Sei sulla pagina 1di 9

1

Il ritorno della filosofia della storia: etnogenesi e


superethnos. Lo sfondo culturale della politica russa.

Il conflitto in Ucraina può essere posto in relazione con


l’emergere nella dimensione politica di quadri culturali
che inaugurano una stagione di protagonismo di quella
comunità, indicata anche come “mondo russo” o
civilizzazione russo-ortodossa, i cui tratti si sono definiti
nel corso di almeno due decenni, dopo la fine dell’Urss.
Sul piano ideologico si è assistito alla ripresa di motivi e
filoni di pensiero, che appartengono alla Russia
prerivoluzionaria dell’Ottocento e alla cultura
dell’emigrazione integrati con componenti culturali del
periodo sovietico, utili a giustificare la rinascita non
soltanto della potenza dello Stato russo ma di una
struttura istituzionale multietnica e multinazionale. Nella
terminologia dell’etnosociologia di L. Gumilev
all’ordine del giorno è la nascita e il consolidamento di
un superethnos slavo-asiatico-islamico, nel quadro di un
disegno geopolitico di indipendenza dei maggiori blocchi
di Stati e di popoli euro-asiatici dall’Occidente e di
liberazione dall’egemonia americana sull’Occidente e sul
resto del mondo. Confinare questo progetto alla
geopolitica in termini di eurasianismo è restrittivo,
perché la sua portata è globale e non semplicemente
geografica. Lo scopo è quello di ridisegnare i confini e le
linee di forza che demarcano i fronti di Stato nel
confronto della politica internazionale e di mettere in
discussione con strumenti politici, diplomatici economici
e militari lo status quo.
La guerra russo-ucraina, che si inserisce in maniera più
significativa in una seria di iniziative prese in
precedenza, presenta delle implicazioni culturali molto
forti, che forse possono spiegarne l’anomalia.
Certamente si tratta della rottura di un ordine mondiale, e
fa emergere spinte e idee alternative all’egemonia
occidentale che bussano alla porta della storia. Si è
2

parlato molto, probabilmente anche troppo, di una


“svolta conservatrice” nella politica di Putin, nutrita di
ideologia eurasianista. Michel Eltchaninoff, in un suo
studio sulla “filosofia ufficiale” del Kremlino 1 ha cercato
di rintracciare le radici intellettuali della politica
putiniana in vari filoni del pensiero religioso, filosofico,
storico ed etnosociologico, con particolare riferimento a
due autori Ivan Il’hin e Lev Gumilev.
Ogni tentativo di appaiare tale indirizzo di pensiero
politico alla destra eo alla “nuova destra” europeo-
occidentale è destinato al fallimento2. Il conservatorismo
di Putin non è il rifugio nel passato, ma la riscoperta dei
valori tradizionali della Russia, valori che sono
considerati dalla dirigenza russa fondanti la sua identità
storico-culturale. In questi valori, legati alla continuità
storica, attraverso guerre e rivoluzioni. e alla vita
comunitaria dei popoli facenti parte del mondo russo,
con particolare riferimento all’esperienza dello Stato
multinazionale sovietico per riscoprire una vocazione e
una cultura difforme rispetto all’Europa e all’Occidente..
In nessun caso tale indirizzo significa una presa di
posizione contro il progresso e contro la civilizzazione
moderna e, a rigore, neppure di una visione politica
illiberale e antidemocratica, di segno anti-moderno. Si
tratta di una declinazione delle categorie socio-politiche
della modernità in versione “russa”. Lo Stato che Putin
vuole costruire ha molte caratteristiche dello Stato
hegeliano e si pone in rapporto di continuità con lo Stato
sovietico: uno stato forte, cioè una struttura statale che
assuma il primato e l’esclusiva del potere e garantisca la
coesione sociale, la sicurezza, la stabilità e il progresso
materiale, attraverso un riformismo dall’alto, tipico della
tradizione russa incarnata storicamente nel ciclo che va
da Pietro il Grande a Stalin. In questo schema non c’è il
1
M. Eltchaninoff, Dans la tête de Vladimir Poutine, Acte Sud, 2015
2
M. Bassin, “Lev Gumilev and the European New Right”, in Nationalities Papers
The Journal of Nationalism and Ethnicity, n.6, 2015. rileva che le somiglianze non
cancellano le dissonanze profonde circa l’idea di Europa, rispetto alla quale Gumilev marca
la differenza opponendo la civilizzazione russa o eurasiatica all’Occidente
3

