Dipartimento di Fisica
Lezioni di Astronomia
Astronomia Generale
Ottica Astronomica
Meccanica Celeste
Il moto diurno
Com'e noto, l'astronomia e la piu antica delle scienze. La descrizione dei
fenomeni celesti quali appaiono dalla Terra (punto di vista geocentrico) e prevalsa
no a Copernico, e ha quindi grande interesse storico. Ma ancora oggi, dato che
tutte | o quasi | le osservazioni si compiono dalla supercie terrestre, o dalle
immediate vicinanze di essa, come nel caso di satelliti articiali, la descrizione
geocentrica conserva importanza fondamentale. E per questo che cominceremo
il nostro discorso mettendoci in atteggiamento geocentrico.
Il moto apparente delle stelle e di tutti gli altri oggetti celesti e certamente
un fenomeno noto all'uomo da sempre, tanto e evidente, pur di osservare il cielo
con un minimo di attenzione e assiduita. Va detto subito che solo in epoche
recenti e venuta meno la necessita e l'opportunita di guardare il cielo, cosicche
cio che ora puo sembrare una scoperta, no a qualche decennio fa era parte del
sapere comune.
L'osservazione notturna delle stelle, e in particolare il fatto di poter rico-
noscere delle congurazioni immutabili, rende evidente un moto d'insieme che
conserva distanze e angoli tra allineamenti di stelle, e fa nascere immediatamente
l'idea di una sfera rigida che ruota su se stessa. La rotazione avviene attorno
a un asse individuabile da due punti ssi, detti poli, uno dei quali e visibile nel
cielo, mentre l'altro rimane sotto l'orizzonte. Sulla sfera celeste le stelle, che sem-
brano occupare posizioni sse, sono distribuite in modo disuniforme e casuale,
cio che ha consentito alla fantasia popolare di riconoscervi forme riconducibili a
tradizioni mitologiche o alla vita quotidiana (personaggi, animali, oggetti ): :::
t=
(24 60)m 30 = 120m:
360
4: Ci si puo chiedere se le traiettorie siano eettivamente cerchi concentrici.
In eetti questo accade esattamente solo se il punto di osservazione e in
un polo terrestre. In un sistema di riferimento solidale con la Terra, una stella
appare percorrere un cerchio che ha il centro C (g. G1{3) sull'asse polare,
e tale centro viene visto dal punto Q in una direzione che forma un angolo con
quella del Polo celeste. Questo stesso eetto si suole descrivere comunemente in
un riferimento che conserva orientamento costante rispetto alle stelle: allora una
stella vicina appare spostarsi rispetto allo sfondo delle stelle lontane, e questo
spostamento si chiama parallasse diurna (g. G1{4).
sfera
celeste
C
S
S
P P
Q Q
G1{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La parallasse diurna
L'aspetto e l'entita dell'eetto di parallasse diurna si vede bene consideran-
dolo come il ri
esso del moto di Q lungo il suo parallelo. Poiche la traiettoria
di Q e un cerchio, la traiettoria apparente della stella S sara la proiezione di tale
cerchio fatta da S sulla sfera celeste; avra percio forma circolare se la stella e
sull'asse polare, forma ellittica nel caso generale.
Il massimo spostamento angolare prodotto dalla parallasse e lo stesso ango-
lo visto prima: il suo piu grande valore si avra se Q e all'equatore, e sara
' tg = R=D
essendo R il raggio terrestre (circa 6 103 km) e D la distanza della stella. Per
la stella piu vicina D 4 anni-luce; ricordando che la luce viaggia alla velocita
'
di circa 3 105 km=s e che in un anno ci sono circa 3 107 secondi si ha che
Troviamo cos :
'
6 103 = 1:7 10,10 rad 300 10,5
4 9 1012
'
ricordando che
1 rad 200 105 100 5 10,6 rad:
' '
Ora notiamo che un angolo di 10,5 secondi, come quello trovato, e circa 10,3
volte la sensibilita massima raggiungibile al giorno d'oggi. Dunque la parallasse
diurna delle stelle non e certamente osservabile, mentre lo e per i corpi del sistema
solare, ed e notevole (no a quasi 1) per la Luna.
L'eclittica
e 23h 56m4s 09 0s 01, che e una precisione relativa di 10,7. E da notare che la
: :
durata dell'anno era nota con tale precisione gia nel primo secolo a.C. (riforma
giuliana del calendario) e quindi probabilmente lo era anche la dierenza tra
giorno solare e giorno siderale.
G1{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G2. La Luna
Generalita
Il moto della Luna e assai complicato, ma diventa relativamente semplice
se s'incomincia con una prima approssimazione molto grossolana. Possiamo
allora dire che Luna si sposta sulla sfera celeste di moto diretto, come il Sole,
percorrendo anch'essa un cerchio massimo prossimo all'eclittica. Se ci chiediamo
quale sia il periodo del moto, possiamo rispondere denendo due diversi periodi:
{ periodo siderale (riferito alle stelle sse) Tsid = 27d 1=3
{ periodo sinodico (denito come per i pianeti, cioe rispetto al Sole) Tsin =
29d 1=2.
Il calcolo per passare dall'uno all'altro e facile quando si pensi alle velocita
angolari. Detta ! la velocita angolare della Luna (M) rispetto alla sfera celeste,
la velocita angolare del Sole, la velocita angolare del moto sinodico e !sin = ! ,
.
Poiche T = 2=! si arriva alla relazione
1 = 1 , 1 : (G2.1)
TsinT T sid S
G2{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ni. Ne segue che la traiettoria reale si avvicina a quella di g. G2{4, dove si e
indicata con R la distanza dell'apogeo e con r quella di perigeo.
Fig. G2-4
Le eclissi
Le due perturbazioni principali (retrogradazione dei nodi e avanzamento
del perigeo) erano ben note dalla remota antichita (Babilonesi) a causa della
loro importanza riguardo alle eclissi. Se non si avesse retrogradazione dei nodi
le eclissi accadrebbero sempre a data ssa, e cioe quando il Sole passa per uno
dei nodi (naturalmente occorre che anche la Luna ci si trovi). A causa della
retrogradazione, l'incontro del Sole con un nodo avviene a intervalli piu brevi
di un anno siderale: questo intervallo, di circa 346 giorni e mezzo, si chiama
anno delle eclissi. Analogamente possiamo vedere la cosa rispetto alla Luna:
l'intervallo tra due passaggi al N e piu breve del mese siderale e si chiama mese
draconitico (il nome proviene dalla leggenda che attribuiva le eclissi a un serpente
disteso lungo il cerchio della Luna, con la testa nel N, che inghiottiva il Sole al
suo passaggio).
Anche la posizione del perigeo e importante per le modalita di un'eclisse.
Dato che i diametri angolari del Sole e della Luna, visti dal centro della Terra,
sono quasi uguali, la piccola dierenza prodotta dal trovarsi la Luna all'apogeo
G2{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
o al perigeo puo decidere se un'eclisse sara totale o anulare. Il moto del perigeo
altera progressivamente questa situazione. Per questo e importante anche il
periodo da un perigeo all'altro, detto mese anomalistico.
I mesi e il Saros
Ricapitolando abbiamo i seguenti periodi, importanti tutti | tranne il
primo | per la previsione delle eclissi (i valori sono riferiti alla data stan-
dard J2000 0 = 1 Gennaio 2000, ore 12 di Greenwich):
:
Si noti che mese sinodico, mese draconitico e anno delle eclissi non sono indi-
pendenti: si lascia al lettore di trovare e vericare la relazione.
Se i tre mesi sinodico, draconitico e anomalistico avessero un semplice multi-
plo comune le eclissi si riprodurrebbero identiche dopo un tale intervallo. In pra-
tica cio non accade esattamente; tuttavia si trova la seguente situazione:
223 mesi sinodici = 6585 32 d :
Questo periodo, di poco piu di 18 anni (detto Saros ) fu scoperto dai Babilone-
si e consent accurate previsioni in base alla semplice regola che un'eclisse gia
avvenuta doveva ripresentarsi dopo un Saros.
Altre perturbazioni
Oltre a tutto quanto gia detto, va notato che anche il moto della Luna lungo
l'orbita non segue che assai grossolanamente le leggi di Keplero: la perturbazione
solare produce irregolarita anche notevoli, alcune delle quali gia note agli astro-
nomi greci. Inne in una trattazione rigorosa non si puo trascurare che la Luna
va trattata non come corpo puntiforme ma come corpo esteso (approssimativa-
mente rigido), con tutte le complicazioni connesse: moti attorno al baricentro
(rotazioni, librazioni, ecc.), ulteriormente complicate dal fatto che la forma della
Luna non e sferica, ma allungata verso la Terra.
Per questo si puo dire che il moto della Luna mette alla prova ancor oggi ogni
teoria cosmologica e meccanica; lo studio di tale moto e enormemente complicato,
se si vuole che la teoria possa fornire risultati di precisione paragonabile a quella
delle osservazioni.
G2{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G3. I pianeti
G3{2
Eccentrici ed epicicli
Il caso piu semplice e quello del Sole. Le osservazioni mostrano che il moto
del Sole sull'eclittica non e uniforme: piu veloce in inverno, piu lento in estate.
Si puo dare una prima spiegazione di cio supponendo che il moto avvenga su
un cerchio eccentrico, cioe col centro non coincidente con la Terra. Lo stesso
schema viene poi adottato anche per i pianeti, con l'ipotesi addizionale che il
centro del cerchio non sia sso, ma descriva a sua volta un cerchio attorno alla
Terra: in tal modo si riesce anche a ottenere il moto retrogrado (g. G3{2).
Altro schema, equivalente a quello eccentrico, e quello degli epicicli. In questo
G3{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
caso il centro D del piccolo cerchio (epiciclo) ruota uniformemente su un grande
cerchio sso (deferente ); il pianeta ruota uniformemente sull'epiciclo (g. G3{3).
Per comprendere l'equivalenza dei due sche-
mi basta osservare che se raggi e velocita ango-
lari per i vari cerchi sono scelti in modo che sia
sempre
, = ,DP e ,CP
TC = ,TD
, = ,TD
TP + ,DP nel secondo :
Alessandria
1) la Terra e sferica
So l
e
Fig. G3-6
Deduzioni:
{ da 2) segue che alla distanza della Luna l'ombra della Terra si e ristretta di
un diametro lunare;
{ da 3) segue allora che il diametro della Terra e 3 1=2 volte quello della Luna;
{ da 1) segue che la distanza Terra{Luna e
Fig. G3-9
Nota: STG
b non e retto!
Le triangolazioni di Keplero
Prima parte: L'orbita della Terra
Ipotesi: i pianeti si muovono di moto 1M
periodico su orbite chiuse attorno al So- 1S
le.
M
0
1M
Semplicazione (non essenziale, fatta
qui solo per brevita): le orbite della
Terra e di Marte sono complanari.
Fig. G3-10
Fatti:
1) un anno siderale vale 365:26 d
2) il periodo sinodico di Marte e 779:94 d
) il periodo siderale di Marte e 687:98 d (v. (G3.1)).
Osservazioni:
1) In g. G3{10 M0T0S rappresentano la situazione a un'opposizione. Si mi-
sura 0M, longitudine di Marte a quell'istante.
2) T1 e la posizione della Terra dopo un periodo siderale di Marte: Marte e
ancora in M0! Si misurano 1M, 1S : le longitudini di Marte e del Sole nella
nuova posizione.
G3{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Deduzioni :
1) nel triangolo ST1M0 l'angolo in T1 vale 1S , 1M;
2) l'angolo in M0 vale 1M , 0M.
) i lati del triangolo sono noti, presa come unita la base SM0.
Ripetendo le osservazioni a intervalli di 687:98 d si ottengono altre posizioni
T2; T3 ; : : : della Terra, e si puo tracciare l'orbita.
Seconda parte: L'orbita di Marte
Fig. G3-11
Deduzioni :
1) nel quadrilatero STaM1Tb l'angolo in S e noto dalle osservazioni precedenti;
2) gli angoli in Ta e Tb si ricavano dalla misura di M come prima;
) i lati STa e STb sono noti e la posizione di M1 resta determinata.
Ripetendo le osservazioni a intervalli di un anno siderale si ottengono altre
posizioni M2; M3; : : : di Marte e si traccia l'orbita.
G3{10
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G4. Le stelle
Le costellazioni
Abbiamo gia osservato che si e indotti a concepire la rotazione rigida di
un'ipotetica sfera celeste in primo luogo dal fatto che la posizione reciproca
delle stelle appare immutabile. Un'altra evidenza osservativa e che le stelle non
appaiono tutte ugualmente luminose, cosicche quelle piu brillanti di un dato
campo possono dar luogo a forme piu o meno espressive che, soprattutto nel
passato, sono state fondamentali per l'orientamento e per la comprensione dei
fenomeni astronomici: le costellazioni.
Nota: E appena il caso di aggiungere che il legame tra le stelle di una data
costellazione e di carattere puramente proiettivo e di solito non corrisponde ad
alcuna interazione sica.
Nell'astronomia moderna il termine \costellazione" ha invece un signicato
ben diverso: quello di una regione di cielo, i cui conni sono deniti in modo
convenzionale a partire dal 1930. Si deve a Delporte il lavoro di suddivisione
della sfera celeste in 88 regioni piuttosto irregolari, costruite in modo che ciascuna
comprendesse grosso modo una delle costellazioni classiche da cui hanno tratto
il nome; nomi piu moderni invece hanno le costellazioni della calotta australe.
Tradizionalmente il nome delle costellazioni e abbreviato con tre lettere della
sua forma latina: es. Ariete = Ari (Aries), Toro = Tau (Taurus), Acquario =
Aqr (Aquarius), Aquila = Aql (Aquila).
La denominazione delle stelle e invece assai complessa, per motivi storici.
Le stelle piu luminose hanno un nome proprio che di solito e egiziano, babilonese,
greco, arabo; taluni di questi si sono poi modicati. Ad es. dall'egiziano Sotis
e venuto Sirio, mentre abbiamo Aldebaran (arabo), Antares (greco), Capella
(latino).
Nel '600 si penso (Bayer) di designare le stelle di una costellazione con le
lettere dell'alfabeto greco ; ;
: : : secondo l'ordine di luminosita: ad es. Al-
debaran e anche Tau (notare pero che a causa delle variazioni di luminosita
oggi tale ordinamento non appare sempre rispettato). Poiche le stelle di una co-
stellazione possono essere molte di piu delle lettere greche, spesso si e preferito
denominare con una sola lettera dotata di indice numerico le stelle vicine, o for-
manti parti ben denite (asterismi ) della costellazione; ad es. nella Lira abbiamo
"1 ; "2 ; nella costellazione di Orione l'arco e denominato 1 ; 2 ; 3 ; 4 ; 5 ; 6 .
Nel '700 furono introdotte (Flamsteed) le designazioni con numeri: di regola
la numerazione e ordinata per ogni costellazione in senso diretto. Cos avviene
che alcune stelle che hanno gia dei nomi, abbiano anche la lettera di Bayer e
il numero di Flamsteed: ad es. nelle Pleiadi (Toro) la piu luminosa e la 19,
altrimenti detta Tau o Alcyone.
G4{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si usano poi anche lettere latine maiuscole (da A a Q) e minuscole, even-
tualmente con indici: ad es. nel Cigno ci sono b1; b2. Le lettere latine maiuscole
da R a Z sono riservate alle stelle variabili, e poiche in una costellazione possono
essercene parecchie, si usano anche lettere doppie AA, AB,....ZZ; ove non bastino
si usa una scrittura del tipo V342.
Le stelle possono inne identicarsi con il numero di un certo catalogo e
la sigla dello stesso: es. HD 29139 e ancora Aldebaran, designata con quel nu-
mero nel catalogo Henry Draper, dove si trovano circa 300 000 stelle di cui si
da posizione, colore, luminosita, spettro. Oggi e molto usato il catologo SAO
(Smithsonian Astronomical Observatory) in cui sono elencate oltre 300 000 stelle.
Ricapitolando, lo specchietto seguente elenca i modi piu usati per indivi-
duare una stella.
Stelle normali Stelle variabili
Nome: Aldebaran Nome: Algol
Lettera greca: Orionis Lett. lat. maiusc.: R Tauri
Num. di Flamsteed: 19 Tauri Doppia l. l. maiusc.: AL Tauri
Lett. lat. maiusc.: A Aquil V e numero: V342 Cygni
Lett. lat. min.: b Cygni
Lett. con indice: 1 ; : : : Ori
Sigla e n. di catalogo: HD 29139
Scala delle grandezze
Fig. G4-1
G4{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Accettando la legge logaritmica della sensibilita dell'occhio si poteva allora
scrivere una formula del tipo
m = m2 , m1 = 2:5 log10(l1 =l2)
dove m e la dierenza di magnitudine (termine che sostituisce quello di \gran-
dezza") corrispondente a un certo rapporto delle luminosita. Cos essendo per
i limiti detti l2=l1 = 100 risulta m = 5, come si voleva per restare in accordo
con la vecchia scala.
Rimane da ssare l'origine della scala: per questo, prese come campioni un
certo insieme di stelle (sequenza polare fotometrica ), si ssa per convenzione la
media delle loro magnitudini.
Una volta ssata la scala e l'origine ha senso anche parlare di magnitudini
decimali (es. 1.5) oppure zero, o anche negative (es. ,1:7). Anche per i pianeti
piu vicini si potra parlare di magnitudine, che naturalmente risultera variabile
con la posizione del pianeta: cos Venere in buone condizioni arriva alla magni-
tudine ,4:5.
Finche l'unico ricettore della luce degli astri era l'occhio, quanto detto sopra
era suciente a denire la scala delle magnitudini; ma quando si e incominciato
a introdurre nelle osservazioni altri strumenti, quali lastre fotograche, bolome-
tri, fotomoltiplicatori, ecc. si e dovuta rivedere la denizione di magnitudine,
correlandola al rivelatore usato. La luce infatti, come e noto, e composta da
radiazioni di diversa frequenza e ogni rivelatore e caratterizzato, tra l'altro, da
una propria curva di sensibilita spettrale.
Un rivelatore e in sostanza un trasduttore, che ricevendo in entrata la radia-
zione, fornisce in uscita un segnale (per es. elettrico). In cio che segue assumere-
mo che si tratti di un trasduttore lineare, nel quale quindi c'e proporzionalita fra
entrata e uscita. La sensibilita spettrale X () misura appunto questo rapporto,
per una radiazione monocromatica di lunghezza d'onda . In cio che segue la
sensibilita spettrale viene assunta normalizzata in modo tale che il suo massimo
valga 1.
Tenuto conto di tutto cio, vediamo allora come dev'essere denita piu cor-
rettamente la magnitudine relativa ad un certo tipo di rivelatore.
Sia f () il
usso di radiazione proveniente da una stella, misurato fuori
dell'atmosfera: f () d e la potenza per unita di supercie e per lunghezze
d'onda tra e + d (tipicamente si misura in erg s,1cm,2nm,1).
Deniamo magnitudine apparente nel sistema X la quantita
mX = ,2:5 log10 , cX
dove Z1
= X ()f () d
def
G4{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e il
usso integrato avendo espresso f () nelle unita citate sopra e cX e una
costante ssata convenzionalmente.
Nota: Le osservazioni fatte da terra richiedono naturalmente una correzione
dovuta all'assorbimento atmosferico.
Puo accadere allora, per esempio, che la determinazione della magnitudine
di due stelle (1; 2) con spettro diverso, riprese con due strumenti diversi (A,B),
dia questi risultati:
m(1) (2)
A > mA con lo strumento A
m(1) (2)
B < mB con lo strumento B
da cui la necessita di precisare ogni volta a quale particolare strumento si riferisce
la magnitudine data.
Storicamente le prime distinzioni tra diverse denizioni di magnitudine fu-
rono fatte tra
{ mv magnitudine visuale, quando X () rappresenta la sensibilita cromatica
dell'occhio medio;
{ mpg m. fotograca : riferita alla sensibilita cromatica delle emulsioni foto-
grache non sensibilizzate (cioe sensibili solo al viola, blu, verde);
{ mpv m. fotovisuale : un compromesso fra le precedenti ottenuta usando emul-
sioni pancromatiche con opportuni ltri, in modo da approssimare la sensi-
bilita dell'occhio umano;
{ mbol m. bolometrica : e intesa a dare una misura dell'energia totale, ed e
riferita percio a un rivelatore ugualmente sensibile a tutte le frequenze;
secondo la denizione data sopra, si ottiene ponendo X () = 1 e ssando
in questo caso cbol = 11:51.
Nella pratica scientica le prime tre sono ormai state sostituite da diversi sistemi
fotometrici standardizzati, dei quali illustriamo come esempio solo il cosiddetto
UBV.
Questo consiste nel denire tre curve di sensibilita spettrale, il cui massimo
(normalizzato ad 1) cade rispettivamente nell'ultravioletto, nel blu e nel giallo-
verde; lo standard e ottenuto in pratica ssando il tipo di fototubo e di ltri da
utilizzare. Nella tabella che segue sono riportati i valori delle lunghezze d'onda
relative al massimo e le costanti che deniscono lo zero delle tre scale.
U U = 360 nm cU = 13:74
B B = 420 cB = 12:97
V V = 540 cV = 13:87
Le magnitudini mpv e mpg sopra citate sono assai vicine rispettivamente
alle magnitudini V e B del sistema UBV. Altri sistemi fotometrici piu complessi
G4{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
usano un numero maggiore di curve standard per un'analisi piu dettagliata delle
caratteristiche spettrali della stella.
Riesce spesso utile caratterizzare la stella con uno o piu indici di colore,
ciascuno denito come la dierenza di magnitudine osservata in due bande di
un dato sistema. Quando non sia diversamente specicato, con indice di colore
s'intende B , V . Tanto minore e l'indice di colore, tanto piu lo spettro della
stella e spostato a lunghezze d'onda minori: gia questo solo numero puo quindi
rappresentare in qualche modo una scala di temperatura delle stelle. Valori tipici
di indice di colore sono compresi tra ,0:5 e 1.9.
Un altro particolare indice di colore e la correzione bolometrica :
BC = mbol , V:
Nella Tabella che segue sono riportate classe spettrale, magnitudine e indice
di colore di alcune stelle, del Sole e della Luna piena.
Stella Cl.Spettr. U B V B,V
Sco M1 | 2:81 1:00 1:81
Boo K2 2:43 1:17 0:06 1:23
Aur G8 1:32 0:87 0:08 0:79
CMa A1 ,1:49 ,1:45 ,1:45 0:00
Ori B8 ,0:59 0:08 0:11 0:03
S G2 ,25:96 ,26:09 ,26:74 0:65
M piena | ,11:37 ,11:82 ,12:73 0:91
G4{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G5. Coordinate celesti
Premessa
Per individuare la posizione di un qualunque oggetto sulla sfera celeste
occorrono naturalmente delle coordinate.
allinfinito
a distanza
finita
allinfinito
Fig. G5-1
I cinque sistemi
Z
G5{4
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Scelta dell'origine
Torniamo adesso a parlare dell'origine del SC che, come detto, coincide spes-
so con il punto di osservazione. A parte i casi di osservazioni da satellite o da
sonda spaziale, il punto di osservazione e normalmente un punto della supercie
terrestre: le coordinate cos denite sono dette topocentriche e dipendono ovvia-
mente dalla localita cui si riferiscono, anche in modo notevole per oggetti vicini
come la Luna e i satelliti articiali. Esclusi appunto questi casi, in generale le
dierenze sono molto piccole e vengono trattate come correzioni alle coordinate
geocentriche, la cui origine e posta nel centro della Terra.
E ben noto pero che nello studio del sistema solare un SC geocentrico crea
inutili complicazioni: la rivoluzione copernicana prima di rappresentare una di-
versa visione cosmologica fu una tecnica astuta per semplicare i calcoli delle
posizioni planetarie. Un SC la cui origine coincide con il centro del Sole e detto
eliocentrico ; attualmente pero nello studio del sistema solare, essendo necessario
basarsi su un riferimento inerziale, si ssa l'origine nel baricentro del sistema
solare. La dierenza non e irrilevante: il baricentro del sistema solare e appros-
simativamente sulla supercie del Sole.
Con cio chiaramente non si esauriscono le possibili scelte: tra queste ci limi-
tiamo a segnalare le coordinate galattocentriche, riferite al centro della Galassia.
Concludiamo sottolineando che sebbene in linea di principio la scelta dell'o-
rigine sia indipendente dalla scelta dell'orientamento del SC, in pratica non tutte
le combinazioni hanno senso (ad es. non si parlera mai di coordinate altazimutali
eliocentriche).
G5{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G6. Trasformazioni di coordinate
Generalita
Come si e visto, esistono numerosi sistemi di coordinate celesti che dieri-
scono o per la diversa posizione dell'origine, o per il diverso orientamento, o per
entrambe le cose. Ognuno di questi ha una sua specica utilita a seconda del
problema in esame, ma solo raramente si puo trattare il problema utilizzando
un solo SC.
Per fare un esempio, si voglia determinare se, a un certo istante, un pianeta
sia ben visibile da una data localita. Tralasciando per ora molti dettagli pure
importanti, per prima cosa occorrera determinare la posizione del pianeta nel
sistema solare: per questo scopo il SC piu naturale e quello eclittico eliocentrico.
Successivamente si dovra passare a un SC geocentrico e poi topocentrico; inne,
per rispondere alla domanda che ci siamo posti, le coordinate da usare saranno
quelle orizzontali. Vedremo poi che la trasformazione da coordinate eclittiche a
orizzontali richiede, almeno concettualmente, di passare per le coordinate equa-
toriali.
In un contesto del tutto diverso, ci si puo porre il problema di come siano di-
stribuiti nello spazio gli ammassi globulari che si osservano sulla sfera celeste e di
cui, per qualche via, si sia potuta determinare la distanza. In questo caso il dato
osservativo e riferito in modo naturale al SC di catalogo delle stelle di campo (ti-
picamente equatoriali equinoziali a un'epoca standard), mentre la distribuzione
che interessa sara meglio riferita a un SC galattiche e galattocentriche.
