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Tommaso D'aquino - La Somma Teologica. Esistenza e Natura Di Dio Vol. 1 (1984, ESD - Edizioni Studio Domenicano) PDF
Tommaso D'aquino - La Somma Teologica. Esistenza e Natura Di Dio Vol. 1 (1984, ESD - Edizioni Studio Domenicano) PDF
TOMMASO D'AQUINO
LA SOMMA
TEOLOGICA
TRADUZIONE E COMMENTO
A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI
TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA
I
ESISTENZA E NATURA DI DIO
(I, qq. 1-13)
I
Scopo e unità della «Summa Theologiae •·
1 - S. Tommaso ha voluto dare al trattato dell'essenza di Dio,
ovvero al De Deo Uno come dicono i moderni, una posizion<.:J di
preminenza nel piano generale della Somma Teologica. E:-:sen·
dosi proposto, come si esprime nel Prologo, " di esporre la ctot-
trina sacra con la maggior brevità e chiarezza consentila da tuie
materia», " nel modo più confacente alla formazione dei prin-
cipianti», egli decise.di ridurre a stretta unità questa dolfrina,
collegandola, secondo un intrinseco ordine, a un principio su-
premo, clie gli permettesse di renderla nella sua integrità più
accessibile alla ragione, e nello stesso tempo di evitare tutti gli
inconvenienti di lungaggini, superfluità, confusioni, che si ri-
scontravano nei testi scolastici proposti fino allora agli studenti.
Una dottrina ha la sua intrinseca unità dal soggetto che
tratta, e dalla luce intelligibile che illumina questo soggetto, e
nella quale viene considerato. Ora la teologia ha come soggetto
Dio. Il principio, quindi, che unifica l'opera dell'Aquinate, è Dio.
Ma Dio può essere conosciuto alla luce della sola ragione; op-
pure dalla ragione illuminata dalla Rivelazione. La luce, secondo
la. quale questo soggetto altissimo viene considerato nella teo-
logia sacra, è la Rivelazione.
L'unità quindi di tutta l'opera è data da questa semplice pro-
posizione, che contiene in germe tutta la teologia: " Dio consi-
derato non solo secondo quello che di lui si può conoscere attra-
verso alle creature, ma anche secondo quello che di se stesso egli
solo conosce, e a noi viene comunicato per Rivelazione» (q. 1,
aa. 6 e 7).
Tutto ciò, dunque, che si tratterà nella teologia sarà o Dio stes<>O;
o cose che hanno un qualche ordine a lui. E nulla in e.ssa
dovrà trovar luogo, se non in virtù di quest'ordine, illuminato
non dalla sola ragione, ma anche e soprattutto dalla juce so-
prannaturale della Rivelazione. Il trattato di Dio considerato
nella sua essenza contiene in germe tutta la teologia.
8 ESISTENZA E NATURA DI DIO
II
La Teologia come scienza.
III
Funzione della ragione e della cultura nella teologia.
IV
Le questioni riguardanti l'esistenza di Dio.
V
Il punto di partenza delle cinque vie
e la sua importanza.
VI
Riassunto delle cinque vie.
VII
Il primato dell'essere e dell'intelletto.
VIII
I limiti della nostra conoscenza di Dio.
IX
Vitalità perenne dei principii tomistici.
1 Sulla teologia negativa dei neoplatonici cfr. LOSSKY VL., in R. Se. Ph.
111 i>nl,, 1939, pp. 204, S:>.
TNTRODUZIONE
P. MARCOLINO DAFFARA, o. P.
CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME
I) l'esistenza (q. 2)
I
1) semplicità di Dio (q. 3).
a) in se medesima (q. ''·
~) perfezione in generale
~~
1)
b) nelsuosinonimo (q. 5).
A) oggettii'amente:
come è in se che è la bontà 2) la bontà di Dio
La Dottrina sacra, stessa, o, me- (q. 6).
~lio, .. come non
~
a) nell'essere (q. 7).
o Teologia (q. 1), e• 3) infinità
b) in rapporto al luogo: l'ubiquità (q. 8).
a) in se stessa (q. 9).
~
ha per oggetto
4) immutabilità
Dio Il) la natura b) nella eternità che ne deriva (q. 10).
5) unità (q. 11).
l
di cui nel trattato
Il dottore della verità cattolica deve istruire non solo gli iniziati
ma anche i principianti, secondo il detto dell'Apostolo: "quasi ~
bambini in Cristo vi ho dato del latte da bere, non del cibo solido ,,
perciò l'intento che ci proponiamo in quest'opera è ,di esporre tutt~
ciò che concerne la religione cristiana nel modo più confacente alla
formazione dei principianti. .
Abbiamo infatti notato che i novizi in questa disciplina trovano
un grande ostacolo negli scritti di vari autori: in parte per la mol-
teplicità di questioni, articoli e argomenti inutili ; in parte anche
perchè le cose che essi devono imparare non sono insegnate secondo
l'ordine della materia, ma come richiede il commento di dati libri 2
o l'occasione della disputa;' e finalmente anche perchè quel ripetere
sempre le medesime cose ingenera negli animi degli uditori fastid:o
e confusione.
Cercando quindi di evitare questi e altri simili inconvenienti, ten-
teremo, confidando nel divino aiuto, di esporre la dottrina sacra con
la maggiore brevità e chiarezza consentita da tale materia. •
strl successi vi trovarono più comodo servirsi di quel compendio come traccia per
le loro lezioni.
I commenti alle Senter.ze avevano in principio il carattere di glosse e miravano.
principalmente a ciare una sp!egaziono dei concetti di questo libro. In seguito le
cose cambiarono radicalmente: le parole di Pietro Lombardo divennero un pre-
testo qualsiasi nelle mani del commentatore che vi ricamava Intorno le più s.va-
rl:tte questioni teologiche. Basterà citare come esempio classico di questo nuovo
genere il Commentartum tn Quatuor Lfliros Sententtarttm di S. Tommaso ~tesso.
che tu la prima grande opera del giovane Baccelliere Italiano. Da analoghi ten-
tativi poco felici nasceva quelh pletora di questtont, dt artlcozt e tU tirgomentt
imtttlt. e qucne rtpettztont che tnyenerav1mo neqlt antmt deglt ud!tort fasttdto e
ronfustone. - Nonostante tutto, I grandi teolog·i continuarono a commentare le
~enlenze di Plet.ro Lombardo, che rinrnsero libro di testo nelle scuole di teologia
'1.no al secolO XVI (c!r. GRABMANS M., • Cornmentatlo hlst. In Pro!. "• Ang., rn~6.
pp. 146 ss.).
• O<>n questa espres5tone • come richiede l'occasione della disputa .... " S. Tom-
m~so allude ad altri clue generi letterari! In uso tra I cultori della scienza sacra,
cioè alle Qunesttones disputarne e alle Quaesr.tones quodlHle/ales. Le prime, come
dice Il nome stesso, erano le rielaborazioni scritte delle dispute solenni, tenute dal
maestri con una certa frequenza durante l'anno accademico. Le altre, questioni
de q11oltbet, cioè di vari e disparati m~omentl, erano trattate dal maestri due
volte all'anno, prima di Natale e avanti Pasqua.
• Nonostante la inoppn~nabile esistenza del difetti lamenta.ti da S. Tommaso
nel compendi teologici dci suol tempi, e la riuscita non meno evidente del suo
manu,,le, que~to venne adottato come testo scolastico, e quindi come base di com-
mentarli e di lezioni, soltanto dopo tre secoli. Si cominciò, pare, In fierman!a, a
commentare regolarmente la Somma; e il metodo nuovo si Impose definitivamente-
In Ispagna per merito di Fr:incesco di Vittoria e del movimento da lni creato.
QUESTIONE i
La dottrina sacra: 1 quale essa sia
e a quali cose si estenda.
ARTICOLO 1
Se oltre le discipline filosofiche sia necessario ammettere
un'altra scienza. 2
ARTICULUS 1
Utrum sit neeessarium, praeter philosophicas disciplinas,
aliam doetrinam haberi.
11-11, q. !I, aa. s. 4: I Se11t .• Prol.. a. 1: I Cont. Gent., cc. 4, 5:
De veiit., q. 14, a. 10.
dum quod: RISPONDO " e si estende per tutto il • corpo dell'articolo "· Lo svolgi
mento di questa parte non avviene secondo uno schema uniforme, ma presenta la
più ricca varietà, secondo la diversità del problemi e Il concatenamento delle que-
stioni già trattate. Ora vi si indica senz'altro la te&i e la si prova; ora vi si fa pre-
cedere un excursus storico ; ora vi si richiamano principi! già dati ; ora se ne pon-
gono dei nuovi e si deduce come conclusione la tesi. E qui che s. Tommaso dà
prova di mantenere fede al metodo di chiarezza, di brevità, di coerenza, promesso
nel Prologo. Anche nella forma logica questa parte ha grande varietà, senza nep-
pur l'ombra di quella rigidità formalistica di sillogismi, di cui si fece tanto abuso
nella scolastica posteriore.
D) Infine si sciolgono le difficoltà, ossia si discutono gli argomenti portati nella
disputa. (Ad prtmum ergo). Tali argomenti non vengono rigettati se non nella
parte che non concorda con la dottrina esposta nel corpo dell'articolo. Il resto
s• intende apJ)rovato. L'arirornento SPd <'Ontrn raramente è discusso, ('SSPndo In fa-
vore della parte che generalmente è quella di S. Tommaso ; ma non è da conside-
rarsi sempre come argomento che S. Tommaso fa suo. La risposta avviene se-
condo I prlncip!I posti nella soluzione data ; ma talvolta è occasione di ulteriori
precisazioni, che completano la dottrina del Maestro (cfr. BI.ANCHE F. A., O. P.,
•Le vocabulalre de l'argumentatlon et la structure de l'article dans les ouvrages
de s. Thomas d'Aquln •, in R. Se. Ph. Théot., t925, pp. 167 ss.; tdem, • Sur la lan-
gue technlque de s. Thomas d'Aq. "• in Rev. de Phttosophte, 1930, pp. 7-30).
1 Tali obiezioni furon rinnovate dal moderno razionalismo, che ha accusato
1--i teologia di essere una dottrina Inutile, non vitale, supponente l'uomo Imper-
fetto nella •ua stes'a natura, lesivB qnindi della rna dignità e della sua autono-
mia. E di essa pertanto non cl si dovrebbe curare, bastando all'uomo la filosofia,
suprema saggezza, al cui giudizio tutto l'universo è sottomesso (cfr. DENZ •• 1710;
LA DOTTRINA SACRA 43
2. PRAETEREA, doctrina non potest esse nisi de ente: nihil enim sci-
tur nisi verum, quod curo ente convertitur. Sed de omnibus entibus
tractatur in philosophicis disciplinis, et etiam de Deo: unde quae-
dam pars philosophiae dkitnr thcologia, sive scientia divina, nt p~
tet per Philosophum in 6 Metaphys. [c. 1, lect. 1). Non fuit igitur ne-
cessarium, praeter philosophicas disciplinas, aliam doctrinam ha-
beri.
SED CONTRA EST quod dicitnr .2 ad Tim. 3, #6: cc omnis scriptura di-
vinitns inspirata utilis est ad docendum, ad arguendnm, ad corri-
riiendum, ad erudiendum ad iustitiam n. Scriptura autem divinitus
inspirata non pertinet ad philosophica,; disciplinas, quae sunt secun-
dum rationem humanam inventae. Utile igitur est, praeter philoso-
phicas disciplinas, esse aliam scientiam di\'initns inspiratam.
RESPONDEO DICENDUM quod necessarium fuit ad humanam salutem,
esse doctrinam quandam secundum revelationem divinam, praeter
philosophicas disciplinas, quae ratione humana investigantur. Primo
quidem, quia homo ordinatur ad Deum sicnt ad quendam finem qui
comprehensionem rationis excedit, secundnm illud Isaiae 64, 4: cc ocu-
lus non vidit Deus absque te, quae praeparasti diligentibus te n. Fi-
nem autem op.ortet esse praecognitum hominibus, qui suas intentio-
nes et actiones debent ordinare in finem. Cnde necessarium fuit ho-
mini ad salutem, quod ei nota fierent quaedam per revelationem di-
vinam, quae rationem humana.m excedunt.
Ad ea etiam quae de Deo ratione humana investigari possunt, ne-
cessarium fuit hominem instrui revelatione divina. Quia veritas de
Deo, per rationem investigata, a paucìs, et per longum tempus, et
cum admixtione multorum errorum, homini proveniret: a cuius tar
men veritatis oognitione dependet tota hominis salus, quae in Deo
est. Ut igitur salus hominibus et convenientius et certius proveniat,
necessarium fuit quod de divinis per divinam revelationem in-
struantur.
1814 ; 2085 ss.). Per questo la teologia è stata espulsa in Italia dalle università e
non ebbe più culto se non nelle scuole ecclesiastiche. Vedremo come le risposte
di S. Tommaso trionfino di codeste accuse e dimostrino l'utilità perenne della
scienza sacra.
2 Nell'argomento tn contrarto può trovar posto il fatto storico innegabile, che
fu la dottrina sacra, sgorgata dalla Rivelazione, a rinnovare le Idee e la vita nel
mondo, dopo l'avvento del Cristianesimo. E<~a ha detto parole nuove, alte, J'e-
conde, che nessuna filosofia (ne1,pure quella di Platone e di Aristotele) seppe dire.
La. sua. utilità dunque è Indiscussa.. E la sua espulsione dalle università fu un
misconoscimento e una grave ingiustizia.
• Questo argomento trae tutta la sua forza dalle due verità seguenti: 1) che la
ragione umana non è in grado di conoscere tutta la realtà divina; che anzi il
più e li meglio di Dio - per cosi dire - naturalmente le sfugge. C'è quindi campo
per la Rivelazione. La filosofia non è In grado di conoscere tutto l'essere. 2) Clie
proprio a questa superiore Intima conoscenza di Dio l'uomo è stato ordinato dal
Creato1·e. La prima verità è dimostrata a lungo nel Contra Genltles (1. 1, c. 3);
la seconda è dimostrata nella Seconda Parte di qnest.'opera (I-II, qq. 1, 2), dove
sl indaga espressamente intorno al fine ultimo dell'uomo.
' Più ampiamente queste ragioni sono sviluppate nel t Cont. Gent., c. 6. La
considerazione che qui fa s. Tommaso può esser·e documentata da tutta la sto-
rta della fil-0sofia e delle religioni: le altissime verità rellg!ose e r<:orali, pur
tanto necessarie alla rettitudine della vita, non furono raggiunte se non da po-
chissimi sapienti, dopo molte fatiche, tentennamenti e dubbi e non senza mesco-
lanza di detestabili errori nel loro stessi sistemi. Anche al nostri tempi le verità
religiose naturali (esistenza di Dio, sua distinzione dal mondo, immortalità del-
l'anima .... ) sono misconosciute e combattute dal filosofi che si affidano alla sola
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 1-2
ARTICOLO 2
Se la sacra dottrina sia scienza.•
ARTICULUS 2
Utrum sacra doctrina sit scientia.
Il ·li, q. t, a. 5, ad 2 ; I Sent., Prol., a. 3, qc. 2 ; De Vertt .. q. 14, a. 9, ad 3 :
De Trtntt., q. 2, a. 2.
ARTICOLO 3
Se la sacra dottrina sia una scienza unica.
SEMBRA che la sacra dottrina non sia una sci.enza unica. Infatti:
1. Secondo il Filosofo "una è la scienza che tratta un soggetto di
un sol genere». Ora, Creatore e creatura, di cui tratta la sacra dot-
trina, non sono soggetti di un medesimo genere. Perciò la sacra dot-
trina non è scienza unica.
2. Nella sacra dottrina si tratta di angeli, di creature corporee e
di umani costumi. Tali soggetti appartengono a differenti scienze
filosofiche. Conseguentemente la sacra dottrina non è scienza unica.
IN CONTRARIO : La sacra Scrittura parla di essa come di scienLa
unica: "Gli dett~ la scienza dei santi».
RISPONDO: La sacra dottrina è un'unica scienza. E infatti l'un:tà
della potenza e dell'abito si deve desumere in relazione all'oggetto,
non preso nella sua materialità., ma sotto l'aspetto formale di og-
getto: cosi, p. es., uomo, asino e pietra convengono nella medesima
ragione formale di colorato, oggetto [formale unico] della vista. Sic-
~nità e I suoi Umlti. E~sa non ha l'evidenza del suoi prlncipll, ma Il crede;
questi princlpll sono evidenti a Dio e cl sono comunicati da lui, che è verità as-
solutamente infallibile.
LA DOTTRINA SACRA 47
2. PRAETEREA, scientia non est singularium.. Sed sacra doctrina tra-
ctat de singolari.bus, puta <le gestis Abrahae, Isaac et Iacob, et simi-
lihus. Ergo sacra doctrina non est scientia.
SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, /4 De Trinit. [c. 1]: (( Huic
scientiae attribuitur illud tantummodo quo fides saluberrima gigni-
tur, nutritur, defenditul'., roboratur ». Hoc autem ad nullam scien-
tiam pertinet nisi ad sacram doctrinam. Ergo sacra doctrina est
scientia.
RESPONDEO DICENDUM sacram doctrinam esse scientiam. Sed scien-
dnm est quod duplex est scientiarum genus. Quaedam enim sunt,
quae procedunt ex principiis notis lnmine naturali intellectus, sicut
arithmetica, geometria, et huiusmodi. Quaedam vero sunt, quae pro-
cedunt ex principiis notis lumine superioris scientiae: sicut per-
spectiva procedit ex principiis notificatis per geometriam, et musica
ex principiis per arithmetiram notis. Et hoc m-0do sacra doctrina. est
scientia: quia procedit ex principiis notis lumine superioris scien-
tiae, qua.e scilicet est scientia Dei et beatorum. Unde sicut musica
credit principia tradita sibi ab arithmetico, ita doctrina sacra credit
principia revelata sibi a Deo.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod principia cuiuslibet scientia.e vel
sunt nota per se, vel reducuntur ad notitiam superioris scientiae.
Et talia sunt principia sacrae doctrinae, nt dictum est [in corp.].
AD SECUNDUM DICENDUM quod singularia traduntur in sa.era do-
ctrina, non quia de eis principaliter tractetur: sed introducuntur tum
in exemplum vitae, sicut in scientiis moralihus; tum etiam ad decla-
randum auctoritatem virorum per quos ad nos revelatio divina pro-
cessit, super quam fundatur sacra scrir,tura seu doctrina.
ARTICULUS 3
Utrum sacra doetrina sit una seientia.
Infra a. 4; I Sent., Prol., aa. 2, 4.
An TERTIUM sic PROCEDITUR. Videtur quod sacra doctrina non sit una
scientia. Quia secundum Philosophum in I Poster. [c. 28, lect. 41]:
«una srientia est quae est unius generis subiecti "· Creator autem et
creatura, de quibus in sacra doctrina tractatur, non continentur sub
uno genere subiecti. Ergo sacra doctrina non est una scientia.
2. PRAETEREA, in sacra doctrina tractatur de angelis, de creaturis
corporalibns, de moribus hominum. Huiusmodi autem ad diversas
scientias philosophicas pertinent. Igitur sacra doctrina non est una
scienti a.
SED CONTRA EST quod Sacra Scriptura de ea loquitur sicut de una
scientia: dicitur enim Sap. 10, IO: « dedit illi scientiam sanctorum"·
RESPo~nEo UICENDUM sacram doctrinam unam scientiam esse. Est
e;nim unitas potentiae et habitus consideranda secundum obiectum.
non quidem materialiter, sed secundum rationem formalem obiecti:
puta homo, asinus et lapis conveniunt in una formali raUone colo-
'
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 3-4
ARTICOLO 4
Se la sacra dottrina sia una scienza pratica.
rati, quod est obiectum visus. Quia igitur sacra scriptura considerat
aliqua secundum quod sunt divinitus revelata, secundum quod di-
ctum est [a. 1, ad 2], omnia. quaecumque sunt divinitus revelabilia,
communicant in una ratione formali ohiecti huius scientiae. Et ideo
comprehenduntur sub sacra dÒctrina sicut sub scientia una..
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod sacra doctrina non determinat de
Deo et de creaturis ex aequo: sed de Deo principaliter, et de creatu-
ris secundnm quod referuntur ad Deum, ut ad principium vel ftnem.
Unde unitas scientiae non impedit.ur.
AD sECUNDUM DICENDUM quod nihil prohibet inferiores potentias vel
habitus di versiftcari circa illas materias. qnae commnniter cadunt
sub una potentia vel habitu superiori: quia superior potentia vel
habitus respicit obiectum sub universaliori ratione formali. Sicut
obiectum sensus communis est sensibile, quod comprehendit sub se
visibile et audibile: unde sensus communis, cum sit una potenti a,
PXtendit se ad omnia obiecta quinque sensuum. Et sirniliter ea quae
in diversis scientiis philosophicis tra.ctantur, potest sacra doctrina,
una existens, considerare sub una ratione, inquantum scilicet sunt
divinitus revelabilia: ut sic sacra doctrina sit velut quaedam im-
pressio divinae scientiae, quae est una et simplex omnium.
ARTICULUS 4
Utrum sacra doctrina sit scientia practica.
I Sent., Prol., a. 3, qc. 1.
l'uomo, come la morale degli atti umani e l'edilizia degli edifici. Ora,
la Racra dottrina tratta principalmente di Dio, del quale l'uomo, è
piuttosto fattura [che fattore]: essa non è dunque scienza pratica
ma piuttosto speculativa.
H.ISPONDO: Abbiamo già detto che la sacra dottrina, pur essendo
una, si estende agli oggetti delle varie scienze filosofiche a motivo
della ragione formale, o aspetto speciale sotto cui li riguarda, cio~
in quanto conoscibili mediante il lume divino. Per questo, sebberni
tra le scienze filosofiche alcune siano speculati.ve ed altre pratiche,
pure la sacra dottrina comprende sotto di sè i due aspetti; come
anche Dio con la medesima scienza conosce se stesso e le sue opere.
Tuttavia è più speculativa che pratica, perchè si occupa più delle
cose divine che degli atti umani, dei quali tratta solo in quanto per
essi l'uomo è ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale
consiste la beatitudine eterna.
Con ciò restano sciolte le difficoltà.
ARTICOLO 5
Se la sacra dottrina sia superiore alle altre scienze.
SEMBRA che la sacra dottrina non sia i:.uperiore alle altre scienze.
Infatti:
1. La certezza di una scienza fa parte della sua dignità. Ora, le
altre scienze, poggiando su principii indubitabili, si presentano come
più certe della sacra dottrina, i cui principii, gli articoli di fede, sono
suscettibili di dubbio. Quindi le altre scienze sono ad essa superiori.
2. E proprio di una scienza inferiore mutuare da un'altra, come
la musica dall'aritmetica. Ora, la sacra dottrina prende qualche cosa
dalle discipline filosofiche, come nota S. Girolamo 1 in una lettera a
Magno: " Gli antichi dottori hanno cosparso i loro libri di tanta dot·
trina e di tante massime dei filosofi, che non sai che cosa più ammi-
rare in essi, se l'erudizione profana o la scienza scritturale n, Dunque
la sacra dottrina è inferiore alle altre scienze.
IN CONTRARIO: Le altre scienze sono chiamate ancelle della teologia,
secondo il detto dei Proverbi: "[la sapienza] ad invitare mandò le
sue ancelle alla cittadella"·
RISPONDO: Questa scienza, essendo del pari speculativa e pratica,
sorpassa tutte le altre sia speculative che pratiche. E infatti tra le
speculative una è più degna dell'altra sia per la certezza, sia per
l'eccellenza della materia. Ora, questa scienza per tutti e due i mo-
tivi eccelle tra le speculative. Q1ianto alla certezza, perchè mentre le
altre scienze la derivano dal lume naturale clella ragione umana
che può errare, essa la trae dal lume della scienza di Dio, che non
può ingannarsi. Parimente le supera per la dignità della materia,
perchè essa si occupa prevalentemente. di cose che per la loro su-
blimità trascendono la ragione; le altre viceversa trattano di cose
accessibili alla ragione.
1 S. Girolamo (c. 347-41!0) è uno dei più dotti Padri della Chiesa. 1'"u nativo di
Strld-0ne In Dalmazia. Eccelle per I dUOi lavori di traduzione e di esegesi della
Mera Scrittura, nella quale fu maestro Insuperabile. S. Tommaso si serve delle
LA DOTTRINA SACRA 51
homine ; ut moralis de actibus horninum, et aedificativa de aedifi-
ciis. Sacra autem doctrina est principaliter de Deo, Clùus magis h<>-
mines sunt opera:. Non ergo est scientia practica, sed magis specu-
lativa.
RESPONDEO DICENDUM quod sacra doctrina, ut dictum est [a. praec.
aù 2), una existens, se extendit ad ea quae p·ertinent ad diversas
scientias philosophicas, propter rationem formalem quam in diver-
sis attendit: scilicet prout sunt divino lumine cognoscibilia. Unde
Ucet in scientiis philosophicis alia sit speculativa et alia practica,
sacra tamen doctrina comprehendit sub se utramque ; sicut et Deus
eadem scientia se cognoscit, et ea quae facit.
Magis tamen est speculativa quam practica: quia principalius agit
de rebus divinis quam de actibus humanis; de quibus agit secundum
quod per eos ordinatur homo ad perfectam Dei cognitionem, in qua
aeterna beatitudo consistit.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.
ARTICULUS 5
Utrum sacra doctrina sit dignior aliis' scientiis.
1·11, q. 66, a. 5, ad 3; I Sent., Prol., a. 1; f Cont. Gent., c. 4.
Ao QUJNTUM sic PROCEDITlTR. Videtur quod sacra doctrina non sit
dignior aliis scientiis. Certitudo enim pertinet ad dignitatem scien-
tiae. Sed aliae sci1mtiae, de LJHarmn principiis dubitari non potest,
videntur esse certiores sacra doctrina, cuius principia, scilicet ar-
tìculi fidei, dubitaiionem recipiunt. Aliae igitur scientiae videntur
ista digniores.
2. PRAETEREA, inferioris scientiae est a superiori accipere, sicut mu-
sicus ab arithmetico. Sed sacra doctrina accipit aliquid a philosophi.
cis disciplinis: dicit enim Hieronymus in epistola ad Magnum Ora-
torem Urbis Romae [ep. 701, quod doctores antiqui «i'ntantum phi-
losophorum doctrinis atque sententiis suos resperserunt libros, ut
nescias quid in illis prius admirari debeas, eruclitionem saeculi, ru1
scientiam Scripturarum ». Ergo sacra doctrina est inferior aliis
scientiis n.
SED COKTR.\ EST quod aliae scientiae dicnntur ancillae huius, Pro'V.
9, 3: "misit ancillas suas vocare ad arcem ».
RESPONDEO DJCEKDuM qnod, cnm ista scientia quantum ad aliquid
sit speculativa, et quantum ad aliquid sit practica, omnes alias tra.n-
Eccndit tam speculativas quam practicas. Speculativarum enim
scientiarum una altera dignior dicitur, tum propter certitudinem,
tum propter dignitatem materiae. Et quantum ad utrumque, haec
scientia alias speculativas scientias excedit. Secundum certitudiriem
quidem, quia aliae scientiae certitudincm habent ex naturali lwnine
rationis humanae, quae potest errare: haec autem certitudinem ha-
bet ex lurnine divinae scientiae, quae decipi non potest. Secundum
dignitatem vero mate1iae, qnia ista scientia est principaliter de his
quae sua altitudine rationem transcendunt: aliae vero scientiae
~onsiderant ea tantum quae rationi subduntur.
-opere di lui specialmente nei suol lunghi commenti teologici alla sacra Scrit·
tura. \
52 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. ~6
ARTICOLO 6
Se questa dottrina sia sapienza. 2
ARTICULUS 6
Utrum haec doctrina sit sipientia.
' Sent., Prol., a. 3, qc. 1, 3; I, Prol., prlnc. ; !I Cont. Gent., c. •·
AD SEXTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod haec doctrina non sit sa-
pientia. Nulla enim doctrina quae supponit sua principia aliunde,
digna est nomine sapientiae: quia « sapientis est ordinare, et non
-Ordinari 11 f Metaphys. [c. 2, lect. 2J. Sed haec doctrina supponit
m.a saptenza ;' ha In modo eccellente anche la dignità che Aristotele attribuisce
••Ila Filosofia Prima o l\1etnfiska, quella cioè di essere «principe e re~olatrice di
tutte le scienze, quasi dea delle scienze• (Metap11 .• A 2. l'S3a, 8). La sapienza ha in
comune con la scienza di dedurre conclusioni certe e dimostrate dai p1·oprl prln·
cipll; ma ne differisce per la più alta dignità In quanto considera le altissime
tra le cause e riallaccia ad esse le proprie conclusioni ; giudica quindi delle cose
da un tribunale più alto e più universale (cfr. I, q. 14, a. 1. ad 2). E chia.ro allora
perchè la sacra dottrina ha diritto al titolo di sapienza in sommo grado: essa
è superiore a tutte le scienze umane, anche alla suprema tra esse, di cui pur3,
come dirà S. T.ommaso, è in qualche modo giudice; e non ha sopra di sè che la
scienza divina di cui è più diretta partecipazione. S. Tommaso rileva che es.~a
non è solo conoscitiva di Dio, ma è altresl direttiva della vita umana, la quale,
es;endo partecipe rlella divina natura mediante la grazia ed ordinata alla frul·
zlone di Dio. deve essere retta non solo da ragioni umane, ma soprattutto da
ragioni divine (II-II, q. 19, a. 7).
L:A..._§_Q.MMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 6
trae dal di fuori i suoi principii, come è chiaro da quel che si è visto.
Dunque essa non è sapienza.
2. Alla sapienza tocca stabilire i principii delle altre scienze; ond' è
considerata da Aristotele « quale capo» delle scienze. Ma questa dot-
trina non stabilisce i ptincipii delle altre scienze. Quindi non è sa-
pienza.
3. Questa dottrina si acquista con lo studio, mentre la sapienza
si ha per infusione, tanto che da Isaia è annpverata tra i sette doni
dello Spirito Santo. Essa non è dunque sapienza.
IN coNTR-ARIO: Nel Deuteronomio è detto della legge: "Sarà questa
la nostra 1 sapienza ed intelligenza nel giudizio dei popoli 11.
RISPONDO: Questa dottrina, fra tutte le sapienze umane, è sapienzà
in smnmo grado, e non già in un sol genere di oggetti, ma assolu-
tamente. Ed infatti siccome spetta al sapiente ordinare e giudicare,
e siccome d'altra parte, i!i giudicano le cose ricorrendo alle loro
cause superiori, sarà in un dato genere sapiente colui che consi-
dera le cause supreme di questo genere. P. es., in fatto di edifici,
colui che dà il disegno della casa è il sapiente e prende il nome di
architetto in confronto agli artieri sottopoRti, i quali piallano il le-
gname e preparano pietre, ecc. Anche S. Paolo dice: « Come saggio
architetto ho posto il fondamento», Parimente rispetto al complesso
della vita umana, sapiente è l'uomo prudente che indirizza tutti gli
atti umani al debito fine. Di qui il detto dei Proverbi: «La sapienza
serve all'uomo di discernimento». Colui, adunque, che considera la
causa suprema dell'universo, che è Dio, è il sapiente per eccellenza :
cosicchè, al dire di S. Agostinp, s la sapienza è conoscenza delle cose
divine. La sacra dottrina poi in modo più proprip si occupa di Di:>
in quanto causa suprema, perchl> non si limita a quel che se ne può
conoscere attraverso alle creature (ciò che. hanno fatto anche i filo-
sofi, come dice l'Apostolo: cc quel che si sa di Dio è stato loro pale-
sato»), ma si estende anche a quello che di se stesso egli solo co-
nosce e ad altri viene comunicato per rivelazione. Quindi la sacra
dottrina è detta sapienza, in sommo gradp.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ! 1. La sacra dottrina non mutua i suoi
principii da nessuna scienza: umana; ma dalla scienza divina, dalla
quale, come da somma sapienza, è regolata ogni nostra cpgnizione.
2. I principii delle altre scienze o sono evidenti e indimostrabili, o
sono provati razionalmente da una scienza superiore. Ora, la cogni-
zione propria di questa scienza si ha per rivelazione, non già per
naturale ragionamento ; e quindi non spetta ad essa dimostrare i
principii delle altre scienze, ma solo giudicarli: ed invero, tutto riò
che in queste scienze si ritrova in contrasto con la verità di questa
scienza, è condannato come falso, secondo il detto di S. Paolo: cc Noi
distruggeremo i [falsi] ragionamenti e ogni rocca elevata contro la
conoscenza di Dio 11, •
3. Siccome il giudicare spetta al sapiente, un duplice modo di giu-
dicare dà luogo ad una duplice sapienza. Accade infatti che uno gin-
i La Volgata non ha nostra ma Vl'stra. Da questo e da altri casi simili risulta
che s. Agostino citava spesso a memoria i passi della Scrittura.
• s. Agostino (354·430i è, dopo Dionigi Il Mistico, Il Padre della Chiesa citato da
S. Tommaso con maggiore frequenza. Luminare della filosofia, della teologia e
della santità, dall'Affrlca. Romana àove nacque e mori (fu vescovo di Ippona) dif-
fuse con le ~ue molte opere la luce di una calda sapienza in tutta la Chiesa e
LA DOTTRINA SACRA 55
principia sua aliunde, ut ex dictis patet [a. 2]. Ergo haec doctrina
non est sapientia.
2. PRAETERE.\, ad sapientiarn pertinet probare principia aliarum
scientiarum: unde ut caput dicitur scientiarum, ut 6 Ethic. [c. 7,
lect. 6] patet. Sed haec doctrina non probat principia aliarum scien-
tiarum. Ergo non est sapientia.
3. PRAETEREA, haec doctrina per studium acquiritur. Sapientia au-
tem per infusionem habetur: unde inter septem dona Spiritus Sancti
connumeratur, ut patet Isaiae 11, 2. Ergo haec doctrina non est sa-
pientia.
SED CONTRA EST quod dicitur Deut. 4, 6, in principio legis: « haec est
nostra sapientia et intellectus coram populis n.
RESPONDEO DICENDUM quod haec doctrina maxime sapientia est inter
omnes sapientias humanas, non quidem in aliquo genere tantum,
sed simpliciter. Cum enim sapientis sit ordinare et iudicare, iudicium
autem per altiorem causam de inferioribus habeatur; ille sapiens
dicitur in unoquoque genere, qui considerat causam altissimam illius
generis. Ut in genere aedificii, artifex qui disponit formam domus,
dicitur sapiens et architector, respectu inferiorum artificum, qui do-
lant ligna vel parant lapides: unde dicitur I Cor. 3, IO: "ut sapiens
architector fundamentum posui ». Et rursus, in genere totius huma-
nae vitae, prudens sapiens dicitur, inquantnm ordinat humanos actus
ad debìtwD finem : un de dicitur Prov. 10, 23: « sapientia est viro
prudentìa 11. Ille igitur qui considera.t simpliciter altissimam causam
totius universi, quae Deus est, maxime sapiens dicitur: unde et sa-
rientia dicitur esse « divinorum cognitio n, ut patet per Augnstinum,
12 De Trinit. [c. 14]. Sacra autem doctrina propriissime determinat
de Deo secundum quod est altissima causa: quia non solum quan-
tum ad illud quod est per creaturas cognoscibile (quod philosophi
cognoverunt, ut dicitur Rom., 1, 19: « quod notum est Dei, manife-
stum est illis ») ; sed etiam quantum ad id quod notum e8t si bi soli ò.e
seipso, et aliis per revelationem communicatum. Unde sacra do-
ctrina maxime dicitur sapientia.
AD PRIMUM ERGO DICENDUi\1 quod sacra .doctrina non supponit !-Ua
principia ab ali qua scientia humana: sed a scientia divina, a qua,
sicut a summa sapientia, : omnis nostra cognitio ordinatur.
An SECUNDUM DICENDUM quod aliarum scientiarum principia vel
sunt per se nota, et probari non possunt: vel per aliquam rationem
naturalem probantur in aliqua alia scientia. Propria autem huius
scientiae cog-nitio est, quae· est per revelationem: non autem quae est
per naturalem rationem. Et ideo non pertinet ad eam probare princi-
pia aliarum scientiarum, sed solum iudicare de eis: qnidquid enim in
aliis scientiis invenitur :veritati huius scientiae repugnans, totum con-
demnatur ut falsmn: unde dicitur 2 Cor. 10, 4 s.: cc consilia destrnen-
tes, et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei».
AD TERTIUM nrcENDl'M quod, cum iudicium ad sapientem pertineat,
secundum duplicem modum iudicandi, dupliciter sapientia accipitur.
fu maestro autorevolissimo In tutti i tempi. Circa il suo lnftusso sul pensiero di
S. Tommaso cfr. Introd. Gen., nn. 32 ss.
3 E chiaro pertanto Il pensiero di S. Tommaso: la teologia è suprema sapienza,
ma di altro ordine che la filosofia, la quale è suprema nel genere delle scienze
<lii pura ragione. (Circa i rappc-rtl tra teologia e scienza profana cfr. lntl'od..,
nn. 7-11).
56 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 6-7
ARTICOLO 7
Se Dio sia il soggetto [di studio] di questa scienza.
ARTICULUS 7
Utrum Deus sit subiectum huius scientiae.
Supra, a. 3, ad 1 ; I Sent., Prol., a. 4 ; De Trtntt., q. 5, a. 4.
AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit subiectum
huius scientiae. In qualibet enim scientia oportet supponere de su-
hiecto quid est, secundum Philosophum in 1 Poster. [c. 1, lect. 2]
Sed haec scientia non supponit de Deo quid est: dicit enim Damasce.
nus [De Fide Orth., I. 1, c. 4]: «in Ileo quid est, dicere impossibile
est». Ergo Dcus non est subiectum huius scientiae.
2. PRAETEREA, omnia quae determinantur in aliqua scientia, com.
fll'ehenduntur sub subiect.o illius scientiae. Sed in sacra scriptura de·
1crminntur de multis aliis quam de Ileo, puta de creaturis, et de
moribus hominum. Ergo Deus non est subiectum huius scientiae.
SED CONTRA, illud est subiectum scientiae, de quo est sermo in scien-
tia. Sed in hac scientia fit sermo de Ileo: dicitur enim theologia, quasi
senno ae Deo. Ergo Deus est subiectum huius scientiae.
RESPONDEO DICENDUM quod Deus est subiectum huius scientiae. Sic
€nim se habet subiectum ad scientiam, si.cut obiectum ad potentiam
vel habitum. Proprie autem illud assignatur obiectum alicuius po-
tentiae vel habitus, subi cuius ratione omnia referuntur ad potentiam
vel habitum: sicut homo et lapis referuntur ad visum in quantum
sunt colorata, unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia
autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei: vel quia sunt
ipse Deus ; vel quia hnhent ordinem ad Deum, ut ad principium et
finem. Unde sequitur quod Deus vere sit subiectum huius scientiae.
- Quod etiam manifestum fit ex principiis huius scientiae, quae sunt
~ S. Gtovannt di Damasco, detto Il Damasceno, visse alla fine dell'età dei Padri
dal 675 c. al 749. E l'ultimo grande teologo dell'antica Chiesa greca. Nella sua
più completa e celebre opera teologica De Ftde orthodllxa confluisce Il meglio
della speculazione dd Padri greci. E una specie di manuale assai sapientemente
ordinato e completo. Tradotto In latino da Burgundio da Pisa c. Il 1150, e più
volte ritradotto nei secoli successivi, ha messo la copiosa ricchezza del pensiero
del Padri greci alla portata degli Scolastici del Medioevo, contribuendo alla so-
uda formazione della scienza teologica.
LA SOMMA TEOLOGICA, I. q. 1, aa. 7-8
dente anche dai principii di questa scienza, che sono gli articoli della
fede, la quale riguarda Dio: identico infatti è il soggetto dei principii
e dell'intera scienza, giacchè tutta la scienza virtualmente è conte-
nuta nei principii.
Altri, tnt1avia, guardando più alle cose trattate in questa scienza
che al punto di vista sotto il quale vengono considerate, ne hanno
assegnato diversamente il soggetto: chi le cose e i segni, chi le opere
della redenzione, 1 chi tutto il Cristo, cioè il Capo e le membra. 2 Di
tutte queste cose, è vero, tratta la sacra dottrina, ma secondo cl .e
dicono ordme a Dio.
SOLUZIO!\E DELLE DIPFICOLTÀ: 1. È vero che di Dio noi non possiamo
conoscere l'essenza; nondimeno in questa dottrina, per far ricerca
delle cose riguardanti Dio, ci serviamo di alcuni effetti, di natura o
di grazia, prodotti da Dio medesimo, in luogo di una definizion~
limpossibile]. Proprio come si fa in alcune discipline filosofiche,
quando si dimostra un e11unciato circa uua causa mediante un suo
effetto, prendendo leffetto in luogo della definizione della ca.usa.
2. R bensì vero che tutte le cose di cui tratta la sacra dottrina sono
comprese nel termine Dio, non però come parti o specie o accidenti,
ma in quanto a lui in qualche modo sono ordinate.
ARTICOLO 8
Se questa dottrina proceda con metodo dialettico.
SEMBRA che questa dottrina non proceda con metodo dialettico. In-
fatti:
1. Dice S. Ambrogio: • cc Togliete via gli argomenti, ove si richiede
1 •Le cose e I segni "• secondo Pietro Lombardo, del quale si è· ratto cenno a
p. 38, nota 2, compendiavano Il soggetto della teologia (cfr. I Sent., d. 1, 1). Le cose:
cioè DI.o nella sua natur,1 e nei suoi attributi (I. 1 delle Sentrnze): le creature
di Dio: gll angeli, l'uomo, Il mondo corporeo, la caduta dell'uomo (1. 2); l' in-
carnazione, la vita di grazia, le leggi (I. 3); t seant: cioè t Sacra·mentt che pre-
parano l'uomo al conseguimento del fine ultimo (I. 4). Tale è la suddivisione della
celebre opera di Pietro I.omharrlo. Ugo 1lt S. l'illore (t 1141) luminare della. scuola
teologica del Canonici regolari di S. Vittore a Par·igl (Scuola det t'illurint) In-
dicava come soggetto della scienza sacra "le Opere della Ltedem1one '" l'intelli-
genza delle riuall Importa realmente tutta la materia della teologia (cfr. De Sn
cramentts christtanae {l.det, Pro!., 2).
2 Questa era la sentenza dl Rolierto dt Metun ft 1167), le cui opere, tuttora Ine-
dite, hanno molta importanza per illuminare l'amiJiente culturale anlèriore a
S. Tommaso (cfr. MARTIN R., « L'oeuvre théologique de Il.de llf. '" In nev. 1!' htst1.tre
ecci., 1914, pp. '56 ss.: Idem, • Les ldées de n. de M. sur le peché ortginel •, In
R. Se. PII.. Théol., 1913, pp. 700 ss.; ANDERS F., Dte Chrlstotogte des R. V. M. Parler
bon, 1927)
Oggi c'è una certa tendenza a preferire di nuovo questa sentenza: oggetto
della teologia essere 11 Crtsto totale (cfr. MERSCH E., •I.e Chrlst mystlque cent1 e
de la théologie comme science "• In Nouv. Rev. lliéotogtque, tv34, pp. 449 ss.; tdem,
• L'objet de la théologle et le Chrtstus totns '" in Ret:IL de se. relig., 1!l26, pp. 12:>
ss.; LAENER F., • Das Zentralobjekt der Theologle •, In Zettschrlft f. 1wth. Theol.,
1939, pp. 1 ss.; RAHNER H., Elne Theologte der Verki!ndtguna, 193!l; STOLZ A., •ne
theologia. Kerygmatlca •, In Ana .• 1940, p. 337; CERI.IN! G., Vi persona dt Cristo, c. IV,
1940; PARENTE P ., La teotogta nella Luce dt Crtsto, •Il simb.olo '" vol. III, 11p. 85-118).
Ma ru giustamente osservato che la Scienza sacra si chiama teotogta e non Crfalo-
logta, sebbene Il Cristo abbia una parte centralissima In essa, e che sarebbe espres-
LA DOTTRINA SACRA 59
articuli fidei, quae est de Doo: idem autem est subiectum principio-
rum et totius scientiae, cum tota scientia virtute contineatur in prin-
cipiis.
Quidam vero, attendentes ad ea quae in ista scientia tractantnr,
et non ad rationem secundum quam considerantur, assignaverunt
aliter subicctum huius scientiae: vel res et signa ; vel opera. repara-
tionis; vel totum Christum, idest caput et membra. De omnibus enim
istis tractatur in ista scientia, sed secundum ordinem ad Deum.
An PRIMt:J\1 ERGO DICENDUM quod, licet de Deo non possimus scire
quid est, utimur tamen eius effectu, in hac doctrina, vel natura.e vel
gratiae, loro defìnitionis, ad ca quae de Deo in hac doctrina consi-
derantur: sicut et in aliquibus scientiis philosophicis demonstratur
aliquid de causa per effectum, accipiendo effectmn loco definitionis
causa e.
An SECUNDUM DICENDUM quod omnia alia quae determinantur in
sacra doctrina, comprehenduntur sub Deo : non ut partes vel species
vel accidentia, sed ut ordinata aliqualiter ad ipsum.
ARTICULUS 8
Utrum haec doctrina sit argomentativa.
11-11, q. t, a. 5, ad 2; I Sent., Prol., a. 5: I Cont. Gent., e. 9;
De Trtntt., q. 2, a. 3; Quodltb. 4, q. 9, a. 3.
An OCTAVUM sic PROCEDITIJR. Videtur quod haec doctrina non sit ar-
gumentativa. Dicit enim Ambrosius in :ihro 1 De Fide Catholica
(c. 13): "tolle argumenta, ubi fides quaeritur ». Sed in hac doctri.1a
stona meno propria denominarla Crlstolog·ia. La sentenza di S. Tommaso è più
comprensiva e pili universale (cfr. in Prol., Seni., a. '•) e non esclude affatto la
verità dell'altr-a sentenza; anzi la include per li fatto stesso che il Dio della teo·
logia sacra è Il Dio manifestato nella Rivelazione, il Dio che "parlò al Padri In
molti modi, e in fine, in modo pieno e delìnilivo, parlò a noi nel Figlio, che co-
stitui erede <li tntte le cose e per mezzo dcl quale creò I secoli; Splendore della
sua gloria. Figura della sua sostanza .... " (Ellr., 1, I ss.) non è cl-0è •Il Dio del fllo-
>Oti, <lei pagani, llla il JJio vivente, ii lllo amato, Il Dio che si dona, che appare
nel Cristo " IMEHSCH, • L'objet.. .. ,., tbtdem, p. 156). Però non bisogna troppo esa-
ge-rare la disUlnza che c'è tra Il Dio del filosofi e Il Dio dei teologi o della Rlve-
lazlune, c.0111\:' t"a, p. es., iJ Harth, chian1auUo queHo 11 null'altro che un idolo o;
perehè altrimenti si spezzerehbero l nessi tra la ragione e la fede, tra Il mondo
natunle e li mondo soprannaturale, rendendo perciò stesso sterile ancbe la fede.
Ad ogni modo la sentenza òi S. Tommaso indica più direttamente lo scopo
finale del!a r.;r,.~'7ionc che è la vita eterna, la quale consiste nella Listone dt n:o
(Gto1>., 17, 3). Certamente anche nella visione del Cristo; ma " il Cristo è di Dio •
come dice S. Paolo; ed è la Deità che rende lntelliglhlle Il Cristo. Egli cl beatifl-
chcr;\ princi!'almcnte nella visione della sua Deità, che è quella dd Padre.
Dicendo, dunque, che la teologia ha come soggetto Dio, conosciuto alla luce
della fede, si indica meglio l'nnltà della scienza teologica che è data dal soggetto
stesso. e la suprema formalità 1lluminativa di tutte le Yerità che la teolo!!ia
studia, e l'altissimo fine della sacra dottrina, preparazione alla visione di Dio.
• S. Ambrogto è li famosissimo vescovo di Milano, uno del più grandi pastorj
<!ella Chiesa (330-397). Lasciò scritti pregevoli (Exameron, De tille ad Gmllll-
num, lih. 5, De Sptritu Sancta, llb. 3, De Poentlentia, lib. 2, De lllystertts .... ) che
documentano la sua solida cultura teologica e la sua Instancabile sollecitudine
per la purezza della fede contro le eresie del tempi.
60 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 8
qualche raggio della cultnra filosofica greca. s. Tommaso commentò un suo orm-
scolo filosofico, De Ilebd<>mo·dtrnts; e un suo opuscolo teologico, De Trtnttate
(per lInflusso di Boezio sul medioevo cfr. GRABMANN M., Dte Geschichte des sckol.
Methode, I, pp. 148-177).
Il Gregorio citato da S. Tommaso è S. Gregorio l decorato del titolo di Ma·
rmo (t 60/il, eletto r~pa nel 590; veramente grnnde per le sue gesta cli prudenza
e dl carità In quel tempo durissimo per l'Italia e per la Chiesa. S. Tommaso ne
cita spesso )"opera teologica più Importante, I Moralia tn loò.
• Il Sed contra prende lo spunto dall'argucre della Volgata.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 8-!J
ARTICOLO 9
Se la sacra Scrittura debba usare metafore.
ARTICULUS 9
Utrum sacra Scriptura debeat uti metaphoris.
I Sent., Prol., a. 5; d. 34, q. 3, aa. 1, 2; 3 Cont. Gent., c. 119;
De Trtntt., q. 2, a. 4.
tur. E ccli. 24, 31: cc qui elucidant me, vitam aeternam habebunt ».
Sed per huiusmodi similiturlines veritas occultatur. Non ergo com-
petit huic doctrinae divina tradere sub similitudine corporaliwn
rerum.
3. PRAETLREA, quanto aliquae creaturae snnt sublimiores, tanto ma-
gis ad divinam similitudinem accedunt. Si igit.ur aliquae ex creatu-
ris transumerentur ad Deum, tunc oporteret talem transumptionem
maxime fieri ex sublimioribus crcaturis, et non ex infimis. Quod
tamen in Scripturis frequenter invenitur .
.SED CONTRA EST quod dicitur Osec 12, 10: "Ego visionem multipli-
cavi eis, et in manihus prophetarum assimilatus sum. » Tradere au-
tem aliquid sub similitudine, est metaphoricum. Ergo ad sacram
ùoctrinam pertinet uti metaphoris.
RE'>PONDEO DICENDUM quod conveniens est sarrae Scripturae divi11a
et spiritualia sub similitudine corporalium tradere. Deus enim om-
nibus providet secundum quod competit eot'um naturac. Est autem
naturale homini ut per sensihilia ad intelligibilia veniat: quia omni&
nostra co11:nitio a sensu initium habet. lJndc convenienter in sacra
Scriptura" tradnntur nohis spiritualia sub metaphoris corporalium.
Et hoc est quod dicit Dionysius, 1 cap. Caelestis Hierarchiae: « Im-
11ossihile t~st nobis aliter lucerE: divinum radium, nisi varietate sacro-
rum velaminum circumvelatum ».
Convenit etiam sacrae Scripturae, quae communiter omnibns pro-
ponitur (secundum illnd arl Rom., 1, 14: cc sapientibus et insipienti-
hu.s debitor sum,, ), ut spiritualia sub similitudinibus corporalium
proponantur; ut saltem vel sic rudes eam rapiant, qui ad intelligi-
hilia secundum se capienda non sunt idonei.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM qnod poeta utitur metaphoris propter·
repraesentationem: repraesentatio enim naturaliter homini delecta-
hilis est. Sed sacra doctrina utitur metaphoris propter necessitalem
et urtilitatem, ut dictmn est [in corp.].
AD SECUNDUM DICENDUM quod radius divinae revelationis nop. de-
struitur propter figuras sensibiles quibus circumvelatur, ut dicit Dio-
nysius [I. c. in corp.], sed remanet in sua veritate; ut mentes qui-
hus fit revclatio, non permittat in similitudinibus permanere, sed
clevet eas ad eognitionem intelligihilium; et per eos quibus revelatio
facta est, alii etiam circa haec instruantur. lTnde ea quae in uno loco
Scripturae traduntur sub metaphoris, in aliis locis expressius expo-
nuntnr. Et ipsa etiam occultatio ftg11rar11m utilis est, ad exercitium
studiosorum, et contra irrisiones infidelium, de quibus dicitur, Matth.
7, 6: "nolite sanctum dare canibus "·
AD TERTIUM DICENDUM quod, sicut docet Dionysius 2 cap. Caei. Hier.
magis est conveniens qnod divina in Scripturis tradantur sub figuri&
che, I teologi precisano che non si deve ricorrere al senso metaforico, se non
quando il senso proprio importasse assurdità o empietà (cfr. S. AGOSrINO, SuJJer
Genesim ad lttteram, c. 7).
' :E: qùcsta la ragione per cui fu Istituita "la disciplina dell'arcano"• nel prlm•
secoli della Chiesa, a cui accennano non di rado gll antichi scrittori (rfr. Rou•:·1
DR JOURNEL, Enchtridton Pa trtsttcum, ed. 11-12, Index thcologlcufl, ~57 ; Krncn, Enchl-
rtdion Fonttum Hist. Eccles. anttquae, 19H, alla voce "Arcani clisciplinrt • nel-
!' indice generale). In presenza dei profani, nell'accennare al misteri più alti della
!Ilde, si usava un linguaggio metaforico, n.on intelligibile oo non a chi, essendo già
apertamente Istruito, era In grado di penetl'are sotto i veli.
66 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 9-10
gure di corpi vili, anzichè di corpi nobili. E ciò per tre ragioni. In
primo luogo perchè cosl pi&'1 facilmente l'animo umano è premunito
dall'errore. Apparisce chiaro infatti che tali simboli non si applicano
alle cose divine in senso proprio; ciò che invece potrebbe pensarsi
ove le cose di Dio si presentassero sotto figure di corpi superiori, spe-
cialmente per parte di chi non riesce a immaginare qualche cosa
di più nobile dei corpi. - In secondo luogo, perchè un tal modo di pro-
cedere è più conforme alla conoscenza clie noi abbiamo di Dio i11
questa vita. Infatti, noi di Dio sappiamo piuttosto quello che non è
che quello che è; e quinrli le figure delle cose che sono più distanti
da Dio ci fanno intendere meglio che Dio è al disopra di quanto noi
possiamo llire .o pensare di lui. - In terzo luogo perchè in tal modo le
cose divine sono meglio occultate agl' indegni.
ARTICOLO 10
Se un medesimo testo della sacra Scrittura abbia più sensi.
ARTICULUS 10
Utrum sacra Scriptura sub una littera habeat plures sensus.
I Sent., Prol., a. 5; 4, d. 21. q. 1, a. 2, qc. 1, ad 3; De Pot., q. 4, a. 1;
Quo!!t. 3, q. 14, a. 1; 7, q. 6, per tot.; ad Gal., c. 4, lect. 7.
si interpreta dello stato della Chiesa attuale. Si può tuttavia esporre in senso
morale e in senso anagogico.
" Le co~e poi chò In senso letterale riguardano la condotta morale, non si è
soliti esporle se non nel senso allegorico. Le cose infine che in senso letterale ~I
riferiscono allo stato di gloria, In nessun altro senso si è soliti espm·le, per la
ragione che esse non sono figura di altro, ma sono figurate da tutte le altre
cose)}.
s. Tommaso ritiene un affronto contro la ~aera Scrittura restringerne il senso
In modo da escludere da es>a gli altri sensi, cl1e hanno In sè verità e possono
adattarsi ad essa, salvo rimanendo il senso letterale (salva ctrcumstantta lttte-
rae). La sacra Scrittura ha per autore ))io, chA non è limitato nella sua tntel-
!ig·enza come noi. Ognuno deve poter trovare nella sa.era Scrittura il suo pascolo.
La molteplicità dei sensi permette sovente di sfuggire alle critiche e alle derisioni
degli empi. •Onde se dagli espositori della sacra Scrittura alcune verità vengono
ad:itt,1te al ~uo senso lett<.>rale. non c'è duhhio •:hP- quelle verità che !"autore non
poteva Intendere, lo Spirito Santo, che è Il principale Autore della sacra Scrlt·
tura, le ha intese. Onde ogni verità che salvo il sens0 letterale può adattarsi alla
s~cra Scrittura è senso della Scrittura•. (De Pot., q. 4, a. 1).
Urigen~ parla di un senso speciale. aft\nato dalh grazia e dalla familiarità
con Dio, per scoprire questi significati spirituali, Quasi un fiuto analogo a uuello
del cane per la selvaggina, di cui il teologo dev'essere fornito (cfr. In Cant·., 3:
Comm. tn Ioan., 1; PG., 14, 32 A). La sacra Scrittura infatti non sccpre tuaa la
sua luce se non a chi è disposto a riceverla. Affinché tuttavia questi sensi siano
certissimamente genuini e non lascino I' Impressione di essere imprestati alla sa.-
era Scrittura, bisogna che risultino dalla Scrittura stessa o dalla Tradizione o
da.Ila dichiarazione autentka della. Chiesa.
