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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

Indice. III parte


Cap. 7 Ottica geometrica
§7.1. Riflessione..............................................................p. 2
§ 7.2. Rifrazione..............................................................p. 5
§ 7.3. Il banco ottico........................................................p. 8
§ 7.4. Lenti.......................................................................p. 10
§7.5. Prismi......................................................................p. 11
Cap. 8 Onde
§ 8.1. Generalità sulle onde..............................................p. 18
§8.2. Onde nei solidi: impulsi in una molla......................p. 21
§8.3. Corda vibrante e onde stazionarie............................p. 23
§8.4. Ondoscopio (o ripple tank o vaschetta a onde)........p. 27
§8.5. Onde acustiche: il suono...........................................p. 32
Cap. 9 Ottica ondulatoria
§9.1. Interferenza................................................................p. 35
§9.2. Altri modi per realizzare interferenza........................p. 40
§9.3. Diffrazione.................................................................p. 43
§9.4. Polarizzazione.............................................................p. 49
Cap. 10 Luce e colori
§10.1.I colori.......................................................................p. 61
Esercitazioni........................................................................p. 68

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

III Parte
Cap. 7 OTTICA GEOMETRICA
§7.1. Riflessione

Concetti e nozioni chiave: sorgenti, mezzi, superfici di separazione; ‘raggi’ luminosi;


propagazione, riflessione, diffusione, rifrazione, dispersione; cammino geometrico e
ottico; principio di Fermat per riflessione e rifrazione. Legge di Snell, indice di
rifrazione, angolo limite; angolo di riflessione interna totale. Lenti convergenti e
divergenti. Immagini reali e virtuali. Equazione dei punti coniugati per le lenti sottili.
Prisma di deviazione, di inversione, prisma analizzatore. Dispersione normale e
anomala.

Apparecchiature di base: banco ottico con accessori. Specchi piani, lenti convergenti e
divergenti; mezzaluna e blocchetti a facce piane e parallele (sia di vetro o plexiglas sia
cavi da riempire con liquidi), prismi (un prisma retto e almeno due prismi uguali).
Condensatore ottico o proiettore o box di luce. Torce, fibra ottica. Basette di polistirolo
o cartoncino morbido, spilli, chiodi.

Che esperimenti fare. Specchi piani: individuazione della posizione dell’immagine


rispetto all’oggetto, simmetria oggetto-immagine, verifica legge riflessione. Rifrazione
con mezzaluna: verifica della legge di Snell, determinazione indice di rifrazione, angolo
di riflessione totale, angolo di rifrazione limite. Variante con blocchetto pianoparallelo.
Condensatore ottico. Lenti convergenti: stima di f; osservazione delle immagini
prodotte da una lente convergente, fattore di ingrandimento, combinazione di lenti,
verifica della legge dei punti coniugati. Per lenti divergenti, analoghe attività. Prismi:
impiego di un prisma per deviare o invertire fasci; scomposizione e ricomposizione
della luce bianca.

Iniziamo con le leggi della riflessione. E’ interessante far notare agli studenti che della
riflessione si può dare una dimostrazione sperimentale (e i suggerimenti in merito sui
manuali sono molteplici) ma anche una dimostrazione basata su principi di minimo,
come il principio di Fermat:
la luce, nel passare da un punto a un altro, sceglie il cammino che richiede il tempo
minimo.
A
B

a b

M α1 M
α2
A' x Q B'
d

Supponiamo che la luce incida in Q su uno specchio MM, da A a B, con angolo di


incidenza i= α1 e di riflessione r= α2 (v. fig.). Il cammino geometrico s da A a B è:
2
s = a 2 + x 2 + b 2 + ( d − x ) . In base al principio di Fermat, t=s/v → dt/dx=0
→ds/dx=0 (la costante v è ininfluente):

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ds x d−x A$Q B$Q


= − =0→ = → sin α1 = sin α 2 → α1 = α 2 → iˆ = rˆ .
dx 2
a +x 2
b 2 + (d − x )
2 AQ BA
Si è così dedotta la prima legge della riflessione; per costruzione vale anche la seconda
(raggio incidente, riflesso e normale alla superficie MM sono complanari).

€ Per la riflessione da specchi concavi, convessi e piani vale la formula


1 1 1 2
+ = = ,
p q f R
con p distanza oggetto-specchio, q, distanza immagine-specchio, f, lunghezza focale
con f=R/2, dove R è il raggio di curvatura dello specchio. Per R→∞, p=-q, si ha il caso
dello specchio piano e le immagini sono virtuali.
Convenzione sui segni: € la distanza oggetto-specchio p>0; la distanza immagine-
specchio q>0 per immagini reali, q<0 per immagini virtuali; la distanza focale f >0 per
sistemi convergenti (specchio concavo), f <0 per sistemi divergenti (specchio
convesso). Per il raggio di curvatura R valgono le stesse considerazioni valide per f.
Le immagini reali appartengono allo ‘spazio oggetto’: l’energia luminosa raggiunge
realmente l’immagine e può essere raccolta su uno schermo.

Riflessione da specchi piani (SP)


Gli SP danno degli oggetti immagini virtuali, simmetriche rispetto allo specchio.
Vediamo dei semplici esperimenti che servono a sfatare alcune convinzioni di senso
comune: l’immagine di un oggetto non si forma sullo specchio ma dietro lo specchio;
lo SP non scambia destra e sinistra ma più correttamente inverte solo la componente
ortogonale alla propria superficie.

Ricostruzione dell’immagine data da uno SP.


Materiali: specchio piano alto h (qualche cm) di spessore tale da poter restare in
verticale quando si appoggia su un foglio; due monete uguali (o due chiodi uguali di
lunghezza >h, o le classiche due candele); un foglio di carta A4.
Tracciare sul foglio con una matita la base dello specchio (prendere poi la linea di
mezzeria). Posizionare davanti allo specchio una moneta (“moneta oggetto”); traslare lo
SP in modo che sia visibile almeno metà immagine della moneta. Con l’altra moneta
(“moneta immagine”) dietro lo specchio tentare di ricomporre l’intera immagine della
moneta oggetto. Tracciare con una matita una circonferenza attorno alla moneta
immagine e togliere lo specchio. L’immagine è simmetrica rispetto all’oggetto ed è
localizzata dietro lo specchio.

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Variante con i due chiodi: chiodo oggetto davanti allo specchio, chiodo immagine
collocato per tentativi dietro lo specchio in modo che l’immagine del primo e del
secondo chiodo siano perfettamente sovrapposte da qualsiasi punto di osservazione
(metodo della parallasse).

Disegni allo specchio.


Materiali: SP, foglio di carta. Disegnare gli ‘oggetti’ significativi in figura (in
particolare segmenti orientati). Far prevedere agli studenti com’è l’immagine allo
specchio dei singoli oggetti; verificare con lo specchio. Com’è l’immagine rispetto al
disegno? (simmetrica) Che cosa cambia? (si inverte solo la componente ortogonale alla
superficie dello specchio).

Verifica leggi della riflessione.

Materiali: SP, spillini, foglio, cartoncino morbido. Dopo avere messo un foglio sul
cartoncino posizionare lo SP dritto e tracciare la sua posizione sul foglio. Appuntare
uno spillo (“spillo oggetto”) davanti allo specchio. Guardare l’immagine da 3 direzioni
diverse e mettere una coppia di spilli allineati con l’immagine dello spillo oggetto per
ciascuna direzione (fig.). Togliere lo specchio e prolungare le 3 rette che passano per le
3 direzioni. Dove si incontrano? Unire i punti d’intersezione H, K al punto dove si trova
lo spillo oggetto come in figura e verificare che i=r. Per costruzione raggio incidente,
riflesso e normale allo specchio sono complanari.
H K

C
A B

spillo oggetto

Variante: fissare uno spillo in S e uno in Q; spostare l’occhio fino a che lo spillo in Q
nasconda l’immagine di S (in S’). Mettere uno spillo in T in modo da nascondere sia Q
sia S’. Tracciare i ‘raggi’ e verificare che i = r, S' H = SH .

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S'

Q SP

i r

§ 7.2. Rifrazione
Se si segue il principio ‘prima il concetto poi il nome’, far precedere la trattazione con
qualche semplice osservazione:
- la matita spezzata: se immergi una matita in un bicchiere pieno d’acqua, come la
vedi?
- la moneta invisibile: mettere al centro di una scodella una moneta. Abbassarsi in
modo da fissare il bordo della scodella senza vedere la moneta. Versare acqua nella
scodella fino a che, senza spostarsi, la moneta diventa visibile.

Qualche nozione essenziale:


- cammino geometrico L: è la distanza tra due punti senza tenere conto della natura del
mezzo interposto.

- Cammino ottico s: è il prodotto del cammino geometrico per l’indice di rifrazione n


del mezzo: s=Ln. Se la luce si propaga in aria o nel vuoto (n=1), cammino geometrico e
cammino ottico coincidono e la velocità di propagazione della luce è v=c. Se la luce si
propaga in un mezzo con n≠1, v=c/n (v<c); la luce ‘rallenta’ e per percorrere una data
distanza impiega un tempo t=Ln/c, n volte maggiore.

- Quando un pennello di luce si propaga da un mezzo trasparente di indice di rifrazione


n1 a un altro di indice di rifrazione n2, rifrange (subisce cioè una deviazione). Se α
indica l’angolo di incidenza e β l’angolo di rifrazione vale la legge di Snell (o prima
legge della rifrazione):
sin α v1 c /n1 n 2
= = = = n12 ,
sin β v 2 c /n 2 n1
n12 è l’indice di rifrazione relativo (adimensionato) del secondo mezzo rispetto al
primo. Per l’aria o il vuoto (n1=1), sinα/sinβ= n2, con n2 indice di rifrazione assoluto.
- Se n1= n2 il fascio incidente non subisce deviazione.
- La luce si propaga€da un mezzo trasparente meno denso a uno più denso (n2> n1):

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2 1

α
4
n1

S S

n
2

β
4
3
2

il raggio (1) che si propaga normalmente alla superficie di separazione SS di due mezzi
non subisce deviazione; il raggio rifratto (2) (o (3)) si avvicina alla normale; al crescere
dell’angolo di incidenza, per α→π/2, sinα→1 e la legge di Snell si riduce a
1 n n
= 2 con β* = arcsin 1 , angolo di rifrazione limite. β* definisce la regione
sin β * n1 n2
X che non può essere raggiunta dalla luce incidente.

- La luce si propaga da un mezzo più denso a uno meno denso (n1> n2):

1
n2

2
β
3
S S

4
5

n 5
4 1
α

il raggio (1) che si propaga normalmente alla superficie di separazione SS di due mezzi
non subisce deviazione; il raggio rifratto (2) (o (3)) si allontana dalla normale; al
crescere dell’angolo di incidenza α, l’angolo di rifrazione β→π/2, sinβ→1. Il raggio
rifratto (4) è radente alla superficie SS e la legge di Snell si riduce a: sinα= n2/n1 con
α*= arcsin n2/n1, angolo di riflessione interna totale (o angolo critico o minimo). Per
α>α* si ha solo riflessione (raggio (5), la legge di Snell non ha soluzione poiché
sinβ>1).

- Principio di Fermat per la rifrazione:


la luce, nel passare da un mezzo a un altro, impiega il tempo minimo.

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n primo mezzo
1
a α
α

S P S

A' B'

b n secondo mezzo
2
β
β
d
B
Supponiamo che la luce passi dal mezzo 1 (con v1 e n1) al mezzo 2 (con v2 e n2), da A a
2
B. Il cammino totale L della luce è L = a 2 + x 2 + b 2 + ( d − x ) e il tempo impiegato
2
a2 + x 2 b 2 + (d − x )
a percorrere L è t = + ; per il principio di Fermat (tempo
v1 v2
dt € x d−x
minimo) dt/dx=0: = − = 0 , che equivale a dire che:
dx v1 a + x2 2 2
v 2 b + (d − x )
2

A"P €PB " AP sin α PBsin β sin α v1 c /n1 n 2


= → = → = = = = n12 ,
v1 AP v 2 PB v1 AP v 2 PB sin β v 2 c /n 2 n1
indice di€rifrazione relativo del secondo mezzo rispetto al primo. Se n1=1 (aria o vuoto)
sinα/sinβ= n2=indice di rifrazione assoluto. Si ritrova così la legge della rifrazione.
€ Legge di Snell
La legge di Snell può essere sia presentata agli studenti e poi verificata, oppure può
essere ‘scoperta’ per via induttiva. In entrambi i casi si suggerisce di proporre agli
studenti divisi per gruppi, la scheda sulla rifrazione da mezzaluna (v. Esercitazioni,
Scheda rifrazione). L’esperimento è a basso costo e richiede i seguenti materiali: una
basetta di cartoncino morbido (formato A4), un compasso, carta millimetrata (formato
A4), una mezzaluna di perspex (n=1,40, o di vetro con n=1,51, oppure cava da riempire
per es. con acqua, n=1,33, o alcool, n=1,36), spilli, righello, goniometro.
A parte la mezzaluna, i materiali sono tutti facilmente reperibili e di costo minimo. Il
vantaggio principale di questo esperimento consiste: nell’avere scelto un mezzo
rifrangente, la mezzaluna, di geometria semplice e tale da consentire, tra l’altro,
agganci immediati con la circonferenza goniometrica e la definizione di seno e coseno;
nell’avere sostituito la sorgente con uno ‘spillo sorgente’ che diffonde la luce ambiente.
L’esperimento va fatto sia con lo spillo sorgente posto dalla parte convessa della
mezzaluna e l’occhio dalla parte opposta (propagazione della luce da mezzo più denso a
meno denso), sia con lo spillo sorgente disposto sulla circonferenza dal lato della
superficie piana della mezzaluna con l’occhio dalla parte opposta (da mezzo meno
denso a più denso). Nel primo caso, un raggio che incide sulla parte convessa non viene
deviato (i=90°) e la deviazione avviene solo alla superficie di separazione mezzaluna-
aria; nel secondo, data la reversibilità del cammino ottico, succede l’inverso.
Prima di affrontare l’esperimento far vedere agli studenti con una piccola torcia la
riflessione totale: appoggiare la torcia accesa L sul bordo convesso, guardare in modo
da osservare l’immagine rifratta da L coincidente con O (posizione 1); guardare in
modo da osservare l’immagine riflessa di L coincidente con O (posizione 2); muovere
L e far osservare come si muovono le due immagini, riflessa e rifratta, fino a che una

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scompare (guardare dalla parte convessa il raggio riflesso). Fissare la posizione del
raggio riflesso con gli spilli e fare una prima stima dell’angolo limite.
(2)
L

(1)
Variante con il blocco a facce piane e parallele: disporre sul cartoncino morbido un
foglio di carta millimetrata, tracciare le rette u e v, quindi appuntare lo spillo S2 e gli
altri 3 spilli come in figura in modo da vederli allineati.
S3

S2
u

v
S1
S4

(S2 è lo spillo sorgente). Ripetere per diversi angoli spostando S2 e di conseguenza gli
altri spilli e determinare l’indice di rifrazione del plexiglas, np (sinα/sinβ= n2/n1 = np;
sinγ/sinδ= 1/ np con α=δ, β=γ).

§ 7.3. Il banco ottico


Il banco ottico è costituito in genere da un profilato metallico (in pratica una rotaia di
precisione) su cui è presente una scala metrica: una soluzione tipica è quella di avere
segmenti, per es. di 50 cm, raccordabili mediante giunti in modo da avere un banco
della lunghezza voluta. Sulla rotaia si possono fissare i cavalierini o scorrevoli,
provvisti di uno o più fori nei quali vanno inseriti gli steli dei vari componenti ottici: in
primo luogo una lampada che funge da sorgente luminosa (in genere a 12 V~, serve il
trasformatore), lenti, supporti per diaframmi, filtri o reticoli, schermi semitrasparenti o
opachi. Una soluzione elegante in aggiunta al banco ottico è quella proposta dalla
Leybold con il cosiddetto “tavolino ottico”: disposto orizzontalmente a cavallo della

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rotaia serve a visualizzare il cammino dei raggi mentre disposto verticalmente funge da
schermo di proiezione.
Il banco ottico è indispensabile per molti esperimenti. Esistono in commercio banchi
ottici che utilizzano le stesse rotaie di precisione impiegate per gli esperimenti di
meccanica, sicché si tratta di materiali versatili e flessibili, due caratteristiche che sono
garanzia di buona spesa (è il caso della Leybold, 46082).
Nel PSSC si suggerisce la realizzazione di un ‘banco ottico’ a basso costo, con una
striscia metrica (scotch bianco) da applicare sul banco di scuola, plastilina da usare
come ‘scorrevole’ per fissare gli accessori (lenti, ecc.) e una lampadina micromignon
alimentata da una pila come “oggetto”.

Condensatore ottico
Prima di procedere con gli esperimenti, esponiamo brevemente come realizzare un
fascio di luce e in particolare un “condensatore ottico” se, come spesso avviene negli
esperimenti, è necessario avere un fascio di luce parallelo.
Come produrre un pennello di luce per esperienze dimostrative:
- mettere sul piano della lavagna luminosa un foglio opaco in cui sia stato praticato un
foro e proiettare il fascio su uno schermo; oppure
- usare un proiettore per diapositive e montare in un telaio da diapositive un pezzo di
alluminio con un forellino al centro; oppure
- usare il laser.
Il pennello in genere è conico tranne nel caso del laser che, come è noto, dà un fascio
ben collimato. Far notare agli studenti che se l’aria è ‘pulita’ (nel caso ideale nel vuoto)
il fascio è visibile solo quando incide su uno schermo (su cui la luce diffonde) mentre
lateralmente non si vede. Se si introduce fumo o polvere di gesso dove si propaga il
fascio, questo diventa visibile per diffusione della luce da parte del pulviscolo in
sospensione in aria (anche le molecole d’aria diffondono la luce ma l’effetto su piccoli
volumi non è sensibile). La diffusione da pulviscolo o dalla superficie dello schermo
avviene in tutte le direzioni a differenza degli specchi che diffondono (cioè riflettono)
solo in una direzione.
Se abbiamo una lampada a filamento, questa costituisce una sorgente che emette luce in
tutte le direzioni. Come si può trasformare un fascio divergente in un fascio parallelo?
Basta mettere la sorgente nel fuoco di una lente convergente; se vogliamo un fascetto di
piccola apertura ben collimato, o più fascetti paralleli, impieghiamo una fenditura per
diaframmare il fascio. Se le fenditure sono n e si vuole un solo fascio, coprire con uno o
più schermi opachi (bandierine) le fenditure, oppure usare uno schermo di cartoncino
con un forellino.
In commercio esistono proiettori già realizzati con una lampadina nel fuoco di una
lente convergente, spesso muniti di un portadiaframma. La Leybold produce anche un
box di luce (459091) con la lampadina montata nel fuoco di una lente e le fenditure da
inserire all’uscita del fascio di luce parallelo per realizzare da uno a 5 fascetti. Con il
box di luce non serve il banco ottico e basta disporre i vari componenti ottici (specchi,
lenti da combinare) sulla superficie di un tavolo.

§ 7.4. Lenti

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Possono essere convergenti o positive (biconvesse o piano convesse); divergenti o


negative (biconcave o pianoconcave).

lente convergente divergente

1 1 1
Vale la formula per le lenti sottili: + = , dove p è la distanza oggetto-lente, q è la
p q f
distanza immagine-lente, f è la distanza focale della lente. Le immagini si dicono reali
quando alla loro formazione contribuiscono raggi luminosi (possono essere raccolti su
uno schermo); si dicono virtuali quando si formano dal prolungamento dei raggi e non

possono quindi essere raccolte su uno schermo.

Costruzione a due raggi


In G sia collocato l’oggetto e in I l’immagine formata dalla lente di centro C e
lunghezza focale CF=CB=f. Il raggio parallelo all’asse ottico (1) viene rifratto dalla
lente nel secondo fuoco B; il raggio principale (2) passa per il centro della lente; il
raggio focale 3 passa per il primo fuoco F e viene rifratto parallelamente all’asse ottico.
Per tracciare l’immagine bastano due raggi. La costruzione a due raggi è valida solo in
prima approssimazione, con l’oggetto centrato rispetto alla lente.
Con riferimento alla figura, per una lente convergente, GC=p, CI=q: se l’oggetto è
posto davanti al primo fuoco, l’immagine è reale, capovolta, ingrandita; se l’oggetto si
trova tra il fuoco e la lente, l’immagine è virtuale, dritta e ingrandita (lente di
ingrandimento); se l’oggetto è nel fuoco, l’immagine è infinitamente lontana e non
visibile.

Per le lenti divergenti: se l’oggetto G è davanti al fuoco, il prolungamento all’indietro


del raggio parallelo incidente passa per il fuoco F; il prolungamento del raggio
incidente (non mostrato in figura) passa per il secondo fuoco. Le lenti divergenti danno
sempre immagini virtuali, dritte e rimpicciolite.

