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S.

TOMMASO D'AQUINO

LA SOMMA
TEOLOGICA
TRADUZIONE E COMMENTO
A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI
TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA

I
ESISTENZA E NATURA DI DIO
(I, qq. 1-13)

Edizioni Studio Domenicano


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Con l'approvazione ecclesiastica e dell'Ordine


ESISTENZA E NATURA DI DIO
11. qq_. i , 13)
ESISTENZA E NATURA DI DIO
(I, qq. 1-13)

TRADUZIONE del P. Antonino Balducci O. P.


INTRODUZIONE E NOTE del P. Marcolino Daffara O. P.
INTRODUZIONE

I
Scopo e unità della «Summa Theologiae •·
1 - S. Tommaso ha voluto dare al trattato dell'essenza di Dio,
ovvero al De Deo Uno come dicono i moderni, una posizion<.:J di
preminenza nel piano generale della Somma Teologica. E:-:sen·
dosi proposto, come si esprime nel Prologo, " di esporre la ctot-
trina sacra con la maggior brevità e chiarezza consentila da tuie
materia», " nel modo più confacente alla formazione dei prin-
cipianti», egli decise.di ridurre a stretta unità questa dolfrina,
collegandola, secondo un intrinseco ordine, a un principio su-
premo, clie gli permettesse di renderla nella sua integrità più
accessibile alla ragione, e nello stesso tempo di evitare tutti gli
inconvenienti di lungaggini, superfluità, confusioni, che si ri-
scontravano nei testi scolastici proposti fino allora agli studenti.
Una dottrina ha la sua intrinseca unità dal soggetto che
tratta, e dalla luce intelligibile che illumina questo soggetto, e
nella quale viene considerato. Ora la teologia ha come soggetto
Dio. Il principio, quindi, che unifica l'opera dell'Aquinate, è Dio.
Ma Dio può essere conosciuto alla luce della sola ragione; op-
pure dalla ragione illuminata dalla Rivelazione. La luce, secondo
la. quale questo soggetto altissimo viene considerato nella teo-
logia sacra, è la Rivelazione.
L'unità quindi di tutta l'opera è data da questa semplice pro-
posizione, che contiene in germe tutta la teologia: " Dio consi-
derato non solo secondo quello che di lui si può conoscere attra-
verso alle creature, ma anche secondo quello che di se stesso egli
solo conosce, e a noi viene comunicato per Rivelazione» (q. 1,
aa. 6 e 7).
Tutto ciò, dunque, che si tratterà nella teologia sarà o Dio stes<>O;
o cose che hanno un qualche ordine a lui. E nulla in e.ssa
dovrà trovar luogo, se non in virtù di quest'ordine, illuminato
non dalla sola ragione, ma anche e soprattutto dalla juce so-
prannaturale della Rivelazione. Il trattato di Dio considerato
nella sua essenza contiene in germe tutta la teologia.
8 ESISTENZA E NATURA DI DIO

II genio sintetico di Tommaso si rivela in modo meraviglioso


nella. costruzione della Summa T heologiae, a.vendo egli man-
tenuto fede alla. promessa di unificare tutta la dottrina cristiana
secondo un solo principio; tanto ricco da abbracciare veramente
tutta la scienza sacra e conferire a tutte le sue parti l'interna
intèlligibilità, ma senza impoverire l'immensa varietà della ma-
teria.
Nell'Introduzione Generale (nn. 74 ss.) è stato esposto e com-
mentato ampiamente il piano generale della Somma. Riman-
diamo ad essa il ldtore che desidera di avere una cognizione
più esatta dell'immenso e organico edificio che l'Aquinate ha
costruito.
A noi interessa - in questa introduzione particolare - fare
qualche rilievo sulla Prima Parte e più specialmente sulla prima
suddivisione di essa, riguardante " l'essenza di Dio», poichè la
nostra traduzione e il nostro commento vertono su questa ma-
teria.
Essendo la prima parte di tutta la trattazione teologica, essa
ha importanza anche per questo, che da essa si può intendero
lo spirito e il metodo di tutta la Somma, e più in generale di
tutta la teologia, secondo la mente dell'Aquinate. Nella questione
introduttiva, infatti, vien discussa la natura della teologia stessa
come scienza della Rivelazione o della fede; e le soluzioni date
sono guida a tutta l'opera del grande Teologo.
2 - Anzitutto si potrebbe chiedere perchè S. Tommaso co-
mincia col trattare di Dio secondo l'essenza (Dio come Uno, se-
condo l'espressione più moderna), anzirhè di Dio secondo la
distinzione delle Persone (di Dio ccme Trinoì; come, invece, si
sono compiaciuti pe1· lo più di fare i Padri greci, sotto l' im-
pulso delle prime grandi eresie, che negavano la distinzione
delle Persone (Sabellio, sec. III), o la loro consustanzialità (Ario,
t336).
Credo che la risposta stia in questo che i Padri greci, come
in generale tutti i Padri, trattano la dottrina cristiana preva-
lentemente con la preoccupazione delle eresie e non sistemati-
camente in tutto il suo complesso ; mentre questo pmprio si era
proposto S. Tommaso. A lui perciò conveniva molto meglio il
metodo di S. Agostino, che procede dall'unità della divina es-
senza alla pluralità delle Persone. Anzitutto perchè il mistero
dell'unità è a noi più accessibile, essendo in modo più convin-
cente i'lluminato dalla creazione ; onde la filosofia aveva detto
parole immortali circa la natura divina. E poi perchè il mistero
trinitario (che è il mistero pe.r eccellenza - substo:ntia Novae
Legis - lo chiama Tertulliano), nella cui visione culminerà la
nostra beatitudine, è reso a noi intelligibile dalla pienezza della
vita intellettiva ed affettiva che compete alla natura di Dio. Le
Processioni divine, infatti, sono concepibili solo secondo gli atti
INTRODUZIONE 9

immanenti dell'intelletto e della volontà, secondo cui procedono


il Verbo e lo Spirito Santo.
Volendo quindi procedere sistematicamente per costruire l'edi-
ficio scientifico della Fede, si doveva cominciare da ciò che a
noi è più noto: cioè dalla natura di Dio e dagli attributi impli-
citi nella natura stessa, prima di studiare il mistero trinitario,
la cui oscurità di fronte alla ragione è pressochè impenetrabile,
anche se è vero che alla luce della fede, nella pur piccola co-
noscenza che se ne può avere, esso diventa luce illuminante di
tutti gli altri misteri cristiani; i quali sono con esso in stretta
connessione ed hanno in esso la loro intelligibilità.
3 - L'edificio teologico della Somma è veramente una strut-
tura organica originale e geniale, come nota tra gli altri il Grab-
mann : vertice incomparabile di solidità e di ordine.
Chi guardasse soltanto al materiale immenso, che entra nella
sua costruzione, senza penetrarne i nessi che legano le questioni
e gli articoli, sarebbe tentato di pemare a un sincretùmw di ele-
menti eterogenei, messi insieme abilmente, un po' meglio che
in una enciclopedia. Tale giudizio dispiace che sia stato ripetuto
con leggerezza, talvolta anche da filosofi seri, alcuni dei quali
hanno pure aggiunto l'immeritato rimprovero, che nello sforzo
d1 cristianizzare Aristotele, S. Tommaso abbia impoverito la ric-
chezza originale della Rivelazione.
Gli elementi della costrnzione possono provenire da più parti
(nella Somma derivano per lo più dai Santi Padri, poi dai fi'lo-
sofi e specialmente da Aristotele, [cfr. Introd. Gen., nn. 11-70]),
come del resto in qualsiasi costruzione in architettura; ma il
disegno, il principio interiore di unità, l'elemento formale della
costruzione, è strettamente uno e personale. Ed è questo che vi-
vifica tuttll lll sintesi tomista. S. Tommaso non ha lo spirito car-
tesiano di tutto ricostruire ab imis fundamentis trascurando tutte
le opere del passato, considerate unicamente quale peso ingom-
brante. Egli si sente operaio cyualificato, ma nel corso vivo di
una lunga tradizione, che ha lavorato moltissimo ed ha lasciato
un patrimonio prezioso, vivendo di quella verità santa, che tutti
gli amanti della sapienza ricercano. Egli vuole lavorare in ar-
monia con la tradizione, per cui ha la più grande venerazione.
Se una verità la trova già detta da altri, è un grande conforto
e una gioia per lui, e non esita a farla sua; rendendo però giu-
stizia ali' inventore. Le sue speculazioni ne restano confermate.
Il possesso di t.ali verità gli è più giocondo, perchè è anche più
sicuro e più pacifico; esso infatti lo mette all'unisono con le ge-
nerazioni passate e gli fa godere questa armonia, poichè la mente
e 'la verità sono anch'esse essenzialmente armonia.
4 - La ricchezza del mate·riale storico, pertanto, è un titolo
d'onore più grande per l'Angelico Dottore, il quale si trova cosi
allo sbocco di tutta una vasta corrente di cultura, di cui coglie
10 ESISTENZA E NATURA DI DIO

e valorizza gli elementi perenni. Ma nulla assomiglia meno a


sincretismo o a pura erudizione quanto l'opera del grande Ar-
chitetto d'Aquino. Gli elementi delle speculazioni precedenti
sono assunti in una sintesi che porta la sua forte impronta, in
una sintesi personalissima; e sono armonizzati alla luce di prin-
cipii che hanno appunto la virtù di nulla escludere di quanto
di vero fu speculat-0 nel campo della filoso.fia e della teologia.
Ma per ciò stesso queste verità assunte nel suo edificio acqui-
stano un valore nuovo. C'è dell'aristofa:~lismo e molto, nella sua
opera; c'è del platonismo, dello stoicismo, neJ!a. parte morale
specialmente; ma c'è soprattutto, come soffio vivificante, da lui
infuso in tutti questi elementi, il suo spirito: cioè una visione
realistica dell'essere e dei primi principii dell'essere, che inqua-
drano e unificano meravigliosamente tutta l'opera., conferendole
una virtualità di assimilazione illimitata.
Da molti studiosi seri è riconosciuta ormai, e messa in giusto
rilievo, questa originalità del tomismo, sicchè non è il caso di
insistere. Chi vuole, consulti le opere del Maritain, del Gilson,
del Ma.user, dell' Horvath, del Masnovo, del Geyer, e di altri
(cfr. Bibliografia, pp. 347 s.).

II
La Teologia come scienza.

5 - Per quel che riguarda la Su.rwm.a Theologiae (e in modo


speciale la parte che tratta dell'essenza di Dio), S. Tommaso
non poteva la.sciare da parte quanto la tradizione gli forniva di
elementi utili, anzi indispensabili per una sistemazione della sua
speculazione. Egli vuole dare, nel modo più breve e lucido, una
conoscenza completa della dottrina cristiana, come si esprime
nel Prologo. E come avrebbe potuto allora trascurare la grande
speculazione logico-metafisica di Aristotele che gli forniva
schemi ottimi per tale lavoro? Schemi non artificiali cd arbi-
trari, ma desunti da una visione netta e realistica della natura
della mente umana, relativa all'essere; schemi quindi che non
potevano essere sostituiti da nessun altro di! uguale valore.
Oggi c'è, da qualche part.e, una levata di scudi oontro gli
scherni aristot.elici introdotti da S. Tommaso nella teologia (vedi
Charlier,' Stolz '); però a torto e per un misconoscimento delle
funzioni proprie di questi schemi, i quali non impoveriscono,
nè tanto meno soffocano la vitalità trascendente della Rivela-
zione; ma al contrario forniscono uno strumento utilissimo per
1 CHARLIER L.-M .. Essai sur le prolJUme théoloutque. Thuilles. 1938.
1 Sro1.z A., 11fanual~ Theolo{liae Dogmaticae, fase. I: Introductio in
S. Theoloutam. Friburgi Brisg., 1941.
INTRODUZIONE 11

meglio, ossia più ordinatamente, penetrarla; il che vuol dite


pensarla in modo più confacente all'indole della nostra ment.e
che non sa. in senso vero e proprio, se non quando unifica, ossia
fa l'ordine nelle sue nozioni: un ordine non estrinseco, pura-
mente storico e di successione ; ma intrinseco, logico, fondato
sulla natura degli elementi proprii della Rivelazione. La teo-
logia di S. Tommaso in questo senso si può ben dire qWledam
metaphysica, anche se l'espressione spiaccia a qualcuno (p. es.,
allo Stolz, cfr. op. cit., p. 71), poichè dev'essere veramente la
metafisica, ossia studio per altissimam Causam, dell'essere rive-
lat-0, costruita non con elementi della metafisica razionale infini-
tamente inferiore, ma sul modello della metafisica razionale, cioè
secondo la tendenza propria della ragione umana, da. cui ne55un
teologo potrebbe prescindere.
Quelli che si agitano per un ritorno puro e semplioo alla
teologia dei Padri, o della santa tradizione, come dicono, non
sembra che si battano per un progresso della teologia, ma per
un regresso ; giacchè, come si è detto, i Padri non han fatto
se non parzialmente opera di' sistemazione delle verità della
fede (il che vuol dire di intelligibilità.); mentre quest'opera ha
assunto nei teologi posteriori, e specialmente in S. Tommaso, al-
tezze, al dire di I...ieone XIII, difficilmente superabili.
Essi insistono sul carattere carismatico della teologia, la quale
si svolgerebbe, quindi, in forme più o meno irrazionali o sopra-
razionali, al di fuori degli schemi logici e delle argomentazioni
che, invece, abbondano nella teologia scolastica. Si sente in que-
sta concezione l' influsso delle correnti teologiche eterodosse, se-
condo cui la mente nulla potrebbe nella penetrazione della pa-
rola rivelata. Queste correnti eterodosse (p. es., la Teologia rHa-
lettica di K. Barth e scuola) dichiarano senz'altro impossibile
qualsiasi costruzione scientifica che sia coerente con la parola di-
vina e porti a un consenso con la fede. E sono accanite contro la
teologia e i metodi della Scolastica. Ma esse rendono, per ciò
stesso, innaturale e avitale, dirò così, la parola di Dio, la quale
non può essere da noi assimilala se non per via della più alta
nostra facoltà, che è I' in te I ligenza. È chiaro poi che in queste
correnti teologiche opera, visibilmente o invisibilmente, la con·
cezione agnostica circa il potere conoscitivo della ragione, non
più considerata relativa all'essere e apprensiva dell'essere, ma
elaboratrice di fenomeni soggettivi di valore del tutto contin-
gente.
6 - Le polemiche inter catholicos, vigenti in questi ultimi
tempi, si sono concentrate sul concetto di scienza, applicato alla
teologia: concetto aristotelico, valorizzato da S. Tommaso (vedi
q. i, a. 2). Non ci è pol':sibile riassumerle in questa introdu-
zione. Diremo solo che a torto si è vi.sto in questo concetto un
qualcosa come un letto di Procuste, soffocante e mortificante la
12 ESISTENZA E NATURA DI DIO

straripantl:l vitalità della dottrma nvelata. n concetto di scienz:i


applicato alla teologia è uu concetto analogico che esige un'ap·
plicazione suo modo, e va con·etto e completato con l'altro con
cetto di sapienza, che conviene alla teologia non meno che il
concetto di scienza. La teologia, partecipazione riella scienza di
Dio in noi (imrpressio quaedam divinae scientiae, q. i, a. 3, ad
2), realizza veramente in sè tutto lelemento certezza e dimostra·
zione «ex principiis », contenuto nel concetto aristotelico di
scienza; il quale esprime bene, perciò, una qualità intrinseca ed
importantissima della teologia. Essa, scienza della fede, desumt
i: suoi principii dalla Rivelazione, ai quali aderisce per fede scr
prannaturale; certezza questa inevidente, sostenuta però dall 'au-
torit.à della parola di Dio, che risuona nel credente con un ac-
cento non mai del tutto traducibile in parole umane. A serviziu
ddla fede stanno i doni carismatici dello Spirito Santo, special-
mente il dono di sapienza, che formano nel teologo l'animus, 1' in-
clinatio, la connatura'lit.à., l'istinto verso la parola di Dio (q. i,
a. 6, ad 3}. Ma tutto ciò rafforza il teologo e non pregiudica in
nulla la sua qualità di scienziato della fede. Dai principii creduti,
ragionando ~econdo il naturale modo di procedere del!' intelletto
umano, incapace di penetrare con un atto solo tutto il contenuto
dei principii, il teologo dedurrà, tanto più sicuramente quanto
più illuminato, le verità implicite, formulando in modo orga-
nico le sue conclusioni.
"E: scienza della fede anche il sistemare o disporre gerarchi-
camente i principii rivelati stessi, mettendone in luce le relazioni
intime con un principio supremo ; poichè questo lavoro è fatto
anch'esso per mezzo del ragionamento; ed è sovente deduzione
teologica, giacchè il nesso dei vari articoli di fede, che sono i
principii della teologia, non è sempre oggetto di esplicita rivela-
zione, ma è arguito o dedotto da!la ragione alla luce della fede.
t allora per noi, non un rrvelatum, ma un revelabile: un og-
getto in qualche modo nuovo (quanto alla nostra cognizione espli-
cita), conosciuto in atto, come contenuto nella rivelazione stessa,
per un lavoro di penetrazione fatto dalla mente.
Tutto il processo del'la scienza teologica avviene sotto la luce
della fede; giacchè essa procede ex auctoritate divina, non nel
senso che tutto quello che deduce sia illuminato dall'esplicita
testificazione divina, e quindi sia oggetto proprio della fede, in-
tuito nell'atto stesso della fede; ma nel senso di un lavoro della
ragione, la quale, vivendo la fede e assimilandone la luce, ve-
ramente arguisce ciò che vi è d'implicito nei singoli oggetti
di fede : discorre da concetto a concetto, penetra passo passo e
assimila via via linfinita ricchezza della Parola di Dio. Giacchè
la mente umana non è come 'la mente divina, e neppure come
la mente degli a~geli, totalmente intuitiva e di tale vigore da
comprendere ed esaurire, con un atto unico di visione, la tota-
INTHODUZIONE 13

lità del contenuto di un oggetto; ma è discorsiva, procede per


divisione o composizione, pér analisi e sintesi, unificando man
mano i vari atti di visione, parziali ma intimamente connessi, in
una visione sempre più vasta del soggetto de'lla scienza.

III
Funzione della ragione e della cultura nella teologia.

7 - Così la mente nostra ~i rende conto dell'organicità vi-


vente e vitale della parola di Dio, la quale è infinitamente riccu.
E qui si apre un campo immenso alla speculazione teologica: il
campo dell'implicito, indiretto, virtuale. S. 'fommaso lo chianò
il campo del « rivelabile » intendendo con questo termine tutto
ciò che può essere visto in forza della luce della Rivelazione, che
si trova in concreto nella sacra Scrittura: sia esso mistero inac-
cessibile di per sè alla ragione umana, sia invoce verità di ra-
gione connessa col mistero come presupposto o come conseguenza,
sia fatto storico avente rapporto con la parola di Dio.
« Appartiene alla teologia - sr~rive S. Tommaso - l'esplora-
zione di tutte le verità che dai principii derivano e che servono
alla loro difesa », "di tutte le verità che, o accompagnano la fede,
o la precedono o la seguono» (1 Seni., .Prol., a. 8, qc. 2, ad 2;
3 Sent., d. 24, q. 1, a. 2, qc. 2). Campo esplorato dal teologo
col sussidio che gli fornisce la propria cultura biblica, letteraria,
filosofica, storica. La quale cultura non dovrà nulla immetten,
di estraneo nella parola di Dio ; ma dovrà essere puro strumento
di penetrazione di essa. La Parola di Dio è data a uomini in ter-
mini loro intelligibili, proporzionati alla capacità umana, nella
analogie dell'ente creato a cui è legata la nostra mente in questa
vita. Chi dell'ente creato ha una conoscenza più chiara, più pro-
fonda, più piena, possiede perciò stesso il migliore mezzo di pe-
netrazione della Parola divina. Il teologo è, tra gli uomini ài
fede, colui che ha più intelligenza e più cultura.
Perchè scandalizzarsi dunque (come mostrano di fare alcuni)
•lell'element.o razionale infrodotto nel proceciimento teologico?
Non è possibile fare della teologia senza di esso: senza dare un
senso preciso alle nozioni rivelate, servendosi delle analogie tra
il mondo creato e il mondo increato. La quale analogia non à
"invenzione dell'Anticristo)) come vorrebbe K. Barth (Dogma·
tik, p. VIII), ma è insita nella natura delle cose e nella rivela-
zione stessa, fatta a noi in speculo creaturarum. Con questa sua
errata· concezione la teologia dialettica di Barth si conclude in
un agnosticismo sterile, in un nominalismo morto e mortale, in
un relativismo che è distruzione della stessa Parola di Dio e
della Fede, che pur pretende di esaltare ; mentre la teologia vera
ESISTENZA E NATURA DI DIO

deve essere la massima vita dell'intelligenza, 'la cognizione più


piena dell'oggetto della Fede, la contemplazione più alta dei mi-
steri divini, l'analogo in terra della visione beatifica, scopo finale
della Rivelazione.
Lo sviluppo che prende la dottrina rivelata, per quanto vasto,
non altera la dottrina rivelata: la teologia si muove nel!' interno
della Rivelazione stessa, anche servendosi di sussidi razionali; e
resta, pure distinta dalla fede, perfettamente omogenea con essa.
Non impovel'isce la dottrina rivelata, come pretende qualcuno
ripetendo un'accusa superficiale; ma ne mostra più esplicit.a-
rncnte l'infinita ricchezza. La teologia non può limitarsi a ciò
che è espressamente contenuto nella sacra Scrittura, ma va
oltre, pur senza uscire dalla virtualità delle fonti della Rivela-
zione. S. Tommaso non esita ad affermare: "Qualunque veritiJ
deducibile da ciò che è contenuto nella Scrittura, non è estra-
nea alla teologia, anche se nella sacra Scrittura [esplicitamente]
non sia contenuta (in Dionys. De Div. Nom., lect. 1).
Ripetiamo ancora che proprio la penetrazione del dato rivelato
e non l'abbondanza dell'erudizione in sè, sta a cuore all'Ange-
lico. Egli venera la tradizione filosofica e patristica proprio per
quooto, conscio della intrinseca solidarietà del vero, la cui sco-
perta è opera di ognuno e di tutti. Ma aggiunge che una pura
cultura che non servisse a questo fine, non sarebbe desiderabile;
poichè " non è il sapere quel che tu vuoi o quel che tu pensi,
che costituisce la perfezione della mia intelligenza; ma soltanto
il sapere la verità della cosa», solum quid rei verita,s habeat
(I, q. 107, a. 2).
8 - Insistendo sul processo teologico come. fu attuato nella
Summa Theologiae, intendiamo di giustificarne il valore. Ma
non vogliamo sostenere che proprio della teologia sia puramente
dedurre delle conclusioni di principii rivelati. Come è possibile
infatti dedurre conclusioni vere e proprie che spieghino il reale
ricco contenuto de.i principii rivelati, se non approfondendo la
conoscenza dei principii stessi, con lo studiarne seriamente le
fonti, cioè la Scrittura e la Tradizione che nei Padri ha il suo
canale sacro? Se alla Scolastica decadente si può fare il grave
appunto di aver trascurato questo necessarissimo studio, sarebbe
supremamente ingiusto fare un tale rimprovero a S. Tommaso,
che per i Padri ebbe la più grande venera.,,ione e il più assiduo
studio specialmente << nella contemplazione della verità nelle que-
t-tioni di S. Scrittura. Ma anche in quest.o è necessario l'uso della
dialettica, come si riscontra in particolare negli scritti dei santi
lPadri] .... ». (1 Sent., Pro!.. q. 1, a. 5).
Questa dottrina sulla natura della teologia è applicata in modo
vivo in tutta la Somma. Per questo la trattazione di S. Tom-
maso, seguita e penetrata con attenzione, produce sull'animo un
effetto di riposante soddisfazione; che proviene appunto dal
INTRODUZIONE 15

modo connaturale alla ragione, con cui egli procede. Dottrina


teologica autentica, non immessa nel dogma dalla filosofia, ma
dedotta dai dogma, usando della filosofia ancella e non domi-
natrice (q. 1, a. 5, ad 2). Ancella tuttavia perfettamente libera
nelle sue mosse, perchè solo così, come osserva i'l Gilson, può
pre:;tare la sua valida opera di prezioso servizio alla Rivelazione.
9 :- S. Tommaso ha 1)€rfel.ta coscienza di quanto spetta al do-
minio proprio della fede e a quello proprio deUa ragione : di-
stingue nettamente, più che qualsiasi teologo precedente, l'or-
dine soprannaturale dall'ordine naturale; ma non li separa,
bensì li associa amichevolmente.
Oggi la dottrina dell'Aquinate è comune, si può dire, in tutta
la C:hiesa ; ma ai suoi tempi egli fu considerato come un inno·
vatore e fu accusato da alcuni teologi, più pii che illuminati, di
laicizzare la teologia, non solo perchè met.teva a servizio di essa
le dottrine profane dei filosofi (l'accusa di alcuni modernissimi,
dunque, è ben antica I) ; ma soprattutto, allora, perchè sembrava
togliere ad essa, per abbandonarli a queste ultime, dei territ-0ri
che, secondo loro, le appartenevano (cfr. SoM. FRANC., Dieu, I,
p. 329).
Accusa anche questa ben inconsistente.. In realtà S. Tommaso
precisava i confini delle scienze profane e della teologia. La teo-
logia è scienza e sapienza nel suo ordine; e le dottrine profane
sono scienze nel loro ordine. La teologia. lascia ad esse tutta la
libertà di costituirsi e svilupparsi secondo la natura dei loro
oggetto, secondo i loro propri principii e il loro proprio metodo.
Il contatto inevitabile fra scienza sacra e scienze profane non è
intrusione di quella nei dominii propri di queste, pretesa di do-
minarle e renderle schiave; ma collaborazione amica, anche se
il primato di dignità, a causa della nobiltà del suo oggetto e
della fonte d~ cui attinge, spetta alla teologia (cfr. q. 1, a. 5).
10 - Il giudizio che la teologia dà delle scienze, e la direzione
che tiene in qualche modo su di esse, sono estrinseci; riguar-
dano, cioè, le conclusioni delle scieme, le quali non possono
essere contrarie alla verità della teologia, a causa dell'unità del
vero, che scaturisce da una stessa fonte suprema, che è Dio; e
a causa dell'unità della coscienza che non ammette doppia ve-
rità. La teologia è nel suo pieno diritto di rigettare le conclu·
sioni delle scienze profane realmente contrastanti con le sue ve-
riUt dimostrat.e ; ma non può pretendere di sostituirsi ad esse in
nessun campo, neppur nel correggere l'errore. Solo le scienze
sono in grado di fare scientificamente questa oorrezione con ri ·
torni riflessivi più esatti sul proprio oggetto e sui propri proce-
dimenti.
L'espressione filosofia ancella della teologia, già antichissima,
e che S. Tommaso richiama (nella q. 1, a. 4, ad 2), non ha per
nulla un significato mortificante per le scienze razionali. Esse,
16 ESISTENZA E NATURA DI DIO

infatti, sono libere ancelle e se rendono servigi alla teologia, ciò


è un onore che le eleva, poichè entrano cosi, senza nulla perdere
della loro libertà, in un nuovo campo, dove nuovi problemi
prima sconosciuti, ma pieni di vitale interesse, sono sottoposti
al loro esame e aspettano da loro una soluzione conforme a ra-
gione, pur sotto il controllo estrmseco della Rivelazione; la
quale, pur additando la mèta da conseguire e la via che vi con-
duc8, non entra propriamente nel!' interno dominio delle scienze,
ma resta esterna, come il faro, che indica il porto e la rotta da
seguire, resta esterno alla nave (inff,usso ncgaltlvo).
11 - I servigi che 'la filosofia rende alla teologia si possono
così riassumere (cfr. De Trinii., q. 2, a. 3):
a) La ragione naturale, come quella che è presupposta alla
fede e in qualche modo conduce a essa, dimostra i " preamboH
della fede», i quali vengono esposti e difesi nel l'Apologetica.
b) Fornisce similitudini o analogie alla speculazione teolo-
gica per illustrare le verità della fede (cfr. 1 Cont. Geni., c. 8).
e) Presta i suoi principii alla teologia, affinchè per mezzo di
essi metta in evidenza e più distintamente enuclei il ricchissimo
contenuto della Rivelazione ; e affinchè possa confutare le obie-
zioni portate contro la fede, mostrandone razionalmente la fai-
sità, o almeno la mancanza di forza cogente (.2 Coni. Gent.,
cc. 3, 4).
Questo metodo è stato applicato magistralmente da S. Tom-
maso. Esso ha l'approvazione della Chiesa (cfr. Syllabus, 13;
DENZ., 1713; Leone XIII, "Aeterni Patris"; Pio X, "Pascendi" ;
Pio Xl, « Studiorum Ducem ») ed è ricco di ottimi frutti.
A proposito dei contrasti che possono sorgere tra filosofia e
teologia, ecco un bel testo di S. Tommaso che chiarisce i rap-
porti tra esse (De Trinii., l. c.): «Come la sacra dottrina si fonda
sul lume della fede, così la filosofia si fonda sul lume naturale
della ragione. Onde, è impossibile che gli insegnamenti de.Ila
filosofia siano contrari a quelli della fede .... Che se nei detti elci
filosofi si trova qualcosa contrario alla fede, riò non è filosofin.
ma piuttooto abuso della filosofia per rlifetto di ragione. E per·
ciò è possibile con i principi:i stessi della filoso,fia (quindi su
terreno prettamente filosofico e con mezzi filosofici) confutare
siffatto errore, o dimostrando che ciò che fu obiettato è affatto im-
possibile, o almeno che non è inoppugnabile. Questa distinzione
s'impone: come infatti le cose della fede non si possono provare
dimostrativamente vere, r,osì alcune cos0 contrarie alla fede non
si possono provare dimostrativamente false ; ma si può semp1·e
dimostrare che non sono necessitanti».
La teologia è così opus (i.dei et rationis - opera insieme delln
fede e della ragione - attinge alla sorgente pura della Parola dt
Dio, la elabora in concetti più espressivi, per soddisfare la sete
di ogni anima. I misteri divini infatti, come insegna il Concilio
INTH.ODUZTONE 17

Vaticano, pur restando sempre misteri, hanno una loro intelligi-


bilità fruttuosissima per una mente religiosa che vi si applica,
appunto per l'analogia col mondo creato e per il nesso che li
lega tra loro e col fine ultimo dell'uomo (cfr. DENz., 1796).

IV
Le questioni riguardanti l'esistenza di Dio.

12 - E così che S. Tommaso enuclea le verità circa l'essenza


di Dio, alla luce della Rivelazione, ordinandole in modo che
esse offrano di lui il più alto e pieno concetto.
Definita la questione proemiale circa la natura della sacra Dot-
trina, su cui abbiamo creduto opportuno dare qualche cenno
(q. 1), l'Angelico propone la divisione di tutta la teologia (cfr.
q. 2). La Prima Parte la suddivide in tre grandi trattati:
1) il trattato che studia l'essenza di Dio; 2) il trattato che
studia la distin:.ione delle Persone; 3) il trattato che studia
l'opera creatrice di Di.o.
A noi interessa il primo trattato, il quale viene a sua volta
suddiviso nelle seguenti questioni: a) se Dio esista; b) come sia
in se stesso o piuttosto, nota S. Tommaso, come non sia; e) quale
attività abbia in se stesso, ossia della scienza di Dio, della sua
volontà e della sua potenza.
La questione dell'esistenza di Dio si svolge in tre articoli di
importanza fìlosofìra, oltn~d1è teologica, grandissima. La teo-
logia evidentemente suppone l'esistenza del suo oggetto e dei
suoi principii e non avrebbe da dimostrarli. Ma intorno al pro-
hlerna di Dio tali e tante sono state nei secoli le lotte della ra-
gione pm e contro, che il teologo non potrebbe dispensarsi dal
precisare i punti chiari e definiti, sia dalla filosofia, sia soprat-
tutto dal!' insegnamento rivelato. Il quale insegnamento, dichia-
rrrndo la ragione umana in grado di dimostrare l'esistenza di
Dio, entra nel vivo campo della filosofia stessa, su cui pertanto
il teologo ha da dire, anche come teologo, la sua parola. E d'ai-
tra parte, essendo la teologia scienza suprema, non potrebbe af-
fidare ad altre scienze la difesa dei suoi fondamenti, ma de\'e
provvedervi da sè, disputando contrn chi li combatte: «argo-
mentando dai suoi principii, se l'avversario ammette qualcuna
delle verità rivelate, come si fa contro gli eretici ; limitandosi a
sciogliere gli argomenti dell'avversario, se costui nient.e crede
di ci'ò che si ha per rivelazione. È chiaro infatti che poggiando
la fede sulla infallibile verità divina, ed essendo impossibile
dare dimostrazione contraria al vero, ogni prova che si porti
contro la fede non è una dimostrazione, ma un argomento sol
vibila » (q. 1, a. 8).
18 ESISTENZA E NATURA DI DIO

Le tre questioni riguardanti l'esistenza di Dio sono: 1) se l'esi-


stenza di Dio sia una verità per se nota, in modo che ogni di-
mostrazione sia superflua; 2) se l'esistenza di Dio sia dimostra-
bile in senso stretto; 3) con quali argomenti si provi l'esistenza
di Dio.
Nel trattare questi tre punti S. Tommaso usa abbondante·
mente e genialmente ragioni filosofiche, ma l'ispirazione della
dottrina è rigorosamente teologica, giacchè S. Tommaso specula
alla luce della parola ispirata, espressa in Snp., 13, 1-9; Sal. i35;
Rom., 1, 20; Es., 3, 14. In questo ultimo passo Dio indica il suo
nome con queste parole: «Io sono Colui che sono" (cfr. q. i3,
a. 11).
Nei testi di S. Paolo e del Libro della Sapienza è detto espres-
samente (parole ispirate e quindi verissime) che la ragione umana
è in grado di dimostrare l'e:;;istenza di Dio argomentando dalle
cose esistenti. Questi testi sono citati espressamente dall'Ange-
lico, o li presuppone nella mente dei discepoli, poichè l'esposi-
zione della sacra Scrittura era fatta, ai suoi tempi, in un altro
cor:;;o di studio, antecedente o parallelo al corso di teologia. si-
stematica.
13 - Ci si può domandare se queste prove circa l'esist.enza di
Dio, e ogni altra che si potrebbe portare, abbiano valore razio-
na I e dimostrativo o meno. C'è chi mette in dubbio questo va-
lore, ritenendo che tali prove valgono sul terreno teologico, e
non rigorosamente su quello filosofico, in quanto si appoggiano
alla Rivelazione e non alla ~emplice ragione umana. Per l'uomo,
nello stato di natura decaduta dopo il peccato originale - dicono
- è necessaria la grazia sanans per raggiungere con sufficiente
fermezza la convinzione dell'esistenza di Dio, qualunque sia la
prova che gli si sottoponga.
T.e prove dell'esistenza di Dio non sarebbero quindi di evi-
denza cogente. G. Corti recentemente scriveva: «La storia del
genere umano e dei suoi pensatori dimostra che all'infuori della
Rivelazione, tutto era Dio fuorchè Dio; anche Platone ed Aristo-
~le non hanno saputo formarsi di Dio quel preciso concetto ra-
zionale di cui tuttavia la ragione è capace». E questa che chiama
"dissonanza», egli la crede non risolvibile se non "ammettendo
che la naturale capacità dell'uomo a conoscere Dio presentemente
n0n si attui di fatto pienamente senza il concorso della grazia».
(La Scuola Cf!ttolica, i!MO, p. 90).
Ma qui mi pare doversi fare una distinzione: se si parla del-
l 'esist.enza di Dio, non mi sembra accettabile teologicamente
Qtrnsta soluzione. Mi sembra esclusa da quanto srrive S. Paolo
circa linescusabilità. dei sapienti: « Avendo conosciuto lddio non
lhanno glorificato come Dio, nè l'hanno ringraziato ; ma s' inva-
nirono nei loro ragionamenti, e fu avvolto di tenebre il 'loro stolto
cuore» (Rom., 1, 21). Oscurità della mente e del cuore data come
INTRODUZIONE 19

castigo di questa colpa e non della colpa originale. Mai si fa


cenno, nella Scrittura e nei Padri e in tutta la Dottrina della
Chie::ia, di un ostacolo generale frapposto dalla colpa originale
alla conoscenza di questa primordiale verità religiosa. La colpa
originale, secondo S. Tommaso, non intaccò le forze naturali
della ragione, giacchè ci privò direttamente dei beni gratuiti, e
solo indirettamente, in quanto fu disciolta l'armonia della giu-
stizia originale, portò un contraccolpo sulle forze della natura,
disperdendole in contrarie direzioni. La Chiesa rigettò recisa-
mente il Tradizionalismo che per giustificare le proprie teorie
ricorreva all'oscuramento subìto dalla ragione in seguito alla
colpa originale. Essa dichiara che cc sebbene la ragione, a causa
del peccato originale, sia stata resa debole e oscura, le rimase tut-
tavia abbastanza chiarezza e virtù da condurci con certezza alla
conoscenza dell'esistenza di Dio" (DENZ., 1627). Dove della gra-
zia non si fa menzione.
Non bisogna poi confondere la questione circa l'esistenza di
Dio come causa prima delle cose (ritenuto, almeno confusa-
mente, distinto dalle cose) con la questione circa la natura di
Dio, compiutamente determinata dalia ragione in modo ~oe­
rente. Per questa seconda questione le difficoltà sono molto più
grandi e praticamente insormontabili;· onde la grazia è moral-
mente necessaria (cfr. q. 1, a. 1; 1 Cont. Gent., c. 4). Invece
per la prima questione, pur concedendo l'utilità della grazia,
e anche la necessità di essa a riguardo di certi individui in con-
dizioni speciali, non credo che si debba estendere tale necessità
in generale a tutti gli uomini, secondo verità e secondo la dot-
trina di S. Tommaso. Da notare ancora che la grazia, di cui si
ammette la necessità per accidrns circa la questione dell'esi-
stenza di Dio, non è per necessità un ausilio essenzialmente so-
prannaturale, poichè è sufficiente anche un aiuto straordinario,
che rettifichi semplicemente la natura, in certi casi per cause ac-
ddentali, deformata. (Cfr. M. DAFFARA, Dio ... , p. 6. Torino, 1938).

V
Il punto di partenza delle cinque vie
e la sua importanza.

14 - Con le famose cinqur vie dell'art. 3, l'Aquinate conclude


a cinque attributi esclusivamente appartenenti a Dio come Prin-
cipio di tutte le cose ; i quali, confermati nella piena luce della
Rivelazione, gli serviranno per stabilire organicamente, secondo
uno &tretto ordine logico-metafisico, " quomodo Deus sit " o piut-
tosto " quomodo Deus non sit » : e cioè che Dio non può essere
corpo, nè avere in sè mistura di materia, nè di composizione
20 ESISTENZA E NATURA DI DIO

qualsiasi: tutto pura sostanza senza accidenti, semplicità as-


soluta, cui ripugna entrare in combinazione con qualsiasi es-
sere (q. 3).
Giova riassumere a brevi tratti il procedimento seguìto da
S. Tommaso nel determinare la natura di Dio. In tal modo ri-
saiterà meglio la stretta unità di tutto il trattato, e insieme la
ricchezza filosofico-teologica del suo contenuto.
Il metodo di S. Tommaso è rigoro::>ament.e logico, e sempre
strettamente coerente ai principii della sua filosofia, innalzan-
dosi gradualmente a un concetto di Dio massimamente compren-
sivo; il quale concetto illumina in seguito tuLte le questioni stu-
diate. e ,1uesto. infatti, il mo<lo connaturale di procedere della
nostra mente, la quale nelia sua attività conoscitiva passa dal
generale al pal'ticolare, dall'indeterminato al determinato, « pro-
cede, cioè, dalla potenza all'atto, e quindi perviene a un atto di
conoscenza incompleto, prima che a un atto completo. L'atto
perfetto a cui perviene la ment.e è la scienza completa, pe-r cui
le cose si conoscono distintamente e determinatamente: mentr~
l'atto incompleto è la scienza imperfetta, che ci fa conoscere le
cose in modo indistinto sotto una certa quale confusione,, (cfr.
I, q. 85, a. 3). C'è quindi in noi una conoscenza imperfetta e in-
completa prima che una conoscenza perfetta e completa.
Così avviene anche nella conoscenza di Dio. L'idea che ci sta
dinanzi alla mente, quando cominciamo a speculare di lui e- ci
domandiamo anzitutto se esista nella realtà, è un'idea massi-
mamente indeterminata. Si parte da una definizione nominale
(cfr. q. 2, a. 2, ad 2), e non si procede analizzando l'idea,
molto povera, che ne abbiamo; perchè oggetto della mente non
è lidea (se non per riflessione). ma la realtà, che l'idea rend8
presente ali' intelletto.e ii peccato originale del famoso argo-
mento di S. Anselmo, quello di procedere dal!' idea, che la
mente può farsi di Dio, come " ente di cui non si può pensare
uno più grande», per arguirne l'esistenza. S. Tommaso lo ri-
getta, perchè, per quanto perfetta ne sia lidea, " l'ente di cui
non si può pensare uno più grande" resterebbe pur sempre " in
apprehensione intellectn::; tantum», avrebbe cioè soltanto una
esi:;t.enza pensata, non mai un'esistenza realizzata, in sè, "in re-
mm natura'" se non si concede già rhe un tale Ente esiste "in
rerum natura"; il che non è concesso dall'ateo (rfr. q. 2, a. L
ad 2).
15 - Se si tratta dell'attività naturale rlella mente, oggetlrl
proprio di essa, condizionante ogni sua ulteriore cognizione an·
che circa le cose spirituali e Dio stesso, sono le essenze delle cose
fisiche. La nostra anima, essendo forma, ossia comprincipio so-
stanziale di un corpo fisico, è in contatto con !'es.sere fisico o
sensibile; e soltanto in esso le è dato di speculare l 'universaiità
dell'ente. L'anima è spirito, ma vivente e operante nel mondo
INTTIODUZIONE 21

fisico, fornita, per la sua attività specifica, di uno strumento


corporeo da lei vivificato e reso sensibile ali' impressione delle
cose nell'organo dei sensi. Non le piovono dall'alto idee divine
comprensive ed esistenziali, ma se le elabora essa stessa par-
tendo dai dati concreti che i sensi interni, in continuità coi sensi
esterni (e questi in contatto con la realtà fisica) forniscono alla.
sua facoltà operativa per eccellenza, l'intelletto agente (cfr. Diz.
Tom.; I, q. 84).
È reale ed esistente ci'ò che ha rapporti reali, e non solo pen-
sati, con la realtà esistente, che per noi è anzitutto il nostro es-
sere e le cose che ne circondano.
La m~nte umana da principio è tabula rasa .... un foglio
bianco su cui nulla è scritto. Non ha idee, ma solo 'la capacità
di formarsene. E se le forma con la sua attività, ma a contatto
con le cose realmente esistenti, modellandosi su di esse. È vero:
le cose tra cui viviamo, e il nostro stesso essere sostanziale, non
hanno i caratteri che hanno le idee. Le idee infatti sono univer-
sali, mentre nulla di universale esiste fuori della nostra mente.
Nè potrebbero le cose fisiche nella loro materialità venire di per
se. stesse a contatto immediato con la intelligenza e operare su di
essa, perchè è immateriale. Ma l'anima ha a suo servizio i sensi
('sterni, che sono facoltà proporzionate alle cose fisiche, essendo
legate a un organo corporeo. È questa, anzi, la ragione più pro-
fonda, perchè l'anima, pur essendo spirituale, è principio vivi-
ficante di un organismo corporeo; non inca:rcerata in esso per
fantastiche colpe commesse in esistenze anteriori quale pura
forma, come immaginava Platone; ma dotata di esso, in unità
stretta di natura, per formare una sola sostanza completa capace
di operare il contatto con le cose esistenti del mondo fisico, che
è il territorio nel quale si realizza l'essere connaturale a lei, di
cui deve vivere assimilandoselo nell'attività del pensiero.
Le cose fisiche sebbene materiali, particolari, contingentì, in-
carnano un'idea: sono fatte dal Logos e secondo il Logos, per
manifestare il Logos (cfr. I, q. 44. aa. i-4). E per questo possono
alimentare la nostra vita intellettiva, e portarci fino a una certa
conoscenza dello stesso Dio, il quale in esse in qualche modo si
rispecchia. Sotto l'influsso di una speciale facoltà spirituale
(detta intelletto attivo; cfr. I, q. 79, èlll. 3-4) l'immagine sensi-
bile delle cose, già in certo modo smaterializzata nei sensi
interni, rivela 'l'idea che si cela come incarnata nella materia.
Possiamo paragonare questa facoltà al filtro selettore di un appa-
recchio radio. Dalla congerie caotica delle onde hertziane che per-
corrono gli spazi, il filtro seleziona e rileva le modulazioni, che
quelle onde ebbero alla loro origine, sicchè risuonino nell'appa-
recchio in suoni distinti e precisi, quali segni dell' int.elligenza
che le ha modulate. Similmente lintelletto attivo fa con le cose
venute a contatto dell'anima: filtra l'idea che contengono e la
22 ESISTENZA E NATURA DI DIO

rende manifesta. E solo allora l'intelletto intende e gode, quando


ba colto l'elemento intelligibile, cioè l'essere ideale che la cosa
incarna e da cui è p'lasmata, e, per così dire, modellata in tutte
le sue parti.
Le cose materiali, dunque, per quanto affoghino l' idea nella
materia, sono nondimeno intelligibili (Io sono in potenza, dicono
gli Scolastici), e l'intelletto è in grado di cono.scerle; la sua Yita,
anzi, sta nell'assimilarsi la luce spirituale che racchiudono, ri-
facendo in sè la loro forma, che è l'elemento intelligibile che
le distingue. E cosi l'intelletto può conoscere l'essere del suG
proprio mondo con tutte le relazioni che implica.
16 - Nè l'intelletto nostro, nella sua attività naturale, può
siaccarsi da questo suo mondo fisico, perchè correrebbe il grave
rischio di pensare a vuoto e di costruire il suo edificio con enti
di ragione. Anche nel far uso delle idee che già nossiede, ha
bbogno del fantasma che faccia éome da corpo aU' idea astratta
(cfr. I, q. 84, a. 7). Dalle immagini sensibili, che sono nell~l fan·
tasia, ha origine la nostra cognizione intellettiva; e le immagini
della fantasia, a cui ci si riferisce pensando, sono come un con-
trollo della possibilità, se non della realtà, di ciò che pensiamo.
Il fantasma a sua volta è controllato dai sensi esterni in maniera
che la connessione col reale è stretta e continua. Perchè l'essere
pensato dalla nostra mente, è l'essere esistente - il reale in senso
pieno - non il possibile, se non in quanto il possibile deriva dal-
l'esistente ed ha in esso il suo fondamento. n possibile, infatti,
non è ente in senso pieno; e ci ::;ono enti possibili percbè ci sono
enti esist.enti e non viceversa. Ogni intelletto è ordinato anzitutto
all'esistente: sia l'intelletto divino, sia l'angelico, sia l'umano;
perchè la scienza è dell'essere esistente. "La scienza riguarda
anzitutto e principalmente l'ente esistente in atto» (III, q. 10,
a. 3). Campo proprio del!' intelletto umano, come abbiamo detto,
è il mondo fisico, con tutte le relazioni rnali che esso implica, le
quali sono infinite e portano fino allo stesso Essere infinito per
sè sussistente, perchè solo in lui le cose hanno la loro giustifi-
cazione.
Ma proprio perchè la ti!csofia di S. Tommaso fissa bene 4ue-
sto punto (che cioè l'oggetto dell'intelletto è l'esistente, essendo
l'esistenza ciò che vi è di più formale, di più intimo, di più at-
tuale e reale nell'ente, e ciò che costituisce l'ente stesso come
atto, mentre l'essenza è potenza ad esso ordinata; cfr. I, q. 3,
a. 4; q. 7, a. i; q. 105, a. 5; De Pot., q. 7, a. 2, ad 9 .... ), evita
radicalmente ogni forma di soggettivismo o idealismo; e con-
clude con le sue prove all'Ente realissimo, che non può non esi-
stere, anzi è lo stesso esistere sussistente, poichè tutto l'ordine
delle cose esistenti è sospeso acl esso. L'importanza di qt~esta
aderenza all'esistente non si potrebbe esagerare, e S. Tommaso
la rileva ogni volta che se ne presenta l'occasione. « La nostra
INTIWDUZIONE 23

conoscenza naturale - egli scrive - trae or1gme dal senso, e


quindi si estende fin dove può essere condotta come per mano
dalle cose sensibili ". E poichè le cose sensibili sono effetti che
non adeguano la potenza della Causa, mediante essi non si può
avere il pieno conoscimento della potenza di Dio e perciò nep-
pure quello della sua essenza. "Ma siccome le cose sensibili
sono effetti dipendenti dal!a loro causa, ne segue che per mezzo
di esse possiamo essere condotti fino a conoscere di Dio se esi-
sta; a conoscere altresi quello che a lui conviene necessaria-
mente come causa prima di tutte le cose eccedente tutti i suoi
effetti. Quindi noi conosciamo di Dio la sua relazione con le
creature, che cioè è la causa di tuttB, e la differenza esistente tra
esse e lui, che cioè egli non è niente di ciò che è causato da
lui; e che tali cose vanno escluse da lui non già perchè egli sia
mancante di qualche cosa, ma perchè tutte le supera» (q. i2,
a. i2).
Questo articolo è fondamentale e stabilisce il processo naturale
della nostra ascensione a Dio in armonia con tutta la filosofia
tomista.
17 - Da quanto abbiamo detto si può comprenderei perchè le
prove dell'esistenza di Dio per S. Tommaso non possono essere
a '[Yl'iori, partendo da un'idea ed analizzandone il contenuto,
ma solo a posteriori, partendo da effetti realmente esistenti. In
questo del resto egli è perfettamente in a1·monia con la Scrit-
tura (Sap., 13, 1-9; Rom., 1,20), e con le definizioni della Chiesa
(Conc. Vat., cfr. DENZ., i785), che non indicano, come argomento
dimostrativo dell'esistenza di Dio, se non quello che va dagli
effetti alla causa: «per ea quae facta sunt ".
Il contenuto di un'idea esprime l'essenza di una cosa, mn
non ne possiede l'esistenza, la quale è distinta realmente dagli
elementi di un'essenza ed in qualrh•! modo estrinseca ad eP>si.
Per S. Tommaso questa è lu verità fondamentale. In Dio, è vero,
essenza ed esistenza coincidono perfettamentt!. Egli è l'Essere
per sè sussistente. Ma questo concetto. ~he è il più alto e più
sintetico, a cui perviene S. Tommaso (cfr. q. 3, a. ~). non è nè
può essere un punto di partenza nella via della ricerca (via
inventionis), ma punto di arrivo. Suppone dunque che l'esistenza
reale di Dio sia data a noi da un'altra fonte. Soltanto nella via
a
iudicii, cioè quando procediamo unificare e chiarire tutte le
nostre cognizioni su Dio, quel concetto diventa principio illu-
minante e sorgente di un più perfetto sapere, in quanto ci ma-
nifesta la ragione intrinseca di tutto ciò che affermiamo e ne-
ghiamo di lui.
Per questa aderenza al reale la posizione di S. Tommaso è
altre~ì lontanissima dalle pretese degli Ontologisti (p. es., di
Malebranche e di Giobertiì, i quali ingenuamente ritenevano
che la nostra mente sia in contatto conoscitivo immediato con
24 ESISTENZA E NATURA DI DIO

l'Essere per sè sussistente, fin dalla prima attività intellettiva,


affermnndo che cc il primo logico (ossia il primo ente da noi
eonosciutoJ è anche il primo ontologico (ossia il primo esi-
stente)», per cui provare l'esistenza di Dio sarebbe fatica super-
flua. Nell'ordine de=lla nostra cognizione prima sono le cose sen-
sibili, poi Dio; prima i suoi effetti, proporzionati alla nostra
forza intellettiva, poi la loro causa. Sebbene nell'ordine dell'e3-
sere sia il contrario - prima la causa, poi gli effetti -, nell'or-
·dine del nostro conoscere è così; e il pensiero dell'uomo è ve-
ramente, in questo ordine, il centro dell'universo; non nel senso
·inteso dagli idealisti, quasi crei e ponga esso stesso la realtà
.flelle cose : ma nel senso vero e giusto inteso da S. Tommaso, in
·q•ianto è il pensiero nostro che fa l'ordine nella cognizione, pro-
<.«2dendo dal più noto al meno noto, e collegando le cose cono-
sciute secondo un ordine connaturale alla mente umana. E tut-
ta via la mente è perfettamente consapevole che l'ordine del suo
conoscere (ordine logico) non coincide con l'ordine dell'essere
'(ordine ontologico); nè la scienza logica, che si occupa del primo,
coincide con la metafisica che studia il secondo (mentre per gli
Hegeliani queste due discipline si confondono). E per questo la
sua cognizione può essere vera, nonostante l'ordine inverso.
Sono gH effetti di Dio, ossia le cose sensibili soggette alla no-
stra esperienza, che illuminano per noi l'esistenza di Dio e gli
attributi conoscibili di lui, come dice S. Paolo (1. c.). La nostra
mente è come l'esploratore delle sorgenti di un fiume, il quale
è costretto a risalirne la corrente.
Nè si; deve pensare che, cosi prooedendo, si arrivi ad un con-
cetto di Dio troppo misero. C€rto non si giunge, nè si può giun-
gere, con tale naturale processo, a conoscerne l'essenza intima
con un concetto del tutto positivo, che ci manifesti imme-
diatamente ciò che egli è; ma si giunge a un concetto in parte_
positivo, in parte negativo, legato sempre agli effetti deficienti,
da cui la mente è partita : si giunge a un concetto analogo di
Dio, per dirlo con una parola tecnica (cfr. Diz. Tam.). Esso
però è preziosissimo, sia per quello che manifesta, sia per quello
che nasconde, rendendoci Dio conosciuto insieme e sconosciuto,
p1ichè ci orienta sicuramente verso di lui, eccitando, per la sua
s~essa imperfezione, il desiderio di meglio conoscerlo, e confe·
rendo al nostro amore, che brama di vederlo come è in se stesso,
un valore più grande ancora che quello della cbgnizione (cfr.
nn. 24-25), e lasciando adito ad altre superiori manifestazioni di-
vine: quelle della fede ; e preparandoci alla visione intuitiva e
faciale della divina essenza, quando, per somma grazia « ve-
dremo Dio come egli è» (1" Giov., 3, 2): non più, quindi, nello
specrhio (1scuro delle cose ~ per speculum in aenigmate - ma a
farcia a farcia - facie ad faciern -, come si esprime S. Paolo
W Cor., 13, 12).
INTRODUZlONE

Cosi S. Tommaso, partendo dalla natura, può distinguere


nettamente da essa l'ordine ~oprannaturale, dando risalto alla
gratuità assoluta della Rivelazione e della nostra elevazione al·
l'ordine della grazia, mentre nel contempo ne mostra l'annonia
profonda con la nostra natura. Elemento questo preziosissimo
della speculazione tomista, di cui ha fatto tesoro tutta la spe-
culazione teologica seguente, e che la Chiesa ha custodito gelosa-
mente come sua dottrina, contenuta nel deposito della fede.
L'aver così ben fondata questa distinzione è merito precipuo di
S. Tommaso; che appare vtramente grande quando si confronta
il modo meno preciso o indeciso di pensare, su questo punto
vitale, dei pensatori anteriori a lui.

VI
Riassunto delle cinque vie.

18 - Le cinque prove esposte da S. Tommaso - e si potrebbe


anche dire la prova, poichè in realtà esse formano una sola
prova - partono da cinque aspetti essenziali della realtà, quale
cade sotto la nostra immediata conoscenza ; aspetti che non è
possibile intendere perfettamente senza affermare l'esistenza di
un principio supremo, che è ragione prima e fondamento della
loro esistenza. Le cose, infatti, che cadono sotto la nostra imme·
diata percezione - oggetto quindi della nostra esperienza sia in-
terna che esterna - e che l'intelletto tende a penetrare nella loro
n,1tura reale e profonda e nella loro ragion d'essere, presentano,
C'onsiderate sotto i vari aspe.tti e di fronte alle diverse causalità,
queste caratteristiche :
a) non sono immutabili, ma soggette al mutamento, ten·
dono cioè al possesso della loro naturale perfezione acquist.an·
<iola progressivamente: sono potenza che passa all'atto (consi-
derazione secondo lµ causalità materiale - ia Via);
b) agiscono e r'ragiscono le une sulle altre, producendosi e
conservandosi nell'éssere le une e le altre (considerazione :;e.
condo la causalità <:flìciente - za Via) ;
c) non esistono necessariamente, ma possono essere e non
essere; infatti cominciano ad esistere e cessano di esistere (con-
siderazione secondo la causalità formale intrinseca - 3" Via) ;
d) sono multiformi e realizzano gradi diversi di perfezione,
una maggiore dell'altra (considerazione secondo la causalità for-
male est.rinseca o causa esemplare - 4a Via) ;
e) infine nel loro mutarsi e nel loro agire non operano a
caso, ma tendono a fini determinati, realizzando in sè e nel-
l'universo l'ordine e la bellezza (considerazione secondo la ca:usa
finale - 5• Via). (Cfr. per queste varl:e causalità il Diz. Tom.).
26 ESISTENZA E NATURA DI DIO

Ora se si vuole dar ragione dell'esistenza delle cose e renderle


intelligibili, sotto qualunque di questi aspr!tti o punti di vista si
considerino, si è costretti a salire fino a un Primo e Incondizio-
nato che tutti chiamano Dio. Nè solo il complesso delle cose,
ma ogni singola cosa verifica in sè quelle proprietà, sicchè anche
da un solo frammento, per così dire, di realtà esistente, possono
irraggiare le cinque vie, che conducono la mente a Dio.
19 - ~ merito di S. Tommaso l'aver trovato uno schema scien·
tifico delle prove di Dio così vasto e completo, che abbraccia e
include in sè ogni altra prova scientifica. Le prove infatti, che
si danno da altri autori - come quella, p. es., che parte dalle
verità eterne esistenti nella nostra mente; quella che parte dalla
legge morale stampata nel cuore dell'uomo; quella che considera
l'origine della vita, della religione, ecc. - non è difficile vederle
come particolari applicazioni delle prove tomiste, poichè il nerbo
della loro forza consiste nel fatto che tali realtà non hanno in se
stesse e nell 'uc.mo la ragione o causa del loro essere ; e percib
necessariamentei devono averla in un al.tro essere, cioè in Diu.
Da profondo filosofo Tommaso si è attenuto alle cinque form~
di cause che esprimono gli aspetti essenziali di tutte le cose sog-
gette alla nostra esperienza, come di qualsiasi altra possibile, e
dalle quali è legittimo partire per una completa intelligenza
della realtà. Questa intelligenza non si trova se non nel primo
principio, che tutti intendiamo quando diciamo Dio.
All'Angelico importava - come teologo - stabilire metodica-
mente, per antit.esi, un complesso di attributi divini che con-
tengono in germe tutta la teodicea e pos..o;ono per analogia il-
luminare a noi la stessa Rivelazione soprannaturale, giacchè
questa è fatta a noi per il tramite di nuove analogie, desunte
anch'esse dalla natura creata. S. Tommaso non dimentica, anzi
ne fa un principio ricchissimo di applicazioni, che la grazifl
suppone la natura e sulla natura si modella, e sa che la prima
manifestazione di Dio ('P"''égwoiç come la rhiama S. Paolo, Rom.,
1, 19) si ha per il tramite de'lle cose create, le cui essenze for-
mano l'oggetto proprio della nostra mente. e questo oggetto di
conoscenza proprio e connaturale, che ci deve per primo mettere
in contatto con Dio; e Dio stesso non potrebbe fare a meno di se-
guire questa via nelle sue ultel'iori manifestazioni, fino a che
siamo pellegrini in terra, senza ricorrere al miracolo. Egli .:.i ri-
vela perciò necessariamente in speculo in aenigmate, cioè nel-
l'ombra delle creature, "perchè ogni nostra conoscenza trae ori-
gine dal senso», «e il raggio divino della verità non può dsplen-
dere su di noi altrimenti che attraverso la varietà dei ::.anti veli »
che sono le cose create, secondo Dionigi, (q. 1, a. 9).
Così il mondo, imperfetta ma reale manifestazione di Dio, ci
porta ad affermarlo come Primo Motore, nel pieno immufa1.
bìle possesso di tutta la sua perfezione, senza potenzialità, senza
INTRODUZIONE 27

cioè dover t.endere in nessun modo ad essa e senza la possi·


bilità di perderla (1• prova); come Prima Causa efficiente in·
causata, sorreggente con la sua efficienza infinita tutte le effi·
cienze, fonte eminente di tutte le attività (2• prova) ; ci porta
ad affermarlo semplicissimo e totalmente omogeneo in sè, senz<t
distinzioni intrinseche di essenza e di esistenza, di attributi e di
natura: pura essenza, pura esistenza, atto puro; necessariamente
esistente (3" prova) ; Causa esemplare unica, suprema, somma·
mente perfetta di tutte le cose, la cui maggiore o minore perfe·
zione consiste nel grado di maggiore o minore vicinanza che
hanno con lui (4• prova); come Finalizzatore di tutte le cose,
Intelligenza Suprema e Suprema Bontà, che tutto intende, nella
comprensione di se stesso e tutto ordina e attrae a sè (5• prova).
Quest-0 complesso di attributi divini è preziosissimo nel pa-
trimonio della nostra conoscenza. Per avere una compiuta d&
finizione reale della natura di Dio, quale si può ottenere da noi,
basterà elaborarne sistematicamente e coerentemente il conte·
nuto implicito ricchissimo. Essi costituiscono nell'ordine della
ricerca di questa ulteriore determinazione della natura di Dio
(come S. Tommaso documenta nelle questioni 3 e ss. della
Somma) H criterio decisivo di quanto si afferma o si nega di lui
secondo ragione.
E si arriva al concetto più comprensivo che noi possiamo farci
della Causa Prima: 11 L'essere per sè sussistente» - esse per
se subsistens - ; concetto che ci illumina poi a sua volta più
inf.rinsecamente tutti gli attributi di Dio, manifestandoci la ra·
gione intima del loro dover essere. Questa nozione equivale a
quella di S. Anselmo: 11 id quo maius cogitari non potest ,,
(l'ente di cui non si può pensare il più grande, Proslogium, c. 1);
ma la supera per precisione metafisica (cfr. q. 3, a. 4; q. 13, a. 11).
E non è vero che per elaborare questo concetto S. Tommaso
- come lo accusa Kaiit - lasci da parte le sue prove cosmologiche
e teleologiche subito dopo il primo passo, e vada in traccia di
meri concetti a priori con cui determinare, fuori de:Ila realtà, la
causa necessaria, a cui portavan quelle prove (cfr. Critica della
Ragion Pura, trad. d~ G. Gentile e G. Lombardo·Radice, Il,
pp. 133 ss.). Il concetto nuovo non è se non l'enucleazione reali·
stica, analitica, dei concetti stessi di Motore Primo immobile,
Causa Prima incausata, Ente necessario, massimamente perfetto,
Intelligenza suprema finalizzatrice, ai! quali conducono le prove
cosmologiche.
L'ente, che possiede tali attributi deve escludere da sè tutti i
caratteri d'imperfezione che hanno le cose dell'universo e lo
stesso universo nel suo insieme; escludere la composizione, la
contingenza, la finitezza, la potenzialità. Deve essere l'ente rea·
lissimo - id quo maius cogitari non potest - includente tutte le
perfezioni senza limiti. E poichè dire perfezione è dire essere,
28 ESISTENZA E NATURA DI DIO

Egli necessariamente è «lEssere sussistente - Esse subsistens ».


Ma questo concetto, ben lungi dall'e.:isere il nerbus probandi,
come pretende Kant (ivi), è il termine a cui' arriva la mente,
procedendo nella penetrazione di quegli attributi senza che nulla
di soggettivo, o di a pri.pri, immetta nella sua sintesi, cammi-
nando su terreno reale e sodo; giacchè reale è i'l mondo da cui
si è partiti, reale quindi ne è la causa, e reale è conseguente-
mente la perfezione che necessariamente la costituisce come
causa del mondo (cfr. q. 12 a. 12). Le critiche di Kant proven-
gono dal conr:ettualismo, che è la sua dottrina gnoseologica; ma
non mordono il realistico processo tomista, se non supponendo
,·era quella errata dottrina.
20 - Questa tssenziale esclusiva proprietà di Dio - Essere per
sè sussistente - illumina, lontano lontano, le tesi principali della
teologia tomista; giacchè S. Tommaso se ne servirà per provare
la necessità che ogni ente sia creato da Dio, non esclusa la ma-
teria prima (I, q. 44, aa. 1, 2), e la totale dipendenza da lui d1
tutti gli enti creati, non esclusa la libera volontà dell'uomo; poi-
chè, essendo ogni creatura ente per partecipazione, è impossibile
che possa non dipendere dall'Essere per essenza. Questi, perciò,
tutto co:'.1osce nella sua essenza e causalità; la sua scienza è
scienza di artefice, causatrice delle cose (I, q. 14, a. 8), non pre-
suppone a sè nessun ente reale o logico; non dipende assoluta-
mente da nessuno, ma ogni cosa dipende assolutamente e total-
mente da lui. :E] creatore di tutto l'essere de'lle cose, prima Causa
ili ogni genere di causalità, tranne la causalità materiale e la
forma intrinseca, perchè egli non può entrare in composizione
con nessuna cosa, essendo atto puro (cfr. q. 3, a. 8); muove ogni
cosa al suo fine (I, q. 22; q. i03); è causa prima anche del nostro
conoscere e del nostro volere {I, q. 105, aa. 3-5); predestina l'uomo
gratuitamente; e sono doni suoi anche i meriti che l'uomo real-
mente acquista con la sua grazia (I, q. 23, a. 5); la sua mozione
e la sua grazia sono efficaci, pur nel muovere la libera volontà.,
di per se stesse, non per dipendenza da qualsiasi atto della crea-
tura (cfr. I, q. 22, aa. 2, 4; q. 23, a. 6; q. 103, aa. 7, 8).
E questo appunto perchè è la prima Causa Incausata, la prima
Intelligenza sempre in atto di intellezione, l'Essere sussistente.
Prima della sua azione creatrice non vi può essere cosa al-
cuna; solo dopo di lui, per dipendenza da lui, esiste ogni essere
partecipato, il quale persist€ nell'esistenza e opera unicamente
perchè sospeso alla sua azione conservatrice e motrice (I, qq. 104,
105).
Tutte queste tesi, e altre molte nella dottrina di S. Tommaso,
sono connesse e contenute in quel concetto fondamentale di Dio,
come conseguenze implicite nel loro principio. Si potranno forse
mettere in discussione tali dottrine in se stesse, ma non il fatto
della loro stretta coerenza coi principii del'la teologia tomistica;
INTRODUZIONE 29

la. quale si muove in un processo razionale meravigliosamente


concatenato, non per mezzo di sillogismi, solo formalmente co-
i:;truiti, ma per nessi reali, imposti dall'essere.

VII
Il primato dell'essere e dell'intelletto.

21 - Notiamo ancora che 'l'Angelico, pur accettando quale ve-


rità indiscutibile e valorizzando molto la nozione di Dio come
Sommo Bene (cfr. I, q. 6; q. 19, a. 2; lii, q. 1, a. 1; q. 23,
a. 1; q. 75, a. 1.. .. ), preferisce (distinguendosi in questo dalle
correnti teologiche più ispirate al Platonismo), come concetto sin-
tetico massimamente comprensivo, quello di Essere sussistente.
Perchè il concetto di &sere, come concetto, gli appare più uni·
versale di quello di bene (q. 5, a. 2) ; e la facoltà intellettiva,
che ha come suo proprio oggetto l'essere, primeggia sulla vo-
lontà che ha come suo proprio oggetto il beno; il quale non
muove la volontà se non in quanto conosciuto dall'intelletto.
E da questo pertanto, la volontà, pur essendo prima nel'l'ordine
dell'efficienza (/, q. 82, a. 4), riceve nell'ordine della causalità
finale e formale la sua specifica determinazione. Sicchè, assolu-
tamente parlando - essendo il fine la prima delle cause - l' in-
telletto precede la volontà e la dirige (I, q. 82, a. 3). Anzi ogni
volontà emana dall'intelligenza come da suo principio (/, q. 19,
a. 1; q. 27, a. 3; q. 59, a. 1; q. 80, a. 1); e il suo atto libero
è tutto impregnato della luce intellettiva, ed è intimamente con-
nesso all'esercizio del raziocinio (/, q. 83).
Tuttavia, realista sino in fondo, l'Angelico - proprio in forza
dei principii or ora accennati circa l'og·getto proprio della nostra
intelligenza e il modo di procedere di essa nel suo atto, e la con-
seguente imperfezione della nostra conoscenza di Dio - stabilisce
che è cosa migliore amare Dio, specialmente in questa vita, che
conoscerlo, ossia che, trattandosi di que::to supremo oggetto del·
l'amore, amare val meglio che conoscere; e la carità, la quale
è nella volontà come forza impulsiva ad amare Dio com'è in sè,
è più alta e nobile virtù, che la fede, 'la quale è nell'intelletto
e ci fa conoscere Dio soltanto imperfettamente nelle analogie
dell'ente creato. J.i'amore infatti, spiega S. Tommaso, procede
dalla conoscenza, ma fa un percorso inverso : l'intelletto cono-
sce traendo a sè le cose, la volontà invece tende alle co::e cono-
sciute per possederle in se stesse. Sicchè l'intelletto, conoscendo
Dio, lo abbassa al suo livello (quidquid reci-pitur ad modum
recipienti~ rccipitur). menfre il moto dell'amore tende a supe-
rare questo limite per possedere Dio com'è in sè ; il suo desi-
derio non si appaga ma si a~u.isce e non lascia tregua all'intel-
30 ESISTENZA E NATURA DI DIO

lt:tto (cfr. p. 247, nota 3; 11-11, q. 27, a. 4; De Verit., q. 10, a. ii,


ad 6).
«L'amore di Dio, quindi, è qualcosa di più grande ~ maius
nliquid - che la conoscenza di Dio, specialmente nello stato di
viq. », in cui ci troviamo finchè viviamo su quest.a terra (Il-Il,
ivi, ad 2). Presuppone tuttavia la conoscenza di Dio, la quale
ne rende possibile l'amore; e la conoscenza stessa riprenderà il
suo posto di primato, anche nei rapporti con Dio, però non del
tutto, nel termine della via, in Patria : quando l' intelligenza
fornirà alla volontà il possesso pieno del Sommo Bene, a cui
la volontà anela; non più inseguendolo nelle ombre, ma veden-
dolo svelatamente faccia a faccia (/, q. :12, a. :i; 1-11, q. 3, a. 4).
Questa dottrina - del primato dell'intelligenza - ci permette
di salvare con più evidenza la 'libertà di Dio nella sua azione
creatrire e in tutte le opere ad extra, contro il pericoloso deter-
minismo naturale dei Neoplatonici, e contro quello psicologico,
eh~ ebbe più tardi la sua formazione nell'ottimi~mo di Leibnitz.
Tra l'essere di Dio, della cui bontà sono partecipazione le crea-
ture, e la volontà che, per il suo stesso impulso verso il bene,
tonde naturalmente. a comunicare la bontà, sta di mezzo, rego-
latrice, l' intelligenza, la facoltà che ricerca l'armonia; e ad essa
spetta scegliere i fini e proporzionare i mezzi ai fini. L'essere·,
quindi, e l'ordine delle cose create, è fatto anzitutto dall' intel-
li!Senza, alla quale segue la scelta del volere (I, q. :14, a. 8;
q. 19, a. li.). Il fine, che Dio si prefigge nelle opere esteriori, es-
sendo la bontà divina partecipata e manifestatà, appare chiara
la libertà assoluta dell'atto creatore, poichè la bontà di Dio -
per sè sus::iistente come il suo essere col quale coincide - è pie-
nezza infinita che nulla riceve dalle creature, e resta sempre in-
finitamente distante da tutte le sue possibili partecipazioni, rea-
1i zzabili nellt> rrt>ature (cfr. I, q. :19, a. 10: q. 25, a. 6).
L'essere sussistente, che agisce per intelletto, non può non
essere libero circa i beni, che non sono la sua stessa essenza
(I, q. 19, a. 3); e se si vuole parlare di necessità divina nel
creare, conservare e governare le creature, si deve intendere di
una necessità non assoluta, ma di supposizione; supponendo,
cioè, che Dio le voglia, non potrebbe non volerle, data la sua
assoluta immutabilità (1, q. 19, a. 3).
22 - In forza dei cinque suddetti attributi che culminano
e si condensano nel concetto di "Essere sussistente"• S. Tom-
maso esclude sin dal principio ogni possibilità che Dio venga
panteisticamente confuso con qualsiasi ente creato o parte di
ente creato (cfr. q. 3). Tra l'" Essere per sè sussistente n ~ pie-
nezza di perfezione e massima semplicità (q. 4), atto puro di
perfezione - e gli enti per partecipazione, che non sono l'es-
sere, ma partecipano l'essere - composti quindi, nel loro stesso
nncleo costitutivo, da due elementi distinti e proporzionati, uno
INTRODUZIONE 31

limitante (potenza, essenza} l'altro limitato, ma conferente la


reale perfezione (atto, esistenza) ,.. la distinzione è radicale e ir-
riducibile. L'Essere sussistente, appunto perchè atto puro, tutto
omogeneo in sè, non è che uno e immoltiplicabile (q. U) ; è
nere9Sario, pienezza simultanea di totale perfezione ossia eterno
(cfr. q. 10), semplicità assoluta, senza possibili distinzioni reali
(q. 3), asoolutamente immune da qualsiasi forma di mutamento
{q. 9), causa creante di tutto l'essere (I, q. 44). Mentre l'essere
per partecipazione è moltiplicabile, è contingente e limitato, è
mutevole, bisognoso di essere sorretto dall'onnipotenza di lui,
appunt-0 perchè nel suo nucleo costitutivo non è atto puro, tutto
in sè omogeneo, ma composizione reale di potenza ed atto in-
sieme: due elementi distinti, non separabili, ma condizionantisi
a vicenda. Ogni possibile ente che non sia Dio, non può essere
SB non così. Questi due concetti nella dottrina di S. Tommaso
(Dio = Essere per sè susswtente, nel quale si identificano essenza
ed esistenza; le Creature= enti per partecipazione, realmente
composti di essenza e di c.~istenza) riassumono tutto ciò che ap-
pa rtiene a Dio come tale e alle creature come tali. Cosi l'ele-
mento distintivo, per cui i due mondi - 1' increato e il creato
- sono irriducibili, è intrinseco a Dio e agli enti creati, e non
semplice predicato estrinseco.
Questa visione metafisica è cosi una forte base per escludere
qualsiasi forma di panteismo, e altresì per affermare energica-
mente la distinzione tra l'ordine naturale e l'ordine soprannatu-
rale (cfr. n. 17 in fine).