S. Tommaso sembra accettare da S. Age>stino la sentenza che possa esoae mol-
teplice a.nche tl senso letterale. Su questo punto oggi si discute, e alcuni preten-
dono che l'Angelico tenga per conto suo l'unicità del senso letterale, pur ammet-
tendo la possib1lltà di una molteplicità di esso per il rispetto dovuto a S. Ago-
stino. Ma è permesso di r·ltenere che S. Tommaso non sia forzato o spiacente di
ammettere questa posslbllltà e che anzi la consideri un'altra particolarità e ric-
chezza propria della sacra Scrittura? Il linguaggio che usa nel De Pot., q. 4, ad 1,
è 1t101to circospetto. "Non è' incredibile" scrive" che a Mosè e agli altri autori della
sacra Scrittura sia stato concesso divinamente di conoscere le diverse verità che
gli uomini possono conoscere, e di signlfic.arle mediante una sola espressione
sicchè ognuno di questi signiflcatl sia voluto dall'autore,,_ È fuori dubbio invece
che le espressioni usate nella Somma non sono favorevoli all'ammissione di una
pluralità di sensi letterali. Scrive. infatti, "tutti gli altri sensi si fondano su un
solo senso, quello letterale: super unum. scillcet litteralem" (ad I); "Quel tre modi
di esporre la Scrittura .... appartengono all'untco senso letterale: ad unum litte.
ralern sensum" (ad!) (cfr. SYNAVE P., "La doctrine de S. Thomas sur le sens littéral
des Ecritures '" in Rev. Btol., 1926, p. 40; CEUPPENS F., "Che cosa abbia pensato
S. Tommaso del moltepllce senso letterale nella sa.era Scrittura"• in D. Tllom.,
(P), 1930, pp. 164 ss. (in latino) ; PERRELLA, •Unicità del senso letterale biblico•,
lvi, 1044-46, pp. 67-69; tdem, "il pensiero di S. Agostino e di S. Tommaso circa il
numero del senso letterale nella sacra Scrittura>>, in Btbitca, 1945. pp. 177 ss.).
70 LA So:\fMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 10
ARTICOLO 1
Se sia di per sè evidente che Dio esiste.
ARTICULUS 1
Utrum Deum esse sit per se notum.
1 SJnt., d. 3, q.1, a. 2; I Cont. Gfnt., cc. 10, 11; a, c. 38; De Vertt .• q 10, a. 12:
De Pot., q. 7, a. 2, ad 11; in Psalrn. 8; De Trtnit., q. 1, a. 3, ad 6.,
An PRIMFM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deum esse sit per se no-
tum. Illa enim nobis dicuntur per se nota, quorum cognitio nohis
naturaliter inest, sicut patet de primis principiis. Sed, sicut dicit Da-
mascenus in principio libri sui [De Fide Orth., cc. 1, 3], "omnibus
cognitio existendi Deum naturaliter est inserta n, Ergo Daum esse e~t
per se notum.
2. PRAETF:REA, illa dicuntnr esse per se nota, quae statim, cognitis
terminis, eognoscuntur: qnod Philosophus attribuit primis demon-
strationis principiis, in I Poster. [c. 3, lect. 7]: scito enim quid est
toturn et quid pars, statim scitur quod omne totum maius est sua
parte. Sed intellecto quid signifìcet hoc nomen Deus, statim habetur
quod Deus est. Significatur enim hoc nomine id quo maius signifìcari
non potesi: maius autem est quod est in re et intellectu, quam quod
la possihilità che non esista (og-ni altra cosa. invece, pur costatandola esistente, si
può pensare che possa non esistere).
Ma la pro\a della sua esistenza reale non è data solo dal fatto che lo st pensa
1·ome l'essere più grande che si possa pensare, per~hè, In quantlO lo si pensa, non
gli conviene che un'esistenza pensata, che è, cioè, :;olo nella mente e non nella
realtà, comfl os.5€rva S. Tornma'o nell:1 risrost.a. Nel Cont. Gent., s. Tommaso
andando alla radice della difficoltà, nota che l'idea di Dio, che noi possiamo for-
marci, non e intll\zione di Dio com'è in se s10s:;o seconrto la sua propria natura
'pecifica, perché a, noi, legati nel nostro conoscei·e alle cose create, nna tale id'3a
<li Dio è impossillile; e sarehhe proprio necessaria una tale idea affinché pot<•s-
,imo vedere In essa necessnriamente Inclusa l'esistenza reale. "Come a nol •
scrive "è per sè noto che il tntto è mag-)!iore della parte, cosi per col-0ro che
vedono la divina essenza. (e non han q11inrll liisogno elle si dimostri Dio) è per
sè notissimo che Dio eslst.P. ~la polcl1è noi la di vina essenza non la possiam()
vedere (come oggetto imm('diatamen1e presente al nostro pensiero), a conosct'J'e
la sna esistenza non perveniamo mrdiante il concetto di Dio, ma mediante g!F
effetti di lui" (/ Coni. r;rnt., c. 11; cfr. ne Verit., q, 10, a. 12).
E. l{ant chiamò "ontologico" l'argomento anselmiano, e pretese che nessun'al-
tra prova dell'esistenza di Dio possa valere, se non Introducendo <li snpni"tto
questo argomento (cfr. Crll.i.ca dena: Ragton pura, parte II, p, 472, trad. c!t. Bari.
1940•). Gli ldrn Iist! (cfr. GE'.'(l'lf.E, I problrmi della Scolasftca, pp, 71 ss. Bari, 1923}
<0110 clello stesso parere; ma a torto, come apparirà in seguito. La pa1·ola "on-
tolo:>:ico" con cni ora vien designato l'argoment;i anselmiano, non deve far cre-
<lere che S. Anselmo si mnova snllo stesso piano dei cosiddetti "ontologisti.,.
'Malehranche, Gioberti, {;haghs, ecc.), 1 quali sostenevano che il primo oggett()
•lei nostro pensiero (<>Il primo logico .. ) fosse Dif) stesso («II primo ontologico•
nd esistente). Per costoro l'e~istenza di Dio è per sè evidente alla mente e non
ha bisoimo di essere provata. !"i:iccllÀ noi conosceremmo ogni cosa In Dio, In-
tuendo Dio medesimo. Questa dottrina è riprovata dalla Chiesa (cfr. DENZ., 1659-
i6 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, aa. l-2
ARTICOLO 2
Se sia dimostrabile che Dio esiste. 1
Dico ergo quod haec propositio, Deus est, quantum in se est, per
se nota est: quia praedicatum est idem cum subiecto; Deus enim
est s1111m esse, ut infra patebit [q. 3, a. 4]. Sed quia rws non scimns
<le Deo quid est, non est nobis per se nota: sed indiget demonstrari
per ea quae sunt magis nota quoad nos, et minus nota quoad natu-
ram, scilicet per effectus.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod cognoscere Deum esse in aliquo
communi, sub quadam confusione, est nobis naturaliter insertum,
inquantnrn scilicet Deus est hominis beatitudo: homo enim natura-
l iter dcsiderat beatitudinem, et quod naturaliter desideratur ab ho-
mine, naturaliter cognoscitur aJJ eodem. Sed hoc non est simpliciter
cognoscere Deum esse; sicut cognoscere venientem, non est cogno-
scere Petrum, quamvis sit Petrus veniens: multi enim perfectum
hominis bonum, quod est beatitudo, existimant divitias; quidam vero
voluptates; quidam autem aliquid aliud.
AD SECUNDUM DICENDUM quod forte ille qui audit hcx: nomen De11s,
non intelligit significari aliquid quo maius cogitari non possit, cmn
quidam credidcrint Deum esse corpus. Dato etiam qnod quilibet in-
telligat hoc nomine Deus significari hoc quod dicitnr, scilicet il111d
quo maius cogitari non potest; non tamen propter hoc sequitur quod
intelligat id quod signifìcatur per nomen, esse in rerum natura ; sed
in apprehensione intellectus tantum. Nec potest argui quod sit in re,
nisi daretur quod sit in re aJiquid quo maius cogitari non potest:
quod non est datum a ponentibus Deum non esse.
Ao TEHTIUM DICENDUM quoù veritatem esse in communi, est per se
notum: sed primam veritatem esse, hoc non est per se notum quoad
nos.
ARTICULUS 2
Utrum Deum esse sit demonstrabile.
Infra, q. 3, a. 5; 3 Sent., d. 24, f!. 1. a. 2, qc. 2; I Cont. Gent., c. 12:
De Pot .• q. 7, a. 3; De Trtntt .. q. 1, a. 2. ·
Ao SECUNDUM SIC Pl\OCEDITUll. Videtur quod Deum esse non sit de-
monstrabile. Deum enim esse est articulus fidei. Sed ea quac sunt
fìdei, non sunt tlemonstrabilia: quia demonstratio facit scire, fides
softe kantiana ed hegeliana, questo a~nost.icismo fu ricondannato da Pio X nf'l-
l' Enciclica "Pascendi" (cfr. tbtd .• 2072). Nel giuramento antimodern!stl"'· che fu
prtscritto dallo stesso Papa al professionisti dell' insegnarrwnto dell~ Chiesa, è pre-
cisato. contro cavìlli circa la disti nzionc tra conoscere con certnza e dimostrare.
che "Dio, di 1.Utte le cose principio e fine, è conoscibile con certezza dalle cose che
furon fatte, cioè dalle opere visitJili della creazione, come la causa è conoscibile
dall'effetto, mediirnte la luce della ragione, ed è dimoslrnbile " (lJE:-<Z., 2145).
La ùottrina ùi S. Toiurna&o batto in lireccia ancl!e ii cosi dett.o Trndi3ionaltsmo,
che, per una radicale diffidenza verso la ragronc, sosteneva l'incapacità di que-
sta ad eleva1·si alla cognizione dell'esistcrrrn di Dio e delle altre verità religiose
naturali. e fondava questa cognizione sulla divina Rivelazione fatta In principio
ai prozcnit.ori e trasmfssa a noi per Tradizione. Gregorio) XVI definiva (8 se1tem-
bre 1840) contro il tradir.ionalista Bautain che "li raziocinio può provare rnn
certezza l'esistenza di n!0 e 1' infinità dellr' sue rerfezioni. La fede. dono celest~".
presuppone la Rivelazione; non può quindi convenientemente essere addotta di
78 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 2
ARTICOLO 3
Se Dio esista.
ARTICULUS 3
Utrum Deus sit.
• Sent., 4. 3, dlv. prlm. part.. textus: I tont. Gent., cc. 13, 15, 16, 44; f, c. 15 ; s, c. M ~
De Vertt., q. 5, a. 2; De Pot., q. 3, a. 5;
Compena. Theoi., c. 3; 7 l'hyslc., lect. 2; 8, lect. 9 ss.; 11 Metaphys., lect. 5 ss .
Ila per oggetto la parola dl Dlo. Il teologo guarda dall'alto: Dlo afferma se stesso.
come esistenza necessaria, fonte dl tutto l'essere: dunque non solo è. ma non può
non essere. Il mondo con I suoi caratteri cl fornirà la prova a postertort t:be Dio
non può non essere, che è necessario che sia: tutto l'universo lo reclama, lo esige,
lo impone. ,
• L'esistenza dl Dio è dimostrabile, ha concluso S. 'l'ommaso negli articoli pre-
cedenti, non per un procedimento a. prtorl, ma solo per un procedimento a po-
ster/or!. Snrinnn perciò le creature 41 Dio a manifestare Dio a noi, perché di Dio
com' il in sè non possiamo avere un concetto immediato e intuitivo. Questa tesi
dl S. Tommaso è strettamente coer·ente con la sua dottrina Cil'Ca l'oggetto prll-
prlo e for·male della nost1·a mente, che è l'essere non assolutamente considerato,
ma realizzato nel mondo fisico, da cui per virtù del!' iutelletto attivo viene
astratto Il concetto trascendentale di ente o essere (c!r. Dlz. Tom.). Onde quando
S. Tommaso dice r.he ogg·ettu dell'intelletto ti l'essere con tutte le sue proprietà
e tutte le sue relazioni (.. ens et ea quae sunt J'er se entls .. ) Intende d{'ll' lnt..t.
letto In genere; per I' Intelletto umaiw bisogna tare questa restrizione: è l'ente
con tutte le sue prorJrietà e relazioni, ma srieculato nel 11tondo fisico. Questa dot-
trina del! 'oggetto proprio della mente è lmportantlssi ma e va apr;rofondita da
eh! vuole penetrare addentro al senso della teologia tomista (cfr. I, qq. 84-8!1). Circa
Il modo <li procedere delle cinque vie, cfr. Jn.lrn•I., nn. t8 ss. ·
• Il movtmento o mutamento (In latino Molus), si può prendere: a) in aenso
flsico (senso primo e proprto di moto: stato •li tendenza o di via per cui un sog-
getto sta trasferendosi da un modo di e~sere in un altro) ; comprende quattro
specie (li mutamento: t) •1uello <li corruzione e aerterazl.une, per cui il sogg1:1:0
82 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3
consta dai sensi, 1 che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora,
tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si tra-
smuta che non sia potenziale rispetto al termine del movimento;
mentre chi muove, muove in quanto è in atto. Perchè muovere non
altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all'atto; e nient{)
-può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere
che è già in atto. P. es., il f110co che è caldo attualmente rende caldo
in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo
·muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simul-
taneamente e sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può
essere soltanto sotto diversi rapporti : così ciò che è caldo in atto
non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in
-potenza. E dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una
cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa.
E dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un
altro. Se dunque l'essere che muove è anch'esso soggetto a movi-
mento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e
così via. Ora, non si può in tal modo procedere ali' infinito, perchè
altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nes-
sun altro motore, perchè i motori intermedi non muovono se non
in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove
se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arri-
vare ad un primo motore che non sia mosso da a.Itri; e tutti rieono..
·scono che esso è Dio. •
La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo
nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma
non si 1rova, ed è impossibile, che una cosa sia cansa effici.ente di
se medesima; chè altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa incon-
cepibile. Ora, un processo all' infinito nelle cause efficienti è as-
surdo. Perchè in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa
dell'intermedia, e l'intermedia è causa dell'ultima, sian-0 molte le
intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l'ef-
fetto: se dunque nell'online delle cause efficienti non vi fosse una
prima causa, non vi sarebbe nepp11re l'11ltima, nè I' intennedia. Ma
procedere ali' infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare
la prima causa efficiente; e così non avremo neppure l'effetto ultimo,
nè le cause intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bi-
trovi, può essere il punto di partenza di questa prova che conclude all'esistenzn
·di un primo motore Immobile in qualsiasi specie di moto, motore non misto di·
potenza di nessun genere, ma solo e tutto atto: atto puro. Il mutamento o divE··
nire sotto qualunque forma si presenti è la realtà che più evidentemente non
basta a se stessa: nè il moto fisico-chimico del corpi, nè il moto vitale del vl
venti. nè il moto spirituale degli esseri superiori ba in sè la sua spiegazione:
'l'ente che diviene è sotto l'Influsso di una causa attiva distinta. Il principio
•tutto ciò che si n1uove è mosso da un altro• ha valore universale.
Notiamo ancora, per rispondere a G. Gentile (/ problemi della Scolastica, pp. '1'1·
78. Bari, 1923), che la mozione del Primo Motore non si può e non si deve con·
·cepire come una mozione formalmente o propriamente meccanica, o della stessa
natura delle azioni delle cose che muovono e sono mosoo. La sua mozione è mec-
canica o fisica soltanto nell'effetto (virtualmente), In se stessa (formalmente) è
di tutt'altra natura: è la sostanza di Dio stesso. Una. realtà superiore trascen·
<lente è capace di attuare tutti i mutamenti, senza che essa 5ia mutamento. Cosi
fa volontà umana attua nel corpo il movimento meccanico; ma la mozione della
volontà non è In se stessa propria.mente meccanica, ma solo virtualmente: in
quanto cioè suscita mutamento meccanico In un organismo fisico; ma In se
·stessa è qualità spirituale Immanente, d'ordine quindi superspaziale e supermec·
·canico, capace tuttavia di produrre nel corpo, che gll è naturalmente congiunto,
movimenti d'ordine Inferiore, quali sono i movimenti meccanici. Come la vo·
tontà umana, potenza spirituale limitata, opera In un sistema meccanico limitato·
quale è li corpo umano; cosi Dio, realtà spiritualissima e onnipotente, opera In
tutto l'universo, attuando le cause del moto meccanico e di tutti gli altri mot 1,
·senza che con questo sia essa stessa meccanica o fisica, come vuole G Gentile.
8.t LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3
i La prova porta fino a Dio. appunto perchè tra le cause e' è ordine e conca-
tena.zwrle. e una non prorl1H·r• il ';uo effetto se non in quanto è sotto l'attuale
lntlnsso di un'altra e cosi via (cause ordinate per se o di loro natura). E im-
possibile procedere in Infinito nella serie delle cause C051 concatenate, men-
tre invece 11011 appare impossiblle, in modo evidente. l'esistenza senza fine di
cause succedentisi senza necessario nesso (ordinate cioè non di lor natu r•a, rrra
r•er acctàen:i (vedi p. i77, nota 2). P. es., elle alla generazione di Socrate sian pre-
ceduti avi in numero infinito può ripugnare o non ripugnar~. ma non è quanto
ora si cerca: nella ~·enerazionr di Socrate la serie deirli avi non influisce. Er·r,>
invece un esempio di cause ordinate per se: l'essere della figura luminosa sull<>
schermo, la quale è causa della mia visione, dipende attualmPnte, corne da
causa, dalla lamparla dell'apparecchio di proiezione; la lampada dipemle at.-
tualmenta dalla corrente elettrica; questa dalla dinamo; la dinamo dall'acqua
che cade nella conduttura forzata; l'acqua dal serbatoio: il serbatoio a sua volta
dipende da tante cause che lo allmentano e lo conservano, impedendogli di ge-
lare, di svuotarsi per Infiltrazione nel sottosuolo, ecc. E queste cause necessarie
all"es;;ere del serbatolo wno condizionate anch'es~e nel loro essere e nella loro
attività ad altre cause. E tutte sono necessarie le une alle altre (la su:.;eriore
ali' inferio1·e) in modo che se fallisce una, l'altra fallisce e l'ultimo effetto si
annulla. ora è possil1ile pensare che tutte queste cause e le altre simili siano
sospese nel vuoto? S'impone quindi una Prima Causa Inca usata che opera In
tutta la sel"ie delle ca uso concatenate fino all'ultimo effetto, come il serl.latoio
fino alla figura d81lo schermo.
La st.essa osservazione, cioè che si tratta di snte concatenate, va tenuLa pre-
sente anche per la prova precedente. Questa seconda prova è simile alla prece-
dente, ma non coincide, polchè qui la considerazione da cui si parte. è 11iù
ampia; riguarda cioè la causalità emctente, da rul dipende non solo li divenire.
ESISTENZA DI DIO 85
cientes mediae: quod patet esse falsum. Ergo est necesse ponere ali-
quam causam efficientem primam: quam omnes Deum nominant.
Tertia via est sumpta ex possibili et necessario : quae talis est. In-
venimus enim in rebus quaedam quae sunt possibilia esse et non
esse: cum quaedam inveniantur generari et corrumpi, et per conse-
quens possibilia esse et non esse. ImpoS'sibile est autem omnia quae
sunt talia, semper esse: quia quod possibile est non esse, quandoque
non est. Si igitur omnia sunt possibilia non esse. aliquando nihil fuit
in rebus. Sed si hoc est verum, etiam nunc nihil esset: quia quod non
est, non incipit esse nisi per aliquid quod est ; si igitur nihil fuit ens,
impossibile fllit quod aliquid inciperet esse, et sic modo nihil esset:
quod patet esse falsum. Non ergo omnia enti a sunt possibilia: sed
oportet aliquid esse necessarium in rebus. Omne autem necessarium
vel habet causam suae necessitatis aliunde, vel non habet. Non est
autem possibile quod procedatur in infìnitum in necessariis quae
habent cammm suae necessitatis, sicut nec in causis efficientibus, ut
probatum est. Ergo necesse est ponere aliquid quod sit per se neces-
sarium, non habens ca11sam necessitatis aliunde, sed. quod est causa
necessitatis aliis: quod omnes dicunt Deum.
Quarta via sumitur ex gradibus qui in rebus inveniuntur. Inveni-
tur enim in rebus aliquid rnagis et minus bonum, et verum, et no-
bile: et sic de aliis huiusmodi. Sed maais et minus dicuntur de di-
versis secundum quod appropinquant diversimode ad aliquid quod
maxime est: sicut magis calidum est, quod magis appropinquat ma-
xime calicto. Est igitur aliquid quod est verissimum, et optimum, et
nobilissimum, et per consequens maxime ens: nam quae sunt ma-
xime vera, sunt maxime entia, ut dicitur .2 Metaphys. [c. 1, lect. 2].
uno che ha I' intelllgenza '" valg'a solo net campo dell'esp~rienza, è contraria al-
l'pvìdenza che la ragione invincihilnwnte pe1cepiscu; per·cllè il principio è •rna-
lltico In semo tomista, cioè il predic'lto - esser a;1·ctto aa uno che ha I' intelll-
gema - appartiene all:i nozione de: soggetto - tcrale1·e al fine senza conoscere ti
fine -. L'ol'dine, l'armonia, la proporziane a un fine, 11 quale fine è il meglio che
te cose •empre o quasi sempre pwdu~ono, implica. come so.la causa po5slhile,
nn' Intelligenza direttrlc~. come 0'-(1\i effztto implica una causa proporzionata.
Non c'è bisogno di a~s;stere i'll'or·iginc' d1 alcun universo, come vorrellbe Hurne
e dopo di lui altri filosofi recenti. per sapere con tutta certezza che l'ordine, esf-
stente per necessità In qualunque universo possibile o In una qualsiasi parte di
esso, dev'essere presente. prima che esista nelle cose, in una Intelligenza; come
non abbiamo bisogno di assistere al nascer di una cosa per sapere con tutta cer-
tezza che al suo nascere presiede una causn proporzionata.
G. Gentile invece per d"molire la quinta via, dopo l'elogio suddetto in cui rico-
nosce che "non si pnò intendere la C'l.llsalltà finale altrimenti che come attività
dello ~pirito "• si attacca al paragone usato da S. Tommaso per illustrare il suo
concetto: «cosi la freccia non tende al bers~Iio se non è indirizzata dall'ar-
ciere», e osserva, lnver-o con poca acutezza: •Qui Dio è al mondo quel che l'ar-
ciere alla saetta indirizzata al segno. Prima elle !'arciere la scoccl\i 'a saetta è:
e con la sola potenza., non attuata, d'essere scoccata: già [è] qualche cosa di at-
tuale, reale e determinato. E l'a.rciere è anch"egll prima di saettare. Ciascuno è
sè, e soltanto sè; Il loro mutuo rapporto non è essenziale a nessuno di essi. Di
qui l'arisso che cticevo tra Dio e il mondo" (op. cit., p. 82). La leggerezza di questa
obiezione è Incredibile. Il paragone, ci vuol poco a capirlo, tiene solo per il
punto preciso per cui è assunto: il moto ordinato della saetta vei'so II bersaglio
non può concepirsi senza l'azione conoscitiva <lell'arciere; e similmente il moto
ordinato degli essert naturaU, e più In generale l'ordine cosmico, non può conce-
pirst senza l'azione intelligente di Dio. Che poi 11 mondo esista prima di essere
ordinato al fine con la sola potenza non attuata d'essere ordinato, come esiste la
saetta prima d'essere scoccata.... tutto questo S. Tommaso non dice e non sogna
neppure di prooupporto. Codesto scambiare g-rossolanamente le analogie con le
univocità, le somiglianze con le identità, è un filosofare con la fantasia In modo
infantile. Il mondo non è qualcl1e cosa di attuale, N'ale, determinato, prima di
essere ordinato e tendere al fine; la causalità In atto delle quattro cause nel sin-
goli esseri della natura è simultanea. La materia non é senza la forma specifica,
nè la forma specifica senza l 'aztone della causa efficiente che la educe e la con-
sena, nè senza l'ordine essenziale al fine no.turale, che ha determinato la causa
emciente ad agire. Le cause !'eali delle cose reali sono coesistenti.
La priorità di queste cause, di una rispetto all'altra, non e necessariamente
nna priorità di tempo (esistenziale); ma una priorità puramente di concetto, di-
pendente cioè dal punto di vista che la ragione adotta per considerare il reale
nella sua complessità; nna p1·iorità mutevole secondo che si muta questo punto
di vista. Ma da qualunque aspetto del reale la mente parta, necessariamente, se
vuole andare in fondo alla intelligihilità delle cose e filosofare, è forzata a salire
a quel Prtm.um che tutti chiamano Dio. Le cinque vte, come si è detto (cfr. lntrod.,
nn. 18·20) prendono le mosse ognuna da uno di questi aspetti essenziali della realtà
e conducono a Dio come a fonte prima e necessaria della perfezione considcrftta.
Sono come cinque .Ilnee mdiali che vanno dalla Circonferenza verso l'interno
della sfera: esse necessariamente portano al centro che è il punto d'interseca-
zione di tutti 1 raggi, Il punto che segna Il termine di infiniti rapporti spaziali
con la superficie, e che perciò rende intelligibile la sfera.
In questa quinta prova S. Tomuiaso si è chiestio quale è il presupposto neces-
sario, affinchè l'ordine rifulgente nel cosmo sia possibile e Intelligibile; e il pre-
supposto è - come ha dimostrato - che il cosmo sia sotto L'attuale in{l.usso dt unu
tnteiitgenza ordinatrice, come Il presupposto dell'attuale tendere della saetta al
ESISTENZA DI DIO 89
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut dicit Augustinus in Enchi-
t'idio [c. 11): "Deus, cum sit summe bonus, nullo Ill(Jdo sineret ali-
quid mali esse in operibus suis, nisi e~set adeo omnipotens et bonus,
ut bene faceret etiam de malo "· Hoc ergo ad infinitam Dei bonita-
tem pertinet, ut esse permittat mala, et ex eis eliciat bona.
An SECVNDUM OICENIJUM quod, cum natura propter determinatum
finem operetur ex directione alicuius superioris agentis, necesse est
ea quae a natura fiunt, etiam in Deum reducere, sicut in primam
1 Questa risposta conferma qu:mto fu già notato (ve.ti p. 81, nota 4) che ll punto
di partenza di S. Tommaso per le prove dell'esistenza di Dio non è solo Il moto
fisico, ma Il moto In senso unlversallsslmo. Il Primo Motore, a cui risale, non è
soltanto Il primo motore del moto fisico, ma il primo motore della intelligenza
e della volontà, Il Dio della lntelllgema e della volontà, il Dio del nostro spirito,
•In quo vlvlmus, movemur et sumus" (Atlt, 17, ~8).
:B Ingiusto quindi protestare • che questo Dio della ragione è troppo remoto
dal cuore" (RUYSSEN, •Le Dleu lolntaln et le D!eu proche '" In nev. de IIUtaph.
et de Morale. 1930, p. 352), o che •ancora non si è distaccato abbastanza dal mondo
(mate1·hle) rtel quale viene definito come motortl primo, per quanto Immobile,
col rischio di essere preso come principio di un sistema meramente cosmologico•,
e •che manca (in queste prove) la mediazione dello spirito umano" (CARLINI A..
•Idealismo e Spiritualismo•, In Rtv. dt Ftl. Neoscoiasttcd, 1933, pp. 144·145). Le
cinque vie, che sono una sola prova convergente, cl mostrano che Dio è In con-
ESISTENZA DI DIO
tatto Intimo con tutti gli esseri e con tutto l'essere e In modo speciale con lo
spirito umano che più partecipa dflla perfezione dell'essere. Citiamo da un'oprra
mosotlca di s. Tomma~o tJueste parole, che condensano tale dottrina e mostrano
come anche il nostro spirito vive in Dio. «Come l'essere di Dio comprende nella
sua virtù tutto ciò che in qualunque forma o modo esiste, pokhè tutto ciò che i·.
è per partecipazione del suo essere, cosi anche la sua Intelligenza, e quanto al
suo atto e quanto aJ suo oggetto, comµI'cnde ogni conoscenza e ogni conoscibile,
e cosi pure Il suo volere e l'oggetto del suo volere comprendono ogni appetito e
1>gni avpetibile; di modo che ogni conoseibile, nella misura che è conoscibile,
cade sotto la sua conoscenza e og11i appetibile o bene. nella misura che è bene,
cade sotto la sua volontà; come tutto cié. che '' ente c~de sotto la sua virtù at·
tiva" (I Perlherm., c. 9, lect. t4, n. 16). Per fare a meno del suo lntlu5so e del suo
~overno - dice altrove - bisognerebbe tr0\·a1·si nella condizione di non dover ri-
cevere l'essere da lui (8 Cont. Geni., c. 1).
QUESTIONE 3
La semplicità di Dio.
ARTICOLO t
Se Dio sia corpo.
ARTICULUS 1
Utrum Deus sit corpus.
t Cont. Gent., c. 20; !, c. 3; Compend. Theol., c. 16.
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus sit corpus. Corpus
enim est quod habet trinam dimensionem. Sed sacra Scriptura attri-
huit Deo trinam dimensionem: dicitur enim lob 11, S s.: "excelsior
caelo est, et quid facies? profundior inferno, et nnde cognosces?
longior terra mensura eius, et latior mari'" Ergo De11s est corpus.
2. PRAETEREA, omne fìguratum est corpus, cum figura sit qualitas
circa quantitatem. Sed Deus videtur esse fìguratus, cum scriptum sit
Gen. 1, 26: « Faciamus hominem ad imaginem et sim!litudinem no-
stram,.: figura enim imago dic'itur, secundum illud Hebr. 1, 8:
"cum sit splendor gloriae, et figura substantiae eius '" idest imago.
Ergo Deus est corpus.
3. PRAETEREA, omn e quod habet pari es corporeas, est corpus. Sed
Scriptura attribuit Deo partes corporeas: dicitur enim lob 40, 4: «si
habes brachium ut. Deus,. ; et in Psalmo · (33, 16] : " oculi Domini su-
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 1
come quello di Dio»; e nei Salmi: u Gli occhi del Signore [sono
rivolti] ai giusti»; e ancora: «La destra del Signore ha fatto pro-
dezze». Dunque Dio è corpo.
4. La positura non compete che al corpo. Ora, nelle sacre Scrit-
ture si affermano di Dio varie positure: p. es., in Isaia si dice:
"Vidi il Signore seduto >>, e sempre in Isaia: «il Signore sta in
piedi per giudicare'" Dunque Dio è corpo.
5. Niente, tranne il corpo o l'essere corporeo, può essere punto
spaziale di partenza o d'arrivo. Ora, nelle sacre Scritture Dio è con-
siderato come termine spaziale d'arrivo, srrondo l'espressione del
Salmo: <<Accostatevi a lui e sarete illuminati 11 ; e come punto di
.partenza, secondo il detto di Geremia: "Coloro che si rilirano da te
saranno l'Critti sulla terra n. Dunque Dio è corpo.
IN CONTRARIO: In S. Giovanni è detto: «Dio è spirito»,
RISPONDO: Si deve negare assolutamente che Dio sia corpo. Il che
si può provare con tre ragioni. 1 Pl'imo, nessun corpo muove se non
è mosso, come appare esaminando caso per caso. Ora, sopra si è
dimostrato che Dio è il primo motore immobile. Dunque è chiaro
che Dio non è corpo.
Secondo, è necessario che il primo Ente sia in atto e in nessun
modo in potenza. Sebbene infatti in un identico e determinato essere
che passa dalla potenza all'atto, la potenza possa essere prima
dell'atto in ordine di tempo, pure, assolutamente parlando, l'atto
è prima della potenza, perché ciò che è in potenza non passa all'atto
se non per mezzo di un essere già in atto. Ora, abbiamo già dimo-
strato che Dio è il primo Ente. E dunque impossibile che in Dio ci
sia qualche cosa di potenziale. Ma ogni corpo è in potenza, [se non
altro] perchè il continuo, in quanto tale, è sempre divisibile. Dunque
è impossibile che Dio sia corpo.
Terzo, Dio è il più nobile fra tutti quanti gli esseri come è chiaro
da quello che si è detto. Ora, è impossibile che un corpo sia il più
nobile degli esseri. Difatti ogni corpo o è vivo o non è vivo. Il corpo
vivo manifestamente è più nobile del non vivo. D'altra parte il corpo
vivo non vive in quanto corpo, altrimenti ogni corpo sarebbe vivo:
è quindi necessario che viva in forza di qualche altra cosa, come il
nostro corpo che vive in forza dell'anima. Ora, ciò per cui il corpo
vive, è più nobile del corpo. Dunque è impossibile che Dio sia corpo.•
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già detto, la sacra
Scrittura ci presenta le cose spirituali e divine sotto immagini cor-
poree. Perciò quando attribuisce a Dio le tre dimensioni, indica
sotto fìiri1ra di estensione corporea l'estensione della sua potenza;
e cioè con la profondi! à il suo potere rti conoscere le cose più occulte,
con l'altezza la sua superiorità su tutto, con la lunghezza la durata
della sua esistenza, con ia larghezza l'effl1sione del suo amore su
tutti gli esseri. Oppure, oome dice Dionigi «per profondità di Dio, si
intende l'incomprensibilità della sua essenza; per lunghezza, l'esten-
i S. Tommaso si limita al poclli spnnti già acqui5iti nella questione precedente.
1 Queste ragioni evidentissime nl<istrano che è ài~trugger~ radiu1Imente D~o
ritenere che sia un ess•,re corporeo, come fanno i materi;ilisti, i panteisti (p. es.,
Spinoza, Haerkel, e qun111i d1rono (]le Dio è la natura). In realtà cosi uro sono atei.
('he Dio av<'s~ un corpo ~lmile a quello umano lo ritenE>vano semplicisticamente
anche 1 cosi detti • an1ro1>omorfistl • nel IV secolo, e I Manichei, che nn po' più
sottilmente identificavano Dio con la luce materiale. Pare che In Affrlca ci fosse
LA SEMPLJCITA DI DIO 95
per iustos » et « dextera Domini fecit virtutem n [Ps. 117, 16). Ergo
Deus est corpus.
4. PRAETEREA, situs non convenit nisi corpori. Sed ea quae ad situm
pertinent, in Scriptnris dicuntur de Deo: dicitur enim Isa.iae f:, I:
«vidi Dominum sedentem »; et lsaiae 3, 13: «·stat ad iudicandum
Dominus "· El'go Deus est corpus.
5. PHAETEREA, nihil potest esse terminus localis a quo vel ad quem,
nisi sit corpus vel aliquod col'poreum. Sed Deus in Scriptura dicitur
esse terminus localis ut ad quem, secundum illud Psalmi [33, 6):
"accedite ad eum, et illuminamini,,; et ut a quo, secnndum illud
Hierem. 17, 13: "recedentes a te in terra scribentur ». Ergo Deus est
corpus.
SED coNmA EST quod dicitur Ioan. 4, 24: "Spiritus est Deus ».
RESPONDEO DlCENDUM ab~olute Deum non esse corpus. Quod tripli-
citer ostendi potest. Primo quidem, quia nullum corpus movet non
motum: ut patet inducendo per singula. Ostensum est autem supra
[q. 2, a. 3] quod Deus est primum movens immobile. Unde manife-
stum est quod Dens non est corpus.
Secundo, quia necesse est id quod est primum ens, esse in actu,
et nullo modo in potentia. Licet enim in uno et eodern quod exit de
potentia in actum, prius sit potentia quam actus tempore, sirnplici·
ter tamen actus prior est potentia: quia quod est in potentia, non
reducitur in actnm nisi per ens actu. Ostensum est autem supra libid.j
quod De11s est primum ens. Impossibile est igitur quod in Deo sit
aliquid in potentia. Omne autem corpus est in potentia: quia con-
tinuum, inq11antum huiusmodi, divisibile est in infinitum. Impossi-
bile est igit ur Deum esse corpus.
Tertio, quia Deus est id quod est nobilissiimum in entibus, ut ex di-
ctis patet lìbi<L). fmpossibile est autem aliquod corpus esse nobilis-
simum in entibns. Quia corpus aut est vivum, aut non vivum. Cor-
pus autern vivum, manifestnm est quod est nobilius corpore non vivo.
Corpus autcrn vivum non vivit inquantmn corpus, quia sic omne cor-
pus viveret: oportet igitm quod vivat per aliqnid aliud, sicut corpus
nostrum vi'lit per anirnam. Illnd antem per quod vivit corpus, est no-
bilius quam corpus. l mpossihile est igitur Deum esse corpus.
AD PR!MlJM ERCO OICENDUM quod, sicnt supra dictum est [ q. 1, a. 9],
sacra Srriptura tradit nobis spiritualia et divina sub similitudinibus
corporalium. Unde, curn trinarn dimensionem Deo attribuit, sub si-
milit11dine quantitatis corporeae, quantitatem virtualem ipsius de-
signat: utpote per profunditatem, virtutem ad cognoscendum OC·
culta; per altitndinem, exeellentiarn virtutis s11per omnia; per Ion-
gitudinem, durationem sui esse; per latitudinem, affectum dilectionis
ad omnia. -- Ve!, ut dicit Dionysius, 9 cap. De Div. Nom. [lect. 2], per
profunditatem Dei intelligitur incomprehensibilitas ipsius essentiae;
per longitudinem, processus virtutis eius, omnia penetrantis; per
speci~le difficoltà a rarsl l'idea dello spirito, se Tertulliano, In tanta luce di
cristìanesi1110, sosteneva che anche ,, Dlo è corpo"• poichè "d'incorporeo non e• è
che Il mllla" (De Carne Chrtstt, c. 11). Ma Agostino lo scusa, affermando che per
Tertulliano corvo vuol dire sostr..nza rwi~ e consistente (De Haer., c. 86). Di co-
storo s. Tommaso dice elle ragionavano con 11! fantasia: "nel considerare le cose
divine, si lasciavano condurre ànll' immag-inazlone con la quale soltanto ciò che
ha immagine corporea può cogl!ers!. E perciò nel meditare le oose divine bisogna
abbandonare l" immaginazione" (I Cont. Gent.. 20).
96 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 1-2
sione della sua potenza che penetra in tutte le cose; per larghezza,
la sua espansione verso tutti gli enti, nel senso cioè che tutti gli
eSberi sono contenuti sotto la sua protezione».
2. Si dice che l'uomo è ad immagine di Dio, non già secondo il
corpo, ma secondo quello per cui l'uomo sorpassa gli altri animali.
Per questo, alle parole: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e so-
miglianza n, seguono le altre: 11 Affinchè egli domini sui pesci dei
mare, ecc. n. Ora, l'uomo sorpassa tutti gli altri animali con la ra-
gione e l'intelligenza. Quindi l'uomo è ad immagine di Dio secondo
l'intelletto e la ragione che sono cose incorporee.
3. Si attribuiscono· a Dio nella sacra Scrittura organi corporei a
motivo delle loro operazioni che si prestano a certe analogie. L'atto
dell'occhio, p. es., consiste nel vedere: quindi l'occhio attribuito a
Dio indica la sua potenza a vedere in maniera intelligibile, non già
sensibile. E lo stesso è per altri organi.
4. Anche le positure non si attribuiscono a Dio se non per una
certa analogia: cosi, si dice seduto per significare la sua immobi-
lità e la sua autorità; si dice che sta in piedi, per indicare la sua
forza nel debellare tutto ciò che gli si oppone.
5. A Dio non ci si avvicina con i passi corporali, essendo egli do-
vunque; ma con l'affetto dell'animo, ed allo stesso modo ci si allon-
tana da lui. E cosl, avvicinamento e allontanamento sotto }a meta-
fora del moto locale designano l'affetto spirituale,
ARTICOLO 2
Se in Dio vi sia composizione di materia e di forma.
ARTICULUS 2
Utrum in Deo sit cornpositio forrnae et rnateriae.
I Sent., d. 35, a. 1; t Cont. Gent., c. 17; Compena. Theol., c. 28.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod in Deo sit composilio·
tormae et materiae. Omne enim quod habet animam, est compositum
ex materia et forma: quia anima est forma corporis. Sed Scriptura
attribuit animam Deo: introducitur enim ad Hebr. 10, 38, ex per-
sona Dei: "iustus autem meus ex fide vivit; quod si subtraxerit sr,
non placebit animae meae ». Ergo Deus est compositus ex materia et
forma.
2. PRAETEREA, ira, gaudium, et huiusmodi, sunt passiones coniuncti,
ut dicitur f De Anima [c. 1, lect. 2]. Sed hniusmodi attribuuntur Deo·
in Scriptura: dicitur enim in Psalmo [105, 40] : "iratus est furore
Dominus in populum suum "· Ergo Deus ex materia et forma est
compositus.
3. PRAETEREA, materia est principium individ11ationis. Sed Deus
videtur esse individuum: non enim de multis praedicatur, Ergp est
compositus ex materia et forma.
SEo CONTRA, omne compositum ex materia et forma est corpus:
quantitas enim dimensiva est quae primo inhaeret materiae. Sect
altri la sua perfezione essenziale. Cosi Pietro (individuo) si distingue da "uomo ..
:istratto, perchè è uomo esistente in una determinata materia con- note indivi-
duali che non convengono cbe a lui (questa statura, questo colore, questa ligura,
questo peso .... ). Per questo - dice l'obiezione - cigni ente che è individuo e non-
unlversale dovrebbe essere costituito da un principio ·,11ateriale e .ia un prlncipio-
tcrmale (crr. Dt:. Tom., alle voci Materia, FormoJ., lndtvtduattonts p1inctpìum).
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 2
Oeus non est corpus, nt ostensum est [a. praec.]. Ergo Deus non
-e::it compositus ex materia et form:i.
REsPONDEo nicF.NDl'M quod impossibile est in Dea esse materiam.
Primo quidem, qnia materia est id quod est in potentia. Ostensum
€St autem [ibid.) quod Deus est purus actus, non habens aliquid de
potentialitate. Unde impossibile est quod Deus sit compositus ex ma-
teria et forma.
Secunrfo, quia omne compositum ex materia et forma est perfe-
dum et bonum per suam formam: unde oportet quod sit bonum per
participationem, secunrlurn quod materia participat formam. Pri-
mnm autem quod est bonum et optimum, quod Deus est, non est
bonum per partif'ipationem: quia bonum per essentiam, prius est
bono per participationem. Unde impossibile est quod Deus sit com-
positus ex materia et forma.
Tertio, quia unumquodque agens agit per suam tormam: unde
secundnm quod aliquid se habet ad suam formam, sic se habet ad
hoc quod sit agens. Quod igitur primum est et per se agens, oportet
quod sit primo et p'er se forma. Deus autem est primum agens, cum
sit prima causa efficiens, nt ostensum est [ q. 2, a. 3). Est igitur per
€Ssentiam suam forma; et non compositus ex materia et forma.
AD PRIMUM ERGO DICENIHJM quod anima attribuitur Dea per simili-
tudinem actus. Quod enim volumus aliquid nobis, ex anima nostra
est: unde illud dicitur esse placitnrn animae Dei, quod est placitum
voluntati ipsius.
An SECUNDUM DICENDUM quod ira et hniusmodi attribuuntur Deo
secundum similitudinem effedus: quia enim proprinm est irati pu-
nire, ira eius punitio metaphorice vocatur.
An TERT1 UM orcENDGM q11od formae quae sunt rcceptibiles in ma-
teria, individuantur per materiam, quae non potest esse in alio, cum
!'it primum subiectum suhstans: forma vero, quantum est de se, I1isi
aliquid albd impediat, recipi potest a pluribus. Sed illa forma q11ae
non est receptibilis in materia, sed est per se subsistens, ex hoc ipso
individuatur, quod non potest recipi in alio: et huiusmodi forma est
Deus. lindJ non sequitur quod hateat materiam.
ARTICOLO 3
Se Dio sia la stessa cosa che la sua essenza o natura. 1
SEMBRA che Dio non sia la stessa cosa che la sua essenza o natura.
Infatti:
1. Di nessuna c<lsa si dice che è in essa medesima. Ora, dell'essenza
o natura di Dio, che è la divinità, si afferma che è in Dio. Dunque
non pare che Dio si identifichi con la sua essenza o natura.
2. L'effetto assomiglia alla sua causa; perché ogni agente produce
cose simili a sè. Ora, nelle cose create il supposto non si identifica
con la sua natura; difatti l'uomo non è la stessa cosa che la sua
umanità. Dunque nemmeno Dio è identico alla sua divinità.
IN CONTRARIO: Di Dio si afferma che è la vita e non s:>Itanto che è
vivo, come apparisce dal Vangelo: « lo son la via, la verità e la
vita>>. Ora, tra divinità e Dio c'è lo stesso rapporto che tra vita e
vivente. Dunque Dio si identifica con la stessa divinità.
RISPONDO: Dio è la stessa cosa che la sua essenza o natura. Per
capire bene questa verità, bisogna sapere che nelle cose composte di
materia e di forma l'essenza o natura e il supposito necessariamente-
differiscono tra loro. Perchè l'essenza o natura compreude in sè sol-
tanto ciò che è contenuto nella definizione della specie ; così umanità
comprende solo quel che è incluso nella definizione di uomo ; solo per
questo infatti l'uomo è uomo, e precisamente questo indica il termine
umanità, quello cioè per cui l'uomo è uomo. Ora, la materia indivi-
duale con tutti gli accidenti che la individuano non entra nella de-
finizione della specie: nella definizione dell'uomo infatti non sono
incluse queste determinate carni, e queste ossa, o il colore bianco o
quello nero, o qualche altra cosa di simile. Quindi queste carni,
queste ossa e tutti gli accidenti che servono a determinare tale ma-
teria non sono compresi nella umanità. E tuttavia sono incluse in
ciò che è l'uomo; conseguentemente la realtà uomo ha in sè qualche
cosa che umanità non include. Ed è per questo che uomo e umanità
non sono totalmente la stessa cosa; ma umanità ha il signifìcat()
di parte formale dell'uomo; perchè i principii [essenziali], da cui si
desume la definizione, rispetto alla materia individuante hanno ca-
rattere di fornrn.
Perciò in quegli esseri che non sono composti di materia e di
forma, e in cui lindividuazione non deriva dalla materia indivi-
duale, cioè da questa determinata materia, ma le forme s' i11divi-
1luano da sè, bisogna che le forme stesse siano suppositi snssistenti.
Quindi in essi supposito e natura non differiscono. E così, non es-
sendo Dio composto di materia e di forma come si è dimostrato, è
necessario che sia la sua divinità, la sua vita e ogni altra cosa che di
lu"i in tal modo enunciata. 1
i Se, cioè, il soggetto della Dettà, che si esprime col termine concreto •Dio»
(= supposlto divino). sia la stessa cosa che la Deità (=natura divina). che, a no-
stro modo di dire, sembra costituire Dio, come l'umanità costitulsre l'uomo. Per-
LA SEMPLICITÀ DI DIO 101
ARTICULUS 3
Utrum sit idem Deus quod sua essentia vel natura.
I Sent., d. 34, q. 1, a. 1; I Cont. Gent., c. 21; De Un. Verlit, a. 1;
De Antma, a. 17, ~d 10;
Quoai. 2, q. 2, a. 2; Compena. Theoi., c. 10; Opusc. 37, De Quatuor Oppos., c. 4.
AD TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non sit idem Deus quod
sua essentia vel natura. Nihil enim est in seipso. Sed essentia vel na-
tura Dei, quae est deitas, dicitur esse in Dea. Ergo videtur quod Deus
non sit idem quod sua essentia vel natura.
2. PRAETEREA, effectus assimilatur suae causae: quia omne agens
agit sibi simile. Sed in rebus creatis non est idem suppositum quod
sua natura: non enim idem est homo quod sua humanitas. Ergo nec
Deus est idem quod sua deitas.
CONTRA, de Dea dicitur quod est vita, et non solum quod est vivens,
ut patet Ioan. 14, 6: «Ego sum via, veritas et vita"· Sicut autem se
hn bet vita ad viventem, ita deitas ad Deum. Ergo Deus est ipsa deitas.
RESPONDEO DICENDUM quod Deus est idem quod sua essentia vel na-
tura. Ad cuius intellectum sciendum est, quod in rebus compositis ex
materia et forma, necesse est quod differant natura vel essentia et
suppositum. Quia essentia vel natura comprehen.dit in se illa tantum
quae cadunt in defìnitione speciei: sicut humanìtas comprehendit in
se ea qnae cadunt in defìnitione hominis: bis enim homo est homo,
et hoc signifìcat humanitas, hoc scilicet quo homo est homo. Sed ma-
teria individualis, cum accidentibus omnibus individuantìbus ipsam,
non cadit in definitione ~peciei: non enim cadunt in definitione
hominis hae carnes et haec ossa, aut albedo vel nigredo, vel aliqui.d
huiusmodi. Unde hae carnes et haec ossa, et accidentia designantia
hanc materiam, non concluduntur in humanitate. Et tamen in eo
quod est homo, includuntur: unde id quod est homo, habet in se
aliquid quod non habet humanitas. Et propter hoc non est totaliter
idem homo et humanitas: sed humanitas significatur ut p-ars for.·
malis hominis; quia principia definientia habent se formaliter, re-
spectu materiae individuantis.
In his igitur quae non sunt composita ex materia et forma, in qui-
bus individuatio non est per materiam individualem, idest per hanc
materiam, sed ipsae formae per se individuantur, oportet quod ipsae
formae sint supposita subsistentia. Unde in eis non differt supposi-
tum et natura. Et sic, cum Deus non sit compositus ex materia et
torma, ut ostensnm est [a. praec. ], oportet quod Deus sit sua deitas,
sua vita, et quidquid aliud sic de Deo praedicatur.
ARTICOLO 4
Se in Dio essenza ed esistenza siano la stessa cosa. •
ARTICULUS .&
Utrum in Deo sit idem essentia et esse.
I Sent., d. 8, q. 4, aa. 1, 2; q. 5, a. 2; d. 34, q. 1, a. 1; !, d. t, q. 1, a, 1;
I Cont. Gent., cc. 22, 52; De Pot., q. 7, a. 2; De Sptrtt. Creat., a. 1;
Compend. Theol., c. 11; Opu5c. 37, De Quatuor Oppos., c. 4; De ent. et eu., e, 5.
AD QUARTUM SIC PROCEDITIJR. Videtur quod in Deo non sit idem es-
sentia et esse. Si enim hoc sit, tunc ad esse divinum nihil additur.
Sed esse cui nulla fit additio, est esse commune quod de omnibus
praedicatur: sequitur ergo quod Dens sit ens commune praedica-
bile de omnibus. Hoc autem est falsum secundum illud Sap. 14, 'U:
"incommunicabile nomen lignis et lapidibus imposuerunt '" Ergo
esse Dei non est eius essentia.
2. PRAETEREA, de Deo scire possumus an sit, ut supra [q. 2, a. 2)
tlictum est. Non autem possumus !'cirfl qnid sit. Ergo non est idem
esse Dei, et quod quid est eius, sive quidditas ve! natura.
SED CONTRA EST quoù Hilarius dicit in 1 De Trinit. [n. 11]: ((esse
non est accidens in Deo, sed subsistens veritas ». Id ergo quod sub-
sistit in Deo, est suum esse.
Rr.sPONDEO DICENDUM quod Deus non solum est sua essentia, u.t
ostensum est [a. praec.], sed etiam suum esse. Quod quidem multi-
pliciter ostendi potest. Primo quidem, qnia quidquid est in aliquo
qnod est praeter essentiam eius, oportet esse causatum ve! a princi-
piis essentiae, sicut accidentia propria consequentia speciem, ut ri·
sibile con'1equitur hominem et cansatnr ex principiis essentialibus
speciei ; vel ab aliquo exteriori, sicut calor in aqua cau&atur ab igne,
senza dell'uomo, p. es .. è ciò per cui l'uomo è uomo e si distingue da ogni specie
dl vtvent.t: I'nman!tà. L'esf~tenza, Invece, è et(> per cui l'essenza esiste, vale a dire
è fuori del nulla o delle cause che lo possono produrre: è l'atto stesso dell'esistere
(ctr. Dtz Torn. • essentla, esse•).
SI compr~nde Il senso d~ll 'n rticolo: se tn Dio essenza ed esistenza sono una m&-
deslma ~osa, Dio è pura es5"nza, pura esistenza, puro atto, tutto omogeneo In ~è.
esistente di suo, necessariamente esistente.
• S. llarto df Pottters (c. 315-367), Padre della Chiesa ; uno del più valorosi av·
versar! dell'eresia nrl:ma. La sua oper1 De Trtnttate, che è 11 suo caPolavoro t.eo-
loglco, fu scritta contro di e~sa.
104 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 4
1 Cioè dalla sua ragione stessa, che è la facolt.à percettiva del molteplici rap.
pol'ti tra le cose, da cui scaturisce la meraviglia e il riso.
• Quest'articolo è malto imp0rtante: dà, secondo la dottrina di S. Tomma~o. Il
concetto più alto e più proprio di Dio: Egli è l'ente per essenza, nel quale l'es-
senza s' tdentltlca con I "esistenza ; mentre le creature sono enti per partecipa-
zione, nel quali l'esistenza è realmente distinta dall'essenza.
Queste due verità - o due aspetti di un'unica verità - furono giustamente chia-
mate le verità fondamenta.li della tllosotla cristiana. (Vedi Dr.r. PRADO N., nel-
l'opera intitolata De l'eritalt" fundamenta"lt phtlosophtae chrtsttanae. Friburgl,
1911). Esse sono le ragioni altissime, ossia dellnltlve, di tutto ciò che si afferma
e si nega di Dio In quanto Dio, e delle creature, In quanto creature, al termine
dell' Indagine su Dio e su le creature, quando vogliamo renderci con lo sclentlfi-
LA SEMPLICITÀ DI DIO 105
Si igitur ipsum esse rei sit aliud ab eius esscntia, necesse est quod
esse illius rei vel <iit causatum ab aliquo exteriori, :ve1 a principiis
essentialibus eiusdem rei. Impossibile est autem quod esse sit causa-
tum tantum ex principiis essentialibus rei: quia nulla res sufficit
quod sit sibi causa essendi, si habeat esse cansaturn. Oportet ergo
quod illud cuius esse est aliud ab e:'l'sentia sua, habeat esse causatum
ab alio. Hoc autem non potesi dici de Deo: quia Deum dicimus esse
primam causam cfficientcm. Impossibile est ergç> quod in Deo sit
aliud esse, et alìud eius essentia.
Secundo, quia esse est actualitas omnis formae vel naturae: non
enim bonitas vel humanitas signifìcatur in actu, nisi prout signifi-
camus eam esse. Oportet igitur quod ips11m esse comparetur ad es-
senti:J.m quae est aliud ab ipso, sicnt actus ad potentiam. Cum igitur
in Deo nihil sit potentiale, ut ostensum est supra [a. 1], sequitur
quod non sit aliud iri eo essentia quam suum esse. Sua igitur es-
sentia est sunm esse.
Tertio, quia sicut illud quod habet ignem et non est ignis, est igni-
tnm per participationem, ita illud qnod habet esse et non est esse,
est ens per participationem. Deu::; autem est sua essentia, ut osten-
sum est [a. praec.]. Si igitur non sit suum esse, erit ens per partici-
pationem, et non per essentiam. Non ergo erit primum ens: quod ab-
surdum est dicere. Est igitur Deus suum esse, et non solum sua es-
sentia.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod aliquid cui non fit additio potest
intelligi dupliciter. l!no modo, ut de ratione eius sit quod non fiat
ei additi o; sicut de ratione animalis irrationalis est, ut sit sine ra-
'tione. Alia modo intelligitur aliquid cui non fit additio, quia non est
de ratione eius quod sibi fiat additi o: sicut animai commune est sine
ratione, quia non est de ratione animalis communis ut habeat ra-
tionem; sed nec de ratione eius est ut careat ratione. Primo igitur
modo, es.se sine additione, est esse divinum: secundo modo, esse si.ne
additione, est esse commune.
AD SECUNDUM DICENDUM quod esse dupliciter dicitur: uno modo,
significat actum essendi; alio modo, significat compositionem propo-
sitionis, quam anima adinvenit coniungens praedicatum subiecto.
~amente e della loro Intrinseca natura e della !c,ro radicale distinzione e giudl·
care d! tutto ciò che loro necessariamene conviene (cfr. Introd., Gen., nn. 31-32).
Tale questione è quella che si popgono ftlosofi e teologi circa la cosiddetta
•.essenza metafisica" di Dio. Qual' è, secondo il nostro modo d'Intendere, il con·
retto più profondo, più semplice, più comprensivo che esprima per noi l'Intima
natura di Dio, che Io distingua da tutte le altre cose e da cui si possano dedurre
tutti I suol attributi? Egli è l'essere per 5è sussistente "e.sse per se subs!stens •;
<> come dicono altri - meno bene ed efficacemente - l'Essere che è da se stesso,
• ens a ~e"; I'asett11's è la sua essenzn. non nel senso inteso da Schell che Dio sia
•causa sul• - causa di se ~tesso - (cfr. Katholtsclle Dogmattk, 1a edlz., II, p. 31,
dove scrive: "essenza di nto è l'a.<Ptlà, vale a dire l'autorausnlttà dell'essere per-
fetto: dle Selbstbegriindnng de-5 \Ollkommen-in Selns •) perchè Il concetto di cau-
sare se stesso !mpl!ca contraddizione (com• è contraddittoria I'autocttst di G. Gen-
tile); ma nel senso espresso da S. Tommaso, che I "essere appartiene a Dio in forza
della sua stessa essenza, con la quale è ldentllloato (vedl p. 74, nota 1, a proposito
dell'argomento di s. Anselmo).