rifiuto della democrazia, ma esso certamente implica


l’assunzione da parte del potere russo di alcuni tratti che
Marx definirebbe “bonapartisti”: l’interpretazione del
consenso secondo una visione plebiscitaria, di
“democrazia sovrana”, che presenta indubbiamente,
quando opera in conflitto aperto con le istanze
dell’ultraliberalismo dell’Occidente, risvolti
rivoluzionari, destabilizzanti. Il “putinismo” si presenta
insomma in termini culturali come critica organica del
sistema all’Occidente. All’influenza straniera,
occidentale, la Russia di Putin oppone i valori spirituali
dell’ortodossia cristiana che vanno ad alimentare, sino ad
identificarvisi, il patriottismo di uno Stato nazionale,
erede di quello sovietico, che riconosce, protegge e
sviluppa il suo Volkgeist. In questo ambito la nozione di
“codice di valori”, base dell’offensiva ideologica lanciata
da Putin contro l’Occidente euro-atlantico, segna il punto
di massima opposizione alla cultura, al sistema di
educazione e ai modelli di vita sociale occidentali. La
caratteristica essenziale dell’Occidente, secondo la
Russia, sta nel rifiuto dei valori morali e cristiani
tradizionali e nella secolarizzazione condotta all’estremo,
che rende equivalenti bene e male, in un regime di
generale relativismo etico. La risposta è una
rivalutazione del comunitarismo di origine russa e slava.
Questa rinascita “conservatrice”, erroneamente
scambiata per svolta a destra3, che la Russia ha promosso
ha significato, perciò, da parte della dirigenza russa,
soprattutto a partire dal 2012, la riscoperta e la ripresa di
temi portanti del pensiero religioso russo del secoli XIX-
XX: da V. Soloviev, filosofo della storia come lotta
contro l’Anticristo e della vocazione religiosa della
Russia come “terza forza”, che supera la civiltà

3
4

occidentale4, al filosofo conservatore K. Leontiev 5 e, sul


piano più direttamente storico-politico, alle tesi dello
slavofilo panslavista di seconda generazione
N.Danilevski , e a quelle del teorico del nazionalismo
6

russo Ivan Ilyn, teorico dell’identità nazionale russa


come civiltà a sé, considerata un misto fra la cultura
bizantina cristiana e la forza mongola asiatica,
considerato da molti il filosofo preferito di Putin. Un
posto di rilievo in questo filone culturale , non omogeneo
ma univoco nella sua carica antioccidentalista è riservato
all’etnosociologo, storico e antropologo Lev Gumilev,
teorico della zona eurasiatica autonoma e
dell’”etnogenesi”. Quest’ultimo sembra soprattutto
essere al centro dell’interesse del corso politico putiniano
e costituire un punto di riferimento nel progetto di
costruzione di uno schieramento euroasiatico da parte
della Russia7. Il pensiero storico ed etnologico di
Gumilev, ingenerosamente liquidato da molti critici per
il suo preteso determinismo e misticismo (termini
incompatibili tra loro)8 è in realtà direttamente collegato
alla scuola russa delle scienze naturali, è maturato
nell’ambiente accademico sovietico e può essere
considerato una sintesi, parziale ma molto originale, del
metodo storico con quello delle scienze naturali, in
particolare la geologia, la biologia e la fisica. Il proposito
di Gumilev era quello di giungere a conoscere le
regolarità alla base dei processi di etnogenesi. Egli

4
V. Soloviev, L’antéchrist, in Vladimir Soloviev, Introduction et choix de textes, Paris,
Michaud, 1910; V. S. Solovev, “I principi filosofici del sapere integrale”, in Id. Sulla
divinoumanità e altri scritti, Jaca Book, Milano, 1990 e cfr. D. Kojeve, The religious
metaphisycs of V. Solovev, trad. inglese, Springer, 2018