VIII
I limiti della nostra conoscenza di Dio.

23 - E per quanto l'ordine naturale possa illuminarci su Dio,


1' intelletto nostro, il quale ha coscienza del suo punto di par-
tenza e del suo proprio oggetto, sa perfettamente che non ci por-
terà se non alla soglia, per cosi dire, della intima essenza di Dio.
Dio trasrende ogni essere creato e ogni nostra cognizione. I con-
cetti che possiamo avere di lui e i nomi con cui esprimiamo
tal i concetti, desunti dal creato, sono concetti e nomi che con-
vengono a Dio analogamente, non univocamente, sebbene non
~quivoramente (q. 13, aa. i-3). Dalla equivocità nascerebbe l' im-
pornibilità totale di conoscere Dio (agnosticismo); dalla uni-
vocità - intendendo con questo termine una somiglianza so-
~tanziaie delle realtà significate - nascerebbe una panteistica
confusione dell'essere increato con l'ente creato; dall'analogia
risulta una possibilità reale di conoscerlo, ma in modo imper-
fetto. Tali nostri concetti ce lo significano in modo proprio e
ESISTENZA E NATURA DI DIO

non puramente metaforico o simbolico; ma per poterli appro-


priare esclusivamente a ini, dobbiamo affrettarci a includere
in essi, oltre l'elemento positivo che contengono, anche un ele-
mento negativo, escludente i limiti e le imperfezioni, con cui la
realtà espressa dai concetti viene attuata nelle creature. In forza
del principio di causalità noi siamo perfettamente autorizzati ad
attribuire a Dio tutta la perfezione che è negli effetti ; ma poi-
chè Dio è causa libera, agente per intelletto e volontà, u:naloga
agli effetti e non univoca ad essi, trascendente cioè la specie e
il genere degli effetti (non come il padre è causa del figlio, ma
come l'ingegnere è causa della macchina), per questa ragione
al concetto di Dio, desunto dai rapporti reali che le cose hanno
con lui, dobbiamo aggiungere la differenza del suo essere da
quello delle cose. E questa differenza, che è l'elemento più im-
portante, non è per noi che una negazione. Dobbiamo accon-
tentarci di dire che la sua perfezione non è essenzialmente
quella delle cose, ma soltanto simile e proporzionale; in sè è
infinitamente superiore, trascendente, e sostanzialmente a noi
ignota (q. 12, aa. 2, 12).
24 - Ma la nostra cogniz10ne di Dio, sebbene imperfetta, è
vera e preziosissima. La dottrina dell'analogia degli enti, che
si estende a tutto il campo dell'essere, non escluso Dio che è il
« Sommo Analogato » dell'essere e delle perfezioni dell'essere, è
fondata, nel sistema di S. Tommaso, ben più saldamente chl'
nel sistema di Aristotele. Perchè S. Tommaso beneficia della pre-
ziosa dottrina della creazione, ignorata o non considerata da Ari-
stotele, secondo la quale ogni ente deriva da Dio; il molteplice.
per quanto vario ed esteso, deriva dall'Uno e necessariament~
porta nel suo seno la immagine o il vestigio de'll' Uno: del!' Uno
com'è in se stesso, nella sua natura intima, la quale non puo
non essere in qualche modo simile ai suoi effetti, poichè cau-
sare è rendere altri partecipi del proprio essere, anche se questa
partecipazione, ai limiti del creato, non sia più che un'ombra
(I, q. 44; q. 45, a. 7; q. 93).
Pertanto nella nostra conoscenza di Dio la via remot1!onis o
negationis, deve integrare 'le vie causalitatis ed excrllcnt1ae ·
perchè mette in più chiara evidenza la radicale distinzione di
Dio da ogni cosa creata, togliendoci la tentazione di confonderlo
con l'essere vago e astratto che si trova, come realtà universa-
lissima, nella mente.· quando fonde in concetti semplici le diffe-
renze delle cose, o le considera come enti. Pensatori valenti, an-
tichi e moderni, hanno fatto questa deplorevole confusione. Per
questo S. Tommaso insiste su questo aspetto negativo della no-
stra conoscenza di Dio: ,, di lui - egli scrive ~ sappiamo piut-
tosto ciò che non è, anzichè ciò che è» (q. 3, prol.); e mai
cosi bene ~ egli nota - noi pensiamo di Dio, come quando lo
distinguiamo da tutte le cose create negando energicamente
INTRODUZIONE 33

che Egli sia qualeosa. di identico ad esse. Così il pensiero di


S. Tommaso armonizza profondamente, nella sua metafisica evi-
denza, con quanto definisce i'l Concilio Lateranense IV : « tra
Dio e la creatura non si può notare una somiglianza tanto grande,
St}nza notare, insieme, una dissomiglianza ancora più grande »
(cfr. DENZ., 432).
S. Tommaso rigetta entrambi gli opposti errori dell'agnosti-
cismo e dell'antropomorfismo; ma se potesse avere una prefe-
renza tra due errori, sarebbe certo per l'agnosticismo, tanta è
la sua preoccupazione di non materializzare l'essere divino, per
sè sussistente (q. 13, a. 5). Per cui l'Angelico ritiene «più alta
e piìt sicura» la via ncgationis, per arrivare alla cognizione
propria di Dio, ftnchè noi siamo in terra. Scrive infatti (3 Cont.
Gent., c. 39 [trad. A. Puccetti, O. P. 'forino, 1928]):
«Oltre la conoscenza di cui si è parlato, ve n'è un'altra più
alta, che si ha di Dio per mezzo di dimostrazione, con la quale
ci avviciniamo meglio alla cognizione propria di 'lui. Infatti me-
diante la dimostrazione si rimuovono da lui molte cose, per cui
riusciamo ad intenderlo distinto dagli altri. Con la dimostrazic..ne
si fa chiaro come Dio sia immobile, eterno, incorporeo, semplice,
del tutto unico, e dotato di simili proprietà che già abbiamo ve-
duto [l. I, 14 ss.]. Ora si giunge alla cognizione propria di una
cosa non solo per la via delle affermazioni, ma anche per quel'la
delle negazioni: poichè se f> cosa propria dell'uomo essere ani·
male ragionevole, così è proprietà rli lui ancora non essere ina-
nimato, nè irragionevole; ma questa è la differenza fra i due
modi di conoscenza, che avuta la conosr...enza propria di una cosa
mediante le affermazioni, si sa che cosa sia, [positivamente] la
<'osa, e come sia rlistinta clalle altre ; invece avendo la conoscenza
propria della cosa mediante le negazioni, si sa come sia distinta
dalle altre, ma ci resta sconosciuto quM che è in se stessa. Tale
è la cognizione 'firopria di Dio che acquistiamo con le dimostra-
zwni.))
25 - Questa teologia negativa si distingue però radicalmentE>
da quella dei neoplatonici, i quali insegnavano l'incapacità as-
soluta della mente umana a determinare qualsiasi oosa circ:t
Dio; e da quella, affine e peggiore, del movimento teologico ete-
rodosso capitanato da Bal'lh, ispfrato alla concezione pessimi-
stica di un decadimento irrimediabile della ragione umana per
la colpa d'origine, per cui Dio e i misteri divini in nessun mod?
sarebbero esprimibili in concetti umani. Infatti la teologia ne-
gativa di S. Tommaso ci notifica qualche r~osa di ben prezioso
circa Dio, e cioè la sua distinzione o separazione netta dalle COS('.
E così viene perfezionata l'imperfetta cognizione positiva clw
di lui possiamo avere per la via della cau.salit.à, per la quale lo
determiniamo mediante concetti che sono analogicamente cr•·
muni a Dio e alle creature. L'elemento dissomiglianza, che è
ESISTENZA E NATURA DI DIO

incluso nei concetti analogici, non potendo noi determinarlo po-


sitivamente in sè, lo determiniamo negativamente, in rapporto
sempre a'lle creature, col vantaggio prezioso di evitare lo scoglio
panteistico e di conservare Dio in tutta la sua trascendenza.
senza tuttavia cadere nell'agnosticismo.
Da notare infine che, pur nell'ambito della fede cattolica, altri
teologi sono meno energici nel rilevare la distinzione dei due
ordini: di conoscenza: ordine increato essenzialmente divino e
in sè a noi inconoscibile coi mezzi naturali, e ordine creato pro-
porzionato alla nostra facoltà intellettiva. Infatti l'ente creato è
concepito da alcuni piuttosto univocamente all'ente increato
(&oto) ; oppure l'analogia è definita più per l'elemento somi-
glianza (Suarez) che per l'elemento dissomiglianza, come invece
fa abitualmente e nei rapporti tra l'ente creato e Di'o in modo
speciale, S. Tommaso. 1

IX
Vitalità perenne dei principii tomistici.

26 - Concludiamo questo sguardo sulle grandi linee della spe-


culazione tomista nel Trattato di Dio Uno, rilevandone la vita-
lità perenne. Nulla di più fondato, di più completo, di più ar-
monico è stato finora scritto che possa "!ostituìre questo trattato.
La speculazione teologica posteriore e contempo'I'anea ha recato
molti elementi preziosissimi, specialmente di teologia positiva,
al la conoscenza migliore della verità rivelata; ma continua a
considerare l'ope.ra dell'Aquinate cc quanto al metodo, alla dot-
trina, e ai principii » (C. I. C., i366, 2) insostituibile; e vi at-
tinge continuamente ispirazione e nonna.
La ragione di questa vitalità va ricercata nelle posizioni salde,
da cui parte S. Tommaso, e su cui fonda la suu onera. Stru-
mento della sua penetrazione ed enucleazione del dogma è la
filosofia dell'Pssere, la quale, m armonia col Sf'n:>o comune (in-
teso come istinto naturale incoercibile della ragione, comune a
tutti gli uomini, ad affermare le verità primordiali) si muove
realisticamente e scientificamente sul solido terreno, che è quello
implicitamente indicato dalla Rivelazione stessa.
A questa filosofia bisogna finalmente che la mente umana
faccia ritorno dopo gli smarrimenti romantici per vie nuove, le
quali, per quanto appaiano seducenti per la drammaticità del-
1' interesse che suscitano nei primi momenti, conducono pur
sempre lontano dalla realtà e dalla vita. La mente non può ap-

1 Sulla teologia negativa dei neoplatonici cfr. LOSSKY VL., in R. Se. Ph.
111 i>nl,, 1939, pp. 204, S:>.
TNTRODUZIONE

pagarsi di filosofie distruggitrici delle certezze fondamentali ; e


soprattutto per mezzo loro non le è possibile intendere, pur nei
limiti delle sue capacità, la Parola di Dio; la quale suppone il
retto esercizio della ragione naturale e una filosofia immune da
errori. Con una filosofia errata non si costruisce una buona teo-
logia, e conseguentemente si altera la fede, con cui la teologia è
in stretta dipendenza.
La superiorità. de.Ila teologia di S. Tommaso, pensiamo che
riposi proprio su questo intrinseco carattere, oltre il genio in-
discutibile dell'Aut-0re. Esperimenti teologici recenti, fatti in an-
tagonismo ai principii tomisti e finiti con la condanna o la di-
sapprovazione della Chiesa, sono molto significativi'.
«Allontanarsi dall'Aquinate, specialmente in metafisica non
{J senza grave danno, » ammoniva Pio X nell' Enc. "Pascendi »,
e Pio XI richiamava questo ammonimento nell' Enc. «Studio·
rum Ducem.». E ciò non perchè S. Tommaso sia ritenuto nella
Chiesa di Dio una specie di nume o di feticcio; ma percbè al-
lontanarsi sostanzialmente dalla sua metafisica - a parte la bar-
datura storica medioevale sotto cur si presenta - implica ab-
bandonare l'aderenza obiettiva alla visione rlell'essere, che fu
più chiara e più profonda nella. sua grande intelligenza: si·
gnifica rompere l'armonia tra i due ordini di verità che s' im-
portano e s'illuminano a vicenda - pur essendo essenzialmente
distinti - perchè derivano, benchè in modo dive.rso, dalla stessa
divina sorgente. Donde segue, non illusorio, ma reale, il peri-
eolo di mancare di fedeltà all'essere, che solo può condurci a Dio.

P. MARCOLINO DAFFARA, o. P.
CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME

I) l'esistenza (q. 2)

I
1) semplicità di Dio (q. 3).
a) in se medesima (q. ''·

~) perfezione in generale
~~
1)
b) nelsuosinonimo (q. 5).
A) oggettii'amente:
come è in se che è la bontà 2) la bontà di Dio
La Dottrina sacra, stessa, o, me- (q. 6).
~lio, .. come non
~
a) nell'essere (q. 7).
o Teologia (q. 1), e• 3) infinità
b) in rapporto al luogo: l'ubiquità (q. 8).
a) in se stessa (q. 9).
~
ha per oggetto
4) immutabilità
Dio Il) la natura b) nella eternità che ne deriva (q. 10).
5) unità (q. 11).

l
di cui nel trattato

De Deo Uno B) SO!Jgettivamente: 1) la nostra conoscenza di Dio (q. 12).


m rapporto al
nostro modo di
si considera : conoscerlo e di
parlarne 2) i nomi di Dio (q. 13).

III) le operazioni (vedi voi. Il)


AVVERTENZE

1. Nel testo italiano sono stati eliminati i richiami e le indica..


zioni delle opere citate, perchè figurano a fronte nel testo latino.
Dove l'intelligibilità della frase lo richiedeva è stato inserito qual-
che termine o qualche espressione tra [ ], per facilitare la compren-
sione del testo senza ricorrere a perifrasi.
Nella punteggiatura si segue ordinariamente il latino, per dare
agio al lettore di controllare la traduzione e di consultare il testo
originale.
I richiami delle note sono tutti nel testo italiano, esse però conti-
nuano anche sotto il testo latino e talvolta nelle pagine seguenti.
2. Il testo critico latino dell'Edizione Leonina è riprodott() con
la più scrupolosa fedeltà. La sola enumerazione degli artic()li all' ini-
zio della Quaestio è stata fatta senza capoversi.
Manca però, nella nostra edizione, l'apparato critico. Le sole va-
rianti di un certo interesse vengono prese in considerazione nelle
note.
Le citazioni, o i dati complementari delle citazioni, che l' Ed. Leo-
nina riporta in margine, sono state inserite nel testo tra [ ]. Sol-
tanto i versetti della sacra Scrittura - in corsivo - figurano senza
altri contrassegni.
Le citazioni e i luoghi paralleli sono semplificati con criteri tecnici
moderni.
Le Opere dei SS. Padri sono citate secondo le diciture più comuni:
per non infarcire troppo il te~to di elementi estranei, abbiamo tra-
scurato i titoli e le enumerazioni meno usuali. Dove i richiami sono
vere correzioni del testo della Somma, vengono riportati in nota.
PROLOG0 1

Il dottore della verità cattolica deve istruire non solo gli iniziati
ma anche i principianti, secondo il detto dell'Apostolo: "quasi ~
bambini in Cristo vi ho dato del latte da bere, non del cibo solido ,,
perciò l'intento che ci proponiamo in quest'opera è ,di esporre tutt~
ciò che concerne la religione cristiana nel modo più confacente alla
formazione dei principianti. .
Abbiamo infatti notato che i novizi in questa disciplina trovano
un grande ostacolo negli scritti di vari autori: in parte per la mol-
teplicità di questioni, articoli e argomenti inutili ; in parte anche
perchè le cose che essi devono imparare non sono insegnate secondo
l'ordine della materia, ma come richiede il commento di dati libri 2
o l'occasione della disputa;' e finalmente anche perchè quel ripetere
sempre le medesime cose ingenera negli animi degli uditori fastid:o
e confusione.
Cercando quindi di evitare questi e altri simili inconvenienti, ten-
teremo, confidando nel divino aiuto, di esporre la dottrina sacra con
la maggiore brevità e chiarezza consentita da tale materia. •

1 Il Prologo della Somma non è una Introduzione; è come un'avvertenza, in cui


l'Autore dichiara lo soopo del ~uo hbro. Se è lecito 11mmirarne la conelstone, è
anche doveroso ricordarsi che l'opera ha la sua vera Introduzione nei 10 articoli
della questione 1.
• S. Tommaso allude alle varie lacune che presentava l'Insegnamento teolog!oo
del suoi tempi, e specialmente a quelle dei compendi più diffusi di tale disciplina.
In ordine di dignità venivano per primi I Commenti alla sacra Scrittura.
I grandi Maestri del sec. XIII si facevano ancora. un dovere di tessere lunghe
esposizioni teologiche, più che esegetiche, del testo sacro. con l'aiuto delle glosse
e degli scritti de1 · SS. Padri. Data pl'rò la passione del secolo XIII per le qu~Uonl
dogmatiche, !"esposizione !lei testo ~acro serviva ordlnartamente di spunto per In-
tavolare e rtsolvere I problemi precliletti, senza prestarsi però ad una elaborazione
sistematica dei medesimi. Come fa notare Il Prologo della Somma, te cose che i
prtnctptantt àovevano tmparare non erano in.~egnate seconào l'oràtne della ma-
lerta, ma come rtchtedeva tl 1:ommento di à111t ltDrt.
Ma il biasimo dell'Aquinate era diretto principalmente al suol colleghi teologi,
per I loro infelici tentativi >'lstelllatici intorno alle Opere del Padri.
Spesso questa elaborazione consisteva In un virtuosismo dialettico che, spe-
cialmente net due secoli precedenti, aveva su~cltato l'ammirazione clei letterati e
lo sdegno del mistici. Abelardo non er;, stat.o ancora dli!iemlc"to quando S. Tom-
maso serlvev:i la Somma. - I maestri avevano me550 tutto Il loro Impegno nel col-
lezionare le auctorttates, ossia le varie sentenze del Padrt, nell'ordinarle secondo
un plano generale, e nel tentare una conciliazione del !)assi contrastanti. Cl ru
un periodo In cui quasi tutti i maestri cli un certo rlllevo si erano sentiti In dovere
di divulgare una loro raccolta, elle dnl contenuto si era chiamata Ltber Senten-
tutrum (lntroà. Gen., n. 95). La i:tù cell'bre ru quella di Pietro I..omhal'do (morto
Vescovo di Parigi nel 1160). Essa diven11e un r.esto scolastico, nel senso che 1 mae-
PROLOGUS

QuIA catholicae veritatis doctor non sol11m provectos debet in-


struere, sed ad eum pertinet etiam incipientes erudire, secundum
illud Apostoli I ad Corinth. 3, I s.: « tanquam parvulis in Christo,
lac vobis potum dedi, non escam " ; propositum nostrae intentionis in
hoc opere est, ea quae ad Christianam religionem pertinent, eo modo
tradere, secundum quod congruit ad eruditionem incipientium.
Consideravimns ramque h11i11s rloctrinae novitios, in bis quae a
diversis conscripta sunt, plurimum impediri: partim quidem propter
muìtiplicationem inutilium quaestionum, articulorum et argumen-
torum; partim etiam quia ea quae sunt necessaria talibus ad scien-
dum, non tradnntur secundum ordinem disciplinae, sed secundum
quod requirebat librorum exppsitio, vel secundum quod se praebeba.t
occasio disputandi; partim quidem quia eorundem frequens repetitio
et fastidium et confusionem generabat in animis auditorum.
Haec igitur et alia huiusrnodi evitare studentes, tentabimus, cum
confidentia divini auxilii, ea quae ad sa.cram doctrinam pertinent,
breviter ac dilucide prosequi, secundum qnod materia patietur.

strl successi vi trovarono più comodo servirsi di quel compendio come traccia per
le loro lezioni.
I commenti alle Senter.ze avevano in principio il carattere di glosse e miravano.
principalmente a ciare una sp!egaziono dei concetti di questo libro. In seguito le
cose cambiarono radicalmente: le parole di Pietro Lombardo divennero un pre-
testo qualsiasi nelle mani del commentatore che vi ricamava Intorno le più s.va-
rl:tte questioni teologiche. Basterà citare come esempio classico di questo nuovo
genere il Commentartum tn Quatuor Lfliros Sententtarttm di S. Tommaso ~tesso.
che tu la prima grande opera del giovane Baccelliere Italiano. Da analoghi ten-
tativi poco felici nasceva quelh pletora di questtont, dt artlcozt e tU tirgomentt
imtttlt. e qucne rtpettztont che tnyenerav1mo neqlt antmt deglt ud!tort fasttdto e
ronfustone. - Nonostante tutto, I grandi teolog·i continuarono a commentare le
~enlenze di Plet.ro Lombardo, che rinrnsero libro di testo nelle scuole di teologia
'1.no al secolO XVI (c!r. GRABMANS M., • Cornmentatlo hlst. In Pro!. "• Ang., rn~6.
pp. 146 ss.).
• O<>n questa espres5tone • come richiede l'occasione della disputa .... " S. Tom-
m~so allude ad altri clue generi letterari! In uso tra I cultori della scienza sacra,
cioè alle Qunesttones disputarne e alle Quaesr.tones quodlHle/ales. Le prime, come
dice Il nome stesso, erano le rielaborazioni scritte delle dispute solenni, tenute dal
maestri con una certa frequenza durante l'anno accademico. Le altre, questioni
de q11oltbet, cioè di vari e disparati m~omentl, erano trattate dal maestri due
volte all'anno, prima di Natale e avanti Pasqua.
• Nonostante la inoppn~nabile esistenza del difetti lamenta.ti da S. Tommaso
nel compendi teologici dci suol tempi, e la riuscita non meno evidente del suo
manu,,le, que~to venne adottato come testo scolastico, e quindi come base di com-
mentarli e di lezioni, soltanto dopo tre secoli. Si cominciò, pare, In fierman!a, a
commentare regolarmente la Somma; e il metodo nuovo si Impose definitivamente-
In Ispagna per merito di Fr:incesco di Vittoria e del movimento da lni creato.
QUESTIONE i
La dottrina sacra: 1 quale essa sia
e a quali cose si estenda.

Per assegnare al nostro studio dei limiti precisi, è necessario in-


nanzi tutto trattare della stessa sacra dottrina, chiedendoci quale
essa sia e a quali cose si estenda. A tal proposito si prospettano dieci
quesiti : 1. Se questa dottrina sia necessaria ; 2. Se sia scienza ; 3. Se
sia scienza una o molteplice ; 4. Se sia speculativa o pratica; 5. In
che rapporti stia con le altre scienze; 6. Se sia sapienza ; 7. Quale
sia il suo soggetto ; 8. Se sia argomentativa; 9. Se debba far uso di
locuzioni metaforiche o simboliche ; 10. Se la Scrittura sacra, su cui
poggia questa dottrina, si debba esporre secondo pluralità di sensi.

ARTICOLO 1
Se oltre le discipline filosofiche sia necessario ammettere
un'altra scienza. 2

SEMBRA che oltre le discipline filosofiche non sia necessario ammet.


tere un'altra scienza. Infatti:
l. L'uomo, ci avverte l'Ecclesiastico, non deve sping.ersi verso ciò
che supera la sua ragione: «Non cercar quel eh' è al disopra di
te"· Ora ciò che è d'ordine razionale ci è dato sufficientemente dalle
discipline filosofiche. Conseguentemente non vi è posto per un'altra
scienza.
i Dottl'tna Sacra significa l'insegnamento che procede dalla Rinlazione; in·
segnamento sia In senso attivo, sia In senso passivo: cioè come oomple.550 delle
verità ordinate alla luce della Rivelazione. Per comprendere le diverse denomt-
naztont, con cui S. Tommaso esprime lo stesso concetto (Sacra Scrtttura, a. 7,
arg. 2; a. 9; Teologta, a. i, ad 2), e le qnal!fiche che attribuisce alla Sacra Dottrtna,
è da notare l'unità di questo insegnamento che procede da diverse fonti tra di
toro subordinate: la Sacra Scrittura, divinamente ispirata; la Tradtztone apo-
stolica, vivente nella Chiesa; le llefl,ntztont della Chiesa st.ef>Sa, che dichiara il
senso e il contenuto della Sacra Scrittura e ddlla Tradizione apostoltca; la ragione
umana illuminata dalla tede. Le prime due fonti condizionano tutte le altre, per-
chè la Chiesa e la ragione del teologo non fanno che proporre e mettere In evi-
denza quanto è contenuto in quelle. Il movimento è omogeneo: parte dalla pa..
rola di Dio, che la Scrittura e la Tradizione cl recano, per chiarire a noi stessi la
parola di Dio (cfr. a. 8, ad ·2). SI capisce allora la ragione del diversi nomi •1sat1
per designare la sacra dottrina.
2 Veramente S. Tommaso elencava i titoli dei quesiti ali' Inizio della u Quae-
stio • ; ma fin da tempo antichissimo si usò ripeterli - non sempre con esattezza -
all'inizio di ogni singolo articolo prima del u sic proceditur.... •. Nel singoli ar-
ticoli della Somma, e di altre opere tomistiche oggi, è visibile Il seguente pro-
cedimento a qunttro parti: SI rone anzitutto il quesito (titolo). Esso è posto ID
modo dubitativo (dubbio m.etodlco) sotto forma di alternativa, come ricerca:
QUAESTIO i
De sacra doctrina, qualis sit, et ad quae se extendat
tn d ecem arttculos dtvtsa.

Et ut intentio nostra sub aliquibus certis limitilms comprehenda-


tur, necessarium est primo investigare de ipsa sacra doctrina, qualis
sit, et ad quae se extendat.
Circa qua.e quaerenda sunt decem.
Primo: de necessitate huius doctrinae. Secundo: utrum sit scien-
tia. 'fertio: utrum sit una vel plures. Quarto: utrum sit speculativa
vel practica. Quinto: de comparatione eius ad alias scientias. Sexto:
utrum sit sapientia. Septimo: quid sit subiectum eius. Octavo: utrum
sit argumentativa. Nono: utrum uti debeat metaphoricis vel sym-
bolicis locutionibus. Decimo : utrum Scriptura Sacra huius doctri-
nae sit secundum plures sensus exponenda.

ARTICULUS 1
Utrum sit neeessarium, praeter philosophicas disciplinas,
aliam doetrinam haberi.
11-11, q. !I, aa. s. 4: I Se11t .• Prol.. a. 1: I Cont. Gent., cc. 4, 5:
De veiit., q. 14, a. 10.

AD PRIMUM sic PROCF.nITUR. Videt.i1r quod non sit necessarium, prae-


ter philosophicas disciplinas, aliarn doctrinam haberi. Ad ea enim
quae suprn. rationem sunt, l1omo non debet conari, secundum illud
E ccli. 3, .22: « altiora te ne quaesieris "· Sed ea quae rationi sub-
duntur, sufficienter traduntnr in philosophicis disciplinis. Super-
flmun igitur videtur, praeter philosophicas disciplinas, aliam doctri-
nam haberi.
" utrum .... si ricerca se .. ., oppure no•. In questo modo non si pregiudica la so-
luzione, che non apparirà chiara e determinata se non dopo la di~cussione del
pro e del contra (cfr. IO J',fetaphys., lect. 7).
A) St tstitutsce una breve discussto11e previa. Essa comincia sempre con la so-
lita frase: • vtdetur quod .... SEMBRA cbe.... •. E vi si espc>ngono prima gli argo-
menti In favore di una parte dell'alternativa, generalmente di quella che non
sarà accolta. Tali argomenti sono sovente gli stessi tenuti da coloro che real-
mente seguivano l'opinione opposta a quella di S. Tommaso; oppure sono argo-
menti atti a generare una certa difficoltà nell'ammettere la sentenza difesa da lui.
Cosi 11 discepolo è Illuminato sullo stato della questione e suhle sue di!flcoltà.
Tali ragioni non sono sempre rigettate da S. Tommaso, non essendo sempre oble-
zic>ni in senso stretto, ma sovente difficoltà da chiarire.
B) Dopo questi argc>ment! si Inizia la seconda parte della discussione con
l'e&presslon.e: • Sed contra e.it .. . IN CONTRARIO .... • e vi si porta una o più ragioni
In favore dell'altra parte dell'alternativa. Tali ragioni non sono direttamente op-
poste alle precedenti (a queste viene risposto direttamente più avanti) e neppure
sono ragioni sempre approvate da S. Tommaso, poichè talvolta le rigetta, quando
la sua soluzione comporta una distinzione essenziale, di cui non si è tenuto conto
dai disputanti.
C) St determtna la questtone. Questa parte è ia più importante perchè esprime
la soluzione propria del Maestro. Comincia con le parole: • Respondeo dtcen-
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 1

2. Non vi è scienza che non tratti dell'ente: infatti non. si conosce


altro che il vero, il quale coincide .e-On l'ente. Ora, la filosofia tratta
di ogni ente e anche di Dio; tanto che una parte della filosofia si
rlenomina teologia, ossia scienza divina, come dice Aristotele. Quindi
non è necessario ammettere un'altra scienza all'infuori delle disci-
pline filosofiche. 1
IN CONTRARIO: Nell'epistola a Timoteo si dice: u Tutta la Scrittura
divinamente ispirata è utile a insegnare, a redarguire, a correggere,
a educare alla giustizia'" Ora, la Scrittura divinamerite ispirata
non rientra nelle discipline filosofiche, che sono un ritrovato della
umana ragione. Di qui l'utilità di un'altra dottrina di ispirazione
divina, oltre le discipline filosofiche. 1
RISPONDO: Era necessario, per la salvezza dell'uomo che, oltre le di-
scipline filosofiche d'indagine razionale, ci fosse un'altra dottrina
procedente dalla divina rivelazione. Prima di tutto perchè l'uomo è
ordinato a Dio come ad un fine che supera la capacità della ragione,
secondo il detto d' Isaia: "Occhio non vide, eccetto te, o Dio, quello
che tu hai preparato a coloro che ti amano». Ora è necessario che
gli uomini conoscano in precedenza questo loro fine, perchè vi indi-
rizzino le loro intenzioni e le loro azioni. Cosicchè per la salvezza
dell'uomo fu necessario che mediante la divina rivelazione gli fossero
fatte conoscere delle cose superiori alla ragione umana. •
Anzi, anche riguardo a tJUello che intorno a Dio si può i·ndagare
con la ragione, fu necessario che l'uomo fosse ammaestrato per di-
vina rivelazione, perchè una conoscenza razionale di Dio non sa-
rebbe stata possibile che per parte di pochi, dopo lungo tempo e con
mescolanza di molti errori; eppure dalla conoscenza di tali verità
dipende tutta la salvezza dell'uomo, che è riposta in Dio. Per provve-
dere alla salvezza degli uomini in modo più conveniente e più certo
fu perciò necessario che rispetto alle cose divine fossero istruiti per
divina rivelazione. '

dum quod: RISPONDO " e si estende per tutto il • corpo dell'articolo "· Lo svolgi
mento di questa parte non avviene secondo uno schema uniforme, ma presenta la
più ricca varietà, secondo la diversità del problemi e Il concatenamento delle que-
stioni già trattate. Ora vi si indica senz'altro la te&i e la si prova; ora vi si fa pre-
cedere un excursus storico ; ora vi si richiamano principi! già dati ; ora se ne pon-
gono dei nuovi e si deduce come conclusione la tesi. E qui che s. Tommaso dà
prova di mantenere fede al metodo di chiarezza, di brevità, di coerenza, promesso
nel Prologo. Anche nella forma logica questa parte ha grande varietà, senza nep-
pur l'ombra di quella rigidità formalistica di sillogismi, di cui si fece tanto abuso
nella scolastica posteriore.
D) Infine si sciolgono le difficoltà, ossia si discutono gli argomenti portati nella
disputa. (Ad prtmum ergo). Tali argomenti non vengono rigettati se non nella
parte che non concorda con la dottrina esposta nel corpo dell'articolo. Il resto
s• intende apJ)rovato. L'arirornento SPd <'Ontrn raramente è discusso, ('SSPndo In fa-
vore della parte che generalmente è quella di S. Tommaso ; ma non è da conside-
rarsi sempre come argomento che S. Tommaso fa suo. La risposta avviene se-
condo I prlncip!I posti nella soluzione data ; ma talvolta è occasione di ulteriori
precisazioni, che completano la dottrina del Maestro (cfr. BI.ANCHE F. A., O. P.,
•Le vocabulalre de l'argumentatlon et la structure de l'article dans les ouvrages
de s. Thomas d'Aquln •, in R. Se. Ph. Théot., t925, pp. 167 ss.; tdem, • Sur la lan-
gue technlque de s. Thomas d'Aq. "• in Rev. de Phttosophte, 1930, pp. 7-30).
1 Tali obiezioni furon rinnovate dal moderno razionalismo, che ha accusato
1--i teologia di essere una dottrina Inutile, non vitale, supponente l'uomo Imper-
fetto nella •ua stes'a natura, lesivB qnindi della rna dignità e della sua autono-
mia. E di essa pertanto non cl si dovrebbe curare, bastando all'uomo la filosofia,
suprema saggezza, al cui giudizio tutto l'universo è sottomesso (cfr. DENZ •• 1710;
LA DOTTRINA SACRA 43
2. PRAETEREA, doctrina non potest esse nisi de ente: nihil enim sci-
tur nisi verum, quod curo ente convertitur. Sed de omnibus entibus
tractatur in philosophicis disciplinis, et etiam de Deo: unde quae-
dam pars philosophiae dkitnr thcologia, sive scientia divina, nt p~
tet per Philosophum in 6 Metaphys. [c. 1, lect. 1). Non fuit igitur ne-
cessarium, praeter philosophicas disciplinas, aliam doctrinam ha-
beri.
SED CONTRA EST quod dicitnr .2 ad Tim. 3, #6: cc omnis scriptura di-
vinitns inspirata utilis est ad docendum, ad arguendnm, ad corri-
riiendum, ad erudiendum ad iustitiam n. Scriptura autem divinitus
inspirata non pertinet ad philosophica,; disciplinas, quae sunt secun-
dum rationem humanam inventae. Utile igitur est, praeter philoso-
phicas disciplinas, esse aliam scientiam di\'initns inspiratam.
RESPONDEO DICENDUM quod necessarium fuit ad humanam salutem,
esse doctrinam quandam secundum revelationem divinam, praeter
philosophicas disciplinas, quae ratione humana investigantur. Primo
quidem, quia homo ordinatur ad Deum sicnt ad quendam finem qui
comprehensionem rationis excedit, secundnm illud Isaiae 64, 4: cc ocu-
lus non vidit Deus absque te, quae praeparasti diligentibus te n. Fi-
nem autem op.ortet esse praecognitum hominibus, qui suas intentio-
nes et actiones debent ordinare in finem. Cnde necessarium fuit ho-
mini ad salutem, quod ei nota fierent quaedam per revelationem di-
vinam, quae rationem humana.m excedunt.
Ad ea etiam quae de Deo ratione humana investigari possunt, ne-
cessarium fuit hominem instrui revelatione divina. Quia veritas de
Deo, per rationem investigata, a paucìs, et per longum tempus, et
cum admixtione multorum errorum, homini proveniret: a cuius tar
men veritatis oognitione dependet tota hominis salus, quae in Deo
est. Ut igitur salus hominibus et convenientius et certius proveniat,
necessarium fuit quod de divinis per divinam revelationem in-
struantur.

1814 ; 2085 ss.). Per questo la teologia è stata espulsa in Italia dalle università e
non ebbe più culto se non nelle scuole ecclesiastiche. Vedremo come le risposte
di S. Tommaso trionfino di codeste accuse e dimostrino l'utilità perenne della
scienza sacra.
2 Nell'argomento tn contrarto può trovar posto il fatto storico innegabile, che
fu la dottrina sacra, sgorgata dalla Rivelazione, a rinnovare le Idee e la vita nel
mondo, dopo l'avvento del Cristianesimo. E<~a ha detto parole nuove, alte, J'e-
conde, che nessuna filosofia (ne1,pure quella di Platone e di Aristotele) seppe dire.
La. sua. utilità dunque è Indiscussa.. E la sua espulsione dalle università fu un
misconoscimento e una grave ingiustizia.
• Questo argomento trae tutta la sua forza dalle due verità seguenti: 1) che la
ragione umana non è in grado di conoscere tutta la realtà divina; che anzi il
più e li meglio di Dio - per cosi dire - naturalmente le sfugge. C'è quindi campo
per la Rivelazione. La filosofia non è In grado di conoscere tutto l'essere. 2) Clie
proprio a questa superiore Intima conoscenza di Dio l'uomo è stato ordinato dal
Creato1·e. La prima verità è dimostrata a lungo nel Contra Genltles (1. 1, c. 3);
la seconda è dimostrata nella Seconda Parte di qnest.'opera (I-II, qq. 1, 2), dove
sl indaga espressamente intorno al fine ultimo dell'uomo.
' Più ampiamente queste ragioni sono sviluppate nel t Cont. Gent., c. 6. La
considerazione che qui fa s. Tommaso può esser·e documentata da tutta la sto-
rta della fil-0sofia e delle religioni: le altissime verità rellg!ose e r<:orali, pur
tanto necessarie alla rettitudine della vita, non furono raggiunte se non da po-
chissimi sapienti, dopo molte fatiche, tentennamenti e dubbi e non senza mesco-
lanza di detestabili errori nel loro stessi sistemi. Anche al nostri tempi le verità
religiose naturali (esistenza di Dio, sua distinzione dal mondo, immortalità del-
l'anima .... ) sono misconosciute e combattute dal filosofi che si affidano alla sola
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 1-2

Di qui la necessità, oltre le discipline filosofiche, che si hanno per


investigazione razionale, di una dottrina avuta per divina rivela-
zione.
SOLUZIONE DELLE DIF.FICOI.TÀ: 1. E vero che l'uomo non deve scru-
tare col semplice lume della ragione cose superiori alla sua intelli-
genza; ma ciò che Dio gli rivela lo deve accogliere con fede. Infatti
nel medesimo punto della Scrittura si aggiunge: u Molte cose ti sono
mostrate superiori all'umano sentire n. E precisamente in tali cose
consiste la sacra dottrina.
2. La diversità di principii o di punti di vista causa la diversità
delle scienze. Una stessa conclusione scientifica, può dimostrarla,
sia un astronomo che un fisico, p. es., la rotondità della terra; ma
l'astronomo parte da criteri matematici, cioè fa astrazione dalle qua-
lità della materia ; il fisico invece lo dimostra mediante la concre-
tezza stessa della materia. 1 Quindi nienie impedisce che delle stesse
cose delle quali tratta la filosofia con i suoi lumi di ragione naturale,
tratti anche un'altra scienza ~he proceda alla luce della rivelazione.
Perciò la teologia che fa parte della sacra dottrina, differisce secondo
il genere, dalla teologia che rientra nelle discipline filosofiche. 2

ARTICOLO 2
Se la sacra dottrina sia scienza.•

SEMBRA che la sacra dottrina non sia scienza. Infatti:


1. Ogni scienza procede da principii di per sè evidenti. La sacra
dottrina invece procede da articoli di fede, i quali non sono di per
sè evidenti, tanto è vero che non tutti li accettano: "non di tutti,
infatti, è la fede>>, come dice l'Apostolo. Dunque la sacra dottrina
11on è scienza.
ragione, rifiutando la dottrina rivelata. Loi debolezza della ragione e I pregiudizi
contribuiscono molto ad offuscarle. Tutti sanno poi quali funesti errori specu-
fatlvl e pratici Insegnassero le religioni pagane. Non erano quindi una scuola di
verità, sebbene vantassero illustri tonrtatori.
1 Nelle classificazioni delle scienze al tempi di s. Tommaso l'astronomia ap-
parteneva alle scieuze matematiche.
• Dal Commenti di S. Tommaso al libri aristotelici A nalytica poslertora (I, 28;
lect. 41), Metaphystca (VI, 1 ; lect. !) e al libro di Boezio /Je Trinttate (q. 5, a. t)
appare manifesto qual'era la divisione gerarchica delle SctPnze Spccuu11tve. Fon-
<lamento della divisione è la m~glore o minore remozlone o astrazione del sog-
g·etto di ciascuna scienza dalla materia o dal mutameni.o, elle sono gli eleuit:nLi i
quali restringono la oono.scibllità delle cose e la certezza del conoscere.
Si dànno cosi tre generi di scienze.
Al primo genere appartengono quelle che trattano dell'ente materiale sog-
getto al mutamento (!steo (Storia naturale, Fisica sperimentale, a cui appa1tiene
anche la Psicologia sperimentale; }'!sica deduttiva o Ftlosof!a naturale, a cui ap-
partiene la Psicologia razionale e l'Etica).
Al secondo genere appartengono le scienze che trattano della quantttà In
astratto, in quanto astraggono dalla materia sensibile e dal mutamento, non solo
In particolare, ma in universale, considerandola solo In quanto misurabile (Geome-
tria, Aritmetica).
Al terzo genere appartengono le scienze che trattano dell'ente tmmatertale
(I,oglca, Metafisica).
Sopra questo uzttmo genere s' lnnaln la Teologia o scienza sacra, polchè il suo
LA DOTTRINA SACRA 45

Necessarium igitur fuit, praeter philosophicas disciplinas, quae per


rationem investigantur, sacram doctrinam per revelationem haberi.
An PRJMlJM ERGO DJCENoeM quod, licet ea quae sunt altiora hominis
cognitione, non sint ab homine per rationem inqnirenda, sunt ta-
men, a Deo revelata, suscipienda per fidem. Unde et ibidem subditn!"
v. 25: 11 plurima supra sensum hominum osténsa sunt tibi », Et in
buiusmodi sacra doctrina cousistit.
An SECUNDUM orCENDUM quod diversa ratio cognoscihilis diversi-
tatem scientiarum inducit. Eandem enim conclusionem demonstrat
astrologus et naturalis, puta quod terra est rotnnda: sed astrologus
per medium mathematicum, ide~t a materia abstractum; naturalis
autem per medium circa materiam consideratum. Unde nihil pro-
hibet de eisdem rebns, de quibus philosophicae disciplinae fractant
Aflcundum quod sunt cognoscibilia lumine naturalis rationis, et
aliam scientiam tractare secundum quod cognoscuntnr lumine divi-
nae revelationis. Unde theologia quae ad sacram doctrinam perti-
net, differt secundum genus ab illa theologia quae pars philosophiae
ponitur.

ARTICULUS 2
Utrum sacra doctrina sit scientia.
Il ·li, q. t, a. 5, ad 2 ; I Sent., Prol., a. 3, qc. 2 ; De Vertt .. q. 14, a. 9, ad 3 :
De Trtntt., q. 2, a. 2.

AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod ~aera doctrina non sit


scientia. Omnis enim scientia procedit ex principiis per se notis. Sed
sacra doctrina procedit ex articulis fidei, qui non sunt per se noti,
cum non ab omnibus concedantur: "non enim omnium est fides »,
ut dicitur .2 Thessalon. 3, .2. Non igitur sacra doctrina est scientia.
oggetto non è scoperto dalla ragione ma rivelato: e la luce sotto cui lo considera
è la luce superiore della fede.
' Il termine •scienza. • è preso rigorosamente in senso aristotelico: • cognizione
certa di una verità dimostrata per mezzo delle cau5e "· Quest'articolo è fonda-
mentale per la teologia. Si tratta <Jl determinam~ con pre.::isione la natura. Se è
scienza in senso rigoroso, comporterà un ordine intrinseco strettamente suo, pro-
veniente dal sno oggetto prop1·to, dai suoi principi!, dal suo metodo, e le sue con-
clusioni godranno di certezza obiettiva e s1 imporranno a tutti i suoi cultori con
valore assoluto al disopra del tempo. Si potrà inoltre confrontare con le· a1t1·e
scienze e determinarne con precisione i r8 pporti. Se non è scienza, non potrebbe
ei;sere che una raccolta di opinioni, mes~e una accanto all'altra, con valore pura.
mente relativo, 5Pnw decisiva forza di com·ineimento.
La soluzi<me affermativa data da S. Tommaso è un passo decisivo. La teo-
logia è scienza non solo In sensv generalP, In quanto è una certa qual cognizion'3
(come insegnava, p. es., Roberto IUlwardby, O. P., t i260): nè solo una cognizione
affettiva ordinata a muovere la volontà al hene (c(lme insegnava Alessandro
di Hales t 1245) ; ma è vera scienza, che ha un suo proprio campo di esplorazione
'(Dio), ~uoi principii propri (gli articoli di fe•le), una sua propria. luce (la Riv0-
lazlone divina), un metodo suo (il metodo di autol'ltà). Essa suppone la fede nella
mente del teologo, perchè per la fede l'ucmo aderi;ce agli oggetti della Rivela-
zione; ma la fede è certezza partecipata dalla scienza di Dio, e può diventare il
fondamento di una scienrn nuova. or!llnata a penetrare int.ellettualmente le ve.
rità date con la. Rivelazione, sYolgerne il contenuto vitale, e llluminare con esse
di luce nuova i rapporti delle cose. S. Tommaso ne determina la natura dicendo
,
che è scienza subalternata alla scienza di Dio, esprimendo con ciò e la sua di·
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 2-3

2. La scienza non si occupa dei singolari [ma degli universali].


Ora la sacra dottrina si occupa di particolarità, come delle gesta di
Abramo, d'Isacco e di Giacobbe. Conseguentemente non è scienza.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino : " A questa scienza. spetta soltanto
ciò per cui la fede che salva. viene generata, nutrita, difesa, raffor-
zata». Siccome questo è proprio unicamente della sacra dottrina,
ne deriva che la sacra dottrina è scienza.
RISPONDO: La sacra dottrina è una scienza. E si prova così: Vi è
un doppio genere di scienze. Alcune di esse procedono da principii
noti per naturale lume d'intelletto, come l'aritmetica e la geome-
tria; altre che procedono da principii conosciuti alla luce di una
scienza superiore: p. es., la prospettiva si basa su principii di geo-
metria e la musica su principii di aritmetica. 1 E in tal maniera la
sacra dottrina è una scienza; in quanto che poggia su principii co-
nosciuti per lume di scienza superiore, cioè della scienza di Dio e dei
Beati. Quindi, come la musica ammette i principii che le fornisce la
matematica, cosi la sacra dottrina accetta i principii rivelati da Dio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I principii di ogni scienza o sono
evidenti di per sè o alla luce di una qualche scienza superiore. E tali
sono anche i principii della scienza sacra, come ora abbiamo spie-
gato.
2. I fatti particolari nella sacra dottrina non hanno una parte prin-
cipale: vi sono introdotti o quali esempi di vita) come avviene nelle
scienze morali, o anche per dichiarare l'autorità di quegli uomini
attraverso i quali è derivata la rivelazione, sulla quale si fonda la
Scrittura o dottrina sacra.

ARTICOLO 3
Se la sacra dottrina sia una scienza unica.

SEMBRA che la sacra dottrina non sia una sci.enza unica. Infatti:
1. Secondo il Filosofo "una è la scienza che tratta un soggetto di
un sol genere». Ora, Creatore e creatura, di cui tratta la sacra dot-
trina, non sono soggetti di un medesimo genere. Perciò la sacra dot-
trina non è scienza unica.
2. Nella sacra dottrina si tratta di angeli, di creature corporee e
di umani costumi. Tali soggetti appartengono a differenti scienze
filosofiche. Conseguentemente la sacra dottrina non è scienza unica.
IN CONTRARIO : La sacra Scrittura parla di essa come di scienLa
unica: "Gli dett~ la scienza dei santi».
RISPONDO: La sacra dottrina è un'unica scienza. E infatti l'un:tà
della potenza e dell'abito si deve desumere in relazione all'oggetto,
non preso nella sua materialità., ma sotto l'aspetto formale di og-
getto: cosi, p. es., uomo, asino e pietra convengono nella medesima
ragione formale di colorato, oggetto [formale unico] della vista. Sic-

~nità e I suoi Umlti. E~sa non ha l'evidenza del suoi prlncipll, ma Il crede;
questi princlpll sono evidenti a Dio e cl sono comunicati da lui, che è verità as-
solutamente infallibile.
LA DOTTRINA SACRA 47
2. PRAETEREA, scientia non est singularium.. Sed sacra doctrina tra-
ctat de singolari.bus, puta <le gestis Abrahae, Isaac et Iacob, et simi-
lihus. Ergo sacra doctrina non est scientia.
SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, /4 De Trinit. [c. 1]: (( Huic
scientiae attribuitur illud tantummodo quo fides saluberrima gigni-
tur, nutritur, defenditul'., roboratur ». Hoc autem ad nullam scien-
tiam pertinet nisi ad sacram doctrinam. Ergo sacra doctrina est
scientia.
RESPONDEO DICENDUM sacram doctrinam esse scientiam. Sed scien-
dnm est quod duplex est scientiarum genus. Quaedam enim sunt,
quae procedunt ex principiis notis lnmine naturali intellectus, sicut
arithmetica, geometria, et huiusmodi. Quaedam vero sunt, quae pro-
cedunt ex principiis notis lumine superioris scientiae: sicut per-
spectiva procedit ex principiis notificatis per geometriam, et musica
ex principiis per arithmetiram notis. Et hoc m-0do sacra doctrina. est
scientia: quia procedit ex principiis notis lumine superioris scien-
tiae, qua.e scilicet est scientia Dei et beatorum. Unde sicut musica
credit principia tradita sibi ab arithmetico, ita doctrina sacra credit
principia revelata sibi a Deo.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod principia cuiuslibet scientia.e vel
sunt nota per se, vel reducuntur ad notitiam superioris scientiae.
Et talia sunt principia sacrae doctrinae, nt dictum est [in corp.].
AD SECUNDUM DICENDUM quod singularia traduntur in sa.era do-
ctrina, non quia de eis principaliter tractetur: sed introducuntur tum
in exemplum vitae, sicut in scientiis moralihus; tum etiam ad decla-
randum auctoritatem virorum per quos ad nos revelatio divina pro-
cessit, super quam fundatur sacra scrir,tura seu doctrina.

ARTICULUS 3
Utrum sacra doetrina sit una seientia.
Infra a. 4; I Sent., Prol., aa. 2, 4.
An TERTIUM sic PROCEDITUR. Videtur quod sacra doctrina non sit una
scientia. Quia secundum Philosophum in I Poster. [c. 28, lect. 41]:
«una srientia est quae est unius generis subiecti "· Creator autem et
creatura, de quibus in sacra doctrina tractatur, non continentur sub
uno genere subiecti. Ergo sacra doctrina non est una scientia.
2. PRAETEREA, in sacra doctrina tractatur de angelis, de creaturis
corporalibns, de moribus hominum. Huiusmodi autem ad diversas
scientias philosophicas pertinent. Igitur sacra doctrina non est una
scienti a.
SED CONTRA EST quod Sacra Scriptura de ea loquitur sicut de una
scientia: dicitur enim Sap. 10, IO: « dedit illi scientiam sanctorum"·
RESPo~nEo UICENDUM sacram doctrinam unam scientiam esse. Est
e;nim unitas potentiae et habitus consideranda secundum obiectum.
non quidem materialiter, sed secundum rationem formalem obiecti:
puta homo, asinus et lapis conveniunt in una formali raUone colo-

1 In questa esemplificazione l'Aquinate segue lo schema delle scienze secondo


ti pensli;ro di Aristotele.

'
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 3-4

come, dunque, la Scrittura o dottrina sacra considera alcune cose


precisamente in quant9 sono divinamente rivelate, come abbiamo
detto, tutte le cose che possono essere rivelate da Dio si rassomi-
gliano dal punto di vista proprio di questa scienza. Perciò rientrano
sotto la dottrina sacra come sotto una scienza unica.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La sacra dottrina non si occupa di
Dio e delle creature nella stessa misura; ma di Dio principalmente,
delle creature invece in quanto !'li riferiscono a Dio, r.ome a principio
o fine loro. E salva quindi l'unità della scienza.
2. Nulla può impedire che facoltà o abiti scientifici di ordine in-
feriore si diversifichino riguardo a oggetti che non sono distinti in
una facoltà o abito d'ordine superiore, perchè tale abito o facoltà
considera l'oggetto da un punto di vista più universale. Cosi l'og-
getto del senso comune 1 è il sensibile, che comprende sotto di sè il
visibile e l'udibile: quindi il senso comune, essendo un'unica facoltà,
si estende a tutti gli oggetti dei cinque sensi. Allo stesso modo la dot-
trina sacra, 1Jur essendo unica, può considerare i vari oggetti delle
molteplici scienze ftlosotìche 1iotto un unico aspetto, cioè in quanto
sono divinamente rivelabili. 1 In tal modo la sacra dottrina ci si pre-
senta come una parteeipazione della scienza divina, che pur essendo
una e semplice abbraccia tutte le cose.•

ARTICOLO 4
Se la sacra dottrina sia una scienza pratica.

SEMBRA che la sacra dottrina sia una scienza pratica. E infatti :


1. Secondo Aristotele "fine della sciell'~a pratica è l'operazione».
Ora, la sacra dottrina è ordinata precisamente all'operazione, se-
condo il detto di S. Giacomo: "Siate esecutori e non solta.nto uditori
della parola"· Dunque la sacra dottrina è una scienza pratica.
2. La sacra dottrina si snol dividere in legge antica e nuova. :l\fa
la legge appartiene alla srienza morale, la quale è scienza pratica.
Dunque la sacra dottrina è scienza pratica.
IN CONTRARIO: Ogni scienza pratica tratta di cose operabili dnl-
1 Sen.~o comune in psicologia scolastica si d2nomina la facoltà interiore d"o1·-
dlne sensitivo la cui funzione comlste nel percepil'e la molteplicità delle se11<:t-
zioni e i loro oi:rir~ttl (cfr. ntz. Tom.., " Scns11s Communis .. ).
2 L'oggetto della teologia è propriamente ciò che è contenuto nella Rivela-
zione In mo(lo lmplìctlo 1/l't11ak. I.a fede invPrn ha come Ol?):etto pr·nprio le '°''-
rltà rivelate In modo es11l/c1to o anche forrnale-lmpltcilo. La fede è Il principio
generatnre .della tet1!og-1a, la q1JtdC> l1a come propria f11nzin'.~e di mettere in evi-
denza col ragionamento le ricchezze del contenuto della Rivelazione. E sviluppo
della fede. penetrazione tnrelleltiva di essa. S. Tommasa •:l!lama que;,to ogg·etto
della teologia "Il rivelabile .. ; I teologi mC'derni lo dicono "il rivelato impliclto·
virtuale"· Possiamo definire Il "rlvelahile" cosi: tutto cii) che non è esplicita-
mente (o In modo equivalente) manifestato nelle fonti della Rivelazione, ma
Ila. tuttavia, un necessarto nesso 1·eal•: con ciò elle è rivelato esplicitamente ed
ha un rapporto con la nostra salvezza, per la quale ci fu data la Rivelazione
(cfr. l\IARl:-1-SOLA F., La ei-ot11rt6n homogen.ea del àogma catoltco. l\fadrld-Valenc!a,
1923, nn. 22-:m. pp. 17 ss. ; dove cl sono chiarificazioni e sempliftcazlonl nella termi-
nologia a questo proposito).
• Le divisioni, ormai In uso, in teologia storica o postttva (teol. Biblica, Patri-
stica) e in teologia ststemattca o scolu•lica (Apologetica, DogJi.atica, l\.l0rale) 11un
LA DOTTRINA SACRA 49

rati, quod est obiectum visus. Quia igitur sacra scriptura considerat
aliqua secundum quod sunt divinitus revelata, secundum quod di-
ctum est [a. 1, ad 2], omnia. quaecumque sunt divinitus revelabilia,
communicant in una ratione formali ohiecti huius scientiae. Et ideo
comprehenduntur sub sacra dÒctrina sicut sub scientia una..
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod sacra doctrina non determinat de
Deo et de creaturis ex aequo: sed de Deo principaliter, et de creatu-
ris secundnm quod referuntur ad Deum, ut ad principium vel ftnem.
Unde unitas scientiae non impedit.ur.
AD sECUNDUM DICENDUM quod nihil prohibet inferiores potentias vel
habitus di versiftcari circa illas materias. qnae commnniter cadunt
sub una potentia vel habitu superiori: quia superior potentia vel
habitus respicit obiectum sub universaliori ratione formali. Sicut
obiectum sensus communis est sensibile, quod comprehendit sub se
visibile et audibile: unde sensus communis, cum sit una potenti a,
PXtendit se ad omnia obiecta quinque sensuum. Et sirniliter ea quae
in diversis scientiis philosophicis tra.ctantur, potest sacra doctrina,
una existens, considerare sub una ratione, inquantum scilicet sunt
divinitus revelabilia: ut sic sacra doctrina sit velut quaedam im-
pressio divinae scientiae, quae est una et simplex omnium.

ARTICULUS 4
Utrum sacra doctrina sit scientia practica.
I Sent., Prol., a. 3, qc. 1.

An QUARTUM sic PROCEDITUR. Videtur quod sacra doctrina sit scien-


tia practica. « Finis,, enim "practicae est operatio n, secundum Phi-
losophum in .2 Metaphys. [c. 1, lect. 2]. Sacra autem doctrina. ad
operationem ordinatur, secundum illuci Iac. 1, .22: "estote factores
verbi, et non auditores tantum». Ergo sacra doctrina est practka
scienti a.
2. PRAETEREA, sacra doctrina dividitur per legem veterem et novam.
Lex autem pertinet ad scientiam moralem, qua.e est scientia pra-
ctica. Ergo sacra doctrina est scientia practica.
SED CONTRA, omnis scientia practica est de rebus operabilibus ab
sono specie diverse di teologia, ma parti Integranti di una medesima scienza
teologica. La funzione della teologia positiva è rii esplorare e mettere In luce i
documenti della fede (testi della Scrittura, definizioni del Concili! e del PaJ>I,
scritti del Padri, brani di liturgia, usi pratici della Ch!esa, ecc.) e stabilire con
essi le verità da credere. La teologia scolastica da questa previa determinazione
procede a illuminare le verità rivelate collegandole logicamente tra di loro se-
condo I loro nessi Intrinseci e nel rapporto che hanno col ftne nltlmo dell"uom".
illustrandole con le analoghe verità della ftlowfìa; e ne sviluppa Il contennto,
al fine di darne l'Intelligenza più alta (cfr. Qttodl. 4, a. 18; e eone. Val.. c. l V,
de Fide, DENZ., 1796). L'Apologettca in senso moderno è una difesa scientifica Clei
fondamenti stessi della fede e della teologia contro il razionalismo (possibilità ed
esistenza ·della Rivelazione) e contro le sètte protestantiche (determinazione della
vera Chiesa di Cristo In cui si conserva la dottrina rivelata).
Anche la teologia ascettco-mtsttca: non è specie ùi teu10;1ia distinta, ma parte
Integrante dell'unica scienza teologica (propr1am1mte parte della Morale), a<;&emlo
ordinata a mettere in evidenza gli e!Tettl più alti della perfezione cristiana, pro-
dottl dalla grazia nelle anime, e a determinare le disposizioni pratiche richit ste
In esse per conseguire tali effetti. \
so LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. l, !ta. 4-5

l'uomo, come la morale degli atti umani e l'edilizia degli edifici. Ora,
la Racra dottrina tratta principalmente di Dio, del quale l'uomo, è
piuttosto fattura [che fattore]: essa non è dunque scienza pratica
ma piuttosto speculativa.
H.ISPONDO: Abbiamo già detto che la sacra dottrina, pur essendo
una, si estende agli oggetti delle varie scienze filosofiche a motivo
della ragione formale, o aspetto speciale sotto cui li riguarda, cio~
in quanto conoscibili mediante il lume divino. Per questo, sebberni
tra le scienze filosofiche alcune siano speculati.ve ed altre pratiche,
pure la sacra dottrina comprende sotto di sè i due aspetti; come
anche Dio con la medesima scienza conosce se stesso e le sue opere.
Tuttavia è più speculativa che pratica, perchè si occupa più delle
cose divine che degli atti umani, dei quali tratta solo in quanto per
essi l'uomo è ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale
consiste la beatitudine eterna.
Con ciò restano sciolte le difficoltà.

ARTICOLO 5
Se la sacra dottrina sia superiore alle altre scienze.

SEMBRA che la sacra dottrina non sia i:.uperiore alle altre scienze.
Infatti:
1. La certezza di una scienza fa parte della sua dignità. Ora, le
altre scienze, poggiando su principii indubitabili, si presentano come
più certe della sacra dottrina, i cui principii, gli articoli di fede, sono
suscettibili di dubbio. Quindi le altre scienze sono ad essa superiori.
2. E proprio di una scienza inferiore mutuare da un'altra, come
la musica dall'aritmetica. Ora, la sacra dottrina prende qualche cosa
dalle discipline filosofiche, come nota S. Girolamo 1 in una lettera a
Magno: " Gli antichi dottori hanno cosparso i loro libri di tanta dot·
trina e di tante massime dei filosofi, che non sai che cosa più ammi-
rare in essi, se l'erudizione profana o la scienza scritturale n, Dunque
la sacra dottrina è inferiore alle altre scienze.
IN CONTRARIO: Le altre scienze sono chiamate ancelle della teologia,
secondo il detto dei Proverbi: "[la sapienza] ad invitare mandò le
sue ancelle alla cittadella"·
RISPONDO: Questa scienza, essendo del pari speculativa e pratica,
sorpassa tutte le altre sia speculative che pratiche. E infatti tra le
speculative una è più degna dell'altra sia per la certezza, sia per
l'eccellenza della materia. Ora, questa scienza per tutti e due i mo-
tivi eccelle tra le speculative. Q1ianto alla certezza, perchè mentre le
altre scienze la derivano dal lume naturale clella ragione umana
che può errare, essa la trae dal lume della scienza di Dio, che non
può ingannarsi. Parimente le supera per la dignità della materia,
perchè essa si occupa prevalentemente. di cose che per la loro su-
blimità trascendono la ragione; le altre viceversa trattano di cose
accessibili alla ragione.
1 S. Girolamo (c. 347-41!0) è uno dei più dotti Padri della Chiesa. 1'"u nativo di
Strld-0ne In Dalmazia. Eccelle per I dUOi lavori di traduzione e di esegesi della
Mera Scrittura, nella quale fu maestro Insuperabile. S. Tommaso si serve delle
LA DOTTRINA SACRA 51
homine ; ut moralis de actibus horninum, et aedificativa de aedifi-
ciis. Sacra autem doctrina est principaliter de Deo, Clùus magis h<>-
mines sunt opera:. Non ergo est scientia practica, sed magis specu-
lativa.
RESPONDEO DICENDUM quod sacra doctrina, ut dictum est [a. praec.
aù 2), una existens, se extendit ad ea quae p·ertinent ad diversas
scientias philosophicas, propter rationem formalem quam in diver-
sis attendit: scilicet prout sunt divino lumine cognoscibilia. Unde
Ucet in scientiis philosophicis alia sit speculativa et alia practica,
sacra tamen doctrina comprehendit sub se utramque ; sicut et Deus
eadem scientia se cognoscit, et ea quae facit.
Magis tamen est speculativa quam practica: quia principalius agit
de rebus divinis quam de actibus humanis; de quibus agit secundum
quod per eos ordinatur homo ad perfectam Dei cognitionem, in qua
aeterna beatitudo consistit.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

ARTICULUS 5
Utrum sacra doctrina sit dignior aliis' scientiis.
1·11, q. 66, a. 5, ad 3; I Sent., Prol., a. 1; f Cont. Gent., c. 4.
Ao QUJNTUM sic PROCEDITlTR. Videtur quod sacra doctrina non sit
dignior aliis scientiis. Certitudo enim pertinet ad dignitatem scien-
tiae. Sed aliae sci1mtiae, de LJHarmn principiis dubitari non potest,
videntur esse certiores sacra doctrina, cuius principia, scilicet ar-
tìculi fidei, dubitaiionem recipiunt. Aliae igitur scientiae videntur
ista digniores.
2. PRAETEREA, inferioris scientiae est a superiori accipere, sicut mu-
sicus ab arithmetico. Sed sacra doctrina accipit aliquid a philosophi.
cis disciplinis: dicit enim Hieronymus in epistola ad Magnum Ora-
torem Urbis Romae [ep. 701, quod doctores antiqui «i'ntantum phi-
losophorum doctrinis atque sententiis suos resperserunt libros, ut
nescias quid in illis prius admirari debeas, eruclitionem saeculi, ru1
scientiam Scripturarum ». Ergo sacra doctrina est inferior aliis
scientiis n.
SED COKTR.\ EST quod aliae scientiae dicnntur ancillae huius, Pro'V.
9, 3: "misit ancillas suas vocare ad arcem ».
RESPONDEO DJCEKDuM qnod, cnm ista scientia quantum ad aliquid
sit speculativa, et quantum ad aliquid sit practica, omnes alias tra.n-
Eccndit tam speculativas quam practicas. Speculativarum enim
scientiarum una altera dignior dicitur, tum propter certitudinem,
tum propter dignitatem materiae. Et quantum ad utrumque, haec
scientia alias speculativas scientias excedit. Secundum certitudiriem
quidem, quia aliae scientiae certitudincm habent ex naturali lwnine
rationis humanae, quae potest errare: haec autem certitudinem ha-
bet ex lurnine divinae scientiae, quae decipi non potest. Secundum
dignitatem vero mate1iae, qnia ista scientia est principaliter de his
quae sua altitudine rationem transcendunt: aliae vero scientiae
~onsiderant ea tantum quae rationi subduntur.

-opere di lui specialmente nei suol lunghi commenti teologici alla sacra Scrit·
tura. \
52 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. ~6

Tra le discipline pratiche poi è superiore quella che è ordinata a


un fine più remoto, cosi la politica è superiore alla scienza o arte
militare perchè il bene dell'esercito è destinato a procurare il bene
dello stato. Ora, il fine di questa scienza, in quanto è scienza pratica,
è l'eterna beatitudine, alla quale sono diretti i fini di tutte le scienze
pratiche. Sicchè, sotto tutti gli aspetti si fa palese la sua superiorita.
SOLUZIONE DELLE DIFFIC.OLTÀ: 1. Niente impedisce che quanto di sua
natura è più ·certo, sia meno certo relativamente a noi: ciò dipende
dalla debolezza della nostra mente, la quale, al dire di Aristotele,
"dinanzi alle cose più evidenti della natura è come l'occhio della ci-
vetta davanti al sole n. Perciè il dubitare di alcuni circa gli art!.coli
di fede non deriva dall'incertezza della cosa in se stessa, ma dalla
debolezza del nostro intelletto. Nonostante ciò, un minimo che si
possa avere di conoscimento delle cose più alte è molto più deside-
rabile della conoscenza più sicura di quelle inferiori, come afferma il
Filosofo.
2. La scienza sacra può sì ricevere qualche cosa dalle discipline
filosofiche, non già perchè ne abbia. necessità; ma per meglio chia-
rire i suoi insegnamenti. I suoi principii, infatti, non li prende da
esse, ma immediatamente da Dio per rivelazione. E perciò non m11t1·a
dalle altre scienze come se fossero superiori, ma si serve di esse
come di inferiori e di ancelle ; proprio come avviene deile scienze
dette architettoniche 1 le quali utilizzano le scienze inferiori, come fa
la politica rispetto all'arte militare. E l'uso che la scienza sacra ne
fR non è a motivo della sua debolezza od insufficienza, ma unica-
mente a cagione della debolezza del nostro intelletto; il quale, dalle
cose conosciute per il naturale lume della ragione (da cui derivano
le altre scienz.e), viene condotto più facilmente, come per mano, alla
cognizione delle cose soprannaturali insegnate da questa scienza.

ARTICOLO 6
Se questa dottrina sia sapienza. 2

SEMBRA che questa dottrina non sia sapienza. Infatti:


1. Nessuna dottrina che derivi dal di fuori i snoi principii è degna
dell'appellativo di sapienza, prrchè, dire A ristntele, "proprio del
sapiente è di stabilire l'ordine, non di subirlo"· Ora, questa dottrina
' Le scienze o arti, che utilizzano ai propri tini le corrnizioni e le opere di altre
scienze e di altre arti, son dette archttettontcl1e per analogia con !"architettura, al
cui servizio concorrono le matematiche, la geometria, le scienze fisiche, l'arte mu·
raria, l'arte del ferro, dcl leg-nn. err.
2 Saptenza è preso in senso aristotelico, come è st.ato 1Jreso in senso aristotelicv
il termine scienza. Questi due l"Oncettl (sriemo-s.ipienz~' Prnno ritenu;i antitelki
da alcuni contemporanei di S. Tommaso, I quali concepivano la sapienza come
una cognizione non scientif.ea, piuttosto spe1·i:11e11l:i!e. e orclin<1ta a muovere l'af-
fetto (sapore, sapida sctentta).
Si concedeva "enza rliincoltà alla teolo;!ia la qualità di sapienza (e ciò in per-
fetto accor<ln con tutta la tradizione, cfr. AGOSTI:IO, De Ltb. Arbitrio, 2. 9, 26)~
ma le &i ri:lllt.avfl la qualità cli scienza. Onrlf S. Tornnrnso precisa. (cfr. 1·11, <J. 57.
a. 2, ad t) che sapienza e scienza non sono due qualità opposte. ma due perfè·
zloni rli uno stesso sapere, di cui una 1 la sapienza) include e supera le perfezioni>
dell'altra. Quindi il senso dell'articolo è: la sacra dottrtna non solo è sctenza
LA DOTTRINA SACRA 53

Practicarum vero scientiarum illa dignior est, quae ad ulteriorem


fìnem ordinatur, sicut civilis militari: nam bonum exercitus ad bo-
num civitatis ordinatur. Finis autem huius doctrinae inquantum est
practica, est beatitudo aeterna, ad quam sicut ad ultimum finem
ordinantur omnes alii fines scientiarum practicarum. Unde mani-
festum est, secundum omnem modum, eam digniorem esse aliis.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod nihil prohibet id quod est certius
secundum naturam, esse quoad nos minus certum, propter debilita-
tem intellectus nostri, qui "se hahet ad manifestissima naturae, sicut
oculus noctuae ad lumen solis », sicut dicitur in 2 Metaphys. [c. 1,
lect. 1]. Unde dubitati o qnae accidit in nliquibns circa articulos fidei,
non est propter incertitudinem rei, sed propter debilitatem intelle-
ctus humani. Et tamen minimum quod potest haberi de cognitione
rerum altissimarum, desiderabilius est quam certissima cogrutio
quae habetur de minimis rebus, ut dicitur in U De Animalil}us [De
Part. Anirnalium I. 1, c. 5].
AD SECUNDUM DICENDUM quod haec scientia accipere potest aliquid
a (lhilosophicis disciplinis, non quod ex necessitate eis indigeat, sed
ad maiorem manifestationem eorum qnae in hac scientia traduntur.
Non enim accipit sua principia ab aliis scientiis, sed immediate a
Deo per revelationem, Et ideo non acripit ab aliis scientiis tanquam
a superioribus, sed utitur eis tanquam inferioribus et ancillis, sicut
architectonicae utuntur subministrantibus, ut civilis militari. Et
hoc ipsum quod sic ntitur eis, non est propter defectum vel insuffi-
cientiam eius, sed propter defectum intellcctus nostri; qui ex bis quae
per naturalem rationem (ex qua proceclunt aliae scientiae) cogno-
scuntur, facilius manuducitur in ea quae sunt supra rationem, quae
in hac scientia traduntur.

