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Un falso processo?
Gli atti del processo1 istruito contro il Maresciallo di Francia, già compagno
d’armi di Giovanna D’Arco, Gilles de Rais (o de Retz secondo altra trascrizione dal
bretone) dimostrano la costruzione di un teorema di falsificazione. I documenti
processuali, che dovrebbero contenere gli elementi di certezza probatoria del
processo, ecclesiastico, inquisitorio, secolare diventano la dimostrazione della
falsificazione dei fatti, dei personaggi, dell’ambiente, delle responsabilità, delle
azioni e degli effetti. Dopo essere stati pubblicati, ma in maniera lacunosa e purgati
dai riferimenti agli aspetti più scabrosi degli eventi, dall’ abate Eugène Bossard nel
1885, che fu contestato già nel 1921 da “Ludovico Hernandez” con la traduzione
letterale (ma carente, secondo G. Bataille) del processo canonico e la riproduzione di
quello civile, presieduto dal magistrato di Bretagna Pierre de L'Hôpital2 i documenti
del processo divennero poi oggetto d’esame da parte di Georges Bataille, che si
avvalse della collaborazione di Pierre Klossowski per la traduzione delle minute in
latino dei verbali del processo ecclesiastico. Questo processo, nel suo significato
reale, è la costruzione di un personaggio mitico, di un mostro, “il più abietto
criminale di tutti i tempi”, che diventerà, nelle rivisitazioni letterarie, il Barbe-Bleu
della leggenda popolare, ripresa da C. Perrault3 e l’Ogre di M. Tournier, che ha
dedicato al personaggio compagno d’armi di Giovanna d’Arco un romanzo, Gilles e
Jeanne4. Nel X volume delle Opere complete di Georges Bataille è contenuto lo
studio che smaschera la falsificazione contenuta nella fama di Gilles de Rais, detto
Barbablù. Il vero problema è il personaggio, che acquista un ruolo lontano dalla
realtà storica, come in una messa in scena teatrale o in un testo narrativo. Il punto di
forza del lavoro di Bataille è la ricostruzione cronologica degli avvenimenti e un
1 Le procès de Gilles de Rais (1965), tr. Renzo Guidieri, Il processo di Gilles de Rais, Guanda, Parma 1982. I rimandi
nel testo si riferiscono all’ed. francese di G.Bataille, Il processo di Gilles de Rais, in Opere complete, vol. X,
Gallimard, 1987
2 L. Hernandez (pseudonimo di Fernand Fleuret), Le procés inquisitorial de Gilles de Rais avec un essai de
réhabilitation, Paris, Bibliotheque des curieux, 1921.
3 C. Perrault, Barbablù, in, Idem, Racconti di mamma l’Oca (Contes de ma mère l'Oye) di C. Perrault nel 1697. Vedi
il testo della prima versione:
https://fr.wikisource.org/wiki/Histoires_ou_Contes_du_temps_passé_(1697)/Original/La_Barbe_bleue
4 M. Tournier, Gilles e Jeanne, Milano, Garzanti, 2001.
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esame rigoroso dei documenti dell’epoca conservati. Gilles de Rais ha a che fare con
il crimine e il peggio in senso eminente. G. Bataille, nella sua scrittura che intende
decifrare l’abisso del male, dell’eros e della morte, resta affascinato dalla vicenda di
Gilles de Rais. I crimini di Gilles de Rais acquistano ai suoi un valore privilegiato,
sono un vertice del peggio. La reazione della folla alla sua esecuzione lo segnala. La
sua violenza e il suo agire senza scrupoli sono un eccesso che comanda un destino,
che non fu mai governato dal calcolo. Insomma, Gilles de Rais ha, nel male, la sua
grandezza e il suo splendore, è un personaggio da tragedia, l’uomo che un immenso
disordine scatenava. Egli si dedicava – come crede Bataille - a orge di sangue e
sperperava immense fortune per un lusso e una pompa da sovrano. E’, insieme, nei
termini del pensiero di Bataille, l’eroe del dispendio e della catastrofe, ma anche un
uomo estremamente violento, ebbro di sangue, le cui fortezze suscitavano timore
nella folla sottoposta ad un regime di oppressione feudale. Come segnala Bataille,
che crede alla sua colpevolezza, ma denuncia in ogni caso diverse e gravi irregolarità
negli atti del processo, c’è qualcosa di demente e di teatrale in lui, che lo spinge a
rappresentare se stesso, a confessare i propri crimini, vere e proprie carneficine, con
passione da esibizionista e a celebrare con il suo processo il suo ultimo atto di
pentimento e la sua appartenenza al sacro. E’ indubbio che la storia sia stata
falsificata, per adattarla alla leggenda popolare dei contadini rappresentata nella
letteratura successiva. I riferimenti, le concordanze, nel segno malato dell’analogia e
dell’immaginazione, hanno prodotto la sostituzione nel corso del tempo di una
memoria romanzata ai fatti, della leggenda alla storia. Il caso di Gilles de Rais è
diventato un luogo di immaginazione popolare, il mostro che terrorizza le campagne,
mentre i fatti potevano essere ricostruiti soltanto sulla base di documenti veridici. G.