Altri pongono l'essenza. metafisica di Dio In quest'altro concetto• atto puro d' in-
tellezione"· "Intellezione sussistente" (SALMANTICESI, SUAREZ, GIOVANNI DI S. TO:M-
MASO, BII.LUART ... ); e con ciò mctlc•no in risalto l'Indole dell'essere divino, tutto
spir·ituale e intellettivo, ma senza nulla aggiungere al concetto precedente, che
neu·essere per sè sussistente Include tutta la pertezione dell'essere.
106 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 4-5
ARTICOLO 5
Se Dio sia contenuto in qualche genere. 1
Primo igitur modo accipiendo esse, non possnmus scire esse Dei, sicut
nec eius essentiam: sed solum secundo modo. Scimus enim quod
haec propositio quam formamus de Deo, cum dicimus Deus est, vera
est. F.t boe scimus ex eius effectibus, ut supra [ q. 2, a. 2) dictum est..
ARTICULUS 5
Utrum Deus sit in genere aliquo.
I Sent .. ù. 8, q. 4, a. 2; d. IO, q. 4, a. 2: I Cont. Gent., c. 25;
De Pot , q. 7, a. 3; Compend. Theol., c. 12; De ent. et es1., c. 8.
• Infatti, nel processo della nostra cognizione, noi passiamo dal generico allo
specifico; è quindi vero che ciò che è Clontenuto nel genere (come specie, come
individuo) è posteriore nel nostn conoscer·e al genere stesso. Però la realtà pre-
cede il nostro conosc-,re, polchè quest0 ne dipende. Dio pertamo, che è la Causa
Prima di tutta la realtà, è causa anche del nostro conoscere e quindi antecede
anche Il nostro conoscere. Tutta via anche riguardo a Dio la nostra mente pro-
cede in modo che le nozioni, p. es., di ente, di buono, di sapiente, ecc., sem-
hrino anteriori e a Dio e alle creature, quasi supremo genere di cose comuni al-
l'uno e all'altre. Sembrerebbe quindi che ~econd1J la nostra m~nti- ci sia qualcosa.
di anteriore a Dio. Ma questo procedimento proviene soltanto dall'incapacità
r!ella nostra mente a cogliere direttamente le cose divine: la mente è conSll-
pevole che nulla anteceefs Dio dal momento che i\ la prima cama di t.11tto. Quindi
quest:i form:\ dl anteriorità puramente mentale, è ben diversa dall'anteriorità
<!elle nozioni genericl1e propriamente dette che guidano il nostro conoscere (Jer
rispetto alle cose create. QuPsta seconda antl'riorità è fondata sulla complessità
della natura delle cose create, dove le perfezioni espresse nei concetti generici e
specifici, si presentano anche separate (come, p. es., la razionalità e l'animali!>\)
fornendo cosi un fondamento alla mente per le distinzioni e per l'ordine che pone
tra di essi.
• Il punto lo si concepisce come il principio della linea, ch·e produce scorrendo ;
l'unità è Il principio del numero, che genera per ripetizione.
108 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 5
ARTICOLO 6
Se in Dio vi siano accidenti. 1
1 Cioè: se in Dio vi siano proprietà o qualltà distinte dalla sua e.ssenza e so-
praggiunte ad essa come perfezioni accidentali (cfr. p. 106, nota 1 e Dtz. Tom.).
• La forma in sè è atto; e l'atto ·~ome tale non è soggetto di perfezioni acci-
dentali ; non riceve perfezioni, ma conferisce la perfezione. Le forme che sono
miste di potenza e di atto ricevono bensl perfezioni accidentali, ma in quanto
sono potenza. Quanto più una forma è perfetta, ossia pi'à è atto e meno potenza,
LA SE.MPLICITA DI DIO 111
ARTICULUS 6
Utrum in Deo sint aliqua accidentiL
I Sent., d. 8, q. 4, a. 3; I Cont. Gent., c. 23; De Pot., q. 7, a. 6:
Compena. Theoi .• c. 23.
ARTICOLO 7
Se Dio sia del tutto semplice.
ARTICULUS 7
Utrum Deus sit omnino simplex.
I Sent., d. 8, q . .f., a. 1 ; I Cont. Gent .• cc. 16, 18; De Pot., q. 7, a. 1;
Compend. Theoz., c. 9; Opusc. :n, De Quatuor Oppos., c. 4; De Causts, lect. 21.
m:irlo: formandolo, la l-0ro capacità è stata attuata. In questo senso le parti sono-
tra di loro e col tutto in rapporto di potenza ed atto.
• La fisica moderna et impedisce di considerare ancora possihlle un composf.o.
dl parti omogenee, cioè di parti della stessa natura del composto. Una massa
d'acqua o di aria non è per noi un'unità natur'11.e. Ma ciò non toglie nessuna.
for:i:a. all'argomentare dell'Aquinate.
114 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 7-8
ARTICOLO 8
Se Dio entri in composizione con gli altri esseri
SEMBRA che Dio entri in composizione con gli altri esseri. Infatti :
1. Dice Dionigi: "La deità, che è sopra l'essere, è l'essere di tutte
le cose"· Ora, l'essere di tutte le cose: Pntra nella composizione di
eiascuna. Dunque Dio viene in composizione con altri esseri.
2. Dio è forma, asserendo S. Agostino che cc il Verbo di Dio (che è
Dio) è una cr.rta forma uon formata"· Ora, la forma è parte del
composto. Dunque Dio è parte di qualche composto.
3. Le cose che esistono e in nulla differiscono, sono un' identica
realtà. Ora, Dio e la materia prima esistono e non differiscono in nes-
sun modo. Dunque si identificano totalmente. Ma la materia prima
entra nella composizione delle cose. Quindi anche Dio. Prova della
minore: tutte le cose che differiscono, differiscono per qualche diffe-
renza, e perciò è necessario che siano composte; ma Dio e la ma-
teria prima sono del tuttfl semplici; dunr:ue ncn ,1ifieriscono in nes-
sun modo.
IN CONTRARIO: Dice Dionigi che «non vi è nè contatto di lui, (cioè
di Dio), nè qualsiasi altra comunanza con parti da mescolare in-
sieme». Inoltre nel libro De Causis si dice: «La causa prima go-
verna tutte le cose, ma non si mischia con esse».
RISPONDO: Su queste• punto son corsi tre errori. Alcuni, come rife-
risce S. Agostino, hanno detto che Dio è l'anima del mondo ; e a
questo si l"iduce l'errore di. altri i quali dissero che Dio è l'anima
.a.qua; aliquid tamen dicitur de toto, quod non convenit alicui par-
ti um: non enim si tota aqna est bicubita, et pars eius. Sic· igitur in
-0mni composito est aliquid quod non est ipsum. Hoc autem etsi possit
dici de habente formam, quod scilicet habeat aliquid quod non est
ipsum (puta in albo est aliquid quod non pertinet ad rationem albi):
tamen in ipsa forma nihil est alienum. Unde, cum Deus sit ipsa
forma, ve! potius ipsum esse, nullo modo compositus esse potest. Et
hanc rationem tangit Hilarius, 7 De Trinit. [n. 27], dicens: "Deus,
.qui virtus est, ex infirmis non continetur: neque qui lux est, ex ob-
scuris coaptatur ».
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod ea quae sunt a Ileo, imitantur
Deum sicut causata primam causam. Est autem hoc de ratione cau-
sati, quod sit aliquo modo compositum: quia ad minus esse eius est
aliud quam quod quirl est, 11t infra patebit [I, q. 50, a. 2, ad 3].
Ao sEt.UNDUM DICENOUM quod apnd nos composita sunt meliora sim-
plicibus, quia perfectio bonitatis creaturae non invenitur in un.o sim-
plici, sed in multis. Sed perfectio divinae bonitatis invenitur in uno
simplici, ut infra ostendetur [ q. 4, a. 2, ad 1].
ARTICULUS 8
Utrum Deus in compositionem aliorum veniat.
f Sent., d. 8, q. t, a. 2; I Cont. Gent., cc. 17, 26, 'i!7; s, c. 51; De Pot., q, 6, a. Il;
De Vertt., q. 21, a. t.
eltà di pur-0 essere ln Dio (atto puro), la composizione ed eterogeneità nella crea-
tura (potenza ed atto, essenza ed esistenza (cfr. luogo sopra elt.).
116 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 8
del prùno cielo. 1 Altri hanno affermato che Dio è il principio for-
male di tutte le cose. Tale, si dice, fu l'opinione dei discepoli di
Almarico. Ma il terzo errore è quello di David di Dinant, il quale
stoltissimamente affermò che Dio è la materia prima. Tutto ciò con-
tiene una falsità manifesta; e non è possibile che Dio entri in qual-
che modo nella composizione di cosa alcuna nè come principio for-
male, nè come principio materiale.
Innanzi tutto, perchè !!ià dicemmo che Dio è la prima causa effi-
ciente. Ora, la causa efficiente non [può mai.] coincidere numerica-
mente con la forma dell'effetto, ma solo secouùo la specie; difatti un
uomo genera [non se stesso ma] un altro uomo. La materia poi non
coincide con la causa efficiente nè numericamente, nè specificamente,
giacchè quella è in potenza, questa invece è in atto.
In secondo luogo, perchè essendo Dio la prima causa efficiente,
l'agire gli appartiene primieramente e di per sè. Ora, ciò che viene
in composizione con qualche cosa, non è agente di per sè e come
causa principale; chè tale è piuttosto il composto: non è la mane>
che opera, ma l'uom,) mediante la mano, e chi riscalda è il fuoco
mediante il calore. Perciò Dio non può essere parte di un composto.
In terzo luogo, perchè 11ess11na parte di un composto può in mode>
assoluto essere prima realtà tra gli esseri: neanche la materia e la
forma, che pure sono le prime parti del composto. Infatti la materia
è in potenza; e la potenza, assolutamente parlando, è posteriore
aU'atto, come è chiaro da quello che si è già detto. E la forma, quando
è parte del composto, è forma partecipata; ora, la cosa che viene par-
tecipata, e l'essere che la partecipa, è posteriore a ciò che è per es-
senza; cosi il fuoco l che troviamo] nelle cose infocate è posteriore
al fuoe<> per essenza. Invece si è già dimostrato che Dio è l'essere
assolutamente primo. 2
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la divinità è l'essere di
tutte le cose come causa efficiente ed esemplare; non già per la sua
essenza [come se fosse causa materiale o formale deJle cose].
percbè ogni essere è Dlo •. Gugllelmo di Parigi {1180-1249) e Wiclef (t 1384) sem-
brano aver attinto a quest'errore. G. Bruno (1548-1600) che confonde Dio con la
natura. ponendo tra essi pure distinzioni manlfestative (natura naturans, natura
oaturata), è vicinissimo a costoro. L' Idea di Almarlco (t 1209) è senza dubbio più
elevata e meno assurda poiché divinizza la forma, vale a dire ciò che vi è nella
creatura di più divino, nel senso di Aristot.ele, e che S. Tommaso chiama "la so-
miglianza stessa dell'Atto primo inclusa in una materia•. E siccome l'essere,
nella sua alta generalità, è • la forma per eccellenza •, divinizzare la forma è in
qualche modo divinizzare l'Essere stesso, o l'Idea, il che certo non è cosa bassa.
Si riconosce qui, salvo sfumature e sviluppi In sensi divergenti, Il pensiero fon-
damentale di Hegel, di Fichte, di Schelllng. Spinoza Invece, da buon cartesiano,
Intende fare una parte Più grande al reale, e quindi alla materia e all'estensione
che la caratterizza. Il suo sistema si presenta cosi come una sintesi di quelli di
Almarlco e di Davld di Dlnant, poichè Il su.o Dio è Insieme pensiero ed estensione,
escogitato In modo da poter spiegare e ricondurre a un centro unico ciò che si
chiama materia, e ciò cha si chiama spirito. - S. Tommaso ha rtlffusamente trat-
tato più volte queste dimcm questioni. Vedi in modo particolare I Cont. Gent.,
c. 26; e I Sent., d. 8, q. 1, a. 2.
La concezione di Dio come anima del mondo proviene da una riflessione più
superficiale e antropomorfica. Ciò che l'anima è per Il nostro corpo, lo sarebbe Dio
per il corpo universale, per Il cosmo, la cui unitA. organica, messa in risalto dal
mott del cieli, aveva colpito 11 pensiero degll antichi. A causa dell'unltfl del-
l'anima e del corpo, si chiamava l'unlver~o Dio; ma •nello stesso modo che un
uomo sapiente, benchè formato d'anima e di corpo, è detto sapiente a causa della
sua anima, cosi 11 mondo è detto Dlo a causa dello spirito che lo anima, pur es-
sendo formato di spirito e di corpo•. Cosi S. Agostino esprime Il p11nslero di Var·
rone e del suoi numerosi emuli (Cttt4 4t Dta, 1. 7, c. 6; vedi SoM. FRANC., Dteu, I,
pp. 349-350).
118 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 8
2. Il Verbo è forma esemplare, non già forma che fa parte del com-
posto.
3. Le cose semplici non differiscono tra di loro per altre differenze ~
perchè ciò è proprio dei composti. Difatti l'uomo e il ca vallo [che
f.ono composti] differiscono per le differenze di razionale e di irra-
zionale; ma queste differenze non differiscono alla loro volta per altre
differenze. Perciò a rigore di termini, più che differenti debbono dirsi
diverse; infatti secondo Aristotele di1:erso dice [disuguaglianza] as-
soluta; ma ciò che è diff erenle, differisce soltanto per qualche cosa.
Se, quindi, si vuole far forza sulla parola, la materia prima e Dio
non differiscono, ma sono cose del tutto diverse. Perciò non segue
che siano una stessa cosa.
LA SE'.\fPLICITA DI DIO 119
ARTICOLO 1
Be Dio sia perfetto.
ARTICULUS 1
Utrum Deus sit perfectus.
I Conr. Gen., c. 28; ne Verlt., q. 2, a. 3, ad 13; Compent!. Theol., c. 20:
De DIV. Nom., c. 13, Iect. 1.
ARTICOLO 2
Se si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose.
ARTICULUS 2
Utrum in Deo sint perfectiones omnium rerum.
I Sent., d. 2, aa. ~. 3; ; Cont. Gent., cc. 2&, 31; f, c. 2; De Verit., q. 2. a. 1:
Compend. Theol., cc. 21, 22; De Dtv. Nom., c. 5, lect. 1, 2.
retto, di Dio sul mondo: « glacchè l'ente In potenza non passa all'atto se non per
mezzo di un ente in atto"· (Soluz. 2).
2 Le torme sono atto rispetto alla materia che specificano e con la quale for-
mano un solo tutto, una sola essenza (vedi p. 110, nota 2) ; ma l'essere è atto ri-
spetto alle forme stesse, perchè esse vengono poste fuori del nulla (sono) insieme
alla materia se sono forme non per sè sussistenti, o senza materia se sono forme
per sè sussistenti, precisament.e in virtù dell'essere. La realtà è data da!J"essere.
che di per sè è massimamente comprensivo ed Infinito. Quindi Il concetto <li «es-
sere per sè snssistpnte" è mas5lmam~nte proprio per Indicare la perfezione di
Dio (vedi p. 104, nota 2).
• Per l'uso tomistico di genus, spectes, d.t«erentta, vedi Dtz. Tom.
12~ LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 4, a. 2
i Nel gradi dell'essere l'antica Logica classlftcava co&I, secondo l'albero di Por-
firio, la realtà: al di sopra di tutte le categorie sta l'ente, concetto unlversalis-
simo e predicato di tutte le cose; ma anche Indeterminatissimo. quanto al suo
contenuto esplicito nel nostri primi concetti. Esso viene determinato per dei con-
cetti più comprensivi e meno estesi: il concetto di sostanza, di vi,·ente, di sen·
ziente, di Intelligente... ; I quali però non soltanto non si oppongono all'ente
(come finge di credere l'oblcente) ma ne mettono anzi In rilievo la ricchezza se-
condo cui si attua concretamente In natura. Non c'è realtà'ehe non sia in una
sr.ecle di ente; le specie concrete sono una più perfetta dell'altra (senziente. Intel-
ligente.... ). 111a la perfezione nuova che aggiungono, è sempre null'altro che en-
tità.
2 Cioè Averroè (vedi p, 106, nota 2).
3 L'agente untvoco è l'agente Che produce un effetto della sua stessa natura
specifica o generica ; l'agente equtvoco (= analogo) è l'agente che produce un
effetto di specie e di genere diverso. II sole, per usare l'esempio di S. Tommaso.
è certo causa. parziale almeno. di tanti effetti nell'universo. ma secondo la con-
cezione di allora, tali etTet.tl non avevano la natura nè specifica nè generica del
sole. Gli agenti equivoci sono pressochl> Infiniti In natura; Indichiamo come
esempio 1' Ingegnere che produce una macchina. (Vedi Introd., n. 23).
• La sacra Scrittura, movendo rlmprove10 a quanti non seppero elevarsi dallo
spettacolo del creato alla cognizione della bellezza e potenza del Creatore, dice:
LA PERFEZIONE DI DIO 125
•Vani sono tutti quegli uomini che non hanno la conoscenza di Dio, e dal beni
visibili non seppero Intendere Colui che è, nè dalla considerazione delle opet'e
riconobbero l'artefice. Ma il fuoco o il vento, o l'aria sottile o il giro delle
" stelle, o l' immensità delle acque, o il sole o la luna presero per dèl, reggitori
. del mondo. Se rapiti dalla bellezza di tali cose, le credettero dèi ; sappiano
quanto più bello è il loro Signore; poichè le ha fatte tutte l'autore della bel-
.lezza. Se invece ammirarono le vll·tù e le loro opere, da queste intendano, che
,...Pit\ potente ~ C<>lui che le ha fatte. Poichè dalla grandezza della creatm·a poti·:\
i.:tntelligihllmente vedersi 11 creatore• (Sap., 13, t-5). s. Pa<>l<>, nel f:>re l<> stess<>
j.r'illevo, aggiunge che Dio permise le brutture morali del paganesimo per punire
p• idolatria (Rom., 1, !U ss.).
!'.· Le cose dunque dovrebbero essere scala a Dio, ad ammirarne la sapienza, che è
)'.l'arte di Dio, come dice Il Salmo 103, !!4: • tutto hai tu fatto con sapienza• (cfr.
i.·i Co11t. Gent., c. 2).
[; • Ricordare, per comprendere la forza dell'esempio, che la fisica antica rite-
\neva il cal<>re una qualità elerrnmtare costitutiva del fuoco. considerato uno del
'iiluattro elementi semplici che entravano a costituire le cose. Il fuoco, era concepito
ì~òme calore per essenza, avente pure un suo luogo connaturale nella sfera cele-
::!itlale, detta appunto slera del fuoco. L'eIT<>re di tale c<>ncezione non pregiudica
ì~ftatto la verità della dottrina qui esposta, perchè questo del calore non è che un
1~mplo materiale per chiarire la dottrina delle forme sussistenti (vedi p. 111.
'nota 3).
126 LA SOMMA TEOLOGlCA, 1, q. 4, aa. 2-3
ARTlCOLO 3
Se una creatura possa essere simile a Dio.
ARTICULUS 3
Utrum aliqua creatura possit esse similis Deo.
I Sent., d. 48, q. 1, a. 1; f, d. 16, q. 1, a. 1, ad 3; I Cont. Gent., c. 29;
De Ver1t., q. 2, a. 11; q. 3, a. 1, ad 9;
q. 23, a. 7, ad 9 ss.; De Pot., q. 7, a. 7; De D1.v. Nom., c. 9, lect. 3.
Ao TERTIUM sic PROc.EDITUR. Videtur quod nulla creatura possit esse
similis Deo. Dicitur enim in Psalmo [85, 8] : cc non est similis tui in
rliis, Domine». Sed inter omnes creaturas, excellentiores sunt quae
dicuntur dii participative. Multo ergo minus aliae creaturae possun1
;4ici Deo similes.
~" 2. Pr.AETERF.A, similitudo est comparatio quaedam. Non est autem
~-Omparatio eor11m quae sunt diversorum generum; ergo nec simi-
tì.tudo: non enim dicimus quod dulcedo sit similis albedini. Sed nulla
{:.
~lsta di un ~oggetto che ne assomml tutta la ricchezza interiore, guarderemo
Jlle più alt~ manifestazioni della vita, e il vivente si presenterà dot.ato d" Jntel-
:euo e di sa1>ienrn. Nell'n.te poi cosi concepito saremo obbligati a includere t.utte
~.·. . perfezioni con le 11ualt i'essere si manifesta o potrebbe manifestarsi, poichè
\112e non son0 che aspetti frammentari dell'e$sere come tale. Perciò I termini Più
\aghi. che a prima vi~ta sembrano arricchiti dal più specifici, hanno In se stessi
ijla virtualità che cl permette di avvicinare un poco più da vicino r Infinita per.
ezlone di Dio.
128 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 4, a. 3
ARTICOLO 1
Se il bene differisca realmente dall'ente.
1 Questa breve trattazione, nella quale si condensa tutta la metafisica del bene
In generale, è necessaria evidentemente a penetrare addentro nella natura della
Bontà divina, tanto proclamata dalla sa.era Scrittura e da tutta la creazione. Se
si pensa moltre che la bontà e un supremo attributo di Dio e uno dei concetti t1·a-
~cendentali, Intorno a cui si puO sintetizzare tutta una dottrina teologica o tiln.
sofica, si comprende anche meglio l'importanza di questa trattazione, elle po-
trebbe a una vista superficiale sembrare astratta e remot>1. dagli oggetti propri
della teologia.
• 11 Ltfler De Causts, che fu commentato da S. Tommaso, deriva per la rnag-
!!ior i.arte dalla Instttulto theologtcn di Prodo, neophtonlco (410-485), con l'ag-
giunta di commenti di filosofi arabi (Alfarabi, Avicenna, Algazel). Per molto
QUAESTIO 5
De bono in communi
tn sex arttculo1 dtvtsa.
ARTICULUS 1
Utrum bonum differat secundum rem ab ente.
I Sent., d. 8, q. 1, a. 3; d. l9, q. 5, a. 1, ad 3; De Vertt., q. 1, a.. 1; q. 21, a.. t;
De Pot., q. 9, a. 7, ad 6.
An PRIMUM src PROCEDITUR. Videtur quod bonum differat secundum
rem ab ente. Dicit enim Boetìus, in libro De hebdo111. [lect. 3) : "in-
tueor in rebus ali ud esse quod sunt bona, et aliud esse quod sunt "·
Ergo bonum et ens differunt secundum rem.
2. PRAITF.llEA, nihil informatur seipso. Sed bonum dicitur per in-
formationem entis, ut habetur in Commento libri De Cattsis [in prop.
21, 22]. Ergo bonum differì secundum rem ab ente.
3. PRAETEREA, bonum suscipit magis et minus. Esse autem non su-
scipit magis et minus. Ergo bonum differt secundum rem ab ente.
SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in libro De Doctrina Chri-
stiana [I. 1, c. 32], quod « inquantum sumus, boni sumus ».
RESPONDEO DICENDUM quod bonum et ens sunt idem secundum rem:
s~d differunt secundum rationem tantum. Quod sic patet. Ratio enim
bbni in hoc consistit, quod aliquid sit appetibile : unde Philosophus,
in I Ethic. [c.1, lect.1], dicit quod bonum est «quod omnia appetuntn.
Manifestum est autem quod unumquodque est appe~ibile secundum
quod est perfectum: nam omnia appetunt suam perfectionem. In-
tantum est autem perfectum unumquodque, inquantum est actu:
un de manifestum est quod intantum est aliquid bonum, inquantum.
1 come dirà più avanti S. Tommaso anche a proposito del vero, ti solo el&-
mento che distingue la nozione di llene e la nozione di ve1·0 da quella di ente, è
una certa relaztone oggettiva, non reale ma di ragione, ossia formata dalla mente
nell'Identica realtà significata realmente da tutte e tre quella nozioni. Una cosa
che esiste o <;he pu6 eststere: ecco la nozione di ente, la .Più semplice di tutte.
Ma la medesima cosa che esiste, In \'lrtù solo di <~nello che è senza null'altro
ricevere, riveste noztone dt vero In quanto è constderata rispetto a un tntelletto
da cui è pensata o da cui può essere pl'nsata ; e, pure in virtù di quello solo che
è, riveste noztone dt bene In quanto è constderata rispetto a una t•olontà che la
IL BENE IN GENERALE 135-
est ens: esse enim est actualitas ornnis rei, ut ex superioribus [q. 3,
a. 4; q. 4, a. 1, ad 3] patet. Unde manifestum est quod bonum et
ens sunt idem secundum rem: sed bonum dicit rationem appetibili&,
quam non dicit ens.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, licet bonum et ens sint idem se-
cundum rem, quia tamen differunt secundum rationem, non eodem
modo dicitur aliquid ens simplicite·r, et bonum simpliciter. Nam cum
ens dicat aliquid proprie esse in actu ; actus autem prpprie ordi-
nem habeat ad potentiam ; secundum hoc simpliciter aliquid dicitur
ens, secundum quod primo discernitur ab eo quod est in potentia
tantum. Hoc autem est esse substantiale rei uniuscuiusque; unde per
suum esse substantiale dicitur unumquodque ens simpliciter. Per
actus autem superadditos, dicitur aliquid esse secundum quid, sicut
esse album significat esse secundum quid: non enim esse album au-
fert esse in potentia simpliciter, cum adveniat rei iam praeexistenti
in actu. Sed bonum dicit rationem perfecti, quod est appetibile: et
per consequens dicit rationem ultimi. Unde id quod est ultimo per-
f ectum, dicitur bon11m simpliciter. Quod autem non habet ultimam
perfectionem quam debet habere, quamvis habeat aliquam perfe-
ctionem inquantum est actu, non tamen dicitur perfectum simp.Uci-
ter, nec bonum simpliciter, sed secnndum quid. - Sic ergo secun-
dum primum esse, quod est substantiale, dicitur aliquid ens sim-
pliciter et bonum secundum quid, idrst inquantum est ens: secun-
dum vero ultimum actum, dicitur aliquid ens secundum quid, et
bonum simpliciter. Sic ergo quod dicit Boetins, quod "in rebus aliuct
est quod sunt bona, et aliud quod sunt », reterendum est ad esse bo-
num et ad esse simplicite1·: quia sernndum primum actum est ali-
quid ens simpliciter; et secundum ultimum, bonum simpliciter. Et
tamen secundum prirnum actum est quodammodo bonum: et se-
cundum ultimum actum est quodammodo ens.
Ao sECUNDUM DICENDU~f- quod bonum dicitur per informationem,
prout accipitur bonurn simpliciter, secundnm ultimum actum.
Et similiter dicendurn ad tertium, quoct bonum dicitur secundum
magis et minus, secundum actum supervenientem ; puta sec.1mdum
scientiam vel virtutem.
vuole o può volerla. Questi rispetti o relazioni sono l'elemento distintivo delle no.
zionl di vero e di bene, non e~presse esplicitamente nella nozione di ente.
• Per scendere a un esempio concreto, si dlce: Pietro t, ossia esiste (est ens
slmpliciter ~o è esistente senz'aggiunta) appena elle ha il suo essere sostanziale di
uomo.
• Cosl dunque, si dice che Pietro t (senz'aggiungere altro - simpl!citer -) non
app;ma ha il suo essere sostanziale, ma non si c!ice che t, senza preci~re il nuovo
essere che riceve, quando all'essere sostanziale si aggiungono esseri accidentali.
Allora si dice, p. es., che t 1aptente, forte, grasso, ecc. L'essere sostanziale ta
I'. eus s1mpliciter "• gli esseri accidentali aggiunti tanno 1' "ens secundum quid "·
tSG LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 2
ARTICOLO 2
Se il bene concettualmente sia prima dell'ente.
1 Oggetto proprio (oggetto formale) di una facoltà è ciò che, come tale, non è
percepito se non da quella facoltà, ed è, anzi, per quella facoltà il mezzo In cui
e per cui coglie tutti gli altri oggetti. Cosi oggetto proprio dell'Intelletto è l'ente,
perchè l'ente (-ciò che una cosa ~ determinatamente IP se stessa) non è conosciuto,
come tale, se non dall" intelletto, e tutti gli oggetti che I' Intelletto coglie, li co-
glie conoscendoli In quanto enti, cioè In quanto sono determinate cose esistenti.
Esso riposa solo quando ha conosciuto, di una cosa qualsiasi, ctò che essa è, ctd
che ta fa essere t11le (ens et quae sunt per se entls). Cosi, p. es., lintelletto co-
.nosce l'uomo quando conosce che cosa è l'uomo.
' Il suono, come parttcolare ente concreto, è oggetto proprio dell'udito, Il quale
percepisce anche, sempre concretamente, tante altre cose (l'essere stesso, la pro-
porzione, l"estens!one, il tempo, il sentimento), ma soltanto in quanto vibranti nel
IL BENE IN GENERALE 137
ARTlCULUS 2
Utrum bonum secundum rationem sit prius quam ens.
t Seni., d. 8, q. 1, a.. 3; I Cont. Gent., c. 20; De Vertt., q. 21, a. 2, ad 5: a.. 3.
An SECUNDUM SIC PROCEIHTUR. Videtur quod bonum secundum ratio-
nem sit prius quam ens. Ordo enim nominum est secundum ordinem
rerum significatarum per nomina. Sed Dionysius, inter alia nomina
Dei, prius p.onit bonum quam ens, ut patet in 3 cap. De Div. Nom.
[lect. 1). Ergo bonum secundum rationem est prius quam ens.
2. PRAETEREA, illud est prius secundum rationem, qu 0d ad plura
se extendit. Sed bonum ad plura se extendit quam ens: quia, ut dicit
Oionysius, 5 cap. De Div. Nom. [lect. 1), cc bonum se extendit ad exi-
stentia et non existentia, ens vero ad existentia tantum ». Ergo bo-
n11m est prius secundum rationem quam ens.
3. PRAETEREA, quod est universalius, est prius secundum rationem.
Sed bonum videtur universalius esse quam ens: quia bonum habet
rationem appetibilis ; quibusdam autem appetibile est ipsum non
esse ; dicitur enim, Matth. 26, 24, de I uda: cc bonum erat ei, si natus
non fuisset '" etc. Ergo bonum est prius quam ens, secundum ra-
tionem.
4. PRAETEREA, non solum esse est appetibile, sed et vita et sapientia,
et multa huiusmodi: et sic videtur quod esse sit quoddam particulare
appetibile, et bonum, universale. Bi:mum ergo simpliciter est prius
secundum rationem quam ens.
SEo CONTRA EST quod dicitur in libro De Causis [prop. 4, lect. 4),
quod "prima rerum creatarum est esse"·
RESPONDEO DICENDUM quod ens secundum rationem est prius quam
bonum. Ratio enim significata per nomen, est id quod concipit in-
tellectus de re, et signiflcat illud per vocem: illud ergo est prius
secundum rationem, quod prius cadit in conceptione intellectus.
Primo autern in conceptione intellectus cadit ens: quia secundum
hoc unumquodque cognoscihile P!'lt, inqnantum est actn, ut dicitur
in 9 Metaphys. [c. 9, lect. 10). Unde ens est proprium obiectum intel-
lectus: et sic est primum intelligibile, sicut sonus est primum audi-
bile. lta ergo secundum rationem prius est ens quam bonum.
An PRIMUM ERGO mcF..NDUM qnod Dionysius determinat de <Uvinis
nominibus secundum qnod importa.nt circa Deum habitudinem cau-
sae: nominamus enim Deum, ut ipse dieit [De Div. Nom., c. 1, lect. 3),
suono stesso, e fatti, per cosi dire, suono. La distinzione degli oggetti propri è
la ragione della distinzione delle facoltà stesse. !Via questo non Impedisce l'unità
del conoscere, perchè essendo. quella del sensi e quella dell'intelletto, attività
di una stessa anima, o di uno stesso supposlto, nella realtà che viene a contatto
del soggetto conoscente, l sensi colgono Il loro oggetto {l'aspetto superficiale e ac-
cidentale della realtà) e l'Intelletto Il suo oggetto {l'aspetto profondo ed essenziale
della realtà manifestato nelle qualità percepite dal sensi). Ma condizione indispen-
sabile di ogni cognizione è che l'oggetto esista, sta tn atto determinatamente .se-
condo la sua natura, abbia 11 suo ttetermtna'to essere. Se· è in potenza soltanto,
non è conoscibile se non per riferimento all'atto, quindi non per ciò che è, o88la
per la potenza che è Indeterminata, ma per ciò che può essere o sarà. P. es., la ca-
pacità di una sbarra di ferro a divenire tante cose, non è conoscibile se non per
riferimento a dette cose determinatamente.
1-iO LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 3
ARTICOLO 3
Se ogni ente sia buono.
ARTICULUS 3
Utrum omne ens sit bonum.
I Sent., d. 8, q. 1, a. 3; f Cont. Gent., c. '1 ; I, r.. 20 : De Ve1it., q. lit, a. t:
De he'Odom., lect. !l.
Ao TERTIUM sic PROCEDITUR. Videtur quod non omne ens sit bonum.
Bonum enim addit supra ens, ut ex dictis [a. 1] patet. Ea vero quae
addunt aliquid supra ens, contrahunt ipsum: sicut substantia, quan-
titas, qualitas, et alia huiusmodi. Ergo bonum contrahit ens. Non
1gitur omne ens est bonum.
2. PRAETEREA, nullum malum est bonum: Isaiae 5, 20, "Vae qui di-
citis malum bonum, et bonum malum. » Sed aliquod ens dicitur ma-
lum. Ergo non omne ens est bonum.
3. PRAETEREA, bonum habet rationem appetibilis. Sed materia prima
non habet rationem appetibilis, sed appetentis tantum. Ergo materia
prima non habet rationem boni. Non igitur omne ens est bonum.
4. PRAETEREA, Philosophus dicit, in 3 Metavhys. [c. 2, lect. 4], quod
in mwthematicis non est bonum. Sed mathernatica s1mt quaedam en-
tia: alioquin de eis non esset scientia. Ergo non omne ens est bonum. -
S1m CONTRA, omne ens quod non est Deus, est Dei creatura. Sed
« omnis creatura Dei est bona"• ut dicitur 1 ad Tim., 4, 4: Deus
vero est maxime bonus. Ergo omne ens est bonum.
RESPONDEO DICENDUM quod omne ens, inquantum est ens, est bo-
num. Omne enim ens, inquantum est ens, est in actu, et quodam-
modo perfoctum: quia omnis actns perfectio quaedam est. Perfec-
tum vero habet rationem appetibilis et bord, ut ex dictis [a. 1] patct.
Unde sequitur omne ens, inquantum huiusmodi, bonum esse.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod suhstantia, quantitas et qualitas,
et ea quae sub eis continentur, contrahunt ens applicando ens ad ali-
quam quidditatem seu naturam. Sic autem non addit aliquid bonum
super ens: sed rationem tantum appetihilis et perfectionis, quod
convenit ipsi esse in quacumque natura sit. Unde bonum non con-
trahit ens.
AD SECUNDUM nICENDUM quod nullum ens dicitur malum inquantum
est ens, sed inquantum caret quodam esse: sicut homo dicitur malus
inquantum caret esse virtutis, et oculus dicitur malus inquantum
caret acumine visus.,
lntellettnalismo, ammettendo, e per una ragione desunta dalla natura stessa del
nostro Intelletto, che finchè slamo In terra legati al presente modo di conoscere,
è meglio amare Dio che conoscerlo (I, q. 82, a. 3; cfr. Introd., n. !11).
t In altri termini il concetto cli ente e il concetto di bene hanno la ste.<;Sa
estensione: abbracciano tutta la realtà. Il concetto invece di sostanza, o di qua-
lità, o di quantità, ecc., non si estende a tutta la realtà, ma si applica a una
parte di ·essa.. La sostanza è un i:artlcolare ente, e cosi la qualità e la quantità,
ecc.
2 Il male, come dice altrove S. Tommaso, es~endo privaztone di perfezione o di
entit:l. In un soggetto che di sua natura deve averla, non può esistere se non nel
bene: cioè In un soggetto che non è del tutto sfornito di perfezione e di entità,
chè altrimenti sarebbe il nulla : e sotto questo aspetto anche ciò che si dice male
è un bene (Cfr. I, q. 48, spec. aa. !l, 3, 4).
142 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5. na. 3-4
ARTICOLO i
Se il bene abbia il carattere di causa finale. 1
ARTICULUS 4
Utrum bonum habeat rationem causae finalis.
Supra, a. 2, ad 1 ; I Sent., d. 34, q. 2, a. 1, ad 4 ; I Cont. Gent.i c. 40:
De Vertt., q. 21, a. 1; De Dtv. Nom., c. 1, lect. 3; f Phystc., ect. 5.
1 Onde la ragione di bene o di perfezione (il bene ontologtco), che 91 deve con-
cepire come anteriore nella causa (ordine del causare), poichè un ente non causa
se non In !orza della sua perfezione, non si concepisce se non come posteriore e
ultimo nell'effetto (ordin" del causatoì, percbè sotto l'influsso della causa l'ef-
fetto si costituisce ed ha il suo complemento gradualmente: prima ha la torma
per cui è un determinato ente (p. es., un uomo) ; poi la virtù attiva per cui può-
agire (p, es., può generare) ; quindi lo si concepisce come ontologicamente per-
fetto, ossia realizza l'idea di bene.
~ Pare che Il significato di ra tlo qui sia proprio quello di proporzione, come
si ha nel Comm. In s Dc antma, c. 2, lect. 2, in fine: • eo quod sensus est pro-
portio quaedam " (cfr. Bul!. Thom., 1932, p. 632).
Proportto poi equivale a relatfo. Le facoltà conoscitive hanno vitale relazione
con le cose esistenti, poichè tendono di lorn natura ad assimilarsi ad esse. L'es-
~ere Intrinseco delle facoltà conoscitive non si limita a costituirle in se stesse,
ma le orienta nello stesso tempo e le porta all'as5imilazione conoscitiva delle cos~.
Il loro essere è tntenztona'le, tende alle cose; e le cose in un ordine superiore
d'Immaterialità Improntano d! sé le facoltà conoscitive, come nn' Immagine lu-
minosa· colora di sè un limpido cristallo. Nell'atto del conoscere conoscente e co-
nosciuto si Identificano.
Quando le cose conoscibili. essendo sensibilmente o lucidamente proporzionate
e armonizzate nella molteplicità delle loro parti, si prestano alla !acile percezione
IL BENE IN GENERALE 145
ARTICOLO 5
Se la natura del bene consista nel modo, nella specie
e nell'ordine. a
SEMBRA che la natura propria del bene non consista nel modo, nella
specie e nell'ordine. Infatti:
1. Il bene e l'ente concettualmente differiscono, come è già stato
detto. Ora, modo, specie e ordine sembrano piuttosto appartenere al
·concetto di ente, poichè si dice nella Scrittura: «tutte Le cose [o enti]
disponesti in misura, numero e peso n; e a questi tre elementi si ri-
ducono il modo, la specie e l'ordine, come spiega lo stesso S. Ago-
stino, il quale appunto scrive: «La misura determina a ciascuna
cosa il suo modo; il numero offre a ogni cosa la sua specie ; e il peso
trae ogni cosa al sno riposo e alla sua Sltabilità n. Dunque non l'es-
·senza del bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
2. Modo, specie ed ordine sono anch'essi dei beni. Se dunque il
·bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine, bisogna che ognuna
di queste cose abbia e modo e specie e ordine. Si andrebbe così al-
l' infinito.
3. TI male consiste nella privazione del modo, della specie e del-
l'ordine. Ora, il male non toglie totalmente il bene. 2 Dunque il ben.e
non consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
4. Non può dirsi cattivo ciò che forma l'essenza del bene. Ora,
si dice: malo modo, cattiva specie, ordine difettoso. In essi dunque
non può consistere l'essenza del bene.
5. Modo, specie e ordine, derivano dal peso, dal numero e 1lalla
misura com'è evidente dal brano citato di S. Agostino. Ora, non
·tutte le cose buone hanno nnmero, peso e misura; S. Ambrogio in-
fatti dice che «la natura della luce consiste nel non essere stata
·creata in numero, peso e misura n. Dunque il bene non consiste nel
modo, nella specie e nell'ordine.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: «Queste tre cose: il modo, la
specie e l'ordine sono come dei beni generali nelle cose fatte da Dio:
per cui, dove queste tre cose sono grandi, vi sono grandi beni ; •fove
picc.ole, piccoli beni ; dove non ci sono, non c'è alcun bene». Ciò
·non sarebbe se in esse non consistesse l'essenza del bene. Dunque i1
bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
RrsPoNoo: Una cosa è detta buona nella misura che è perfetta,
perchè per questo è desiderabile, come si è dimostrato sopra. Perfetto
infatti è ciò cui niente manca stando al modo della sua perfezione.
Siccome poi ogni essere è quello che è in forza della sua forma, e sic-
·come ogni forma ha i suoi presupposti e le sue conseguenze necessa-
rie; affinchè una cosa sia perf.etta e buona è necessario che abbia la
sua forma. i prerequisiti di essa e ciò che ne deriva. Ora, ogni forma
preesiu:e l'esatta determinazione o commensurazione dei suoi prin-
cipii tanto materiali che efficienti; e ciò viene espresso dal modo:
' n quesito vrende lo spunto dai testi della Scrittura e di S. Agostino r1Portatl
·nel 10 argomento. La nostra versione dei tre termini è una pura trascrizione delle
corrispettive voci !nUne; soltanto la lettura di tutto l'articolo può chiarirne 11
IL BENE IN GENERALE
ARTICULUS 5
Utrum ratio boni consistat in modo, specie et ordine.
1-11, q. 85, a. 4: De Vertt., q. 21, a. 6.
Ao QUINTUM sic PROCEDITUR. Videtur quod ratio boni non consistat
in modo, specie et ordine. Bonum enim et enlì ratione differunt., ut
supra [a. 1) dictum est. Sed modus, species et ardo pertinere ad
rationem entis videntur: quia, sicut dicitur Sap. 11, 21, "omnia in
numero, pondere et mensura disposuisti », ad quae tria reducuntl:r
species, modus et ardo: quia, ut dicit Augustinus, 4 super Gen. ad
Wteram [c. 3]: cc rnensura omni rei modum praefigit, et nwnerus
-0mni rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et sta-
bilitatem trahit '" Ergo ratio boni non consistit in modo, specie et
-Ordine. ·
2. PnAETEREA, ipse modus, species et orda bona quaedam sunt. Si
ergo ratio boni consistit in modo, specie et ordine, oportet etiam
qnod mod11s habeat modum, speciem et ordinem: et similiter species
et orda. Ergo procederetur in infinitum.
3. PnAETEnEA, malum est privatio modi et speciei et ordinis. Sed
malum non tollit totaliter bonum. Ergo ratio boni non consistit in
modo, specie et ordine.
4. PRAETEREA, illud in quo consistit ratio boni, non potest dici ma-
lum. Sed dicitur malus modus, mala species, malus ardo. Ergo ratio
boni non consistit in modo, specie et ordine.
5. PRAETEREA, modus, species et ardo ex pondere, numero et men-
sura causantur, ut ex auctoritate Augustini inducta [in 1° arg.)
patet. Non autem omnia bona habent pondus, numerum et mensu-
ram: rlicit enim Ambrosius, in Hexaemeron [I. 1, c. 9], quod cc lucis
natura est, ut non in numero, non in pondere, non in mensura
creata sit '" Non ergo ratio boni consistit in modo, sp.ecie et ordine.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro De Natura Boni
[c. 3): "Haec tria, modus, species et ardo, tanquam generalia bonn
sunt in rebus a Deo factis: et ita, haec tria ubi magna sunt, magna
bona snnt; ubi parva, parva bona sunt; ubi nulla, uullum bonwn
-est'" Quod non esset, nisi ratio boni in eis consisteret. Ergo ratio
boni consistit in modo, specie et ordine.
RESPONDEO DICENDUM quod unumquodque dicitur bonum, inquantum
est perfectum: sic enim est appetibile, ut supra [a. 1, ad 3] dictum
est. Perfectum autem dicitur, cui nihil deest secundum modum suae
pel'fectionis. Cum autem unumquodque sit id quod est, per suam
formam; forma autem praesupponit quaedam, et quaedam ad ipsam
ex necessitate consequuntnr; ad hoc quod aliquid sit perfectum et
bonum, necesse est quod formam habeat, et ea quae praeexiguntul"
.ad eam, et ea quae consequuntur ad ipsam. Praeexigitur autem ad
formarn determinatio sive commensuratio principiorum, seu mate-
rialium, seu efficientium ipsam: et hoc significatur per modum:
significato. Troviamo qui S. Tommaso Intento a trascrivere una terminologia or··
ma i classica In espressioni aristoteliche.
• Vedi p, 141, nota 2.
148 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 5
alle azioni proprie della forma, p. es., al lavoro manuale, Intellettuale, mòrale con
cui dà compimento alla sua perfezione (ordine) .
.. In altre parole, gli elementi sostanziali e accidentali di un ente non sono enti
(ossia esistenti) se non perchè costituiscono l'ente; quindi anche gli elementi
essenziali del bene non sono bene se non perchè costituiscono II bene. Non sono
ct6 che esiste o c16 che è buono, ma cM per cui una cosa esiste o è buona.
• Il primo cielo, secondo la concezione astronomica antica, era mobile di moto
droolare, il più pe .. retto dei movimenti ; avvolgeva l'universo ed era senza alte-
razioni e decomposizioni. Ma il suo moto era causa seronda di tutti gli altri moti,
ed era 11 • primo corpo alterante • perchè mediante la luce, propagata dal moto,
era causa di tutte le alterazioni nel mondo sublunare. La luco era qualità di
que~to primo cielo, che splendeva di luce propria e la diffondeva in tutto l'uni·
Vel'SO,
150 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 6
ARTICOLO 6
Se il bene sia diviso convenientemente in bene onesto,
utile e dilettevole.
ARTICULUS 6
Utrum convenienter dividatur bonum per honestum,
utile et delectabile.
11·11, q. 145, a. 3; ! Sent., d. 21, q. 1, a 3; I Ethtc., lect. 5.
AD SEXTUM SIC PROCEIJITUR. Videtur quod non convenienter divi-
datur bonum per honestum, utile et delectabile. Bonum enim, sicut
dicit Philosophus in I Ethic. [c. 6, lect. 6J, dividitur per d\)cem prae-
tlicamenta. Honestum autern, utile et delectabile inveniri possunt in
uno praediramento. Ergo non convenienter per haec divid.itur bonum.
2. PRAETFREA, omnis divisio fit per apposita. Sed haec tria non vi-
dentur esse opposita: nam honesta sunt delectabilia, nullumque in-
honestum est utile (quod tamen oportet, si divisio fieret per oppo-
sita, ut opponerentur honestum et utile), ut etiam dicit Tullius, in
libro De Offl,cìis [I. 2, c. 3]. Ergo praedicta divisio non est conve-
uiens.
3. PRAETEREA, ubi unum propter alterum; ibi unum tantum est. Sed·
utile non est honum nisi propter delectabile vel honestum. Ergo non
debet utile dividi contra delcctahile et honestum.
SED CONTRA EST quod Ambrosius, in libro De Offl,ciis [l. 1, c. 9), uti-
tur ista divisione boni.
RE':iPO!-IDP.O DICENDU:M quod haec divisio proprie videtur esse boni
Immani. Si tamen altius et communius rationem boni consideremus,
invenitur haec divisio proprie competere bono, secundum quod bo-
num est. Nam bonum est aliquid, inquantum ef't appetibile, et tcr-
minus motus appetitus. Cuius quidem motus terminatio considerari
potest ex consideratione motns corporis naturalis. Terminatur au-
tem motus corporis naturalis, simpliciter quidem ad ultimum; secun-
dum quid autem etiam ad medium, per quod itur ad ultimum quod
terminat motum, et dicitur aliquis terminus motus, inquantum ali-
quam partem motus terminat. Id autem quod est ultirnus terminus
motus, potest accipi dupliciter: vel ipsa res in quam tenditur, utpote
locus vel forma: vel quies in re illa. Sic ergo in motu appetitus, id
quod est appetibile terminans motum appetitus secundum quid, ut
medium per quod tenditur in aliud, vocatur utile. Id autem quod
appetitur ut ultimum, terminans totaliter motum appetitus, sicut
quaedam res in quam per se appetitus tendit, vocatur honesturn:
qnia honestum dicitur quod per se desideratur. Id autem quod ter-
minat motum appetitus ut quies in re desiderata, est delectatio.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod bonum, inquantum est idem sub-
iecto cum ente, dividitur per decem praedicamenta: sed secundum
propriam rationem, competit sibi ista divisio.
AD SECUNDUM DICENDUM quod haec divisio nQn est per oppositas
res, sed per oppositas rationes. Dieuntur tamen illa proprie delectar
ARTICOLO 1
Se la bontà convenga a Dio.
ARTICULUS 1
Utrum esse bonum Deo conveniat.
I Cont. Gent., c. 37; 11 Metaphys., lect. 7.
ARTICOLO 2
Se Dio sia il sommo bene.
• Cosi Dio realizza nel senso più perfetto la definizione di bene: è colui che
tutti gli esseri desiderano: •Id quod omnia appetunt "· Tutti gli esseri ten-
dono a Dio, per ciò stesso che tendono naturalmente alla propria perfezione: ad
LA BONTÀ DI DIO 157
ARTICULUS 2
Utrum Deus sit summum bonum.
I Sent., d. 1, q. 2, a. 2, ad 4; I Cont. Gent., c. 41.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit smnro11m
bonum. Summum enim bonnm addit aliquid supra bonum: alioquin
omni bono conveniret. Sed omne quod se habet ex additione ad ali-
quid, est compositum. Ergo summum bonum est compositum. Sed
Deus est summe simplex, 11t supra [ q. 3, a. 7] ostensum est. Ergo
Deus non est summum bonum.
2. PRAETEP.F.A, "bonum est quod omnia appetunt '" ut dicit Philoso.
phus [I Etl1ic., c. 1, lect. 1). Sed nihil aliud est quod omnia appetunt,
nisi solus Deus, qui est finis omnium. Ergo nihil aliud est bonum nisi
Deus. Quod etiam videtur per id quod ùicitur Maitth. 19, 17: "nemo
bonus nisi solus Deus ». Sed summum dicitur in comparatione alio-
rum; sicut snmmum ralidum in comparatione ad omnia calida. Ergo
Deus non potest dici summum bonum.
3. PHAETEREA, summum comparationem importat. Sed quae non
sunt unius generis, non snnt comparabilia ; sicut dulcedo inconve-
nienter dicitur maior ve! minor quam linea. Cum igitur Deus non sit
in eodem genere cum aliis bonis, ut ex superioribus [q. 3, a. 5; q. 4,
a. 3, ad 3] patet, videtnr quod Deus non possit dici summum bonum
respectn eorum.
SED CONTRA EST quod dir;it Augustinus, I De Trinit. [c. 2], quod Tri-
nitas divinarum personanim "est summum bonum, quod purgati;;-
simis mentibus cernitnr '"
RESPONDEO orcENDUM quod Deus est summum bonum simpliciter,
et non solum in aliquo genere vel ordine rerum. Sic enim bonum Deo
attribuitur, ut dictum est [a. praec.], inquantum omnes perfectiones
desideratae effluunt ab eo, sicut a prima causa. Non autem effluunt
ab eo sicut ab agente univoco, ut ex superioribus [ q. 4, a. 3] patet:
sed sicut ab agente quod non convenit cnm suis effectibus, neque in
ratione speciei, nec in ratione generis. Similitudo autem effectus in
causa quidem univoca invenitur uniformiter: in causa autem aequi-
voca invenitur excellentius, sicut calar excellentiori modo est in sole
quam in igne. Sic ergo oportet quod, cum bonum sit in Dea sicut in
prima causa omnium non univoca, quod sit in eo excellentissimo
modo. Et propter hoc dicitur summum bonum.
ARTICOLO 3
Se esser buono per essenza sia proprio di Dio.
SEMBRA che esser buono per essenza non sia proprio di Dio. In-
fatti:
1. Come l'uno si identifica con l'ente, cosi, e si è visto, anche il
bene. Ora, secondo Aristotele, ogni ente è uno per essenza. Dunque
ogni ente è buono per essenza.
2. Se il bene è ciò che tutte le cose desiderano, siccome proprio
l'essere è rla tutti desiderato, ne viene che l'essere stesso di ciascuna
cosa è il suo bene. Ora, ciascuna cosa è ente in forza della propria
essenza. Dunque ciascuna cosa. è buona per la sua essenza.
3. Ogni cosa è buona per la sua bontà. Se dunque vi è qualche cosn
che non sia buona. per essenza, bisognerà. che la sua bontà non sin
la sua essenza. Ma siccome questa bontà è un ente, bisogna cl:e
anch'essa sia buona; e se lo è per un'altra bontà, la stessa questione
si farà di quest'altra bontà. E quindi o biRognerà andare al!' indefi-
zione verso se stesso: "poiché Il l>ene universale è lo stesso Dio e sotto 11 bene
universale è contenuto e l'angelo e l'uomù e ug·ni creatura, poiché ogni creatura
naturalmente secondo tutto il suo essere è fattura di Dio, ne segue che di natu-
rale amore e l'angelo e !'nomo 1.tù lntensament0 e più principalmente ami Dio
che se stesso"· E la carità, virtù Infusa che cl fa amare Dio sopra o~rnl cosa e pili
<ti noi stessi, è dono ~oprannaturale che perfeziona qnesta lncltn:·.71one della na-
tura, farendocl ~entirl! più rtr~ttamente l'attrattiva del Sommo nenr. Il peccato,
che consiste In sostanza In amare di amore elettivo più se stessi che Dio, pone la
c0ntraddizlone nell'Intimo della natura stessa.
In queste con~iderazloni Dio appare non solo come causa emciPnte univer,ale.
ma per ciò stesso che è causa emclente unlver~ale, appare anche come causa
LA BONTÀ DI DIO 159
An PRIMUM ERGO DICENDUM: quod summum bonum addit super bo-
num, non rem aliquam absolutam, sed relationem tantum. Relatio
autem qua aliquid de Deo dir.itur relative ad creaturas, non est rea.
!iter in Deo, sed in creatura; in Deo vero secundum rationem; sicui
scibile relative dicitur ad scientiam, non quia ad ipsam referatur,
sed quia scientia refertur ad ipsum. Et sic non oportet quod in
summo bono sit aliqua compositio: sed solum quod alia deficiant ab
ipso.
AD SECUNDUM DICENDUM quod, cum dicitur « bonum est quod omnia
appetunt », non sic intelligitur quasi unumquodque bonum ab om-
nibus appetatur: sed quia quidquid appetitur, rationem boni habet.
- Quod antem dicitur, « nemo bonus nisi solus Deus >>, intelligitur
de bono per essentiam, ut post dicetur [a. s.].
An TERTIUM DICENDUM quod ea quae non sunt in eodem genere,
si quidem sint in diversis generibus contenta, nullo modo compara-
bilia sunt. De Deo autem negatur esse in eodem genere cum aliis
honis, non quod ipse sit in quodam alio genere; sed quia ipse est
extra genus, et prinripium omnis generis. Et sic comparatur ad alia
per excessum. Et huiusmodi comparationem importat summum
bonum.
ARTICULUS 3
Utrum esse bonum per essentiam sit proprium Dei.
1 Cont. Gent., c. 38; !, c. 20; De Vertt., q. 21, a. t, ad t ; a. 5;
Compend. Tl>.1·01., c. 109; De Dt1•. /\'om., c. 4, lect. I; De helJdom., Iect. 3, 4.
i La natura del fuoco, preso qui come esempio, è spiegat.a secondo la tror:a
ftsica antica dei quattro elementi, che davano origine, combinandosi, a tutte J~
cose materiali. Qualità attive del fuoco scaturtentt d:i.lla sua natura specifica
erano ti calore, la secchezza, la levità. Per questa ultima qualità esso tendeva
lncoerc!hllmente verso l'alto, cioè verso 11 suo luogo proprio (ogni elemento aveva
un suo luogo proprio), verso la così detta sfera del fuoco, dove esso veniva a tre>-
varsl nP,lla pienezza del suo vigore e In perfetto equlllbrlo e riposo.
LA BONTA DI DIO 161
tem. Eadem ergo ratione standum est in primo. Res igitur quaelibet
est bona per suam essentiam.
SED CONTRA EST quod dicit Boetius, in libro De hebdomad. [lect. 3, 4).
quod alia omnia a Deo sunt bona per participationem. Non igitm·
per essentiam.
REsPONDEIJ DICENDUM quod solus Deus est bonus per suam essen-
tiam. Unumq11odque enim dicitur bonum, secundum quod est per-
fectum. Perfectio autem alicuius rei triplex est. Prima quidem, se-
cund11m quod in suo esse constituitur. Secunda vero, prout ei aliqua
accidentia superadduntur, ad suam perfectam operationem neces-
saria. Tertia vero perfectio alicuius est per hoc, quod aliquid aliud
attingit sicut finem. Utpote prima perfectio ignis consistit in esse.
quod habet per suam formam suhstantialem: secunda vero eius per-
fectio consistit in caliditate, levitate et siccitate, et huiusmodi: tertia.
vero perfectio eius est sec11ndum q11od in loco suo quiescit.