- Stima della lunghezza focale di una lente convergente


Per stimare la lunghezza focale della lente, tenere la lente a braccio teso verso un
oggetto illuminato (per es. una lampadina). Com’è l’immagine dell’oggetto osservata

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da lontano? (reale, rimpicciolita e capovolta, è visibile solo quando l’occhio è in asse


con la lente e l’oggetto). E da vicino? (ingrandita, dritta e virtuale)
Per convincere gli studenti che nel primo caso l’immagine è reale, prendere un foglio di
carta (schermo) e metterlo tra occhio e lente. Regolare la distanza foglio-lente fino a
che si vede a fuoco l’immagine della lampadina. L’immagine sul foglio, rovesciata, ora
è visibile da ogni direzione (anche dietro lo schermo se questo è trasparente): è
un’immagine reale.
Guardare attraverso la lente l’oggetto G. Quando si avvicina l’oggetto alla lente per
piccoli spostamenti successivi, come varia q al variare di p?
Se si dispone l’oggetto molto lontano rispetto alla lente, dov’è l’immagine? (nel fuoco
della lente) Se l’oggetto è molto vicino alla lente, com’è l’immagine? (dritta) Si può
raccogliere su uno schermo? Se l’oggetto è nel fuoco dov’è l’immagine? (infinitamente
lontana e non visibile) Come si fa a verificare che la lente ha due fuochi principali
uguali? (si ruota la lente)
La stessa procedura può essere seguita in modo più rigoroso con il banco ottico. V. per
es., per la verifica della equazione delle lenti in forma newtoniana, U. Amaldi, Fisica
per temi.

§7.5. Prismi
angolo di rifrazione

α δ angolo di
deviazione
β

PRISMA

Un po’ di terminologia per il prisma: vertice e angolo al vertice γ o angolo di rifrazione


del prisma; angolo di deviazione δ (è l’angolo compreso tra il prolungamento del raggio
incidente e del raggio rifratto). Se un prisma ruota intorno a un asse passante per il
vertice e normale al piano della figura l’angolo di deviazione varia; δ è minimo quando
il raggio attraversa il prisma in modo simmetrico.
La condizione di deviazione minima si ha per α = β = γ/2 dove α e β sono
rispettivamente gli angoli tra la normale al prisma e il raggio di ingresso e di uscita.
In aria il prisma disperde la luce bianca (l’indice di rifrazione n è funzione di λ,
n=n(λ)) nelle componenti rossa, arancione, gialla, verde, blu,violetta. Per il vetro crown
il raggio meno deviato è il rosso con nr=1,51 e λ ∼ 650 nm, quello più deviato è il blu-
violetto con nv = 1,53 e λ ∼ 480 nm. L’indice di rifrazione n aumenta al diminuire di λ.
Più esattamente, si ha dispersione normale se n decresce monotonamente e con
continuità al crescere di λ: è il caso di vetro e acqua nel visibile.

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λ (nm)

400 700

La maggior parte delle sostanze mostra tuttavia dispersione anomala nell’UV e nell’IR,
cioè presenta assorbimento selettivo con picchi o bande di assorbimento.
Il prisma è un componente ottico di estremo interesse: può deviare e invertire le
immagini e disperdere la luce. Per mostrare le prime due proprietà conviene avere un
prisma retto. Se si hanno più prismi si possono distribuire agli studenti, invitandoli a
fare osservazioni libere. Dovrebbe risultare alla fine che il prisma devia e inverte le
immagini oltre a disperdere la luce nelle sue varie componenti.
La luce è dunque composta dei colori dell’iride. Che succede se mettiamo un filtro
rosso davanti a una sorgente di luce bianca? (il filtro assorbe le varie componenti e fa
passare solo la componente rossa). Attenzione al fatto che comunemente si crede che
un vetro o un foglio di plastica trasparente colorato aggiunga anziché togliere qualcosa
alla luce bianca.

Esperimento sul prisma deviatore (v. Schede Leybold, Ottica geometrica, 2105 e 2106)
Materiali: banco ottico o box di luce; filtro rosso; se si usa il banco ottico, realizzare un
condensatore di luce (sorgente luminosa nel fuoco di una lente convergente, per es., con
f=10 cm; diaframmare il fascio in modo da avere in uscita un solo fascetto); posizionare
sul tavolino ottico il prisma retto come in figura per deviare il fascio di 90° (se si usa il
box di luce il prisma va disposto su una superficie qualunque. Per visualizzare il
cammino dei raggi la parte smerigliata del prisma va a contatto con la superficie di
appoggio).

Perché il fascio viene deviato? Quanto vale l’angolo di incidenza sulla superficie limite
tra il mezzo più denso, il vetro con n=1,5, e il meno denso, l’aria con n=1? (α=45°;
ricordare che per il vetro l’angolo limite è α*= arcsin(n2/n1) = arcsin(1/n1)=
arcsin(1/1,5)∼ 42°. Si ha pertanto α>α* e quindi riflessione totale).
Disporre il prisma con la superficie piana parallela al piano della fenditura: le riflessioni
totali ora sono due e il fascio viene deviato di 180°.

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Disporre il prisma come in figura; realizzare due fascetti coprendo una fenditura con un
filtro rosso in modo da avere all’uscita un raggio bianco e uno rosso: il prisma inverte i
raggi e un oggetto osservato attraverso il prisma appare capovolto.
rosso
bianco

bianco

rosso

filtro rosso

Si suggerisce di fare questa esperienza prima della dispersione da prisma: se si usano


uno o più prismi si può osservare lo spettro rosso-blu invertito in blu-rosso, senza
riuscire a capire perché.

Dispersione della luce bianca da prisma


Materiali: vedere l’esperimento precedente; uno o due prismi uguali; una lente
convergente. Attenzione che la fenditura attraverso cui passa il fascio parallelo di luce è
essenziale per osservare bene lo spettro. Mettere a fuoco l’immagine della fenditura su
uno schermo. Meglio usare due schermi, uno in direzione del pennello di luce bianca,
l’altro spostato, per lo spettro. Disporre il prisma sulla superficie di osservazione e
ruotarlo fino a trovare la condizione di deviazione minima (fascio uscente simmetrico
rispetto al fascio entrante); intercettare lo spettro sul secondo schermo. Il prisma
analizza, cioè separa, la luce da rosso a violetto.

foglio A4 con
angolo ripiegato

Con un cartoncino usato come ‘monocromatore’ selezionare un colore e farlo incidere


su un secondo prisma: un colore ‘puro’ non viene ulteriormente analizzato dal prisma.

Mediante una lente convergente (o un secondo prisma), ricombinare i colori: si osserva


di nuovo luce bianca. (v. Schede Leybold, Ottica geometrica, 2107, 2108 e 2109).

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- Newton e i colori
Vale la pena esporre l’esperimento di Newton sulla dispersione dei colori1. Newton
inizia a occuparsi di ottica verso il 1660 quando il dibattito intorno alla natura della luce
è assai vivo. Le vicende di Galileo e del cannocchiale avevano avuto una grande
risonanza negli ambienti accademici e in seguito a ciò gli interessi relativi alle tecniche
di costruzione degli strumenti ottici erano sensibilmente cresciuti. Uno dei problemi
che più si dibattevano nel periodo, riguardava l’aberrazione cromatica negli obiettivi
del telescopio che si pensava dovesse dipendere dalla forma delle lenti. Nel tentativo di
risolvere il problema il giovane Newton esamina la possibilità di eliminare il difetto
usando lenti coniche ma nello stesso tempo va ad analizzare le cause che producono il
cromatismo. Da questi tentativi nascono, da un lato, la progettazione e la costruzione di
un telescopio a riflessione; dall’altro, la teoria dei colori che viene considerata dallo
stesso Newton “la più grande se non la più importante scoperta finora fatta nelle
indagini naturali”.
Il problema dei colori era stato oggetto di numerose speculazioni nel corso della storia
dell’ottica. Lo stesso Newton, in una breve analisi, aveva esaminato le principali
interpretazioni classiche e contemporanee e le aveva giudicate del tutto insoddisfacenti:
nel primo caso poiché corrispondevano a pure definizioni verbali, scorrelate da
qualsiasi osservazione sperimentale; nel secondo poiché le spiegazioni proposte
tendevano a individuare l’origine dei colori nei corpi sui quali la luce agiva piuttosto
che nella luce stessa:
Coloro i quali fino a oggi hanno dissertato sui colori o lo hanno fatto con parole, come i peripatetici,
oppure, come gli epicurei e altri più moderni autori che si sono industriati di indagarne le cause e la
natura. Ciò che i peripatetici insegnavano riguardo ai colori, anche se fosse esatto, non ha alcuna
importanza per il nostro fine, poiché essi non si occupavano né del processo attraverso il quale nascono i
colori né delle cause della loro varietà […]. Quanto all’opinione di altri filosofi, essi ritengono che i
colori nascano o da una differente mescolanza dell’ombra con la luce, o da un ruotare di sfere, o da
vibrazioni di un determinato mezzo etereo. […] Tutte queste asserzioni contengono un errore comune, e
cioè quello secondo il quale la modificazione della luce che produce i colori, non le sia propria
dall’origine, ma sia acquistata nella riflessione o nella rifrazione […]. Io ho trovato, al contrario, che la
modificazione della luce dalla quale derivano i colori, è una proprietà innata della luce […] e non può
essere distrutta né mutata in alcun modo.2

Con questa affermazione Newton rovescia completamente le concezioni fino allora


avanzate: ai colori viene attribuita, per la prima volta, dimensione fisica liberandoli da
quegli aspetti soggettivi e fisiologici che ne avevano condizionato l’indagine. Le
assunzioni più rilevanti, contenute nella memoria A new Theory about Light and
Colours, inviata da Newton alla Royal Society all’inizio del 1672, sono le seguenti: la
luce bianca non è omogenea ma è un aggregato di raggi aventi diverso grado di
rifrangibilità; a ogni grado è associato un colore fondamentale e viceversa; al grado

1 Il brano è liberamente tratto da F. Bevilacqua, M. G. Ianniello, L’Ottica dalle origini all’inizio del
‘700, Loescher, Torino, 1982.
2 Newton, Lectiones Opticae, cit. in S. Vavilov, Isaac Newton, Torino, Einaudi, 1954, p. 72.

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massimo di rifrangibilità corrisponde il viola, al minimo il rosso; è possibile separare,


senza perturbare, le diverse componenti della luce nei colori primari e successivamente
ricomporle ottenendo così nuovamente luce bianca.
Gli studi di ottica di Newton, condotti dal 1670 al 1690 (oltre ai colori, si occupa di vari
altri fenomeni, come gli anelli di Newton che lo costringono ad ammettere, anche se in
forma dubitativa visto che Newton propende decisamente per una teoria corpuscolare
della luce, che la luce può propagarsi anche per onde), vengono pubblicati nel 1704 nel
trattato Opticks, or a Treatise of the Reflexions, Inflexions and Colours of Light.

La nuova teoria dei colori


Nel 1666, anno in cui lavoravo a molare lenti di forma diversa da quella sferica, mi procurai un prisma di
vetro di forma triangolare per sperimentare i noti fenomeni dei colori. A tale scopo, dopo aver oscurato la
mia stanza e praticato un forellino in una imposta per selezionare in modo opportuno la luce solare,
disposi il prisma al suo ingresso in modo che la luce si rifrangesse sulla parte opposta. Da principio era
un piacere osservare i colori così prodotti, ma dopo un po’, prestando più attenzione al fenomeno, mi
sorpresi di vederli disposti in forma oblunga poiché, secondo la legge della rifrazione, mi aspettavo che si
disponessero in forma circolare. Essi terminavano ai lati secondo linee rette ma verso le estremità la
diminuzione della luce era così graduale che era difficile determinare con esattezza i contorni;
sembravano tuttavia semicircolari. […] Allora mi venne il sospetto che i colori si dilatassero a causa di
una qualche irregolarità accidentale presente nel vetro e per sperimentare ciò presi un altro prisma simile
al primo e lo disposi in modo che la luce, passando attraverso ambedue, fosse rifratta in senso inverso e
ricondotta dal secondo nella direzione da cui il primo l’aveva deviata. Pensavo infatti che gli effetti del
primo prisma sarebbero stati distrutti dal secondo ma che per la molteplicità delle rifrazioni sarebbero
aumentati gli effetti irregolari. Avveniva che la luce, diffusa in forma oblunga dal primo prisma,
acquistava col secondo una forma regolare, come se non avesse affatto attraversato i due prismi. Dunque,
qualunque fosse la causa della lunghezza dello spettro, non era dovuta a una irregolarità casuale. […]
L’eliminazione graduale di questi sospetti, infine, mi condusse all’experimentum crucis, che consisteva
in questo: presi due assicelle e disposi la prima davanti al prisma, vicino alla finestra, in modo tale che la
luce potesse filtrare attraverso un forellino praticato in essa e cadere sull’altra assicella che posi a circa
12 piedi di distanza e su cui pure avevo praticato un foro per far passare parte della luce incidente. Poi
posi un altro prisma dopo questa seconda assicella in modo che la luce, una volta passata per entrambe,
passasse pure attraverso il secondo prisma per essere nuovamente rifratta prima di giungere alla parete.
Fatto ciò, presi in mano il primo prisma e cominciai a farlo ruotare lentamente attorno al proprio asse da
una parte e dall’altra, in modo che le diverse parti dell’immagine proiettata sulla seconda assicella
passassero l’una dopo l’altra per il foro presente in essa, in modo da poter vedere sulla parete in quali
zone il secondo prisma la rifrangesse. E dalla variazione di quelle zone vidi che la luce che tendeva a
un’estemità dell’immagine, nella cui direzione avveniva la rifrazione del primo prisma, nel secondo
prisma subiva una rifrazione molto maggiore della luce che arrivava all’estremità opposta. Perciò, la
causa vera della dilatazione dell’immagine risiedeva nel fatto che la luce è composta di raggi
diversamente rifrangibili i quali, senza alcun rapporto con l’angolo di incidenza, a parità di mezzo, sono
più rifratti di altri e perciò si trasmettono attraverso il prisma nelle diverse zone della opposta parete a
seconda del loro particolare grado di rifrangibilità. […]
Newton, A new Theory about Light and Colours, I, pp. 92-99.

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L’origine dei colori


Adesso parlerò di un’altra notevole anomalia che spiega l’origine dei colori: dapprima esporrò la teoria e
poi esaminerò uno o due esperimenti fatti per poterla provare.
Si comprenderà meglio tale teoria attraverso le seguenti proposizioni:
1. Come i raggi luminosi si differenziano nel grado di rifrangibilità così si differenziano nella tendenza a
mostrare questo o quel colore. I colori non sono qualità della luce dovute a rifrazioni o riflessioni sui
corpi (come si crede comunemente) ma proprietà originarie e innate della luce stessa, diverse in raggi
diversi. Solo alcuni raggi hanno la tendenza a mostrare il rosso, altri il giallo, altri il verde e così via. Non
esistono solamente raggi associati ai colori principali ma anche tutti quelli associati alle gradazioni
intermedie di colore.
2. Allo stesso grado di rifrangibilità è associato sempre lo stesso colore e viceversa. I raggi meno
rifrangibili hanno la tendenza a mostrare il colore rosso e viceversa: allo stesso modo i raggi più
rifrangibili hanno la tendenza a mostrare il colore viola scuro e viceversa. Così tutti i colori intermedi
hanno gradi di rifrangibilità intermedia. E questa analogia tra colori e rifrangibilità è così stretta che i
raggi o concordano esattamente o ne differiscono proporzionalmente.
3. Il colore e il grado di rifrangibilità associati a un dato raggio non si modificano né per rifrazione né per
riflessione sui corpi, né per qualunque altra causa da me osservata […].
4. E’ possibile apparentemente modificare i colori ma solo nei casi in cui ci sia una mescolanza di raggi
di tipo diverso […].
5. Esistono perciò due tipi di colore: gli uni, primari e semplici, gli altri composti. I colori primari sono il
rosso, il giallo, il verde, l’azzurro e il viola insieme all’arancione, l’indaco e una varietà di gradazioni
intermedie.
6. I colori primari si possono produrre anche per composizione. Infatti, componendo giallo e azzurro si
ottiene il verde, rosso e giallo danno arancione, arancione e giallo-verde il giallo. E in generale, dalla
composizione di due colori non troppo distanti nello spettro si ottiene un colore, la cui posizione è
intermedia ai due colori, mentre ciò non avviene per quei colori situati a distanze maggiori. Ad esempio,
arancione e indaco non producono il verde a essi intermedio né il rosso scarlatto e il verde possono
produrre il giallo.
7. Ma la composizione più interessante e sorprendente è quella che produce il bianco. Non esiste alcun
tipo di raggio che da solo lo possa mostare. Esso è sempre composto e per la sua composizione sono
richiesti tutti i colori prima menzionati in proporzioni dovute. Ho spesso osservato con sospresa come,
facendo riconvergere i raggi separati dal prisma, essi tornassero a mostrare una luce assolutamente bianca
che si distingueva da quella solare solo se i vetri usati non erano sufficientemente puri e incolori.
8. Si capisce quindi perché il bianco è il colore normale della luce e che esso è un insieme confuso di
raggi di ogni colore che così mescolati vengono emessi dalle diverse parti dei corpi luminosi. Se i colori
componenti intervengono in giuste proporzioni, l’insieme risultante è bianco; ma se un colore predomina
sugli altri la luce deve tendere a quel colore, come ad esempio succede nella fiamma azzurra dello zolfo,
in quella gialla della candela e nei diversi colori delle stelle fisse.
9. Compresi questi fatti è chiaro il modo in cui i colori vengono prodotti dal prisma. Infatti, poiché la
luce incidente è formata da raggi che differiscono per grado di rifrangibilità e, quindi, per colore, per
rifrazione il fascio si divide e si disperde in una forma oblunga secondo una successione ordinata che va
dal rosso scarlatto, che è il meno rifrangibile, al viola. Per lo stesso motivo gli oggetti osservati attraverso
un prisma appariranno colorati. Raggi diversi per rifrazione si distribuiscono in diverse parti della retina
e ciò suscita le immagini degli oggetti colorati così come formavano l’immagine del sole sulla parete e, a
causa della diversa rifrangibilità, non solo essi appaiono colorati ma pure confusi e indistinti.
10. Di qui si comprende anche perché i colori dell’arcobaleno appaiono nelle gocce sospese di pioggia
[…].
Newton, A new Theory about Light and Colours, I, pp. 99-102.

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La disposizione di Newton all’epoca è tipica: in una stanza buia si fa filtrare attraverso


un foro dell’imposta della finestra un sottile fascio di luce solare o la luce di una
candela; una fenditura collima il fascio che incide sul prisma e uno schermo raccoglie
lo spettro. La fenditura è essenziale. Goethe per esempio sbaglia a condurre
l’esperimento: non mette fenditura oppure sceglie una fenditura F troppo larga. Se F è
larga, gli spettri al centro si ricombinano e danno bianco; ai lati si osservano spettri
parziali attigui alla zona buia.
rosso-giallo

bianco

verde-blu-violetto

Sulla base del suo esperimento sbagliato Goethe tenterà di confutare la teoria di
Newton per affermare che i colori risultano dalla combinazione di luce e di ombra, in
linea con le idee della Naturphilosophie. Schopenhauer sosterrà Goethe contro Newton.

- Spettroscopio a prisma
Illustrare come è fatto uno spettroscopio a prisma e a cosa serve. Usiamo per esempio
lo spettroscopio tascabile Leybold (46702) e facciamo la prova alla fiamma di alcuni
elementi (v. IPS, Zanichelli, Bologna, 1974, esperimenti 6.10 e 6.11). Il nostro
spettroscopio è costituito da una lente convergente, che collima il fascio entrante, da un
prisma, e una seconda lente obiettivo che focalizza la luce su uno schermo o, come nel
nostro caso, nell’occhio.

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Cap. 8 ONDE
§ 8.1. Generalità sulle onde
L’argomento “Onde” è assai complesso e si rimanda a un manuale di fisica generale la
trattazione completa dell’argomento. Qui ci limitiamo a fare richiami soprattutto sulla
fenomenologia che ci servirà per operare analogie tra le onde d’acqua e le onde di altra
natura, in particolare luminose. Presentiamo nel seguito una serie di esperienze con
l’ondoscopio con l’idea di impiegare questo efficace strumento per far capire agli
studenti una serie di concetti e di fenomeni fondamentali che ci saranno utili nel
seguito, soprattutto quando affronteremo l’ottica ondulatoria.
Concetti e nozioni base: impulsi; onde periodiche: lunghezza d’onda, frequenza,
velocità di fase e di gruppo, loro descrizione nel dominio dello spazio (ventri e nodi;
creste e gole) e del tempo; onde elastiche longitudinali e trasversali. Velocità del suono
in aria, di un impulso meccanico in una sbarra, in una corda vibrante v=(τ/µ)1/2, in
acqua v≈(gλ/2π)1/2. Interferenza, onde stazionarie e risonanza. Effetto Doppler,
battimenti. Analogie e differenze tra onde acustiche, liquide (e luminose).
Tenere presente che nelle onde liquide, in prima approssimazione, la velocità di
propagazione non dipende dalla densità del mezzo ma da λ (il mezzo è ‘dispersivo’).

Partiamo come se stessimo presentando una lezione alla classe.