Bastano questi pochi accenni per capire che il problema delle trasformazioni
di coordinate e essenziale in astronomia: senza voler essere del tutto esaurienti,
aronteremo questo problema nella sua generalita, mostreremo qualche trasfor-
mazione rilevante e concluderemo con qualche applicazione pratica.
Nella presente trattazione non si fara alcun uso della trigonometria sferica
| cioe della trigonometria che si applica ai triangoli costruiti su una super-
cie sferica | com'e tradizionale nell'astronomia classica. Preferiremo l'uso
di strumenti piu consueti nella sica (vettori, traslazioni, rotazioni), anche in
considerazione del fatto che in questo modo la traduzione in algoritmi per un
calcolatore e di gran lunga semplicata. In ogni caso, per comodita del let-
tore, alla ne del capitolo riportiamo le piu utili relazioni della trigonometria
sferica.
Fissato un certo punto di osservazione , O (origine del SC) la posizione P di
un oggetto e individuata dal vettore ~r = OP, eventualmente descritto in termini
delle sue componenti cartesiane x, y, z, quando si siano denite le direzioni di
una terna di assi ortogonali, ovvero dei tre versori di base. Se ci limitiamo alla
descrizione della sfera celeste, ogni posizione, riferita al punto di osservazione
(centro della sfera), e individuata da un versore; come si e detto al Cap. G1,
G6{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
in questo caso la distanza dell'oggetto considerato non e nota, o comunque non
interessa.
E per noi interessante la relazione tra le coordinate sferiche del punto P
e le componenti del vettore ~r; anche perche, come si e visto sopra, i vari SC
dieriscono per l'orientamento. Per ogni SC verranno dunque ssati gli assi x
e z; l'asse y risultera denito di conseguenza, trattandosi in ogni caso di terne
destrorse.
Nota: Nelle espressioni seguenti ci limiteremo ai punti della sfera celeste (di rag-
gio unitario), cioe alle componenti dei versori.
A. Coordinate Altazimutali (od Orizzontali): A; h
Assi: x verso Sud, z verso lo Zenit ) y verso Est (si noti che l'asse x punta in
verso opposto all'origine degli azimut).
x = , cos h cos A
y = cos h sin A (G6.1)
z = sin h:
M. Coordinate Equatoriali Meridiane: H;
Assi: x verso il Mezzocielo superiore, z verso il Polo Nord Celeste ) y verso
Est.
x = cos cos H
y = , cos sin H (G6.2)
z = sin :
E. Coordinate Equatoriali Equinoziali: ;
Assi: x verso V, z verso il Polo Nord Celeste.
x = cos cos
y = cos sin
z = sin :
C. Coordinate Eclittiche: ;
Assi: x verso V, z verso il Polo Nord Eclittico.
x = cos cos
y = cos sin
z = sin :
G6{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G. Coordinate Galattiche : l; b
Assi : x verso il centro della Galassia, z verso il polo Nord galattico.
x = cos b cos l
y = cos b sin l
z = sin b:
=2 , '.
0 sin ' 0 cos '
1
MMA = @ 0 1 0 A: (G6.5)
, cos ' 0 sin '
2) M ! E (da Equatoriali Meridiane a Equatoriali Equinoziali):
Rotazione attorno all'asse z di un angolo pari a H (
) (angolo orario del
punto
), dipendente dall'istante cui ci si riferisce. Si tratta del tempo siderale
gia introdotto nel cap. prec.
0 cos , sin 0 1
MEM = @ sin cos 0 A:
0 0 1
3) E ! C (da Equatoriali Equinoziali a Eclittiche):
Rotazione attorno all'asse x di un angolo pari all'obliquita dell'eclittica ".
01 0 0
1
MCE = @ 0 cos " sin " A:
0 , sin " cos "
Come esempio si consideri una stella di cui si siano misurate le coordinate
altazimutali A, h e di cui si vogliano determinare le coordinate equatoriali meri-
diane H , . Dette xA , yA , zA le componenti del versore che individua la direzione
della stella nel sistema altazimutale, basta applicare ad esse la matrice (G6.5)
per ottenere le componenti xM, yM , zM del medesimo versore nel SC equatoriale
meridiano: 0 x 1 0 sin ' 0 cos ' 1 0 x 1
@ yMM A = @ 0 1 0 A @ yAA A:
zM , cos ' 0 sin ' zA
xM = xA sin ' + zA cos '
yM = yA
zM = ,xA cos ' + zA sin ':
G6{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Esplicitando in termini delle coordinate polari tramite le (G6.1), (G6.2) si
ha:
cos cos H = , cos h cos A sin ' + sin h cos '
cos sin H = , cos h sin A (G6.6)
sin = cos h cos A cos ' + sin h sin '
ricavando inne:
= arcsin(cos h cos A cos ' + sin h sin ')
cos h sin A
H = arcsin , cos :
G6{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Tenendo conto di tutto cio, le (G6.6) si scrivono:
sin cos H = , sin h cos A cos ' + cos h sin '
0 0 0 0 0 0
mo: N
O
h
b
e dividendo la prima per la terza: =/2
tg b = tg c cos (G6.9)
mentre dividendo la seconda per la prima: Fig. G6-2
tg a = sin b tg : (G6.10)
G6{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G7. Correzioni alle coordinate
Premessa
Ci sono molte ragioni per le quali le coordinate di un oggetto celeste (una
stella, un pianeta, ecc.) possono cambiare nel tempo, a parte quella apparen-
temente piu ovvia, che il corpo in questione si muova. Le variazioni delle co-
ordinate possono avere cause assai diverse dal punto di vista sico, tanto che
potrebbe essere opportuno trattarle in relazione ai diversi meccanismi che en-
trano in gioco. Tuttavia sia per ragioni storiche, sia pratiche, conviene spesso
vedere tutti questi eetti come delle \correzioni" da apportare alle coordinate,
e in tal senso riesce utile una trattazione unitaria. Dedicheremo percio il pre-
sente capitolo all'argomento, riservandoci di riprenderne alcuni aspetti quando
potremo approfondirli.
In questo spirito distingueremo sette meccanismi di variazione:
1. Nelle osservazioni fatte dalla supercie terrestre, occorre tener conto del
fatto che l'atmosfera perturba la propagazione della luce che arriva da un
corpo celeste: e questa la rifrazione astronomica.
2. Per le coordinate legate alla denizione del punto
(equatoriali o eclittiche)
ha importanza il fatto che la direzione dell'asse di rotazione della Terra non
resta ssa nello spazio (precessione, nutazione ).
3. Esiste un altro fenomeno, da non confondersi con la precessione o con la nu-
tazione, detto moto del Polo : l'asse di rotazione terrestre non e esattamente
sso neppure rispetto alla Terra.
4. La rotazione terrestre e il moto orbitale della Terra in
uiscono sulla direzio-
ne in cui un oggetto e visto da un punto sulla supercie o anche dal centro
della Terra: abbiamo qui a che fare con la parallasse, rispettivamente diurna
e annua.
5. Anche la velocita relativa tra l'oggetto osservato e la Terra altera la direzione
in cui l'oggetto e visto; inoltre la velocita nita della luce fa s che esso non
si trovi, all'istante di osservazione, la dove lo si vede. I due eetti, come
vedremo, sono strettamente connessi e insieme costituiscono la cosiddetta
aberrazione : a questo fenomeno dedicheremo un capitolo a parte.
6. In epoca recente, per misure di elevata precisione, e diventato importante
tener conto della de
essione gravitazionale della luce.
7. E oggi ben noto che le stelle sono tutt'altro che sse, ma anzi si muovono
nella Galassia a velocita di oltre 200 km=s rispetto a un riferimento inerziale
solidale al suo centro. Tale velocita e inoltre diversa da una stella all'altra:
percio la loro posizione relativa cambia nel corso del tempo, e il conseguente
cambiamento di coordinate viene descritto come moto proprio.
G7{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La rifrazione astronomica
E noto che la densita dell'atmosfera decresce con la quota, e quindi allo
stesso tempo l'indice di rifrazione passa da un valore di circa 1.0003 a livello
del mare, no a 1 fuori atmosfera. Di conseguenza un raggio di luce che arrivi
da una stella viene incurvato verso il basso (g. G7{1) e la distanza zenitale z0
a cui la stella viene vista e minore di quella z che si avrebbe senza atmosfera.
La dierenza z , z0 e l'angolo di rifrazione.
E facile calcolare l'eetto se si suppone di po- z
ter trascurare la curvatura terrestre: infatti in tal Zenit
caso z
n sin z 0 = sin z (G7.1)
se n e l'indice di rifrazione al suolo. Data la picco-
lezza dell'angolo di rifrazione, si puo approssimare
la (G7.1) con
z , z0 = (n , 1) tg z: (G7.2) Fig. G7-1
Dalla (G7.2), e dal valore di n, si vede che per piccoli z la rifrazione in secondi
d'arco ammonta all'incirca alla distanza zenitale in gradi; ancora per z = 45
vale circa 10 .
Pero l'ipotesi fatta cade in difetto quando la sorgente di luce e vicina all'o-
rizzonte (infatti la (G7.2) darebbe rifrazione innita!). In queste condizioni il
calcolo e molto piu complesso, perche bisogna tener conto della curvatura della
Terra e occorre conoscere l'andamento dell'indice di rifrazione dell'atmosfera con
la quota. Ci limitiamo percio a un dato indicativo: all'orizzonte la rifrazione e
circa di 0:5 (ma varia anche con le condizioni meteorologiche).
Si noti che 0:5 e quasi il diametro
angolare del Sole: ne segue che quando
noi vediamo il Sole al tramonto che tocca
l'orizzonte, esso e in realta gia tutto sot-
to l'orizzonte stesso. Un eetto pratico e
che l'ora del tramonto risulta ritardata di
qualche minuto (alle nostre latitudini cir- Fig. G7-2
Da un punto di vista pratico, chi debba fare calcoli precisi trova oggi pubbli-
cate le matrici di rotazione per le coordinate equatoriali o eclittiche, che tengono
conto di tutti gli eetti citati.
Come informazione riassuntiva, bastera sapere che la correzione per preces-
sione e sempre essenziale, dato che, come si e detto, ammonta a oltre 50 all'anno00
Una variazione delle coordinate geograche del luogo di osservazione modi-
ca ovviamente la trasformazione fra coordinate equatoriali e altazimutali. Per
le coordinate equatoriali di una stella non ha invece importanza il moto dell'as-
se polare rispetto alla supercie terrestre, bens quello rispetto a un riferimento
inerziale: in assenza di forze esterne, come abbiamo gia detto, in tale riferimento
sarebbe costante S~ , non ~!. Il moto di ~! implica il moto dell'equatore, quindi
una variazione delle coordinate equatoriali; si vede pero che tale variazione e al
piu dell'ordine di 0 :001, perche tale e l'angolo tra S~ e ~!.
00
La parallasse
L'argomento e gia stato trattato nel cap. precedente, quando abbiamo esa-
minato il cambiamento di coordinate per traslazione. Abbiamo visto allora
che per passare da coordinate geocentriche a topocentriche si deve porre, con
la (G6{4)
~r g = ~% + ~r t 0
(G7.1)
dove il vettore ~% , che va dal centro della Terra al luogo di osservazione, ruota
0
insieme con la Terra. Ne segue che se anche ~rg e costante, ~rt varia nel tempo,
descrivendo un cono intorno al primo: e questa la parallasse diurna. Il calcolo
si fa nel modo piu semplice in cooordinate cartesiane, a partire dalla (G7.1),
e non occorre qui dare i dettagli. Ripetiamo solo quanto gia detto nel Cap. G1:
la parallasse diurna delle stelle e sempre trascurabile, mentre non lo e per i
corpi del sistema solare. Anzi, e stata questa la prima via usata per ricavare le
dimensioni del sistema.
Allo stesso modo si procede per la
parallasse annua, che e connessa col
passaggio dal riferimento eliocentrico sfera
a quello geocentrico, secondo la (G6{ celeste
3):
~r e = ~% + ~r g :
Anche in questo caso, se pure la posi- r e
dell'orbita della Terra: daremo la denizione esatta nella terza parte). Se po-
niamo D = ~re avremo A = D tg ; pero, come vedremo fra poco, e sempre
j j
cos piccolo che si puo confondere con la sua tangente, e scrivere quindi
A =D ) D = A=: (G7.2)
Ovviamente nella (G7.2) va misurato in radianti; tuttavia e consolidato l'uso di
esprimere la parallasse in secondi d'arco, e risulta percio conveniente introdurre
un'unita di distanza che corrisponde a una parallasse di 100 : e questo il parsec
(abbreviato pc). Poiche 1 rad 200:06 105 si trova
'
1 pc 2:06 105 A
'
e poi
D = 1= (D in pc, in 00 ):
La prima parallasse annua fu misurata nel 1838 da Bessel, per la 61 Cyg
( = 000:299). E ben noto pero che la stella piu vicina e la Cen ( = 000:756).
Dunque per tutte le stelle < 100 e l'errore relativo nel confondere tg con
non supera mai 10,11.
La de
essione gravitazionale
Questo eetto, previsto da Einstein nel quadro della Relativita Generale,
fu osservato per la prima volta durante l'eclisse totale di Sole del 1919. L'angolo
di de
essione dovuto al Sole ha l'espressione
# = 4GM
cd
2
S
vt = 4:74 :
Nella misura dei moti propri esiste pero il problema di come orientare il siste-
ma di riferimento: abbiamo supposto che il riferimento sia eliocentrico (o meglio
baricentrico); ma come possiamo essere certi che non ruoti? Riprenderemo piu
a fondo l'argomento trattando della Galassia; per ora ci limitiamo all'ipotesi
essenziale: che le stelle non abbiano un moto rotatorio d'insieme.
Si noti che senza quest'ipotesi non sarebbe neppure possibile assegnare un
preciso valore alla precessione: infatti la rotazione dell'asse terrestre dipende ov-
viamente anch'essa dal sistema di riferimento. Occorre percio assumere che non
ci sia un moto proprio sistematico per tutte le stelle nel senso della longitudi-
ne. In modo analogo eventuali moti propri complessivi nel senso della latitudine
vengono interpretati come oscillazioni dell'equatore rispetto all'eclittica (nuta-
zione).
La prima osservazione di moti propri, che smentiva l'antica convinzione
delle stelle \sse" sulla sfera celeste, si deve a Halley (1718). Oggi si conoscono
oltre 300 stelle aventi moto proprio superiore a 1 =anno; la piu veloce e la stella
00
stella molto vicina e poco luminosa. Per le velocita trasversali si hanno valori
tipici di 20 50 km=s. Sulla base di argomenti che vedremo, ci si deve aspettare
che esistano anche velocita molto maggiori, ma e dicile misurarle direttamente
perche e probabile che si riscontrino in stelle lontane, di cui il moto proprio e
sconosciuto o comunque noto con grande incertezza.
G7{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G8. L'aberrazione
Teoria classica
Col nome di aberrazione s'indica lo spostamento apparente di un corpo
celeste dalla posizione che occuperebbe sulla sfera celeste se la propagazione
della luce fosse istantanea (posizione geometrica ).
Fino a pochi anni fa era tradizionale in astronomia descrivere e calcolare
il fenomeno assumendo l'esistenza di un riferimento privilegiato (\etere") per la
propagazione della luce. Questo era giusticato non tanto da ragioni storiche,
quanto dal fatto che la teoria relativistica introduceva correzioni inferiori ai limi-
ti strumentali. Oggi cio non e piu vero, e una teoria relativistica dell'aberrazione
si rende necessaria. Tuttavia noi inizieremo la trattazione seguendo il procedi-
mento tradizionale, soprattutto per motivare la terminologia che e ancora in uso,
oltre che per illustrare, su di un esempio importante, la successione storica delle
teorie.
Secondo la visione \classica," esiste uno spazio assoluto, e solo in un sistema
di riferimento in quiete rispetto ad esso e vero che la luce si propaga nel vuoto
con velocita c in ogni direzione, quale che sia il moto della sorgente che l'ha
emessa. In ogni altro riferimento la velocita della luce si \compone" con quella
del riferimento, proprio come accade con la velocita delle gocce di pioggia o con
quella del vento, quando si va in bicicletta.
Per approfondire il discorso riesce piu v
semplice pensare a un modello corpuscola- S S S
re della luce, anche se i risultati si posso- v
no ottenere altrettanto bene da un punto di O S
D'altra parte S avra percorso nel tempo il tratto , = ~vS e la sua posizione
SS 0
G8{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
, Lo spostamento dalla posizione geometrica a quella apparente e dunque
S S = (~vO , ~vS ) e dipende solo dalla velocita relativa di S rispetto ad O: e
0
,
,SS = ,~vS correzione per il tempo di propagazione
0
tare alla posizione geometrica per ottenere la posizione occupata dalla sorgente
all'istante in cui la luce e stata emessa. La denominazione del secondo termi-
ne sembra suggerire che per le stelle si possa fare ~vS = 0, ma come vedremo
le velocita delle stelle rispetto al Sole sono le piu diverse, e anche parecchio
maggiori della velocita della Terra rispetto al Sole; come si potrebbe dunque
pensare ~vS = 0?
La spiegazione e la seguente: per una stella ~vS e praticamente costante, e lo
stesso si puo dire della velocita del Sole, quale che sia il sistema di riferimento
assoluto; invece la velocita della Terra rispetto al Sole cambia durante l'anno.
Ne segue che l'aberrazione \planetaria" di una stella si puo pensare composta
di tre termini:
(~vO , ~vS) = ,~vS + ~vS + ~v3
dato che ~vO = ~vS + ~v3 con ovvio signicato dei simboli.
Il primo termine a secondo membro e la cor-
rezione per il tempo di propagazione; il secondo si S
v
chiama aberrazione secolare ; il terzo aberrazione
annua. Il secondo e il terzo insieme formano ap- c
punto l'aberrazione stellare. Dato che il primo e il
secondo sono sconosciuti (al piu per alcune stelle
e nota la loro somma) ma costanti, non vengono v
considerati nelle correzioni da apportare alle osser-
vazioni, che si basano percio sulla sola aberrazione Fig. G8-2
annua. Si noti che in realta solo la somma del pri-
mo e secondo termine ha signicato in base al principio di relativita; percio la
G8{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
denizione di aberrazione stellare e un residuo storico, mentre la sola pratica-
mente utile e l'aberrazione annua.
Come si vede dalla g. G8{2, l'eetto in direzione e # ' (v3 =c) sin #.
L'espressione e corretta al primo ordine in v3=c, ma sarebbe inutile andare oltre,
non tanto perche v3=c e piccolo, quanto perche i termini di ordine superiore si
calcolano esattamente solo dalla teoria relativistica. Con i valori numerici si
trova v3 =c ' 20 :50. Questo e dunque l'ordine di grandezza dell'aberrazione.
00
Osserviamo inne che non c'e solo il moto orbitale della Terra a produrre
aberrazione, ma anche la rotazione. La velocita di un punto sulla supercie e
pero sempre inferiore a 0:5 km=s, e produce quindi un eetto che non supera 0 :4.
00
T3 T2 T3 T2
r
v
T4 T T4 T 1
1
Equinozio di Primavera Equinozio di Primavera
Fig. G8-3
e sostituendo:
cos # = 1cos
0
# + v=c
+ v cos #=c sin # =
(1 +sin
0
#
v cos #=c)
:
Da queste si ricava
v
v 1+
+
sin(# , # ) =0
sin # +
,1
cos v
# = sin #
1 c cos #
1 + vc cos # c
c 1 + vc cos #
2
' vc sin # , 4vc2 sin 2#: (G8.3)
G8{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G9. Il tempo astronomico
(g. G9{5) 2
u
u
Aq
Aq
Ta
Ta
24h
24h
Fig. G9-6
0= pr (Altair) pr( )
Fig. G9-8
G9{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G10. Il tempo nell'astronomia moderna
G10{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Relazione esatta fra TU e TS
Vediamo ora piu in dettaglio la relazione fra Tempo Siderale e TSM: per
questo supporremo di conoscere m (ascensione retta del Sole medio) a un certo
istante. Sappiamo che il TU e pari all'angolo orario del Sole medio a Greenwich
piu 12h: TU = Hm + 12h. Poiche G = Hm + m avremo
TU = G , m + 12h
da cui conoscendo m(t) si puo avere il TU a ogni istante.
La formula attualmente in uso per convenzione internazionale (1984) e che
comprende tutto quanto detto, e la seguente:
G0 = 6h 41m50s:54841+8640184:812866 T +0:093104 T 2,6:210,6 T 3 (G10.1)
dove G0 e il TS a Greenwich a 0h TU1; T e il tempo trascorso dal 2000
Jan 1d 12h (TU1) e gli ultimi tre termini sono espressi in secondi quando T e
misurato in secoli giuliani. (Il secolo giuliano e per denizione di 36525 giorni
solari medi, il che e quanto dire che l'anno giuliano e di 365 giorni e 1/4).
Nota: Si sara notata la comparsa di TU1 al posto del TU nora usato: si
tratta del TU corretto per il moto del Polo. Infatti, come gia detto al Cap. G7,
il moto del Polo non in
uisce solo sulle coordinate: attraverso la variazione della
longitudine di un osservatorio altera anche la relazione fra tempo locale e tempo
universale. Piu avanti torneremo su questo punto.
Analizzando l'espressione (G10.1) troviamo che il primo addendo rappre-
senta m , 12h all'istante sotto specicato. Il secondo addendo esprime il moto
uniforme del Sole medio: questo percorre dunque 86401.84812866 secondi di
ascensione retta in un anno (giuliano). Dato che 86400s sono pari a 24h cioe
a 360 , cio signica che in un anno giuliano il Sole medio fa piu di un giro.
Percio l'anno tropico e piu corto dell'anno giuliano, e precisamente:
anno tropico = 8640186400
:84812866
anno giuliano (G10.2)
(il discorso logicamente corretto sarebbe l'inverso: in eetti da una misura del-
l'anno tropico si risale a quel coeciente). Fino a qualche decennio fa (1967)
si assumeva la durata dell'anno tropico come denizione del secondo:
un secondo (solare medio) e pari a 1/31556925.9747 dell'anno tropico
al 1900 Jan 0d 12h TU.
Ci sono poi altri due addendi, i quali esprimono il fatto che il Sole accelera
il suo moto in media su un anno, per cui anche il Sole medio, che per denizio-
ne coincide con il Sole vero in un punto sso a ogni giro, deve avere un'uguale
accelerazione. (Naturalmente e il moto della Terra attorno al Sole che e accele-
rato, a causa delle perturbazioni degli altri pianeti). In conseguenza di questa
accelerazione, l'anno (siderale, e anche tropico) diminuisce nel tempo.
G10{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dalla (G10.2) si ritrova un formula piu esatta per la relazione fra giorno
siderale e giorno solare. Partendo da
g sid = + 1 g sol
: :
n
n
: :
(dove = anno tropico in giorni) si ottiene, essendo un giorno solare = 24h per
n
denizione:
g sid = 23h56m 4s 090524 (solari)
: : : :
Non sara sfuggito il numero di cifre nelle relazioni che abbiamo riportato.
E appena il caso di osservare che si tratta di cifre signicative, nel senso che si
sono rese necessarie nelle denizioni perche queste fossero in accordo con quan-
to danno le osservazioni, e con quanto richiesto dalle esigenze reali dei calcoli,
almeno nei casi piu ranati.
Non uniformita di TU
Ci si puo chiedere a questo punto se il TU e uniforme. Ma che signicato ha
porsi questa domanda? A meno della correzione in 2, dovuta all'accelerazione
T
per calcolare G dalla sua misura di L, commette un errore sistematico pari
alla variazione di longitudine. Il TU cos determinato e designato TU0; quello
corretto per il moto del Polo, come gia detto, s'indica con TU1.
O O
Fig. G10-3
Come si e visto, ci sono buone ragioni per sospettare che il moto terrestre
di rotazione non sia uniforme; il problema e come fare per accorgersene, dato
che gli orologi vengono regolati in modo che esso ci sembri uniforme! Vediamo
come si supera questa dicolta.
Gli eetti periodici sono i piu semplici da osservare: basta avere un orologio
della cui stabilita ci si possa dare nel periodo dell'eetto. Ad es. gli orologi
basati sulla frequenza di risonanza dei cristalli di quarzo hanno una precisione,
G10{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
anche a lunga scadenza, di 10,10 10,11. Avendo allora a disposizione diversi
di questi orologi, situati in punti diversi della Terra, e quindi in condizioni clima-
tiche del tutto diverse, se accadesse che essi pur restando tra loro concordi non
concordano piu col TU (ricavato come visto sopra dal TS) cio sara da imputare
a una variazione della velocita di rotazione della Terra.
Tale eetto esiste, ed e di circa 0s:01 nel corso di un anno. Quegli orologi
non sono pero adatti per scoprire eetti di deriva secolare del tempo, dato che un
eetto simile (invecchiamento ) si manifesta anche nella frequenza di risonanza
dei cristalli di quarzo.
G10{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
sia incondizionatamente valida, e che il tempo che in essa compare sia perfet-
tamente uniforme, per denizione. A noi serve pero una denizione operativa;
in altre parole, come si misura in pratica questo \tempo newtoniano"?
Per rispondere rovesciamo il discorso:
osserviamo i pianeti, determiniamo o e as- o
Il Tempo Dinamico
Anche per motivi di chiarezza, a partire dal 1 Gennaio 1984 il TE ha
assunto la denominazione generica di Tempo Dinamico (TD), con l'ulteriore di-
stinzione tra Tempo Dinamico Terrestre (TDT) da utilizzare per osservazioni
geocentriche (tempo proprio del riferimento solidale alla Terra), e Tempo Dina-
mico Baricentrico (TDB) quale coordinata temporale nelle equazioni del moto
riferite al baricentro del sistema solare. La ragione sica della dierenza tra le
due scale di tempo sta in eetti relativistici che discuteremo tra breve.