Bataille si pone questo compito: ne risulta una ricostruzione del processo inquisitorio
che si rivela anomalo e lacunoso in più parti e che dimostra la volontà di eliminare
Gilles de Rais da parte dei suoi nemici (il duca di Bretagna e il vescovo di Nantes,
Jean de Malestroit, che presiede il tribunale che lo accusa) per impadronirsi del suo
immenso patrimonio. I fatti parlano chiaro e confortano l’ipotesi di Bataille: prima di
tutto l’episodio della vendita di un castello a Guillaume Le Ferron, fratello di
Geoffroy, tesoriere del duca di Bretagna, Jean V; poi l’azione di forza compiuta da
Gilles de Rais contro il fratello del tesoriere, un ecclesiastico, Jean Le Ferron, in un
luogo dotato di immunità, durante l'ufficio liturgico, per riprendersi il castello di
Saint-Étienne de Mer-morte. Sono queste le azioni che lo posero in una via senza
uscita. Il processo contro di lui così si sviluppa da una falsificazione spacciata per
verità, che l’immaginazione popolare riceve e conserva nel tempo, all’insegna di una
potente teatralizzazione, nel contesto di un passaggio storico epocale con il
capovolgimento dei rapporti di classe che determinano l’inabissamento dell’ordine
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feudale cui Gilles de Rais era legato. Jean de Malestroit, vescovo di Nantes e
cancelliere del Duca di Bretagna, che istruì il processo con l’appoggio del Duca, era
un nemico personale giurato di Gilles de Rais e le testimonianze, pur numerose,
contro l’imputato risultano poco credibili, integrate successivamente con elementi
tratte dalle deposizioni dei rei confessi. Ad un’attenta analisi le imprecisioni e le
incongruenze, nei documenti del processo penale, si moltiplicano. La stessa
confessione dell’imputato, estorta previa tortura, ricalca l’atto d’accusa e le
testimonianze a suo carico. Tutto, insomma, sembra costruito ad arte. Persino l’anno
di inizio dei crimini contemplati nell’atto di accusa, nel quale gli sono imputati
l’evocazione di demoni e l’uccisione di numerosi bambini resta incerto: è il 1426
secondo la deposizione di Poitou suo “bambino di camera” e complice, come dice
l’atto d’accusa, secondo il quale tutto avrebbe avuto inizio nel 1426, 14 anni prima
del processo5 o il 1427 (durante la guerra dei Trent’anni) o il 1432-33 (anno della
morte del nonno Jean de Craon o il periodo prossimo ad essa), secondo gli stessi
ricordi dell’imputato? Nel 1437, 40 corpi di bambini, di età compresa tra i 6 e i 18
anni, furono scoperti a Machecoul. Nessun nesso, se non una ricostruzione a
posteriori, li collegava ai misfatti di Gilles de Rais. Bisogna però rilevare che lo
stesso numero di uccisioni di bambini (“centoquaranta o più...”6) non è ben
determinato. Il “reo confesso” afferma di non ricordare più il numero delle sue
vittime7. Le testimonianze che si riferiscono ai fatti, accaduti in giurisdizioni anche
diverse, non sono concordi. Il processo ecclesiastico del vescovo di Nantes, quello
dell’Inquisizione, istruito da Jean Bloyn, vicario dell’Inquisitore, e quello secolare del
Tribunale di Bretagna si sovrappongono. Nessun elemento probatorio di riscontro
esiste di tale presunta carneficina in connessione con la persona di Gilles de Rais. Si
riferisce, nella confessione dell’imputato, di eliminazione delle prove, di
riesumazione dei resti e riduzione dei corpi in ceneri, poi disperse 8, ma nessun
riscontro oggettivo, neppure il cadavere o i resti di un solo bambino, lo conferma.
Salomon Reinach concluse che il processo era una frode, perché le testimonianze
degli accusatori furono fabbricate con la corruzione e la violenza. Nella seconda parte
del suo scritto Bataille esamina i dati in dettaglio. Non gli sfugge il peso politico, di
classe, dell’avvenimento del processo e dell’esecuzione del Maresciallo di Francia,
compagno d’armi di Giovanna d’Arco, Gilles de Rais: la giustizia si era attivata
rapidamente, dopo l’episodio dell’azione di forza di Saint-Étienne-de-Mer-Morte,
mentre tempo prima non si sarebbe mossa per fanciulli morti di fame sgozzati da un
5 Cfr. G. Bataille, op.cit., p.305. L’autore riconosce che sulle prime morti di bambini il processo dà due “indicazioni
contraddittorie”.