Che cos’è un’onda? Gli studenti dovrebbero arrivare a capire che è la propagazione di
uno stato di moto in un mezzo, senza trasferimento di materia ma solo di energia, sia
cinetica che potenziale.
Come classificare un’onda?
Ci sono vari criteri. Se facciamo riferimento al fronte d’onda (luogo geometrico dei
punti che si muovono in fase, cioè con la stessa velocità di fase) possiamo classificare
le onde in funzione della loro configurazione geometrica e parlare di:
onde piane (qualsiasi onda che venga da infinitamente lontano); onde sferiche (come un
suono in aria se il mezzo è isotropo), ecc.
Possiamo anche riferirci al tipo spaziale d’onda, a seconda che questa abbia la
possibilità di propagarsi in tre dimensioni (onda di volume, per es. l’onda acustica
dell’esempio precedente); in due dimensioni (onda di superficie, per es. onde circolari
in acqua, onde in una membrana nel caso di onde elastiche); in una dimensione (onda
lineare, per es. un impulso in una corda tesa).
Possiamo ancora caratterizzare un’onda in funzione della sua durata temporale; qui
possiamo avere due casi estremi con un caso intermedio: un’onda permanente (la
sollecitazione o perturbazione ha durata teoricamente infinita, t→∞); un’onda
impulsiva (di durata infinitesima, t →0); un treno d’onda (il processo ha durata finita).
Si può ricorrere a una descrizione dell’onda in funzione del vettore di propagazione a
seconda che questo sia parallelo alla direzione di propagazione (onde longitudinali, per
es. tubo+gas+pistone, un impulso in una corda tesa, in una molla o in una sbarra),
oppure sia ortogonale alla direzione di propagazione (onde trasversali come le onde
elettromagnetiche, la corda tesa sotto l’effetto frusta); possibile modellizzazione
meccanica mediante molle e masse: sopra, onda longitudinale in direzione x, sotto, il
moto delle particelle è perpendicolare alla direzione di propagazione x.

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Si osservi che le onde superficiali in acqua rappresentano un caso intermedio tra le


onde longitudinali e trasversali: se il profilo dell’onda è sinusoidale, le traiettorie delle
singole particelle sono circolari con centro sulla linea che rappresenta la superficie
indisturbata dell’acqua.

Nella classificazione delle onde va considerata un’altra importante proprietà: il mezzo.


Tutte le onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi (per es. le onde elastiche come
il suono in un fluido, le onde meccaniche in un solido), tranne le onde
elettromagnetiche che possono propagarsi anche nel vuoto.
Velocità di propagazione di un’onda: la trattazione completa è assai complessa. Ci
limitiamo a richiamare dei casi particolari:
suono in aria o in un gas γp γ=Cp/CV
velocità longitudinale vl = p è la pressione statica
di propagazione ρ
del gas, ρ la densità
impulso meccanico in E E, modulo di Young
una sbarra (per vl = del mezzo,
onde longitudinali di ρ ρ densità
piccola ampiezza) €
corda vibrante τ τ, tensione della corda,
velocità trasversale vt = µ densità lineare
€ µ
onde d’acqua gλ v non dipende dalla densità
in prima approssimazione v≈ ma da λ; se v=v(λ) o v=v(f)
2π c’è dispersione

La relazione che più ci interessa è la velocità di propagazione di un’onda in una corda
tesa (cosiddetta corda
€ vibrante) per le applicazioni per es. negli strumenti musicali a
corda; in una chitarra possiamo variare la tensione τ di una corda metallica mediante i
cavicchi. A parità di τ applicata possiamo variare la densità µ di una corda
avvolgendola con un filo massivo a elica.
Se la velocità di propagazione dipende dalla densità del mezzo le onde si propagano
con velocità diverse in mezzi diversi.
La forma più completa per la velocità di propagazione delle onde d’acqua è
& gλ 2πσ ) 2πh
v= ( + + tgh , con σ tensione superficiale dell’acqua, h profondità e ρ
' 2π ρλ * λ
densità dell’acqua.


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Equazione generale di un’onda


Un’onda è descrivibile da un’espressione del tipo:
f=f(x, y, z, t) =f(r , t); in una dimensione f=f(x, t) =f(x±vt) (I) dove vale il segno – per le
onde progressive e il + per le regressive. La (I) è soluzione dell’equazione delle
∂2 f 1 ∂2 f
onde 2 = 2 2 ; se si vuole una data forma d’onda bisogna specificare f nella (I);
∂x v ∂t
per es. per onde sinusoidali, progressive, di ampiezza ym (o spostamento massimo) e
costante di fase φ, si ha: y= ym sin(kx-ωt-φ), dove ω è la pulsazione, k la pulsazione
spaziale e l’argomento del seno è la fase dell’onda.
€ Se l’onda non dipende dal tempo (ha una configurazione stabile) si dice stazionaria.
Un’onda stazionaria deriva dalla sovrapposizione di onde (due treni d’onda) di stessa
frequenza, stessa velocità e ampiezza che si propagano in versi opposti:
y1 = ym sin(kx-ωt); y2 = ym sin(kx +ωt); y= y1 + y2 =2 ym sinkxcosωt.
Come realizzare un’onda stazionaria: per es., corda tesa fissa a un estremo; si fa
sovrapporre l’onda incidente con quella riflessa al vincolo; in tal caso si ha un nodo al
vincolo e un ventre all’estremo della corda (v. oltre).
Per le onde periodiche (o armoniche) si dà una rappresentazione spaziale (x, y) o
temporale (t, y). Si parla anche di grandezze caratteristiche di un’onda nel dominio del
tempo o nel dominio dello spazio.

Profilo dell’onda armonica nello spazio: ventri intervallati di λ/2, nodi intervallati di
λ/2.

Dominio nel tempo Dominio nello spazio


Pulsazione o frequenza angolare ω [rad/s] pulsazione spaziale k [rad/m]

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è la variazione della fase dell’onda è la variazione della fase dell’onda


per unità di tempo per unità di percorso (k è anche
detto numero d’onda)
periodo T [s], tempo impiegato lunghezza d’onda λ [m],
dall’onda armonica per percorrere percorso dell’onda armonica quando
la distanza di una λ, con λ=vT la sua fase varia di 2π
frequenza f=1/T [Hz] numero d’onda n˜ =1/λ [m-1]

Osservare che: λ:2π=1:k → k=2π/ λ;


T:2π=1:ω →ω=2π/T=2πf= kλ/T=kv (v= λ f).

Velocità di fase vf e di gruppo vg
Se il mezzo non è dispersivo l’onda si propaga con velocità di fase vf costante (l’onda si
propaga mantenendo la stessa forma); se il mezzo è dispersivo (vf = vf (λ)) un impulso
subisce deformazione spaziale: le singole componenti armoniche hanno vf differenti; la
sovrapposizione di onde più veloci e di onde più lente dà luogo a un allargamento
dell’onda. In generale si ha: vg = vf -λdvf /dλ (per un mezzo non dispersivo dvf /dλ=0).
Esempio di mezzo dispersivo: prisma per la luce bianca, la radiazione incidente si
decompone nelle sue componenti armoniche monocromatiche (dispersione da prisma).

§8.2. Onde nei solidi: impulsi in una molla


Per le onde nei solidi: molle (possibilmente 2, una leggera e una pesante da
accoppiare), corde, “string vibrator”. Osservazioni qualitative sulla produzione e
propagazione di impulsi trasversali e longitudinali (sovrapposizione di impulsi,
interferenza, ecc.).

Prima di trattare le onde periodiche, è bene far prendere familiarità agli studenti con il
concetto di impulso. Solo nel caso di treni d’onda periodici ha senso successivamente
parlare di frequenza, lunghezza d’onda e fase e vale la relazione v=λf.

Conviene iniziare con gli impulsi in una molla (slinky).


L’ideale sarebbe avere una slinky estendibile fino a 2 m, sospesa da terra tramite un
sistema di funi sottili e anellini che possano scorrere su un’asta orizzontale fissata a una
certa altezza. In mancanza di ciò, poggiamo una molla più corta sul pavimento oppure
facciamo tendere la molla da due studenti mantenuta sospesa a una certa altezza agli
estremi:

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- generare un impulso longitudinale nella molla (comprimere alcune spire e poi


rilasciare). Che fa l’impulso? Si può misurare la sua velocità di propagazione?
Nella molla reale, l’impulso si attenua rapidamente; chiarire che se lavorassimo in
condizioni ideali (molla nel vuoto, priva di resistenza interna e senza attrito con il piano
d’appoggio) l’impulso conserverebbe la sua forma, la sua velocità sarebbe costante e
indipendente dall’ampiezza dell’impulso. Quando si tende di più la molla (aumentare la
tensione τ sulla corda), che fa la velocità? (aumenta, v ∝ τ1/2).
- Ripetere l’esperimento con una molla più pesante (cioè di densità maggiore). A parità
di tensione, la velocità diminuisce (v ∝ µ 1/2). −

- Generare un impulso a un estremo della molla e un secondo impulso all’estremo


opposto: in condizioni ideali i due impulsi si attraversano senza cambiare forma; nel
punto di incrocio le ampiezze dei due impulsi si sommano; vale cioè il principio di
sovrapposizione.
- Generare un impulso trasversale (tendere la molla lateralmente e rilasciare). Si può
misurare la sua velocità di propagazione?
- Se la molla è fissa a un estremo mentre uno studente genera un impulso trasversale
all’altro estremo, l’impulso al punto fisso (nodo) si riflette capovolto (da cresta diventa
gola, si sfasa cioè di π, cioè perde mezza lunghezza d’onda λ/2, ma con la molla
appoggiata su un piano è difficile osservarlo).
nodo

- Un impulso genera una pressione. Mettere un tubo di cartone all’interno della slinky:
quando l’impulso si propaga il tubo dovrebbe muoversi un po’. Se si provoca un’onda
nella molla il tubo non si muove più perché gli impulsi si compensano.
- Con la molla tenuta sospesa da terra e tesa dai due studenti, generare un’onda a un
estremo: per riflessione all’altro punto fisso (secondo studente) dovrebbe stabilirsi una
particolare configurazione (v. oltre), le onde stazionarie. Generare onde stazionarie
facendo scuotere contemporaneamente in su e in giù la molla da due studenti. Lo stesso
vale se al posto della molla abbiamo una corda. Le onde stazionarie rappresentano un
caso particolare di interferenza: si ha interferenza quando si sovrappongono due o più
treni d’onda di stessa frequenza, velocità e ampiezza che si propagano in versi opposti.
- Con due molle accoppiate, una pesante e una leggera (ma lo stesso vale per due corde
accoppiate oppure per una molla accoppiata a una corda di diverse densità): raccordare
una molla leggera, di densità µ1, a una molla pesante (µ2> µ1); quando un impulso si
propaga dalla molla leggera alla pesante, l’impulso in parte si propaga dritto (se

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avevamo una cresta abbiamo ancora una cresta, l’impulso è in fase con l’impulso
incidente), in parte si riflette capovolto al punto di giunzione (se avevamo una cresta,
abbiamo una gola, l’impulso è riflesso sfasato di π rispetto all’impulso incidente). Si ha
inoltre v1> v2 (v=(τ/ µ)1/2).
!µ !µ > !µ
1 2 1

Se l’impulso si propaga da molla pesante (µ1) a leggera (µ2< µ1), in parte si trasmette
dritto (in fase con l’impulso incidente), in parte si riflette dritto (in fase con l’impulso
incidente) al punto di giunzione (v1< v2).
µ1 µ < µ
2 1

Si ha l’analogo della rifrazione in ottica: quando un fascio di luce si riflette su una


superficie al di là della quale c’è un mezzo con indice di rifrazione maggiore, per es. da
aria a vetro (v1> v2), l’onda riflessa si sfasa di π (perde mezza lunghezza d’onda λ/2)
mentre l’onda rifratta è trasmessa in fase con l’onda incidente. Se la luce passa da vetro
a aria, l’onda riflessa è in fase con l’onda incidente.
n1 , v1

riflessa vetro riflessa in fase


aria
sfasata di π

n2 ,v2
aria
vetro

§8.3. Corda vibrante e onde stazionarie


In una corda vincolata agli estremi (nodi) messa in vibrazione si stabiliscono onde
stazionarie tra l’onda diretta e l’onda riflessa a un nodo quando si forma un numero
intero n di ‘segmenti’ (o ‘occhielli’), confinati tra due nodi. Le onde stazionarie
risultano dall’interferenza di due onde di stessa lunghezza d’onda, velocità e ampiezza
che si propagano nella corda in versi opposti: y1 = ym sin(kx-ωt); y2 = ym sin(kx +ωt); y=
y1 + y2 =2 ym sinkxcosωt.
L’ampiezza 2ymsinkx ha un massimo 2ym per kx = π/2, 3π/2, 5π/2,
π 3 5 2π 1π λ
…( sin kx = 1 → kx = , π , π ,...k = →x= → ,...) ossia per x=λ/4,3λ/4, ecc.
2 2 2 λ k2 4


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(ventri); l’ampiezza si annulla per kx= π, 2π, 3π, ecc. (sinkx=0) ossia per x=λ/2, λ,
3λ/2,…(nodi).
Se la corda è lunga l, ogni segmento è lungo mezza lunghezza d’onda λ/2 e si hanno
ventri e nodi intervallati di λ/2; i nodi sono fermi, non c’è trasporto di energia da un
occhiello all’altro e l’energia rimane stazionaria nella corda (in ogni occhiello l’energia
si alterna tra potenziale e cinetica); si ha l=nλ/2, con n= 2l/λ intero, condizione per le
onde stazionarie.

Attenzione che gli occhielli si formano solo con i giusti parametri (v. oltre). La
formazione di n occhielli corrisponde al fatto che la corda ha molti modi normali o
naturali di vibrazione (cioè varie frequenze proprie di oscillazione):

per n=1, λ1= 2l, armonica fondamentale o prima armonica


per n=2, λ2=l, seconda armonica
per n=3, λ3=(2/3)l terza armonica, ecc.

Lo stesso vale per una sbarra vincolata agli estremi o una colonna d’aria chiusa agli
estremi. E’ il caso, per es., degli strumenti musicali a corda come la chitarra o delle
canne d’organo chiuse agli estremi.
Se la corda (o la sbarra, ecc.) è vincolata a un solo estremo (nodo) i modi normali di
vibrazione soddisfano la condizione:
l= (2n+1) λ/4 con n= 0, 1, 2, .. La configurazione delle onde stazionarie è tale che dalla
parte del vincolo si ha un nodo e dall’altra parte un ventre.

l
l l n=2
n=0 n=1
per n=0, λ1=4l, armonica fondamentale
per n=1, λ2=(4/3)l, seconda armonica
per n=2, λ3=(4/5)l, terza armonica, ecc.
Un’interessante applicazione si ha negli strumenti musicali a fiato come trombe,
clarinetti o canne d’organo chiuse a una estremità.
Se la corda (o la sbarra) non è vincolata agli estremi si hanno onde stazionarie con due
ventri agli estremi e vale la condizione l= nλ/2, con n=1, 2, 3,…
Corda vibrante: onde stazionarie in una corda vibrante; far vedere i modi normali di
vibrazione; misurare la velocità di propagazione di un’onda; cercare e graficare la
relazione tra tensione a cui è sottoposta la corda e n-2 con n numero intero di ‘segmenti’
(cioè di mezze lunghezze d’onda che si stabiliscono nella corda).

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Esperimento con la corda vibrante


Materiali: vibrator string della Pasco, oppure Melde’s apparatus della Altay scientific o
simili, sostegni, corda, possibilmente un pezzo di corda nera e un pezzo bianca, un
pezzo di corda elastica, carrucola, masse, metro, cronometro.
Il dispositivo per produrre le onde stazionarie consiste in una lamina che vibra a una
data frequenza (in genere la frequenza di rete, f= 50 Hz), alla quale viene fissata la
corda. La corda viene tesa orizzontalmente, fatta passare sulla gola di una carrucola e
messa in tensione da una serie di masse. Le masse vanno aggiustate in modo che nella
corda si stabilisca un numero n intero di modi normali di vibrazione.

- Mettere in vibrazione la corda (usare uno sfondo opportuno in modo che il fenomeno
sia ben visibile da tutta la classe: la parte dimostrativa e più qualitativa è spettacolare).
Quanto vale λ? (misurare) Che relazione c’è tra l, n e λ? Se si tocca la corda nel punto
di massima vibrazione (ventre) che succede? (l’ampiezza diminuisce) E se si tocca la
corda in uno dei nodi? (l’ampiezza aumenta) Se si tocca la corda nel nodo di mezzo,
che succede a λ? Variare le masse e far vedere che succede al numero di occhielli.
- Fissare alla lamina due pezzi di corda di diversa densità: per es. 80 cm di corda di
densità µ1, annodata a 50 cm di corda elastica di densità µ2> µ1: com’è la λ della corda?
(la corda con densità più grande ha λ più piccola, λ2< λ 1). Com’è la velocità di
propagazione delle onde stazionarie? Poiché v= λf, a parità di f v1= λ1f, v2= λ2f →
v2<v1.
!µ 1 !µ2 >!µ1

- Fissare alla lamina 50 cm di corda elastica annodata a 50 cm di corda nera; aggiustare


le masse in modo che alla lamina ci sia un nodo e nel punto di giunzione delle due
corde ci sia un ventre. Nel punto di giunzione si ha l’analogo della corda fissa a un
estremo.

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Misura della velocità di propagazione dell’onda (parte quantitativa)


La misura può essere fatta con più metodi:
1. v= λf , nota f misurare λ.
τ
2. v = con τ tensione a cui è soggetta la corda (quando si sospendono alla corda
µ
le masse mi, τ=mig), µ densità lineare della corda tesa (kg/m).
3. v=l/t, con l distanza percorsa da un singolo impulso nel tempo t (generare un
singolo impulso nella corda e misurare t).
€ La densità lineare della corda va misurata a monte dell’esperimento con una bilancia di
precisione: pesare eventualmente più corda e riportare la massa alla lunghezza della
corda impiegata nell’esperimento (l va dal nodo alla lamina al nodo alla carrucola). Se
la corda è elastica attenzione che ha una lunghezza a riposo l0 (µ0= m/ l0); se viene tesa
µ = m/l< µ0 → µ/ µ0= l0/l → µ=µ0(l0/l).
- Verifica della relazione tra tensione applicata e numero n di occhielli.
Montare la corda di densità lineare µ0 e lunghezza L0, dalla lamina alla carrucola, e
sospendere alla fune masse crescenti in modo da variare n. Se la corda è elastica
ricordarsi che µ=µ0(l0/l). Per ogni n intero misurare λ:
τ 2L
v= (1), v = λf (2), λ = (3) .
µ n
Gli occhielli si formano solo con i giusti parametri L, τ e µ; far vedere che se si
aumenta τ, v aumenta e viceversa. Dalla (1) quadrando τ=v2µ; sostituendo la (2) e la (3)
4L2 1 1
τ = λ2 f 2µ = € 2 f 2µ = 4L2 f 2µ 2 = K 2 , con K= 4L2f2µ costante. Se L=1,0 m, f=50
n n n
-3
Hz, µ=0,9 10 kg/m, Katteso ≈ 9,0 N.
Possibili valori:
m (kg) τ (N) n n2 1/n2
€ x10 -3
x 10-2
g ≈10 m/s2
105,9 1,06 12 144 0,7
136,6 1,37 9 81 1,2
236,0 2,36 7 49 2,0
449,0 4,49 5 25 4,0
2
Riportare su un grafico τ sulle ordinate e 1/n sulle ascisse e verificare la (4). Valutare
dal grafico la pendenza K della retta e confrontarla con il valore atteso (oppure ricavare
µ e confrontarlo con µ atteso).

Nel caso in esame, la corda vibrante ha molte frequenze proprie di oscillazione


n τ
f = (da (1), (2), (3)), con n=1, 2, 3,… Quando la f applicata è circa uguale alle
2l µ
frequenze proprie del sistema questo oscilla con grande ampiezza (risonanza). Far
notare se si è già affrontato il moto armonico semplice (sistema massa-molla,

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ω 2 k
f = = ) che mentre il MAS ha una sola frequenza di risonanza la corda
2π 2π m
vibrante può risuonare a molte frequenze diverse.

€ §8.4. Onde nei liquidi: ondoscopio (o ripple tank o vaschetta a onde).


E’ un ottimo investimento. Ne esistono in commercio svariati modelli, dalla versione
base accoppiabile alla lavagna luminosa, alla versione a frequenza variabile con
stroboscopio (per ottenere immagini stazionarie), specchio e schermo di proiezione per
esperienze dimostrative. Ne esistono anche a costi contenuti per esperimenti di gruppo
da far eseguire agli studenti.

L’ondoscopio è costituito essenzialmente da una vaschetta rettangolare che viene


riempita per qualche cm d’acqua (in genere basta circa 1 litro d’acqua); il fondo della
vaschetta di norma è di vetro per potere proiettare le immagini su uno schermo,
orizzontale al di sotto della vaschetta, oppure verticale (trasparente) se l’ondoscopio
dispone di uno specchio inclinato di 45°. Sullo schermo si può fissare con lo scotch un
foglio di acetato in modo da segnare con un pennarello la direzione di propagazione
(ortogonale al fronte d’onda), la lunghezza d’onda, angoli di incidenza, riflessione o
rifrazione, ecc. Una sorgente luminosa molto intensa è posta al di sopra della vaschetta,
dove vengono prodotte onde, piane o circolari, mediante un eccitatore di impulsi: gli
impulsi rettilinei sono prodotti da battitori lineari mentre gli impulsi circolari vengono
generati da punte (sorgenti puntiformi). L’ondoscopio dispone di un corredo di
accessori quali barriere o ostacoli di varie forme, spessori per variare la profondità
dell’acqua.

Vediamo il principio di funzionamento dell’ondoscopio: immaginiamo di avere


prodotto un’onda piana con un profilo sinusoidale, e quindi una serie di ventri,
illuminata dall’alto. Le creste fungono da lente convergente per la luce incidente, le
gole da lente divergente: sullo schermo a ogni cresta corrisponde una striscia luminosa,
a ogni gola una striscia scura. In funzione del fenomeno in studio si ha una data
configurazione delle onde visibile anche a distanza.