Le unita di tempo delle due scale sono scelte in modo che i due tempi
coincidano mediamente in un anno. Come vedremo, la dierenza TDB , TDT
e puramente periodica, dipende principalmente dalla longitudine della Terra,
e non supera 0:0017s.
Correzioni relativistiche
Vogliamo ora mostrare come si possono calcolare, sia pure in modo appros-
simato, gli eetti relativistici che stanno alla base della distinzione tra TDB
e TDT: studieremo percio il comportamento di un orologio che percorra l'orbita
della Terra. Trascureremo il campo gravitazionale di questa, la sua rotazione,
la presenza della Luna, l'eetto degli altri pianeti: : : (Le correzioni dovute a tali
fattori o sono costanti, o variabili ma di qualche ordine di grandezza inferiori
a quella principale.)
Cos facendo il problema diventa piuttosto semplice, sempre nel quadro
della Relativita Generale: assumendo un sistema di coordinate polari (t; r; #; '),
G10{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e indicando con M la massa del Sole, la metrica dello spazio-tempo si scrive
(metrica di Schwarzschild):
d = 1 , 2
2 2GM
dt2 , 2
1 dr2
, r2 , 2
d# + sin2
# d'
2 : (G10.3)
cr c 1 , 2GM=c2 r c2
La (G10.3) si riduce, per r ! 1, all'ordinaria metrica di Lorentz{Minkow-
ski scritta in coordinate polari: dunque t e il tempo di un orologio fermo a
grande distanza dalla massa che genera il campo gravitazionale (e quindi la
curvatura dello spazio-tempo). E ovvio che # e ' hanno l'usuale signicato di
angoli polari, mentre a rigore r non e la distanza radiale, a causa del fattore
che moltiplica dr2 . Fortunatamente per i nostri scopi il denominatore dierisce
assai poco da 1 (2 10,8 alla distanza della Terra) e questo ci consentira notevoli
semplicazioni.
Per studiare la marcia dell'orologio occorre solo inserire nella (G10.3) la leg-
ge oraria del suo moto, ossia del moto orbitale della Terra. Possiamo supporre
che le coordinate siano state scelte in modo che # = =2, e che sia inoltre ' = 0
al perielio; come vedremo studiando il problema dei due corpi, in meccanica
newtoniana le espressioni che ci servono sono allora:
p
a (1 , e2 )
= GMa 2(1 , e ) :
d' 2
r= (G10.4)
1 + e cos ' dt r
(a e il semiasse ed e = 0:0167 e l'eccentricita dell'orbita della Terra).
Se conosciamo r(t), '(t), la (G10.3) si scrive
" 2 #
2GM 1 1 dr r 2 d' 2
d 2 = 1 , 2 , 2 , c2 dt dt2: (G10.5)
cr c 1 , 2GM=c2 r dt
Possiamo usare le (G10.4) senza cambiamenti per il motivo gia detto: voglia-
mo soltanto calcolare delle piccole correzioni, e le dierenze fra le (G10.4) e le
espressioni che ci darebbe il calcolo rigoroso sono dell'ordine di 10,8. Faremo
poi un'ulteriore approssimazione: trascureremo i termini di secondo ordine o su-
periore in e. Questa e un'approssimazione decisamente piu grossolana, e fa s
che il risultato che otteremo sia buono solo entro qualche %.
In primo luogo si ha che dr=dt e di primo ordine in e (se l'orbita fosse circola-
re r sarebbe costante). Di conseguenza (dr=dt)2 e di secondo ordine, e possiamo
trascurarlo. Sostituiamo poi d'=dt dalla (G10.4) nella (G10.5), e troviamo:
d = 1 ,
2 2 GM
(1 + e cos ') , GM
(1 + 2e cos ') dt2
c2 a c2 a
= 1, 3GM , 4cGM e cos ' dt2
c2a 2a
d = 1, 3GM , 2GM e cos ' dt:
2c2a c2 a
G10{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Per integrare questa occorre introdurre '(t): perple solite ragioni possiamo
trascurare l'eccentricita, e porre ' = nt, dove n = GM=a3 e il moto medio
della Terra. Allora:
Z
= 1 , 32GM
2
c a
, 2GM e cos nt dt
c2 a
3
= 1 , 2c2a t , 2cGM
GM e
2 an sin nt: (G10.6)
La (G10.6) mostra che l'orologio che sta sulla Terra segna un tempo diverso
da t per due ragioni:
{ Una dierenza costante di marcia, espressa dal fattore che moltiplica t. Que-
sta pero puo essere eliminata ridenendo l'unita di tempo, ossia regolando
diversamente l'orologio.
{ Una dierenza periodica, data dal secondo termine. Si tratta di un eetto
col periodo di un anno e la cui ampiezza vale
2GM e ' 1:7 10,3 s:
c2 an
Tutti gli altri eetti trascurati, sommati insieme, non arrivano a 10,4 s.
Tempo Atomico e Tempo Universale Coordinato
Il primo orologio atomico e stato costruito nel 1955 (Essen). Solo nel 1972
il tempo atomico e pero divenuto la scala uciale di tempo, in sica e in astro-
nomia. La base del tempo atomico e una rete di orologi, situati in diversi paesi,
e che nel loro insieme deniscono il Tempo Atomico Internazionale (TAI). La cor-
rispondente unita di tempo e il secondo del Sistema Internazionale:
il secondo del SI e pari a 9 192 631 770 periodi della radiazione emessa nella
transizione fra i livelli iperni F = 4, M = 0 e F = 3, M = 0 dello stato
fondamentale dell'atomo di 133Cs.
La relazione col Tempo Dinamico e stabilita dalla convenzione
TDT = TAI + 32:184 s:
Anche per l'uso civile, dal 1972 tutti i segnali orari sono derivati dal Tempo
Atomico; ma per evitare la progressiva deriva dovuta alla non uniformita della
rotazione terrestre e conseguentemente del TU, si e denito il Tempo Universale
Coordinato (TUC) che corrisponde al Tempo Atomico salvo per correzioni con-
sistenti nell'inserzione di un secondo supplementare alla mezzanotte del 1 Gen-
naio e del 1 Luglio, quando necessario, in modo che il modulo della dierenza
G10{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
tra TU e TUC non superi mai 0 9 s: ne segue che la dierenza AT = TAI,TUC
:
G10{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Parte Seconda
Ottica Astronomica
Meccanica Celeste
Premessa
Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche emesse dai corpi celesti va dalle
onde radio (di qui lo sviluppo della radioastronomia) no al visibile, ai raggi X
e ai raggi
. Anche se gran parte di quello che diremo vale per tutte le radiazioni,
eccettuate al piu quelle di piccola lunghezza d'onda (raggi X e
), nel seguito ci
riferiremo di regola alla banda visibile.
Lo strumento astronomico fondamentale e il telescopio. Possiamo riassu-
mere le caratteristiche principali di un telescopio in tre concetti: ingrandimento,
luminosita, risoluzione. Discuteremo ora ciascuno dei tre.
L'ingrandimento di un telescopio e la caratteristica piu considerata dai pro-
fani; pure vedremo che ha signicato solo in casi particolari, e non e comunque
una proprieta intrinseca della parte principale del telescopio, cioe dell'obietti-
vo: questo si caratterizza meglio con altri parametri, primo di tutti la distanza
focale.
La luminosita e invece una caratteristica molto importante: essa esprime la
capacita dello strumento di raccogliere in maggiore o minor misura la luce emes-
sa dalla sorgente. Come vedremo meglio piu avanti, alla luminosita e connessa
la possibilita di rivelare sorgenti piu o meno deboli o lontane: la motivazio-
ne principale per la costruzione di telescopi piu grandi e proprio la maggiore
luminosita.
La risoluzione, altra caratteristica fondamentale di uno strumento astro-
nomico, indica quanto lo strumento sia in grado di distinguere sorgenti molto
vicine tra loro (ad es. una stella doppia) o piccoli particolari di una sorgente
estesa (ad es. la supercie di un pianeta, la struttura di una galassia). E inutile
sottolineare l'importanza di una buona risoluzione; ma come vedremo questa
dipende da numerosi fattori, non tutti legati al progetto del telescopio in senso
stretto. Per fare buon uso dello strumento e indispensabile la conoscenza dei
fattori che in
uenzano la risoluzione.
Parametri geometrici di un obiettivo
Per approfondire la discussione dobbia- Obiettivo
mo ora esaminare piu da vicino la costituzio-
ne di un telescopio. Cominciamo col conside-
rare che le stelle e tutti i corpi che si osserva- F
no in astronomia sono posti a una distanza
che dal punto di vista che c'interessa ora puo
essere considerata innita: in altri termini la
radiazione che giunge a noi ha perso la ca-
ratteristica di onda sferica col centro nella Fig. O1-1
O1{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
sorgente e si presenta come un'onda piana. In termini di raggi, cio equivale a
dire che i raggi emessi dalla sorgente e accettati dal telescopio sono praticamente
paralleli (g. O1{1).
La parte essenziale di un telescopio e l'obiettivo : questo, comunque sia
realizzato, e un dispositivo che trasforma le onde piane in onde convergenti
\il meglio possibile" in un punto F detto fuoco (piu esattamente: secondo fuoco).
0
Il motivo della frase \il meglio possibile" e che, come vedremo, nessun obiettivo
realizza completamente questo \ideale dell'ottica," per numerose ragioni, sia
pratiche, sia di principio. F va dunque pensato come il punto in cui si realizza la
0
Un obiettivo puo essere uno specchio (ri
ettore ), oppure un sistema di una
o piu lenti (rifrattore ). Nel seguito ci riferiremo quasi sempre a questo secondo
caso, che permette gure piu semplici; ma tutto quanto diremo vale anche per
gli specchi.
Salvo rare eccezioni, un obiettivo e un sistema ottico centrato (v. cap. O3):
avra dunque un asse ottico. Inoltre il bordo della lente o specchio e quasi sempre
circolare, per cui ha senso parlare del suo diametro. Piu esattamente deniamo
diametro dell'obiettivo il diametro della sezione (circolare) del fascio di luce che
da una sorgente posta sull'asse ottico (all'innito) puo entrare nell'obiettivo.
Vedremo piu avanti che questo non e che il diametro della \pupilla di entrata"
del sistema.
Altro parametro geometrico fondamentale di un obiettivo e la distanza foca-
le. Ne daremo due denizioni (per ora piuttosto imprecise) che verranno riprese
in seguito.
D
A C B
N f F
h
P f F
F1
f =PF 0 0
(P si dice secondo punto principale ).
0
O1{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e proporzionale in prima approssimazione all'angolo ". Si dira distanza
focale f il valore della costante di proporzionalita:
h = f":
La retta del raggio per F1 parallelo ai raggi incidenti incontra l'asse ottico
(eventualmente dentro l'obiettivo) in un punto N , che si dice secondo punto
0
nodale : ne segue
f = N F : 0 0
Vedremo piu avanti che quando il mezzo prima dell'obiettivo e uguale a quello
dopo, f = f e P N . Le due denizioni sono dunque equivalenti, ma per i
0 0
una distanza angolare ", sulla lastra le loro immagini distano di h = f ": percio
la distanza focale fornisce la scala di una fotograa fatta con il nostro obiettivo.
E chiaro che una f piu grande dara una fotograa piu grande della stessa regione
di cielo; ma non si puo parlare d'ingrandimento, perche e un angolo " che viene
tradotto in una distanza h.
Limiti di risoluzione
Prima di discutere luminosita e risoluzione, occorre dire che non ha sen-
so arontare questi argomenti senza introdurre un altro elemento essenziale di
qualsiasi strumento astronomico: il rivelatore. La luce raccolta dall'obiettivo
(l'immagine formata da questo) deve essere \vista" da qualcosa, che potra essere
l'occhio umano (raramente nelle applicazioni scientiche), una lastra fotogra-
ca, un fotomoltiplicatore, una telecamera, un dispositivo a CCD (charge coupled
device), ecc.
Quello che a noi qui interessa e che tutti questi oggetti hanno una struttura
discreta: consistono infatti di rivelatori elementari, piu o meno grandi e nume-
rosi, ma sempre in numero nito. Nel caso dell'occhio si trattera dei coni della
retina; per la lastra fotograca dei granuli di AgBr nell'emulsione; nella tele-
camera delle celle fotosensisibili che formano il mosaico del fotocatodo, e cos
via.
Riducendo all'essenziale la schematizzazione suppor-
remo che un elemento del rivelatore sia una piccola super-
cie (di forma quadrata o circolare o esagonale : : : ) aven-
te un diametro a caratteristico del rivelatore (g. O1{4). a
Supporremo inoltre che la luce che cade su un elemento
agisca su quello e solo su quello, e che conti solo l'energia
totale ricevuta, non il modo come e distribuita. Cio vuol
dire che non fa dierenza se la luce arriva solo su un'a-
rea di diametro molto minore di a, o se invece e dispersa Fig. O1-4
Eetto dell'obiettivo
I limiti intrinseci all'obiettivo si possono ancora classicare secondo tre
cause:
a 1) dirazione
a 2) difetti di progetto
a 3) difetti di costruzione.
Il fattore a 1) verra discusso meglio piu avanti. Per ora accontentiamoci di
dire che la sua origine e nelle proprieta ondulatorie della luce, le quali fanno s
che nessun obiettivo, per quanto ben concepito e costruito, possa concentrare
completamente in un punto la luce di una sorgente geometricamente puntiforme.
Intorno al fuoco si formera una macchiolina luminosa, il cui raggio e all'incirca
f
%= = n (avendo posto n = f=d)
d
O1{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dove e la lunghezza d'onda della luce. Piu avanti (Cap. O10) una denizione
piu precisa di % ci portera alla formula
% = 1:22 n:
Per la luce visibile va da 0:7 m a 0:4 m: prendendo una media di 0:55 m si
ottiene
% = 0:67 m n:
oppure anche
" '
140 mm 1
00
: (O1.1)
d
Adotteremo questo come limite di risoluzione dovuto alla dirazione, ma e bene
averne chiaro il signicato e i limiti di applicabilita.
Il limite di risoluzione dato dalla (O1.1) signica che
due stelle saranno risolte se le macchie (gure di dirazio- d>
ne) da esse prodotte hanno i centri a distanza > %, cioe
se il centro dell'una e fuori dall'altra; non saranno risolte
in caso contrario (g. O1{6). Si tratta di un criterio ar- d=
bitrario, che puo funzionare piu o meno bene in pratica a
seconda di altre condizioni che non sono entrate nora nel
discorso. d<
Vediamo per esempio: con d = 60 mm la (O1.1) da-
rebbe " = 2:3 . Se puntiamo il telescopio su Sirio, che e
00
una doppia le cui componenti sono separate di 9 , dovrem- 00
Fig. O1-6
mo vederle benissimo, mentre di fatto la scoperta visuale
del compagno di Sirio e stata molto dicile. La ragione e che Sirio B e 500 volte
piu debole di Sirio A.
Altro esempio: il telescopio dell'osservatorio del Caucaso ha d = 6 m,
f = 24 m, da cui " = 0:023 . Sarebbe una risoluzione elevatissima, che pero
00
e
inutilizzabile perche intervengono gli altri limiti che vedremo. In pratica, sebbe-
ne la risoluzione per dirazione migliori col crescere del diametro dell'obiettivo,
non e questo il motivo per cui si costruiscono telescopi molto grandi.
Quanto ad a 2), si sono riassunti in questo gruppo i limiti di risoluzione
che per un dato obiettivo sussistono anche trascurando la dirazione. Anche
nell'ottica geometrica, che appunto ignora la natura ondulatoria della luce, solo
in approssimazione di Gauss e vero che una lente concentra tutta la luce in
O1{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
un'immagine puntiforme: dunque in generale un obiettivo, anche a parte la
dirazione, formera una macchia di raggio non nullo, che potra essere reso piu
o meno piccolo a seconda della costituzione (progetto) dell'obiettivo.
A questo scostamento delle immagini ottiche dall'ideale si da genericamente
il nome di aberrazioni : ne riparleremo piu avanti (Cap. O6 e O7). Qui aggiun-
giamo solo che le aberrazioni sono un limite importante alla risoluzione di un
obiettivo fotograco, dove sono necessari molti compromessi tra diversi fattori
(non ultimo il costo); nel campo astronomico generalmente le aberrazioni pos-
sono essere quasi trascurabili, almeno per strumenti professionali.
Il fattore a 3) e stato introdotto per ricordare che un obiettivo anche perfetto
sulla carta e soggetto a difetti in sede di realizzazione: inesatta lavorazione
delle superci, imprecisione di montaggio, deformazioni delle strutture portanti,
ecc. Di nuovo questo fattore puo essere decisivo per obiettivi di basso costo
costruiti in serie; ma puo essere reso trascurabile per strumenti di uso scientico.
Non bisogna pero dimenticare che la costruzione di un grande telescopio, per la
precisione richiesta in parti che pesano diverse tonnellate, e un'opera che non
solo sul piano ottico, ma anche di ingegneria, richiede competenze di altissimo
livello e una grande quantita di lavoro assai qualicato.
L'atmosfera e il seeing
La presenza dell'atmosfera limita la risoluzione per il seguente motivo. L'at-
mosfera e un mezzo ottico con indice di rifrazione poco diverso da 1, ma la die-
renza non e trascurabile; quello che piu conta e che l'indice di rifrazione dell'aria
sopra e dentro il telescopio e soggetto a variazioni anche rapide, per eetto di
variazioni di pressione e temperatura. L'atmosfera e in continuo movimento,
anche su piccola scala (turbolenza): ne consegue una perturbazione irregolare
nel percorso dei raggi di luce, che si manifesta in piu modi.
Se si guarda una stella quando l'atmosfera e turbolenta, accade di vederla
\brillare," cioe cambiare luminosita e anche posizione in modo casuale; a volte
l'immagine appare sfocata, per tornare a fuoco poco dopo, ecc. Questo se si
usa un piccolo strumento (d 20 cm); con strumenti piu grandi ciascuna parte
dell'obiettivo presenta lo stesso eetto in modo indipendente dalle altre, e il
risultato e un'immagine stabile, ma confusa. Anche con uno strumento di piccolo
diametro si ha una perdita di nitidezza se si fa una fotograa con posa anche
di qualche secondo. Complessivamente il risultato e una minore risoluzione, che
dipende dalle condizioni dell'atmosfera.
Al fenomeno si da il nome di \seeing" (che si potrebbe tradurre all'incirca
con \condizioni di visibilita") e si chiama \seeing" anche la misura " del limite
di risoluzione conseguente. Il seeing puo essere molto diverso a seconda del
luogo e delle condizioni meteorologiche: a titolo di orientamento, puo andare
da 0:2 (eccezionale) a 3 (cattivo). Naturalmente i valori migliori si ottengono
00 00
di grandezza.
Oggigiorno e possibile compensare almeno in parte l'eetto della turbolen-
za, ricorrendo a tecniche consentite dalla moderna elettronica. Se lo strumento
e piccolo ( 30 cm) si possono prendere molte pose brevi | che come abbiamo
accennato sopra non risentono sensibile perdita di risoluzione, ma piu che altro
spostamenti dell'immagine | e poi comporle con adeguato software. Per stru-
menti grandi si possono usare invece le ottiche attive, che consistono di specchi
deformabili, controllati dalle misure eseguite durante la presa, sulle condizioni
istantanee della turbolenza.
Il rivelatore
La struttura discreta del rivelatore limita in modo ovvio la risoluzione. Gros-
so modo, se a e il diametro di un elemento del rivelatore, due sorgenti puntiformi
saranno distinte se la distanza fra le loro immagini e maggiore di a: cio implica
" = a=f (in radianti!)
Il limite di risoluzione dipende dunque in primo luogo da a, che e una caratte-
ristica del rivelatore, e poi da f che e una caratteristica dell'obiettivo. Quanto
ai valori, vanno discussi caso per caso.
Il caso fotograco, che e ancor oggi importante per l'astronomia, e compli-
cato dal fatto che l'elemento da considerare non coincide in realta col singolo
granulo di AgBr: vediamo perche.
Un'emulsione fotograca non
esposta consiste di un mezzo tra- luce
sparente (gelatina) in cui sono emulsione
sospesi i granuli fotosensibili; il
tutto e disteso su un supporto supporto
(vetro, acetato di cellulosa, polie-
stere). A causa dei granuli (che Fig. O1-7
hanno dimensione di qualche m)
l'emulsione si presenta torbida alla luce, e percio questa viene diusa in tutte
le direzioni (g. O1{7); ne segue che anche se l'immagine ottica e puntiforme,
la lastra risultera impressionata su un'area nita, molto piu grande del singolo
granulo. E il diametro di quest'area che va assunto come a nei nostri ragiona-
menti. La sua denizione non e facile, perche l'area illuminata non ha un bordo
netto; essa dipende inoltre dall'emulsione usata, ma anche dalle condizioni di
esposizione. A titolo di orientamento diciamo che in genere varia da 20 a 50 m,
a meno di non considerare emulsioni speciali.
Il caso delle telecamere e in generale dei rivelatori a CCD e piu semplice,
perche qui gli elementi sono veramente discreti (sebbene con forti illuminazioni
O1{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
vi siano interazioni tra elementi adiacenti); l'ordine di grandezza e ancora quello
delle decine di m.
Un discorso a parte va fatto per l'osservazione visuale, poiche l'occhio e
gia un sistema ottico completo di obiettivo e di rivelatore. Il suo limite di
risoluzione (ovviamente indicativo, perche varia col soggetto, con le condizioni di
illuminazione, ecc.) e intorno a 1 . L'uso di un telescopio lo modica in relazione
0
d
b ) seeing "s 1
00
fotograco, in questo modo si ottiene un'emulsione piu sensibile, che abbrevia la
posa richiesta).
d [mm]
5000 B n
r s d
s
29.3 a
s A
140 A 10
a
100 A
A d 3.3 r B s
Luminosita di un obiettivo
La quantita di luce che viene concentrata su un elemento del rivelatore
e chiaramente proporzionale all'area dell'obiettivo (pupilla d'entrata): quindi
e proporzionale a 2. Ne segue che nell'osservazione di oggetti puntiformi la
d
apertura relativa. Come abbiamo gia visto, si usa denire l'inverso di questo n
rapporto: =1 .
d=f =n
Si vede dunque che uno strumento puo essere piu luminoso di un altro per
le stelle, e meno luminoso per le nebulose. Esempio: 1 = 1 m, 1 = 10 m; d f
d 2 = 0 5 m, 2 = 2 5 m. Il primo strumento
: f : e 4 volte piu luminoso del secondo
per sorgenti puntiformi, ma 4 volte meno luminoso per sorgenti estese.
Questo spiega anche perche con un telescopio si possono vedere le stelle di
giorno. L'occhio adattato alla luce diurna ha ' 2 mm, ' 20 mm (apertura re-
d f
lativa 1/10). In queste condizioni la luminosita estesa del cielo e grande rispetto
a quella delle singole stelle, anche brillanti. Ma se facciamo = 50 mm, = 1 m d f
di una stella, mentre riduciamo di un fattore [(1 10) (1 20)]2 = 4 quella del
= = =
cielo.
O1{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dobbiamo ancora osservare che il ragionamento fatto all'inizio, dal quale ri-
sultava, per sorgenti otticamente puntiformi, una luminosita proporzionale a d,
e di utilita pratica solo quando la risoluzione e dominata dal rivelatore. Se in-
vece domina il seeing tutte le sorgenti sono estese, e quindi la luminosita va
come d2=f 2 . Sembra dunque che a parita di apertura relativa non ci sia alcun
vantaggio, neppure di luminosita, a far crescere d oltre il limite in cui domina il
seeing. Da questo punto di vista il telescopio Hale sarebbe dunque \sprecato."
C'e pero un altro vantaggio al quale possiamo qui soltanto accennare: al cre-
scere di d e di f in proporzione, aumenta il numero di elementi di rivelatore
illuminati da una stella. Cio e vantaggioso per piu motivi: in primo luogo riduce
le
uttuazioni statistiche, cioe il rumore delle misure; inoltre nel caso di rive-
latori CCD protegge dalla possibile presenza di singoli elementi difettosi, o di
segnali spuri prodotti da raggi cosmici e simili.
O1{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O2. Introduzione all'ottica geometrica
Premessa
Lo studio degli strumenti astronomici non puo prescindere dal comporta-
mento ondulatorio della luce; tuttavia l'ottica geometrica e un punto di partenza
necessario, sia perche costituisce una prima approssimazione, valida in numerose
applicazioni, sia perche in ogni caso fornisce la base concettuale e la terminologia
che vengono poi impiegate negli sviluppi piu avanzati.
Limiteremo la nostra discussione ai mezzi isotropi, e supporremo, almeno
all'inizio, di aver a che fare con un mezzo continuo e perfettamente trasparente
per la radiazione che interessa. Le proprieta ottiche del mezzo saranno allo-
ra caratterizzate da una sola funzione scalare del punto: l'indice di rifrazione
(
n x; y; z ).
Nota 1: Il caso di mezzi omogenei diversi delimitati da superci di separazione,
che e di grande importanza pratica in tutti gli strumenti ottici, puo essere visto
come un caso limite di un mezzo continuo, in cui varia (molto rapidamente)
n
solo intorno alle superci di separazione. Non bisogna pero dimenticare che
qaundo l'indice di rifrazione varia notevolmente in uno spessore dell'ordine della
lunghezza d'onda, si presenta un fenomeno nuovo: la ri
essione parziale, di cui
qui non ci occuperemo ma che puo avere importanza pratica nel progetto degli
strumenti ottici, in quanto spesso costituisce un disturbo che occorre ridurre
quanto possibile.
Nota 2: Com'e ben noto, l'indice di rifrazione in generale dipende dalla lunghezza
d'onda della luce: percio restera sottinteso che si ha a che fare con luce mono-
cromatica. Gli eetti prodotti dalla dispersione del mezzo, ossia dalle variazioni
dell'indice di rifrazione con la lunghezza d'onda (in primo luogo l'aberrazione
cromatica ) verrano esaminati piu avanti.
