contesto delle altre condizioni necessarie che,
assieme, costituiscono la contingente condizione sufficiente. Poiché non è
possibile graduare la “caratura” di ogni singola condizione, tutte le condizioni
contingentemente indispensabili per il verificarsi dell'evento sono equivalenti tra
loro ed egualmente causali (art.41 co.1); principio dell'equivalenza delle
condizioni.
La formula positiva, dice: la condotta è causale se, senza di essa, l'evento non si
sarebbe verificato; per la formula negativa: la condotta non è causale se, senza
di essa, l'evento si sarebbe verificato egualmente.
I giudici possono considerare oggettivo solo il sapere scientifico che sia frutto
dell'applicazione del metodo scientifico ,Tutto il restante sapere non potrà essere
considerato oggettivo ed affidabile: la regola dell'oltre il ragionevole dubbio, non
consente che il giudice lo ponga a base delle sue decisioni.
Che cosa guida la scelta delle leggi statistiche da inserire nell'explanans? Una
questione di questo tipo, può essere risolta solo se si guarda al contesto in cui si
svolge l'azione pratica: per l'azione pratica, se le ipotesi probabilistiche devono
essere accettate o respinte, si pone l'esigenza di opportuni criteri. Il rigore di
questi, dipenderà dall'importanza attribuita alla preclusione di due generi di
errori che potrebbero venir commessi: respingere l'ipotesi in esame sebbene sia
vera; accettarla sebbene sia falsa.
La falsa causa
Sotto il profilo della capacità esplicativa del singolo evento lesivo, la sussunzione
sotto leggi dovrebbe avvenire attraverso la dimostrazione della loro pertinenza e
applicabilità al caso singolo. Le obiezioni cui va incontro questo modo di
ragionare, sono insuperabili e sono due: la prima, riguarda il carattere non
esplicativo o non sufficientemente esplicativo delle frequenze medio-basse ; la
seconda, concerne la loro applicabilità a cause concrete, attraverso il riscontro
probatorio costituito dalla criteriologia medico legale, cioè dall'opera di
sussunzione del caso particolare sotto la legge statistica.
26
La verità, in considerazione, è che quelle evocate dalla sentenza delle sezioni
unite, sono probabilità causali ex ante, associate a nude statistiche; esse sono
probabilità astratte basate su classi di tipi di eventi. Queste probabilità sono
irrilevanti per la spiegazione di cosa sarebbe realmente accaduto; per far ciò,
dobbiamo fornire una spiegazione causale del caso particolare e fornire una
spiegazione causale richiede la prova della concretizzazione della
generalizzazione causale che si sostiene sia applicabile e della legge causale
sottostante.
La richiesta che fra le premesse figurino leggi universali si fonda proprio sul
presupposto che tale universalità sia l'espressione di una qualche necessità; e le
leggi statistiche? La risposta di Agazzi è molto chiara: si vede subito come
l'applicazione della spiegazione statistica alla ricerca delle cause dell'evento
singolo sia molto problematica. Se effettuassimo un numero adeguato di prove,
l'evento dovrebbe presentarsi con frequenza Q; il fatto è che quando siamo di
27
fronte l'evento E che si è prodotto, ossia quando non possiamo immergerlo in
una serie di prove perché è appunto singolo, non siamo in grado di attribuirgli,
come causa, quella che la lege statistica prevederebbe, se non con un grado di
fiducia proporzionale alla probabilità insita nella legge di copertura. Ecco
perché gli autori che trattano questo tema sono concordi nell'esigere che la
probabilità frequentista, sia molto prossima ad 1, ossia alla certezza.
Nell'opera “Le prove statistiche nel processo civile e nel processo penale” di B.
