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Antoine de Saint-Exupéry, Volo di notte, Milano, Mondadori, 1967

“L’évenement en marche compte seul”1

Il volo di notte è l’ingresso nella notte, “simile ad un tuffo”. E’ la perdita delle


sicurezze, una cerimonia funebre, foriera di morte.
Persino nel nostro immaginario, la notte e le tenebre rinviano al sonno e alla morte.
Il romanzo racconta una sfida oltre i limiti, che è uno sputo in faccia alla morte.
Misurarsi con essa è fare l’esperienza dl limite del nulla. La notte in volo è metafora
di questa accelerazione eroica. La notte “rivela l’uomo: richiami, luci, inquietudine”2
Il cielo è per Fabien, il pilota aereopostale, un mare di golfi e di luci lontane…
Il cielo diventa mare in burrasca, mare in riposo, ampiezza da colmare, infinità che il
pilota affronta in un testa a testa di ogni attimo.
Il nemico è l’uragano3. Si naviga come in un paese in guerra, si “tirano gli equipaggi
sino alla riva” 4. La notte è come “un mare di flussi e riflussi e di misteri” 5, un
insieme di “cose mobili, invisibili dal caos delle quali bisognava uscire, a forza di
braccia, come da un mare”5. Antoine de Saint_Exupèry scommette su questa triade, il
cielo, la notte e il mare. Persino il un petto del pilota somiglia, nei fugaci momenti
dedicati agli affetti e alle passioni, agli occhi della moglie, ad una bella nave6.
Metafore marine ovunque che appaiono strane per un romanzo la cui vocazione
principale è l’eroismo e il brivido del pilota di biplani. Così Rivière e i suoi piloti
sono “come uomini imbarcati sulla stessa nave che provano uno stesso desiderio di
vincere”7.
E flussi, sciabordii, venti e tempeste si alzano sino alle vette del cielo…
Il cielo, divenuto mare in questa fusione di elementi, è contaminato dalle sue energie.

De Saint-Exupéry ci fa volare sulle ali della morte, inoltrare nelle tenebre dove le
forze elementari sono radunate per un convegno luttuoso…Siamo lanciati, con
Fabien, nel buio, nel vortice di un uragano che supera le Ande, nell’insicurezza degli
strumenti tecnici, nella panne e nell’atterraggio fuori campo. Siamo soprattutto, con i
piloti comandati dal direttore Rivière, lanciati fuori di noi stessi, poi ispezionati da
Robineau.
Non è il volo, in realtà, ma la notte il centro di attrazione, il punto di magia del libro.
La seduzione delle tenebre di morte, del limite che si osa varcare, verso il nulla si
esercita ad ogni pagina.
Spie appena percettibili segnano il sentiero, che è una processione funesta, un corteo
di ombre, verso il suo infausto epilogo. Il tempo del volo, del rischio si apre, si
rischiara, azzera le piccoli e ignobili passioni della piccola borghesia e le
preoccupazioni sapienti di una borghesia sciocca, della classe dell’attesa e del ricavo,
della classe dei funzionari e dei calcoli, della vita domestica e dei circuiti di
provincia8, in una parola della miseria che rode come un “eczema morale” l’esistenza.
La notte è certamente anche l’oscuro dell’anima, il recesso in cui si nasconde l’io,
che solo una grande sfida dell’essere può far saltare fuori. Fabien si nasconde.
Soltanto alla guida del suo aereo, soltanto come corriere postale è un uomo.
Libro potente, vibrante di lirismo e di “etica dell’azione”? Non lo crediamo. Il
romanzo contiene, semmai, una disposizione e un appello all’azione che,
inevitabilmente, “distrugge delle felicità”9, un inno alla vita che esige un sacrificio.
L’aristocratico autore del “Volo di notte” è figlio di un eroismo nichilista o, almeno,
cinico, minoritario, amaro.
Nelle pagine di Antoine de Saint-Exupery si respira la stessa aria di “ Nelle tempeste
d’acciaio” di Ernst Jünger : un brivido attraversa la schiena, di fronte alla “terribile
agonia”, che denuncia la precarietà della condizione umana, degli abitanti della “terra
degli uomini”. Si contempla la notte come una morte che giunge a grande velocità o
come una volta che abbraccia città e paesi, si sprofonda in essa, pregiudicando ogni
possibilità di soccorso, tagliando ogni via di fuga, perché si sta già percorrendo una
via di uscita. Ci si scaglia come un dardo contro gli ostacoli della notte, per esulare
dalla prigione della piccolezza. Essa è lo spessore contro cui si urta “come contro un
muro”10. Trarsi fuori dal cuore della notte, dalla sua maledizione, come da un
pericolo, da una solitudine che annienta, da un peso insopportabile. Il volo di notte è
finalmente sempre una “chance de mort”, una probabilità di morte 11 di cui si ha
paura12. E’ la paura che “paralizza gli uomini dinanzi all’ignoto” 12. Ma non ferma
Fabien:

“Fabien quella notte erra sullo splendore d’un mare di nuvole, ma, più in giù, c’è l’eternità. Egli è
perso tra le costellazioni ov’è solo. Egli tiene ancora il mondo tra le sue mani e lo fa ondeggiare
contro il suo petto. Stringe nel suo volante il peso della ricchezza umana, e porta, disperato, da una
stella all’altra, l’inutile tesoro che sarà costretto a restituire...”13 (p. 85).
1 Vol de nuit, ed. francese, Gallimard, 1955, p. 172.( “Soltanto l’avvenimento in cammino ha
qualche importanza”). La trad. ital. di C. Giardini, Mondadori, Milano, 1967, p.100. Tutti i
riferimenti che seguono si riferiscono a questa ed. italiana.
2 Ed. cit. p.12.
3 Ed. cit. p. 37.
4 Ed. cit. p.13.
5 Ed. cit. p.14.
5 Ed. cit. p.41.
6 Ed. cit.p.50, ma cfr. per le metafore marine le pp. 53, 61, 63, 72, 81, 90, 92.
7 Ed.cit. p.57.
8 Ed. cit. p.39.
9 Ed. cit. p.74.
10 Ed. cit. p.37.
11 Ed. cit. p.45.
12 Ed. cit. 50.
12 Ed.cit. 57.
13 Ed. cit. 85.

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