L'equazione del raggio
In un mezzo continuo non omogeneo i i
raggi di luce non sono in genere rettilinei: vo-
n
dierenziando
O2{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dn sin i = 0 )
+ dsin di = ,
dn
tg i: (O2.1)
n i n
La curvatura del raggio e espressa dalla variazione del versore ~ della tan-
gente, in funzione della lunghezza s dell'arco. Precisamente:
d~
ds
= ~% (O2.2)
dove ~ e il versore della normale principale e % il raggio di curvatura, denito da
1 = di : (O2.3)
% ds
Il cammino ottico
Sia P0 una sorgente di luce puntiforme, e sia P un secondo punto su un
raggio di luce
emesso da P0. Si denisce cammino ottico l'integrale
Z
n(x; y; z ) ds
(qui
indica a rigore l'arco di raggio, di estremi P0 e P). Nel caso di un mezzo
omogeneo n e costante e la luce si propaga in linea retta: percio il cammino ottico
non e altro che la distanza tra P0 e P moltiplicata per l'indice di rifrazione del
mezzo. Il nome di cammino ottico e d'immediata interpretazione se si tiene
presente che nell'ottica ondulatoria n e il rapporto tra la velocita della luce c nel
vuoto e quella u nel mezzo: n = c=u. Allora
Z Z Z Z
c
n ds = ds = c dt = c dt = c t:
u
Dunque il cammino ottico e la distanza che percorrerebbe la luce nel vuoto nello
stesso tempo t.
Fissato il punto P0 e scelto in modo arbitrario P, non e detto che tra i raggi
che partono da P0 ce ne sia sempre uno (e uno solo) che passa per P. E anzi
facile vedere, pensando anche a una semplice lente, che possono presentarsi varie
situazioni:
{ puo darsi che nessun raggio passi per P
{ che ce ne siano piu d'uno
{ che siano addirittura inniti.
O2{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Tuttavia si puo dimostrare che esiste sempre un intorno di P0 in cui il raggio
per P esiste ed e unico. Per ora supporremo senz'altro di trovarci in queste
condizioni.
Allora il cammino ottico puo pensarsi come funzione di P: tale funzione e
detta iconale
Z
W (P) = n(x; y; z ) ds: (O2.9)
Si deve ricordare che l'integrale in (O2.9) e sempre calcolato lungo il raggio che
unisce P0 a P.
L'equazione dell'iconale
Zs Zs
W = n ds = n ds: (O2.10)
0 0
n = r
~ n ~r = d~
p
ds
d d
~r = (~p ~r ) , ~p ~r
ds ds
n r n
P( s ) P s)
(
P(s + s) P(s + s)
P0 P0
r r
Il caso generale puo sempre essere scomposto nei due considerati (g. O2{4),
e percio la (O2.11) ha validita generale.
Una conseguenza della (O2.11) e che le super-
ci W = cost: sono perpendicolari ai raggi, e dun-
que la propagazione della luce potra descriversi
altrettanto bene usando i raggi, come usando l'ico-
i
gg
nale (g. O2{5). La situazione e analoga a quella ra
di un campo conservativo, dove le superci equipo-
tenziali descrivono il campo in modo equivalente W cost
alle linee di forza, che sono sempre perpendicolari
a quelle.
Un importante caso particolare e il seguente: Fig. O2-5
supponiamo che un sistema ottico sia tale che tutti
i raggi emessi da una sorgente puntiforme P0 arrivano in uno stesso punto P1. In
questo caso le superci di livello di W in prossimita di P1 sono sfere con centro
in P1 perche perpendicolari ai raggi; la sfera di raggio nullo coincidente con P1 e
anch'essa supercie di livello, il che vuol dire che il cammino ottico tra P0 e P1
ha lo stesso valore lungo tutti i raggi.
Dalla denizione di gradiente segue W = ~ W ~r, che confrontata conr
la (O2.11) fornisce
~ W = ~p = n~
r (O2.12)
Prendendo i moduli dei due termini troviamo la cosidetta equazione dell'iconale:
~ W = n r (O2.13)
che, scritta per esteso, diventa
2 2 2
@W @W @W
@x
+ @y
+ @z
= n2(x; y; z)
O2{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nota n(x; y; z), questa e un'equazione dierenziale alle derivate parziali del primo
ordine, non lineare, per la funzione incognita W . Quando si sapesse risolvere,
darebbe come soluzione W (x; y; z) e quindi anche la congurazione dei raggi:
l'equazione dell'iconale risolve dunque completamente il problema della propa-
gazione della luce.
Il principio di Fermat
Siamo ora in grado di arrivare a un altro importante risultato: il cammino
ottico calcolato su un raggio e minimo tra quelli che si possono calcolare su
tutte le curve che uniscono P0 e P1 (in generale il cammino ottico e stazionario;
ma nelle ipotesi in cui ci siamo messi, cioe che un solo raggio unisca P0 e P1,
dimostreremo subito che e sempre minimo).
Dim.: Detto
il raggio che unisce P0 a P1 e
un diverso arco di curva tra gli
0
per la (O2.12). In entrambi gli integrali ~p = n~ e tangente al raggio che passa
per il generico punto: e quindi sempre tangente a
, ma in generale non lo e
a
. D'altra parte ~p d~r ~p d~r = n ds e l'uguaglianza vale solo se ~p e d~r sono
0
j jj j
paralleli e concordi. Cio e vero nel primo integrale, che e fatto lungo un raggio,
ma non nel secondo; per cui in denitiva avremo:
Z Z Z Z
n ds = ~p d~r = ~p d~r < n ds:
0
0
O2{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O3. Sistemi ottici centrati
Denizione
Nella gran parte dei casi i sistemi ottici di cui dobbiamo occuparci hanno un
asse di simmetria, il che semplica molto la trattazione (e anche la costruzione
delle lenti e degli specchi). Porremo dunque la seguente denizione: sistema
ottico centrato e un mezzo (o una successione di mezzi) in cui l'indice di rifrazione
presenta una simmetria cilindrica intorno a un asse, che si dice asse ottico del
sistema. p
Preso l'asse di simmetria come asse , e detta = 2 + 2 la distanza
x r y z
vari elementi costituenti il sistema; elementi che nei casi pratici saranno solita-
mente lenti o specchi con le piu varie caratteristiche. Nonostante la simmetria,
il problema rimane complesso, ma si semplica grandemente se sono lecite alcune
approssimazioni che ora esamineremo.
Conviene studiare lo sviluppo di in serie di potenze di :
n r
( ) = 0( ) + 1( ) + 2( ) 2 +
n x; r n x n x r n x r(O3.1)
dove
1
2
0 ( ) = ( 0) 1( ) = 2( ) =
@n @ n
n x n x; n x
r=0 @r 2 2
r=0
n x
@r
:
allora, essendo
= @n
@y
@n y
@r r
stesso accade per tutte le derivate dispari). Pertanto la (O3.1) si semplica:
( ) = 0 ( ) + 2( ) 2 + ( 4 )
n x; r n x n x r O r :
L'approssimazione di Gauss
Supponiamo in primo luogo che il raggio rimanga vicino all'asse ottico (as-
se ) e teniamo quindi solo il primo termine signicativo nello sviluppo in serie
x
no di ( 2 )), le prime due delle (O2{8) formano un sistema che contiene solo le
O r
incognite ( ), x( ):
x s p s
= 1 xdx
ds
x
= 0n0
p
dp
ds
(O3.2)
dn
dx
O3{1
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Supponiamo risolto il sistema (O3.2) e deter-
minata la funzione x(s), che assumeremo inver- y(x)
tibile. Questa e un'ipotesi ragionevole in quanto s
corrisponde al caso in cui la luce, pur percorrendo
una traiettoria varia, si muove sempre verso le x
crescenti senza \tornare mai indietro" (g. O3{1).
Se questo e il caso, si potra dunque determinare
x
coordinata cartesiana x.
Ricordando che x
Si notera che nelle (O3.3) non gurano ne z ne pz , cioe le due coppie y, py e z, pz
sono state separate.
Come ulteriore approssimazione supporremo adesso che sia y 1, cioe che
la luce compia un percorso poco inclinato sull'asse ottico. Se e cos, potremo
porre px ' j~pj = n ' n0 e otterremo inne
dy
= 1 p
y
dx n (x )
0
(O3.4)
dpy
dx
= 2 n2 (x) y:
Il sistema (O3.4) descrive il percorso del raggio con le nostre approssimazioni.
Siamo cos arrivati all'approssimazione di Gauss, individuata da due distinte
asserzioni:
1. y piccolo , raggi prossimi all'asse ottico (parassiali )
2. y 1 , raggi poco inclinati sull'asse ottico (piccola vergenza ).
Equazioni del tutto identiche valgono per z, pz : dunque bastera studiare le
(O3.4) (per questo motivo nel seguito tralasceremo l'indice y in py ).
O3{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Prime conseguenze dell'approssimazione di Gauss
Notiamo in primo luogo che le (O3.4) formano un sistema di equazioni
dierenziali del primo ordine, lineari e omogenee (ma non a coecienti costanti).
E noto che per un sistema lineare omogeneo, se si trovano due coppie di funzioni
che sono soluzioni del sistema, anche ogni loro combinazione lineare a coecienti
reali e soluzione del sistema. Indicando tali soluzioni con
y1 (x) y 2 (x )
p1 (x) p2 (x)
quanto sopra ci dice che 8a; b 2 IR
1 + by2
a yp1 + b yp2 = ay
ap1 + bp2
1 2
e ancora una soluzione del sistema. Questo signica che lo spazio delle soluzioni
del sistema (O3.4) ha struttura di spazio vettoriale su IR, che indicheremo con V .
Un teorema generale ci assicura che una volta assegnate, per una certa x0 ,
le condizioni iniziali y(x0 ) e p(x0 ), esiste una e una sola soluzione delle (O3.4).
Assegnando cioe una coppia di valori che indicheremo piu brevemente con y0
e p0, restano denite due funzioni y(x) e p(x) che vericano il sistema e danno
per ogni x la distanza del raggio dall'asse ottico e la sua direzione. Ci chiediamo
che dimensione abbia questo spazio, e la risposta e immediata osservando che:
1. per il teorema appena citato, c'e corrispondenza
y(x) biunivoca tra un elemento
di V , cioe una coppia di funzioni p(x) soluzioni del sistema, e la coppia
y
dei numeri reali p0 che rappresentano le condizioni iniziali corrispondenti
0
a quella soluzione;
y
2. le coppie p0 costituiscono uno spazio vettoriale IR2;
0
3. la corrispondenza tra V e IR2 e un isoformismo ! : IR2 ! V .
Ne segue che la dimensione di V e 2.
Esisteranno quindi due vettori (soluzioni del sistema) linearmente indipen-
denti, che potremo assumere come base dello spazio V . La scelta 1piu naturale
0 e
quella di ricorrere alla base \canonica" di IR2, cioe ai vettori 0 e 1 , e ai
corrispondenti in V . Considereremo dunque due coppie di soluzioni: la prima e
quella che haper condizioni iniziali il primo vettore della base di IR2 : la indi-
cheremo con
y0 = 1 ( )
0 7!
x
p0 !
(x ) :
O3{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La seconda invece sara indicata con :
y0 = 0 7!! (x) :
p0 1 (x)
L'integrale generale del sistema e dato da tutte le combinazioni lineari di
questa coppia di soluzioni, corrispondenti a condizioni iniziali ottenute con la
medesima combinazione lineare delle condizioni iniziali:
y0 = y 1 + p 0 y (x )
p0 0
0 0
1 7! ! p(x)
y (x) = y (x) + p (x)
p(x) 0
(x) 0
(x)
(O3.5)
0 (x) + p0 (x) ( ) ( )
= y
(x) + p (x) =
(x) (x) yp0 :
y x x
0 0 0
Vogliamo ora far vedere come sia possibile dedurre molte conseguenze no-
tevoli per il nostro sistema ottico senza risolvere esplicitamente il sistema di
equazioni dierenziali (O3.4) e senza bisogno di conoscere soluzioni specica-
mente connesse con quel sistema ottico. Incominciamo dal
Teorema:
(x) (x) , (x)
(x) = 1: (O3.6)
Dim.: Mostriamo prima di tutto che la funzione ,
e una costante.
Infatti derivando rispetto a x abbiamo:
d d d d d
[ (x) (x) , (x)
(x)] = + ,
, :
dx dx dx dx dx
Ma poiche si tratta di soluzioni del sistema (O3.4) possiamo porre
d 1
dx
=
(x); d
= 2n (x); ecc:
n0 dx 2
Per far vedere che la costante vale proprio 1 basta allora calcolarla in un
punto qualunque, in particolare per le condizioni iniziali:
(x0 ) (x0 ) , (x0 )
(x0 ) = 1:
O3{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nota: Si riconoscera
,nell'espressione
di cui tratta il teorema, il wronskiano delle
due soluzioni
; ; il teorema e dunque un caso particolare della teoria
delle equazioni dierenziali lineari.
Raggio marginale e raggio principale
Tornando al nostro sistema ottico, vediamo
a che cosa corrisponde sicamente la scelta delle y(x)
due soluzioni particolari. Moltiplicando per y0 e
per p0 le due condizioni iniziali, le relative soluzio- y0
ni corrispondono ai due raggi indicati in g. O3{2 M
vergenza ridotta. x
Il motivo per cui due raggi corrispondenti alle
soluzioni indipendenti sono stati denominati M e P Fig. O3-3
e che essi vengono per tradizione indicati come
raggio marginale e principale rispettivamente, quando la condizione iniziale si
riferisce a un ben preciso punto del sistema ottico. Rinviando al seguito una
denizione piu rigorosa di questi due termini, vediamo di utilizzare i due raggi
per ricavare altre conseguenze generali sui sistemi ottici centrati.
Le due soluzioni indipendenti che corrispondono ai due raggi sono:
y (x) = (x) y0
M: p(x) =
(x) y0
y (x) = (x) p0
P: p(x) = (x) p0 :
O3{5
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Supponiamo adesso che P incontri ancora l'asse ottico in un punto P di coor- 0
y (x ) = 0
0
P: p(x ) =
0
1 p:
(x )0
0
1 p: (O3.7)
p(x ) =
(x ) y0 +
0 0
(x ) 0
0
La prima delle (O3.7) dice che y(x ) dipende solo da y0, e non da p0 . Percio
0
di Q. Per quanto sopra, ogni punto del primo piano ha un punto coniugato nel
secondo (in particolare P e P sono pure coniugati) e quindi anche i piani stessi
0
yM (x ) pP (x ) = (x ) y0M
0 0 0
1 p =y p :
(x ) 0P 0M 0P
0
yP (x ) pM (x ) = ,y0M p0P :
00 00
pM
p0M x
La grandezza y0M p0P e detta invariante di
Lagrange della coppia di raggi M e P, in quanto yM
0
y p
=
y (O3.8)
p 0
p
e il sistema ottico e completamente denito da quei 4 numeri, anzi da 3 di essi,
visto che e ancora ,
= 1.
Specchi
Da tutto quanto detto nora sembrano escluse le superci ri
ettenti: sia
perche abbiamo parlato sempre e soltanto di rifrazione, sia perche abbiamo espli-
citamente supposto che la luce si propaghi nel sistema ottico senza mai tornare
indietro. Se cos fosse, si tratterebbe di una grave limitazione, vista l'importanza
che hanno gli specchi negli strumenti astronomici.
Fortunatamente e possibile, con un espediente formale, far rientrare gli spec-
chi nella trattazione n qui fatta. L'idea e rappresentata nella g. O3{7, dove
e mostrato a sinistra il caso di uno specchio concavo, ma senza che cio limiti la
validita generale di quanto stiamo per dire.
O3{7
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Si tratta di sostituire al percorso eettivo dei raggi, che in conseguenza
della ri
essione invertono il verso di propagazione, un percorso \virtuale," come
mostrato a destra. Si disegna una supercie ri
ettente \speculare," simmetrica
rispetto al piano tangente allo specchio nel suo vertice, e si tracciano i raggi
ri
essi verso destra, a partire da tale supercie. In questo modo i raggi vanno
sempre nel senso delle x crescenti, ed e solo un problema geometrico quello di
ricavare y(x), p(x) al di la dello specchio dati y, p per una x prima dello specchio,
usando la legge della ri
essione.
x x
Fig. O3-6
O3{8
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O4. Ottica gaussiana
Denizione
Ci proponiamo adesso di studiare la s.o.c.
struttura, le caratteristiche ed il comporta- n n
mento di un sistema ottico centrato in ap-
prossimazione di Gauss. y
Come si e gia visto nel capitolo prece- p
p y
dente, le coordinate y0 , p0 di un raggio su di
un piano 0 (g. O4{1) sono combinazioni li-
neari delle coordinate y, p relative a un altro O O x
piano :
0
y = y (O4.1) Fig. O4-1
p0
p
dove la matrice dei coecenti
(avente determinante sempre uguale a 1)
dipende dai piani e 0 . Sottolineiamo che la scelta di tali piani e arbitraria:
se pure spesso e comodo farli coincidere con quelli tangenti alla prima e all'ultima
supercie ottica, questo non e aatto necessario.
I punti cardinali
Vogliamo ora mostrare che da tale ma- s.o.c.
trice si possono estrarre tutte le informazioni n n
OF = n :
ti (g. O4{3). O P O
p x
f 0 = P0 F0 = ,n0 :
1
Con analogo procedimento si trova anche
f = PF = n
1
Dimostriamo che FN = f 0 :
n , n 0 0
FN = FO + ON = , n
+
= , n
= f0:
Allo stesso modo, trovato N0 , si dimostra che
F0N0 = n
= f:
La g. O4{6 riassume la relazione tra fuochi, punti principali e punti nodali.
f f
f f
F P N O P N O F x
n s.o.c. n
Fig. O4-6
O4{3
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Si vede che per n = n si ha P N e P N : in questo caso punti principali
0 0 0
che il determinante della matrice vale 1 e si tiene presente che
non e 0 essendo
legata alla potenza, ne segue subito = 0, e la matrice diventa
1 0
1
dove sopravvive il solo
, che come sappiamo e legato alla potenza del sistema
e non dipende dalla scelta delle coordinate.
Consideriamo ora un raggio che parte n y y n
da un punto A dell'asse ottico, con OA = x,
e uscendo interseca di nuovo l'asse nel pun- A u u A
to A (O A = x ). Per denizione, A e A so-
0 0 0 0
x P O 0
O P x
no coniugati. Dalla g. O4{7 si vede che y =
xu, y = x u , mentre y = y perche P e P
0 0 0 0 0
ny ny
p = ,nu = , p = ,n u = ,
0
0 0 0
:
x x 0
=
x x f
= 0
f 0
(O4.2)
che e detta formula dei punti coniugati, in quanto lega le x e x dei punti A e A . 0 0
O4{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
In alternativa, dati x e x , si trova facilmente che la matrice del sistema
0
0 x x x xx 1
B@ 1 ,
n , ,
nn
0 0 0
0
n n 0
C
A
0
1 +
nx
Imponendo che y (sul piano per A ) dipenda solo da y (sul piano per A) si ritrova
0 0
G= =
y nx 0
subito che
= ff : 0 0
con = 1 (O4.3)
p = p
0
Ga = = (O4.4)
u np n 0 0
s.o.c. s.o.c.
Fig. O4-8
O4{5
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Dunque raggi paralleli inclinati di un angolo u sull'asse ottico escono dal
sistema ancora paralleli, ma inclinati di un angolo u = Gau (g. O4{8, a sini-
0
stra). Se poi prendiamo un raggio parallelo all'asse, questo esce ancora parallelo
all'asse, ma non alla stessa altezza: precisamente per u = 0 si ha y = y. 0
dunque = 1=; se, come di solito avviene, il primo e l'ultimo mezzo sono aria,
la (O4.4) diventa
Ga =
e allora = 1=Ga. Percio il diametro dei fasci da una misura dell'ingrandimento
di un sistema telescopico.
Calcolo della matrice di un s.o.c.
Dopo aver visto come si possono ricavare le proprieta di un s.o.c. in appros-
simazione di Gauss, una volta nota la sua matrice, vogliamo ora mostrare come
si puo calcolare questa dalla costituzione del sistema. Un s.o.c. (diottrico, cioe
composto di lenti) e completamente caratterizzato assegnando:
1) gli indici di rifrazione di tutti i mezzi;
2) i raggi di curvatura di tutte le superci di separazione;
3) le distanze tra queste (tra i piani tangenti perpendicolari all'asse ottico).
Inoltre qualunque s.o.c. puo essere considerato come formato di piu compo-
nenti elementari in serie. Precisiamo: un s.o. limitato tra O e O puo essere visto
0
y y 0
e per il secondo
y0
=
2 2 y1 :
p0
2 2 p1
Quindi per il sistema complessivo
y 0
=
2 2 1 1 y
p 0
2 2
1 1 p
da cui:
= 2 2 1 1 :
2 2
1 1
O4{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La matrice del sistema complessivo e il prodotto delle matrici dei componenti,
e questo risultato si generalizza a un numero qualsiasi di componenti.
Come componenti elementari conviene prendere:
a ) il diottro, costituito di due mezzi d'indici di rifrazione n e n separati da 0
segno di OC, positivo nel caso in gura) e chiaramente y = Rv (si ricordi che
v , i e i sono piccoli in approssimazione di Gauss; in gura sono tutti positivi).
0
Inoltre u = v , i da cui
0 0
=, + =, + p
0
n v
0
n i
0 0
n v
0
ni
ancora:
0
p =, 0
n v + nv , nu =( , ) n n
0
R
y
+ p:
Si ottiene cos:
= ( , ) y
0
1 0 y
p
0
n n
0
=R 1 p
= 10
0
y d=n y
p
0
1 p
O4{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che e l'equazione fondamentale del-
lo strato. (Si noti che entrambe le R2 < 0
matrici hanno determinante 1, come R 1 >0
doveva essere.) d
Applichiamo ora i risultati al O O
caso abbastanza semplice della lente 1 n 1
spessa (g. O4{11). Si ha una serie
di un diottro, uno strato, un altro Fig. O4-11
diottro. La matrice complessiva e
1 0 1 d=n 1 0 :
(n , 1)=R2 1 0 1 (1 , n)=R1 1
Sviluppando il prodotto, si ottiene facilmente la potenza
1 1 n,1 d
F = ,
= (n , 1) , + n RR
R1 R2 1 2
O4{8
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O5. Diaframmi
In qualunque sistema ottico esistono limitazioni al fascio di raggi accettati
dal sistema, che implicano conseguenze per la luminosita del sistema e per il
campo visibile. Le limitazioni possono provenire dai bordi stessi delle lenti,
oppure da diaframmi inseriti appositamente nel sistema. Vogliamo ora esaminare
gli aspetti principali di questo argomento.
Pupille d'entrata e d'uscita
A r
(s.o.c.)1 (s.o.c.)2
Poiche le equazioni dei raggi sono lineari, bastera conoscere quali raggi pas-
sano perA(y = r) per aver individuato tutti i raggi
0
y che passano
ky per il diafram-
y
ma: se p e un raggio passante per A , allora k p = kp con k < 1 sara
0
j j
un raggio che passa per il diaframma. Trascuriamo per ora la parte del sistema
ottico che segue il diaframma (sistema 2): il punto A avra rispetto alla prima
0
parte del sistema (sistema 1) un coniugato A: esso e tale che tutti e soli i raggi
entranti che passano per A, escono passando per A . 0
pe
pu
= jGa j ingrandimento (angolare) :
O5{2
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Vignettatura e diaframma di campo
Torniamo ora a considerare un sistema ottico con diversi diaframmi, tra
cui le montature delle varie lenti: ci domandiamo qual e il diaframma domi-
nante, in particolare per fasci di raggi non assiali. Chiaramente cio dipende
in primo luogo da dove e posta la sorgente; ma anche per sorgenti all'inni-
to (com'e il nostro caso) la limitazione del fascio dipende dalla sua vergen-
za. Nella g. O5{5 siano A, B, C i diaframmi ttizi (immagini anteriori) di
tre diaframmi reali. Per raggi paralleli all'asse ottico quello che conta e, co-
me si e detto, il diaframma piu piccolo (B in gura che rappresemta la p.e.
del sistema); ma per i raggi sucientemente inclinati B non conta piu nulla
e divengono determinanti i diaframmi A e C. Esiste anzi una vergenza limite
oltre la quale la luce non passa piu. Inoltre se facciamo una sezione dei vari
fasci, parallelamente ai piani dei diaframmi, vediamo che l'area della sezione
del fascio ammesso si restringe gradatamente, no a scomparire nel caso limite.
Cio signica che mentre l'obiettivo (o il sistema in generale) e molto lumino-
so al centro del campo, ai bordi si nota una sfumatura della luminosita no
a zero.
A B C
o
p.e. fasci tato
g n e t
vi
fascio assiale
ammesso
dir
ezi
lim one
ite
Fig. O5-5
Tale eetto e detto vignettatura. Esso e assai scomodo, specialmente per
osservazioni fotograche, dato che al centro, ove l'obiettivo e piu luminoso, si ve-
dranno stelle no a una certa magnitudine, mentre stelle della stessa magnitudine
non saranno visibili ai bordi.
C'e pero un modo per eliminare la vignettatura, ed e quello di porre in una
certa posizione un altro diaframma che dia luogo ad una vignettatura brusca,
tale cioe che accetti tutti i raggi no ad una certa vergenza, e che non ne accetti
piu oltre quella. L'eetto voluto si puo ottenere ponendo un diaframma nel
secondo piano focale, o in un piano coniugato a questo all'interno del sistema.
Tale diaframma, proprio perche limita nettamente il campo, e detto diaframma
di campo. Le immagini anteriore e posteriore del diaframma di campo si dicono
nestra d'entrata e d'uscita rispettivamente. In un sistema che deve formare
immagini di oggetti all'innito, anche la f.e. e all'innito.