ARTICULUS 6
Utrum haec doctrina sit sipientia.
' Sent., Prol., a. 3, qc. 1, 3; I, Prol., prlnc. ; !I Cont. Gent., c. •·
AD SEXTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod haec doctrina non sit sa-
pientia. Nulla enim doctrina quae supponit sua principia aliunde,
digna est nomine sapientiae: quia « sapientis est ordinare, et non
-Ordinari 11 f Metaphys. [c. 2, lect. 2J. Sed haec doctrina supponit
m.a saptenza ;' ha In modo eccellente anche la dignità che Aristotele attribuisce
••Ila Filosofia Prima o l\1etnfiska, quella cioè di essere «principe e re~olatrice di
tutte le scienze, quasi dea delle scienze• (Metap11 .• A 2. l'S3a, 8). La sapienza ha in
comune con la scienza di dedurre conclusioni certe e dimostrate dai p1·oprl prln·
cipll; ma ne differisce per la più alta dignità In quanto considera le altissime
tra le cause e riallaccia ad esse le proprie conclusioni ; giudica quindi delle cose
da un tribunale più alto e più universale (cfr. I, q. 14, a. 1. ad 2). E chia.ro allora
perchè la sacra dottrina ha diritto al titolo di sapienza in sommo grado: essa
è superiore a tutte le scienze umane, anche alla suprema tra esse, di cui pur3,
come dirà S. T.ommaso, è in qualche modo giudice; e non ha sopra di sè che la
scienza divina di cui è più diretta partecipazione. S. Tommaso rileva che es.~a
non è solo conoscitiva di Dio, ma è altresl direttiva della vita umana, la quale,
es;endo partecipe rlella divina natura mediante la grazia ed ordinata alla frul·
zlone di Dio. deve essere retta non solo da ragioni umane, ma soprattutto da
ragioni divine (II-II, q. 19, a. 7).
L:A..._§_Q.MMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 6

trae dal di fuori i suoi principii, come è chiaro da quel che si è visto.
Dunque essa non è sapienza.
2. Alla sapienza tocca stabilire i principii delle altre scienze; ond' è
considerata da Aristotele « quale capo» delle scienze. Ma questa dot-
trina non stabilisce i ptincipii delle altre scienze. Quindi non è sa-
pienza.
3. Questa dottrina si acquista con lo studio, mentre la sapienza
si ha per infusione, tanto che da Isaia è annpverata tra i sette doni
dello Spirito Santo. Essa non è dunque sapienza.
IN coNTR-ARIO: Nel Deuteronomio è detto della legge: "Sarà questa
la nostra 1 sapienza ed intelligenza nel giudizio dei popoli 11.
RISPONDO: Questa dottrina, fra tutte le sapienze umane, è sapienzà
in smnmo grado, e non già in un sol genere di oggetti, ma assolu-
tamente. Ed infatti siccome spetta al sapiente ordinare e giudicare,
e siccome d'altra parte, i!i giudicano le cose ricorrendo alle loro
cause superiori, sarà in un dato genere sapiente colui che consi-
dera le cause supreme di questo genere. P. es., in fatto di edifici,
colui che dà il disegno della casa è il sapiente e prende il nome di
architetto in confronto agli artieri sottopoRti, i quali piallano il le-
gname e preparano pietre, ecc. Anche S. Paolo dice: « Come saggio
architetto ho posto il fondamento», Parimente rispetto al complesso
della vita umana, sapiente è l'uomo prudente che indirizza tutti gli
atti umani al debito fine. Di qui il detto dei Proverbi: «La sapienza
serve all'uomo di discernimento». Colui, adunque, che considera la
causa suprema dell'universo, che è Dio, è il sapiente per eccellenza :
cosicchè, al dire di S. Agostinp, s la sapienza è conoscenza delle cose
divine. La sacra dottrina poi in modo più proprip si occupa di Di:>
in quanto causa suprema, perchl> non si limita a quel che se ne può
conoscere attraverso alle creature (ciò che. hanno fatto anche i filo-
sofi, come dice l'Apostolo: cc quel che si sa di Dio è stato loro pale-
sato»), ma si estende anche a quello che di se stesso egli solo co-
nosce e ad altri viene comunicato per rivelazione. Quindi la sacra
dottrina è detta sapienza, in sommo gradp.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ! 1. La sacra dottrina non mutua i suoi
principii da nessuna scienza: umana; ma dalla scienza divina, dalla
quale, come da somma sapienza, è regolata ogni nostra cpgnizione.
2. I principii delle altre scienze o sono evidenti e indimostrabili, o
sono provati razionalmente da una scienza superiore. Ora, la cogni-
zione propria di questa scienza si ha per rivelazione, non già per
naturale ragionamento ; e quindi non spetta ad essa dimostrare i
principii delle altre scienze, ma solo giudicarli: ed invero, tutto riò
che in queste scienze si ritrova in contrasto con la verità di questa
scienza, è condannato come falso, secondo il detto di S. Paolo: cc Noi
distruggeremo i [falsi] ragionamenti e ogni rocca elevata contro la
conoscenza di Dio 11, •
3. Siccome il giudicare spetta al sapiente, un duplice modo di giu-
dicare dà luogo ad una duplice sapienza. Accade infatti che uno gin-
i La Volgata non ha nostra ma Vl'stra. Da questo e da altri casi simili risulta
che s. Agostino citava spesso a memoria i passi della Scrittura.
• s. Agostino (354·430i è, dopo Dionigi Il Mistico, Il Padre della Chiesa citato da
S. Tommaso con maggiore frequenza. Luminare della filosofia, della teologia e
della santità, dall'Affrlca. Romana àove nacque e mori (fu vescovo di Ippona) dif-
fuse con le ~ue molte opere la luce di una calda sapienza in tutta la Chiesa e
LA DOTTRINA SACRA 55

principia sua aliunde, ut ex dictis patet [a. 2]. Ergo haec doctrina
non est sapientia.
2. PRAETERE.\, ad sapientiarn pertinet probare principia aliarum
scientiarum: unde ut caput dicitur scientiarum, ut 6 Ethic. [c. 7,
lect. 6] patet. Sed haec doctrina non probat principia aliarum scien-
tiarum. Ergo non est sapientia.
3. PRAETEREA, haec doctrina per studium acquiritur. Sapientia au-
tem per infusionem habetur: unde inter septem dona Spiritus Sancti
connumeratur, ut patet Isaiae 11, 2. Ergo haec doctrina non est sa-
pientia.
SED CONTRA EST quod dicitur Deut. 4, 6, in principio legis: « haec est
nostra sapientia et intellectus coram populis n.
RESPONDEO DICENDUM quod haec doctrina maxime sapientia est inter
omnes sapientias humanas, non quidem in aliquo genere tantum,
sed simpliciter. Cum enim sapientis sit ordinare et iudicare, iudicium
autem per altiorem causam de inferioribus habeatur; ille sapiens
dicitur in unoquoque genere, qui considerat causam altissimam illius
generis. Ut in genere aedificii, artifex qui disponit formam domus,
dicitur sapiens et architector, respectu inferiorum artificum, qui do-
lant ligna vel parant lapides: unde dicitur I Cor. 3, IO: "ut sapiens
architector fundamentum posui ». Et rursus, in genere totius huma-
nae vitae, prudens sapiens dicitur, inquantnm ordinat humanos actus
ad debìtwD finem : un de dicitur Prov. 10, 23: « sapientia est viro
prudentìa 11. Ille igitur qui considera.t simpliciter altissimam causam
totius universi, quae Deus est, maxime sapiens dicitur: unde et sa-
rientia dicitur esse « divinorum cognitio n, ut patet per Augnstinum,
12 De Trinit. [c. 14]. Sacra autem doctrina propriissime determinat
de Deo secundum quod est altissima causa: quia non solum quan-
tum ad illud quod est per creaturas cognoscibile (quod philosophi
cognoverunt, ut dicitur Rom., 1, 19: « quod notum est Dei, manife-
stum est illis ») ; sed etiam quantum ad id quod notum e8t si bi soli ò.e
seipso, et aliis per revelationem communicatum. Unde sacra do-
ctrina maxime dicitur sapientia.
AD PRIMUM ERGO DICENDUi\1 quod sacra .doctrina non supponit !-Ua
principia ab ali qua scientia humana: sed a scientia divina, a qua,
sicut a summa sapientia, : omnis nostra cognitio ordinatur.
An SECUNDUM DICENDUM quod aliarum scientiarum principia vel
sunt per se nota, et probari non possunt: vel per aliquam rationem
naturalem probantur in aliqua alia scientia. Propria autem huius
scientiae cog-nitio est, quae· est per revelationem: non autem quae est
per naturalem rationem. Et ideo non pertinet ad eam probare princi-
pia aliarum scientiarum, sed solum iudicare de eis: qnidquid enim in
aliis scientiis invenitur :veritati huius scientiae repugnans, totum con-
demnatur ut falsmn: unde dicitur 2 Cor. 10, 4 s.: cc consilia destrnen-
tes, et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei».
AD TERTIUM nrcENDl'M quod, cum iudicium ad sapientem pertineat,
secundum duplicem modum iudicandi, dupliciter sapientia accipitur.
fu maestro autorevolissimo In tutti i tempi. Circa il suo lnftusso sul pensiero di
S. Tommaso cfr. Introd. Gen., nn. 32 ss.
3 E chiaro pertanto Il pensiero di S. Tommaso: la teologia è suprema sapienza,
ma di altro ordine che la filosofia, la quale è suprema nel genere delle scienze
<lii pura ragione. (Circa i rappc-rtl tra teologia e scienza profana cfr. lntl'od..,
nn. 7-11).
56 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 6-7

dichi per inclinazione, come fa l'uomo virtuoso, il quale, essendo di-


sposto ad agir bene, giudica rettamente di ciò che la virtù richiede:
per questo anche Arisfotele dice che il virtuoso è misura e regola
degli atti umani. Altro modo di giudicare è quello che si fa per via
di scienza: cosi, uno bene attrezzato nella scienza morale, potrebbe
giudicare degli atti di virtù anche senza avere la virtù. La prima
maniera dunque di giudicare delle cose divine appartiene alla sa-
pienza dono dello Spirito Santo, secondo il detto di S. Paolo:
" L'uomo spirituale giudica tutte le cose,, ; e di Dionigi: 1 " leroteo è
sapiente non solo perchè studia il divino, ma anche perchè lo speri-
DH'nta in sè ». La seconda maniera poi di giud.ic~re appartiene alla
dottrina sacra in quanto frutto di studio, sebbene'i su<>i principii li
aLbia dalla rivelazione. \
I

ARTICOLO 7
Se Dio sia il soggetto [di studio] di questa scienza.

SEMBRA che Dio non sia il soggetto di questa scienza. Infatti:


1. In ogni scienza si descrive la natura di ciò che forma il s<>ggetto
<H essa, come si ha da Aristotele. Ora, questa scienza non conosce la
natura di Dio, come osserva il Damasceno: ' "A noi è impossibile
dire di Dio quello che è "· Dunque Dio non è il soggetto di questa
5eienza.
2. Tutto ciò che è trattato in una data scienza rientra nel soggetto
<l! essa. Ora, nella sacra Scrittura ci si occupa di molte altre cose
distinte da Dio, p. es., delle creature e dei costumi degli uomini.
Quindi Dio non è il soggetto di questa scienza. .
IN CONTRARIO: Soggetto di una data scienza è quello intorno a cui
tale scienza ragiona. Ora, in questa scienza si parla di Dio, tanto
che si chiama teologia, quasi discorso intorno a Dio. Dunque Dio è
il soggetto di questa scienza.
RISPONDO: Dio è il soggetto di questa scienza. Infatti esiste tra sog-
getto e scienza il medesimo rapporto che passa tra oggetto e facoltà
o abito. Ora, oggetto propri<> di una facoltà o abito .~ ciò che fa rien-
trare <>gni altro oggetto sotto quella facoltà o abito: così l'uomo
e la pietra dicono relazione alla vista in quanto colorati, motivo per
cui il colorato è l'oggetto proprio della vista. Ora, nella sacra dot-
trina tutto vien trattato sotto il punto di vista di Dio ; o perchè è
Dio stesso, o perchè dice ordine a lui come a principio e fine. E chiaro
dunque che Dio è il soggetto della sacra dottrina. - E ciò appare evi-
1 Dtontgt detto Io Pseudo-Areopa·gtta perchè creduto fino al secolo XVI quello
<li cui si parla negli Attt deglt Apostolt (c. 17). Sul tempo tn cui visse, I critici
non son-0 d'accordo: sl va dal secolo IV ali' inizio del VI. Le sue opere ne dtvtnts
nomtntbm, De mysttca theologta, De crelestt hterarchta, De ecclestasttca hterar-
cht.a furono commentate da Ugo da S. Vittore, da Alberto. Magno, ed esercitarono
un grande lnftusso sul teologi della Scolastica. Furono attribuiti all'Aquinate vari
commenti alle operr, dionisi~""· ma l'unico autentico è quello al De Dtvtnts Nomt-
ntbm (cfr. Introd. Gen., nn. 22 ss.). ·
LA DOTTRINA SACRA 57
Contingit enim aliquem iudicare, uno modò per modum inclinatio-
nis: sicut qui habet habitum virtutis, recte iudicat de his quae sunt
secundum virtutem agenda, in quantum ad illa inclinatur: unde et
in IO Ethic. [c. 5, lect. 8], dicitur quod virtuosus est mensura et re-
gnla actuum humanorum. Alio modo, per modum cognitionis: sicut
aliquis instructus in scientia morali, posset iudicare de actibus vir-
tutis, etiam si virtutem non haberet. Primus igitur modus iudicandi
de rebus divinis, pertinet ad sapientiam quae ponitur donum Spiri-
tus Sancti, secundum illud 1 Cor. 2, 15: "spiritualis homo iudicat
omnia», etc.: et Dionysius dicit 2 cap. De Divinis Nominibus [lect. 4]:
"Hierotheus doctus est non solum discens, sed et patiens divina>•.
Secundus autem modus iudicandi pertinet ad hanc doctrinam, se-
cimdum quod per studium habetur; licet eius principia ex revelu.-
tione habeantur.

ARTICULUS 7
Utrum Deus sit subiectum huius scientiae.
Supra, a. 3, ad 1 ; I Sent., Prol., a. 4 ; De Trtntt., q. 5, a. 4.
AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit subiectum
huius scientiae. In qualibet enim scientia oportet supponere de su-
hiecto quid est, secundum Philosophum in 1 Poster. [c. 1, lect. 2]
Sed haec scientia non supponit de Deo quid est: dicit enim Damasce.
nus [De Fide Orth., I. 1, c. 4]: «in Ileo quid est, dicere impossibile
est». Ergo Dcus non est subiectum huius scientiae.
2. PRAETEREA, omnia quae determinantur in aliqua scientia, com.
fll'ehenduntur sub subiect.o illius scientiae. Sed in sacra scriptura de·
1crminntur de multis aliis quam de Ileo, puta de creaturis, et de
moribus hominum. Ergo Deus non est subiectum huius scientiae.
SED CONTRA, illud est subiectum scientiae, de quo est sermo in scien-
tia. Sed in hac scientia fit sermo de Ileo: dicitur enim theologia, quasi
senno ae Deo. Ergo Deus est subiectum huius scientiae.
RESPONDEO DICENDUM quod Deus est subiectum huius scientiae. Sic
€nim se habet subiectum ad scientiam, si.cut obiectum ad potentiam
vel habitum. Proprie autem illud assignatur obiectum alicuius po-
tentiae vel habitus, subi cuius ratione omnia referuntur ad potentiam
vel habitum: sicut homo et lapis referuntur ad visum in quantum
sunt colorata, unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia
autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei: vel quia sunt
ipse Deus ; vel quia hnhent ordinem ad Deum, ut ad principium et
finem. Unde sequitur quod Deus vere sit subiectum huius scientiae.
- Quod etiam manifestum fit ex principiis huius scientiae, quae sunt

~ S. Gtovannt di Damasco, detto Il Damasceno, visse alla fine dell'età dei Padri
dal 675 c. al 749. E l'ultimo grande teologo dell'antica Chiesa greca. Nella sua
più completa e celebre opera teologica De Ftde orthodllxa confluisce Il meglio
della speculazione dd Padri greci. E una specie di manuale assai sapientemente
ordinato e completo. Tradotto In latino da Burgundio da Pisa c. Il 1150, e più
volte ritradotto nei secoli successivi, ha messo la copiosa ricchezza del pensiero
del Padri greci alla portata degli Scolastici del Medioevo, contribuendo alla so-
uda formazione della scienza teologica.
LA SOMMA TEOLOGICA, I. q. 1, aa. 7-8

dente anche dai principii di questa scienza, che sono gli articoli della
fede, la quale riguarda Dio: identico infatti è il soggetto dei principii
e dell'intera scienza, giacchè tutta la scienza virtualmente è conte-
nuta nei principii.
Altri, tnt1avia, guardando più alle cose trattate in questa scienza
che al punto di vista sotto il quale vengono considerate, ne hanno
assegnato diversamente il soggetto: chi le cose e i segni, chi le opere
della redenzione, 1 chi tutto il Cristo, cioè il Capo e le membra. 2 Di
tutte queste cose, è vero, tratta la sacra dottrina, ma secondo cl .e
dicono ordme a Dio.
SOLUZIO!\E DELLE DIPFICOLTÀ: 1. È vero che di Dio noi non possiamo
conoscere l'essenza; nondimeno in questa dottrina, per far ricerca
delle cose riguardanti Dio, ci serviamo di alcuni effetti, di natura o
di grazia, prodotti da Dio medesimo, in luogo di una definizion~
limpossibile]. Proprio come si fa in alcune discipline filosofiche,
quando si dimostra un e11unciato circa uua causa mediante un suo
effetto, prendendo leffetto in luogo della definizione della ca.usa.
2. R bensì vero che tutte le cose di cui tratta la sacra dottrina sono
comprese nel termine Dio, non però come parti o specie o accidenti,
ma in quanto a lui in qualche modo sono ordinate.

ARTICOLO 8
Se questa dottrina proceda con metodo dialettico.

SEMBRA che questa dottrina non proceda con metodo dialettico. In-
fatti:
1. Dice S. Ambrogio: • cc Togliete via gli argomenti, ove si richiede
1 •Le cose e I segni "• secondo Pietro Lombardo, del quale si è· ratto cenno a
p. 38, nota 2, compendiavano Il soggetto della teologia (cfr. I Sent., d. 1, 1). Le cose:
cioè DI.o nella sua natur,1 e nei suoi attributi (I. 1 delle Sentrnze): le creature
di Dio: gll angeli, l'uomo, Il mondo corporeo, la caduta dell'uomo (1. 2); l' in-
carnazione, la vita di grazia, le leggi (I. 3); t seant: cioè t Sacra·mentt che pre-
parano l'uomo al conseguimento del fine ultimo (I. 4). Tale è la suddivisione della
celebre opera di Pietro I.omharrlo. Ugo 1lt S. l'illore (t 1141) luminare della. scuola
teologica del Canonici regolari di S. Vittore a Par·igl (Scuola det t'illurint) In-
dicava come soggetto della scienza sacra "le Opere della Ltedem1one '" l'intelli-
genza delle riuall Importa realmente tutta la materia della teologia (cfr. De Sn
cramentts christtanae {l.det, Pro!., 2).
2 Questa era la sentenza dl Rolierto dt Metun ft 1167), le cui opere, tuttora Ine-
dite, hanno molta importanza per illuminare l'amiJiente culturale anlèriore a
S. Tommaso (cfr. MARTIN R., « L'oeuvre théologique de Il.de llf. '" In nev. 1!' htst1.tre
ecci., 1914, pp. '56 ss.: Idem, • Les ldées de n. de M. sur le peché ortginel •, In
R. Se. PII.. Théol., 1913, pp. 700 ss.; ANDERS F., Dte Chrlstotogte des R. V. M. Parler
bon, 1927)
Oggi c'è una certa tendenza a preferire di nuovo questa sentenza: oggetto
della teologia essere 11 Crtsto totale (cfr. MERSCH E., •I.e Chrlst mystlque cent1 e
de la théologie comme science "• In Nouv. Rev. lliéotogtque, tv34, pp. 449 ss.; tdem,
• L'objet de la théologle et le Chrtstus totns '" in Ret:IL de se. relig., 1!l26, pp. 12:>
ss.; LAENER F., • Das Zentralobjekt der Theologle •, In Zettschrlft f. 1wth. Theol.,
1939, pp. 1 ss.; RAHNER H., Elne Theologte der Verki!ndtguna, 193!l; STOLZ A., •ne
theologia. Kerygmatlca •, In Ana .• 1940, p. 337; CERI.IN! G., Vi persona dt Cristo, c. IV,
1940; PARENTE P ., La teotogta nella Luce dt Crtsto, •Il simb.olo '" vol. III, 11p. 85-118).
Ma ru giustamente osservato che la Scienza sacra si chiama teotogta e non Crfalo-
logta, sebbene Il Cristo abbia una parte centralissima In essa, e che sarebbe espres-
LA DOTTRINA SACRA 59

articuli fidei, quae est de Doo: idem autem est subiectum principio-
rum et totius scientiae, cum tota scientia virtute contineatur in prin-
cipiis.
Quidam vero, attendentes ad ea quae in ista scientia tractantnr,
et non ad rationem secundum quam considerantur, assignaverunt
aliter subicctum huius scientiae: vel res et signa ; vel opera. repara-
tionis; vel totum Christum, idest caput et membra. De omnibus enim
istis tractatur in ista scientia, sed secundum ordinem ad Deum.
An PRIMt:J\1 ERGO DICENDUM quod, licet de Deo non possimus scire
quid est, utimur tamen eius effectu, in hac doctrina, vel natura.e vel
gratiae, loro defìnitionis, ad ca quae de Deo in hac doctrina consi-
derantur: sicut et in aliquibus scientiis philosophicis demonstratur
aliquid de causa per effectum, accipiendo effectmn loco definitionis
causa e.
An SECUNDUM DICENDUM quod omnia alia quae determinantur in
sacra doctrina, comprehenduntur sub Deo : non ut partes vel species
vel accidentia, sed ut ordinata aliqualiter ad ipsum.

ARTICULUS 8
Utrum haec doctrina sit argomentativa.
11-11, q. t, a. 5, ad 2; I Sent., Prol., a. 5: I Cont. Gent., e. 9;
De Trtntt., q. 2, a. 3; Quodltb. 4, q. 9, a. 3.

An OCTAVUM sic PROCEDITIJR. Videtur quod haec doctrina non sit ar-
gumentativa. Dicit enim Ambrosius in :ihro 1 De Fide Catholica
(c. 13): "tolle argumenta, ubi fides quaeritur ». Sed in hac doctri.1a
stona meno propria denominarla Crlstolog·ia. La sentenza di S. Tommaso è più
comprensiva e pili universale (cfr. in Prol., Seni., a. '•) e non esclude affatto la
verità dell'altr-a sentenza; anzi la include per li fatto stesso che il Dio della teo·
logia sacra è Il Dio manifestato nella Rivelazione, il Dio che "parlò al Padri In
molti modi, e in fine, in modo pieno e delìnilivo, parlò a noi nel Figlio, che co-
stitui erede <li tntte le cose e per mezzo dcl quale creò I secoli; Splendore della
sua gloria. Figura della sua sostanza .... " (Ellr., 1, I ss.) non è cl-0è •Il Dio del fllo-
>Oti, <lei pagani, llla il JJio vivente, ii lllo amato, Il Dio che si dona, che appare
nel Cristo " IMEHSCH, • L'objet.. .. ,., tbtdem, p. 156). Però non bisogna troppo esa-
ge-rare la disUlnza che c'è tra Il Dio del filosofi e Il Dio dei teologi o della Rlve-
lazlune, c.0111\:' t"a, p. es., iJ Harth, chian1auUo queHo 11 null'altro che un idolo o;
perehè altrimenti si spezzerehbero l nessi tra la ragione e la fede, tra Il mondo
natunle e li mondo soprannaturale, rendendo perciò stesso sterile ancbe la fede.
Ad ogni modo la sentenza òi S. Tommaso indica più direttamente lo scopo
finale del!a r.;r,.~'7ionc che è la vita eterna, la quale consiste nella Listone dt n:o
(Gto1>., 17, 3). Certamente anche nella visione del Cristo; ma " il Cristo è di Dio •
come dice S. Paolo; ed è la Deità che rende lntelliglhlle Il Cristo. Egli cl beatifl-
chcr;\ princi!'almcnte nella visione della sua Deità, che è quella dd Padre.
Dicendo, dunque, che la teologia ha come soggetto Dio, conosciuto alla luce
della fede, si indica meglio l'nnltà della scienza teologica che è data dal soggetto
stesso. e la suprema formalità 1lluminativa di tutte le Yerità che la teolo!!ia
studia, e l'altissimo fine della sacra dottrina, preparazione alla visione di Dio.
• S. Ambrogto è li famosissimo vescovo di Milano, uno del più grandi pastorj
<!ella Chiesa (330-397). Lasciò scritti pregevoli (Exameron, De tille ad Gmllll-
num, lih. 5, De Sptritu Sancta, llb. 3, De Poentlentia, lib. 2, De lllystertts .... ) che
documentano la sua solida cultura teologica e la sua Instancabile sollecitudine
per la purezza della fede contro le eresie del tempi.
60 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 8

la. fede"· Ora, in questa dottrina si richiede soprattutto la fede, di-


cendoci S. Giovanni: cc Queste cose sono state scritte p·erchè voi cre-
d late"· Dunque la sacra dottrina non si serve della dialettica.
2. Se fosse dialettica, dovrebbe· argomentare o per autorità o per
ragione. Ma argomentare per autorità non conviene alla sna dignità,
perchè l'argomento di autorità, secondo Boezio, è il più debole di
tutti. Argomentare per ragione è disdicevole al suo fine, perchè, al
<lire di S. Gregorio, 1 cc la fede cessa di essere meritoria ove la ra-
gione umana porta l'evidenza"· Dunque la sacra dottrina non :si
serve della dialettica.
IN CONTRARIO: S. Paolo parlando del vescovo dice: cc •••• attaccato
alla parola di fede conforme all'insegnamento avuto; affinchè sia
in grado anche di esortare nella sana dottrina e di confutare 2 quelli
che la contraddicono"·
RISPONDO: Come le scienze profane non devono dimostrare i propri
principii, ma dai loro principii argomentano per dimostrare altre
tesi, così la sacra dottrina non dimostrerà i propri principii, che
sono gli articoli di fede ; ma da essi procede alla dimostrazione di
qualche altra cosa, come fa l'Apostolo, il quale dalla resurrezione cl i
Cristo prova la risurrezione di tutti.
Tuttavia è da considerarsi che nelle scienze filosofiche le inferiori
non solo non provano i loro principii, ma neanche discutono contro
chi li nega, rilasciando ciò ad una scienza superiore, cioè alla meta.
fisica. Essa, che tiene il primato sn tutte le scienze, discute con chi
nega i suoi principii solo nel caso che l'avversario ammetta qualche
cosa; se niente concede ogni disrnssione è impossibile: essa allora si
limita a ribatterne i sofismi. Ma la sacra dottrina non ha un'altra
scienza al disopra di sè, e quindi essa disputa contro chi nega i suoi
principii argomentando rigorosamente, se l'avversario ammette qual-
che verità della rivelazione, come quando ricorrendo all'autorità
della sacra dottlina disputiamo con gli eretici, o quando per mezzo
di un articolo ammesso combattiamo contro chi ne nega qualche
altrQ. Se poi l'avversario non crede niente di ciò che è rivelato da
Dio, allora la scienza sacra non ha più modo di portare argomenti .
a favore degli artic<>Ii di fede: non le resta che di controbattere le
mgioni che le si po;;sano opporre. È chiaro, infatti, che poggiando la
fede sulla verità infallibile ed essendo impossibile dimostrare il
falso da una cosa vera, le provr che si portano contro la fede, non
sono delle vere dimostrazioni, ma degli argomenti solubili.
SOLCZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene gli argomenti della ragione
umana non valgano per provare le cose di fede; tuttavia, movendo
<!agli articoli di fede, la sacra dottrina può provare altre cose, come
abbiamo già detto.
2. Argomentare per autorità è particolarmente proprio di questa
dottrina per il fatto che essa deriva i suoi principH dalla rivelazione:
per questo è necessario che si creda all'autorità di coloro ai quali
fu fatta la rivelazione. Nè ciò deroga alla dignità della sacra dot-

• Manlio severtno Boezto (n. c. 480) statista e tl.losofo, ministro di Teodorico,


SE>n.atore di Roma ; morto In carcere a Pavia (522), dove scrisse la più famosa delle
sue opere in prosa e in versi De consolattone phtlosophtae. Per le sue tradu-
zioni di Aristotele e di Porfirio, per I suol opuscoli di logica, di filosofla e dt
teologia (Opuscula sacra) Influi molto sul pensatori medioevali, al quali trasmise
LA DOTTRINA SACRA 61
praecipue fides quaeritur: unde dicitur Ioan. 20, 31: "haec scripta
sunt ut credatis "· Ergo sacra doctrina non est argumentativa.
2. PRAETEREA, si sit argumentativa, aut argnmentaitur ex auctori-
tate, aut ex ratione. Si ex anctoritate, non videtur hoc congruere eius
dignitati: nam Iocus ab auctoritate est infirmissimns, secundum Boe-
tium [cf. 1. 6 in Topica Ciceronis]. Si etiam ex ratione, hoc non con-
gruit eius fini: quia secundum Gregorium in homilia [26 in Evang.],
ccfìdes non habet meritum, ubi humana ratio praeibet experimenturn '"
Ergo sacra doctrina non est argumentativa.
SED CONTRA EST quod dicitur ad Titwn, 1, 9, de episcopo: u ample-
ctentem eum qui secundum doctrinam est, fidelem sermonem, ut po-
tens sit exhortari in doctrina sana, et eos qui contradicunt arguere ».
RESPONDEO DICENDUM quod, sicut aliae scientiae non argumentan-
tur ad sua principia probanda, sed ex principiis argumentantur ad
ostendendnm alia in ipsis scientiis; ita haec doctrina non argumen-
tatur ad sua principia probanda, quae sunt articuli ti.dei; sed ex eis
procedit ad aliquid ali ud ostendendum; sicut Apostolus, 1 ad Cor. 15,
12 ss., ex resurrectione Christi argumentatur ad resurrectionem com·
munem probandam.
Sed tamen considerandum est in scientiis philosophicis, quod in-
feriores scientiae nec probant sua principia, nec contra negantem
principia disputant, sed hoc relinquunt superiori scientiae: suprema
vero inter eas, scilicet metaphysica, disputat contra negantem sua
principia, si adversarius aliquid concedit: si autem nihil concedit.
non potest cum eo disputare, potest tamen solvere rationes ipsius.
Unde sacra scriptura, cum non habeat superiorem, disputat cum
negante sua principia: argumentando quidem, si adversarius ali-
quid concedat eorum quae per divinam revelationem habentur; sicut
per auctoritates sacrae doctrinae disputamus contra haereticos, et
per unum articulum contra negantes alium. Si vero adversarius
nihil credat eorum quae divinitus revelantur, non remanet amplius
via ad probandum arti.culo~ fì.dei per rationes, sed ad solvendum ra-
tiones, si quas inducit, contra fidem. Cum enim fì.des infallibili veri-
tati innitatur, impossibile autr,m sit de vero demonstrari contra-
rium, manifestum est probationes quae contra fidem inducuntur,
non esse demonstrationes, sed solubilia argurnenta.
An PRIMt:M ERGO DICENDUM quod, licet argumenta rationis humanae
non habeant locum ad probandurn quae fì.dei sunt, tamen ex articulis
fidei haec doctrina ad alia a1gumentatur, ut dictum est [in corp.].
Ao SECUNDUM DICENDUM quod argnmentari ex auctoritate est ma-
xime proprium huius doctrinae: eo quod principia huius doctrinae
per revelationem habentur, et sic oportet quod credatur auctoritati
eorum quibus revelatio facta est. Nec hoc derogat dignitati huius
doctrinae: nam licet locus ab auctoritate quae fundatur super ra-

qualche raggio della cultnra filosofica greca. s. Tommaso commentò un suo orm-
scolo filosofico, De Ilebd<>mo·dtrnts; e un suo opuscolo teologico, De Trtnttate
(per lInflusso di Boezio sul medioevo cfr. GRABMANN M., Dte Geschichte des sckol.
Methode, I, pp. 148-177).
Il Gregorio citato da S. Tommaso è S. Gregorio l decorato del titolo di Ma·
rmo (t 60/il, eletto r~pa nel 590; veramente grnnde per le sue gesta cli prudenza
e dl carità In quel tempo durissimo per l'Italia e per la Chiesa. S. Tommaso ne
cita spesso )"opera teologica più Importante, I Moralia tn loò.
• Il Sed contra prende lo spunto dall'argucre della Volgata.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 8-!J

trina, perchè, sebbene l'argomento di autorità umana sia il più de-


bole di tutti, l'argomento di autorità fondata sulla rivelazione divina
è il più forte.
Tuttavia la sacra dottrina usa anche del ragionamento, non già
per dimostrare i dommi, chè altrimenti si perderebbe il merito della
fede; ma per chiarire alcuni punti del suo insegrwmento. Siccome
infatti la Grazia non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona,
la ragione deve servire alla fede, nel modo stesso che l'inclinazione
naturale della volanti\ asseconda la carità. Ond' è che S. Paolo dice:
«facendo schiava ogni intelligenza all'obbedienza di Cristo"· E così
che la sacra dottrina utilizza anche l'autoriUi. dei filosofi dove eFsi
ron la ragione naturale valf\ero a conoscere la verità; come fece
S. Paolo che citò il detto di Arnto: "come anche alcuni elci vostri
poeti hanno detto: "Noi siamo progenie di Dio" n.
Però di queste autorità 1 la sacra dottrina fa uso come di argomenti
estranei e probabili; mentre delle autorità della Scrittura canonica
:;.i serve come di argomenti prop1i e rigorosi. Delle sentenze poi dei
Dottori della Chiesa essa si serve quasi come di argomenti propri.
ma di un valore solo probabile ; 2 perchè la nostra ferie poggia sulla
rivelazione fatta agli Apostoli ed ai Profeti, i quali 1H1ni10 scritto i
libri canonici, non già su qualche altra rivelazione, dato che esista,
fatta a qualche dottore privato. In proposito S. Agostino scrive:
"Soltanto a quei libri delle sacre Scritture che si denominano ca-
nonici io riconosco quest'onore: di crede.re fermamente che nessuno
dei loro autori abbia en·ato in qualche cosa nello scriverli. Gli altri
autori poi li leggo, ma non in tal modo da reputar vero quel che di-
cono - per quanto sia grande la loro santità e dottrina - semplice-
mente perchè essi hanno sentito e scritto così ». s

ARTICOLO 9
Se la sacra Scrittura debba usare metafore.

SEMBRA che la sacra Scrittura non debba usare metafore. Infatti:


· 1. Non è conveniente a questa scienza che, tra tutte tiene il pri-
mato, il procedimento proprio del!' infima scienza. Ora, procedere
per via di similitudini e di figure è proprio dell'arte poetica, che è
l'ultima delle discipline. Dunque l'uso delle met.afore non conviene
a questa scienza.
2. Questa dottrina è destinata alla manifestazione della verità ;
tanto che ai suoi cultori è promesso un premio: cc Quelli che mi m6t-

1 Aucrorttntes termine medioevale che indica le sentenze di scrittori comune-


mente accettati.
• Diz. Tom., alla voce Probabtlts 2.
• Qnesta dottrina compie q11clla dell'articolo 6 circa l'uso della rai;rione e della
filosofia nella teologia. Precisa inoltre quest'ultima obiezione, quali siano le fonti
da cui la teologia attinire i suol argomenti (i cosiddetti Luoght teolo9ir,i). Qne~te
fonti sono: la sacra Scri!tura e la sacra Tradizione, che fanno autorità assoluta
In teologia; I Dottori o Padri che hanno importanza grande come interpreti della
sacra Scrittura e wstimoni della Tradizione. Decisiva autorità nell'Interpretare
LA DOTTRINA SACRA 63
tione humana, sit infirmissimus ; Iocus tamen ab auctoritate quae
fundatur super revelatione divina, est. effìcacissimus.
Utit11r tamen sacra doctrina etiam ratione humana: non quidem
ad probandum fldem, quia per hoc tolleretur meritum fidei ; sed ad
manifestandum aliqua alia quae traduntur in hac doctrina.. Cum
enim gratia non tollat naturam, sed perficiat, oportet qupd natura-
Jis ratio subserviat fidei; sicut et naturalis inclinatio voluntatis ob-
sequitur caritati. Unde et Apostolus dicit, 2 ad Cor. 10, 5: "in capti-
vitatem redigcntes omnem it1tellectum in obsequium Christi ». Et
inde est quod etiam auctoritatibus philosophorum sacra doctrina uti-
tur, ubi per rationem nat11ralem veritatem cognoscere potuerunt;
sicut Paulus, Actuum 17, 28, inducit verbum Arati, dicens: « sicut et
quidam poeta rum vestrorum dixerunt, genus Dei sumus '"
Sed tamen sacra doC'trina huiusmodi auctoritatibus utitur quasi
extraneis argumentis, et probabilibus. Auctoritatibus autem canoni-
rne Scriptnrae utitur proprie, ex necessitate argumentando. Aucto-
ritatih11s autem aliorum doctorum ecclesiae, quasi arguendo ex pro-
priis, scd probabiliter. Innititur enim fides npstra revelationi Apo-
stolis et Prophetis factae, qui canonicos lihros scripserunt: non au-
tem revelationi, si qua fuit aliis doctoribus facta. Unde dicit Augu-
stinus, in epistola ad Hieronymum [82]: "Solis eis Scripturarum
libris qui canonici appellantur, didici hunc honorem deferre, ut nul-
lum auctorem eorum in scribendo errasse a!iquid firmissime credam.
Alias autem ita lego, ut, quantalibet sanctitate doctrinaque praepol-
leant, non ideo verum putem, quod ipsi ita senserunt vel scripserunt.

ARTICULUS 9
Utrum sacra Scriptura debeat uti metaphoris.
I Sent., Prol., a. 5; d. 34, q. 3, aa. 1, 2; 3 Cont. Gent., c. 119;
De Trtntt., q. 2, a. 4.

AD NONl!M SIC PROCEDITUR. Videtur quod sacra Scriptura non de-


beat uti metaphoris. lllud enim quod est proprium infimae doctri-
nae, non videtur competere huic scientiae, quae inter alias tenei
locum supremum, ut iam dictum est [a. 5]. Procedere autem pe1
similitudines varias et repraesentation~s, est proprium poeticae,
quae est infima inter omnes doctrinas. Ergo huiusmodi similitudini-
hus uti, non est conveniens huic scientiae.
2. PRAETEREA, haec doctrina videtur esse ordinata ad veritatis ma-
nifestationem: unde et manifestatoribus eius praemium promitti-

h sacra Scrittura e la Tradiziond hanno i Concili! Universali della Chiesa, i Ro-


mani Pontefki, I" insegnamento comune della Chiesa, di cui sono organi i Vescovi
e I teolo_g-l. La ragione umana, la filosofia e la storia hanno il compito che ab·
biamo indicato nella Introduzione Cnn. 7-11).
' Questo articolo dà ragione del linguaggio, di cui si serve di fatto la sacr~
Scrittura per trasmettere la Rivelazione. L'uso del traslati e delle figure sensibili
è conforme alla natura dell'uomo (essere fisico olt,.ecbè spirituale) e perciò è utile
e talvolta anche necessario. ·
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 9

tono in luce, avranno la vita eterna». Ora, le similitudini occultano


la verità. Non conviene, quindi, a questa dottrina insegnare le cose
divine sotto la figura di cose corporali.
3. Quanto più una creatura è sublime tanto più si accosta alla di-
vina somiglianza. Quindi, se proprio si vuole che alcune creature
simboleggino la Divinità, è necessario che si scelgano quelle più ec-
celse, anzichè quelle più basse, come spesso invece si trova nella
Scrittura.
IN CONTRARIO: R detto in Osea: "Sono io che ho moltiplicato la
visione e per mezzo dei Profeti parlai in similitudine». Ora, presen-
tare la verità per similitudini, è usare metafore. Perciò tale uso si
addice alla sacra dottrina.
R1sPONDO: E conveniente che la sacra Scrittura ci presenti le cose
11ivine e spirituali sotto la figura di cose corporali. E difatti Dio
provvede a tutti gli esseri in modo conforme alla loro natura. Ora,
è naturale all'uomo elevarsi alla realtà intelligibile attraverso le cose
~ensibili, perchè ogni nostra conoscenza ha inizio dai sensi. Perciò
è conveniente che nella sacra Scrittura le cose spirituali ci vengano
presentate sotto immagini corporee. E ciò che dice Dionigi: « Il
raggio divino non può risplendere su di noi se non attraverso la
varietà dei santi veli».
Inoltre, siccome la Scrittura è un tesoro comune a tutti (secondo
il detto dell'Apostolo: 1 «lo sono debitore ai sapienti e ai non sa-
pienti n) è conveniente che essa ci presenti le cose spirituali sotto le
parvenze corporali, affinchè almeno in tal modo le persone semplici
la possano apprendere, non essendo idonee a capire le cose intelligi-
bili così come sono in se stesse.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il poeta usa metafore per il gusto
di costruire delle immagini, infatti il raffìgurare è all'uomo n:.itural-
mente piacevole. • Mentre la Scrittura fa uso delle metafore per ne-
cessità e per 11tilità come si è detto.
2. Il raggio della divina rivelazione non si distrug-ge, come nota
lo stesso Dionigi, sotto il velame delle figure sensibili, ma resta in-
tatto nella sua verità; e così non permette che le menti, :.ille quali
è stata fatta la rivelazione, si arrestino all'immagine, ma le eleva
alla conoscenza. delle cose intelligibili : e fa che per mezzo di coloro
che direttamente hanno avuto la rivelazione anche gli altri si istrui·
scano su tali cose. Così avviene che quanto in un luogo della Scrit-
tura è inseg;nato sotto metafora, è esplicitamente espresso in altri
hmghi. • Del resto, la ste!lsa oscurità propria delle figurazioni è utile
per l'esercizio degli studiosi e contro le irrisioni degli infedeli, a
proposito dei quali è detto nel Vangelo: "Non vogliate dare le cose
sa.nte ai cani "· '
:1 Con Dionigi bisogna riconoscere che è più conveniente che le
cose spirituali ci vengano presentate nella sacra Scrittura sotto fi-

1 L'Apostolo per antonomasia è S. Paolo. Su Dtontqt vedi p. 56, nota 1. e Intr<>d.


Gen., nn. 22 ss.
2 L'0&5enazione inquadra Il fenomeno estetic-0 nel suo sfondo naturale: !"uomo
trova nell'ese1·c!z!o attivo della fantasia un piacere Inesprimibile, po!chè del g!uoco
del fantMmi si nutre la sua Intelligenza.
• La sacra Scrittura fornisce essa stessa la spiegazione del suo linguaggio me-
taforico. Come regola generale dell'interpretazione del linguag:rlo scrltturist!cn,
ad evitare l'arbitrio di vedere un senso metaforico In tutte le espressioni b!bll·
LA DOTTnINA SACRA

tur. E ccli. 24, 31: cc qui elucidant me, vitam aeternam habebunt ».
Sed per huiusmodi similiturlines veritas occultatur. Non ergo com-
petit huic doctrinae divina tradere sub similitudine corporaliwn
rerum.
3. PRAETLREA, quanto aliquae creaturae snnt sublimiores, tanto ma-
gis ad divinam similitudinem accedunt. Si igit.ur aliquae ex creatu-
ris transumerentur ad Deum, tunc oporteret talem transumptionem
maxime fieri ex sublimioribus crcaturis, et non ex infimis. Quod
tamen in Scripturis frequenter invenitur .
.SED CONTRA EST quod dicitur Osec 12, 10: "Ego visionem multipli-
cavi eis, et in manihus prophetarum assimilatus sum. » Tradere au-
tem aliquid sub similitudine, est metaphoricum. Ergo ad sacram
ùoctrinam pertinet uti metaphoris.
RE'>PONDEO DICENDUM quod conveniens est sarrae Scripturae divi11a
et spiritualia sub similitudine corporalium tradere. Deus enim om-
nibus providet secundum quod competit eot'um naturac. Est autem
naturale homini ut per sensihilia ad intelligibilia veniat: quia omni&
nostra co11:nitio a sensu initium habet. lJndc convenienter in sacra
Scriptura" tradnntur nohis spiritualia sub metaphoris corporalium.
Et hoc est quod dicit Dionysius, 1 cap. Caelestis Hierarchiae: « Im-
11ossihile t~st nobis aliter lucerE: divinum radium, nisi varietate sacro-
rum velaminum circumvelatum ».
Convenit etiam sacrae Scripturae, quae communiter omnibns pro-
ponitur (secundum illnd arl Rom., 1, 14: cc sapientibus et insipienti-
hu.s debitor sum,, ), ut spiritualia sub similitudinibus corporalium
proponantur; ut saltem vel sic rudes eam rapiant, qui ad intelligi-
hilia secundum se capienda non sunt idonei.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM qnod poeta utitur metaphoris propter·
repraesentationem: repraesentatio enim naturaliter homini delecta-
hilis est. Sed sacra doctrina utitur metaphoris propter necessitalem
et urtilitatem, ut dictmn est [in corp.].
AD SECUNDUM DICENDUM quod radius divinae revelationis nop. de-
struitur propter figuras sensibiles quibus circumvelatur, ut dicit Dio-
nysius [I. c. in corp.], sed remanet in sua veritate; ut mentes qui-
hus fit revclatio, non permittat in similitudinibus permanere, sed
clevet eas ad eognitionem intelligihilium; et per eos quibus revelatio
facta est, alii etiam circa haec instruantur. lTnde ea quae in uno loco
Scripturae traduntur sub metaphoris, in aliis locis expressius expo-
nuntnr. Et ipsa etiam occultatio ftg11rar11m utilis est, ad exercitium
studiosorum, et contra irrisiones infidelium, de quibus dicitur, Matth.
7, 6: "nolite sanctum dare canibus "·
AD TERTIUM DICENDUM quod, sicut docet Dionysius 2 cap. Caei. Hier.
magis est conveniens qnod divina in Scripturis tradantur sub figuri&

che, I teologi precisano che non si deve ricorrere al senso metaforico, se non
quando il senso proprio importasse assurdità o empietà (cfr. S. AGOSrINO, SuJJer
Genesim ad lttteram, c. 7).
' :E: qùcsta la ragione per cui fu Istituita "la disciplina dell'arcano"• nel prlm•
secoli della Chiesa, a cui accennano non di rado gll antichi scrittori (rfr. Rou•:·1
DR JOURNEL, Enchtridton Pa trtsttcum, ed. 11-12, Index thcologlcufl, ~57 ; Krncn, Enchl-
rtdion Fonttum Hist. Eccles. anttquae, 19H, alla voce "Arcani clisciplinrt • nel-
!' indice generale). In presenza dei profani, nell'accennare al misteri più alti della
!Ilde, si usava un linguaggio metaforico, n.on intelligibile oo non a chi, essendo già
apertamente Istruito, era In grado di penetl'are sotto i veli.
66 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, aa. 9-10

gure di corpi vili, anzichè di corpi nobili. E ciò per tre ragioni. In
primo luogo perchè cosl pi&'1 facilmente l'animo umano è premunito
dall'errore. Apparisce chiaro infatti che tali simboli non si applicano
alle cose divine in senso proprio; ciò che invece potrebbe pensarsi
ove le cose di Dio si presentassero sotto figure di corpi superiori, spe-
cialmente per parte di chi non riesce a immaginare qualche cosa
di più nobile dei corpi. - In secondo luogo, perchè un tal modo di pro-
cedere è più conforme alla conoscenza clie noi abbiamo di Dio i11
questa vita. Infatti, noi di Dio sappiamo piuttosto quello che non è
che quello che è; e quinrli le figure delle cose che sono più distanti
da Dio ci fanno intendere meglio che Dio è al disopra di quanto noi
possiamo llire .o pensare di lui. - In terzo luogo perchè in tal modo le
cose divine sono meglio occultate agl' indegni.

ARTICOLO 10
Se un medesimo testo della sacra Scrittura abbia più sensi.

SEMBRA che un medesimo testo della sacra Scrittura non rac-


chiuda più sensi, cioè lo storico o letterale, l'allegorico, il tropologico
o morale, e l'anagogico. E infatti:
1. La molteplicità dei sensi in un medesimo testo genera confu.
sione ed inganno e toglie ogni forza all'argomentazione: e anzi la
molteplicità. delle proposizioni non permette un retto argomentare,
ma dà luogo ad alcune fallacie [come si espone nella Logica]. Ora,
la Scrittura deve essere efficace nel mostrarci la verità senza nes-
suna fallacia. Dunque in essa non devon darsi più sensi in un unico
testo.
2. Dice S. Agostino: "la Scrittura, che si chiama Antico Testa-
mento, si presenta sotto quattro aspetti: cioè, secondo la storia, l'etio-
logia, l'analogia e l'allegoria». Ora, questa divisione sembra <le]
tutto diversa da quella precf,dente. Non è quindi conveniente che
un medesimo testo della sacra Scrittura sia esposto secondo i quattro
sensi predetti.
3. Si aggiunga che oltre i quattro sensi assegnati c'è quello para-
bolico, che non è computato in quei quattro.
IN CONTRARIO: Dice S. Gregorio: "La sacra Scrittura per il modo
sti;sso di esprimersi sorpassa tutte le altre scienze: poichè in unt.1
stesso e identico discorso mentre racconta un fatto enuncia un mi-
stero n.
RISPONDO: L'autore della sacra Scrittura è Dio. Ora, Dio può non
solo adattare parole per esprimere una verità, ciò che può anche
l'nomo; ma anche le cose st.esse. Quindi, se nelle altre scienze le pa-
role hanno un significato, la sacra Scrittura ha questo in proprio:
che le cose stesse indicate dalla parola, alla loro volta ne significano
un'altra.. L'accezione ovvia dei termini, secondo cui le parole indi-
cano la realtà, corrisponde al primo senso che è il senso storico o
letterale. Usare invece le cose stesse espresse dalle parole per sigm-
ficare altre cose si chiama senso spirituale il quale è fondato sopra
quello letterale e lo presup:1one.
LA DOTTRINA SACRA 67

vilium corporum, quam corporum nobilium. Et hoc propter tria.


Primo, quia per hoc magis liheratur humanus animus ab errore. Ma-
nifestnm enim apparet qnod haec secundum proprietatem non dicun-
tur de divinis: quod posset esse dubium., si sub figuris nobilium
corpornm describerentur divina; maxime apud illos qui nihil ali ud
n corporihus nobilius excogitare noverunt. - Secundo, quia hic mo-
dus convenientior est cognitioni quam de Deo habemus in hac vita..
l'vfagis enim rnanifestatur nobis de ipso quid non est, quam quid est:
et ideo sirnilitudines illarnm rernm quae magis elongantur a Deo,
veriorern nobis faciunt aestimationem quod sit supra illnd quod de
Deo dicirnus vel cogitamus. - Tertio, quia per huiusmodi, divina ma-
gis occultantur indignis.

ARTICULUS 10
Utrum sacra Scriptura sub una littera habeat plures sensus.
I Sent., Prol., a. 5; 4, d. 21. q. 1, a. 2, qc. 1, ad 3; De Pot., q. 4, a. 1;
Quo!!t. 3, q. 14, a. 1; 7, q. 6, per tot.; ad Gal., c. 4, lect. 7.

AD DECIMUM SIC PROCEOJTUR. Videtur quod sacra Scriptura sub una


littera non habeat plnres sensus, qui snnt historicus vel litteralis, al-
legoricus, tropologicus si ve moralis, et anagogicus. Multiplicitas enirn
se11su11m in una. scriptura parit confusionem et deceptionem, et tol!it
nrgncndi fìrmitatcm: un de ex multiplicibus propositionibus non pro-
cedit argumentatio, sed secundum hoc aliquae fallaciae assignantur.
Sacra autem Scriptura debet esse efficax ad ostendendam veritatem
absque omni fallacia. Ergo non debent in ea sub una littera plures
sensus tradi.
2. PR\ETEREA, Augustinus dicit in libro De Utilitate credendi [c. 3),
q110d "Scriptura qua.e Testamentum Vetus vocatur, q11adrifariarn
traditur »: scilicet, "secundum historiam, secundum aetiologiam, se-
cundum analogin.rn, sccundnm allegoriam ». Quae quidem quatuor
a quatnor praedictis videntur esse aliena omnino. Nou igitur con-
veniens videtur quod eadem littera sacrae Scripturae secundum qua·
tuor sensns praedictos exponatur.
3. PRAETEREA, praeter praedictos sensus, invenitur sensus paraboli-
<:us, qui inter illos sensus quatuor non continetur.
SEn CONTRA EST quod dicit Gregorius, 20 Moralium [c. 1): "Sacra
Scriptura omnes scientias ipso locutionis suae more transcendit:
quia uno eodemque sermone, dum narrat gestum, prodit myste-
rium n.
RESPONDEO DICENDU!\I quod auctor sacrae Scripturae est Deus, in
c11ius potestate est ut non solum voces ad significandum accommo-
det (quod etiam homo facere potest), sed etiam res ipsas. Et ideo,
cum in omnibus scientiis voces significent, hoc habet proprium ista
scientia, quod ipsae res signiticatae per voces, etiam significant ali-
quid. Illa ergo prima significatio, qua voces significant res, pertinet
ad primum sensum, qui est sensus historicus vel litteralis. Illa vero
significatio qua res significatae per voces, iterum res alias signifi-
cant, dicitur sensus spiritualis; qui super litteralem fundatur, et
eum supponit.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 10

Il senso spirituale poi ha una triplice suddivisione. Dice infatti


l'Apostolo che la Legge Antica è figura della Nuova; e la Legge
Nuova, come dice Dionigi, è figura della gloria futura; cosi pure
nella Legge Nuova le cose compiutesi nel Capo stanno a significare
quelle che dobbiamo fare noi. Secondochè adunque le cose dell'Antico
Testamento significano quelle del Nmivo, si ha il senso allegorico: se-
condochè poi le cose compiutesi in Cristo o significanti Cristo, sono
segno di quello che dobbiamo fare noi, si ha il senso morale; final-
mente in quanto significano le cose attinenti alla gloria eterna., si
ha il senso anagogico. 1
Ma siccome il senso letterale è quello che intende l'autore, e d'al-
tra parte l'autore della sacra Scrittura è Dio, il quale comprende
simultaneamente col suo intelletto tutte le cose, non c'è difficoltà ad
ammettere, con S. Agostino, che anche secondo il senso letterale
in un medesimo testo scritturale vi siano più sensi.

1 Sull'esistenza dei quattr!.' sensi nella sacra Scrittura, accennati da s. T•)m-


maso, non ci può esser dubbio: la sacra Scrittura stessa ne dà chiari documenti.
Così, p. es., in Gtov .• 19, 3J ss. si applica al Cristo in croce quanto letteral:nente
era stato detto dPll'A~nello pasquale, "non rornperet.e nessuna delle sue •Jssa."
(Ea., 12, 6); cosi anche in Mat., 12. 40 e In Gtov., 3, /4 Gesù stesso applica a sè ID
senso spirituale il fatto di Giona e del serpente innalzato da Mosè nel deserto
(Gtona, 2, I ss. ; Num., 21, 9) ; In s. Paolo (Gal., 4, U-~4) sono esposte In senso alle-
gorico le vicende di Agar e di Sara. di Isrnaele e di Isacco. In ognuno ùi q:1est1
casi li tatto stesso (aesturn, come dice S. Gregorlo) è figura di ciò che doveva av-
venire di Crist-0 o della Chiesa (prodi/ mysferWm).
Il senso sptrituale è Importantissimo nella sacra Scrittura, essendo Il fine
della stessa narrazione scritturistica, cioè il fine dcl senso letterale. "Fine infatti
della legge è Il Cristo •>, come si esprime S. Paolo In Rom., 10, 4 ; " la legge con-
tiene l'ombra dei beni futuri " /Eln·., 10, I ; cfr. 1• Cor., 10, Il).
Il senso letterale come rileva S. Tommaso (vedi ad I) è Il primo e fondamentale,
quello che regg13 gli nitri sen<;l. Imr:orta quindi moltissimo determinarlo con
ogni 1,;1'€Cisione; e a que.~to tende l'esegesi scientiflca. Da notare bene che anche
il senso metafo1·ico e il parabolico fanno parte del senso letterale (cfr. art. prec.
e qui ad Il).
Il senso parallolico è il senso che assumono le parole n<!lle parabole evangeli-
che. Le parabole sono, In genere, similit11<1;n; o paragoni desunti dai fatti d01ia
natura o della vita e sviluppate come piccoli racconti. È chiaro che il senso lei.
terale, inteso dall'autore della parabola, è quPllo per la cui chiarificazione essa
viene narrata.
Giov:1 riferi1·e circa l'uso dei diversi sensi quanto S. Tommaso scrive nel Quodl.
1. a. 15 ad 5: "Questi sPnsi non si attribuiscono alla sacra Scrittura in modo
che ogni singola parte di essa debba esporsi secondo 1 quattro se11si; ma o 5e-
condo tutti e quattro, o secondo tre, o secondo d11e.. o anclic secondo uno 'olo. In-
fatti nella s.icra Scrittura avviene che quanto deve seguire nell'ordine del tempo
sia significar.o da ciò che prece1!e; e [ne risulta] che talvolta ciò che é deLto in
senso letterale di ciò che precede, possa esporsi in senso spirituale di ciò che
segne; ma l' in\'erso non è vero.
"Ora tra tutte le cose che sono narrate nella sacra Scrittura, prime son quelle
che riguardilno il Vecchio Testamento. E P•'<'Ciò pot1·a essere esposto S('condo I
quattro sensi ciò che in senrn letterale ha rapporto col Vecchio Testamento.
"In secondo luogo \'engono le cose che si riferiscono allo stato della Chiesa at-
tuale; e tra esse sono anteriori quelle che riguardano il Capo (Cristo) e poste-
riori quel!e che riguardano le memhra (i fedeli), perchè il corpo naturale di
Cristo e le cose che in lui furono compiute, sono fi;rura del corpo mi,tico del
Cristo e delle cose che in esso si compiono; nel Cristo, cioè, noi dobhia mo pren-
dere l'esempio del nostro vivere. E nel Cristo pure ci f11 prPmostrata la gloria
futura. Da ciò risnlta che quanto è detto in senso letterale del Cristo come Capo,
può esporsi e aUeao1icamente, riferendolo al suo Corpo mistico, e mornlmente,
riferendolo ai nostri atti che devono essere riformati secondo il suo esempio, e
anagog!camente in quanto nel Cristo ci è mostrato il sentiero della gloria.
• InveN ciò che è dett.:> in senso letterale della Chiesa, non può essere esposto
allegortcarnente; se non forse in quanto ciò cl1e è detto della Chiesa primitiva:
LA DOTTRINA SACRA 69
Hic autem sensus spiritualis trifariam dividitur. Sicut enim dicit
Apostolus, ad Hebr. 7, 19, lex vetus figura est rn:ivae legis: et ipsa
nova lex, ut dicit Dionysius in Ecclesiastica Hierarchia [c. 5], est
figura futurae gloriae: in nova etiam lege, ea quae in capite sunt
gesta, sunt signa eorum quae nos agere debemus. Secundum ergo
quod ea quae sunt veteris legis, significant ea quae sunt novae legis,
est sensus allegoricus: secundum vero quod ea quae in Christo sunt
facta, vel in his quae Christum significant, sunt signa eorum quae
nos agere debemus, est sensus moralis: prout vero significant ea
quae sunt in aeterna gloria, est sensus anagogicus.
Quia vero sensus litteralis est, quem auctor intendit: auctor autem
~;acrae Scripturae Deus est, qui omnia simul suo intellectu compre-
hendit: non est inconveniens, ut dicit Augustinus 12 Confessionum
[c. 31], si etiam secundum litteralem sensum in una littera Scri-
pturae plures sint sensus.

si interpreta dello stato della Chiesa attuale. Si può tuttavia esporre in senso
morale e in senso anagogico.
" Le co~e poi chò In senso letterale riguardano la condotta morale, non si è
soliti esporle se non nel senso allegorico. Le cose infine che in senso letterale ~I
riferiscono allo stato di gloria, In nessun altro senso si è soliti espm·le, per la
ragione che esse non sono figura di altro, ma sono figurate da tutte le altre
cose)}.
s. Tommaso ritiene un affronto contro la ~aera Scrittura restringerne il senso
In modo da escludere da es>a gli altri sensi, cl1e hanno In sè verità e possono
adattarsi ad essa, salvo rimanendo il senso letterale (salva ctrcumstantta lttte-
rae). La sacra Scrittura ha per autore ))io, chA non è limitato nella sua tntel-
!ig·enza come noi. Ognuno deve poter trovare nella sa.era Scrittura il suo pascolo.
La molteplicità dei sensi permette sovente di sfuggire alle critiche e alle derisioni
degli empi. •Onde se dagli espositori della sacra Scrittura alcune verità vengono
ad:itt,1te al ~uo senso lett<.>rale. non c'è duhhio •:hP- quelle verità che !"autore non
poteva Intendere, lo Spirito Santo, che è Il principale Autore della sacra Scrlt·
tura, le ha intese. Onde ogni verità che salvo il sens0 letterale può adattarsi alla
s~cra Scrittura è senso della Scrittura•. (De Pot., q. 4, a. 1).
Urigen~ parla di un senso speciale. aft\nato dalh grazia e dalla familiarità
con Dio, per scoprire questi significati spirituali, Quasi un fiuto analogo a uuello
del cane per la selvaggina, di cui il teologo dev'essere fornito (cfr. In Cant·., 3:
Comm. tn Ioan., 1; PG., 14, 32 A). La sacra Scrittura infatti non sccpre tuaa la
sua luce se non a chi è disposto a riceverla. Affinché tuttavia questi sensi siano
certissimamente genuini e non lascino I' Impressione di essere imprestati alla sa.-
era Scrittura, bisogna che risultino dalla Scrittura stessa o dalla Tradizione o
da.Ila dichiarazione autentka della. Chiesa.
S. Tommaso sembra accettare da S. Age>stino la sentenza che possa esoae mol-
teplice a.nche tl senso letterale. Su questo punto oggi si discute, e alcuni preten-
dono che l'Angelico tenga per conto suo l'unicità del senso letterale, pur ammet-
tendo la possib1lltà di una molteplicità di esso per il rispetto dovuto a S. Ago-
stino. Ma è permesso di r·ltenere che S. Tommaso non sia forzato o spiacente di
ammettere questa posslbllltà e che anzi la consideri un'altra particolarità e ric-
chezza propria della sacra Scrittura? Il linguaggio che usa nel De Pot., q. 4, ad 1,
è 1t101to circospetto. "Non è' incredibile" scrive" che a Mosè e agli altri autori della
sacra Scrittura sia stato concesso divinamente di conoscere le diverse verità che
gli uomini possono conoscere, e di signlfic.arle mediante una sola espressione
sicchè ognuno di questi signiflcatl sia voluto dall'autore,,_ È fuori dubbio invece
che le espressioni usate nella Somma non sono favorevoli all'ammissione di una
pluralità di sensi letterali. Scrive. infatti, "tutti gli altri sensi si fondano su un
solo senso, quello letterale: super unum. scillcet litteralem" (ad I); "Quel tre modi
di esporre la Scrittura .... appartengono all'untco senso letterale: ad unum litte.
ralern sensum" (ad!) (cfr. SYNAVE P., "La doctrine de S. Thomas sur le sens littéral
des Ecritures '" in Rev. Btol., 1926, p. 40; CEUPPENS F., "Che cosa abbia pensato
S. Tommaso del moltepllce senso letterale nella sa.era Scrittura"• in D. Tllom.,
(P), 1930, pp. 164 ss. (in latino) ; PERRELLA, •Unicità del senso letterale biblico•,
lvi, 1044-46, pp. 67-69; tdem, "il pensiero di S. Agostino e di S. Tommaso circa il
numero del senso letterale nella sacra Scrittura>>, in Btbitca, 1945. pp. 177 ss.).
70 LA So:\fMA TEOLOGICA, I, q. 1, a. 10

SOLUZIONE DELLE DIFFICOJ.'!À: 1. La molteplicità di tali sensi n-0n


porta all'equivoco o ad altre anfibologie, )lOichè, come abbiamo detto,
questi sensi non si moltiplicano per il fatto che una medesima pa-
rola significa più cose ; ma semplicemente perchè le cose significate
dalle parole possono essere un segno di altre cose. E cos-ì non e' è
da temere delle confusioni nella sar.ra Scrittura, perchè tutti gli altn
sensi si fondano su un solo senso, quello letterale, dal quale solo è
lecito argomentarn, e non già dal senso allegorico, come nota S. Ago-
stino. Nè per questo viene a mancare qualche cosa alla sacra Scrit-
tura, perchè niente di nece~sario alla fede è contenuto nel senso spi-
rituale, che la sacra Scrittura non esprima chiaramente in sen~o
letterale in qualche altro testo.
2. Quei tre mndi di esporre la Scrittura storia, etiologia, analogia
appartengono all'unico senso letterale. Storia, come spiega lo stesso
S. Agostino, si ha quando si espone semplicemente una cosa; etio-
logia, quando si assegna la causa di quanto vien detto, come quando
il Signore dichiarò il motivo per cui Mosè permise agli Ebrei di ri-
pudiare la mo1<lie, cioè per la durezza del loro cuore; analogia,
quando si fa vedere che la verità di un passo della Scrittura na:n è
in contrasto con la Yerità di un altro pas$O. Nella suddivisione a
quattro membri [fatta da S. Agostino] l'allegoria da sola corrisponde
ai tre sensi spirituali. Così Ugo da S. Vittore pone sotto il nome di
allegoria anche il senso anagogico, noverando nel terzo libro della
sue Sentenze soltanto tre sensi, storico, allegorico, e tropologico.
3. Il senso parabolico è incluso nel letterale ; infatti con la parola
si esprime qualche cosa in senso proprio, e qualche cosa in senso
figurato; ma il senso letterale non è già la figura, ma il figurato.
Quando, p. es., la Scrittura parla del braccio di Dio, il senso letterale
non è che in Dio vi sia questo membro corporale ; ma ciò che tale
membro simboleggia, cioè la potenza operativa. Di qui apparisce
chiaro che nel senso letterale della Scrittura mai può esservi errore.
LA DOTTRINA SACRA 71

AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod multiplicitas horum sensuum non


facit aequivocationem, aut aliam speciem multiplicitatis: quia, sicut
iam dictum est Lin corp.], sensus isti non multiplicantur propter hoc
quod una vox multa significet; sed quia ipsae res significatae per
voces, aliarum rerum possunt esse signa. Et ita etiam nulla c.onfusio
sequitur in sacra Scriptura: cum omnes sensus fundentur super
unurn, scilicet litteralem ; ex quo solo potest trahi argurnentum, non
autem ex his quae secundum allegoriarn rlicuntur, ut dicit Augusti-
nus in epistola contra Vincentium Donatistam [93). Non tamen rx
hoc aliquid deperit sacra.e Script11rae: quia nihil sub spirituali sensu
continetur fidei necessarium, quod Sc1iptura per litteralem sensum
alicubi manifeste non traclat.
An sECUNDUM DICENDUM quod illa tria, historia, aetiologia, analo-
gia, ad nnum Iitteralem sensum pertinent. Nam historia est, ut ipse
Augustinus exponit [I. c.], cum simpliciter aliquid proponitur: a.e-
tiologia vero, cum causa dicti assignatur, sicut cum Dominus assi-
gnavit causam quare Moyses permisit licentiam repudiandi :ixores,
scilicet prGpter duritiam cordis ipsorum, Matt. 19, 8: analogia vero
est, cum veritas 1mius Scripturae ostenditur veritati alterius non
repugnare. Sola autem allegoria, inter illa quatuor, pro tribus spi-
ritualibus sensibus ponitur. Sicut et Hugo de Sancto Victore sub
sensu allegorico etiam anagogicum comprehendit, ponens in tertio
suar11m SentenHarum [De Script. et Scriptor. sacr., c. 3) solum tres
sensus, scilicet historicum, allegoricum et tropologicum.
AD TERTIUM DICF.Nn1;M quod sensus parabolicus sub litterali conti-
netur: nam per voces significatur aliquid proprie, et aliquid figurn-
tive; nec est litteralis sensus ipsa figura, sed icl quod est figuratum.
Non enim cum Scriptura nominat Dei brachium, est litternlis sensus
quorl in Deo sit membrum huiusmodi corporale; sed id quod per hoc
memhrum significatur, scilicet virtus op·erativa. In quo patet quod
sensui litterali SB.{!rae Scripturae nunquam potest subesse falsum.
QUESTIONE 2
Trattato di Dio. Esistenza di Dio. 1

Lo scopo principale della sacra dottrina è quello di far conoscere


Dio, e i1on soltanto in se stesso, ma anche in quanto è principio e
fine delle cose, e specialmente della creatura ragionevole, come ap-
parisce dal già detto; nell'intento di esporre questa dottrina, noi
tratteremo: I - di Dio [I Parte] ; II - del movimento della creatura
razionale verso Dio [li Parte, divisa in I-II e Il-II] ; III - del
Cristo, il quale, in quanto uomo, è per noi via per ascendere a Dio
[III Parte]. 2
L'indagine intorn<J a Dio comprenderà tr.e parti. Considereremo:
primo, le questi<mi spettanti alla divina Essenza; secondo, quelle
riguardanti la distinzione delle Persone; terzo, quelle che riguar.
dano la derivazione delle creature da Dio.
Int,orno all' Essenza divina poi dobbiamo considerare: 1. Se Dio
esista; 2. Come egli sia o meglio come non sia; 3. Dobbiamo stu-
diare le cose spettanti alla sua operazione, cioè la scienza, la vo-
lontà e la potenza.
Stù primo membro di questa divisione si pongono tre quesiti:
1. Se sia di per sè evidente che Dio esiste; 2. Se sia dimostrabile;
3. Se Dio esista. •

ARTICOLO 1
Se sia di per sè evidente che Dio esiste.

SEMBRA che sia di per sè evidente che Dio esiste. Intatti:


t. Noi diciamo evidenti di per sè quelLe cose, delle quali abbiamo
naturalmente insita la cognizione, com'è dei primi principii. Ora,
come assicura il Damasceno «la conoscenza dell'esistenza di Dio è
in tutti naturalmente insita». Quindi l'esistenza di Dio è di per sè
evidente.
2. Evidente di per sè è ciò che subito s'intende, appena ne ab-
biamo percepito i termini; e questo Aristotele lo attribuisce ai primi
principi i della dimostrazione: conoscendo infatti che cosa è il tutto
e che cosa è la parte, subito s' intende che il tutto è maggiore della
sua parte. Ora, inteso che cosa significhi la parola Dio, all'istante
si capi~ce che Dio esiste. Si indica infatti con questo nome un es-
sere di cui non si può indicare uno maggiore: ora è maggiore ciò
che esiste al tempo stesso nella mente e nella realtà che quanto esl-
1 Il titolo è formato di due parti ben <Ìl&ttnte: una st riferisce a tutto 11 primo
trattato della Somma (qq. 2-26); l'altra, • Eslst,enza di Dio•, soltanto alla questione
presente.
QUAESTIO 2
De Deo, an Deus sit
tn lrcs arttculos dtv1sa.

QurA ig-itur principalis intentio huius sacrae doctrinae est Dei


cognitionem tradere, et non solum secundum quod in se est, sed
etlam secundum quod est principium rerum et finis earum, et spe.
cialiter rationalis creaturae, ut ex dictis est manifestum [ q. 1, a. 71 ;
ad huius doctrinae exp<lsitionem intendentes, primo tractabimus de
Deo [Part. l]; secundo, de motu rationalis creaturae in Deum
[Part. /I]; tertio, de Christo, qui, secundum quod homo, via est nobis
tendendi in Denm [Part. Ili].
Consideratio autem de Deo tripartita erit. Primo namque conside-
rn.himus ea quae ad essentiam divinam pertinent; secundo, ea quae
pertinent ad distinctionem Personarum [q. 27]; tertio, ea quae per-
tinent ad processum creaturarum ab ipso [q. 44].
Circa essentiam vero divinam, primo considerandum est an Deus
sit; secundo, quomodo sit, ve! potius quomodo non sit [ q. 3] ; tertio
considerandum erit de his qnae ad operationem ipsius pertinent, sci-
lic8t de scientia et de volnntate et potentia [q. 14].
Circa primum quaeruntur tria.
Primo: utrum Deum esse sit per se notum. Secundo: utrum sit
demonstrabile. Tertio: an Deus sit.

ARTICULUS 1
Utrum Deum esse sit per se notum.
1 SJnt., d. 3, q.1, a. 2; I Cont. Gfnt., cc. 10, 11; a, c. 38; De Vertt .• q 10, a. 12:
De Pot., q. 7, a. 2, ad 11; in Psalrn. 8; De Trtnit., q. 1, a. 3, ad 6.,

An PRIMFM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deum esse sit per se no-
tum. Illa enim nobis dicuntur per se nota, quorum cognitio nohis
naturaliter inest, sicut patet de primis principiis. Sed, sicut dicit Da-
mascenus in principio libri sui [De Fide Orth., cc. 1, 3], "omnibus
cognitio existendi Deum naturaliter est inserta n, Ergo Daum esse e~t
per se notum.
2. PRAETF:REA, illa dicuntnr esse per se nota, quae statim, cognitis
terminis, eognoscuntur: qnod Philosophus attribuit primis demon-
strationis principiis, in I Poster. [c. 3, lect. 7]: scito enim quid est
toturn et quid pars, statim scitur quod omne totum maius est sua
parte. Sed intellecto quid signifìcet hoc nomen Deus, statim habetur
quod Deus est. Significatur enim hoc nomine id quo maius signifìcari
non potesi: maius autem est quod est in re et intellectu, quam quod

• S. Tommaso ùellnea con chiarezza Il plano generale della mia opera.


