Isaak Babel, L’armata a cavallo, Edipem, Novara, 1974
“L’armata a cavallo” è una raccolta di 35 brevi racconti
che raccontano le gesta della prima armata della Cavalleria sovietica di Semyon Budennyi durante la guerra sovietico-polacca Babel era un corrispondente di guerra al seguito della cavalleria sovietica. La guerra sovietico-polacca, che si protrasse fino al 1921, fu un capitolo militare strettamente connesso alla guerra civile interna alla giovane repubblica sovietica nata dalla rivoluzione del 1917, e venne combattuta dall’Armata rossa contro le forze controrivoluzionarie bianche dei generali zaristi e dei nemici esterni (polacchi e ucraini). Fu un tentativo fallito di esportare la rivoluzione oltre i confini della Russia. Babel pubblicò i suoi racconti dapprima su varie riviste e periodici sovietici, anche sulla Pravda, tra il 1923 e il 1925. I racconti furono raccolti in volume nel 1926. Molti altri racconti vari ed inediti toccano gli stessi temi dell’Armata a cavallo. Il libro, d’altra parte, non è un semplice resoconto di eventi bellici o una cronaca della condizione degli uomini in guerra, tra stupri, fucilazioni, sciabolate di cosacchi, fame, disperazione. Il libro ha l’ampio respiro di un’epopea, con forti declinazioni simboliste ed è scritto con una lingua apparentemente sincopata, densa, preziosa, finemente cesellata. Cede spesso al fantastico, all’evasione, ed è molto lontano dal registro del realismo. “I soldati movevano cantando dietro a loro [Vorosilov e Budennyj], e un pallido acciaio brillava nel siero acquoso di un sole autunnale”, “Cesnicki”). Ne "L'armata a cavallo" la battaglia è sempre un evento funereo, un "velo" che si avvicina...l'annunzio è il gelo della morte, così vicina nella sua imminenza. Le figure rappresentative delle religioni, siano essi cristiani o ebrei, non si distinguono dagli altri uomini. 2
La guerra è vista soprattutto come lutto, crudeltà e morte,
teatro della stupidità, della vigliaccheria, della bestialità dell'uomo, con pochi esempi di fraternità e solidarietà. Al tempo stesso è celebrata come un'impresa epica, una lotta contro l'impossibile. Il nemico è "il serpente che ci attanaglia". Ma nelle file rosse c'è amicizia tra i commilitoni e i comandanti (Budennyi e gli altri) che assumono il ruolo di eroi omerici. Il mondo contadino è estraneo alla guerra, in quanto lo è alla storia, legato alle credenze magiche appena appena nascoste sotto la scorza della fede cristiana ortodossa ed offre soltanto qualche caso di santità, come il pastorello Sashka il Cristo, che si arruola nelle file della cavalleria rossa. Si descrivono diversi personaggi tipici del mondo russo e polacco, un po' come avviene nelle Memorie di un cacciatore di Turgenev, ma in modo spesso fantastico, bizzarro, in una dimensione trasfigurata della realtà che ricorda talvolta Bulgakov. L’opera riprende il mito dei Cosacchi, già presente in Puskin, Gogol, Lermontov, Tolstoj, ma questa volta l’interesse prevalente è ideologico.
La passione rivoluzionaria spinge l’autore a schierarsi
contro i nemici del bolscevismo: nobili polacchi, nazionalisti ucraini, preti e gesuiti cattolici, ebrei tradizionalisti ed apostati, settari e scismatici. I simboli religiosi in particolare e le vecchie fedi legate al passato sono l’oggetto di una dissacrazione e di una critica sulfurea, che raggiunge la blasfemia nei confronti del cristianesimo, come nel racconto Il peccato di Gesù, 1924. Accanto a questo aspetto gioca un ruolo importante l’ironia, di cui la violenza rivoluzionaria è per così dire l’esecutrice. È dunque una violenza dissacratoria (cfr. La mia prima oca) e in apparenza nemica di ogni fede religiosa (cfr. Il rabbino) a sostenere la scrittura preziosa, turgida, estremamente concentrata e insieme mobile di Babel, che, com’è stato notato, spesso si avvicina a quella del 3
formalista V. Sklovskij del “Viaggio sentimentale.
Memorie 1917-1922”. In realtà l’autore, sotto il nome Ljutov (K. Ljutov è lo pseudonimo che Babel corrispondente di guerra usava per i suoi articoli sul Cavalleggiere rosso) che è l’alter ego narrante dei racconti dell’Armata a cavallo dichiara le sue posizioni: è schierato con la rivoluzione secondo l’interpretazione di Trockij, più volte nominato insieme a Lenin e Vorosilov.