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Nel modello Leybold con stroboscopio a motore (401501) le onde vengono prodotte da
un getto d’aria che mette in vibrazione una membrana presente nel generatore di
frequenza; la pressione dell’aria sulla membrana può essere variata, in modo da variare
l’ampiezza e la frequenza (da 10 a 80 Hz) delle onde; è possibile generare, oltre alle
onde periodiche, anche un singolo pacchetto d’onde. L’illuminazione stroboscopica
serve a rendere stazionaria l’immagine dell’onda (lo stroboscopio è sincronizzato con il
generatore di frequenza che mette in vibrazione la membrana), ma non sempre la messa
in funzione dello stroboscopio migliora le osservazioni (osservazione ottimale con lo
stroboscopio: a bassa frequenza, con filtro rosso fissato sotto lo stroboscopio e
ampiezza al massimo). La profondità dell’acqua può variare da 0,2 a 1 cm.
I parametri sperimentali sono dunque:
frequenza, ampiezza, posizione e forma degli eccitatori, profondità dell’acqua.
Possibili esperimenti: produzione di onde circolari e di onde piane, periodiche e non;
determinazione della lunghezza d’onda λ e della velocità di propagazione
dell’onda; riflessione su ostacolo piano, concavo e convesso; rifrazione, dispersione;
diffrazione da ostacolo, da doppia fenditura; interferenza con due sorgenti puntiformi in
fase e con ritardo di fase (osservazione della piegatura delle linee nodali), con doppia
fenditura, da più fenditure (‘reticolo’), effetto Doppler.
Leggere attentamente il libretto d’istruzione allegato all’ondoscopio e comunque
ricordarsi che in genere è bene:
- per ottimizzare l’osservazione, oscurare parzialmente l’ambiente, con gli studenti a
circa due m dallo schermo;
- controllare con una livella a bolla l’orizzontalità della vaschetta, regolando
eventualmente i piedini dell’ondoscopio;
- abbassare la tensione superficiale dell’acqua aggiungendo una goccia di detersivo;
- far valutare agli studenti il fattore di ingrandimento β delle immagini: mettere sul
fondo della vaschetta un righello di lunghezza y; misurare la lunghezza dell’immagine
del righello y’ sullo schermo: β = y’/y; se per es. la lunghezza d’onda misurata sullo
schermo è λ’, la lunghezza d’onda reale è λ=λ’/β (nel nostro ondoscopio β ≈1,7).

Passiamo agli esperimenti:


- Velocità di propagazione delle onde. Con il generatore di impulsi rettilineo (barra),
generare un singolo impulso. Come possiamo valutare la velocità di propagazione
dell’onda piana (velocità di fase)? (con il cronometro misurare il tempo impiegato dal
fronte d’onda per percorrere l’intera lunghezza l della vaschetta: v=l/t).
- Con due impulsi rettilinei: misurare la distanza l tra il fronte d’onda generato a t0=0 e
a t1=t; v=l/t.

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- Con onde piane periodiche: gli impulsi sono generati a uguali intervalli di tempo T →
v=λf, la lunghezza d’onda λ è la distanza tra due creste successive. Misurare λ sullo
schermo con un righello (ricordarsi del fattore di ingrandimento) e T con il cronometro;
meglio eseguire la misura per n fronti e poi dividere per n.
L’analogo vale per gli impulsi circolari periodici (la distanza tra due fronti d’onda
circolari è λ).
- Riflessione: con il generatore di impulsi rettilineo montato, mettere nella vaschetta la
barriera lineare (‘riflettore’), inclinata rispetto al fronte d’onda, dal lato corto al lato
lungo della vaschetta per evitare effetti di bordo. Far notare il fronte incidente e il
fronte riflesso, l’uguaglianza tra angolo di incidenza (angolo tra la normale alla barriera
e la direzione del fronte incidente) e angolo di riflessione (angolo tra la normale alla
barriera e la direzione del fronte riflesso). Si ha ovviamente l’analogo dello specchio
piano.

Con il generatore di impulsi circolari (sorgente puntiforme S) e il riflettore rettilineo


parallelo al lato corto della vaschetta: far notare come il fronte circolare riflesso sembri
provenire dalla sorgente virtuale, simmetrica di S (S’ virtuale e S reale sono
equidistanti rispetto al riflettore).

Riflessione da ‘specchio’ parabolico: disporre l’ostacolo di forma paraboloidica in


modo che, con un fronte d’onda lineare, gli impulsi rettilinei riflessi convergano in un
punto (fuoco della parabola); valutare la lunghezza focale. Viceversa, se la sorgente è
puntiforme ed è posta nel fuoco dell’ostacolo, le onde riflesse sono rettilinee.
- Rifrazione: in ottica, come abbiamo visto, si ha rifrazione quando la luce passa da un
mezzo a un altro di diversa densità, dove la velocità di propagazione varia. Come si può
realizzare rifrazione con l’ondoscopio? La condizione perché in acqua un’onda subisca
rifrazione, cioè devii, è che cambi velocità. Poiche v è funzione della profondità
dell’acqua, basta mettere una lastra di vetro sul fondo di parte della vaschetta, in modo
che sia sommersa e la profondità dell’acqua diventi h2< h1; in questo modo è come se
avessimo realizzato due mezzi di diversa densità. Se la lastra è parallela al lato corto
della vaschetta, e le onde sono piane e periodiche (i= 90°, non c’è deviazione del fronte
d’onda), dove l’acqua è profonda h1 si ha: v1= λ1f; e dove l’acqua è profonda h2 si ha
v2= λ2f. Dove l’acqua è più bassa si riduce infatti la lunghezza d’onda (λ2<λ1) sicché
v2< v1 (il mezzo è ‘più denso’; si ha l’ “effetto secca”, osservabile al mare).

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Se la lastra di vetro è posta in diagonale rispetto ai fronti d’onda piani si vede lungo la
superficie di separazione acqua bassa-acqua alta, la rifrazione delle onde, che si
piegano con i fronti paralleli in modo che sin i/sin r=λ1/λ2= v1/ v2= costante, in analogia
con la legge di Snell.

Se si varia la frequenza, con un po’ di pazienza si riesce a vedere la dispersione: il


fronte rifratto non è più parallelo e la velocità dei fronti d’onda rifratti varia (v=v(f) in
analogia con il caso ottico, dove n dipende dal ‘colore’ della luce, cioè dalla frequenza
o dalla lunghezza d’onda, n=n(λ)). Se si ha uno spessore di vetro a bordi paralleli si può
mostrare l’analogo della rifrazione da blocco a facce piane e parallele; con una lastra
triangolare, la riflessione totale (difficile da ottenere se non si opera a frequenza
sufficientemente bassa).
- Diffrazione: finora la propagazione delle onde è avvenuta per ‘raggi’ rettilinei. Che
succede se si mette davanti al generatore di onde rettilinee una fenditura (due barriere
lineari di apertura d)? Con onde piane periodiche di lunghezza d’onda λ, mostrare che
succede riducendo via via d: se λ<<d, il fronte d’onda al di là della fenditura è ancora
rettilineo, a parte effetti di bordo in prossimità degli spigoli della fenditura; non appena
d ∼ λ il fronte d’onda si incurva, le onde si sparpagliano a ventaglio (diffrazione) e per
d<< λ la curvatura del fronte d’onda al di là della fenditura è ancora più marcata (tanto
più il rapporto d/λ è piccolo tanto più la curvatura è marcata).

Ciascun punto di un’onda piana può essere considerato come il punto sorgente di
un’onda circolare (principio di Huygens). Realizzare ancora diffrazione da spigolo, da
due fenditure. Nel caso di due fenditure far osservare la comparsa di un nuovo
fenomeno, l’interferenza, realizzabile anche nel modo seguente.

- Interferenza: realizzare interferenza con due sorgenti puntiformi S1 e S2. Se le punte


producono contemporaneamente una cresta (si immergono in acqua
contemporaneamente) si dicono in fase.
Se le sorgenti sono in fase e periodiche (le creste sono equidistanziate della stessa
quantità λ), nella figura di interferenza sullo schermo dell’ondoscopio, si osservano:
zone luminose dovute all’incontro di una cresta con una cresta (doppia cresta,
interferenza costruttiva o in concordanza di fase);
zone scure dovute all’incontro di una cresta con una gola (cresta e gola si elidono e
l’acqua rimane indisturbata lungo le cosiddette linee nodali, interferenza distruttiva o in
opposizione di fase);
zone scure dovute all’incontro di una gola con una gola (doppia gola o avvallamento,
interferenza costruttiva).

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Tra due linee nodali contigue si propagano doppie creste e doppie gole distribuite lungo
iperboli equilatere con i fuochi coincidenti con le sorgenti. Con riferimento alla figura

n=1

n=2

S1 S2

chiamiamo la prima linea nodale a destra (o a sinistra) dell’asse di simmetria “prima


linea nodale” (o di ordine n=1); seconda linea nodale (o di ordine 2), ecc. fino alla linea
nodale di ordine n.
per la prima linea nodale |PS1-PS2| = λ/2,
per la seconda linea nodale |PS1-PS2| = 3λ/2,
... ... ... ....
per la n-ma linea nodale |PS1-PS2| = (n-1/2) λ, con n=1, 2, 3,.. (la differenza di
cammino delle onde è uguale a un numero dispari di mezze λ); queste condizioni
corrispondono a interferenza distruttiva (onde in opposizione di fase) e vengono
comunemente scritte anche come |PS1-PS2| = (2m+1) λ/2, con m= 0, 1, 2,..
La condizione di interferenza costruttiva (onde in concordanza di fase) si ha per
|PS1-PS2| = m λ.
Se le due sorgenti non sono in fase, cioè si immergono in acqua con un ritardo t l’una
rispetto all’altra (p=t/T, ritardo di fase), la figura di interferenza non è più simmetrica e
le linee nodali si piegano.
- Con i generatori d’onda circolare e periodica S1 e S2 in fase: le linee nodali hanno la
forma di iperboli; a grande distanza da S1 e S2 diventano rette. Se prolunghiamo queste
rette all’indietro passano tutte per il centro della distanza tra S1 e S2. A parità di
distanza d tra S1 e S2, che succede se aumentiamo la frequenza f? (aumenta il numero di
linee nodali n: n ∝ f ∝1/λ). Che succede se a parità di f variamo d? (il numero n delle
linee nodali aumenta: n ∝d →n ∝d/λ).
- Effetto Doppler: far vedere con un solo generatore S di onde circolari periodiche fisso
i fronti d’onda tra loro equidistanti. Che succede ai fronti d’onda se trasciniamo S a una
certa velocità in acqua? (sorgente in moto: ci vuole un po’ di accortezza ma sullo

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schermo dell’ondoscopio è ben visibile l’addensarsi dei fronti d’onda circolari nella
direzione del moto, dove λ si accorcia, mentre dalla parte opposta λ aumenta).
Riprendere l’argomento quando si affrontano le onde sonore.

§8.5. Onde acustiche: il suono


Il suono è un’onda elastica e ha bisogno di un mezzo (aria, acqua, ecc.) per propagarsi;
l’onda è longitudinale (la perturbazione si trasmette parallelamente alla direzione di
propagazione) e si propaga per compressioni e decompressioni del mezzo, quindi per
trasmissione di energia meccanica. Ogni particella del mezzo vibra attorno a una
posizione media fissa. Per onde sinusoidali si ha la stessa rappresentazione nel dominio
dello spazio (con λ definita come la distanza percorsa dall’onda in un periodo) e nel
dominio del tempo (con f frequenza, in Hz, numero di vibrazioni nell’unità di tempo)
valida per le onde. Sull’asse delle y è rappresentato lo spostamento della particella del
mezzo. Più la frequenza è alta più il suono è acuto: f definisce l’altezza o acutezza (o
pitch) del suono (da non confondere con l’ampiezza A dell’onda). Il timbro viene dato
dalla forma dell’onda; indica, per così dire, la qualità del suono e distingue tra suoni di
stessa f e A. L’intensità I di un’onda sonora ha le dimensioni di un’energia per unità di
superficie e di tempo (W/m2); si misura in decibel, db= log10I/I0, dove I0 è l’intensità
cui corrisponde una sensazione fisiologica nulla.
L’orecchio percepisce i suoni tra 20 e 20000 Hz. La velocità del suono è di circa 340
m/s, a una atmosfera e a 20 °C.
L’onda sonora subisce riflessione (in partic. l’eco), rifrazione, assorbimento,
diffrazione, interferenza, effetto Doppler.
Si noti che poiché la lunghezza d’onda del suono della voce umana è dell’ordine di
grandezza delle dimensioni lineari degli ostacoli, se stiamo in una stanza possiamo
ascoltare una persona che parla all’esterno o dietro un angolo (rispetto alla sorgente
sonora) per diffrazione (l’onda aggira gli ostacoli).
Se interferiscono due onde di frequenza leggermente diversa, si hanno i battimenti: il
suono viene percepito ‘modulato’, con una intensità variabile con un massimo a
intervalli di tempo uguali.

Effetto Doppler
L’effetto Doppler consiste nella variazione di frequenza dell’onda (sonora e luminosa,
anche d’acqua) se c’è moto relativo osservatore-sorgente.

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Nel caso delle onde sonore, se sia la sorgente S che l’osservatore O sono fissi, i fronti
d’onda circolari sono equidistanti e si percepisce un suono a frequenza f (e a λ) costante
(f=v/λ con v velocità del suono in aria). In un intervallo di tempo t, l’osservatore
percepisce un numero d’onde N=vt/λ a frequenza f.

Se O è fisso (v0=0) e S in movimento a velocità u, i fronti d’onda si addensano nella


direzione del moto (λ decresce e f aumenta, v=λf) e si dilatano dalla parte opposta (λ
aumenta e f diminuisce): un osservatore che vede avvicinarsi la sorgente S in moto
percepisce un suono più acuto mentre chi sta dalla parte opposta (S in allontanamento)
sente un suono più basso.
Più esattamente, in avvicinamento l’osservatore O viene investito da un’onda che non
ha più λ ma λ’= v/f – u/f, poiché la sorgente mentre emette il suono si sposta verso O di
u/f in ogni periodo e la lunghezza d’onda si accorcia della stessa quantità. La frequenza
v v
percepita è f " = = .
λ" v − u
f f
Nel caso generale di avvicinamento (segno – a denominatore) e allontanamento (segno
+ a denominatore) di S a O si ha:
v
€ f "= f (1).
v mu
Se anche l’osservatore O è in moto relativo rispetto a S con velocità v0 si dimostra che
vale l’equazione generale per l’effetto Doppler per la frequenza:
# v ± v0 &
€ f "= f% ( (2).
$ v mu '
Anche nel caso della luce si ha effetto Doppler ma va chiarito da subito agli studenti
che la (2) va sostituita dalla formula relativistica; per una sorgente luminosa in
avvicinamento con velocità u la λ decresce e la frequenza aumenta (blue shift della

luce) mentre per una sorgente in allontanamento, λ aumenta e la frequenza diminuisce
(red shift della luce). Per approfondimenti si consultino i manuali.

Esperimenti
- Diapason. Illustrare come è fatto; smontare il diapason dalla cassetta di risonanza e
batterlo con un martelletto. Il suono è debole. Ripetere con il diapason montato sulla
cassetta di risonanza: il suono è ora perfettamente udibile. Sottolineare l’importanza
della cassetta di risonanza, facendo riferimento agli strumenti musicali (quali chitarre,
violini, ecc.). Se si pizzica una corda tesa, fissa agli estremi, il suono è debole. Se si
monta su una cassetta (monocordo) il suono è molto rinforzato. Se avete un carillon,
provate a metterlo in funzione: a mala pena si sente il suono. Non così se si poggia per
es. su una porta.
- Interferenza. Eccitare il diapason (senza cassetta di risonanza) e portarlo all’orecchio
ruotandolo. Per interferenza tra le onde emesse dai due rebbi si sente un suono
rafforzato o indebolito.
- Battimenti: due diapason uguali montati su cassetta di risonanza; inserire in un rebbio
di uno dei due diapason l’anellino a corredo, in modo da alterare di poco la frequenza;

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eccitare i due diapason, di frequenza f e f’. Il suono si sente modulato. Ripetere con i
diapason senza cassetta; battere un rebbio di un diapason contro il rebbio dell’altro.
Tenere i due diapason vicino all’orecchio regolando la posizione mutua dei diapason
fino a che si sentono i battimenti.
- Effetto Doppler: shift in frequenza. Il Doppler rocket, prodotto dalla Pasco, consiste di
due corde lunghe 3 m, ciascuna provvista di due maniglie agli estremi, tenute in mano
da due studenti, e di una sorta di pallone ovoidale, provvisto di due fori, nei quali
inserire le corde in modo da far scorrere rapidamente il pallone quando i due studenti
tendono le corde. Nel pallone è inserita una sorgente sonora con altoparlante,
alimentata da una batteria da 9 V, munita di interruttore, in grado di emettere un’onda
sonora sinusoidale a frequenza costante di ≈ 620 Hz. Allargando e stringendo le
maniglie, il pallone viene lanciato ad alta velocità da una parte all’altra. Quando gli
studenti vedono il pallone avvicinarsi percepiscono una frequenza più alta mentre
quando il pallone si allontana si ha un abbassamento della frequenza per effetto
Doppler. Inserendo nel pallone una sola corda, e bloccatolo con un fermo, il pallone
può essere messo in rotazione per far osservare lo shift in frequenza quando la sorgente
sonora si muove lungo una circonferenza.

Applicazioni: in musica, strumenti a corda, canna d’organo (risonanza: v. per es. Gli
esperimenti dell’Exploratorium, Zanichelli, 1996, p. 28).

CAP. 9 OTTICA ONDULATORIA


§9.1. Interferenza
Concetti e nozioni chiave: contro il senso comune, luce+luce=buio! (così come
suono+suono=silenzio) ma sotto opportune condizioni. Si ha interferenza quando le
onde provenienti da due sorgenti hanno differenza di fase (=differenza di cammino
ottico delle onde) costante nel tempo. Luce visibile e luce laser.

Apparecchiature di base: banco ottico; laser a bassa potenza; reticoli coarse, fenditura a
larghezza variabile, fenditure singole e doppie, vetrini da microscopio, lenti, camera a
specchio. Il laser consente di fare in modo rapido e sicuro tutte le esperienze di ottica
ondulatoria che richiedano luce monocromatica. Se non si ha il laser, si può per es.
impiegare la scatola a specchio della Leybold (41917): sostituisce, nelle esperienze di
gruppo, lo schermo per osservare le frange di interferenza e consente misure con
precisione accettabile.

Ci aspettiamo che anche nel caso ottico ci siano, sotto condizioni opportune, fenomeni
di diffrazione e di interferenza. Nell’analogia con le onde d’acqua si deve considerare
in primo luogo l’estrema piccolezza delle lunghezze d’onda della luce (intorno a 500
nm) rispetto alle onde nell’ondoscopio: le prime sono inferiori di ben cinque ordini di
grandezza rispetto alle seconde. Questo dato ci fa pensare che normalmente in ottica i

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fenomeni di diffrazione e interferenza non siano osservabili così facilmente e


frequentemente; per ‘vederli’ occorrono situazioni particolari, film sottili come le
pellicole nelle bolle di sapone, nelle macchie d’olio o di benzina, trame di fili, piume,
ecc. così come in laboratorio per realizzarli occorre mettersi nelle giuste condizioni. Il
suggerimento è di invitare gli studenti a fare una serie di osservazioni libere e
qualitative di fenomeni di diffrazione e interferenza, rimandando a un secondo
momento la spiegazione più rigorosa di quanto osservato.
Osservazioni qualitative
- con una fenditura a larghezza variabile osservare una sorgente luminosa, per es. il
filamento di una lampadina a incandescenza (tenere la fenditura davanti all’occhio,
parallela al filamento): man mano che si stringe la fenditura, l’immagine della sorgente
si allarga e si moltiplica, si vede cioè una serie di repliche della sorgente, con una
immagine centrale bianca brillante e ai lati immagini di tutti i colori.
- Osservazioni di una sorgente luminosa attraverso piume, trame di tessuto, reticoli
coarse (larghi, cioè con poche linee/mm), capelli, ecc. Si vedono varie immagini della
sorgente con iridescenze.
- Con due vetrini portaoggetto ben puliti all’interno e sovrapposti, poggiati su un
cartoncino nero in modo che la luce del Sole o di una lampadina incida su di essi (o
tenedoli in mano ben premuti): facendo pressione con la punta di una penna si
osservano frange colorate, chiuse, che cambiano forma.

Alla luce delle osservazioni fatte, perché la sorgente appare più larga di quanto non sia
in realtà? E perché appaiono più repliche iridescenti della sorgente? Dovrebbe risultare
chiaro che il modello corpuscolare della luce non è più sufficiente a spiegare i fenomeni
osservati: in presenza di ostacoli diffrangenti (come bordi o fenditure) la luce aggira gli
ostacoli, si sparpaglia deviando dalla propagazione rettilinea (anche se non c’è
rifrazione) come abbiamo visto con l’ondoscopio e mostra colori (anche se non c’è
dispersione). E’ opportuno a questo punto presentare il modello ondulatorio,
affrontando le principali proprietà delle onde elettromagnetiche per definire in modo
più formale le condizioni di interferenza.