• r.a logica successione det quesiti basta da sola a far comprendere l'atteggia-
mento critico e costruttivo del grande pensatore cristiano.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 1

ste .soltanto nella mente: onde, siccome appena si è inteso questo


nome Dio, subito viene alla nostra mente f di concepire J la sua esi-
sienza, ne segue che esista anche nella realtà. Dunque che Dio
esista è di per sè evidente. '
3. E di per sè evidente che esiste la verità ; perchè chi nega esi-
stere la verità, ammette che esiste una verità; infatti se la verità
non esiste sarà vero che la verità non esiste. ì\:la se vi è qualche
cosa di vero, bisogna che esista la verità. Ora, Iddio è la Verità. «Io
sono la via, la verità e la vita n. Dunque che Dio esista è di per sè
evidente.
IN CONTRARIO: Nessuno può pensare l'opposto di ciò che è di per
sè evidente, come spiega Aristotele riguardo ai primi principii della
dimostrazione. Ora, si può pensare l'opposto dell'enunciato: Dio esi-
ste, secondo il detto del Salmo: «Lo stolto dice in cuor suo "Iddie>
non c' è" n. Dunque che Dio esista non è di per sè evidente.
RISPONDO: Una cosa può essere di per sè evidente in due ma-
niere: p·rimo, in se stessa, ma non per noi ; secondo, in se stessa e
anche per noi. E invero, una proposizioue è cli per sè evidente dal
fatto che il Jlredicato è incluso nella nozione del sogg-etto. come
questa: l'uomo è un animale; infatti animale fa parte della no-
zione stessa dì nomo. Se dunque è a tutti nota la natura del pre-
dicato e del soggetto, la proposizione risultante s.arà per tutti evi-
dente, come avviene nei primi principii di dimostrazione, i cui ter-
mini sono nozioni comuni che nessuno può ignorare, come ente e
non ente, il tutto e la parte, ecc. Ma se per qualcuno rimane sco-
nosciuta la natura del predicato e ùel sogg.etto, la proposizione sarà
evidente in se stessa, non giù per coloro che ignorano il predicato
ed il soggette> della proposizione. E così accade, come nota Boezio,
che alcuni concetti sono comuni ed evidenti solo per i dotti, questo,
P. es.: "le cose immateriali non occupano uno spazio n.
1 :E: In riassunto Il celebre argomento di S. Anselmo, Intorno al quale è sem-
pre vivo l'interesse della filosofia, anche al nostri giorni. Intento di S. Anselmo
era di trovare "un tale argomento che non abhlsognasse. per essere dimostrato.
se non di se stesso (che fosse cioè una cosa dt per sè evidente per chiunque arrer-
rasse l'Idea di Dio) e da solo bastasse a stabilire che Dl·o veramente esi,te. ed A il
Sommo Bene, non dipendente da nessuno. mentre tutte le cose dipendono da lui•
(Prosloytum, Prooemium, PL., 158). La discussione Intorno ad esso cominciò ftn da
principio per opera del monaco Gaunilone (LifJer pro insipiente, PL .• 158, 242 ss.)
e si riaccese attraverso I tempi sotto nuove forme. Ciò manifesta la nobiltà dell"ar-
gomento anselmlano riconosciuta anche da S. Tommaso. Ma I" intento sperato da
Anselmo non fu raggiunto. Non solo il suo argomento r.on è il più >.empl'<'f> e il
più facile e Il più universale degli argomenti, ma nelle precisazioni posteriori
di Scoto. di Cartesio. di J.eihnltz. di Lepidi e di altri. diventa il piu cornplicato
e discutibile di tut.ti ; e sehhene il S"O valore sia stato ammesso da grandi dottori
(Enrico di Gand, Alberto Magno, Bonaventura ed altri). tuttavia nonché persua-
dere l'ateo, r.on riusci neppure a convincere I credenti. moltissimi dei quali lo ri-
gettano come un paralogismo. Chi volesse seguire le controversie circa l'argomento
anselmlano, veda la copiosa blhliografia fino al 1927 In Ueberu:ey-Geyer (Grundriss
<ler Geschichte der Philosophie. t. II "Die ratristischè un<! scholnstische Pili!."•
HJ28. p. 609). fino al 1933 In Reclwrches de Théol,ogie nnc. et mMtév., 1934, pp. 313 ss.,
fino al 1938 In M. DAFFARA. Dio, espostztone e valutaztone delle prove, pp. 147-148;
fino al 1942 in Rtv. dt Fil. Neoscolastica, 1943, pp. 95 ss.
S. Tommaso nega costantemente il valore probativo di tale arirnmento. a cui
concede soltanto questo onore: "1·argomento di S. Anselmo si deve intendere
cosi: dopo che abbiamo compreso che cosa è Dio. non si può intenc!ere che esist9.
" pensare nello stesso tempo elle pos~a non esi31ere"; Dto solo. cioè. ha la rn-
prema nobiltà di essere l'ente necessario (cfr. I Sent., d. 3, q. 1, a. 21. Se Dio esi-
ste. esiste necessariamente per se stesso, In modo che si deve escludere da lui
ESISTENZA DI DIO io
est in intellectu tantum: unde cum, intellecto hoc nomine Deus, sta-
tim sit in intellectu, sequitur etiam quod sit in re. Ergo Deum esse
est per se notum.
3. PRAETEREA, veritatem esse est per se notum: quia qui negat ve-
ritatem esse, concedit veritatem esse: si enim veritas non est, verum
est veritatem non esse. Si autem est aliquid verum, oportet quod ve-
ritas sit. Deus autem est ipsa veritas, Ioann. 14, 6: "Ego sum via,
veritas et vita u. Ergo Deum esse est per se notum.
SED CONTRA, nullus potest cogitare oppositum eius quod est per se
notum, ut patet per Philosophum, in 4 Metaphys. [c. 3, lect. 6] et
I Poster. [c. 10, lect. 19], circa prima dernonstrationis principia. Co-
gitari autern potest oppositum dns qnod est Deum esse, secundnm
illud Psalmi 52, 1: « Dixit insipiens in corde suo, non est Deus».
Ergo Deum esse non est per se nolum.
RESPONDEO DICENDUM quod contingit aliquid esse per se notnm du-
pliciter: uno modo, secundum se et non quoad nos; alio modo, se-
cundum se et quoad nos. Ex hoc enim aliqua propositio est per se
nota, quod praedicatum includitur in ratione subiecti, ut homo est
anima!: nam anima! est de ratione hominis. Si igitur notum sit om-
nibus de praedicato et de subiecto quid sit, propositio illa erit orni.
nibus per se nota: sicut patet in primis demonstrationum principiis,
quorum termini sunt quaedam communia quae nullus ignorat, nt
ens et non ens, totum et pars, et similia. Si autem apud aliquos notum
non sit de praedicato et subiecto quid sit, prppositio quidern quan-
tum in se est, erit per se nota: non tamen apud illos qui praedicatum
et subiectum propositionis ignorant. Et ideo contingit, ut dicit Boe-
tius in libro De hebdomadibus [prooem.], quod quaedam sunt com-
munes animi conceptiones et per se notae, apud sapientes tantum,
ut « incorporalia in loco non esse».

la possihilità che non esista (og-ni altra cosa. invece, pur costatandola esistente, si
può pensare che possa non esistere).
Ma la pro\a della sua esistenza reale non è data solo dal fatto che lo st pensa
1·ome l'essere più grande che si possa pensare, per~hè, In quantlO lo si pensa, non
gli conviene che un'esistenza pensata, che è, cioè, :;olo nella mente e non nella
realtà, comfl os.5€rva S. Tornma'o nell:1 risrost.a. Nel Cont. Gent., s. Tommaso
andando alla radice della difficoltà, nota che l'idea di Dio, che noi possiamo for-
marci, non e intll\zione di Dio com'è in se s10s:;o seconrto la sua propria natura
'pecifica, perché a, noi, legati nel nostro conoscei·e alle cose create, nna tale id'3a
<li Dio è impossillile; e sarehhe proprio necessaria una tale idea affinché pot<•s-
,imo vedere In essa necessnriamente Inclusa l'esistenza reale. "Come a nol •
scrive "è per sè noto che il tntto è mag-)!iore della parte, cosi per col-0ro che
vedono la divina essenza. (e non han q11inrll liisogno elle si dimostri Dio) è per
sè notissimo che Dio eslst.P. ~la polcl1è noi la di vina essenza non la possiam()
vedere (come oggetto imm('diatamen1e presente al nostro pensiero), a conosct'J'e
la sna esistenza non perveniamo mrdiante il concetto di Dio, ma mediante g!F
effetti di lui" (/ Coni. r;rnt., c. 11; cfr. ne Verit., q, 10, a. 12).
E. l{ant chiamò "ontologico" l'argomento anselmiano, e pretese che nessun'al-
tra prova dell'esistenza di Dio possa valere, se non Introducendo <li snpni"tto
questo argomento (cfr. Crll.i.ca dena: Ragton pura, parte II, p, 472, trad. c!t. Bari.
1940•). Gli ldrn Iist! (cfr. GE'.'(l'lf.E, I problrmi della Scolasftca, pp, 71 ss. Bari, 1923}
<0110 clello stesso parere; ma a torto, come apparirà in seguito. La pa1·ola "on-
tolo:>:ico" con cni ora vien designato l'argoment;i anselmiano, non deve far cre-
<lere che S. Anselmo si mnova snllo stesso piano dei cosiddetti "ontologisti.,.
'Malehranche, Gioberti, {;haghs, ecc.), 1 quali sostenevano che il primo oggett()
•lei nostro pensiero (<>Il primo logico .. ) fosse Dif) stesso («II primo ontologico•
nd esistente). Per costoro l'e~istenza di Dio è per sè evidente alla mente e non
ha bisoimo di essere provata. !"i:iccllÀ noi conosceremmo ogni cosa In Dio, In-
tuendo Dio medesimo. Questa dottrina è riprovata dalla Chiesa (cfr. DENZ., 1659-
i6 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, aa. l-2

Dico dunque che questa proposizione Dio esiste in se stessa è di


per sè evidente, perchè il predicato s'identifica col sogg.etto; Dio
infatti, come vedremo in seguito, è il suo stesso essere: ma sicc-0me
noi ignoriamo l'essenza di Dio, per noi non è evidente, ma neces-
sita di essere dimostrata per mezzo di quelle cose che sono a noi pii.
note, ancorchè di per sè siano meno evidenti, cioè mediante gli ef-
fetti.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. B vero che noi abbiamo da natura
una conoscenza generale e confusa della esistenza di Dio, in quanto
cioè Dio è la felicità dell'uomo ; perchè l'uomo desidera natnral-
rncnte la feUcità, e quel che naturalmente desidera, anche nat1Jral-
rnente conosce. l\Ia que$lo non è propriamente un conoscere che Dio
esiste, come non è conoscere Pietro il vedere che qualcuno viene,
sebbene chi viene sia proprio Pietro: molti infatti pensano che il
bene perfetto dell'nomo, la felicità, consista nelle ricchezze, altri ne!
piaceri, altri in qualche altra cosa.
2. Può anche darsi che colui che sente questa parola Dio non ca~
pisca che si vuol significare con essa un essere di cui non si può
pensare il maggiore, dal momento che alcuni hanno creduto che
Dio fosse corpo. Ma datp pure che tutti col termine Dio intendano
significare quello che si dice, cioè un essere di cui non si può pen-
sare il maggiore, da ciò non segue però la persuasione che l'essere
espresso da tale nome esista nella realtà delle cose; ma soltanto
nella percezione dell'intelletto. N è si può arguire che esista nella
realtà se prima non si ammette che nella realtà vi è una cosa di
cui non si può pensare una maggiore: ciò che non si concede da
coloro che dicono che Dio non esiste.
3. Che esista la verità in generale è di per sè evidente; ma che vi
sia una prima Verità non è per noi altrettanto evidenta

ARTICOLO 2
Se sia dimostrabile che Dio esiste. 1

SEMBRA non sia dimostrabile che Dio esiste. Infatti:


1. Che Dio ~ista è un articolo di fede. Ora, le cose di fede non si
possono dimostrare, perchè la dimostrazione ingenera la scienza,
1663). Ma è Importante ~ottoltneare l'osservazione di S. Tommaso. che soltanto se
fosse vero quanto affcrmnno gli ontologisti, la proposizione •Dio esiste• sarebbp
rii per sè evidente anche JJer noi.
l La conclusione, che S. Tommaso qui difende, è dichiarata appa1·tenere alla
fede, come espressamente rivelata nelle parole dell'Apostolo e In altri luoghi
della sacra Scrittura (ctr. Sap., 13, 6-9). Il Concilio Vaticano infatti definisce: .. Ln
santa madre Chiesa ritiene e Insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, sl
può conoscere con certezza col lume naturale della ragione umana, partendo
cla1Je cose create; polchè - come scrive S. Paolo (Rom., 1, PO) - le invisibili per
fezlonl di lui, fin dalla creazione del mondo, comprendendosi dalle cose fatte, si
rendono vlslbtl!, quali la sua eterna potenza e la sua divinità" (DENZ., 1785). Per
cui • se alcuno dicesse che Dio uno e vero, Creatore e Signore nostro. non è per
mezzo delle cose fatte conosclblle con certe-zza mediante la torza nati va della ra-
gione, sia anatema• (DENZ., 1806). B la condanna di ogni agnosticismo, qualunque
sia la sua origine. Rinato col modernismo, che ideologicamente dipende dalle filo-
ESISTENZA DI DIO 77

Dico ergo quod haec propositio, Deus est, quantum in se est, per
se nota est: quia praedicatum est idem cum subiecto; Deus enim
est s1111m esse, ut infra patebit [q. 3, a. 4]. Sed quia rws non scimns
<le Deo quid est, non est nobis per se nota: sed indiget demonstrari
per ea quae sunt magis nota quoad nos, et minus nota quoad natu-
ram, scilicet per effectus.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod cognoscere Deum esse in aliquo
communi, sub quadam confusione, est nobis naturaliter insertum,
inquantnrn scilicet Deus est hominis beatitudo: homo enim natura-
l iter dcsiderat beatitudinem, et quod naturaliter desideratur ab ho-
mine, naturaliter cognoscitur aJJ eodem. Sed hoc non est simpliciter
cognoscere Deum esse; sicut cognoscere venientem, non est cogno-
scere Petrum, quamvis sit Petrus veniens: multi enim perfectum
hominis bonum, quod est beatitudo, existimant divitias; quidam vero
voluptates; quidam autem aliquid aliud.
AD SECUNDUM DICENDUM quod forte ille qui audit hcx: nomen De11s,
non intelligit significari aliquid quo maius cogitari non possit, cmn
quidam credidcrint Deum esse corpus. Dato etiam qnod quilibet in-
telligat hoc nomine Deus significari hoc quod dicitnr, scilicet il111d
quo maius cogitari non potest; non tamen propter hoc sequitur quod
intelligat id quod signifìcatur per nomen, esse in rerum natura ; sed
in apprehensione intellectus tantum. Nec potest argui quod sit in re,
nisi daretur quod sit in re aJiquid quo maius cogitari non potest:
quod non est datum a ponentibus Deum non esse.
Ao TEHTIUM DICENDUM quoù veritatem esse in communi, est per se
notum: sed primam veritatem esse, hoc non est per se notum quoad
nos.

ARTICULUS 2
Utrum Deum esse sit demonstrabile.
Infra, q. 3, a. 5; 3 Sent., d. 24, f!. 1. a. 2, qc. 2; I Cont. Gent., c. 12:
De Pot .• q. 7, a. 3; De Trtntt .. q. 1, a. 2. ·

Ao SECUNDUM SIC Pl\OCEDITUll. Videtur quod Deum esse non sit de-
monstrabile. Deum enim esse est articulus fidei. Sed ea quac sunt
fìdei, non sunt tlemonstrabilia: quia demonstratio facit scire, fides
softe kantiana ed hegeliana, questo a~nost.icismo fu ricondannato da Pio X nf'l-
l' Enciclica "Pascendi" (cfr. tbtd .• 2072). Nel giuramento antimodern!stl"'· che fu
prtscritto dallo stesso Papa al professionisti dell' insegnarrwnto dell~ Chiesa, è pre-
cisato. contro cavìlli circa la disti nzionc tra conoscere con certnza e dimostrare.
che "Dio, di 1.Utte le cose principio e fine, è conoscibile con certezza dalle cose che
furon fatte, cioè dalle opere visitJili della creazione, come la causa è conoscibile
dall'effetto, mediirnte la luce della ragione, ed è dimoslrnbile " (lJE:-<Z., 2145).
La ùottrina ùi S. Toiurna&o batto in lireccia ancl!e ii cosi dett.o Trndi3ionaltsmo,
che, per una radicale diffidenza verso la ragronc, sosteneva l'incapacità di que-
sta ad eleva1·si alla cognizione dell'esistcrrrn di Dio e delle altre verità religiose
naturali. e fondava questa cognizione sulla divina Rivelazione fatta In principio
ai prozcnit.ori e trasmfssa a noi per Tradizione. Gregorio) XVI definiva (8 se1tem-
bre 1840) contro il tradir.ionalista Bautain che "li raziocinio può provare rnn
certezza l'esistenza di n!0 e 1' infinità dellr' sue rerfezioni. La fede. dono celest~".
presuppone la Rivelazione; non può quindi convenientemente essere addotta di
78 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 2

mentre la fede è soltanto delle cose non evidenti, come assicura


l'Apostolo. Dunque non si può dimostrare che Dio esiste.
2. Il termine medio di una dimostrazione si desume dalla natura
del soggetto. Ora, di Dio n()i non possiamo sapere quello che è, ma.
solo quello che non è, come nota il Damasceno. Dunque non pos·
siamo dimostrare che Dio esiste.
3. Se si potesse J.imostrare che Dio esiste, ciò non sarebbe che me-
diante i suoi effetti. Ma questi effetti non sono a lui proporzionati,
essendo egli infinito, ed essi finiti; infatti tra il finito e linfinito
non vi è proporzione. Non potendosi allora dimostrare una causa
mediante un effetto sproporzionato, ne segue che n-0n si possa di-
mostrare l'esistenza di Dio.
IN CONTRARIO: Dice l'Apostolo: «le perfezioni invisibili di Dio
comprendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili"· Ora, .questo
non avverrebbe, se mediantt:l le cose create non si potesse dimo-
strare l'esistenza di Di-O; poichè la prima cosa che bisogna cono-
scere intorno ad un dato soggetto è S€ esso esista.
RISPOKDO; Vi è una duplice dimostrazione: L'una, procede dalh1
[cognizione della] causa, ed è chiamata propter quid, e q1iesta muove
da ciò che di suo ha una priorità ontologica. L'altra, parte dagli effetti
ed è chiamata dimostrazione qttia, 1 e muove da cose che han.no una
priorità soltanto rispetto a noi: ogni v-0lta che nn effetto ci è più
not.o della sua ('ausa, ci serviamo di es,c;o per conoscere la causa.
Da qualunque effetto poi si può dimostrare l'esistenza della sua causa
(purchè gli effetti siano per noi più noti della causa) ; perchè dipen-
dendo ogni efietw dalla sua causa, posto l'effetto è necessario che
preesista la causa. Dunque l'esistenza di Dio, non essendo rispetto
a noi evidente,• si può dimostrare per mezzo degli effetti da noi
conosciuti.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'esistenza di Dio ed altre verità che
riguardo a D10 si possono conoscere cou la ragione naturale, non
sono, al dire di S. Paolo, articoli di fede, ma preliminari agli articoli
di fede: difatti la fede pre5uppone la cognizione naturale, come la
grazia presuppone la natura, come [in generale] la perfezione pre-
suppone il perfettibile. Però nulla impedisce che una cosa, la quale
è di suo og-getto di dimostrazione e di scienza, sia accettata come
oggetto di fede da chi non arriva a capirne la dimostrazione.
2. Quando si vuol dimostrare una causa mediante l'effetto, è
necessario servirsi dell'effetto in luogo della definizione [o natura]
della causa, per dimostrare che questa esiste; e dò vale special-
mente nei riguardi di Dio. Per provare infatti che una cosa esiste,
è necessario prendere per termine medio la sua definizione nominale, a
non già la definizione reale, poichè la questione riguardo all'essenza
di una cosa viene d<Jpo 1111ella riguardante la sua esistenza. Ora,
frunte a un ateo come prova dell'esistenza di Dio,. (DENZ., 1622). E poichè Bautain
si app~llava all'oscuramento prodotto nella ragione umana dal peccato originale,
lo stesso Papa esigeva che sottoscrivesse anche questa proposizione: "e' è ri·
masta nella ragione umana tanta chiarezza e tanto vigore da poterci guidare a
cono•crre con certnza l'e&istenza (li Dio, la rivelazione fatta ai Giudei per mezzo
di Mosè, e ai cristiani per l'adorabile Uomo-D10" (DE,z., 1626).
Le defìnl1ioni della Chiesa, come la dottrina di S. Tommaso, si debbono lD·
!Pnder-e della capacità (lstca delJa rag10ne a elevarsi a Dio, e della capacità mo
1·a/e, nel senso cioè che 12. ragione è In grado di fare cli\ non solo considerata
In se stessa, ma anche considerata nelle circostanze concrete In cui svolge la su2
ESISTENZA DI DIO 79

autem de non apparentibus est, ut patet per Apostolum, ad Hebr.


11, 1. Ergo Deurn esse non est dernonstrabile.
2. PRAETEREA, medium demonstrationis est quod quid est. Sed de
Deo non possumus scire quid est, sed solurn quid non est, ut dicit
Darnascenus [De Fide Orth., 1. 1, c. 4]. Ergo non possurnus demon-
strare Deum esse.
3. PRAETERE~, si demonstraretur Deum esse, hoc non esset nisi ex
effectibus eius. Sed offectus eius non sunt proportionati ei: cum ipse
sit infinitus, et effectus finiti; finiti antem ad infinitum non est pro.
portio. Cum ergo causa non possit demonstrari per effectum sibi non
proportionatum, videtnr qnod Deum esse non possit demonstrari.
SED CONTRA EST quod Apostolus dicit, ad Rom. 1, 20: "invisibilia
Dei per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur "· Sed hoc non
esset, nisi per ea quae facta sunt, posset demonstrari Deum esse.
primum enim quod oportet intelligi de aliquo, est an sit.
REsPDNDE.O JllCENDUl\I qnod duplrx est demonstratio. Una quae est
per causam, et dicitur propter qttid: et haec est per priora simplici-
ter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio qnia: et haec est
per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis
est manit'e:;tior quam sua causa, per effectum procedimus ad cogni·
tionern causae. Ex quolibet antem effectn potest demonstrari pro-
priam causarn eius esse (si tamen cius effectus sint rnagis noti quoad
nos) : quia, curn effectus dependeant a causa, posit-0 effectu necesse
est causarn praeexistere. Unde Deum eso:e, sccundum quod non est
per se notum quoad nos, demonstrabile est per effectus nobis notos.
AD PRIMUM ERG-O DlCENDUM quod Deum esse, et alia huiusmodi quae
per rationem naturalem nota possunt esse de Deo, ut dicitur Rom.
1, 19 ss., no11 snnt articuli fìdei, scd praeamibula ad articuìos: sic
enirn fides praesupponit cognitionem naturalem, sicut gratia natu-
ram, et ut perfectio perfectibile. Nihil tamen prohibet i!lud quod se-
cundum se demonstrabile est et scibile, ab aliquo accipi ut credibile,
qui demonstrationem non capit.
Ao sEcUNDUM DICENDUM quod cum demonstratur causa per effectum,
necesse est uti effectu loco definitionis causa e, ad probandum causam
esse: et hoc maxirne contingit in Deo. Quia ad probandum aliquid
esse, necesse est accipere pro medio quid signifìcet nomen, non
autem quod quid est: qnia quaestio quid est, sequit11r ad quaestionem
an est. Nomina autern Dei imponnntur ab effectibus, nt postea osten-

attività, sicchè la stragrande maggioranza degli uomini, aventi uso di ragione,


arril'a di fati.o a una certezza razionale che Dio esiste. Ma non si escludono per
alcuni l'incapacità fisica o morale, t•er speciali circostanze in cui si è svolta
la loro vita (vedi ad I). La dottrina della Chiesa e la teologia, asserendo come
do·~ma la capacità nella rnRiouc a dimostrare f1io, rendono il più hell'omagglo
a questa suprema facoltà del nostro animo. Nello stesso tempo affermano che,
se Ilio non si r:iµ:(iiunge primieramente con la ragione, è vana ognt speranza di
raggiungerlo altrimenti; e che l'autorità stessa <!ella Rivelazione divina che apre
i più rna!!niftrl orinontl, nulla potrebbe su d1 noi, se natuJ'almPnte non fossimo
In grado di riconoscerla con certezza nelle prove e nelle garanzie che Dio cl offre
per mezzo del suo speciale intervento nel mondo.
• L'espre55ione propt.er quid e quta traduce letteralmente l'el'presslone greca
di Aris1otele ~.... e o." ModernamPnte la prima dimostrazione si direbbe "a prio-
ri '" la second~ " a posteriori " (cfr. Dtz. Tom .. " Propter quid n).
• Come fu dimostrato nell'articolo precedente.
• È il signlficato corrente e volga.re di un termine, che non sempre è quello etl·
mologico
80 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, aa. 2-3

i nomi di Dio provengono dai suoi effetti, come vedremo in seguito:


perciò nel dimostrare l'esistenza di Dio mediante ~li effetti, possiamo
prendere per termine medio quello che significa il nome Dio. 1
3. Da effetti non proporzionati alla causa non si può avere di que-
sta una cognizione perfetta; tuttavia da qualsiasi effetto noi pos-
siamo avere manifestamente la dimostrazione che la causa esiste,
come si è detto. E cosi dagli effetti di Dio si pur) dimostrare che Dio
esiste, sebbene non si possa avere per mezzo di essi una conoscenza
perfetta della di lui essenza.

ARTICOLO 3
Se Dio esista.

SEMBRAche Dio non esista. E infatti :


1. Se di due contrari uno è infinito, l'altro resta completamente
distrutto. Ora, nel nome Dio s'intende affermato un bene infinito.
Dunque, se Dio esistesse, non dovrebbe esserci più il male. Viceversa
nel mondo c'è il male, Dunque Dio non esiste.
2.. Ciò che può essere compiuto da un ristretto numero di cause,
non si vede perchè debba ci:nnpiersi da cause più numerose. Ora
tutti i fenomeni che avvengono nel mondo, potrebbero essere pro-
dotti da altre cause, nella supposizione che Dio non esistesse: poichè
quelli naturali si riportano, come a loro principio, alla·natura, quelli
volontari, alla ragione o volontà umana. Nessuna necessità, quindi,
della esistenza di Dio.
IN CONTRARIO: Nell'Esodo si dice, in persona di Dio: "lo sono
Colui che è».•
RISPONDO: Che Dio esista si. può provare per cinque vie. ' La prima
e la più evidente è quella che si desume dal moto. • È certo infatti e

1 Per una dimostrazione •a priori .. prop!er quta, è necessario partire dalla


definizione espr·imente la natura propria e r·eale delle cose; per una dimostrazione
qttilt, h~sta partire dall'effetto proprio. Dall'effetto alla causa propria di ess0
Il passaggio è legittimo. Ma allora è l'e~istenza di Dio, o un'altra cosa che si
prova'? E. Kant (Critica della lwgton pura. trad. clt., 2, p. 483) ci accusa à i
non tener fede alla parola e di tentar;i Invano dimostrare con prove, desunte dal
cosmo, l'esistenza del!' Essere di cui non si potrebbe pensare uno più grande. Re-
plichiamo con 11 profondo significato della risposta presente: per mezzo degli ef-
fetti si dimostra la causa propria di questi effetti c/1e ~ Dto. Dio, nel princiJJi<>
della ricerca, è definito - con una deflni<ione imperfetta e piuttosto nominale -
per rapporto ai suoi effetti: è II Primo Motore irnmohile cli tutte le cose, la Prima
Causa di tutti gli esseri, 11 loro Creatore, l'Ordinatore del Cosmo, ecc. Col nome
•Dio .. noi inter.diamo tale Realtà. Che cosa sta poi prcprtamente Dio in sè, è
una c111estionc che viene dopo, nota S. Tommaso. E legittimo questo nostro modo
di proc~dere, perché t~le è la natura del n.ostro intelletto; il cui oggetto proprio
è •l'essere realizzato nel mondo sensibile con tutte le relazioni che importa";
e talP oggPfto è più noto a noi, e prlma quanto a noi, che la Causa, ossia Dio,
e man ifesta a noi la Causa. Di più !' Intelletto nostro è potenziale e, nel pren-
dere possesso del suol oggetti, passa all'atto a poco a roco. procedendo cl tll' Im-
perfetto al perfetto. Solo quindi pazientemente ritornando sopra gli attributi, che
ha scoperto al termine della dimostrazione. potl'à giungere distintamente a i
concetto che I{ant vorrebbe invece In principio della ricerca (cfr. ln!rod., n. Hl).
• Qne>'tO testo del s. c. ba Importanza. Qui Infatti siamo.in te<>logia, e la teolol"la
detur [q. 13, a. 1): unde, demonstrando Deum esse per effectum, ac-
cipere possumus pro medio quid signifket hoc nomen Deus.
AD TERTI UM DICENDUM quod per effcctus non proportionatos ca.usae,
non potest perfecta cognitio de ransa hahr.ri: sed tamen ex quocum-
qne effectn potest manifeste nohis demonstrarl causam esse, ut di-
ct um est [in corp.]. Et sic cx effectibus Dci potesi demonstrari Deum
esse: licet per eos non perfecte posJ;imus eum cognoscere secund11m
suam essentiam.

ARTICULUS 3
Utrum Deus sit.
• Sent., 4. 3, dlv. prlm. part.. textus: I tont. Gent., cc. 13, 15, 16, 44; f, c. 15 ; s, c. M ~
De Vertt., q. 5, a. 2; De Pot., q. 3, a. 5;
Compena. Theoi., c. 3; 7 l'hyslc., lect. 2; 8, lect. 9 ss.; 11 Metaphys., lect. 5 ss .

. An TERTllTl\f SIC PROCEDITlTR. Videtur quod Dewi non sit. Quia si


unum contrariorum fuerit infìnitum, totaliter destruetur aliud. Sed
hoc intelligitnr in hoc nomine Deus, scilicet quod sit quoddam bonum
li:lfinitum. Si ergo Deus esset, nullum malum inveniretur. Invenitur
autem rnalum in munda. Ergo Deus non est.
2. PR.\ETEnF:A, quod potest compleri per pauciora principia, non fit
per plura. Sed videtur quod omnia quae apparent in munda, possunl
compleri per alia principia, supposito quod Deus non sit: quia ea.
quae sunt naturalia, reducuntnr in principium quocl. est natura; ea
vero quae sunt a proposito, rPducuntur in principium quod est ratio
humana vel voluntas. Nulla igitnr necessitas est ponrre Deum esse.
SED cO:\'TRA EST quod dicitur Exodi 3, 14, ex persona Dei: "Ego sum
qui SUID».
RESPONDEO DICENDTJM quod Deum esse quinque viis probari potest.
Prima antem et manifestior via est, quae sumitur ex parte motus.

Ila per oggetto la parola dl Dlo. Il teologo guarda dall'alto: Dlo afferma se stesso.
come esistenza necessaria, fonte dl tutto l'essere: dunque non solo è. ma non può
non essere. Il mondo con I suoi caratteri cl fornirà la prova a postertort t:be Dio
non può non essere, che è necessario che sia: tutto l'universo lo reclama, lo esige,
lo impone. ,
• L'esistenza dl Dio è dimostrabile, ha concluso S. 'l'ommaso negli articoli pre-
cedenti, non per un procedimento a. prtorl, ma solo per un procedimento a po-
ster/or!. Snrinnn perciò le creature 41 Dio a manifestare Dio a noi, perché di Dio
com' il in sè non possiamo avere un concetto immediato e intuitivo. Questa tesi
dl S. Tommaso è strettamente coer·ente con la sua dottrina Cil'Ca l'oggetto prll-
prlo e for·male della nost1·a mente, che è l'essere non assolutamente considerato,
ma realizzato nel mondo fisico, da cui per virtù del!' iutelletto attivo viene
astratto Il concetto trascendentale di ente o essere (c!r. Dlz. Tom.). Onde quando
S. Tommaso dice r.he ogg·ettu dell'intelletto ti l'essere con tutte le sue proprietà
e tutte le sue relazioni (.. ens et ea quae sunt J'er se entls .. ) Intende d{'ll' lnt..t.
letto In genere; per I' Intelletto umaiw bisogna tare questa restrizione: è l'ente
con tutte le sue prorJrietà e relazioni, ma srieculato nel 11tondo fisico. Questa dot-
trina del! 'oggetto proprio della mente è lmportantlssi ma e va apr;rofondita da
eh! vuole penetrare addentro al senso della teologia tomista (cfr. I, qq. 84-8!1). Circa
Il modo <li procedere delle cinque vie, cfr. Jn.lrn•I., nn. t8 ss. ·
• Il movtmento o mutamento (In latino Molus), si può prendere: a) in aenso
flsico (senso primo e proprto di moto: stato •li tendenza o di via per cui un sog-
getto sta trasferendosi da un modo di e~sere in un altro) ; comprende quattro
specie (li mutamento: t) •1uello <li corruzione e aerterazl.une, per cui il sogg1:1:0
82 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3

consta dai sensi, 1 che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora,
tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si tra-
smuta che non sia potenziale rispetto al termine del movimento;
mentre chi muove, muove in quanto è in atto. Perchè muovere non
altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all'atto; e nient{)
-può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere
che è già in atto. P. es., il f110co che è caldo attualmente rende caldo
in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo
·muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simul-
taneamente e sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può
essere soltanto sotto diversi rapporti : così ciò che è caldo in atto
non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in
-potenza. E dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una
cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa.
E dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un
altro. Se dunque l'essere che muove è anch'esso soggetto a movi-
mento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e
così via. Ora, non si può in tal modo procedere ali' infinito, perchè
altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nes-
sun altro motore, perchè i motori intermedi non muovono se non
in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove
se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arri-
vare ad un primo motore che non sia mosso da a.Itri; e tutti rieono..
·scono che esso è Dio. •
La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo
nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma
non si 1rova, ed è impossibile, che una cosa sia cansa effici.ente di
se medesima; chè altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa incon-
cepibile. Ora, un processo all' infinito nelle cause efficienti è as-
surdo. Perchè in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa
dell'intermedia, e l'intermedia è causa dell'ultima, sian-0 molte le
intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l'ef-
fetto: se dunque nell'online delle cause efficienti non vi fosse una
prima causa, non vi sarebbe nepp11re l'11ltima, nè I' intennedia. Ma
procedere ali' infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare
la prima causa efficiente; e così non avremo neppure l'effetto ultimo,
nè le cause intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bi-

mobile perde o acquista una nuova forma sostanziale o natura specifica;


2) quello di alterazione, per cui il soggftto passa da una qualità ad un'altra;
3) quello di traslazione o moto locale, per cui il mobile passa da una posizione
nello spazio ad un"altra; 4) quello di aumento e diminuzione, per cui il soggetto
passa da una minore a una maggiore quantità o viceversa. Il primo si produce
lstant.:ineamente ed è preceduto, quand.o non a:rviene per creazione o mlr11oolo-
'~mentc, dal moto di alterazione di cui è termine. A questa specie non si applica
la definizione del moto fisico in modo cosi proprio come alle altre specie.
I>) In senso metans.zco ,· ed equh·ale a og-ni pa.:;~rig-~io reale rin.Ila potenza al·
!"alto, a qu:ilsiasi 1ivenlre. Dovunque c'è acquisto di una perfezione nuova (anche
rwl mondo de.gli spiriti puri ciò pnò accade1·e). ivi e' è moto in senso metafisico:
passaggio dalla potema all'atto, dal poter essere all'essere.
1 l\on si la appello al puro dato S)Jerimentale. sensorio e fenomenico, ma aJ.
!"esperienza sensibile l'Orne oggetto immediato dell'intelligenza, sola capace d' in-
tendere li movimento.
• Il n~rho della prova desunta dal moto è, dunque, la natura Intima del moto
st~sso, di qualunque moto, non solo del moto fisico (p es., quello di trasl~zione).
ma del moto in senso metafisico, elle include le specie del moto fisico e le supera.
Q11alunque realtà, a qualunque mutamento sia soggetta, in qualunque mondo si
ESISTENZA DI DIO 83

-Certum est enim, et sensn ronstat, aliqna moven in hoc mundo.


Omne autem quod movetur, ab alio movetur. Nihil enim movetur,
nisi serund11m quod est in p-0tentia ad illud ad qnod movetur: movet
autem aliquid secundum quod est act11. Movere enim nihil aliud es1
·quam educere aliqnicl de potentia in actum: de potent.ia autem non
i1otest aliquid reduci in actum, nisi per aliquod ens in actu: sicut ca-
lidum in actu, ut ignis, facit lignum, quod est calidum in potentia,
·esse actu ralidum, et per hoc movet et alterat ips11m. Non autem est
.possibile ut idem sit simnl in actu et potentia secundum idem, sed so-
lum serundnm diversa: quod enim est calidum in actu, non potest
simul esse calidum in potentia, sed est simul frigidum in potentia.
Impossibile est ergo quod, secundum idem et eodem modo, aliquid
·sit movens et motum, vel qupd moveat seipsum. Omne ergo quod mo-
vetur, oportet ab alio moveri. Si ergo id a quo movetur, moveatur.
oportet et ipsum ab alio moveri; et illud ab alio. Hic autem non es;.
procedere in infìnitum: quia sic non esset aliquod primum movens;
-et per c:onsequens nec aliquod aliud movens, quia moventia secun.da
non movent nisi per hoc quod sunt mota a primo movente, sicut ba-
culus non movet nisi per hoc quod est motus a manu. Ergo necesse
-est devenire ad aliqnod primum movens, quod a nullo movetur: et
hoc omnes intelligunt Deum.
Secunda via est ex ratione causae efficientis. Invenimus enim in
istis sensibilìbus esse ordinem causarum efficientium: nec tamen in
venitur, nec est possibile, quod aliquid sit causa efficiens sui ipsius;
quia sic esset prius seipso, quod est impossibile. Non autem est pos
sibile quod in causis efficientihus procedatur in infinitum. Quia in
omnibus causis efficientibus ordinatis, primum est causa medii, et
medium est causa ultimi, sive media sint plura sive unum tan-
tum: remota autem causa, removetur effectus: ergo, si non tueri1
primum in causis efficientibus, non erit ultimum nec medium. Se1t
·si procedatur in infinitum in causis efficientibus, non erit primr1.
causa efficiens: et sic non erit nec effectus ultimus, nec causae · effi

trovi, può essere il punto di partenza di questa prova che conclude all'esistenzn
·di un primo motore Immobile in qualsiasi specie di moto, motore non misto di·
potenza di nessun genere, ma solo e tutto atto: atto puro. Il mutamento o divE··
nire sotto qualunque forma si presenti è la realtà che più evidentemente non
basta a se stessa: nè il moto fisico-chimico del corpi, nè il moto vitale del vl
venti. nè il moto spirituale degli esseri superiori ba in sè la sua spiegazione:
'l'ente che diviene è sotto l'Influsso di una causa attiva distinta. Il principio
•tutto ciò che si n1uove è mosso da un altro• ha valore universale.
Notiamo ancora, per rispondere a G. Gentile (/ problemi della Scolastica, pp. '1'1·
78. Bari, 1923), che la mozione del Primo Motore non si può e non si deve con·
·cepire come una mozione formalmente o propriamente meccanica, o della stessa
natura delle azioni delle cose che muovono e sono mosoo. La sua mozione è mec-
canica o fisica soltanto nell'effetto (virtualmente), In se stessa (formalmente) è
di tutt'altra natura: è la sostanza di Dio stesso. Una. realtà superiore trascen·
<lente è capace di attuare tutti i mutamenti, senza che essa 5ia mutamento. Cosi
fa volontà umana attua nel corpo il movimento meccanico; ma la mozione della
volontà non è In se stessa propria.mente meccanica, ma solo virtualmente: in
quanto cioè suscita mutamento meccanico In un organismo fisico; ma In se
·stessa è qualità spirituale Immanente, d'ordine quindi superspaziale e supermec·
·canico, capace tuttavia di produrre nel corpo, che gll è naturalmente congiunto,
movimenti d'ordine Inferiore, quali sono i movimenti meccanici. Come la vo·
tontà umana, potenza spirituale limitata, opera In un sistema meccanico limitato·
quale è li corpo umano; cosi Dio, realtà spiritualissima e onnipotente, opera In
tutto l'universo, attuando le cause del moto meccanico e di tutti gli altri mot 1,
·senza che con questo sia essa stessa meccanica o fisica, come vuole G Gentile.
8.t LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3

sogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiaman,)


Dio. 1
La terza via è presa dal possibile [o contingente) e dal necessario,
ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere
e non essere; infatti alcune cos.e nascono e finiscono, il che vuol dire
<:he possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose
di tal natura siano sempre state, perchè ciò che può non essere, un
tempo non esisteva.• Se dunque tutte le cose [esistenti in natura
sono tali che] possono non esistere, in un dato momento niente ci
fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente,
perchè ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per 11ual-
chc cosa che è. Dunque, se non c'era ente alcuno, è impossibile che
qualche cosa cominciasse ad esistere, e così anche ora non ci sarebbe
niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono
oontingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di neces-
sario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della $Ua ne-
cessità in altro essere oppure no. D'altra parte, negli enti n0cessari
che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può proce-
dere all'infinito, come neppure nelle cause efficienti second•) che si
è dimostrato. Dunque bisogna concludere all'esistenia di un essere
che sia di per sè necessario, e non tragga da altri la propria neces-
sità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.•
La quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nrlle cose.
E un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre
simili perfezioni in un grado maggiore o minore. Ma il grado mag-
giore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che ess0 si ac-
costano di più o di meno ad alcunchè di sommo e di assoluto; così
più caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo.
Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilis-
simo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perchè,
come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche

i La prova porta fino a Dio. appunto perchè tra le cause e' è ordine e conca-
tena.zwrle. e una non prorl1H·r• il ';uo effetto se non in quanto è sotto l'attuale
lntlnsso di un'altra e cosi via (cause ordinate per se o di loro natura). E im-
possibile procedere in Infinito nella serie delle cause C051 concatenate, men-
tre invece 11011 appare impossiblle, in modo evidente. l'esistenza senza fine di
cause succedentisi senza necessario nesso (ordinate cioè non di lor natu r•a, rrra
r•er acctàen:i (vedi p. i77, nota 2). P. es., elle alla generazione di Socrate sian pre-
ceduti avi in numero infinito può ripugnare o non ripugnar~. ma non è quanto
ora si cerca: nella ~·enerazionr di Socrate la serie deirli avi non influisce. Er·r,>
invece un esempio di cause ordinate per se: l'essere della figura luminosa sull<>
schermo, la quale è causa della mia visione, dipende attualmPnte, corne da
causa, dalla lamparla dell'apparecchio di proiezione; la lampada dipemle at.-
tualmenta dalla corrente elettrica; questa dalla dinamo; la dinamo dall'acqua
che cade nella conduttura forzata; l'acqua dal serbatoio: il serbatoio a sua volta
dipende da tante cause che lo allmentano e lo conservano, impedendogli di ge-
lare, di svuotarsi per Infiltrazione nel sottosuolo, ecc. E queste cause necessarie
all"es;;ere del serbatolo wno condizionate anch'es~e nel loro essere e nella loro
attività ad altre cause. E tutte sono necessarie le une alle altre (la su:.;eriore
ali' inferio1·e) in modo che se fallisce una, l'altra fallisce e l'ultimo effetto si
annulla. ora è possil1ile pensare che tutte queste cause e le altre simili siano
sospese nel vuoto? S'impone quindi una Prima Causa Inca usata che opera In
tutta la sel"ie delle ca uso concatenate fino all'ultimo effetto, come il serl.latoio
fino alla figura d81lo schermo.
La st.essa osservazione, cioè che si tratta di snte concatenate, va tenuLa pre-
sente anche per la prova precedente. Questa seconda prova è simile alla prece-
dente, ma non coincide, polchè qui la considerazione da cui si parte. è 11iù
ampia; riguarda cioè la causalità emctente, da rul dipende non solo li divenire.
ESISTENZA DI DIO 85

cientes mediae: quod patet esse falsum. Ergo est necesse ponere ali-
quam causam efficientem primam: quam omnes Deum nominant.
Tertia via est sumpta ex possibili et necessario : quae talis est. In-
venimus enim in rebus quaedam quae sunt possibilia esse et non
esse: cum quaedam inveniantur generari et corrumpi, et per conse-
quens possibilia esse et non esse. ImpoS'sibile est autem omnia quae
sunt talia, semper esse: quia quod possibile est non esse, quandoque
non est. Si igitur omnia sunt possibilia non esse. aliquando nihil fuit
in rebus. Sed si hoc est verum, etiam nunc nihil esset: quia quod non
est, non incipit esse nisi per aliquid quod est ; si igitur nihil fuit ens,
impossibile fllit quod aliquid inciperet esse, et sic modo nihil esset:
quod patet esse falsum. Non ergo omnia enti a sunt possibilia: sed
oportet aliquid esse necessarium in rebus. Omne autem necessarium
vel habet causam suae necessitatis aliunde, vel non habet. Non est
autem possibile quod procedatur in infìnitum in necessariis quae
habent cammm suae necessitatis, sicut nec in causis efficientibus, ut
probatum est. Ergo necesse est ponere aliquid quod sit per se neces-
sarium, non habens ca11sam necessitatis aliunde, sed. quod est causa
necessitatis aliis: quod omnes dicunt Deum.
Quarta via sumitur ex gradibus qui in rebus inveniuntur. Inveni-
tur enim in rebus aliquid rnagis et minus bonum, et verum, et no-
bile: et sic de aliis huiusmodi. Sed maais et minus dicuntur de di-
versis secundum quod appropinquant diversimode ad aliquid quod
maxime est: sicut magis calidum est, quod magis appropinquat ma-
xime calicto. Est igitur aliquid quod est verissimum, et optimum, et
nobilissimum, et per consequens maxime ens: nam quae sunt ma-
xime vera, sunt maxime entia, ut dicitur .2 Metaphys. [c. 1, lect. 2].

ma l'essere delle cose; e conclude a un attributo, esplicitamente almeno. più


comprensivo di Dio: egli è causa non solo del divenire, ma è fonte suprema di
tntto l'essere delle cose, da In! prodotto e conservato, pur senza eliminare
l'azione delle came srcollcle :rrr. 1, Q. 10.'o. aa. 1 e 2).
• Infatti, se fosse sem)Jre esistito, codesta pe1»istenza nell'essere donde scatu-
rirebbe'! !\on certo dalia natura d<'lle cose, p~rcbè questa dice soltanto possibilità
ti esistere. Dunque la per~lstenza sarebbe rnnza ragion d ·essere; e pe1clò inintelli-
gibile. come tutto ciò cbe non ba ragion d'essere.
• Nel I Cont. Geni., (c. 15) la prova ha un aspetto un po• diverso: conclude
più direttamente, mediante il principio di ragion d'essere, all'ente necessario; per-
~hè "ciò che può non essere, se esiste di f;it.to, deve ayere un.a causa di qne&ta sua
esistenza. Infatti, essendo di per sè indeterminato all'essere e al non essere, Il
reale possesso di quello sarebbe inesplicabile senw una causa determinante•.
Nella Somma Teoiogtca Il proce&so h'\ l'andamento clella prova per absuràum,
più efficacemente atta a mette1·e in evidenza l'attu~le dipenclenza delle cose con-
tingenti dall'essere necessario. Neppure oggi cl sarebbe cosa alcuna nell'universo,
senza l'esistenza dell'Essere Necessario cbe tutto soneg-ge, perC'liè le cose contin-
genti sono tutte come prone sul nulla, non avendo in sé che una pura possibilità
a esiste1·e.
Nè il mescolarvi l'elemento "tempo" nuoce al rigore della prova, poichè Il
tempo è introdotto nell'argomento 'olo per nece~sità logica, dovuta al processo
di riduzione all'impossibile. Nel!' ipotesi che tutto fosse contingente, è cblaro cbe
l'esistenza al.I aeterno del mondo sarehbe un non senso. Le cose contingenti hanno
questo di pr0prlo che rominclan.o a es,ere e sono per virtù di nn altro. E se non
ripugna pemarle esistenti db aetcrno In sè o nella catena delle cause (come so-
stiene S. Tommaso, cfr. I, q. 46, a. 2), è solo percbè possiamo appogg1~rcl a un Ente
Eterno, che non è mal cominciato, perchè non aveva da cominciare. Solo l'esi-
stenza di un:i. causa eterna, agente fuori del tempo, renderebbe pos~ibili le cose
ab aeterno. Altrimenti la ripugnanza sarebbe palmare. un universo tutto di na-
ture contingenti, non dipendent~ da un Ente Necessario, non potrebbe esistere nè
ab aeterno e neppure nel tempo.
86 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3

in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causai


di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al m~
simo, è cagione di ogni calore, come dice il medesimo Aristotele.
Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere,.
della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio. 1
La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che
alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici,
operano per un fine, come apparisce dal fatto che esse operano sem-
pre o quasi sempre allo stesso modo per CQiilseguire la perfezione:
donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiun-
gono il loro fine. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al
fine se non perchè è diretto da un essere conoscitivo e intelligente,
come la freccia dall'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelli-
gente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e-
quest'essere chiamiamo Dio.~
' Questa prova d"origine platonica (cfr. Ftiebo, Fedone, Convt!o) e aristotelica.
(! Meta.p/1ys., c. 1) si ritrova in molti pensatori posteriori (Dionigi, Agostino, An-
selmo, Avicenna, Bossuet). Essa risale a Dio come massimamente perfetto In ogni
genere di perfezione: "id quo maius cogitari non potest », ))€r usare le parole·
di Anselmo. Il punto di partenza fisico, esistenziale, è l'un.ilà e la distin:tone
delle cose nelle fondamentali perfezioni che tutte partecipano. Solo l'uno può
spiegare l'unità, che si trova nei più; solo il perfetlts$!mo può spiegare la per-
fezione variamente dif{usn che sl trova nelle cose. Se si dànno cose più o meno-
Illuminate, è perchè si appressano prn o meno a una medesima sorgente di luce.
S. Tommaso usa l'esempio del ca.iore più o meno partecipato, percilè nelle teorie
fisiche del tempo (che concepivano il calore come essenzialmente costH utiYu del
fuoco, uno dei quattro elementi componenti tutte le cose fisiche), tale esemptv
risultava molto adatto a sorre•nrere la fanta~!a rtel discepolo. Ma è chiaro che la
prova, che è squisil1tmente met11(islra, non poggia sull'esempio, ma sull'essere e
sulle perfezioni fondame11talt dell'essere, intuite dall'intelletto. Il paragone non
calza più, se riteniamo con la fisica moderna che il calore ha, nei diversi corpi,
diverse cause, perchè in tal caso non è possibile fare confronti.
Ma Il calore è solo una qualità connessa con la natura delle realtà fisiche~
mentre è l'ente fisico stesso, come qualsiasi altro ente, che va, in definitiva., spie-
gato e nella sua unità e nella su:1 distinzione. Esso è variamente ricco di unità e di
entità. Percllè? Come è concepiblle ciò? ... L'Unità del!' Ente perfettissimo s' Im-
pone. Questo perfettissimo Ente è causa esemplare di tutte le cooe, le quali son<>
Imitazioni più o meno remote della sua massima nobiltà. Ed è anche causa effi-
ciente della perfezione che è In esse. La. varia misura. secondo cui possiedono que.
sta perfezione manifesta che l'hanno conttngentemente: è dunque causata da.
quell'Uno che la possiede necessariamente (prova precedente, cfr. /, q. 44, a. 1).
Quella perfezione limitata, che possiedono, entra In oompo&izlone con la loro na-
tura. L'unità e distinzione delle cose importa una necessaria composizione. InfatU
la varia misura nel possesso della medP-sima perfezione sarebbe senza ragione
esplicativa, qualora la perfezione fo~se Identificata con la natura delle singole cose
come totale loro costitutivo. Non sarebbe più possibile allora trovare in esse nè la
somiglianza che le unlfiC"l., n~ la distinzione che le moltiplica. Ognuna si lclentifl-
cherebbe con la perfezione, e tntte sarebbero una sola cosa indistinta. Oppure
mantenendo la distinzione Individuale che compete alle singole cose, nell' ipotes~
che avessero la perfezione da sè e non la partecipassero da un'unica Fonte, ne de-
riverebbe che sarebbero totalmente diverse le une dalle altre. Infatti il diverso non
può causare il simile, e, nell'ipotesi, avremmo tante cnuse diverse d<>lln iwrf~zinne
quante sono le nature; e quindi an~he gli effpttt dovrebbero essere totalmente di-
velsi. Sarebbe quindi lmpossihile salvare la somiglianza delle cose nella pa11ecJ-
pazione delle medesime perfezioni, e parlare di più e meno perfetto. "La nwlt.i-
tudine .. osserva S. Tommaso" non può dnr ragione dell'unità. Poichè ctnnqne l'es-
sere (e ogni altra perfezione semplice, che non è che proprietà Immediata rtell"es-
sere) si trova come elemento comune in tutte le cose, le quali secondo la loro na-
tura sono distinte, bisogna dire necessariamente che non da se stesse l'hanno, 111a
deriva loro da una qualche causa. E questa sembra sia stata la ragione di Pla-
tone, quando voleva che prima di ogni moltitudine vi fosse una qualche unità.
non solo nel numeri, ma anche nelle nature delle rose .. (De Pot., q. 3, a. 5).
Questa prova, lasciata qui dall'Aquinate n~lla sua più ampia universalità come
ESISTENZA DI DIO 87
Quod autem dicitur maxime tale in aliquo genere, est causa omnium
quae sunt illius generis: sicut ignis, qui est maxime calidus, est
cansa omnium calidorurn, ut in eodem libro dicitur [Ibid.]. Ergo est
aliquid quod omnibus entibus est causa esse, et bonitatis, et cuiusli-
bet perfectionis: et hoc dicimus Deum.
Quinta via sumitur ex t:\"llbernatione rerum. Videmus enim quod
aliqua quae cognitione careni, scilicet corpora naturalia, operantur
propter finem: quod apparet ex hoc quod semper aut frequentius eo-
dem modo operantnr, ut consequantur id quod est optimum; unde
patet quod non a casu, sed ex intentione perveniunt ad finem. Ea
autem t1uae non habent cognitionem, non tendnnt in finem nisi di-
recta ab a!iquo cognoscente et intelligente, sicut sagitta a sagittante.
Ergo est aliquid intcìligens, a quo omnes res naturales ordinantur
ad fìnem: et hoc riicimus Deurri.
tutte le altre, &I presta a molte applicazioni speciali che S. Tommaso stesso fa
altrove. Cosi dalla Intellettualità variamente partecipata nella nostra Intelligenza,
arguisce l'esistenza di una Intelligenza suprema, pura intellettualità, da cui
tutte le intelligenze partecipano la virtù intellettiva \cfr. I, q. 79, a. 4). Dalla
verità variamente parteCifXlta nelle nostre intelligenze ne conclude l'esistenza
della Verita Eterna fonte di tutte le verità (ivi, e 1 Coni. Gent., c. 84). Dalla vita
della volontà, clrn è attratta dal bene variamente sparso negli oggetti del suo d~
slderlo, conclude la necessaria esistenza del Bene Infinito; presente, implicita-
mente alrneno, in tutti I desidel'ii, tìne ultimo della creatura razionale e oggettD
della sua felicità (1-11, q. 1; q. 2, a. 8). Pure equivalente a una prova dell'esi-
stenza di Dio, come caso speciale di questa quarta via, è anche Il ricollegare
che fa S. Tommaso la legge morale, scritta nel cuore dell'uomo, alla Legge Eterna,
che è la lllente divina in quanto ordina al loro fine le creature razlcmali (cfr.
I-II, q. 91, a. 1 ; q. 93, aa. 1-3; q. 94, a. 4). Per queste varie applicazioni vedi DAF-
~"ARA M., Dio, pp. 195-213.
• A questa prova furono fatti da 1,;ant e da G. Gentile i più grandi elogi. "Essa
merita d'esser sempre menzionata con rispetto. Essa è la più antlc.1, la più chiara,
la più adatta alla comune ragione umana. Essa ravviva lo studio della natura.
come clrt P~~n PIJ[I 1nfldt?sim::t llR l:t ~11<t esi~tr-nza e ne riceve sempre nuova forz.1 ••
(Crtltca della Ragion pura, 2, trad. cit., p. 488). "In questa prova veramente si con-
centrano, riassumono e potenLiano, tutte le dimostrazioni antecedenti; poichè Il
fine era 1·interpretazione più profonda òella causa del movimento ... ; e poichè
non è possihilfl inten<ln<3 altrimenti la causalità finale che come attività cl0!'n
spirito" (/ Pl'OblcmL della. Scolastica, p. 82. Bari, 1923). Non per questo I due filosofi
ne ammettono il valore, ma si acloperano a demo.lirla. li primo le concede sol·
tanto la modest,1 c:1 radtà di pro<l u rre " una fede sufficiente alla pace'" ma nnn
d'imporre una sottomissione Incondizionata nè di generare "una certezza apodit-
tica" (ivi, p. 481). Infatti - oss~rva Kant - questa prova non può concludere a una
Prima Causa Ordinatrice intelligente e libera, se non tn forza a~a·unalogla "di
alcuni prodotti naturali con quelli che produce l'arte umana (case, orologi,
navi.. .. )'" Ora questa base dell'analogia non cl autorizza con tutta certezza a far
derivare I' intern"- pMsihilità della natnra da un'altra n1·te, sia pure sovran:i;
perchè li principio dell'analogia lo possiamo appllcare «In ciò su cui domina la
nostra osservazione con certezza; ma più in là .... con verisimiglianza"· SI può
concludere dall'artefatto all'artefice intelligente con certezza nel campo dcl-
l'esperiPnza " dell"osservazione. ma non più in là: l'arte e la ragione stessa aet-
l'arte(ìce wpponyo110 la 11af11ra. non potrPmmo giustificarci se antecedentemente
alla natura affermiamo che ci sia anche ragione e arte (ivi, p. 482). L'obiezione era
già dei ~ensista Hume, dalle cui critiche Kant era stato malto Impressionato.
E J{ant rimase empiri&ta, e perci,) logicamente può negare il valore di que;,ta e
(IPlln altre prove. Cosi l' tàealismo moderno non sarà eh~ la tmduzione in tenninl
spritnallstici del riiù radicale sensismo. Ma contro Kant basterà osservare che
non su nna wmpllce analog-ia tra gli organismi naturali e gli artefatti, intesa
come lui la intende, si liasa la quinta via, ma sul concetto o!Jtettivo di ordine,
come effetto prop1io ed esctusiVo tlcll' intclltyl'nza, e assolutamente mai del caso
Bisognerebhe cambiare il concetto di ordine per poter affermare che esi&te o può
esistere un qualsiasi ordine (e in n:itura ve n'è tanto), in una q_ualsiasi sfera della
realtà, senza c·1p •ia caus:it-0 tla una intelli.o-Pnza. La pretesa che qut'sto pT"ineipio:
•le cose non dotate d'intelligenza non tendono a un fine se non sono dirette da
88 LA S0'.\11\IA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino: ((Dio, es-


sendo sommamente hnono, non permetterebbe in nessun modo che
nelle sue opere d fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto
buono, da saper trarre il hene anche dal male». Sicch€ appartiene
all'infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne
dei beni.'
::!. Certo, la natura ha le sue operazioni, ma siccome le compie per
nn fine determinato sotto la direzione di un agente superiore, è ne-
cessario che siano attribuite anche a Dio, come a loro prima causa.

uno che ha I' intelllgenza '" valg'a solo net campo dell'esp~rienza, è contraria al-
l'pvìdenza che la ragione invincihilnwnte pe1cepiscu; per·cllè il principio è •rna-
lltico In semo tomista, cioè il predic'lto - esser a;1·ctto aa uno che ha I' intelll-
gema - appartiene all:i nozione de: soggetto - tcrale1·e al fine senza conoscere ti
fine -. L'ol'dine, l'armonia, la proporziane a un fine, 11 quale fine è il meglio che
te cose •empre o quasi sempre pwdu~ono, implica. come so.la causa po5slhile,
nn' Intelligenza direttrlc~. come 0'-(1\i effztto implica una causa proporzionata.
Non c'è bisogno di a~s;stere i'll'or·iginc' d1 alcun universo, come vorrellbe Hurne
e dopo di lui altri filosofi recenti. per sapere con tutta certezza che l'ordine, esf-
stente per necessità In qualunque universo possibile o In una qualsiasi parte di
esso, dev'essere presente. prima che esista nelle cose, in una Intelligenza; come
non abbiamo bisogno di assistere al nascer di una cosa per sapere con tutta cer-
tezza che al suo nascere presiede una causn proporzionata.
G. Gentile invece per d"molire la quinta via, dopo l'elogio suddetto in cui rico-
nosce che "non si pnò intendere la C'l.llsalltà finale altrimenti che come attività
dello ~pirito "• si attacca al paragone usato da S. Tommaso per illustrare il suo
concetto: «cosi la freccia non tende al bers~Iio se non è indirizzata dall'ar-
ciere», e osserva, lnver-o con poca acutezza: •Qui Dio è al mondo quel che l'ar-
ciere alla saetta indirizzata al segno. Prima elle !'arciere la scoccl\i 'a saetta è:
e con la sola potenza., non attuata, d'essere scoccata: già [è] qualche cosa di at-
tuale, reale e determinato. E l'a.rciere è anch"egll prima di saettare. Ciascuno è
sè, e soltanto sè; Il loro mutuo rapporto non è essenziale a nessuno di essi. Di
qui l'arisso che cticevo tra Dio e il mondo" (op. cit., p. 82). La leggerezza di questa
obiezione è Incredibile. Il paragone, ci vuol poco a capirlo, tiene solo per il
punto preciso per cui è assunto: il moto ordinato della saetta vei'so II bersaglio
non può concepirsi senza l'azione conoscitiva <lell'arciere; e similmente il moto
ordinato degli essert naturaU, e più In generale l'ordine cosmico, non può conce-
pirst senza l'azione intelligente di Dio. Che poi 11 mondo esista prima di essere
ordinato al fine con la sola potenza non attuata d'essere ordinato, come esiste la
saetta prima d'essere scoccata.... tutto questo S. Tommaso non dice e non sogna
neppure di prooupporto. Codesto scambiare g-rossolanamente le analogie con le
univocità, le somiglianze con le identità, è un filosofare con la fantasia In modo
infantile. Il mondo non è qualcl1e cosa di attuale, N'ale, determinato, prima di
essere ordinato e tendere al fine; la causalità In atto delle quattro cause nel sin-
goli esseri della natura è simultanea. La materia non é senza la forma specifica,
nè la forma specifica senza l 'aztone della causa efficiente che la educe e la con-
sena, nè senza l'ordine essenziale al fine no.turale, che ha determinato la causa
emciente ad agire. Le cause !'eali delle cose reali sono coesistenti.
La priorità di queste cause, di una rispetto all'altra, non e necessariamente
nna priorità di tempo (esistenziale); ma una priorità puramente di concetto, di-
pendente cioè dal punto di vista che la ragione adotta per considerare il reale
nella sua complessità; nna p1·iorità mutevole secondo che si muta questo punto
di vista. Ma da qualunque aspetto del reale la mente parta, necessariamente, se
vuole andare in fondo alla intelligihilità delle cose e filosofare, è forzata a salire
a quel Prtm.um che tutti chiamano Dio. Le cinque vte, come si è detto (cfr. lntrod.,
nn. 18·20) prendono le mosse ognuna da uno di questi aspetti essenziali della realtà
e conducono a Dio come a fonte prima e necessaria della perfezione considcrftta.
Sono come cinque .Ilnee mdiali che vanno dalla Circonferenza verso l'interno
della sfera: esse necessariamente portano al centro che è il punto d'interseca-
zione di tutti 1 raggi, Il punto che segna Il termine di infiniti rapporti spaziali
con la superficie, e che perciò rende intelligibile la sfera.
In questa quinta prova S. Tomuiaso si è chiestio quale è il presupposto neces-
sario, affinchè l'ordine rifulgente nel cosmo sia possibile e Intelligibile; e il pre-
supposto è - come ha dimostrato - che il cosmo sia sotto L'attuale in{l.usso dt unu
tnteiitgenza ordinatrice, come Il presupposto dell'attuale tendere della saetta al
ESISTENZA DI DIO 89
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut dicit Augustinus in Enchi-
t'idio [c. 11): "Deus, cum sit summe bonus, nullo Ill(Jdo sineret ali-
quid mali esse in operibus suis, nisi e~set adeo omnipotens et bonus,
ut bene faceret etiam de malo "· Hoc ergo ad infinitam Dei bonita-
tem pertinet, ut esse permittat mala, et ex eis eliciat bona.
An SECVNDUM OICENIJUM quod, cum natura propter determinatum
finem operetur ex directione alicuius superioris agentis, necesse est
ea quae a natura fiunt, etiam in Deum reducere, sicut in primam

segno è l'azione ordinatrice dell'arciere. Non si è chiesto nella presente que-


stione donde deriva l'essere dcl montlo, se I' l1a da se medesimo, se preesista a Dio
o meno (questione che sarà fatta da S. Tommaso, più avanti, quando sarà venuta
l'opportunità. logica di chiedersi «se è necess:irio che ogni ente sia creato da Dio•
(1, q. 44, a. 1), ma si è domn ndato: donde l'essere ordtnato del mondo, l'armonia
delle sue parti, il suo onlinato trnaere a fini determinati? E risponde: dal!' in-
telligenza del Primo Motore, che è anche Prima Causa, Ente Necessario, Perfet-
tissimo, come hanno dimostrato le altre vie, le quali Insieme a11·u1tima sono In
fondo. come si è detto, una sola prova. Quando sarà giunto il momento di do-
mandarsi donde tutto l'essere delle cose, gli sarà facilissimo rispondere che la
causalità di Dio è creatrice; e allora la dimostrazione di Dio, che si protende in
realtà per tutto il trattato presente, sarà completa. (Per le altre difficoltà alle
prove dell 'es!stenza di Dio vedi DAFFARA, Dio, cc. 16, 17).
i A questa obiezione del male, che tanto ci tocca, S. Tommaso accenna In più
luoghi. (Per limitarci a quelli della S. Teo!., vedi I, q. 22, a. 2, ad 2; q. 23, a. 5,
ad 3; q. 48, a. 2, ad 3; q. 49, aa. 1, 2). La trattazione più ampia. sarà fatta nel
commento alla q, 49 dove espressamente S. Tommaso si domanda •se Il bene
p11ò essere causa del male"• o "se il Sornmo Bene, elle è Dio, può essere causa
del male"· Ci basti ora notare la sostanza della risposta: Il male, che è priva-
zione di una perfezione cl1e una corn dovrebbe a.vere, non si può trovare se non
nd bene, come un accidente del bene ste'So. Il male non può corrompere tutto il
bene in cui si trova, altrimenti distrnggerellbe se stesso, r-0me la ruggine non
può consumare tutto il metallo, altl'i menti svanirebbe essa stessa. Il male, ap-
punto perchè privazione, o>sin non en!e, non può essere oggetto dlretlo di un atto
di volontà., ma solo indiretto, a causa del bene in cui si trova o che occasiona,
o di cui è condizione. Il male poi o è semplict>mente fisico (male di natura) o è
male di colpa o di pena (male morale o conseguenza del male morale). Il male
fisico degli esseri non razionali è voluto da Dio Indirettamente, in quanto vuole
;:he nell'universo ci sia una i•ir,ca mollepli<'.ità :11 esseri (quindi, p. es., carnivori
d1e divo1·ano gli erbivori) e la gioia della paternita e maternità, per cui il mondo
animale si rinnova continuamente (conseguentemente ci dev'essere la morte).
Il male fisico nelle creature razionali non è soltanto male di natura ma è male
•li pen1t, perchè è conseguenza del peccato !li origine. Anch'esso è voluto da Dio
solo Indirettamente, In quanto questi vuole ristrrbilito l'ordine morale Infranto
,:alla colpa, e dimostra cosi la surr santita. nesta il male di colpa, il male mo-
1·ale, la cui esistenza è un fatto doloroso e umiliante. Esso non è voluto da Dio
11eppurn indirettamente, ma è solo permesso, vale a dire è in rapporto con la sua
rnlontà solo percl1è Egli non lo impedisce, pur potendolo impedire. La causa
propria del male morale è unicamente la volontà libera e deficiente della crea-
tura. E Dio non lo impedisce per lasciare alla libertà creata il suo rischio e il suo
merito, e perché sia oceasione delle affermazioni eroiche dello spirito, che si hanno
;tppunto di fronte all'ingiustizia ll alla tir·annia. L'eroismo della virtù è Il su-
premo bene umano.
E cosi chiarito come la risposta di S. Tommaso è universalmente vera: • ap-
partiene alla infinita bomà di Dio permettere che vi siano dei mali per trarne dei
beni"· - La Rivelazione divina, con il mistero della Incarnazione e della Reden·
zione, farà brillare di luce sovrumana questo principio.
Per quel che riguarda la forma dell'oblezlone: all<t premessa, •se di due con-
trari, uno è infinito, l'altro resta totalmente distrutto "· il Gaetano osserva che
ciò è universalmente vero quando si tratta della cnusalità formale (Intrinseca e
costitutiva) nello stesso soggetto; e da ciò segue che in Dio non vi può essere as-
solutamente nessun male. La sua infinita bontà lo esclude totalmente. Se invece
si tratta della causalità efficiente, allora è vero soltanto nel caso che l'infinito
d! perfezione - Dio - si comunichi secondo la sua essenza infinita; ma non è più
necessarlam~nte vero se esso si comu11ica In modo limitato, come soltanto sono
"apad di parteciparlo le creature. (Cfr. Comm. tn h. a.; DAFFARA, op. clt., c. 20).
90 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 2, a. 3

Similmente gli atti del libero arbitrio devono essere ricondotti ad


una causa più alta della ragione e della volontà umana, ver.::hè
queste sono mutevoli e defettibili, e tutto ciò che è mutevole e tutto
ciò che pul> venir meno, deve essere ricondotto a una causa prima
immutabile e di per sè necessaria, come si è dimostrato. 1

1 Questa risposta conferma qu:mto fu già notato (ve.ti p. 81, nota 4) che ll punto
di partenza di S. Tommaso per le prove dell'esistenza di Dio non è solo Il moto
fisico, ma Il moto In senso unlversallsslmo. Il Primo Motore, a cui risale, non è
soltanto Il primo motore del moto fisico, ma il primo motore della intelligenza
e della volontà, Il Dio della lntelllgema e della volontà, il Dio del nostro spirito,
•In quo vlvlmus, movemur et sumus" (Atlt, 17, ~8).
:B Ingiusto quindi protestare • che questo Dio della ragione è troppo remoto
dal cuore" (RUYSSEN, •Le Dleu lolntaln et le D!eu proche '" In nev. de IIUtaph.
et de Morale. 1930, p. 352), o che •ancora non si è distaccato abbastanza dal mondo
(mate1·hle) rtel quale viene definito come motortl primo, per quanto Immobile,
col rischio di essere preso come principio di un sistema meramente cosmologico•,
e •che manca (in queste prove) la mediazione dello spirito umano" (CARLINI A..
•Idealismo e Spiritualismo•, In Rtv. dt Ftl. Neoscoiasttcd, 1933, pp. 144·145). Le
cinque vie, che sono una sola prova convergente, cl mostrano che Dio è In con-
ESISTENZA DI DIO

causam. Similiter etiam quae ex proposito fiunt, oportet reducere in


aliquam altiorem causam, quae non sit ratio- et voluntas humana:
quia haec mutabili a sunt et defectibilia; oportet autem omnia mo-
bilia et deficere possihilia reduci in aliquod prirnum principium im-
mobile et per se necessarium, sicut ostensum est [in corp.].

tatto Intimo con tutti gli esseri e con tutto l'essere e In modo speciale con lo
spirito umano che più partecipa dflla perfezione dell'essere. Citiamo da un'oprra
mosotlca di s. Tomma~o tJueste parole, che condensano tale dottrina e mostrano
come anche il nostro spirito vive in Dio. «Come l'essere di Dio comprende nella
sua virtù tutto ciò che in qualunque forma o modo esiste, pokhè tutto ciò che i·.
è per partecipazione del suo essere, cosi anche la sua Intelligenza, e quanto al
suo atto e quanto aJ suo oggetto, comµI'cnde ogni conoscenza e ogni conoscibile,
e cosi pure Il suo volere e l'oggetto del suo volere comprendono ogni appetito e
1>gni avpetibile; di modo che ogni conoseibile, nella misura che è conoscibile,
cade sotto la sua conoscenza e og11i appetibile o bene. nella misura che è bene,
cade sotto la sua volontà; come tutto cié. che '' ente c~de sotto la sua virtù at·
tiva" (I Perlherm., c. 9, lect. t4, n. 16). Per fare a meno del suo lntlu5so e del suo
~overno - dice altrove - bisognerebbe tr0\·a1·si nella condizione di non dover ri-
cevere l'essere da lui (8 Cont. Geni., c. 1).
QUESTIONE 3
La semplicità di Dio.

Conosciuta l'esistenza di una cosa, resta da ricercare il suo modo


di essere, per giungere a conoscerne la natura. Ma siccome di Dio
non possiamo sapere che cosa è. ma piuttosto che cosa non è, non
possiamo indagare come egli sia, ma piuttosto come non sia. E quindi
necessario considerare per prima cosa i suoi modi di non essere;
secondo, come noi lo conosciamo ; terzo, come lo denominiamo.
Si può dimostrare come Dio non è, scartando le cose che a lui.
non convengono, come sarebbe la composizione, il movimento e
simili. Studieremo dunque: I - la sua semplicità, per la quale viene
esclusa da lui ogni composizione. E siccome negli esseri corporali
le cose semplici sono le meno perfette e parti incomplete, indaghe-
remo: II - la sua perfezione; parleremo: III - della sua infinità;
IV - della sua immutabilità; V - della sua unità.
Circa la divina semplicità ci poniamo otto quesiti: 1. Se Dio sia
corpo; 2. Se in Dio vi sia composizione di materia e di forma; 3. Se
vi sia composizione di quiddità, cioè di essenza o natura, e di sog-
getto; 4. Se vi sia composizione di essenza e di esistenza; 5. Se vi
sia composizione di genere e di differenza; 6. Se vi sia composizione
<li sostanza e di accidenti; 7. Se sia in qualsiasi altro modo com-
posto, oppure totalmente semplice; 8. Se entri in composizione con
gli altri esseri.

ARTICOLO t
Se Dio sia corpo.

SEMBRA che Dio sia corpo. Infatti:


1. Corpo è ciò che ha le tre dimensioni. Ora la sacra Scrittura
attribuisce a Dio le tre dimensioni; vi si dice infatti: "Egli è più
eccelso del cielo - tu che puoi fare? è più profondo degl' inferi -
tu come puoi conoscere? più esteso della terra, e per misura più
largo è del mare I"· Dunque Dio è corpo.
2. Tutto ciò che ha una figura è corpo, essendo la figura una
qualità riguardante la quantità. Ora, pare che Dio abbia una figura,
essendo scritto: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglian·
za,, ; ma la figura è chiamata anche immagine, secondo il detto
di S. Paolo: "essendo [il Cristo] il riflesso della gloria di Dio e
figura, cioè immagine, della sua sostanza». Dunque Dio è corpo.
3. Tutto ciò che ha parti è corpo. Ora, la Scrittura attribuisce
a Dio delle parti corporali ; infatti vi si dice: " se hai un braccio
QUAESTIO 3
De Dei simplicitate
tn octo arttculos dtvwi.

CoGNITO de aliquo an sit, inquirendum 1·cstat quomodo sit, ut scia-


tur dc eo quid sit. Sed quia de Deo scire non possumus quid sit, sed
quid non sit, non possurnus considerare de Deo quomodo sit, sed p-0-
tius quomodo non sit. Primo ergo considerandum est quomodo non
sit; secundo, quomodo a nobis cognoscatur (q. 12); tertio, quomodo
nominetur [ q. 13).
Potest autem ostendi de Deo quomodo non sit, removendo ab eo ea
quae ei non conveniunt, utpote compositionem, motum, et alia huius.
modi. Primo ergo inquiratur de simplicitate ipsius, per quam remo-
vetur ab eo compositio. Et quia simplicia in rebus corporalibus sunt
imperfecta et partes, secundo inquiretur de perfectione ipsius ( q. 4) ,
tertio, de infinita te eius [ q. 7] ; quarto, de immutabili tate [ q. 9) ;
quinto, dc unitate (q. 111.
Circa primum quaeruntur octo.
Primo: utrum Deus sit corpus. Secundo: utrum sit in eo compo-
sitio formae et materiae. Teriio: utrum sit in eo compositio quiddi-
tatis, si ve essentiae, ve! naturae, et subiecti. Quarto: utrum sit in eo
compositio quae est ex essentia et esse. Quinto: utrum sit in eo com~
positio generis et diffcrentiae. Sexto: utrum sit in eo compositi o sub-
iecti et accidentis. Septimo: utrum sit quocumque modo composi-
tus, vel totaliter simplex. Octavo: utrum veniat in compositionem
cum aliis.