O5{3
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Il cannocchiale astronomico
Vediamo ora l'applicazione delle idee introdotte al piu importante esempio
di sistema telescopico: il cannocchiale astronomico o kepleriano. Questo, nella
sua forma primitiva, consiste di due lenti sottili, dette rispettivamente obiettivo
e oculare, di focali ob e oc entrambe positive (lenti convergenti). Le lenti sono
f f
disposte in modo che il secondo fuoco dell'obiettivo coincida col primo fuoco
dell'oculare: Fob Foc. E chiaro che in queste condizioni un fascio parallelo
0
esce dallo strumento ancora parallelo, e si vede dalla g. O5{6 che i diametri dei
fasci entrante e uscente sono in proporzione a ob e oc: ne segue
f f
Ga =, fob
foc
:
Il segno meno risulta dal fatto che e per uno stesso raggio hanno
u u
0
segni opposti. L'ingrandimento e dunque negativo, il che vuol dire che una
sorgente all'innito posta sopra l'asse ottico ( 0) produce in uscita raggi
u >
con u
0
0, che quindi appaiono provenire da sotto l'asse ottico, come in g. O5{
<
cioe ob oc .
f f
A
F1 = F2 F1 = F2
B
A
Fig. O5-7
Dato che nel piano per Fob Foc si forma un'immagine reale delle sorgenti
0
(che sono all'innito), questo e il piano giusto per introdurre un diaframma di
campo.
O5{4
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Per comprendere il giuoco dei diaframmi nel cannocchiale astronomico oc-
corre pero tener presente un ulteriore elemento: l'occhio dell'osservatore. Infatti
questo introduce un nuovo diaframma (la pupilla), e occorre vedere come le cose
variano secondo la sua posizione.
In g. O5{9 la posizione (1) consente all'occhio p.u.
di ricevere quanta luce puo e quindi l'obiettivo e ben
sfruttato (e anche eccessivo), ma nella posizione (2)
l'occhio ricevera meno luce di quanto potrebbe; in po- F
sizione (3) non riceve aatto luce proveniente da quella
2
l'occhio); di giorno invece basta u ' 2 mm (come quella dell'occhio) cui corri-
p
sponde e ' 14 mm, per cui l'obiettivo del binocolo e assai poco sfruttato.
p
lare. F = F 1 2
diametro.
La nuova costruzione (g. O5{10 in basso) mostra che per lo stesso campo
stavolta basta oc = 14 mm: il guadagno e notevole. Quanto alla lente di campo,
d
O5{7
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O6. Le aberrazioni
so dell'approssimazione di Gauss.
u
y
In g. O6{3 e mostrato un raggio P 1
P
uscente da un punto P a distan- P
za y dall'asse ottico, che interseca Fig. O6-3
la p.e. a distanza q dal centro. Lo
stesso raggio, oltre il sistema ottico, interseca un piano nel punto P a distan-
0 0
za y dall'asse.
0
O6{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
in base al grado del prodotto y q , cioe all'ordine di approssimazione nello
sviluppo in serie. Le prime a comparire oltre l'approssimazione di Gauss sono
quelle del 3 ordine, dette aberrazioni di Seidel, le uniche che tratteremo in queste
lezioni. Ove pero questi termini siano piccoli, oppure y o q siano grandi, possono
risultare importanti le aberrazioni di 5 ordine e di ordine ancora superiore.
Aberrazioni di 3 ordine
Limitando dunque al 3 ordine lo sviluppo gia scritto della funzione f (y; q),
e utile distinguere, se possibile, l'eetto di ciascun termine separatamente dagli
altri. Per il momento ci limitiamo a qualche cenno: infatti una discussione
completa non si puo fare senza prendere in esame anche raggi non meridiani,
cioe non giacenti in piani passanti per l'asse ottico.
Nota: In questa discussione delle aberrazioni ci converra continuare a chiamare
\immagine" di una sorgente puntiforme la gura, o macchia, che si produce sullo
schermo (lastra fotograca), quale che sia la sua forma ed estensione.
1) Il termine cy3 non dipende da q: cio signica che tutti i raggi uscenti da P
convergono in un punto P0 = P0? a distanza dall'asse ottico
6
y0 = ay + cy3 = ay 1 + ac y2 :
O6{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
P
z z
y y
x x
O Q Q O
ge
tto P gine
g e. . a
p.o p. p.u m m
p.i
Fig. O6-5
mentre e una supercie per ora non meglio denita, la cui deviazione da g
caratterizza la presenza delle aberrazioni (g. O6{6). Indichiamo quindi con M
e Mg le intersezioni del raggio in esame rispettivamente con e g. Il segmen-
to MMg, come gli altri analoghi, verra considerato orientato, con la convenzione
che sia MMg 0 se la supercie aberrata e indietro , in quel punto, rispetto a
>
= (M Mg ) = (P Mg ) , (P M) = (P Mg ) , (P Q )
W ; W ; W ; W ; W ;
0
O6{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
poiche Q e M sono sulla stessa supercie d'onda che ha W costante. Esplici-
0
Mg ( ; ; ) 0 0 0
Q (d ; 0; 0)
0 0
(d 0
< 0 in gura)
si scrivera
= W (0; y; z; ; ; ) , W (0; y; z; d ; 0; 0):
0 0 0 0
denita dall'equazione:
0
2
+ ( , y? )2 + ( , z? )2 = R?2
0 0 0 0 0
(O6.1)
che consente ad esempio di ricavare = ( ; ). Si noti che contiene an- 0 0 0 0 0
@
@ 0
= @W
@
+ @W
@ 0 0
@ 0
@ 0
@
@ 0
= @W
@
+ @W
@ 0 0
@ 0
@ 0
:
R0
@W
= n y = n
0 0
y0 , 0
con R0 = Mg P :
0
@ 0 R0
@W
= n z = n
0 0
z0 , 0
@ 0 R0
@ 0 0
@
= z? ,
0 0 0
@ 0 0
O6{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e si ottiene inne:
@
= n0 y R,0 , n0 y? R,0 = Rn 0 (y0 , y?0 )
0 0 0 0 0
@ 0
(O6.2)
@
=n 0 z
0 , 0 , n0 z?0 , 0 = n0
(z , )
0
z?0 :
@ 0 R0 R0 R0
O6{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si puo vedere immediatamente che i termini di 2 ordine non rappresentano delle
aberrazioni, dato che dalle (O6.2), derivando la , si ottengono termini di 1
ordine che con la scelta fatta di P0? sono identicamente nulli.
Per dimostrarlo, teniamo presente che R0 = ,d0 + termini innitesimi, per
cui dalla (O6.3) si ottiene:
0
= ~r0? + ~r0 = ~r0? , nd0 (b~r + 2c~%0 ):
~r0
%0
= ,d0x+ x0 (d0 < 0 in gura!)
si trova che tale piano e spostato rispetto a quello di P0? della quantita
x =
0 2 2
cd0 =n0
1 + 2cd0 =n0 :
Questo resta vero anche per %0 ! 0 e dunque si tratta di un piano d'immagini
gaussiane: poiche pero esiste un unico piano immagine in approssimazione di
Gauss, i due piani devono coincidere e deve quindi essere c = 0.
P x r x
r x
P x
P
d<0
d<0
p.u.
p.u.
O6{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Ci sara utile nel seguito ricordare che spostando il piano immagine di una
quantita x0 (che supponiamo innitesima rispetto a d0 ) s'introduce un termine
di \sfocamento" proporzionale a ~%0 (g. O6{8):
0
(~r0 )s = x
d0
~%0 : (O6.4)
, ,
Questo corrisponde nella a un termine n0 x0 %0 2 = 2d0 2 .
I termini in che veramente rappresentano aberrazioni sono quindi quelli
successivi: in primo luogo i 5 termini del 4 ordine, che corrispondono ai 5 tipi
gia citati, le aberrazioni di Seidel. Derivando questi termini si ritrovano infatti
le aberrazioni trasversali del 3 ordine che avevamo gia preso in considerazione.
A questo punto riesce piu chiaro come si supera l'ostacolo rappresentato
da R0 : intanto e
2
R0
2
= MgP0 = 0 2 + (0 , y0 )2 + ( 0 , z0 )2: (O6.5)
Poiche pero Mg e sulla sfera g , come pure Q0 , avremo:
0
2
+ (0 , y?0 )2 + ( 0 , z?0 )2 = d0 2 + y?0 2 + z?0 2
da cui
0
2
= d0 2 , 0 2 + 20y?0 , 0 2 + 2 0z?0
e sostituendo nella (O6.5)
R0
2
= d0 2 + y0 2 + z0 2 , 20 (y0 , y?0 ) , 2 0 (z0 , z?0 ) = d0 2 + r0 2 , 2~%0 ~r0 :
Nello spirito dello sviluppo in serie della , ~r e ~%0 devono essere pensati
innitesimi di 1 ordine (e di conseguenza anche ~r0 e ~r0? ): ne segue che mentre d0 2
e un termine nito, r0 2 e di 2 ordine, ~r0 e almeno di 3 ordine e quindi ~%0 ~r0
e almeno di 4 ordine.
Se dunque siamo interessati solo allo studio delle aberrazioni di Seidel (3 or-
dine), nelle (O6.2) e (O6.3) si potra porre tranquillamente R0 = ,d0 in quanto
i successivi termini danno contributo solo a partire dal 5 ordine al prodot-
to R0 r
~ % .0
@
0
z0 , z?0 = , nd0 @ 0
O6{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ovvero
= , nd r
0
~r 0 ~% 0
0
con
= , 14 B% 4 , C (~r ~% )2 , 12 D r2 % 2 + E r2 (~r ~% ) + F % 2(~r ~% ):
0 0 0 0 0 0
n h io
= , nd ,B% 2~% , 2C (~r ~% )~r , D r2~% + E r2~r + F
0
O6{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O7. Le aberrazioni di Seidel
to intersezione e coniugato di un punto del piano della p.e., per cui il mas-
simo di ~% da l'apertura del sistema ottico, a meno di un fattore di pro-
j
0
j
porzionalita);
~r
0
e lo scostamento dello stesso raggio dal punto P? sul piano immagine: l'in-
0
tersezione eettiva di tale raggio col piano immagine sara data dal vetto-
re ~r? + ~r .
0 0
La zona ombreggiata mostra la gura prodotta da tutti i raggi che passano entro
la corrispondente zona sul piano della p.u.
1. Aberrazione sferica
d0
(~r )sf =
0 2
B %0 ~%0 :
n0
La gura dell'aberrazione sferica (g. O7{1) | o piu brevemente l'aberrazione
sferica | non dipende da ~r: e dunque presente in tutto il campo e uguale
ovunque. Da luogo a una macchia circolare di raggio proporzionale a % 3 e viene 0
Fig. O7-1
O7{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Considerando soltanto i raggi passanti per una sottile corona circolare della
p.u. (che dunque hanno % costante) quest'aberrazione puo essere vista come
0
piano immagine richiesto per ottenere la messa a fuoco su tali raggi sara, per
la (O6{4):
2
x = ,0
d 0
B%
2 da cui0
x / j~r j
2=3 : 0 0
n 0
Per questo motivo il fuoco gaussiano si chiama anche fuoco parassiale, men-
tre quello dei raggi marginali si dice fuoco marginale (Fp e Fm in g. O7{2).
Naturalmente non esiste nessun piano in cui l'immagine sia puntiforme: una
sezione assiale del fascio di raggi dal sistema e mostrata in g. O7{2, nei due
casi B 0.
Fp Fp
Fm Fm
B>0 B<0
Fig. O7-2
Nel caso di una lente semplice, o di uno specchio sferico, si ha B > 0:
si parla in questo caso di aberrazione sferica sottocorretta ; se B < 0 si dice
invece sovracorretta.
2. Distorsione
r1 r1
O Q O
r2 r2
r
Fig. O7-3
O7{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Al contrario del caso precedente, qui (g. O7{3) la distorsione non dipende
da ~% e come tale non si riduce diaframmando il sistema. Essa invece dipende
0
(r ) = G , nd
0
G 0
E r2 :
Osservazione : Notiamo ora che i restanti tre termini sono funzione sia di ~% che 0
l'intersezione del raggio principale con la supercie di volta in volta considerata.
3. Coma
d0
(~r )co = , n
0
0
F % ~r + 2(~r ~% ) ~% :
0 2
0 0
E un'aberrazione extra-assiale, cioe presente solo fuori dell'asse ottico, come la2
distorsione. E proporzionale a r e dunque cresce linearmente col campo, e a % 0
2 ,
(~r )co = , nd
0
0
0
F %0 r ~u + 2(~u ~v ) ~v :
sano per una stretta corona circolare sulla p.u., si ottiene come immagine una
circonferenza eccentrica rispetto a P? e il cui diametro e pari alla
0
distanza tra il
suo centro e P? : diametro e distanza sono proporzionali a r% .
0 2 0
O7{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
p.ogg. p.u. p.imm.
r 2u
u
r1
r1
r2 r2 v
O Q O
Fig. O7-5
Infatti (2~u ~v) ~v e la proiezione del vettore 2~u sul versore ~v. L'angolo RS^T
passano per punti diametralmente opposti, convergono in uno stesso punto sul
piano gaussiano.
Considerando adesso tutta la p.u. come formata da tante corone concentri-
che, ognuna di esse2 produce un'immagine simile alla precedente, di dimensioni
proporzionali a % , cioe sempre piu vicina all'immagine gaussiana quanto piu
0
da una \chioma" (da cui il nome coma ) come in g. O7{6, a destra. La \chioma"
e diretta radialmente verso l'esterno se d F < 0 (si parla allora di coma positivo ),
0
r=ru
B B=F u
C A
A=E
D
H
r
C=G
E G
F D=H
P P
Fig. O7-6
con r2 .
p.ogg. p.u. p.imm. r1
r1 r1
O Q O
r2 r2
r2
Fig. O7-7
Infatti, come abbiamo visto (O6.4), uno spostamento del piano immagine
produce un (~r )s = x ~% =d , che cancella l'aberrazione considerata se si po-
0 0 0 0
x0
+ nd
0
d0
~%0 0
D r2~%0 =0
da cui
2
= , dn
0
x0 0
D r2 :
r?0
2
= x (2R , x ) ' 2R x
0 0 0
O7{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
da cui 02 2
x0 = r2?R = 2GR r2
corretta no al 3 ordine in r. Dunque la curvatura necessaria per una corretta
messa a fuoco su tutto il campo si ottiene ponendo:
G2
= , d0
2
D ) 1 = , 2d0 2 D:
2R n0 R n0 G 2
5. Astigmatismo
(~r0 )as = 2nd0
0
C (~r ~%0 )~r:
r
O O r
Q
Fig. O7-9
Chiaramente tali raggi non focalizzano in uno stesso punto del piano gaussiano.
Se ci spostiamo di x avremo: 0
r
O r
O
Q
Fig. O7-11
x
(~r )as = 2nd x0
+ 2d + x
0 0 0 0
0
0
C %k r ~2
+ d0
(% ~ + % ~ ) =
k ?
d0 n0
Cr 2
%k~
d0
%?~
:
Poiche adesso i raggi hanno % costante, focalizzano in uno stesso punto se e solo
?
x0 0
C r2 da cui 0
0
C r2 %?~
:
Ancora una volta, per ottenere la messa a fuoco su tutto il campo occorre
una supercie sferica anziche piana, di curvatura
1 = , 4d 2 C: 0
R n G2 0
percie sagittale ; la seconda, dove focalizzano quelli con % Fig. O7-12
?
sono inscindibili.
O7{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Mantenendo per il momento ssato ~r, poniamoci su un piano spostato di x 0
d0 x0 d0 x0
= n0
(2C + ) +
D r2
d0
%k~ + n0
D r2 + d0
%?~
= A % ~ + B %
k ? ~
conferenza, ~r descrivera un'ellisse sempre centrata sul raggio principale. Tale
0
p
sagiano
itta
le
tanpiano
ge
nzi
ale
p.u.
Fig. O7-13
O7{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La dipendenza di x0 da r2 mostra, come si e gia visto, che tali superci
sono curve e le curvature si possono determinare come abbiamo fatto preceden-
temente. Si ottiene rispettivamente per la supercie sagittale e tangenziale:
1 = , 2d02 D 1 = , 2d02 (2C + D):
Rs n0 G 2 Rt n0 G2
O7{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dim.: Per il teorema di Fermat, il raggio vero e quello relativo al minimo cam-
mino ottico tra P e P0 ; il cammino ottico di un raggio diverso (ad es. quello
gaussiano) dierisce da quello vero solo al 2 ordine nello scostamento massi-
mo dei due raggi:
Wg , Wv = O( 2 ):
Poiche nel nostro caso P0 , P0? e del 3 ordine rispetto a r e %0 , (y, q nella
sezione meridiana) lo stesso vale per lo scostamento massimo: ne segue che la
dierenza Wg , Wv e almeno del 6 ordine (e quindi trascurabile se ci si limita
al 4 ordine).
Corollario: L'aberrazione del cammino ottico al 4
ordine si puo calcolare come segue:
g
Dunque uno specchio parabolico non ha aberrazione sferica. Si osservi che, come
noto, questo risultato e valido a ogni ordine.
Consideriamo adesso uno specchio sferico aven- specchio paraboloide
M g
R
chio risultera compresa tra il paraboloide e la g g
Fig. O7-17
W (P2 N0 P0? ) < W (P1 NP0? ) = W (P0Q P? ) 0 0
da cui < 0. A conti fatti, l'aberrazione del cammino ottico si potra scrivere
= , 14 B 4 con B > 0 ; nel nostro caso risulta
Avremo poi
, y? = , nd @@ = ,B 3 = , 2R2
0 3
y0 0
0
r ! P1 N1 Q1
N1 Q1 = d , n +1 1 a2 +
n+1 2
n,1
,a
d a
P0 N0 Q0 P
risulta identicamente = 0 e la lente non ha aber-
razione sferica di Seidel. Si verica che la super-
cie risultante e un iperboloide. Se invece la super-
cie e sferica, si ha sempre < 0. Fig. O7-18
O7{11
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il telescopio di Schmidt
Per la fotograa astronomica a grande campo le aberrazioni piu fastidiose
sono coma e astigmatismo, e purtroppo il semplice specchio parabolico, che come
abbiamo visto e esente da aberrazione sferica, le possiede entrambe in misura
notevole. Nel corso degli anni sono stati escogitati diversi sistemi per eliminare
o ridurre l'inconveniente, ricorrendo di regola a combinazioni di lenti e specchi
(sistemi catadiottrici ), di cui qui non possiamo occuparci. E invece interessante
esaminare una soluzione semplice e ingegnosa, dovuta a B. Schmidt (1932).
Consideriamo uno specchio sferico, e
supponiamo che il diaframma venga inse-
rito in un piano per il centro di curvatu-
ra (g. O7{19). Dato che lo specchio e
sferico, ogni retta passante per il centro P
puo essere presa come asse ottico; ne se-
gue che lo specchio si comporta in ugual C
modo per la luce proveniente da tutte le F
direzioni (salvo il fatto che per vergenze
p
specchio sferico.
Si noti inoltre che il punto Fp e sempre a distanza da Q pari a meta del
0
raggio di curvatura R dello specchio: percio i vari fuochi parassiali per le diverse
vergenze si dispongono su una supercie sferica con centro in Q e raggio R=2.
Cio equivale a dire che il sistema e anche aetto da curvatura di campo.
Abbiamo visto che l'aberrazione sferica di uno specchio sferico e data, in ter-
mini di cammino ottico, dalla (O7.1), la quale ci dice che il cammino ottico dei
raggi marginali e minore di quello del raggio principale. Se dunque facciamo
in modo che i raggi marginali subiscano un ritardo corrispondente, avremo an-
nullato l'aberrazione sferica. Allo scopo, basta inserire nel piano del diaframma
una lastra di vetro sagomata in modo da produrre questa dierenza di cammi-
no ottico. Cio si ottiene per es. se la lastra (g. O7{20, a sinistra, di spessore
volutamente esagerato) ha una faccia piana e l'altra di equazione
4
= nB, 1 (O7.2)
O7{12
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La forma cos ottenuta e poco pratica, perche lo spesso-
re aumenta molto rapidamente dal centro al bordo; la si puo
rendere piu comoda aggiungendo alla (O7.2) un termine pro-
porzionale a 2:
=
1 (B 4 , b 2): (O7.3)
n,1
Sappiamo infatti che cio corrisponde solo a una sfocatu-
ra (O6.4)
x0 = , 21 R2 b = ,2f 2 b :
=
1 1 4 , x 2 0
n , 1 32f 3 2f 2
(g. O7{20, a destra).
Riepilogando: coma e astigmatismo sono assenti per costruzione; l'aber-
razione sferica e eliminata dalla lastra correttrice. L'aberrazione cromatica
(v. Cap. O8) e assente per uno specchio: sopravvive solo la curvatura di campo,
su cui torneremo fra breve. Va detto che a rigore la lastra correttrice distrugge
la simmetria su cui si e basata l'eliminazione di coma e astigmatismo; dato pero
che lo spessore e gia di 2 ordine in cio non ha in
uenza all'ordine di Seidel,
ma solo a ordini superiori.
La curvatura di campo non si puo compensare, ma il problema si risol-
ve disponendo il rivelatore (lastra fotograca) sulla supercie sferica dei fuochi
parassiali, anziche in un piano.
L'idea di Schmidt ha consentito di realizzare strumenti di grande apertu-
ra relativa e insieme capaci di grandi angoli di campo: ad es. lo Schmidt di
M. Palomar ha uno specchio di 183 cm di diametro e 6 m di raggio di curvatura
(3 m di focale); la lastra correttrice ha un diametro di 122 cm, che determina
un'apertura relativa n = 2:5 e un campo di 6 6 .
Nel calcolo della luminosita dello strumento occorre poi tener conto che la
lastra fotograca, di 35 cm 35 cm, occlude parzialmente lo specchio; e inte-
ressante notare che un opportuno dispositivo riesce a mantenere sulla supercie
focale sferica lastre di vetro no a 1 mm di spessore.
Un inconveniente del sistema Schmidt e che diaframma e lastra correttrice
vanno posti al centro dello specchio, ossia a distanza doppia della focale. In tal
modo il telescopio diventa lungo il doppio di quanto sarebbe col semplice specchio
parabolico (telescopio newtoniano). Ma i vantaggi di campo e luminosita valgono
ampiamente il maggior ingombro.
O7{13
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O8. L'aberrazione cromatica
= nnD,,n1
0.6563 0.5893 0.4861
def (m)
F C
Fig. O8-1
dove nC , nD , nF designano il valore di n per
tre lunghezze d'onda corrispondenti alle omonime righe di Fraunhofer dello spet-
tro solare (g. O8{ 1).
Il numero di Abbe e signicativo perche da lo spostamento relativo del fuoco
delle varie componenti della luce bianca. Infatti sappiamo che la distanza focale
di una lente e proporzionale a 1=(n , 1): se prendiamo f = fC , fF e f = fD
si ha proprio
f = fC , fF ' nF , nC = 1 :
f f n ,1
D
D
Solo nel 1758, dopo una serie di esperimenti, dai quali Fig. O8-4
risulto invece che la dispersione cambia da un vetro all'altro,
fu realizzato da Dollond il primo doppietto acromatico, accoppiando una lente
biconvessa di vetro crown (n ' 1:5, ' 60) e un menisco divergente di vetro
int (n ' 1:6, ' 30), come in g. O8{4. Da allora l'uso dei doppietti e divenuto
universale.
Col doppietto si ottiene la focale volu-
ta e inoltre si toglie l'aberrazione cromati- f lente
singola
ca principale. Resta un'aberrazione croma- doppietto
tica secondaria, come si vede studiando la
curva della distanza focale in funzione del-
la lunghezza d'onda, rispettivamente per la
lente singola e per il doppietto acromatico
(g. O8{5).
F D C
cio 1 > 2: la lente convergente deve avere numero di Abbe piu alto (minore
dispersione: vetro crown ).
Le (O8.1) e (O8.2) mostrano che un doppietto acromatico di focale assegna-
ta, e costruito con vetri dati, ha f1 e f2 univocamente determinate. Poiche per
O8{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
una lente sottile
1 = (n , 1) 1 , 1
f R R 1 2
si ottiene una relazione fra i raggi delle due superci di ciascuna lente, e resta
ancora un parametro libero: due parametri liberi per l'intero sistema.
Si puo giocare con questi due parametri al ne di ridurre altre aberrazioni:
si dimostra che e ad es. possibile eliminare aberrazione sferica e coma. Nel caso
di piccoli obiettivi, per ragioni di facilita di montaggio si preferisce di solito
incollare le due lenti; cos facendo resta un solo parametro libero e lo si sceglie in
modo da rendere piccole (ma non zero) aberrazione sferica e coma. E questo il
sistema universalmente diuso in tutti i binocoli e nei rifrattori no a circa 10 cm
di diametro.
L'oculare acromatico
In un telescopio per osservazioni visuali non basta correggere l'aberrazione
cromatica dell'obiettivo, ma occorre preoccuparsi anche dell'oculare. Per questo,
oltre all'impiego dei doppietti acromatici, c'e un'altra tecnica che non richiede
l'uso di vetri diversi.
Consideriamo infatti un sistema di due lenti sottili di uguale vetro, poste a
distanza d. Si vede senza dicolta che la focale complessiva sara
1= 1 +1 , d : (O8.3)
f f1 f2 f1 f2
Come si e fatto prima, si cerca una condizione per cui df = 0:
df df
d
df
d
f2
= f12
1, f2
+ f22
1, f1
= 1 f1 1 , fd + f1 1 , fd =0
1 2 2 1
f1 + f2 , 2d = 0
d= 1
2 (f1 + f2 ): (O8.4)
Dalle (O8.3) e (O8.4) segue subito
1=1 1 + 1 :
f 2 f1 f2
In aggiunta a quanto e stato detto a proposito dell'utilita di una lente di
campo (cfr. Cap. O5) vediamo cos un ulteriore vantaggio: e possibile rendere
acromatico un sistema (lente di campo) + (lente oculare semplice) con un'op-
portuna relazione tra f , f1 , f2 , d (oculare di Huygens). Come si e gia detto,
parlando di \oculare" s'intende l'intero sistema.