Frosin ecco il suo pensiero: la mancanza di leggi universali, utilizzabili per le
spiegazioni causali, si può ricorrere a leggi statistiche. Perché la decisione finale
sia ampiamente affidabile, è ovviamente necessario che tutte le sue componenti
siano dotate di una probabilità assai elevata; viene usualmente indicata la
necessità di arrivare in campo penale alla pratica certezza in contrapposizione a
probabilità non particolarmente elevate, ma normalmente accettabili in campo
previdenziale. Sembra da escludere che si possa parlare di pratica certezza se la
probabilità in questione è minore di 0.99. Deve essere considerata corretta
l'impostazione seguita dalla Corte Suprema in tre recenti sentenze le quali
stabiliscono che una spiegazione statistica adeguata del singolo evento lesivo
presuppone una legge statistica con un coefficiente percentualistico vicino a 110
e deve sfociare in un giudizio sul nesso di condizionamento di alta probabilità
logica o di elevata credibilità razionale, dove alta ed elevata stanno ad indicare
un giudizio che si avvicina al massimo della certezza. Ultima annotazione.
L'errore che vizia la pronunzia delle Sezioni Unite è sorprendente. La corte si
era trovata a fare i conti anche con la presunzione di non colpevolezza e con la
sostanza concreta di questo principio costituzionale, visibile nella massima
secondo la quale è molto peggio condannare un innocente che assolvere un
colpevole; a sua volta fonte, tale massima, della regola probatoria dell'oltre il
ragionevole dubbio.
Per renderlo meno banale, occorre aver chiara la distinzione tra probabilità
statistica e probabilità logica: la prima sta ad indicare la frequenza osservata tra
tipi di evento (modello nomologico-induttivo); la seconda, sta a designare una
relazione (non fra classi di eventi, ma) fra proposizioni, ed assume il significato
di grado di conferma di una proposizione rispetto ad un'altra.
La causalità si situa nel cuore della teoria delle decisioni giudiziarie. Poiché
l'essenza del delitto sta nella causa, si può dire che quando il giudice dichiara
possibile o probabile la causa, ammette che possa ancora non esservi stato delitto
nessuno: la sentenza di condanna basata su frequenze medio-basse, o sulle serie
ed apprezzabili probabilità di successo è una sentenza che dice: l'imputato è
colpevole, perché è possibile che abbia commesso il reato. Nel caso di frequenze
vicinissime a 100 il risultato non cambia; perché non accade mai che i giudici
penali enuncino formule così assurde nelle loro sentenze di condanna? Finché si
dice possibile o probabile una conseguenza, si ammette che possa anche non
essere vera; e la sentenza che implicitamente dichiara poter essere ancora che io
sia innocente, se mi condanna, accoppia con mostruosa congiunzione l'innocenza
alla pena. Se queste sentenze di condanna non contengono mai l'enunciato “è
possibile o è probabile che il reato sia stato commesso, ciò dipende dalla
circostanza che tale enunciato viene tenuto nascosto nelle pieghe delle
motivazioni in tutte le ipotesi in cui l'imputato venga dichiarato colpevole,
benché la causalità sia soltanto possibile o probabile. Ciò che causa un evento è
sempre un altro evento o un processo, e nel termine processo debbono essere
incluse anche processi che sono statici. Il nocciolo della questione sta qui. Poiché
le entità che entrano nella relazione di causa ed effetto sono processi o eventi,
non c'è alcun dubbio che in quella relazione entri anche l'omissione, anche il non
fare. Si potrà dire: nel momento in cui doveva agire, un soggetto è rimasto
completamente inerte; dicendo ciò, si riconoscerà che si è realizzato uno stato od
una sequenza di stati, un processo, che può entrare in relazione causale con
l'evento lesivo . Per compiere un'analisi completa delle cause, dobbiamo
considerare tutte le condizioni pertinenti, siano esse costanti o variabili. Quando
si afferma che una persona ha omesso di fare qualcosa, non si fa altro che
descrivere uno stato della persona. Il processo esplicativo, è identico per la
causalità attiva e per la causalità omissiva . Identico è l'explanandum: un
avvenimento del passato; identico il procedimento di inferenza: da leggi
universali o statistiche e da un insieme di condizioni empiriche antecedenti;
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identica è la struttura della spiegazione offerta. Mentre nella causalità
commissiva siamo di fronte ad un giudizio ipotetico, perché ci si deve chiedere
se, senza l'azione, l'evento si sarebbe, o non si sarebbe verificato ugualmente,
nella causalità omissiva dobbiamo formulare due giudizi ipotetici: il primo,
legato all'eliminazione della condizione statica; il secondo, teso ad appurare se il
compimento dell'azione dovuta avrebbe scongiurato il verificarsi dell'evento
lesivo.