5
K. Leontiev, Against the current, New York, 1969 (antologia di testi tradotti dal russo).
6
N. Danilevski, Russia and Europe, Bloomington, Indiana, 2013.
7
Soltanto negli ultimi anni della sua vita e soprattutto dopo la sua morte nel 1992, un anno
dopo la fine dell’URSS, l’opera di L. Gumilev divenne oggetto di un’attenzione crescente
da parte del mondo accademico e del largo pubblico. In vari campi rinnovarono la
concezione dell’identità russa, delle nazionalità, delle interazioni tra etnie e della dinamica
storica, ponendosi come complementare alla visione socioeconomica della storia.
8
5

considera l'ethnos come un essere vivente, un collettivo,


distinto dall'individuo, grande e vivente nel corso di un
lungo periodo di tempo. Mentre una persona è limitata
dal suo corpo, le possibilità di un ethnos sono molto più
ampie, perchè può produrre molti corpi diversi. Proprio
come una persona vivente, tuttavia, l'ethnos ha una fase
di ascesa, una fase di acme o di zenith, una fase di
rottura, una fase di inerzia, e una fase omeostatica o
memoriale, o di eclissi nella quele l’ethnos diventa una
reliquia etnica9. Le vite e i destini dell'ethnos sono
composti da tali cicli. Gumilev ha sviluppato una teoria
biologica determinista dei popoli. Egli suppone,
riprendendo la concezione della biosfera del geochimico
V. I. Vernanskij10, un’influenza dell’energia cosmica, che
proveniente dagli esseri viventi, dai minerali, dall’attività
del sole, sui popoli. L’idea di questa forza cosmica,
trasmessa a tale o talaltro popolo, è all’origine dell’altra
nozione fondamentale della teoria di Gumilev, quella di
passionarietà (passionarnost’), un concetto di cui la
geopolitica russa ha fatto largo uso nel lanciare le sue
parole d’ordine per la mobilitazione politica delle energie
nazionali russe in politica estera e interna. La
passionarnost’11 è, nell’accezione di Gumilev che si
ispira a V. I, Vernadskij, un eccesso di energia
biochimica della materia vivente, che genera la spinta al
sacrificio, per conseguire gli obiettivi più alti, suscita un
irresistibile desiderio interiore di attività finalizzate al
cambiamento della propria vita, dell'ambiente, dello
status quo. La passionarnorst’ sembra, presentata così,
avvicinarsi molto al concetto di volontà di potenza di
Nietzsche, che qui viene declinata in campo etnologico.
9

10
V. I. Vernadskij, La biosfera e la noosfera, Sellerio, Palermo, 1999.
11
termine derivato dal francese passionner e dal latino passio, che sta per affascinare,
emozionare, accendere la passione. Cfr. su questo concetto che fornisce un quadro
naturalistico dei cambiamenti comportamentali A. S. Titov, Lev Gumilev, Ethnogenesis and
Eurasianism, University College London School of Slavonic and Eastern European Studies,
2005 (Tesi di laurea), pp. 52-59.
6

Essa indica la capacità di sforzi risoluti, di un eccesso di


attività, prodotto da un eccesso di energia cosmica) che
esprime uno sforzo da parte di un individuo. Individuo
passionario sente un impulso a spingersi verso gli ideali
che superano il suo stesso istinto di conservazione. Il
termine naturalmente richiama gli ideali romantici (il
sacrificio, la vittoria, il successo, la conquista dei vertici
del sapere e dell’arte) ma esclude ogni fantasticheria, in
quanto si presenta nei livelli di attività intellettuale e
pratica rilevabili nell’etnogenesi. Il passionario è il
contrario del tipo armonioso e addomesticato, adattato
alla vita presente, rappresentante dell’ethnos statico.
L’ipotesi di Gumilev fa derivare la passionarnost dalla
biosfera, studiata da Vernadskij, che contiene più
energia di quella necessaria per sostentare l’equilibrio
energetico dei viventi, ed è probabilmente causata da una
sorta di micro-mutazioni che alterano gli ormoni umani
e/o il sistema nervoso. Essa muta radicalmente
l’ambiente sociale e naturale, influenzando la psicologia
e il comportamento umano e determinando l’emergere
improvviso di un nuovo ethnos, identificabile per uno
stereotipo comportamentale unico. Le persone che hanno
questo carattere (passionarnost) agirebbero in modo tale
che la somma delle loro azioni non può che rompere
l’inerzia della tradizione e inaugurare nuove etnie,
avviando un processo di etnogenesi, con un notevole
impatto nella storia. I legami tra etnie, d’altra parte,
oggetto di attento studio nelle opere storiche di Gumilev
sui popoli della steppa e sulle origini dell’antica Russia
in rapporto a Bisanzio e all’Occidente 12, portano alla
creazione di un superethnos, una nozione che potrebbe
spiegare le ragioni profonde del progetto russo di Unione
economica eurasiatica così come le ambizioni
egemoniche russe ad Est, nell’area dello spazio ex-
sovietico. Gumilev è entrato a far parte del Pantheon dei
12
7