O8{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Un esempio piuttosto comune di oculare di Huygens e quello costruito con
i seguenti parametri (focale ): f
f1 =2 f; f2 = 23 f ) d = 43 f:
F1 F2=P F1 =F2 =P
F F
Diaframma
di campo p.u.
Fig. O8-7
O8{5
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O9. Introduzione all'ottica ondulatoria
Le approssimazioni dell'ottica
Il nostro studio dell'ottica no a questo punto e stato basato sull'ottica
geometrica, salvo un breve cenno alla dirazione al Cap. O1. Vogliamo ora
approfondire lo studio delle proprieta ondulatorie della luce, allo scopo di giu-
sticare i risultati gia citati sulla dirazione, e piu in generale di spiegare dove e
quando l'approssimazione dell'ottica geometrica cada in difetto nelle condizioni
che piu c'interessano: nel funzionamento degli strumenti astronomici.
La tabella qui sotto mostra vari gradi di approssimazione allo studio della
luce (delle onde e.m.). Discutiamo signicato e limiti di queste approssimazioni.
Si vede dunque che E~x rappresenta bene l'onda anche da un punto di vista
energetico.
Se ora lasciamo l'ipotesi che l'onda sia monocromatica, e pensiamo ad esem-
pio a due frequenze diverse, non e dicile vericare che le relazioni scritte valgono
ancora, e che percio e sempre
X
I/ n jE~xj2 + jE~y j2 + jE~xj2
j , 0j
~
r ~
r
: (O9.3)
Nota: A rigore la (O9.3) soddisfa la (O9.1) in tutto lo spazio a eccezione del pun-
to 0 (punto singolare): la situazione e del tutto analoga a quella del potenziale
~
r
ha laplaciano nullo. Tolti questi casi semplici, la validita della (O9.9) si puo
esprimere solo qualitativamente, come segue. r2A contiene le derivate seconde
di A; ma una derivata seconda si puo scrivere approssimativamente:
d 2f ' f (x + h) , 2f (x) + f (x , h)
dx2 h2
(la relazione e esatta per h ! 0). Posto h = =2, avremo dalla (O9.9)
A(x + h) , 2A(x) + A(x , h) 1
h2A h2
jA(x + h) , 2A(x) + A(x , h)j jA(x)j
cioe la dierenza seconda di A su un intervallo =2 dev'essere molto piccola
rispetto ad A. Detto in termini meno precisi, ma piu facili da ricordare: A deve
variare poco entro una lunghezza d'onda.
Vediamo due casi importanti in cui l'ap-
prossimazione dell'ottica geometrica non puo
valere. buio
1. Se un'onda piana incide su uno schermo
opaco con un foro, l'ottica geometrica richie- luce
Vogliamo ora discutere piu a fondo l'equazione dell'iconale, nella sua rela-
zione con la fase dell'onda. Lungo un raggio, denito come la curva tangente
ar ~ W , si ha dW=ds = n da cui ds = dW=n (g. O9{5).
La fase (a ) dell'onda e ' = kW , !t: al passare del tempo avremo '
costante se k dW = ! dt cioe se dW = ! dt=k = c dt. Ne segue ds = c dt=n, cioe
le superci di fase costante avanzano con velocita v = c=n (risultato gia visto per
le onde piane). Notare che le superci di fase costante sono la stessa cosa delle
superci di livello di W : l'onda \fotografata" a un dato t mostrera la famiglia di
superci W = cost:; \cinematografando" una supercie ' = cost: nel corso del
tempo, la si vedra sovrapporsi alle superci W = cost: una dopo l'altra. Si noti
che se il mezzo non e omogeneo, v puo variare su una supercie W = cost:
e percio due superci successive non saranno parallele!
W +dW
W
ds
vdt
dalla precedente: basta percio costruire tante superci sferiche di raggio v dt con
centro su ; esse saranno tutte tangenti a , che risulta quindi il loro inviluppo.
0
Queste sfere possono essere interpretate come onde sferiche elementari emesse al
tempo t da tutti i punti della supercie , pensati come sorgenti (principio di
Huygens : g. O9{6).
O9{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O10. L'approssimazione di Huygens-Fresnel e la dirazione
O10{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Studieremo la (O10.4) in due casi particolari, sucientemente semplici: s-
sando il punto P sull'asse ottico (y = 0) oppure nel piano focale (x = 0).
A: P sull'asse ottico (y = 0). Allora:
Z %
2 , 2i , 2 kx%2
E (P) = E (F) 2 % d% e
%
2 kx%
i 2
= E (F) 2 e
kx%
,1 : i
e il Fig. O10-3
x ' 0:81
8 l2 ' 2 l2 :
d2 d2
Si puo dimostrare, usando l'invariante di Lagrange, che l=d = f=pe = n (apertura
relativa) e si ha inne:
x ' 2n2 :
Nelle nostre approssimazioni abbiamo trovato che quando P e sull'asse otti-
co (x = 0) si ha: r = QP = l + x , 12 x%2 mentre OP = l + x. Dunque la dierenza
di cammino ottico tra il raggio principale (passante per O) e quello marginale
per Q e data da OP , QP = 12 x%2 . In altre parole, le onde elementari non
arrivano in fase nel punto P, e questo spiega perche l'intensita decresce rispetto
O10{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
a quella in F. Vediamo quanto vale questa dierenza 12 x%2 quando e soddisfatto
il criterio di Strehl:
2 , 1 2
2 x% = k 4 kx% = 0:81
1 2
4: '
Z Z % 2
1
E (P) = E (F) 2 % d% d' e,iky% cos ' :
%
0 0
Poniamo 2
Z
J0 (u) =
1 ,iu cos ' : (O10.5)
2 d' e
0
La funzione J0(u) (che e reale, contro l'apparenza) fa parte della famiglia delle
funzioni di Bessel, e si ha l'identita:
d
u J0 (u) = (u J1(u))
du
O10{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dove J1(u) e un'altra funzione di Bessel. Si tratta di funzioni largamente studiate
e tabulate, delle quali per ora occorre sapere solo poche proprieta:
1) J0(0) = 1, evidente dalla denizione;
Ru
2) J1(u) = 21 u + O(u2): questo si vede da u J1(u) = u J0(u ) du e da 1). 0 0 0
0
Sostituendo nella (O10.5), con u = ky%
ky%
Z
E (P) = E (F)
2 u du J0 (u) = E (F)
2 ky % J1 (ky %) = E (F)
2J1(ky%) :
k 2 y 2 %2
k 2 y 2 %2 ky %
0
y=
3:83 = 3:83 2l Fig. O10-4
k % 2 d
l
= 1:22 d = 1:22 n:
Abbiamo cos ritrovato la relazione gia ampiamente discussa nel Cap. O1.
Teoria ondulatoria delle aberrazioni
Quando la dirazione e importante, anche la teoria geometrica delle aberra-
zioni e insuciente, e va sostituita con una teoria ondulatoria. Questa puo farsi
senza dicolta applicando il principio di H{F, con la sola modica consistente
nel sostituire alla supercie d'onda sferica quella aberrata. A tale scopo ripar-
tiamo dalla (O10.3): e facile vedere che l'espressione in parentesi a esponente e
la dierenza di cammino ottico W (QP) , W (OP) fra raggio marginale e raggio
O10{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
principale, dovuta al fatto che P non e l'immagine gaussiana della sorgente. Nel
caso generale (aberrato) dovremo dunque scrivere:
Z% Z2
E (P) = cost: % d% d' e,ik (O10.6)
0 0
dove e la dierenza di cammino ottico dovuta anche alle aberrazioni. Riscri-
veremo la (O10.6) cos:
Z% Z2
1
E (P) = E0 (F) 2 % d% d' e,ik (O10.7)
%
0 0
dove E0(F) e l'ampiezza in F in assenza di aberrazioni.
Poiche l'immagine gaussiana e in F, solo l'aberrazione sferica interviene;
inoltre prenderemo P sull'asse ottico, e allora
= a%2 + b%4 (O10.8)
dove il primo termine e dovuto alla sfocatura x (a = ,x=2) e il secondo e l'aberra-
zione sferica. Prima d'introdurre l'espressione (O10.8), trasformiamo la (O10.7)
sviluppando in serie di potenze l'esponenziale, il che sara lecito se k 1 (d'al-
tra parte in caso di aberrazioni forti, la dirazione e poco importante e la teoria
geometrica va bene).
e,ik = 1 , ik , 21 k22 +
% 2
1 Z Z
E (P) = E0 (F) 2 % d% d' (1 , ik , 21 k 2 2 + )
%
0 0
= E0(F) 1 , ikhi , 21 k2h2 i + :
dove h: : :i sta a indicare il valor medio calcolato sull'area della p.u. Allora:
h, i
jE (P)j2 ' jE0(F)j2 1 , 21 k2h2i 2 + k2hi2
h i
' jE0(F)j2 1 , k2 h2i , hi2
avendo trascurato i termini in 4.
Il criterio di Strehl ci dice che e accettabile una riduzione d'intensita all'80%:
dovra dunque essere jE (P)j2 > 0:8 jE0(F)j2 cioe
k2 h 2 i , h i2 < 51 :
O10{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Notiamo che h2 i,hi2 e il quadrato dello scarto quadratico medio (s.q.m.) del
cammino ottico: lo indicheremo con 2 (). Dunque il criterio di Strehl richiede
1
2 () < 2 ) < :
5k 14
Calcolando 2() dalla (O10.8) si trova:
Z Z % 2
1
hi = %2 % d% d' (a%2 + b%4) = 21 a%2 + 13 b%4
0 0
% 2
h 2 i = 1 Z % d%Z d' (a%2 + b%4)2 = 13 a2 %4 + 12 ab%6 + 51 b2 %8
%2
0 0
2 () = h i , hi = 121 a2 %4 + 61 ab%6 + 454 b2%8:
2 2
Ma 2 puo essere ridotto spostandosi dal piano focale: basta cercare il valore
di a che rende minimo 2. Si trova a = ,b%2 e il corrispondente
2
opt () = 180 8
1 b2 %
Meccanica Celeste
Fig. M1-1
Nel seguito porremo
= GMm (G e la costante di gravitazione universale).
Mettendoci nel riferimento del centro di massa avremo:
m~r1 = F~ m = ,
r~r3
M ~r2 = F~ M =
r~r3 :
Dividendo per le masse e sottraendo si ha:
~r1 , ~r2 = ,
M1 + m1 r~r3 :
M1{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Notare che
1 1
k = = GMm M + m = G (M + m):
2
b ) Momento angolare:
~J = ~r ~r_ : (M1.3)
Si puo vedere che questi sono esattamente i valori dell'energia e del momento
angolare per il problema dei due corpi riferito al centro di massa.
Dalla (M1.3) segue subito che
1) ~J ~r = 0: ~J e perpendicolare a ~r;
2) ~J ~r_ = 0: ~J e perpendicolare alla velocita.
In questo problema particolare c'e poi un terzo integrale primo:
c ) Vettore di Lenz:
L~ = ~r_ ~J ,
~rr
Deriviamo infatti L~ rispetto al tempo:
_
L~_ = ~r ~J + ~r_ ~J_ ,
~rr ,
~r dtd 1r
dove il secondo termine si annulla perche ~J_ = 0. Sviluppando:
_
L~_ = ~r (~r ~r_ ) ,
~rr ,
~r dtd 1r
_
= (~r ~r_ )~r , (~r ~r)~r_ ,
~rr ,
~r dt
d1
r
d 1
= ~r ~r_ ,
dt r ~r , ~r ~r + r ~r_
~r
= E~ _ r , ~r +
3 ~r ~r_ = 0:
r
M1{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Infatti E_ = 0, mentre l'espressione in parentesi tonde e nulla per la (M1.1).
Studiamo le proprieta del vettore di Lenz.
Si ha: J
~ = ~J ~r_ ~J
~J L ,
r ~r ~J = 0
r
~J L
~ =0 (M1.4) v
~ ~r +
r
L = 1 J 2: (M1.5)
Si vede in modo analogo che Fig. M1-2
L2 =
2 + 2 EJ 2: (M1.6)
L r cos v +
r = 1 J 2
2
r =
+JL=
cos v :
Ponendo
J2 L
p= e= (M1.7)
abbiamo:
r = 1 + epcos v (M1.8)
che e l'equazione di una conica: iperbole per e > 1, parabola per e = 1, ellisse
per e < 1. Si vede inoltre che questa conica ha l'asse lungo L~ : infatti per v = 0,
essendo sempre e > 0, r e minimo (mentre e massimo per v = ). Questo e
dunque il signicato sico della direzione di L~ che e quella del pericentro; il suo
M1{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
modulo non ci da altre informazioni, dato che non e indipendente da E e da j~J j.
Notiamo ancora che p dipende solo da j~J j, mentre e dipende solo da jL~ j.
Vediamo ora la relazione tra la forma dell'orbita e l'energia. Dalla seconda
delle (M1.7) e dalla (M1.6) abbiamo che
e1 () L
() E 0:
Dato che l'energia potenziale e negativa e si annulla all'innito, se E = T +V > 0
(e > 1, traiettoria iperbolica) il corpo puo arrivare all'innito con una certa
energia cinetica e una certa velocita. Per E = 0 (e = 1, parabola) il corpo puo
andare all'innito, ma con velocita tendente a zero. Per E < 0 (e < 1, ellisse)
il corpo non puo andare all'innito, dove si avrebbe T < 0.
Studiamo piu in dettaglio l'ultimo caso, quello di orbita ellittica. In primo
luogo si pone:
q = rmin = 1 +p e ; Q = rmax = 1 ,p e ; (per v = 0; v = risp:)
Calcoliamo il semiasse maggiore:
p p p
a= 1 (rmax + rmin ) = 1 + =
2 2 1+e 1,e 1 , e2
p 2
J =
J = 2
J =
2
a= 2 = 2 2 =
1 , e 1 , L =
, L ,2EJ =
2 2 = 2 = , 2E
(notare che nel nostro caso E < 0). La relazione trovata
a=
2jE j
realizza una connessione tra gli aspetti geometrici e dinamici pdel moto.
Per avere il semiasse minore basta ricordare che b=a = 1 , e2 e si trova
facilmente
J
b=p :
2jE j
Si vede che mentre il semiasse maggiore e inversamente proporzionale all'energia,
il semiasse minore dipende da E , ma a parita di E e proporzionale al momento
angolare: ssata l'energia, al crescere di J cresce b, cioe l'ellisse tende a un
cerchio. Ne segue che per una certa energia E , J non puo superare quel valore
per il quale a = b (orbita circolare):
r
Jmax =
2jE j :
M1{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Possiamo inne calcolare il periodo del moto, ricordando che il momento
angolare e proporzionale alla velocita areale A: precisamente e J = 2A. L'area
dell'ellisse e ab, e avremo percio JT = 2ab da cui si ricava T . E interessante
mettere tale espressione nella forma seguente:
ra
3
T = 2 k2 (M1.9)
in cui interviene la costante gaussiana k. Se si assume M m (k quindi non di-
pende da m) se ne ricava la relazione T / a3=2 (terza legge di Keplero ). Poiche a
dipende solo da E , vediamo che anche il periodo dipende solo dall'energia.
Introducendo il moto medio n denito da
n = 2T
p
si ha n = k2=a3 da cui si ricava un'altra forma della (M1.9):
n2a3 = k2
che prende il nome di relazione di Keplero.
Si osservi che l'approssimazione fatta sulle masse e decisamente grossolana,
almeno per i pianeti maggiori del sistema solare. Il rapporto M=m vale circa
1000 per Giove e circa 3500 per Saturno, cosicche il valore di k2 puo essere
assunto uguale per tutti i pianeti solo entro 10,3 mentre sia le osservazioni che
i calcoli danno molte piu cifre signicative.
La legge del moto
Nella g. M1{3 il punto B si trova sul cer-
chio circoscritto all'ellisse sulla perpendicolare
per A all'asse maggiore. Allora si ha
r cos v = a cos u , ae B
A
dove si e introdotto l'angolo u = BC^ P, detto a
anomalia eccentrica. Usando la (M1.8) e facile r
vericare che u O v
r = a (1 , e cos u): C ae P
(M1.10)
Inoltre, uguagliando la (M1.10) alla (M1.8) si Fig. M1-3
ha:
a (1 , e cos u) = 1 + epcos v
M1{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e usando l'identita
, tg2(=2)
cos = 11 + tg2(=2)
si arriva a questo risultato:
tg v2 = f tg u2 (M1.11)
con r1 + e
f= (M1.12)
1,e:
In alcuni casi e anche utile la seguente relazione
cos2 v2 = ar (1 , e) cos2 u2 (M1.13)
D'altra parte
u v,u
(v , u)=2
v
tg 2 = tg 2 + 2 ' tg u2 + cos2 (u=2)
A=B
u-
a
e confrontando risulta v-u
r
v , u ' e sin u ' e sin ': (M1.16)
u v
La (M1.14) si approssima con E C O P
ae ae
u ' ' + e sin ' (M1.17) Fig. M1-4
e inne
v ' ' + 2e sin ':
M1{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nella g. M1{3 i punti A e B in questa approssimazione coincidono (l'ellisse
si confonde col cerchio); percio riferendosi alla g. M1{4 si ottiene l'interpreta-
zione geometrica (approssimata) di ' che giustica l'equante di Tolomeo. Infatti
preso E tale che EC = CO, gli angoli EA^ C e CA^ O sono uguali a meno di e2;
il secondo vale v , u per costruzione, ma vale anche u , ' per le (M1.16), (M1.17).
Allora il triangolo AEC mostra che l'angolo in E, nella solita approssimazione,
e proprio '.
Gli elementi dell'orbita
Vediamo adesso quali sono i parame-
tri usuali per la determinazione dell'orbita
di un pianeta. Il piano dell'orbita e indi- p.eclittica
i
viduato dalla sua inclinazione i sul piano
dell'eclittica e dalla posizione del N, cioe P
dalla sua longitudine eclittica, che indi-
cheremo con . La posizione del pericen-
tro e data dall'angolo (g. M1{5), oppu-
re dall'angolo = + detto impropria-
mente \longitudine" del pericentro. Per
i
a
ssare poi la forma dell'orbita occorre da- p.orbit
re il semiasse maggiore a e l'eccentricita e.
Spesso per orbite molto eccentriche, come Fig. M1-5
M1{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M2. Determinazione dell'orbita da tre osservazioni
Introduzione
Vedremo ora come si possono ricavare dalle osservazioni gli elementi dell'or-
bita di un pianeta. Il problema e complicato per due ragioni:
{ le osservazioni sono fatte dalla Terra (geocentriche)
{ solo la posizione del pianeta sulla sfera celeste (due angoli) e facilmente
determinabile, mentre la sua distanza e sconosciuta.
Poiche gli elementi orbitali sono 6, e chiaro che occorrono tre osservazioni a
tempi diversi t1, t2, t3, che daranno ad es. e del pianeta a quei tre istanti.
Avremo allora:
1 = 1 (i; ; ; a; e; '0 ; t1 )
1 = 1 ( : : : ; t1 )
2 = 2 ( : : : ; t2 )
(M2.1)
2 = 2 ( : : : ; t2 )
3 = 3 ( : : : ; t3 )
3 = 3 ( : : : ; t3 ):
Si tratta dunque di risolvere il sistema di 6 equazioni (M2.1), il che e tutt'al-
tro che facile, soprattutto data la presenza di un'equazione implicita (M1{14).
Occorre percio ricorrere a un procedimento numerico.
Questo problema ebbe grande importanza tra la ne del 18-mo secolo e gli
inizi del 19-mo: anni in cui si passo dalla scoperta di Urano (1781) a quella del
primo asteroide (Cerere, 1801) poi via via a molti altri. Il problema occupo per-
tanto i maggiori astronomi e matematici del tempo, e la soluzione piu completa e
generale fu data da Gauss e pubblicata nel 1809 nel classico libro Theoria motus
corporum clestium : : :
Sebbene ai nostri tempi la soluzione di problemi del genere sia stata enorme-
mente facilitata dall'uso dei calcolatori elettronici, i metodi sviluppati allora ne
costituiscono ancora la base, ed e percio utile conoscerne almeno le linee generali.
Un metodo frequentemente usato in questi casi e quello per approssimazioni
successive (iterazione ), in cui la conoscenza di una soluzione approssimata con-
sente di ottenerne una piu corretta. Quando questo accade, e quando la succes-
sione delle approssimazioni ha un limite, il metodo iterativo si dice convergente
e cio rappresenta una condizione necessaria per lo scopo voluto. In pratica, tra
diversi metodi che si possono escogitare sara migliore quello che mostra una
convergenza piu rapida, cioe quello che richiede un minor numero d'iterazioni.
Anche per il nostro specico problema sono stati messi a punto diversi
procedimenti iterativi. Qui ne presentiamo due: uno dovuto a Laplace, l'altro
a Gauss; il primo di derivazione piu semplice, ma applicabile solo nei casi in
M2{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
cui i tre istanti t1, t2 , t3 siano vicini ed equidistanti, il secondo alquanto piu
complesso, ma di applicazione generale e convergenza assai rapida. Come gia
detto in precedenza, ci limitiamo a discutere il caso di orbite ellittiche.
La g. M2{1 mostra le notazioni che verranno usate:
~% posizioni geocentriche del Sole nei tre istanti di osservazione (i = 1; 2; 3);
i
questi vettori si suppongono noti in quanto ricavabili dalle eemeridi del
Sole (che danno anche le coordinate cartesiane)
~u direzioni geocentriche dell'oggetto in esame, ricavabili immediatamente dalle
i
coordinate (angolari) osservate
r = j~r j sono le distanze geocentriche, che non si ottengono direttamente dalle
0
i
0
i
osservazioni, ma si troveranno come risultato secondario del calcolo
~r (posizioni eliocentriche) sono le incognite principali del problema.
i
Terra Pianeta
Il metodo di Laplace r=ru
Supponiamo che le tre osservazioni siano state
fatte in tempi abbastanza vicini: cio permettera di
ottenere senza troppo errore i valori della velocita e r
dell'accelerazione, trascurando innitesimi di ordine
superiore al secondo nel tempo. Per la stessa ragio-
ne, invece di ~%1, ~%2 , ~%3 consideriamo noti ~%, ~%_ e ~%,
Sole
M2{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Per farne sparire due si moltiplica scalarmente la (M2.3) per il vetto-
re ~v = ~u ~u_ . Allora:
k2
r (~u ~v ) = ~% ~v , 3 ~r ~v:
0
(M2.4)
r
Facendo lo stesso nella relazione di partenza (M2.2):
r (~u ~u ~u_ ) = ~% ~v + ~r ~v
0
) ~% ~v = ,~r ~v :
e si arriva a
r =
0
1 (~v ~%) + k2 (~v ~%): (M2.5)
r3
A questo punto potremmo sostituire la (M2.5) nella (M2.2), ma otterremmo
un'equazione
1 k2
~r = (~v ~%) ~u + 3 (~v ~%) ~u , ~%
r
che non si risolve con metodi elementari. Conviene allora procedere per itera-
zione.
Se il pianeta e abbastanza lontano dal Sole, r e grande e nella (M2.5) il ter-
mine proporzionale a 1=r3 e trascurabile rispetto al resto: cio e come porre in
partenza r = 1. Si ricava cos un valore r1 di r , e anche ~r1 . Dalla (M2.2)
0 0 0
r
(~u ~u_ = 0 perche ~u e un versore). Questa da r_ ; ricordando poi che
0
si determina ~r_ .
M2{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Trovati ~r, ~r_ si ricavano subito ~J , E , L~ e tutti i parametri del moto. Natu-
ralmente per applicare questo metodo occorrera sempre controllare a posteriori
la validita delle ipotesi semplicative che si sono fatte.
Elementi dell'orbita, noti tre vettori eliocentrici
Come introduzione al metodo di Gauss arontiamo in via preliminare il
problema di calcolare gli elementi dell'orbita di un pianeta essendone note tre
posizioni eliocentriche: ~r1, ~r2, ~r3 .
Faremo uso nel seguito delle seguenti relazioni
~r ~r = r r cos w
i j i j ij
(M2.6)
~r ~r = r r sin w ~
i j i j ij
sin v2 = ~rr2 ~2
2
r2
che confrontate con le ultime due delle (M2.8) danno 2
v2 P
~r 2
r2
~r
~1 = 2
r2
eq2~q = ~rr2 j~s~s ~q~qj eqs
~s O 1
2
~r 2 ~r
r2
~2 = 2
r2
eq~s = ~rr2 ~ss eqs Fig. M2-2
2
da cui si trova
~s ~q ~s s
~1 = ~2 = e= :
j~s ~q j s q
Inoltre dalla relazione p = a (1 , e2) e dalla prima delle (M2.8) si ottiene
~q ~t
a= :
q 2 , s2
La terna ~1, ~2, ~3 cos trovata puo essere espressa in qualunque sistema
di coordinate (ad es. eclittiche): cio consente di determinare gli angoli i, ,
che deniscono l'orientamento dell'orbita. Risulta
13 = sin i sin 23 = sin i cos 33 = cos i (M2.9)
31 = sin i sin 32 = , sin i cos
avendo indicato con la componente j -ma di ~ . Le componenti non scritte
ij i
nelle (M2.9) hanno espressioni complicate e in generale non servono. Fa eccezione
il caso i = 0, in cui il nodo ascendente non e denito e risulta
11 = cos( + )
12 = sin( + )
da cui si ricava + .
Inne la conoscenza di v2 = v(t2 ) consente di avere u(t2 ) e '(t2), da cui si
determina '0.