L'omogeneizzazione delle culture nei loro valori di fondo, non è stata raggiunta
nell'altro grande settore, cioè l'attività medico-chirurgica. Negli USA e negli altri
paesi di common law, infatti, i processi per responsabilità del medico-chirurgo
sono processi civili e sempre per la stessa ragione: nel processo penale è
estremamente difficile, se non impossibile, che l'accusa riesca a dare prova oltre
il ragionevole dubbio che il comportamento doveroso omesso avrebbe
scongiurato il verificarsi dell'evento lesivo. La giurisprudenza delle corti
americane si rivela particolarmente rigorosa anche nell'applicazione del più
probabile che no.
Es:Corte della Virginia del 1966 nel caso Hicks v. United States: gli standard
tradizionali della causa prossima richiedono che, al minimo, siano disponibili
prove che un certo risultato sia stato più probabilmente che no causato da un
certo comportamento.
Con l'art.114 della legge 2000 n.388 (c.d. Legge finanziaria del 2001) viene
prevista una causa di non punibilità per i reati commessi nel passato
“direttamente connessi all'inquinamento del sito”, accertati su notifica
dell'interessato e concessa a chiunque abbia adottato o adotti le procedure di
bonifica. Pertanto, la pena prevista per chiunque cagiona l'inquinamento o un
pericolo concreto di inquinamento, scatta solo se l'agente non provvede alla
bonifica secondo il procedimento di cui all'art.17. La causa di non punibilità, è
prevista per i reati realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del
d.lgs. 22/1997. Poiché lo scopo dell'art.114 è quello di eliminare gli ostacoli alla
bonifica, rappresentati dai rischi legati all'autodenuncia, e poiché d'altra parte
senza autodenuncia diventa impensabile l'idea stessa di bonifica, la fissazione di
un criterio temporale si rivela priva di senso ed è viziata da gravi sospetti di
incostituzionalità.
Es: caso Summers v. Tice. Summers, Tice e Simonson vanno a caccia di quaglie;
una quaglia prende il volo e Tice e Simonson sparano contemporaneamente tutte
le pallottole del loro fucile, e Summers, che si trova nel luogo dove la quaglia
prende il volo, viene ucciso: il fucile di Simonson aveva 99 pallottole, quello di
33
Tice una sola; nel corpo di Summers viene trovata una sola pallottola. Chi ha
ucciso Summers?
Precisa Wright: le nude statistiche, non contano per niente come prova di cosa
sia realmente accaduto, in una particolare occasione. Per determinare cosa sia
realmente accaduto, è necessario dare una dimostrazione particolaristica della
concretizzazione della legge causale di fondo. Si tratta di formulare un giudizio
ex post legato alla prova particolare di concretizzazione e non un giudizio ex post
su nude statistiche.
L'attenzione dello studioso, si focalizza sui valori che l'imputato vede mettere in
gioco nel processo penale. Ecco perché egli sente il bisogno di dimostrare come
l'unione sponsale tra matematica e processo penale è molto pericolosa.
Qualsiasi metodo che aspiri a usare prove matematiche per quantificare la forza
probatoria degli argomenti dell'accusa, finisce per fornire al giudice del fatto un
numero che ha la pretesa di rappresentare la sua valutazione della probabilità
che l'imputato sia colpevole; esprimere un rischio accettabile di errore,
pregiudicherebbe il ruolo della pretesa di certezza.