Haec autem triplex perfectio nulli creato competit secundum suam
essentiam, sed soli Deo: cuius solius essentia est suum esse ; et cui
non adveniunt aliqua accidentia; sed quae de aliis dicuntur acciden-
taliter, sibi conveniunt essentialiter, ut esse potentem, sapientem, et
huiusmodi, sicut ex dictis [ q. 3, a. 6] patet. Ipse etiam ad nihil aliud
ordinatur sicut ad fìnem: sed ipse est ultimus fìnis omnium rerum.
Unde manifestum est quod solus Deus hahet omnimodam perfectio-
nem secundum suam essentiam. Et ideo ipse solus est bonus pcr-
suam essentiam.
An PRIMl'M ERGO DICENfiUM quod unum non importat rationem per-
fectionis, sed indivisionis tantum, quae unicuique rei competit se-
cund um suam essentiam. Simplicium autem essentiae sunt indivisae-
et actu et potentia: compositorum vero essentiae sunt indivisae se-
cundum actum tantum. Et ideo oportet quod quaelibet res sit una
per suam essentiam: non autem bona, ut ostensum est [in corp.).
AD SECUNDUM DICENDUM quod, licet unumquodque sit bonum in-
quantum habet esse, tamen essentia rei creatae non est ipsum esse:
et ideo non sequitur quod res creata sit bona per suam essentiam.
Ao TERTIUM DICENDUM quod bonitas rei creatae non est ipsa eius.
essentia, sed aliquid superadditum ; vel ipsum esse eius, ve! aliqua
perfectio superaddita, vel ordo ad fìnem. lpsa tamen bonitas sic-
snperaddita dicitur bona sicut et ens: hac autem ratione dicitur en~,
quia ea est aliquid, non quia ipsa aliquo alio sit. Unde hac ratione·
dicitur bona, quia ea est aliquid bonum: non quia ipsa habeat ali-·
quam aJiam bonitatem, qua sit bona.
• Dio adunque, essendo l'essere per sè sussistente, è anche la bontà per sè sus-·
slstente. E la bontà per essenza. E ciò in !orza della sua stessa essenza, identica
al suo essere. Le creature lnveca non sono la bontà per essenza, essendo limitate·
nel loro essere; e quella bontà parziale che reaHzzano In sè, non la reaUzzano-
tutta in forza dell'essenza, ma In forza anche degli attributi e del fine, che·
sono realtà distinte dalla loro essenza e sopraggiunte come complemento.
• Vedi p. 149, nota 4.
162 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 6, a. 4
ARTICOLO 4
Se tutte le cose siano buone della bontà di Dio.
SEMBRA che tutte le cose siano buone della bontà di Dio. Infatti ;
1. Dice S. Agostino: «Considera questo e quel bene, togli questo e
quello, e, se puoi, guarda il bene stesso: così vedrai Dio, non buono
per altro bene, ma be.ne di ogni bene'" Ora, ogni essere è buono della
propria bontà. Dunque ogni essere è buono di quella stessa bontà,
che è Dio.
2. Al dire di Boezio tutte le cose si dicono buone in quanto ordi-
nate a Dio, e ciò a motivo della divina bontà. Dunque tutti gli esseri
sono buoni della bontà divina.
IN coNrnARIO: Tutte le cose sono buone in quanto esistono. Ora, le
cose tutte non si dicono esistenti per l'essere divino, ma per il pro-
prio essere. Dunque non sono buone della bontà divina, ma della
propria bontà.
RISPONDO: Niente impedisce, se si tratta di attributi che importano
relazione, che un ente si denomini da qualche cosa di estrinseco,
come un oggetto dal luogo si dice collocato, e dalla misura misurato.
Ma riguardo agli attributi assoluti delle cose ci fu diversità di opi-
nioni. Infatti Platone affermò l'esistenza di specie separate di tuttk
le cose: e disse che da esse si denominano gli individui, come se
partecipassero delle specie separate; così, p. es., Socrate si dice uomo
precisamente perchè partecipa rlell' idea separata di uomo. E come
poneva l'idea separata di uomo e di cavallo, ch'egli chiamava uomo
per sè, cavallo per sè, così poneva l'idea separata di ente e di uno,
chiamandola ente per sè, uno per sè ; e dalla partecipazione di queste
idee ogni cosa diceva chiamarsi ente o una. E questo ente per sè e
uno per sè affermava essere il sommo bene. E siccome i! bene, ed
anche l'uno, si identifica r.on l'eme, lo stesso bene per sè lo chiamava
Dio, dal quale tutte le cose si dicono buone per partecipazione. - Seb-
bene quest'opinione, come ripetutamente dimostrR Aristotele, sia ir-
ragionevole nell'ammettere le specie degli esseri fisici in stato di se-
rarazione e per sè snosistenti, tuttavia è asgoJutamente vero che vi
è una prima realtà che per sua essenza è ente e bene, e che noi chia-
miamo Dio, come si è dimostrato sopra. E i::.u questo punto anche
Aristotele è d'accordo.
Dalla prima realtà adunque, che è ente e bene per essenza., ogni
cosa pnò dirsi buona e ente in quanto partecipa di essa secondo una
certa somiglianza, sia pure alla lontana e in misura limitata, come
si è detto. Cosl, per conseguenza, ogni cosa si dice buona dalla bontà
divina, come da prima causa esemplare, efficiente e finaJe di ogni
bontà. Tutta.via ogni cosa si dice buona per una somiglianza sua
propria della divina bontà ad essa inerente, che è formalmente la
sua bontà, e dalla quale si denomina. E cosi abbia.mo una bontà
sola di tutte le cose, e anche molte bontà. 1
E c0n ciò è evidente la risposta da darsi agli argomenti presentati.
1 Le perfezioni. Intrinseche, esistenti nelle creature e costituenti la loro bontà,
non sono dtvine In senso essenztaie e proprto, essendo partecipazioni o asstml-
LA BONTA DI DIO 163
ARTICULUS 4
Utrum omnia sint bona bonitate divina.
1 Sent., d. t9, q. 5, a. 2, ad a : 1 cont. Gent., c. 40; De vertt.. q. 21, a. t.
Ao QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod omnia sint bona bonitate
<li vina. Dicit enim Augustim1s, 8 De Trinit. [c. 3]: "Bonum hoc et
bonum illnd, tolle hoc et tolle illud, et vide ipsum bonum, si potes:
ita Deum videbis, non alio bono bonum, sed bonum omnis boni "·
Sed unumquodqne est bonum suo bono. Ergo unumquodque est bo-
num ipso bono quod est Deus.
2. PRAETEREA, sicut dicit Boetius, in libro De hebdomad. [lect. 3, 4),
-0mnia ùicuntur bona inquant11m ordinantur ad Deum, et hoc ratione
bonitatis divinae. Ergo omnia sunt bona bonitate divina.
SEn CONTRA EST quocl omnia sunt bona inquantum sunt. Sed non
<licuntur orrunia entia per esse divinum, sed per esse proprium. Ergo
non omnia sunt bona bonitate divina, sed bonitate propria.
REsPONDEO oTCENDlll\I quod nihil prohibet in his quae relationem
important, aliquid ab extrinseco denominari; sicut aliquid denomi-
natur locatum a loco, et mensuratum a mensura. Circa vero ea quae
ahsolute dicuntur, diversa fuit opinio. Plato enim posuit omnium
rerum species separatas; et quod ab eis individua denominantur,
quasi species separatas participando; ut puta quod Socrates dicitur
homo secundum ideam hominis separatam. Et sicut ponebat ideam
hominis et equi separatam, quam vocabat per se hominem et per se
equum, ifa ponebat ideam entis et ideam unius separatam, quam
dicebat per se ens et per se unum: et eius participatione unumquod-
que dicitur ens vel unum. Hoc autem quod est per se ens et per se
unum, ponehat esse s11mmnm bonum. Et quia bonum convertitur
cum ente, sicut et llnum, ipsum per se bonum dicebat esse Dewn, o
quo omnia dicuntur bona per modum participationis. - Et quamvi:-
haec opinio irrationnhilis videat11r quantum ad hor, ouod ponebal
species rerum naturalium separatas per se subsistentes, ut Aristo-
teles multipliciter prnbat [f Metaphys. c. 9; 2, c. 6; 6, cc. 14, 15;
I, lect. H, 15; .1, lect. 14; 7, lect. 14, 15]; tamen hoc absolute verum
est, quod aliquid est primum, quod per suam essentiam est ens et
bonum, quod dicimus Deum, ut ex superioribus [q. 2, a. 3) patet.
Huic etiam sententiae concordat Aristoteles.
A primo igitur per suam essentic.m ente et bono, unumquodque
potest dici bonum et ens, inquantum participat ipsum per modurn
cuiusdam assimilation is, licet remote et deficienter, ut ex superiori-
b11s [ q. 4, a. 3] patet. Sic ergo unumquodque dicitur bomim bonitate
divina, sicut primo principio exemplari, effectivo et finali totius
bonitati~. Nihilominus tamen unumquodque dicitur bonum similitu-
dine divinae bonit::itis E'ibi inhaerente, quae est forrnaliter sua bo-
nitas denominans ipsum. Et sic est bonitas una omnium; et etiam
multae bonitates.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.
!azioni remote e deficienti della bontà divina e da: es~a causate. Tra le creature,
anche le più perfette, e DI.o, c· è sempre un abisso. Niente Impedisce t>erò che si
dicano dtvtne per derivazione causale.
QUESTIONE 7
La infinità di Dio.
ARTICOLO 1
Se Dio sia infinito.
ARTICULUS 1
Utrum Deus sit infinitus.
111, q, 10, a. 3, ad 1 ; t Sent., d. 43, q. 1, a. 1 ; I Cont. Gent., c. 43;
De Verti., q. 2, a. 2, ad 5; q. 29, a. 3; De Pot., q, 1, a. 2; Quodl. 3, a. 3;
Compend. Theol., cc. 18, 20.
Bisogna dunque riflettere che infinita <ii dice una cosa perchè non
è finita [limitata]. Ora, ii• certa maniera la materia viene ad esser
limitata. dalla forma, e la forma dalla materia. La materia è linù-
tata dalla forma in quanto che la mat>Jria, prima di ricevere la
forma, è in potenza :t molte torme; ma dal momento che ne riceve~
una, da quella viene delimitata. 1 La forma poi è limitata dalla ma
teria per questo che la forma, in sè considerata, è comune a molte
cose; ma dacchè è ricevnta nelia materia, ctiventa forma soitant•)
di una data cosa.• - Se non che, la materia riceve la sua perfezione
dalla forma che la determina: e perciò linfinito attribuito alla mDr
teria racchiude l'idea di imperfezione; f;erchè è come una materia
senza forma. La forma invP.ce non viene perftzionata dalla materia,
ma ne riceve piuttosto la restrizione della sua ampiezza illimitata;~
quindi linfinito che si attrihuisce alla forma non delimitata dalla
materia importa essenzialmente perfezione.
Ora, come abbiamo gift veduto, l'essere stesi;o tra tutte le cose è
quanto di più formale si possa trovare. Quincti, siccome l'essere di-
vino non è ricevuto in un soggetto, ma Dio stE>sso è il suo proprio
essere snssistente, come si è sopra dimostrato, resta provato chia-
ramente che Dio è infinito t: perfetto.
SOLT.;ZtONF DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò vale anche come risposta alll:\
prima difficoltà.
2. La delimitazione è per la quantità una specie di forma; e se
ne ha un segno in questo, che la figura, la quale consiste nella de-
limitazione della quantità, è una certa determinazione specifica nel-
l'ordine della quantità. • Quindi, l'infinito che compete alla quan-
scordla. Ma poiché un principio tuito in ~è omogeneo non può spiegare l'infinita
molteplicità qualitativa delle cose, che da esso derivano, Anassagora pensò che
il primo principio precontenesse p;ià in sè tutta la diversità delle cose, fosse un
miscuglio di lnfinit& particelle 1i diversa specie e qualità, •l'infinito numero delle
parti similari"• come si esprime Aristotele (I .Uetapttys., c. 7. lJ88a). Questo oscuro
principio, dava origine a tutte le cose in quanto già le preconteneva in qualche
modo (era già carne, ossa, sangue, ecc., come si esprimeva Anassagora). Altri-
menti come le avrebbe originate, essendo evidente che dal niente nulla si origina·:
Il concetto di Anassagora è strano e piuttosto puerile. ma prelude alla grande idea
di Aristotele della materia prima, la quale è realmente già tutte le cose fisiche,
ma solo In potenza, e passa via via all'atto di determinate cose sotto l' lnflusse>
della causa efficiente diretta dalla caw;a finale. Le cose ven.!!ono determinate dal-
l'elemento-forma che la causa efficiente produce nella materia.
Queste dlveroo cause Implicantisi a vicf'nda furono trascurate o male Intrave-
dute dal primi film•ofi; ma esse s' impongr.no corr1e realtà olla mente cbe analizzi
Il mutamento. Il mutamento suppone, nelh cosa che muta, un elemento che passa
da un termine all'altro restando Identico. e un elemento che cessa di essere per
dar posto ad un altro che sottentra. Il primo elemento è la materia, Il secondo è
la forma. C1JSI nasce, s'impone e si ginstiflca l' tlemor~smo, la dottrina filosofica
rhe !IOStiene una dualità di elementi nella costituzione dei corpi fisici, di cui uno,
I.a forma, infinitamente vario e ricco. specifico per cgni gruppo di esser·!, spieg:i.
la distinzione e la ,·arietà; !"altro, gen~rico e comune, la materia, &J•iega la unl-
rormltà delle cose. Questa concezl<:>ne è vera, come è reale Il muta mt'n to che la
mente anallLZa e spiega. I due J.Jrincipil sono entrambi In qualche modo infiniti;
ma questa Infinità ha caratteri opposti come spiega S. Tommaso (vedi p. 167,
nota 3).
Sul!' llemorfismo vedi P. Rossi, •La cosmologia di S. Tommaso in rapporto alle
Srlenze moderne•>, In S. Tom. rl'Aqulno. I•ubbli::azlone dell" Università del Sacro
Cuore, 1923 - In commemora1ìone del YJ centenario della Canonizzazione di
s. Tommaso, pp. 247, 279; DrscOQs P .. Es.~at crlttque su1' l' hyUmorplttsme. Paris,
1!124; NYS D., Cosrn.ologte, v.01. li: T.11 T/J~orte Scholasttque. Louvaln, 1928; 01
MUNNYNK M., « L' hylémorphis111e cla11s la pensée contemporaine "• In Dlv. Thom.
(Frib.), 1928, pp. 154 ss.: FATTA lll., "Ilemorfismo e fisica contemporanea•. In
ntv. Thom. (Piac.), 1935, pp. 523 ss. ; 1936, pp. 143 ss.; 229 ss. ; MANSER G. M., • Die
LA INFINITA DI DIO 167
Naturphilosophle des Aqulnaten nnd dle ~lte und moderne Physlk '" In D1v.
Tl>om. (Frlb.), 1938, pp. 3.14; GIACON C., •Fisica atomica e fisica tomistica•, in
Ctv. Catl., 1037, pp. 3M ss. ; Idem, Le grandi lest del tomt.smo. Como, 1945; P. I.,
c. 2. nn. 11-14, pp. 49 ss.; P. II, c. 2. nn. 1-10, np. 159-177.
i Vien cioè tolta dalla sua Indeterminazione, per cui poteva: essere tutto, ma
di falto non era nulla di determinato; e vien ratta materia propria di un essere
specifico ca pare di esistere: p. es .. materia organizzata, o corpo di un uomo.
• :B Infatti la materia che rende Incomunicabile l'essere e le perteztonl dell' in-
dividuo esistente. L'umanità di Pietro, p. es., è incomunicabile a Paolo, perchè
la materia o corpo in cui è attuata non può essere corpo di Paolo ma solo rll
Pietro. L'umanità, la perfezione specificam~nte uman9. - la forma - In se stes~a
considerata, non dice di essere piuttosto In Pietro che in Paolo; ma dal momento
che è in uno, riceve una determinazione eoncreta, per cui cessa di essere univer-
sale per essere l'umanità o forma propria di nn inrlfviduo.
• S. Tommaso qul non vuol dire che le torme delle cose fisiche ricevano restri-
zione o imperfezione per essere ricevute in una materia e da essa finite, perchè Je
forme fisiche (compresa l'anima umana) hanno di fatto la loro perfezione per
l'unione con la materia; solo infatti in unione con essa possono esistere ed espii·
care la loro attività, sia principale e specifica, sia secondaria. S. Tommaso vuol
dire che nella considerazione di questi due elementi nol abbiamo un Indizio della
profonda diversità esistente tra tn(intto matertale, o quantitativo, proprio della
potenza concepita come priva dell'atto che la forma conferisce, e I' tnrtntto for-
male, proprio dell'atto; perchè, mentre la potenza è essenzialmente Imperfetta se
non è finita dalla forma, l'atto Invece tanto più guadagna di perfezione, quanto
menò è limitato o coartato dalla materia, ossia è lasciato infinito. Cosi una forma
riura concepita di per sè sussistente, non moltiplicata p~r l'unione a diverse ma-
terie, laociat.i cioè infinita, ha tutta la pnfezlone della sua specie; mentre se è
ricevuta In una materia, la sua perfezione vien limitata e frazionata tra molti.
Da questa considerazione, fondata sulla realtà fisica, S. Tommaso passa all'af-
fermazione generale che l'infinità materiale, propria deii:ll enti In potenza. Im-
porta essenzlalmenete imperfezione; I' Infinità formale propria degli enti in a1t.o,
importa essenzialmente perfezione.
• •La figura è una certa det~rmlnaztone ~peclflca nell'ordine della quantità•.
Intatti sono le figure che specificano o c;iratterizzJno le diverse specie di quantità,
facendone. p. es., un triangolo, un quadrato, un pentagono, ecc., come sono le
torme sostanziai! che speclfirn110 o caratterizzano le varie sostanze. Anche nella
quantità numerica c'è una rorm'\, che speclflca ogni numero ed è come la sua
166 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 1
Bisogna dunque riflettere che infinita c;i dire una cosa perchè non
è finita [limitata]. Ora, i1• rrrta maniera In materia viene ad esser
limitata dalla forma, e la forma rlalla materia. La materia è limi·
tata dalla forma in quanto che la mat'lria, prima di ricevere ]a
forma, è in potenza :i molte torme; ma dal momento che ne ricevr~
una, da quella viene delimitata. 1 La forma poi è limitata dalla ma
teria per questo che la forma, in sè considerata, è comune a molte
cose; ma clacchè è ricevnta nelia materia, òiventa forma soitant•J
di una data c-0sa. • - Se non che, la materia riceve la sua perfezione
dalla formn. che la determina: e perciò l'infinito attribuito alla ma-
teria racchiude l'idea di imperfezione; f;erchè è come una materia
senza forma. La forma inVf~ce non viene perl1:zionatu dalla materia,
ma ne riceve piuttosto la restrizione della sua ampiezza illimitata; 3
quindi linfinito che si attrihuisce alla form:i non delimitata dalla
materia importa essenzialmente perfezione.
Ora, come abbiamo gi?t veduto, l'essere stesso tra tutte le cose è
quanto di più formale si possa trovare. Quinòi, siccome l'essere di-
vin-0 non è ricevuto in un soggetto, ma Dio stE>sso è il suo proprio
essere sussistente, come 8i è sopra dimostrnto, resta provato chia-
ramente che Dio è infinito i., perfetto.
SoLt;ZtO:-<F nELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò vale anche come risposta ali~
prima difficoltà.
2. La delimitazione è per la quantità una specie di forma; e se
ne ha un segno in questo, che la figura, la quale consiste nella de-
limitazione della quantità, è una certa determinazione specifica nel-
l'ordine della quantità.' Quindi, linfinito che compete alla quan-
scorrtla. Ma poichè un principio tuito in ~è omogeneo non può spiegare l'Infinita
moltepllcità qualitativa delle cose, che da esso derivano, Anassagora pensò che
il primo principio precontenesse già in sè tutta la diversità delle cose, fosse un
miscuglio di lnftnlteo particelle 11 diversa specie e qualità, «l'Infinito numero delle
parti similari •., come si esprime Aristotele (I .Uetaphys., c. 7, D88•). Questo oscuro
principio, dava origine a tutte le cose in quanto già le precontPneva In qualche
modo (era già carne, ossa, sangue, ecc., come si esprimeva Anassagora). Altri-
menti come le avrebbe originate, essendo evidente che d:i.l niente nulla si origina ·
Il concetto di Anassagora è strano e piuttosto pnerlle. rna prelude alla grande idea
di Aristotele della materia prima, la quale è realmente già tutte le cose fisiche,
ma solo In potenza, e passa via via all'atto di determinate cose sotto lInflusso
della causa efficiente diretta dalla causa hnale. I.e cose ven.'1:ono determinate dal-
l'elemento-rorma che la causa efficiente produce nella materia.
Queste diverse cause Implicantisi a vlcf>nda rurono trascurate o male Intrave-
dute dal primi filo,ofi; ma esse s' impong·r.no con1e realtà alla mente che analizzi
Il mutamento. Il mutamento suppone, nelh cosa che muta, un elemento che passa
da un termine all'altro restando Identico, e un elemento che cessa di essere per
dar posto ad un altro che sottentra. Il primo elemento è la materia, li secondo è
la rorina. Cosi nasce, s'impone e si ginstlflca I' tirmor(ismo, la dottrina filosofica
che sostiene nna dualità di elementi nella costituzione del corpi fìsicl, di cui uno.
la torma, Infinitamente vario e ricco, specifico per cgni gruppo di essei·!, spiega
la distinzione e la yarletà; l'altro, gennico e comune, la materia, &r>iega la unl-
rormltà delle cose. Questa concezle>ne è vera, come è reale Il muta1m·nt.o che la
mente anall1.za e spiega. I due Iitincipil sono entrambi in qualche modo infiniti;
ma questa Infinità ha caratteri opposti come spiega S. Tommaso (vedi p. 167,
nota 3).
Sull' llemorfismo vedi P. ROSSI, •La cosmologia di S. Tommaso In rapporto alle
Scienze moderne"• In S. Tom. tl'.4r111ino. l'ubbllcazione del!' Universilà del Sacro
Cuore, 1923 - in commemora1ione del \'J centenario della Canonizzazione di
s. Tommaso, pp. 247, 279; DESCOQS P .• Essat crlttque sur l' hylr!morpl1tsme. Paris,
1!124; Nrs D., Cosmologte, v.ol. Il: la Tl>~orte Scholasttque. Louvaln, 1928; DE
MUNNYNK M., « L' hylémorphisrnP ùans la p('nsée coutemporalne '" In Dlv. Thom.
(Frib.), 1928, pp. 154 ss.' FATTA lll., .. llemorfismo e fisica contemporanea•, In
ntv. Thom. (Piac.), 1935, pp, 523 ss. ; 1936, pp, 143 ss.; 229 ss. ; MANSER G. M., • l.He
LA INFINITA DI DIO 167
Naturphilosophie des Aqulnaten nnd die alte und moderne Physlk "· In Dtv.
T/lom. (Frtb.), 1938, pp. 3·14; G1Aco11 C., •Fisica atomica e fisica tomistica"· in
Ctv. Catl., 1037, pp. 3M ss.; tdem, Le grandt test del tomtsmo. Como, 1945; P. I.,
c. 2. nn. 11-J.I. PP. 49 ss.; P. II, c. 2. nn. 1-10. np. 159-177.
l Vien cioè tolta dalla sua Indeterminazione, per cui poteva essere tutto, ma
di fatto non era nulla di determinato; e vien ratta materia propria di 11n essere
speclftco capnre di esistere: p. es., materia orgrrnlzzata, o corpo di un uomo.
• ~ Infatti la materia che rende incomunicab!le l'essere e le perreztont del!' 1n-
dlviduo esistente. L"umanità di Pietro, p, es., é incomunicabile a Paolo, perché
lR materia o corpo in cui è attuata non può essere corpo di Paolo m;i, solo di
Pietro. L'umanità, la perfezione SPP-CiftcamPnte umana - la forma - In se stes~a
considerata, non dice di essere piuttosto In Pietro che in Paolo; ma dal momento
cha è in uno, rieeve una determinazione concreta, per cui cessa di essere univer-
sale per essere l'umanità o forma proorla di un tnrl!vl<luo.
• S. Tommaso qui non vuol dire che le forme delle cose fisiche ricevano restri-
zione o imperfezione per essere ricevuto in una materia e da essa finite. perché le
forme fisiche (compresa l'anima umana) hanno di fatto la loro perfezione per
l'unione con la materia; solo infatti in unione con essa possono esistere ed espli-
care la loro attività, sia principale e specifica, sia secondaria. S. Tommaso vuol
dire che nella considerazione di questi due elementi noi abbiamo un Indizio della
profonda diversità esistente tra tnfìntto matertale, o quantitativo, proprio della
potenza concepita come priva dell"atto che la forma conferisce, e l' tn[inito for-
male, proprio dell'atto; perché, mentre la potenza è essenzialmente lmperretta se
non .è finita dalla forma, l'atto invece tanto più guadagna di perfezione, quanto
meno è limitato o coartato dalla materia, ossia è lasciato infinito. Cosi una forma
rura concepita di per ;è ~ussistente, non moltiplicata pf\r l'untonp a diverse ma-
terie, Ta;ciat.t cioè infinita, ha tutta 1:1 pnfezlone della sua specie; mentre se è
ricevuta in una materia, la sua perfezione vien llm!tata e frazionata tra molti.
Da questa considerazione, fondata sulla realtà fisica, S. Tommaso passa all'af-
fermazione generale che i' infinità materiale, propria degll enti In potenza. im-
porta essenzialmenete Imperfezione; l' Infinità forniale propria degli enti in alt.o,
importa essenzialmente perf?zione.
' •La ligura è una certa det"lrmlnazlone !'peciflca nell'ordine della quantità•.
Infatti sono le figure che specificano o caratterizzano le divr.rse specie di quantità,
facendone, p. es., un triangolo, un quadrato, un pentagono, ecc., come sono le
forme sostanziali che spccifìrano o caratterizzano le varie sostanze. Anche nella
quantità numerica c'è una form:i, che specifica ogni numero ed è come la sua
168 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, aa. 1-2
ARTICOLO 2
Se qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita
per essenza.
SEMBRA che qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita per
essenza. Infatti :
1. La potenza attiva di un essere è proporzionata alla sua essenza.
Se dunque l'essenza di Dio è infinita, necessariamente anche la sua
potenza è infinita. Può dunque produrre un effetto infinito, giacchè
la grandezza della potenza si conosce dall'effetto.
2. Tutto ciò che ha una capacità infinita ha un'essenza infinita.
l\'Ta l'intelletto creato ha una capacità infinita; perchè apprende
t'universale, il quale può estendersi a uu numero infinito di singo-
lari. Dunque ogni sostanza intellettuale creata è infinita.
3. La materia prima è cosa distinta da Dio, come sopra abbiamo
dimostrato. Ma la materia prima è infinita. Dunque oltre Dio vi può
essere un altro infinito.
IN CONTRARIO: Secondo Aristotele l'infinito non può derivare da
causa alcuna. Ora, tutto ciò che esiste, eccetto Dio, viene da Dio
come da causa prima. Dunque niente oltre Dio può essere infinito.
RISPONDO: Oltl'e Dio ci rmò essere qualche cosa d' inflnito in senso
relativo, ma non in f:enso pieno e assoluto. Difatti, se parliamo del-
l'infinità che compete alla materia, è chiaro che ogni esistente in
atto ha la sua forma; e <'O!IÌ la sua materia è determinata dalla
forma. Ma siccome la materia, pur determinata da una forma so-
stanziale, rimano in potenza a molte altre forme accidentali; una
cosa che è sostanzialmente finita, può es!:'-er infinita in senso relativo:
p. es., un tronco di legno per Ja sua forma sostanziale è indubbia-
mente finito, ma tuttavia è relativamente infinito in quanto è in p0-
tenza a [prendere, sotto le mani dell'artista 1 innumer.evoli figure.
Se poi parliamo dell'infinità che appartiene alla forma, allora è
chiaro che quelle cose, le cui forme sono unite alla materia, sono
sostanzialmente finite, e in nessun modo infinite. Se poi vi sono delle
torma propria; e questa è l'unità ultima aggiunta, che è come II termine delle
singole quantità numeriche. Essa Infatti dà alle unità precedenti un essere nuovo,
che prima possedevano solo In potenza. Cosi l'unità aggiunta al 5 per formare
Il 6 dà un valore nuovo a tutte- le unità del numero formato, facendone un •esto
del tutto misurato dal numero, e non più un quinto. Il 6 è una misura di valore
11iverso dal cinque, e le sue unità ne partecipano. Il 6 non è formato da 1 + 1 + 1,
ecc., come da parti di uguale valore per qualsiasi numero. ma è formato dal suo
essere proprio che Informa proprie unità. - Sia nel caso della quantità continua,
L:\ INFINITA DI DIO 169
quod competit quantHati, est infinitum quod se tenet ex parte mat~
riae: et tale infìnitum non attrihuitur Deo, ut dictum est. [in corp.].
Ao TERTIUM DICENot·M quod, ex hoc ipso quod esse Dei est per se
subsistens non receptum in aliquo, prout dicitur infinitum, distin-
guitur ab omnibus aliis, et ali a rernoventur a.b eo: sicut, si esset
albedo subsistens, ex hoc ipso quod non esset in alio, differret ab
omni albedine existente in subiecto.
ARTICULUS 2
Utrum aliquid aliud quarn Deus possit esse infi.nitum
per essentiarn.
Infra, q. 00, a. 2, ad 4; 111, q. 10, a. 3, ad 2, 3; I Sent., d. 43, q. 1, a. I:
De Yertt., q. 29, a. 3; Quo1ll. 9, a. t ; 10, q. 2, a. 1, ad 2: 12, q. 2, ad 2:
11 Metaphys., Iect. 10.
ARTICOLO 3
Se si possa dare un infinito attuale in estensione. •
ARTICULUS 3
Utrum possit esse aliquid infinitum actu secundum magnitudinem.
De Vertt., q. li, a. 9, ad 5; Quodt. 9, a. t; tll, q. 2, ad 2; I Phustc., lect. 9;
s, lect. 1 ss. ; lJe Caelo, !ect. 9 ss.
Ao TERTIUM SIC PROCEDITl.'R. Videtnr quod possit esse aliquid infini-
tum actu secundum magnitndinem. In i;rientiis enim mathematicis
non invenitur falsum: qui a « abstrahentium non est mendacium >>,
ut dicitur in 2 P11ysic. [c. 2. led. 3]. Sed srientiae mathematicae
ut1mtnr infinito secundum magnitudinem: dicit enim geometra in
suis demonstrationibus, sit Linea talis infinita. Ergo non est impos-
sibile aliquid esse infinitum secundum magnitudinem.
del suo luogo, e ciò non potrebbe avvenire per un corpp che fosse
infinito, perchè occuperebbe tutto lo spazio, e cosi ogni luogo sarebbe
indifferentemente il suo lnogo proprio. E così pure non potrebbe
avere neanche il moto circolare, perchè nel moto circolare è neces-
sario che una parte del corpo si trasferic;ca nel luogo in cui era
prima un'altra parte ; e questo non potrebbe avvenire in un corpo
circolare ~e lo immaginiamo infinito; pcrchè due linee partenti <lai
centro, più si allontanano dal centro più si distanziano tra di loro;
e perciò se un corpo fosse infinito, le due linee verrebbero ad essere
tra loro distanti all'infinito, e cosi mai l'una potrebbe pervenire al
luogo dell'altra.
La stessa ragione vale se parliamo di un corpo matematico. Per-
chè se immaginiamo un corpt• matematico e!!is1ente in atto, bisogna
·che lo immaginiamo sotto una forma determinata, poichè niente è
in atto se non in forza della sna forma. Quindi, siccome la forma
dell'essere quantitativo come tale, è la figura geometrica, esso avrà
necessariamente una qualche figura. E così sarà limitato ; perchè la
figura non è altro che ciò che è compreso in uno o più limiti. 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il geometra non ha bisogno di sup-
porre che 11na linea sia infinita in atto; ha bisogno invece di pren-
dere una linea attualmente limitata, dalla quale si possa sottrarre
quanto è necessario: e questa linea la chiama infinita.
2. E vero che lidea d'infinito non rer1ugna ali' idea d'estensione
in genere, ma tuttavia è in contraddizione col concetto di qualsiasi
specie di estensione, cioè con la quantità di due cubiti, di tre cubiti,
con quella circolare o triangolare e simili. Ora, non è possibile che
sia in un genere quello che non è in alcuna delle sue specie. E quindi
impossibile che si dia un'estensione infinita, dal momento che nes-
suna specie di estensione è infinita.
3. L'infinito che compete alla quantità, come si è detto, è quello
che si riferisce alla materia. Ora, con la divisione di un tutto ci si
accosta alla materia, perchè le parti hanno carattere di materia;
mentre con l'addizione si va verso il tntlo, il qnalc Ila rarattere rli
forma.' E perciò non si ha infinito nell'addizionare la quantità, ma
solo nel dividerla.
4. Il movimento ed il tempo non sono in atto nella loro totalità,
ma successiva.mente, e crninrli sono 1111 misto di potenza. e di atto,
mentre l'estensione è tutta in atto. E perciò, linfinito, che c0nviicne
alla quantità e che risulta da parte della materia, ripugna alla tota-
lità dell'estensione. non ripmma invece alla totalità del tempo e del
moto, perchè la potenzialiti:t è propria della materia. 3
ceztone di un co~mo finito, in base ai f•re~upposti di molti fenomeni fisici che na-
turalmente non sono quelli ai quali accenna qui S. Tommaso.
L'Aquinate ha avuto premun di distinguere nett'lmente l'infinità fisica dalla
Infinità matematica. Quest'ultima suscita ancora oggi sottili dispute fra gli stu-
dio&!. (ENRIQUES F., in E11c. //al., YOl. XJX. l'l'- %•=-~o ...
1 Per coloro che con Pascal e Leibnitz ammettono la possibilità del!' infinito in
e~tensione è interessante conoscere il valore che S. Tommaso stesso dà alla cllmo-
strazione riportata in qnesto articolo: "!\on è vera dimostrazione ma soltanto
I•robab!le; J'erchè chi affermasse che esiste un corpo infinito, non concederebbe
rhe 'lppa.rtenga all'essenza dei corpi essere terminati da una superficie, se non
potenzialmente"· E aggillnge: "sebbene questo argomento sia una ragione pro-
l•ab!le e famosa" (.1 P/lysir., c. 5, iect. P, n. 41.
2 L'essere specifico di un tutto è dato dalla totalità delle sue parti; la totalità
quindi si comporta come forma nell'ente composto. La totalità, dice S. Tommaso,
LA INFINITA DI DIO 175
curo est extra suurn locurn, quod corpori infinito accidere non pos-
set; occuparet enim omnia loca, et sic indifferenter qui!ibet locus
esset locus eius. Et similiter etiarn neque secundum moturn circu-
larem. Quia in motu circulari oportet quod una pars corporis trans.-
feratur ad locum in quo fuit alia pars; quod in corpore circulari, si
ponatur infìnitum, esse non posset: quia duae linae protractae a
centro, quanto longius protrahuntur a centro, tanto longius distant
ab invicem ; si ergo corpus esset infìniturn, in infinitum lineae di-
starent ab invicem, et sic una nunquam posset pervenire ad locum
alterius.
De corpore etiarn mathematico eadem ratio est. Quia si imagine-
rnur corpus mathematicum existens actn, oportet quod imaginemur
ipsum sub aliqua forma: quia nihil est actu nisi per suam fonnam.
Unde, cum l'orma quanti, inquantum huiusmodi, sit figura, oportebit
quod habeat alìquam figuram. Et sic erit finitum: est enim figura,
quae termino vel terrninis comprehenditur.
· An PRIMUM ERGO DICENDUM quod geoìneter non indiget sumere ali-
quam lineam esse infinitam actu: sed indiget accipere aliquam li-
neam finitam actu, a qua possit subtrahi quantum necesse est: et
liane nominat linearn infinitam
An SECUNDUM DICENDUM quod, licet infinitum non sit contra ratio-
nem magnitudinis in cornmuni, est tamen contra rationem cuiusli-
bet speriei eius: scilicet contra mtionem magnitudinis bicubitae vel
tricubitae, sive circularis vel triangularis, et sirnilium. Non autern
est possibile in genere esse quod in nulla specie est. Unde non e·st
possibile esse aliquam magnitudinem infinitam, cum nulla species
magnitudinis sit infinita.
An TERTIUM DICENDUM quod infinitum quod convenit quantitati, ut
dictum est [a. 1, ad 2), se tenet ex parte materiae. Per divisionem
autem totius acceditur ad materiam, nam partes se habent in ratione
materiae: per additionem autem acceditur ad totum, quod se habet
in ratione t'ormae. Et ideo non invenitur infinitum in additione ma-
gnitndinis, sed in divisione tantum.
An QUARTUM DICENDUM quod motus et ternpus non sunt secundum
totum in actu, sed successive: unde habent potentiam pennixtam
actui. Sed magnitudo est tota in actu. Et ideo infinitum quod con-
venit quantitati, et se tenet ex parte materiae, repugnat totalitati
magnitudinis, non autem totalitati temporis vel rnotus: esse enim in
potentia convenit materiae.
ARTICOLO'
Se nella realtà si possa dare an inftnito numerico.
menta fa con le diverse parti dello sp:i.zlo percorso (là, qui, altrove .... ), e qul'bta
enumerazione è il tempo stesso. Solo l'essere qui è in atto nel moto (essere qui
cessando di essere là, tendendo altrove). Queste parti, come quelle del tempo, non
coesistono In atto se non nella mente; realmente sono potenziali. Ben diversamente
si ha Invee.e una grandezza per rispetto alle sue parti: esse devono essere tutte in
atto. come si è detto (vedi nota prec.).
1 Avtcenna (Il:>n-Stna), medlco e filosofo arabo vissuto dal 980 al 1037, celebre
LA INFINITA DI DIO 177
ARTICULUS 4
Utrum pos8it esse infinitum in rebus secundum multitudinem.
f Sent., d. 1, q. 1, a. 5, ad t7 ss. ; De Vertt., q. 2, a. 10; Quodl. 9, a. 1;
12, q. 2, ad 2 ; s Pl!ystc., lect. 12.
Interprete del pensiero aristotelico. Al-Gazait, fllosoro arabo, vissuto dal 1058 al
1111.crr Introd. <;en., n. 67.
~ Questa tllslinzi-0ne tr.1 moltitudine richiesta per sè, e moltitudine che 1t ha
solo dt fatto, acctdenlntmente, è per altro molto importante; s. Tommaso se ne
serve nelle prove ùell 'esistenza di Dio, qn" n<lo stabilisce che nella serie del m-0-
tort e delle cause per se ordinati alla produziont. di un effetto, non si può dar()
processo in Infinito, lasciando allor·a indecisa la questione se si possa <lare tale
pr~sso nella rnoltltu<line rlchle.,ta per acctdens (cfr. q. 2, a. 3, prima e seconda
prova). Più tardi, traHando la queHiùne - se lmplt~hl ripugnanza che Il mornto
sta stato creato ab aeterno - usa della stessa distinzione per risolvere la dimcoltà..
oppostagli che, nell'Ipotesi del mondo alJ aeterno, alla generazi'>oe presente sa·
178 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 4
finiti In atto e infiniti In potenza: cioè non avranno mal In atto tutte le parti
~he possono avere, polchè è proprio della loro natura di poterne avere sempre delle
:altre.
QUESTIONE 8
La presenza di Dio nelle cose.
ARTICOLO 1
Se Dio sia in tutte le cose.
ARTICULUS 1
Utrum Deus sit in omnibus rebus.
I Sent., d. 37, q. 1, a. 1; 3 Cont. Gent., c. 68.
• Della necessità che le cose siano .:onservate nell'essere da Dio quasi conti-
nuamente create da lui, S. Tommaso tratta più avanti In I. q. 104.
• Attua Infatti e fa esistere fuori del nulla, nella sua totalità e con tutte le ca-
ratteristiche proprie. qualsiasi ente. :\otare questo insegnamento costante di
S. Tommaso circa la prlnclpalltà dell'essere - esistenza -, che è forma, atto, In-
tima perfezione ultima realizzatrice di ogni Einte, alla quale l·essenza è ordinata
come la potenza è ordinata alratto (l, q. 3, a. 4; q. 7, a. 9; q. 105, a. 5; De Pot .•
q. 7, a. 2. ad Q). llfetaf\slca del reale In se!lso pieno, cllè reale non è propriamente
se non clO che esiste. Gllson (Le thomtsme: Inlroductton d la plltlosophle de
S. Thomas d'Aq., 1.. Part., c. 1, p. 52. Paris. 19455 ) chiama cp1esta metafisica tomista
• ontologia 1-slstenziale •, con evidente richiamo &.ll'es1sten7.iallsmo. che è la ftlo·
!<Olla del giorno ; ma non per Il gusto di allacciare le correnti della filosofia esl-
stenzhlista al tomismo (le due f\losofie hanno In comune 1·e~1genza e la preoccu-
pazione di cogliere l'essere e v:iloMzzarlo nella sua concretezza esistenziale: ma I~
vi~ e gli sbocch1 divergono assai). Il Gllson vuole soprattutto mettere In rllievo
l'originalità e Il realismo delhi visione tomista dell'essere, la sua differenza dalle
correnti platonico-agostiniane più fisse sull'Idea di essenza e un po· chiuse nel
purl concetti Vuol rilevare come S. Tommaso riesca meglio con la sua Intui-
zione a stabilire l'esistenza ul Dio e a llJuminarne la natura, radicalmente distinta
dalle creature. a provare la necessità della creazione, la dipendenza assoluta da
Dio dt ognt ros.1 per m<1ntener~I nell'essere e non cadere nel nulla. Cosi Dio cl
appare necessarlo all'esistenza delle creature, come la sorgente luminosa è neces-
~arla alla esistenza delle figure rnllo schermo. E molte tesi tomistiche ricevono la
loro caratteristica fisionomia. \Vedi anche MARITAIN • L'exlstenttallsme de s. Tho-
mas '" In Acta Pont. Acad. Rom. S. Thomae Aq,. 1947, pp. 40 ss.).
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 185
Hunc autem effectum causat Deus in rehu:>, non solurn quando primo
esse inciipiunt, sed quandiu in esse conservantur; sicut lumen cau-
satur in ,aere a sole quandiu aer illuminatus rnanet. Quandiu igitur
res habet esse, tandiu oportet quorl Deus adsit ei, secundum modum
quo esse habet. Esse autern est illud quod est magis intimum cuili-
bet, et qrnod profundius omnibus inest: curn sit formale respectu om-
nium quai.e in re sunt, ut ex supra [ q. 4, a. 1, ad 3] dictis patet. Unde
oportet quod Deus sit in omnibus rebus, et intime.
AD PRHMUM ERGO DICENDUM quod Deus est supra omnia per excel-
lentiam suae naturae: et tamen est in omnibus rehus, ut causans
omnium esse, ut supra [in corp] dictum est.
AD SECTUNDUM DICENDUM quod, licet corporalia dicantur esse in
aliquo si1cut in continente, tamen spiritualia continent ea in quihus
sunt, sicmt anima continet corpus. Unde et Deus est in rebus sicut
eontinensi res. Tamen, per quandam similitudinem corporalium, di-
euntur omnia esse in Deo, inquantum continentur ab ipso.
AD TER1J"IUM DICENDUM quod nnllius agentis, quantumcumque vir-
tuosi, act.io procedit ad aliquid distans, nisi inquantum in illud per
media agit. Hoc autem ad maximam virtutem Dei pertinet, quod
immediate in omnibus agit. Unde nihil est distans ab eo, quasi in se
illud Deu m non haheat. Dicuntur tamen res distare a Deo per dissi-
militudin.em naturae vel gratiae: sicut et ipse est super omnia per
-e:xcellentLam suae naturae.
AD QUAIRTIJM DICENDUM quod in daemonibus intelligitur et natura,
quae est :a Deo, et deformitas culpae, quae non est ab ipS-O. Et ideo
non est albsolute concedendum quod Deus sit in daemonibus, sed cum
hac addit.ione, inquantum sunt res quaedam. In rebus autem quae
nominant. naturam non deformatam, absolute dicendum est Deum
-esse.
• N~ssnn t;rnore qnlndl d1 c:idere nel pantP!smo, timore che ru di alcuni fllowft,
p. es., I.li li.<.dlup1ii; t1~~rch1~ qllcsta fur1ha d' unmanc11za non solo n-011 etlc1ut1e, 111a
1mpllca la trascendenza. Dio presente come causa dell'e500re è necessariamente di-
stinto dall'oessere causato, coma la causa è distinta necessariamente dall'effetto.
Ma è lntlmttssimo ad ogni ente, polchè è causa totale del suo essere; è più Intimo
a ogni ente che ogni ente a sè mecleslmo. Nè ciò toglie la causalità vera e propria
alle creatu1-·e. Le t.:tealur·e souo a11rl1'e!-se <.:au~a e p1oducoI10 UelJ'esse1·e alLUHLt4o
ciò che è in potenza. Ma ciò non allontana I>io dal loro effetti, giacchè l'ess<'re.
da cui le camse sono costituite, e la virt1ì, con cui operano. sono dati e conservati
1la Dio; e J])arlmente l'essere che costituisce gli effetti e Il loro esser causati, son
pure da Dio. La virtù di IJio 1ir~rt;1nto Lul'ra 111ti111a.J;eute o .... ui <.!uto, scnz;1 eh(' le
.cause seconde cessino per questo d'essere vere cause. Un'analogia di ciò si ha
nell'uso della causa strumentale da parte deJl'uomo. Un pittore, p. es., opera col
pennello, e Il penneJio è veramente causa della pittura, poichè la pittura si deve
'l'ealmente a.I penneJio. E nondimeno esso non allontana la virtù e !'a.zinne dPl-
l'artista dal qna<lro. polche la 111ozione sapiente del pennello per cui esso u1pi1i;;e,
deriva tutta. dall'artista; la virtù del qnale raggiunge e produce veramente l'ef-
fetto, di culi perciò è causa principale. Nel caso di Dio, non solo la mozione, ma
tutto l'essere d;illa causa è da lui, e parimente quindi tutto l"essere dell'effetto.
Non segu.e, da questa Intimità di Dio In ogni ente creato, neppure la. sconve-
nienza che tlemeva Erasmo, Il quale fingeva di scandalizzarsi se si diceva che Dio
era nelle co,se lgnoblll, glacchè niente vi è d'ignobile nell'essere.
' J..e cose sp!r1tuall, p. es., un angelo, si dicono essere In una cosa, perchè ope-
Tano su di ressa, avvilupp:.ndola con la 101·0 v!rtt). L'anima è nel corpo perchè lo
vivifica penoetrandolo col suo essere vivo.
186 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 2
ARTICOLO 2
Se Dio sia dappertutto. 1
ARTICULUS 2
Utrum Deus sit ubique.
Infra, q. 16, a. 7, ad 2; q. 52, a. 2; I Sent., d. 37, q. t, a. t;
s Cont. Gent., c. 68; Quoai. 11, a. 1.
Ao SECUNDUM SIC PROCEOITUR. Videtur quod Deus non sit ubique.
Esse enim ubique signifìcat esse in omni loco. Sed esse in omni loco
non convenit Deo, cui non convenit esse in loco: nam incorporalia,
ut dicit Boetius, in libro De hebdorn. (princip. ], non sunt in loco.
Ergo Deus non est ubique.
2. PRAETEREA, sirnt se hahet tempus ad successiva, ita se habet locus
ad permanentia. Sed unum indivisibile actionis vel motus, non potest
esse in diversis temporibus. Ergo nec unum indivisibile in genere
rerum permanentinm, potest esse in omnibus locis. Esse autem di-
vinum non est successivum, sed permanens. Ergo Deus non est in
pluribus locis. Et ita non est ubique.
3. PRAETEREA, quod est totum alicubi, nihil eius est extra locnm
illum. Sed Deus, si est in aliquo loco, totus est ibi : non enim habet
partes. Ergo nihil eius est extra locum illum. Ergo Deus non est
ubique.
SEn CONTRA EST quod dicitur Ierem. 23, 24: •• caelum et terram ego
irnpleo».
REsPONDEO DTCENDUM quod, cnm locus sit res quaedam, esse aliquid
in loco potest intelligi dupliciter: vel per modum aliarum rerum,
idest sicut dicitur aliquid esse in aliis re!Jns quocumque modo, sicut
accidentia loci sunt in loco; vel per modum proprium loci, sicut lo-
cata sunt in loco. TJtroque autem modo, secundnm aliquid, Deus est
in omni loco, quod est esse ubique. Primo quidem, sicut est in
omnibus rebus, ut dans eis esse et virtutem et operationem: sic enim
est in omni loco, ut dans e1 esse et vi:r,:tutem locativam. Item, lo-
cata sunt in loco inquantum replent locum: et Deus omnem locum
replet. Non sicut corpus: corpus enim dicitur replere locum, inquan-
tum non compatitur secum ali ud corpus; sed per hoc quod Deus est
in aliquo loco, non excluditur quin alia sint ibi: imo per hoc replet
omnia loca, quod dat esse omnibus locatis, quae replent omnia loca.
Più semplicemente il luogo si può definire: "quella parte dello spazio che un
corpo occupa"· Lo spazio in questo caso è considerato come luogo comune a tutti
I corpi; come luogo generate; e si concepisce come "una superficie contenente e
avvolgente tutti i luoghi o più iuoghi "· Lo spazio è reale se reale è l'esistenza dei
corpi, in cui soltanto può essere reale una superficie; altrimenti è Immaginario.
Per S. Tommnso e per la filosofia del Realismo moderato, che ha in lui il suo
grande maestro, lo spazio non è una categoria della mente, un elemento cioè me-
ramente subiettivo per unificare delle sensazioni, come nell'idealismo trascenden-
tale, ma una realtà di natura.
Sappiamo già che per S. Tommaso non .si dà nè luogo nè spazio infinito, per-
chè nessun corpo reale, nè fisico nè matematico, può essere infinito in atto, come
ha provato nell'articolo 3 della questione precedente.
• Le parole di Geremia prendono maggiore risalto nel t.ono Interrogativo del
~ontesto: " E non riempio lo forse il cielo e la terra? "·
• Cioè a dire: anch'e3so è una delle dieci categorie dell'essere; e quindi pnf>
rnnir considerato nel suo aspetto generico di ente e di cosa, e non precisamente
nel suo aspetto formale di limitazione spaziale, anche quando si parla della pre-
senza di questa o di quella cosa nel tocus
188 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 2
1 I corpi, che sono a contatto con altri corpi e agiscono e reagiscono gli uni
sugli altri, si toccano In due maniere: con. le loro parti quantttal ive (contactns
quantitatts dtmenstvae), e col dinamismo della loro attività (contactus virtutls)
Gli esseri Incorporei, ossia gli spiriti, possono ~Ire e ~lscono dt ratto sul corpi,
come spiegherà S. Tommaso più avanti (1, q. 110). Ora per agire devono toccare
in qualche modo 1 corpi. Non avendo dimensioni, essi toccheranno I corpi ~oltant.o
nel secondo modo - contactu vlrtutts.
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 181'
ARTICOLO 3
Se Dio è dappertutto per essenza, per presenza e per potenza.
.9
ARTICULUS 3
Utrum Deu sit ubique per essentiam, praesentiam et potentiam.
I Sent., d. :rt, q. 1, a. !l; et in expos. lit.
Ao TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur qnod male assignentur modi
existendi Deum in rebus, cum dicitur quod Deus est in omnibus re.
bus per essentiam, potentiam et praesentiam. Id enim per essentiam
est in aliquo, quod essentialiter est in eo. Deus autem non est essen-
tialiter in rebus: non enim est de essentia alicuius rei. Ergo non
debet dici quod Deus sit in rebus per essentiam, praesentiam et po.
tentiam.
2. PRAETEREA, hoc est esse praesentem alicui rei, scilicet non deesse
i ili. Sed hoc est Deum esse per esscntiam in rebus, scilicet non deesse
alicui rei. Ergo idem est efse Deum in omnibus per essentiam et
praesentiam. Superfluum ergo fuit dicere quod Deus sit in rebw.
per essentiam, praesentiam et potentiam.
3. PRAETEHEA, sicut Deus est principium omnium rerum per suam
potentiam, ita per scientiam et voluntatem. Sed non dicitur Deus
esse in rebus per scientiam et voluntatem. Ergo nec per potentiam.
4. PRAETEREA, sicut gratia est quaedam perfectio superaddita sub-
stantiae rei, ita multae sunt aliae perfectiones superadditae. Si ergo
Deus dicitur esse speciali modo in quibusdam per gratiam, videtur
quod secundum quanùibet perfectionem debeat accipi specialis mo·
dus essendi Deum in rebus.
SED CONTRA EST quod Gregorius dicit, super Cant. Cantic. [Gloss.
ord. super c. 5, 17] quod " Deus communi modo est in omnibus rebus
praesentia, potentia et substantia: tamen familiari modo dicitur
esse in aliquibus per gratiam ''·
RESPONDEO DICENDUM quod Deus dicitur esse in re aliqna dupliciter.
Uno modo, per modum causae agentis: et sic est in omnibus rebus
creatis ab ipso. Alio modo, sicut obiectum operationis est in ope-
rante: quod proprium est in operationibns animae, secundum quod
cognitum est in cognoscente, et desideratum in desiderante. Hoc
i!ritur secundo modo, Deus specialiter est in rationali creatura, qua.e
eognoscit et diligit illum actu vel habitu. Et quia hoc habet rationa-
lis creatura per gratiam, ut infra patebit [I-Il, q. 109, aa. 1, 3],
dicitur esse hoc modo in sanctis per gratiam. •
In rebus vero aliis ab ipso creatis quomodo sit, considerandum
est ex his quae in rebus humanis esse dicuntur. Rex enim dicitur
esse in toto regno suo per suam potentiam, Jicet non sit ubique prae-
sens. Per praesentiam vero suam, dicitur aliquid esse in omnibus
quae in prospectu ipsins sunt ; sirut omnia quae sunt in aliqua domo,
dicuntur esse praesentia alicui, qui tamen non est secundum substan-
ùel modi della presenza di Dio nelle cose, la quarta vorrebbe allungarla, asse-
gnando una denominazione particolare per ogni perfezione che Dio partecipa alle
creature.
2 Ossia In tutti coloro che hanno la grazia santificante. Chi ha la grazia ama
Dio attualmente se pensa a lui con un atto esplicito, oppure lo ama per unn
disposizione abituale, avendo le sue facolta orientate e ben disposte verso di lui
i.er virtù della grazia stessa, che permane anche senza l'atto e inclina all'atto.
llì2 LA SOMMA TEOLOGICA, I, ·q. 8, a. 3
ogni parte della casa. Finalmente una cosa si diee che è secondo la
sua sostanza o essenza in un luogo, dove si trova la sua sostanza.
Ora, ci sono stati alcuni, cioè i Manichei, 1 i quali hanno sostenuto
che alla divina potestà sono soggette le cose spirituali ed incorporee;
le visibili poi e le corporali le dicevano soggette al potere del principio
r
contrn rio, cioP, al princ•pio del male l Contro C'O'."toro adunque biso-
gna dire che Dio è in tutte le cose per la sua potenza. 2 - Altri, s pur
credendo che tutte le rosP sono s0g~ettc alla divina potenza, ngii
estendevano, però, la divina provvidenza sino ai corpi inferiori ai
quaggiù: in persona di costoro è detto nel libro di Giobbe: "Attorno
ai cardini del cielo egli passeggia, e non si occupa delle cose nostre».
E contro co~toro biso~,?:nò dire che Dio è in tutte le cose per la sua
presenza. - Finalmente vi furono altri,' i quali, sebbene ammette~
sero che le cose non so110 estranee alla provvidenza di Dio, dissero
tuttavia che non tutte sono state create immediatamente da Dio; ma
che immediatamente egli creò le prime creature, e queste hanno
creato le altre. E contro costoro bisogna dire che Dio è in tutte le
cose per essenza.
Per concludere, Dio è in tutte le cose con la sua potenza, perchè
tutte sono soggette alla sua potestà ; vi è con la sua presenza, perchè
tutto P. d!~roperto r rono,, nnrlo davanti i suoi orrhi: Yi è con la :<:na
essenza, perchè è presente a tutte le cose quale causa universale del-
l'essere, come si è dimostrato.
SOL!'ZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che Dio è in tutte le cose per
essenza, non già per la essenza delle cose, come se facesse parte
dell'essenza di esse ; ma per la sua essenza, perchè la sua sostanza è
presente a tutto quale causa dell'essere, come si è detto.
2. Una eosa può dirsi presente acl alcuno qnand0 sta dinanzi al
suo sguardo, pur rimanendo distante da lui per la sua sostanza.
E perciò fu necessario porre questi due modi, cioè per essenza e per
presenza.
3. E proprio della natura della iwienza e della volontà che il co-
nosciuto sia nel conoscente e l'oggetto voluto nel volente: quindi
secondo la scienza e la volontà piuttosto le cose Rono in Dio, che Dio
nelle cose. :t proprio della potenza invece comportarsi come principio
di un'operazione [transitiva] che passa su un soggetto diverso: per-
ciò sec~mdo la potenza l'agente dice ordine ed applicazione a qualche
cosa di estraneo. E così può dirsi che un agente per la sua potenza
è in un'altra cosa.
