Sei sulla pagina 1di 3

LA NATURA, LA MORTE

Una saggezza per la vita al tempo del coronavirus

Quale cambiamento produrrà il coronavirus nella nostra concezione del mondo? Ci


sarà una rinascita religiosa o una nuova forma di saggezza nutrita di filosofia?
Oppure le grandi coordinate della politica e dell’economia mondiale trasformeranno
questa esperienza dolorosa in una nuova occasione per regolare il mercato e la
ridistribuzione del potere? Questo e altri flagelli biblici hanno distrutto le false
sicurezze. Siamo ricondotti alla dimensione minima della vita quotidiana, alla
mancanza di certezze. C’è un nesso tra la religione e la paura, specialmente nei
periodi di pericolo, guerre, carestie, epidemie? La risposta a queste domande
richiama la necessità di affrontare il discorso del nostro rapporto con la natura.
Perché la morte fa parte della natura, è la condivisione del destino umano e della sua
dimensione terrestre. Riusciamo a stabilire una relazione di amicizia con le cose della
natura? Riconosciamo la personalità di un fiume, come la Garonna di Michel Serres,
che assume, nella sua concezione della Natura come Biogea1, la fisionomia di una
personalità complessa, da interpretare e con la quale comunicare? Forse abbiamo
sottoscritto con troppa facilità la tesi di Hegel che concepisce lo spirito come “morte
del finito”, in modo da comprendere e giustificare la morte come un passaggio
dialettico necessario. O troppo sbrigativamente creduto nella possibilità di una
sottomissione della natura alla specie umana come processo perfettibile e infinito.
Diversi spunti di analisi di questi problemi si trovano nel pensiero illuminista di
David Hume, la cui frequentazione può oggi far bene a credenti e non credenti.
Hume ricerca l’origine naturale, antropologica, della religione per eliminare, accanto
alla religione rivelata, anche la concezione deistica della “religione naturale” 2. Questa
ricerca lo porta ad escludere qualsiasi origine sovrannaturale dei sentimenti religiosi.
Questo discorso di Hume ha un presupposto: che non vi siano autorità diverse dalla
ragione e dalla natura per affrontare il problema della fede e al tempo stesso per
riconoscere alla natura la sua autonomia, le sue “leggi” e il suo corso. Secondo questa
analisi la religione non nasce da un impulso primario della natura umana, cioè non
appartiene a quei dispositivi di cui è provvista la natura umana e che le sono necessari
e strutturali. Esaminando i principi della fede nella loro origine, le cause e gli
accidenti che ne dirigono il corso, Hume indica nella sfera emozionale, sentimentale,
l’origine politeistica e idolatrica della religione. Le prime idee religiose derivano non
1
M. Serres, Biogea, Asterios, Trieste, 2016.
2
D. Hume, Storia naturale della religione, in Idem, La religione naturale, Editori riuniti, Roma, 1995. Le indicazioni di
si riferiscono a questa edizione.
dall’osservazione della natura ma “dalla considerazione dei fatti della vita e dalle
incessanti speranze e paure che si agitano nella mente umana” (p.109). Specialmente
sono le paure, precisa Hume, che spingono l’uomo a pratiche religiose (p. 110). E’ un
discorso estremamente attuale. Non è forse la paura il sentimento che paralizza
l’individuo della società dei consumi dell’epoca postmoderna? Non è forse la paura,
secondo Hobbes, l’origine del potere e lo strumento principale del governo sugli
uomini? L’incertezza delle vicende umane e il mancato controllo sulle forze della
natura, soprattutto, come nel caso presente, nelle loro manifestazioni distruttive, è
impossibile fin quando non si riconosce l’autonomia della natura, la sua difformità
dalla storia e dalle vicende umane. Le cause ignote di ogni evento accendono sempre
passioni, speranze e paure. L’ignoranza dei rapporti di causa ed effetto tra i fenomeni
è all’origine delle credenze superstiziose quando alla conoscenza si sostituisce
l’immaginazione e si rafforza la credenza nella dipendenza degli uomini da poteri
invisibili. La vita governata dal caso suscita la superstizione e spinge gli uomini a
ricorrere alla “religione” o a meccanismi di rassicurazione equivalenti. Ai giorni
nostri, in cui la secolarizzazione è giunta al compimento attraverso un processo di
accelerazione inarrestabile della riduzione degli umani a meri consumatori sprovvisti
di strumenti di consapevolezza globale, si invocano pseudo-divinità perché si
percepisce l’assenza “di un potere invisibile e intelligente nel mondo” (p. 115). Sotto
l’incubo dell’infezione virale si inaugurano nuove forme di idolatria, di feticismo,
spesso suscitate dalla stessa volontà di conformarsi al dominio di sistemi politici
legati al mercato capitalistico e alle sue leggi. Ci si chiede una riconferma della fede
nel mondo delle merci, e nella dimensione alienata dei processi produttivi e delle
forme della soddisfazione dei bisogni, quelle stesse forme alienate di consumo
coattivo messe in discussione nei periodi di crisi ecologica o sanitaria. Le stesse
variabili del sistema economico dominante e gli equilibri (in realtà squilibri
controllati) entrano in rapporti difficilmente governabili con le vecchie ricette. Si crea
una nuova mitologia delle macchine, della scienza, della medicina e del sistema
sanitario, della rappresentanza politica, considerati come salvatori dell’umanità. Si
diffondono rappresentazioni collettive che raggiungono e superano l’acriticità delle
forme peggiori della superstizione. L’atteggiamento giusto sembra invece quello di
un approccio più radicale e critico ne confronti del presente e una riconsiderazione
della nostra concezione della natura, considerata in molti sistemi di pensiero come
strumento servile dei progetti umani o Materia prima da sottomettere al dominio
della Forma. La concezione, propria delle grandi religioni, di un potere invisibile,
puro, che ha creato la natura e ne ha ordinato la struttura da una parte e la visione
laica di un mondo ordinato al progresso, alla giustizia e alla solidarietà dall’altra si
trovano in conflitto con le false rappresentazioni e le dottrine superstiziose che la
civiltà tecnologica produce. Abbiamo bisogno di una visione critica delle credenze,
delle abitudini, dei comportamenti collettivi e delle scelte di fondo. Dobbiamo
riconoscere l’autonomia, la creatività, la virtualità della natura, che non è conformata
ai disegni umani e ai sistemi umani e può produrre esiti distruttivi per la nostra
specie. La concezione della superstizione elaborata da Hume esprime una
fondamentale, paradigmatica vocazione critica, che decostruisce le convinzioni
dominanti ed è un approccio salutare per accedere da una nuova consapevolezza della
Natura, basata sulla storia critica e sulla filosofia, nel suo valore di autonomia, nella
sua creatività, nella sua virtualità.

Potrebbero piacerti anche