Una folla di personaggi popola i racconti, da Pan Apolek,
prete fuggiasco in compagnia del suonatore cieco Gottfried, i cui dipinti sacri prendono in prestito i volti da personaggi locali discutibili a Gedali, al rabbino Motale e suo figlio Elia, a Budennyi e Kolesnikov, Saska il Cristo, Pavlicenko (Timoshenko), il cosacco vendicativo Prishepa, Khlebnikov. Konkin, il traditore Maslakov, il capoplotone Afon’ka Bida, il “babbino” anarchico Machno, il diacono finto sordo Ageev, Balmascev, Saska la grassa, dama di tutti gli squadroni e Tichomolov il cosacco del Terek che uccide i prigionieri. Viene rievocato il mondo delle bettole ebraiche, delle taverne polacche, delle credenze degli scismatici e dei settari delle sette cristiane e dell’ebraismo chassidico (“Il chassidismo teneva stretti in soffocante prigionia quell’attiva popolazione di bettolieri, di merciaioli e di sensali” (Berestecko), i collaboratori del Cavalleggere rosso (Di sera), i personaggi del mondo contadino, della Volinia e della Galizia, animati da sentimenti tradizionalisti o infiammati dall’odio di classe (“”I contadini accorrevano di buona voglia alla chiamata [nella fanteria dell’Armata a cavallo], e si battevano con zelo straordinario. La loro ansimante ferocia contadina meraviglia perfino gli uomini di Budennyi, Il loro odio per i proprietari polacchi era costituito di materiale di scarsa apparenza, ma solido” (Afon’ka Bida), le figure della classe nobiliare e proprietaria polacca e ucraina e i fanatici dell’antisemitismo: 4
(“Il polacco è un cane malvagio. Afferra l’ebreo e gli
strappa la barba”, Gedali). La perfezione nella misura della scrittura e l’efficacia dello straniamento metaforico si raggiunge con il racconto Il figlio del rabbino. Babel scrive con la precisione di un talmudista e l’immaginazione del sognatore, del cabalista. Il rapporto, complesso, ambiguo ma essenziale, con il giudaismo diventa così il cuore della sua esperienza di militante dell’Armata a cavallo ma viene nel testo mantenuto sullo sfondo, mentre diventa il corpo della narrazione autobiografica nei Racconti di Odessa e in altri racconti come Sabos- Nachmu, dove le tradizioni popolari ebraiche sono descritte secondo la modalità dei racconti popolari russi. Nei racconti dell’infanzia (Storia della mia colombaia) il rapporto profondo con il giudaismo non si distingue dal rapporto con le figure parentali, i toni diventano iperbolici e fiabeschi. Babel è critico verso l’osservanza dei precetti secondo il punto di vista di un ebreo assimilato alla cultura russa. Il polo della memoria e la ricostruzione dell’infanzia stringono il complesso rapporto che lega Babel all’ebraismo. Nella sua devozione agli ideali rivoluzionari comunisti Babel cerca la sua redenzione messianica attraverso la mitologia ebraica e cristiana. Il giudaismo non è focalizzato soltanto in rapporto alla lotta di classe e allo scontro tra rossi e bianchi nella guerra civile come uno dei mondi in conflitto tra loro (ma anche lacerato in sé stesso e sterile sulla scena della storia). Esso senza dubbio rappresenta la costellazione di origine della scrittura di Babel. Nel racconto Sabos-Nachmu, che ha come protagonista l’ebreo povero Gersele di Ostropol, l’autore fa i conti in modo diretto e profondo con un ebraismo magico e 5
visionario, accompagnando la sua ricerca con un pizzico
di ironia, cui appartiene la storia della sua spiritualità.
Sembra opportuno confrontare la scrittura di Babel con
quella di Solokov. Solokov attinge alle sorgenti profonde de sentimento attraverso la descrizione di eventi storici e di eventi naturali, così che il suo realismo alimenta il suo lirismo. In Babel il preziosismo delle metafore elimina ogni possibilità descrittiva intesa come passiva riproduzione del flusso degli eventi. Quello di Babel è un lirismo trattenuto ma intenso, che deve soddisfare la curiosità dello spirito prima ancora del riconoscimento di oggetti e persone. È un mondo trasfigurato, come quello di Bulgakov, che apre squarci sul fiabesco, sul mondo incantato cifrato nei quadri di Chagall. È assente nella scrittura di Babel la funzione pedagogica e scientifica del realismo letterario.
Questi racconti formano un poema epico che non
celebra le gesta straordinarie di eroi, ma la loro vita ordinaria, la loro umanità insieme crudele e sublime. Si tratta di un realismo che non tarpa le ali all’immaginazione. I racconti sollevano lo sguardo sulla vita quotidiana dei combattenti e dei loro nemici, sull’ambiente sociale in cui agiscono, devastato dalla morte e dalla distruzione bellica. Questi brevi testi sono collegati da un filo come perle di una collana e sono connessi l’uno all’altro secondo una precisa composizione. Lo sguardo sulle cose non è cinematografico, è frantumato ma acuto. È un mondo popolato di rabbini, di intendenti, di mendicanti, di mercanti, di osti e di soldati, di donne cosacche e polacche, infermiere sovietiche, degenerati (Prisepa), cavalli (Storia di un cavallo), comandanti, musicisti, pittori, girovaghi, sradicati, preti, diaconi, rinnegati. La furia giocosa e terribile della rivoluzione trionfa sempre su tutto e tutti: 6
“andiamo a morire per un cetriolo e per la rivoluzione
mondiale” (p.72). Questo stuolo numeroso di tipi, di gesta, di caratteri umani diventano un’orchestra che suona sotto il cielo plumbeo della guerra e avanza rappresentando il suo spettacolo. Il conflitto che lacera questi mondi si scatena: il mondo cosacco unito dalla tradizione, il mondo cattolico, dei proprietari terrieri, dei nobili e dei preti polacchi in fuga all’arrivo delle truppe sovietiche, il mondo dei villaggi ebraici dell’Europa orientale (Lezione sulla Tacanka) descritto da J. Roth in Ebrei erranti (1927), il mondo chiuso del chassidismo (cfr. Il caposquadrone Trunov) e delle dispute con gli ebrei ortodossi, il mondo dei vagabondi e dei delinquenti. La rivoluzione offre la materia e la forma di un nuovo messianismo storico. L’obiettivo ultimo è la “rivoluzione mondiale” (p.106), una trasformazione della storia universale di cui l’Armata a cavallo vuole testimoniare l’epopea.