4. Ness1m'altra nerfezione agçriunta alla sostanza, all'infuori della
grazia, fa sì che Dio sia in qualche creatura come oggetto conosciuto
ed amato: perciò soltanto la grazia costituisce un modo singolare
della presenza di Dio nelle cose. • Vi è poi un altro modo singolare
della presenza di Dio nell'uomo: cioè per l'unione ipostatica; del
qual modo tratteremo a suo luogo. '
t Così fuMno chiamati I seguaci di lllant o Manele persiano (215-275 circa). delle
cui dottrine !u vittima Io ste5rn s. Agostino prima della conversione. Nel s&-
colo XIII es5i era no ancora molto diffusi in Europa, sotto varie denominazioni
(Catari, Patarini, Albigesi).
• La potenza, cioè la virtù o l'energia attiva, per cui un ente è in grado dJ
cornrir•e azioni su altri enti.
• S. Tommaso nomina tra I !autori meno rigidi di questa dottrina Rabbl Mosè
Maimonide, filosofo e teologo Israelita spagnuolo nel sec. XII (cfr. I, q. 22, a. 2).
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 193
tiam suam i.n qualibet parte domus. Secundum vero substantiam vel
essentiam, dicitur aliquid esse in loco in quo eius substantia habetur.
Fuerunt ergo aliqui, scilicet Manichaei, qni dixerunt divinae po-·
testati subiecta spiritualia esse et incorporalia: visibilia vero et cor-
poralia suhiecta esse dicebant potestati principii contrarii. Contra
hos ergo oportet dicere quod Deus sit in omnibus per potentiaro
suam. - Fuerunt vero alii, qui licet crederent omnia esse subiecta di-
vinae potentiae, tamen providentiam divinam usque ad haec infe-
riora corpo1·a non extendebant: ex quorum persona dicitur lob. 22, 14:
«circa cardines caeli perambulat, nec nostra considerat ». Et contra
hos oportuit dicere quod sit in omnibus per suam praesentiam. - Fue-
runt vero alii, qui licet dicerenl omnia ad Dei providentiam perti-
nere, tamen posuerunt omnia non immediate esse a Deo creata:
sed quod immediate creavit primas creaturas, et illae creaverunt
alias. Et contra hos oportet dicere quod sit in omnibus per essentiam.
Sic ergo est in omnibus per potentiam, inquantum omnia eius po-
testati snh<inntnr. Est prr praesentiam in omnibus, inquantum om-
nia nuda sunt et aperta oculis eius. Est in omnibus per essentiam,
inquantum adest omnibus ut causa essendi, sicut dictum est [a. 1].
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod Deus dicitur esse in omnibus per
essentiam, non quidem rerum, quasi sit de essentia earum: sed per
essentiam suam, quia substantia sua adest omnibus ut causa essendi,
sicut dictum est [ibid.].
Ao SECUNJJUM DICENDUM quod aliquid potest dici praesens alicui,
incpiantnm suhiaret Pi1•s consnertui, quod tamen distat ab eo secun-
dum suam substantiam, ut dictum est [in corp.]. Et ideo oportuit
duos modos poni: scilicet per essentiam, et praesentiam.
Ao TERTIUM DICENDl'M quod de ratione scientiae et voluntatis est,
qnod scitum sit in sciente, et volitum in volente: unde secWldum
scientiam et voluntatem, map;is res snnt in Deo, quam Deus in re-
bus. Sed de ratione potentiae est, quod sit principium agendi in
alind: unde secund11m potentiam agens comparatur et applicatur
rei exteriori. Et sic per poteutiam potest dici agen::i esse in altero,
Ao QUARTUM DICENDUM quod nulla alia perfectio superaddita sub-
stantiae, facit Deum esse in aliquo sicut obiect11w_ cop:nitum et ama-
tum, nisi gratia: et ideo sola gratia facit singularem modum essendi
Deum in rebus. Est autem ali11s singularis modus essendi Deum in
homine per unionem: de quo modo suo loco [III, q. 2] agetur.
ARTICOLO 4
Se sia proprio di Dio essere dappertutto.
ARTICULUS 4
Utrum esse ubique sit proprium Dei.
Infra q. 52, a. 2: 112, a. 1 : I Sent., d. 37, q. 2, a. 2: q. 3, a. 2:
4 Cont. Gent., c. 17; QuocU. 11, a. 1 : De Dtv. Nom., c. 3, lect. 1.
AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod esse ubique non sit pro-
prium Dei. Universale enim, secnndum Philosophnm [I Pc.~ter., c. 31,
lect. 42], est ubique et semper: materia etiam prima, cum sit in om-
nibus c.orporibus, est ubique. Neutrum autem horum est Deus, ut ex
praemissis patet [q. 3, aa. 5, 8]. Ergo esse ubique non est pro.
prium Dei.
2. PRAETEREA, numerus est in numerati~. Sed totum universum est
·constitutum in numero, ut patet Sap. 11, 21. Ergo aliquis numerus
est, qui est in toto universo: et ita ubique.
3. PRAETEREA, totum universum est quoddam totum corpus perfe-
etum, ut dicitur in 1 Caeli et Mundi [c. 1, lect. 2]. Sed totum nniver-
sum est ubique: quia extra ipsum nullus locus est. Non ergo solus
Deus est ubique.
4. PRAETEREA, si aliquod corpus esset infinitum, nullus locus esset
extra ipsum. Ergo esset ubique. Et sic, esse ubique non videtur pro.
prium Dei.
5. PRAE:rEREA, anima, ut dicit Augustinus, in 6 De Trinit. [c. 6], est
"tota in toto corpore, et tota in qualibet eius parte». Si ergo non
·esset in mundo nisi unum solum animai, anima eius esset ubique.
Et sic, esse ubique non est proprium Dei.
6. PRAETEREA, ut Augustinus dicit in epistola ad Volusianum [137,
e. 2], "anima ubi videt, ibi sentit; et ubi sentit, ibi vivit; et ubi vivit,
ibi est n. Sed anima videt. quasi ubique: quia successive videt etiam
totum caelum. Ergo anima est ubique.
SED CONIBA EST quod Ambrosius dicit, in libro De Spiritu Sanct<i
(I. 1, c. 7): "Quis audeat rreaturam dicere Spiritum Sanctum, qui
in omnibus et ubique et semper est; quod utique divinitatis est pro-
prium ?u
REsPONDEO DlCENDUM quod esse ubique primo et per se, est proprium
Oci. Dico autem esse ubique primo, quod secundum se totum est ubi-
.que. Si quid enim esset ubique, secundum diversas partes in diver-
sis locis existens, non esset primo 11bique: quia quod convenit alicui
ratione partis suae, non convenit ei primo; sicut si homo est albus
dente, albedo non convenit primo homini, sed denti. Esse autem ubi·
que per se dico id cui non convenit esse ubique per arcidens, propter
aliquam suppositionem factam: quia sic granum milii esset ubique,
supposito quod nullum aliud corpus esset. Per se igitur convenit esse
ubique alicui, quando tale est quod, qualibet positione facta, sequitur
illud esse ubique.
Et hoc proprie convenit Deo. Quia quotcumque loca ponantur,
·etiam si ponerentur infinita praeter ista quae sunt, oporteret in om-
nibus esse Deum: quia nihil potest esse nisi per ipsum. Sic igitur
~sse ubique primo et per se convenit Deo, et est proprium eius: quia
quotcumque loca ponantur, oportet quod in quolibet sit Deus, non
secundum partem, sed secundum seipsum.
196 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 4
terla prima non ha unità di essere, se non nella mente. Nelle cose esistenti, di cui
è Il soggetto primo e, per cosi dire, Il tessuto, essa è formata secondo un essere
differente, speclftcamente e Individualmente. Quindi tanto meno essa è In turtl 1
corpi, ossia dappertutto prtmo e per se.
• Quest' Ipotesi è Impossibile, come S. Tommaso ha dimostrato. Ma qui egli vi
accenna per far risaltare anche meglio l'ubiquità che è propria di Dio.
QUESTIONE 9
La immutabilità di Dio.
ARTICOLO 1
Se Dio sia del tutto immutabile.
ARTICULUS 1
Utrum Deus sit omnino immutabilis.
I Sent., d. 8, q. 3, a. 1: I Cont. Gent., cc. 13. 14; t, c. 25; De Pot., q. 8, a.. 1, ad 9 ~
Compend. Tneot., c. 4; De Trtntt., q. 5, a. 4, ad 2.
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit Olllllino im-
mutabilis. Quidquid enim movet seipsum, est aliquo modo mutabile.
Sed, sicut dicit Augustinus, 8 Super Genesim ad litteram [c. 20]:
« Spiritus creator movet se nec per tempus nec per Iocum "· Ergo-
Deus est aliquo modo mutabilis.
2. PRAETEREA, Sap. 7, 24 dicitur de s:lpientia quod est « mobilior
omnibus mobilibus n. Sed Deus est ipsa sapientia. Ergo Deus est mo-
!Jilis.
3. PRAETEREA, appropinquari et elongari motum signifìcant. Huius-
modi autem dicuntur de Deo in Scriptura: Iac. 4, 8: "appropin•
quate Deo, et appropinquabit vobis "· Ergo Deus est mutabilis.
SED CONTRA EST quod dicitnr Malach. 3, 6: Ego Deus, et non mu-
tar.,,
RF.sPONDEO DICENDUJ\r quod ex praemissis ostenditur Deum esse om-
nino immutabilem. Primo quidem, qnia supra ostensum est esse ali-
quod primum ens, quod Denm dicim11s [ q. 2, a. 3]: et quod huius-
modi primurn ens oportet esse purum actnm absque permixtione ali-
rnius potentiae, eo quod potentia &impliciter est posterior actn.
Omne autem quod quocumque modo mutatnr, est aliquo modo in
potentia. Ex quo patet quod impps~ibile est Deum aliquo modo mu-
tari.
Secundo, quia omne qi1où movetur, quantum ad aliq11id ma.net, et
quantum ad aliquid transit: sicut quod movetur de albedine in ni-
lisi del principio •tutto ciò che si muove (=che passa dalla potenza all'atto) è-
mosso da un altro": principio che ha servito a S. Tommaso per salire dalle cose
create. che rironosclnmo miste di potenza e di atto appunto perchè mutabili, al·
l'esistenza del Primo Ente, che è Atto Pur-0.
Vaste correnti I.li filosùfì~ 111oderna rigettaoo questo primat-0 dell'atto sulla
!Jotenz;, e pretendono rtl fare ~caturiré dal nulla o dall" Imperfettissimo, os~la
rlnlla pntenv1, tut.t.E> le rooe Per queste filosofie la potenza In linea assoluta è an·
terlore all'atto. Ciò è assurdo. (Ve<ti p. 82, nota 1).
200 · LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 9, aa. 1-2
tutto ciò che si cambia si nota qualche composizione. Ma, come so-
pra si è dimostrato, in Dio non vi è composizione alcuna, essendo
egli assolutamente semplice ; è chiaro quindi che Dio non può mu-
tarsi.
Terzo, tutto ciò che si muove, acquista qualche cosa in forza del
suo movimento e arriva a ciò cmi prima non arrivava. Ora Dio, es-
sendo infinito e racc!Jiuòendo in se stesso in modo perfetto e uni-
versale la pienezza di tutto l'essere, niente può acquisire, nè esten-
dersi a cosa a cui prima non arrivava; in nessun modo quindi a lui
conviene il movimento. - Ecco perchè, anche tra gli antichi, alcuni,
quasi costrètti dalla stessa verità, affermarono la iw11111tabilita del
primo principio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. s. Agostino qui parla alla maniera
di Platone, il quale asseriva che il primo motore muove se stesso,
denominando moto qualsiasi operazionr: e in tal senso Io stesso
intendere, volere ed amar<:J sono detti moto. Siccome dunque Dio in-
tende ed ama se stesso, in questo senso dissero che Dio muove se
stesso, non già nel senso che qui si dà al moto e alla mutazione in·
quanto proprii dell'essere in potenza.
2. La sapienza è detta mobile metaforicamente, in quanto diffonde
la sua somiglianza sino ntJle minime cose. Niente infatti può esservi
che non proceda dalla divina sapienza per via di imitazione, come
da causa efficiente e formale, come i prodotti artificiali procedono
dalla perizia dell'artefice. Così dunque, in quanto la somigliflnza
della divina sapienza gradatamente si estende dalle creature s11pe-
riori, che ne partecipano maggiormente, sino alle infime, che meno
ne partecipano, si può dire ohe vi è una specie di processo e di mo-
vimento della sapienza verso le cose, come se noi dicessimo che il
sole s'avanza fino alla terra perchè il raggio della sua luce giunge
fino alla terra. Questo è anche il pensiero di Dionigi nell'affermare
che "ogni efflusso della divina manifestazione viene a noi da un mo-
vimento del Padre dei lumi "·
3. Simili espressioni bibliche dette di Dio sono metaforiche. Come
si dice che il sole entra nella stanza e ne esce, se vi giunge o si di-
parte il suo raggio; cosi si dice che Dio si avvicina a noi o se ne
allontana in quanto noi percepiamo l' inllusso della ~ma bontà o ne
siamo privati.
ARTICOLO 2
Se essere immutabile sia proprietà esclusiva di Dio.
ARTICULUS 2
Utrum esse immutabile sit Dei proprium.
lnfra, q. 10, a. S: q. 65, a. I, ad 1: JTT q. 57, a. I, M t; I .'iPnt., d. B. q. 3, a..!:
d. 19, q. 5, a.. 3; f, d. 7, q. 1, a. 1; De Malo, q, 16, a. !, ad 6; Quodl. 10, q, !.
tutti I teologi, qua.oto agli angell : al teologi e al filosofi cristiani quanto al-
i 'anima.
202 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 9, a. 2
2. Tutto ciò che si muove, si muove per un fine: quindi ciò che è
arrivato al possesso del suo ultimo fine, non si muove più. Ora, vi
sono delle creature, come i beati, che hanno già raggiunto il proprio
ultimo fine. Vi sono dunque delle creatme immobili.
3. Tutto ciò che è mutabile è variabile. Ora, le forme sono inva-
riabili: è detto infatti nel Liber Sex Principiorum 1 che "la forma
consiste in una semplice e invariabile essenza"· Dunque non è pro-
prietà esclusiva d.i Dio essere immutabile.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: " Soltanto Dio è immutabile ; tutte
le cose che ha creato, e8sendo dal 1r1111Ja, sono mutevoli"·
RISPONDO: Soltanto Dio è del tutto imnmtabile: ogni creatura, in-
vece, è in qualche modo mutevole. Bisogna notare, infatti, che una
cosa può dirsi mutevole ir1 due modi: o per lma potenza [passjva]
r
ad essa inerente, o per un potere potenza attiva] esistente in un al-
tro essere. Invero tutte le creature, prima che fossero, non avevano
la possibilità di esistere in virtù di una potenza creata, poichè niente
di creato può essere eterno ; ma solo in virtù della potenza divina,
in quanto Dio poteva porle nell'esistenza. E come dipende dalla vo-
lontà di Dio che le cose vengano all'esistenza, così dalla sua volontà
dipende la loro conservazione nell'essere; poichè Dio in altro mode>
non le conserva nell'esistenza che dando loro continuamC'nte l'es-
sere, di maniera che, se Dio sottraesse loro la sua azione, ritornereb-
bero tutte nel nulla, come spiega S. Agostino. Come dunque, prima
che esistessero in se medesime, era in potere del Creatore che es.se
venissero all'esistenza, cosi è in potere del Creatore, dopo che son
diventate esistenti, che cessino di essere. Perciò tutte le creature
per un potere esistente in un altro essere, cioè in Dio, sono soggette
a mutamento, in quanto poterono da Dio essere tratte dal nulla al-
l'esistenza, e possono da lui essere ridotte dall'esistenza al nulla.
Considerando poi la mutabilità dovuta a una potenza immanente
alla cosa stessa, anche così ogni creatura è in qualche modo mute-
vole. Nella creatura, infatti, vi è una doppia potenza, cioè attiva e
passiva. Chiamo potenza passiva quella, secondo la quale una data
cosa può raggiungere la sua perfezione, o nell'essere o nel consegui-
mento del fine. Se dunque si considera la mutabilità di una cosa in
base a una potenzialità nell'ordine dell'essere, allora la mutabilità
non si trova in tutte le creature, ma soltanto in quelle nelle quali
ciò che in e.sse è potenziale può stare insieme col non essere [in
atto). Perciò nei corpi iuferiori vi è mutabilità e secondo l'essere
sostanziale, perchè la loro materia può esistere senza la loro presente
forma sostanziale; e secondo l'essere accidentale, se il soggetto
comporti &eco la privazione dell'acciòt-nte: così questo sogf];etto
uomo comporta seco di non esser bianco, e quindi può cangiarsi da
bianco in non bianco. Ma se l'accidente è tale da risultare neces-
sariamente dai principii essenziali del soggetto, la privazione di tale
accidente non può coesistére col soggetto, e quindi il soggetto non
può mutare secondo questo accidente, p. es., la neve non può di-
ventare nera.• - Nei corpi celesti, invece, la materia non comporta.
1 Operoi di Gilberto de la Porree, che fu vescovo di Poltlers (t 1154). Tratta delle
cater.-orie di Aristotele e propriamente delle sei ultime.
2 In altri termini: riguardo alla mutazione accidentale, .'>lso~na distinguere
due categorl~ di acclden11: qnella degli accident1 puramente contlnqcntt. che
cloo possono esserci o non esserci in un soggetto, salva rimanendo la sostanza
LA IMMUTABILITA DI DIO 203
di esso (p. es., Il colore biondo nel capelli): e secondo questi accidenti Il sog-
getto può mutare; e la categoria degli accidenti proprtt, distinti dalla sostanza
del soggetto ma risultanti, come dice Il testo, dal pr!nclpU essenzlalt di esso: e
secondo que.~tl non si dà mutazione nel soggetto: essi coesistono al soggetto fln-
chè perdura nell'essere, i;erchè Il soggetto non comporta seco la privazione di
essi, come dice il testo. I.'esempto della neve non è calzante per la nostra fisica,
ma se ne po<;.<;0no addurre tnnnmerevoll, p. e.s., la qmrntltà, l'estensione, Il peso
specifico 1•er I corpi mat.erlali.
204 LA SOl\f.MA TEOLOGICA, I, q. 9, a. 2
!
1 Secondo la fisica antica c·era. una differenza. essenziale tra l corpi sublunari
e I corpi <lei firmamento: la diffPl'«>nza chP S. Tomn·a~o 011! nota. T corpi ""'"'t.1
erano crP<iutl tnoorruttlbtll e tnalteralJ!ll, come risultano dall'esperienza volgare.
Non c'è da meravigliarsi che I ftlcsofl ne tentassero una s-plegazlone. rifacendosi
al due prln~lpll costltntlvt di ogni corpo: la materia e la forma. La materia del
corpi celesti $arebbe stata pienamente attuata da una forma perfetta, col rnante
ogni capa.clt.\ di essere esistente ndla materia; la quale, quindi, sai•el>be senza i;o-
tenzlalltà per qualsiasi altra forma, sia sostanziale che accidentale, tranne elle
per li moto locale, li quale si svolge circolarmente, cioè nella maniera più per-
fetta secondo le !dee dcl tempo. «L'atomismo moderno - nota li Sert.illanges -
LA JM.MlTTABILITA DI DIO 203
ARTICOLO 1
Se l'eternità sia ben definita così: «Il possesso intero, perfetto
e simultaneo di una vita interminabile>. 1
ARTICULUS 1
Utrum convenienter definiatur aeternitas,
quod est interminabilis vitae
tot.a simul et perfecta possessio.
1 Seni., d. s, q. 2, a. 1 ; De Camts, lect. 2.
l"he -S. Tommaso ha posto nel titolo dell'articolo, e che analizza e spiega nel corpo
del medesimo ·
208 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 1
slo, et una pars post alteram, ex hoc quod numeramus prius et po-
sterius in motu, apprehendimus tempus ; quod nihil aliud est quam
numerus prioris et posterioris in motu. In eo autem quod caret motu,
et semper eodem modo se habet, non est accipere prius et posterius.
Sicut igitur ratio temporis consistit in numerat.ione prioris et poste-
rioris in motu, ita in apprehensione uniformitatis eius quod est om-
nino extra motum, consistit ratio aeternitatis.
Item, ea dicuntur tempore mensurari, q11ae principium et flnem
habent in tempore, ut dicitur in 4 Physic. [c. 12, lect. 20): et hoc
ideo, quia in omni eo quod movetur, est accipere aliquod principium
et aliquem fl.nem. Q.uod vero est omnino immutabile, sicut nec suc-
cessionem, ita nec principinm aut finem hal.Jere potest.
Sic ergo ex duobus notificatur aeternitas. Primo, ex hoc quod id
quod est in aeternitate, est interminabile, idest principio et fine ca-
rens (ut terminus ad utn1mque referaturl. Secundo, per hoc quod
ipsa aeternitas successione caret, «tota simul existens "·
AD PRIMliM ERGO UICENIJlll\I quod simplicia consuevenrnt per ne~atio
nem definiri, sicut punctus est « cuius pars non est», Quod non ideo
est, quod negatio sit de essentia eorum: !'ed quia intellectus noster,
qui primo apprehendit composita, in cognitionem simplicium perve-
nire non potest, nisi per remotionem compositionis.
AD SECUNDUM DICENDUM quod illud quod est vere aeternum, non
solum est ens, sed vivens: et ipsum vivere se extendit quodammodo
ad operationem, non autem esse. Protensio autem durationis videtur
attendi secundum operationern, magis quarn secundum esse: unde
et tempus est numerus rnotus.
An TERTIUM DICENDUM quod aeternitas dicitur tota, non quia habet
partes, sed inquantum nihil ei deest.
AD QUARTUM DICENDUM quod, sicut Deus, curo sit incorporeus, nomt-
nibus rerum corporaliurn metaphorice in Scripturis nominatur, sic
aeternitas, t.ota simul existens, nominibus ternporalibus successivis.
An QUINTUM DICENDlJM quod in ternpore est duo considerare: sd-
licet ipsum tempus, quod est successivum; et nunc ternporis, quod
est irnperfectum. Dicit ergo tota simul, ad rernovendum tempus: et
perfecta, ad excludendum nunc temporis.
An sEXTUM DICENDUM quod illud quod possidetur, firrniter et quiete
habetur. Ad designandam ergo immutabilitatem et indeficientia.m
aeternitatis, usus est nomine possessionis.
sura di tutti gli altri moti. Questo moto esterno regolare, a cui sl confrontano
tutti 611 altri mutamenti, dà origine al tempo propriamente detto: tempo esterno,
unità di misura, su mi tutti gli uomini convengono.
2 Come dunque Il concetto del tempo, In quanto distinto dal concetto di mu-
tamento, non contiene che una relazione di ragicne '.un confronto, una misura),
cosi Il concetto di eternità, tn quantio ùistinto dall'essere lmmlltabile di Dio,
non contiene In più che un certo confronto della mente. "Dio è la Sila f>SSenza e
la sua eternità• (a. 2). Oggettivamente l'eternità coincide con l'uniformità e sta-
bilità dell'essere divino (vedi a. 2, ad 3); ma In mente, pe1· meglio int 0 11dere. di-
stingue e confronta eternità e permanenza dell'essere divino, e concepisce l'eter-
nità come misura della permanenza uniforme ùell'esS<'re cli,•ino.
• Supponendo che ciò che si muove si muova 110 aeterno e non sin per cessare
mat di muoversi (Ipotesi che S. Tommaso non vuole scartare), tnttavia nrl !lusso
del moto, che allora sarebbe realmente senza principio e termine, si pufi sempre
assegnare un punto che è termine della parte precedente e principio della parte
successiva. Ciò chè si muove quindi ha sempre un principio e un termine, almeno
virtuale.
210 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 2
ARTICOLO 2
Se Dio sia eterno.
ARTICULUS 2
Utrum Deus sit aeternus.
' sent., d. 19, q. li, a. t; I Cont. Gent., e. 15: ne Por., q. 3, a. 17, ad !13;
Compend. Tlleol. cc. 5, s.
t la .ma eternftd. come è la sua essenza, perchè è Il suo stesso essere; nessun'altra
cnsa è la sua durata perchè nessun'altra cosa è Il suo essere. i:: manifesto tnfatU
eh.e dove essere ed essenza sono Identici, ivi c'è un ente necessario, a cui non
potrebbe non competere l'esistere, polchè esistere è mseparablle dall'esistere. Il
1•erdurare nell'essere, dunque, non ha altro motivo o causa che il suo essere
stesso: esso è 11 suo perdurare. Là dove Invece essenza ed esistenza son distinte,
il motivo o cagione del lc;ro trovarsi insieme e perdurare è fuori dell'ente stesso;
r-iacchè •cose rllverse di per sè non possono spiegare il loro trovarsi insieme, ma
tilsogna ricorrere ad una causa dl~tinta da esse che le ha adunate• (cfr. 11. 3,
n. 4; I Cont. Gent., cc. 18, 22, 25; De Pot., q. 3, a. 5). Dunque tali cose, appunto
perchè composte di elementi dlsllnti, non perdurano per se stesse, ma ~r un'altra
causa: non sono 11 loro perdurare (cfr. I, q. 104, a. 1).
212 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, aa. 2-3
ARTICOLO 3
Se essere eterno sia proprietà e='clusiva di Dio.
SEMBRA che essere eterno non sia esclusiva proprietà di Dio. In-
fatti:
1. E detto nella Scrittura: 11 Quelli che istruiranno molti alla giu-
stizia, saranno come astri nelle eternità senza fine». • Ora, non ci
sarebbero molte eternità se soltanto Dio fosse eterno. Non è dunque
eterno soltanto Dio.
2. Nel Vangelo è scritto: 11 Andate via da me, maledetti, nel fuoco
eterno"· Dunque non il solo Dio è eterno.
3. Tutto ciò che è necessario è rterno. Ora., molte cose sono ne.
cessarie, p. es., tutti i principii della dimostrazione e tutte le pro-
posizioni dimostrative. Dunque eterno non è solo Dio.
IN CONTRARIO: S. Girolamo• scrive: "Soltanto Dio è senza inizio 11,
Ora, tutto ciò che ha un inizio non è eterno. Quindi soltanto Dio è
ete1110.
R1sPONOO: L'eternità veramente e propriamente è soltanto in Dio.
Perchè l'eternità deriva dall'immutabilità, come si è già provato; e
d'altra parte solo Dio è del tutto immutabile, come abbiamo visto
sopra. Tuttavia nella misura in cui alcune cose partecipano da Dio
l'immutabilità da lui partecipano anche l'eternità.
Certe cose dunque partecir,ano da Dio· l'immutabilità in questo
ARTICULUS 3
Utrum esse aeternum sit proprium. Dei.
I Sent., d. 8, q. !I, a. !I; 4, d. 49, q, 1, a. !I, qc. 3; Quo1n. 10, q. I;
De Dtv. Nom., c. 10, Iect. 3; De Causts, lect. !I.
AD TERTTUM sic PROCF.DITUR. Videtur quod esse aeternum non sit soli
Deo proprium. Dicitur enim Danielis 12, 3, quod "qui ad iustitiam
Prudiunt plurimos, erunt quasi stellae in perpetuas aeternitates ».
Non autem essent plures aeternitates, si solus Deus esset aeternus.
Non igitur solus Deus est aeternus.
2. PRAETF.REA, Matth. 25, 4.f, dicitur: « Ite, maledicti, in ignem ae-
ternum "· Non igitur solus Deus est aetemus.
3. PRAETEREA, omne necessarium est aeternum. Sed multa sunt n&-
cessaria ; sicut omnia principia denwnstrationis, et omnes proposi-
tiones demonstrativae. Ergo non solus Deus est aeternus.
SED CONTRA EST quod dicit Hieronymus, ad Marcellam: "De~s solus
e!'I qui exordium non habet ». Qnidquid autem exordium habet, non
est aeternum. Solus ergo Dens est aeternus.
REsPONDEO DICENDUM quod aeternitas vere et proprie in solo Dea est.
Quia aeternitas irnmutabilitatem consequitur, lit ex dirtis ra. 1] pa-
tet: solus autem Deus est omnino lmmutahilis, 11t est superius [ q. 9,
a. 2] ostensum. Serundum tamen quod aliqua ab ipso immutabilita-
tem percipiunt, secundum hoc aliqua eius aeternitatem participant.
Quaedam ergo quantum ad hoc immutabilitatem sortiuntur a Deo,
senso che mai cessano di esistere, come nella Scrittura è dettp della
terra che "eternamente sussiste"· Certe altre sono dette eterne nella
sa.era Scrittura per la diuturnità della durata, sebbene siano cor-
ruttibili, come nei Salmi son chiamate "eterne le montagne 11, ed
anche nel Deuteronomio si parla u dei frutti dei colli eterni ». Altre
cose anche più ampiamente partecipano la natura della eternità
in quanto sono immutabili o nell'essere, o anche perfino nell'ope-
rare, com'è degli angeli e dei beati, ammessi alla fruizione del
Verbo; perchè relativa.mente a quella visione del Verbo nei sariti
non ci sono "pensieri variabili '" come dice S. Agostino. Cosicchè
di coloro che vedono Dio si dice che possiedono la vita eterna, se-
condo il detto della Scrittura: u la vita eterna consiste nel conoscere
[Te, solo Dio vero] .... 11.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dicono molte le eternità per indi-
care che sono molti coloro che partecipano dell'eternità per la con-
temp.Jazione di Dio.
2. Il fuoco dell' inferno è detto eterno unicamente perchè non finirà
mai. Però nelle pene dei dannati vi saranno delle trasmutazioni, se-
condo il detto della Scrittura: cc Ad eccessivo calore passi egli dalle
acque delle nevi"· Quindi nell'inferno non vi è vera eternità, ma
piuttosto il tempo, secondo la frase del Salmo: «Il loro tempo si
estenderà per tutti i secoli "· 1
3. Necessario indica una modalità del vero. E il vero, a detta del
Filosofo, è nell'intelletto. Per conseguenza le cose vere e necessarie
sono eterne in quanto esistono in un intelletto eterno, che è soltanto
l'intelletto divino. Non ne viene perdò che oltre Dio vi sia qualche
cosa di eterno. •
ARTICOLO 4
Se l'eternità differisca dal tempo.
ARTICULUS 4
Utrnm aeternitas differat a tempore•
.JnfJla. &. 5; I .Seni., d. 8, q. 2, a 2 ; d. 19, q. 2, a. 1 ; De Poi., q. 3, a. 14, ad 10, 18;
De Dtv. Nom., c. 10, Joct. ~-
festa) l'Essere immutabile, necc:;sarlo, indipendente, che è Dio (cfr. p. 209, not.i. !l).
Come dunque l"essere divino t.rascende l'essere delle creature, e queste non sono
1n nes5un modo parti di es&o (cfr. q. 3, a. 8); cosi !"eternità trascende 11 tempo,
11 quale ln nessun modo può essere parte dell"eternità.
1 Questa breve rlspor.ta è Il riassunto della lecito 18 tn 4 lt!Jrum Phystcorum,
c. 11. Qui S. Tommaso conclude alla diversità essenziale tra l'istante del tempo
e !"eternità; là. nella lezione 1sa. rileva espressamente che tra l'istante del tempo
e l'eternità c'è tuttavia una certa analogia, la quale, benchè lontanl&slma, è atta
a fornirci Il concetto di eternità.
Ecco come ragiona l'Angelico, esponendo 11 pensiero di Aristotele. Il tempo si
fonda sul moto, di cui è misura. Il moto è una quantità le cui parti sono di-
verse e non coesistono insieme, ma si succedono. Cosi pure 11 tempo: le sue parti
sono diverse e non coesistono ; nel tempo, solo l' istante esiste simultaneamente
tutto Insieme. L'istante è l'unica realtà del tempo che esista. Per capire questo
bisogna rifarsi al moto e al corpo che si muove. Il moto ha la sua continuità
dallo spazio che percorre e dal corp0 mobile, Il quale è sempre lo stesso i·er tutto
ll decorso del moto e dà l'unità del moto stesso. Nello spazio noi segnamo del
punti di riferimento (del corpi immoblli. almeno relativamente al moto che vo-
gliamo misurare). p. es., una pietra miliare ; e In riferimento a quel (>unti ve-
niamo a con<>SCere li moto, distinguendolo da qualsiasi altro. Il corpo mobile
era prima ld - in quel punto -, ora è qu,t - In questo punto -. tra poco sarà
altrove - In un altro punto. Risulta chlai•a cosi l' idea del movimento. Ora, sia
l puntl di riferimento, sia il corpo che si muove, pur essendo sempre gli stessi
sostanzialmente, sono In qualche modo sempre diversi, per I rapporti nuovi che
via via assumono (sono eadem sub1ecto, dice S. Tommaso, ma dtrrerunt rattone,
sono differenti per l riferimenti o rapporti) . .\ dar rl~alto a questo fatto S. Tom-
maso cita riportandolo da Aristotele, li ragionamento puerlle del sofisti, l quali
arzlgioirolavano su questa diversità. "Corlsco - dicPvano - è 11ltro ( lreeoç) quandu
è nel foro e altro quando è nel teatro, perchè essere nel teatro è diverso da essere
nel foro. Ma Corlsco ora è nel foro, ora è nel teatro; dunque - con!'ludevano -
Corlsco è diverso da ~e stesso •. Ragionamento !allaclsslmo: certamente Corlsco
ha diverse posizioni spaziali secondo che è nel teatro o nel foro: e clO lo fa es-
sere diverso relativamente (rattone), ma non in se stesso (subtecto).
n~l moto del oorpo mobile, e-OSI tonsiderato, nascP I' lli<'a del tPmpo. Ora
l'istante, nota S. Tommaso, corrisponde al corpo mobile, come Il tempo corri·
sponde al mo'l'lmento. Come dunque li corpo mobile è sempre lo stesso nella sua
?'ealtà pur diversificandosi nel suol rapporti (perchè prtma era là e adesso è
qui.. .. ) ; cosi l'Istante, che gli corrisponde, è sempre lo ste.iso in sè, pur diver-
LA ETERNITA DI DIO 219
stflcandosi nel suoi rapporti. Questo istante infatti è sempre questo istante: es"W
segna. il corpo mobile In una determinata posizione. J\fa come il corpo mobile ci
manifesta il moto in quanto viene considerato nei suoi ra pportl con i punti di rife-
rimento che sorpassa e con quelli verso tui tende; così l'istante cl manifesta il
tempo in quanto è preso, non in se stesso, ma come termine del prtma e inizio
del dovo. In tal modo nel!' istante, che è l'unica realtà del tempo, confluiscono
le parti del tempo, 11 passato e Il futuro, non coesistenti ma rese tali dal pensiero.
Misurare lnfntt.I è opera del pensiero.
F. cosi l'istante. pur restnndo Identico a se stesso, tuttavia è diverso per i raJ)-
IJOrtl oggettivi che il pensiero scorge in esso: in una parola est tdem sulltrcto,
dì{ferrns ratione. .
L'eternità Invece - pro~egue s. Tommaso - esclude l'alternarsi dei rapporti che
eostitnisce 11 tempo: è Identica a se stess~ e nei s1nl 1·apporti - eadem sulltecto
et ralione - ; perchè l'essere a cui si riferisce e di cui manifesta Il perdurare
è immutabile assolutamente nel pieno possesso di tutta la sua perfezione (cf:r.
tl>td., nn. 1--4). Però aggiunge: •da questa considerazione dell'Istante si può con re-
lativa facilità ricavare l'Idea dell'eternità. Infatti l'Istante, in quanto corrisponde
all'oggetto mobile che assume via via: diversi modi di essere (quanto alla posi-
zione], distingue il prima e il dopo nel tempo e col suo fluire costltuls.ce il tempo
stesso, come il fluire del punto costituisce la linea. Se dunque togliamo via (per
astrazione della mente) dall'oggetto mobile le diverse disposizioni (o posizioni che
assume col moto], ci resta la sua sostanza unifc rme a se stessa, sempre perdu-
0
rante nello stesso modo di essere. Per cui cl facciamo l'idea di un Istante sempre
per·n~nente, che non scorre vi:l, nè ha un 1•rlmn e un dono. Com(' dunque l'Istante
del tempo si concepisce quale misura dell'oggetto mobile, cosi listante dell'eter-
nità si concPr•i~cP c10rn~ m·sur:-.. o f i11ttost11 , ....... uni/11 d' 11.1 .;c.)~t·1rP;l e 1 f· r-
mane sempre nello stesso modo di essere• (tbtd., n. 5). L'eternità è stata definita
appunto (nell'a. 1 di questa questione) come totalità di vita senza principio nè
fine, posseduta simultaneamente dall'essere divino; il quale esclude qumdi dal
suo seno qualsiasi m11ta111ento. È sempre identico a se stèsso. dice S. Tomrnas•"
aulllecto. et rattone, escludemto qualsiasi riterimento a un prtma e a un dopo,
com'è proprio lnve~e dell'istante del tempo.
L'analogia tra l'istante del tempo e l'Istante dell'eternità, anche se fondata
su una lontanissima somiglianza, è tuttavia preziosa, poichè solo da11a conside-
razione del t.empo (nota s. Tommaso nel medesimo articolo) ci è dato di ascen-
dere al concetto di eternità, come In generale dalle cose create c'innalziamo alle
cose divine.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a.. 5
ARTICOLO 5
Sulla dill'erenza tra evo e tempo. 1
ARTICULUS 5
De differentia aevi et temporis.
I sent.. d. s, q. 2, a. 2: d. 19, q. 2, a. t : !, d. 2. q. 1, a. 11.
De Poi., q. 3, a. u., ad 18 : Quoai. 10, q. t.
Ao QUINTUM SIC PROCEDITUR. Videlur quod aevum non sit aliud a
tempore. Dicit enim Augustinus, 8 super Gen. ad litt. [cc. 20, 22),
quod "Deus movet creaturam spiritualem per tempus ». Sed aevum
dicitur esse mensura spiritualium substantiarum. Ergo tempus non
differt ab aevo.
2. PRAETEREA, de ratione temporis est quod habeat prius et poste·
rius: de ratione vero aeternitatis est quod sit tota simul, ut dictum
est [a. 1). Sed aevum non est aeternitas: dicitur enim EccLi. 1, I,
quod sapientia aeterna "est ante aevum "· Ergo non est totum simul,
sed habet prius et posterius: et ita est tempus.
3. PRAETEREA, si in aevo non est prius et posterius, sequitur quod
in aeviternis non differat esse vel fuisse vel futurum esse. Cum igitur
sit impossibile aeviterna non fuisse, sequitur quod impossibile sit
ea non futura esse. Quod falsum est, cum Deus possit ea reducere
in nihilum.
4. PRAETF.REA, cum duratio aeviternorum sit infinita ex parte post,
si aevum sit totum simul, sequitur quod aliquod creatum sit infini-
tum in actu: quod est impossibile. Non igitur aevum differt a tern~
pore.
SED CONTRA EST quod dicit Boetius [De Consol., I. 3, metro 9]: 11 qui
tempus ab aevo ire iubes ».
RESPONDEO mCENOUM quod aevurn differì a tempora et ab aeterni-
tate, sicut medium existens intPr illa. Sed horum differentiam aliqui
c:ic assignant, dicentes quod aeternitas prm<'ipio et fine caret ; aevum
hahet principium, sed non finem ; tempus autem habet principium et
fìnem. - Sed haec differentia est per· accidens, sicut supra [a. praec. l
dictum est: quia si etiam semper aevitema !uissent et semper fu-
tura essent, ut aliqui ponunt; vel etiam si quandoque deficerent,
11uod Deo possibile esset '. adhuc aevum distingueretur ab aeternitate
et tempora.
Alii vero assignant differentiam inter haec tria, per hoc quod ae-
ternitas non habet prius et posterius; tempus autem habet prius et
posterius r.nm innovatione et veter11tione; aevum hahet prius et po-
sterius shte innovatione et veteratione. - Sed haec positio implicat
contradictoria. Quod quiàrm manifeste apparet, si innovatio et ve-
teratio referantur ad ipsam mensuram. Cum enim prius et posterius
durationis non possint esse simul, si aevum habet prius et posterius,
oportet quod, priore parte aevi recedente, posterior de novo adve-
niat: et sic erit innovatio in ipso aevo, sicut in tempore. Si vero re-
ferantur ad mensurata, adhuc sequitur inconveniens. Ex hoc enim
res temporalis inveteratur tempore, quoct habet esse transmutabile:
ghezza), gll Scolastlct gll hanno dato un senso molto determinato. Il termine
viene appllcato soltanto alla durata che partecipa Insieme dell'eternità e del
tempo•. D. T. C., tom. 5, 913-914.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 5
ARTICOLO 6
Se vi sia un evo soltanto.
ctas mutat1ones. Sed quod dicimus a.n.gelum esse vel fuisse ve\ futu-
n1m esse, differt secundum acceptionem intellectus nostri, qui accipit
esse angeli per comparationem ad diversas partes temporis. Et cum
dicit angelum esse vel fuisse, supponit aliquid cum quo eius op-
positum non subditur divinae potentiae: cnm vero dicit futurum
esse, nondum supponit aliquid. Unde, cum esse et non esse angeli
subsit divinae potentiae, a!Jsolute considerando, potest Deus facere
quod esse angeli non sit futuri.Jm: tamen non potest facere quod non
sit dnm est, vel quod non fuerit postquam fuit.
AD QUARTUM DICENDUM quod duratio aevi est infinita, quia non fini·
tur tempore. Sic autem esse aliquod creatum inftnitum, quod non
finiatur quodam alio, non est inconveniens.
ARTICULUS 6
Utrum sit unum aevum tantum.
I Sent., d. 2, q. 1, a. 2; Quodt. 5, q. 4 ; Opusc. 36, De Instant., c. 3.
AD SEXTUM SIC PROCEDJTUR. Vidr.tur quod non sit tantum unwn ae-
vum. Dicitur enim in apochryphis Esdrae [l. 3, c. 4, 40]: "maiestas
et potestas aevorum est apucl te, Domine"·
2. PRAETFREA, diversorum generum diversae sunt mensurae. Sed
quaedam aeviterna sunt in genere corporalium, scilicet corpora cae-
Iestia: quaedam vero sunt spirituales substantiae, scilicet angeli. Non
ergo est unum aevum tantum.
3. PRAETEREA, cum aevum sit nomen durationis, quorum est unum
aevum, est una duratio. Sed non omnium aeviternorum est una du-
ratio: quia quaedam post alia esse incipiunt, ut maxime patet in
animabus humanis. Non est ergo unum aevum tantum.
4. PRAETEREA, ea quae non dependent ab invicem, non videntur
habere unam mensuram durationis: propter hoc enim omnium tem-
poralium videtur esse unum tempus, quia omnium motuum quodam-
modo causa est primus motus, qui prius tempore mensuratur. Sed
aeviterna non dependent ab invicem: quia unus angelus non est
causa alterius. Non ergo est unum aevum tantum.
tutti l moti, come è detto nel corpo dell'artlc.olo. Questo nesso dl causalità (che
del resto non è essenziale al concetto di misura [vedi sol. 4] è cadut.o: non es!·
ste, secondo la nostra fisica, un moto stellare che sia causa di tutti i moti, e che
abbia la regolarità necessaria per nna misura, sebbene gli astri e.on la loro forza
di attrazione siano realmente causa di moto vlcendev<>le o di modiftc.azione del
moto. Ma Il concetto di misura è rimasto, trasportato dall'apparente moto del
cieli al reale moto della terra, ti più noto per noi, Il più semplice e regolare.
Dall'unità di questo moto è dP~11nta l'unità nel tempo. Jl t.l'>lllpo f> uno, non()St.ante
che le mutazioni e I corpi mutablll siano molti, perchè è la misura di tutti questi
mutamenti. Il tempo è essenzialmente misura.
Nell'articolo presente S Tommaso si domanda se anche per I ·essere degli an-
geli. lmmutablll per la loro sostanza, ma variamente mutabili nel loro accidenti,
cl sia unità di misura, come per l'ess-~re delle cose essenzialmente mutevoli.
S. Tomma90 evidentemente non poteva pensare alla relatività della misura
del tempo adottata all tmmemorabtlt dall'umanità. Sarebbero occorse a lui tutte
le osservazioni scientifiche solo In questi ul~imi tempi rese pos3l!Jlli. Il fatto
Innegabile che tutte le parti dell'universo sono In movimento come colui che ml·
sura o computa, e 1a luce stessa cbe cl manifesta l fenomeni spazialt del mot.o,
costringe a Intendere con una certa relatività le misure dello spazio, del moto
226 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 6
e del tempo. Ma non obbliga a concepire queste tre realt;\ come meramfnte sog-
gettive, pure categorie d·~lla sensit,ilit.\ nella maniera di Kant. Alcuni fisici nel
propugnare la teoria della relatività non si limitano a stabilire un" fcir;"a dt
misura matematico-fisica per la determinazione esatta e universale de! moti re-
lativi; ma vanno un 1,0· oltre nel senso ;lell.l pura soggettività di quelle realtà.
Ma li relativismo assoluto è Inaccettabile. Una realtà misurabile permane sotto
l;i. relatività delle misure. Questa realtà ha reso possibile la concezione di S. Tom-
maso r he è quella del senso comune, ma fonda pure la teoria stessa del!~ relati-
vità. che non esclude, ma suppone la possibilità di una misura del moto e del
tem110 <''!P valg-n :1~soh1t.tl111ent~.
(Cfr. BRÉHIER, Histotre de la" phtlo.~ophte. voi. II, p, 1CY72. Parls, 1938; MAQUART F. M.,
• L'espace. le tem11s. règles universelles et a prtori de la senslbilité '" in Rev. Thom.,
LA ETERNITA DI DIO 227
19~0. pp. 3-23; FATTA 1\1., «Luogo e movimento locale"· in Dtv. Thom. (Plac ).
1932, pp. 412 ss.; Idem, «Il movimento in rapporto alle categorie•, tbtd., 1933,
pp. 283 ss. ; Idem, «Nota del tempo •., tbtà .• pp. 284 s.; 397 s.; URBl!'IO L., Etnstetn
y S. Tomàs, Estuàto crtttco àe ias teortas reiativtstas. voi. I. Valencia, 1926 ; làem,
•Einstein y S. Tomàs, Respuoot.a a un critico n•)v!s,irno '" ln /JiV. Tlwm. (Piac.),
1927, pp, 127 ss.; Rossi P., in Rtv. dt Ftlos. Neoscotastlcn, 1928. pp. 128 ss.).
1 Ortgene (c. 185-254) fu uno del più grandi Ingegni della primitiva Chiesa.
Portò a contatto del messaggio evangelico la filogoiill greca. continuando l'opera
di Clemente Alessandrino, al quale succedette nella direzione della Ctlebre Scuola
Catecllistica di Alessandria. Le sue opere, numerosissime ma in gran parte per·
dute, e speclrtlmente quella intitolata Contro Celso e l'altra intltolatR I prinrintt,
sono ricchissime di Idee, splendide in gran parte, ma parecchie anche Inaccetta-
bili, perchè in di~armonia con una sana e approfondita filosofia e specialmente con.
trastanti con la rivelazione ; per cui furono condannate dalla Chiesa. S. Tom·
maso discute alcune sue opinioni, In I, q. 32, a. 1, ad 1; q. 34, a. 1, ad 1; q. 47, a. 2;
q. 51, a. 1, ad 1 ; q. 90, a. 4, e altrove.
228 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 6
1 La perfezione negli enti creati è proporzionata alla loro somiglianza con Dio.
E: più perfetto chi più gli assomiglia. L'eote spirituale pitl semplice e più Immu-
tabile è perciò li più perfetto, potchè meglio riproduce la semplicità e la tmmuta·
billtà dt nto. Nella quantità di perfezione spirituale. di cui sono dotati gli angelt,
t verosimile che si prenda come termine di confronto, o unità di misura, Il phl
perfett-o, che è anche il più semplice, Il i;lli comprensivo e In sè Il più conosci.
bile. L'analogia ci autorizza a pensar.. cosi. Non misuriamo noi Infatti la mag.
glore o minore perfezione dt un'opera dt scienza o di arte col confrontarla con le>
LA ETERNITÀ DI DIO 229
opere perrette del genio e piene nella loro stretta unità e sempllcltà T Il principio
aristotelico unlversalmente formulato pare evidente: •ogni cosa si misura con ciò
che è più semplice e primo nel suo genere•. Anche nella misura della quantità
tisica (spazio, moto, tempo .... ) si ricorre al confronto con ciò che è più sem-
plice nel genere della quantità medesima (Il metro, Il litro, l'ora .•..). Ma qui 11
11iù semplice e più. noto è il meno perfetto; là, nella quantità di perfezlorul, U
più semplice e più noto è Il più perfetto.
QUESTIONE i1
L'unità di Dio.
ARTICOLO 1
Se l'unità aggiunga qualche cosa all'essere.•
ARTICULUS 1
Utrum unum addat aliquid supra ens.
Infra, q. 30, a. 3; I Sent., d. 19, q. 4, a. !, ad 2; d. 24, a. 3; De Pot., q, 9, a. 7;
Quoàl. 10, q. 1, a. t; 4 Metaphys., lect. 2; 10, lect. 3.
compositum, non habet esse quandiu partes eius sunt divisae, sed
postquam constituunt et componunt ipsum compositum. Unde ma-
nifestum est quod esse cuiuslibet rei consistit in indivisione. Et inde
est quod unumquodque, sicut custodi!. suum esse, ita custodit suam
unitatem.
AD PRIMUM JGJTUR DICENDUM quod qnidam, putantes idem esse
11num quod convertitur cum ente, et quod est prinripium numeri,
divisi sunt in contrarias positiones. Pythagoras enim et Flato, viden-
tes quod unum quod convertitur cum ente, non addit aliquam rem
supra ens, sed significat substantiam entis prout est indivisa, e:x.isti-
mavernnt sic se habere de uno quod est prinripium numeri. Et quja
numerus rompo11itnr ex unitatit11s. crediderunt quod numeri essf'nt
substantiae omnium rerum. - E contrario autem Avicenna [Meta-
phys., tract. 3, cc. 2, 3], considerans quod unum quod est principium
numeri, addit aliquam rem supra substantiam entis (alias numerus
ex unitatibus compositus non esset species quantitatis), credidit quod
unum quod convertitur rum ente, addat rem aliquam supra substan-
tiam entis, sicut album supra hominem. - Sed hoc manifeste falsum
c>st: quia qnaelibet res est una per suam substantiam. Si enim per
aliquid aliud esset una quaelibet res, cum illud iterum sit unum, si
esset iterurn unum per aliquid uliud, esset abire in infinitum. Unde
standum est in primo. - Sic igitur dicenrlnm est quod unum quod
~onvertitur cum ente, non addit aliq11a~ rem supra ens: sed unum
quod est principium numeri, addit aliquid supra ens, ad genus quan-
titatis pertinens.
An sEcur;uuM DICENDUM qnod nihil prohibet id quod est uno modo
divisnm, esi:e alio modo indivisnm; sicut quod est divisum numero,
est indivisum secund11m speciern: et sic contingit aliquid esse uno
modo unnm, alio modo multa. Sed tnmen si sit indivisum simplici-
ter; vel quia est inrlivis11m secundum id quod pertinet ad essentiam
rei, licl)t sit divisum quantum ad ea quae sunt extra essentiam rei,
sicat quod est unum subiecto et multa secundum accidentia; vel quia
est indivisum in artu, et divisum in potentia, sicut quod est unum
toto et multa secundum partes: huiusmcidi erit unum simpliciter, et
m11lta secundum quid. Si vero aliquid e converso sit indiviswn secun-
dnm quid, et ùhisum simpJkitef"; utpote quia est dìvisum secundum
ei::!"entiam, et i11divisum sec;11ndnm rationem, vel secundum princi·
pium si ve camam: erit multa simpliciter, et unum secundum quid;
ut quae sunt rnu 1ta nnmero'et 1m11m specie, vel unnm -principio. Sic
igit11r ens dividitur per unum et multa, quasi per unum simpliciter,
et multa secundum quid. Nam et ipsa multitudo non contineretur sub
ente, nisi contineretur aliqao modo sub uno. Dicit enim Dionysius,
ult. cap. De Div. Nom. [lect. 2], quod "non est multitudo non parti.
cipans uno: se<! quae sunt multa partibus, sunt unum toto; et quae
sunt multa accidentibus, sunt unum subiecto; et quae sunt multa
cose molteplici quanto al numero sono una cosa sola quanto alla
specie ; e cose molteplici quanto alla specie sono una quanto al ge-
nere; e cose molteplici quanto alle derivazioni sono una sola cosa
quanto al principio. n '
3. Non è quindi un giochetto dire ente uno, perchè uno aggiunge
a ente qualche cosa di concettualmente diverso.
ARTICOLO 2
Se ci sia opposizione tra l'uno e i molti.
1 L'obiezione voleva dire che c'è anche l'ente moltltudtne, e non solo l'ente
uno 1 perciò Il concetto di uno non coinciderebbe col c,oncetto di ente. S. Tom-
maso risponde r!levando che l'unità è partecipata anche dalla 1110Jtitudine; e
solo i>er questa partecipazione si può dire ente. Tale partecipazione avviene ID
molti modi. Secondo che avviene in un qualcosa di essenziale o di non essen-
7.lale, si ha un'unità i>lù o meno stretta. unità stmpllctter o unità secundum quta:
ma è sempre In grazia di questa unità che si può affermare della moltitudine, in
senso più o meno rigoroso, che è ente, os5ia esistente pur come moltitudine.
L'UNITA DI DIO 235
numero, sunt unum specie ; et quae sunt speciebus multa, sunt unum
genere ; et quae sunt multa processibus, sunt unum principio >>.
Ao TERTITJM DICENDUM qupd ideo non est nugatio cum dicitur ens
unum, quia unum addit aliqmd secundum rationem supra ens.
ARTICULUS 2
Utrum unum et multa opponantur.
I Sent., d. 24, q. 1, a. 3, ad 4: De Pot., q. 3, a. 16, ad 3; q. 9, a. 7, ad 1( ss.;
10 Metaphys., lect. 4, 8.
1 ~ evidente Il senso del! 'obiezione: uno vuol dire ente che non ha divisione
- ente immune o prtvo di divisione -. Sembra che col concetto di uno si sottragga
nn modo dt essere dell'ente (un habitus, per dirla col linguaggio tecnico della
Scuola), cioè la divisione. Sembl'a quindi ne segua lInconveniente che l'oblcente
nota: prima dell'unità si dovrebbe concepire la moltitudine, alla quale è essen-
ziale 11 concetto di divisione, e la moltitudine dovrebbe poi servire come elemento
più noto nlln definizione dell'unità.
• Si distinguono diverse maniere di opposfztone: a) la contraddtttorta ; b) la
contnuta; e) La prtvattva; <!) la relativa. La unità numerica o quantitativa e la
moltitudine numerica Importano opposizione relattva, come tra misura e misu-
rato. La relnzlone non è mutua: la unità misura la moltitudine, non viceversa.
La unità trascendentale e la moltitudine trascendentnle lmportnno oppos1zlone
prtv111i1·a nel senso splegnto nella rispo'ta ad 4.
236 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 11, a. 2
frase può essere vera se aggi ungo subito: • come tecnico •, p. es., (ucundum qutd,
sotto que~to aspetto) ; ma non sarebbe vera senza questo sottinteso perchè Il ladro
atmpltctter, come essere morale, non è buono, ma cattivo: e la bontà quando si
dice ctell'uomo in senso assoluto, senza µ.gglunte, significa la perfezione morale
E così per l'unità. •Tutti gli uomini sono una sola cosa• come specie (secundum
quid); ma sono moltituùine, ossia non una cosa sola ma più, parlando senza ag-
gtunf(l (stmpltctter). In tal modo la non-entità si dice dell"entltà, 11 bene si dice del
male, !"uno si dice del molto e viceversa, senza Implicare assurdi, perchè le acce-
zioni sono diverse.
• Quindi l'opposizione, che rnpponeva l'obiezione, tra unità (parti) e moltitu-
dine (tutto) non esiste, perchè le unità co~titulscono la moltitudine non propria-
mente come unità, ma come entità, le quali, c.ome tali, non si oppongono alla
moltitudine, che è anch'essa unità. Cosi il corpa e l'anima compongono l'uomo,
non perchè vroprlamente sono qualcosa che non è l'uomo, ma perchè sono due
sostanze complementari l'una all"alfl'a ordinate.
' Vl'dl p. 235, nota 2.
238 LA SOMMA TEOLOGICA, T, q. 11, aa. 2-3
ARTICOLO 3
Se Dio sia uno. •
ARTICULUS 3
Utrum Deus sit unus.
Infra, q. 103, a. 3; I Sent., d. 2, a. 1; !, d. 1, q. 1, a. 1; I Cont. Gent., e. a:
De Pot., q. 3, a. 6; Compend. 7'heol., c. 15;
De Dtv. Nom., c. 13, Iect. 2, a; 8 Phystc., lect. 12; I! Metaphys., lect. 10.
Ao TEHTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit unus. Dici-
tur enim I ad Cor. 8, 5: "siquidem sunt dii multi et domini multi'"
2. PRAETEREA, unum quod est principiurn numeri, non potest prae-
dicari de Deo, cum nulla quantitas de Deo praedicetur. Similiter nec
unum quod convertit.ur cum ente: quia importat privationem, et om-
nis privatio imperfectio est, quae Deo non competit. Non est igitur
dicendum quod Deus sit unus.