M2{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il metodo di Gauss: relazioni fondamentali
Il prodotto ~r2 ~r3 e parallelo ad ~3; per caratterizzarlo
basta percio la componente su ~3, che indicheremo con n1 . P3
i i
i=1
Ad esempio si puo far vedere che il prodotto scalare del vettore n ~r con ~r1
P i i
e ~r2 e nullo, facendo uso delle (M2.6); cio e suciente perche il vettore in esame
e nel piano dell'orbita e ~r1, ~r2 sono due vettori indipendenti di questo piano.
Ricordando che
~r = r ~u , ~% i
0
i i (M2.11)
i
che e un sistema di tre equazioni (una per componente) in cui gli n e r sono i
0
i
incogniti, mentre ~u e ~% sono vettori noti. In questi termini il sistema non e
i i
risolubile; quello che faremo invece sara di dare un valore approssimato agli n i
e usare il sistema (M2.12) per ricavare gli r e quindi gli ~r , iterando con valori
0
i i
sempre migliori degli n .i
e questa nella (M2.11); la (M2.17) e un'equazione per r2 che si risolve con uno
dei metodi numerici standard per la ricerca degli zeri di una funzione.
Scelta dei valori iniziali
Le variabili P e Q hanno il pregio che se ne
riesce a dare un valore iniziale gia molto buono Q3
analizzando il problema da un punto di vista geo-
metrico. Per quanto riguarda P , consideriamo che Q2
n2 1 P2 ) sett(SP1P2) t2 , t1
Se gli intervalli di tempo sono abbastanza piccoli (rispetto a un periodo) questo
e dunque un buon valore iniziale per P .
Consideriamo poi il triangolo Q1Q2Q3 corrispondente a P1P2P3 sul cerchio
podario (cerchio circoscritto all'ellisse, g. M2{4). Sappiamo che
tr(Q1 Q2Q3) = a
tr(P1P2 P3) b
e inoltre l'angolo al centro dell'arco Q_Q e u , u (dierenza delle anomalie
i j j i
eccentriche, g. M2{1). Se questa dierenza e piccola vale la relazione
a
uj , ui = (' , 'i) (M2.18)
r j
M2{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che si ottiene dierenziando la (M1{14) e usando la (M1{10). Possiamo allora
scrivere
n +n +n tr(P1 P2P3) = 2r3 b tr(Q1Q2Q3)
Q = ,2r23 1 2 3 = ,2r23
n2 tr(SP3P1) 2
a tr(SP1 P3 )
2r2 b
3
' a sett(SP tr(Q1 Q2Q3)
1 P3 )
avendo fatto la stessa approssimazione di prima. Ancora per la legge delle aree
e sett(SP1P3 ) = 21 ab ('3 , '1), mentre resta da esprimere tr(Q1Q2 Q3):
tr(Q1 Q2Q3) = [sett(OQ1Q3) , tr(OQ1Q3)] , [sett(OQ1 Q2) , tr(OQ1Q2)] ,
[sett(OQ2 Q3) , tr(OQ2Q3)]
2
= 12 a (u3 , u1) , 12 a2 sin(u3 , u1) ,
Sviluppando sin n, a meno di termini del quinto ordine si ottiene
tr(Q1Q2Q3) ' 12 a2 16 (u3 , u1)3 , 61 (u2 , u1)3 , 61 (u3 , u2)3
= 14 a2 (u2 , u1) (u3 , u2) (u3 , u1)
= 4ar3 ('2 , '1) ('3 , '2) ('3 , '1)
5
2
per la (M2.18), avendo assunto r2 come valor medio di r nell'intervallo conside-
rato. Concludendo:
Q = a3 ('2 , '1 ) ('3 , '2 ) = k 2 (t2 , t1 ) (t3 , t2 ):
Abbiamo cos giusticato la scelta dei valori iniziali per P e Q:
t3 , t2
P0 =
t2 , t1 (M2.19)
Q0 = k 2 (t2 , t1 ) (t3 , t2 ):
Iterazione
L'iterazione procede in questo modo: determinati col procedimento gia visto
gli elementi (approssimati) dell'orbita, si possono ricalcolare da questi i tempi
relativi alle tre posizioni dell'oggetto. Questi non coincideranno con quelli di
osservazione, in quanto per P e Q si sono usati dei valori approssimati. Si puo
mostrare che, indicando con l'apice i tempi calcolati, una migliore approssima-
zione per P e Q si otterra ponendo
0
t ,t t ,t
P1 = P0 3 2 : 3 2
t2 , t1 t2 , t1 (M2.20)
(t , t ) (t , t )
Q1 = Q0 2 1 3 2 :
(t2 , t1) (t3 , t2)
0 0
M2{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il procedimento puo essere ripetuto no a ottenere l'approssimazione desiderata
alla soluzione esatta.
Nello schema seguente e riassunta per blocchi la procedura complessiva.
M2{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M3. Meccanica analitica del problema dei due corpi
Le coordinate canoniche
Tratteremo adesso il problema dei due corpi coi metodi della Meccanica
Analitica. Faremo sempre riferimento al problema ristretto, nel senso visto nel
Cap. M1. Useremo coordinate sferiche con le notazioni astronomiche (g. M3{1):
in particolare l'angolo e contato dal piano dell'eclittica, anziche dall'asse po-
lare. Le coordinate lagrangiane sono dunque r, , . Vediamo l'espressione
dell'energia.
,
Energia cinetica: T = 21 r_2 + r2 _ 2 + r2 cos2 _ 2
Energia potenziale: V = ,k2=r:
E noto che quando T e una funzione quadratica omogenea nelle velocita gene-
ralizzate si puo scrivere
H = T + V:
Dunque nel nostro caso
H (q; p) =
1 1 1
pr + 2 p2 + 2 2 p2 ,
2 k2
2 r r cos r
K = H + @S
@t
:
Risolvere la (M3.4), ossia trovare S (r; ; ; t), e in genere tutt'altro che facile,
poiche si tratta di un'equazione alle derivate parziali non lineare; tanto meno e
possibile trovarne l'integrale generale. Questo non e pero necessario: se infatti
riusciamo a trovare un integrale completo dell'equazione, cioe una soluzione che
contiene in maniera essenziale tanti parametri quanti sono i gradi di liberta,
e al variare dei quali si ottiene cos tutta una famiglia di soluzioni, allora questi
parametri possono essere assunti come variabili , per cui avremo ottenuto la
cercata S (q; ; t).
M3{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Fortunatamente la (M3.4) e separabile : intendiamo con questo che esiste
una soluzione del tipo:
S (r; ; ; t) = Sr (r) + S ( ) + S() , t: (M3.5)
La particolare dipendenza dal tempo nella forma (M3.5) e possibile se e solo se
la H non dipende da t esplicitamente, come nel nostro caso; le condizioni generali
di separabilita dell'equazione sono ancora oggetto di discussione e dipendono
comunque dalle coordinate lagrangiane scelte all'inizio.
Come vedremo, la (M3.5) fornisce in modo naturale, come in tutti i casi di
separabilita, l'integrale completo di cui abbiamo bisogno.
Con la sostituzione (M3.5) la nostra equazione (M3.4) diventa:
1
dS 2 1
dS 2 dS 2
+ 2r2 1cos2
2
2 dr
r
+ 2r 2 d
d
, kr = : (M3.6)
M3{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Resta inne un'equazione dierenziale per la sola Sr :
dS 2
= 2E + 2kr , Jr2 :
2 2 2
r
dr
(M3.9)
Nelle ultime due c'e ovviamente un'indeterminazione nel segno della radice
quadrata: esaminiamo S . Presso il nodo ascendente, dove cresce (_ > 0),
anche p , che e legato a _ dalla seconda delle (M3.1), e positivo: dunque
@S=@ = p > 0 e il segno da prendere (almeno in questa zona) e quello positi-
vo. Viceversa, attorno al nodo discendente va preso il segno negativo. Analogo
ragionamento si puo fare per Sr , dove si deve distinguere il moto da pericentro
ad apocentro (pr > 0) e quello da apocentro a pericentro (pr < 0).
Soluzione esplicita
Restano da calcolare i due integrali, cosa che si puo fare senza altre cono-
scenze, con diverse tecniche. Ma noi abbiamo gia risolto il problema per altra
via e ne conosciamo la geometria; faremo quindi uso di sostituzioni di variabili
ispirate alla soluzione gia nota.
Per il calcolo del primo integrale sono utili le seguenti posizioni:
J = J cos i (notare che J2 < J 2)
sin = sin i sin w: (M3.11)
La (M3.11) denisce w in funzione di ; dierenziandola:
cos d = sin i cos w dw:
M3{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Sempre dalla (M3.11) si ottiene facilmente
sin2i , sin2 = sin2 i cos2w:
Deniamo poi mediante
tg = cos i tg w: (M3.12)
Dierenziando la (M3.12):
d dw
= cos i cos2w :
cos 2
Z Z Z
, 2 1=2 d d dw
= J sin i , sin 2
cos = J sin i cos w cos
= J sin2 i cos2w cos2
Z
=J cos2 , cos2i dw = J Z 1 , cos2 i dw = Jw , J cos 2i
Z
dw
cos2 cos2 cos2
Z
= Jw , J cos i d = Jw , J :
Dunque il risultato e
S = Jw , J:
E utile sapere che
@S @S
@J
=w @J
= ,:
M3{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Queste non sono relazioni immediate: ad es. w dipende da J attraverso i nella
sua denizione (M3.11). Il modo piu semplice di trovarle e di eseguire le derivate
sotto il segno d'integrale nella seconda delle (M3.10), e poi calcolare gli integrali
che risultano in modo del tutto analogo a quello seguito per S .
Veniamo al secondo integrale. Poniamo:
k2
E =,
2a
J 2 = k 2 2 p con p = a (1 , e2):
p
r = a (1 , e cos u) =
1 + e cos v
da cui
dr = ae sin u du
e2 sin2 u = 1 , e2 cos2 u , (1 , e2 )
ap
dv =
r
1 , e2 du:
Passiamo al calcolo:
Z 1=2 Z 1=2
Sr = dr 2E +
2k22 , J 2 = dr , k a + 2kr
2 2 2 2
, k r2 p
2 2
r r2
Z 1=2 Z
= k dr , a1 + 2r , rp2 k dr
,
=pa
,r2 + 2ar , pa 1=2 r
Z Z Z
= k a3=2 e2 sin u du
2
r
= du
k a3=2 (1 , e2 cos2 u) , k a3=2 (1 , e2 )
r
du
r
p Z p Z
= k a (1 + e cos u) du , k a (1 , ) dv e2
p
= k a (u + e sin u) , k pp v:
L'ultimo risultato e dunque:
p
Sr = k a (u + e sin u) , k p v:
p
Le variabili indipendenti per la Sr sono r; E; J . Troviamo allora che
@Sr a3=2
= 1
'= ' (' anomalia media; n = k=a3=2)
@E k n
@Sr
@J
= ,v:
M3{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si noti che sebbene sia k p1=2 = J , anche qui la derivata non si fa direttamente:
si puo procedere come gia detto per le derivate di S .
Altre variabili canoniche
Invece di usare la terna E; J; J, conviene usare la terna J'; J; J , cos
denita: s43
E =, 2
k 4 3 k p
2J' ovvero J' =
2jE j = k a:
J = J J = J :
Ricordiamo che e S (q; ; t) e che = @S=@. Troviamo allora le nuove variabili
canoniche:
@S @S dE
@J
= @E dJ
= ' , nt (M3.13)
' '
e poi
@S
@J
=w,v =
@S
(M3.14)
@J
= , = :
M3{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
L'azione ridotta
M3{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M4. Perturbazioni: eetto di un primario non sferico.
Incominceremo lo studio delle perturbazioni in meccanica celeste esaminan-
do l'eetto, sul moto di un satellite, di un primario con distribuzione di massa
non sferica. Il potenziale newtoniano in questo caso non va piu bene; di conse-
guenza il moto non sara piu kepleriano.
Sviluppo in multipoli dell'energia potenziale
La formula generale dell'energia potenziale e
Z
0
V (~r) = ,Gm j~r%0(~,r ~)rj d~r0 : (M4.1)
dove ! e l'angolo tra ~r e ~r0 . La serie converge per r > r0 , e per r r0 basta
prendere in considerazione solo i primi termini. E ovvio che i coecienti dello
sviluppo dipendono solo da !; molto meno ovvio che si tratti addirittura di
polinomi in cos !, che si chiamano polinomi di Legendre. Si puo dimostrare che
e sempre jPl(cos !)j 1; inoltre, se i vettori ~r e ~r0 hanno rispettivamente gli
angoli polari #, e #0 , 0 , in modo che sia
cos ! = cos # cos #0 + sin # sin #0 cos( , 0 )
(teorema del coseno per il triangolo sferico formato da ~r, ~r0 e l'asse z) si ha il
teorema di addizione
l , m)! P m (cos #) P m (cos #0 ) cos m( , 0 )
"m ((ll +
X
Pl (cos !) = m)! l l (M4.3)
m=0
dove
"m = 21 ((m m = 0)
> 0).
I polinomi \associati" che compaiono nella (M4.3) sono deniti da:
"m
r l=0 m=0 (l + m)! l
Z r l (M4.4)
m
r Pl (cos # ) cos m( , ) %(r ; # ; ) r sin # dr d# d :
0
0 02 0 0 0 0 0 0 0 0
Simmetria cilindrica
A questo punto conviene fare un'ipotesi semplicativa abbastanza naturale:
che la distribuzione di massa del pianeta abbia simmetria cilindrica. Scegliendo
allora l'asse z come asse di simmetria la %(~r ) non dipendera da . In que-
0 0
che da sempre 0, a meno che non sia m = 0. La somma in m si riduce quindi al
solo termine con m = 0 e abbiamo:
Gm X Z r l
V (~r) = , r
0
l
Sviluppiamo la somma per i primi termini, tenendo presenti le espressioni
dei polinomi di Legendre
P0(cos #) = 1 P1 (cos #) = cos # P2 (cos #) = 12 (3 cos2# , 1)
e avremo:
Gm Z Zr
V (~r) = , r
0
Z 2 (M4.5)
1 (3 cos2 # , 1) r 1 (3 cos2 # , 1) %(~r ) d~r + :
0
0 0 0
2 r2 2
R
Notiamo adesso che % d~r = M (massa totale del pianeta); poi
0
Z Z
0
r cos # %(~r ) d~r = z %(~r ) d~r = MZG
0 0 0 0 0 0
M4{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
per la denizione di centro di massa. Data l'arbitrarieta dell'origine delle coordi-
nate si puo sempre porre ZG = 0, col risultato di far sparire il secondo termine,
detto di dipolo.
Il potenziale di quadrupolo
Il terzo termine della (M4.5) puo essere scritto
1 (3 cos2 # , 1)Z ,3z0 2 , r0 2 %(~r0 ) d~r0 =
4r2
1 (3 cos2# , 1)Z h,x0 2 + z0 2 + ,y0 2 + z0 2 , 2,x0 2 + y0 2i%(~r0 ) d~r0
4r2
ma qui compaiono i momenti d'inerzia relativi ai tre assi; precisamente
Z Z Z
, 02 , 02 ,
Ix = y + z0 2 % d~r0 Iy = x + z0 2 % d~r0 Iz = x0 2 + y0 2 % d~r0 :
Nella (M4.7) oltre alla costante GMm = k2 compare il numero puro
,A
J2 = CMR 2
che e una costante del pianeta in considerazione: nel caso della Terra si
ha J2 = 1:08263 10,3.
La (M4.7) si presta a una valutazione dell'ordine di grandezza della pertur-
bazione. Ad esempio nel caso della Luna, tenendo conto che
,1 2
, cos # 1 J2 ' 10,3 R2 ' 1 2 ' 3 10,4
3 r2 60
M4{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
si ha una perturbazione che vale 3 10,7 del termine newtoniano; essa produce
tra l'altro, come vedremo, un avanzamento o retrogradazione dei nodi, con una
velocita angolare che sara 3 10,7 del moto orbitale della Luna. Cio signica che
il periodo sara di circa 108 giorni ' 3 105 anni. L'eetto e molto piccolo, anche
se rilevabile con buoni strumenti.
Va detto pero che nel caso della Luna vi sono perturbazioni ben piu impor-
tanti, aventi tutt'altra causa, che vedremo in seguito.
Prima analisi del moto perturbato
Riprendiamo l'espressione (M4.7) dell'energia potenziale, che puo scriversi
cos: 2
V = , kr + V 0
dove abbiamo separato la perturbazione V 0 dal termine newtoniano. Passando
poi a coordinate cartesiane:
V0 =,
3Q ,1 Q 2
3 , cos # = , r5 (x + y , 2z )
2 2 2
r5
dove
Q = 12 k 2 R2 J2 :
Ne risultano le componenti della forza perturbatrice:
fx = 3Q r,4 (5 cos2 # , 1) sin # cos
fy = 3Q r,4 (5 cos2 # , 1) sin # sin
fz = 3Q r,4 (5 cos2 # , 3) cos #:
M4{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Consideriamo ora una generica orbita ellittica, ma con i = 0. Le equazioni
del moto danno gli integrali primi:
r2 _ = J (M4.8)
2 2
1 r_2 , k + 2J r2 + V 0 = E: (M4.9)
2 r
Dalla (M4.9) si ottengono le distanze rmin e rmax al pericentro e all'apocentro,
ponendo r_ = 0:
2 2
, kr + 2J r2 + V 0 = E:
Questa ha due radici reali, come nel caso imperturbato, se V 0 e piccolo. Si ha
poi
Z dr Z 2E 2V 0 J 2 2k2 ,1=2
t=
r_
= dr , , 2 r2 + r :
Poniamo
J
rZmax
dr
2E 2V0 J2 2
k 2 ,1=2
= r2
, , 2 r2 + r :
rmin
Nel moto imperturbato = , quali che siano E e J ; per questo il moto im-
perturbato e periodico. Se 6= , nel tempo Tr il satellite descrive un ango-
lo 2 6= 2; per fare un giro impieghera in media un tempo
T =
Tr 6= Tr :
Percio la traiettoria non e piu ellittica, ma assume la forma \a rosetta."
M4{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il metodo di Newton
E possibile ottenere informazioni piu dettagliate seguendo il procedimento
originario di Newton. Consideriamo le equazioni del moto in coordinate polari,
per una forza centrale f qualsiasi:
(r , r_ 2 ) = f (M4.10)
(r + 2r_ _ ) = 0: (M4.11)
Dalla (M4.11) si ricava r2 _ = J = cost: Eliminando _ la (M4.10) diventa:
J2
r = f + : (M4.12)
r3
Supponiamo che il moto sotto l'azione della forza f sia noto, e introduciamo
una perturbazione c=r3: la (M4.12) si scrivera:
c 2 02
r = f +
r3
+ Jr3 = f + Jr3
con
J 02 = J 2 + c:
Dunque l'equazione radiale perturbata e la stessa di quella imperturbata, ma
con diverso valore di J . Detto 0 l'angolo del moto imperturbato con momento
angolare J 0 , avremo
r2 _ 0 = J 0
cioe
_ J
=
_ 0 J0 :
Otteniamo percio:
1) il moto radiale perturbato con momento angolare J e lo stesso di quello
imperturbato con momento angolare J 0 ;
2) il moto angolare perturbato ha velocita proporzionale a quella del moto im-
perturbato con momento angolare J 0 , col fattore di proporzionalita J=J 0 1
a seconda che la perturbazione sia attrattiva (c < 0) o repulsiva (c > 0);
3) in particolare
= J:
0 J 0
Ne segue che se il moto imperturbato e kepleriano (0 = ) avremo uno sposta-
mento del pericentro
c ,1=2
2 , 2 = 2 JJ0 , 1 = 2 1 + J2 ,1 : (M4.13)
M4{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il procedimento no a questo punto e esatto per qualunque orbita, se la
forza perturbativa va come 1=r3 . Newton considera anche il caso di una forza
generica, nell'approssimazione di orbita quasi circolare. Applichiamolo al nostro
problema, dove la forza (per # = =2) e ,3Q=r4 .
Si verica che al primo ordine in r , a (a semiasse maggiore):
n Ra2 J2:
2
3
2
La precessione lunisolare
Concludiamo questo capitolo con un argomen-
to estraneo, ma che ha in comune con quello che dm
S
procede la sua origine nello schiacciamento della
Terra: si tratta della precessione, piu volte citata. r R
M4{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e il momento risultante sull'intera Terra si ottiene integrando la (M4.14). Il ter-
mine 1 in parentesi non contribuisce. Assumendo una terna cartesiana equatoria-
le, e tenendo presente la simmetria della Terra attorno all'asse polare, si ottiene:
K = 3GM Y Z (C , A)
x
R5
Ky = 3GM R5 XZ (A , C )
Kz = 0
dove X , Y , Z sono le componenti di R ~ ; C e il momento d'inerzia della Ter-
ra rispetto all'asse polare; A quello rispetto a un asse equatoriale (la Terra e
schiacciata: C > A).
Passando a coordinate cartesiane eclittiche (; ; ) (con in direzione del
punto
), si trova
K = 3GMR3 (C , A) sin " cos " sin
2
Si vede che pM e circa il doppio di pS. Il totale p = pS + pM da l'eetto osservato
di 50 :3 per anno.
00
M4{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M5. Perturbazioni degli elementi orbitali
Introduzione
Vogliamo ora riprendere, come esempio dei metodi della meccanica analitica,
il problema trattato nel capitolo precedente. Potremo scrivere l'hamiltoniana
nella forma
H = H0 + H1
dove
k 4 3
H0 = , 2
2J '
e l'hamiltoniana imperturbata (M3{13) e
H1 = 23 R2 J2 k 2
1 ,sin2 , 1 (M5.1)
r3 3
H1 = A0 +
X1 A cos h' + X1 B sin h':
h h (M5.2)
h=1 h=1
Calcoliamo allora
,J_' = @H = @H1 = , X hA sin h' + X hB cos h':
h h
@' @' h h
Si ottiene ancora una funzione periodica di ', che per di piu ha valor medio
nullo, perche integrando le funzioni sin(h') e cos(h') su un periodo si trova
zero.
Dato che la ' imperturbata e lineare nel tempo ('(t) = '0 + nt), J_' puo
considerarsi periodica in t, con periodo T e media nulla. Avremo percio
Z
J (t + T ) , J (t ) = J_ dt = 0
t1+T
' 1 ' 1 '
t1
ossia J' (t1 + T ) = J'(t1 ) qualunque sia t1: dunque anche la J', che non e piu
costante del moto, e periodica con periodo T . Ricordando poi che J' = k a1=2
si puo concludere che al primo ordine l'asse maggiore dell'orbita ha perturbazioni
periodiche ma non perturbazioni secolari.
Il ragionamento che precede e stato possibile perche abbiamo potuto espli-
citare la dipendenza di H1 da ' nella forma (M5.2), dove A0, Ah , Bh non
dipendono da '. Vediamo ora cosa accade invece per le altre variabili.
In primo luogo
Calcolo esplicito
Cio che piu c'interessa e la determinazione dei moti secolari, per cui e ne-
cessario determinare A0 e calcolarne le opportune derivate. Riprendiamo H1 (')
e notiamo che il suo valor medio e
1 Z H d' = 1 Z A d' + 1 X A Z cos h' d' + 1 X B Z sin h' d' = A :
2 2 2 2
2 1 2 0 2 h h 2 h h 0
0 0 0 0
2 r3 2 a3p r
0 0
1 Z 2
= 2 (ap) ,3=2
(1 + e cos v) (sin2 i sin2 w , 1=3) dv:
0
@ H 1
3R2 J2 (12 ,,3esin
2
@H0
'_ =
@J'
+ @H
@J'
1
' @H 0
@J' @J'
+ = n 1+ 2
4a 2 )3=2
i
(M5.3)
= n 34Ra2 J2 4(1,,5 esin
2 2
@H1
_ =
@J
' @@JH1 2 )2
i
(M5.4)
= ,n 32Ra2 J2 (1 cos
@H1 2
_=
@J
' @@JH1 i
, e2 )2 (M5.5)
M5{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Cio signica che il moto e piu veloce se J2 > 0, cioe se C > A (ovvero se
l'ellissoide e schiacciato): infatti in questo caso si aggiunge al potenziale newto-
niano un termine attrattivo che va come 1=r3 . Se invece l'ellissoide e allungato
(C < A, J2 < 0) il moto e piu lento (termine repulsivo). Dalla (M5.3) si vede
poi come l'eetto in questione dipende da i: sempre con J2 > 0 un satellite
polare, al contrario di uno equatoriale, ruota piu lentamente che nel caso imper-
turbato.
Tornando al caso i = 0, la (M5.4) mostra che per J2 > 0 (ellissoide schiac-
ciato) _ > 0: rispetto al N il pericentro si muove nello stesso senso del satellite.
Se l'ellissoide e allungato accade il contrario (g. M5{1).
2 >0 2 <0
Fig. M5-1
L'eetto su , dato dalla (M5.5), e invece opposto (g. M5{2): per J2 > 0,
_ < 0 e si avra una retrogradazione della linea nodale (una precessione
per J2 < 0); e questo vale per qualsiasi i < =2. Puo anche essere interessante
studiare come varia l'angolo = + per vedere come i due eetti opposti
si combinano nello spazio. Si vede che in un'orbita equatoriale con J2 > 0
il pericentro si muove di moto complessivamente diretto.
2 >0 2 <0
Fig. M5-2
a
La situazione ha un analogo interessante in meccanica quantistica, ove si
consideri un elettrone in un campo coulombiano cui si aggiunge un termine di
quadrupolo. Il caso ha eettivo interesse sico ogni volta che la carica che genera
il campo non e sferica ma ellissoidale, e cio capita per molti nuclei atomici.
Sappiamo dalla meccanica quantistica che gli stati stazionari imperturbati
possono essere descritti da tre numeri quantici (n; l; m): vogliamo mostrare in
primo luogo che questi numeri quantici sono in esatta corrispondenza con le tre
variabili canoniche J', J, J .