35
Sentenze di condanna errata possono essere emesse da giudici che si dichiarano
“assolutamente certi o sufficientemente certi”; la circostanza che una sentenza di
condanna possa rivelarsi errata, non deve sminuire lo sforzo di esprimere il
fondamentale impegno della società, volto alla protezione dei diritti dell'accusato
come persona.
Thomson, dedica un lungo saggio alla dimostrazione dell'idea che, per decidere
della causalità, è necessaria una evidenza personalizzata, cioè quella prova che è
stata finora definita prova particolaristica. Premessa della Thomson: ciò che sta
dietro l'esigenza di provare la causalità , è il valore altissimo che noi
riconosciamo alla garanzia della libertà di azione, giacché le nostre inclinazioni a
pensare nel modo indicato sono molto forti. Senonché la dimostrazione della
causalità non si può ottenere con la mera evidenza numerica o statistica; ciò che
occorre è un'evidenza personalizzata. Riprendendo l'esempio dei proiettili, la
studiosa sostiene che una probabilità numerica del 95% sarebbe certamente una
buona ragione per indurre la giuria a considerare A colpevole (95 sparati da A e
5 da B).
L'individuazione degli eventi (anelli causali) che si succedono l'un l'altro, non
potrà mai essere completa; è però possibile che il giudice ricostruisca uno o più
anelli causali intermedi: se questi anelli sono rilevanti per l'imputazione causale,
si potrà dire raggiunta la prova particolaristica. Quest'ultima consiste nella
dimostrazione che gli antecedenti astratti, elencati dalla generalizzazione causale
si sono concretamente verificati. La dimostrazione particolaristica collega una
generalizzazione causale al caso particolare, concretizzando gli elementi astratti
della generalizzazione, e con ciò controvertendo la generalizzazione stratta in
una generalizzazione concretizzata.
sentenza del 1990 della Corte Suprema italiana: per la celebre sentenza sul
disastro di Stava, le leggi della scienza devono “ricevere conferma mediante il
ricorso a metodi di prova razionali e controllabili”.
Sentenza Daubert 1993, su un caso civile, dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Alla Corte fu sottoposto il problema degli effetti teratogeni di un farmaco, il
Benedectin: i ricorrenti minori nati con gravi malformazioni, avevano iniziato
un processo nella Corte dello Stato della California contro la società Merrell
Dow Pharmaceuticals, Inc., sostenendo che le malformazioni erano state causate
dall'ingestione, da parte della madre, di Benedectin. Corte suprema ha stabilito
dei principi rig alla scienza: 1) x essere qualificata come conoscenza scientifica,
1 inferenza deve essere tratta dal metodo scientifico; una teoria e
scientificamente affidabile, quando può essere testata; giudice effettua controllo
maggiore su esperti risp normali testimoni. Il rischio di condanne sbagliate
deve essere ridotto il più possibile: basta un solo controesempio perché l'ipotesi
debba essere considerata non confermata, e basta che l'ipotesi non sia stata
sottoposta a tentativi di falsificazione perché il giudice debba respingerla come
ipotesi inidonea a giustificare una condanna.
Ciò che è decisivo per valutare l'adeguatezza di una teoria è, secondo Laudan, la
tradizione di ricerca in cui essa si inserisce: ciò che occorre valutare è il successo
della tradizione di ricerca, giacché una tradizione di ricerca che ottiene successo
è una tradizione di ricerca che, porta alla soluzione adeguata di un numero
sempre maggiore di problemi empirici e concettuali.
Il dibattito sulla teoria della conoscenza, non sarebbe completo se non si tenesse
conto delle conclusioni raggiunte dagli studiosi del fondamento delle conoscenze
mediche; queste, dice Federspil, fanno parte di un sistema comunemente
accettato. Costituisce perciò una rappresentazione del mondo che per una
convenzione accettata comunemente, in un certo momento storico, viene
considerata vera.