pensatori ufficiali della Federazione russa, diventando un


autore importante dell’ideologia di Stato della Russia
contemporanea. I suoi libri sono una parte importante
della vita intellettuale e politica della Russia di oggi e
potremmo dire che ispirano gli orientamenti prevalenti
della sua politica estera di espansione e riappropriazione
della spazio ex-sovietico negli ultimi 15 anni.
La teoria etno-sociologica di L. Gumilev presenta delle
caretteristiche singolari:
Per un verso, la teoria di Gumilev si presenta come un
rigido determinismo che riduce la sociologia all’etnicità
e spiega l’etnogenesi con riferimento ad alcune realtà
oggettive del mondo naturale, quali l’ambiente o il
territorio geografico e la biologia che giocano un ruolo
decisivo nella nascita e nello sviluppo dell’etnicità,
accanto ai sistemi della lingua, relazioni sociali, processi
evolutivi, autocoscienza. In questo caso sembra che la
teoria dell’etnogenesi riproponga una versione positivista
della sociologia, della storia e dell’etnologia, una sorta di
geologia della storia.
Dall’altro Gumilev introduce nei fattori decisivi che
determinano i processi di etnogenesi elementi soggettivi
e difficilmente determinabili sul piano empirico (si pensi
alla passionarnost’ e al il ruolo dei condottieri di popoli)
che rinviano ad una visione mistica: una concezione
energetica dell’eccesso di energia che sarebbe per ipotesi
l’origine di tutti i cambiamenti socio-etnici.
Il problema diventa quindi, una volta accolta questa
ipotesi, il cui valore è decisivo per l’impianto esplicativo
del sistema, quello di accertarne l’origine, cioè
identificare la fonte principale di questa energia.
Nel cap. 5 di Etnogenesi e biosfera l’argomento viene
affrontato. Nel cercare questa origine, cioè la spiegazione
dei comportamenti soggettivi che danno luogo ai
processi di etnogenesi, Gumilev è sedotto da un rigido
8

determinismo, che molti critici hanno definito


“comportamentismo”. In effetti riduce la psicologia
individuale (e la sua libertà) a quella etnica e sociale che
dovrebbe spiegare lo stereotipo del comportamento (che
permette di identificare un tipo etnico differenziandolo
da un altro) che trova una spiegazione nelle necessità di
conservazione e di crescita del sistemo etnico. Insomma
il modello dell’etnogenesi, fatta astrazione dalle
interferenza esterne deve far capo ad un fattore X che ne
spiega il movimento e che costituisce una “invariante”.
Prencdendo le mosse dalla generalizzazione empirica
Gumilev rileva che la formazione di un nuovo ethnos
parte da un’attività propositiva legata al cambiamento di
un ambiente sociale o naturale, per conseguire un
obiettivo superiore alla propria esistenza data, che si
oppone all’istinto di conservazione degli individui,
rompe l’inerzia della tradizione e inizia nuove etnie: la
passione, intesa come il conduttore dell’etnogenesi
(Hegel e Engels). La passione rimanda alla sfera
emozionale e implica il ricorso alla psicologia, violando
un divieto della sociologia classica (comtiana in
particolare). La psicologia però è intesa da Gumilev
come psicologia del comportamento umano ed è
strettamente legata alla fisiologia. Così il pensiero etno-
sociologico di Gumilev sembra oscillare tra
antipositivismo e positivismo. E’ il determinismo
positivista alla fine che sembra l’ultima parola del
sistema, quando perfino la sfera del subconscio viene
ridotta ad una funzione dell’attività nervosa superiore.
Anche le emozioni, in particolare le passioni, sono
rilevabili nel momento in cui generano attività e codici di
comportamento.
9

Potrebbero piacerti anche