ARTICULUS 1
Utrum Deus sit corpus.
t Cont. Gent., c. 20; !, c. 3; Compend. Theol., c. 16.
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus sit corpus. Corpus
enim est quod habet trinam dimensionem. Sed sacra Scriptura attri-
huit Deo trinam dimensionem: dicitur enim lob 11, S s.: "excelsior
caelo est, et quid facies? profundior inferno, et nnde cognosces?
longior terra mensura eius, et latior mari'" Ergo De11s est corpus.
2. PRAETEREA, omne fìguratum est corpus, cum figura sit qualitas
circa quantitatem. Sed Deus videtur esse fìguratus, cum scriptum sit
Gen. 1, 26: « Faciamus hominem ad imaginem et sim!litudinem no-
stram,.: figura enim imago dic'itur, secundum illud Hebr. 1, 8:
"cum sit splendor gloriae, et figura substantiae eius '" idest imago.
Ergo Deus est corpus.
3. PRAETEREA, omn e quod habet pari es corporeas, est corpus. Sed
Scriptura attribuit Deo partes corporeas: dicitur enim lob 40, 4: «si
habes brachium ut. Deus,. ; et in Psalmo · (33, 16] : " oculi Domini su-
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 1

come quello di Dio»; e nei Salmi: u Gli occhi del Signore [sono
rivolti] ai giusti»; e ancora: «La destra del Signore ha fatto pro-
dezze». Dunque Dio è corpo.
4. La positura non compete che al corpo. Ora, nelle sacre Scrit-
ture si affermano di Dio varie positure: p. es., in Isaia si dice:
"Vidi il Signore seduto >>, e sempre in Isaia: «il Signore sta in
piedi per giudicare'" Dunque Dio è corpo.
5. Niente, tranne il corpo o l'essere corporeo, può essere punto
spaziale di partenza o d'arrivo. Ora, nelle sacre Scritture Dio è con-
siderato come termine spaziale d'arrivo, srrondo l'espressione del
Salmo: <<Accostatevi a lui e sarete illuminati 11 ; e come punto di
.partenza, secondo il detto di Geremia: "Coloro che si rilirano da te
saranno l'Critti sulla terra n. Dunque Dio è corpo.
IN CONTRARIO: In S. Giovanni è detto: «Dio è spirito»,
RISPONDO: Si deve negare assolutamente che Dio sia corpo. Il che
si può provare con tre ragioni. 1 Pl'imo, nessun corpo muove se non
è mosso, come appare esaminando caso per caso. Ora, sopra si è
dimostrato che Dio è il primo motore immobile. Dunque è chiaro
che Dio non è corpo.
Secondo, è necessario che il primo Ente sia in atto e in nessun
modo in potenza. Sebbene infatti in un identico e determinato essere
che passa dalla potenza all'atto, la potenza possa essere prima
dell'atto in ordine di tempo, pure, assolutamente parlando, l'atto
è prima della potenza, perché ciò che è in potenza non passa all'atto
se non per mezzo di un essere già in atto. Ora, abbiamo già dimo-
strato che Dio è il primo Ente. E dunque impossibile che in Dio ci
sia qualche cosa di potenziale. Ma ogni corpo è in potenza, [se non
altro] perchè il continuo, in quanto tale, è sempre divisibile. Dunque
è impossibile che Dio sia corpo.
Terzo, Dio è il più nobile fra tutti quanti gli esseri come è chiaro
da quello che si è detto. Ora, è impossibile che un corpo sia il più
nobile degli esseri. Difatti ogni corpo o è vivo o non è vivo. Il corpo
vivo manifestamente è più nobile del non vivo. D'altra parte il corpo
vivo non vive in quanto corpo, altrimenti ogni corpo sarebbe vivo:
è quindi necessario che viva in forza di qualche altra cosa, come il
nostro corpo che vive in forza dell'anima. Ora, ciò per cui il corpo
vive, è più nobile del corpo. Dunque è impossibile che Dio sia corpo.•
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già detto, la sacra
Scrittura ci presenta le cose spirituali e divine sotto immagini cor-
poree. Perciò quando attribuisce a Dio le tre dimensioni, indica
sotto fìiri1ra di estensione corporea l'estensione della sua potenza;
e cioè con la profondi! à il suo potere rti conoscere le cose più occulte,
con l'altezza la sua superiorità su tutto, con la lunghezza la durata
della sua esistenza, con ia larghezza l'effl1sione del suo amore su
tutti gli esseri. Oppure, oome dice Dionigi «per profondità di Dio, si
intende l'incomprensibilità della sua essenza; per lunghezza, l'esten-
i S. Tommaso si limita al poclli spnnti già acqui5iti nella questione precedente.
1 Queste ragioni evidentissime nl<istrano che è ài~trugger~ radiu1Imente D~o
ritenere che sia un ess•,re corporeo, come fanno i materi;ilisti, i panteisti (p. es.,
Spinoza, Haerkel, e qun111i d1rono (]le Dio è la natura). In realtà cosi uro sono atei.
('he Dio av<'s~ un corpo ~lmile a quello umano lo ritenE>vano semplicisticamente
anche 1 cosi detti • an1ro1>omorfistl • nel IV secolo, e I Manichei, che nn po' più
sottilmente identificavano Dio con la luce materiale. Pare che In Affrlca ci fosse
LA SEMPLJCITA DI DIO 95

per iustos » et « dextera Domini fecit virtutem n [Ps. 117, 16). Ergo
Deus est corpus.
4. PRAETEREA, situs non convenit nisi corpori. Sed ea quae ad situm
pertinent, in Scriptnris dicuntur de Deo: dicitur enim Isa.iae f:, I:
«vidi Dominum sedentem »; et lsaiae 3, 13: «·stat ad iudicandum
Dominus "· El'go Deus est corpus.
5. PHAETEREA, nihil potest esse terminus localis a quo vel ad quem,
nisi sit corpus vel aliquod col'poreum. Sed Deus in Scriptura dicitur
esse terminus localis ut ad quem, secundum illud Psalmi [33, 6):
"accedite ad eum, et illuminamini,,; et ut a quo, secnndum illud
Hierem. 17, 13: "recedentes a te in terra scribentur ». Ergo Deus est
corpus.
SED coNmA EST quod dicitur Ioan. 4, 24: "Spiritus est Deus ».
RESPONDEO DlCENDUM ab~olute Deum non esse corpus. Quod tripli-
citer ostendi potest. Primo quidem, quia nullum corpus movet non
motum: ut patet inducendo per singula. Ostensum est autem supra
[q. 2, a. 3] quod Deus est primum movens immobile. Unde manife-
stum est quod Dens non est corpus.
Secundo, quia necesse est id quod est primum ens, esse in actu,
et nullo modo in potentia. Licet enim in uno et eodern quod exit de
potentia in actum, prius sit potentia quam actus tempore, sirnplici·
ter tamen actus prior est potentia: quia quod est in potentia, non
reducitur in actnm nisi per ens actu. Ostensum est autem supra libid.j
quod De11s est primum ens. Impossibile est igitur quod in Deo sit
aliquid in potentia. Omne autem corpus est in potentia: quia con-
tinuum, inq11antum huiusmodi, divisibile est in infinitum. Impossi-
bile est igit ur Deum esse corpus.
Tertio, quia Deus est id quod est nobilissiimum in entibus, ut ex di-
ctis patet lìbi<L). fmpossibile est autem aliquod corpus esse nobilis-
simum in entibns. Quia corpus aut est vivum, aut non vivum. Cor-
pus autern vivum, manifestnm est quod est nobilius corpore non vivo.
Corpus autcrn vivum non vivit inquantmn corpus, quia sic omne cor-
pus viveret: oportet igitm quod vivat per aliqnid aliud, sicut corpus
nostrum vi'lit per anirnam. Illnd antem per quod vivit corpus, est no-
bilius quam corpus. l mpossihile est igitur Deum esse corpus.
AD PR!MlJM ERCO OICENDUM quod, sicnt supra dictum est [ q. 1, a. 9],
sacra Srriptura tradit nobis spiritualia et divina sub similitudinibus
corporalium. Unde, curn trinarn dimensionem Deo attribuit, sub si-
milit11dine quantitatis corporeae, quantitatem virtualem ipsius de-
signat: utpote per profunditatem, virtutem ad cognoscendum OC·
culta; per altitndinem, exeellentiarn virtutis s11per omnia; per Ion-
gitudinem, durationem sui esse; per latitudinem, affectum dilectionis
ad omnia. -- Ve!, ut dicit Dionysius, 9 cap. De Div. Nom. [lect. 2], per
profunditatem Dei intelligitur incomprehensibilitas ipsius essentiae;
per longitudinem, processus virtutis eius, omnia penetrantis; per
speci~le difficoltà a rarsl l'idea dello spirito, se Tertulliano, In tanta luce di
cristìanesi1110, sosteneva che anche ,, Dlo è corpo"• poichè "d'incorporeo non e• è
che Il mllla" (De Carne Chrtstt, c. 11). Ma Agostino lo scusa, affermando che per
Tertulliano corvo vuol dire sostr..nza rwi~ e consistente (De Haer., c. 86). Di co-
storo s. Tommaso dice elle ragionavano con 11! fantasia: "nel considerare le cose
divine, si lasciavano condurre ànll' immag-inazlone con la quale soltanto ciò che
ha immagine corporea può cogl!ers!. E perciò nel meditare le oose divine bisogna
abbandonare l" immaginazione" (I Cont. Gent.. 20).
96 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 1-2

sione della sua potenza che penetra in tutte le cose; per larghezza,
la sua espansione verso tutti gli enti, nel senso cioè che tutti gli
eSberi sono contenuti sotto la sua protezione».
2. Si dice che l'uomo è ad immagine di Dio, non già secondo il
corpo, ma secondo quello per cui l'uomo sorpassa gli altri animali.
Per questo, alle parole: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e so-
miglianza n, seguono le altre: 11 Affinchè egli domini sui pesci dei
mare, ecc. n. Ora, l'uomo sorpassa tutti gli altri animali con la ra-
gione e l'intelligenza. Quindi l'uomo è ad immagine di Dio secondo
l'intelletto e la ragione che sono cose incorporee.
3. Si attribuiscono· a Dio nella sacra Scrittura organi corporei a
motivo delle loro operazioni che si prestano a certe analogie. L'atto
dell'occhio, p. es., consiste nel vedere: quindi l'occhio attribuito a
Dio indica la sua potenza a vedere in maniera intelligibile, non già
sensibile. E lo stesso è per altri organi.
4. Anche le positure non si attribuiscono a Dio se non per una
certa analogia: cosi, si dice seduto per significare la sua immobi-
lità e la sua autorità; si dice che sta in piedi, per indicare la sua
forza nel debellare tutto ciò che gli si oppone.
5. A Dio non ci si avvicina con i passi corporali, essendo egli do-
vunque; ma con l'affetto dell'animo, ed allo stesso modo ci si allon-
tana da lui. E cosl, avvicinamento e allontanamento sotto }a meta-
fora del moto locale designano l'affetto spirituale,

ARTICOLO 2
Se in Dio vi sia composizione di materia e di forma.

SEMBRA che in Dio vi sia composizione di forma e materia. Infatti:


1. Tutto ciò che ha un'anima è composto di materia e di forma,
perchè l'anima è forma del corpo. Ora, la Scrittura attribuisct!
l'anima a Dio, quando in persona di Dio dice: u Il giusto mio vivrà
per la fede; ma se indietreggia, non ha gradimento in lui l'anima
mia». Dunque Dio è composto di materia e di forma.
2. La collera, la gioia, ecc., sono passioni del composto, 1 come in-
segna Aristotele. Ora, tali passioni sono attribuite a Dio nella Scrit-
tura, infatti è detto nei Salmi: «S'accese d'ira il Signore contro iJ
suo popolo». Dunque Dio è composto di materia e di forma..
3. Principio d'individuazione è la materia. Ma Dio pare che sia in-
dividuo: Dio infatti [come ogni esser1i individuale] non si può pre-
dicare di più soggetti. Dunque è composto di materia e di forma. 2
IN CONTRARIO: Ogni composto di materia e forma è corpo, perchè
la quantità spaziale è il primo attributo inerente alla materia. Ora,

1 Cioè sono manllestaztoni dell'essere composto di materia e forma, ossia del-


l'animale e dell'uomo. La passione infatti è sempre unita ad alterazioni fisiolo-
giche.
2 Per intendere !"obiezione. La specie, che è un concetto universale (p. es.,
uomo). viene attribuita a più soggetti (p. es., Pietro è uomo, Paolo è uomo,
Gianni è uomo .... ), mentre l'Individuo (p. es., Pietro) non si attribuisce che a un
solo soggetto. Pietro è Pietro, e non è Paolo o Gianni. ... Ora l'individuo si 111-
stingue dall'universale per la sua materia concreta che rende incomunicabile ad
LA SEMPLICITA DI DIO

Iatitudinem vero, superextensio eius ad omnia, inquantum scilicet


sub eius protectione omnia continentur.
AD SECUNDUM DICENDUM quod homo dicitur esse ad imaginem Dei.
non secundum corpus, sed secundum id quo homo excellit alia ani-
malia: unde, Gen. 1, 26, postquam dictum est: " Faciamus hominem
ad imaginem et similitudinem nostram », subditur: "ut praesit pi-
scibus maris », etc. Excellit autem homo omnia animalia quantum
ad rationem et intellectum. Undt> secundum intelìectum et rationem.
quae sunt incorporea, homo est ad imaginem Dei.
AD TERTIUM DICENDUM quod partes corporeae attl'ibuuntur Deo in
Scriptmis ratione suorum actuum, sec11ndum quandam sirnilitudi-
nem. Sicut actus oculi est vidr:re: unde ocnlus de Deo dictus, significat.
virtutem eius ad videndum modo intelligihili, non sensibili. Et simile-
est de aliis partibus.
AD QUARTUJ\f nrcENDl'M quod etiam ea qnae ad situm pertinent, non
attribuuntur Deo nisi secnndum quandam similitudinem: sicut di-
citur sedeus, propter suam immobilitatem et auctoritatem; et stans,.
propter suam fortitudinem ad ùebell&nd!..lm omne quod adversatur.
An QllINTl.'M DICENDUM quod ad Deum non acceditur passibus cor-
poralibus, cum ubique sit, sed affer.tif.us mentis: et eodem modo ab·
·~o receditnr. Et sic acce5sus et recessus, sub similitudine Iocalis mo-
tu s, designant spiritualem affecturu.

ARTICULUS 2
Utrum in Deo sit cornpositio forrnae et rnateriae.
I Sent., d. 35, a. 1; t Cont. Gent., c. 17; Compena. Theol., c. 28.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod in Deo sit composilio·
tormae et materiae. Omne enim quod habet animam, est compositum
ex materia et forma: quia anima est forma corporis. Sed Scriptura
attribuit animam Deo: introducitur enim ad Hebr. 10, 38, ex per-
sona Dei: "iustus autem meus ex fide vivit; quod si subtraxerit sr,
non placebit animae meae ». Ergo Deus est compositus ex materia et
forma.
2. PRAETEREA, ira, gaudium, et huiusmodi, sunt passiones coniuncti,
ut dicitur f De Anima [c. 1, lect. 2]. Sed hniusmodi attribuuntur Deo·
in Scriptura: dicitur enim in Psalmo [105, 40] : "iratus est furore
Dominus in populum suum "· Ergo Deus ex materia et forma est
compositus.
3. PRAETEREA, materia est principium individ11ationis. Sed Deus
videtur esse individuum: non enim de multis praedicatur, Ergp est
compositus ex materia et forma.
SEo CONTRA, omne compositum ex materia et forma est corpus:
quantitas enim dimensiva est quae primo inhaeret materiae. Sect
altri la sua perfezione essenziale. Cosi Pietro (individuo) si distingue da "uomo ..
:istratto, perchè è uomo esistente in una determinata materia con- note indivi-
duali che non convengono cbe a lui (questa statura, questo colore, questa ligura,
questo peso .... ). Per questo - dice l'obiezione - cigni ente che è individuo e non-
unlversale dovrebbe essere costituito da un principio ·,11ateriale e .ia un prlncipio-
tcrmale (crr. Dt:. Tom., alle voci Materia, FormoJ., lndtvtduattonts p1inctpìum).
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 2

Dio non è corpo, come si è dimostrato. Dunque Dio non è composto


di materia e di forma. 1
RrsPoNno E impossibile che in Dio ci sia materia. Primo, perchè
la materia è potenzialità, mentre Dio, come si è provato,• è atto puro,
non avente in sè potenzialità alcuna. Dunque è impossibile che Dio
sia composto di materia e di forma.
Secondo, perrhè ogni composto di materia e forma è perfetto e
buono in forza della sua forma;• perciò, siccome la materia viene
a partecipare la forma, ne segue che è buono per partecipazione. '
Ora, I' Ente che nella bontà e nella perfezione è primo, cioè Dio, non
può essere buono per partecipazione ; perchè il bene per ess.enza è
anteriore al bene per partecipazione. E impossibile perciò che Dio
sia composto di materia e di forma.
Terzo, perchè ogni agente agisce in forza della sua forma; cosic-
chè il rapporto di un ente al suo agire è determinato dal suo rap-
porto alla forma. L'ente perciò, che è primo come agente e che agisce
iu forza nella sua natura, deve essere primo anche come forma,
e forma pet· natura sua. Ora, Dio è il primo agente, essendo la prima
ramm efficiente, come si è gin dimostrato. Egli •'l dunque fonna in
forza della sua essenza e non composto cli materia e di forma. •
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. A Dio è attribuita l'anima per l'ana-
logia di certe azioni. Siccome quando desideriamo a noi stessi qual-
che cosa, ciò proviene dall'anima nostra, cosi diciamo che piace al-
l'anima di Dio quello che è gradito alla sna volontà.
2. Parimente si attribuisce a Dio la collera e le altre passioni per
una cetia somiglianza di effetti: siccome è pl'Oprio dell'irato il pu-
nire, cosi la punizione divina si chiama metaforicamente ira di Dio.
3. Le forme che la materia può ricevere sono rese individuali per
mezzo della materia, che non può essere ricevuta ìn un altro sog-
g'ltto, essendo essa stessa il primo sustrato [della realtà corporea] ;
h forma invece, di suo, se non vi sono ostacoli, può essere ricevuta
in più soggetti.• Ma quella forma, che non può essere ricevuta dalla
materia ed è per sè sussistente, ha la sua individuazione per il fatto
stesso che non può essere ricevuta in un altro soggetto. Ora, Dio è
una forma di questo genere. Quindi non segue che abbia una ma-
teria.

1 La questione dunque sarebbe glà sciolta nell'articolo precedente, perchè corpo


e cornpusto di materia e ùi forma sono concel!i elle si equivalgono. ~la c'eu1 chi
fanrn,ti('R\·a drca l'esistenza di una materia cele,,te tliv~rsa da quella tPnestr-e, la
quale entrava In composizione nelle nature spiritual!. Di 11ul l'Op1Jortunltà di
questll articolo.
• Lo ~I è J·rovato dimostrando che Dio è Primo Motore Immobile, Prima Causa
incaus·1t;i. Ente per sé necessario e perfettissimo: concetti cl1e equivalgono real-
r11ente :1 quello cli Atto Puro. E una àimostrazione di ciò si è avuta nella q. 2,
a. 3. ~: 'l •P!i S. Tommaso si rir,lliama esplicitamente all'articolo t clPlla pre~~nte
qnr~t.l<··:r cri esattnrnente :i.I secondo argomento invocato nel Risp1Jndo.
' Percilè la for1n'.1 è principio di attualità., per cui un ente è costituito nel suo
grado >pecitìco di per!'ezione. Ora attualità., perfazione, bontà, sono i;oncetti equi-
valenti e com·ertibill.
LA SEMPLICITA DI DIO 99

Oeus non est corpus, nt ostensum est [a. praec.]. Ergo Deus non
-e::it compositus ex materia et form:i.
REsPONDEo nicF.NDl'M quod impossibile est in Dea esse materiam.
Primo quidem, qnia materia est id quod est in potentia. Ostensum
€St autem [ibid.) quod Deus est purus actus, non habens aliquid de
potentialitate. Unde impossibile est quod Deus sit compositus ex ma-
teria et forma.
Secunrfo, quia omne compositum ex materia et forma est perfe-
dum et bonum per suam formam: unde oportet quod sit bonum per
participationem, secunrlurn quod materia participat formam. Pri-
mnm autem quod est bonum et optimum, quod Deus est, non est
bonum per partif'ipationem: quia bonum per essentiam, prius est
bono per participationem. Unde impossibile est quod Deus sit com-
positus ex materia et forma.
Tertio, quia unumquodque agens agit per suam tormam: unde
secundnm quod aliquid se habet ad suam formam, sic se habet ad
hoc quod sit agens. Quod igitur primum est et per se agens, oportet
quod sit primo et p'er se forma. Deus autem est primum agens, cum
sit prima causa efficiens, nt ostensum est [ q. 2, a. 3). Est igitur per
€Ssentiam suam forma; et non compositus ex materia et forma.
AD PRIMUM ERGO DICENIHJM quod anima attribuitur Dea per simili-
tudinem actus. Quod enim volumus aliquid nobis, ex anima nostra
est: unde illud dicitur esse placitnrn animae Dei, quod est placitum
voluntati ipsius.
An SECUNDUM DICENDUM quod ira et hniusmodi attribuuntur Deo
secundum similitudinem effedus: quia enim proprinm est irati pu-
nire, ira eius punitio metaphorice vocatur.
An TERT1 UM orcENDGM q11od formae quae sunt rcceptibiles in ma-
teria, individuantur per materiam, quae non potest esse in alio, cum
!'it primum subiectum suhstans: forma vero, quantum est de se, I1isi
aliquid albd impediat, recipi potest a pluribus. Sed illa forma q11ae
non est receptibilis in materia, sed est per se subsistens, ex hoc ipso
individuatur, quod non potest recipi in alio: et huiusmodi forma est
Deus. lindJ non sequitur quod hateat materiam.

• Non ~ la perfezione, ma ha' la perfezione; non tutto il suo essere è pcrfe.


-ztone. ma è misto di perfezione e perfettibile. F. solo in p'l.rte perfetto e buono.
a Del due comprtnclpl intrtn,!'ci (la materia e la forrua) costitutivi di ogni ente
creato. secondo la filosofia scolastica, il primo rap11re5ent<i il soggett-0 perfetti-
bile, Indeterminato, potenziale ; Il secondo rappresenta la perfezione specifica, de-
·terminata, attuale, che confeMsee al compost-0, cioè nll'ente che realmente esiste,
la sua r~eatteristica essenza (cfr. Introd., Gen., nn. 165-167).
• QlJindi una forma (p, es .. l'anima umana). poichè per quel che riguarda la sua
natura non postula di essere In questa materia piuttosto elle in quella, in una
-0 In più, non diventa di fatto forma o anima di un determinato individuo e di
nessun altro, se non perchè attua o vivifica una determinata materia. distinta da
<:lgnl altra e incomunirallile.
100 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. a, a. a

ARTICOLO 3
Se Dio sia la stessa cosa che la sua essenza o natura. 1

SEMBRA che Dio non sia la stessa cosa che la sua essenza o natura.
Infatti:
1. Di nessuna c<lsa si dice che è in essa medesima. Ora, dell'essenza
o natura di Dio, che è la divinità, si afferma che è in Dio. Dunque
non pare che Dio si identifichi con la sua essenza o natura.
2. L'effetto assomiglia alla sua causa; perché ogni agente produce
cose simili a sè. Ora, nelle cose create il supposto non si identifica
con la sua natura; difatti l'uomo non è la stessa cosa che la sua
umanità. Dunque nemmeno Dio è identico alla sua divinità.
IN CONTRARIO: Di Dio si afferma che è la vita e non s:>Itanto che è
vivo, come apparisce dal Vangelo: « lo son la via, la verità e la
vita>>. Ora, tra divinità e Dio c'è lo stesso rapporto che tra vita e
vivente. Dunque Dio si identifica con la stessa divinità.
RISPONDO: Dio è la stessa cosa che la sua essenza o natura. Per
capire bene questa verità, bisogna sapere che nelle cose composte di
materia e di forma l'essenza o natura e il supposito necessariamente-
differiscono tra loro. Perchè l'essenza o natura compreude in sè sol-
tanto ciò che è contenuto nella definizione della specie ; così umanità
comprende solo quel che è incluso nella definizione di uomo ; solo per
questo infatti l'uomo è uomo, e precisamente questo indica il termine
umanità, quello cioè per cui l'uomo è uomo. Ora, la materia indivi-
duale con tutti gli accidenti che la individuano non entra nella de-
finizione della specie: nella definizione dell'uomo infatti non sono
incluse queste determinate carni, e queste ossa, o il colore bianco o
quello nero, o qualche altra cosa di simile. Quindi queste carni,
queste ossa e tutti gli accidenti che servono a determinare tale ma-
teria non sono compresi nella umanità. E tuttavia sono incluse in
ciò che è l'uomo; conseguentemente la realtà uomo ha in sè qualche
cosa che umanità non include. Ed è per questo che uomo e umanità
non sono totalmente la stessa cosa; ma umanità ha il signifìcat()
di parte formale dell'uomo; perchè i principii [essenziali], da cui si
desume la definizione, rispetto alla materia individuante hanno ca-
rattere di fornrn.
Perciò in quegli esseri che non sono composti di materia e di
forma, e in cui lindividuazione non deriva dalla materia indivi-
duale, cioè da questa determinata materia, ma le forme s' i11divi-
1luano da sè, bisogna che le forme stesse siano suppositi snssistenti.
Quindi in essi supposito e natura non differiscono. E così, non es-
sendo Dio composto di materia e di forma come si è dimostrato, è
necessario che sia la sua divinità, la sua vita e ogni altra cosa che di
lu"i in tal modo enunciata. 1
i Se, cioè, il soggetto della Dettà, che si esprime col termine concreto •Dio»
(= supposlto divino). sia la stessa cosa che la Deità (=natura divina). che, a no-
stro modo di dire, sembra costituire Dio, come l'umanità costitulsre l'uomo. Per-
LA SEMPLICITÀ DI DIO 101

ARTICULUS 3
Utrum sit idem Deus quod sua essentia vel natura.
I Sent., d. 34, q. 1, a. 1; I Cont. Gent., c. 21; De Un. Verlit, a. 1;
De Antma, a. 17, ~d 10;
Quoai. 2, q. 2, a. 2; Compena. Theoi., c. 10; Opusc. 37, De Quatuor Oppos., c. 4.

AD TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non sit idem Deus quod
sua essentia vel natura. Nihil enim est in seipso. Sed essentia vel na-
tura Dei, quae est deitas, dicitur esse in Dea. Ergo videtur quod Deus
non sit idem quod sua essentia vel natura.
2. PRAETEREA, effectus assimilatur suae causae: quia omne agens
agit sibi simile. Sed in rebus creatis non est idem suppositum quod
sua natura: non enim idem est homo quod sua humanitas. Ergo nec
Deus est idem quod sua deitas.
CONTRA, de Dea dicitur quod est vita, et non solum quod est vivens,
ut patet Ioan. 14, 6: «Ego sum via, veritas et vita"· Sicut autem se
hn bet vita ad viventem, ita deitas ad Deum. Ergo Deus est ipsa deitas.
RESPONDEO DICENDUM quod Deus est idem quod sua essentia vel na-
tura. Ad cuius intellectum sciendum est, quod in rebus compositis ex
materia et forma, necesse est quod differant natura vel essentia et
suppositum. Quia essentia vel natura comprehen.dit in se illa tantum
quae cadunt in defìnitione speciei: sicut humanìtas comprehendit in
se ea qnae cadunt in defìnitione hominis: bis enim homo est homo,
et hoc signifìcat humanitas, hoc scilicet quo homo est homo. Sed ma-
teria individualis, cum accidentibus omnibus individuantìbus ipsam,
non cadit in definitione ~peciei: non enim cadunt in definitione
hominis hae carnes et haec ossa, aut albedo vel nigredo, vel aliqui.d
huiusmodi. Unde hae carnes et haec ossa, et accidentia designantia
hanc materiam, non concluduntur in humanitate. Et tamen in eo
quod est homo, includuntur: unde id quod est homo, habet in se
aliquid quod non habet humanitas. Et propter hoc non est totaliter
idem homo et humanitas: sed humanitas significatur ut p-ars for.·
malis hominis; quia principia definientia habent se formaliter, re-
spectu materiae individuantis.
In his igitur quae non sunt composita ex materia et forma, in qui-
bus individuatio non est per materiam individualem, idest per hanc
materiam, sed ipsae formae per se individuantur, oportet quod ipsae
formae sint supposita subsistentia. Unde in eis non differt supposi-
tum et natura. Et sic, cum Deus non sit compositus ex materia et
torma, ut ostensnm est [a. praec. ], oportet quod Deus sit sua deitas,
sua vita, et quidquid aliud sic de Deo praedicatur.

i concetti di essentta, natura, supposttum, subststent1a In S. Tommaso, cfr. Dtz.


Tom.
2 I commentatori, e primo fra tutti Il Gaetano, trovano In questo articolo varie
Imprecisioni tecniche, le quali permettono loro di svolgere lunghe dis&ertazionl.
s. Tommaso Infatti non ha distinto formalmente natura e suppostto In Dio, In
mi, a tutto rigore, abbiamo non uno ma tre Suppositi o Persone. In secondo luogo
Ila parlato di equivalenza tra natura e supposito In tutte le sostanze Immateriali,
e quindi anche negli angeli. - Ma I Commentatori fedeli non si scandalizzano,
rerchè altrove (vedi ll. pp., del presente articolo). S. Tommaso ha precisato me-
glio Il suo pensiero. ·
102 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 3-4

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non possiamo parlare delle cose


semplici se non al modo delle composte, dalle quali traiamo le nostre
conoscenze. E perciò, parlando di Dio, ci serviamo di termini con-
creti [Dio, Sapiente, Buono .... ] per significare la sua sussistenza,
perchè per noi soltanto i composti sono sussistenti; e per indicare
la sua semplicità adoperiamo termini astratti [Divinità, Sapienza,
Bontà .... ]. Se quindi si dice che vi o;ono in Dio la deità, la vita,
ecc., deve ciò riferirsi a diversità esistenti nel nostro modo di con-
cepire, e non a distinzioni esistenti nella realtà.
2. Gli effetti di Dio somigli ano a lui non perfettamente ma per
quanto è possibile. E tale imitazione è imperfetta, proprio perchè
non si può rappresentare ciò che è semplice ed uno se non per mezzo
di molte cose; e per lo stesso motivo si ha nelle creature quella com~
posizione dalla quale provieni' che in esse non s'identificano supp()-
sito e natura. 1

ARTICOLO 4
Se in Dio essenza ed esistenza siano la stessa cosa. •

SEMBRA che in Dio non siano la stessa cosa essenza ed esistenza.


Infatti:
1. Se così fosse, niente si aggiungerebbe [come determinante] al-
l'essere di Dio. Ma l'essere senza determinazioni successive è l'es-
sere generico che si attribuisce a tutte le cose. Ciò posto ne segue che
Dio è l'essere astratto predicabile di tutte le cose. Il che è falso,
secondo il detto della Sapienza: " imposero alle pietre e al legno l' in-
comunicabile nome [di Dio] n. Dunque l'essere di Dio non è la sua
essenza.
2. Di Dio, come ~i è detto, p-0ssiamo sapere se sia, non che cosa
sia. Dunque non è la. stessa cosa l'esistenza di Dio e la sua essenza,
quiddità o natura.
IN CONTRARIO: Scrive S. Ilario: • « In Dio l'esistenza n-0n è acci-
dentalità, ma verità sussistente n. Dunque quello che sussiste in Dio
è la sua esistenza.
RISPONDO: Dio non è soltanto la sua essenza, come è già stato pro-
r
vato, ma anche il suo essere o esistenza]. Il che si può dimostrare
in molte maniere. Primo, tutto ciò che si riscontra in un essere
oltre la sua. essenza, bisogna che vi sia causato o dai principi i del-
l'essenza stessa, quale proprietà della specie, come l'avere la. facoltà

i Tra l" Infinita perfezione di Dio, strettamente uno e semplice, e la perfezione


di qualsiasi creatura, anche la più nobile, col're sempre una distanza Invalicabile.
La somiglianza tra Dio e le creature è sempre Imperfettissima. Onde la ricchls-
sinla perfezione divina è megllo rappresentata da una molteplicità di esseri che
da uno solo (cfr. I. q. ~7). Ma la molt~pllcità non è possibile se non ammettendo
la composizione In sen'.l agli esseri ste»si. per cui gli esseri convengono ~conùo
nn elemento e secondo un altro si d!stlnguono. Di qui la composizione di suppo-
slto e di natura In tutti gli esseri cr 0 ~tl.
• L'essenz11 o natura di un ente è cin che costituisce dl quell"ente la fondamen-
tale specltìca perfezione. per cui e quello che è e si distingue ùa ogm altro. L'es-
LA SEMPLICITA DI DIO 103

AD PRIMl'M ERGO DJCENDL1 !\l quod de rebus simplicibus loqui non


possumus, nisi per modum compositol'um, a quibus cognitionem ac-
cipimus. Et ideo, de Deo loquentes, utimur nominibus concretis, ut
significemm~ eius subsislentiam, quia apud nos non subsistunt nisi
composita: et utimur nominibus abstractis, ut signifìcemus eius sim·
plicitatem. Quod ergo dicitur deitas ve! vita, ve! aliquid huiusmodi,
esse in Deo, referendum est ad diversitatem quae est in acceptionC'
intellectus nostri; et non ad aliquam diversitatem rei.
An sEct:NDl'M DICENDUM quod effectus Dei imitantur ipsum, non per-
fecte, sed secundum quod possunt. Et hoc ad defectum imitationis
pertinet, quod id qnod est simplex et unum, non potest repraesentari
nisi per multa: et sic accidit in eis compositio, ex qua provenit quod
in eis non est idem suppositum quod natura.

ARTICULUS .&
Utrum in Deo sit idem essentia et esse.
I Sent., d. 8, q. 4, aa. 1, 2; q. 5, a. 2; d. 34, q. 1, a. 1; !, d. t, q. 1, a, 1;
I Cont. Gent., cc. 22, 52; De Pot., q. 7, a. 2; De Sptrtt. Creat., a. 1;
Compend. Theol., c. 11; Opu5c. 37, De Quatuor Oppos., c. 4; De ent. et eu., e, 5.

AD QUARTUM SIC PROCEDITIJR. Videtur quod in Deo non sit idem es-
sentia et esse. Si enim hoc sit, tunc ad esse divinum nihil additur.
Sed esse cui nulla fit additio, est esse commune quod de omnibus
praedicatur: sequitur ergo quod Dens sit ens commune praedica-
bile de omnibus. Hoc autem est falsum secundum illud Sap. 14, 'U:
"incommunicabile nomen lignis et lapidibus imposuerunt '" Ergo
esse Dei non est eius essentia.
2. PRAETEREA, de Deo scire possumus an sit, ut supra [q. 2, a. 2)
tlictum est. Non autem possumus !'cirfl qnid sit. Ergo non est idem
esse Dei, et quod quid est eius, sive quidditas ve! natura.
SED CONTRA EST quoù Hilarius dicit in 1 De Trinit. [n. 11]: ((esse
non est accidens in Deo, sed subsistens veritas ». Id ergo quod sub-
sistit in Deo, est suum esse.
Rr.sPONDEO DICENDUM quod Deus non solum est sua essentia, u.t
ostensum est [a. praec.], sed etiam suum esse. Quod quidem multi-
pliciter ostendi potest. Primo quidem, qnia quidquid est in aliquo
qnod est praeter essentiam eius, oportet esse causatum ve! a princi-
piis essentiae, sicut accidentia propria consequentia speciem, ut ri·
sibile con'1equitur hominem et cansatnr ex principiis essentialibus
speciei ; vel ab aliquo exteriori, sicut calor in aqua cau&atur ab igne,

senza dell'uomo, p. es .. è ciò per cui l'uomo è uomo e si distingue da ogni specie
dl vtvent.t: I'nman!tà. L'esf~tenza, Invece, è et(> per cui l'essenza esiste, vale a dire
è fuori del nulla o delle cause che lo possono produrre: è l'atto stesso dell'esistere
(ctr. Dtz Torn. • essentla, esse•).
SI compr~nde Il senso d~ll 'n rticolo: se tn Dio essenza ed esistenza sono una m&-
deslma ~osa, Dio è pura es5"nza, pura esistenza, puro atto, tutto omogeneo In ~è.
esistente di suo, necessariamente esistente.
• S. llarto df Pottters (c. 315-367), Padre della Chiesa ; uno del più valorosi av·
versar! dell'eresia nrl:ma. La sua oper1 De Trtnttate, che è 11 suo caPolavoro t.eo-
loglco, fu scritta contro di e~sa.
104 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 4

di ridere proviene dalla natnra stessa dell'uomo ed è causato da.i


principii essenziali della specie;' o che venga da cause estrinseche,
come il calore nell'acqua è causato dal i'uoco. Se dunque l esi::;tenza
di una cosa è distinta dalla sua essenza, è necessario che l'esistenza
di tale cosa sia causata o da un agente esteriore, o dai principii
essenziali della cosa stessa. Ora, è impossibile che l'esistere sia cau-
sato unicamente dai principii essenziali della cosa, perchè nessuna
cosa può essere a se stessa causa dell'esistere, se ha un'esistenza
causata. E dunque necessario che le coi:.e le quali hanno l'essenza
distinta dalla loro esistenza, abbiano l'esistenza causata da altri.
Ora, questo non può dirsi di Dio; perchè diciamo che Dio è la prima
causa efficiente. È dunque impossibile che in Dio l'esistere sia qual-
che cof:a di diverso dalla sita essenza.
Secondo, perchè l'esistere è l'attualità di ogni forma o natura;
difatti la bontà o l'umanità non è espressa come cosa attuale se non
in quanto dichiariamo che esiste. Dunque l'esistenza sta all'essenza,
quando ne sia distinta, come l'atto alla potenza. E siccome in Dio
non v'è niente di potenziale come abbiamo dimostrato sopra, ne
segue che in lui l'essenza non è altro che il mo esistere. Perciò la
sua essenza è la sua esistenza.
Terzo, allo stesso modo che quanto è infocato e non è fuoco, è
infocato per partecipazione, così ciò che ha l'essere e non è l'essere,
è ente per partecipazione. Ora, Dio, come si è provato, è la sua es-
senza. Se dunque non fosse il suo [atto di] essere, sarebbe ente per
partecipazione e non per essenza. Non sarebbe più dunque il Primo
Ente; ciò che è assurdo affermare. Dunque Dio è il suo essere e non
soltanto la sua essenza. •
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'espressione ((qualche cosa cui non
si può aggiungere niente" si può intendere in due maniere. Prima
maniera: qualche cosa che [po~itivamente] di sua natura importi
l'esclusione di aggiunte [o determinazioni]; cç•sì ~ proprio dell'<l.Ili-
male non ragionevole di essere senza ragione. Seconda maniera:
qualche cosa che non riceva aggiunte ~o determinazioni], perchè di
suo non le include; così l'animale preso come genere non include
la ragione, perchè non è del genere animale come tale avere la
ragione; ma il concetto di animale neppure lo esclude. Dunque es-
sere senza aggiunte nella prima maniera è l'Essere divino; nella
geconda maniera è l'essere generico o comune.
2. Del verbo essere si fa un doppio 11so: qualche volta significa
l'atto dell'esistere, altre V<Jlte indica la copula della proposizione for-
mata dalla mente che congiunge il predicato col soggetto. Se essere
si prende nel primo senso noi (uomini] non possiamo dir.e di cono-

1 Cioè dalla sua ragione stessa, che è la facolt.à percettiva del molteplici rap.
pol'ti tra le cose, da cui scaturisce la meraviglia e il riso.
• Quest'articolo è malto imp0rtante: dà, secondo la dottrina di S. Tomma~o. Il
concetto più alto e più proprio di Dio: Egli è l'ente per essenza, nel quale l'es-
senza s' tdentltlca con I "esistenza ; mentre le creature sono enti per partecipa-
zione, nel quali l'esistenza è realmente distinta dall'essenza.
Queste due verità - o due aspetti di un'unica verità - furono giustamente chia-
mate le verità fondamenta.li della tllosotla cristiana. (Vedi Dr.r. PRADO N., nel-
l'opera intitolata De l'eritalt" fundamenta"lt phtlosophtae chrtsttanae. Friburgl,
1911). Esse sono le ragioni altissime, ossia dellnltlve, di tutto ciò che si afferma
e si nega di Dio In quanto Dio, e delle creature, In quanto creature, al termine
dell' Indagine su Dio e su le creature, quando vogliamo renderci con lo sclentlfi-
LA SEMPLICITÀ DI DIO 105

Si igitur ipsum esse rei sit aliud ab eius esscntia, necesse est quod
esse illius rei vel <iit causatum ab aliquo exteriori, :ve1 a principiis
essentialibus eiusdem rei. Impossibile est autem quod esse sit causa-
tum tantum ex principiis essentialibus rei: quia nulla res sufficit
quod sit sibi causa essendi, si habeat esse cansaturn. Oportet ergo
quod illud cuius esse est aliud ab e:'l'sentia sua, habeat esse causatum
ab alio. Hoc autem non potesi dici de Deo: quia Deum dicimus esse
primam causam cfficientcm. Impossibile est ergç> quod in Deo sit
aliud esse, et alìud eius essentia.
Secundo, quia esse est actualitas omnis formae vel naturae: non
enim bonitas vel humanitas signifìcatur in actu, nisi prout signifi-
camus eam esse. Oportet igitur quod ips11m esse comparetur ad es-
senti:J.m quae est aliud ab ipso, sicnt actus ad potentiam. Cum igitur
in Deo nihil sit potentiale, ut ostensum est supra [a. 1], sequitur
quod non sit aliud iri eo essentia quam suum esse. Sua igitur es-
sentia est sunm esse.
Tertio, quia sicut illud quod habet ignem et non est ignis, est igni-
tnm per participationem, ita illud qnod habet esse et non est esse,
est ens per participationem. Deu::; autem est sua essentia, ut osten-
sum est [a. praec.]. Si igitur non sit suum esse, erit ens per partici-
pationem, et non per essentiam. Non ergo erit primum ens: quod ab-
surdum est dicere. Est igitur Deus suum esse, et non solum sua es-
sentia.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod aliquid cui non fit additio potest
intelligi dupliciter. l!no modo, ut de ratione eius sit quod non fiat
ei additi o; sicut de ratione animalis irrationalis est, ut sit sine ra-
'tione. Alia modo intelligitur aliquid cui non fit additio, quia non est
de ratione eius quod sibi fiat additi o: sicut animai commune est sine
ratione, quia non est de ratione animalis communis ut habeat ra-
tionem; sed nec de ratione eius est ut careat ratione. Primo igitur
modo, es.se sine additione, est esse divinum: secundo modo, esse si.ne
additione, est esse commune.
AD SECUNDUM DICENDUM quod esse dupliciter dicitur: uno modo,
significat actum essendi; alio modo, significat compositionem propo-
sitionis, quam anima adinvenit coniungens praedicatum subiecto.

~amente e della loro Intrinseca natura e della !c,ro radicale distinzione e giudl·
care d! tutto ciò che loro necessariamene conviene (cfr. Introd., Gen., nn. 31-32).
Tale questione è quella che si popgono ftlosofi e teologi circa la cosiddetta
•.essenza metafisica" di Dio. Qual' è, secondo il nostro modo d'Intendere, il con·
retto più profondo, più semplice, più comprensivo che esprima per noi l'Intima
natura di Dio, che Io distingua da tutte le altre cose e da cui si possano dedurre
tutti I suol attributi? Egli è l'essere per 5è sussistente "e.sse per se subs!stens •;
<> come dicono altri - meno bene ed efficacemente - l'Essere che è da se stesso,
• ens a ~e"; I'asett11's è la sua essenzn. non nel senso inteso da Schell che Dio sia
•causa sul• - causa di se ~tesso - (cfr. Katholtsclle Dogmattk, 1a edlz., II, p. 31,
dove scrive: "essenza di nto è l'a.<Ptlà, vale a dire l'autorausnlttà dell'essere per-
fetto: dle Selbstbegriindnng de-5 \Ollkommen-in Selns •) perchè Il concetto di cau-
sare se stesso !mpl!ca contraddizione (com• è contraddittoria I'autocttst di G. Gen-
tile); ma nel senso espresso da S. Tommaso, che I "essere appartiene a Dio in forza
della sua stessa essenza, con la quale è ldentllloato (vedl p. 74, nota 1, a proposito
dell'argomento di s. Anselmo).
Altri pongono l'essenza. metafisica di Dio In quest'altro concetto• atto puro d' in-
tellezione"· "Intellezione sussistente" (SALMANTICESI, SUAREZ, GIOVANNI DI S. TO:M-
MASO, BII.LUART ... ); e con ciò mctlc•no in risalto l'Indole dell'essere divino, tutto
spir·ituale e intellettivo, ma senza nulla aggiungere al concetto precedente, che
neu·essere per sè sussistente Include tutta la pertezione dell'essere.
106 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 4-5

scere l'essere di Dio come non conosciamo la sua essenza; ma le>


conosciamo soltanto nel l:!econdo significato. Sappiamo infatti che la
proposizione che formuliamo intorno a Dio, quando diciamo « Dio è »
è vera. E ciò sappiamo dai suoi effetti, come già dicemmo.

ARTICOLO 5
Se Dio sia contenuto in qualche genere. 1

SEMBRA che Di.o sia contenuto in qualche genere. Infatti:


1. La sostanza è di per sè sn~sistente. Ora, sussistere cosi con-
viene soprattutto a Dio. Dunque Dio è nel genere sostanza.
2. Ogni cosa si misura per mezzo di qualche dato del suo mede-
simo genere, come le lunghezze con la lunghezza, e i numeri col nu-
mero. Ora, Dio è misura di tutte le sostanze, come dice il Commen-
tatore. s Dunque Dio è compreso nel genere sostanza.
IN CONTRARIO: Il genere logicamente si concepisce come anteriore
a ciò che è contenuto sotto di esso. Ora, niente è anteriore a Dio, nè
realmente, nè idealmente. Dunque Di.o non è in alcun genere. •
RISPONDO: Una cosa può esser r.ontenuta in un genere in due ma-
niere. In primo luogo in senso proprio e assoluto, come le specie
che sono comprese nel genere. In secondo luogo per riduzione, come
avviene per i principii e le privazioni: cosi il punto e l'unità si ridu-
cono al genere di quantità, quali principii di essa ; ~ la cecità ed ogni
altra privazione si riportane> al genere positivo corrispondente. Eb-
bene, Dio in nessuno dei due modi è incluso in un genere.
E innanzi tutto, che Dio nor. possa essere specie di un genere qual-
siasi si può dimostrare in tre modi. Primo, la specie è costituita
dal genere e dalla differenza ; ora l'elemento da cui si desume la
differenza costitutiva della specie sta sempre in rapporto all'ele-
mento da cui si desume il genere. come l'atto alla potenza. Così ani-
male [nella dassica definizione dell'uomo: animale ragionevole] si
prende dalla natura sensitiva s.enza determinazione alcuna; difatti
si chiama animale l'essere che ha la natura sensitiva; ragfonevole si
1 Secondo la filosofia scolastica, conforme in questo alla filosofia di Aristotele,
I generi supremi, In cui si possono classificare gli enti, sono dieci: I cosiddetti
" dieci predlcamentl • o •categorie •. Il primo e principale è 11 genere • sostanza•,
a cui appartengono tutti gli enti che esistono in sè e non In altra cosa (p, es.,
l'uomo. Il cavallo, ecc.). Contradlstinto a questo genere sta Il complesso de~ll
" accidenti •, a cui appartengono tutti gli enti che esistono non In sè, ma nella
sostanza. I generi supremi degli accidenti sono nove: qualità, quantità, relazione,
azione, passione, luogo, sito, abito, quando (Dtz. Tom., • Genus. Praedlcamen-
tum •). Dio, come dimostra S. Tommaso, è al disopra di tutte le nostre categorie.
• Per ant.onoruasia il • CommentatorP. .. di .\1·istotele, è il filosol'o arahu Ibn-
Roschd, latinamente detto Averroè (c. 1120-1198). I suoi commenti di Aristotele fu-
rono, Insieme con quelli di Avicenna, veicolo della cultura filosofica greca in
occidente; portandovi però Insieme gravi errori, che resero da principio sospetto
lo stesso Aristotele. Furon necessari I commenti di S. Tomma~o su traduzioni di-
rette dal greco per scagionare lo Stagirita dalle gravi Imputazioni. Contro Aver-
roè, che insegnava l'esistenza di un principio Intellettivo unico e separato per
tutti gli nomini, ne1rnndo di conseguen1.a l'Immortalità nl'rsnn,.lp <Jp11· .. nmo,
s. Tommaso scrisse uno del suol pltl. importanti opuscoli: De Unttate fntellectu•
contra Ai;errotslas (1270).
LA SEMPLICITA DI DIO 107

Primo igitur modo accipiendo esse, non possnmus scire esse Dei, sicut
nec eius essentiam: sed solum secundo modo. Scimus enim quod
haec propositio quam formamus de Deo, cum dicimus Deus est, vera
est. F.t boe scimus ex eius effectibus, ut supra [ q. 2, a. 2) dictum est..

ARTICULUS 5
Utrum Deus sit in genere aliquo.
I Sent .. ù. 8, q. 4, a. 2; d. IO, q. 4, a. 2: I Cont. Gent., c. 25;
De Pot , q. 7, a. 3; Compend. Theol., c. 12; De ent. et es1., c. 8.

AD QUINTUM SIC PROCEDITL'R. Videtur quod Deus sit in genere ali-


quo. Substantia enim est ens per se subsistens. Hoc autem maxime
convenit Deo. Ergo Deus est in genere substantiae.
2. PRAETEREA, unurnquodque mensuratur per aliquid sui generis;
sicut longitudines per longitndinem, et numeri per numerum. Sed
Deus est rnensura omnium substantiarmn, i1t patet per Comrnenta-
torem, IO Metaphys. [comrn. i]. Ergo Deus est in genere substantiae.
SEo CONTRA, genus est prius, secuudurn intellect11m, eo quod in ge-
nere continetur. Sed nihil est prius Deo, nec secundum rern, nec se-
cundum intellectum. Ergo Deus non est in aliquo genere.
RESPONDl'O DICENDUM quod aliquid est in genere dupliciter. Uno
modo, simpliciter et proprie; sicut species, quae sub genere conti-
nentur. Alio modo, per reductionem, sicut principia et privationes:
sicut punctus et unitas reducuntur ad genus quantitatis, sicut prin-
cipia; caecitas autem, et ornr.is privatio, reducitur ad genus sui ha-
hitus. Neutro autem modo Deus est in genere.
Quod enim non possit esse species alicuius generis, tripliciter
ostendi potest. Primo quidern, quia species constituitur ex genere lt
differentia. Semper autem id a quo sumitur differentia constituens
speciem, se habet ad illud unde sumitur genus, sicut actus ad poten-
tiam. Animai enim sumitur a natura sensitiva per modum concre-
tionis; hoc enim dicitnr animai, quod naturam sensitivam habet:
rationale vero sumitur a natura intelìectiva, quia rationale est quod

• Infatti, nel processo della nostra cognizione, noi passiamo dal generico allo
specifico; è quindi vero che ciò che è Clontenuto nel genere (come specie, come
individuo) è posteriore nel nostn conoscer·e al genere stesso. Però la realtà pre-
cede il nostro conosc-,re, polchè quest0 ne dipende. Dio pertamo, che è la Causa
Prima di tutta la realtà, è causa anche del nostro conoscere e quindi antecede
anche Il nostro conoscere. Tutta via anche riguardo a Dio la nostra mente pro-
cede in modo che le nozioni, p. es., di ente, di buono, di sapiente, ecc., sem-
hrino anteriori e a Dio e alle creature, quasi supremo genere di cose comuni al-
l'uno e all'altre. Sembrerebbe quindi che ~econd1J la nostra m~nti- ci sia qualcosa.
di anteriore a Dio. Ma questo procedimento proviene soltanto dall'incapacità
r!ella nostra mente a cogliere direttamente le cose divine: la mente è conSll-
pevole che nulla anteceefs Dio dal momento che i\ la prima cama di t.11tto. Quindi
quest:i form:\ dl anteriorità puramente mentale, è ben diversa dall'anteriorità
<!elle nozioni genericl1e propriamente dette che guidano il nostro conoscere (Jer
rispetto alle cose create. QuPsta seconda antl'riorità è fondata sulla complessità
della natura delle cose create, dove le perfezioni espresse nei concetti generici e
specifici, si presentano anche separate (come, p. es., la razionalità e l'animali!>\)
fornendo cosi un fondamento alla mente per le distinzioni e per l'ordine che pone
tra di essi.
• Il punto lo si concepisce come il principio della linea, ch·e produce scorrendo ;
l'unità è Il principio del numero, che genera per ripetizione.
108 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 5

prénde dalla natura intellettiva, perchè ragionevole è [l'animale]


<· 'ie ha la natura intellettiva: ora, intellettivo sta a sensitivo come
l'atto alla potenza. Ugualmente avviene negli altri casi. Quindi, sic-
come in Dio l'atto è senza potenzialità, ne segue che Dio non può
essere in un genere come una delle specie.
Secondo, siccome l'esser0 di Dio è la sua stessa essenza, come si è
dimostrato, ne viene che se Dio fosse in qualche genere, bisognerebbe
dire che il suo genere è l'ente: infatti il ge)Ilere designa l'essenza,
poichè è attributo essenziale [per la cosa di cui si dice]. 1 Ora, Arist0-
tele dimostra che l'ente non può essere genere di cosa alcuna; perchè
ogni genere ha [come determinanti] differenze specifiche che sono
estranee all'essenza di tale genere, mentre non si può trovare nes-
suna differenza estranea all'ente dal momento che il non ente non
può essere una differenza. Resta dunque che Dio è fuori di ogni ge-
nere.
Terzo, tutte le cose appartenenti a un dato genere partecipano
della quidd1tà o essenza di quel genere, che è U!l loro attributo es-
senziale. Ora, esse differiscono quanto all'essere [esistenziale); in-·
fatti non è identico l'essere [esistenziale], p. es., dell'uomo e del ca,.
vallo, e neppure di quest'uomo o di quell'altro. E cosi ne viene per
necessità che in tutte le cose appartenenti a un dato genere differi-
scono l'esistere e la quidàità, o essenza. Ora, in Dio, come s'è di-
mostrato, non c'è questa differenza. E chiaro, adunque, che Dio
non è in qualche genere come una delle specie.
Da ciò apparisce che Dio non ha nè genere, nè differenze: e non
è definibile; e non è dimostrabile, se non [a posteriori) dagli effetti;
perchè ogni definizione è data dal genere e dalla differenza, ed il
termine medio della dimostrazione [deduttiva e a priori) è la deft-
uizione.
E chiaro poi che Dio in quanto principio [o causa] non è conte-
nuto in un dato genere per riduzione, perchè il principio che si ri-
duce a un qualche genere, non oltrepassa tale genere: così il punto
non è principio che della quantità continua, e l'unità della quantità
discreta [aritmetica]. Dio invece è causa di tutto l'essere, come si
dimostrerà più innanzi. Dnnque Dio non è contenuto da nessun ge-
r
nere quale principio esclusivo] di esso.'
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il nome di sostanza non significa
soltanto essere di per sè, perchè l'essere, come abbiamo veduto,
di suo non è genere; sostanza indica piuttosto l'essenza a cui compete
essere in tal modo, cioè esistere di per sè; tuttavia questo [suo
modo di) essere non è la sua essenza medesima. E chiaro perciò che
Dio non è nel genere di sostanza. •
2. La seconda difficoltà è giusta per ciò che riguarda misure pro-
porzionate; esse certo devono essere omogenee col misurato. Ma Dio
non è misura proporzionata per nessuna cosa: si dice però misura
di tutto, perehè ogni cosa tanto partecipa dell'essere quanto si av-
vicina a lui.
1 Il testo latino dice che della specie e degll lndlvldut della specie Il genere
• praedicatur In eo quod quid est•. L"espressione è tecnica della logica scolasticn.
e significa che la perfezione Inclusa nel concetto •genere" (P. es., •animale•>, ri-
spetto all'uomo) è costitnt!vo essenziale della specie (dell'uomo) e quindi degll
lndlvldnl contenuti nella specie (di Pietro, dl Paolo....): espr! me Il • quod quid
est •, frase che denota l'essenza di una cosa. A più iorte ragione ~prime Il costi-
LA SEMPLICITA DI DIO 109

nnturam intellectiva.m habet: intellectivum autem comparatur ad


sensitivum, sicut actus ad potentiam. Et similiter marijfestum est in
aliis. Unde, cum in Deo non adiungatur potentia adui, impossibile
est quod sit in genere tanquam species.
Secundo, quia, cum esse Dei sit eius essentia, ut ostensum est [a.
praec.], si Deus esset in aliquo genere, oporteret quod genus eius
esset ens : nam · genus significat essentiam rei, cum praedicetur in
PO quod q1dd est. Ostendit autem Philosophus in 3 Metaphys. [c. 3,
lect. 8), quod ens non potest esse genus alicuius: omne enim genus
habet differentias quae sunt extra essentiam generis; nulla autem
differentia posset inveniri, quae esset extra Pns; quia non ens non
potest esse differentia. Unde relinquitnr quod Deus non sit in genere.
Tertio, quia omnia quae sunt in genere uno, communicant in quid-
ditate vel essentia generis, quod praedicatur de eis in eo quod quid
est. Differunt autem secundum esse: non enim idem est esse homi-
nis et equi, nec huius hominis et illius hominis. Et sic oportet quod
quaecumque sunt in genere, differant in ei~ esse et. quod quid est,
idest essentia. In Deo autem non differt, ut ostensum est [a. praec.].
Unde manifestum est quod Deus non est in genere sicut species.
Et ex hoc patet quod non habet genus, neque differentias; neque
est definitio ipsius; neque demonstratio, nisi per effectum: quia de-
finitio est ex genere et differentia, demonstrationis autem medium
est definitio.
Quod autem Deus non sit in genere per rednctionem ut principium,
manifestum est ex eo quod principium quod reducitur in aliquod ge-
nus, non se extendit ultra genus illud: sicut punctum non est prin-
cipium nisi quantitatis continuae, et unitas quantitatis discretae.
Deus autem est principium totius esse, ut infra ostendetur [I, q. 44,
a. 1). Unde non continetur in aliquo genere sicut principium.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod suhstantiae nomen non significat
hoc solum quod est per se esse: q'uia hoc quod est esse, non potest
per se esse genus, ut ostensum est [in corp.]. Sed significat essentiam
cui competit sic esi_.ie, idest per se esse : quod tamen esse non est ipsa
C'ius essentia. Et sic pa tet quod Deus non est in genere substantiae.
An SECUNDUM DICENDUM quod obiectio illa prpcedit de mensura pro-
portionata: hanc enim oportet esse homogeneam mensurato. Deus
autem non est mensura proportionata alicui. Dicitur tamen men-
sura omnium, ex eo quod unumquodque tantum habet de esse, quan.
tum ei appropinquat.

tutlvo dell'essenza, Il concetto specifico (p. es., •animale ragionevole•). Onde


anche esso si predica • in eo quod quid est" : ma • complete"• perchè completa
ciò che il concetto generico lascia indeterminato.
• Non è dnnque principio contenuto nel genere, ma è principio contenente li
genere. In questo senso - nota il Gaetano - si può dire che Dio è in qualche mo1lo
In tutti i generi, e per appropriazione nel genere •sostanza•, come quello tra I
generi che più si avvicina a Dio. Nelle Sentenze (I, d. 8, q, 4, a. 2, ad 3) e nel De
Potentta (q. 7, a. 3) S. Tommaso ammette esplicitamente che Dio in questo se-
condo modo appartiene piuttosto al genere sostanza. Il che è ammesso Implicita-
mente anche nel presente articolo.
• Qui S. Tommaso dà L'l ragione per cui Dio non è propriamente neppure nel
genere sostanza, sebbene il concetto di sostanza gli si appropri maggiormente,
come si è detto nella nota precedente.
110 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 6

ARTICOLO 6
Se in Dio vi siano accidenti. 1

SEMBRA che in Dio vi siano accidenti. Infatti:


l. Una sostanza non può essere accidente di nessuna cosa, come
dice Aristotele. Dunque ciò che in uno è accidente, non può essere so-
stanza in un altro: così si prova che il calore non è forma sostanziale
del fuoco, perchè nelle altre cose è accidente. Ora, la sapienza, la
virtù e simili, che in noi sono accidenti, si attribuiscono a Dio. Dun-
que anche in Dio esse sono accidenti.
2. In ogni genere di cose vi è un primo. Ora, vi sono molti generi
di accidenti. Se dunque i primi di quei generi non sono in Dio vi sa-
ranno molti primi fuori di Dio. E ciò non è ammissit ile.
IN coNTilARIO: Ogni accidente è in un soggetto: ora, Dio non può
essere un soggetto; perchè una forma semplice non può essere sog-
getto, come dimostra Boezio. • Dunque in Dio non può esservi acci-
dente.
RISPONDO: Da ciò che precede risulta chiaro che in Dio n-0n può
esservi accidente. Primo, perchè il soggetto sta all'accidente come In
potenza all'atto; infatti il soggetto riceve dall'accidente una certa
attualità [p. es., è reso bianco, sapiente, ecc.]. Ora, ogni potenzialità
in Dio è assolutamente da escludersi, come ap·parisce da dù che è
stnto già detto.
Secondo, perchè Dio è il suo stesso essere ; ora, " sebbene ciò che è,
come dice Boezio, possa avere qualche altra cosa di aggiunto, l'es-
sere stesso non comporta aggiunta alcuna n: allo stesso modo una
cosa calda potrà avere un'altra qualità diversa dal caldo, p. es., la
bianchezza; ma il calore stesso non potrà avere nient'altro che ca-
lore.•
Terzo, pcrchè tutto ciò che ha l'essere di per sè [cioè essenzial-
mente] è prima di ciò che esiste solo accidentalmente [cioè in forza
di altri o per partecipazione l Q11indi, essendo Dio assolutamente il
prim-0 ente, non può esservi in lui alcunchè di accidentale. Non solo,
ma iin lui non possono esserci accidenti propri, come la risibilità
che è accidente proprio dell'uomo, perchè sono causati dai principii
essenziali del sogget10; mentre in Dio, causa prima, non vi può es-
sere niente di causato. Perciò rimane che in Dio non può esservi
nessun accidente.
SOLl'ZJONE DELLE DIFFICOLTÀ; 1. Potenza, sapienza e così via, non si
attribuiscono a Dio e a noi univocamente, come si chiarirà in seguito.
Quindi non segue che in Dio ci siano degli accidenti come in noi.

1 Cioè: se in Dio vi siano proprietà o qualltà distinte dalla sua e.ssenza e so-
praggiunte ad essa come perfezioni accidentali (cfr. p. 106, nota 1 e Dtz. Tom.).
• La forma in sè è atto; e l'atto ·~ome tale non è soggetto di perfezioni acci-
dentali ; non riceve perfezioni, ma conferisce la perfezione. Le forme che sono
miste di potenza e di atto ricevono bensl perfezioni accidentali, ma in quanto
sono potenza. Quanto più una forma è perfetta, ossia pi'à è atto e meno potenza,
LA SE.MPLICITA DI DIO 111

ARTICULUS 6
Utrum in Deo sint aliqua accidentiL
I Sent., d. 8, q. 4, a. 3; I Cont. Gent., c. 23; De Pot., q. 7, a. 6:
Compena. Theoi .• c. 23.

AD SEXTUM SIC PROCEDITliR. Videtur quod in Deo sint aliqua acci-


dentia. Substantia enim nulli est acciàens, ut dicitur in I Physic.
[c. 3, lect. 6). Quod ergo in uno est accidens, non potest in alio esse
s11bstantia: sicut probatur quod calor non sit forma substantialis
ignis, quia in aliis est accidens. Sed sapientia, virtus, et huiusmodi,
quae in nohis sunt accidentia, Deo attribuuntur. Ergo et in Deo sunt
accidenti a.
2. PRAETEREA, in quolibet genere est unum primum. Multa autem
sunt genera accidentium. Si igitur prima illorum generum non sunt
in Deo, erunt multa prima extra Deum: quod est inconveniens.
SEn CONTRA, omne accidens in subiecto est. Deus autem non potest
esse subiectum: qui a "forma simplex non potest esse subiectum »,
ut dicit Boetius in libro De Trinit. [c. 2]. Ergo in Deo non potest esse
accidens.
REsPO'.'llDEo DICENDUM quod, secundum praemissa, manifeste appa-
ret quod in Deo accidens esse non potest. Primo quidem, quia su-
biectum comparatur ad accidens, sicut potentia ad actum: subiectum
enim secundum accidens est aliquo modo in actu. Esse autem in
potentia, omnino removetur a Deo, ut ex praedictis patet [a. 1].
Secundo, quia Deus est suum esse fa. 3]: et, ut Boetius dicit in
libro De hebdomad. [ lect. 1l, cc licet id q1rnd est, aliquid aliud possit
habere adiunctum, tam0n ipsum esse nihil aliud adiunctum habere
potest » : sicut quod est calidum, potest habere a!iquid extraneum
qnam ca,Iidum, ut albeclinem ; sed ipse calor nihil habet praieter ca-
lorem.
Tertio, quia omne quod est per se, prius est eo quod est per acci-
clcns. Unde, cum Deus sit simpliciter prinrnm ens [ q. 2, a. 3], in eo
non potest esse aliquid per accidens. - Sed nec accidentia per se in
eo esse possunt, sicut risibile est per se accidens hominis. Quia hu-
itismodi accidentia causantur ex principiis subiecti: in Deo autem
nihil potest esse causatum, cum sit causa prima [ibid.]. Unde re-
linquitur quod in Deo nullum sit accidens.
Ao PRIMlJl\I EHGO orCENOU:ll quod virtus et sapientia non univoce
uicuntur de Deo et de no bis, ut infra patebit [ q. 13, a. 5]. Unde non
scquitur quod accrdentia sint in Deo, sicut in nobis.

tanto meno le conviene di ricevere aggiunte accidentali. Alla forma attualissima


che è Dio. ripugna quindi in modo assoluto essere soggetto di accidenti.
3 B!soµ:na, cioè, elte ci sia etero~eneità di elementi nella cosa esistente, afflnchè
si possa rl::i re in essa mescolanw. di qualità. l'\ell'esempio alldotto da S. Tomm:i.so
la cosa calda può esse.re anche bianca, perchè la e.osa ha in sè (come distinto da
sè) Il calore, ma non è puro calore, e può ricevere in sè anche la bianchezz::i,
poiché ne ha la capacità o potenza; ma se fosse puro calore - forma semplice
- non potrel1!1e comporsi con nulla. Ora Dio è nella sua essenza puro essere '' es~e
peT se subsistens »; vecli 1•. 104, nota 2, e l'essere Include ogni perfezione. Quindi
Dio non comporta aggiunta di accidenti.
112 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 6-7

2. Siccome la sostanza è anteriore agli accidenti, i principii degli


accidenti si riducono ai principii della sostanza come a qualche cosa
di 8Jltecedente. E del resto Dio non è primo nell'ambito del genere
sostan~ ma primo fuori di ogni genere, rispetto a tutto l'essere.

ARTICOLO 7
Se Dio sia del tutto semplice.

SEMBRA che Dio non sia del tutto semplice. Infatti:


1. Le opere di Dio sono imitazione di Dio: tutte le cose sono enti
11erchè derivano da lni primo ente, sono buone perchè deriva.no da
lui primo bene. Ora, tra le cose provenienti da Dio nessuna è del
tutto semplice. Dunque Dio non è del tutto semplice.
2. Tutto quanto vi ha di meglio deve essere attribuito a Dio. Ora,
presso di noi, i composti sono migliori delle rose semplici ; come j
corpi misti sono migliori degli elementi e gli elementi delle loro parti.
Non bisogna dire, quindi, che Dio sia del tutto semplice.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che Dio è veramente e sommamente
semplice.
RISPONDO: Si prova in phì modi che Dio è del tutto semplice:
Primo, da quel che si è detto sopra. Siccome in Dio non vi è compo-
sizione alcuna, non quella di parti quantitative, perchè non è corpo;
nè quella di forma e materia; non distinzione tra natura e suppo-
sito; nè tra essenza ed esistenza; nè vi è composizione di genere e di
differenza ; nè di soggetto e di accidente ; è chiaro che bio non è
composto in nessun modo, ma è del tutto semplice.
Secondo, perchè ogni composto è posteriore ai suoi componenti e
da essi dipende. Ora, Dio, come abbiamo dimostrato sopra, è il primo
ente.
Terzo, perchè ogni composto è causato; infatti, cose per sè diverse
non vengono a costituirtJ una qualche unità se non in fotza di una
causa unificatrice. Ora, Dio non è causato, come si è dimostrato di
già, essendo la prima causa efficiente.
Quarto, P.erchè in ogni composto è necessario che vi sia la potenza
e l'atto, ciò che non può verificarsi in Dio. Infatti, o una delle parti
è atto rispetto all'altra, o per lo meno tutte le parti sono in potenza
relativamente al tutto. •
Quinto, perchè ogni compo~to è un qualche cosa che non conviene
ad alcuna delle sue parti. Ciò è evidentissimo nei cornposti di parti
eterogenee; infatti nessuna parte dell'uomo è uomo, e nessuna parte
del piede è piede. Nei composti invece di parti omogenee, qualche
cosa che si dice del tutto, si dice anche della parte, come una parte
dell'aria è aria, ed una parte dell'acqua è acqua;• tuttavia, qualche
cosa si dic~ del tutto, che non conviene alla parte: come se tutta la
massa dell'acqua è di due cubiti, altrettanto non può dirsi delle sue

' Intatti le cliverse parti, entranclo a formare il tutto sl perfezionano a vi·


c.enda; e In quanto ricevono una perfezione nuc.va, mostrano la loro potenzialità.
Nel tutto poi ricevono il loro ultimo complemento. Avevano la capacità di far-
LA SEMPLICITÀ DI DIO 113:

AD SECUNDUM DICENDUM quod, cum substantia sit prior acciden-


tibus, principia accidentium reducuntur in principia substantiae si-
cut in priora. Quamvis Deus non sit primum contentum in genere
substantiae, sed primum extra omne genus, respectu totius esse.

ARTICULUS 7
Utrum Deus sit omnino simplex.
I Sent., d. 8, q . .f., a. 1 ; I Cont. Gent .• cc. 16, 18; De Pot., q. 7, a. 1;
Compend. Theoz., c. 9; Opusc. :n, De Quatuor Oppos., c. 4; De Causts, lect. 21.

An SEPTIMUM SIC PROCEDJTUR. Videtur quod Deus non sit omnin<>


simplex. Ea enim quae sunt a Deo, imitantur ipsum: unde a prim<>
ente sunt omnia entia, et a primo bono sunt omnia bona. Sed in
rebus quae sunt a Deo, nihil est omnino simplex. Ergo Deus non est
omnino simplex.
2. PRAETEHEA, omne quod est melius, Deo attribuendum est. Sed,
apud nos, composita sunt meliora simplicibus: sicut corpora mixta
elementis, et elementa suis partibus. Ergo non est dicendum quod
Deus sit omnino simplex.
SEo coNTnA EST quod Augustinus dicit, 6 De Trinit. [c. 6], quod
Deus vere et summe simplex est.
RESPONDEO DICENDUM quod Deum omnino esse simplicem, multipli-
citer potest esse manifestum. Primo quidem per supradicta [in hac
quaest.]. Cum enim in Deo non sit. compositio, neque quantitativa-
rum partium, quia corpus non est; neque compositio formae et ma-
teriae: neque in eo sit aliud natura et suppositum; neque ali ud es-
sentia et esse: neque in eo sit compositio generis et differeintiae ;.
neque subiecti et accidentis: manifestum est quod Deus nullo modo·
compositus est, sed est omnino simplex.
Secundo, quia omne compositum est posterius suis componentibus.
et dependens ex eis. Deus autem est primum ens, ut supra ostensum
est [q. 2, a. 3].
Tertio, quia omne compositum causam habet: quae enim secundum
se diversa sunt, non conveniunt in aliquod unum, nisi per àliquam
causam adunantem ipsa. Deus autem non habet causam, ut supra
ostensum est [ibid.], cum sit prima causa efficiens.
Quarto, quia in omni composito oportet esse potentiam et actum,.
quod in Deo non est: quia vel una partium est actus respectu alte-
rius; vel saltem omnes partes sunt sicut in potentia respectu totius.
Quinto, quia omne Cl()mpositum est aliqnid quod non convenit alicu)
suarum partium. Et quidem in totis dissimilium partium, manife-
stum est: nulla enim partium hominis est homo, neque aliqua par-
tium pedis est pes. In totis vero similium partium, licet aliquid quod
dicitur de toto, dicatur de parte, sicut pars aeris est aer, et aqua.e

m:irlo: formandolo, la l-0ro capacità è stata attuata. In questo senso le parti sono-
tra di loro e col tutto in rapporto di potenza ed atto.
• La fisica moderna et impedisce di considerare ancora possihlle un composf.o.
dl parti omogenee, cioè di parti della stessa natura del composto. Una massa
d'acqua o di aria non è per noi un'unità natur'11.e. Ma ciò non toglie nessuna.
for:i:a. all'argomentare dell'Aquinate.
114 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, aa. 7-8

parti. E cosi abbiamo che in ogni composto vi è sempre qualche cosa


che non gli è identico. Ora, se ciò può dirsi di un essere il quale ha
la fprma [ma non è la sua forma], che cioè abbia qualche cosa che
non è esso stesso (p. es., in un essere bianco vi è qualche cosa che
non appartiene alla natura del bianco) ; tutta.via nella forma stessa
non vi è niente di eterogeneo. E 11erciò essendo Dio la sua stessa
forma, o meqlio, il suo &tesso essere, in nessun modo può dirsi com-
posto. 1 Accenna a questa ragione S. Ilario quando dice: u Dio, che è
potenza, non è costituito di debolezze; lui, che è luce, non è composto
di oscurità"·
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel che deriva da Dio è imitazione
di Dio, come le cose causate possono imitare la causa prima. Ora, è
proprio della natura dell'ente causato essere in qualche modo com-
post.o, perchè per lo meno il suo e!'sere è distinto dalla sua essenza,
come vedremo più innanzi. 2
2. Quaggiù tra noi, i composti sono più perfetti degli esseri sem-
plici, perchè la bontà pert"etta della creatura non può trovarsi nel-
l'uno ma richiede la molteplicità; mentre la perfezione della bontà
divina si ritrova tutta nell'unità e nella semplicità. Ciò vedremo in
seguito.