Uno sguardo d'insieme delle diverse concezioni del metodo scientifico consente
di individuare un sistema di prescrizioni-descrizioni o, se si preferisce, di
“consigli pratici” agli scienziati. Ma quali sono le prescrizioni, i consigli pratici
che il giudice dovrà seguire?
La lezione del Daubert è che le opinioni degli esperti, nei processi civili, non sono
più ammissibili sulla base esclusiva delle loro credenziali; poiché nella scienza
non vi sono certezze, ciò che conta è il rispetto del metodo scientifico. Poiché le
concezioni sul metodo scientifico che consentono al giudice di ridurre il più
possibile il margine di errore, secondo Daubert, sono due – la concezione
induttivistica di Hempel e quella anti- induttivistica di Popper - , le Corti
essendo custodi del metodo scientifico, devono seguire l'una e l'altra.
Altra importante applicazione dei principi del Daubert è stata fatta dalla già
richiamata sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1997 in re Joiner,
relativa al tema della somiglianza di effetti di una sostanza tossica nell'animale e
nell'uomo e della estrapolazione, dalle alte dosi dei test sugli animali alle basse
dosi ambientali.
L'ultimo problema affrontato dal Daubert è quello del tasso di errore, proprio di
“indagini particolari”. Nessun test scientifico è perfetto; l'analisi di una tecnica
deve racchiudere informazioni circa il suo tasso di errore. Se non è
adeguatamente testata, una testimonianza scientifica non deve essere ammessa,
perché senza il test di controllo e senza esperimenti rigorosi non si può parlare di
scienza. Il problema dell'errore diagnostico è di grande rilievo sia per il processo
civile che per quello penale: basti pensare al ruolo crescente assegnato dai
giudici ai medici legali, chiamati a testimoniare in qualità di esperti.
Hanno dunque ragione i giudici del Daubert, nel richiedere che gli esperti,
chiamati a testimoniare, dichiarino il tasso di errore delle tecniche da loro
utilizzate(test dna ha pro di errore 1 su 1 mld, ma deve essere dichiarato).
La sentenza inerente il caso Kuhmo del 1999, statuisce che i principi enunciati
da Daubert si applicano sia nei settori di competenza degli scienziati, sia nei
settori dominati dalla tecnica. Si evince che i fattori di Daubert possono venir
applicati nella testimonianza di tecnici o altri esperti che non siano scienziati.
Capitolo 6 pg119
Di fronte ai limiti della scienza, la stessa regola del più probabile che no finisce
per funzionare come una barriera insuperabile per un risarcimento delle vittime
allargato: se l'attore deve dimostrare, sulla base della preponderanza
dell'evidenza, che c'è una probabilità superiore al 50% che, senza la condotta del
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convenuto, il danno non si sarebbe verificato, egli avrà un compito difficile, se
non impossibile.
Un nuovo ruolo di primo piano dovrebbe essere svolto dalla scienza penalistica,
la quale dovrebbe suggerire l'elaborazione di un nuovo diritto penale, costituito
da norme comportamentali riferite al futuro, sganciate dal danno e anche dal
pericolo di danno. Primo passo da compiere sarebbe quello di superare la
distinzione tra norma e natura, che ha connotato il pensiero dei tempi moderni,
a cominciare da Cartesio e Locke.Il secondo passo sarebbe la comprensione del
perché nei reati riferiti al futuro si faccia fatica ad indicare i beni giuridici
protetti. Un efficace tutela delle potenziali vittime del futuro, dovrebbe essere
assicurata anche dal diritto penale attraverso norme che assicurino il controllo
del comportamento come le norme relative ai valori-limite.