SEo CONTRA EST quod dicitur Deut. 6, 4: "Audi, lsrael, Dominus
Deus tuus unus est ».
REsPoNoEo DICENDUM quod Deum esse unum, ex tribus demonstra-
tur. Primo quidem ex eius simpliritate. Manifestum est enim quod
illud unde aliquod singulare est hoc aliqnid, nullo modo est multis
communicabile. Illud enim unde Socrates est homo, multis commu-
nica ri potest: sed id unde est hic homo, non potest communicari nisi
uni tantum. Si ergo Socrates per id esset homo, per quod est hic
homo, sicut non possunt esse plures Socrates, ita non possent esse
plures homines. Hoc autem convenit Deo: nam ipse Deus est sua na-
tura, ut supra [ q. 3, a. 3] ostensum est. Secundum igitur idem est
Dens, et hic Deus. Impossibile est igitur esse plures Deos.
Secnndo vero, ex infinitatP eius perfectionis. Ostensum est enim
snpra [ q. 4, a. 2] quod Deus comprehendit in se totam perfectionem
essendi. Si ergo essent plures dii, oporteret eos differre. Aliquid ergo
conveniret uni, quod non alteri. Et si hoc esset privatio, non esset
simpliciter perfectus: si autem hoc esset perfectio, alteri oorum dees-
i-:et. rmpossibile est ergo P.sse plures Deos. Unde et antiqui philosophi,
quasi ah ipsa coacti veritate, ponentes principium infinitum, posue-
r11nt nnum tantnrn prindpium.
Tertio, ab unitate mundi. Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse
ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae
autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo
ARTICOLO 4
Se Dio sia sommamente uno.
ARTICULUS 4
Utrum Deus sit rnaxirne unus.
I Sent.• d. !1', q. 1. a. 1; De Div. Nom .• c. 13, Iect. 3.
IN CONTIIARIO: S. Bernardo 1 dice u che fra tutti gli esseri, che si di-
cono uno, sta al vertice l'unità della Trinità rtivina n.
RISPONDO: Siccome l'uno è l'ente indiviso, perchè una cosa sia
massimamente una, bisogna che sia e massimamente ente e massi-
mamente indivisa. Ora, l'una e l'altra condizione si verifica in Dio.
Egli infatti è massimamente ente, perchè è ente non dall'avere nn
certo essere determinato da nna qualrhe natura [o essenza] alla
quale sia stato unito; ma [perchè] è lo stesso essere sussistente,
illimitato in tutti i sensi. E poi massimamente indiviso, in quanto
non è divisibile per nessun genere di divisione nè in atto, nè in p()-
tenza, essendo semplice sotto tutti gli aspetti, come fu già dimo-
strato. E dunque evidente che Dio è sommamente uno.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la privazione di suo non
ammetta. il più e il meno, tuttavia, in base ai loro contrari che com-
portano un più e un meno, anche i termini che indicano privazione
si predicano secondo un più e un meno. A seconda, quindi, che una
cosa è divisa o divisibile di più o di meno o in nessun modo, è detta
o meno o più o sommamente una.
2. Il punto e l'unità, che è principio del numero, non sono enti al
massimo grado, non avendo l'essere se non in un soggetto [cioo per·
chè sono accidenti]. Perciò nessuno dei due è uno al massimo grado.
Infatti come il [loro] soggetto non è massimamente uno, per la di-
versità [palese] di accidente e sostanza, così neppure gli accidenti.
3. Sebbene ogni ente sia uno per la sua essenza, l'essenza di cia-
scuno non causa però ugualmente l'unità: perchè l'essenza di alcuni
è composta di più elementi, non cosi quella di altri.
ARTICOLO 1
Se un intelletto creato possa vedere Dio nella sua essenza. 1
SEMBRA che nessun intelletto creato possa vedere Dio nella sua es~
senza. Infatti:
1. Il Crisostomo, commentando il detto di S. Giovanni:• "Nes-
ARTICULUS 1
Utrum aliquis intellectus creatus ·· possit Deum videre
per essentiam.
Infra. a. 4, ad 3; I-Il, q. 3, a. 8; q. 5, a. 1; 4 Sent., d. 49, q. 2, a. t:
8 Cont. Gent., cc. 51, 54, 57: De V~rtt. q. 8, a. 1: Quodl. 10, q, 8:
Compenct. Theol., c. 104; et part. 2, cc. \I, 10; in .11uw1., c. 5; iu loan., c. 1, lect. 11.
S<'nza vuol dire penetrare con l' intellett.o la vita intima <li rno P ~ve!'e in tale
conoscenza tutta la spiegazione del misteri divini. S Tommaso M domanda se tale
Cc,noscenza ~ possibile ali' Intelletto creato. Questione imµortantlsslma, perchè
t1;tta la nostra salvezza, a cui cl prepara la fede, è soopesa alla soluzione di essa.
•Questa è infatti la vita eterna - disse Il Salvatore - che con~no te, solo D!o
vero, e Colui che tu hai mandat<> • (Gt.ov., 17, 3).
2 S. Gtov1mnt, detto per la sua el-0quen?.a Boccadoro (Chrysostomus). natlv·) di
Antiochia di Siria, fu nominato vescovo di Costantinopoli nel 39'1; mori nel 407
In esilio inflitt-Ogll per il sno zelo dal!" imperalor<> Arc~•lìo lstigat-0 dall" lmpera-
tt·lce Eudossla. !\ono Importanti, tra I suol scritti, le omelie In cui espone e com-
monta la sacra Scrittura e specialmente Il Nuovo Testamento, e combatte eresie
e abu.,i del suol tempi.
246 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 1
suno ha veduto mai Dio"• dice: "Ciò che Dio è, non soltanto i pro-
feti, ma non l'hanno conosciuto neanche gli angeli e gli arcangeli:
come, infatti, ciò che è di natura creata, potrebbe vedere l' Increa-
to? "· Anche Dionigi parlando di Dio, dice: "Non se ne ha la sen-
sazione, nè l'immaginazione, nè l'opinione, nè l'idea, nè la scienza».
2. Ogni infinito, in quanto tale, è sconosciuto. Ma Dio, come si è
già dimostrato, è infinito. Dunque Dio è per sua natura sconosciuto.
3. L'intelletto creato non conosce che gli esistenti, perchè ciò che
per primo cade sotto l'apprensione intellettuale è l'ente [ = l'esi-
stente]. Ora, Dio non è un esistente, ma è sopra gli esistenti, come
afferma Dionigi. Quindi Dio non è intelligibile, ma oltrepassa ogni
intelletto.
4. Tra il conoscente ed il conosciuto ci deve essere una certa pro-
porzione, essendo il conosciuto una perfezione del corn)scente. 1 Ora,
tra l'intelletto creato e Dio non vi è proporzione alcuna, essendovi
tra l'uno e l'altro una distanza infinita. Dunque l'intelletto creato
non può conoscere l'essenza di Dio.
IN CONTRARIO: c'è il detto di S. Giovanni: u Lo vedremo come
egli è n.
ii.ISPONOO: Ogni essere è conoscibile nella misura che è in atto ; e
Dio, che è atto puro senza mescolanza alcuna di potenza, di per se
stesso è sommamente conoscibile. Ma ciò che in se stesso è sonuna-
mente conoscibile, per un qualche intelletto può non essere conosci-
bile a motivo della sproporzione tra lintelligibile e questo intel-
letto ; come il sole, che è visibile al massimo grado, non può esser
veduto dal pipistrello, per eccesso di luce.• In base a questa rifles-
sione alcuni hanno sostenuto che nessun intelletto creato può vedere
l'essenza di Dio.
Ma ciò è inammissibile. Infatti: siccome l'ultima beatitudine del-
l'uomo consiste nella sua più alta operazione, che è l'operazione in-
tellettuale, se l'intelletto creato non può in nessun modo conoscere
l'essenza di Dio, una delle dne: o mai raggiungerà la beatitudine, o
essa consisterà in altra cosa diversa da Dio. E questo è contro la
fede. Ed invero, l'ultima perfezione della creatura ragionevole si
trova in Colui che è il principio del suo essere, giacchè ogni cosa in
tanto è perfetta in quanto raggiunge il suo pr!ncipi.o. - Parimente,
[tale sentenza) sconfina anche dalla ragione, perchè nell'uomo è
naturale il desiderio, quando vede un effetto, di conoscerne la causa:
di qui il sorgere dell'ammirazione negli uomini. Se dunque l' intel-
ligenza della creatura ragionevole non potesse giungere alla Causa
suprema delle cose, in essa rimarrebbe vano il desiderio naturale.
Quindi bisogna assolutamente ammettere che i beati vedono l'es-
senza di Dio. •
1 La conoscenza. essendo un'azione Immanente, è de11tlnata a perfezionare Il
110ggetto che la 11<>ne. La conoscenza di Dio perciò è I.a massima perfezione del-
l'uomo che v1 si applica. essendo la conoscenza dell'ottimo tra tutti gli -0ggett1. La
obiezione dice con verità: la conoscenza di Dio per essenza. porta seco una per-
fezione Infinita, di cui non sembra capace la creatura.. Dunque non sembra pos.
9iblle.
a Il pipistrello pare che si regcl! nel suo volo notturno non con la vista, ma
col senso del tatto. secondo alcuni scienziati che hanno .fatto Interessanti espe-
rienze. Il pipistrello si regolerebbe emettendo suoni e vibrazioni sonore che per-
cepisce per rlflesslone o rimando, come l'occhl-0 percepisce la luce riflessa dagli
oggetti. Ad ognt modo non manrn di vista: ma la piena luce del giorno non ~
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 247
nemo vidit unquam », sic dicit: " Jpsum quod est Deus, non solum
prophetae, sed nec angeli viderunt nec archangeli: quod enim crea-
bilis est naturae, qualiter videre poterit quod increabile est?». Dio-
nysius etiam, 1 cap. De Div. Nom. [lect. 3), loquens de Deo, dicit:
"neque sensns est eius. neque phantasia, neque opinio, nec ratio,
nec scientia n.
2. PRAETEREA, omne infinitum, inquantum huiusmodi, est ignotum.
Sed Deus est infinitus, ut supra [ q_ 7, a. 1] ostensum est. Ergp se-
cundum se est ignotus.
3. PRAETEREA, intellectus creatus non est cognoscitivus nisi existen-
tium: primnm enim quod cadit in apprehensione intellectus, est ens.
Sed Deus non est existens, sed supra existentia, ut dicit Dionysius
[De Div. Nom., c. 4, lect. 2J. Ergo non est intelligibilis; sed est supra
omnem intellectum.
4. PRAETEREA, cognoscentis ad cognitum oportet esse aliquam pro-
portionem, cum cognitum sit perfectio cognoscentis. Sed nulla est
proportio intellectus creati ad Deum : quia in infinitum distant. Ergo
intellectus creatus non potest videre essentiam Dei.
SEn CONTRA EST quod didtnr 1 loan. 3, 2 : " videbimus eum sicuti
est '"
RESPONDEO DICENDUM quod, cum unumquodque sit cognoscibile se-
cundnm quoù est in actu, Deus, qui est actus purus absque omni
permixtione potentiae, quantum in se est, maxime cognoscibilis est.
Sed quod est maxime cognoscibile in se, alicui intellectui cognosci-
bile non est, propter excessurn intelligihilis supra intellectum: sicut
sol, qui est maxime visibilis, videri non potest a vespertilione, pro--
pter excessum luminis. Hoc igitur attendentes, quidam posuerunt
quod nullus intellectus creatus essentiam Dei videre potest.
Sed hoc inconvenienter dicitur. Cnm enim ultima hominis beati-
tudo in altissima eius operatione consistat, quae est operatio intel-
lectus, si mmquarn essentiam Dei videre potest intellectus creatus,
vel nunquam beatitudinem obtinehit, vel in alio eius beatitudo con-
sistet quam in Deo. Quod est alien11m a fide. In ipso enim est ultima
perfectio rationalis creaturae, qi10d est ei principium essendi: intan-
tum enim unumquo.dque perfecturn est, ir1quantum ad suum princi-
pium attingit. - Similiter etiam est praeter rationem. Inest enim
homini naturale desiderium cognoscendi causam, cum intuetur ef-
fectum; et ex hoc admiratio in hominibus consurgit. Si igitur intel-
lec'us rationalis creaturae pertingere non possit ad primam causam
rerum, remanebit inane desideriurn naturae. Unde simpliciter con-
ccdenùum èSt quod beati Dei essentiam videant.
il suo ambiente e vi si trova a disagio. Qui si tratta solo di un paragone o di
una lontana anaLogla, per fornire alla nostra mente un esempio sensibile circa
la necessità di una giusta proporzione tra la facoltà conoscitiva e l'oggetto da co-
noscersi.
• Questa ragione di S. Tommaso, a dimostrazione della possibilità per l' ln-
telletto creato di giungere alla conoscenza Intuitiva dell'es5enza di Dio, suscltò
tante discussioni appassionate lu CJUesti tempi, essendo la questione 1 italissin:a.
SI tratta Infatti qui del punto d'Innesto della verità rivelata con la nntura
umana. La rlvel~zione è preparazione alla salvezza, la quale consisterà nella '1-
slone di Dio, nell'e5sPre i:ioè noi congiunti Immediatamente In modo umano, vale
a dire con la conoscenza e con l'nmore, al PMnciplo del nostro es,ere. Rlcnn-
glunzlone perfetta e altissima: •vedremo Dio cosi com'egli è'" come cl pro-
mette la Rivelazione. Ora è ciò possibile? Non Implica contradrtizlone? Non lm-
P"rta contraddizione - dice S. Tommaso - anzi è cosa molto0 conveniPnte nlla na-
248 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 1
~ relat.lva alla jiotenza del Creatore, Il quale può produrre nelle sue creature tutto
.ciò che non lmpllr.a rlpngnann ; e dipende unicamente dal beneplacito '11 lui.
Ora è caratteristica propria della creatura spirituale che, come creatura, sia di
per sè llmltata a una cono;;cenza analogica della Prim:1. Causa; e, come spiri·
tuale o intellettiva, abbia viva cosclenia dell'imperfezione di questa cognizione.
Sicchè Il desiderio di conoscerh meglio (cioè in se stessa) è naturale a ogni ere.'\.
tura Intellettiva; ma all:i. questione se vi sia esigenza che tale desiderio debba
.essere appagato, l•i>crm:1 risponflere piuttosto che e' è l'esigenza del contrario,
cioè che sia la~ciato !nsoddi~ratto; perchè non è affatto sconveniente che la crea•
tura Ria Iasl'.iata nr~l ~uo ~lato d'infinita distanza dal Creatore, anche nel modo
di conoscerln (nr,n per unione lmnrediatal. Prrò Il desiderio vivo e profondo ma-
.nitesta. la elevabllltà della creatura Intellettiva e la vitalità somma di tale
elevazione, se a Dio piace di attual"la.
(Per la copiosissima bibliografia, circa tale questione, vedi Ilul. ThOm., II,
pp. 371-373; III, pp. 651·675; IV. pp 573-590; V, pp. 350-355; dal 1923 al 1942).
i Cioè di una cognizione che adegua la conoscibilità di Dio (vedi p. 268).
2 Vedi p. 167, nota 3.
• Vedi p. 104, nota 2
• I nessi o rapporti nece5sar1, rhe le cose create hanno con Dio, rendono Dio ln
·qualche modo proporzionato ali' intelletto creato, sicché questo possa averne natu-
ralmente una t'erta conoscenza. La quale conoscenza naturale. essendo imperfetta e
conosciuta dall' intellètfo stesso come tale, acuisce Il desiderio di meglio conoscere
Dio piuttosto che saziarlo. E questo desiderio è Indice, come si è detto, della pos-
sibilità di una conoscenza migliore, per essenza, com'è dl fede che l'hanno I beatL
{Yedi p. '147, nota 3).
250 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 2
ARTICOLO 2
Se l'essenza di Dio sia vPduta dall' intelletto creato
per mezzo di una qualche immagine.
ARTICULUS 2
Utrum essentia Dei ab intellectu creato per aliquam
similitudinem videatur.
I Scnt., d. !4, a. 1, qc. 3: 4, d. 49, q. 2, ~. 1 ; De Vertt., q. 8, a. 1; q. 10, a.. 11;
s Cont. Gent., cc. 49, 51; 4, c. 7; Quoctl. 7, q. !, a. 1; Compend. Theol., c. 105,
et part. 2, c. 9; in loan., c. 1, lect. H; c. 14, Iect. 2; ln I Cor., c. 13, Iect. ~;
De Div. Nom., c. 1, Iect. 1; De Trtntt., q. 1, a. !!.
An SECUNDUM SIC PRGCEDJTl'R. Videtur quod essentia Dei ab intel-
lectu creruto per aliquam similitudinem videatur. Dicitur enim 1 Ioan.
il, 2: "scimus quoniam, c;1m apparuerit, i;imiles ei erimus, et videbi-
mus enm sicuti est"·
2. PRAETEREA, Augustinus dicit, 9 De Trinit. [c. 11]: ucum Deum
novirnus, fit aliqua Dei similitudo in nobis "·
3. PRAEI'EREA, intellectus in actu est intelligibile in actu, sicut sen-
sus in actu est sensibile in actu. Hoc autem non est nisi inquantum
informatur sensus similitudine rei sensibilis, et intellectus similitu-
dine rei intellectae. Ergo, si Deus ah intellectu creato videtur in actu,
oportet quod per aliquam similitudinem videatur.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, 15 De TrinH. [c. 9], quod
cum Apostolus dicit "videmus nunc per speculum et in aenigmate "•
cc speculi et aenigmatis nomine, quaecumque similitudines ab ipso
signifìcatae intelligi possunt, qnae accommodatae sunt ad intelli-
gendum Deum ll. Sed videre Deum per essentiam non est visio aenig.
matica vel specularis, sed contra eam dividitur. Ergo divina essen-
tia non videtur per similitudines.
RESPONDEO DICENDUM quod ad visionem, tam sensibilem quam intel-
lectualem, duo requiruntur, scilicet virtus visiva, et unio rei visae
cum visu: non enim fit visio in actu. nisi per hoc quod res visa quo.
dammodo est in vidente. Et in rebus quidem corporalibus, apparet
quod res visa non potest esse in vidente per suam essentiam, sed
solum per suam similitudinem: sic11t similitudo lapidis est in oculo,
per quam fìt visio in actu, non autem ipsa substantia lapidis. Si au-
tem esset una et eadem res, quae esset principium visivae virtutis, et
quae esset res visa . oporteret videntem ab illa re et virtutem visiva~
hahere, et formam per quam videret. ·
Manifestum -est antem quod Deus et est auctor intellectivae virtutis.
et J.b intellectu videri potesi. Et cum ipsa intellectiva virtus creatu~
rae non sit Dei essentia, relinqnitur qnod sit aliqna participata si-
militndo ipsius, qui est primus intellectus. Unde et virtus intelle..
la facoltà conoscitiva diventa tutt'uno, In un ordine superiore e Immateriale, con
l'e>ggetto conosciuto, che viene elevato alla Immaterialità propria della facoltà
conoscitiva, mentre questa viene determinata quanto al suo contenuto specifico.
L'occhio che vede rosso, p. es., nell'atto dt conoscere non trasforma Il rosso, ma
dl~enta Il rosso veduto; lIntelletto, che specula, p. es., sulla natura dell'uomo,
diventa, nell'atto di conoscere, la natura dell'uomo conosciuto. Tale è il mistero
della conoscenza. La realtà cono•ctuta, presente alla facoltà per mezzo di una sua
Immagine o per se stessa, informa di sè e trasforma la facoltà conoscitiva, sicchè
Il conoscente diventa Il conoi.ciuto. L'intelletto, capace di conoscere tutte le
realtà, è, secondo la bella definizione di Aristotele, « id quo anima fit quooam-
mooo omnia"· Quridammodn, rtoè nell'ordine della cognizione. SI dirà a propo-
sito della risposta l' lmportanza di questa dottrina.
2.5~ LA SOMMA TEOLOGICA, J, q. 12, a. 2
1 La risposta dice In so~tanza, che, appunto percM Dio è l'essere stesso, l'atto
purissimo dell"essere, può rnmI;lere quauto po5sono compiere le forme cr~nte
mediante un qualche loro essere o atto, mediante un'Immagine, cioè mediante un
essere essenzialmente relativo che esprime ali' Intelletto Il loro elemento sneclfico.
Chi è superiore In perfezione può compiere anche meglio ciò che compie l" Inferiore
con mezzi meno Mcchl. Slc~hè dun.1ue l'essenza stessa di Dio, atto purissimo <.Il (.gnl
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO
ARTICOLO 3
Se l'essenza di Dio PoSSB essere veduta con gli occhi corporeL
SEMBRA che l'essenza di Dio possa vedersi con gli occhi corporei.
Infatti:
1. Si dice nella Scrittura: "nella mia carne vedrò Dio" ; ' e an-
cora: "per ascoltazione d'orecchi avevo udito di te; ora l'occhio mio
ti vede"·
2. S. Agostino scrive: "La potenza dei loro occhi''• cioè dei glori-
ficati, «sarà più gagliarda, non perchè veòranno più acutamente
degli stessi serpenti o delle aquile, come alcuni pensano (per quanto
acuta infatti sia la vista di questi animali, essi non possono vedere
altro che corpiì ; ma perchè vedranno anche le cose ·incorporee"·
Ora, chi può vedere le cose incorporee, può essere elevato alla visione
di Dio. Dunque [almeno] l'occhio glorificato può vedere Dio.
3. Dio può essere veduto dall'immaginazione dell'uomo: dice in-
fatti Isaia: «Vidi il Signore assiso sopra un trono"· Ora, questa
visione che si deve all'immaginazione trae origine dal senso: infatti
come dice Aristotele, la fantasia è "un movimento causato dal senso
in atto "· Dunque Dio si può percepire con visione sensibile.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Nessuno ha mai visto Dio in
questa vita cosi com' egli è; e neppure nella vita degli angeli nessuno
lo ha mai visto come con visione corporale si vedono le cose sen-
sibili "·
R1sP0Noo: E impossibile che si possa percepire Dio con il senso
della vista, o con qualche altro senso o potenza della parte sensi-
tiva. Ed invero, ogni facoltà di tal genere è atto di un organo cor-
poreo, come si dirà in seguito. L'atto poi è proporzionato al soggetto
che deve attuare. Perciò nessuna potenza di tal genere può sorpas-
sare la sfera delle cose corporee. Ora, Dio è incorporeo, come si è
già dimostrato. Quindi non può essere veduto nè dal senso, nè dalla
immaginazione, ma dal solo intelletto.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando [Giobbe] dice ((nella mia
carne vedrò Dio mio Salvatore», non deve intendersi che lo vedrà
con il suo occhio di carne, ma che rivivendo nella sua carne, dopo la
risurrezione, egli vedrà Dio. - Parimente qnarido afferma, "ora
il mio occhio vede te n, intende parlare olell'nrrhio 1nentale: come
quando l'Apostolo dice: "affinchè :vi dia [il Signore] spirito di sa-
pienza. nella piena conoscenza dì lui, e siano illuminati gli occhi del
vostro cuore "·
2. S. Agostino qui parla come uno che indaga e fa delle ipotesi.
Cosa che apparisce chiaramente da ciò che dice prima: " Saranno
pertanto di ben altra potenza [gli orr·hi glorificati] se con essi si
vedrà quella [divina] natura incorporea"; e subito dopo espone il
suo pensiero dicendc: "È assai credibile che noi allora vedremo i
corpi del nuovo cielo e della nuova terra in modo da percepire rbia-
' t discutlhile se le paro!~ di Gioh~ dehhano int!'rpretarsi d!'lln risurrezione
finale. Molti Padri lhanno sostenuto: ma altri le riferiscono ad una guarigione
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO
ARTICULUS 3
Utrum essentia Dei videri possit oculis eorporalibus.
Infra, a. 4, ad 3; 11-11, q, 175, a. "; 4 Sent., d. 49, q. !l, a. !l; In Ma:ttll., c. li.
perfetta che p-0! dnrà la gioia di vedere Il t.rtonfo della giustizia di Dio sulla
terra stessa. Ad ogni modo Il testo, Inteso anche della risurrezione finale, ha la
sua spiegazione nella risposta di S. Tommaso.
256 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 3-4
ARTICOLO 4
Se un intelletto creato possa con le sue forze naturali
vedere l'essenza divina.
Tideamus; non sicut nunc invisibilia Dei per ea quae fa.eta sunt
intellecta conspiciuntur; sed sicut homines, inter quos viventes mo.
tusque vitales exerentes vivimus, mox ut aspicimus, non credimus
vivere, sed vidernus n. Ex quo patet quod hoc modo intelligit oculos
glorilìcatos Deum visuros, sicut nunc oculi il.ostri vident alicuius
vitam. Vita autem non videtur oculo corporali, sicut per se visibile,
sed sicut sensibile per accidens: quod q11idem a sensu non cognosci-
tur, sed statim cum sensu ab aliqua alia virtnte cognoscitiva. Quod
autem statim, visis corporibus, divina praesentia ex eis cognoscatur
per intellectum, ex duobus contingit: scilicet ex perspicacitate intel-
lectus; et ex refulgentia divinae claritatis in corporibus innovatis.
An TERTIUM DICENDllM quod in visione imaginaria non videtur Dei
essentia: sed aliqua forma in imag-inatione formatur, repraesentans
Deum secundum aliquem modum similitudinis, prout in Scripturis
divinis divina per res sensibiles metaphorice describuntur.
ARTICULUS 4
Utrum aliquis intellectus rreatus per sua naturalia
divinam essentiam videre possit.
Infra, q. 64, a. 1, ad 2; I-li, q. 5, a. 5; !I Sent., d. 4, a. 1; d. 23, q. 2, a. t;
4,. d. ,9, q. 2, a. 6; I Cont. fJent .• c. 3: 6, cc. ,9, 52; De Ver1t .. 11. 8, a. 3:
De Antma, a. 17, ad 10; In I Ttm., c. 6, lect. 3.
sterà dunque nessuna fatica o sforzo, quando I corpi saranno glorificati e Il no-
stro Intelletto corroborato dalla luce novella. Sarà una gioia vedl're, non appena
gettato uno sguardo al creato, come tutto sia sorretto e vivlftcato clalla divina
prPsenza., chp ora rlednciamo per ragionamento (rfr. q. 8).
• Vedi 11-ll, q. 173, aa. I, 2, dove S. Tommaso spiega come Dio 51 rivela nelle
visioni del pt'Ofetl, In una oognizicme più alta ma non per essenza, la quale è
propria del beati. I profeti vedono delle figurazioni sensibili o solo intellettuali,
nelle quali rl!nlgono più vive analogie delle perfezioni divine, che essi. percepl-
sccmo in forza di una luce o "!gore Intellettivo loro Infuso.
258 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 4
realtà fisica, che è quin:U conosciuta nella sua Intima struttura dall'Intelletto,
il quale coglie nell'ente concreto, portato a contatto dell'anima dai sensi esterni
ed interni (fantasia. memoria, estirnatival, il suo og_n:ett? µroprio, - ciò che quella
realtà è tn sè - (l'entità) ; e questa è, come dice S. Tommaso, universale, astratta
cioè dalle coodl1tonl concrete e matniali con cni era iappresentata nella sensa-
zione, e di per sè atta a esistere in inflnitl enti concreti, con distinte concrete de-
tnminazlonl. Cosi, p. es., l'Idea di uou10, colta dall'intelletto, esprime nn grado
di perfezione o entità astratta e unive1·~ale. che si realizza in Tizio e in Caio e In
infiniti uomini con caratteri~tir,he lndivlrlnali proprie e distinte. L'anima co-
nosce li ~uo oggetto (la realtà esisteui.i nel mondo fisico) e col senso e con I' in·
telletto. e 11 suo campo proprio di conoscenza è il mondo delle forme attuate nella
materia. Senso e Intelletto sono essenzialmente <llsttntl, ma lavorano al'll,onka-
mente d'ace.orda rendendo possibile nll'anima uman't la rires,1 di possesso cono-
scitiva del mondo esterno, di cui parte precipua è appunto l'uomo. Niente sen-
sismo nè intellettualismo puro, ma valnrizzazione giusta del sensi e del!' i.ntelletto
secondo la funzione naturale loro propria.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 4
ossia della Divinità, insegnando che lIntelletto non può da solo cogliere la Divi-
nità com'è in se stessa; ma per la sua natura Immateriale, che tende a scindere
ed a contemplare gli elementi formali dell'essere concreto, dimostra di poter es-
sere elevato alla conoscenza della Divinità. Cosi Il dogma di fede, che pone la
nostra ultima perfezione nella visione di Dio, ha il suo fondamento psicologico;
e la nostra elevazione di fatto all'ordine soprannaturale della grazia appare som-
mamente conveniente e vitale. (Vedi p. 247, nota 3).
L'intelletto umano, e J,iù ancora l'angelico, possono essere eleYati dalla !;razla
a gradi sempre più alti di conoscenza di Dio essendo già nell'ordine e nella sfera
dell'Immaterialità. Ma il senso non può venire elevato alla conoscenza dei prin·
cipll universali, com'è la essenza di ogni cosa, verchè dovrebbe essere portato
fuori del suo ordine materiale e quindi distrutto.
262 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 5
ARTICOLO 5
Se l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio
abbisogni di un qualche lume creato.
SEMBRA che l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio non ab-
bisogni di un qualche lume creato. Infatti:
1. Nelle cose sensibili ciò che di suo è luminoso non abbisogna
di altro lume per essere veduto: quindi neppure in quelle intellet-
tuali. Ora, Dio è luce intellettuale. Dunque non è veduto per mezzo
di una luce creata.
2. Vedere Dio attraverso un mezzo, non è vederlo per essenza. Ma
SC' lo vediamo con un lume creato lo vediamo attraverso un mezzo.
Quindi non lo si vede per essenza.
3. Niente impedisce che ciò che è creato sia naturale ad una
qualche creatura. Se dunque l'essenza di Dio è veduta mediante un
lume creato, un tal lume potrà essere naturale a qualche creatura.
E così quella creatura per vedere Dio non abbisognerà di alcun
altro lume: ciò che è impossibile. Non è dunque necessario che ogni
creatura per vedere l'essenza di Dio abbia una luce supplemento.re.
IN CONTRARIO: Nei Salmi sta scritto: «nella tua luce noi vedremo
la luce».
RISPONDO: Tutto cii'i che viene elevato a qualche cosa che supera
la sua natura, ha bisogno d'esservi disposto con una disposizione
superiore a questa natura: come l'aria, per prendere la forma del
fuoco, deve esservi disposta con una disposizione connaturale a tale
forma. ' Ora, quando un intelletto creato vede Dio per essenza, la
stessa essenza di Dio diventa la forma intelligibile del!' intelletto. 2
Quindi bisogna che gli si aggiunga tilla dispo'sizione soprannaturale
perchè possa elevarsi a tanta sublimità. Siccome dunque la potenza
naturale dell'intelletto creato è insufficiente a vedere l'essenza di
Dio, come si è dimostrato, è necessario ohe per grazia divina gli
venga accresciuta la capacità d'intendere. E questo accrescimento
di potenza intellettiva la chiamiamo illuminazione del!' intelletto~
come lo stesso intelligibile si chiama lume o luce. E questa è la lucil
della quale si dice: "la gloria di Dio l'ha illuminata'" cioè la so-
cietà dei beati contemplatori di Dio. In forza di questa luce i beati
diventano deiformi, 3 cioè simili a Dio, secondo il detto della sacra
Scrittura: "quand<J [Dio] si manifesterà, saremo simili a lui, per-
chè lo vedremo come egli è "·
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. II lume creato è necessario per ve-
dere l'essenza di Dio, non nel senso che per questa luce diventi intel-
ligibile l'essenza di Dio, la quale è intelligibile di per sè; ma pcrchò
l'intelletto diventa capace d'intendere al modo stesso che ogni altra
1 Forma del fuoco, secondo la fisica antica, era il calore. L'aria (che con l'a•·-
qua, il fuoco e la terra formava I quattro elementi del corpi), per ricevere Il ca-
lore, doveva e.ssere disposta con 11na apprnpriata preparazione; p. es., venire
liberata dall'umidità. ecc. Ma il µrinclpio vale anche per la chimica moderna'
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO
ARTICULUS 5
Utrmn intellectus creatus ad videndum Dei easentiam
aliquo creato lumine indigeat.
.• Sent., d. 14, a. 1, qc. 3 ; 4, <1. 49, q_ 2, a. 6 ; s Cout. Gent .• cc. 53, M;
De Vertt., q. 8, a. 3; q. 18, a. 1, ad t; q. 20, a. 2; Quodl. 7, q. 1, a. 1;
Compend. Theoi., c. 105.
ARTICOLO 6
Se tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno veda più perfettamente
di un altro.•
SEMBRA che tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno non veda
più perfettamente di un altro. Infatti:
1. Sta scritto: "vedremo Dio così come egli è». Ora, Dio ha un
solo modo di essere e quindi sarà veduto da tutti alla stessa maniera.
Perciò non più o meno perfettamente.
· 2. S. Agostino dice che uno non può intellettualmente intendere
una cosa più di un altro. Ora, tutti coloro che vedono Dio per es-
senza, intendono intellettualmente l'essenza divina perchè si è di-
mostrato che Dio si vede con l'intelligenza e non col senso. Dunque
tra quelli che vedono l'essenza divina uno non vede più chiaramente
dell'altro.
::!. Che una cosa sia veduta più perfettamente da uno che da un
altrp può accadere per due versi: o per parte dell'oggetto visibile, o
per parte della capacità conoscitiva di citi vede. [Può accadere] per
parte dell'oggetto se esso è più perfettamente in colui che vede, in
quanto cioè vi imprime una immagine più perfetta. =Ma qui non è il
caso: perchè Dio è presente alla intelligenza che vede la sua essenza
non con una immagine, ma con la sua stessa essenza. Resta, dun-
que, che se uno vede più perfettamente di un altro, si deve a diffe.
renze di capacità intellettiva. E così. la conseguenza sarebbe che chi
possiede una potenza intellettiva naturalmente più elevata, vedrebbe
[Dio] più chiaramente. Il che è fal!'o essendo promessa agli uomini,
riguardo alla beatitudine, l'uguaglianza con gli angeli.
IN CONTRARIO: La vita eterna consiste nella visione di Dio, secondo
l'espressione evangelica: "la vita eterna consiste nel conoscere te
' Secondo un 'opinione scolastica, la luce necessaria a ogni visione esteriore,
renderebbe Il mezzo diafano percorribile alle vibrazioni dei colori, afflnchè arri-
vino ftno all'occhio; secondo un'altra opinione Invece ! color! str-ssi non sono in
atto se non JJer la luce. Al buio non ci sono colori. Questa seconda optn1one è più
conforme an ... fisica mooerna.
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO
ARTICULUS 6
Utrum videntium essentiam Dei unus alio perfectius videat.
t I grandi mistici cristiani hanno de$Crltto questa diversità nella visione di Dio
come un dilatarsi più o meno vasto dell'anima nel!" Immensità divina. «Intorno
ai doni di cui I Santi si beano nella vita eterna, ml fu dato infatti comprendere
che alcuni ne hanno più, altri meno; mi fu anche dato comprendere di qual na·
tura siano questi doni...; es.si consistono In una dilatazione delle anime per
mezzo della quale sono rese più capaci di comp1·endere e possedere Dio» (B. AN-
GELA DA FOLIGNO, Il ltllro delle mtralltlt t'tstont, trad. di L. Fallacara. Firenze.
1946, p. 163).
s. Caterina da Siena esprime questa Idea con l'immagine del vasello Immerso
nell'oceano. La capacità del vaso non può naturalmente non essere del tutto col-
mata. " Da cosa minore non può essere compreso questo infinito bene, se non come
Il vasello che è messo nel mare, che non comprende tutto Il mare, ma quella
quantità che egli ha In se medesimo. Il mare è quello che si comprende ; e cosl
Io, mare pacifico, sono Colui che ml comprendo e ml stimo: e del mio stimare e
comprendere godo In me medesimo. n quale godrre <' bene che Io ho in me par-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 267
teclpo a voi, a ognuno secondo la misura sua. lo l'empio e non la tengo vòta.
Dandole perfetta beatitudine, comprende e cognosce della mia bontà tanto quanto
ne lè dato a conoscere da me• (Dialogo, a cura del P. I. Taurlsano. Roma, 1947,
c. 1G5, fl. 494).
• Come !'1. ra pacltà naturale è manifestata dal desiderio naturale, cosi la ca-
pa,cltà soprannaturale è manifestata dalla carità, che è desiderio soprannaturale
di Dio. Il grado di desiderio manifesta li grado di capacità. La ragione data qui
da s. Tommaso è una ragione metafisica, non sentimentale. La fame di Dio (ca-
rità) inclic:l una disposizione Intima., data rtalla grazia.., a ricevere Dio più o
meno Intensamente, secondo l'ardore di questa fame.
• Niente uniformità monotona nelle opere di Dio, neppure nella suprema <'Pera
che è la glorificazione degli eletti. I gradi e I modi della felicità nella visione di
Dio sono variabili ali' Infinito, essendo Dio Infinitamente partecipabile. Nel gradi
della felicità opera soprattutto Dio come causa, che ci eleva all'ordine sopranna-
turale e cl fornisce l mezzi per t.endere a lui : ma insieme opera tutta l'attlvità
dell'uomo, In quanto fin da quaggiù egll tende mediante la carità plft o meno
lntensarnente al suo fine ultimo.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 7
ARTICOLO 7
Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo comprendano.
1 Tutto l'arttcolo, come del resto tutta la teologia Intorno alla comprehPnlto del
beati è derivata storicamente dal passo paolino. S. Tommaso Imbastisce questa
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 269
ARTICULUS 1
Utrum videntes Deum per essentiam ipsum comprehendant.
I Seni., d. 16, a. 2, qc. 1; d. 27, q. 3, a. 2; '· d. 49, q. 2, a. 3; 3 Cont. Gent,. c. li&;
De Vertt., q. 2, a. 1, ad 3; q. 8, a. 2; q. 20, a. 6; De Vtrt., q. 2, a. 10, ad 6:
Compenà. Theol., c. 1.06; In loan., c. 1, lect. 11; Ephes., c. 5, lect. 3.
prima dlmcoltà sul valore del verbo latino comprehendere, cbe equivale a rag-
giungere, at'l'errare, possedere in modo e~uriente un oggetto, una nozione o una
l!Clenza.
270 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 7
ARTICOLO 8
Se coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui
tutte le cose.
SEMBRA che coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui tutte
le cose. Infatti:
1. Dic-e S. Gregorio: ~ «Che cosa non vedono coloro che vedono
Colui che tutto v-ede? "· Ora, Dio è Colui che tutto vede. Dunque
quelli che vedono Dio, vedono tutte le cose.
2. Chi vede uno specchio, vede tutto ciò che in esso si riflette. Ora,
tutto ciò che è o che può essere si riflette in Dio come in uno spec-
chio: egli infatti conosce tutte le cose in se stesso. Chiunque perciò
vede Dio, vede tutte le cose che sono o che possono essere.
3. Chi conosce il più, può conoscere anche il meno, come dice
Aristotele. Ora, tutte le cose che Dio fa o che può fare, sono interiori
alla sua essenza. Quindi chiunque intende Dio, può intendere tutte
le cose che Dio fa o che può fare.
4. La creatura razionale naturalmente desidera conoscere tutto.
Se dunque nella visione di Dio non conosce tutte le cose, resta in-
soddisfatto il suo naturale desiderio: e così anche vedendo Dio, non
sarà beata. E questo ripugna. Dunque nella visiòne di Dio conosce
tutte le cose.
IN CONTRARIO: Gli angeli vedono Dio e tuttavia non conoscono tutte
le cose. Infatti, al dire di Dionigi, gli angeli inferiori sono purificati
di loro nescienza. dagli angeli superiori. Essi ignora.no anche i futuri
contingenti ed i pensieri dei cuori, essendo ciò prerpgativa esclusiva
di Dio. Non è dunque vero che chi vede l'essenza di Dio, vede tutte
le cose. ·
RISPONDO: L'intelletto creato, vedendo la divina essenza, non vede
in essa tutto quello che Dio fa o che può fare. E evidente infatti che
una cosa si vede in Dio, come vi si trova. Ora, tutte le cose si tro-
vano in Dio, come gli effetti si trovano virtualmente nella propria
causa. Dunque tutte le cose si vedono in Dio come effetti nella loro
causa. Ma è chiaro che quanto più perfettamente una causa si co-
nosce tanto map:giore è il numero degli effetti che si possono cono-
scere in essa. Chi infatti ha intelletto elevato, proposto un solo prin-
cipio dimostrativo, subito ne ricava la conoscenza di molte conclu-
sioni: il che non accade a chi è d'intelletto più debole, al quale invece
è necessario spiegare tutto, cosa per cosa.• Sicchè può conoscere nella
causa tutti gli effetti e tutte le ragioni degli effetti solo quella intel-
ligenza che comprende totalmente la causa. Ora, nessuna intelligenza
1 Cfr. ;rnche ! Mornl., c. 3.
• L'Aquinate cel'cherà le più profonde cause di questo ratto, e le troverà nella
più o meno perfetta dlsp0s!zione ùel corpo e nel diverso funzionamento delle fa-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 273
ARTICULUS S
Utrum videntes Deum per ei;1sentiam omnia in Deo videant.
ARTICOLO 9
Se le cose vedute in Dio da coloro che contemplano la divina essenza
siano vedute secondo alcune irnlllagini [o specie intelligibili]. 3
ARTICULUS 9
Utrum t!& quae videntur in Deo a videntibus divinam essentiam
per aliquas similitudines videantur.
8 Sent., d. 14, a. 1, qc. 4, 5; De Verti., q. 8, a. 5.
• Le cose vedute nella luce di Dio sono, per cosi dire, come sempre uscenti
da lui In tutti I loro minimi particolari. sia le cose nnssate. sia le presenti, sia
le ruture ; polchè le vicende del tempo non esistono nell'eternità, la quale è • tota
simul "• senza succeSoSloni (cfr. I Coni. Gent. c. 66). Si ca1ilsce quindi come la di·
vina Psse.nza posSll essere per se stessa mezzo emcacisstmo di una piena conoscenza
di tutte le co~e. senza che si debba ricorrere ad Immagini sopraggiunte alla no-
stra mrnt.e., qua':i 1·he l'(UP!la non ha~t•1sse.
• QnE'~ta dl)ltrlna è tradizionale nella Chiesa; e S. Tommaso. che dissente da
s. Agostino e.tre.a la cognizione umana nel tempo, concorda pienamente con lut
per quanto riguarda quella della beata eternità. Leggiamo Infatti nel commento
agostiniano alla /a Gtov. (cap. 3): •Che altro saremo se non flgli di Dio! - Udite
quello l"he segue: "sappiamo che quando !'gli ;;I mostrerà. saremo simili a lui,
rolchè lo vedremo cosi com• è .... '". Noi. o fratelli, lfOdremo una visione di bel·
Jezza .... che tra~ende tutte le bellene te1Tene [101chè da essa derivano tultl• le
altre belleize. E che s:tremo noi quando vedremo questa visione? ..... Saremo simili
a lui." • (Da Le Confcsstont, trad. o. Tescarl, p, 554, nota 2. Torino, 1946•).
278 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 9-10
ARTICOLO 10
Se quelli che vedono Dio per essenza vedano simultaneamente
tutto quello che vedono in lui.
SEMBRA che quelli che vedono Dio per essenza non vedano simul-
taneamente tutto quello che vedono in lui. Infatti:
1. Secondo Aristotele, può capitare che si abbia la scienza di molte
cose, ma non capita che se ne intenda attualmente [intelligere] più
di nna. Ora, le cose che si vedono in Dio, si intendono intellettual-
mente cosi, infatti Dio si vede con I' intelletto. Dunque non si ve-
rifica che quelli che vedono Dio, vedano in lui molte cose simulta·
ne amen te.
2. S. Agostino dice che «Dio muove la creatura spirituale nel
tempo» cioè nei pern;ieri e negli affetti. Ora, la creatura spirituale
è precisamente l'angelo, il quale vede Dio. Dunque coloro che ve-
dono Dio passano successivamente dì pensiero in pensiero, di affetto
in affetto: il tempo infatti importa successione.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: "Non saranno volubili i nostri
pensamenti, andando e tornando da un oggetto all'altro, ma tutta
la scienza nostra la contempleremo simultaneamente con un solo
sguardo».
RISPONDO: Le cose che si vedono nel Verbo, 1 si vedono non succes-
sivamente, ma simultaneamente. A chiarimento di ciò, bisogna con-
siderare che noi non possiamo intendere molte cose insieme preci-
samente per questo, perchè le intendiamo per mezzo di specie di-
verse ; e non può un solo intelletto essere simultaneamente informato
in atto da specie diverse in modo da intencl.ere per mezzo di esse ;
come non può un medesimo corpo esser modellato contemporanea-
mente con figure diverse.• Quindi avviene che quando più cose pos-
sono essere percepite con una sola specie, si intendono simultanea-
mente: cosi le diverse parti cl.i nn tutto se s'intendono ciascuna per
mezzo della propria specie. si intendono successivamente e non tutte
1 Nella Seconda Persona. dell:i !!S. Trinità •esiste una relazione rispetto alle
creature•, dice S. Tommaso, espressa dal termine Verbum. Dio Infatti genera U
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 279
ARTICULUS 10
Utrum videntes Deum per essentiam simul videant omnia
quae in ipso vident.
Infra, q. 58, a. 2: f Sent., d. 3, q. 2. a. 4; s, d. 14, a. 2, qc. 4: s Cont. Gent., c. 60:
De Vertt., q. 8, a. 14; Quom. 7, q. 1, a. 2.
ARTICOLO 11
Se qualcuno in questa vita possa vedere Dio per essenza.'
SEMBRA che qualcuno, in questa vita, possa vedere Dio per essenza.
Infatti:
1. [Il Patriarca] Giaoobbe disse: "Ho visto Dio a faccia a faccia».
Ma vedere a faccia a faccia è precisamente vedere per essenza, come
appare chiaramente da quello che dice S. Paolo: "in questo mo-
mento noi vediamo traverso uno specchio in enigma, allora vedremo
a faccia a faccia"· Dunque Dio in questa vita si può vedere per es-
senza.
2. Il Signore dice di Mosè: "a lui io parlo a faccia a faccia, ed egli
vede il Signore manifestamente, non per mezzo di emhlPmi e· figure n.
Ma ciò equivale a. vedere Dio per essenza. Dunque qualcuno può,
anche nello stato della presente vita, vedere resscnza divina.
3. L'oggetto nel quale conosciamo tutte lt> altre c0se e per mezzo
del quale giudichiamo tutto il resto, ci è noto di per se s1 esso. Ora,
tutte le cose anche adesso le conosciamo in Dio. Dice, infatti, S. Ago-
stino: "Se tutti e dup vediamo ehe è vero quello che dici tu ed en-
trambi vediamo che è vero quel che dico io, di grazia: dov'è che noi
lo vediamo? Nè io in te, nè tu in me, ma tutti e duP in quella stessa
immntabile verità, la quale sta al disopra delle nostre menti». Al-
trettanto dice altrove affermando che noi f!iu<lichiamo di tutte le cose
secondo la verità divina. E nel De Trini/ate asserisce che alla ra-
gione srietta giudicare di queste cose c0rp0rali secondo le essenze
f o nature] incorporee e sempiterne, le quali, sicuramente, non sa-
rebbero immutabili se non fossero al disopra della nostra mente,,_ •
Dunque ar.che in questa vita noi vediamo Dio.
4. Secondo S. Agostino noi vediamo con visione intellettuale tutte
le cose che sono nell'anima con la loro essenza. Ora, la visione intel-
1 Vrdi sopra q. 10, a .. 3, dove st parla dell'eternità partecipata dal beati per la
"Istone del Verbo. ·
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 281
ARTICULUS 11
Utrum aliquis in hac vita possit videre Deum per essentiam.
11·11. q. 180, a. 5; 3 Se!lt., d. 27, q. 3, a.. 1; d. 35, q. 2, a. 2, qc. 2; 4, d. 49, q. 2, a. 7;
9 Coni. Gent., c. 47 ; f)e Vertt., q. 10, a. 11 ; QuodL. 1, q. 1 ; ! Cor., c. 12, lect. 1.
~ ~ di fede che In questa vita è lmpos5ib!le ve1lere Dio nella sua essenza c<>n le
11e1le forze naturali. c0me risulta dalla condanna Inflitta nfll Concilio Vlennense
(1311-1312) al Begardi e alle Beghine (DENZ., 471).
·• Le ragioni e I testi qnl Invocati furono I cavall1 di batt.aglla degli Ontologlstl
111 tutti I tempi, che nel secolo scorso furono colpltl pili volte dalla disapprovazione
della Chiesa (DENZ., 1659, 1002 ss., 1sn1 ss.).
282 LA 80:\fMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 11
1 Le Gloue bibliche erano commenti della saaa Scrittura desunti dal 'P:idrl,
e riportati accanto ai testi della Scrittura per fac1llta.rne Il senso. SI portava rosi
a conoscenza del lettori la tradizionale interpretazione della Bibbia, risparmiando
loro la fatica di consultare opere non !'empre accesslblll. - SI distingueva la
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 283
fatt.i anche lo stesso lume naturale della ragione è una certa parte-
cipazione r!ella luce di Dio; allo stesso modo diciamo, delle cose
percepite dai sensi, che le vediamo e le giudichiamo nel [o al] s.ole,
cioè mediante la luce del sole. Perciò S. Agostino dice: «Gli oggetti
delle varie discipline non possono esser veduti se non sono illuminati,
diciamo così, dal loro sole,, ::ioè da Dio. C.ome, dunque, per vedere
qualche cosa sensibilmente non è necessario vedere la sostanza del
sole, cosi per vedere qualche cosa intellettualmente, non è neces-
sario vedere l'essenza di Dio. 1
4. La visione intellettuale ha per oggetto le cose che sono nel-
l'anima con la loro essenza [non in qualunque modo, ma] come gli
intelligibili sono nell'intelletto. Ora, Dio si trova come oggetto in-
teliigibile nell'anima dei beati, non già nell'anima nostra, dove si
trova [solo] per essenza, per presenza e per potenza.•
ARTICOLO 12
Se in questa vita possiamo conoscere Dio con la ragione naturale.
1 Gli Ontologisti (vedi p. 74, nota) oome, p. es., Malebranche, fanno molta forza
sulle frasi di S. Agostino, ritenenxlolo a t<>rto un patrono della loro teoria. Il
senso dato da s. Tommaso alle frasi di S. Agostino è legittimo ; 1·oichè è certo
che s. Agostino nega la visione Immediata di Dio In questa vita. Dio è quindi la
fonte di ogni nostra cognizione e naturale e soprannaturale, ed è presente nella
nostra anima Intellettiva per la sua essenza; però non è presente come oggetto
tmmedia:to dt cogn1.ztone, ma quale causa efficiente prima del nostro conoscere
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 285
ARTICULUS 12
Utrum per rationem naturalem Deum in hac vita
cognoscere possimus.
Infra, q. 32, a. 1; q. 86. a. 2, ad 1; / Sent •• d. 3, q. t, a. 1; 3, d. 27, q. 3, a. 11
4 Cont. Gent., c. 1; De Trtntt., q. 1, a. 2; in Rom., c. 1, lect. 6.
ARTICOLO 13
Se mediante la grazia si abbia una conoscenza di Dio più alta
di quella che si ha con la ragione naturale. 2
ARTICULUS 13
Utrum per gratiam habeatur altior cognitio Dei quam ea
quae habetur per rationem naturalem.
quod ille qui melius unitur Deo in hac vita, unitur ei sicut omnino
ignoto: quod etiam de Moyse dicit, qui tamen excellentiam quandam
obtinuit in gratiae cognitione. Sed coniungi Deo ignorando de eo
quid est, hoc contingit etiam per rationem naturalem. Ergo per gr~
tiam non plenius cognoscitur a nobis Deus, quam per rationem na-
turalem.
2. PRAETEREA, per rationem naturalem in cognitionem divinon1m
pervenire non possumus, nisi per phantasmata: sic etiam nec secun-
dum cognitionem gratiae. Dicit enirn Dionysius, 1 cap. De Cael. Hier.,
quod "impossibile est nobis aliter lucere divinum radium, nisi va-
rietate sacrornm velaminum circmnvelatum n. Ergo per gratiam non
plenius cognoscimus Deum, quam per rationem naluralem.
3. PRAETEREA, intellectus noster per graliarn fidei Deo adhaeret. Fi-
des autem r•on videtur esse cognitio: dicit enim Gregorius, in Homfl.
[26 in Evang. ], quod ea quae non videntur "fidem habent, et non
agnitionem '" Ergo per gratiam non additur nobis aliqua excellen-
tior cognitio de Deo.
SEo coNTM EST quod dicit Apostolus, I Cor. 2, 10: '' nobis revelavit
Deus per Spiritum suum n, illa scilicet quae '' nemo principum huius
saeculi novit '' [ibid., v. 8], idest philosophorum, ut exponit Glossa
[Glossa interlin. ex s. Hier., In 1 Cor. 2, 10].
RESPONDEO DJCENDUM quod per gratiam perfectior cognitio de Deo
habetur a nobis, quam per rationem naturalem. Quod sic patet. Co-
gnitio enirn quarn pel' naturalem rationem habemus, duo requirit:
c;ciliret, phantasmata ex sensibilihus accepta, E:t lumen naturale in-
telligibile, cuius virtute intelligibiles conceptiones ab eis abstra.-
him11s. Et quantum ad utrumque, iuvat11r hurnana cognitio per re-
velationem gratiae. Nam et lumen naturale intellectus confortatur
per infusionem luminis grat11iti. Et interdum etiam phantasmata
in irnai;rinatione hominis formantur divinitus, magis exprimentia
res rlivinas, quarn ea q1iae natnrnlitrr a sensihilihus acC'ipimus;
sicut apparet in visioni.hus prophetalibus. Et interdum etiam aliquae
res sensibilcs formant ur ilivir1ìt11s, aut etiam voces, ad ali quid divi-
num exprimenrlum; ~icut in baptisrn0 visus est Spiritus Sanctus in
speri e colnrnhne, rt vox Patris a udita est, "Hic est Filius meus di-
lectus. n [Matth. 3, 17].
An PHiMt:M EHGn 01cENDUM qnod, licet per revelationem gratiae in
hac vita non cognoscamus de Deo quid est, et sic ei quasi ignoto
coni11ngam11r; tamen plenius ipsum cognoscimus, inquantum plures
et excellentiores effectus eius nobis demonstrantur; et inquantum ei
aliqua attrihuimus ex revelatione diYina, ad quae ratio naturalis
non pertingit, ut Deum esse trinum et unum.
Ao SECUNDUM 010::-;ncM quod ex pliantasmatibus, vel a sens11 ac-
ceptis secundum naturalem ordinem, ve! divinitus in imaginatione
formatis, tanto excellentior cognitio inti:llectualis llabetul', quanto
lumen intelligibile in homine fortius fuerit. Et sic per revelationem
cosi stretto da non sfuggire alla più comune esperienza. Anche Dio, nel rivelare se
stesso, rispetta il modo d' lntenflere delle sue creature. Io forma poetiC<J c-0s1 DHuLe
Alighieri l\STlr\roe <1t•esto medesimo concetto:
•Cosi parlar conviensi al vostro ingegno.
perb rhe solo da seni;i.ato apprende
cib che la Doscia d'intelletto degno. •
f Paradiso, n, 40-42).
290 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 13
dai fantasmi, per I' infusione del lume divino, una più ricca cogni-
zioné.
3. La fede è una cognizione, perchè l'intelletto è determinato dalla
fede ad aderire a un oggetto conoscibile. Ma questa adesione a una
[verità) determinata non è causata dalla visione [o dall'evidenza]
di colui che crede, ma dalla visione di colui al quale si crede. E cosl,
in quanto manca l'evidenza, la fede resta al disotto della cognizione
scientifica: infatti la scienza detennina l'intelletto a una data ve-
rità per l'evidenza e l'intelligenza dei primi principii. '
1 Tra fede e scienza la dUTerenza è questa, che nella prima la visione (ossia
la scienza certa) di colui a cui crediamo determina Il nostro assenso (riteniamo
vero ciò che lui dice perchè sappiamo che lui sa) ; mentre nella seconda l'assenso
è determinato dalla nostra propria visione Intellettiva. Ne segue che !"oggetto pro-
prio della scienza è posseduto più pienamente e più connaturalmente da noi, che
non l'oggetto della fede. Ma la fede divina, d'altra parte, appoggiandosi all"au-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO ~1
torltà e alla scienza di Dio partecipata In noi, e avendo per oggetto proprio una
realtà più nobile assai, supera In dignità la ~clenza ed è più certa di questa, seb-
bene non escluda talvolta una certa agitazione nell'animo del credente e lo lasci
insoddisfatto ; polchè la fede cl è data più per orientarci verso la piena cognizioni
di Dio nella gloria, che non per appagare 11 nostro desiderio di conoscerlo (cfr.
ll-11, q. 1, aa. 1·4; q. 2, a. 1).
QUESTIONE 13
I nomi di Dio.•
ARTICOLO 1
Se a Dio convenga un nome.