- Esperienza di Young dei due fori o della doppia fenditura


Se partiamo dall’analogia con le onde d’acqua prodotte nell’ondoscopio dai due
generatori puntiformi S1 e S2, per produrre interferenza nel caso della luce possiamo
pensare a due sorgenti puntiformi, in fase, a piccola distanza tra di loro. Una soluzione
di questo tipo è adottata nella esperienza di Young: si usa una sola sorgente S, una
fenditura per selezionare il fascio (da cui in genere il fascio diffrange) e a grande
distanza si pone la doppia fenditura in modo da dividere il fascio di luce incidente
(piano perché proviene da grande distanza) in due parti, S1 e S2, in fase tra loro (le
sorgenti sono in fase perché appartengono allo stesso fronte d’onda piano incidente; la
luce, all’uscita da S1 e S2, subisce diffrazione e interferenza; se si ostruisce una
fenditura non si ha più interferenza).

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

S dà luce non coerente (ogni atomo emette un pacchetto d’onde in Δt ~ 10-8 s in modo
casuale) e da sola non può dare interferenza. Dai due fascetti emessi da S1 e S2 si
producono invece frange chiare e frange scure visibili sullo schermo. Più esattamente,
se abbiamo due onde:
in fase, si hanno doppie creste e doppie gole e quindi interferenza costruttiva (d e a in
figura);
sfasate di λ (cioè di 2π), si ha ancora interferenza costruttiva;
sfasate di λ/2, si hanno creste e gole, l’interferenza è distruttiva (analogo delle linee
nodali; d e b in figura).

La condizione per l’interferenza è che la differenza di fase Δφ tra due treni d’onda sia
costante o, detto in modo equivalente, la differenza di cammino ottico Δs tra le onde sia
costante. (Possiamo parlare in modo equivalente di differenza di cammino ottico Δs o
di differenza di fase Δφ; infatti Δφ: 2π= Δs: λ→ Δφ =2πΔs/λ.)
Si dice in tal caso che i due fasci che interferiscono sono coerenti (la Δφ non varia nel
tempo) o che le due sorgenti S1 e S2 devono “vibrare all’unisono”. Se i fasci sono
incoerenti, cioè S1 e S2 sono indipendenti (la Δφ varia nel tempo con legge casuale) lo
schermo è illuminato uniformemente e non si ha la formazione di frange.
Nelle sorgenti di luce visibile (Sole, filamenti incandescenti, scarica in un gas, ecc.), i
processi di emissione avvengono nei singoli atomi che si comportano in modo
indipendente (non cooperano) e la luce emessa non è coerente. La condizione per
l’interferenza può essere pertanto espressa anche dicendo che le sorgenti (o i due fasci)
devono essere coerenti (dal punto di vista formale, un’onda generica y=Acos(kx-ωt+φ)
si dice coerente se A, k, ω e φ non variano nel tempo; non devono esserci fluttuazioni né

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

spaziali né temporali di tali grandezze; in acustica per es. un suono puro emesso da un
diapason rappresenta una radiazione altamente coerente).
Il laser rappresenta una sorgente di luce in cui gli atomi sono costretti a comportarsi
allo stesso modo; la luce emessa è in generale coerente, monocromatica, collimata e
focalizzata in una piccola regione. I laser più diffusi nella didattica sono a bassa
potenza, per es. del tipo a He-Ne con λ = 633 nm. Non guardare direttamente nella
finestra di emissione del fascio; evitare riflessioni da superfici metalliche. La luce laser
può danneggiare cornea, retina e opacizzare il cristallino.

Δ
!
2


1

Con riferimento alla figura, le due sorgenti (fori o fenditure) S1 e S2 siano distanti tra
loro S1S2=g dell’ordine del mm o di frazioni di mm; lo schermo sia a distanza D dal
piano delle fenditure con D>>g. Sullo schermo compaiono una serie di frange chiare e
scure (immagini della fenditura usata per selezionare il fascio), con una frangia centrale
più brillante in corrispondenza dell’asse ottico (ordine di interferenza m=0) e frange
equidistanti a destra e a sinistra del massimo centrale (frange di ordine 1, 2,..; -1, -2,..).
La distanza fra due frange contigue sia h. La differenza di cammino ottico è
Δs = gsinθ (1);
se Δs è uguale a multipli interi di λ, cioè se
Δs =0, si ha un massimo di interferenza di ordine 0;
Δs =λ , si ha un massimo di interferenza di ordine 1;
Δs =2λ, si ha un massimo di interferenza di ordine 2;
... ..... ....
Δs =mλ, si ha un massimo di interferenza di ordine m, con m= 0, 1, 2,..; i massimi si
hanno quindi per Δϕ = 0, 2 π, 4 π,... (onde in concordanza di fase).
Se Δs è uguale a multipli dispari di λ/2 (λ/2, 3λ/2, 5λ/2,…), si hanno i minimi di
interferenza: Δs =(2m+1)λ/2; i minimi si hanno quindi per Δϕ = π, 3 π, 5 π,... (onde in
discordanza di fase; la condizione è analoga al caso delle linee nodali per le onde
d’acqua).
Dalla figura si ha:
h= Dtgθ (2),
nell’approssimazione di θ piccolo (h<<D), tgθ=h/D→ tgθ∼sinθ ∼ θ; dividendo membro
a membro (1) e (2) Δs/h=g/D → h=ΔsD/g.
Nel caso di massimi di interferenza h=mλD/g; per due frange contigue
hm+1=(m+1) λD/g, hm= mλD/g→Δh= hm+1-hm=λD/g (m+1-m)= λD/g
h = λD/g (3).
La (3) non dipende da m, le frange sono equispaziate. Per i minimi di interferenza
adiacenti si trova ancora la (3). Se la luce non è monocromatica la figura d’interferenza

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

è data da tante frange che si sovrappongono corrispondenti a varie λ, frange di diversa


λ hanno spaziature diverse.

- Esperimento di Young con il laser


Materiali: laser (per es. He-Ne con λ=633 nm); una doppia fenditura (per es. con
distanza tra le fenditure g= 0,2 mm e larghezza di ciascuna fenditura b= 0,05 mm).
Disposizione sperimentale: laser, doppia fenditura, schermo; distanza D tra il piano
delle fenditure e lo schermo di qualche metro. Sullo schermo compaiono i massimi di
interferenza; misurato D e h si risale alla determinazione della lunghezza d’onda della
luce rossa tramite la (3), da confrontare con λ attesa di circa 630 nm. L’esperimento è
semplice e può essere condotto come esperimento dimostrativo. Ma se il laser facilita
l’esecuzione dell’esperimento esclude la possibilità di osservare cosa succede con la
luce bianca. In alternativa può essere eseguito l’esperimento di Young nel modo
seguente.

- Esperimento di Young in luce bianca e filtro (v. schede Leybold, Ottica, Interferenza,
3.1)
Materiali: banco ottico, sorgente luminosa, lente convergente (f1=5 cm), fenditura
regolabile, filtro rosso, a distanza di circa 50 cm, doppia fenditura, lente convergente
(f2=30 cm), camera a specchio.
La camera a specchio serve a osservare immagini di debole intensità in un ambiente
parzialmente oscurato; è costituita da una scatola di plastica nera all’interno della quale
si trova uno specchio inclinato di 45° che trasporta in orizzontale il piano
d’osservazione; l’immagine, reale, è osservata attraverso una lente di ingrandimento
munita di scala con divisioni a 0,1 mm.

Se è montato il filtro rosso le frange, osservabili attraverso l’oculare, sono rosse e nere
(si suggerisce al solito di misurare sulla scala la distanza tra n frange chiare o scure e di
dividere per n). Misurato h si può risalire alla determinazione di λ per la luce rossa
tramite la (3) (in questa disposizione sperimentale D coincide con buona
approssimazione con f2 della seconda lente, λ= hg/f2). Se per es., g=0,50 mm, h
0,37 ⋅10−3 ⋅ 0,5 ⋅10−3
misurata =0,37 mm, f2=30 cm, λ = = 617 nm.
30 ⋅10−2
Rimuovendo il filtro, in luce bianca ogni colore forma una figura di interferenza e le
frange luminose si sovrappongono in parte.

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

Esperimento di Young dimostrativo (v. schede Leybold, Ottica, Interferenza, 3.2)


Materiali: una doppia fenditura (per es. con distanza tra le due fenditure g=0,25 mm),
una sorgente luminosa, un portafiltro, un filtro rosso, metro.
filtro rosso

2,5 cm

doppiafenditura

L> 4 m

Mettere davanti alla sorgente il portafiltro con il filtro. Fissare con lo scotch al di sotto
del filtro (a circa 2,5 cm) una striscia di carta lunga s= 20 cm, centrata rispetto alla metà
del filtro. La striscia di carta serve come riferimento per valutare la distanza tra due
massimi adiacenti. Mettersi a un distanza L~ 4 m dalla striscia di carta e osservare la
sorgente luminosa attraverso la doppia fenditura. Si vedranno al di sopra della striscia
dei puntini rossi, uno centrale più brillante e i laterali, leggermente meno intensi e che
vanno via via sfumando: sono i massimi di interferenza, altrettante ‘repliche’ o
immagini della sorgente. Contare il numero dei puntini distribuiti al di sopra della
striscia di carta; se per es. L=5,0 m, n=14, la distanza d tra due massimi adiacenti è:
d=s/14= (20/14) cm. Con la solita approssimazione di θ piccolo (condizione soddisfatta
dall’essere d<<L), si può usare la formula approssimata per la determinazione della
lunghezza d’onda della luce ‘monocromatica’: λ=dg/L = sg/nL. Nell’esempio citato,
λ=0,25 ⋅10-3 20 ⋅10-2/14⋅5= 700 nm, una stima della lunghezza d’onda della luce rossa
in buon accordo con i valori compresi nella banda di trasmissione del filtro (questi
valori sono in genere indicati nei cataloghi delle ditte di strumentazione didattica; nel
nostro caso il filtro Leybold ha una banda di trasmissione > 660 nm). L’esperimento è a
basso costo e può essere condotto da più studenti, mediando i risultati ottenuti per λR.
Va fatto capire agli studenti che la disposizione sperimentale è analoga all’esperienza di
Young: l’occhio osserva, attraverso la doppia fenditura, la sorgente di luce rossa e vede
una serie di puntini (o meglio una serie di immagini della sorgente luminosa) che si
formano sulla retina (che funge da schermo) e che vengono focalizzati all’infinito,
avendo come riferimento la striscia di carta.

§9.2. Altri modi per realizzare interferenza


Ci sono vari metodi, più o meno illustrati nei manuali: va chiarito che per avere
interferenza dobbiamo avere due sorgenti coerenti S1 e S2 comunque realizzate.
Conviene far interferire fasci che partono dalla stessa sorgente e percorrono cammini
ottici diversi. Più la distanza tra le due sorgenti, reali o virtuali, è piccola più le frange
sono distanziate tra loro. Far notare che si può avere interferenza senza diffrazione,
come negli esempi che tratteremo, mentre in genere non è vero il viceversa.
Il doppio prisma di Fresnel utilizza due prismi retti con angoli molto acuti. In
corrispondenza del bordo che unisce i due prismi si pone una fenditura illuminata S,

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

parallela al bordo; il biprisma dà di S due immagini virtuali che essendo la ‘copia’ di S


sono coerenti.

Nello specchio di Lloyd si usa uno specchio piano PP e una sorgente puntiforme S1 in
prossimità di PP: lo specchio dà di S1 una immagine virtuale S2; l’interferenza si ha tra i
raggi diretti e i raggi che hanno subito riflessione: sullo schermo, al posto del massimo
centrale si ha una frangia scura perché la riflessione da mezzo più denso a meno denso
sfasa la luce di π (la luce perde mezza lunghezza d’onda).

S1

P P

S2

Nel doppio specchio di Fresnel, due specchi con apertura di ≈180° danno di una
sorgente reale due sorgenti virtuali S1 e S2 sincrone, distanti d che formano su uno
schermo le frange di interferenza (vale in prima approssimazione la formula λ=dh/D).
d
S2 S
1

schermo

Anelli di Newton
L’esperienza richiede il sistema ottico per gli anelli di Newton: una lastrina a facce
piane parallele e una lente pianoconvessa di grande raggio di curvatura, accostate dalla
parte convessa (v. Schede Leybold, Ottica delle onde, Interferenza, 4. Anelli di
Newton). Gli anelli possono essere osservati in riflessione oppure in trasmissione.
Montaggio in riflessione: sorgente S in asse con il sistema lastrina (di superfici m e m’)
e lente. L’interferenza avviene tra i fasci che subiscono una riflessione sulla faccia m’
della lastrina (con perdita di λ/2) e i fasci che subiscono una riflesione sulla lente. Se lo
spessore dello strato d’aria tra lastrina e lente è d, la differenza di cammino ottico Δs
=2d+ λ/2. Il sistema dà di S due immagini virtuali: S1, per riflessione sulla faccia
convessa della lente; S2, per riflessione sulla faccia m’ della lastrina di figura. Le frange
vengono osservate su uno schermo traslucido posto al di sopra di S.

40
Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

schermo

m’

S2

S1

Montaggio in trasmissione: sul banco ottico si monta la sorgente S, una lente


convergente (fA= 5 cm), un filtro rosso, il sistema ottico, una seconda lente convergente
(fB =10 cm), lo schermo. L’interferenza avviene tra i fasci che attraversano il sistema
ottico direttamente, e i fasci che vengono trasmessi dopo avere subito una riflessione
sulla parte convessa della lente e sulla faccia m’ della lastrina. La differenza di
cammino ottico in questo caso è Δs = 2d. Per una trattazione quantitativa, in cui si risale
in entrambi i casi (in riflessione e in trasmissione) alla lunghezza d’onda della luce
rossa a partire dal diametro D di due anelli in successione, noto il raggio di curvatura R
della lente ( Dk2+1 − Dk2 = 4Rλ ), si vedano le schede Leybold.

Interferenza da lastrine di vetro


L’esperienza, come già detto, è a basso costo: servono solo due vetrini portaoggetto ben
puliti
€ all’interno e sovrapposti. L’interferenza si produce nello strato d’aria a spessore
variabile compreso tra le superfici interne delle due lastrine, e può essere osservata sia
in riflessione che in trasmissione.
Analizziamo prima il caso di una sola lastrina di vetro: in (A), un pennello di luce
subisce riflessioni multiple, 1 e 2 possono interferire in trasmissione. In (B),
l’interferenza tra 1 e 2 è in riflessione.
(Α) (Β) 1 2

1 2
(C)

1 2
B
α
E
A D
β
n d
β

In (C) si mostra un caso di interferenza da uno stesso raggio. Bisogna tenere conto delle
riflessioni su una superficie al di là della quale l’indice di rifrazione è più alto: così
avviene per es. in A dove il raggio 1 si sfasa di π, mentre il raggio 2 non si sfasa. Ci si
aspetta pertanto che 1 e 2 subiscano interferenza distruttiva (in altre parole le condizioni
per i massimi di interferenza si scambiano con le condizioni per i minimi).

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Con riferimento alla figura (C), per incidenza quasi normale la differenza di cammino
ottico tra i due raggi 1 e 2 è Δs=2dn; se l’incidenza non è normale Δs =n(AC+CD)-AB,
AC=CD=d/cosβ, tgβ=AE/d, sinα=AB/2AE → AB=2AEsinα, Δs=2nAC-2AEsinα=
2nd/cosβ-2tgβsinα; ma sinα=nsinβ → 2nd/cosβ-2ndtgβsinβ= 2nd/cosβ (1-
sin2β)=2ndcosβ. La condizione per l’interferenza è:
Δs=2ndcosβ=mλ, con m=1, 2, 3,… per i minimi, e
Δs =2ndcosβ=(m+1/2) λ per i massimi.

Se abbiamo due vetrini, tra i quali ci sia una lamina d’aria di spessore variabile si
possono osservare zone con interferenza costruttiva e zone con interferenza distruttiva.
Se per es. in un certo punto la lamina ha spessore d, la differenza di cammino ottico tra
un fascio che si riflette sulla superficie m del vetrino superiore e sulla superficie m’
inferiore, per raggi quasi normali e considernado lo spessore del vetrino superiore
trascurabile rispetto a d, è Δs ~ 2dn.

m’
In questo caso entrambi i raggi perdono λ/2 e all’uscita sono in fase (interferenza
costruttiva). Premendo con una punta le lastrine, le frange cambiano forma perché varia
lo spessore della lamina d’aria; se in un punto la lamina è spessa d’ e in un altro d,
quando 2d’n-2dn= λ/2 i fascetti riflessi che interferiscono sono in opposizione di fase e
si ha pertanto interferenza distruttiva (frangia scura).

§9.3. Diffrazione
Concetti e nozioni chiave: diffrazione, interferenza e principio di Huygens; disposizione
sperimentale per osservare la diffrazione in campo lontano (o alla Fraunhofer) e in
campo vicino (alla Fresnel).
Apparecchiature di base: le stesse indicate per l’interferenza; inoltre, reticoli a
trasmissione e a riflessione; reticoli a croce; fori, fenditure a ponticello, ecc.

Se la luce incontra un ostacolo di ‘piccole’ dimensioni (confrontabili con λ), l’onda


incidente ‘si sparpaglia’ e si suddivide in onde secondarie elementari che
interferiscono. Si ha l’analogo di ciò che abbiamo osservato con l’ondoscopio.
Abbiamo già fatto qualche osservazione qualitativa di fenomeni di diffrazione (da
trame, reticoli coarse, capelli, piume). Vale la pena premettere un cenno alla scoperta
della diffrazione.

La scoperta della diffrazione


Il fenomeno viene descritto per la prima volta in un’opera postuma di padre Francesco
Maria Grimaldi (1618-1663), dal titolo Physico-Mathesis de Lumine, Coloribus et Iride
(post. 1665). Nel tentativo di stabilire sperimentalmente le dimensioni di un ‘raggio’
luminoso, facendolo passare attraverso fori o fenditure sempre più stretti, Grimaldi
‘scopre’ la diffrazione ed è costretto ad ammettere che la luce, “almeno qualche volta”
si comporta “anche ondulatamente”. Così, accanto all’idea di propagazione per raggi
rettilinei emerge l’idea di raggi dotati di oscillazioni che si comportano secondo i
principi dell’ottica geometrica ma che, a seconda della natura e delle dimensioni

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dell’ostacolo, si modificano in qualche modo in direzione e in intensità. Grimaldi in


tutto il corso dei suoi studi tenterà invano di interpretare la diffrazione in una
concezione corpuscolare.

Ricordiamo che all’epoca di padre Grimaldi sono noti solo tre modi di propagazione
della luce: diretto, riflesso e rifratto. Questo è uno dei pilastri della scienza della visione
come viene riportato, per es., in uno dei principali manuali di Ottica, l’Opticae
Thesaurus del grande scienziato arabo Alhazen (ca. 965-1039), tradotto in latino e assai
diffuso nel mondo occidentale dal tardo Medioevo in poi fino a tutto il Seicento. Sul
frontespizio, mostrato di seguito, c’è scritto: “Triplicis visus, directi, reflexi et refracti,
de quo optica disputat, argumenta”. Che vuol dire? E quali fenomeni ottici sono
riprodotti nella stampa?

Primo esperimento
Proposizione I
La luce si propaga o si diffonde non solo direttamente, per rifrazione e per riflessione ma anche in un
quarto modo, per diffrazione.
Fino a ora gli ottici generalmente hanno ritenuto che la luce si propaghi in tre modi: direttamente, per
rifrazione e per riflessione. Infatti si è osservato con esperimenti ormai provati che la luce si propaga e si
diffonde in linea retta fino a che il mezzo rimane lo stesso. Cambia traiettoria o linea di propagazione e la
devia lateralmente con interruzione del raggio quando passa da un mezzo a un altro di diversa densità,
purché vi incida obliquamente. E ancora si è osservato che la luce inverte il suo corso per riflessione ogni
volta che incide su un corpo resistente che non le permette di proseguire oltre. [...]
Tutto ciò, confermato da osservazioni ordinarie e facilissime, è ormai certo per gli ottici che finora hanno
creduto che la propagazione della luce avvenisse solo in questi tre modi, cioè direttamente, per rifrazione
e per riflessione e naturalmente l’hanno sempre considerata suddivisa in questi tre casi. A noi è apparso
un altro modo di propagazione che ora presentiamo e che chiamiamo Diffrazione perché abbiamo visto
che la luce a volte diffrange, cioè le sue parti suddivise in diverse sezioni, anche attraverso un mezzo
omogeneo, procedono in direzioni diverse nel modo che ora spiegheremo. [...]
F. M. Grimaldi, Physico-Mathesis de lumine, coloribus et iride, pp. 1-8.

La disposizione sperimentale di Grimaldi è quella comunemente adottata all’epoca


(ricordiamo che anche Newton, quando scoprì la dispersione della luce bianca da
prisma lavorava nelle stesse condizioni).

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La luce solare filtra da un foro AB praticato nell’imposta di una finestra e penetra in


una stanza oscurata e viene raccolta da uno schermo bianco. Ponendo un corpo opaco
FE (ostacolo diffrangente) all’interno del cono di luce Grimaldi osserva che l’ombra
geometrica di FE (GH) e la penombra ai lati di GH (IL) risulta sensibilmente inferiore
all’ombra fisica MN. In pratica, MN è ciò che si osserva mentre IL è ciò che si prevede
postulando che la luce si propaghi per linee rette.