Uno dei più grandi studiosi contemporanei della filosofia della natura, il tedesco
Jonas, interpreta la situazione attuale in modo talmente pessimistico da
ravvisare nell'euristica della paura il vero grande rimedio per le vittime del
futuro. Dice Jonas: chi non è minacciato personalmente, in modo diretto, non si
sforza di fare una revisione del proprio modo di vivere. C'è da augurarsi che una
serie di piccole catastrofi naturali ci porti alla ragione, in modo da essere
preservati dalla grande catastrofe. Due sono i criteri impiegati per definire i
limiti soglia: l'individuazione del livello di “nessun effetto dannoso osservato o
previsto”, e la applicazione di un fattore di sicurezza che consente di stabilire il
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limite soglia. Definito in questo modo il limite, risulta individuata la soglia,
superata la quale dovrebbe scattare la sanzione penale. Si intuiscono
immediatamente le ragioni per le quali il nuovo modello di diritto penale non
può funzionare. La prima ragione, concerne la fissazione del livello del “nessun
effetto dannoso conosciuto o previsto”. Negli USA, la definizione dei limiti soglia
compiuta prescindendo dal riferimento agli effetti di danno osservati sull'uomo
in sede scientifica, ha suscitato dure prese di posizione delle corti che non hanno
esitato a definire arbitraria, la politica regolamentatoria delle agenzie.
Corte Suprema degli Stati Uniti, sentenza del 1980, relativa al caso Industrial
Union Department v. American Petroleum Institute. Con questa sentenza la Corte
Suprema prende posizione, sul tema delle alte e basse dosi di esposizione,
censurando l'abbassamento, compiuto dall'OSHA, del limite-soglia per il
benzene da 10 ppm a 1 ppm. Corte Suprema degli Stati Uniti, sentenza del 1987,
relativa al caso N.R.D.C. v. U.S. EPA. In questa sentenza viene ribadita la
necessità che i livelli di emissione siano determinate sulla base della valutazione
di esperti sulla significatività del rischio per la salute. Sentenza del marzo 2000,
nel caso Chlorine Chemistry Council et al. v. U.S. EPA. Questa sentenza coglie
l'EPA con le mani nel sacco: a) nella fissazione dei limiti soglia, l'agenzia, compie
delle scelte arbitrarie e capricciose, che si trasformano inevitabilmente in un
diritto penale del comportamento arbitrario e capriccioso; b) la sua scelta si
basa su valutazioni politiche che ignorano i risultati della ricerca e dalla
metodologia scientifica; c) individua dei limiti-soglia che si collocano su un
gradino più basso .La verità, è che il diritto penale del comportamento è privo di
effetti di deterrenza; è irrazionale rispetto allo scopo perché non serve al
progetto di tutela delle generazioni del futuro.
Chi vede nel rischio una realtà fattuale, e assegna alla scienza il compito di
decifrarla in modo neutrale, si imbatte subito in una serie di ostacoli
difficilmente superabili. Il primo ostacolo: nel suo progredire, la prassi
scientifica ha perduto le ambizioni di verità ed ha seguito l'epistemiologia sulla
via della congettura e del dubbio su sé stessa. E' un paradosso che, di fronte a
questo processo gli esperti della scienza del rischio rivendichino la capacità di
individuare i rischi reali, di effettuarne la stima in modo obbiettivo e di adottare
le decisioni relative alle gestione del rischio.
Vi sono molte ragioni che rendono impossibile la distinzione tra rischio reale e
percezione del rischio: una ragione è che la probabilità che il rischio si verifichi
non riflettono la frequenza reale degli eventi.
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La vicenda del fumo passivo è un esempio che consente di apprezzare
l'importanza del ruolo svolto dai giudizi di valore. Che cos'è il rischio?
Il rischio si rivela come una entità soggettiva nella stessa prassi scientifica: la
soggettività permea la percezione del rischio e fa dipendere l'individuazione di
quest'ultimo, la stima dell'esposizione, la scelta delle relazioni dose/risposta. Il
concetto tecnico-scientifico di rischio è troppo ristretto e ambiguo per servire
come parametro cruciale per la creazione di politiche del rischio.
FINE