Per cominciare, gli autovalori imperturbati dell'energia dell'elettrone sono
dati da
En = , 2e 2
4
(M5.7)
2h n
mentre l'energia del satellite e H0 data dalla prima delle (M5.6), che si puo
riscrivere ricordando il signicato di k:
H0 = (GMm
2J 2
)2 : (M5.8)
'
se m 6= m . 0
scinde in vari livelli, percio hnlm j j nl m i non e piu indipendente dal tempo.
0 0
La frequenza dipende pero dalle dierenze di energia E tra livelli con uguale n,
che sono molto piccole; ne segue che le corrispondenti velocita angolari sono an-
ch'esse piccole. In altre parole: , non sono piu costanti del moto, ma la loro
dipendenza dal tempo (secolare) e dell'ordine perturbativo.
Si potrebbe vedere che gia hnlm j j nl mi 6= 0: il moto del pericentro cor-
0
M5{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M6. Il problema dei tre corpi ristretto
re n0 data da 1
_ 2 GM1 m , GM2 m :
2 m j~r j ,
1
R1 R2
Ma il nostro riferimento non e inerziale, per cui occorre introdurre le forze ap-
parenti: solo se queste sono conservative vale ancora l'integrale dell'energia.
La forza di Coriolis chiaramente non in
uisce: essendo f~Cor = ,2m~n0 ~r_ per-
pendicolare a ~r_ , essa e a lavoro nullo e non altera percio il bilancio energetico.
La forza centrifuga f~cen dipende solo da ~r, quindi e conservativa e deducibile da
un potenziale che nello spazio e , 21 m j~n0 ~rj2.
Possiamo allora scrivere l'integrale dell'energia
1 m j~r_ j2 , GM1 m , GM2 m , 1 m j~ n 0 ~r j = E: (M6.2)
2
2 R1 R2 2
M6{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Le superci di Hill
E interessante ricavare subito dalla (M6.2) delle limitazioni sui punti per i
quali il corpo puo passare. Riscriviamola in altro modo:
, GM
R1
1m
, GM2 m , 1 m j~n ~rj2 = E , 1 m j~r_ j2 E:
R2 2 0 2
Dividendo per m:
, GM
R
1
, GM2 , 1 j~n ~rj2 E
R 2 0 m (M6.3)
1 2
e questa e una condizione su ~r (notare che anche R1 e R2 dipendono da ~r).
E L3 M1 L1 M2 L2 x
E6 G
E4
E2
Fig. M6-5
L4
M1 M2
L3 E1 G L1 L2
E1
E2
E3 E2
E3
E4
L5 E5
E7 E6
Fig. M6-6
Hill si apre nel punto L2. In tal caso il satellite potra sfuggire, ma solo dalla
parte destra della gura, in quanto la regione racchiusa dalla curva 5 gli e E
preclusa. Inne, per energie maggiori di 6 puo sfuggire anche a sinistra, dato
E
che la supercie si apre anche in L3. Le g. M6{6 e 7 mostrano che i punti di
massima energia sono L4 e L5.
I punti di Lagrange
I punti L ( = 1 5), detti punti di Lagrange, sono di equilibrio: il gra-
i i :::
diente del potenziale si annulla, e lo stesso quindi accade per la forza risultante.
Questo pero non ci dice nulla circa la stabilita, e non ci si puo neppure basare
sul consueto criterio del minimo, in quanto anche la forza di Coriolis | che non
entra nel calcolo dell'energia | ha un ruolo importante nelle modalita del moto.
M6{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Vedremo infatti che si puo avere stabilita addirittura Regione
dove l'energia potenziale ha un massimo. proibita per
La posizione dei punti L1, L2, L3 dipende dal E < E1
rapporto delle masse; risulta inoltre che essi sono di
equilibrio instabile. L4 e L5 hanno invece posizio-
ni sse, che formano due triangoli equilateri con M1
e M2: la cosa notevole e che sebbene | come si e
visto | essi siano punti di massimo del potenziale,
se un corpo si sposta da quella posizione la forza di E<E2
Coriolis tende a riportarcelo (g. M6{8, a pagina se-
guente), per cui risultano di equilibrio stabile (almeno
se il rapporto M2 =M1 e abbastanza piccolo).
Prima di discutere la stabilita, occorre dimostra-
re che L4 e L5 sono i vertici di due triangoli equilateri
di base M1M2. A questo scopo basta studiare il caso E<E3
piano, in cui l'energia potenziale per unita di massa
e data da
V = , 1 n2 r2 , GM1 , GM2 :
m 2 0 R1 R2
E<E4
Calcoliamone il gradiente:
1r~ V = ,n20 ~r + GM3 1 R~ 1 + GM3 2 R~ 2: (M6.4)
m R1 R2
Poiche G e il centro di massa vale la relazione (vedere
la g. M6{4) E<E5
~ + m2R~ 2
~r = M1MR1 + M2 :
1
n20 ~r = G(M1a+ 3
M2) ~r = G (M R~ + M R~ ):
a30 1 1 2 2
0
M6{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ossia
1
M1 R3 , a13 R~ 1 + M2 R13 , a13 R~ 2 = 0:
1 0 2 0
1 @ 2V = n2 , 3G (M R R + M R R )
m @r @r
i j
0 3 3
a50 1 1 1
i j 2 2 2 i j i j
da cui
~r_ = d~ r
dt , ~n0 ~r:
Sostituendo nella (M6.2) abbiamo:
2
d~
r n0 ~r d~r , GM1 , GM2 , 1 j~n ~rj2 = E :
2 n0 ~r j + 2 dt , ~
1 j~ 2 1
dt R1 R2 2 0 m
M6{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Come ci si aspettava sparisce il termine del potenziale centrifugo. Si tratta ora
,,
passare a coordinate eliocentriche usando le opportune relazioni. Il vettore M1G ,
di
vale M2 ~a0=(M1 + M2 ) per come e denito il centro di massa G. Allora
R~ 1 = ~r + M M+2M ~a0
1 2
m 2 dt R1 R2 0 1
dt M1 + M2 0 0 1
e c e un'inessenziale costante additiva.
Non e immediato capire da dove provengano gli ultimi due termini, ma si
puo dimostrare che essi tengono conto delle variazioni di energia del sistema
dovute all'azione della cometa sul Sole e su Giove.
Per capirlo, pensiamo a un esempio semplice: l'urto v V
elastico frontale di due palle di masse molto diverse. Se
supponiamo che dopo l'urto la palla piu grande proceda m M
indisturbata, nel riferimento di M avremo (g. M6{10): Fig. M6-10
{ prima dell'urto v = v + V0
{ dopo l'urto v = ,v = ,v , V .
0 0
2) 2 abbastanza grande.
R
e basta supporre che la cometa non si avvicini troppo a Giove. Possiamo allora
trascurare il terzo e l'ultimo termine della (M6.7), e abbiamo:
E1 = ES , 0~
n ~
JS
M6{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M7. Il problema generale dei tre corpi
Cenno storico
Abbiamo visto nel cap. prec. alcuni risultati relativi a un caso molto parti-
colare del problema dei tre corpi. Per le ragioni gia accennate, detto problema
e sempre stato di grande interesse per la meccanica celeste, ma la strada per la
sua comprensione e stata lunga.
Gia lo studio del problema ristretto mise in evidenza da subito la grande
dicolta, che si manifestava sotto due aspetti:
1) l'apparente impossibilita di trovarne una soluzione analitica
2) i notevoli problemi incontrati anche in un approccio numerico.
Solo verso la ne dell'800, grazie soprattutto a Poincare, comincio ad apparire
chiaro che le due dicolta erano in realta strettamente legate.
Uno dei modi piu naturali per arrivare a una soluzione analitica di un pro-
blema meccanico consiste nel trovarne degli integrali primi: abbiamo gia parlato,
alla ne del Cap. M3, del teorema di Liouville sui sistemi integrabili. Era percio
ovvio chiedersi se il problema dei tre corpi, o almeno la sua versione ristret-
ta, sia integrabile. Uno dei risultati di Poincare fu la risposta negativa a tale
domanda.
Non integrabilita del problema ristretto
Daremo ora una sommaria descrizione del teorema di Poincare: nella so-
stanza, esso aerma che il problema dei tre corpi ristretto non possiede altri
integrali primi oltre quello di Jacobi. Ma occorre precisare la tesi, perche nei
termini sommari appena detti essa e palesemente falsa.
Ricordiamo che il problema ristretto ha due gradi di liberta, trattando-
si del moto piano di un punto materiale. Possiamo usare come coordinate le
componenti cartesiane ( ) di , e descrivere il moto nello spazio delle fasi S ,
x; y ~
r
avremo una relazione funzionale tra e , che possiamo mettere nella forma
x y
F x; y( ) = cost :
valida lungo tutta una traiettoria di fase. Per di piu la stessa funzione sara
ancora costante lungo ogni altra traiettoria di fase, solo con un diverso valore
M7{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
della costante, in dipendenza delle diverse condizioni iniziali. Abbiamo cos
ottenuto proprio un integrale primo.
Lo stesso si potrebbe fare scegliendo una coppia qualsiasi tra le quattro
funzioni x(t), y(t), x_ (t), y_ (t), e si otterrebbero in tal modo 6 integrali primi che
non contengono t. E noto pero che per un sistema con due gradi di liberta il
massimo numero possibile di tali integrali primi (tra loro funzionalmente indi-
pendenti) e 3, il che ci dice che i 6 ottenuti non potranno essere indipendenti.
Inoltre abbiamo gia l'integrale di Jacobi, quindi possiamo aspettarcene al piu
due indipendenti tra loro e da quello.
Nota: Per un sistema con due soli gradi di liberta, l'esistenza di un solo integrale
primo oltre all'energia basta perche il sistema sia integrabile.
Ma il teorema di Poincare sembra asserire che non ne esiste alcuno!
La soluzione e che il teorema si riferisce a integrali primi con proprieta
addizionali, che ora passiamo a spiegare.
Sappiamo che
non puo passare per P0; ma se accade che P0 sia punto di
0
accumulazione per
, e chiaro che F non puo essere una funzione continua.
0
Alcuni dei risultati che abbiamo visto nel problema ristretto possono essere
estesi non solo al problema generale dei tre corpi, ma anche a quello di n corpi.
E questa la conseguenza di una notevole disuguaglianza, scoperta solo negli
anni '70 dello scorso secolo.
Si consideri un sistema isolato di n punti materiali: possiamo scegliere un
riferimento nel quale il centro di massa G e fermo, e assumere come asse z la retta
per G che ha la direzione e il verso del momento angolare totale ~J , ovviamente
costante. Avremo allora:
X
j~J j = J = m r v ? (M7.1)
z i i i
Se supponiamo
1) che le forze siano tutte attrattive (ipotesi vera nel caso gravitazionale)
2) che il sistema sia legato (E < 0)
abbiamo T = E , V = jV j , jE j, dove V e l'energia otenziale totale. Dunque
dalla (M7.2):
J 2
r J2
jV j 2I + jE j 2 I jE j
p
(il secondo passaggio segue da a + b 2 ab). Siamo cos arrivati alla disugua-
glianza di Easton :
I V 2 2 jE j J 2 : (M7.3)
M7{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
L'importanza della (M7.3) discende dai seguenti fatti:
a ) il secondo membro e una costante del moto (E J 2 si chiama integrale di
Zare );
b ) il primo membro dipende solo dalla congurazione del sistema e non dalle
velocita.
Dunque la (M7.3), per date condizioni iniziali, restringe le possibili congu-
razioni del sistema in tutta la sua evoluzione: in questo senso e un'evidente
generalizzazione della (M6.3).
Nel caso gravitazionale la grandezza I V 2 ha un'importante proprieta: e in-
variante per trasformazioni di scala. Se infatti tutte le distanze cambiano per
uno stesso fattore k, si ha I 7! k2I , V 7! V=k, e quindi I V 2 7! I V 2. Ne segue
che mandare a innito alcune delle distanze equivale a mandare a zero le altre,
e che nello studio di I V 2 si puo aggiungere una condizione addizionale (ad es.
che una delle distanze resti costante, o che lo sia la loro somma) senza perdere
generalita. Questo ci tornera utile fra poco.
Stabilita delle congurazioni gerarchiche
Studiamo ora I V 2 in funzione delle posi- M3
zioni dei punti del sistema. Ci limiteremo per
semplicita al caso di tre punti, e supporremo
inizialmente che il loro piano sia ortogonale a ~J .
Con la notazione indicata in g. M7{1 abbiamo
subito: s2
s1
m 1 m2
V = ,G s + s + s m 2 m3 m 3 m1 r3
3 1 2
X 1
= ,G m1m2m3 m s :
r1
G r2
i i
P
Inoltre m ~r = 0 (def. di centro di massa), M
i i 1 s M2
~s3 = ~r2 , ~r1, ecc., da cui si ricava
3
Fig. M7-1
1
~r1 = , M (m2 ~s3 , m3 ~s2) ecc: (M7.4)
dove si e posto M = m1 + m2 + m3. Dalla (M7.4):
r12 = M12 m22 s23 + m23 s22 , 2 m2m3 ~s2 ~s3 =
,
1 m2 s2 + m2 s2 , m m ,s2 , s2 , s2
M2 2 3 3 2 2 3 1 2 3
e da questa, con qualche passaggio
I = M1 m1m2 s23 + m2m3 s21 + m3m1 s22 = m1m 2 m3
, X s2
m:
i
M i
M7{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Inne:
G 2 X s2 X 1 2
I V = M ( m1 m2 m3 )
2 3
m ms :
i
(M7.5)
i i i
Dierenziando la (M7.5):
d(I V 2 ) = V 2 dI + 2I V dV
X 2s ds X ds
= V 2 m1 m 2 m3
M m +i
2I V G m
i
1 m2 m3
m s2
i
i
i i
= 2m1m2m3 V M V X s ds + GI X ds
i i i
m m s2
X V s i i i
= 2m1m2m3 V GI
M m + m s2 ds :
i
i
i i i
M m m s2
i i i
ossia
s3 = , GMI
i
V (V < 0 !): (M7.6)
La (M7.6) ci dice che s1 = s2 = s3 , cioe i tre corpi formano un triangolo
equilatero. Questo risultato generalizza, in un preciso senso, le congurazioni L4
e L5 di Lagrange del problema ristretto.
E facile vedere che il triangolo equilatero corrisponde a un M
minimo, poiche I V 2 va a +1 quando uno degli s tende a ze-
3
i
ro. Abbiamo dunque tre picchi \inniti" nelle tre congurazioni
accennate in g. M7{2, e una \valle" corrispondente al triangolo
equilatero.
Supponiamo ora che le condizioni iniziali del sistema corri-
spondano a un valore dell'integrale di Zare E J 2 cos grande in s s
modulo da obbligare il sistema in una delle congurazioni di \pic-
2 1
Occorre ora rimuovere la restrizione che i tre punti siano in un Fig. M7-2
piano ortogonale a ~J . Se si parte dal piano, e si spostano i punti
parallelamente all'asse z in modo arbitrario, I non cambia, mentre V diminuisce
perche le distanze possono solo aumentare: dunque I V 2 diminuisce. Anche un
M7{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
tale spostamento sara percio proibito, oltre un certo limite, dalla disuguaglianza
di Easton.
Concludiamo osservando come un risultato di grande generalita (la stabilita
delle congurazioni gerarchiche) sia stato raggiunto partendo da considerazioni
del tutto elementari. Per di piu, e possibile estenderlo a sistemi di piu corpi.
M7{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M8. Il problema della Luna
Aronteremo ora il cosiddetto problema della Luna, cioe lo studio del moto
del satellite della Terra dal punto di vista della meccanica celeste. Si tratta di un
problema assai complicato se si vuole raggiungere una precisione confrontabile
con le osservazioni; ci limiteremo quindi a indicare i passi necessari per compren-
dere alcuni degli aspetti piu visibili: quelli che abbiamo gia descritti, dal punto
di vista osservativo, nel Cap. G2.
Per i nostri scopi il problema della Luna si puo ridurre al problema dei tre
corpi Terra{Luna{Sole, che pero non e piu un problema ristretto, in quanto la
massa della Luna non e trascurabile rispetto a quella della Terra:
S : T : L = 3 10 : 1 : 81
5 1
M M M :
Usando l'approssimazione del problema ristretto come guida, si vede che la Luna
e costretta a girare intorno alla Terra a una distanza che non supera mai un
certo massimo. Per dimostrarlo, si pensi alle superci di Hill (g. M6{1) e si
calcoli la posizione di L1 per il caso Terra{Sole: si trova che dista dalla Terra
circa 1 5 106 km, cioe 4 volte la distanza della Luna.
:
Le coordinate baricentriche
Nelle nostre considerazioni ci serviranno L
i punti S, T, L (Sole, Terra, Luna) e anche G r
(centro di massa del sistema Terra{Luna) e Q Q R G
(centro di massa del sistema totale) (g. M8{ T
1). Rispetto a un'origine arbitraria indiche- S
remo con ~rS , ~rT , ~rL, ~rG, ~rQ le varie distanze
(vettoriali); porremo inoltre ~rSL = ~rL , ~rS Fig. M8-1
e analogamente le altre (~rST , ~rTL : : : ).
Studieremo le equazioni del moto partendo dall'hamiltoniana
2 2 2
H =2 p
M
S
+2p
M
T +2 p
L
M
, G
M M
S
r
T + M M
S
r
L + M
T ML
r
(M8.1)
S T L ST SL TL
dalla quale si ricavano subito le equazioni di Hamilton
rS
~ _ = @H
= ~
p
S ecc : (M8.2)
@~
p M
S S
~
pS_ =, @H
= GMS MT
3 ~
r ST + GMS ML
3 ~
r SL ecc : (M8.3)
@~
rS rST rSL
M8{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Invece qui trasformeremo opportunamente l'hamiltoniana con un cambia-
mento di variabili. Poniamo
~r TL = ~r ~
~r SG = R:
~ , ~r Q come segue:
Possiamo esprimere ~rS , ~rT , ~rL in termini di ~r, R
MT + ML ~
~r S = , R + ~r Q
M
MS ~ ML
~r T = R, ~r + ~r Q (M8.4)
M MT + ML
MS ~ MT
~r L = R+ ~r + ~r Q :
M MT + ML
dove M = MS + MT + ML.
Per trovare i momenti coniugati, che chiameremo ~p, P~ , ~pQ, basta prendere
la forma dell'energia cinetica
T= 1
2 MS j~r_ S j2 + MT j~r_ T j2 + ML j~r_ L j2 ;
~pQ = M ~r_ Q ~
P ~_
= MR _
~p = ~r:
L'approssimazione di quadrupolo
Fin qui il nostro calcolo e esatto, nella sola ipotesi di poter trascurare la
presenza di altri corpi. In tale ipotesi il sistema e isolato, dunque il riferimento
del centro di massa e inerziale. Conviene allora prendere Q come origine del
sistema di coordinate, per cui si ha ~rQ = 0, ~pQ = 0, semplicando cos il proble-
ma. Che questo sia lecito, si vede dal fatto che l'hamiltoniana non contiene ~rQ,
in quanto nell'energia potenziale vi sono solo dierenze del tipo ~rST = ~rT , ~rS,
dove ~rQ non compare. Cio implica che ~p_ Q = @H=@~r Q = 0, cioe che ~pQ = cost:,
che in particolare possiamo porre uguale a zero scegliendo opportunamente il
riferimento.
Per procedere oltre occorre fare delle approssimazioni. La geometria del
nostro sistema ci dice che rST rLT ; inoltre
M + ML ~ ~
~r ST = ~rT , ~rS = M
M
R,
S ~ ML
MT + ML
~r + T
M
R = R , ~r
avendo posto = ML =(MT + ML). Dal momento che r=R ' 0:4=150 ' 2:7 10,3
e inoltre = 1=82, possiamo sviluppare in serie il primo termine dell'energia
gravitazionale:
= R1 + RR3~r + 21 2 3 (R ~rR
1 = 1 ~ ~ )2 , R 2 r 2
+
rST jR~ , ~rj 5
1 = 1 ~ ~r 1
1 , (1 , ) R 2 3 (R ~r) , R r
~ 2 2 2
= + (1 , ) +
rSL jR~ + (1 , )~rj R R3 2 R5
M8{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Potremo allora scrivere per l'energia potenziale:
" 1
MT ML ~ ~r
R ~ ~r )2 , R2 r2
3 (R
V = ,G + MS MT + 3 + 1 2
2 + +
r R R R5
~ ~r 1 #
1 , (1 , ) R 2 3 (R ~r ) , R r
~ 2 2 2
MS ML
R R3
+ 2 (1 , ) R5
+
~ ~r si trova
e raccogliendo i termini con R
~ ~r
, MS ML (1 , ) RR3~r = 0
R ~
MS MT
R3
per la denizione di . Dunque con la nostra scelta dell'origine ancora una volta
il termine di dipolo scompare e rimane solo quello di quadrupolo; scriveremo
inne
M M M (M + M ) 3 (R~ ~r )2 , R2 r2
V = ,G T L
+ S T L + M
1
2 S +
r R R5
per cui l'hamiltoniana risultera:
P 2 GM (M + M ) p2 GM M
H=
2M , + 2 , rT L ,
S T L
R
1 GM 3 (R ~r ) , R r +
~ 2 2 2
2 S
R5
(M8.6)
Discussione
Notiamo che la prima parte in [: : :] nella (M8.6) ci da l'hamiltoniana del
sistema formato dal Sole e dal sistema Terra{Luna concentrato in G, mentre la
seconda parte ci da l'hamiltoniana del sistema Terra{Luna: no a questo punto
i due sistemi non interagiscono. Se non vi fosse altro si avrebbe cos la pura
sovrapposizione di due moti perfettamente kepleriani, ciascuno soluzione di un
problema dei due corpi: uno per il moto di G attorno al Sole, l'altro per il moto
relativo Terra{Luna.
Non e cos per la presenza di altri termini: gia quello di quadrupolo, il solo
che si e considerato, contiene le variabili di entrambi i sistemi suddetti. Que-
sto termine e percio responsabile dell'interazione tra i due moti e puo essere
considerato in due modi diversi secondo il punto di vista:
1) perturbazione del Sole sul moto Terra{Luna
2) perturbazione del moto di G attorno al Sole, dovuta al fatto che G non e
un eettivo punto materiale, ma e invece il centro di massa di due punti
separati.
M8{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Spieghiamo meglio questo secondo aspetto. Poiche il L
campo gravitazionale solare non e uniforme, la risultan- F L
r
te delle forze cui sono soggette la Terra e la Luna non G
coincide con la forza F~ G cui sarebbe soggetto G se fosse
un punto materiale di massa MT + ML (g. M8{2). Tale F +F T
risultante varia inoltre a seconda della posizione dei due
T L
F
corpi. F G
T
R 3 a 1 + 2
avendo posto 2
1 M
A = n2 3R6 M + M
S
n21 = GM S
1 T L R3
(si noti che n1 e approssimativamente il moto medio del Sole).
Tenendo conto anche dell'hamiltoniana imperturbata si avranno le equazioni
del moto
'_ = n0 , 18 A JJ'2 3J 2 , J2 10J'2 , 3J2
, ,
J 2
',
_ = 38 A J 5J'2 J 2 , J4
3
_ = , 83 A J'J2 ,5J'2 , 3J2
2
J
dalle quali con l'ulteriore approssimazione J' ' J ' J si ottiene
'_ = n0 , 47 A J'3
_ = 32 A J'3 (M8.8)
_ = , 34 A J'3 :
M8{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Passiamo ora ai numeri. Conviene denire il parametro m = n1 =n0, rap-
porto tra il moto medio del Sole e quello della Luna; il suo valore e
m = 0:0748 1=m ' 13
cioe la Luna fa circa 13 giri mentre il Sole ne fa uno. Dalla relazione di Keple-
ro n20 a3 = G (MT + ML ) si ottiene subito
M a 3 1=2
m = M + M R3
S
T L
e inoltre
A J'3 = n1m: (M8.9)
Dalle (M8.8) e dalla (M8.9) risulta cos che i moti di e hanno un periodo
dell'ordine di 13 anni. Facendo il calcolo otteniamo (in gradi per anno):
osservati calcolati
_ +40:6
_ ,19:3 ,20:3 (buono al 5%)
_ + _ +40:6 +20:3 (errato per un fattore 2).
Dunque la teoria spiega abbastanza bene la retrogradazione dei nodi, ma sbaglia
di un fattore 2 il moto del perigeo.
La causa principale dell'errore sta nell'aver fatto la media su , considerando
un anno come molto minore del periodo di questi moti ( 13 anni). Si puo fare
un calcolo esatto, che fornisce una serie in m (noi ci siamo fermati al primo
termine): i risultati si vedono nella tabella che segue.
Moto del nodo Moto del perigeo
1 termine ,0:00419 1 termine 0:00420
2 termine 0:00011 2 termine 0:00294
3 termine 0:00006 3 termine 0:00099
........ 4 termine 0:00030
5 termine 0:00009
somma 0:00857 6 termine 0:00003
........
somma ,0:00400
Mentre nel caso dei nodi la somma dierisce solo del 5% dal primo termine,
nel caso del perigeo considerare solo il primo termine signica sbagliare di un
M8{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
fattore 2 rispetto alla somma completa: questo spiega perfettamente i dati di
osservazione.
Va ricordato che il calcolo al prim'ordine si trova gia nei Principia di Newton
(anche se il metodo e diverso da quello qui esposto). Newton pero lascia quasi
nascosto il fatto che il secondo risultato dev'essere moltiplicato per 2 per avere
buon accordo con le osservazioni. Per un certo periodo la dicolta a spiegare
il moto della Luna rischio di mettere in crisi la teoria di Newton; solo a meta
dell'800, dopo che i maggiori astronomi e matematici si erano cimentati nel
problema, Delaunay riusc a calcolare la serie e dimostrare cos che l'unica causa
del disaccordo con le osservazioni era la sua lenta convergenza.
M8{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03