In MC e in ND, Grimaldi osserva inoltre delle frange colorate:


[...] Osservando le zone MC e ND, fortemente illuminate, si vede il formarsi e il separarsi di alcuni tratti,
o frange di luce colorata, tali che ognuna di esse al centro presenta una luce molto pura e chiara e ai bordi
è orlata di blu versol’ombra MN e sfuma al rosso dalla parte opposta. Queste bande brillanti
apparentemente dipendono dalle dimensioni AB del foro, poiché non si osservano se esso è molto
grande, tuttavia non sono causate da esso né dalla grandezza del diametro solare. Si può ancora
osservareper le bande colorate che si estendono da M a C (e lo stesso si può direper quelle da N a D) che
la prima è più larga della seconda e la seconda è più larga della terza (non è mai accaduto che se ne
osservassero più di tre). [...]
F. M. Grimaldi, Physico-Mathesis de lumine, coloribus et iride, pp. 1-8.

Secondo esperimento
Si pratichi un’apertura, larga forse un dito, nell’imposta di una finestra in una stanza buia, e in
quest’apertura si ponga una sottile lamina opaca AB che presenti un forellino molto piccolo CD,
attraverso il quale possa filtrare luce solare in modo da formare un cono luminoso /v. fig./ Si individuerà
una base illuminata IK molto maggiore di quella che i raggi formerebbero nel caso di propagazione
rettilinea attraverso i fori [...] Infine non si deve tralasciare che la base IK intercettata sullo schermo
bianco risulta soffusa al centro di luce bianca e orlata a ogni estremità in arte di rosso, in parte di blu.
F. M. Grimaldi, Physico-Mathesis de lumine, coloribus et iride, pp. 8-9.

Ciò che si verifica può essere riassunto nello schema seguente: il primo prevede un
profilo di illuminazione come previsto dall’ottica geometrica, mentre il secondo è
valido secondo l’ottica ondulatoria (la figura è tratta da J. R. Mayer Arendt,
Introduzione all’ottica classica e moderna, Zanichelli, 1976, p. 153).

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

Vediamo meglio come si studia in laboratorio la diffrazione. Le disposizioni


sperimentali sono essenzialmente due:
I) alla Fraunhofer o in campo lontano;
II) alla Fresnel o in campo vicino.
Nel montaggio alla Fraunhofer, si hanno fronti d’onda paralleli (piani) prima e dopo
l’ostacolo diffrangente. Più esattamente: sul banco ottico si ha la sorgente S, a grande
distanza l’ostacolo diffrangente, quindi, a grande distanza una lente convergente che
serve a far convergere i fronti d’onda in modo da formare le frange di diffrazione sullo
schermo. Per contenere le distanze in laboratorio si usano lenti convergenti prima e
dopo l’ostacolo diffrangente. La prima lente trasforma il fascio proveniente da S da
divergente in parallelo (condensatore ottico), la seconda da parallelo a convergente
sullo schermo. E’ il montaggio preferito nella pratica, anche perché è il più semplice da
trattare matematicamente.
Nella disposizione sperimentale di Fresnel, la sorgente S o lo schermo, o entrambi,
sono a distanza finita dall’ostacolo diffrangente.

Ostacoli diffrangenti
Gli ostacoli diffrangenti che si usano per osservare la diffrazione sono:
- diaframmi a una fenditura, larga b; la condizione per i minimi di diffrazione (per due
raggi sfasati di π) è bsinθ = mλ con m=1, 2, 3,.. Nelle posizioni intermedie tra due
minimi adiacenti si hanno i massimi (differenza di cammino ottico Δs= mλ, con m=0, 1,
2,.. e bsinθ = mλ). I minimi sono equidistanti mentre i massimi lo sono solo in prima
approssimazione. La figura di diffrazione mostra un massimo centrale molto intenso
seguito da altri massimi laterali di intensità via via decrescente.

diffrazione da una fenditura in luce monocromatica e in luce bianca


- doppia fenditura: si torna alla disposizione sperimentale di Young: la condizione per i
massimi è gsinθ = mλ, con m=0, 1, 2,… In luce bianca il massimo principale è bianco
e intenso e ai lati si hanno i massimi secondari di vari colori, equidistanti tra loro.
- n fenditure: n è il numero di fenditure, b la larghezza di una fenditura (mm), g la
distanza di fenditure adiacenti (mm). Sono di questo tipo i reticoli coarse e i reticoli
propriamente detti.
- reticoli di diffrazione: vengono caratterizzati dalla costante reticolare n (numero di
linee per cm) e dal passo del reticolo g (cm). La costante reticolare n è l’inverso del

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

passo g. Se un reticolo ha per es. n = 40 linee/cm, il suo passo g=1/40= 0,025 cm.
Viceversa, dato il passo del reticolo si risale a g.
Più è alta la costante reticolare più aumenta la distanza tra le frange, più è precisa la
misura di λ. La condizione per i massimi di diffrazione è gsinθ = mλ, con m=0, 1,
2,…(equazione del reticolo). In luce bianca il massimo centrale è bianco; ai lati si
hanno i massimi di ordine successivo con la sequenza dei colori da blu a rosso. A
differenza del prisma, il colore più deviato è il rosso. In prima approssimazione vale la
formula λ = hg/D, dove h è la distanza tra due massimi adiacenti (equidistanti), g è il
passo del reticolo, D la distanza tra il reticolo e lo schermo (se il montaggio è alla
Fraunhofer, D è uguale alla lunghezza focale della seconda lente). Per il reticolo il
prodotto gh è costante. Il potere risolutivo R di un reticolo è
R=λ/Δλ, dove λ è il valor medio di due righe spettali da risolvere e Δλ la loro
differenza.
- Ostacoli diffrangenti complementari di stesse dimensioni, come fenditure e ponticelli,
fori e dischi di stesso diametro, reticoli a croce, ecc.: sono particolarmente adatti per
esperienze dimostrative con il laser (v. oltre).

Esperimenti
Diffrazione da spigolo (scheda Leybold, Diffrazione,1.1)
Può essere una buona ricostruzione storica della scoperta di Grimaldi della diffrazione.
Materiali: banco ottico, sorgente S, fenditura, a circa un metro da S portadiapositiva
con inserita una bandierina (spigolo), camera a specchio. Osservare attraverso l’oculare
della camera a specchio in prossimità dell’ombra dello spigolo, si vedono frange
colorate al di fuori dell’ombra geometrica.
fenditura
spigolo camera
a
S specchio

Montaggio Fraunhofer (v. schede Leybold, Diffrazione,1.0.2)


Materiali: banco ottico, sorgente S, a circa 10 cm da S fenditura e filtro rosso; a circa
60 cm da S, una lente con f= 50 cm, ostacolo diffrangente, lente con f= 30 cm e a circa
30 cm la camera a specchio. Con ostacoli diffrangenti diversi (una o n fenditure,
reticolo, ecc.) va bene la stessa disposizione sperimentale.
D=30 cm
fenditura
+ filtro lente f=50 cm camera a
specchio
S

f=30 cm
ca. 60 cm
ostacolo
diffrangente

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Con il reticolo: in luce bianca, come già detto, al centro si ha un massimo centrale
bianco, poi il primo massimo laterale con uno spettro di righe blu, verdi, gialle,
arancioni, rosse (con filtro rosso, si hanno righe rosse e nere) e gli altri massimi di
ordine successivo che sfumano.
Per es., con n= 80 linee/cm, g=0,125 mm e D = 300 mm, misurare λ per la luce rossa e
per la luce blu se hR = 1,50 mm e hB = 1,0 mm:
0,125 ⋅1,50 0,125 ⋅1,0
λR = ≈ 620 nm, λB = ≈ 410 nm . Il campo di frequenze per la
300 300
c 3⋅10 8
luce visibile dà: f R = = = 7,3⋅1014 Hz, f B = 4,3⋅1014 Hz .
λR 620 ⋅10−9
€ v. anche Gli esperimenti dell’Exploratorium, esperimento 93, Spettri.

Esperimento dimostrativo con reticolo e lavagna luminosa



L’esperimento è molto bello e istruttivo: per eseguirlo serve solo la lavagna luminosa e
un reticolo di diffrazione per es. da 100 linee/mm. La disposizione sperimentale è
simile a quella consueta: sorgente S, fenditura, ostacolo diffrangente, schermo più le
lenti convergenti prima e dopo il reticolo. Vanno fatti individuare agli studenti i vari
componenti quando si usa la lavagna luminosa. Applicare sul reticolo, con le linee
verticali, due pezzi di scotch lunghi circa 10 cm, uno per lato. I due estremi dello scotch
vanno fissati alla parte superiore della lavagna luminosa, in modo che il fascio di luce
proveniente da sotto venga deviato dal reticolo. Ma serve la fenditura: mettere sul piano
della lavagna luminosa due fogli A4, paralleli e distanti tra loro circa 2 cm. Mettere a
fuoco l’immagine della fenditura, con la lavagna luminosa a circa due m dallo schermo.
reticolo
D

fogli A4
lavagna luminosa
per fenditura schermo
vista in pianta
rosso
... blu

spettri
! θ blu
piano del reticolo ...rosso

Per avere righe spettrali la fenditura è essenziale: ogni riga è una immagine della
fenditura. Fare la controprova: se si tolgono i due fogli le frange non sono più
osservabili; se si sostituiscono i due fogli con un cartoncino con un foro nel mezzo (di
diametro di qualche cm) le frange cambiano forma e replicano la forma della fenditura.
Sullo schermo si osserva una striscia verticale bianca e ai lati gli spettri di diffrazione
dei vari ordini. Se ci concentriamo sul massimo del primo ordine, si vedono da ciascun
lato i colori blu, verde, giallo, arancione e rosso. Vale la formula approssimata λ=gh/D.
Per risalire alla λ di un certo colore, per es. il blu, misurare sullo schermo la distanza d
tra un colore e il suo simmetrico e calcolare h=d/2. Se D=1,5 m, n=100 linee/mm → g=
10−2 ⋅ 60
10-2 mm, d=12 cm, λB = = 4 ⋅10−4 mm = 400 nm .
1,5 ⋅10 3

€ 47
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Reticolo a riflessione (v. U. Amaldi, Fisica per temi, scheda 23)


Può essere realizzata la classica esperienza sulla diffrazione da reticolo, usando un CD.
Il CD è costituito da una successione di zone piane, che riflettono la luce, e di ‘buche’,
che non riflettono la luce. Il passo di questo reticolo a riflessione è g ∼ 1,6⋅10-6 m
(distanza tra zone piane contigue). La disposizione sperimentale è la seguente: sorgente
luminosa (per es. la luce solare), uno schermo con una fenditura, a circa D= 30 cm il
CD. Il CD riflette la luce bianca e sullo schermo, parallelamente ai bordi della
fenditura, si vedono gli spettri colorati, immagini della fenditura. Come
nell’esperimento precedente, si misura la distanza d colore-colore e si divide per 2 per
ottenere h. La lunghezza d’onda del colore in esame è data dalla formula approssimata
λ=gh/D.

Diffrazione con il laser


Con la consueta disposizione sperimentale (laser, ostacolo diffrangente e, a circa due m,
schermo), far vedere la diffrazione da capello; da fenditura; da reticolo a croce; da
reticolo con diverse costanti reticolari (per n=2, 3, 4,5, 40, ecc. si hanno n-1 minimi
laterali e n-2 massimi laterali): più n è alta più le frange sono distanziate (h∝n) e più
l’intensità del massimo principale aumenta. Si può usare la formula approssimata
λ=gh/D per valutare λ una volta misurati h e D.
Con ostacoli diffrangenti complementari, far vedere che le immagini di diffrazione
osservate alla luce laser sono uguali; per es., fenditure e ponticelli di stessa larghezza
producono immagini di diffrazione lineari uguali; fori e dischi opachi di stesso
diametro, reticoli a croce complementari producono immagini di diffrazione circolari
uguali.

§9.4. Polarizzazione

Concetti e nozioni chiave: polarizzazione rettilinea, circolare ed ellittica di un’onda;


polarizzazione per assorbimento, riflessione, rifrazione, doppia rifrazione, diffusione;
legge di Malus e di Brewster. Polarizzatori. Potere rotatorio ottico.
Apparecchiature di base: banco ottico; filtri polarizzatori lineari. Fogli polaroid per
lavagna luminosa; corpo fotoelastico; cristallo di calcite.
Particolarmente efficace il kit OPT4 Leybold, 588844.

Proposta di linea di lezione


Si suggerisce di seguito un possibile percorso di lezione, frontale e interattiva. Dando
per scontato che gli studenti conoscano l’esistenza e l’uso dei polaroid (sono
polarizzatori lineari impiegati negli occhiali da sole, come filtri nelle macchine
fotografiche; forse hanno visto foto eseguite in luce polarizzata, ecc.), apriamo la
discussione:
- A che servono i polaroid? (a ridurre i riflessi)
- Come si fa a capire, disponendo di un polaroid, se la luce di una data sorgente emette
luce polarizzata o non polarizzata?
Distribuire agli studenti, divisi in piccoli gruppi, dei polarizzatori lineari:
- Guarda la luce riflessa dal pavimento ruotando il polarizzatore. Che osservi?
(l’intensità della luce trasmessa varia passando per un massimo)
- Fai la stessa cosa con la luce di una lampadina. Che osservi? (ruotando il polaroid
l’intensità della luce trasmessa non varia)

- Alla lavagna luminosa (esperimento dimostrativo): mettere un foglio polarizzatore sul


piano della lavagna e ruotare (l’intensità della luce, come nel caso della lampadina, non
varia in modo vistoso). Mettere un secondo foglio polarizzatore e ruotare sul primo: a

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polarizzatori “incrociati” non passa luce. Distribuire agli studenti due polarizzatori (uno
da mantenere fisso, o “polarizzatore” propriamente detto, e uno da ruotare, o
“analizzatore”).

- Che succede quando ruoti il polarizzatore analizzatore davanti al polarizzatore


mantenuto fisso? (l’intensità della luce varia, è minima quando i polarizzatori sono
incrociati)
Gli studenti dovrebbero avere ormai chiaro che il polarizzatore assorbe o taglia
qualcosa. La discussione può essere spostata verso la natura della luce:
- Come è fatta la luce? Come è fatto un polarizzatore lineare?

Dare qualche concetto (che verrà approfondito quando si affronta l’elettromagnetismo)


sulla propagazione della luce:

la luce, e più in generale le onde elettromagnetiche, sono trasversali. Se l’onda si


propaga in direzione x (direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica), i vettori
B ed E sono ortogonali a x. Per la polarizzazione si fa usualmente riferimento a E e non
a B. Notare che I∝ E2, l’intensità della luce è proporzionale al quadrato del modulo del
campo elettrico. Ci si può limitare a dare qualche cenno nell’ambito della teoria
elettromagnetica della luce, trascurando la ‘granulosità’ del flusso energetico della luce
(ma va almeno detto che la luce è costituita da fotoni, perché molti studenti lo sanno per
altra via).
Il piano (x, y) che contiene E è detto piano di vibrazione per E. Lo stato di
polarizzazione della luce dipende dalle ampiezze di Ex ed Ey e dalla loro fase relativa.
Se E //y si dice che l’onda è polarizzata in direzione dell’asse y (polarizzazione lineare
o verticale).

Altro modo per rappresentare un’onda polarizzata linearmente: E oscilla in su e in giù e


ha ampiezza costante (v. fig. a a destra).

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

Se la luce non è polarizzata, come nel caso della luce solare o della luce di una
lampadina a filamento (gli atomi di queste sorgenti danno una emissione non coerente),
si rappresenta come in fig. b, cioè come un’ onda non polarizzata vista come la somma
(o sovrapposizione) casuale di molti treni d’onda polarizzati; oppure, come in fig. c,
cioè come la somma (o sovrapposizione) di due onde polarizzate linearmente con
differenza di fase casuale:

Ey

E
x

fig. b fig. c

Si può accennare al modello classico dell’elettrone legato al nucleo di un atomo che


oscilla ed emette onde elettromagnetiche come un’antenna radio; solo le componenti x
e y del moto dell’elettrone contribuiscono alle onde elettromagnetiche. Lo stato di
polarizzazione della luce, secondo questo modello, dipende dalle ampiezze delle
componenti x e y del moto dell’elettrone e dalla fase relativa dei moti lungo x e y.

Polarizzazione circolare (PC, cenni): la luce, oltre che linearmente, può essere
polarizzata anche circolarmente: in tal caso, E, costante in ampiezza, ruota intorno alla
direzione di propagazione in modo destrogiro o levogiro.
E

Per la PC esistono appositi polarizzatori detti circolari: se si ha tempo, far vedere il


comportamento ‘anomalo’ dei PC rispetto ai PL. La polarizzazione ellittica rappresenta
un caso intermedio tra la polarizzazione lineare e la polarizzazione circolare.
Si torna alla domanda:
- Come è fatto un polarizzatore lineare (PL)? (discussione libera)
Il polaroid, inventato da E. H. Land nel 1938, viene realizzato con un foglio di plastica
sottoposto a stiramento lungo una direzione. La plastica è costituita da lunghe molecole
di idrocarburi; immaginiamole come tanti fili inizialmente distribuiti in modo
disordinato. Il processo di stiramento allinea le catene di molecole che si dispongono

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come un insieme di fili paralleli. Il foglio viene messo poi in un bagno di iodio che si
attacca alle catene di idrocarburi, mettendo a disposizione gli elettroni di conduzione
che possono muoversi solo lungo le catene ma non perpendicolarmente a esse,
formando così dei ‘fili conduttori’. Quando luce non polarizzata incide su un polaroid,
viene assorbita in modo selettivo. La componente di E lungo la direzione dei fili, Ex,
viene assorbita e viene trasmessa solo la componente normale ai fili, Ey. Questa
direzione privilegiata y viene detta asse di facile trasmissione (AT), normale alla
direzione di stiramento della plastica, e quindi ai ‘fili conduttori’ (Ex normale ad AT
viene assorbita, Ey || AT passa). (cfr. La fisica di Berkeley, vol. 3, Onde e oscillazioni,
Zanichelli, Bologna, 1972, cap. 8)
In figura il PL trasmette solo la componente di E//y parallela ad AT. Le altre
componenti vengono tagliate, cioè assorbite.
Ey

AT
y

Ex

Con due polaroid “incrociati”, cioè con gli assi di trasmissione ortogonali, tutta la luce
incidente viene assorbita. In condizioni ideali (catene molecolari perfettamente allineate
e superfici del polaroid non riflettenti, in modo da evitare perdite di intensità), ciascun
polaroid assorbe il 50 % della luce incidente. Un polarizzatore ideale viene indicato con
la sigla HN-50: assorbe completamente Ex e trasmette integralmente Ey.
Questo tipo di polarizzazione viene detta polarizzazione per assorbimento. Oltre ai
materiali come i polaroid che assorbono la luce in modo selettivo, esistono sostanze
cristalline come la tormalina, che per una data orientazione del cristallo assorbono la
luce in misura maggiore in un piano incidente piuttosto che in un piano a esso normale.
Questa anisotropia ottica nell’assorbimento è detta dicroismo e le sostanze che lo
mostrano, sostanze dicroiche.

- Che succede se E entra a caso rispetto all’asse di trasmissione (AT) di un PL?


(Ex viene assorbita, passa solo Ey. L’intensità della luce trasmessa diminuisce)

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Ey

Ex

AT

- Che succede se uso due polarizzatori incrociati, cioè con gli AT ortogonali?
(L’intensità della luce trasmessa va a 0).

Se tra AT1 e AT2 c’è un angolo θ, vale la legge di Malus (1809): I=I0cos2θ (1). Se
E0 è l’ampiezza della luce uscente da P1 e entrante in P2 ed E è l’ ampiezza della luce
uscente da P2:
2 2
2 2 I "E% I " E 0 cos θ %
E= E0cosθ; poiché I∝ E ∝ E 0, = $ ' , E = E 0 cos θ → = $ ' = cos θ ,
2

I0 # E 0 & I0 # E 0 &
con I0 intensità della luce all’uscita da P1, vale la (1); I è massima per cosθ=±1, cioè per
θ=0, π; I=0 per cosθ=0 , cioè per θ = π/2, (3/2)π.
AT
1

E0
θ AT
2 θ
E

- E se tra i due polarizzatori incrociati interpongo un terzo polarizzatore P3 con l’asse


non parallelo né ad AT1 né ad AT2?
(l’intensità della luce varia e può venire trasmessa anche se AT1 e AT2 sono ortogonali)

Altri modi per polarizzare la luce


Abbiamo già visto che la luce riflessa da superfici non metalliche, come il pavimento,
viene parzialmente polarizzata linearmente per riflessione; inoltre la luce può essere
polarizzata anche per assorbimento, come è il caso dei polaroid o delle sostanze
dicroiche. Analizziamo nel seguito la polarizzazione per rifrazione, per doppia
rifrazione, per diffusione.