ARTICOLO 8
Se Dio entri in composizione con gli altri esseri

SEMBRA che Dio entri in composizione con gli altri esseri. Infatti :
1. Dice Dionigi: "La deità, che è sopra l'essere, è l'essere di tutte
le cose"· Ora, l'essere di tutte le cose: Pntra nella composizione di
eiascuna. Dunque Dio viene in composizione con altri esseri.
2. Dio è forma, asserendo S. Agostino che cc il Verbo di Dio (che è
Dio) è una cr.rta forma uon formata"· Ora, la forma è parte del
composto. Dunque Dio è parte di qualche composto.
3. Le cose che esistono e in nulla differiscono, sono un' identica
realtà. Ora, Dio e la materia prima esistono e non differiscono in nes-
sun modo. Dunque si identificano totalmente. Ma la materia prima
entra nella composizione delle cose. Quindi anche Dio. Prova della
minore: tutte le cose che differiscono, differiscono per qualche diffe-
renza, e perciò è necessario che siano composte; ma Dio e la ma-
teria prima sono del tuttfl semplici; dunr:ue ncn ,1ifieriscono in nes-
sun modo.
IN CONTRARIO: Dice Dionigi che «non vi è nè contatto di lui, (cioè
di Dio), nè qualsiasi altra comunanza con parti da mescolare in-
sieme». Inoltre nel libro De Causis si dice: «La causa prima go-
verna tutte le cose, ma non si mischia con esse».
RISPONDO: Su queste• punto son corsi tre errori. Alcuni, come rife-
risce S. Agostino, hanno detto che Dio è l'anima del mondo ; e a
questo si l"iduce l'errore di. altri i quali dissero che Dio è l'anima

1 Vedi p. 104, nota 2.


• La nota radicale distintiva, dunque, tra Dio e la creature è la totale-semplt.
LA SEMPLICITÀ DI DIO 115

.a.qua; aliquid tamen dicitur de toto, quod non convenit alicui par-
ti um: non enim si tota aqna est bicubita, et pars eius. Sic· igitur in
-0mni composito est aliquid quod non est ipsum. Hoc autem etsi possit
dici de habente formam, quod scilicet habeat aliquid quod non est
ipsum (puta in albo est aliquid quod non pertinet ad rationem albi):
tamen in ipsa forma nihil est alienum. Unde, cum Deus sit ipsa
forma, ve! potius ipsum esse, nullo modo compositus esse potest. Et
hanc rationem tangit Hilarius, 7 De Trinit. [n. 27], dicens: "Deus,
.qui virtus est, ex infirmis non continetur: neque qui lux est, ex ob-
scuris coaptatur ».
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod ea quae sunt a Ileo, imitantur
Deum sicut causata primam causam. Est autem hoc de ratione cau-
sati, quod sit aliquo modo compositum: quia ad minus esse eius est
aliud quam quod quirl est, 11t infra patebit [I, q. 50, a. 2, ad 3].
Ao sEt.UNDUM DICENOUM quod apnd nos composita sunt meliora sim-
plicibus, quia perfectio bonitatis creaturae non invenitur in un.o sim-
plici, sed in multis. Sed perfectio divinae bonitatis invenitur in uno
simplici, ut infra ostendetur [ q. 4, a. 2, ad 1].

ARTICULUS 8
Utrum Deus in compositionem aliorum veniat.
f Sent., d. 8, q. t, a. 2; I Cont. Gent., cc. 17, 26, 'i!7; s, c. 51; De Pot., q, 6, a. Il;
De Vertt., q. 21, a. t.

Ao OCTAVUM SIC PROCEOITUR. Videtur quod Deus in compositionem


.aliorum veniat. Dicit enim Dionysius, 4 cap. Cael. Hier.: u esse om-
nium est, quae snper esse est deitas ». Sed esse omnium intrat com-
positionem uniuscuiusque. Ergo Deus in compositionem aliorum
ve nit.
2. PRAETEREA, Deus est forma: dicit enim Augustinus, in libro De
l"erbis Domi.ni [Serino ad Popul. 117], quod « Verbum Dein (quod
€St Dens) "est forma quaedam non formata». S.ed forma est pars
<::ompositi. Ergo Deus est pars alicuins compositi.
3. P!lAETEREA, quaecumque sunt et nullo modo differunt, sunt idem.
Sed Deus et materia prima sunt, et nullo modo differunt. Ergo pe-
nitus sunt idem. Sed materia prima intrat cpmpositionem rerum.
Ergo et Deus. - Probatio mediae: quaecumque differunt, aliquibus
differentiis differunt, et it:l oportrt ea esse composita; sed Deus et
materia prima sunt omni no simplicia; era;o nnllo modo differunt.
SEn CONIBA EST quod ùicit Dionysius, 2 cap. De Div. Nom. [lect. 3),
quod « neque tactns est eius" (scilicet Dei), "neque alia qnae<lam ad
partes commiscendi communio "· - PRAETEllEA, dicitur in libro Df
Causis [prop. 20, lect. 20], quod "causa prima regit omnes res, prae-
terquam commisceatur eis '"
RESPONDEO DICENDUM quod circa hoc fuerunt tres errores. Quidam
enim posuerunt quod Deus esset anima mundi, ut patet per Augusti-

eltà di pur-0 essere ln Dio (atto puro), la composizione ed eterogeneità nella crea-
tura (potenza ed atto, essenza ed esistenza (cfr. luogo sopra elt.).
116 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 8

del prùno cielo. 1 Altri hanno affermato che Dio è il principio for-
male di tutte le cose. Tale, si dice, fu l'opinione dei discepoli di
Almarico. Ma il terzo errore è quello di David di Dinant, il quale
stoltissimamente affermò che Dio è la materia prima. Tutto ciò con-
tiene una falsità manifesta; e non è possibile che Dio entri in qual-
che modo nella composizione di cosa alcuna nè come principio for-
male, nè come principio materiale.
Innanzi tutto, perchè !!ià dicemmo che Dio è la prima causa effi-
ciente. Ora, la causa efficiente non [può mai.] coincidere numerica-
mente con la forma dell'effetto, ma solo secouùo la specie; difatti un
uomo genera [non se stesso ma] un altro uomo. La materia poi non
coincide con la causa efficiente nè numericamente, nè specificamente,
giacchè quella è in potenza, questa invece è in atto.
In secondo luogo, perchè essendo Dio la prima causa efficiente,
l'agire gli appartiene primieramente e di per sè. Ora, ciò che viene
in composizione con qualche cosa, non è agente di per sè e come
causa principale; chè tale è piuttosto il composto: non è la mane>
che opera, ma l'uom,) mediante la mano, e chi riscalda è il fuoco
mediante il calore. Perciò Dio non può essere parte di un composto.
In terzo luogo, perchè 11ess11na parte di un composto può in mode>
assoluto essere prima realtà tra gli esseri: neanche la materia e la
forma, che pure sono le prime parti del composto. Infatti la materia
è in potenza; e la potenza, assolutamente parlando, è posteriore
aU'atto, come è chiaro da quello che si è già detto. E la forma, quando
è parte del composto, è forma partecipata; ora, la cosa che viene par-
tecipata, e l'essere che la partecipa, è posteriore a ciò che è per es-
senza; cosi il fuoco l che troviamo] nelle cose infocate è posteriore
al fuoe<> per essenza. Invece si è già dimostrato che Dio è l'essere
assolutamente primo. 2
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la divinità è l'essere di
tutte le cose come causa efficiente ed esemplare; non già per la sua
essenza [come se fosse causa materiale o formale deJle cose].

1 Vedi più avanti p. 149, nota 5.


• Tutto 11 fin qui dette, e nelle prove dell'esistenza di Dio. e nella present&
quei;tlone concernente l'assoluta semplicità di Dio, esclude dall:i radice Il pan-
teismo, dottrina che confonde le creature con Dio. In questo ultimo articolo
s. Tommaso esamina es1>ressamentc la questione del panteismo, dimostrando la
ripugnanza assoluta che la Dtvinltli possa entrare in composizione con altri es-
seri. • Dio" definisce il Concilio Vaticano •essendo una natura spirituale oin-
golare, del tutto sempttce e tmmutabile, va proclamato realmente e per la sua
stessa essenza distinto dal mondo e infinlramente ecC(·Jso ·u ·li sopra di tutto ciò
che esioUi fuori di Lui e che si può concepire• (DENZ., i782).
s. Tommarn ha incontrato e confutato tre forme di panteismo: la forma ma-
tertalista (David di Dinant) ; la fo1-ma l1lealts1,; (Almarico di Benis o Carnotensls);
e la forma antropomor;tca (Varronel. Tutte le forme moderne di quest'er1 ore
sempre rinascente possono entrare In questi tre tipi.
Il pensiero ili David di Dinant non mancava di acutezza, come <I put\ vede~e
In questo articolo (arg. 3) e nella Summa Cont. Geni. (I, 17), ma non è tuttavia
meno grossolano ; e S. Tommaso ordinariamente tanto mouerato, non può tratte-
nersi dal qualificare quest'uomo •stoltissimo "· :g c'era di che indignarsi: perchè
se ogni 1•antelsmo ha cor.seguenze nefaste, questo conduceva diritto - e per con-
fessione del ~uol stessi autori - all'adorazione <!~Ila materia con tutte le conse-
guenze morall. Strani corollari derivavano p~r altro da questa posizione; poichè
la materia pura. o mate1·ia prima. ess~ndo dichiarata. nella Scuola. Identica a
se stessa in tutte le cose (•una numero in omnibus»), se ne concludeva l'ubiquità
di ogni essere e una sorta di confusione unlver5ale. • Ogni essere è da per tutto.
LA SEMPLICITA DI DIO 117
num in libro 7 De Civitate Dei [c. 6]: et ad hoc etiam reducitur, quod
quida.m dixerunt Deum esse animam primi caeli. Alii autem dixe-
runt Deum esse principium formale omnium rerum. Et haec dicitur
fuisse opinio Almarianorum. Sed tertius error fuit David de Di-
nandp, qui stultissime posuit Deum esse materiam primam. Omnia
enim haec manifestam cpntinent falsitatem: neque est possibile
Deum aliquo modo iu comppsitionem alicuius venire, n.ec sicut prin-
cipium formale, nec sicut principium materiale.
Primo quidem, quia supra [ q. 2, a. 3] diximus Deum esse primam
causam efficientem. Causa autem efficiens cum forma rei factae non
incidit in idem numero, sed solum in idem specie: homo enim ge-
nerat hominem. Materfa vero cum causa efficiente non incidit in idem
numero, nec in idem specie: quia hoc est in potentia, illud vero in
actu.
Secundo, quia cnm Deus sit prima causa efficiens, eius est primo
et per se agere. Quod autem venit in compositionem alicuius, non
est primo et per se agens, sed magis compos.itum: non enim manus
agit, sed homo per manum; et ignis calefacit per calorem. Unde Deus
non potest esse pars alicuius compositi.
Tertio, quia nulla pars compositi potest esse simpliciter prima in
entilms; neque etiam materia et forma, quae sunt primae partes
compositorum. Nam materia est in potentia: potentia autem est po-
sterior actu simpliciter, ut ex dictis [a. 1] patet. Forma autem quae
est pars compositi, est forma participata: sicut autem participans
est posterius eo quod est per essentiam, ita et ipsum participatum;
sicut ignis in ignitis est rx>sterior eo quod est per essentiam. Osten-
sum est autem [q. 2, a. 3] quod Deus est primum ens simpliciter.
An PRIMUM ERGO DICF.NDUM quod deitas dicitur esse omnium effective
et exemplariter: non autem per essentiam.

percbè ogni essere è Dlo •. Gugllelmo di Parigi {1180-1249) e Wiclef (t 1384) sem-
brano aver attinto a quest'errore. G. Bruno (1548-1600) che confonde Dio con la
natura. ponendo tra essi pure distinzioni manlfestative (natura naturans, natura
oaturata), è vicinissimo a costoro. L' Idea di Almarlco (t 1209) è senza dubbio più
elevata e meno assurda poiché divinizza la forma, vale a dire ciò che vi è nella
creatura di più divino, nel senso di Aristot.ele, e che S. Tommaso chiama "la so-
miglianza stessa dell'Atto primo inclusa in una materia•. E siccome l'essere,
nella sua alta generalità, è • la forma per eccellenza •, divinizzare la forma è in
qualche modo divinizzare l'Essere stesso, o l'Idea, il che certo non è cosa bassa.
Si riconosce qui, salvo sfumature e sviluppi In sensi divergenti, Il pensiero fon-
damentale di Hegel, di Fichte, di Schelllng. Spinoza Invece, da buon cartesiano,
Intende fare una parte Più grande al reale, e quindi alla materia e all'estensione
che la caratterizza. Il suo sistema si presenta cosi come una sintesi di quelli di
Almarlco e di Davld di Dlnant, poichè Il su.o Dio è Insieme pensiero ed estensione,
escogitato In modo da poter spiegare e ricondurre a un centro unico ciò che si
chiama materia, e ciò cha si chiama spirito. - S. Tommaso ha rtlffusamente trat-
tato più volte queste dimcm questioni. Vedi in modo particolare I Cont. Gent.,
c. 26; e I Sent., d. 8, q. 1, a. 2.
La concezione di Dio come anima del mondo proviene da una riflessione più
superficiale e antropomorfica. Ciò che l'anima è per Il nostro corpo, lo sarebbe Dio
per il corpo universale, per Il cosmo, la cui unitA. organica, messa in risalto dal
mott del cieli, aveva colpito 11 pensiero degll antichi. A causa dell'unltfl del-
l'anima e del corpo, si chiamava l'unlver~o Dio; ma •nello stesso modo che un
uomo sapiente, benchè formato d'anima e di corpo, è detto sapiente a causa della
sua anima, cosi 11 mondo è detto Dlo a causa dello spirito che lo anima, pur es-
sendo formato di spirito e di corpo•. Cosi S. Agostino esprime Il p11nslero di Var·
rone e del suoi numerosi emuli (Cttt4 4t Dta, 1. 7, c. 6; vedi SoM. FRANC., Dteu, I,
pp. 349-350).
118 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 3, a. 8

2. Il Verbo è forma esemplare, non già forma che fa parte del com-
posto.
3. Le cose semplici non differiscono tra di loro per altre differenze ~
perchè ciò è proprio dei composti. Difatti l'uomo e il ca vallo [che
f.ono composti] differiscono per le differenze di razionale e di irra-
zionale; ma queste differenze non differiscono alla loro volta per altre
differenze. Perciò a rigore di termini, più che differenti debbono dirsi
diverse; infatti secondo Aristotele di1:erso dice [disuguaglianza] as-
soluta; ma ciò che è diff erenle, differisce soltanto per qualche cosa.
Se, quindi, si vuole far forza sulla parola, la materia prima e Dio
non differiscono, ma sono cose del tutto diverse. Perciò non segue
che siano una stessa cosa.
LA SE'.\fPLICITA DI DIO 119

Ao SECUNDUM DICENDUM quod Verbum est forma exemplaris: non


autem forma qnae est pars compositi.
Ao TERTIUM DICENDl'.M quod simplicia non differunt aliquibus aliis
differentiis: hoc enim compositorum esl Homo enim et equus diffe.
run.t rationali et irrationali differentiis: qnae quidem differentiae
non differunt amplius ab invicem aliis differentiis. Unde, si fiat vis
in verbo, non proprie dicuntur diff erre, sed diversa esse: nam, se-
cundum Philosophum 10 Metapllys. [c. 3, lect. 4), diversum abso-
lnte dicitur, sed omne differens aliquo differt. Unde, si fiat vis in
verho, materia prima et Deus non diff erunt, sed sunt diversa seipsis.
Unde non sequitur quod sint idem.
QUESTIONE 4
La perfezione di Dio.

Dopo aver considerato la semplicità di Dio, dobbiamo parlare della


sua perfezione. E siccome ogni essere, in quanto perfetto, si dice
buono, dobbiamo trattare: Primo, della perfezione di Dio; seoondo,
della sua bontà.
Sul primo punto ci sono tre quesiti: 1. Se Dio sia perfetto; 2. Se
sia universalmente perfetto, cioè se abbia in sè le perfezioni di tutte
le cose; 3. Se le creature si possano dire simili a Dio.

ARTICOLO 1
Be Dio sia perfetto.

SEMBRA <'he essere perfetto non convenga a Dio. Infatti:


1. Dire perfetto è come dire totalmente fatto. Ora, non conviene
a Dio di esser fatto. Dunque neppur di esser perfetto.
2. Dio è il principio delle cose. Ora, i principii delle cose pare che
siano imperfetti: difatti il seme è principio degli animali e delle
piante. Dunque Dio è imperfetto.
3. Sopra abbiamo dimostrato che la natura di Dio è l'essere stesso.
Ma l'essere pare che sia cosa imperfettissima, essendo ciò che vi
è di più generico e passibile delle determinazioni di tutte le cose.
Dunque Dio è imperfetto.
IN CONTRARIO: E detto nel 1' angelo: « Siate perfetti, come perfetto
il Padre vostro, che è nei cieli "·
RISPONDO: Come narra Aristotele alcuni antichi filosofi, cioè i Pi-
tagorici e Speusippo, non attribuirono al primo principio la bontà
e la perfezione assoluta. E la ragione si è che gli antichi filosofi con-
siderarono soltanto la causa materiale; e la causa materiale è la
più imperfetta. La materia infatti, in quanto tale, è in potenza, perciò
la prima causa materiale è per necessità massimamente in potenza, e
quindi sommamente imperfetta. 1
Ora, si afferma che Dio è la prima causa, non materiale, ma nel-
l'ordine delle cause efficienti, e una tale causa è necessariamente
perfettissima; perchè come la materia, in quanto tale, è in potenza,
cosi l'agente, in quanto tale, è in atto. E quindi il primo principio
attivo deve essere attuale al massimo grado e per conseguenza sc•m-
' La materia, in quanto tale, è imperfetta, essl)ndo in se stessa Indeterminata e
bisognosa di determinazione per poter essere posta In una qualche categoria di
enti ed esistere. La su11 perfezione è la forma che la determina componendo con
QUAESTIO 4
De Dei perfectione
tn tres arttculos divisa.

PosT considerationem divinae simplicitatis, de perfectione ipsius


Dei dicendum est. Et quia unumquodque, secundum quod perfectum
est, sic dicitur bonum, primo ngendum est de perfectione divina;
secundo de eius bonitate [q. 5].
Circa primum quaeruntur tria.
Primo : ntrum Deus sit perfectus. Secundo: utrum Deus sit uni-
versaliter perfectus, omnium in se perfectiones habens. Tertio:
utrum creaturae similes Deo dici possint.

ARTICULUS 1
Utrum Deus sit perfectus.
I Conr. Gen., c. 28; ne Verlt., q. 2, a. 3, ad 13; Compent!. Theol., c. 20:
De DIV. Nom., c. 13, Iect. 1.

An PRIMUM src PROCEDITUR. Videtur quod esse perfectum non con-


veniat Deo. Perfectum enim dicitur quasi totaliter factum. Sed Deo
non convenit esse factum. Ergo nec esse perfectum.
2. PR\ETEREA, Deus est primum rerum principium. Sed principia
rerum videntur esse imperfecta: semen enim est principium anima-
lium et plantarum. Ergo Deus est imperfectus.
3. PRAETEREA, ostensum est supra [q. 3, a. 4] quod essentia Dei est
ipsum esse. Sed ipsum esse videtur esse imperfectissimum: cum sit
eommunissimum, et recipiens omnium additiones. Ergo Deus e8t
imperfectus.
SEo CONTRA EST quod dicitur Matt. 5, 48: « estote perfecti, sicut et
Pater vester caelestis perfectns est '"
RESPONDEO DICENDUM qUOd, sicut Philosophus narrat in 12 Metaphys,
fc. 7, lect. 8], quidam antiqni philosophi, scilicet Pythagorici e1
Speusippus. non attrilrnerunt optimum et perfectissimum primo
principio. Cuius ratio est, quia phi!osophi antiqui consideraverunt
principium materiale tantum: primum autem principium materiale
imperfectissimum est. Curn enim materia, inquantum huiusmodi,
sit in potentia, oportet quod primum principium materiale sit m&
xime in potentia; et i.ta ma:xime imperfecturn.
Deus autem ponitur primum principium, non materiale, sed in
genere causae efficientis: et hoc oportet esse perfectissimum. Sicut
enim materia, inquantum huiusmodi, est in potentia; ita agens, in-
quantum huiusmodi, est in actu. t:nde primum principium activum
oportet maxime esse in actu: et per consequens maxime esse per-
essrr un ente caJJace di esistere p. es,, un cavallo. (Vedi, per I concetti 111 materia
e di forma, Dtz. Tom.).
122 LA SOMMA TEOLOGICA, I. q. '~, aa. 1-2

mamente perfetto, perchè un essere è detto perfetto in proporzione


della sua attualità; perfetta infatti è detta quella cosa alla quale
non manca niente avuto riguardo al grado della sua perfezimie. 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice s. Gregorio ((noi par-
liamo delle grandezze di Dio, ballietta11do come possiamo: a rigore,
quel che non è stato fntto, non può dirsi perfetto"· Ma, siccome tra
le cose che si fanno si dice perfetta quella cosa che è passata dalla
potenza all'atto, si usa lo stesso termine perfetto per indicare qual-
siasi cosa alla quale niente manchi della pienezza del suo essere.
sia che abbia ciò dall'essere stata fatta, o no.
2. Il principio materiale, riscontrato sempre imperfetto, non può
essere il primo in modo assoluto, ma è preceduto da qualche cosa
di perfetto. Infatti, il seme, sebbene sia il principio dell'animale
generato dal seme, tuttavia presuppone un animale o una pianta
da cui si è distaccato. Difatti bisogna che prima dell'essere in po-
tenza ci sia l'essere in atto; giacchè l'ente in potenza non passa
all'atto se non per mezzo di un ente in atto.
3. Tra le cose, l'essere è la più perfetta, perchè verso tutte sta iff
rapporto di atto. Niente infatti ha l'attualità se non in quanto è:
perciò l'essere stesso è l'attualità di tutte le cose, anche delle stesse
forme.• Quindi esso non sta in rapporto alle altre cose come il ri-
cevente al ricevuto, ma piuttosto come il ricevuto al ricevente. In-
fatti, se di un uomo, di un cavallo o di qualsiasi altra cosa dico che è,
l'essere stesso è considerato come principio formale e come elemento
ricevuto, non come ciò cui convenga l'esistenza.

ARTICOLO 2
Se si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose.

SEMBRA che non si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose. In-


fatti:
1. Dio, come si è dimostrato, è semplice; le perfezioni delle C()Se
invece sono numerose e diverse: perciò in Dio non possono trovarsi
tutte le perfezioni delle cose. ·
2. Gli opposti non possono coesistere nel medesimo soggetto. Ora,
le perfezioni delle cose sono tra loro opposte, perchè ogni specie dr
cose ha la sua perfezione in forza della differenza specifica; e le dH-
rerenze per le quali si divide il genere e si costituiscono le specie,
procedono per via di opposizione.• N-0n potendosi dunque trovare gli
opposti nel medesimo soggetto, non sembra che in Dio possano tro-
varsi tutte le perfezioni ùelle cose.

1 Nella filosofia contemparanea gli evoluzionisti, stano essi materlal!stt alla


maniera dl Haeckel, o Idealisti come gli Hegellanl e I Bergsonlanl, Insegnano as-
surdamente che II Primo Principio delle cose è massimamente Imperfetto. La ma-
teria stessa o l'Idea, che sl dlvlnizza, sono realtà massimamente indeterminate
che si autodeterminano e si ranno tutte le cose. L'evoluzione stessa, concepita come
Impulso o slancio vitale, è divinizzata e vien qualificata • creatMce •, come se il
nulla o un concetto astratto potessP, essere creatore. La filosofia perenne invece ar-
ferma energicamente U primato dell"atto sulla 1•otenza, del perfetto sull' imper-
LA PERFEZIONE DI DIO 123

fectum. Secundum hoc enim clicitur aliquid esse perfectum, secun-


dum quod est actu: nam perfectum dicitur, cui nihil deest secundum
modum suae p-erfectionis.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut dicit Gregorius [Moral.,
I. 5, c. 36; l. 29, c. 1], "balbutiendo ut possumus, excelsa Dei reso-
namus: quod enim factum non est, perfectum proprie dici non -po-
test"· Sed quia in his quae fiunt, tnnc dicitur esse aliquid perfectum,
cum de potentia educitur in actum; transurnitur hoc nomen per-
fectum, ad signilìcandum omne illud cui non deest esse in actu, sive
hoc habeat per modum factioni5, sive non.
An SECUNDUM DIO:NDUM quod principium materiale, quod apud nos
imperfectum invenit111·, non potest esse simpliciter primum, sed prae-
t"Cditur ab alio perfecto. Nam semen, licet sit principium animalis
~enerati ex semine, tamen habet ante se animai ve! plantam unlle
deciditur. Oportet enim ante id quod est in potentia, esse aliquid
actu: cum ens in potentia non reducrutur in actum, nisi per aliquod
ens in actu.
Ao TERTIUM DICENDUM quod ipsurn esse est perfectissimum omnium:
comparatur enim ad omnia ut actus. Nihil enim habet actualitatem,
nisi inquantum est: unde ipsum esse est actualitas omnium rerum,
et etiam ipsarurn formarum. Unde non comparatur ad alia sicut re-
cipiens ad receptum: sed magis sicut receptum ad recipiens. Cum
tnim dico esse hominis. vel equi, ve! cuiuscumque alterius, ipsum
esse consideratur ut formale et receptum: non autem ut illud cui
competit esse.

ARTICULUS 2
Utrum in Deo sint perfectiones omnium rerum.
I Sent., d. 2, aa. ~. 3; ; Cont. Gent., cc. 2&, 31; f, c. 2; De Verit., q. 2. a. 1:
Compend. Theol., cc. 21, 22; De Dtv. Nom., c. 5, lect. 1, 2.

An SECUNOUM SIC PROCEDITl!R. Videtur quod in Deo non sint per-


fectiones omnium rerum. Deus enim simplex est, ut ostensum est
[ q. 3, a. 7]. Sed perfectiones rerum sunt multae et diversae. Ergo in
Deo non sunt omnes perfectiones rerum.
2. PRAETF.REA, opposita non possunt esse in eodem. Sed perfectìones
rerum snnt oppositae: unaquaeque enim species perficitur per suam
differentiam specificam; differentiae autem quibus dividitur genus
et constituuntur species, sunt oppositae. Cum ergo apposita non pos-
sint simul esse in eodem, videtur quod non omnes rerum perfectio-
nes sint in Deo. ·

retto, di Dio sul mondo: « glacchè l'ente In potenza non passa all'atto se non per
mezzo di un ente in atto"· (Soluz. 2).
2 Le torme sono atto rispetto alla materia che specificano e con la quale for-
mano un solo tutto, una sola essenza (vedi p. 110, nota 2) ; ma l'essere è atto ri-
spetto alle forme stesse, perchè esse vengono poste fuori del nulla (sono) insieme
alla materia se sono forme non per sè sussistenti, o senza materia se sono forme
per sè sussistenti, precisament.e in virtù dell'essere. La realtà è data da!J"essere.
che di per sè è massimamente comprensivo ed Infinito. Quindi Il concetto <li «es-
sere per sè snssistpnte" è mas5lmam~nte proprio per Indicare la perfezione di
Dio (vedi p. 104, nota 2).
• Per l'uso tomistico di genus, spectes, d.t«erentta, vedi Dtz. Tom.
12~ LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 4, a. 2

3. Il vivente è più perfetto dell'ente, il conoscente più perfetto del


vivente. 1 Quindi anche il vivere è più perfetto dell'essere e il cono-
scere più del vivere. Ora, l'essenza di Dio non è che l'essere stesso.
Dunque Dio non ha in sè la perfezione della vita, della sapienza e
altre perfezioni di questo genere.
IN CONTH.\RIO: Dionigi dice che Dio «nella sua unità precontiene
tutti gli esistenti».
RISPONDO: In Dio si trovano le perfezioni di tutte le cose. Perciò
é anche detto universalmente pel-fetto; perchè non gli manca. nep-
pure una :oola delle perfezioni che si possono trovare in qual8iasi
~enere di cose, come dice 11 Commenta.tor.~. • E questo si può arguire
(la due considerazioni.
In primo luogo, per il fatto che quanto vi è di perfezione nell'effetto
deve ritrovarsi nella sua causa efficiente: o secondo la stessa natura,
se si tratta di agente univoco, com'è per l'uomo che genera l'uomo,
oppure in grado più eminente, quando si tratta di agente analogico ; •
cosi nel sole si ritrova l'equivalente di ciò che è generato per la virtù
del sole. E evidente, infatti, rhe l'effetto preesiste virtualmente nella
causa agente: ora, preesistere nella virtualità della causa agente
non è un preesistere in modo meno perfetto, ma in modo più per-
fetto; per quanto preesistere virtualmente nella causa materia.le sia
un preesistere in maniera più imperfetta; e queEto perchè la ma-
teria, in quanto tale, è imperfetta; mentre l'agente, in quanto fa.le,
è perfetto. Essendo, adunque, Dio la causa efficiente prima delle
cose, bisogna che in lui le perfezioni di tutte le cose preesistano in un
grado più eminente. Accenna a questa ragione anche Dionigi, quando
dice di Dio che <<non è questo sì e quello no, ma è tutto, essendo
causa di tutto '" •
In secondo luogo, da quanto abbiamo già dimostrato, che cioè Dio
è l'essere stesso per sè sussistente: di qui la necessità che egli con-
tenga in sè tutta la perfezione dell'esEere. E chiaro, infatti, che se
un corpo caldo non ha tutta la perfezione dei caldo, ciò avviene
perchè il calore non è partecipato in tutta la sua perfezione; ma se
il calore fosse per sè sussistente, non gli potrebbe mancare niente di
ciò che forma la perfezione del calore. • Ora, Dio è lo stesso essere

i Nel gradi dell'essere l'antica Logica classlftcava co&I, secondo l'albero di Por-
firio, la realtà: al di sopra di tutte le categorie sta l'ente, concetto unlversalis-
simo e predicato di tutte le cose; ma anche Indeterminatissimo. quanto al suo
contenuto esplicito nel nostri primi concetti. Esso viene determinato per dei con-
cetti più comprensivi e meno estesi: il concetto di sostanza, di vi,·ente, di sen·
ziente, di Intelligente... ; I quali però non soltanto non si oppongono all'ente
(come finge di credere l'oblcente) ma ne mettono anzi In rilievo la ricchezza se-
condo cui si attua concretamente In natura. Non c'è realtà'ehe non sia in una
sr.ecle di ente; le specie concrete sono una più perfetta dell'altra (senziente. Intel-
ligente.... ). 111a la perfezione nuova che aggiungono, è sempre null'altro che en-
tità.
2 Cioè Averroè (vedi p, 106, nota 2).
3 L'agente untvoco è l'agente Che produce un effetto della sua stessa natura
specifica o generica ; l'agente equtvoco (= analogo) è l'agente che produce un
effetto di specie e di genere diverso. II sole, per usare l'esempio di S. Tommaso.
è certo causa. parziale almeno. di tanti effetti nell'universo. ma secondo la con-
cezione di allora, tali etTet.tl non avevano la natura nè specifica nè generica del
sole. Gli agenti equivoci sono pressochl> Infiniti In natura; Indichiamo come
esempio 1' Ingegnere che produce una macchina. (Vedi Introd., n. 23).
• La sacra Scrittura, movendo rlmprove10 a quanti non seppero elevarsi dallo
spettacolo del creato alla cognizione della bellezza e potenza del Creatore, dice:
LA PERFEZIONE DI DIO 125

3. PRAETEREA, vivens est perfectius quam ens, et sapiens quam vi-


vens: ergo et vivere est perfectius quam esse, et sapere quam vivere.
Sed essentia Dei est ipsum esse. Ergo non habet in se perfectionem
vitae et sapientiae, et alias huiusmodi perfectiones.
SED CONTRA EST quod dicit Dio.nysius, 5 cap. De Div. Nom. [lect. 3],
quod Deus «in uno existentia omnia praehabet "·
RESPONDEO DICENDUM quod in Deo sunt perfectiones omnium rerum.
Unde et dicitur universaliter perfectus: quia non deest ei aliqua no-
bilitas quae inveniatur in aliquo genere, ut dicit Commentator in
5 Methaphys. [comm. 21]. Et hoc quidem ex duobus considerari po-
test.
Primo quidem, per hoc quod quidquid perfectionis est in effectu,
oportet inveniri in causa effectiva: vel secundum eandem rationem,
si sit agens univocum, ut homo generat. hominem ; vel eminentiori
modo, si sit agens aequivocum, sicut in sole est similitudo eorum
quae generantur per virtutem solis. Manifestum est enim quod ef-
fectus praeexistit virtute in causa agente: praeexistere autem in vir-
tute causae agentis, non est praeexistere imperfectiori modo, sed per-
fectiori ; licet praeexistere in potentia causae materialis, sit praeexi-
stere imperfectiori modo: eo quod materia, inquantum huiusmodi,
est irnp.erfecta ; agens vero, inquantum huiusmodi, est perfectum.
Cum ergo Deus sit prima causa effectiva rerum, oportet omnium re-
rum perfectiones praeexistere in Deo secundum eminentiorem mo-
dum. Et hanc rationem tangit Dionysius, 5 cap. De Div. Nom. [lect.
2], dicens de Deo quod «non hoc quidem est, hoc autem non est: scd
omnia est, ut omnium causa"·
Secundo vero, ex hoc quod supra [q. 3, a. 4] ostensum est, quod
Deus est ipsum esse per se subsistens: ex quo oportet quod totam
perfectionem essendi in se contineat. Manifestum est enim quod,
si aliquod calidum non haheat totam perfectionem calidi, hoc ideo
est, quia calor non participa:tur secundum perfectam rationem : sed
si calor esset per se subsistens, non posset ei aliquid deesse de vir-
tute caloris. Unde, cum Deus sit ipsum esse subsistens, nihil de per-
fectione essendi potest ei deesse. Omnium autem perfectiones perti-

•Vani sono tutti quegli uomini che non hanno la conoscenza di Dio, e dal beni
visibili non seppero Intendere Colui che è, nè dalla considerazione delle opet'e
riconobbero l'artefice. Ma il fuoco o il vento, o l'aria sottile o il giro delle
" stelle, o l' immensità delle acque, o il sole o la luna presero per dèl, reggitori
. del mondo. Se rapiti dalla bellezza di tali cose, le credettero dèi ; sappiano
quanto più bello è il loro Signore; poichè le ha fatte tutte l'autore della bel-
.lezza. Se invece ammirarono le vll·tù e le loro opere, da queste intendano, che
,...Pit\ potente ~ C<>lui che le ha fatte. Poichè dalla grandezza della creatm·a poti·:\
i.:tntelligihllmente vedersi 11 creatore• (Sap., 13, t-5). s. Pa<>l<>, nel f:>re l<> stess<>
j.r'illevo, aggiunge che Dio permise le brutture morali del paganesimo per punire
p• idolatria (Rom., 1, !U ss.).
!'.· Le cose dunque dovrebbero essere scala a Dio, ad ammirarne la sapienza, che è
)'.l'arte di Dio, come dice Il Salmo 103, !!4: • tutto hai tu fatto con sapienza• (cfr.
i.·i Co11t. Gent., c. 2).
[; • Ricordare, per comprendere la forza dell'esempio, che la fisica antica rite-
\neva il cal<>re una qualità elerrnmtare costitutiva del fuoco. considerato uno del
'iiluattro elementi semplici che entravano a costituire le cose. Il fuoco, era concepito
ì~òme calore per essenza, avente pure un suo luogo connaturale nella sfera cele-
::!itlale, detta appunto slera del fuoco. L'eIT<>re di tale c<>ncezione non pregiudica
ì~ftatto la verità della dottrina qui esposta, perchè questo del calore non è che un
1~mplo materiale per chiarire la dottrina delle forme sussistenti (vedi p. 111.
'nota 3).
126 LA SOMMA TEOLOGlCA, 1, q. 4, aa. 2-3

per sè sussistente ; quindi niente gli può mancare della perfezione


dell'essere. Ma le perfezioni di tutte le cose fanno parte della perfe-
zione dell'essere, essendo perfette le cose a seconda che partecipano
dell'essere in una data maniera. 1 Di qui ne segue che a Dio non può
mancare la perfezione di nessuna cosa. E anche a questa ragione ac
cenna Dionigi quando dice che Dio «non è esistente in una qualche
maniera; ma in modo assoluto ed illimitato precontiene in sè uni-
formemente tutto l'essere». E poco dopo aggiunge che "Egli è l'es-
sere di quanto sussiste '"
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Bisogna dire con Dionigi che, ~ome
il sole «pur essendo uno e splendendo ugualmente su tutto, precon-
tiene nella sua unità le sostanze tutte delle cose sensibili e le loro
qualità molteplici e diverse ; cosi, a più forte ragione, è necessario
che, nella causa di tutte le cose, tutte preesista.no unificate nella n~
tura di essa"· E in tal modo, esseri, che considerati in se stessi sono
diversi e opposti, preesistono in Dio come una cosa sola, senza meno-.
mare la semplicità divina.
2. E con ciò è sciolta anche la seconda difficoltà.
3. Come dice lo stesso Dionigi nel capitolo citato, sebbene l'essere
steSS() sia più perfetto della vita, e la vita più perfetta della sapienza,
se si considerano in astratto le loro distinzioni; tuttavia qm~llo che
vive è [in concreto] più perfetto di quello che ha soltanto l'essere,
perchè il vivente è anche ente; e il sapiente è anche ente e vivente.
Quindi, sebbene la nozione di ente non includa in se stessa la nozione
di vivente e di sapiente, perchè non è necessario che chi partecipa
l'essere lo partecipi secondo tutti i modi dell'essere, tuttavia l'essere
stesso di Dio include in sè anche la vita e la sapienza, perchè nes-
suna dell.e perfezioni dell'essere può mane.are a Colui che è l'essere
stesso per sè sussistente. 1

ARTlCOLO 3
Se una creatura possa essere simile a Dio.

SEMBRA che nessuna creatura possa essere simile a Dio. Infatti:


1. :E detto nei Salmi: <<Non v' è simile a te tra gli dèi, o Signore"·
Ora, tra tutte le creature, le più nobili sono quelle che sono chiamate
dèi per partecipazione. Dunque molto meno possono dirsi simili a
Dio le altre creature.
2. La somiglianza è una specie di confronto. Ma non si dà con-
fronto tra cose di diverso genere; quindi neppure somiglianza: nes-
suno infatti dice che il dolce somiglia al bianco. Ora, nessuna rrea-
1 n grado, o misura di essere, è dato dall'essenza: essere uomo, essere sapiente,
ecc., è essere In un certo. grado o misura, che la parola esprimente un'essen>.a
(uomo, sapiente ... ) determina. .
s Leggendo questa soluzione sl capisce facilmente come l termini ente, vivente,
saptente, possano prendere un'Intensità maggiore o minore di significato. Sono
infatti termini analogtct (cfr. Dtz. Tam.). Se diciamo ente o vtvente in astratto.
diamo al termine un signlllcato Yago e generico, per includervi le infime manlfe·
stazioni dell'essere e della vita. Se invece vogliamo potenziare quel concetti tn
LA PERFEZIONE DI DIO 127

nent ad perfectionem essendi : secundum hoc enim aliqua perfecta


sunt, quod aliquo modo esse habent. Unde sequitur quod nullius
rei perfectio Deo desit. Et hanc etiam rationem tangit Dionysius.
5 cap. De Div. Nom. [lect. 1], dicens quod Deus u non quodammodo
est existens, sed sirnpliciter et incircumscripte totum in seipso uni-
formiter esse praeaccipit 11 : et postea subdit quod ·cc ipse est esse sub-
sistentibus Il.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut sol, ut dicit Dionysius, 5 cap.
De Div. Nom. [lect. 2], « sensibilium substantias et qualitates mul-
tas et differentes, ipse unns existens et uniformiter lucendo, in seipso
uniformiter praeaccipit ; ita multo magis in causa omnium necesse
est praeexistere omnia secundum naturalem unionem "· Et sic, quae
sunt ùiversa et opposita in seipsis, in Deo praeexistunt ut unum,
absque detrimento simplicitatis ipsius.
Et per hoc patet solutio ad secundum
AD TERTIUM DICENDUM quod, sicut in eodem capite [lect. 1] idem
Dionysius dicit, licet ipsum esse sit perfectius quam vita, et ipsa
vita quam ipsa sapientia, si considercntur secnndum quod distin-
guuntur ratione: tamen vivens est perfectius quam ens tantum, quia
vivens etiam est ens; et sapiens est ens et vivens. Licet igitur ens
non includat in se vivens et sapiens, quia non oportet quod illud
quod participat esse, participet ipsum secuntlum omnem modum es-
sendi: tamen ipsum esse Dei includit in se vitam et sapientiam; quia
nulla de perfectionibus essendi potest deesse ei quod est ipsum esse
subsistens.

ARTICULUS 3
Utrum aliqua creatura possit esse similis Deo.
I Sent., d. 48, q. 1, a. 1; f, d. 16, q. 1, a. 1, ad 3; I Cont. Gent., c. 29;
De Ver1t., q. 2, a. 11; q. 3, a. 1, ad 9;
q. 23, a. 7, ad 9 ss.; De Pot., q. 7, a. 7; De D1.v. Nom., c. 9, lect. 3.
Ao TERTIUM sic PROc.EDITUR. Videtur quod nulla creatura possit esse
similis Deo. Dicitur enim in Psalmo [85, 8] : cc non est similis tui in
rliis, Domine». Sed inter omnes creaturas, excellentiores sunt quae
dicuntur dii participative. Multo ergo minus aliae creaturae possun1
;4ici Deo similes.
~" 2. Pr.AETERF.A, similitudo est comparatio quaedam. Non est autem
~-Omparatio eor11m quae sunt diversorum generum; ergo nec simi-
tì.tudo: non enim dicimus quod dulcedo sit similis albedini. Sed nulla
{:.
~lsta di un ~oggetto che ne assomml tutta la ricchezza interiore, guarderemo
Jlle più alt~ manifestazioni della vita, e il vivente si presenterà dot.ato d" Jntel-
:euo e di sa1>ienrn. Nell'n.te poi cosi concepito saremo obbligati a includere t.utte
~.·. . perfezioni con le 11ualt i'essere si manifesta o potrebbe manifestarsi, poichè
\112e non son0 che aspetti frammentari dell'e$sere come tale. Perciò I termini Più
\aghi. che a prima vi~ta sembrano arricchiti dal più specifici, hanno In se stessi
ijla virtualità che cl permette di avvicinare un poco più da vicino r Infinita per.
ezlone di Dio.
128 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 4, a. 3

tura è dello stesso genere di Dio che, come si è provato, è al disopra


di ogni genere. Perciò nessuna creatura è simile a Dio.
3. Simili si dicono quelle cose che hanno comunanza di forma.
Ora, niente combina con Dio nella forma, perchè in nessuna cosa,
tranne che in Dio, l'essenza si identifica con l'essere. Perciò nessuna
creatura può essere simile a Dio.
4. Tra cose simili Ja somiglianza è reciproca, perchè il simile è
simile al simile. Se dunque qualche creatura è simile a Dio, Dio sarà
simile a qualche creatura. Ciò contrasta apertamente col detto di
Isafa: "A chi rassomigliereste Dio?».
IN CONTRARIO: Nella Genesi si dice: u Facciamo l'uomo a nostra im-
magine e somiglianza» e in S. Giovanni: " Quando si manifesta
saremo simili a lui ».
RISPONDO: Siccome la somiglianza si prende dal convenire o co-
municare nella forma, vi sono tante maniere di somiglianza a se-
cpnda dei vari modi di comunicare nella forma. Si dicono simili
alcune cose le quali hanno in comune la stessa forma secondo la
stessa natura [o attributo essenziale], e secondo lo stesso grndo: in
questo caso non solo sono simili, ma uguali nella loro somiglianza:
come due cose ugualmente bianche si dicono simili nella bianchezza.
E questa è la somiglianza più perfetta. - In secondo luogo si dicono
simili quelle cose che hanno un 'uguale forma, secondo la stessa na-
tura non però secondo lo stesso grado, ma secondo un più e un
meno; come .una cosa meno bianca si dice simile ad un'altra più
bianca. E questa è somiglianza imperfetta. - In terzo luogo, si dicono
simili alcune cose che hanno la stessa forma, ma non secondo la
stessa natura [specifica], come è il caso degli agenti non univoci.
Siccome ogni agente, in quanto tale, tende ad imprimere la sua so-
miglianza, ed ogni cosa agisce secondo la sua forma, è necessario
che nell'effetto Ci sia una somiglianza della forma dell'agente. Se
dunque l'agente è contenuto nella stessa specie del sup effetto, la so-
miglianza tra la causa e l'effetto sarà nella forma secondo la stessa
natura specifica; come avviene dell'uomo che genera un altro uomo.
Se poi l'agente non è contenuto nella stessa specie, :vi sarà somi-
glianza, ma non secondo la stessa natura specifica: cosi le cose che
si generano per la virtù del sole, si accostano sì a una certa somi.
glianza col sole, ma non sino a partecipare alla forma del sole se-
condo la somiglianza specifica, ma solo secondo una somiglianza
generica. 1
Se dunque vi è un agente che non è contenuto in alcun genere, i
suoi effetti avranno una somiglianza anche più lontana dalla di lui
forma; cioè non arriveranno mai a somigliare la forma dell'agente
secondo la stessa natura specifica o generica, ma solo secondo una
certa analogia, come nel caso dell'essere, il quale è comune a tutte le
cose. E solo in questo modo le cose. prodotte da Dio possono a lui so-
migliare come enti al primo ed universale principio di tutto l'essere.'
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice Dionigi, quando la Scrit-
tura nega che qualche cosa sia simile a Dio, « non contesta la so-
1 Vedi p. 124, nota 3.
• L'essere è comnne a tutte le cose appunto secondo •analogia•: tutte le cose
so110 - e in questo hanno somlgl!anza -, ma sono a loro modo. e 11 modo di essere
di ognuna varia o può variare ali' infinito. Nel modo di es;;ere sono dissimili. Ma
anche in questa dissomiglianza sono In un certo modo simili : hanno tutte soml-
LA PERFEZIONE DI DIO
·~
creatura est eiusd.em generis cum Deo, cum Deus non sit in genere,
ut supra [q. 3, a. 5] ostensum est. Ergo nulla creatura est similis Doo.
3. PRAETEREA, similia dicuntur quae conveniunt in forma. Sed nihil
convenit cum Deo in forma: nullius enim rei essentia est ipsum esse,
nisi solius Dei. Ergo nulla creatura potest esse similis Deo.
4. PRAETEREA, in similibus est mutua similitudo: nam simile est
simili simile. Si igitur aliqua creatura est similis Deo, et Deus erit
similis alieni creaturae. Quod est coilitra id quod dicitur Isaiae 40, 18:
" cui similem fecistis Deum ? '"
SED coNmA EST quod dicitur Gen. 1, 26: « Faciamus hominem ad
imaginem et similitudinem nostram" ; 1 Ioann. 3, .2: « cum appa-
ruerit, similes ei erimus n.
RESPONDEO DICENDUM quod, cum similitudo attendatur secundum
convenientiam vel communicationem in forma, multiplex est simi·
litudo, secundum multos modps communicandi in forma. Quaedam
enim dicuntur similia, quae communicant in eadem forma secundum
eandem rationem, et secundum eundem mo<lum: et haec non solum
dicuntur similia, sed aequalia in sua similitudine ; sicut duo aequa-
1iter alba, dicuntur similia in albedine. Et haec est perfectissima si-
militudo. - Alia modo dicuntur similia, quae communicant in forma
secundum ea.ndem rationem, et non secundum eundem modum, sed
secundum magis et minus; ut minus album dicitur simile magis
albo. Et haec est similitndo imperfecta. - Tertio modo dicuntur ali-
qua similia, quae cornmunicant in eadem forma, sed non secundum
eandem rationem; ut patet in agentibus non univocis. Cum enim
omne agens agat sibi simile inquantum est agens, agit autem unum-
quodque secundum snam rormam, necesse est quod in effectu sit si-
militudo formae agentis. Si ergo agens sit contentum in eadcm specie
cum suo effectu, erit similitudo inter faciens et factum in forma, se-
cundum eandem rationem speciei; sicut homo generat hominem. Si
autem agens non sit contentum in eadem specie, erit similitudo,
!'ed non secundum eandem rationem speciei: si.cut ea quae generan-
tur ex virtute solis, accedunt quidem ad aliquam similitudinem solis,
non tumcn ut recipiant formam solis secundum similitudinem spe-
ciei, sed secundum similitudinem generis.
Si igitur sit aliqupd agens, quod non in genere contineatur, effectus
eius adhuc magis accedent remote ad similitudinem formae agentis:
non tamen ita quod participent similitudinem formae agentis secun-
dum eandem rationem speciei aut generis, sed secundum aliqualem
analogiam, sicut ipsum esse est commune omnibus. Et hoc modp illa
quae sunt a Deo, assimilantnr ei inquantum sunt entia, ut primo et
universali principio totius esse.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut dicit Dionysius, 9 cap. De-
Div. Nom. [lect. 3], cum sacra Scriptura dicit aliquid non esse si-
gUanza di rapporto con l'esistenza, come potenza all'atto. L'analogia si definisce
appunto •la somiglianza del dissimili, e la dissomiglianza del simili •. L'ana-
logia affratella tutte le cose, che derivano tutte dall'Uno e partecipano dell'Uno
(vedi q. ·2, a. 3, quarta via); e lega tutte le cooe col loro Autore, al quale sono
In varia misura più o meno remotamente simili, JJerchè anch'esse aono; ossia.
esercitano l'essere a loro modo (per dipendenza, per partecipazione.... ) come a suo
modo lo esercita Il loro Autore (per essenza, a se. Ma nella somiglianza sono lon-
tane da lui, perchè non hanno che una porzione di essere. Queste considerazioni
assumeranno tutta la loro Importanza nella q. 12 (spec. a. 12) dove si farà que--
!!tlone del come da noi si conosca Dio. (Vedi p. 124. nota 3: Introd., nn. 23 ss.).
130 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 4, a. 3

miglianza con lui. E infatti le medesime cose possono essere sinùli


a Dio e dissimili: simili, in quanto lo imitano nella misura in cui
è consentito imitare colui, che non è perfettamente imitabile ; dis-
simili, in quanto si discostano dalla loro causa »; e non solo secondo
una minore o maggiore intensità, come il meno bianco si discosta
da ciò che è più bianco, ma anche perchè non vi è comunanza di
specie nè di genere.
2. Dio non sta in rapporto alle creature come cosa di genere di-
verso; ma come ciò che è fuori d'ogni genere e principio di tutti i
generi.
• 3. Non si dice che vi è somiglianza della creatura con Dio per co-
munanza di forma secondo la stessa natura specifica o generica;
ma solo secondo analogia, in quanto cioè Dio è ente per essenza, e le
altre cose per partecipazione.
4. Se in qualche modo si concede che la creatura è simile a Dio,
in nessuna maniera si deve ammettere che Dio è simile alla crea-
tura, perchè, come dice Dionigi, «la mutua somiglianza si dà tra
esseri appartenenti ad uno stesso ordine, non tra causa e causato» :
.cosi si usa dire che il ritratto somiglia a una data persona, e non
viceversa. Parimente, in qualche modo si può dire che la creatura è
simile a Dio, non già che Ilio è simile alla creatura.
LA PERFEZIONE DI DIO 131

mile Deo, 11 non est contrarium assùnilationi ad ipsum. Eadem enim


sunt similia Deo, et dissimilia: similia quidem secundum quod imi-
tantur ipsum, prout contingit eum imitati qui non perfecte imita-
bilis est ; dissimilia vero, secundum quod deficiunt a sua causa,, ;
non solum secundum intensionem et remissionem, sicut minus album
deficit a magis albo; sed quia non est convenientia nec secundum
speciem ne~ secundum genus.
An SECUNDUM mcENDUM quod Deus non se habet ad creatura1> sicu1
res diversorum generum : sed sicut id quod est extra omne genus, et
principium omnium generum.
AD TERTIUM DICENDUM quod non dicitur esse similitudo creaturae ad
Deum propter communicantiam in forma secundum eandem ratio..
nem generis et speciei: sed secundum analogiam tantum; prout sci-
licet Deus est ens per essentiam, et alia per participationem.
Ao QUARTUM DICENDUM quod, licet aliquo modo concedatur quod
creatura sit similis Deo, nullo tamen modo cpncedendum est quod
Deus sit similis creaturae: quia, ut dicit Dionysius, 9 cap. De Div.
Nom. [lect. 3), 11 in his quae unius ordinis sunt, recipitur mutua si-
militudo, non autem in causa et causato 11 : dicimus enim quod imago
sit similis homini, et non e converso. Et similiter dici potest aliquo
modo quod creatura sit similis Deo: non tamen quod Deus sit similis
.creaturae.
QUESTIONE 5
II bene in generale.

Continuando passiamo alla questione del bene. Tratteremo: primo,


del bene in generale ; secondo, della bontà di Dio.
Sul primo punto poniamo sei quesiti: 1. Se il bene e l'ente si iden-
tifichino nella realtà; 2. Supposto che differiscano soltanto coru:et-
tualmente, si domanda: se sia prima logicamente il bene o l'ente;
3. Supposto che l'ente sia prima, si chiede se ogni ente sia buono;
4. A quale causa si riduca la nozione di bene; 5. Se la nozione di
bene consista nel modo, nella specie e nell'ordine; 6. Come il bene
si divida in onesto, utile e dilettevole. '

ARTICOLO 1
Se il bene differisca realmente dall'ente.

SEMBRA che il bene differisca realmente dall'ente. Infatti:


1. Dice Boezio: «nelle cose io scorgo che altra cosa è esser buono.
cd altra cosa essere». Dunque il bene e l'ente differiscono realmente.
2. Niente è forma di se stesso. Ma il bene, come si ha nel libro De
Causis,' è determinazione formale dell'ente. Dunque il bene differi-
sce realmente dall'ente.
3. Il bene può essere maggiore o minore; l'ente no. Dunque il bene
è realmente distinto dall'ente
IN CONTIIARJO: S. Agostino dice: "In quanto siamo, siamo buoni».
RISPONDO: Il bene e l'ente si identificano secondo la realtà, ma
differiscono solo secondo il concetto. Eccone la dimostrazione. La.
ragione di bene oonsiste in questo, che una cosa è desiderabile: in-
fatti Aristotele dice che il bene è «ciò che tutte le cose desiderano>>.•
Ora è chiaro che una cosa è desidera.bile nella misura. che è perfetta,
perchè ogni cosa tende appunto a perfezionare se stessa. Ma in tanto
una cosa è pert'etta in quanto è in atto: e così è evidente che una

1 Questa breve trattazione, nella quale si condensa tutta la metafisica del bene
In generale, è necessaria evidentemente a penetrare addentro nella natura della
Bontà divina, tanto proclamata dalla sa.era Scrittura e da tutta la creazione. Se
si pensa moltre che la bontà e un supremo attributo di Dio e uno dei concetti t1·a-
~cendentali, Intorno a cui si puO sintetizzare tutta una dottrina teologica o tiln.
sofica, si comprende anche meglio l'importanza di questa trattazione, elle po-
trebbe a una vista superficiale sembrare astratta e remot>1. dagli oggetti propri
della teologia.
• 11 Ltfler De Causts, che fu commentato da S. Tommaso, deriva per la rnag-
!!ior i.arte dalla Instttulto theologtcn di Prodo, neophtonlco (410-485), con l'ag-
giunta di commenti di filosofi arabi (Alfarabi, Avicenna, Algazel). Per molto
QUAESTIO 5
De bono in communi
tn sex arttculo1 dtvtsa.

DEINDE quaeritur de bono: et primo de bono in communi; secundo


de bonitate Dei [q. 6J. Circa primum quaeruntur sex.
Primo : utrum bonum et ens sint idem secundum rem. Secundo:
supposito quod differant ratione tantum, quid sit prius secundum
rationem, utrum bonum vel ens. Tertio: supposito quod ens sit prius,
utrum omne ens sit bonum. Quarto: ad quam causam ratio boni re-
ducatur. Quinto: utrum ratio boni consistat in modo, specie et pr-
dine. Sexto: quomodo dividatur bonum in honestum, utile et delecta-
llile.

ARTICULUS 1
Utrum bonum differat secundum rem ab ente.
I Sent., d. 8, q. 1, a. 3; d. l9, q. 5, a. 1, ad 3; De Vertt., q. 1, a.. 1; q. 21, a.. t;
De Pot., q. 9, a. 7, ad 6.
An PRIMUM src PROCEDITUR. Videtur quod bonum differat secundum
rem ab ente. Dicit enim Boetìus, in libro De hebdo111. [lect. 3) : "in-
tueor in rebus ali ud esse quod sunt bona, et aliud esse quod sunt "·
Ergo bonum et ens differunt secundum rem.
2. PRAITF.llEA, nihil informatur seipso. Sed bonum dicitur per in-
formationem entis, ut habetur in Commento libri De Cattsis [in prop.
21, 22]. Ergo bonum differì secundum rem ab ente.
3. PRAETEREA, bonum suscipit magis et minus. Esse autem non su-
scipit magis et minus. Ergo bonum differt secundum rem ab ente.
SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in libro De Doctrina Chri-
stiana [I. 1, c. 32], quod « inquantum sumus, boni sumus ».
RESPONDEO DICENDUM quod bonum et ens sunt idem secundum rem:
s~d differunt secundum rationem tantum. Quod sic patet. Ratio enim
bbni in hoc consistit, quod aliquid sit appetibile : unde Philosophus,
in I Ethic. [c.1, lect.1], dicit quod bonum est «quod omnia appetuntn.
Manifestum est autem quod unumquodque est appe~ibile secundum
quod est perfectum: nam omnia appetunt suam perfectionem. In-
tantum est autem perfectum unumquodque, inquantum est actu:
un de manifestum est quod intantum est aliquid bonum, inquantum.

tempo l'opuscolo fu creduto opern aristotelica; ma S. Tommaso ebbe modo di cor-


reggere tale errore e di leggere la traduzione dal greco fatta dal &uo confratello
Guglielmo di Moerbeke nel 1268.
• L'espressione aristotelica riceve maggiore chiarezza se la traduciamo un
po' più liberamente cosi: •tutto ciò che In qualsiasi maniera può essere oggetto
di desiderio•>, ovvero che può esercitare una qualche attrattiva.. Non sarà sempre
un'attrattiva deliberata e cosciente, ma. ogni tendenza è appetizione.
134 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 1

cosa in tanto è buona in quanto è ente; l'essere infatti è l'attualità


tli ogni cosa, come apparisce da quanto si è detto in antecedenza.
E cosi si dimostra che il bene e l'ente si identificano realmente; ma
il bene esprime il concetto di appetibile, non espresso dall'ente. 1
SOLL;ZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nonostante che il bene e l'eute siano
in realtà l'identica cosa, pure siccome differiscono nel loro concetto,
una cosa è detta ente in senso assoluto [simpliciter], ed è detta bene
in senso assoluto non alla stessa maniera. Siccome infatti ente in-
dica che qualche cosa è propriamente in atto, e atto dice ordine alla
potenza, diremo che una cosa è ente in senso pieno ed assoluto in
forza di quell'elemento per cui originariamente viene a distinguersi
da ciò che è solo in potenza. E questo è l'essere sostanziale di ogni
realtà; quindi una cosa è detta ente in senso pieno e assoluto in
forza del suo essere sostanziale. 2 In forza degli atti sopraggiunti in-
vece, si dice che una cosa è ente [secundum quid cioè) in qualche
modo ; così esser bianco significa essere in quella maniera: in
realtà il fatto d'esser bianca non toglie una cosa dalla pura potenza
ad esistere, dal momento che l'esser bianca viene ad aggiungersi a
una realtà che preesiste già in atto. • Il bene invece esprime lidea
di cosa perfetta, vale a dire desiderabile: e per conseguenza. in-
clude il concetto di cosa ultimata. Perciò si chiama bene in senso
pieno e assoluto ciò che si trova in possesso della sua ultima perfe-
zione. Quello invece che non ha l'ultima perfezione che dovrebbe
avere, sebbene abbia una certa perfezione in quanto è in atto, non
si dice per questo perfetto in senso pieno ed assoluto, e neppure
buono in sensp pieno ed assoluto, ma solo buono in qualche modo.
Cosi dunque in base all'essere primo e fondamentale, che è l'essere
della sua sostanza, una cosa è detta ente in senso pieno ed assoluto
e bene in qualche modo, cioè in quanto è una entità ; al contrario,
secondo la sua ultima attualità una cosa si dice ente in qualche
modo, e buona in senso pieno ed assoluto. Quindi allorchè Boezio
afferma che cc nelle cose altro è l'esser buone, altra cosa .l'essere»,
si deve intendere dell'essere e del bene presi entrambi in senso pieno
e assoluto: perchè in forza dell'atto primo e fondamentale una cosa
è ente in senso pieno e assoluto, ed è invece bene in tal senso in
forza del suo atto ultimo. Al contrario, in forza della sua prima
attualità è bene solo in qualclie maniera, e in forza della sua ultima
e perfetta attualità è solo in qualche modo ente.
2. Si può dire che il bene è come una forma nuova, in quanto si
considera il bene in senso pieno e assoluto il quale consiste nell'ul-
tima attualità.
3. Ugualmente si rispontle alla terza difficoltà ; che cioè il bene
può dirsi maggiore o minore in base alle attualità [o perfezioni)
aggiunte, come potrebbero essere la scienza o la virtù.

1 come dirà più avanti S. Tommaso anche a proposito del vero, ti solo el&-
mento che distingue la nozione di llene e la nozione di ve1·0 da quella di ente, è
una certa relaztone oggettiva, non reale ma di ragione, ossia formata dalla mente
nell'Identica realtà significata realmente da tutte e tre quella nozioni. Una cosa
che esiste o <;he pu6 eststere: ecco la nozione di ente, la .Più semplice di tutte.
Ma la medesima cosa che esiste, In \'lrtù solo di <~nello che è senza null'altro
ricevere, riveste noztone dt vero In quanto è constderata rispetto a un tntelletto
da cui è pensata o da cui può essere pl'nsata ; e, pure in virtù di quello solo che
è, riveste noztone dt bene In quanto è constderata rispetto a una t•olontà che la
IL BENE IN GENERALE 135-

est ens: esse enim est actualitas ornnis rei, ut ex superioribus [q. 3,
a. 4; q. 4, a. 1, ad 3] patet. Unde manifestum est quod bonum et
ens sunt idem secundum rem: sed bonum dicit rationem appetibili&,
quam non dicit ens.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, licet bonum et ens sint idem se-
cundum rem, quia tamen differunt secundum rationem, non eodem
modo dicitur aliquid ens simplicite·r, et bonum simpliciter. Nam cum
ens dicat aliquid proprie esse in actu ; actus autem prpprie ordi-
nem habeat ad potentiam ; secundum hoc simpliciter aliquid dicitur
ens, secundum quod primo discernitur ab eo quod est in potentia
tantum. Hoc autem est esse substantiale rei uniuscuiusque; unde per
suum esse substantiale dicitur unumquodque ens simpliciter. Per
actus autem superadditos, dicitur aliquid esse secundum quid, sicut
esse album significat esse secundum quid: non enim esse album au-
fert esse in potentia simpliciter, cum adveniat rei iam praeexistenti
in actu. Sed bonum dicit rationem perfecti, quod est appetibile: et
per consequens dicit rationem ultimi. Unde id quod est ultimo per-
f ectum, dicitur bon11m simpliciter. Quod autem non habet ultimam
perfectionem quam debet habere, quamvis habeat aliquam perfe-
ctionem inquantum est actu, non tamen dicitur perfectum simp.Uci-
ter, nec bonum simpliciter, sed secnndum quid. - Sic ergo secun-
dum primum esse, quod est substantiale, dicitur aliquid ens sim-
pliciter et bonum secundum quid, idrst inquantum est ens: secun-
dum vero ultimum actum, dicitur aliquid ens secundum quid, et
bonum simpliciter. Sic ergo quod dicit Boetins, quod "in rebus aliuct
est quod sunt bona, et aliud quod sunt », reterendum est ad esse bo-
num et ad esse simplicite1·: quia sernndum primum actum est ali-
quid ens simpliciter; et secundum ultimum, bonum simpliciter. Et
tamen secundum prirnum actum est quodammodo bonum: et se-
cundum ultimum actum est quodammodo ens.
Ao sECUNDUM DICENDU~f- quod bonum dicitur per informationem,
prout accipitur bonurn simpliciter, secundnm ultimum actum.
Et similiter dicendurn ad tertium, quoct bonum dicitur secundum
magis et minus, secundum actum supervenientem ; puta sec.1mdum
scientiam vel virtutem.

vuole o può volerla. Questi rispetti o relazioni sono l'elemento distintivo delle no.
zionl di vero e di bene, non e~presse esplicitamente nella nozione di ente.
• Per scendere a un esempio concreto, si dlce: Pietro t, ossia esiste (est ens
slmpliciter ~o è esistente senz'aggiunta) appena elle ha il suo essere sostanziale di
uomo.
• Cosl dunque, si dice che Pietro t (senz'aggiungere altro - simpl!citer -) non
app;ma ha il suo essere sostanziale, ma non si c!ice che t, senza preci~re il nuovo
essere che riceve, quando all'essere sostanziale si aggiungono esseri accidentali.
Allora si dice, p. es., che t 1aptente, forte, grasso, ecc. L'essere sostanziale ta
I'. eus s1mpliciter "• gli esseri accidentali aggiunti tanno 1' "ens secundum quid "·
tSG LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 2

ARTICOLO 2
Se il bene concettualmente sia prima dell'ente.

SEMBRA che il bene concettualmente sia anteriore all'ente. Infatti:


1. L'ordine dei nomi segue l'ordine delle cose espresse dai nomi.
Ora Dionigi tra i nomi di Dio, pone il bene prima dell'ente. Dunque
il bene conoottualmente è anteriore all'ente.
2. E prima secondo l'ordine di ragione ciò che si estende ad un
numero maggiorii di oggetti. Ora, il bene ha un'estensione maggiore
dell'ente; perchè, al dire di Dionigi, «il bene si estende alle cose esi-
stenti e a quelle non esistenti, mentre l'ente si estende alle sole esi-
stenti "· Dunque il bene razionalmente è prima dell'ente.
3. Ciò che è più universale ha una priorità di ragione. Ora, il bene
pare che sia più universale dell'ente, percbè il bene si presenta come
appetibile, e per alcuni è desiderabile perfino il non esistere, oome
si afferma di Giuda: «sarebbe stato meglio per quest'uomo che non
fosse mai nato». Dunque il bene razionalmente è prima dell'ente.
4. Non l'essere soltanto è desiderabile, ma anche la vita e la sa-
pienza e tante altre cose del genere: di qui a.ppare che l'essere è
un desiderabile particolare, mentre il bene è il desiderabile nella sua
universalità. Dunque il bene nel suo concetto è assolutamente an-
teriore all'essere.
IN CONTRARIO: E detto nel libro De Causis che «l'essere è la prima
delle cose create"·
RISPONDO: L'ente concettualmente è prima del bene. Infatti il si-
gnificato letterale del nome [che noi diamo a una cosa] è ciò che
1' intelletto concepisce della medesima, e che esprime mediante la
parola: perciò è primo, come concetto, ciò che per primo cade sotto
la concezione della nostra intelligenza. Ora, nel concepire che fa la
nostra intelligenza in primo luogo viene l'ente; perchè, come dice Ari-
stotele, una cosa è conoscibile in quanto è in atto. Coslcchè l'ente è
l'oggetto proprio dell'intelligenza: e quindi è il primo intelligibile,
come il suono è il primo oggetto dell'urtito. 1 Cosi dunque l'essere
precede concettualmente il bene.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi tratta dei nomi di Dio in
quanto implicano un rapporto di causalità riguardo a Dio: noi,
infatti, come egli osserva, nominiamo Dio [partendo] dalle creature,
come si parte dagli effetti [per denomin&re] la causa. Ora, il bene,

1 Oggetto proprio (oggetto formale) di una facoltà è ciò che, come tale, non è
percepito se non da quella facoltà, ed è, anzi, per quella facoltà il mezzo In cui
e per cui coglie tutti gli altri oggetti. Cosi oggetto proprio dell'Intelletto è l'ente,
perchè l'ente (-ciò che una cosa ~ determinatamente IP se stessa) non è conosciuto,
come tale, se non dall" intelletto, e tutti gli oggetti che I' Intelletto coglie, li co-
glie conoscendoli In quanto enti, cioè In quanto sono determinate cose esistenti.
Esso riposa solo quando ha conosciuto, di una cosa qualsiasi, ctò che essa è, ctd
che ta fa essere t11le (ens et quae sunt per se entls). Cosi, p. es., lintelletto co-
.nosce l'uomo quando conosce che cosa è l'uomo.
' Il suono, come parttcolare ente concreto, è oggetto proprio dell'udito, Il quale
percepisce anche, sempre concretamente, tante altre cose (l'essere stesso, la pro-
porzione, l"estens!one, il tempo, il sentimento), ma soltanto in quanto vibranti nel
IL BENE IN GENERALE 137

ARTlCULUS 2
Utrum bonum secundum rationem sit prius quam ens.
t Seni., d. 8, q. 1, a.. 3; I Cont. Gent., c. 20; De Vertt., q. 21, a. 2, ad 5: a.. 3.
An SECUNDUM SIC PROCEIHTUR. Videtur quod bonum secundum ratio-
nem sit prius quam ens. Ordo enim nominum est secundum ordinem
rerum significatarum per nomina. Sed Dionysius, inter alia nomina
Dei, prius p.onit bonum quam ens, ut patet in 3 cap. De Div. Nom.
[lect. 1). Ergo bonum secundum rationem est prius quam ens.
2. PRAETEREA, illud est prius secundum rationem, qu 0d ad plura
se extendit. Sed bonum ad plura se extendit quam ens: quia, ut dicit
Oionysius, 5 cap. De Div. Nom. [lect. 1), cc bonum se extendit ad exi-
stentia et non existentia, ens vero ad existentia tantum ». Ergo bo-
n11m est prius secundum rationem quam ens.
3. PRAETEREA, quod est universalius, est prius secundum rationem.
Sed bonum videtur universalius esse quam ens: quia bonum habet
rationem appetibilis ; quibusdam autem appetibile est ipsum non
esse ; dicitur enim, Matth. 26, 24, de I uda: cc bonum erat ei, si natus
non fuisset '" etc. Ergo bonum est prius quam ens, secundum ra-
tionem.
4. PRAETEREA, non solum esse est appetibile, sed et vita et sapientia,
et multa huiusmodi: et sic videtur quod esse sit quoddam particulare
appetibile, et bonum, universale. Bi:mum ergo simpliciter est prius
secundum rationem quam ens.
SEo CONTRA EST quod dicitur in libro De Causis [prop. 4, lect. 4),
quod "prima rerum creatarum est esse"·
RESPONDEO DICENDUM quod ens secundum rationem est prius quam
bonum. Ratio enim significata per nomen, est id quod concipit in-
tellectus de re, et signiflcat illud per vocem: illud ergo est prius
secundum rationem, quod prius cadit in conceptione intellectus.
Primo autern in conceptione intellectus cadit ens: quia secundum
hoc unumquodque cognoscihile P!'lt, inqnantum est actn, ut dicitur
in 9 Metaphys. [c. 9, lect. 10). Unde ens est proprium obiectum intel-
lectus: et sic est primum intelligibile, sicut sonus est primum audi-
bile. lta ergo secundum rationem prius est ens quam bonum.
An PRIMUM ERGO mcF..NDUM qnod Dionysius determinat de <Uvinis
nominibus secundum qnod importa.nt circa Deum habitudinem cau-
sae: nominamus enim Deum, ut ipse dieit [De Div. Nom., c. 1, lect. 3),

suono stesso, e fatti, per cosi dire, suono. La distinzione degli oggetti propri è
la ragione della distinzione delle facoltà stesse. !Via questo non Impedisce l'unità
del conoscere, perchè essendo. quella del sensi e quella dell'intelletto, attività
di una stessa anima, o di uno stesso supposlto, nella realtà che viene a contatto
del soggetto conoscente, l sensi colgono Il loro oggetto {l'aspetto superficiale e ac-
cidentale della realtà) e l'Intelletto Il suo oggetto {l'aspetto profondo ed essenziale
della realtà manifestato nelle qualità percepite dal sensi). Ma condizione indispen-
sabile di ogni cognizione è che l'oggetto esista, sta tn atto determinatamente .se-
condo la sua natura, abbia 11 suo ttetermtna'to essere. Se· è in potenza soltanto,
non è conoscibile se non per riferimento all'atto, quindi non per ciò che è, o88la
per la potenza che è Indeterminata, ma per ciò che può essere o sarà. P. es., la ca-
pacità di una sbarra di ferro a divenire tante cose, non è conoscibile se non per
riferimento a dette cose determinatamente.
1-iO LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 3

ARTICOLO 3
Se ogni ente sia buono.