6 Cfr. G. Bataille, op.cit., pp.425-6, con riferimento alla documentazione processuale.
7 Cfr. Documenti del processo ecclesiastico, in G. Bataille, op.cit. p.488.
8 Cfr. op.cit., ivi, p.488 e 489.
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L’io di Jekill diventa regressivo, sempre più debole, rispetto a quello, vincente, di
Hyde. Il falso io, l’altro sé stesso26 divora minuto dopo minuto il vero io. Il doppio del
moralista e benpensante vittoriano è l’angelo del demonio, il lascivo e violento Hyde.
Ma cosa significa questo inarrestabile cambiamento? Jekill viene riassorbito in
Hyde27, le identità svaniscono, la falsificazione vince. Il doppio del moralista e
benpensante vittoriano è l’angelo del demonio, il lascivo e violento Hyde.
Evidentemente bisogna riconoscerli per quello che sono, cioè due componenti della
stessa personalità di Stevenson: quella addomesticata, etica, dell’educazione
vittoriana ricevuta e quella della fuga alle isole Samoa. Ma cosa significa questo
inarrestabile cambiamento? Jekill viene riassorbito in Hyde 28, le identità svaniscono,
la falsificazione vince.
Si tratta di uno scarto nel quale nessuna misura di distanza e di vicinanza, ancor
meno di identità tra vero e falso è possibile, nel quale il simile è insieme la
simulazione e la dissimulazione e nel quale il simulacro guadagna a danno sia della
verità che della falsificazione. Le leggi dell’ospitalità e la continua inversione dei
ruoli determinano, in Klossowski, un potente effetto di enigmaticità. La situazione di
enigmaticità esorcizza, seduce e paralizza, insieme, rendendole impossibili, sia la
verità, in ogni sua manifestazione, che il falso.
30 Vedi F. Impellizzeri, L’autofabulation erotique de Roberte dan l’oeuvre de Pierre Klossowski, in Illuminazioni,
n.43, gennaio-marzo 2018.
31 M. Foucalt, La prose d'Actéon, in La Nouvelle Revue française, n. 135, mars 1964, pp. 444-459.
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conclusione sconsolata:
“La logica è bensì incrollabile, ma non resiste ad un uomo che vuol vivere. Dov’era il
giudice che egli non aveva mai visto? Dove il supremo tribunale fino al quale non era
mai arrivato? Alzai le mani e allargai le dita” 35
L’ambiguità, la vischiosità, l’indefinito e il rinvio illimitato, l’esilio dalla verità
e dal mondo regnano sovrani in Kafka. Nel Processo il nome del protagonista,
l’arresto senza detenzione durante la visita di due uomini nella sua abitazione, i capi
d’imputazione, la data, i tempi e i modi di svolgimento del processo nel quale è
imputato, la stessa esecuzione della condanna senza una sentenza: tutto è
indeterminato. In tali condizioni diventa impossibile parlare di verità. Il mondo
kafkiano è la terra in cui pullulano le falsificazioni. Neppure la promessa di un
cambiamento è possibile. La nostra prospettiva non darà luogo ad una visione
migliore. La zona intermedia tra il dentro e il fuori, il vero e il falso, si allarga a
dismisura. Ma vogliamo qui soffermarci, per concludere, su due brevi testi, il
frammento Un messaggio dell’imperatore (1917) e il brevissimo inserto Davanti alla
legge (1914), che sono stati entrambi raccolti nei Racconti. In Un messaggio
dell’imperatore36 si pone in discussione la stessa possibilità di emettere un ordine,
attraverso la trasmissione della legge. Una legge non comunicata, non resa pubblica,
non può pretendere l’obbedienza. Ma colui che riceve il messaggio, che è anche il
messaggero dell’imperatore, non riesce a trovare una via d’uscita, ad uscire dal
palazzo, dai cortili, dalla città imperiale. La sua trasmissione diventa un compito
assurdo, interminabile, indeterminabile. In Davanti alla legge37 l’accesso stesso alla
legge è impedito dai guardiani, l’uomo che chiede di entrare giunge sino alla morte
senza riuscire ad entrare davanti alla legge. L’ingresso è chiuso. Le aspirazioni dei
soggetti alla verità, alla giustizia, resteranno tali. La variabile tempo, l’interminabile,
vanifica ogni progetto, attraverso un rinvio che si conclude con la morte o con la
rinuncia finale alle loro speranze. L’indeterminato, il vischioso, occulta la verità, la
depotenzia, la cela per sempre e ne rivela l’irrealtà. E’ il dominio sovrano della
falsità, il mondo della simulazione-dissimulazione che teorizza Baudrillard. L’ordine
delle cose, l’ordine delle apparenze, non può più essere confinato o circoscritto né in
un soggetto né in un oggetto e neppure in una relazione tra di essi. E’ ormai la stessa
verità ad essere violentata e sottoposta ad una perversione come “sottrazione
dell’identità e dell’essere.” 38