ARTICULUS 1
Utrum aliquod :nomen Deo conveniat.
I Sent., d. 1, expos. text., qc. 6; d. 22, a. 1; De Div. Nom., c. 1, lect. 1, a.
Ao PRIMUM src PROCEDlTUR. Videtur quod nullum nomen Deo con-
veniat. Dicit enim Dionysius, 1 cap. De Div. Nom. [lect. 3), quod
"neque nomen eius est, neque opinio n. Et Prov. 30, 4 dicitur:
<e Quod nomen eius, et quod nomen filii eius, si nosti? 11.
2. PRAETEREA, omne nomen ::tut dicitur in abstrarto, aut in concreto.
Sed nomina signiftcantia in concreto, non competunt Dea, cum sim-
plex sit: neque nomina significantia in abstracto, quia non signifi-
cant aliquid perfectum subsistens. Ergo nullum nomen potest dici
de Deo.
3. PRAETEREA, nomina significant substantiam cum qualitate ; verba
nutem et participia significant cum tempore; pronomina autem cum
prensiblle. Ma come l' Incomprensibilità non esclude una certa quale vera cono-
scenza di lui, cosl la sua Ineffabilità non lmpedisce che gli possiamo Imporre del
nomi che veramente significano in ce1·to qual modo le sue intrinseche perfezioni.
Le considerazioni di S. Tommaso contengono preziosi principi! dl ftlosolla del
linguaggio, e hanno molta importanza In teologia, per::!J.è precisano sempre me-
glio la natura della nostra cognizione circa le cose divine e cl Insegnano a espri-
mere, con la migliore proprietà di linguaggio, Dio e I misteri divini.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 1
Come cl formiamo un concetto proprio t!.I Dio per la vta della causalttà, del.-
l'eminenza e della remoztone (vedi p. 286, nota 1), cosi per le ftesse vie cl tor·
mlamo le parole e le espressioni che lo significano, come è rlllesso dai nostri
concetti. Ogni nome, per es5ere proprio di Dio, deve contenere questo trlpllce
aspetto, almeno lmpllcitament~.
• Le cose che II nostro Intelletto conosce, come suo oggetto proprio, sono le cose
di c1uesto mondo fisico. Ed esse sono composte di elementi essenziali ed acciden-
tali ; e non sono I slngoll elementi che propriamente esistono, ma il composto:
p. es., è il vivente che esiste, D10r. l'essere suo, la sua vita, la sua figura. llla il ~1·
vente è eslsteJJte per l'essere, vivente per la vita, figurato per la figura. Onde
essere, vita, figura - realtà astratte - non sono ciò che è, ma ciò per cn! li vi-
vente è esistente, vivo, figurato: realtà semplici, ma non sussistenti ; mentre Il
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 1-2
ARTICOLO 2
. Se qualche nome detto di Dio ne significhi l'essenza.•
ARTICULUS 2
Utrum aliquod nomen dicatur de Deo substantialiter.
I Sent., d. 2, a. 2; I Coni. Gent., c. 31; De Pot., q. 7, a. 5.
AD SF.CUNDUM SIC PROCEDITU!I. Videtur quod nullum nomen dicatur
<la Deo subatantialiter. Dicit enim Damascenus [De Fide Orth., 1. 1,
c. 9]: "Oportet singulum eorum quae de Deo dicuntur, non quid est
Eecundum substantiam significare, sed quid non est ostendere, aut
l.abitudinem quanJarn, aut aliquid eorum quae assequuntur natu-
ram vel operationem ».
2. PR.\ETEflEA, dicit Dionysius, 1 cap. De Div. Nom. [lect. 2]: « Om-
nem sanctorum theologorum hymnum invenies, ad bonos thearchiae
processus, manifestative et laudative Dei nominationes dividentern ":
et est sens11s, qnod nomina quae in divinam laudem sancti doctores
.assumunt, secundum processus ipsius Dei distinguuntur. Sed quod
significat proces:mm alic11i11s rei, nihil significat ad eius essentiam
pertinens. Ergo nomma dirta. de Deo, non dicuntur de ipso substrui-
tialitcr.
3. PRAETEflEA, secundum hoc nominatur aliquid a nobis, secundum
quod intelligitur. Sed non intelligitur Deus a nobis in hac vita secun-
• Mosè Matmontde, filosofo ebreo del secolo XII (1135-1204) nato a Cordova. Nel
!UO libro, Intitolato In ebraico Morell Neliuktm, ossia Gutdq tlet perples.çt, nia
scritto da lui In arabo, sostiene questa posizione agnostica, la quale è propria
di una corrente della filosofia neoplatonica, 'econdo cui la mente umana avrebbe
una Incapacità assoluta a nulla detennlnare circa Dio. La dottrina di S. Tom-
maso conserva la buona parte di vero, che questa posizione contiene; ma ne cor-
regge l'ecces50. La via remotMnis, come si é detto altrove (cfr. Introd., nn. 23 ss.),
è veramente un mezzo per rendere il nostro concetto di Dio più puro, più di-
stinto, perchè per es&a evitiamo Il pericolo di confondere Dio con l]ualslasl r.rea-
tura; ma va unita alle vie cauwlttalt~ ed exceller>.llae, che et permettono di
oonoscerlo anche positivamente, sebbene imperfettlssimarnen!e. Per la distanza
appunto eh.e e' è tra la perfezione della creatura e quella di Dio. essendo i nostri
concetti e I nostri nomi desunti dalle creature, la cui perfezione è limitata, bi-
sogna che ogni affermazione sia corretta da una forte negazione; ogni concetto e
ogni nome affermi e neghi lmpl!cltamente, perché Io si ~·os'a a pplkare a Dio;
attenni in lui la realtà delle perfezioni sempl!cl, ne rimuova I limiti e le defi-
cienze secondo cui è realizzata nelle creature, ed Insieme asserisca che la realtà
I NOMI DI DIO 299
d11m suam substantiam. Ergo nei: aliquod nomen impositum a nobis,
dicitur de Deo secundum suam substantiam.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, 6 De Trinit. [c. 4): « Deo hoc
est esse, quod fortem esse vel sapientem esse, et si quid de illa sim-
plicitate dixeris, quo eius substantia significatur 11. Ergo omnia no-
mina huiusmodi significant divinam substantiam.
RESPONDEO DICENDUM quod de nominibus quae de Deo dicuntur ne-
gati \'e, vel qua e relationem ipsius ad creaturam significant, manife-
stum est qnod snhstantiam eius nullo modo signifìcant; sed remo-
tionem alicuius ab ipso, vel relationem eius ad alium, vel potius ali-
cuius ad ipsum. Sed de nominibus quae absolute et affirmative de
Deo dicuntur, sicut bonus, sapiens, et huiusmodi, multipliciter aliqui
sunt opinati. ~
Quidam enim dixerunt quod haec omnia nomina, licet affirmative
de Deo dicantur, tamen magis inventa sunt ad aliquid removendum
a Deo, quam ad aliquid ponendum in ipso. Unde dicunt quod, cum
dicimus Deum esse vhentem, signifìcamus quod Deus non hoc modo
est, sicut res inanimatae: et similiter accipiendum est in aliis. Et
hoc posuit Rabbi Moyses [in libro Doctor Perplexorum, part. 1, c. 58].
- Alii vero dicunt quod haec nomina imposita sunt ad significandum
habitudinem eius ad creata: ut, cum dicimus « Deus est bonus», sit
sensus, « Deus est causa bonitatis in rebus"· Et eadem ratio est in
aliis.
Sed utrumque istorum videtur esse inconveniens, propter tria.
Primo quidem, quia secundum neutram harum positionum posset
assignari ratio quare qnaedam nomina magis de Deo dicerentur
qnam alia. Sic enim est causa corporum, sicut est causa bonorum:
unde, si nihil ali ud signifìcatur, cum dicitur « Deus est bonus'" nisi
« Deus est causa bonorum », poterit similiter dici quod cc Deus est
corpus n, qui a est causa corporum. Item, per hoc quod dicitur quod
est corpus, removetm· qnod non sit ens in potentia tantum, sicut
materia prima. - SeCllndo, quia sequeretur quod omnia nomina dieta
de Deo, per posterius dicerentur de ipso: sicut sanum per posterius
dicitur de medicina, eo quod signifìcat hoc tantum quod sit causa
sanitatis in animali, quod per prius dicitur sanum. - Tertio, quia
hoc est contra intentionem loquentium de Deo. Aliud enim intendunt
' Nella viV1 delle piante: fioritura, fruttificazione, ecc., è rappresentata la virtù
attiva del sole, In modo l.Jen diverso e lontano dalla natura di esso.
2 S. Tommaso in~ist~ volentieri su questo concetto che la bontà di Dio, come Il
suo amore. ha un primato reale e logico su ogni bontà e ogni realtà creata (vedi
sopra qq. 5, 6; ctr. 1-11, q. 110, a. 1). Sebbene non si abbandoni al trasporti mi-
sllcl e alle espressioni poetiche. si ~ente nei suoi rilievi lo stesso calore che l'ltr<>-
vlamo nelle parole che S. Caterln:i. da Siena pone sulle labbra di Cristo: •Come
I NOMI DI DIO 301
dicere, cum dicunt Deum viventem, quam quod sit causa vitae no-
strae, vel quod differat a corporibus inanimatis.
Et ideo aliter dicendurn est, quod huiusrnodi quidem nomina signi-
flcant snbstantiam divinam, et praedicantur de Deo substantialiter.
sed ùeflciunt a repraesentatione ipsius. Quod sic patet. Signiflcant
enirn sic nomina Denm, secundum quod intellectus noster cognoscit
ipsurn. Intellectus autem noster, cum cognoscat Deum ex creaturis,
sic cognoscit ipsum, secundum quod creaturae ipsum repraesentant.
Ostensum est autem supra [ q. 4, a. 2] quod Deus in se praehabet
omnes perfectiones creaturarum, quasi simpliciter et universaliter
perfectus. Unde quaelibet creatura intantum eum repraesentat, et est
ei similis, inquantum perfectionem aliquam habet: non tamen ita
qnod repraesentet eum sicnt nli·111id .~iusdem speciei vel generis, sed
sicut excellens principium, a cuius forma effectus deficiunt, cuius
tamen aliqualem similitudinem effectus consequuntur; sicut formae
corporum inferiorum repraesentant virtutem solarem. Et hoc supra
[q. 4, a. 3] expositurn est, cum de Perfectione divina agebatur. Sic
igitur praedicta nomina divinam substantiam signiflcant: imp€r-
tecte tamen, sicut et creaturae imperfecte eam repraesentant.
Cum igitur dicitur "Deus est honus n, non est sensus, « Deus est
causa bonitatis », vel "Deus non est malus '': sed est sensus, «id
quod bonitatem dicimus in creaturis, praeexistit in Deo » et hoc qui-
dem secundum modurn altiorern. Unde ex hoc non sequitur quod Deo
cornpetat esse bonum inquantum causat bonitatem: sed potius e con-
Yerno, quia est bonus, bonitatem rebus diff1mrlit, ;:ecundum illud
Augustini, De Doct. Christ. [I. 1, c. 32]: « inquantum bonus est,
SllIDUS».
Ao PRlMUM ERGO DICENDUM quod Damascenus ideo dicit quod haec
nomina non signitìcant quid est Deus, quia a nullo istorum nominum
exprimitur quid est Deus perfecte: sed unumquodque imperfecte
euro signifìcat, sicut et creaturae irnperfecte eum rnpraesentant.
Ao sECUNDUM DICENDUM qnod in signifìcatione norninum, aliud est
quandoque a quo imponitur nornen ad significandurn, et id ad quod
significandnrn nomen imponitur: sicut hoc nomen lapis imponitur
ab eo quod laedit pedem, non tamen irnponitur ad hoc signifìcandum
quod significet laedens pedem, sed ad significandarn quandam spe-
ciem corporurn; alioquin ornne laedens pedem esset lapis. Sic igitur
dicenùurn est quod huiu~modi divina nomina imponuntur quidem a
processibus deitatis: sicut enim secundurn diversos processus perfe-
ctionurn, creaturae Deum repraescntant, licet irnperfecte; ita intelle-
ctus noster, secundurn unurnquernque processum, Deum cognoscit et
norninat. Sed tarnen haec nomina non irnponit ad significandurn
ipsos procr'ssus, ut, cum dicitur « Deus ~st vinns" sit sensus, "ab
eo procedit vita n: sed ad sig-nific:mdurn ips11m rerurn principium,
prout in eo praeexistit vita, licet eminentiori modo quarn intelligatur
vel significetur.
l'amore vi trasse dal seno del Padre mio, creandovi con la sapienzia sua ; cosl
e~so amore vi conserva: chè voi non siete fatti d'altro che d'amore. Se ritraesse
a sè l'amore con quella potenzia e sapienzia con la quale egli vi creò, voi non sa-
reste,, (Lettera XIV. ed. Mlsclattelll. vol. I, p. 65).
• La dottrina è vera anche se la etimologia di lapts non corrisponde a verità.
I d12ionari anche più comuni cl danno spesso di un nome Il significato eUmolo-
gtco e Il significato reale: due sen3i talora molto distanti.
302 LA SOMMA TEOLOGfCA, J, q. 13, aa. 2-:.t
ARTICOLO 3
Se qualche nome si dica di Dio in senso proprio.
SE'.IBRA che nessun nome debba dirsi di Dio in senso proprio. In-
fatti:
1. Tutti i nomi che diamo a Dio sono presi dalle creature, come
si è detto. Ora, i nomi delle creature si dicono di Dio in senso meta-
forico, come quando si dice che Dio è pietra, leone e cosi via. Dun-
que tutti i nomi che si dicono di Dio sono usati in senso metaforico.
2. Nessun nome è detto in senso proprio di colui del quale con più
verità è negato anzichè affermato. Ora, tutti questi nomi: buono,
sapiente e simili, con più verità vanno negati piuttosto che affermati
di Dio, come dimostra Dionigi. Dunque nessuno di tali nomi è detto
di Dio in senso proprio.
3. I nomi dei corpi non si prerlicano cli Dio se non metaforica.-
mente, essendo egli incorporeo. Ora, tutti questi nomi implicano
delle condizioni materiali: includono infatti nel loro significato
lidea di tempo, di composizione e di altre simili cose, che sono con-
dizioni proprie dei corpi. Dunque tutti questi nomi Si predicano di
Dio metaforicamente.
IN CONTRARIO: Scrive S. Ambrogio: "Ci sono dei nomi che ci mo-
strano all'evidenza le proprietà della divinità; altri che esprimono
la chiara verità della maestà divina ; altri poi che si dicono di Dio
in senso traslato per similitudine». Non tutti i nomi, dunque, si di-
cono di Dio metaforicamente; ma alcuni si dicono in senso proprio.
RISPONDO: Come a libiamo già eletto, noi conosciamo Dio dalle per-
fezioni che egli comunica alle creature ; le quali perfezioni si ritro-
vano in Dio in grado ben più eminente che nelle creature. Ma il
nostro intelletto le apprende nel modo che si trovano nelle creature ;
e come le apprende, cosi le esprime a parole. Nei nomi dunque che
attribuiamo a Dio, ci son da considerare rlue cose: cioè, le perfe-
zioni stesse significate, come la bontà, In Yita, ecc., e il modo di si-
gnificarle. Riguardo dunque a ciò che tali nomi significano, conven-
gono a Dio in senso proprio, e anzi più proprio che alle stesse crea-
ture, e si dicono di lui primariamente. Quanto invece al modo di
significarle, non si dicono di Dio in sPnso proprio, perchè hanno un
modo di significarle che conviene alle creature.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Certi nomi esprimono le perfezioni
comunicate da Dio alle cose create in maniera che lo stesso modo
imperfetto, col quale la perfezione divina è partecipata dalla crea-
tura, è incluso nello stesso significato del termine, come, p. es., la
parola pietra significa nn essere che esiste [solo) nella materia: e
tali nomi non si possono dttribuire a Dio se non metaforicamente.
Altri nomi invece significano le stesse perfezioni in modo assoluto,
I NOMI DI DIO 303
ARTICULUS 3
Utrum aliquod nomen dicatur de Deo proprie.
1 se'iit., d. '· q. 1, a. t ; d. 22. a. 2; d. 33, a. 2 ; d. 35, a. t, ad 9 i
I Coni. Gent., c. 30; De Pot., q. 7, a. 5.
senza che alcun limite di partecipazione sia incluso nel loro signifi-
cato, come ente, buono, vivente e simili: e questi si dicono di Dio
in senso proprio. 1
2. Dionigi dice che tali nomi si debbono negare a Dio precisamente
per questo, perchè ciò che è espresso nel nome non compete a Dio
nel modo col quale il nome lo significa, ma in una maniera più su-
blime. Perciò Dionigi nel medesimo punto dice che Dio è a: disopra
di ogni sostanza e di ogni vita.
3. Questi nomi che si dicono di Dio in senso proprio, importano
condizioni corporali, non nello stesso significato del nome, ma quanto
al modo di significare. Quelli invece che si applicano a Dio in senso
metaforico, implicano [materialità o] condizivne corporale nello
stesso loro significato. s
ARTICOLO 4
Se i nomi che si danno a Dio siano sinonimi.
SEMBRA che i diversi nomi che si danno a Dio siano dei sinonimi.
Infatti:
1. Si chiamano sinonimi quei termini che significano in tutto la
medesima cosa. Ora, i nomi che si dicono di Dio indicano, in tutto,
la medesima cosa in Dio, perchè la bontà di Dio è la sua ei'senza,
come anche la sapienza. Dunque tutti questi termini sono sinonimi.
2. A chi dicesse che questi nomi significano in realtà la stessa
cosa, però con una diversi I à di concetti, si ribatte: un concetto, a
cui non corrisponde qualcosa di reale, è vano: se dunque questi con-
cetti sono molti e la realtà è una, pare che tali concetti siano vani.
3. Ciò che è uno realmente e concettualmente, è più uno di ciò che
è uno realmente e molteplice comettualmente. Ora, Dio è uno al
massimo ~rado. Dunque paro rhe non sia uno realmente e molte-
plice concettualmente. E così i nomi detti di Dio nOn indicano con-
cetti diversi, e perciò sono sinonimi.
ÌN CONTRARIO: Termini sinonimi, uniti insieme, non sono che un
giuoco di parole, come se si dicesse: La veste è un indumento. ~~
dunque tutti i nomi detti di Dio sono sinonimi, non si potrà pm
dire convenientemente Dio buono ed espressioni consimili; eppure
sta scritto in Geremia: " O fortissimo, o grande, o potente, il cui
nome è il Signore degli eserciti».
H.ISPONDO: I nomi che si danno a Dio non sono sinonimi Asserzione,
questa, facile a provarsi se dicessimo che questi nomi sono stati in-
trodotti per esdudere qualche cosa da Dio, o per designare il suo
rapporto di causa verso le creature: chè allora sotto questi nomi vi
sarebbero diverse nozioni secondo le varie cose negate, o secondo i
diversi effetti che si hanno di mira. Ma anche stando a quel che
ARTICULUS 4
Utrum nomina dieta de Deo sint nomina synonyma.
I Sent., d. 2, a. 3; d. 22, a. 3; I Cont. Gent., c. 35; De Pot., q. 7, a.. O;
Compend. Theol., c. 25.
pl!cl, che si ritrovano secondo Yarl modi e gradi anche nelle creature stesse; nè
il concetto nè tl nome di esse Includono necessariamente un modo limitato di es-
sere delle medesime. Sicché niente vieta che possano esistere anche secondo un' In-
tensità lnftnlta. Cosi, p. es., la t•ontà, la vita, la felicità, l'esi;ere ... : perfezioni af-
fatto semplici, massimamente comprensive, racchiudenti l'Infinità della perfezione.
306 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 4-5
ahbiamo detto, che cioè tali nomi significhino, per quanto imperfet-
tamente, la sostanza divina, si dimostra facilmente, da quanto pre·
cede, che contengono idee diverse. E invero, l'idea espressa dal nome
è la concezione che I' intelletto si fa della c-0sa indicata dal nome.
Ora, il nostro intelletto, siccome conosce Dio per mezzo delle crea-
ture, per conoscere Dio forma dei concetti proporzionali alle perfe-
zioni derivanti da Dio nelle creature; le quali perfezioni in Dio pree-
sistono allo stato di unità e semplicità; ma nelle creature son rice-
vute rlivise e molteplici. Come dunque alle diverse perfezioni delle
creature corrisponde un unico principio semplice, rappresentato in
maniera varia e multipla dalle diverse perfezimii delle creature; eo<>ì
alle concezioni molteplici e varie del nostro intelletto corrisponde
un unico oggetto assolutamente semplice, ronoscinto imperfetta-
mente secondo tali concezioni. E perciò i nomi attribuiti a Dio, seb-
bene significhino realmente una sola cosa, tuttavia, siccome la si-
gnificano in conce1ti molteplici e diversi, non sono sinonimi.
SOLI 'ZIONE DELLE OIFFICOLTÀ: 1. E così è sciolta la prima difficoltà.
Infatti si chiamano sinonimi i nomi che significano una sola cosa Sf'-
condo un unico concetto. Ma quelli che e8primono nozioni diverse di
una identira realtà non significano primariamente e direttamente
una medesima cosa ; perchè il nome non indica la realtà se n-0n me-
diante la concezione dell'intelletto, come si è dimostrato.
2. I molteplici sensi di questi termini non sono falsi e vani, per-
chè a tutti corrisponde una realtà semplice rappresentata da essi in
modo vario ed imperfetto.
3. Dipende dalla perfetta unità di Dio che si trovi in Jui in ma-
niera semplice e urntaria ciò che è molteplice e diviso nelle cose. Ed
è per questo che egli è uno realmente, e molteplice secondo i con-
cetti [che ne abbiamo] ; perrhè il noRtro intelletto lo apprende in
molteplici modi, come in molteplici modi le cose lo rappresentano. 1
ARTICOLO 5
Se i nomi attribuiti a Dio e alle creature siano loro attribuiti
in senso univoco.•
SEMBRA che i nomi attribuiti a Dio e alle creature siano loro attri-
buiti in senso univoco. Infatti:
1. Ogni equivoco si riduce all'univoco, come il multiplo all'uno.
Difatti, se è vero rhe la parola cane è applicata equivocamente al-
1 La semplicissima essenza dlvin.1 non ne scapita nulla, dunque. dal fatto che
Il nostro Intelletto forma di essa diversi concetti e li esprime con dl1iersi nomi. Le
distinzioni non sono in Dio, ma nella nostra mente, incapace di conosl'erlo rnn
un solo concetto. come Dio conosce se stesso. Ma la ricchbsirna semplicllà divina
fornisce un ottimo fondamento alla distinzi-0ne che la nostra mente è costretta a
tare. Nè la nostra mente Ignora che i suoi vari concetti non sono vari modi di
essere della realtà divina, ma sono vari modi secondo cui è da noi conosciuta.
~ nece•$ari-0. perché si abbia verità, che ci sia una certa conformità tra la cosa
corioS<'luta e la conoscenza; ma questa conformità non V'l. spinta fino a iflentifi-
care Il pensler-0 e la realtà pensata, -0 I modi del pensare con I modi dell'es.~ere,
I NOMI DI DIO 307
ARTICULUS 5
Utrum ea quae de Deo dicuntur et creaturis,
univoce dicantur de ipsis.
t Sent., Pro!., a. 2, ad 2; d. 19, q. 5, a. 2, ad 1; d. 35, a. 6:
t Cont. Genl., cc. 32, 33, 3~;
De Vertt., q. 2, a. u; De Pot., q. 7, a. 7; Compend. Theol., c. 27.
come pretendevano, fra gli antichi, Parmenide e Platone, e fra 1 moderni filosofi,
H e~·el e segua cl.
2 Questo articolo è fondamentale. Riassume e condensa In un quadro logico
perfetto tutt-0 I· insegnament-0 circ.a la nostra cognizione di Dio e il Yalnre delle
nostre espressioni. Poichè I nomi riferiscono Immediatamente I concetti che la
nostra mente si fa delle realtà, e mediante essi la realtà stessa, ci si domanda:
I nomi usati a qualificare Dio e le creature (quando si dice, p. es., Dio è sapiente,
l'uomo è sapiente; Dio è adirato, l'uomo è adirato .... ) che valore hanno? :E: una
untvocaztone puramente materiale, oppnr~ cela anche un senso unico o almeno
slmlle? C'è univocità anche quanto al loro senso, oppure c'è :imfit,0logia? Vale
308 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 18, a. 5
a dire: i nomi comuni a Dio e alle creature esprimono nei due casi una re:ilt<1
ei;senzialmente Identica (senso del termine •univoco•), oppure affatto diversa
(senso del termine« equivoco•)? ... L'A:iulnate risponde: nè rlel tutto Identica, nì>
del tutto diversa; ma In qualche modo, ossia proporzionalmente, sirr.ile.
I nomi comuni a Dio e alle creature non sono nnivoci quanto al sen&<>, ma
neppure equivoci, sibbene analoght. L'artic-010, denso di dottrina, mira a spie-
gare questo.
1 Sacondo gli antichi 11 sole, e in generale gli &.stri, erano composti di elementi
diversi da quelll componenti i corpi terrestri: questi risultavano dalla comuni-
cazione del quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco. Una quinta essenza for-
mava gli astri. Il calore proveniva propriamente <lai fuoc.o. Ma l'elemento fuoco
non e~btcva nel sole: tuttavia i sn<>i ra~!!i sc'.'llclano. Quindi. dicevano, il sole non
dovev3 essere caldo In ~enso pr.,rrlo o formalmente, ma solo virtualmente; In
I NOMI DI DIO
quanto cioè produceva effettt calor!tlc!; come produce altri effetti, p. es., la ger-
minazione della vita. senz'es.orer vivo.
• Secondo l'Insegnamento della logica dassica, la definizione è data dal genere
e dalla differenza specifica; p. es., la definizione di 11oa10 è: "ani 111ale (genere)
ragionevole" (differenza specifica). Ora il nome significa la definizione della cosa
denomlnnta (uomo &ignlfica animale ragionevole). Sa perciò nel definire il signi·
flcato dello stesso nome, secondo che è applicato a diverse cose, si d<'ve mutare il
genere, è chiaro che il concetto espresso, secondo che si applica all'una o all'altra
cosa, è essenzialment~ diverso. Cosi se sapiente, applicato a Dio, vuol dire, nel
slgn!tlcato del genere, perfezione wstanziale identica ali 'essere di Dlo ; e appll·
cato all'Ho1110 vuol dire perfezione accidentale sopraggiunta all'essere umano, è
chiaro che Il termine soptente ha slgnlftcato essenzialmente diverso nel due casi.
II termine è equivoco di qudla equivocità, che è tra l'univoco puro e l'equivoco
puro, come dirà S. Tommaso, cioè è analogo.
• Non convengono ln nessun genere, p. es., i·uomo, il colore del su-0 viso, la
patern1td che lo lega al suol figli, le czlont che compie, le tn(l.uenze che subisce,
il posto che occupa, Il tempo, In cui vive. Tutte quei.te sono realtà che hanno in
comune soltanto la noz!on.e di esistere: e~istQno non nella nostra mentf.l. ma "In
rerum natura"• sono enti. Ma l'essere o l'ente non è un geneTe contrapposto a un
altro genere: è un trascendentale, cioè si realizza In tutti I generi di cose.
310 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 5
come si è detto, tutte le perfezioni delle cose, che nelle creature sono
frammentarie e molteplici, in Dio preesistono in semplice unità.
Così, dunque, quando un nome che indica perfezione si applica a
una creatura, significa quella perfezione come distinta da altre, se-
condo la nozione espressa dalla definizione: p. es., quando il termine
sapiente Io attribuiamo all'uomo, indichiamo una perfezione distinta
dall'essenza dell'uomo e dalla sua potenza e dalla sua esistenza e
da altre cose del genere. Quando, invece, attribuiamo questo nome
a Dio, non intendiamo indicare qualche cosa di distinto dalla sua
essenza., dalla sua potenza o dal suo essere. Per conseguenza, ap-
plicato all'uomo, il termine sapiente circoscrive, in qualche morfo,
è racchiude la qualità che esprime; non così se applicato a Dio, ma
lascia [in tal caso] la pertezione indicata senza delimitazione e nel-
l'atto di oltrepassare il significato del nome. Quindi è chiaro che il
termine sapiente si dice di Dio e dell'u-0mo non secondo lidentico
concetto [formale]. E così è di tutti gli altri nomi. Perciò nessun
nome si att1ibuisce in senso univoco a Dio e alle creature.
Ma neanche in senso del tutto equivoco, cume alcuni hanno affer-
mato. Perchè in tal modo niente si potrebbe conoscere o dimostrare
intorno a Dio partendo dalle creature; ma si cadrebbe continua:
mente nel sofisma chiamato "equivocazione ». 1 E ciò sarebbe in
contrasto sia con i filosofi, i quali dimostrano molte cose su Dio, sia
con l'Apostolo, il quale dice: "le perfezioni invisibili di Dio, com-
prendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili».
Si deve dunque concludere che tali termini si affermano di Dio e
delle creature secondo analogia, cioè proporzione. E ciò avviene in
due maniere: o perchB più termini dicono ordine a un termine unico
[originario e inderivato] - come sano si dice della medicina e del-
l'orina, in quanto che l'una e l'altra dicono un certo ordine e un
rapporto alla sanità dell'auimale, questa come indice, quella come
causa - oppure perchè un termine presenta [rispondenza o] propor-
zione con un altro, come sano si dice della medicina e dell'animale,
in quanto la medicina è causa della sanità che è nell'animale. E in
tal modo alcuni nomi si dicono di Dio e delle creature analogica-
mente, e non in senso puramente equivoco, e neppure univoco. In-
fatti noi non possiamo parlare di Dio se non partendo dalle crea-
ture, come più sopra abbiamo dimostrato. E così qualunque termine
si dica di Dio e delle creature, si dice per il rapporto che le creature
hanno con Dio, come a principio o causa, nella quale preesistono
in modo eccellente tutte le perfezioni delle cose.
E questo modo di comunanza sta in mezzo tra la pura equivocità e
la semplice univocità, perchè nei nomi detti per analogia non vi è una
nozione unica come negli univoci, nè totalmente diversa, come negli
equivoci; ma il nome che analogicamente si applica a più soggetti
significa diverse proporzioni riguardo a una medesima eosa · così
sano dett-0 dell'orina, indica il segno de.Ila sanità; detto della me-
dicina invece significa la causa della stessa sanità. •
fare un pasr;aggio. Nè vale l'obiezione che S. Tommaso si fa, che fra la creatura
e Il Creatore, essendo la distanza Infinita, non è possibile il passaggio dall'uno
all'altra (cfr. q, 2, a. 2, arg. 3 e soluzione); perchè da ciò si conclude bensl, che,
~unque, da tali effetti non si può ricavare una conoscenza perfetta della causa; ma
non si può concludere che non si possa nemmeno conoscere l'esistenza della causa
e qualche cosa della sua perfezione. Conosciamo sicuramente dt essa ciò che le
deve necessariamente convenire come Prima Causa eccedente tutti gli effetti cau.
sati, rtistinta necessariamente da essi, precontenente le perfezioni degli effetti, ma
-senza I limiti con cui esistono In essi. Le perfezioni create cl manifestano vera-
mente le perfezioni Increate, perchè " se è voro che tra Il finito e l' infinito non
c'è proporzione in senso matematico, secondo una determinata distanza (come
e' è proporzione tra una quantità e un 'altra), ci può essere tuttavia proporziona-
lità, poichè l'infinito sta ali' infinito, come il finito al finito. E in questo modo
e' è somiglianza tra Dio e la creatura ; perchè come Dio sta a ciò che gli com-
pete; cosi la creatura a ciò che le è proprio .. (cfr. De Vertt., q. 23, a. 7, ad 9).
Cosi senza definire propriamente 010 com'è In se stesso, lo conosciamo ccm cer-
tezza nello specchio delle creature, In cui una sua Immagine necessariamente
risulta.
Nell'articolo 6 S. Tommaso precisa I di1·ersi modi di questa analogia di pro·
porzionalltà, mettendo In evidenza una proprietà dell'analogia In genere: che
doè nell'analogia il n()me comune s1 dice primaria:T>Pnte di uno derrli analoirntl
-e secondariamente degli altri. Da questa pror.J"letn risulta cl1e l'anal0gla è metrt-
forirn, quanclo il termine comune ind nde un qualclie coSll che è p!'oprio della
creatura, e cioè una materialità o Imperfezione di cui non può essere spogliato
(p. es.: Dio è Il sole delle menti elette e dei cuori ardenti) ; Invece l'analogia è
proprta quando Il termine comune non Include difetto nel suo significato princl·
pale (p. es., Dio è spirito, è sapiente, è buono; cfr. De Vertt., q. 2, a. 11).
:f: questa l'analogia che più conta (vedi p. 316, nota 1).
Circa l'analog1a la bibliografia è copiosa, data la sua grande Importanza. Cl-
tlanio i seguenti autori: BLANCHE F., " La noti on cl 'analogie dans la philosophle
<le s. Thomas d'Aq ... , In Rev. à.PS s.,tPnre.~ Pllit. et Tlléot., 1921, pp. 169 ss.:
ldem, "r:analogfe •>, In Rev. Plllt., l92:J, PP. :H8 ss.; lrlem, "Une théorle de
1·analot:le '" 1h1d., 1932, pp. 37 ss.: RAMTRF.Z J., •De analogia secundum doctrinam
arlstotellr.o-thomisticam .. , In Ctenc1a Tomi.sia, anni 1~21, 1922, L\J23; l\1ANSER M.,
.. Dle analoge Erkenntnls Gottes ... In Dtv. Tllomas (Frlb.), 1928, pp. 385 ss.; 1929,
pp. 3 ss.; 322 ss.; 373 ss.; MUNNYNCK (DE) A., "Intuition et. analogie"• In Atr1 del
V Congresso internaz1.onale dl Fttornfla., pp. 88 ss. Napoli, rn28; PENIDO M. T. L.,
Le rt'Jle de t'ana1ogie tn 1'h~o1oqt( 11nqmattqu~ Parts. 19.11 ; MARC A., "T: ldée tho
ml~te de l'Mrc et l'analogle d'attrlhution et <le pMportionalitè '" In Rev. Néoscol •
.d~ Pht!., 1933, pp. 157 s&.; BRUSOTT! V., • L'analogia di attribuzione e la conoscenza
di Dio ... in Riv. di Ftloso(ia Neo.<co/nMtca, 1935, pp. ~I ss.; BALrn.1s.<n N., L'ab·
1tractton métapl1ys1que et t'analoqte des Ures dans l'étre. Louvaln, 1935; VAN LEU·
WEN A., • L'analogie de l'étre. Genèse et contenu du con.rept analogique "• In Rev.
Néoscoi. tle PhH., IDZ6, pp. 2~3 ss. ; Ttlem, • Préclsation sur la nature de cette ana-
logie"• tllid., pp. 40'l ss.
• Questa osservazione Indica bene rche l'ordine del pensare è sovente Inverso
all'ordine dell'essere. Cosi noi conosciamo vrima una cosa e pnt la sua causa; ma
'La cau:>a t prima dell'effetto causato. Usiamo un nome chi> si appl1ca In senso
identico a più cose (p. es., •uomo »), un nome untvoco, e lo trasferiamo a slgn!-
ncare cose a cui non convienfl elle per una certa proporzione o somiglianza (p. e.s.,
diciamo "uomo .. anche una pittura, e " umana .. anche una casa): ne tacciamo
un nome ana/.oqo. Nel o.ostro conostere Precede sovente l'unlvooo; ma nell'ordine
della. causalità - ol'dine real~ dcll'esls.tere - precede come primo assolut.o l'agente
anlllogo, che è causa della molteplicità delle specie.
314 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 5-6
sebbene non sia univoco, non è tuttavia del tutto equivoco, perchè
così non causerebbe un qualohe cosa di simile a sè ; ma si può chia-
mare agente analogico: cosi in logica i vari attributi univoci si ri-
ducono a un tevmine primo, non univoco, ma analogico, che è l'ente. 1
2. La somiglianza della creatura con Dio è imperfetta: non lo rap-
presenta neppure secondo un medesimo genere, come si è provato
altrove.
3. Dio [come causa] è misura [degli enti], ma è una misura ecce-·
dente ogni loro proporzione. Per cui non è necessario che Dio e le
creature siano contenute sotto un medesimo genere.
Gli argomenti in contrario provano che i predetti nomi non si di-
cono di Dio e delle creature univocamente; ma non provano che si
dicano equivocamente. 1
ARTICOLO 6
Se i nomi si dicano delle creature prima che di Dio.
SEMBRA che i nomi si dicano delle creature prima che di Dio. In-
fatti:
1. Noi nominiamo le cose secondo che le conosciamo, essendo le
parole, a detta di Aristotele, cc segni dei concetti ». Ora, noi cono-
.sciamo prima la creatura che Dio: quindi i nomi da noi imposti
prima convengono alle creature e poi a Dio.
2. Secondo Dionigi cc noi nominiamo Dio dalle creature ». Ma i
nomi che noi dalle creature trasferiamo in Dio, si dicono prima delle
creature che di Dio, come le parole leone, pietra e simili. Dunque
tutti i nomi che si attribuiscono a Dio ed alle creature, si dicono
prima delle creature che di Dio.
1 Vedi p. 309, nota 3. Tutta la realtà esistente si riconduce al concetto di ente
(=qualche cosa che è; ogni realtà è un qualche cosa che è). Tutto ciò che è
partecipa dell'ente; ma l'ente in senso pieno è la sostanza, a cui propriamente
compete di essere. Alle alt.re realtà non compete che in senw partecipato e dimi-
nuito: non sono propriamente ciò che esiste, ma ciò per cui la sostanza esi5te
sotto determinati aspetti ; vale a dire è, p. es., bianea, calda, ecc. E dunque,
quello di ente, un concetto e un termine analogo. Sicchè anche nell'ordine loglro
dei nostri concetti e dei termini. risalendo fino al principio, troviamo come primo
non l'univoco, ma l'analogo: Il differente che non è del tutto differente, ma si-
mile senza essere identico. La realtà, che è molteplice in sè, e si moltiplica anche
di più nel nostri conoottl, non è affatto omogenea, senza essere del tutto ete-
rogenea: è identica e diversa, simile e dissimile: stmllitudo disstmilis, dtssìmili-
tudo stmtlts. Ecco la ragione ossia 11 fondamento dell'analogia. Già le creature
sono cosi tra loro: simili e dissimili, nella stessa dissomiglianza simili. A più forte
ragione va afferma.ta la stm.i!ttudo dtsstm.tLts quando si tratta delle creature e
di Dio.
2 Tenendo presente questa dottrina dell'analogia, si eviterà: 1) l'errore del-
l'antropomor(ìsmo, che consiste nel conc~pirc Dio in tutto simile all'uomo; o
l'uomo troppo simile a Dio. Non han detto I filosofi Idealisti dell'atto puro, eh~
la divinità non è che il pensiero dell'uomo? Non.han detto certi filosofi moderni
che Dto non si deve concepire come infinito e onnipotent.e, ma limitato esso
stesso. e lottante contro ostacoli che tenta superare, alla maniera che l'uomo tenta
di superare i ~uoi ostacoli; bisognoso anch'esso, questo Dio, di essere aiutato nelle
sue lotte dalle sue stesse creature? Un Dio demiurgo, mn neppure nel sen50 r'l<'no
che Platone attribuiva a questo termine. Un tale lllo sarebbe un' l1•otesi inutile, d~
cui si può fare a meno, perchè lascerebbe tutte le questioni Rperte e insolubili. -
I NOMI DI DIO 315
non sit univocum, non tamen est omnino aequivocum, quia sic non
faceret sibi simile ; sed potest dici agens analogicum: sicut in prae-
dicationibus omnia univoca reducuntur ad unum primum, non uni-
vocurn, sed analogicum, quod est ens.
Ao sEcUNUUM DICENDUM quod similitudo creaturae ad Deum est im-
perfecta: quia etiam nec idem secundum genus repraesentat, ut su-
pra : q. 4, a. 3 j dictum est.
Ao TERTllJM mcENfll'M qnod De11s non el't men~ura proportionata
mensuratis. Unde non oportet quod Deus et creaturae sub uno ge-
nere contir.eantur.
Ea vero quae sunt in contrarium, concludunt qupd non univoce
huill'3modi nomina de Deo et creaturis praedicentur: non autem
'JUOd aequivoce.
ARTICULI;S Q
Utrum nomina per prius dicantur de creaturis quam de Deo.
Supra, a. 3 ~ I Sent., d. 22, a. 2; I Cont. Gent., c. 34; Compend. Theoi., c. 'Z1:
in E.'phes., c. 3, lect. 4.
Dio e l'uomo non convengono neppure nello st~sso genere remoto. Nota il Ser·
tiJlanges (SOM. FR~NC., lJieu, II. p. 335): «nell'interno di uno stesso genere vi
possono essere già somiglianze ben lontane, p. es., quella di un ciottolo e di un
cervello umano, che nppartengono tntti e dne al genere sostanza. A che cosa dovrà
dunque ridursi la somiglianza quando tra due esseri non vi è comune neppure il
genere?"· Per non materializzare le cose divine, bisogna insistere molto su que-
&ta dtversità. "Tra il Creatore e la ere.a tura, dice il Concilio Lateranense IV, non
si dPve mat affermare somiglianza tonto grande, senza affermare una dissomi·
glianza ancora più grande• (DENZ., 432).
2) Con la dottrinn clell'annlogia si evita pure l'errore dell'agnosticismo, il qua.le
consiste nel negare ogni possibile conoscenza di Dio a partire dalle creature. L'es-
sere delle creature e l'essere di Dio, secondo l'agnosticismo, &arebbe del tutto equi·
voco, slcchè, come asseriva il nominali~ta Nicola d'Autrécourt (secolo XII; cfr.
Di::-<z .. 5:;3 ss.) sia dicendo: "Dio è•, sia dicendo: •Dio non è•, si verrebbe ad affer-
mare l<J. stessa cus<J. sebbene in modo dlffrrente; cioè non si afferrnereùbe nulla,
poiché i noilli detti di Dio e delle creature sono un puro equivoco. Di Dto tutto
ignoria1110 e n11Jln fJOS$ia111-0 di lui affermare con veritiL Ed è questa la" posizirne
dei teologi protestanti, K. Barth e scuola, i quali misconoscono del tutto questa
concezione realistica dell'analogia chiamandola, anzi, Invenzione dell'Anticristo
(cfr. Introd., n. 7). Ma per questo sono costretti a chiudersi in un agnosticismo
mortit\cante che rende del tutto sterile per noi la parola stessa di Dio. S. Tommaso
invece dimostra che qualcosa di Dio po&siamo sapere, a partire dal suoi effetti,
perrhè essi. sebbene remotissimi da lui, contengono tuttavia una certa reale somi-
1rltanza delle perfezioni dell 'as~oluto; onde la nostra conoscenza delle cose divine
è vrra, anche !le molto lmpl'rf~tta. (Vedi p. 21\6, nota t; p. 311. no1a 2).
316 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 6
' I nomi che includono i limiti o le imperfezioni proprie delle creature, non s1
dicono di Dio se non metaforicamente. Con l'analogia metaforica non si qualifirn
una realtà esistente nei due analog-ati, poichè la realtà da cui si desume il concetto
e la denominazione è propriamente soltanto in uno degli. analoghi (come Il ridere
è nell'uomo, la forza nel leone). Nell'altro analogo non sl può neppure dire
che c'è una somigllanza di tale realtà, perchè con il termine metaforico 5i qua-
11flca vluttosto un modo di agire o di comportarsi, quale risulta dall'effetto, che
non un modo di essere, che produca l'agire o l'etretto. Cosi dicendo • il prato
I NO.MI DI DIO 317
ride'" non si dice nulla dell'intrinseca realtà del prato, ma solo quale cl apparn
In una sua manifestazione primaverile: e dicendo "Dio è adirato "• mettiamo in
evidenza soltanto una somiglianza di effetti tra i·uomo quando è mosso dall'ira,
e Dio quanùo giustamente punisce la colpa. E evidente che le metafore nulla ci
fanno conoscere propriamente di Dio, perchè è as&ai Hù vero dire "Dio non è
adirato•; come si deve dire che in Dio nulla vi è di materiale o di ciò che è
proprio delle creature in quanto creature. Se tutti i nostri concetti e nomi circa
Dio avessero valore di metafore, o simboli, che è lo stesso, l'agnosticismo sarebbe
pienaru&Dte glustlflcato.
818 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa.. ~7
ARTICOLO 7
Se i nomi che importano relazione alle creature si attribuiscano a Dio
dall' inizio del tempo.'
ARTICULUS 7
Utrum nomina quae important relationem ad creaturas,
dicantur de Deo ex tempore.
Infra, q. 34, a. 3, ad 2 ; 1 Sent., d. 30, a. t ; d. 37, q. !I, a. 3.
creto o astratto cfr. p. 21l5. nota 2) rlsenta del modo di essere Imperfetto che ha
in qu:111to attuata nelle creature. Ciò significa che nelle cre~ture rifulgono per-
fezloni le qual i non sono indegne di qualificare la semplicissima realtà divina. La
quale è vPramente essere. s:wlenza. bontà. giu5tizta In grado infinito .... Cosi la
no<tra ronu,rr.,1rn di Dio, pur essendo imperfetta (non è possibile co;>;liere in se
stP,sa la semnlicissima realtà divina ed esprimerla con un nome) è tuttavia vera;
percl1è la SP'f:pllrissima infinita realtà divina è realmente e propriamente e55ere
sarienza. ilontà, ecc. .
1 Queste relazioni non Infirmano la trasi'endenza divina (cfr. Introa. Gen .•
n. 197).
:!20 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 7
può essere che sia soltant:> nella creatura, perchè cosi Dio si deno-
minerebbe Signore a moti\'o della relazione opposta che è nelle crea-
ture: ora niente si denomina dal suo contrario. Resta dunque che
tale relazione è qualche cosa anche in Dio. Ma in Dio nulla vi è
di temporale, essendo egli al disopra del tempo. Duuque pare che
tali nomi non siano da attribuirsi a Dio a cominciare dal tempo.
5. Un attributo relativo si ha in base a una relazione; così avremo
Dominus (Signorej da dominio, come l.Jianco da bianchezza. Se dun-
que la relazione di dominio non è in Dio realmente, ma solo ideal-
mente, ne viene che Dio non è realmente Signore [Dominus]. Il che
è falso.
6. Quando si tratta di entità relative che per natura non son
chiamate a stare insieme, l'una può esistere senza che esista l'altra:
cosi lo scibile esiste anche se non esb:te la scienza, come osserva
Aristotele. Ora, i i·elativi che si affermano di Dio e delle creature
non sono fatti per stare insieme. Dunque qualche cosa può attri-
buirsi a Dio in relazione alle creature ancorchè la creatura non esi-
sta. E cosi questi nomi, Siynore e Creatore, si dicono di Dio dall'eter-
nità e non dal!' inizio del tempo.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che questa denominazione relativa
di Signore conviene a Dio dall'inizio del tempo.
RISPONDO: Certi nomi che importano relazione alla creatura, sono
detti di Dio [a cominciare] dal tempo e non dall'eternità.
Per chiarire la cosa ricordiamo che alcuni sostennero che la rela-
zione non ha un'esistenza ndla realtà, ma solo nella mente. Però la
falsi1à di questa opinione apparisce chiarameute dal fatto stesso che
le cose hanno tra loro un certo ordine e un certo rapporto in forza
della loro stessa natura. Dol.Jbiamo invece osservare che, richiedendo
la relazione due estremi, vi sono tre modi in cui essa può essere un
ente reale o di ragione. Talora infatti per parte di tutti e due gli
estremi è solo ente di ragione, quando cioè non vi può essere ordine o
rapporto tra diverse cose che secondo la sola apprensione della mente,
come quando si dice che una cosa è identica a se stessa. E in vero,
la ragione nel concepire due volte una cosa, la può considerare
come due cose; e così scorge un certo rapporto di essa con se mede-
sima. Lo stesso avviene di tutte le relazioni che sono tra l'ente ed il
non-ente: relazioni che la mente forma in quanto concepisce il niente
come un estremo della relazione. L'identica cosa si verifica di tutte
le relazioni che dipendono dall'atto della ragione, come il genere e
la specie e simili. 1
Alcune relazioni invece sono vere entità reali cmanto all'uno "
all'altro estremo: quando cioè la relazione nasce fra due cose per
una realtà comune all'una e all'altra. La cosa apparisce chiara-
mente in tutte le relazioni basate sulla quantità, come il grande e il
piccolo, il doppio e la metà e simili: infatti la quantità si trova real-
mente nei due estremi. Lo stesso vale per le relazioni che risulta.no
dall'azione e dalla passione, come la relazione del motore e del mo-
bile, del padre e del figlio, e simili. 2
i Appunto perchè la nostn mente non riesce a cogliere la realtà con un unico
concetto adeguato, e non riesce ad asslrnllarla se non con diversi concetti, sta-
bilisce tl'n quest.i concetti che significano tutti In stessa realtà, delle 1·ctaztonl, le
quali sono fonrlnte In !JIHlche modo sulla realtì\ pensata, mn propriamente sono
un prodotto del pensiero. Cosi, Intendendo l'uomo com11 sostanza, come vivente,
I NOMI DI DIO :m
Sed non potest esse quod sit in creatura tantum : quia sic Deus de-
nominaretur Dominus a relatione opposita, quae est in creaturis ;
nihil autem denominatur a suo opposito. Relinquitur ergo quod re-
latio est etiam aliquid in Deo. Sed in Deo nihil potest esse ex tem-
pore, cum ipse sit supra tempus. Ergo videtur quod huiusmodi no-
mina non dicantur de Deo ex tempore.
5. PRAETEREA, secundum relationem dicitnr aliquid relative: puta
secundum dominium dominus, sicut secundum albedinem albus. Si
igitur relatio dominii non est iu Deo secundum rem, sed solum se-
cundum rationem, sequitur quod Deus non sit realiter Dominus:
quod patet esse falsum.
6. PRA~'TEREA, in relativis quae 11on sunt simi:I naturn, unum potest
esse, altero non existente: sicut scibile existit, non existente scientia,
ut dicitur in Praedicamentis [c. 5J. Sed relativa quae dicuntur de
Deo et creaturis, non sunt simul natura. Ergo potest aliquid dici re-
lative de Deo ad creaturam, etiam creatura non existente. Et sic
huiusmodi nomina, Dominus et Creator, dicuntur de Deo ab aeterno,
et non ex tempore.
SF.n coN1RA EST quod dicit Augustinus, 5 De Trinit. [c. 16], quod
haec relativa appellatio Dominus Deo convenit ex tempore.
!1F.SPONDEO DICENDUM quod quaedam nomina importantia relatio-
nem ad creaturam, ex tempore de Deo dicuntur, et non ab aeterno.
Ad cuius evidentiam, sciendum est quod quidam posuerunt relatio-
ncm non esse rem naturae, sed rationis tantum. Quod quidem ap-
paret esse falsum, ex hoc quod ipsae res naturalem ordinem et habi-
tudinem habent ad invicem. Veruntamen sciendum est quod, cum
rclatio requirat duo extrema, tripliciter se habere potest ad hoc quod
sit res naturae et rationis. Quandoque enim ex utraque parte est res
rationis tantum: quando scilicet orda vel habitudo non potest esse
inter aliqua, nisi secundum apprehensionem rationis tantum, utpote
cum dicimus idem eidem idem. Nam secundum quod ratio apprchen-
dit bis aliquod unum, statuit illud ut duo; et sic appr.ehendit quan-
dam habitudinem ipsius ad seipsum. Et similiter est de omnibus re-
lationibus quae sunt inter ens et non ens ; quas format ratio, inquan-
tum apprehendit non ens ut quoddam extremum. Et idem est de om-
nibus relationibus quae consequuntur actum rationis, ut genus et
species, et huiusmodi.
Quaerlam vero relationes sunt, q11antum ad utrun•que extremum,
res naturae: quando scilicet est habitudo inter aliqua duo secundum
aliquid realiter conveniens utrique. Sicut patet de omnibus relatio-
nibus quae consequuntur quantitatem, ut magnum et parvum, du-
plum et dimidium, et huiusmodi: nam quantitas est in utroque extre-
morum. Et simile est de relationibus quae consequuntur actionem
et passionem, ut motivum et mobile, pater et filius, et similia.
come animale, come razionale, come individuo esistente, forma di esso tanti con-
cetti (la ricchezza di perfezLone che è nell'uomo si presta a ctò) I quali stanno tra
l.oro In rapporto di generale o indeterminato a speciale o determinato, donde i
generi, le differenze, le specie, ecc. L'ordine dei concetti nello sviluppo della CO·
noscenza è studiato dalla Logica, la quale è la sctenza del modo di procedere
della n'ostra mente nel conoscere, e un'arte per gul<lnrla in questa or1erazlone.
• In questi casi il rapporto è rectproco e non dipende dalla nostra conoscenza:
una quantità è realmente ptù piccola o più grande di un'altra; un motore è re:il-
wente causa del moto del mobile; due COi'e sono realmente simili o dissimil!. La
relazione In questi casi è reale ed è fondata nel dne estremi.
322 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 7
delle rea li relazioni de<rli atti nostri a<:I essi. Cosi anchi> il • de•tro .. e • stnl•t.ro "•
"vicino• e • lor.tano • detti d1 cose Immobili situate nello spazio, per rapporto a
noi l'he ci movi,1•110. TI 11•nto, e q11inrli il variare della relazione, è In noi, non
nella cos.t rimasta Immutata; tuttavia la nostra mente che misura la concepisce
nec;essariamente come correlativa, non potendo intendere ii moto dell'animale,
ossia la vnriazione spaziale, se non riferentlO•i all' irnmohile.
' Cosi Dio riceve realmente nucve vere denominazioni, nel tempo. senza pre-
gilulizio della ~na assoluta i111111ut:ihilità. È leg~e ciel pensiero che si clenomini
dalla rel:1zione reale, come correlativo. anche l'altro termine nel quale il rapporto
non esiste. La ragione lo concepisce necessariamente come correlative. ; Il nesso è
soln <Il r::gh'nt'. I e cose "011<J rtai111eme ordinate a IJio, ]Joichè tutto il loro tS-
sere deriva da lui, è conservato da lui e tende al suo fine diretto da lni. :\la
!Jio non è or1lin:1to alle ro,e, po1c;1è •l sopr•1 e fi:ori di esse. Creatore e crcatu:·a for-
mano due ordini cltstintl e diversi. uno dei quali, Il creato, è tutto subordinato
ali" Increato; ma questo è totalnoente inc!iPC'nt.lente.
• Ci~ca la natura delle relazh1ni e la lor<:' divisione cfr. fil:. Tom., • Relatlo "·
324 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 7
Sehbene dunque Dio sia anteriore alle creature, tuttavia, poichè nel
concetto di Dominus [Signore o Padrone] è incluso l'avere un "ser-
vo n, e viceversa, questi d11e relativi, Dominus e servo, sono per na-
tura simultanei. Quindi Dio non fu Signore [Dominus] prima che
avesse la creatura a sè soggetta. •
ARTICOLO 8
Se il nome. Dio sia nome che indica natura.
SEMBRA che il nome Dio non sia nome che indica natura. Infatti:
1. Dice il Damasceno che " Dio viene da fJéeiv, cioè da correre,
e dal soccorrere tutte le cose; o da arfJuv ossia da ardere (perchè
il nostro Dio è un fuoco che consuma ogni ingiustizia); oppure
da ??'f(crn?w, cioè dal vedere, tutte le cose n. Ora, tutto ciò appar-
tiene all'operazione. Quindi il nome Dio esprime l'operazione [di Dio]
non la natura. 2
2. Una cosa da noi viene nominata secondo che da noi è cono-
sciuta. Ora, la divina natura è da noi ignorata. Dunque questo nome
Dio non significa la divina natura.
IN CONTRARIO: S. Ambrogio afferma che Dio è nome che esprime la
natura.
RISPONDO: Non sempre s' ir:lentifìca la cosa che ha dato origine a
una parola con quella che la parola viene destinata a significare. In-
fatti, come conosciamo la sostanza di una cosa dalle sue proprietà o
dalle sue operazioni, così talora la nominiamo da una sua operazione
o proprietà; P. es., noi 'nominiamo l'essenza della pietra [lapide] da
una sua azione, perchè lede il piede; tuttavia questo nome non è im-
post-0 per significare tale azione, ma per designare l'essenza della
pietra. 3 Trattandosi invece di cose che ci sono note in se stesse, come
il calore, il freddo, la bianchezza e simili, per denominarle non ci
serviamo di altre cose: in tali casi s'identifica l'oggetto indicato
dalla parola con la sua origine etimologica.
Siccome, dunque, Dio non ci è noto nella sua natura, ma si viene
a conoscere attraverso le sue operazioni o effetti, da questi noi lo
possiamo denominare, come si è già detto. Quindi questo nome Dio
designa una certa operazione, se si bada alla sua origine. Infatti
f>SSO è desunto dalla universale provvidenza delle cose: poichè tutti
coloro che parlano di Dio, intendono chiamare Dio colui che ha
l'universale provvidenza delle cose. Per cui Dionigi dice che "la
deità è quella che guarda tutto con provvidenza e bontà perfetta n.
li nome Dio da tale operazione deriva, ma è destinato ad esprimere
la divina natura.
e dipenda dalle cose; ma che le cos.~ dipendono (\alla scienza di Dio. Nella scienza
divina non e' è che una relazlon<o di rag-ione. D~l fatto poi che la realtà h:i ordine
alla scienza divina, da cui è posta nell'es&ere, segue che essa sia conoscibile
da qualsiasi Intelletto, os;ia che i11 qualche modo implichi la coesi5tenza della
nostra S'.'i('nza come possibiJP.