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Polarizzazione per rifrazione e angolo di Brewster

In figura la luce incidente è non polarizzata; la luce riflessa è parzialmente polarizzata


(la riflessione fa oscillare la luce in una determinata direzione), e lo è totalmente se
l’angolo di incidenza i=θB (“angolo polarizzante” o “angolo di Brewster”, il fascio
riflesso e rifratto sono ortogonali); in tal caso, la luce riflessa è totalmente polarizzata
perpendicolarmente al piano di incidenza, la luce rifratta è parzialmente polarizzata nel
piano di incidenza. La condizione per il massimo di polarizzazione è:
θB +θr = π/2 (1), n1sinθB = n2sinθr (2),
n1sinθB = n2sin(π/2-θB) = n2cosθB → vale la legge di Brewster: tgθB = n2/n1=n;
l’angolo di Brewster è di circa 53° per l’acqua con indice di rifrazione 1,33, e di 56° per
il vetro con n ∼1,5.
Con questo fenomeno si spiega perché gli occhiali polaroid eliminano il riverbero; se
per es. si osserva la luce riflessa dal mare, e si inclina la testa da una parte e dall’altra,
si vede che l’intensità della luce passa per un minimo. v. Gli esperimenti
dell’Exploratorium, esperimento 65, Occhiali da sole polarizzanti /scheda Leybold 3.2,
rifrazione da pacchetti di vetrini; 3.3 legge di Brewster/

Polarizzazione per doppia rifrazione


Ci sono sostanze cristalline otticamente anisotrope con due assi ottici di trasmissione
nelle quali un fascio di luce incidente viene rifratto in due: il raggio ordinario e il
raggio straordinario. Il cristallo ammette, in altre parole, due differenti indici di
rifrazione no e ns e quindi due differenti velocità di propagazione nel mezzo. A n
maggiore corrisponde una velocità di fase minore a cui si associa un “asse lento”; a n
minore corrisponde l’ “asse veloce”. Di questo tipo è la calcite o spato di Islanda che
presenta no = 1,66 e ns =1,49. Altri esempi sono il quarzo, la mica, lo zucchero e il
ghiaccio. Una lamina di cristallo birifrangente scompone inoltre la luce in due
componenti con diversi stati di polarizzazione. Lo spessore della lamina influenza la
differenza di fase Δφ dei due raggi uscenti.

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Iniziamo con un esperimento dimostrativo:


- Lo spato d’Islanda
Materiali: un cristallo di calcite (a Roma si può trovare a qualche decina di euro a c.so
Vittorio Emanuele II, 95, “La Fiorentina”), lavagna luminosa, foglio di acetato, un PL.
Si tracci con un pennarello sul foglio di acetato un puntino. Mettere il foglio sul piano
della lavagna luminosa e appoggiare il cristallo di calcite sul puntino.
- Il cristallo quante immagini forma del puntino? (due immagini, una un po’ più grande
dell’altra) Che succede se si ruota il cristallo? (l’immagine più grande del puntino
rimane ferma mentre l’altra le ruota intorno. Il puntino fisso, un po’ più grande, è
associato al raggio ordinario e ha quindi indice di rifrazione no maggiore dell’indice di
rifrazione ns valido per il raggio straordinario); ricordare che un oggetto è percepito
dagli occhi tanto più grande quanto maggiore è l’indice di rifrazione del mezzo.
- Quando si fa ruotare un PL sul cristallo che succede alle immagini del puntino? (le
due immagini del puntino compaiono entrambe a 0, π/2, π, 2π o scompaiono
alternativamente nelle posizioni intermedie) Che si può concludere da questo
esperimento? (i due raggi sono totalmente polarizzati linearmente in due piani
ortogonali). V. Fisica di Berkeley, cit., p. 452, 8.32.
- I due raggi ordinario e straordinario possono interferire? (no, due onde interferiscono
se sono dello stesso tipo, entrambe longitudinali o entrambe trasversali. Un’onda
longitudinale e una trasversale hanno velocità di fase diverse, il che implica che la loro
differenza di fase non è più costante ma varia con la distanza percorsa. Né possono
interferire per lo stesso motivo un’onda trasversale con un’onda trasversale polarizzata
in un piano normale al piano di polarizzazione della prima)
Come si faceva quando non c’era la lavagna luminosa:

La scoperta della doppia rifrazione


La doppia rifrazione viene scoperta e descritta nel 1669 da Erasmo Bartolino (1625-98)
in una nota dal titolo Experimenta crystalli Islandici disdiaclastici quibus mira et
insolita delegitur. Vediamone qualche passo significativo.

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Il diamante è ben noto a tutti e molteplici sono le gioie che simili tesori, come pietre preziose e perle,
concedono; essi tuttavia servono solo a fare sfoggio e a ornare le dita e il collo. Chi al contrario ama
conoscere fenomeni insoliti non avrà, come spero, gioia minore di fronte a una nuova sostanza, cioè un
cristallo trasparente che ci fu portato di recente dall’Islanda e che forse appartiene alle meraviglie più
grandi che la natura ha prodotto. Io mi sono occupato da lungo tempo di questo corpo mirabile e con esso
ho condotto diversi esperimenti che pubblico volentieri poiché credo che essi possano servire allo studio
o almeno al divertimento degli amici della natura e di tutti coloro che si interessano a essa. [...]

Settimo esperimento
Nel corso della mia analisi del cristallo emerse un fenomeno meraviglioso e straordinario: gli oggetti
osservati attraverso il cristallo non mostravano, come nel caso di altri corpi trasparenti, una immagine
rifratta semplice ma apparivano doppi. Questa constatazione e la sua spiegazione mi occuparono per così
lungo tempo che in questo modo scoprii anche altre cose; notai cioè che avevo toccato problemi diottrici
fondamentali della rifrazione. A una osservazione superficiale questo fenomeno si vede facilmente,
tuttavia lo si può individuare come segue: si appoggi su un tavolo o su una carta pulita un oggetto, ad
esempio una sferetta o altro, della grandezza di B o di A in figura [...] e vi si disponga la superficie
inferiore del romboide LMNO. Quindi si osservi attraverso la superficie superiore RSPQ l’oggetto B o A
[...]. Attraverso altri corpi trasparenti, come vetro, acqua, ecc. di un oggetto si ottiene una immagine
semplice mentre qui essa appare raddoppiata sulla superficie RSPQ e cioè B [...] appare in G e H, A in
CD e EF [...].

Nono esperimento
A una osservazione più attenta di queste due immagini, una appare più in alto dell’altra. Ciò è mostrato
in figura [...] in cui HI rappresenta una sezione del prisma, O l’occhio, A l’oggetto le cui immagini E e D
cadono sulla superficie superiore del prisma. Le linee di collegamento delle immagini con l’occhio sono
OE e OD e in queste direzioni giacciono apparentemente le immagini, cioè E [appare] in B e D in C;
perciò si riconosce facilmente che B sembra stare più in alto di C [...].

Tredicesimo esperimento
[...] Si deve però menzionare un’altra proprietà del tutto speciale, che rende il cristallo di particolare
interesse tra tutti i minerali. Quando cioè si osservano oggetti attraverso mezzi trasparenti, la loro
immagine rimane sempre immobile nello stesso punto anche se si sposta il mezzo da una parte e

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dall’altra; solo quando l’oggetto stesso viene spostato anche la sua immagine muta posizione sulla
superficie del mezzo trasparente. Nel nostro caso, al contrario, abbiamo potuto osservare che una delle
due immagini è mobile [...].

E. Bartolino, Experimenta crystalli Islandici disdiaclastici quibus mira et insolita


delegitur, pp. 7-8, 12-14, 16-17.

- Come si faceva quando non c’erano i polaroid?


Due prismi di cristallo di calcite, incollati con balsamo del Canadà (sostanza trasparente
con indice di rifrazione n=1,55, intermedio tra ns e no), costituiscono un prisma di
Nicol, ovvero un polarizzatore lineare naturale: i due prismi fanno sì che il fascio
incidente venga suddiviso nel raggio straordinario (polarizzato linearmente) che viene
trasmesso attraverso lo strato di balsamo del Canadà, mentre il raggio ordinario subisce
riflessione interna totale sullo strato di balsamo, alla superficie di separazione dei due
prismi di calcite, e viene assorbito lateralmente da una vernice nera.

La birifrangenza si presenta anche in particolari materie plastiche, soprattutto se


vengono stirate o laminate; un esempio è il cellophane o il nastro adesivo scotch, fatto
di cellophane. Questo materiale è costituito da molecole disposte in lunghe catene
parallele alla direzione del nastro, che decompongono la luce bianca in due
componenti, una lungo la direzione di stiramento e l’altra ortogonale a essa, di diversa
velocità di propagazione e polarizzate in piani ortogonali. Sfasano le componenti di E e
quindi fanno variare lo stato di polarizzazione della luce trasmessa.

- Esperimento dimostrativo alla lavagna luminosa


Materiali: pezzi di plastica trasparente (per es. cellophane o scotch, l’involucro esterno
che avvolge le scatole di sigarette, polietilene), lastrine di vetro da microscopio,
righello trasparente, cassette di nastri registrati, un corpo fotoelastico o una forchetta di
plastica trasparente; due fogli polaroid.
Mettere tra due polaroid incrociati posti sul piano della lavagna luminosa uno alla volta
i vari oggetti di plastica trasparente: può accadere che alcuni di loro facciano variare lo
stato di polarizzazione della luce trasmessa.
Disporre il foglio di cellophane a 45° rispetto agli assi di trasmissione dei fogli polaroid
incrociati e ruotarlo: per ogni rotazione di 90° circa il cellophane fa passare o non
passare la luce. Questo significa che il cellophane è una sostanza con due direzioni
privilegiate (assi ottici) nel piano. Poiché si sa in modo indipendente che il cellophane
non assorbe la luce (quando lo si osserva è del tutto trasparente), vuol dire che esso ha
cambiato la fase relativa dei due componenti Ex e Ey della luce che lo attraversa. Le
sostanze che si comportano come il cellophane sono dette lamine ritardanti (v. oltre).
Quando la luce le attraversa, le componenti di E si propagano con un ritardo di fase tra
loro.
Ci possono essere sostanze di plastica trasparente che invece, interposte e fatte ruotare
tra i due polaroid incrociati, non danno alcun effetto. Un esempio è dato dall’involucro
esterno dei pacchetti di sigarette. Se però si stira l’involucro lungo una direzione
succede un po’ come nel cellophane o in un pezzo di polaroid: le catene di molecole si
allineano e si hanno anche in questo caso due direzioni privilegiate, una lungo le

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

catene di molecole e l’altra perpendicolare a essa, in grado di assorbire o far passare le


componenti del campo elettrico con due diverse velocità di propagazione, e quindi due
indici di rifrazione diversi.
Incollare su un vetrino una striscia di scotch, o più strisce parallele e in parte
sovrapposte, o più strisce con varie orientazioni. Inserire il vetrino tra i polaroid
incrociati e ruotare. Si hanno effetti cromatici che dipendono dal fatto che l’indice di
rifrazione varia con la lunghezza d’onda della luce incidente n= n(λ) e da variazioni
dello sfasamento Δφ tra le due componenti della luce polarizzata (ogni colore viene
ritardato in modo diverso).
V. anche Gli esperimenti dell’Exploratorium, esperimento 63, Mosaico di luce
polarizzata.
Passiamo ora ai materiali di plastica rigida. Mettere il righello di plastica a 45° tra i due
polaroid incrociati. Perché si vedono i colori?
Come nel caso precedente, la plastica scompone la luce incidente in due onde
polarizzate in due piani ortogonali, di diversa velocità di propagazione. Quando le due
componenti si ricombinano, si forma un’unica onda polarizzata di un dato colore.
Inoltre, se l’onda ricombinata vibra in un piano parallelo all’AT del secondo polaroid,
la luce viene trasmessa altrimenti viene assorbita. Ruotando il righello i colori
cambiano perché sia l’indice di rifrazione del mezzo, sia lo sfasamento tra le due
componenti polarizzate sono funzione della λ della luce incidente.
Se si sottopone a stress l’oggetto fotoelastico (anche la forchetta di plastica trasparente
va bene) tra due i due polarizzatori incrociati, si vedono ‘figure di tensione’ a cui è
soggetto il corpo. A causa della tensione meccanica l’oggetto diventa otticamente
anisotropo, e si comporta come un mezzo birifrangente; il fenomeno viene sfruttato
nell’analisi degli stress dei materiali in modelli di plexiglas. V. Leybold, esperimento
2.3 e anche Gli esperimenti dell’Exploratorium, esperimento 90, Sforzi nell’osso.

Polarizzazione per diffusione


Quando la luce incide su particelle in sospensione, la luce diffusa lateralmente è
parzialmente polarizzata linearmente. Il fenomeno è più marcato se le dimensioni
lineari dei centri diffusori d sono molto minori della lunghezza d’onda della luce. E’ il
caso per es. della luce del cielo: guardando il cielo con un PL, ruotandolo si scopre che
appare periodicamente più chiaro e più scuro; la luce presenta cioè un diverso grado di
polarizzazione, minimo lungo la congiungente Sole-osservatore, massimo se si guarda a
90° dalla direzione del Sole (in una molecola d’aria, gli elettroni si comportano come
oscillatori forzati dalla luce incidente, oscillano lungo le direzioni x e y trasversali alla
direzione di propagazione z della luce; se si osserva a 90° lungo y si ‘vede’ solo la
componente del moto dell’elettrone lungo x). Diffusioni multiple non polarizzano
maggiormente la luce ma possono al contrario depolarizzarla (è il caso per es. della luce
solare che passa attraverso una nube).

- Esperimento. Polarizzazione per diffusione e blu del cielo


Materiali: una vaschetta parallelepipeda a pareti trasparenti, torcia, PL.

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

L’esperimento è molto interessante perché consente non solo una simulazione in


laboratorio del blu del cielo e del rosso del cielo all’alba e al tramonto, ma anche di
mostrare lo stato di polarizzazione della luce diffusa. Riempire d’acqua la vaschetta e
versare poche gocce di latte (si consiglia il latte perché ha molecole organiche che
come centri diffusori approssimano abbastanza bene la diffusione Rayleigh). Illuminare
l’acqua con una torcia parallelamente al lato lungo della vaschetta: se si guarda il fascio
di lato si osserva una luce diffusa azzurrina mentre guardando in direzione della torcia,
si osserva una colorazione giallo-arancio. Si tenga conto che l’uso della torcia, se ha un
lampadina a filamento, dà in ingresso una luce che ha una componente rossa
sensibilmente maggiore di quella ‘normale’. Provare a intercettare con una paletta
immersa nella vaschetta, la zona in cui la luce ha perso parte della componente blu e si
presenta all’osservazione giallo-arancio.

L’esperimento consente di mostrare in modo qualitativo anche il grado di


polarizzazione della luce diffusa che, se osservata con un PL da angolazioni differenti
(di lato, da sopra la vaschetta e in direzione della propagazione del fascio) sarà
massimo a 90° e praticamente nullo per angoli prossimi a 0 o a 180°.
Aggiungendo altre gocce di latte è possibile realizzare condizioni di ‘smog’ fino a
riprodurre un cielo bianco in corrispondenza del quale il fascio non sarà più visibile.
L’esperimento da anche modo di giustificare che le onde elettromagnetiche sono
trasversali dall’osservazione con il PL dello stato di polarizzazione della luce diffusa
lateralmente (parzialmente polarizzata linearmente); le vibrazioni di E sono normali al
piano definito dalla direzione x della luce incidente e dalla direzione della luce diffusa
(congiungente osservatore-x). Il che implica che la luce produce oscillazioni negli
atomi ortogonalmente alla direzione di propagazione e non lungo la direzione di
propagazione perché è un’onda trasversale e non longitudinale. v. Gli esperimenti
dell’Exploratorium, esperimento 19, Il cielo blu.

Polarizzatori
La luce può essere polarizzata come abbiamo visto, oltre che mediante fenomeni fisici
particolari, con i polarizzatori. I polarizzatori si dividono in:
PL, circolari e lamine di ritardo. Le lamine di ritardo cambiano lo stato di
polarizzazione della luce e in genere mostrano cromatismo (sfasano la luce in funzione
della lunghezza d’onda incidente). Sono fatte di una sostanza che ha indice di rifrazione
diverso per le due componenti ortogonali della polarizzazione della luce. Si sceglie lo
spessore della lamina in modo che il raggio straordinario preceda il raggio ordinario di
Δφ. Sono di questo tipo le lamine a quarto d’onda e le lamine a mezz’onda. Le lamine a
quarto d’onda (λ/4) sfasano la luce di Δφ = π/2 e possono per es. trasformare luce
polarizzata linearmente in luce polarizzata circolarmente e viceversa. Le lamine a
mezz’onda (λ/2) sfasano la luce di Δφ =π; possono per es. trasformare luce polarizzata
linearmente in luce polarizzata linearmente in un diverso piano di oscillazione. Per
approfondimenti si veda per es. La Fisica di Berkeley, cit. A p. 445, si insegna come
costruire lamine di ritardo

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

Potere rotatorio ottico


E’ una proprietà del mezzo “otticamente attivo” (per es. una soluzione zuccherina o una
lamina di quarzo cristallino) e non della luce; consiste nella rotazione del piano di
oscillazione della luce polarizzata e in generale è funzione del cammino ottico nel
mezzo. Sta alla base della polarimetria e della saccarimetria.

- Esperimento sul potere rotatorio ottico


Materiali: banco ottico, sorgente, un diaframma e un filtro rosso, due PL, una vaschetta
di vetro parallelepipeda, soluzione di acqua e zucchero, camera a specchio. Quando si
interpone la vaschetta tra polarizzatore e analizzatore, a PL incrociati non passa luce; se
si versa la soluzione nella vaschetta, la luce ora passa (il piano di oscillazione della luce
polarizzata è ruotato). Per ritrovare la condizione in cui non passa luce occorre ruotare
l’analizzatore di un angolo α (l’osservazione può essere fatta a occhio o con la camera
a specchio, con il filtro o in luce bianca). La rotazione del piano di oscillazione può
avvenire in senso orario o antiorario a seconda che nella soluzione ci sia glucosio o
levulosio. L’angolo di cui ruota il piano di oscillazione per una data λ è direttamente
proporzionale allo spessore l del mezzo attraversato (α∝ l, ruotare la vaschetta in modo
che la luce la attraversi dal lato corto e dal lato lungo). Per una data λ e un dato l,
l’angolo è direttamente proporzionale alla concentrazione c della soluzione (α∝c). Per
approfondimenti, v. scheda Leybold, Polarizzazione, 5.0. v. anche Gli esperimenti
dell’Exploratorium, esperimento 57, Luce rotante.

Cap. 10 LUCE E COLORI


§10.1. I colori
Concetti e nozioni chiave: luce, occhio e cervello come mediatore-elaboratore della
visione. Colori primari o fondamentali (R, Ve, B): sintesi additiva. Cerchio di Goethe.
Colori secondari o complementari (G, Mag, Cian): sintesi sottrattiva. Teoria di Young-
Helmholtz sulla visione dei colori e suoi limiti; spettro visibile, curva di luminosità per
l’occhio, curve intensità relativa vs. λ per colori fondamentali e complementari. Teoria
di Land (cenni).
Apparecchiature: filtri R, Ve, B e box di luce (o 3 proiettori per diapo o 3 torce); filtri
G, Mag e Cian per la sintesi sottrattiva; dischi rotanti a settori colorati e a settori
bianchi e neri (cercare, se non disponibili a scuola, tra i giochi didattici, come il

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‘mescolatore di colori’ realizzato da Ludwig Hirschfeld-Mack per la Bauhaus, reperibili


negli shop dei musei o in negozi come la ‘Città del Sole’ a Roma).

Trattiamo di seguito un argomento di grande fascino ma che tuttavia viene raramente


affrontato a scuola: la luce e i colori. Cominciamo da subito a schematizzare il processo
della visione dei colori come:
luce, entità fisica esterna all’osservatore;
occhio, percettore sensibile della luce;
cervello, mediatore-elaboratore della visione;
oggetto illuminato che mostra un certo colore.
Partiamo dalla teoria dei colori di Newton, richiamando l’esperimento della dispersione
della luce bianca da prisma e rilanciamo la domanda:
- I colori appartengono alla luce, come sostiene Newton, o agli oggetti?
- Perché un oggetto rosso appare rosso? Perché un oggetto giallo appare giallo? Ecc.

I colori dipendono dalla sorgente di luce (e dagli sfondi)


Prima di risolvere la questione, va sottolineata l’importanza delle sorgenti di luce e
degli sfondi. Occorre notare che ‘luce’ si riferisce a una particolare sorgente di luce; è
esperienza comune che sorgenti di luce particolari alterano i colori (se si compra un
vestito in un negozio illuminato con luce artificiale, al neon per es., ci si accerta del
colore ‘normale’ del tessuto osservandolo alla luce solare).
Le sorgenti di luce si dividono in
sorgenti a spettro continuo, quando emettono su tutto lo spettro visibile, come il Sole,
le fiamme o le lampade a filamento;
sorgenti a spettro di righe, quando emettono solo certe lunghezze d’onda che possono
dare ‘luce bianca’ per sintesi additiva o un altro colore a seconda delle righe di
emissione, come le lampade al sodio, al neon, ai vapori di mercurio.
- Preparare in un ambiente oscurato lampade al neon, al sodio, ai vapori di mercurio
oppure a luce bianca con filtro per es. rosso, e una serie di oggetti colorati. Far notare
come i colori cambino in funzione della sorgente. Se possibile, far osservare agli
studenti gli spettri emessi dalle diverse sorgenti con uno spettroscopio tascabile.

Sintesi additiva dei colori primari


I colori nel visibile si dividono nei tre primari rosso (R), verde (Ve) e blu (B). Si parla
anche di spettro della luce visibile come risultante dei tre spettri relativi ciascuno a un
colore primario.