SEMBRA che non ogni ente sia buono.· Infatti :


1. Il bene aggiunge qualche cosa all'ente, come resulta dal gia
detto. Ora, ciò che aggiunge qualche cosa all'ente, lo coarta, ne
restringe il significato: come fanno la sostanza, la quantità, la l!Ua-
lità e simili. Quindi il bene restringe l'ente, e perciò non ogni ente è
buono.
2. Nessun male è buono; sta scritto infatti in Isaia: "Guai a voi
che dite mate il bene e bene il male n. Ora, alcuni enti si dicono cat-
tivi. Dunque non ogni ente è buono.
3. Il bene nel suo concetto dice appetibilità. Ora, la materia prima
Il On dice appetibilità, ma appetito O tPndenza [ poichè tende all'atto
o alla forma come ogni potenzialità]. Perciò non presenta la natura
di bene. Quindi non ogni ente è buono.
4. Dice Aristatele che ne!le entità matematiche non esiste il bene.
Ma anche le entità matematiche sono enti, altrimenti di esse non
avremmo una scienza. Dunque non ogni ente è buono.
IN CONTRARIO: Ogni essere che non è Dio, è creatura di Dio. Ma
«ogni cosa creata da Dio è buona 11 come si legge nella Scrittura.
Dio poi è sommamente buono. Dunque ogni ente è buono.
RISPONDO: Ogni ente, in quanto ente, è buono. Infatti ogni ente, in
quanto ente, è in atto, e in qualche modo perfetto; perchè ogni atto
6 una perfezione. Ora, il perfetto ha ragione di appetibile e di bene,
come si è dimostrato sopra. Conseguentemente ogni ente, in quanto
tale, è buono.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La sostanza. la quantità e la qua-
lità e tutto ciò che si trova contenuto sotto questi generi, restrin-
r-ono l'ente applicandolo a qualche quiddità o natura. Non così fa
il bene rispetto all'ente; ma gli aggiunge soltanto l'idea di appeti-
Ule e di perfezione, e ciò con1pete allo stesso essere in qualsiasi na-
tura si trovi. Dunque il bene non restringe l'ente. 1
2. Nessun ente si dice cattivo in qnanto ente, ma in quanto man-
cante di un certo essere: così l'uomo si dice cattivo perchè gli manca
l'entità virtù; e l'occhio si dice cattivo quando è mancante del-
l'acume della vista.•
Platonismo. Conseguentemente alla dottrina del primato dell'essere su1 bene,
f.. Tommasa ln,ei:merà la supel'iorità. In linea assoluta, dell'Intelletto sulla VO·
lontà e la dipendenza di questa da quello (cfr. 1, q. 82, aa. 3, 4). L'Intelletto dà alla
volontà la forma, poichè la o'.let~rmlna prefiggendole il fine, senza di che essa non
passerehbe ali 'atto. Molte tesi di filosofia e di teologia sono fondate sopra questa
dottrina; cosi, p. es.: In metafisica, la tesi che le essenze necessarie e Immutabili
delle cose dipendono formalmente dall'Intelletto divino e fondamentalmente dal-
l'essere divino; (cfr. 1, q. 15, a. 2; De Pot., q. 1, a. 3; De Ver., q. a, a. 2 et alibi);
In morule, la tesi che la regola suprema della moralità è la Legge Eterna, •·la
quale è, oome dire, la ragione di Dio• (1-11, q. 71, a. 6; cfr. 1, q. 19, a. 4; ne Ver.,
q. 23, a. 6); tn dogmatica, la tesi che l'essenza della beatitudine con~lste nella vi-
sione di Dio (cfr. 1-11, q. 3, a. 3). Realista però sempre padrone della sua specula-
zione, s. Tommaso tempera proprio nella questione della conoscenza di Dio il suo
IL BENE IN GENERALE 141

ARTICULUS 3
Utrum omne ens sit bonum.
I Sent., d. 8, q. 1, a. 3; f Cont. Gent., c. '1 ; I, r.. 20 : De Ve1it., q. lit, a. t:
De he'Odom., lect. !l.

Ao TERTIUM sic PROCEDITUR. Videtur quod non omne ens sit bonum.
Bonum enim addit supra ens, ut ex dictis [a. 1] patet. Ea vero quae
addunt aliquid supra ens, contrahunt ipsum: sicut substantia, quan-
titas, qualitas, et alia huiusmodi. Ergo bonum contrahit ens. Non
1gitur omne ens est bonum.
2. PRAETEREA, nullum malum est bonum: Isaiae 5, 20, "Vae qui di-
citis malum bonum, et bonum malum. » Sed aliquod ens dicitur ma-
lum. Ergo non omne ens est bonum.
3. PRAETEREA, bonum habet rationem appetibilis. Sed materia prima
non habet rationem appetibilis, sed appetentis tantum. Ergo materia
prima non habet rationem boni. Non igitur omne ens est bonum.
4. PRAETEREA, Philosophus dicit, in 3 Metavhys. [c. 2, lect. 4], quod
in mwthematicis non est bonum. Sed mathernatica s1mt quaedam en-
tia: alioquin de eis non esset scientia. Ergo non omne ens est bonum. -
S1m CONTRA, omne ens quod non est Deus, est Dei creatura. Sed
« omnis creatura Dei est bona"• ut dicitur 1 ad Tim., 4, 4: Deus
vero est maxime bonus. Ergo omne ens est bonum.
RESPONDEO DICENDUM quod omne ens, inquantum est ens, est bo-
num. Omne enim ens, inquantum est ens, est in actu, et quodam-
modo perfoctum: quia omnis actns perfectio quaedam est. Perfec-
tum vero habet rationem appetibilis et bord, ut ex dictis [a. 1] patct.
Unde sequitur omne ens, inquantum huiusmodi, bonum esse.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod suhstantia, quantitas et qualitas,
et ea quae sub eis continentur, contrahunt ens applicando ens ad ali-
quam quidditatem seu naturam. Sic autem non addit aliquid bonum
super ens: sed rationem tantum appetihilis et perfectionis, quod
convenit ipsi esse in quacumque natura sit. Unde bonum non con-
trahit ens.
AD SECUNDUM nICENDUM quod nullum ens dicitur malum inquantum
est ens, sed inquantum caret quodam esse: sicut homo dicitur malus
inquantum caret esse virtutis, et oculus dicitur malus inquantum
caret acumine visus.,

lntellettnalismo, ammettendo, e per una ragione desunta dalla natura stessa del
nostro Intelletto, che finchè slamo In terra legati al presente modo di conoscere,
è meglio amare Dio che conoscerlo (I, q. 82, a. 3; cfr. Introd., n. !11).
t In altri termini il concetto cli ente e il concetto di bene hanno la ste.<;Sa
estensione: abbracciano tutta la realtà. Il concetto invece di sostanza, o di qua-
lità, o di quantità, ecc., non si estende a tutta la realtà, ma si applica a una
parte di ·essa.. La sostanza è un i:artlcolare ente, e cosi la qualità e la quantità,
ecc.
2 Il male, come dice altrove S. Tommaso, es~endo privaztone di perfezione o di
entit:l. In un soggetto che di sua natura deve averla, non può esistere se non nel
bene: cioè In un soggetto che non è del tutto sfornito di perfezione e di entità,
chè altrimenti sarebbe il nulla : e sotto questo aspetto anche ciò che si dice male
è un bene (Cfr. I, q. 48, spec. aa. !l, 3, 4).
142 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5. na. 3-4

3. La materia prima come non è ente se non in potenza, così. non


è bene se non potenzialmente. Dal punto di vista dei Platonici si po-
trebbe anche dire che la materia prima è un non-ente a motivo della
privazione che include; ma anche così intesa partecipa qualche cosa
del bene, cioè l'orientamento e l'attitudine al bene. E proprio per
questo non le compete d'essere appetibile, ma piuttosto di appetire
es'sa stessa.
4. Le entità matematiche [numeri, punti, linee, triangoli, ecc.]
non sussistono separate nella realtà, chè se sussistessero, ci sarebbe
in esse il bene, cioè il loro stesso essere reale. Le entità matematiche
poi non esistono separate dalle cose se non per un atto della ragione,
in quanto cioè sono [concepite come] astratte dal moto e dalla ma-
teria; e in tal modo son•) sottratte alla ragione di fine, il quale di
sua natura è principio movente. E non e' è niente di strano che in
qualche essere, idealmente, manchi il bene o l'aspetto caratteristico
di bene, quando sappiamo che l'idea di ente è anteriore all'idea di
bene, come già si disse.

ARTICOLO i
Se il bene abbia il carattere di causa finale. 1

SEMBRA che il bene più che di causa finale rivesta il carattere


di altre cause. Infatti:
1. Dice Dionigi : u Il bene è lodato come bellezza"· Ora, il bello
appartiene alla causa formale. Dunque anche il bene.
2. II bene è diffusivo del suo essere, come abbiamo dalle parole di
Dionigi, dove dice che " il bene è ciò da cui deriva che le cose sus.si-
stono e sono"· Ora, essere diffusivo è proprio della causa efficiente.
Dunque il bene ha il carattere di causa efficiente.
3. S. Agostino afferma che "noi esistiamo perchè Dio è buono,,_
Ora, noi siamo da Dio come da causa efficiente. Dunque il bene ha
il carattere di causa efficiente.
IN CONTRARIO: Aristotele dite che <<lo scopo per cui una cosa esiste
è come il fine ed il bene di tutto il resto'" Quindi il bene ha carattere
di causa finale.
RISPONDO: Bene si dice quanto è comunque desiderato, e ciò im-
plica l'idea di fine; è evidente quindi che il bene presenta il carattere
di causa finale. Nondimeno lidea di bene presuppone l' idea di
causa efficiente e quella di causa formale. Noi infatti vediamo che
le cose riscontrate come prime nel causare sono le ultime nel cau-
sato: p. es., il fuoco, prima di comunicare la sua natura di fuoco,
riscalda, sebbene il calore nel fuoco sia dovuto alla sua forma so-
stanziale. 2 Ora, nell'ordine delle cause, prima si riscontra il bene - il
1 SI precisa cosi anche meglio la differenza di concetto tra il bene e l'ente. li
bene, esprimendo l"appetlbllttà, ossia la rerrezlone dell'ente, dice in prima linea
la causalità che muove appetttn sui allettando, attraendo; il che è pl'oprio della
causa finale; mentre l'ente in prima linea, dirò cosi, dice l'atto costitutivo di
ciò che esiste (u ens dlcltur ah actu extstendi u), ossta la causaittd formale (cfr.
q 3, a. 4: •l'esistere è l'attualità di ogni torma o natura•).
IL BENE IN GENERALE 143
Ao TERTIUM DJCENDUM quod materia prima, sicut non est ena nisi
in potentia, ita nec bonum nisi in potentia. Licet, secundum Plato-
nicos, dici possit quoù materia prima est non ens, propter privatio-
nem adiunctam. Sed tamen participat aliquid de bono, scilicet ipsum
ordinem vel aptitudinem ad bonum. Et ideo non convenit sibi quod
sit appetibile, sed quod appetat.
Ao QVARTUM DICENDUM quod mathematica non subsistunt separata
secundum esse: quia si subsisterent, esset in eis bonum, scilicet ip-
sum esse ipsorum. Sunt autem rnathematica separata secundum ra-
tionem tantum, prout abstrahuntm· a motu et a materia: et sic ab-
strahuntur a ratione finis, qui habet rationem moventis. Non est
autem inconveniens qund in aliquo ente secundum rationem non sit
bonum vel ratio boni: cum ratio entis sit p·rior quam ratio boni,
sicut supra [a. 2] dictum est.

ARTICULUS 4
Utrum bonum habeat rationem causae finalis.
Supra, a. 2, ad 1 ; I Sent., d. 34, q. 2, a. 1, ad 4 ; I Cont. Gent.i c. 40:
De Vertt., q. 21, a. 1; De Dtv. Nom., c. 1, lect. 3; f Phystc., ect. 5.

AD QUARTUM SIC PROCr.DITVR. Videtur quod bonum non habeat ra-


tionem cansae fina!is, sed magis aliarum. Ut enim dicit Dionysius,
4 cap. De Div. Nom. [lect. 5): « bonum laudatur ut pulchrum '" Sed
rmlchrum importat rationem causae formalis. Ergo bonum habet ra-
tionem cansae formalis.
2. PR.\ETEREA, bonum est diffusivum sui esse, ut ex verbis Dionysii
[De Di.,;, Nom., c. 4, lect. 3) accipitur, quibus dicit quod ubonum est
ex quo omnia subsistunt et sunt "· Sed asse diffusivum importat ra-
tionem causae efficientis. Ergo bonum hahet rationem causae effi-
cientis.
3. PRAETEREA, dicit Augustinus in I De Doctr. Christ. [c. 32), quod
"quia Deus bonus est, nos sumus '" Sed ex Deo sumus sicut ex causa
efficiente. Ergo bonum importat rationem causae efficientis.
SEn CONTRA EST quod Philosophus dicit, in 2 Physic. [c. 3, lect. 5],
quod "illud cuius causa est, est sicut finis et bonum aliorum '" Bo-
num ergo habet rationem causae finalis.
RESPONDEO DICENDUM quod, cum bonum sit quod omnia appetunt,
hoc autem habet rationem finis: manifestum est quod oonum ratio-
nem finis importat. Sed tamen ratio boni praesupponit rationem
causae effi.cientis, et rationem causae formalis. Videmus enim quod
id quod est primum in causando, ultimum est in causato: ignis enim
primo calefacit quam formam ignis inducat, cum tamen calor in
• L'Idea di bene (=perfetto) presuppone: prima la natura costitutiva del sog-
get1 o (p. es. la natura del fuoco), poi le proprietà attive che derivano dalla natura
(p. es., il calore). e quindi l'azione (p. es .. il riscaldamento). Quando un ente ha
tutto questo realizza la nozione di bene o di perfetto; e comincia l'ordine del
causare sotto l'influsso del fine, che determina l'azione, cioè sotto l'influsso del
bene o della perfezione da realizzare nell'effetto.
144 LA SO!'\IMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 4

fine - che mette in movimento la causa efficiente; poi, viene l'azione


della causa efficiente, che muove alla [nuova] forma; finalmente si
ha [nel soggetto) la forma. Nell'effetto causato invece si ha un or-
dine inverso; cioè, prima si ha la forma, che costituisce l'essere ;
poi, in questa forma si riscontra una virtù attiva, che appartiene
all'essere perfetto (perchè, come insegna Aristotele, una cosa è per-
fetta quando può produrre il suo simile); finalmente segue la ra-
gione di bene, su cui si fonda la perfezione dcll'c.nte. 1
SOLUZJOì'\E DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Veramel!te il 1.Jello ed il buono nel
soggetto in cui esistono si identificano, perchè fondati tutti e dne
sulla medesima cosa, cioè sulla forma ; e per questo il bene viene
lodato come bellezza. Ma nel loro concetto proprio differiscono. n
bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il Lene ciò che ogni ente
appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poichè l'appetire è come
un muoversi verso una e.osa. Il bello, invece, riguarda la facoltà
conoscitiva; belle infatti sono dette quelle cose che viste destano pia-
cere. Per cui il bello com.iste nella debita proporzione ; poichè i no-
stri sensi &i dilettano nelle cose hen proporzionate, come in qualche
cosa di simile a loro; il senso infatti come oani altra facoltà cono-
scitiva, è una specie di proporzione.• E poichè la conoscenza si la
per assimilazione, e la somiglianza d'altra parte riguarda la forma,
H bello prl)priamente si ricollega ali' idea di causa formale.
2. Si dice che il bene tende a diffondere il proprio essPrr. [non come
causa agente ma] nel senso stesso in cui si dice che il fine muove.
3. L'agente volontario [p. es., l'uomo] si dice buono in quanto ha
la volontà buona, perchè noi facciamo uso di tutto quello che è in
noi mediante la volontà. Quindi non si rlice buono un uomo che ha
huona mte!ligenza, ma un uomo che ha buona la. volontà. Ora, la
volontà ha per proprio og-g-etto il fine; e q11indi la frase [di S. Ago-
stino] 11 noi esistiamo perchè Dio è buono,, si riferisce a!Ja causa
finale.

1 Onde la ragione di bene o di perfezione (il bene ontologtco), che 91 deve con-
cepire come anteriore nella causa (ordine del causare), poichè un ente non causa
se non In !orza della sua perfezione, non si concepisce se non come posteriore e
ultimo nell'effetto (ordin" del causatoì, percbè sotto l'influsso della causa l'ef-
fetto si costituisce ed ha il suo complemento gradualmente: prima ha la torma
per cui è un determinato ente (p. es., un uomo) ; poi la virtù attiva per cui può-
agire (p, es., può generare) ; quindi lo si concepisce come ontologicamente per-
fetto, ossia realizza l'idea di bene.
~ Pare che Il significato di ra tlo qui sia proprio quello di proporzione, come
si ha nel Comm. In s Dc antma, c. 2, lect. 2, in fine: • eo quod sensus est pro-
portio quaedam " (cfr. Bul!. Thom., 1932, p. 632).
Proportto poi equivale a relatfo. Le facoltà conoscitive hanno vitale relazione
con le cose esistenti, poichè tendono di lorn natura ad assimilarsi ad esse. L'es-
~ere Intrinseco delle facoltà conoscitive non si limita a costituirle in se stesse,
ma le orienta nello stesso tempo e le porta all'as5imilazione conoscitiva delle cos~.
Il loro essere è tntenztona'le, tende alle cose; e le cose in un ordine superiore
d'Immaterialità Improntano d! sé le facoltà conoscitive, come nn' Immagine lu-
minosa· colora di sè un limpido cristallo. Nell'atto del conoscere conoscente e co-
nosciuto si Identificano.
Quando le cose conoscibili. essendo sensibilmente o lucidamente proporzionate
e armonizzate nella molteplicità delle loro parti, si prestano alla !acile percezione
IL BENE IN GENERALE 145

igne consequatur formam substantialem. In causando autem, pri-


mum invenitur bonum et finis, qui movet efficientem ; secundo, actio
efficientis, movens ad formam; tertio advenit forma. Unde e con-
verso esse oportet in causato: quod primum Rit ipsa forma, per quam
eRt ens; secundo consideratur in ea virtus effectiva, secundum quod
est perfectum in esse (quia unumquodque tunc perfectum est, quando
potest sibi simile facere, ut ùicit Philosophus in 4 Meteor. [c. 3];
tertio consequitur ratio boni, per quam in ente perfectio fundatur.
An PRIMl'M ERGO DTCENDUM qnod pulchrum et bonum in subiecio
quidem sunt idem, quia super eandem rem fundantur, scilicet super
formam: et propter hoc, llouum laudatur ut pulchrum. Sed ratione
differunt. Nam bonum proprie respicit appetitum: est enim bonum
~1uod omnia appetunt. Et ideo habet rationem finis: nam appetitus
est quasi quidam motus ad rem. Pulchrum autem respicit viro co-
gnoscitivam: pulchra enim dicuntur quae visa placent. Unde pul-
chrum in debita proportione consistit: quia sensus deloctatur in re-
bus debite proportionatis, sicut in sibi similibus; nam et sensus ratio
quaedam est, et omnis virtus cognoscitiva. Et quia cognitio fit per
assimilationem, similitudo autem respicit formam, pulchrum proprle
pertinet ad rationem causae formalis.
Ao SECUNnuM mcENDUM quod bonum dicitur diffusivum sui esse,
eo modo quo finis dicitur movere.
An TE1mcM DICENDUM quod quilibet hahens voluntatem, dicitur bo-
nus inquantum habet bonam voluntatem: quia per voluntatem uti-
mur omnibus quae in nobis sunt. Unde non dicitur bonus homo, qui
habet bonum intellectum: sed qui habet bonam voluntatem. Voluntas
autem respicit finem ut obiectum proprium: et sic, qupd dicitur,
"quia Deus est bonus, sumus », refertur ad causam finalem.

delle facoltà conoscitive, cagionano Il diletto, che costituisce essenzialmente Il


hello: belle sono le cose "quae visa placent '" Piacciono perchè simili alle facoltà
conoscitive stesse: molteplicità armonica, unità, ricca semplicità.
S. Tommaso pone qui incidentalmente elementi di estetica di valore essenziale.
Il bello come il bene, come Il Yero, riposano sull'essere della cosa (sulla forma),
che fonda tutti l rapporti o relazioni con le nostre facoltà. Il rapporto dell'ente
al poteri affettivi come oggetto appetibile, costituisce l'ente·bene, che muove co11Le
fine (ordine della causa finale); Il rapporto dell'ente alle facoltà conoscitive come
ad esse manifesto e adeguato, costituisce l'ente-vero (ordine della causa formale):
Il rapporto dell'ente alle facoltà conoscitive come proIJorzionato ad esse e cau-
sante attività di assJmilazione facile e dilettevole e appagamento nel coglierne
senza sforzo le perfezioni, costituisce l'ente-bello <ordine della causa formale, ma
con un 1·apporto diverso dal 11reccdente).
Q.uestl elementi si implicano a vicenda e manifestano la ricchezza dell'essere.
Ogni ente è buono e vero e beilo nella misura che è ricco di essere. Il bene, il
vero, il bello, pur avendo un rapporto con le nostre facoltà, non sono categorie
soggettive, come vorrebbero certi teorici, ma sono manifestazioni dell'essere di (UI
vivono le nostre facoltà. (In altri luoghi della Somma S. Tommaso accenna al bello
cosi: /, q. 39, a. 8; I·II, q. 27. a. 1, ad 3; 11-11, q. 145, a. 2, ad t ; q. 116, a. 2, aù 2:
q. 142, aa. 2, 4 ; q. 145, a. 2; q. 180, a. 2, ad 3. Nelle ultime quattro cltazlonl parla
del bello morale).
146 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 5

ARTICOLO 5
Se la natura del bene consista nel modo, nella specie
e nell'ordine. a

SEMBRA che la natura propria del bene non consista nel modo, nella
specie e nell'ordine. Infatti:
1. Il bene e l'ente concettualmente differiscono, come è già stato
detto. Ora, modo, specie e ordine sembrano piuttosto appartenere al
·concetto di ente, poichè si dice nella Scrittura: «tutte Le cose [o enti]
disponesti in misura, numero e peso n; e a questi tre elementi si ri-
ducono il modo, la specie e l'ordine, come spiega lo stesso S. Ago-
stino, il quale appunto scrive: «La misura determina a ciascuna
cosa il suo modo; il numero offre a ogni cosa la sua specie ; e il peso
trae ogni cosa al sno riposo e alla sua Sltabilità n. Dunque non l'es-
·senza del bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
2. Modo, specie ed ordine sono anch'essi dei beni. Se dunque il
·bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine, bisogna che ognuna
di queste cose abbia e modo e specie e ordine. Si andrebbe così al-
l' infinito.
3. TI male consiste nella privazione del modo, della specie e del-
l'ordine. Ora, il male non toglie totalmente il bene. 2 Dunque il ben.e
non consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
4. Non può dirsi cattivo ciò che forma l'essenza del bene. Ora,
si dice: malo modo, cattiva specie, ordine difettoso. In essi dunque
non può consistere l'essenza del bene.
5. Modo, specie e ordine, derivano dal peso, dal numero e 1lalla
misura com'è evidente dal brano citato di S. Agostino. Ora, non
·tutte le cose buone hanno nnmero, peso e misura; S. Ambrogio in-
fatti dice che «la natura della luce consiste nel non essere stata
·creata in numero, peso e misura n. Dunque il bene non consiste nel
modo, nella specie e nell'ordine.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: «Queste tre cose: il modo, la
specie e l'ordine sono come dei beni generali nelle cose fatte da Dio:
per cui, dove queste tre cose sono grandi, vi sono grandi beni ; •fove
picc.ole, piccoli beni ; dove non ci sono, non c'è alcun bene». Ciò
·non sarebbe se in esse non consistesse l'essenza del bene. Dunque i1
bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
RrsPoNoo: Una cosa è detta buona nella misura che è perfetta,
perchè per questo è desiderabile, come si è dimostrato sopra. Perfetto
infatti è ciò cui niente manca stando al modo della sua perfezione.
Siccome poi ogni essere è quello che è in forza della sua forma, e sic-
·come ogni forma ha i suoi presupposti e le sue conseguenze necessa-
rie; affinchè una cosa sia perf.etta e buona è necessario che abbia la
sua forma. i prerequisiti di essa e ciò che ne deriva. Ora, ogni forma
preesiu:e l'esatta determinazione o commensurazione dei suoi prin-
cipii tanto materiali che efficienti; e ciò viene espresso dal modo:
' n quesito vrende lo spunto dai testi della Scrittura e di S. Agostino r1Portatl
·nel 10 argomento. La nostra versione dei tre termini è una pura trascrizione delle
corrispettive voci !nUne; soltanto la lettura di tutto l'articolo può chiarirne 11
IL BENE IN GENERALE

ARTICULUS 5
Utrum ratio boni consistat in modo, specie et ordine.
1-11, q. 85, a. 4: De Vertt., q. 21, a. 6.
Ao QUINTUM sic PROCEDITUR. Videtur quod ratio boni non consistat
in modo, specie et ordine. Bonum enim et enlì ratione differunt., ut
supra [a. 1) dictum est. Sed modus, species et ardo pertinere ad
rationem entis videntur: quia, sicut dicitur Sap. 11, 21, "omnia in
numero, pondere et mensura disposuisti », ad quae tria reducuntl:r
species, modus et ardo: quia, ut dicit Augustinus, 4 super Gen. ad
Wteram [c. 3]: cc rnensura omni rei modum praefigit, et nwnerus
-0mni rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et sta-
bilitatem trahit '" Ergo ratio boni non consistit in modo, specie et
-Ordine. ·
2. PnAETEREA, ipse modus, species et orda bona quaedam sunt. Si
ergo ratio boni consistit in modo, specie et ordine, oportet etiam
qnod mod11s habeat modum, speciem et ordinem: et similiter species
et orda. Ergo procederetur in infinitum.
3. PnAETEnEA, malum est privatio modi et speciei et ordinis. Sed
malum non tollit totaliter bonum. Ergo ratio boni non consistit in
modo, specie et ordine.
4. PRAETEREA, illud in quo consistit ratio boni, non potest dici ma-
lum. Sed dicitur malus modus, mala species, malus ardo. Ergo ratio
boni non consistit in modo, specie et ordine.
5. PRAETEREA, modus, species et ardo ex pondere, numero et men-
sura causantur, ut ex auctoritate Augustini inducta [in 1° arg.)
patet. Non autem omnia bona habent pondus, numerum et mensu-
ram: rlicit enim Ambrosius, in Hexaemeron [I. 1, c. 9], quod cc lucis
natura est, ut non in numero, non in pondere, non in mensura
creata sit '" Non ergo ratio boni consistit in modo, sp.ecie et ordine.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro De Natura Boni
[c. 3): "Haec tria, modus, species et ardo, tanquam generalia bonn
sunt in rebus a Deo factis: et ita, haec tria ubi magna sunt, magna
bona snnt; ubi parva, parva bona sunt; ubi nulla, uullum bonwn
-est'" Quod non esset, nisi ratio boni in eis consisteret. Ergo ratio
boni consistit in modo, specie et ordine.
RESPONDEO DICENDUM quod unumquodque dicitur bonum, inquantum
est perfectum: sic enim est appetibile, ut supra [a. 1, ad 3] dictum
est. Perfectum autem dicitur, cui nihil deest secundum modum suae
pel'fectionis. Cum autem unumquodque sit id quod est, per suam
formam; forma autem praesupponit quaedam, et quaedam ad ipsam
ex necessitate consequuntnr; ad hoc quod aliquid sit perfectum et
bonum, necesse est quod formam habeat, et ea quae praeexiguntul"
.ad eam, et ea quae consequuntur ad ipsam. Praeexigitur autem ad
formarn determinatio sive commensuratio principiorum, seu mate-
rialium, seu efficientium ipsam: et hoc significatur per modum:
significato. Troviamo qui S. Tommaso Intento a trascrivere una terminologia or··
ma i classica In espressioni aristoteliche.
• Vedi p, 141, nota 2.
148 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 5

per cui si dice che la misura predetermina il modo. • La forma stessa


è indicata dalla specie, perchè mediante la forma ogni cosa è costi-
tuita nella sua specie. E per questo si dice che il numero fornisce la
specie ; perchè, al dire di Aristotele, le definizioni che esprimono la
specie sono come i numeri: come infatti un'unità aggiunta o sot-
tratta cambia la specie del numero, così nelle definizioni una diffe-
renza aggiunta o sottratto. rcambia la i;pecie della cosa definita).
Dalla forma poi deriva la tendenza al f:ne, o all'azione o ad altre
cose di questo genere; perehè ogni essere agisce in quanto è in atto,
e tende ver1=;0 ciò che ~li si confà secondo la sua forma. Tutto ciò ~
indicato dal peso e dall'ordine.~ Cosicchè la nozione di bene, come
consiste neìla perfezione, consistP- uuro nel modo, nella speci.e e nel-
l'ordine. 1
Sou·z10NE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Queste tre cose [numero, peso e mi-
sura] non accompagnano l'ente se non in quanto è perfetto: e sotto
quest'aspetto l'ente è buono o bene.
2. Modo, specie e ordine si dicono beni nella stessa maniera che
si dicono enti: non perchè essi siano realtà sussistenti, ma perchè per
mezzo di essi altre cose sono enti e beni. Quindi non è necessario che
essi abbiano altri principii per esser buoni. Infatti non son detti
buoni come se formalmente fossero buoni per mezzo di altri prin-
cipii ; ma perchè per mezzo di essi certe cose sono formalmente
buone; come la bianchezza, p. es., non si dice che è un'entità perchè
è costituita da qualche cosa, ma perchè per mezzo di essa una cosa
ha un certo modo di essere, vale a dire è bianca.•
3. Ogni essere è costituito secondo una certa forma, e perciò a se-
conda del vario modo di essere di ciascuna cosa, vi sarà un modo,
una specie, un ordine: così, un uomo, in quanto uopio, ha un mo<lo,
una specie, un ordine; 11gualmente in quanto hianco ha una specie,
un modo e un ordine ; così pure in quanto è virtuoso e sapiente, e così
per ogni altro suo attributo. Ora, il male priva di un certo esseTP,
p. es., la cecità priva dell'entità della vista: perciò non toglie ogni
modo, specie e ordine, ma soltanto il modo, la specie e lordine pro-
pri dell'entità della vista.
4. Come spiega S. Agostino: «Ogni modo, in quanto modo, è buo~
no,, (e altrettanto può dirsi della specie e dell'ordine) ; (perciò quando
si dice:] «malo modo, cattiva specie, ordine difettoso, si vuole sol:
tanto dire o che in un dato wggetto non ci sono in quel grado in cui
ci dovrebbero essere, o che non sono adattati a quelle cose alle quali
devono essere adattati; cosicchè [modo, specie e ordine] si dicono
cattivi perchè sono fuori di posto e sconvenienti "·
5. La luce è detta da S. Ambrogio senza numero, senza peso e mi-
sura, non in senso assoluto, ma in confronto ad altri corpi, perchè
essa si estende a tutti i corpi ; essendo una qualità attiva del primo
r.c·rpo alterante, cioè del cielo. •
1 Vale a dire: si preeslgono una materia disposta a ricevere la torma e delle
cause efficienti atte a introdurla. La forma quindi nel suo essere specifico e in·
dividuale è determinata dal principii materia.li ed efficienti.
• Peso e ordine sono due termini equivalenti (vedi I<> arg.).
• Modo, specie, ordine sono dunquo, nel bene, aspetti integrativi della perfe-
zione, elle costituisce Il bene stesso. Una cosa è buona, ossia perfetta, quando, pro-
venendo da principi! ben proporzionati per un'azione non dlfetto:;a, consegue una
pienezza Intera di forma. P. es., un bimbo nascendo da genitori sani (modo) ri-
ceve la piena vigoria fisica (specie), e oonseguentemente è inclinato e atto al f1.ne e
IL BENE IN GENERALE 149

unde dicitur quod « mensura modum praefigit" [in 1° arg.]. lpsa


autem forma signifì.catur per spcciem: qui a per formam unumquod-
que in specie constituitur. Et propter hoc dicitur quod cc numerus
speciem praebet »: qui a definitiones signifìcantes speciem sunt sicut
numeri, secuntlum Philosophnm in 8 .Uelaphys. [c. 3, lect. 3]; sicut
enim unitas addita vel subtracta variat speciem numeri, ita in defi-
nitionibus differentia apposita vel subtracta. Ad formam autem con-
scquitur inclinatio ad finem, aut ad actionern. aut ad aliquid huiui::-
modi: quia unumquodque, inquantum est actu, agit, et tendit in id
quod sibi ronvenit secundum suam formam. Et hoc pertinet ad po11-
dus et ordinem. Unde ratio boni, secundum qnod consistit in perfe-
ctione, consistit etiam in modo, specie et ordine.
An PRIMLM ERGO DTCENDL'~I quod ista tria ncm consequuntur ens,
nisi inquantum est perfectum: et secundum hoc est bonum.
An SECUNDUM DICENnur-1 quod modus, species et ardo eo modo di-
cuntur bona, sicut et entia: non quia ipsa sint quasi subsistentia,
scrl quia eis alia sunt et entia et bona. TJnde non oportet quod ipsa
habeant aliqua alia, quibus sint bona. Non enim sie dicuntur bona,
quasi formaliter aliis sint bona; sed quia ipsis formaliter aliqua
sunt bona; sicut albedo non dicitur ens quia ipsa aliquo sit, sed
quia ipsa aliquid eRt secundum quid, sci!icet album.
AD TERTIUM DICENDliM quod quodlibet esse est secundum formam
aliquam: unde secundum quodlibet esse rei, consequuntur ipsam
modus, species et orda: sicut homo habC't speciem, modum et ordi-
nem, inquantum est homo; et similiter inquantum est albus, habet
similiter modum, speciem et ordinem; et inquantum est virtuosus,
et inquantum est sriens, et secnndum omnia quae de ipso dicuntur.
Malum autem privat quodam eS>'e, sicut caecitas privat esse visus:
11nde non tollit omnem modum, speciem et ordinem; sed solum mo-
dum, speciem et ordinem quae conseqnuntur esSP visus.
AD QUARTUM DICENOUM quod, sicut dicit Augustinus in libro De
Natura Boni [cc. ~2. 23], "omnis modus, inquantum modus, bonus
est n (et sic potest dici de specie et ordine): « sed malus modus. ve!
mala species, vel malus ardo, aut ideo dicuntur quia minora sunt
quam esse debuerunt; aut quia non his rebus accommodantur, qui-
hus accommodanda sunt; ut ideo dicantur mala, quia sunt aliena et
incongrua».
AD QUINTUM DICENDUM quod natura lucis dicitur esse sine numero
et pondere et mensura, non simpliciter, sed per comparationem ad
corporalia: quia vlrtus lucis ad omnia corporalia se extendit, in.
quantum est qualitas activa primi corporis alterantis, scilicet caeli.

alle azioni proprie della forma, p. es., al lavoro manuale, Intellettuale, mòrale con
cui dà compimento alla sua perfezione (ordine) .
.. In altre parole, gli elementi sostanziali e accidentali di un ente non sono enti
(ossia esistenti) se non perchè costituiscono l'ente; quindi anche gli elementi
essenziali del bene non sono bene se non perchè costituiscono II bene. Non sono
ct6 che esiste o c16 che è buono, ma cM per cui una cosa esiste o è buona.
• Il primo cielo, secondo la concezione astronomica antica, era mobile di moto
droolare, il più pe .. retto dei movimenti ; avvolgeva l'universo ed era senza alte-
razioni e decomposizioni. Ma il suo moto era causa seronda di tutti gli altri moti,
ed era 11 • primo corpo alterante • perchè mediante la luce, propagata dal moto,
era causa di tutte le alterazioni nel mondo sublunare. La luco era qualità di
que~to primo cielo, che splendeva di luce propria e la diffondeva in tutto l'uni·
Vel'SO,
150 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 6

ARTICOLO 6
Se il bene sia diviso convenientemente in bene onesto,
utile e dilettevole.

SEMBRA che il bene non sia diviso convenientemente in bene one-


sto, utile e dilettevole. Infatti:
1. Dice Aristotele che "il bene si divide secondo i dieci predica-
menti ». 1 Ora, l'onesto, l'utile e il dilettevole s.i possono riscontrare
in un solo predicamento. Quindi non è esatta una tale divisione.
2. Ogni divisione si fa per mezzo di contrapposizioni. Ora, queste
tre cose non sembrano opposte tra loro; perchè, come dice pure Ci-
cerone,• i beni onesti sono anche dilettevoli e nessuna cosa disonesta
è [veramente] utile (ciò che, tuttavia, dovrebbe essere, se la divisione
8i facesse per contrapposizione in modo da opporre onesto e utile).
Non è dunque conveniente la s11ddetta divisione.
3. Se una cosa esiste ver un'altra [non si devono quest-e due COSP
contrapporre perchè in certo modo] non ne formano che una sola.
Ora, l'utile, non è buono se non perchè la raggiungere il dilettevole
e l'onesto. Dunque l'utile non Ri deve dividere in contrappoF>izionr
all'onesto e al diletteYole.
IN CONTRARIO: S. Ambrogio usa tale divisione del bene.
RISPONDO: Questa divisione sembrerebbe propria del bene umano.
Tuttavia, considerando r idea di bene da un punto più alto e più
generale, troviamo che tale divisione conviene propriamente al bene
in quanto bene. Infatti, una cosa è buona in quanto è desiderabile
e termine del moto della facoltà appetitiva. Ii termine di questo moto
si può giudicare alla stregua ciel movimento di un corpo fisico. Per-
tanto, il movimento di un corpo fisico termina, assolutamente par-
lando, all'ultima tappa; ma in qualche modo anche alle tappe in-
termedie, attraverso le quali si arriva all'ultima, che pone termine
al moto; e queste si dicono impropriamente termini del moto in
quanto ne terminano una parte. Inoltre, per ultimo termine del moc
vimento si può intendere o la cosa stessa verso la quale tende il mp-
vimento, come una nuova località o una nuova forma d'essere, op-
pure il riposo nel punto d'arrivo. Orbene, nel moto della facoltà
appetitiva, l'appetibile che termina solo relativamente il moto del-
l'appetito, rorne mezzo per tendere arl altro, si chiama utile. Q11ant1J
poi vien desiderato come c;copo ultimo e che termina totalmente il
moto dell'appetito, come cosa verso la quale il desiderio tende di-
rettamente, si chiama onesto, perchè onesto è ciò che si desidera di-
rettamente. Quello poi che termina il moto dell'appetito, come ri-
poso nell'oggetto desiderato, è il diletterole.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il bene, in quanto in concreto si
identifica con l'ente, si divide nei dieci predicamenti; ma preso nel
suo concetto proprio gli si addicc la divisforn:: sopraindicata.
2. La presente divisione non si fa per opposizione di cose, ma di
formalità o di concetti. Tuttavia, in senso più ristretto si chiama.no
1 Vedi p. 106, nota 1; Dii. Tom., • Praedlcamenta •.
IL BENE IN GENERALE 151

ARTICULUS 6
Utrum convenienter dividatur bonum per honestum,
utile et delectabile.
11·11, q. 145, a. 3; ! Sent., d. 21, q. 1, a 3; I Ethtc., lect. 5.
AD SEXTUM SIC PROCEIJITUR. Videtur quod non convenienter divi-
datur bonum per honestum, utile et delectabile. Bonum enim, sicut
dicit Philosophus in I Ethic. [c. 6, lect. 6J, dividitur per d\)cem prae-
tlicamenta. Honestum autern, utile et delectabile inveniri possunt in
uno praediramento. Ergo non convenienter per haec divid.itur bonum.
2. PRAETFREA, omnis divisio fit per apposita. Sed haec tria non vi-
dentur esse opposita: nam honesta sunt delectabilia, nullumque in-
honestum est utile (quod tamen oportet, si divisio fieret per oppo-
sita, ut opponerentur honestum et utile), ut etiam dicit Tullius, in
libro De Offl,cìis [I. 2, c. 3]. Ergo praedicta divisio non est conve-
uiens.
3. PRAETEREA, ubi unum propter alterum; ibi unum tantum est. Sed·
utile non est honum nisi propter delectabile vel honestum. Ergo non
debet utile dividi contra delcctahile et honestum.
SED CONTRA EST quod Ambrosius, in libro De Offl,ciis [l. 1, c. 9), uti-
tur ista divisione boni.
RE':iPO!-IDP.O DICENDU:M quod haec divisio proprie videtur esse boni
Immani. Si tamen altius et communius rationem boni consideremus,
invenitur haec divisio proprie competere bono, secundum quod bo-
num est. Nam bonum est aliquid, inquantum ef't appetibile, et tcr-
minus motus appetitus. Cuius quidem motus terminatio considerari
potest ex consideratione motns corporis naturalis. Terminatur au-
tem motus corporis naturalis, simpliciter quidem ad ultimum; secun-
dum quid autem etiam ad medium, per quod itur ad ultimum quod
terminat motum, et dicitur aliquis terminus motus, inquantum ali-
quam partem motus terminat. Id autem quod est ultirnus terminus
motus, potest accipi dupliciter: vel ipsa res in quam tenditur, utpote
locus vel forma: vel quies in re illa. Sic ergo in motu appetitus, id
quod est appetibile terminans motum appetitus secundum quid, ut
medium per quod tenditur in aliud, vocatur utile. Id autem quod
appetitur ut ultimum, terminans totaliter motum appetitus, sicut
quaedam res in quam per se appetitus tendit, vocatur honesturn:
qnia honestum dicitur quod per se desideratur. Id autem quod ter-
minat motum appetitus ut quies in re desiderata, est delectatio.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod bonum, inquantum est idem sub-
iecto cum ente, dividitur per decem praedicamenta: sed secundum
propriam rationem, competit sibi ista divisio.
AD SECUNDUM DICENDUM quod haec divisio nQn est per oppositas
res, sed per oppositas rationes. Dieuntur tamen illa proprie delectar

• ~ Il celebre oratore romano M. T. Cicerone (106-43 a. C.). S. Tommaso ne cita


!'<pesso le opere. Nel caso presente l'Arpinate costituisce una delle fonti principali
del dottrinale di questo articolo. Infatti Il De Otrtctts di S. Ambrogio e la Quae-
stto XXX del Ltber octogtnta trlum quaesttonum di s. Agostino si riallacciano al
Dt O(f!ctts di Cicerone (1. 9, c. 3).
152 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 5, a. 6

dilettevoli quelle cose che in sè non hanno altra ragione di deside.


rabilità che il piacere, essendo talora nocive e disoneste. 1 Utili poi
si dicono quelle che in sè non hanno di che esser desiderabili, ma
che si nppetiscono solo in quanto conducono ad altro bene, come
prendere una medicina amara. 011este finalmente si dicono quelle
cose che in sè medesime presentano un'attrattiva.
3. Il bene non si divide nei tre modi suddetti come un concetto
univoco che si applica a ciascuno ùi essi ugualmente ; ma come un
concetto analogo, che si applica secondo una certa gradazione [cioè
in ragione di dipendenza l. La nozione di hene primieramente si ap-
plica all'onesto, in secondo luogo al dilettevole, in terzo luogo al-
l'utile. 2

1 Dtsonesto non necessariamente nel senso morale (senso atretto e comune.


mente dato alle parole onesto e disonesto nel nostro linguaggio), ma nel senso
più universale che dà s. Tommaso a tali termini, estendendoli non solo al bene
umano, ma al bene in generale. Disonesto qui vuol dire: un bene ricercato come
avente In sè di che essere desiderato, o come se veramente cl perteiionasse, men-
tre non è tale (bene apparente).
IL BENE IN GENERALE 153
bilia, quae nullam habent aliam rationem appetibilitatis nisi delecta-
tionem, cum aliquando sint et noxia et inhonesta. Utilia vero dicun-
tnr, quae non habent in se unde desiderentnr; sed desiderantur
solum ut sunt ducentia in alterum, sicnt sumptio medicinae amarae.
Honesta vero dicuntur, quae in seipsìs habent unde desiderentur.
An TERTIUM DICENDUM quod bonum non dividitur in ista tria sicut
nnivocum aequaliter de bis praedicatum: sed sicut analogum, quod
praedicatur secundum prins et posterius. Per prius enim praedica-
tur de honesto ; et secnndario de delectabili ; tertio de utili.

• Nelle questioni 2 e 3 della 1-11, S. Tommaso dimostra che Il bene onesto In


senso pieno ed assoluto - il Bene - avente in sè l'assoluta ragione della sua ap-
petibilità, verso cui tende ogni moto della creatura razionale e nel cui possesso
5i quieta ogni appetito, è Dio. E nella questione '· aa. t e 2, approfondisce Il rap.
wrto che e' è tra bene onesto e hene dilettevole: questo accompagna Il conse-
guimento •li quello; •la dilettazione infatti vien causata dal tatto che l'appe-
tito riposa nel bene con5egulto • (a. t). Il bene o la perfezione dell'oggetto desi-
derato e conseguito (dunque Il bene onesto) è la cosa principale nella beatitudine,
e spiega Il riposo o la gioia che si prova nel possederlo, ossia spiega Il bene di-
lettevole (a. 2).
QUESTIONE 6
La bontà di Dio.

Pasi::iamo ora a trattare della bontà di Dio. Su questo argomento


poniamo quattro quesiti: 1. Se a Dio convenga la bontà; 2. Se Dio
sia il sommo bene; 3. Se egli solo sia buono per essenza; 4. Se tutte
le cose siano buone della bontà di Dio.

ARTICOLO 1
Se la bontà convenga a Dio.

SEMBRA che la bontà non convenga a Dio. Infatti:


1. La bontà consiste nel modo, nella specie e nell'ordine. Ora, tali
attributi non pare che convengano a Dio, perchè Dio [è senza modo
e misura] è limmenso e non dice ordine a nessuna cosa. Dunque
a lui non si addice di esser buono.
2. Il bene è ciò che tutte le cose appetiscono. Ora, non tutte le cose
desiderano Dio, perchè non tutte le cose lo co.noscono, e non si dà
desiderio di ciò che s'ignora. Dunque a Dio non si addice la bontà.
IN CONTRARIO: :E: detto nelle Lamentazioni di Geremia: " Il Signore
è buono con quelli che sperano in lui, con l'anima che lo ricerca». 1
RISPONDO: L'esser buono conviene principalmente a Dio.• Infatti,
una cosa è buona nella misura che è desiderabile. Ora, ogni ente
desidera la propria perfezione. Ma la perfezione e la forma di un
effetto non è altro che una somiglianza partecipata della causa agente,
poichè ogni agente produce qualche cosa di simile a sè. Di qui segue
che lo stesso agente è desiderabile f da parte dell'effetto] e ha natura
di bene: infatti quello che si desidera è di parteciparne la somi-
glianza. Siccome dunque Dio è la prima causa produttiva di tutte le
cose, è evidente che a lui compete la natura di bene e di appetibile.
Pereiò Dionigi attribuisce il bene a Dio, come alla prima causa effi-
ciente, affermando che si dice buono " come colui in forza del quale
tutte le cose sussistono».
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Avere modo, specie e ordine è pro-
prio del bene causato. In Dio invece il bene è come nella [sua pro-
pria] causa; quindi a lui spetta imprimere nelle cose il modo, la
specie e l'ordine. Perciò queste tre cose sono in Dio come nella loro
causa.
2. Tutte le cose tendendo alla propria perfezione tendono a Dio
stesso, in quanto che le perfezioni di tutte le cose altro non sono che
1 Questo versetto delle Lameniaztont non significa direttamente che Dio è og.
getto degno d1 eswre desiderato, come S. Tommaso vuol dimostrare In questo ar-
QUAESTIO 6
De bonitate Dei
tft qua tuor arttculos aivua.

DEINDE quaeritur de bonitate Dei. Et circa hoc quaeruntur qua-


tuor.
Primo: utrum esse bonum conveniat Deo. Secundo: utrum Deus
,:it summum bonum. Tertio: utrum ipse solus sit bonus per suam
essentiam. Quarto: utrum omnia sint bona bonitate divina.

ARTICULUS 1
Utrum esse bonum Deo conveniat.
I Cont. Gent., c. 37; 11 Metaphys., lect. 7.

AD PRIMUM sic PROCEDITUR. Videtur quod esse bonum non conve-


niat Deo. Ratio enim boni consistit in modo, specie et ordine. Haec
autem non videntur Deo convenire: cum Deus immensus sit, et ad
aliquid non ordinetur. Ergo esse bonum non convenit Deo.
2. PRAETEREA, bonum est quod omnia appetunt. Sed Deum non om-
nia appetunt: quia non omnia cognoscunt ipsum, nihil autem ap-
petitur nisi notum. Ergo esse bonum non convenit Deo.
SED CONTRA EST quod dicitur Thren. 3, 25: " Bonus est Dominus spe-
rantibus in eum, animae quaerenti illum ».
RESPONDEO DICENDul\I quod honum esse praecipue Deo convenit. Bo-
rrnm enim aliquid est, secundum quod est appetibile. Unumquodque
autem appetit suam perfectionem. Perfectio autem et forma effectus
est quaedam similitudo agentis' cum omne agens agat si bi simile.
Unde ipsum agens est appetibile, et habet rationem boni: hoc enim
t•st quod de ipso appetitur, ut eius similitudo participetur. Curo ergo
Deus sit prima causa effectiva omnium, manifestum est quod sibi
.:ompetit ratio boni et appetibilis. Unde Dionysius, in libro De Div.
'Vom. [c. 4. lect. !1], attrihuit bonum Deo sicut primae causae effi-
denti, dicens quod bonus dicitur Deus, u sicut ex quo omnia S'llbsi-
stunt ».
An PRTMUM ERGO DTCENDUM quod habere modum, speciem et ordi-
11em, pertinet ad rationem boni causati. Sed bonum in Deo est sicut
in causa: unde ad eum pertinet imponere aliis modum, speciem et
ordinem. Unde ista tria sunt in Deo sicnt in causa.
An SECU'NDUM mcENntJM quod omnia, appetendo proprias perfectio-
nes, appetunt ipsnm Deum, inquantum perfectiones omnium rerum
tirolo. Ma è chiaro che Dlc agisce con !lontà verso chi confida In lui, appunto per-
"hà tale attributo gli è essenziale.
• S. Tommaso mira a stabilir'3 razionalmente una verità che è di continuo af-
fermata nella Scrittura: • Nessuno è buono se non Il solo Dio » (Luca, 18, 19). I.a
1•rova razionale ci porta a scorgere In tutte le perfezioni dell'universo un vestigio
ùella divina bontà, e In ogni desiderio che suscitano un anelito verso Dio.
15fl LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 6, aa. 1-2

delle somiglianze dell' Essere divino, come è chiaro da ciò che si è


detto. E cosi. tra gli esseri che tendono a Dio, alcuni lo conoscono in
se stesso, e questo è proprio della creatura raziona!€ ; altri cono-
scono certe partecipazioni della sua bontà, e questo va esteso fino
alla conoscenza sensitiva. Altri, finalmente, hanno tendenze natu-
ralj senza consapevolezza, inclinati come sono verso i loro fini da
un essere superiore dotato di conoscenza.

ARTICOLO 2
Se Dio sia il sommo bene.

SEMBRA che Dio non sia il sommo bene. Infatti:


1. Sommo bene aggiunge qualche cosa a bene, chè altrimenti con-
verrebbe ad ogni bene. Ora, tutto ciò che è così costituito come per
addizione, è composto. Il sommo bene sarebbe perciò composto. Ma
Dio è sommamente semplice, come s'è già visto. Dunque Dio non
è il sommo bene.
2. Il bene è ciò che è desiderato da tutti gli esseri, come dice Ari-
stotele. Ora, non c'è nient'altro che sia da tutti gli esseri desid.erato,
all' infuori di Dio, il quale è il fine di tutte le cose. Dunque non
e' è altro bene che Dio. Come sembra anche da ciò che è detto nel
V angelo: "Nessuno è buono, se non il solo Dio». Ora, sommo si dice
in confronto di altri: p. es., sommo caldo in confronto di tutti gli
altri corpi caldi. Dunque Dio non può dirsi sommo bene.
3. Sommo importa comparazione. Ora, cose che non sono di uno
stesso genere non son-0 tra loro paragonabili ; così sarebbe strano
dire che la dolcezza è piì1 grande o più piccola della linea. Non es-
sendo dunque Dio nel medesimo genere degli altri beni, come si è
visto sopra, non pare che Dio possa. dirsi sommo bene in confronto
di essi.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che la Trinità delle divine persone
« è il sommo bene, che solo le menti del tutto pure possono cono-
scere ».
RISPONDO: Dio è il sommo bene in modo assoluto, e non soltanto
in qualche genere od ordine di cose. Infatti, il bene si attribuisce n
Dio, come abbiamo veduto, in quanto che tutte le perfezioni desi-
derate emanano da lui come da prima causa. Ora, tali perfezioni non
scaturiscono da Dio come da causa univoca, come si è già detto ; ma
come da agente che non ha in comune con i suoi effetti nè la spe-
cie, nè il genere. Ora., nella causa univoca la somiglianza dell'effetto
si trova in modo uniforme; ma in una causa equivoca [analoga] vi
·si trova in grado più eminente, come [p. es.] il calore si trova a un
grado più alto nel sole che nel fuoco. Cosi dunque è necessario che
in Dio il bene si trovi in grado eccellentissimo, essendo in lui come
nella causa non univoca di tutti gli esseri. E per questo motivo si
chiama il sommo bene. 1

• Cosi Dio realizza nel senso più perfetto la definizione di bene: è colui che
tutti gli esseri desiderano: •Id quod omnia appetunt "· Tutti gli esseri ten-
dono a Dio, per ciò stesso che tendono naturalmente alla propria perfezione: ad
LA BONTÀ DI DIO 157

sunt quaedam similitudines divini esse, ut ex dictis [ q. 4, a. 3] patet.


Et sic eorum quae Deum appetunt, quaedam cognoscunt ipsum se-
cundum seipsum: quod est proprium creaturae rationalis. Quaedam
vero cognoscunt aliquas participationes suae bonitatis, quod etiam
extenditur usque ad cognitionem sensibilem. Quaedam vero appeti-
tum naturalem habent absque cognitione, utpote inclinata ad suos
fines ab alio superiori cognoscente.

ARTICULUS 2
Utrum Deus sit summum bonum.
I Sent., d. 1, q. 2, a. 2, ad 4; I Cont. Gent., c. 41.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit smnro11m
bonum. Summum enim bonnm addit aliquid supra bonum: alioquin
omni bono conveniret. Sed omne quod se habet ex additione ad ali-
quid, est compositum. Ergo summum bonum est compositum. Sed
Deus est summe simplex, 11t supra [ q. 3, a. 7] ostensum est. Ergo
Deus non est summum bonum.
2. PRAETEP.F.A, "bonum est quod omnia appetunt '" ut dicit Philoso.
phus [I Etl1ic., c. 1, lect. 1). Sed nihil aliud est quod omnia appetunt,
nisi solus Deus, qui est finis omnium. Ergo nihil aliud est bonum nisi
Deus. Quod etiam videtur per id quod ùicitur Maitth. 19, 17: "nemo
bonus nisi solus Deus ». Sed summum dicitur in comparatione alio-
rum; sicut snmmum ralidum in comparatione ad omnia calida. Ergo
Deus non potest dici summum bonum.
3. PHAETEREA, summum comparationem importat. Sed quae non
sunt unius generis, non snnt comparabilia ; sicut dulcedo inconve-
nienter dicitur maior ve! minor quam linea. Cum igitur Deus non sit
in eodem genere cum aliis bonis, ut ex superioribus [q. 3, a. 5; q. 4,
a. 3, ad 3] patet, videtnr quod Deus non possit dici summum bonum
respectn eorum.
SED CONTRA EST quod dir;it Augustinus, I De Trinit. [c. 2], quod Tri-
nitas divinarum personanim "est summum bonum, quod purgati;;-
simis mentibus cernitnr '"
RESPONDEO orcENDUM quod Deus est summum bonum simpliciter,
et non solum in aliquo genere vel ordine rerum. Sic enim bonum Deo
attribuitur, ut dictum est [a. praec.], inquantum omnes perfectiones
desideratae effluunt ab eo, sicut a prima causa. Non autem effluunt
ab eo sicut ab agente univoco, ut ex superioribus [ q. 4, a. 3] patet:
sed sicut ab agente quod non convenit cnm suis effectibus, neque in
ratione speciei, nec in ratione generis. Similitudo autem effectus in
causa quidem univoca invenitur uniformiter: in causa autem aequi-
voca invenitur excellentius, sicut calar excellentiori modo est in sole
quam in igne. Sic ergo oportet quod, cum bonum sit in Dea sicut in
prima causa omnium non univoca, quod sit in eo excellentissimo
modo. Et propter hoc dicitur summum bonum.

averla quando ne sono privi, a conservarla quando ne sono in possesso; poichè


la loro perfezione non è che una partecipata 'oniiglianza della perfezione di Dio.
S. T-0mmaso più avanti prova (I, q. 60, a. 5) che ogni creatura (angelo o uomo o
ente irrazionale) ha una Inclinazione naturale verso Dio più forte che linclina-
158 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 6, aa. 2-3

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sommo bene non aggiunge al bene


un qualche cosa di reale, ma soltanto una relazione. Ora, la rela-
zione che passa tra Dio e le creature è reale nella creatura, non già
in Dio; in Dio è soltanto di ragione; cosi un oggetto si dice sciuik
in ordine alla scienza, nou perchè abbia [una reale inclinazione o J
rapporto nlla scienza, ma perchè la scienza [è ordinata ed] ha un
rapporto ad esso. E così non è necessario [concludere] che nel sommo
bene ci sia una qualche composizione, ma solo che tutte le altre cose
[in bontà] sono al disotto di lui.
2. La definizione "il bene è ciò che tutti desiderano,, non s' intendE:
nel senso che qualunque bene sia da tutti desiderato; mn net sensn
che tutto ciò che è desiderato ha ragion di bene - L'espressione evan-
gelica " nessuno è buono se non il solo Dio ,, va spiegata così: buono
per essenza, come si dirà appresso.
3. Cose che non appartengono al medesimo genere, e che tuttavia
sono contenute ciascuna in generi diversi, non si possono tra loro
confrontare. Ma di Dio si nega che sia nel medesimo genere delle
altre cose, non perchè egli sia in qualche altro genere; ma perchè r
fuori di ogni genere ed è principio di tutti i generi. E e<>sl può
esser messo a confronto con le creature in quanto le trascende. E tall'
~ la relaz1one che importa il sommo bene.

ARTICOLO 3
Se esser buono per essenza sia proprio di Dio.

SEMBRA che esser buono per essenza non sia proprio di Dio. In-
fatti:
1. Come l'uno si identifica con l'ente, cosi, e si è visto, anche il
bene. Ora, secondo Aristotele, ogni ente è uno per essenza. Dunque
ogni ente è buono per essenza.
2. Se il bene è ciò che tutte le cose desiderano, siccome proprio
l'essere è rla tutti desiderato, ne viene che l'essere stesso di ciascuna
cosa è il suo bene. Ora, ciascuna cosa è ente in forza della propria
essenza. Dunque ciascuna cosa. è buona per la sua essenza.
3. Ogni cosa è buona per la sua bontà. Se dunque vi è qualche cosn
che non sia buona. per essenza, bisognerà. che la sua bontà non sin
la sua essenza. Ma siccome questa bontà è un ente, bisogna cl:e
anch'essa sia buona; e se lo è per un'altra bontà, la stessa questione
si farà di quest'altra bontà. E quindi o biRognerà andare al!' indefi-

zione verso se stesso: "poiché Il l>ene universale è lo stesso Dio e sotto 11 bene
universale è contenuto e l'angelo e l'uomù e ug·ni creatura, poiché ogni creatura
naturalmente secondo tutto il suo essere è fattura di Dio, ne segue che di natu-
rale amore e l'angelo e !'nomo 1.tù lntensament0 e più principalmente ami Dio
che se stesso"· E la carità, virtù Infusa che cl fa amare Dio sopra o~rnl cosa e pili
<ti noi stessi, è dono ~oprannaturale che perfeziona qnesta lncltn:·.71one della na-
tura, farendocl ~entirl! più rtr~ttamente l'attrattiva del Sommo nenr. Il peccato,
che consiste In sostanza In amare di amore elettivo più se stessi che Dio, pone la
c0ntraddizlone nell'Intimo della natura stessa.
In queste con~iderazloni Dio appare non solo come causa emciPnte univer,ale.
ma per ciò stesso che è causa emclente unlver~ale, appare anche come causa
LA BONTÀ DI DIO 159
An PRIMUM ERGO DICENDUM: quod summum bonum addit super bo-
num, non rem aliquam absolutam, sed relationem tantum. Relatio
autem qua aliquid de Deo dir.itur relative ad creaturas, non est rea.
!iter in Deo, sed in creatura; in Deo vero secundum rationem; sicui
scibile relative dicitur ad scientiam, non quia ad ipsam referatur,
sed quia scientia refertur ad ipsum. Et sic non oportet quod in
summo bono sit aliqua compositio: sed solum quod alia deficiant ab
ipso.
AD SECUNDUM DICENDUM quod, cum dicitur « bonum est quod omnia
appetunt », non sic intelligitur quasi unumquodque bonum ab om-
nibus appetatur: sed quia quidquid appetitur, rationem boni habet.
- Quod antem dicitur, « nemo bonus nisi solus Deus >>, intelligitur
de bono per essentiam, ut post dicetur [a. s.].
An TERTIUM DICENDUM quod ea quae non sunt in eodem genere,
si quidem sint in diversis generibus contenta, nullo modo compara-
bilia sunt. De Deo autem negatur esse in eodem genere cum aliis
honis, non quod ipse sit in quodam alio genere; sed quia ipse est
extra genus, et prinripium omnis generis. Et sic comparatur ad alia
per excessum. Et huiusmodi comparationem importat summum
bonum.

ARTICULUS 3
Utrum esse bonum per essentiam sit proprium Dei.
1 Cont. Gent., c. 38; !, c. 20; De Vertt., q. 21, a. t, ad t ; a. 5;
Compend. Tl>.1·01., c. 109; De Dt1•. /\'om., c. 4, lect. I; De helJdom., Iect. 3, 4.

Ao TERTIUM sic PROCEDITUR. Videtur quod esse bonum per essentiam


non sit proprium Dei. Sicut enim unum convertitur cum ente, ita et
bonum, ut supra [q. 5, a. 1] habitum est. Sed omne ens est unum
per suam essentiam, ut patet per Philosoph11m in 4 Metaphys. [c. 2,
lect. 2). Ergo omne ens est bonum per suam essentiam.
2. PRAETEREA, si bonum est quod omnia appetunt, curn ipsum esse
sit desideratum a:b omnibus, ipsum esse cuiuslibet rei est eius bonum.
Sed quaelibet res est ens per suam essentiam. Ergo quaelibet res
est bona per suam essentiam.
3. PRAETEREA, omnis res per suam bonitatcm est bona. Si igitur
aliqua res est quae non sit bona per suam essentiam, oportebit quod
eius bonitas non sit sua essentia. Illa ergo bonitas, cnm sit ew
q11oddam, oportet quod sit bona: et si quidem alia bonitate, iterum
de illa bonitate q11aeretur. Aut ergo erit procedere in infinitum: aut
venire ad aliquam bonitatem quae non erit bona per aliam bonita-

ftna!e di tutte le creature; muove anche "come desiderato,, scrive S. Tommaso


(I Con!. Gent., c. 37) fa~endo sua l'espressione
di ArlMotele: ><VV>i ,;,_ fg,;,,,,.,,o: (I Me-
trzp/>ys., c. 7, 10721>; cfr. S. Tomma50 tect. 7,
n. 25291. Tutte le forme di causalità
(tranne quella materiale) si ritrovano nel suo essere; e sotto tutti gli as1>etti a lui
"son sos1iesi il cielo e la natura,, come diceva lo stesso Aristotele (Il .lletahys.,
c. Uj.
I.' Idea di Dio come Bene è, dunque, un'idea luminosa e feconda, e S. Tommaso
la mette In rilievo n-0n meno che l'idea di essere per sè sussi5tente (c!r. q. 3,
a. 4).
160 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 6, a. 3

nito o giungere a qualche bontà che è buona [in se stessa, per


essenza e] non per un'altra bontà. IMa allora per la stessa ragione
dobbiamo arrestarci al primo caso. Perciò ogni cosa è buona per
essenza.
IN CONTRARIO: Dice Boezio che ogni altra cosa distinta da Dio è
buona per partecipazione. Dunque non per essenza.
RISPONDO: Soltanto Dio è buono per essenza. Infatti, ogni cosa. si
dice nuona secondo rhe è perfetta. Ora, ogni cosa ha una triplice
perfezione. La prima con&iste nella costituzione del suo ess.e.re [so·
stanziale]. La seconda consiste nell'aggiunta di alcuni accidenti Ii·
chiesti per la sua perfetta operazione. La terza nel raggiungimento
di qualche cosa come proprio fine. P. es., la prima perfezione del
fuoco consiste nell'essere medesimo che ha in virtù della sua forma
sostanziale ; la seconda consiste nel suo calore, nella sua levità e
secchezza, ecc. ; la terla nel cessare dal suo moto di ascesa raggiunto
che abbia il luogo. '
Ora, questa triplice perfezione a nessun essere creato compete per
essenza, ma soltanto a Dio: perchè in lui soltanto l'essenza si iden-
tifica col suo essere, e in hù non sopraggiungono accidenti ; ma le
stesse cose che degli altri esseri si dicono accidentalmente, a lui con-
vengono essenzialmente, come essere potente, sapiente e cosi via,
ed è chiaro da quel che si è detto. Egli inoltre non è ordinato ad
alcun fine ; ma è egli stesso il fine di tutte le cose. Perciò è chiaro che
soltanto Dio ha l'assoluta perfezione nella sua essenza, e perciò egli
solo è buono per essenza.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uno non importa I' idea di perfe-
zione, ma solo di indivisione, la quaJe conviene ad ogni cosa per la
sua essenza. Le essenze delle cose semplici, poi, sono indivise tanto
attualmente che potenzialmente ; quelle dei composti invece sono
indivise soltanto attualmente. E perciò è necessario che ogni cosa
per la sua essenza. sia una, non già buona, come si è dimostrato.
2. Sebbene ogni cosa sia buona in quanto ha l'essere, tuttavia l'es-
senza della creatura non è [come Dio l lo stesso suo essere; perciò
non segue che la creatura sia buona per la sua essenza. 2
3. La bontà di una cooa creata non è la sua stessa essenza, ma
un qualche cosa di aggiunto; cioè la sua propria esistenza, o qual-
che perfezione accidentale, o il suo ordinamento ad un fine. Tut-
tavia questa stessa bontà così aggiunta si dice buona nel senso stesso
che si dice ente: ora, si dice ente perchè per mezzo di essa qualche
cosa viene ad essere, ma non perchè essa sia in forza di altra cosa.
Quindi alla stessa guisa si dirà buona, perchè per mezzo di essa
qualche cosa è buona, non i!Ìà che essa abbia [bisogno di] qualche
altra bontà per esser buona.•

i La natura del fuoco, preso qui come esempio, è spiegat.a secondo la tror:a
ftsica antica dei quattro elementi, che davano origine, combinandosi, a tutte J~
cose materiali. Qualità attive del fuoco scaturtentt d:i.lla sua natura specifica
erano ti calore, la secchezza, la levità. Per questa ultima qualità esso tendeva
lncoerc!hllmente verso l'alto, cioè verso 11 suo luogo proprio (ogni elemento aveva
un suo luogo proprio), verso la così detta sfera del fuoco, dove esso veniva a tre>-
varsl nP,lla pienezza del suo vigore e In perfetto equlllbrlo e riposo.
LA BONTA DI DIO 161

tem. Eadem ergo ratione standum est in primo. Res igitur quaelibet
est bona per suam essentiam.
SED CONTRA EST quod dicit Boetius, in libro De hebdomad. [lect. 3, 4).
quod alia omnia a Deo sunt bona per participationem. Non igitm·
per essentiam.
REsPONDEIJ DICENDUM quod solus Deus est bonus per suam essen-
tiam. Unumq11odque enim dicitur bonum, secundum quod est per-
fectum. Perfectio autem alicuius rei triplex est. Prima quidem, se-
cund11m quod in suo esse constituitur. Secunda vero, prout ei aliqua
accidentia superadduntur, ad suam perfectam operationem neces-
saria. Tertia vero perfectio alicuius est per hoc, quod aliquid aliud
attingit sicut finem. Utpote prima perfectio ignis consistit in esse.
quod habet per suam formam suhstantialem: secunda vero eius per-
fectio consistit in caliditate, levitate et siccitate, et huiusmodi: tertia.
vero perfectio eius est sec11ndum q11od in loco suo quiescit.
Haec autem triplex perfectio nulli creato competit secundum suam
essentiam, sed soli Deo: cuius solius essentia est suum esse ; et cui
non adveniunt aliqua accidentia; sed quae de aliis dicuntur acciden-
taliter, sibi conveniunt essentialiter, ut esse potentem, sapientem, et
huiusmodi, sicut ex dictis [ q. 3, a. 6] patet. Ipse etiam ad nihil aliud
ordinatur sicut ad fìnem: sed ipse est ultimus fìnis omnium rerum.
Unde manifestum est quod solus Deus hahet omnimodam perfectio-
nem secundum suam essentiam. Et ideo ipse solus est bonus pcr-
suam essentiam.
An PRIMl'M ERGO DICENfiUM quod unum non importat rationem per-
fectionis, sed indivisionis tantum, quae unicuique rei competit se-
cund um suam essentiam. Simplicium autem essentiae sunt indivisae-
et actu et potentia: compositorum vero essentiae sunt indivisae se-
cundum actum tantum. Et ideo oportet quod quaelibet res sit una
per suam essentiam: non autem bona, ut ostensum est [in corp.).
AD SECUNDUM DICENDUM quod, licet unumquodque sit bonum in-
quantum habet esse, tamen essentia rei creatae non est ipsum esse:
et ideo non sequitur quod res creata sit bona per suam essentiam.
Ao TERTIUM DICENDUM quod bonitas rei creatae non est ipsa eius.
essentia, sed aliquid superadditum ; vel ipsum esse eius, ve! aliqua
perfectio superaddita, vel ordo ad fìnem. lpsa tamen bonitas sic-
snperaddita dicitur bona sicut et ens: hac autem ratione dicitur en~,
quia ea est aliquid, non quia ipsa aliquo alio sit. Unde hac ratione·
dicitur bona, quia ea est aliquid bonum: non quia ipsa habeat ali-·
quam aJiam bonitatem, qua sit bona.

• Dio adunque, essendo l'essere per sè sussistente, è anche la bontà per sè sus-·
slstente. E la bontà per essenza. E ciò in !orza della sua stessa essenza, identica
al suo essere. Le creature lnveca non sono la bontà per essenza, essendo limitate·
nel loro essere; e quella bontà parziale che reaHzzano In sè, non la reaUzzano-
tutta in forza dell'essenza, ma In forza anche degli attributi e del fine, che·
sono realtà distinte dalla loro essenza e sopraggiunte come complemento.
• Vedi p. 149, nota 4.
162 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 6, a. 4

ARTICOLO 4
Se tutte le cose siano buone della bontà di Dio.

SEMBRA che tutte le cose siano buone della bontà di Dio. Infatti ;
1. Dice S. Agostino: «Considera questo e quel bene, togli questo e
quello, e, se puoi, guarda il bene stesso: così vedrai Dio, non buono
per altro bene, ma be.ne di ogni bene'" Ora, ogni essere è buono della
propria bontà. Dunque ogni essere è buono di quella stessa bontà,
che è Dio.
2. Al dire di Boezio tutte le cose si dicono buone in quanto ordi-
nate a Dio, e ciò a motivo della divina bontà. Dunque tutti gli esseri
sono buoni della bontà divina.
IN coNrnARIO: Tutte le cose sono buone in quanto esistono. Ora, le
cose tutte non si dicono esistenti per l'essere divino, ma per il pro-
prio essere. Dunque non sono buone della bontà divina, ma della
propria bontà.
RISPONDO: Niente impedisce, se si tratta di attributi che importano
relazione, che un ente si denomini da qualche cosa di estrinseco,
come un oggetto dal luogo si dice collocato, e dalla misura misurato.
Ma riguardo agli attributi assoluti delle cose ci fu diversità di opi-
nioni. Infatti Platone affermò l'esistenza di specie separate di tuttk
le cose: e disse che da esse si denominano gli individui, come se
partecipassero delle specie separate; così, p. es., Socrate si dice uomo
precisamente perchè partecipa rlell' idea separata di uomo. E come
poneva l'idea separata di uomo e di cavallo, ch'egli chiamava uomo
per sè, cavallo per sè, così poneva l'idea separata di ente e di uno,
chiamandola ente per sè, uno per sè ; e dalla partecipazione di queste
idee ogni cosa diceva chiamarsi ente o una. E questo ente per sè e
uno per sè affermava essere il sommo bene. E siccome i! bene, ed
anche l'uno, si identifica r.on l'eme, lo stesso bene per sè lo chiamava
Dio, dal quale tutte le cose si dicono buone per partecipazione. - Seb-
bene quest'opinione, come ripetutamente dimostrR Aristotele, sia ir-
ragionevole nell'ammettere le specie degli esseri fisici in stato di se-
rarazione e per sè snosistenti, tuttavia è asgoJutamente vero che vi
è una prima realtà che per sua essenza è ente e bene, e che noi chia-
miamo Dio, come si è dimostrato sopra. E i::.u questo punto anche
Aristotele è d'accordo.
Dalla prima realtà adunque, che è ente e bene per essenza., ogni
cosa pnò dirsi buona e ente in quanto partecipa di essa secondo una
certa somiglianza, sia pure alla lontana e in misura limitata, come
si è detto. Cosl, per conseguenza, ogni cosa si dice buona dalla bontà
divina, come da prima causa esemplare, efficiente e finaJe di ogni
bontà. Tutta.via ogni cosa si dice buona per una somiglianza sua
propria della divina bontà ad essa inerente, che è formalmente la
sua bontà, e dalla quale si denomina. E cosi abbia.mo una bontà
sola di tutte le cose, e anche molte bontà. 1
E c0n ciò è evidente la risposta da darsi agli argomenti presentati.
1 Le perfezioni. Intrinseche, esistenti nelle creature e costituenti la loro bontà,
non sono dtvine In senso essenztaie e proprto, essendo partecipazioni o asstml-
LA BONTA DI DIO 163

ARTICULUS 4
Utrum omnia sint bona bonitate divina.
1 Sent., d. t9, q. 5, a. 2, ad a : 1 cont. Gent., c. 40; De vertt.. q. 21, a. t.
Ao QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod omnia sint bona bonitate
<li vina. Dicit enim Augustim1s, 8 De Trinit. [c. 3]: "Bonum hoc et
bonum illnd, tolle hoc et tolle illud, et vide ipsum bonum, si potes:
ita Deum videbis, non alio bono bonum, sed bonum omnis boni "·
Sed unumquodqne est bonum suo bono. Ergo unumquodque est bo-
num ipso bono quod est Deus.
2. PRAETEREA, sicut dicit Boetius, in libro De hebdomad. [lect. 3, 4),
-0mnia ùicuntur bona inquant11m ordinantur ad Deum, et hoc ratione
bonitatis divinae. Ergo omnia sunt bona bonitate divina.
SEn CONTRA EST quocl omnia sunt bona inquantum sunt. Sed non
<licuntur orrunia entia per esse divinum, sed per esse proprium. Ergo
non omnia sunt bona bonitate divina, sed bonitate propria.
REsPONDEO oTCENDlll\I quod nihil prohibet in his quae relationem
important, aliquid ab extrinseco denominari; sicut aliquid denomi-
natur locatum a loco, et mensuratum a mensura. Circa vero ea quae
ahsolute dicuntur, diversa fuit opinio. Plato enim posuit omnium
rerum species separatas; et quod ab eis individua denominantur,
quasi species separatas participando; ut puta quod Socrates dicitur
homo secundum ideam hominis separatam. Et sicut ponebat ideam
hominis et equi separatam, quam vocabat per se hominem et per se
equum, ifa ponebat ideam entis et ideam unius separatam, quam
dicebat per se ens et per se unum: et eius participatione unumquod-
que dicitur ens vel unum. Hoc autem quod est per se ens et per se
unum, ponehat esse s11mmnm bonum. Et quia bonum convertitur
cum ente, sicut et llnum, ipsum per se bonum dicebat esse Dewn, o
quo omnia dicuntur bona per modum participationis. - Et quamvi:-
haec opinio irrationnhilis videat11r quantum ad hor, ouod ponebal
species rerum naturalium separatas per se subsistentes, ut Aristo-
teles multipliciter prnbat [f Metaphys. c. 9; 2, c. 6; 6, cc. 14, 15;
I, lect. H, 15; .1, lect. 14; 7, lect. 14, 15]; tamen hoc absolute verum
est, quod aliquid est primum, quod per suam essentiam est ens et
bonum, quod dicimus Deum, ut ex superioribus [q. 2, a. 3) patet.
Huic etiam sententiae concordat Aristoteles.
A primo igitur per suam essentic.m ente et bono, unumquodque
potest dici bonum et ens, inquantum participat ipsum per modurn
cuiusdam assimilation is, licet remote et deficienter, ut ex superiori-
b11s [ q. 4, a. 3] patet. Sic ergo unumquodque dicitur bomim bonitate
divina, sicut primo principio exemplari, effectivo et finali totius
bonitati~. Nihilominus tamen unumquodque dicitur bonum similitu-
dine divinae bonit::itis E'ibi inhaerente, quae est forrnaliter sua bo-
nitas denominans ipsum. Et sic est bonitas una omnium; et etiam
multae bonitates.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.
!azioni remote e deficienti della bontà divina e da: es~a causate. Tra le creature,
anche le più perfette, e DI.o, c· è sempre un abisso. Niente Impedisce t>erò che si
dicano dtvtne per derivazione causale.
QUESTIONE 7
La infinità di Dio.