1 Quindi pur essendo Dio anteriore alla creatura, non si denomina " Domlnus"
da tutta l'eternità, perchè "domlnns" non dice sola attitudine, come li termine co-
noscihile, quasi significasse uno che può esercitare un dominio; ma significa uno
rhe esercita nttnalmente un dominio; Il rhe non è senza un dipendente.
I NOMI DI DIO 327
nam scitum non est aliquid nisi sit eius scientia. Licet igitur Deus
sit prior creaturis, quia tamen in significatione Domini clauditur
quod habeat servum, et e converso, ista duo relativa, Dominus et ser-
vus, sunt simul natura. l)nde Deus non fuit Dominus, antequam ha-
beret creaturam sibi subiectam.
ARTICULUS 8
Utrum hoc nomen Deus sit nomen naturae.
t Sent., d. 2, expos. lit.
Ao OCTAVUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod hoc nomen Deus non sit
nomen naturae. Dicit enim Damascenus, in 1 libro [De Fide Orth.,
c. 9], quod "Deus dicitur a theein 11, quod est currere, "et fovere
universa; vel ab aet!teìn, idest ardere (Deus enìm noster ignis consu-
mens est omnem malitiam); ve! a theasthai n, quod est considerare,
"omnia"· Haec autem omnia ad operationem pertinent. Ergo hoc
nomen Deus operationem significat, et non naturam.
2. PRAETEREA, secundum hoc aliquid nominatur a nobis, secundum
quod cognoscitur. Sed divina natura est nobis ignota. Ergo hoc no-
men Deus non signifìcat naturam divinam.
SEo CONTRA EST quod dicit Ambrosius, in libro 1 De Fide [c. 1], quod
Deu.s est nomen natmae.
RESPONDEO orcENDUM quod non est semper idem id a quo imponitur
nomen ad signifìcandum, et id ad quod significandum nomen impo-
nitur. Sicut enim substantiam rei ex proprietatibus vel operationibus
eius cognoscimus, ita substantiam rei denominamus quandoque ab
aliqua eius operatione vel proprietate: sicut substantiam lapidis de-
nominamus ab ali qua actione eius, qnia laedit pedem; non tamen
hoc nomen impositum est ad signiflcandum hanc actionem, sed sub-
stantiam lapidis. Si qua vero sunt quae secundum se sunt nota no-
bis, ut calor, frigus, albedo, et huiusmodi, non ab aliis denominan-
tur. Unde in talibus idem est quod nomen ·significat, et id a quo impo-
nitur nomen ad significandum.
Quia igitur Deus non est notus nobis in sui natura, sed innotescit
nobis ex operationibus vel effectibus eius, ex his possumus eum no-
minare, ut supra [a. 1] dictum est. Unde hoc nomen Deus est nomcn
operationìs, quantum àd id a quo imponitur ad significandum. Im-
ponitur enim hoc nornen ab universali rerum providentia: omnes
enim loquentes de Deo', hoc intendunt nominare Deum, quod habct
providentiam universalem de rebus. Unde dicit Dionysius, 12 cap.
De Div. Nom. [lect. 1], quo:i "deitas est quae omnia videt providen-
tia et bonitate perfecta "· Ex hac autem operatione hoc nomen Deus
assumptum, impositnm est ad signifìcandum divinam naturam.
• S. Tommaso ri5pettava, come non pochi filologi recenti, questi dati etimolo-
gi.cl (ad I). Altri filologi moderni Invece fecero derivare il nome fleoç dalla radice
dyu, e la sua forma attuale si spiegherebbe col vocabolo detvos (= 5u lfoc) il cui
dig:unnia avrebbe dato luogo all'aspirazione iniziale (cfr. POTT, Etymolog. Fors-
chungen, I, 101); altri pensano derivi dalla radice {}e, che significherebbe suppltca
(CuRnus, Grtech. Etymotog., alla voce in questione); altri da una radice dhveso,
che significherebbe sptraztone, e cosi '~'"' equivarrebbe a spirito, oppure dalla
radice dl1e, cioè porre, e allora {},,;, avrebbe il significato di r:reatore.
a Vedi sopra a. 2, ad 2.
LA SOM~IA TEuLOGICA, I, q. 13, aa. S-9
ARTICOLO 9
Se il nome Dio sia comunicabile.
ARTICULUS 9
Utrum hoc nomen Deua sit communicabile.
AD NONUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod h-OC nomen Deus sit com-
municahile. Cuicnmque enim communicatur res significata per no.
men, communicatnr et nomen ipsum. Sed hoc nomen Deus, ut dictum
est ra. praec. ], si.Emifìcat divinam nat11ram, quae est communicahilis
:aliis, secundum illud 2 Pet. 1, 4: «magna et pretiosa promissa nobis
donavit, ut per hoc efficiamur divinae consortes naturae "· Ergo
hoc nomen Deus est communicabile.
2. PRAETEllEA, sola n-0mina propria non sunt cpmmunicabilia. Sed
hoc nomen Deus non est nomen propriuin, sed appellativum: quod
patct ex hor. quort habet plurale, sec11nd11m illurl Psalmi 81, 6: «Ego
dixi, dii eslis n. Ergo hoc nomen Deus est communicabile.
3. PnA~:TEREA, hoe nomen De·us imponitnr ab operatione, ut dictum
est [a. praec.]. Sed alia nom!na quae imponuntur Deo ab operatio-
nibns, sive ab effectibus, sunt communicabilia, ut bonus, sapiens et
huiusmodi. Ergo et hoc nomen Deus est communicabile.
SEo CONTRA EST quod dicitur Sap. 14, 21: « incommunicabile nomen
lignis et lapidibus irnposuerunt n ; et loquit11r de nomine deitatis.
Erp:o hoc nomen Deus est nomen incommnnirabile.
RESPONDIW DICENDUM quod aliqn-Od nomen potest esse communica.
bile d11plicit-er: uno modo, proprie ; alio modo, per &imilitudinem.
Proprie quidem c0 mmunicabile est, quod secundµm totam signifi-
cationem nominis, est communicabile multis. Per similitudinem
perfll21onl, senza limiti, tutte trascendendole Infinitamente. Egli deve essere cosl
·11"vogliamo spiegare le cose, che non hanno In se stes!lfl la. ragione del lori) eslsteJ'9
e della l01l0 sµeclllca perteziOllH. :>e Uio non tosse diverso dalle cuoe e 11un Je t.r"·
l'CPndesse Infinitamente, p!'econtenenl1o la pienezza d~ll 'essere, non si potrebbero
11plegare e rendere Intelligibili le cose, avrehhe egli ste•so hlsogno 111 spiegazione.
SOMMA TEOLOGICA, I, Q. 13, A. 9
è quello che si attribuisce ad altri esseri per qualcuno dei vari ele-
menti inclusi nel suo significato. P. es., il termine leone in senso
proprio è detto di tutti quegli animali nei quali si riscontra la natura
espressa da tale nome: per somiglianza [o analogia] si attribuisce
a tutti gl' individui i quali partecipano alcunchè di leonino, come
l'audacia o la fortezza, per cui si dicono metaforicamente leoni.
Per sapere poi quali nomi siano comunicabili in senso proprio,
bisogna notare che ogni forma esistente in un soggetto singolare,
da cui riceve la sua individuazione, è comune a più individui o real-
mente o almeno secondo la considerazione della nostra mente: p. es.,
la natura umana è comune a più individui realmente e secondo il
nostro modo di concepire, mentre la natura del sole non è comune
a più individui in realtà, ma solo secondo il nostro modo di con-
cepire, poichè la natura del sole possiamo supporla attuata in più
soggetti. • E ciò perchè la nof:tra mente concepisce la natura di cia-
scuna specie astraendo dal singolare: quindi esistere in un solo
individuo, <> in più, non rientra nel concetto che noi ci formiamo di
una natura specifica: perciò, salvo restandone il concetto, ogni na-
tura specifica si può pensare attuata in più soggetti. Il singolare,
invece, per il fatto che è singolare, è distinto da ogni altra realtà.
Quindi ogni nome imposto a significare il S'ingoiare è incomunica-
bile e secondo la realtà e secondo il nostro modo di concepire: non
può infatti neppur venire in mente la molteplicità di questo deter-
minato individuo. Sicchè nessuno dei nomi che designano l' indi-
viduo è comunicabile a più soggetti in senso proprio, ma solo in senso
figurato; cosi, p. es., uno può esser detto un Achille, in senso meta-
forico, in quanto possiede qualcuna delle pmprif:tà di Achille, cioè
il coraggio.
Ora, le forme che non vengono individuate da un qualche &ag-
getto, ma da se medesime (perchè cioè sono forme sussistenti), se
venissero concepite [da noi] quali sono in se stesse, non si potrebbero
dire comunicabili nè realmente, nè secondo il nostro modo di inten
dere; tutt'al più [sarebbero comunicabili] per analogia, come si è
detto degli individui. 2 Però siccome noi non possiamo conoscere le
forme semplici per sè sussistenti come esse sono, ma le conosciamo
al modo degli esseri composti aventi forma nella materia, allora,
come abbi::imo detto, diamo ]oro dei nomi concreti che esprimono la
natura [come fosse attuata] in qualche soggetto. Quindi, per quanto
concerne la questione dei nomi, vale la stessa ragione per i nomi che
noi usiamo per indicare la natura delle cose composte e per quelli
che adopriamo per significare le nature semplici sussistenti.
Allora, siccome il termine Dio è preso a significare la natura di-
vina, come abbiamo già detto; e siccome, d'altra parte, la natura
divina non è moltiplicabile, come abbiamo dimostrato; ne viene che
questo nome Dio è realmente incomunicabile, ma è comunicabile
secondo una [falsa] opinione, come sarebbe comunicabile il nome
sole secondo l'opinione di coloro che ammettessero più soli. In que-
' L'unicità del sole nel sistema cosmico tolemaico era concordemente affer-
mata come un fatto dalla scienza di allora. Aveva una sua natura sveclfica che lo
distingueva da ogni altro astro; ma era l'unico esemplare nella sua specie, come
corpo aut.olumln0&0. illuminante gli altri corpi celesti. La sua moltiplicabilità
tuttavia, nota S. Tommaso, era perfettamente concepibile: si potevano pensar~
più soli, come possibili.
I NOMI DI DIO 331
autem communicabile est, quod est communicabile secundum aliquid
eornm quae inc:luduntnr in nominis signilicaiione. Huc enirn uomen
leo proprie communicatur omnibus illis in quibus invenitur natura
qnarn significat hoc nomen l•:o: per similitudinem vero communica-
bile est illis qui participant aliquid leoninum, ut puta andaciam vel
fortitudinem, qui metaphorice !P.ones dicuntur.
Ad sciendum autem quae nomina proprie sunt communicabilia,
con~iclerantlum est quod omnis forma in supposito singulari existens,
per quod ir1dividnatur, communis est multis, vel secuudum rem vel
secundum rationem saltem: sicut natura Immana c 0 mmi:nis est
mnltis secnndurn rern et rationem, natura nut<>m s0lis non est com-
munis multis secundum rem, sed secundum rationem tantum; pot-
est enim natura solis intelligi ut in pluribus suppositis existens. Et
hoc ideo, quia intellectus intelligit naturam cuiuslibet speciei per abs-
tractionem a singulari: unde esse in uno supposito singulari vel in
pluribus, est praeter intellectum naturae spcciei: unde, servato in-
tellectu naturae speciei, potest intelligi ut in pluribus existens. Sed
singulare, ex hoc ipso quod est singulare, est divisum ab omnibus
aliis. Unde omne nomen impositnm ad significandum aliquod singu-
lare, est incommunicabile et re et ratione: non E-nim potesi nec in
apprehensione cadere pluralitas huins individui. Unde nullnm no-
men signif.cans aliqnod individuum, est commnnicabile multis pro-
prie, sed solum secundum similitudinem; sicut aliquis metaphorice
potest dici A chilles, inquantum habet ali quid de proprietatibus
Achillis, scilicet fortitudinem.
Formae vero quae non individnantur per aliquad :-:uppositum, sed
per seipsa:s (quia scilicet sunt formae subsistentes), si intelligerentur
secundum quod sunt in seipsis, non possent communicari nec re ne-
que ratione; sed forte per similitudinem, sicnt dictum est de indi-
viduis. Sed quia formas simplices per se subsistentes non possumus
intelligere secundum quod snnt, '3e<l intelligimus eas ad modnm re-
rum compositarum habentium fnrmas in materia ; ideo, ut dictum
est [a. l, ud 2], impcnimus eis nomina concreta significantia natu-
ram in aliquo supposito. Unde, quantum pertinet ad rationem no.
minum, eadem ratio est de nominibns quae a nobis imponuntur ad
significandnm naturas rerum cornpositarum, et de nominibus quae
a nobis imponuntur ad significandum naturas simplices subsistentes.
Unde, cnm hoc nomen Deus impositum sit ad significandum na-
turam divinam, ut dictum est [a. praec.]; natura autem divina mul-
tiplicabilis non est, ut supra [ q. 11, a. 3] ostensum est: sequitur
quod hoc nomen Deus incommunicabile quidem sit secundum rem,
i;ed commnnicabile sit secundum opinionem, quemadmodum hoc no-
men sol esset communicabile secundum opinionem ponentium multos
sol es. Et secundum hoc dicitur Gal. 4, 8: "his qui natura non sunt
dii, serviebatis,, ; glossa [interi.]: <<mm sunt dii natura, sed opi-
• Gli angeli, puri spiriti, forme sussistenti che si individuano per se stesse,
sono, secondo l' lnsegnamentc di S. Tommaso, tra loro di specie dl!Trrenti (cfr. I,
Q. 50, a. 4); dlfferi>cono l'un l'altro dl grado, ed ognuno ha la totale perfezione
del suo grado. Non sono moltipltcabili numericamente nel limiti di unfl ste&<a
specie, come invece sono moltlplicahlll gli uomini, perchè ogni qualsiasi aggiunta
di perfezione nelle forme sussistenti muta specie. Si possono dire comunicabili o
moltiplicabili per llnalogta, quando i;t dice, p. es .• rhe un uomo puro e buono è
un anirel'.l, o slmlli frasi.
L.\ SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 9-10
sto senso dice S. Paolo: "Voi servivate a quelli che per natura
non sono dèi ,, ; e la Glossa soggiunge: «non sono dèi per natura,
ma secondo l'opinione degli uomini"· - Nondimeno il nome Dio è
comunicabile, se non secondo tutta l'estensione del suo significato,
almeno in parte, per un certo [accostamento o] somiglianza: talchè
si potranno chiamare dèi coloro che partecipano un qualche cosa di
divino a modo di somiglianza, secondo le parole dei Salmi: "Io ho
detto voi siete dèi ». '
Ma se ci fosse un nome posto a significare Dio non sotto l'aspetto
di natura, ma sotto quello di supposito [individuale], allora un tal
nome sarebbe del tutto incomunicabile: tale è forse presso gli Ebrei
il Tetragramma. 1 Sarebbe lo stesso che uno desse al sole il suo nome
per indicare [non la natura dell'astro ma] questo [<::orpo celeste] in
particolare.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La natura divina non è comunica-
bile se non secondo la partecipazione di una somiglianza.
2. Il nome Dio è nn appel!ativo e non un nome proprio, perchè
significa la natura divina come se si trovasse in un soggetto che
la possiede; sebbene Dio, in realtà, non sia nè un essere universale,
nè un essere particolare. Difatti i nomi non seguono il modo di es-
sere che si trova nelle cose, ma il modo di essere che hanno nella
nostra cognizione. E nondimeno in realtà è incomunicabile, come si
è detto riguardo al nome sole.
3. I termini buono, sapiente e simili, son derivati, è vero, da per-
fezioni causate da Dio nelle creature; ma essi non sono usati per
significare l'essenza divina, bensì le perfezioni prese in se stesse e in
modo assoluto. E perciò anche secondo la realtà rlelle cose sono co-
municabili. Invece il tt~rmine Dio deriva da un'operazione esclusiva
di Dio, che noi continuamente sperimentiamo, ed è assunt'> a signi-
ficare la divina natura.
ARTIC:OLO 10
Se il nome Dio si dica con lo stesso significato univoco,
applicato a [colui che è] Dio per natura, [a chi lo è] per parteeipazione
e [a chi lo è] nell'opinione [degli uomini].
ARTICULUS 10
Utrum hoc nomen Deus univoce dicatur de Deo per participationem.
seeundum naturam, et secundurn opinfonem.
Dunque anche il nome Dio si dice univocamente del Dio vero e del
dio creduto tale.
3. l 111ivoci si dicono quei termini che hanno un medesimo senso.
Ora, il cattolico quando dice vi è un solo Dio, col nome di Dio in-
tende un essere onnipotente, degno di venerazionr~ sopra tutte le
cose: l' identica cosa intende il pagano quando afferma che I' idolo
è Dio. Durique in tutti e dne i casi questo nome è detto univoca-
mente.
IN CONTRARIO:' 1. Ciò che è nel!' intelletto non è altro che l' imma-
gine di ciò che è nella realtà. Ora, il termine animale, attribuito al
vero animale e a quello dipinto, è detto con signifìcato equivo.co [nei
due casi]. Perciò il nome Dio, asserito del Dio vero e del dio creduto
tale, è detto equivoeamente.
2. Nessuno può esprimere ciò che ignora. Ora, il pagano non co-
nosce la natura divina. Dunque quando diC'e: cc I' idolp è dio n, non
esprime la vera divinità. La esprinie invece il cattolico che dice es-
servi un solo Dio. Dunque il termine Dio non si dice univocamente,
ma equivocamente del Dio vero e del dio creduto tale.
RISPONDO: Il termine Dio nei tre casi indicati non è preso nè in
senso univoco, nè in senso equivoco, ma in senso a11alogico. Eccone
la chiara dimostrazione. Sono univoche quelle cose che hanno una
definiz'.one del tutto identica; equivoche, quelle che ne hanno una
del tutto diversa; mentre le cose analogiche richiedono che il ter-
mine, preso secondo un unico significato originale, comparisca nella
definizione del termine stesso preso in altri significati. Così l'ente,
detto della sostanza, rientra nella definizione dell'ente, quando si
applica all'accidente; e sano detto dell'animale entra nella defini-
zione di sano detto dell'orina e della medicina: ed invero della sa-
nità dell'animale l'orina è un segno, e la medicina la causa.
Accade così. nel caso nostro. Difatti si !!s:1 ìl tenuirie Dio, nel me-
desimo signifìcato che si adopra per il vero Dio, nel formare il con-
cetto di un dio [presunto ol seconrl11 l'o~1;nione o di un dio per par-
tecipazione. Quando infatti noi chiamiamo uno dio per partecipa-
zione, col nome Dio intendiamo indicare qualche cosa che ha una
somiglianza col vero Dio. Parimente, quando chiamiamo dio 1111
idolo, col termine Dio intendiamo di significare un qualche oosa che
da alcuni uomini viene ritenuta come Dio. E così è evidente che le
accezioni di questo nome sono diverse; ma una di esse si ritrova
nelle altre. E quindi chiaro che si dice in senso analogico.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La molteplicità dei nomi non si ar-
gomenta dalla diversità degli oggetti a cui si attribuiscono, ma da
quella dei loro significati: p. es., il termine uomo, usato come pre-
dicato di qualsiasi entità, secondo verità o falsamente, è sempre
usato con uno stesso significato. Avrebbe, invece, molteplici acce-
zioni, se col termine uomo volessimo esprimere entità diverse; c:ome
se uno lo usasse per indicare quello che veramente l'uomo è; un
altro per significare una pietra, o qualsiasi altra cosa. È evidente,
quindi, che il cattolico, dicendo che l'idolo non è dio, è in perfetto
c.ontrasto col pagano, il quale ciò asserisce: perchè l'uno e l'altro si
servono di questo termine per indicare il vero Dio. 2 E infatti, quando
1 S. Tommaso non consente del tutto con le affermazioni dei due argomenti Ili
CONTRARIO. e ad e&Si risponde nelle soluzioni ad 4 e ad 5.
I NOMI DI DIO
hac beatitudine vera. Ergo et hoc nomen Deus univoce dicitur de D..-o
secundum veritatem, et de Deo secundum opinionem.
3. PRAETEHEA, univoca dicuntur quorum est ratio una. Sed catholi-
cus, cum dicit unnm esse Deurn, intelligit nomine Dei rem ornnipo-
tentem, et super omnia venerandam: et hoc idem intelligit gentilis,
cum dicit idolum esse Deum. Ergo hoc nomen Deus univoce dicitur
utrobique.
SED CONTRA, illud quod est in intellectu est sirnilitudo eius quod est
in re, ut dicitur in 1 Peril1erm. [c. 1, lect. 2]. Sed animal, dictum de
animali vero et de animali picto, aequivoce dicitur. Ergo hoc nomen
Deus, dictum de Deo vero et de Deo secundum opinionem, aequivoce
dicitur.
PRAETEREA, nullus potest significare id quod non cognoscit: sed geI1-
tilis non cognoscit naturam divinam: ergo, cum dicit idolum est
Deus, non significat veram deitatem. Rane antern significat catho-
licus dicens unum esse Deum. Ergo hoc nomen Deus non dicitur uni-
voce, sed aequivoce, de Deo vero, et de Deo secundum opinionem.
REsPONDEO DICENDUM quod hoc nomen Deits, in praemissis tribus
significationibus, non accipitur neque univoce neque aequivoce, sed
analogice. Quod ex hoc patet. Quia univocorum est omnino eadern
ratio: aequivocorum est omnino ratio diversa: in analogicis vero,
oportet quod nomen Fecundum unam significationern acceptum, po-
natur in defìnitione eiusdem nominis secundum alias significatione.:i
accepti. Sicut ens de substantia didum, ronitnr in defìnitione entis
secundum quod de accidente dicitur ; et sanum dictum de animali,
ponitur in detinitione sani secundum quod dici1nr de urina et de me-
dicina; huius enim sani quod est in animali, urina est significativa,
et medicina factiva.
Sic accidit in proposito. Nam hoc nomen Deus, secundum quod pro
Dea vero sumitur, in ratione Dei sumitur secundum quod dicitur
Deus secundum opinionem vel pariicipaiionem. Cum enim aliquem
nominnmus Deum secund11rn particifJationem, intelligimus nomine
Dei aliquid habens l'irnilitndinem veri Dei. Similiter cum idolum no-
minamus Deum, hoc nomine ])e1ts intelligimus signifìcari aliquid, de
auo homil!eS opinant·.1r quod sit Deus. Et sic manifestum est quoti
alia et alia est significatio nominis. sed una illarurn significationum
clauditur in signifìcationi!Jus aliis. Unde manifestum est quod ana-
logice dicitur.
AD PRTM •jl\I ERGO DICENIJl'M quod nominnm multiplicitas non atten-
ditur secirndum nominis praedicationem, sed secundum significatio-
nem: hoc t•nim nomen homo, de quocurnquc praedicetur, sive vere
!'ive false, 'licitnr uno modo. Sed tunc m11ltipliciter diceretur, si per
hoc nomen homo in1enderemus significare diversa: pnta, si unus in-
tenderet sign ific.are per hoc nomen hum•J id quod vere est homo, et
alius intenderet signifìcare eodem nomine lapidem, V8l aliquid aliud.
Unde patet quod catholicus dicens idolum non esse Deum, contradicit
pagano hoc asserenti: quia uterque utitur hoc nomine Deus ad si-
gnifìcandum vernm Deum. Cum rnirn paganus dicit idolum esse
• Vale a dire: appunto perchè il nome ha le· stesso significato in bocca del cat-
tolico o del pagano, è preso cioè dai due univoca mente, essi sono In contrasto:
nno rllre il vern: l'altro dir~ Il falso. Se lo prendessero in diverso senso, e cioè
equivoco, Il contrasto cesserebbe e ognuno direbb3 li vero.
836 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 10-11
il pagano dice che lidolo è Dio, non prende tale parola nel senso
di un presunto dio: chè altrimenti direbbe la verità, poichè gli stessi
cattolici talora prendono il nome di Dio in questo senso, come quando
Si dice: «tutti gli dèi dei pagani sono demonii "·
Lo stesso deve dirsi per la 2" e 3" difficoltà. Poichè le ragioni ad-
dotte partono dalla diversità delle attribuzioni del nome [Dio], non
dalla diversità dei suoi significati.
4. Il termine animale, adoprato per l'animale vero e per quello
dipinto, non è preso in senso puramente «::quivoco ; ma Aristotele
prende il termine equivoco un po' largamente, includendovi anche
l'analogo. 1 Poichè talora .>i afferma che persino la parola ente, la
quale indubbiamente è termine analogico, è attribuita equivocamente
ai diversi predicamenti.
5. La natura stessa di Dio, come è in st'>, non la conosce nè il cat.
tolico, nè il pagano; ma l'uno e l'altro la conoscono secondo una
certa ragione di causalità, o d'eminenza, o di negazione, come si è
detto sopra. E sotto questo rispetto possono prendere il nome Dio
nello stesso significato e il pagano quando dice: "lidolo è Dio>>, e il
cattolico quando ribatte: "l'idolo non è Dio». Se poi vi fosse qual-
cuno che non conoscesse Dio in nessun modo, allora neppure po-
trebbe nominarlo, o al massimo potrebbe nominarlo come quando
noi proferiamo delle parole delle quali ignoriamo il significato.
ARTICOLO 11
Se il nome Colui che è sia il nome più proprio di Dio.
SEMBRA che il nome Colui ch·e è non sia il nome più proprio di Dio.
Infatti:
1. Il termine Dio è un nome incomunicabile, come si è già detto.
Ora, il nome Colui che è non è un nome incomunicabile. Dunque non
è il nome più proprio di Dio.
2. Dionigi dice che "18 parola brne è manifestativa per eccellenza
di tutte le emanazioni di Dio». 2 Ora, a Dio conviene necessariamente
d'essere il principio universale di tutte le cose. Dunque il nome pro-
prio per eccellenza di Dio è il bene, e non Colui che è.
3. Ogni nome divino deve importare relazione con le creature, poi-
chè Dio non è conosciuto da noi che per mezzo delle creature. Ora,
questo nome Colui clte è non ha nessuna attinenza con le creature.
Dunque esso non è il nome più proprio di Dio.
IN CONTRARIO: È detto nella sacra Scrittura• che alla domanda di
l\fosè: "Se mi chiederanno: - Qual è il suo uome? che dirò loro? - n
il Si~nore rispose: «Dirai loro così: - Colui che é mi ha mandato
1 Infatti Aristotele scrive nel libro Delle Categorte (c. I, a. 1): •equivoche (6,u-
,:.vtma si rtirono cose di cui solo il nome è comune, mentre il concetto della loro
essenza, significato dal nome, è diverso; cosi vivente si dice (equivocamente)
l'uorno (verol e il dipinto"· Quanto all'ente, scrive nel libro 4 Della M~tn'fl.1Hcn lr. 2,
B 1003 a. 33) che non si dice delle cose equivocamente ( .;.~ ,;,,,,,,.,·..,"' ) ; ma nel libro
citato DeUe Categorie divide il termine equivoco in equivoco casuale (senso stretto
di equivoco) ed equtvoco lntenztonale; e quest.o è propriamente l'analogo. SI capi-
I NOMI DI DIO
Deum, non utitur hoc nomine secundum quod signiflcat Deum op1-
nabilem: sic enim verum diceret, cum etiam catholici interdum in
tali significatione hoc nomine utantur, ut cwn dicitur [Ps. 95, 5),
,, omnes dii gentimu daemonia "·
Et similiter dicendum ad secnndum et tertium. Nam illae rationes
procedunt secundnm diversitatem praedicationis nominis, et non se-
cundum diversam significutionem.
AD QUARTUM DICENDUM quod animai dictum de animali vero et de
picto, non dicitur pure aequivoce; sed Philosophus [ Categor., c. 1),
largo modo accipit aequi\'oca, secnndum quod includunt in se ana-
loga. Qnia et ens, quod analogice dicitur, aliquando dicitur aequi-
voce praedicari de diversis praedicarnentis.
AD QUJNT!JM DICENDl:M quod ipsam naturam Dei prout in se est,
neque catholicus neque paganus cognoscit: sed uterque cognoscit
eam secundnrn aliquarn rationem causalitatis vel excellentiae ve! re-
mJotionis, ut supra [q. 12, a. 12] dictnm est. Et secundum hoc, in
eadem significatione accipere potest gentilis hoc nomen Deus, cnm
dicit idolum est Deus, in qua accipit ipsnm catholicus dicens idolum
non est Deus. Si vero aliquis esset qui secnndum nullam rationem
Deum cognosceret, nec ipsum nominaret, nis1 forte sicut proferimus
nomina quorum significationem ignoramus.
ARTICULUS 11
Utrum hoc nomen Qui est sit maxime nomen Dei proprium.
t Sent., d. 8, q. 1, aa. 1, 3 ;ne Pot., q. 2, a. 1 ; q. 7, a. 5 ; q. 10, a. 1, ad 9 ;
De Dtv. Nom., c. 5, lect. 1.
sce qmndl l"osservnzlone di S. Tommaso che anche l'ente sl può dire equivoco.
Ctr. Dlz. Tom. • Aequivoca •.
2 Allude alla frase con cnl la sacra Scrittura slgllla le opere della creazione:
•vide Di.o tutte le cose che aveva fatte, ed .erano buone a&ai • (Gen., 1, 31).
• I razionalisti hanno cercato di negare l'origine biblica della denominazione
Jahvè, ricorrendo, ma invano, alle ipotesi di una. denvat.lone <1glzlana, o babilo-
nese. o aramea (cfr. D. T. r:., IV. 954-955).
338 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 11
1 Colut che è è la traduzione del nome ebraico Jahvé (in greco ,; w1·), il quale
è lo stesso che Il Tetragramma di cui S. Tommaso ha fatto ce1.1no nell'arti-
colo precedente. Dio ha indicat.:> a Mosè, con questa espressione, il suo nome più
proprio. «Dirai ai figli d'Israele: .. Jahvè ml ha mandato" "· Come spl~.gn qui
S. Tommaso, questo è 11 nome più conveniente a Dio. In ebraico ha quattro lettere:
per questo fu cl1iamato tetragramma (:"11:"1•). Come appare dalla prima risposta,
s Tommaso ignorava questa identificazione, e riteneva che il nome Sllcrosanto, e
impronunciabile a tutti gli ebrei, slgnifica.<rse la sostanza divina CC1me incomunica-
t.ile, quasi come Il non.e proprio di una pe1•sona significa la sua individua essenza
tncom1mlcabile.
• Come i termini trascendentali - Il vero, il buono, Il bello Il perfetto, l'uno •
che significano tutti realmente la stessa co5a che l'ente.
I NOMI DI DIO 339
dit ei Dominus: " Sic dices eis: Qui est misit me ad vos "· Ergo hoc
nomen Qui est est maxime proprium nomen Dei.
RESPONDEO 01CENDUM quod hoc nomen Qui est triplici ratione est
maxime proprium nomen Dei. Primo quidem, propter sui signiflca-
tio1iern. Non cnirn significat formam aliquam, sed ipsum esse. Linde,
cum esse Dei sit ipsa eius essentia, et hoc nulli alii eonveniat, ut su-
pra [q. 3, a. 4] ostensum est, manifestum est quod inter alia nomina
hoc maxime proprie nominat Deum: unumquodque enim denomi-
natnr a sua forma.
Secundo, propter eius universalitatem. Omnia enim alia nomina
vel sunt minus communia; vel, si convertantur cum ipso, tamen ad-
dunt aliqua supra ipsnm sec:nndum rationem; unde quodamlll()do
informant et determinant ipsmn. Intellectus autem noster non po-
test ipsam Dei essentiam cognoscere in statu viae, secundum quod
in se est: sed quemcumque rnodum determinet circa id quod de Deo
intelligit, deficit a modo quo Deus in se est. Et ideo, quanto aliqua
nomina sunt minus determinata, et magis communia et absoluta,
tanto magis proprie dicuntur de Deo a nobis. Unde et Damascenus
dicit [De Fide Orlh., I. 1, c. 9] quod "principalius omnibus quae de
Deo dicuntur nomini bus, est Qui est: toturn enim in seipso compre-
hendens, habet ipsurn e'3Se velut quoddam pelagus substantiae infi-
nitum et indeterminatum ». Quolibet enim alio nomine determinatur
aliquis modus subf'tantiae rei: sed hoc nomen Qui est nullum mo-
dum essendi determinat, sed se habet indeterminate ad omnes; et
ideo nominat ipsum " pelagus substantiae infinitum "·
Tertio vero, ex eius consignifìcatione. Signifìcat enim esse in prae-
senti: et hoc max ime proprie de Deo dicitur, cuius esse non novit
praeteritum ve! futurum, ut dici! Augustinus in 5 De Trinit. [c. 2].
AD PRIMUM ERGO llICENDVM quod hoc nomen Qui est est magis pro-
prium nomen Dei quam hoc nomen Deus, quantum ad id a quo im-
ponitur, scilicet ab esse, et quantum ad modum signifìcandi et consi-
gnifìcandi, ut dictum est (in corp.). Sed quantum ad id ad quod im-
pnnitnr nomen ad signifìcand11m, est magis proprium hoc nomen
De11s, qnod imponitur ad sig11ifìcand11m naturam divinam. Et adhuc
m;igis proprium nomen est Tetrag:rammaton (;-.ii•], quod est im-
positum ad significandam iprnm Dei substantiam incommunicabi-
lem, et, ut sic liceat Joqui, singularem.
AD SECCNDl'M nrcENDt;M quod hoc nomen bonmn est principale no-
men Dei inquantum f'St rnns::i, non tamen simpliciter: nam esse ab-
solut.e praeintelligitur ~ausae.
• Il vero, IJ. es., importa un rapporto ali' Intelletto; Il btwn9, alla volontà; 11
hello ali' intelletto e alla volontà insieme; il perfetto dice ent~ comr1luto; 1·uno
ente indiviso. Rapporti e rtetermin:uioni che sembrano restringere l' lnftnlta uni-
versalità dell'ente. (Verll p. 144, nota 2).
• È questa una considernione inolto cara al santo Vescovo d' lppona, che del-
l'eternità fa quasi il c0stitutiv.) metafisico di Dio: •L'eternità ~ la sostanza
stessa di Dio, che nulla ha di mutabile. Ivi nulh è passato, <iuasl non fosse più;
nulla è fntnro, qua'i non sia anrc.ra. Ivi non è se non lè: non è ivi fu e sarti.
ierchè ciò che fu non è più e ciò che sarà non è ancora: checchè ivi è, soltanto
è,, (Enarrat tn Ps. 101, 25 [~ !Oì). - E altrove cosi si esprime: "Neìla verità che
permane non trovo passato e futuro, ma solo presente .... Esamina le mutazioni
delle cose e troverai è, dove fu e sara non può trovarsi" (In loann., 38, IO).
Giustamente ti Tescari, dalla cui traduzione delle lonfesstont abbiamo raccolto
i brani prer.P,llent.1, riporta insieme art e's' un passo del Ttmen (37 ss.), dove PJa.
tione si mostra tanto vicino al pensiero cristiano, e che certamente non è sfug.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 11-12
ARTICOLO 12
Se rispetto 11 Dio si possano formare
dP.lle proposizioni !lffermative.
SEMBRA che rispettCJ t> Dio 11un si possano formare J.ehe proposi-
zioni affermative. Infatti:
·1. Dionigi dice che " relativamente a Dio le negaziuni sono vere,
le affermazioni so110 inadeguate».
2. Boezio scrive: "nessuna forma aemplice pu0 essere soggetto».
Ora, Dio è forma semplicf: al massimo grado, come si è già dimo-
strato. Dunque non può essere soggetto. Ma siccome tutto ciò di c11i
si forma una proposizione affermativa si prende come soggetto, ne
segue che di Dio non si possano formare proposizioni affermative.
3. L' intelletto che concepisce le cose diversamente da come sono
è falso. Ora, Dio ha l'essere immune da ogni composizione, com~ fu
già provato. Poichè dunque la mente, quando afferma, concepisce
l'oggetto facendo una composizione, sembra che proposizioni affer-
mative vere intorno a Dio non si possano formulare.
IN CONTRARIO: I.a fede non contiene niente di falso. Ora nella fede
vi sono alcune proposizioni affermative, p. es., che· Dio è uno e
trino, e che è onnipotente. Dunque su Dio si possono formulare
delle proposizioni affermative vere.
RISPONDO: Si possono con verità formulare intorno a Dio propo-
sizioni affermative. Per dimostrarlo si consideri che in ogni propo-
sizione affermativa vera il soggetto ed il predicato devono sign ifìcare
realmente, sotto un certo aspetto, l'identica cosa e concettualmente
c0 se diverse. Ciò è evidente tanto nelle proposizioni nelle quali il
predicato è una qualità arcidentale, quanto in quelle nelle quali il
predicato è sostanziale. (Nella proposizione, p. es.: l'uomo è biancol
evidentemente uomo e bianco sono una sola e identica realtà in con-
creto, ma concettualmente differiscono, perchè altra è l'idea di
uomo e altra quella di bianco. Parimente quando dico l'uomo è
nn animale ; poichè quella realtà medesima che è uomo, è in verHà
animalp,; p, infatti, nello stesso soggetto (concreto l e' è p, la natilJ'&.
l!Ito nll'attenzione rii A<!o•tino, che anzi 'embr<i vi <lt>bi::. tratto isp1t·1tllOnlo rctr.
1.'ESCARIo.. op. clt.. pp. 321-322).
1 E appena necessario notare che non e' e In questa dottrrna a1 .s. 'l'ommaso
nessuna traccia di (JUelle teorie fìlosofiche, le qnalt confondono l'essere unive1·sa!e,
ma&slmamente in sè indeterminato, con l'essere clivino mas,imamente In sè ,1~.
terminato. Noi non conosciamo questo Intimo es,ere divino in se ste,so - ripete
sovente S. Tommaso - ma solo In rapporto al suol effetti. Però tra I nomi cht>
usiamo per designarlo, quello di Essere è il più adatto, polchè è desunto dal più
unlversnle dei suoi effetti. Questo e~sere, che ci fornisce il nome divino più pro·
prlo. è l'PSsere creato. il rprnle è essenzialmente diverso dall'e"ere divino Vole 11
dire, nulla contiene di propriamente divino, quasi sia omogeneo al divino stesso,
I NOMI DI DIO 341
An TERTil!M DICENDUM quod non est necessarium quod omnia no-
mina divina importent habitudinem ad creaturas; sed sufficit quod
imponantur ab aliquibus perfectionibus procedentibus a Deo in crea-
turas. Inter quas prima est ipsum esse, a qua sumitur hoc nomen
Qui est.
ARTICULUS 12
Utrum {lropositionl's affirmativae {lossint formari de Deo.
' L'oggetto propriu del nostro intelletto essendo l'essenza delle cose sensibili, il
nostro Intelletto tutto Intende e formula secondo Il modo di es.sere d<>lle essenze
sensibili. Que5te essenze ~ono wmposte di supposlto e natura, la quale natura è
nel supposlto oome parte costitutiva e speclficativa. Di qui nel nostro conoscere. la
composi7.lone concreta di soggetto (che fa le veci del supposito) e di predicato (che
fa le veci della forma o natura specltlca). DI quei>to modo oonnaturale la nostra
mente non può spogliarsi neppnre nel conoscere Dio.
• La sostanza di ogni proposizione affermativa st.3. appunto in questo: nell 'at-
fermare che due cose, distinte come concetto, sono Identiche nella realtà. p. es., Il
concetto di nomo e il conr.etto di bianco sono distinti; ma nella realtà concreta.
sono l" identica cosa; quindi POSSO dire: quest'uomo è (=uguale a) hianco.
L"e.<;presslone • l predicati si presentano sotto l'aspetto di forma. ed I soggetti
sotto quello di materia" è ricavata da alcuni passi aristotelici, Il più esplicito del
quali è in 8 Metaphys., c. 2, e che nella versione latina usata da S. Tommaso
cosi suona: • Qulcl est tranquillltas? - ;lfaris aequalltas. Su!Jlectum quidem ut ma-
teria. mare: actus autem ut forma, aer111~litas •. Tutto Il capitolo r1•a•o è 11n'ana-
l!si accurata del va11 aspetti sotto I quali si presentano lf' cose sensib!~i nella ne>-
I NOMI DI DIO 343
praedicatum et subiectum sunt idem supposito, sed diversa ratione.
Sed et in propositionibus in quibus idem praedicatur de seipso, hoc
aliquo modo invenitur; inquantum inlellectus id quod ponit ex parte
subiecti, trahit ad partem snppositi, quod vero ponit ex parte praedi-
cati, trahit ad naturam iorrnae in supposito existentis, secundum
quod dicitur quod « praedicata tenentur formaliter, et subiecta ma..
terialiter ». Huic vero diversitati quae est secundum rationem, re-
spondet pluralitas praeùicati et subiecti: identitatem vero rei signifi-
cat intellectus per ipsam compositionem.
Deus antem, in se consideratus, est omnino unus et simplex: sed
tamen intellectus no~ter secundum diversas conceptiones ipsum oo-
gnoscit, eo quod non potest ipsum ut in seipso est, videre. Sl'J(I ta-
men, quamvis intelligat ipsum sub cliversis conceptionibus, cogno-
scit tamen qnod omnibus suis conceptionibus respondet una et ea-
dem res simpliciter. Hanc ergo pluralitatem quae est secundum ra-
tionem, repraesentat per pluralitatem praedicati et subiecti: unita-
tem vero repraesentat intellectus per compositionem.
AD PRlMUM ERGO DICENDUM quod Dionysius dicit affirmationes de
Deo esse incompactas, vel incon.,;enientes secundum aliam translatio-
nem, inquantum nullum nomen Deo competit secundum modum si-
gnificandi, ut supra [a. 31 dictum est.
AD SECUNDUM nir.ENn11M quod intellectus noster non potest formas
simplices subsistentes secundum quod in seipsis sunt, apprehendere:
sed appreht'ndit eas secundum modum compositorum, in quibus est
aliquid quod subiicitur, et est aliquid quod inest. Et ideo apprehendit
formam simplicem in ratione subiecti, et attribuit ei aliquid.
An TERTJUM DICENDUM quod haec proposilio, "intellectus intelligens
rem aliter quam sit, est falsus n, est duplex; ex eo quod hoc adver-
binm aliter potest determinnre hoc verhum intelUyit ex parte intel-
lecti, vel ex parte intelligentis. Si ex parte intellecti, sic propositio
vera est, et est sensus: quicumque intellectus intelligit rem esse ali-
ter quam sit, falsus est. Sed hoc non habet locum in proposito: quia
intellectus noster, formans propositionem de Deo, non dicit eum esse
I' Intelletto, Intendendo, giudica se stesso, ed è coruia.pevole che 11 modo che ri-
veste la realtil nel pensiero non è Il modo di e.ssere che ha fuori di es90. :t quindi
nel vero, anche se gli sfugge Il mollo proprio di essere della realtà. e• è confor-
mità oggettiva tra Intelletto che pensa e cosa pensata, perchè ciò che l' intelletto
Intende, ed afferma o nega della realrà, è veramente realizzato In essa o escluso.
P. es., ciò che Intendo quando penso "uomo animale ragionevole», si trova real-
mente nel sin!l'Oli nomini, a cui l'attrlbul•co, sia pure con un mod<l di esistere
diverso; ciò che Intendo quando dico •Dio è causa lncausata del mondo• è ve-
ramente In lui, sebbene ne Ignori Il modo.
r.e questioni che sollev11 questo !atto e questa soluzione saranno accennate e
discusse altl"Ove, dove S. Tommaso espressamente tratta della verità e della. co-
noscenza. umana (ctr. 1, qq. lH7; qq. 8'·89).
NOTA BIBLIOGRAFICA
e) Opere generalL
d) Bibliografia tomistica.
e) Altre abbreviazionL
a. = articolo n. =numero
aa. = articoli nn. =numeri
aro. =argomento o difflcoltà Opusc. = Opusculum
c. = capitolo p. =pagina
cc. = capitoli pp. =pagine
eone. = Concilio p. es. = per esempio
cfr. = confronta prec. = precedente
in corp. = in corpore arttcult Pro i. = Protogus
d. = dislinctio prop. = propositio
ehr. = ebraico q. = quaeslio
fr. =frammento qc. =quaestiuncula
ilJid. =ibidem s. =seguente
in h.. a. =in li.une articulum (cioè ss. =seguenti
nel commento a que- s. c. = Aroumentum • Sed con-
sto articolo) tra»
t. =libro v. =versetto
lect. =lectio t,"V. =versetti
lett. = letteralmente Volo. =Versione latina Volgata
lt. pp, = luoghi paralleli tomistici LXX. = Versione biblica greca
detta dei Settanta
INDICE ONOMASTICO
Num. (12, 8).: 281 - (21~ ~) : 68.: la Cor. (2, 10): 289 - (2, 15) : 57
Deut. (4, 6) . 55 - (6, 41. 239 - (3, 1): 39 - (3, 10) : ; 5 -
(33, 15): 215. (8, 5) : 239 - (9, 26) : 2(;9 -
Giob. (11, 8-9): 93 - (19, 26): (10, 11): 68 - (13, 12): 2t>1 -
255 - (2.2, 14): 193 - (24, 19): (15, 12): 61 - (15, 41): 267.
215 - (40, 4): 93 - (42, 5): 255. 2a Cor., (6, 14): 183 - (10, 4): 55
Sal. (33, 6): 95 - (33, 16): 93 - 110, 5): 63 - (12, 4): 2'i7.
(35, 10) : 253, 263 - (52, 1) : 75 Gal. (4, 8): 331 - (4, 22-24): 68.
- (75, 5): 215 - (80, 16): 215 - Ef. (1, 17, 18): 25.) - (3, 14, 15):
(81, 6): 32\J, 333 - (85, 8): 127 317.
- (SD, 1): 325 - (( 5, 5): 337 - Fil. (3, 12) : 269.
(103, 24): 125 - (105, 40): 97 2" Tes. (3, 2): 45.
- (112, 4): 183 - (117, 16): %. fa Tim. (4, 4): 141.
Prov. (9, 3) : 51 - (10, 23): 56 - 2" Tim. (3, 16) : 43.
(30, 4) : 293. Tit. (1, 9) : 61.
Eccle. (1, 4) : 215. Ebl'. (1, 3): 93 - (7, 19): 69 -
Sap. (7, 24): 199 - (10, 10): 47 - (10, 1): 68 - (10, 38): 97 -
(11, 21): 147, 177, 195 - (13, (11, 1): 79.
1-5): 125 - (13, 6-9): 76 - (14, Giac. (1, 22): 49 - (4, 8): 199.
21) : 103, 329. 2" Piet. (1, 4): 329.
Eccli. (3, 2'2): 41 - (24, 31): 65. I" Giov. (3, 2) : 129, 247, 251,
ls. (3, 13): 95, 333 - (5, 20): 141 263, 265.
- (6, 1): 95, 255 - (11, 2) : 55 - Ap. (21, 23): 263.
(26, 12): 183 - (40, 18): 129 - SALMANTICESI I05.
(64, 4): 43. SCHELL 105.
Ger. (17, 13): 95 - (23, 24): 187 SCHELLING F. 117.
- (31, 3) : 319 - (32, 18) : 269, Scoro G. Duns 34, 74.
305 - (32, 19) : 269. Scoro Eriugena 343.
Lam. (3, 25): 155. SERTJLLANGES A.-D. 178, 204, 315.
Dan. (12, 3) : 213. SPINOZA B. 94, 117, 171.
Os. (12, 10) : 65. STOLZ A. 10, 11, 58.
Giona (2, 1 ss.) : 68. SUAREZ F. 34, I05.
,Vie. (5, 2): 207. SYNAVE P. 69.
Mal. (3, 6): 199.
TALETE 164.
TAllHISANO I. 267.
Nuovo Testamento. TERTULLIANO 8, 95.
TF.SL\RI o. 277, 340.
Mat. (3, 17): 289 - (5, 48): 121 TOMMASO da Vercelli {Thomas
- (7, 6): 65 - (12, 40): 68 - Gallns) 348.
(19, 8): 71 - (19, 17): 157 - TRADIZIONALISMO 77.
(25, 41): 213 - (26, 24): 137. TRAVERSARI A. 348.
Luca (18, 19): 155.
Giov. (1, 18): 24.5 - (3, 14): 68 - UBAGHS G. c.75.
(4, 24) : D5 - (10, 34) : 333 - UGO DI S. VITTORE 56, 58, 70.
URBANO L. 227.
(14, 6): 75, 101 - (17, 3): 59,
215, 245, 259, 265- (19, 33 ss.): VAN LEUWEN A. 813.
68 - (20, 31): 61. VARRONE 116.
Atti (17, 28): 63. VJTI'ORIA (di) F. 39.
Rom. (1, 14): 65 - (1, 19): 55,
79, 285 - (1, 20): 76, 79, 311 - WICLEF 116.
(1, 24): 125 - (6, 23): 259 -
(10, 4) : 69 - (16, 25) : 207. ZACCHI A. 348.
INDICE GENERALE
P.UI.
[NTRODUZIONE 7
I. Scopo e unità della Summa Theoloytae • 7
Il. La Teologia come scienza . . . . . . . 10
III. Funzione della ragione e della cultura nr,lla teologia 13
IV. Le questioni riguardanti l'esistenza di Dio . 17
V. Il punto di partenza delle cinque vie e la sua importanza 19
VI. Riassunto delle cinque vie . 2!'\
vn. Il primato dell'essere e ùell' intelletto . 29
VITI. I limiti della nos1ra conoscenza di Dio . 31
IX. Vitalità perenne dei principii tomistici . 34
CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME (Tavola) .36
A \'VEHTENZE 37
PROLOGO. 38
Questione 1. - La dottrina sacra: quale essa sia e a quali cose si
estenda .
Articolo 1. Se oltre le discipline filosofiche sia necessario ammet-
tere un'altra scienza . 40
Articolo 2. Se la sacra dottrina sia scienza . 44
Articolo 3. Se la sacra dottrina sia una scienza unica . 46
Articolo 4. Se la sacra dottrina sia una scienza pratica. 48
Articolo 5. Se la sacra dottrina sia superiore alle altre scienze 50
Articolo 6. Se questa dottrina sia sapienza. . . 52
Articolo 7. Se Dio sia il soggetto [di studio] di questa scienza 56
Articolo 8. Se questa dottrina proceda con metodo dialettico 58
Articolo 9. Se la sacra Scrittura debba usare metafore . . 62
Articolo 10. Se un medesimo testo della sacra Scrittura abbia più
sensi 66
Que~tionc !. -Trattato di Dio. Esistenza di Dio . 72
Articolo 1. Se sia di per sè evidente c1'le Dio esiste • 72
Articolo 2. Se sia dimostrabile che Dio esiste 76
Articolo 3. Se Dio esista . 80
011r<tio11e 3. - La srmplicità di Dio . 92
Articolo 1. Se Dio sia corpo . . . . . . 9~
Articolo 2. Se in Dio vi sia composizione di materia e' di forma 96
Articolo 3. Se Dio sia la stessa cosa che la sua essenza o natura l(.'O
Art !colo 4. Se in Dio essenza ed esistenza siano la stessa cosa 102
Articolo 5. Se Dio sia contenuto in qualche genere • 106
Articolo 6. Se in Dio vi siano accidenti 110
INDICE GENERALE
PAG.
Articolo 7. Se Dio sia del tutto semplice . . • • • 112
Articolo 8. Se Dio entri in composizione con gli altri esseri • 114
Questione 4. - La perfezione di Dio 120
Articolo 1. Se Dio sia perfetto . . . . 120
Articolo 2. Se si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose 122
Articolo 3. Se una creatura possa essere simile a Dio 126
Questione 5. - Il bene in generale 132
Articolo 1. Se il bene differisca realmente dall'ente . . 132
Articolo 2. Se il bene concettualmente sia prima dell'ente 136
Articolo 3. Se ogni ente sia buono . . 140
Articolo 4. Se il bene abbia il carattere di causa finale . . 142
Articolo 5. Se la natura del bene consista nel modo, nella specie
e nell'ordine 146
Articolo 6. Se il bene sia diviso convenientemente in bene onesto,
utile e dilettevole 150
Questione 6. - La bontà di Dio 154
Articolo 1. Se la bontà convenga a Dio 154
Articolo 2. Se Dio sia il sommo bene • • . • • 156
Articolo 3. Se esser buono per essenza sia proprio di Dio 158
Articolo 4. Se tutte le cose siano buone della bontà di Dio • 162
Questione 7. - La infinità di Dio . 164
Articolo 1. Se Dio sia infinito . 164
Articolo 2. Se qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita
per essenza . . . . 168
Articolo 3. Se si possa dare un infinito attuale in estensione 170
Articolo 4. Se nella realtà si possa dare un infinito numerico 176
Questione 8. - La presenza di Dio nelle cose . 182
Articolo 1. Se Dio sia in tutte le cose . • 182
Articolo 2. Se Dio sia dappertutto . 186
Articolo 3. Se Dio è dappertutto per essenza, per presenza e per
potenza. . . • . • . • 190
Articolo 4. Se sia 11roprio di Dio essere dappertutto. 194
Questione 9. - La immutabilità di Dio • 198
Articolo 1. Se Dio sia del tutto immutabile. • . • . 198
Articolo 2. Se essere immutabile sia proprietà esclusiva di Dio 200
Questione 10. - L'eternità di Dio . 20&
Articolo 1. Se l'eternità sia ben definita cosi: • Il possesso intero,
perfetto e simultaneo di una vita interminabile • . 206
Articolo 2. Se Dio sia eterno . . . . 210
Articolo 3. Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio 212
Articolo 4. Se l'eternità differisca dal tempo 214
Articolo 5. Sulla differenza tra evo e tempo 220
Articolo 6. Se vi ~·ia un evo soltanto 224
Questione 11. - L'unità di Dio 230
Articolo 1. Se l'unità aggiunga qualche cosa all'essere 1?30
Articolo 2. Se ci sia Ol'iJ<J~izione Ira l'une e i molti. 23->
INDICE GENERALE 359
PAO.
Articolo 3. Se Dio sia uno . 238
Articolo 4. Se Dio sia sommamente uno 240
Questione 1~. - La nostra conoscenza di Dio 244
Articolo 1. Se un intelletto creato possa vedere Dio ·nella sua es-
senza m
Articolo 2. Se l'essenza òi Dio sia veduta dall'intelletto creato
per mezzo di una qualche 11nmagine . . 250
Articolo 3. Se l'essenza di Dio possa esstre veduta con gli occhi
corporei 254
Articolo 4. Se un intelletto creato possa con le sue i·orze naturali
vedere l'essenza divina . . . 256
Articolo 5. Se l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio ab-
bisogni di un qualche lume creato • , • • 262
Articolo 6. Se tra coloro che vedono l'essenza <li Dio uno veda
più perfettamente di un altro , . . • 264
Articolo 7. Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo com-
prendano . . . . . 268
Articolo 8. Se coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui
tutte le cose . . . . . . . 272
Articolo 9. Se le cose vedute in Dio da coloro che contemplano
la divina essenza siano vedute mediante alcune immagini [o
specie intelligibilil . . 274
Articolo 10. Se quelli che vedono Dio per essenza vedano simul-
taneamente tutto quello che vedono in lui 278
Articolo 11. Se qualcuno in questa vita possa vedere Dio per es-
senza 280
Articolo 12. Se in questa vita possiamo conoscere Dio con la ra-
gione naturale . . . . . . • 284
Articolo 13. Se mediante la grazia si abbia una conoscenza di Dio
più alta di quella che si ha con la ragione naturale 286
Questione 1S. - I nomi di Dio 29-i
Articolo 1. Se a Dio convenga un nome , 292
Articolo 2. Se qualche nome detto di Dio ue significhi l'essenza. 296
Articolo 3. Se qualche nome si dica di Dio in senso proprio . 302
Articolo 4. Se i nomi che si danno a Dio siano sinonimi • • 304
Articolo 5. Se i nomi attribuiti a Dio e alle creature siano loro
attribuiti in senso univoco • • 306
Articolo 6. Se i nomi si dicano delle creature prima che di Dio . 314
Articolo 7. Se i nomi che importano relazioni alle creature si
attribuiscano a Dio dall'inizio del tempo . 318
Articolo 8. Se il nome Dio sia nome che indica natura . 326
Articolo 9. Se il nome Dio sia comunicabile . . • . 328
Articolo 10. Se il nome Dio si dica con lo stesso significato uni-
voco, applicato a [colui che è] Dio per natura, [a chi lo è] per
partecipazione e [a chi lo è] nell'opinione [degli uomini] . . 332
Articolo 11. Se il nome Colui che 'è sia il nome più proprio di Dio 336
Articolo 12. Se rispetto a Dio si possano formare delle proposi-
zioni affermative 340
NOTA BIRLIOGRAFICA 347
ARBRF.VIAZIONI 349
INDICE ONOMASTICO 353