- Esperimento dimostrativo sulla sintesi additiva dei colori primari (sommare luce
colorata a luce colorata).
Materiali: per es. tre proiettori, ciascuno dotato di un filtro R, Ve e B; proiettare i tre
fasci di luce sullo schermo in modo da far intersecare al centro 3 fasci (luce bianca) e
radialmente due fasci (dove si forma, rispettivamente, ciano (Cian), magenta (Mag) e
giallo (G), cioè i tre colori complementari). I proiettori dovrebbero essere di intensità
regolabile e i filtri di spessore variabile, in modo da ottenere qualunque mescolanza di

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R, Ve e B. In mancanza di ciò, accontentarsi di aggiustare la distanza proiettore-


schermo.

Lo spettro visibile viene diviso convenzionalmente in 3 parti (B, Ve, R o colori


primari); sommando a due a due gli spettri primari si ottengono gli spettri dei colori
complementari Cian, Mag e G.
Far vedere alla lavagna luminosa il cerchio di Goethe.

L’occhio somma i tre spettri per produrre le diverse sensazioni dei colori; tenere conto
che ciascuno spettro primario è circa 1/3 dell’intero spettro visibile e che ogni colore
complementare manca di 1/3 di spettro; sicché
R+Ve+B = bianco
R+Ve= G (manca di 1/3 di spettro, il B);
R+B= Mag (o rosso porpora, manca del Ve);
B+Ve= Cian (blu-verde, manca del R).
Se si somma a un colore complementare il colore primario mancante si ha il bianco:
G+B = bianco
Cian + R= bianco
Mag + Ve= bianco
Ve

Cian
G

B
R

Mag

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- Esperimento dimostrativo con i dischi rotanti a settori colorati (disco di Newton: i


colori si sommano nell’occhio a causa della persistenza delle immagini sulla retina).
Un’altra applicazione di sintesi additiva si ha in pittura nella tecnica dei puntinisti (G.
Seurat, ecc.).
Nel televisore a tubo catodico (ci sono tre cannoncini elettronici per il R, il Ve e il B;
sullo schermo, fosfori per il R, il Ve e il B): a seconda del colore da realizzare, varie
zone di fosfori sono stimolati in diverso grado. Se si guarda con una lente di
ingrandimento qualunque colore deciso sullo schermo del televisore, si individuano i
tre colori primari.

La visione dei colori si spiega per riflessione (o meglio, diffusione) selettiva della luce
da parte degli oggetti. Osservato in luce bianca un oggetto rosso appare tale perché
diffonde il rosso e assorbe il resto; un oggetto giallo, diffonde in grande percentuale R e
Ve (R+Ve=G) e in piccola percentuale il B e assorbe il resto. Un oggetto bianco
diffonde tutta la luce.
Un esempio è dato dai colori a olio. I colori a olio usano pigmenti base per produrre un
numero illimitato di colori. I pigmenti sono immersi in un mezzo trasparente. E’ il
pigmento che produce il colore per assorbimento selettivo di certe lunghezze d’onda
mentre altre le diffonde. Quando luce incide sulla pittura entra nel mezzo fino ad
incontrare un pigmento, per es. R; il pigmento assorbe la luce tranne il rosso che viene
riflesso e arriva all’occhio.

Teoria di Young-Helmholtz o del “tristimolo”:


la teoria, enunciata da Young all’inizio dell’Ottocento e ripresa mezzo secolo dopo da
Helmholtz (Ottica fisiologica, 1866), si basa su esperimenti sulla sintesi additiva dei
colori simili a quelli fatti da noi; l’occhio è sensibile a una terna di stimoli relativi ai 3
colori primari; gli altri colori risultano dalla stimolazione simultanea dei recettori. Si è
scoperto successivamente, a livello biologico, che la retina presenta realmente 3 tipi di
fotorecettori detti coni per la visione diurna, con diverse risposte spettrali nel visibile,
centrate rispettivamente sul rosso (580 nm), sul verde-giallo (550 nm) e sul blu-violetto
(450 nm). I bastoncelli presenti nella retina servono invece per la visione notturna.
Va tenuta presente anche la curva di luminosità dell’occhio nel visibile: l’occhio è
sensibile al massimo al giallo-verde, al minimo al violetto e al rosso (v. fig., tratta da A.
Frova, Luce colore visione, cit., p. 54).

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Con riferimento alla terna luce-occhio-cervello, i fotorecettori della retina traducono le


perturbazioni elettromagnetiche associate a un certo spettro visibile in una sensazione
cromatica. La teoria di Young-Helmholtz spiega bene la visione dei colori. Vedremo di
seguito i suoi limiti.

Sintesi sottrattiva dei colori


- Con la sintesi additiva dei colori si può ottenere il nero?
No, se sommiamo luci a luci non possiamo ottenere il nero (assenza di luce); dobbiamo
procedere per sottrazione (sintesi sottrattiva) con dei filtri (‘sovrapporre filtri’).
- Un proiettore e tre filtri Mag, Cian e G, oppure (meglio) lavagna luminosa e i tre filtri:
sovrapporre sul piano della lavagna luminosa i tre filtri. Far prevedere agli studenti:
- Che succede se luce bianca attraversa un filtro Mag e uno G?
Rimarcare che Mag è privo di Ve; G è privo di B: resta solo R. Lo stesso con Cian e G
(Ve) e Mag e Cian (B).
- E se si sovrappongono i filtri G, Mag e Cian? Si ottiene il nero.
Con i filtri di colori complementari di diverso spessore si può produrre qualunque
colore. La maggior parte dei colori che vediamo, si ottiene per sintesi sottrattiva come i
colori a stampa in tricromia o in quadricromia (se si aggiunge bianco o nero).
Anche i colori ad acqua sono essenzialmente filtri depositati su una superficie bianca.
La luce passa attraverso il colore ad acqua, è riflessa dalla superficie bianca e ripassa
attraverso il colore (la luce perciò è filtrata due volte). Dipingere un secondo colore sul
primo equivale a porre due filtri insieme. Il colore risultante dipende dalla curva di
trasmissione di entrambi gli strati di pittura. La saturazione del colore si controlla
diluendo.
v. Gli esperimenti dell’Exploratorium, esperimento 98, Il tavolo del colore.

Limiti della teoria di Young-Helmholtz e teoria di Land


Con Newton si stabilisce che il colore è inerente alla luce; la teoria di Young-
Helmholtz spiega la visione dei colori, con l’ipotesi, successivamente confermata, che
esista una terna di stimoli per l’occhio relativi ai tre colori primari. Dalle prime teorie a
oggi si sono chiariti per la visione dei colori i meccanismi fisici e fisiologici, ma non
completamente quelli psicologici, legati all’attività cerebrale. Di questi ultimi tiene

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conto la teoria di E. H. Land (fine anni Sessanta del Novecento): la visione dei colori si
basa su triplette di informazioni relative al potere riflettente (o “riflettanza”) degli
oggetti, elaborate dal “sistema Retinex” (retina + corteccia cerebrale). Il sistema retinex
consiste nell’ insieme dei meccanismi biologici che consentono di convertire i flussi di
radiazioni incidenti sulla retina in informazioni sul potere riflettente degli oggetti.
L’occhio è in grado di distinguere il potere riflettente degli oggetti indipendentemente
dal flusso di radiazione che li colpisce, prescindendo quindi da meccanismi puramente
fisici e fisiologici; tiene conto, per es., del contrasto tra punto e punto e ricostruisce i
colori sulla base della luminosità dello sfondo e del contrasto tra le diverse zone. Così,
mentre la teoria di Young-Helmholtz non spiega in particolare 1. gli effetti di contrasto
simultaneo e consecutivo; 2. i fenomeni della persistenza o costanza del colore, la teoria
di Land è in grado di farlo.

- Esperimento dimostrativo: le ombre colorate (effetti di contrasto)

-
Due proiettori, un filtro rosso. Montare il filtro a un proiettore; si ottengono così un
fascio di luce bianca e un fascio di luce rossa. Proiettare i fasci su uno schermo e
interporre all’interno del fascio rosso un oggetto opaco.
schermo

proiettore luce rossa


luce bianca
- Secondo voi come sarà l’ombra dell’oggetto? bianca su sfondo rosa???
- No, è azzurrina su sfondo rosa, cioè si vede l’ombra del colore complementare allo
sfondo perché l’occhio tiene conto del contrasto tra punto e punto e ricostruisce dei
colori, presenti nel fascio di luce bianca ma non in quello di luce rossa sulla base della
luminosità dello sfondo e del contrasto tra le diverse zone. I coni del rosso elaborano la
loro immagine dal proiettore con il filtro rosso e dal proiettore con luce bianca, che
contiene anche il rosso; i coni del verde e del blu elaborano l’immagine dal proiettore in
luce bianca.
In proposito Land ha condotto alla fine degli anni Cinquanta un esperimento
impressionante: con una pellicola in bianco e nero viene fatta una diapositiva di un
oggetto a colori, per es. un mazzo di fiori, prima con un filtro rosso e poi si fa la stessa
foto con un filtro verde. Una volta sviluppate, le due diapositive vanno dal nero al
bianco, attraverso una gamma di grigi intermedi (la pellicola era in bianco e nero). Si
proiettano quindi le diapositive con due proiettori, uno con filtro rosso (dove si è
inserita la diapositiva fatta con il filtro rosso) e l’altro in luce bianca, facendo

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sovrapporre le immagini delle due diapositive sullo schermo. L’occhio osserva un


mazzo di fiori con tutti i suoi colori. Il fenomeno è simile alle ombre colorate: il nero
sulla diapositiva è come l’oggetto opaco che proietta l’ombra sullo schermo (invece di
rosa si vede azzurrino); dalle gamme dei grigi sulle diapositive l’occhio estrae i colori
dal fascio di luce bianca e li ricostruisce. La ricomparsa dei colori è dovuta per Land
alla elaborazione da parte del cervello di tre immagini, relative ai tre colori primari, in
funzione dei tre tipi di coni, di cui confronta la luminosità e ricostruisce i colori.
Allo stesso modo si spiega la costanza del colore: l’occhio riconosce lo stesso colore sia
alla luce di una candela, sia al Sole, cioè con sorgenti luminose di diverso contenuto
spettrale. Una macchina fotografica, al contrario dell’occhio, riconosce gli oggetti
illuminati da una candela e nel fotogramma si osserva una componente rossa assente
nella foto alla luce solare. L’occhio, in altre parole, per Land si è evoluto per vedere i
colori stabili indipendentemente dalla illuminazione.
- Esperimento dimostrativo con i dischi a settori bianchi e neri (ancora sugli effetti di
contrasto)

Con i dischi rotanti a settori bianchi e neri, a seconda del verso e della velocità di
rotazione, nonché della diversa distribuzione di bianco e di nero si vedono colori
differenti. Il fenomeno è dovuto ai diversi tempi di risposta e di persistenza dei coni,
che, per così dire, si scoordinano. v. Gli esperimenti dell’Exploratorium, esperimento
31, Disco di Benham.
- Esperimento dimostrativo con il disco di Fechner
Il disco è costituito da una metà bianca e una metà nera: da un lato c’è una finestra
quadrata attraverso la quale si vede una diapositiva quadripartita, di colori
rispettivamente R, G, B e Ve, illuminata da dietro. Serve un’altra lampadina (faretto)
per illuminare il disco mentre è in rotazione.

bianco
R G

B V

nero

Con il disco in rotazione al buio (cioè senza faretto con la diapositiva illuminata da
dietro): sia per rotazione oraria sia antioraria i colori permangono così come sono. Con
il disco in rotazione illuminato dal faretto: con rotazione antioraria si vedono i colori
della diapositiva così come sono, con rotazione oraria, i colori di sopra passano sotto.
Il fenomeno è dovuto al contrasto (conseguente alla successione nero-finestra-bianco),
alla velocità e al verso di rotazione del disco.
Altre informazioni sul libro di Frova, Luce colore visione, cit..
Si può impostare a questo punto con gli studenti una discussione generale sui
meccanismi di formazione dei colori.

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Applicazioni
puntinisti; i colori della TV; stampa in tricromia e quadricromia. Colori a olio, ad
acqua. I colori in natura: arcobaleno (rifrazione, riflessione totale, dispersione; saper
spiegare arcobaleno primario e secondario), aloni (rifrazione da cristalli di ghiaccio
nelle nuvole a cirri), corone (diffrazione da goccioline d’acqua nella nebbia o nelle
nuvole), aurora polare, blu del cielo, raggio verde (dispersione e diffusione).
Attenzione: a seconda dei casi i processi coinvolti sono totalmente diversi tra loro; sono
tuttavia tra le spiegazioni più richieste dagli studenti.

Bibliografia di approfondimento:
AAVV, La propagazione della luce, Laboratorio di Didattica delle Scienze, Università
La Sapienza di Roma, 1993.
Bevilacqua F., Ianniello M.G., L’Ottica, dalle origini all’inizio del ‘700, Loescher,
1982.
Cerreta P. (a cura di), Gli esperimenti dell’Exploratorium, Zanichelli, 1996.
Frova A., Luce colore visione, Editori Riuniti, 1984.
Frova A. (a cura di), Il colore, Quaderni di Le Scienze n. 78, 1994.
Meyer Arendt J., Introduzione all’ottica classica e moderna, Zanichelli, 1976.
M. Minnaert, Light and Colour in the open Air, Dover pub. 1964.
PSSC, Fisica, si veda il capitolo su “Lo studio della luce”.
Schede di laboratorio Leybold: Propagazione della luce e riflessione, Rifrazione e lenti,
Interferenza, Diffrazione, Polarizzazione.

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Esercitazioni
Scheda rifrazione3

Esercizio 1
Per prepararti all’esperimento successivo conviene che ti eserciti ad allineare tre spilli, in modo
che si trovino su una stessa linea retta. Ti serve, oltre agli spilli, un foglio di carta appoggiato su
una superficie morbida in cui sia facile appuntare degli spilli.
Disegna due rette parallele e vicine ai margini del foglio e pianta uno spillo al centro del foglio e
uno su una delle due rette. Poi chinati per prendere la mira e colloca un altro spillo sulla seconda
retta in modo che risulti allineato con gli altri due. Verifica l’allineamento con una riga da
disegno.

Ripeti questa prova diverse volte per prendere pratica

Esercizio 2
Questa volta dobbiamo studiare come si comporta la luce entrando e uscendo dalla mezzaluna.
Invece di allineare tre spilli devi allineare due spilli
e il segno verticale che attraversa il lato diritto della
mezzaluna.
Poni il foglio con il u disegno della mezzaluna sulla
base utilizzata per l’esercizio precedente.
Colloca la mezzaluna sul foglio nella posizione
indicata dal disegno. Il lato diritto coinciderà con la
retta u e il segno verticale col punto O. Per
maggior chiarezza puoi piantare uno spillo anche nel
punto O.
v
-

Appunta uno spillo sul tavolo nel punto M e prendi la mira guardando attraverso la mezzaluna.
Potrai verificare che uno spillo collocato nel punto N è alllineato con O e con l’immagine dello
spillo posto in M vista attraverso la mezzaluna e, se lo spillo è più alto della mezzaluna, anche
con l’immagine vista direttamente attraverso l’aria.
In definitiva hai un punto-sorgente (lo spillo in M) e vedi le due immagini coincidenti. Ma
questo accade solo se guardi dalla direzione fissata dallo spillo in N. Se invece guardi da
un’altra direzione le due immagini non coincidono più.
Cosa ne deduci? Scrivi le tue conclusioni.
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3 Scheda tratta da “La propagazione della luce”, Schede allievo, Laboratorio di didattica delle scienze,
Università di Roma La Sapienza.

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Esercizio 3
Ora viene la parte più interessante. Devi studiare cosa accade se sposti lo spillo dal punto M,
lungo l’arco AMB.
Fai qualche prova. Allontanando lo spillo da M
M
u

A N
v

M
vedrai due “repliche” dello spilloQ1 che Smuovi:1 Una la vedi
S2
direttamente attraverso l’aria e l’altra
Q
2 attraverso la mezzaluna. Quest’ultima si allontana più
rapidamente della prima dallaA
direzione
O
originaria.
B
Ora devi appuntare il terzo spillo in modo
che risulti allineato con la retta che passa per O e con l’immagine dello spillo vista attraverso la
R2
mezzaluna. T2
R1
Infatti è così che determini inT quale misura i raggi di luce che ti permettono di vedere lo spillo
1
vengono deviati nel passaggio dalla mezzaluna all’aria.
N
Per ottenere risultati significativi devi procedere sistematicamente.

1. Metti lo spillo a circa 1 cm dal punto M. Trova la posizione in cui devi mettere un
secondo spillo per ottenere l’allineamento (sempre guardando attraverso la
mezzaluna). Segna con una matita le posizioni dei due spilli e contrassegnali (per
esempio come S1 e T1).

2. Metti lo spillo a circa 2 cm dal punto M e ripeti l’operazione. Avrai così una nuova
coppia di punti, S2T2.
E così via.
Quando hai raccolto diverse coppie di punti (per esempio 4 o 5 coppie, al minimo
3) fai la costruzione indicata nella figura e calcola i rapporti tra le lunghezze delle
coppie dei segmenti trovati, come S1Q1 e T1R1, ecc.

Alla fine dell’esperimento riempi quindi la tabella seguente:


segmento 1 segmento 2 rapporto
S 1Q 1 = T 1R 1= T 1R 1 / S 1Q 1=
S 2Q 2 = T 2R 2 = T 2R 2 / S 2Q 2=
S 3Q 3 = T 3R 3 = T 3R 3 / S 3Q 3=
S 4Q 4 = T 4R 4= T 4R 4 / S 4Q 4=
S 5Q 5 = T 5R 5= T 1R 1 / S 1Q 1=

Rilevi qualche regolarità nei valori del rapporto tra i segmenti da te determinati? Scrivi quale.

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Esercizio 4
Torniamo al caso in cui i raggi passano dal materiale trasparente all’aria.
Abbiamo verificato che, in questo caso, quando aumenta l’angolo di incidenza, l’angolo di
rifrazione aumenta più rapidamente, e che l’angolo di rifrazione è sempre maggiore dell’angolo
di incidenza.
Ciò significa che esiste un angolo limite per il quale l’angolo di rifrazione è di 90°, ossia tale
che se vuoi vedere ancora l’immagine dello spillo, allineata con O, devi metterti a osservarla
lungo la retta u. Oltre l’angolo limite non avviene più rifrazione e si ha un fenomeno nuovo: la
“riflessione totale”.
Osserva questo fenomeno guardando la mezzaluna dallo stesso lato in cui collochi gli spilli
(così, facendo usi il lato diritto della mezzaluna come se fosse uno specchio).
Con un po’ di prove potrai stabilire per quale angolo di incidenza avviene che l’immagine dello
spillo si vede guardando parallelamente alla faccia piana della mezzaluna. Al di là di
quell’angolo vi è solo riflessione, per questo esso prende il nome di angolo limite.
Segnando la posizione dello spillo corrispondente all’angolo limite potrai determinarne il valore
con un goniometro.

Angolo limite =

Esercizio 5
Prova ora a immaginare come andrebbero le cose se considerassi il cammino inverso: i
raggi che passano dall’aria al materiale trasparente.
Fai una prova usando gli stessi spilli, guardando però dalla parte curva della mezzaluna
anziché dal lato diritto. Come risulterà ora l’angolo di rifrazione rispetto all’angolo di
incidenza: maggiore o minore?
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Scheda lenti

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

1. Lente convergente e raggi principale, focale e parallelo (cfr. Schede Leybold,


Ottica geometrica, 2112 e 2113)
Materiali
Sorgente, lente B con f=10 cm, 2 lenti pianoconvesse, 1 diaframma a 5 fenditure.
Obiettivo
1A. Individuare la lunghezza focale della lente pianoconvessa (diaframma con tre
fenditure).
1B. Individuare la lunghezza focale delle due lenti pianoconvesse.

1C. Verificare il cammino dei raggi principale, focale e parallelo e analizzare com’è
l’immagine rispetto all’oggetto.

2. Lenti convergenti (cfr. Schede Leybold, Ottica geometrica, 2114 e 2115)


Materiali
Sorgente S, oggetto AB (freccia), lente convergente B (f=10 cm), schermo T.
Obiettivi
A. Valutare la posizione q e la grandezza A’B’ dell’immagine per diverse distanze p
dell’oggetto.
B. Individuare la relazione tra p, q, AB, A’B’.
C. Verificare (o dedurre) la formula delle lenti sottili: 1/p + 1/q = 1/f.
schermo

asse ottico
A

p q

A. Disporre la freccia in orizzontale e poi in verticale. Regolare ogni volta le distanze


fino a che l’mmagine dell’oggetto sia a fuoco sullo schermo. Com’è l’immagine
rispetto all’oggetto:

oggetto immagine

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Dispense corso PED, parte III, AA. 2008/09, M. G. Ianniello, riproduzione non consentita.

Variare la distanza p dell’oggetto e valutare com’è l’immagine A’B’:

p(cm) A’B’
5 (< f)
10 (=f)
15 (f < p< 2f)
20 (=2f)
25 ( ∞ <p < 2f)
100 ( ∞ )

B. Dipendenza di A’B’ da p e fattore di ingrandimento AB/A’B’

p (mm) q (mm) AB (mm) A’B’ (mm) p/q AB/A’B’


300 10
250 10
200 10
150 10

C. Sulla base dei dati della tabella, verificare la formula per le lenti sottili.

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