Dopo a.Yer esaminato la perfezione di Dio, dobbiamo considerare


la sua infinità e la sua presenza delle cose, giacchè si attribuisce
a Dio di essere dovunque ed in tutte le cose, in quanto che è illimitato
ed infinito. 1
Sul primo argomento poniamo quattro quesiti: 1. Se Dio sia in-
finito; 2. Se oltre Dio qualche cosa sia infinita secondo l'essenza;.
3. Se può esserci qualche cosa d' infinito in estemione; 4. Se ci possa
essere nella realtà una moltitudine infinita di cose.

ARTICOLO 1
Se Dio sia infinito.

SEMBRA che Dio non sia infinito. Infatti :


1. Ogni infinito è imperfetto, perchè racchiude l'idea di parte e di
materia, come dice Aristotele. Ma Dio è perfettissimo. Dunque non è
infinito. ·
2. Secondo Aristotele, finito ed infinito si dicono della quantità.
Ma in Dio non c' è quantità, perchè non è corpo, come si è visto
sopra. Dunque non gli compete !'infinità.
3. Una cosa che è talmente qui da non esser.e altrove, è limitata
quanto al luogo: perciò anche ciò che è talmente questo da non es-
sere altro, è limitato quanto a natura. Oca, Dio è questa cosa e non
è un'altra cosa: infatti, non è pietra, nè legno. Dunque Dio non &
infinito nella sua essenza.
IN r.oNTRARIO: Scrive il Damasceno che " Dio è infinito, eterno e
incircoscrittibile"·
RISPONDO: Tutti i filosofi più antichi, come dice Aristotele, attri-
buiscono I' infinità al primo principio, osservando, e con ragione,
che le cose emanano senza flne da questo principio. Ma siccome al-
cuni errarono intorno alla natura del primo principio, conseguen-
temente errarono anche intorno alla sua infinità. Ritenendo infatti
che il primo principio fosse materia, logicamente gli attribuirono.
una infinità materiale, affermando che il primo principio delle cose.
era un corpo infinito. •
l La moltitudine delle cose derivant.i da quel primo principio, se non è infi-
nita in atto, è infinita nelle sue possibilità.
• Talete scsteneva che li corpo infinito, da cui si originano tutte le cose, era
l'acqua ; Anasstmene dlce,·a che era l'aria; Anusstmandro pensava che era invece-
QUAESTIO 7
De infinitate Dei
tn quatuor arttculos dtvt1a.

POST considerationem divinae perfecticmis, considerandum est de


eius infinitate, et de existenOa eius in rebus [q. 8]: attribuitur enim
Deo quod sit ubique et in omnibus rebus, inquantum est incircum-
scriptibilis et infinitus.
Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo: utrum Deus sit infinitus. Secundo: utrum aliquid praeter
ipsum sit infinitum secundum essentiam. Tertio: utrum aliquid
possit esse infinitum secundum magnitudinem. Quarto: utrum pos-
sit esse infinitum in rebus secundum multitudinem.

ARTICULUS 1
Utrum Deus sit infinitus.
111, q, 10, a. 3, ad 1 ; t Sent., d. 43, q. 1, a. 1 ; I Cont. Gent., c. 43;
De Verti., q. 2, a. 2, ad 5; q. 29, a. 3; De Pot., q, 1, a. 2; Quodl. 3, a. 3;
Compend. Theol., cc. 18, 20.

An PRIMUM SIC PROCEDITUil. Videtur quocl Deus non sit infinitus.


Omne enim infinitum est imperfectum: quia habet rationem partis
et materiae, ut dicitur in 3 Physic. [c. 6, lect. 11]. Sed Deus est per-
fectissimus. Ergo non est infinitus.
2. PRAETEREA, secundum Philosophum in I Physic. [c. 2, lect. 3],
tìnitum et infinitum conveniunt quantitati. Sed in Deo non est quan-
titas, cum non sit corpus, ut supra [q. 3, a. 1] ostensum est. Ergo
non competit sibi esse infinitnm.
3. PRAETEREA, quod ita est hic quod non alibi, est finitum secundum
locum: ergo quod ita est hoc quod non est aliud, est finitum secun.
dum substantiam. Sed Dens est hoc, et non est aliud: non enim est
lapis nec lignum. Ergo Deus non est infìnitus secundum substan-
tiam.
SEn CONTRA EST quod dicit Damascenus [De Fide Orth., I. 1, c. 4],
quod Deus est cc inflnitus et aeternus et incircumscriptibilis n.
RESPONDEO DICENDUM quod omnes antiqui philosophi attribuunt in-
Onitum primo principio, ut dicitur in 3 Physic. [c. 4, lect. 6] : et hoc
rationabiliter, considerantes res effiuere a primo principio in infini-
tum. Sed quia quidam erraverunt circa naturam primi principii, con.
sequens fuit ut errarent circa infinitatem ipsius. Quia enim ponebant
primum principium materiam, consequenter attribuerunt primo
principio inftnitatem materialem; dicentes aliquod corpus infinitum
esse primum principium rerum.
l' tndettntto (I'" l1.:rmeo" »): un elemento cioè Infinitamente divisibile, ma specifica-
mente Indeterminato. Eracltto poneva Invece come primo principio delle cose,
5otto Il perenne di venire, il fuoco vivente e lntfllllgente, mosso dal contrasto o di-
166 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 1

Bisogna dunque riflettere che infinita <ii dice una cosa perchè non
è finita [limitata]. Ora, ii• certa maniera la materia viene ad esser
limitata. dalla forma, e la forma dalla materia. La materia è linù-
tata dalla forma in quanto che la mat>Jria, prima di ricevere la
forma, è in potenza :t molte torme; ma dal momento che ne riceve~
una, da quella viene delimitata. 1 La forma poi è limitata dalla ma
teria per questo che la forma, in sè considerata, è comune a molte
cose; ma dacchè è ricevnta nelia materia, ctiventa forma soitant•)
di una data cosa.• - Se non che, la materia riceve la sua perfezione
dalla forma che la determina: e perciò linfinito attribuito alla mDr
teria racchiude l'idea di imperfezione; f;erchè è come una materia
senza forma. La forma invP.ce non viene perftzionata dalla materia,
ma ne riceve piuttosto la restrizione della sua ampiezza illimitata;~
quindi linfinito che si attrihuisce alla forma non delimitata dalla
materia importa essenzialmente perfezione.
Ora, come abbiamo gift veduto, l'essere stesi;o tra tutte le cose è
quanto di più formale si possa trovare. Quincti, siccome l'essere di-
vino non è ricevuto in un soggetto, ma Dio stE>sso è il suo proprio
essere snssistente, come si è sopra dimostrato, resta provato chia-
ramente che Dio è infinito t: perfetto.
SOLT.;ZtONF DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò vale anche come risposta alll:\
prima difficoltà.
2. La delimitazione è per la quantità una specie di forma; e se
ne ha un segno in questo, che la figura, la quale consiste nella de-
limitazione della quantità, è una certa determinazione specifica nel-
l'ordine della quantità. • Quindi, l'infinito che compete alla quan-
scordla. Ma poiché un principio tuito in ~è omogeneo non può spiegare l'infinita
molteplicità qualitativa delle cose, che da esso derivano, Anassagora pensò che
il primo principio precontenesse p;ià in sè tutta la diversità delle cose, fosse un
miscuglio di lnfinit& particelle 1i diversa specie e qualità, •l'infinito numero delle
parti similari"• come si esprime Aristotele (I .Uetapttys., c. 7. lJ88a). Questo oscuro
principio, dava origine a tutte le cose in quanto già le preconteneva in qualche
modo (era già carne, ossa, sangue, ecc., come si esprimeva Anassagora). Altri-
menti come le avrebbe originate, essendo evidente che dal niente nulla si origina·:
Il concetto di Anassagora è strano e piuttosto puerile. ma prelude alla grande idea
di Aristotele della materia prima, la quale è realmente già tutte le cose fisiche,
ma solo In potenza, e passa via via all'atto di determinate cose sotto l' lnflusse>
della causa efficiente diretta dalla caw;a finale. Le cose ven.!!ono determinate dal-
l'elemento-forma che la causa efficiente produce nella materia.
Queste dlveroo cause Implicantisi a vicf'nda furono trascurate o male Intrave-
dute dal primi film•ofi; ma esse s' impongr.no corr1e realtà olla mente cbe analizzi
Il mutamento. Il mutamento suppone, nelh cosa che muta, un elemento che passa
da un termine all'altro restando Identico. e un elemento che cessa di essere per
dar posto ad un altro che sottentra. Il primo elemento è la materia, Il secondo è
la forma. C1JSI nasce, s'impone e si ginstiflca l' tlemor~smo, la dottrina filosofica
rhe !IOStiene una dualità di elementi nella costituzione dei corpi fisici, di cui uno,
I.a forma, infinitamente vario e ricco. specifico per cgni gruppo di esser·!, spieg:i.
la distinzione e la ,·arietà; !"altro, gen~rico e comune, la materia, &J•iega la unl-
rormltà delle cose. Questa concezl<:>ne è vera, come è reale Il muta mt'n to che la
mente anallLZa e spiega. I due J.Jrincipil sono entrambi In qualche modo infiniti;
ma questa Infinità ha caratteri opposti come spiega S. Tommaso (vedi p. 167,
nota 3).
Sul!' llemorfismo vedi P. Rossi, •La cosmologia di S. Tommaso in rapporto alle
Srlenze moderne•>, In S. Tom. rl'Aqulno. I•ubbli::azlone dell" Università del Sacro
Cuore, 1923 - In commemora1ìone del YJ centenario della Canonizzazione di
s. Tommaso, pp. 247, 279; DrscOQs P .. Es.~at crlttque su1' l' hyUmorplttsme. Paris,
1!124; NYS D., Cosrn.ologte, v.01. li: T.11 T/J~orte Scholasttque. Louvaln, 1928; 01
MUNNYNK M., « L' hylémorphis111e cla11s la pensée contemporaine "• In Dlv. Thom.
(Frib.), 1928, pp. 154 ss.: FATTA lll., "Ilemorfismo e fisica contemporanea•. In
ntv. Thom. (Piac.), 1935, pp. 523 ss. ; 1936, pp. 143 ss.; 229 ss. ; MANSER G. M., • Die
LA INFINITA DI DIO 167

Considerandum est igitur quod infinitum dicitur aliquid ex eo


quod non est finitum. Finitur autem quodammodo et materia per
formam, et forma per materiam. Materia quidem per formam, in-
quantum materia, antequam recipiat furmam, est in potentia ad
multas formas: sed cum recipit unam, terminatur per illam. Forma
. vero fìnitur per mnteriam, inquantnm forma, in se considerata, com-
mnnis est ad multa: sed per hoc quod recipitur in materia, fit forma
determinate huius rei. - Materia autem perficitur per formam per
quam finitur: et ideo infinitum secnndum quod attribuitur materiae,
habet rationem imperfecti; est enim quasi materia non habens for-
mam. Forma autem non perficitur per materiam, sed magis per
eam eius amplitudo contrahitur: unde infinitum secundum quod se
tenet ex parte formae non determinatae per materiam, habet ratio-
nem perfecti.
Illud autem quod est maxime formale omnium, est ipsum esse, ut
ex superioribus (q. 4, a. 1, ad 3] patet. Curo igitur esse divinum non
sit esse receptum in aliquo, sed ipse sit suum esse subsistens, ut su-
pra (q. 3, a. 4] ostensum est; manifestum est quod ipse Deus sit in-
finitus et perfect us.
Et per hoc patet responsio ad primum.
An SFCUNDllM DICENDUM quod terminus quantitatis est sicut forma
ipsius: cuius signum est, quod figura, quae consistit in terminatione
quantitatis, est quaedam forma circa quantitatem. Unde infinitum

Naturphilosophle des Aqulnaten nnd dle ~lte und moderne Physlk '" In D1v.
Tl>om. (Frlb.), 1938, pp. 3.14; GIACON C., •Fisica atomica e fisica tomistica•, in
Ctv. Catl., 1037, pp. 3M ss. ; Idem, Le grandi lest del tomt.smo. Como, 1945; P. I.,
c. 2. nn. 11-14, pp. 49 ss.; P. II, c. 2. nn. 1-10, np. 159-177.
i Vien cioè tolta dalla sua Indeterminazione, per cui poteva: essere tutto, ma
di falto non era nulla di determinato; e vien ratta materia propria di un essere
specifico ca pare di esistere: p. es .. materia organizzata, o corpo di un uomo.
• :B Infatti la materia che rende Incomunicabile l'essere e le perteztonl dell' in-
dividuo esistente. L'umanità di Pietro, p. es., è incomunicabile a Paolo, perchè
la materia o corpo in cui è attuata non può essere corpo di Paolo ma solo rll
Pietro. L'umanità, la perfezione specificam~nte uman9. - la forma - In se stes~a
considerata, non dice di essere piuttosto In Pietro che in Paolo; ma dal momento
che è in uno, riceve una determinazione eoncreta, per cui cessa di essere univer-
sale per essere l'umanità o forma propria di nn inrlfviduo.
• S. Tommaso qul non vuol dire che le torme delle cose fisiche ricevano restri-
zione o imperfezione per essere ricevute in una materia e da essa finite, perchè Je
forme fisiche (compresa l'anima umana) hanno di fatto la loro perfezione per
l'unione con la materia; solo infatti in unione con essa possono esistere ed espii·
care la loro attività, sia principale e specifica, sia secondaria. S. Tommaso vuol
dire che nella considerazione di questi due elementi nol abbiamo un Indizio della
profonda diversità esistente tra tn(intto matertale, o quantitativo, proprio della
potenza concepita come priva dell'atto che la forma conferisce, e I' tnrtntto for-
male, proprio dell'atto; perchè, mentre la potenza è essenzialmente Imperfetta se
non è finita dalla forma, l'atto Invece tanto più guadagna di perfezione, quanto
menò è limitato o coartato dalla materia, ossia è lasciato infinito. Cosi una forma
riura concepita di per sè sussistente, non moltiplicata p~r l'unione a diverse ma-
terie, laociat.i cioè infinita, ha tutta la pnfezlone della sua specie; mentre se è
ricevuta In una materia, la sua perfezione vien limitata e frazionata tra molti.
Da questa considerazione, fondata sulla realtà fisica, S. Tommaso passa all'af-
fermazione generale che l'infinità materiale, propria deii:ll enti In potenza. Im-
porta essenzlalmenete imperfezione; I' Infinità formale propria degli enti in a1t.o,
importa essenzialmente perfezione.
• •La figura è una certa det~rmlnaztone ~peclflca nell'ordine della quantità•.
Intatti sono le figure che specificano o c;iratterizzJno le diverse specie di quantità,
facendone. p. es., un triangolo, un quadrato, un pentagono, ecc., come sono le
torme sostanziai! che speclfirn110 o caratterizzano le varie sostanze. Anche nella
quantità numerica c'è una rorm'\, che speclflca ogni numero ed è come la sua
166 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 1

Bisogna dunque riflettere che infinita c;i dire una cosa perchè non
è finita [limitata]. Ora, i1• rrrta maniera In materia viene ad esser
limitata dalla forma, e la forma rlalla materia. La materia è limi·
tata dalla forma in quanto che la mat'lria, prima di ricevere ]a
forma, è in potenza :i molte torme; ma dal momento che ne ricevr~
una, da quella viene delimitata. 1 La forma poi è limitata dalla ma
teria per questo che la forma, in sè considerata, è comune a molte
cose; ma clacchè è ricevnta nelia materia, òiventa forma soitant•J
di una data c-0sa. • - Se non che, la materia riceve la sua perfezione
dalla formn. che la determina: e perciò l'infinito attribuito alla ma-
teria racchiude l'idea di imperfezione; f;erchè è come una materia
senza forma. La forma inVf~ce non viene perl1:zionatu dalla materia,
ma ne riceve piuttosto la restrizione della sua ampiezza illimitata; 3
quindi linfinito che si attrihuisce alla form:i non delimitata dalla
materia importa essenzialmente perfezione.
Ora, come abbiamo gi?t veduto, l'essere stesso tra tutte le cose è
quanto di più formale si possa trovare. Quinòi, siccome l'essere di-
vin-0 non è ricevuto in un soggetto, ma Dio stE>sso è il suo proprio
essere sussistente, come 8i è sopra dimostrnto, resta provato chia-
ramente che Dio è infinito i., perfetto.
SoLt;ZtO:-<F nELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò vale anche come risposta ali~
prima difficoltà.
2. La delimitazione è per la quantità una specie di forma; e se
ne ha un segno in questo, che la figura, la quale consiste nella de-
limitazione della quantità, è una certa determinazione specifica nel-
l'ordine della quantità.' Quindi, linfinito che compete alla quan-
scorrtla. Ma poichè un principio tuito in ~è omogeneo non può spiegare l'Infinita
moltepllcità qualitativa delle cose, che da esso derivano, Anassagora pensò che
il primo principio precontenesse già in sè tutta la diversità delle cose, fosse un
miscuglio di lnftnlteo particelle 11 diversa specie e qualità, «l'Infinito numero delle
parti similari •., come si esprime Aristotele (I .Uetaphys., c. 7, D88•). Questo oscuro
principio, dava origine a tutte le cose in quanto già le precontPneva In qualche
modo (era già carne, ossa, sangue, ecc., come si esprimeva Anassagora). Altri-
menti come le avrebbe originate, essendo evidente che d:i.l niente nulla si origina ·
Il concetto di Anassagora è strano e piuttosto pnerlle. rna prelude alla grande idea
di Aristotele della materia prima, la quale è realmente già tutte le cose fisiche,
ma solo In potenza, e passa via via all'atto di determinate cose sotto lInflusso
della causa efficiente diretta dalla causa hnale. I.e cose ven.'1:ono determinate dal-
l'elemento-rorma che la causa efficiente produce nella materia.
Queste diverse cause Implicantisi a vlcf>nda rurono trascurate o male Intrave-
dute dal primi filo,ofi; ma esse s' impong·r.no con1e realtà alla mente che analizzi
Il mutamento. Il mutamento suppone, nelh cosa che muta, un elemento che passa
da un termine all'altro restando Identico, e un elemento che cessa di essere per
dar posto ad un altro che sottentra. Il primo elemento è la materia, li secondo è
la rorina. Cosi nasce, s'impone e si ginstlflca I' tirmor(ismo, la dottrina filosofica
che sostiene nna dualità di elementi nella costituzione del corpi fìsicl, di cui uno.
la torma, Infinitamente vario e ricco, specifico per cgni gruppo di essei·!, spiega
la distinzione e la yarletà; l'altro, gennico e comune, la materia, &r>iega la unl-
rormltà delle cose. Questa concezle>ne è vera, come è reale Il muta1m·nt.o che la
mente anall1.za e spiega. I due Iitincipil sono entrambi in qualche modo infiniti;
ma questa Infinità ha caratteri opposti come spiega S. Tommaso (vedi p. 167,
nota 3).
Sull' llemorfismo vedi P. ROSSI, •La cosmologia di S. Tommaso In rapporto alle
Scienze moderne"• In S. Tom. tl'.4r111ino. l'ubbllcazione del!' Universilà del Sacro
Cuore, 1923 - in commemora1ione del \'J centenario della Canonizzazione di
s. Tommaso, pp. 247, 279; DESCOQS P .• Essat crlttque sur l' hylr!morpl1tsme. Paris,
1!124; Nrs D., Cosmologte, v.ol. Il: la Tl>~orte Scholasttque. Louvaln, 1928; DE
MUNNYNK M., « L' hylémorphisrnP ùans la p('nsée coutemporalne '" In Dlv. Thom.
(Frib.), 1928, pp. 154 ss.' FATTA lll., .. llemorfismo e fisica contemporanea•, In
ntv. Thom. (Piac.), 1935, pp, 523 ss. ; 1936, pp, 143 ss.; 229 ss. ; MANSER G. M., • l.He
LA INFINITA DI DIO 167

Considerandum est igitur quod infìnitum dicitur aliquid ex eo


quod non est fìnitum. Finitur autem quodarnmodo et materia per
rormam, et forma per materiam. Materia quidem per formam, in-
quantum materia, antequam recipiat furmam, eEt in potentia ad
multas formas: seri cum recipit unarn, terminatur per illam. Forma
. vero finitur per materiam, inquantnm forma, in se considerata, com-
mnnis est ad multa: sed per hoc quod recipitur in materia, fit forma
determinate huius rei. - Materia autem perficitur per formam per
quam finitur: et ideo infìnitum secundurn quod attribuitur materiae,
habet rationem imperfecti; est enim quasi materia non habens for-
mam. Forma autem non perficitur per materiam, sed magis per
eam eius amplitudo contrahitur: unde infinitum secundum quod se
tenet ex parte formae non determinatae per materiam, habet ratio-
nem perfecti.
Illud o.utero quod est maxime formale omnium, est ipsum esse, ut
ex superioribus [ q. 4, a. 1, ad 3] patet. Cum igitur esse divinum non
sit esse receptum in aliquo, sed ipse sit suum esse subsistens, ut su-
pra [q. 3, a. 4] ostensum est; manifestum est quod ipse Deus sit in-
finitus et perfectus.
Et per hoc patet responsio ad primum.
An SFCUNDUM DICENDUM quod terminus quantitatis est sicut forma
ipsius: cuius signum est, quod figura, quae consistit in terminatione
quantitatis, est quaedam forma circa quantitatem. Unde infìnitum

Naturphilosophie des Aqulnaten nnd die alte und moderne Physlk "· In Dtv.
T/lom. (Frtb.), 1938, pp. 3·14; G1Aco11 C., •Fisica atomica e fisica tomistica"· in
Ctv. Catl., 1037, pp. 3M ss.; tdem, Le grandt test del tomtsmo. Como, 1945; P. I.,
c. 2. nn. 11-J.I. PP. 49 ss.; P. II, c. 2. nn. 1-10. np. 159-177.
l Vien cioè tolta dalla sua Indeterminazione, per cui poteva essere tutto, ma
di fatto non era nulla di determinato; e vien ratta materia propria di 11n essere
speclftco capnre di esistere: p. es., materia orgrrnlzzata, o corpo di un uomo.
• ~ Infatti la materia che rende incomunicab!le l'essere e le perreztont del!' 1n-
dlviduo esistente. L"umanità di Pietro, p, es., é incomunicabile a Paolo, perché
lR materia o corpo in cui è attuata non può essere corpo di Paolo m;i, solo di
Pietro. L'umanità, la perfezione SPP-CiftcamPnte umana - la forma - In se stes~a
considerata, non dice di essere piuttosto In Pietro che in Paolo; ma dal momento
cha è in uno, rieeve una determinazione concreta, per cui cessa di essere univer-
sale per essere l'umanità o forma proorla di un tnrl!vl<luo.
• S. Tommaso qui non vuol dire che le forme delle cose fisiche ricevano restri-
zione o imperfezione per essere ricevuto in una materia e da essa finite. perché le
forme fisiche (compresa l'anima umana) hanno di fatto la loro perfezione per
l'unione con la materia; solo infatti in unione con essa possono esistere ed espli-
care la loro attività, sia principale e specifica, sia secondaria. S. Tommaso vuol
dire che nella considerazione di questi due elementi noi abbiamo un Indizio della
profonda diversità esistente tra tnfìntto matertale, o quantitativo, proprio della
potenza concepita come priva dell"atto che la forma conferisce, e l' tn[inito for-
male, proprio dell'atto; perché, mentre la potenza è essenzialmente lmperretta se
non .è finita dalla forma, l'atto invece tanto più guadagna di perfezione, quanto
meno è limitato o coartato dalla materia, ossia è lasciato infinito. Cosi una forma
rura concepita di per ;è ~ussistente, non moltiplicata pf\r l'untonp a diverse ma-
terie, Ta;ciat.t cioè infinita, ha tutta 1:1 pnfezlone della sua specie; mentre se è
ricevuta in una materia, la sua perfezione vien llm!tata e frazionata tra molti.
Da questa considerazione, fondata sulla realtà fisica, S. Tommaso passa all'af-
fermazione generale che i' infinità materiale, propria degll enti In potenza. im-
porta essenzialmenete Imperfezione; l' Infinità forniale propria degli enti in alt.o,
importa essenzialmente perf?zione.
' •La ligura è una certa det"lrmlnazlone !'peciflca nell'ordine della quantità•.
Infatti sono le figure che specificano o caratterizzano le divr.rse specie di quantità,
facendone, p. es., un triangolo, un quadrato, un pentagono, ecc., come sono le
forme sostanziali che spccifìrano o caratterizzano le varie sostanze. Anche nella
quantità numerica c'è una form:i, che specifica ogni numero ed è come la sua
168 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, aa. 1-2

tità, è un infinito di ordine materiale, e tale infinito non si attri-


buisce a Dio, come si è detto.
3. Per il fatto stesso che l'essere di Dio è p·er sè sussistente senza
altro soggetto, ottenendo così l'attributo di infinito, si distingue da
tutte le altre cose, e tutte le altre cose da lui si escludono ; come se
esistesse la bianchezza sussi&tente, per il solo fatto di non essere in
u11 altro, differirebbe da ogni altra bianchezza che abbia un sog-
getto.'

ARTICOLO 2
Se qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita
per essenza.

SEMBRA che qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita per
essenza. Infatti :
1. La potenza attiva di un essere è proporzionata alla sua essenza.
Se dunque l'essenza di Dio è infinita, necessariamente anche la sua
potenza è infinita. Può dunque produrre un effetto infinito, giacchè
la grandezza della potenza si conosce dall'effetto.
2. Tutto ciò che ha una capacità infinita ha un'essenza infinita.
l\'Ta l'intelletto creato ha una capacità infinita; perchè apprende
t'universale, il quale può estendersi a uu numero infinito di singo-
lari. Dunque ogni sostanza intellettuale creata è infinita.
3. La materia prima è cosa distinta da Dio, come sopra abbiamo
dimostrato. Ma la materia prima è infinita. Dunque oltre Dio vi può
essere un altro infinito.
IN CONTRARIO: Secondo Aristotele l'infinito non può derivare da
causa alcuna. Ora, tutto ciò che esiste, eccetto Dio, viene da Dio
come da causa prima. Dunque niente oltre Dio può essere infinito.
RISPONDO: Oltl'e Dio ci rmò essere qualche cosa d' inflnito in senso
relativo, ma non in f:enso pieno e assoluto. Difatti, se parliamo del-
l'infinità che compete alla materia, è chiaro che ogni esistente in
atto ha la sua forma; e <'O!IÌ la sua materia è determinata dalla
forma. Ma siccome la materia, pur determinata da una forma so-
stanziale, rimano in potenza a molte altre forme accidentali; una
cosa che è sostanzialmente finita, può es!:'-er infinita in senso relativo:
p. es., un tronco di legno per Ja sua forma sostanziale è indubbia-
mente finito, ma tuttavia è relativamente infinito in quanto è in p0-
tenza a [prendere, sotto le mani dell'artista 1 innumer.evoli figure.
Se poi parliamo dell'infinità che appartiene alla forma, allora è
chiaro che quelle cose, le cui forme sono unite alla materia, sono
sostanzialmente finite, e in nessun modo infinite. Se poi vi sono delle
torma propria; e questa è l'unità ultima aggiunta, che è come II termine delle
singole quantità numeriche. Essa Infatti dà alle unità precedenti un essere nuovo,
che prima possedevano solo In potenza. Cosi l'unità aggiunta al 5 per formare
Il 6 dà un valore nuovo a tutte- le unità del numero formato, facendone un •esto
del tutto misurato dal numero, e non più un quinto. Il 6 è una misura di valore
11iverso dal cinque, e le sue unità ne partecipano. Il 6 non è formato da 1 + 1 + 1,
ecc., come da parti di uguale valore per qualsiasi numero. ma è formato dal suo
essere proprio che Informa proprie unità. - Sia nel caso della quantità continua,
L:\ INFINITA DI DIO 169
quod competit quantHati, est infinitum quod se tenet ex parte mat~
riae: et tale infìnitum non attrihuitur Deo, ut dictum est. [in corp.].
Ao TERTIUM DICENot·M quod, ex hoc ipso quod esse Dei est per se
subsistens non receptum in aliquo, prout dicitur infinitum, distin-
guitur ab omnibus aliis, et ali a rernoventur a.b eo: sicut, si esset
albedo subsistens, ex hoc ipso quod non esset in alio, differret ab
omni albedine existente in subiecto.

ARTICULUS 2
Utrum aliquid aliud quarn Deus possit esse infi.nitum
per essentiarn.
Infra, q. 00, a. 2, ad 4; 111, q. 10, a. 3, ad 2, 3; I Sent., d. 43, q. 1, a. I:
De Yertt., q. 29, a. 3; Quo1ll. 9, a. t ; 10, q. 2, a. 1, ad 2: 12, q. 2, ad 2:
11 Metaphys., Iect. 10.

AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod aliquid aliud quam


Deus possit esse infinitum per essentiam. Virtus enim rei propor-
tionatur essentiae eius. Si igitur essentia Dei est infinita, oportet
quod eius virtus sit infinita. Ergo potest producere effecturn infl-
nitum, cum quantitas virtutis per effectum cognoscatur.
2. PRAETEREA, quidquid hahet virtutem infinitam, habet essentiam
infinitam. Sed intellectus creatus habet virtutem inftnitam: appre-
hendit enim universale, quod se potest extendere ad infinita singu·
!aria. Ergo omnis substalltia i11tel!ectualis creata est infinita.
3. PRAETEREA, materia prima aliud est a Deo, ut supra [q. 3, a. 8]
Dstensum est. Sed materia prima est infinita. Ergo aliquid aliud
praeter Deum potest esse infinitum.
SEI> CONTRA EST quod infinitum non potest esse ex principio aliquo,
ut dicitur in 3 Physic. [c. 4, lect. 6]. Omne autem quod est praeter
Deum, est ex Deo ~icut ex primo principio. Ergo nihil quod est prae-
ter Deum, potest. esse infinitum.
RESPONDEO DICENDUM quod aliquid praeter Deum potest esse in-
fì nitum secundum quid, sed non simpliciter. Si enim loquamur de
infinito secundum quod competit materiae, manifestum est quod
omne existcns in actu, habet aliquam formam: et sic materia eius
est terminata per formam. Sed quia materia, secundum quod est sub
una forma substantiali, remanet in potentia ad rnultas formas acci-
<lentales; quod est finitum simpliciter, potest esse infinitum secun-
durn quid: utpote lignum est finitum secundum suam formam, sed
tamen est infinitum secundum quid, inquantum est in potentia ad
figuras infinitas.
Si autem loquamur de infinito secundum quod convenit formae,
sic manifestum est quod illa quorum formae sunt in materia, sunt
sia nel caso del numero, Il mancare di ftgura o di ultima unii!\ determinante(= es-
~ere lnftnlto) Importa tm11errezlone per la quantità, come per la materia l'esser
priva di forma.
' In altre parole: Dio è distinto da tutte le cose proprio In ragione della sua
Jnflnltà, cioè perchè 11 suo essere non è limitato o finito, come l'essere delle crea.
ture, che è ricevuto In un soggetto e da esso limitato. SI vede pertanto come n
concetto dl infinito formale, ,,ur essendo e5presso con una parola negativa (=non
finito), Indichi realmente la massima perfezione.
170 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, aa. 2-3

forme create non unite alla materia, ma per sè sussistenti, come


alcuni opinano degli angeli, 1 saranno sì infinite in un senso rela.
tivo, in quanto che tali forme non sono limitate nè coartate da ma-
teria alcuna;• ma siccome una forma creata così sussistente pos-
siede l'essere, ma non è il suo essere, è necessario che il suo essere
venga ricevuto e sia ristretto entro i limiti di una determinata na-
tura. Perciò non può essere infinito in sen,:o assoluto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. E contrario al concetto di cosa creata
che la sua essenza sia il suo stesso essere, perchè l'essere sussistente
non è un essere creato: perciò è contro l'idea stessa di cosa creata
l'essere infinita in modo assoluto. Quindi, come Dio, nonostante
abbia una potenza infinita, tuttavia non può creare qualche cosa
<l'increato (il che sarebbe far coesistere cose contraddittorie), cosi
non può creare cosa alcuna che sia assolutamente infinita.
2. Il fatto stesso che la capacità dell'intelletto si estende in qual-
che modo all'infinito deriva da questo, che l'intelletto è una forma
non immersa nella materia, ma o totalmente separata, come sono le
nature angeliche ; o per lo meno è una facoltà intellettiva, che non
è atto d'un organo mate1iale, come nel caso dell'anima intellettiva
congiunta al corpo. •
3. La materia prima, propriamente, non esiste nella realtà per se
stessa, non es.sendo ente in atto, ma solo in potenza: quindi è qual-
che cosa di concreato piuttosto che di creato. • Pur nondimeno la
materia prima, anche secondo la potenza, non è infinita in senso
assoluto, ma in un senso relativo, perchè la sua potenzialità non
si estende che alle sole forme corporee.

ARTICOLO 3
Se si possa dare un infinito attuale in estensione. •

SEMBRA che si possa dare un infinito attuale in estensione. Infatti:


1. Nelle matematiche non c'è falsità, perchè «l'astrazione non è
un mendacio n, come dice Aristotele.• Ora, le matematiche usano
dell'infinito in estensione; dice infatti il geometra nelle sue dimo-
strazioni: Sia tale linea infinita.... Dunque non è impossibile che si
dia un infinito in estensi.eme.

• Questa opinione è propria di S. Tommaso che la svolge ampiamente in I, q. 50.


L'espressione: "come alcuni opinano" è piena di modestia e di moderazione.
a Avrà ognuna tutta la perfezione della propria specie ; sarà infinita nella pro-
pria specie.
• L'Intelletto umano, pur essendo facoltà propria di una forma sostanziale
unita alla materia, qual" è l"anlma umana che vivlflca col suo essere sostanziale
Il corp!>. è tuttavia emergente dalla mater•a. e non attua nessun organo corport>I),
che sia strumento della cognizione intellettiva, come Invece avviene delle facoltà
sensitive. che sono legate a un organ•J corporeo. Circa la natura dell • Intelletto
umano e della cognizione Intellettiva vedi I, qq. 79 e 84-89.
• Esiste nella realtà l'enw fblco concreto, che ha una determmata massa di
materia e unl\ sua essenza specifica. La riflessione Intellettiva, analizrnndo le mu-
taZ!ont sostnnziall del corpi, scoprtl ecl afferma un elemento che permane sotto
tutte le muta1tonl ed è come Il soggetto primo di ess.i - e questo elemento comune
chiama materia prima - ; un altro elemento invece ~.opravviene nelle mutazioni
LA INFINITA DI DIO 171
simpliciter finita, et nullo modo infinita. Si autem sint aliquae formae
creatae non receptae in materia, sed per se subsistentes, ut quidam
de angelis opinantur, erunt quidem infinitae secundum quid, inquan.
tum huiusmodi formae non terminantur neque contrahuntur per ali-
quam materiam: sed quia forma creata sic subsistens habet esse, et
non est suum esse, necesse est quod ipsum eius esse sit receptum et
contractum ad determinatam naturam. Unde non potest esse infini-
tum simpliciter.
Ao PRil\ffl\f F.RGO DTCENDUM quod hoc est contra rationem facti, quod
e~sentia rei sit ipsum esse eius, quia esse subsistens non est esse
creatum: 11nde contra ratio11em facti est, quod sit simpliciter infi-
niturn. Sicut ergo Deus, licet habeat potentiam infinitam, non tamen
potest facere aliquid non factum (hoc enim esset contradictoria esse
simul) ; ita non potest facere aliquid infìnitum simplicit.er.
Ao sECUNOUM DICENDUM quod hoc ipsum quod virtus intellectus
extendit se quodammodo ad infinita, procedit ex hoc quod intelle-
ctus est forma non in materia; sed vel totaliter separata, sicut sunt
substantiae angelonim ; vel ad minus potentia intellectiva, quae
non est actus alicuius organi, in anima intellectiva corpori co-
niuncta.
Ao TERTJUM 01cEN011M quod materia prima non existit in renim
natura per seipsam, cum non sit ens in actu, sed potentia tantum:
unde magis est aliquid concrcatnm, quam creatum. Nihilominus
tamen materia prima, ctiam secundum potentiam, non est infinita
simpliciter, sed secundum quid: quia eius potentia non se extendit
nisi ad formas naturales.

ARTICULUS 3
Utrum possit esse aliquid infinitum actu secundum magnitudinem.
De Vertt., q. li, a. 9, ad 5; Quodt. 9, a. t; tll, q. 2, ad 2; I Phustc., lect. 9;
s, lect. 1 ss. ; lJe Caelo, !ect. 9 ss.
Ao TERTIUM SIC PROCEDITl.'R. Videtnr quod possit esse aliquid infini-
tum actu secundum magnitndinem. In i;rientiis enim mathematicis
non invenitur falsum: qui a « abstrahentium non est mendacium >>,
ut dicitur in 2 P11ysic. [c. 2. led. 3]. Sed srientiae mathematicae
ut1mtnr infinito secundum magnitudinem: dicit enim geometra in
suis demonstrationibus, sit Linea talis infinita. Ergo non est impos-
sibile aliquid esse infinitum secundum magnitudinem.

o scompare, e questo elemento, che caratterizza l'ente in concreto dandogli la sua


flsonomia e distinguendolo da ogni altro, lo chiama forma. Ma nè l'uno nè l'altro
dPì """ "len~<'nti, <eht.ene reali, µo~sono esistere separatamente, glaccllè esi.i non
sono dò f'/1P PSl .. tP, mR 11ò rh~ rnstltut.orr l'Pnte rhf esiste. Nella realtà questi
due elementi si limitano a vicenda, come è stato detto nell'a. 1, e non sono n&
possono essere infiniti. (Vedi p. 164, nota 2).
• Se si possa dare, p. es., un corpo avente una superficie Infinita, non soltanto
tn potenza, nel sen&a cioè che non r1i.ugnl si 11os&a aggiunirere ll0mpra altre quan-
tità alla sue dimensioni; ma nel senso che possieda realmente - In atto - una
estensione Infinita. SI sa che Spinoza ammise l'tstensione Infinita come attributo
della sua unica sostanza.
• L'oggetto delle matematiche è la quantità pura, considerata astrattamente,
ossia in modo indipendente dalle qualità fisiche della realtà concreta. Nonostante
questo, anzi per questo, le scienze matematiche sono vere. (Vedi p. 44, nota 2).
172 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 3

2. Ciò che non è contro la natura di un oggetto, non è impossibile


che gli convenga. Ora, l'infinito non è contro la natura dell'esten-
sione: chè anzi finito ed infinito sembrano essere denominazioni pro-
prie della quantità. Dunque non ripugna un'estensione infinita.
3. L'estensione è divisibile ali' infinito: cosi, infatti, si definisce
il continuo: " Ciò che è divisibile all'infinito "• 1 come dice Aristo-
1 de. Ora, i contrari son fatti per prodursi a rtguardo di un identico
-0qgetto [o qualità]. Siccome dunque, al\a divisione si oppone l'ad-
dizione ed alla diminuzione l'aumento, pare che l'estensione [come
è divisibile all'infinito,) possa crescere all'infinito. Dunque è pos-
!>ibile un'estensione infinita.
4. Moto e tempo misurano la loro quantità e la loro continuità
dall'estensione percorsa dal moto, come dice Aristotele.• Ma non è
contro la na tnra del tempo e del moto di essere infiniti: dal mo-
mento che ogni [punto e ogni istantel indivisibile segnato nel tempo
e nel moto circolare• è insieme inizio e termine. Non è perciò con-
tro la natura dell'estensione di essere infinita.
IN CONTRARIO: Ogni corpo ha una superficie. Ma ogni corpo avente
'ma superficie è limitato; perchè la superficie è la terminazione di
un corpo finito. Dunque ogni corpo è limitato. E lo stesso può dirsi
della superficie e della linea. Niente è quindi infinito in estensione.
RTSPO'\DO: Altra cosa è r ir1ftnito secondo l'essenza, altra r infinito
secondo l'estensione. Infatti, dato che ci fosse un corpo infinito per
~stensione, come il fuoco o l'aria, non sarebbe tuttavia infinito se-
condo l'essenza; perrhè la sua essenza sarehbe limitata ad una spe-
cie dalla sua forma e a un determinaito individuo dalla sua materia.•
Perciò, accertato ormai dai precedenti, che nessuna creatura è infi-
nita secondo l'essenza, resta ancora da indagare se qualche cosa di
creato possa essere infinito per estensione
Bisogna dunque sapere che corpo, il quale è un'estensione com-
pleta [cioè a tre dimensioni), può prendersi in due significati; e cioè
in senso matematico, se si ronsidera in esso soltanto la quantità; e
in senso fisico, se si considera in esso la materia e la forma. Ora, che
H corpo fisico non possa t:ssere infinito in atto, è chiaro. Infatti ogni
corpo naturale ha una sua forma sostanziale determinata; e siccome
ad ogni forma ::.ostanzial~ conseguono degli accidenti, ne viene per
necessità che ad una forma determinata conseguano degli accidenti
parimenti determinati, tra i quali c'è la quantità. Donde segue che
Qgni corpo fisico ha una determinata quantità, estesa più o meno
{entro certi limiti) • E perciò è impossibile che un corpo fisico sia
infinito. - Ciò apparisce anche dal movimento. Infatti, ogni corpo na-
turale ha un suo moto naturale;• ma un corpo che fosse infinito
uon potrebbe avere nessun moto naturale;• non il mot0 rettilineo,
perchè niente si muove per natura in lai modo, se non qtwndo è fuori
t Della grandezza d1scontlnua, cioè del nurr.ero, si parla nell'articolo seguente.
tn questi due articoli S. Tommaso si chiede se è possibile l'Infinità ùcl cosmo
sotto I due aspetti: se si possa dare uno spazio reale inflnito : se si possa dare un
'111 mero di corpi lnflnlto.
2 Un moto Intatti è più grande o più veloce di un altro •. se percorre nell'unita
-di te>mPo nn·J spnlr maggiore; e nn tempo, p. <'S., 11n giorno, è maggiore di un
altro tempo. p. es., di un·ora, perchè lo spazio percorso dalla terra Intorno a s&
stessa nel primo caso è maggiore che nel secondo.
• Il moto circolare apc;arente del cieli (o quello reale della terra) è Pl'e60 per
misura di ogni moto, cioè come tempo che è appunto deftnlto •misura del moto•.
LA INFINITA DI DIO lTd

2. PRAETEREA, id quod non èst contra rationem alicuius, non est


impossibile convenire sibi. Sed esse infinitum non est contra ratio-
nem magnitudinis: sed magis ftnitum et infìnitum videntur esse
passiones quantitatis. Ergo non est impossibile aliquam magnitu-
dinem esse inftnitam.
3. PRAETEREA, magnitudo divisibilis est in inftnitum: sic enim de-
finitur continuum, "quod est in inflnitum divisibile», ut patet in
3 Physic. [c. 1, lect. 1]. Sed contraria nata sunt fieri circa idem.
Cum ergo divisioni opponatur additio, et diminutioni augmentum,
videtur quod magnitudo possit crescere in infìnitum. Ergo possibile
est esse magnitudinem infinitam.
4. PRAETEREA, motus et tempus habent quantitatem et continuitatem
a magnitudine super quam transit motus, ut dicitur in 4 Ph11sic.
[c. 11, lect. 17]. Sed non est contra rationem temppris et motus quod
sint infinita: cum unumquodque indivisibile signatum in tempore et
motu circnlari, sit principium et finis. Ergo nec contra rationem ma-
gnitudinis erit qnod sit infinita.
SF.n CONTRA, omne corpus superfìciem habet. Sed omne corpus su-
perficiem habens est fìnitum: quia superficics est terminus corporis
finiti. Ergo omne corpus est finitum. Et similiter potest dici de su-
perficie et linea. Nihil est ergo infinitum secundum magnitudinem.
RESPONDEO DICENDUM quod aliud est esse infìnitum secundum suam
essentiam, et secundum magnit11dinem. Dato enim quod esset ali-
quod corpus infìnitum secundum magnitudinem, utpote ignis vel
aer, non tamen esset inftnitum secund11m esscntiam: quia essentia
sua esset terminata ad aliqnam speciem per formam, et ad aliquod
individuum per materiam. Et ideo, habito ex praemissis [a. praec.)
quod nulla creatura est infinita secundum essentiam, adhuc restat
inquirere utrum aliquid creatum sit infìnitum sec11ndum magnitn-
dinem.
Sciendum est igitur quod corpus, quod est magnitudo completa..
dupliciter sumitur: srilicet mathematice, secundum quod conside-
ratur in eo sola quantitas; et naturaliter, secundnm quod conside-
ratur in eo materia et forma. Et de corpore quidem naturali, quod
non possit esse infinitnm in actu, rnanif.esh1m est. Nam omne corpus
naturale aliquam formam substantialem habet determinatam: cum
igitur ad formam substantialem consequantur accidentia, necesse
est quod ad determinatam formam conscquantur determinata acci-
dentia; inter quae est quantitas. Unde omne corpus naturale habet
determinatam quantitatem et in maius et in minus. Untle impossi-
bile est aliquod corpus naturale infinitum esse. - Hoc etiam ex motu
uatet. Quia omne corpus naturale habet aliquem motum naturalem.
Corpus autem infinitum non posset habere aliquem motum natura-
lem: nec rectum, quia nihil mo,•etur naturaliter motu recto, nisi
' Vedi p. 170, nota 2. t:n tale corpo supposto infinito in grandezza, appartenent!o
a una sola specie di corpo, lascia adito ad altre specie cli cor·pi ; e per di più
nella sua stes'a specie, rc.tano pos~!bili, almeno teoricamente, altri lndlvldul nu-
mericamente distinti.
•Cioè: c'è un limite per li più e e' è un limito) ptlr il meno: un uomo, p. es.,
può essere fisicamente più o meno gran<le, più o meno piccolo, ma entro certi li-
miti soltanto: non potrà certamente essere grande come una montagna, o plccoiA>
come un sorcio.
• Vedi p. 160, nota.
' L.> fisica mOderna dietro A. Einstein si orienta sempre pltl verso la con-
174 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 3

del suo luogo, e ciò non potrebbe avvenire per un corpp che fosse
infinito, perchè occuperebbe tutto lo spazio, e cosi ogni luogo sarebbe
indifferentemente il suo lnogo proprio. E così pure non potrebbe
avere neanche il moto circolare, perchè nel moto circolare è neces-
sario che una parte del corpo si trasferic;ca nel luogo in cui era
prima un'altra parte ; e questo non potrebbe avvenire in un corpo
circolare ~e lo immaginiamo infinito; pcrchè due linee partenti <lai
centro, più si allontanano dal centro più si distanziano tra di loro;
e perciò se un corpo fosse infinito, le due linee verrebbero ad essere
tra loro distanti all'infinito, e cosi mai l'una potrebbe pervenire al
luogo dell'altra.
La stessa ragione vale se parliamo di un corpo matematico. Per-
chè se immaginiamo un corpt• matematico e!!is1ente in atto, bisogna
·che lo immaginiamo sotto una forma determinata, poichè niente è
in atto se non in forza della sna forma. Quindi, siccome la forma
dell'essere quantitativo come tale, è la figura geometrica, esso avrà
necessariamente una qualche figura. E così sarà limitato ; perchè la
figura non è altro che ciò che è compreso in uno o più limiti. 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il geometra non ha bisogno di sup-
porre che 11na linea sia infinita in atto; ha bisogno invece di pren-
dere una linea attualmente limitata, dalla quale si possa sottrarre
quanto è necessario: e questa linea la chiama infinita.
2. E vero che lidea d'infinito non rer1ugna ali' idea d'estensione
in genere, ma tuttavia è in contraddizione col concetto di qualsiasi
specie di estensione, cioè con la quantità di due cubiti, di tre cubiti,
con quella circolare o triangolare e simili. Ora, non è possibile che
sia in un genere quello che non è in alcuna delle sue specie. E quindi
impossibile che si dia un'estensione infinita, dal momento che nes-
suna specie di estensione è infinita.
3. L'infinito che compete alla quantità, come si è detto, è quello
che si riferisce alla materia. Ora, con la divisione di un tutto ci si
accosta alla materia, perchè le parti hanno carattere di materia;
mentre con l'addizione si va verso il tntlo, il qnalc Ila rarattere rli
forma.' E perciò non si ha infinito nell'addizionare la quantità, ma
solo nel dividerla.
4. Il movimento ed il tempo non sono in atto nella loro totalità,
ma successiva.mente, e crninrli sono 1111 misto di potenza. e di atto,
mentre l'estensione è tutta in atto. E perciò, linfinito, che c0nviicne
alla quantità e che risulta da parte della materia, ripugna alla tota-
lità dell'estensione. non ripmma invece alla totalità del tempo e del
moto, perchè la potenzialiti:t è propria della materia. 3
ceztone di un co~mo finito, in base ai f•re~upposti di molti fenomeni fisici che na-
turalmente non sono quelli ai quali accenna qui S. Tommaso.
L'Aquinate ha avuto premun di distinguere nett'lmente l'infinità fisica dalla
Infinità matematica. Quest'ultima suscita ancora oggi sottili dispute fra gli stu-
dio&!. (ENRIQUES F., in E11c. //al., YOl. XJX. l'l'- %•=-~o ...
1 Per coloro che con Pascal e Leibnitz ammettono la possibilità del!' infinito in
e~tensione è interessante conoscere il valore che S. Tommaso stesso dà alla cllmo-
strazione riportata in qnesto articolo: "!\on è vera dimostrazione ma soltanto
I•robab!le; J'erchè chi affermasse che esiste un corpo infinito, non concederebbe
rhe 'lppa.rtenga all'essenza dei corpi essere terminati da una superficie, se non
potenzialmente"· E aggillnge: "sebbene questo argomento sia una ragione pro-
l•ab!le e famosa" (.1 P/lysir., c. 5, iect. P, n. 41.
2 L'essere specifico di un tutto è dato dalla totalità delle sue parti; la totalità
quindi si comporta come forma nell'ente composto. La totalità, dice S. Tommaso,
LA INFINITA DI DIO 175

curo est extra suurn locurn, quod corpori infinito accidere non pos-
set; occuparet enim omnia loca, et sic indifferenter qui!ibet locus
esset locus eius. Et similiter etiarn neque secundum moturn circu-
larem. Quia in motu circulari oportet quod una pars corporis trans.-
feratur ad locum in quo fuit alia pars; quod in corpore circulari, si
ponatur infìnitum, esse non posset: quia duae linae protractae a
centro, quanto longius protrahuntur a centro, tanto longius distant
ab invicem ; si ergo corpus esset infìniturn, in infinitum lineae di-
starent ab invicem, et sic una nunquam posset pervenire ad locum
alterius.
De corpore etiarn mathematico eadem ratio est. Quia si imagine-
rnur corpus mathematicum existens actn, oportet quod imaginemur
ipsum sub aliqua forma: quia nihil est actu nisi per suam fonnam.
Unde, cum l'orma quanti, inquantum huiusmodi, sit figura, oportebit
quod habeat alìquam figuram. Et sic erit finitum: est enim figura,
quae termino vel terrninis comprehenditur.
· An PRIMUM ERGO DICENDUM quod geoìneter non indiget sumere ali-
quam lineam esse infinitam actu: sed indiget accipere aliquam li-
neam finitam actu, a qua possit subtrahi quantum necesse est: et
liane nominat linearn infinitam
An SECUNDUM DICENDUM quod, licet infinitum non sit contra ratio-
nem magnitudinis in cornmuni, est tamen contra rationem cuiusli-
bet speriei eius: scilicet contra mtionem magnitudinis bicubitae vel
tricubitae, sive circularis vel triangularis, et sirnilium. Non autern
est possibile in genere esse quod in nulla specie est. Unde non e·st
possibile esse aliquam magnitudinem infinitam, cum nulla species
magnitudinis sit infinita.
An TERTIUM DICENDUM quod infinitum quod convenit quantitati, ut
dictum est [a. 1, ad 2), se tenet ex parte materiae. Per divisionem
autem totius acceditur ad materiam, nam partes se habent in ratione
materiae: per additionem autem acceditur ad totum, quod se habet
in ratione t'ormae. Et ideo non invenitur infinitum in additione ma-
gnitndinis, sed in divisione tantum.
An QUARTUM DICENDUM quod motus et ternpus non sunt secundum
totum in actu, sed successive: unde habent potentiam pennixtam
actui. Sed magnitudo est tota in actu. Et ideo infinitum quod con-
venit quantitati, et se tenet ex parte materiae, repugnat totalitati
magnitudinis, non autem totalitati temporis vel rnotus: esse enim in
potentia convenit materiae.

non può essere indeterminata, ricevere partl tn Infinito, ma esiste necessaria-


mente con tutte le sue parti insieme. Se si aggiungono a un tutto altre e poi altre
r-n rti, non ~I accresce quel tutto, ma si ha un altro essere. Le parti Invece, siano
quelle di un meccanismo siano quelle di un org·anismo, perdono il loro essere
specifico di parti di un determinato ente quando il tutto si fraziona, e divengono
deirl! elementi materiali, sul quali si può operare per divisione ali' infinito, :i.llon-
tanandosl sempre più dall'essere determinato che avevano nel tutto e accedendo
sempre più verso l'indeterminato, ossia verso la materia prima. Il corpo fisico
PPrciò, di cui si tratta ora, non può crescere ali' Infinito nelle sue rartl, mentre
non pone .ostacoli alla dlvi~lone delle medesime. Un COI'!JO fisico è un infinito po-
tenziale, se lo si considera secondo la sua materia, come S. Tommaso Ila i;i.i
detto (a. 2) ; ma non è un inlìnito neppure potenziale, se lo si considera secondo
la sua formn.
1 Il tempo è composto del passato, del presente e del futuro; di queste tre
pa!'li non esiste in atto se non 1! presente. Così pm·e il nwto, ~ile è esscnzialmcule
tendenza, non coeslste con tutte le sue parti. Esse risultano dal confronto che la
176 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. '

ARTICOLO'
Se nella realtà si possa dare an inftnito numerico.

SEMBRA che sia possibile un numero inflnito in atto. Infatti:


1. Ciò che è in potenza a essere ridotto in atto non è cosa impos-
sibile. Ora il numero è moltiplicabile ali' infinito. Dunque non è im-
possibile che si dia un numero infinito in atto.
2. F, pos.~ibile che di ogni sperie Vi sia qualche individuo in at.to.
Ma 'e specie delle figure geometriche sono infinite. Dunque è possi-
bile che vi siano infinite figure.
3. Cose che tra loro non SGno opposte, neppure si ostacolano a vi-
cenda. Ora, dato un certo numero di cose, se ne possono fare an-
cora u.olttl altre non opposte alle prime; dunque non è impossibile
che ce ne possano essere insieme con esse anche delle altre, e cosi
via all' infinito. E dunque possibile che ve ne siano infinite in atto.
IN CONTRARIO; E detto nel libro della Sapienza: u Tutto tu dispo-
nesti in 1nisura, numero e peso"·
RISPONDO: Su questp punto ci furono due opinioni. Alcuni, come
Avicenna e Algazel, 1 hanno sostenuto che una moltitudine numerica
attualmente infinita per se è impossibile; ma che esista un numero
infinito per accidens non è impossibile. Si dice che una moltitudine
numerica è infinita per se, quando si richiede all'esistenza stessa. di
qualche cosa un numero di enti infinito. E questo è impossibile, per-
chè in tal modo una cosa dovrebbe dipendere da infinite cause e
quindi non si produrrebbe mai, non potendosi percorrere e attra.ver-
sare l'infinito.
Una moltitudine numerica si chiama invece infinita per accidens,
quando non è richiesta all'esistenza di una qualche realtà un' infi-
nità numerica, ma capita di fatto cosL Si può chiarire la cosa in
questa maniera, prendendo come esempio l'opera di un fabbro, per
la quale si richiede una certa molteplicità numerica necessaria.mente
(per se), cioè l'arte, la mano che muove e il martello. Se questi ele-
menti si moltiplicassero ali' infinito, il lavoro del fabbro mai. ver-
rebbe a compimento, perchè dipenderebbe da cause infinite. Ma la
molteplicità dei martelli che si verifica perchè se ne rompe uno r·
se ne piJ!lia un altro, è molteplicità contingente (per nr.cidens): poi-
chè rapita di fatto, che il fabbro lavori con molti martelli, ma è
del tutto indifferente che lavori con uno, o con due o con più o anche
con infiniti martelli, dato che lavori per un tempo infinito. Così quei
filosofi ammisero com.e possibU.e una moltitudine attualmente infinita
per accidens, intesa in questo senso. 1

menta fa con le diverse parti dello sp:i.zlo percorso (là, qui, altrove .... ), e qul'bta
enumerazione è il tempo stesso. Solo l'essere qui è in atto nel moto (essere qui
cessando di essere là, tendendo altrove). Queste parti, come quelle del tempo, non
coesistono In atto se non nella mente; realmente sono potenziali. Ben diversamente
si ha Invee.e una grandezza per rispetto alle sue parti: esse devono essere tutte in
atto. come si è detto (vedi nota prec.).
1 Avtcenna (Il:>n-Stna), medlco e filosofo arabo vissuto dal 980 al 1037, celebre
LA INFINITA DI DIO 177

ARTICULUS 4
Utrum pos8it esse infinitum in rebus secundum multitudinem.
f Sent., d. 1, q. 1, a. 5, ad t7 ss. ; De Vertt., q. 2, a. 10; Quodl. 9, a. 1;
12, q. 2, ad 2 ; s Pl!ystc., lect. 12.

AD QUARTUM SIC PRO<:EDITUR. Videtur quod possibile sit esse multitu-


dinem infinitam secu11dum acturn. Non enim est impossibile id quod
est in potentia reduci ad actum. Sed numerus est in infìnit11m mu1-
tiplicahilis. Ergo non est impossibile esse multitudinem infinitam
in actu.
2. PRAETEREA, cuiuslibet speciei possibile est esse aliquod indivi-·
duum in actu. Sed species fìgurae sunt infinitae. Ergo possibile est
esse infinitas fìguras in actu.
3. PRAETEHEA, ea quae nou oppommtur ad invicem, non impediunt
,;;e invicem. Sed, posita aliqua multitudine rerum, adhuc po8s11nt
fi.eri ali a multa qnae eis non opponunt11r: ergo non est impossibile-
aliqua iterum simul esse cum eis, et sic in infìnitum. Ergo possibile
est esse infinita in actu. ·
SEo CONTRA EST quod dicitur Sap. 11, 21: u omnia in pondere, nu-
mero et mensura disposuisti "·
RESPONDEO DICENDl'M quod circa hoc fuit duplex opinio. Quidam
enim, sicut Avicenna [Metaphys. tract. 6, c. 2; tract. 8, c. 1] et Al-
gazel [Philos. l. 1, tract. 1, c. 11], dixerunt quod impossibile est esse
multitudinem actu infìnitam per se: sed infinitam per accidens mul-
titud inem f>sse, non f'St impossibile. Dicitur enim multitudo esse in-
finita per se, quando requiritur ad aliquid ut multitudo infinita sit.
Et hoc est impossibile esse: quia sic oporteret quod aliquid depen-
deret ex infinitis; unde eius generatio nunquam compleretur, cum
non sit infinita pertransire. Per accidens autem dicitur multitudo·
infinita, quando noh requiritur ad aliquid infìnitas multitudinis, sed
accidit ita esse. Et hoc sic manifestari potest in operatione fabri,
ad quam quaedam multitudo requiritur per se, scilicet quod sit ars
in anima, et manus movens, et martellus. Et si haec in infinitum
multiplicarentur, nunquam opus fabrile compleretur: quia depen-
deret ex infinitis causis. Sed multitudo martellorum quae accidit ex
hoc quod unum frangitur et accipitur aliud, est multitudo per ac-
cidens: accidit enim quod multis martellis operet11r: et nihil r!iffert
utrum uno vel duobus vel pluribus operetur, vel infinitis, si infinito·
tempore operaretur. Per hunc igitur modum, pos11erunt quod possi-
bile e&t esse actu multitudinem infinitam per accidens.

Interprete del pensiero aristotelico. Al-Gazait, fllosoro arabo, vissuto dal 1058 al
1111.crr Introd. <;en., n. 67.
~ Questa tllslinzi-0ne tr.1 moltitudine richiesta per sè, e moltitudine che 1t ha
solo dt fatto, acctdenlntmente, è per altro molto importante; s. Tommaso se ne
serve nelle prove ùell 'esistenza di Dio, qn" n<lo stabilisce che nella serie del m-0-
tort e delle cause per se ordinati alla produziont. di un effetto, non si può dar()
processo in Infinito, lasciando allor·a indecisa la questione se si possa <lare tale
pr~sso nella rnoltltu<line rlchle.,ta per acctdens (cfr. q. 2, a. 3, prima e seconda
prova). Più tardi, traHando la queHiùne - se lmplt~hl ripugnanza che Il mornto
sta stato creato ab aeterno - usa della stessa distinzione per risolvere la dimcoltà..
oppostagli che, nell'Ipotesi del mondo alJ aeterno, alla generazi'>oe presente sa·
178 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. 4

Ma ciò è insostenibile. Infatti, ogni molteplicità appartiene ne-


ces.sariamente a una qualche specie di molteplicità: ora, le specie
della molteplicità corrispondono alle specie dei numeri: d'altra parte
nessuna specie del numero è infinita, perchè ogni numero non è aìtro
che una moltitudine misurata dall'unità. Perciò è impossibile che
si dia una molteplicità infinita in atto, sia per se, che per accidens. 1
- Ancora: la molteplicità esistente uella natura Jelle ..:use e: creata;
tutto ciò che è creato è compreso sotto una certa intenzione del Crea-
tore, altrimenti l'agente opererebbe invano: quindi è necessario che
tutti gli esseri creati siano compresi sotto un numero determinato.
E dunque impossibile una moltitudine attualmente infinita, anche
solo per accidens. •
:E: però possibile una molteplicità numerica infinita in potenza;
perchè l'aumento del numero consegue alla divisione dell'estensione
quantitativa. Infatti, quanto più una cosa si divide, tanto più llll-
merose sono le parti che ne risultano. Per cui, com.e si ha ]'infinito
in potenza dividendo la quantità continua, perchè si proced~ verso
la materia, secondo la dimostrazione già fatta ; per la stessa ragione
si ha l'infinito in potenza anche aumentando il numero.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutto ciò che è in potenza si riduce
affatto, ma in conformità al proprio modo di essere: il giorno in-
fatti non si riduce all'atto in modo da esistere tutto insieme, ma sue-
rehbeJ'o precedute infinite cause. Al che egli risponde che tale moltitudine di
cause precedenti concorre soltanto per arctdens nella produzione della genera,.
1.lone pre&"nte, e non per se ; ora Il processo In Infinito ripugna nelle cause per
se, non nelle cause concorrenti solo accidentalmente. •Non è reputato imp08Slblle
- scrive testualmente - procedere an· infinito nelle cause agenti per. acctdens •;
• ncm è Impossibile che uomini siano generati da altri uomini in infinito" (I, q. <16,
a. 2, ad 7). Ma In questo caso, si obietta S. Tommaso, esisterebbe una molti-
tudine di esseri Infinita in atto, se Dio avesse wnservato nell'esistenza tutte le
ca use precedenti. 1':, come si vede, la nostTa presente questione, e la risposta
1!i S. Tomnrnso è intcre.$sa11te l.'èll'hè ~ncJ1r lit t'2li ritìuta l::t pos~ibilir?. dp.l'c·'~1-
~tenz;1 della moltitudine infinita In atto, sia pure per acctdens, osservando solo
t.:he questa i1npossibilità cosUt.uisce una ragione particolare che non distrugxe la.
possibilità della tesi sostenuta, eh~ cioè qualche creatura, p. es., un angelo, sia
~tata ab aetemo creata. (Vedi p. 84, nota 1).
i Che valore ha questo argomento• Cert.amente è !orte, ma non pare che la
evidenza sia ~enz'ombra. S. Tonin.aso stesso, nel Commento alla FiSica gia citato
, I. 3, c. 5, lcct. 8) scrive: " Que.>te 1a;;10ni sono pwDa1Ji11 e pw~edono da ciò clw
comunemente è ammesso; non concludono infatti necessariamente.... Chi soste-
nesse che si può dare una moltitudine infinita in atto, non concederebbe che essa
è numero o che ha un numero, perché il numero all'idea di moltitudine aggiunge
il wncetto di misura: Il num~ro Infatti, al dir di Aristotele (1. 10 della Meta(l-
;tca) è una moltitudine nusurata da!l'Hnità; e per 4ueslo 11 numero è posto tra
ie specie della quantità discreta, ma non la moltitudine, la quale Invece appar-
tiene alla realtà trascendentale, sl ritrova, cioè, In tutti 1 generi di cose, anche
in quelle spirituali, che non hannc. quantità"· •Il numero oggettivo, di cui si
tratta qui, scrive il Sert!llanges (SOM. FRA!l<C., nteu, I, p. 317, nota 93), è 1l risultato
del frazionamento della materia; la moltitudine trascendentale è Il risultato
della differenziazione delle forme, che dà origine a delle sµecie metafisiche. Sono,
<1ue:;ti, due ordini di fatti assolutamente differenti"· Il loro ace-0stan1ento è certo
[(gittimo; e' è lr.f,1tti somiglianza tra loro. E "la somiglianza consiste iu questo
elle la lcro fcrmazione, benchè e~senzialmente diversa quanto all'oggetto e <J.l ter-
mine, sottostà alla medesima legge. Il numero si forma per addizione o sottra-
zione di Ullltà; la moltitudine trascendentale si forma per addizione o 'Ottra-
zione di differenze specifiche. Le due serie devono dunque corrispondersi termine
contro termine, e se l'una è necessariamente finita, l'altra dev'essere ugualmente
finita,•.
1\fa l'aécostamento non è del tutto perfetto. La moltitudln!> dice CJURlrosa di
l•iù comune e generale che numero. li: Gaetano che se lo obietta. Onde si do-
ne!Jl)P dire che le moltitudini finite sono couformi alla specie ùel numero, non
LA INFINITA DI DIO 17!)

Sed hoc est impossibile. Quia omnem multitudinem oportet esse in


aliqua specie mnltitudinis. Species autem multitudinis sunt secun-
dum species numerornm. Nulla autem species numeri est infinita:
qnia quilibet numerus est multitudo mensurata per unum. Unde im-
possibile est esse multitudinem infìnitam actu, sive per se, sive per
accidens. - Item, mnltitudo in rerum natura existens est creata: et
omne creatum sub aliqua certa intentione creantis comprehenditur:
non enim in vanum agens aliquod operatur. Unde necesse est quod
sub certo numero omnia creata comprehendantur. Impossibile est
ergo esse multitndinem infinitam in actu, etiam per accidens.
Sed esse multitudinem infinitam in potentia, possibile est. Quia
augmentum multitudinis consequitur divisionem magnitudinis:
quanto enim aliquid plns dividitur, tanto plura secunrlum nurnerum
n·sultant. Unde, f>icut infinitum invenitur in potentia in divisione
continui, quia proceditur ad materiam, ut supra [a. 3, ad 3] os~en­
sum est; eadem ratione etiam iniinitum invenitur in potentia in
additione multitudinis.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quocl unumquodqne quod est in potentia,
reducitur in actum secundum modurn sui esse: dies enim non redu-
citur in actum ut sit tota simul, sed successive. Et similiter infini-
tum multitudinis non redueitur in actnm 11t sit totum simul, sed sue-
le specie della moltitudine Intesa In modo assoluto (tn h. a., n. V). A questa dim-
coltà 11 grande Commentatore risponde lasciando intravedere elle l'argomento
r..on è di rigore metafisico: " Noi passiamo naturalmente dalle cose note per cono-
3cere le cose ignote ; ora l'esperienza ci fa conoscere che le specie di moltitudini,
che conosciamo. sono proporzionali alle specie del numeri. E dunque abbastanza
conforme alle regole dell'arte concludere a una proposizione universale: che ogni
specie <li mo'.titudine è <'onforme a qualcuna delle specie dei numeri'" Regola
buona d'induzione. Dunque non e' è evidenza proveniente dal termini stessi della
propo~i:t.ior.e. Gaetano aggiunge: 11 clii voJesse e.i.ile cJJe .sulLtuHu 1~ &1H.:cie del1a
moltitudine finita sono conformi alle specie del numero, lo direblie perché lo
vuole ùire, non perchè a r1bt11 ael!e rag toni per affermarlo " (ibirl., n. VI). Ma In-
somma l'ipotesi, anche se gratuita, pare che non si possa decisamente scartare.
Pertanto si capisce come ci sia una certa esitazicne nel pensicr·o di S. Tommaso,
elle nell'opuscolo De aeternttate munat scrive \1~64): "Ancora non è i;tato dimo-
strato che Dio non possa fare che esistano Infinite cose in atto"· •
2 Ecco come S. Tommaso precisa il senso di ouesto argomento nel Quoalt!Jet. lf,
q. 2, scritto dopo la Somma (12ì4). Eglt si chiede se Dio possa far si che le pro-
posizioni contraddittol'ie siano vere tutte e à ue lnsie•ne, e che cose· infinite in
atto possc:1no coesi~:t.ere; e risµoride ci1e la. prima cosa ripu~na in modo a~s1oluto;
ma quanto alla seconda fa una distinzione: •Una cosa può ripugnare In due modi
all>i pot0nza di una causa dotata di intelligenza, o perchè ripugna alla sua potenza,
o perché rii:u<;n<i ili modo secondo cui agisce. Nel prirno modo non ripugna alla po-
tenza assoluta di Dio far coesistere insieme cose infinite In atto, perchè è cosa che
non imp!lcil contraddizione. Ma se si considera 11 modo secondo cui Dio agisce, ciò
non è possibile. Dio infatti agisce mediante intelletto e mediante il Verbo elle dà
rorrn;1 a tutte le cose: onde è necessario che tuite le cose che egli opera siano
formate, valo a dire determinate. come è ·ietermin?.ta nnil natura elle ha la sua
forma. Ora l'Infinito è preso come materia senza forma,, (vedi arg. prec.), poichè
l'infinito risulta da pilrte della materia (vedi a. vrrc., ad 3: "le parti nel tutto
fanno come da materia,, ; cfr. p. 112, nota 1). l'oicllè la moltitudine Infinita in
atto mancllerebbe sempre dell'ultima unità che le dà il suo essere specifico; sa-
rebbe una moltitudine Informe, àice S. Tommaso. • Se dunque Dio facesse tal cosa,
ne seguirebbe elle l'opera di Dio sarebbe qualcosa d'Informe; e ciò ripugna al suo
modo di' agire e al Verbo mediante 11 quale agisce, poichè egU opera per mezzo
del suo Verbo, da cui tutto riceve forma"·
Bastino questi cenni sul pensiero di S. Tommaso circa la possibilità dell' infi-
nite. in ntt::i secondo quantità: questione che appassiona modernamente fì!.0&0!1,
fisici e matematici. I Commentatori à! S. Tommas:i notano concordemente che tale
questione teologicamente è di poca importanza, polchè nessuna delle grandi verità
della teologia si fonda su di essa.
180 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 7, a. j

cessivamente. Del pari: un infinito numerico non si riduce all'atto.


in maniera da essere tutto simultaneamente, ma successivamente,
perchè dopo un numero qualsiasi, se ne può prendere sempre un
altro e cosi all' infinito. 1
2. Le specie delle figure partecipano dell'infinità del numero: di-
fatti le specie delle figure sono il triangolo, il quadrato, ecc. Quindi,
come una moltitudine numerica infinita non si riduce in atto in
modo da esistere tutta insieme, cosi nemmeno la moltitudine delle
figure.
3. Sebbene sia vero che poste alcune cose, se ne possono ammettere·
delle altre, senza creare delle opposizioni; tuttavia ammetterne in-
finite si oppone a qualsiasi specie di molteplicità. Perciò non è pos-
sibile che ci sia una molteplicità infinita in atto.

t I! temp•1 e Il numero, che !ODO entità essenzialmente tlntte tn atto e tntlnil&


In potenza, non potendo mutare natura, quando esistono nella realtà, restano.
LA INFINITA DI DIO 181

~essive: quia post quamlibet multitudinem, potest swni alla multi-


tudo in infinitum.
An sECUNDUM DICENDUM quod species figurarum habent infinitatem
ex infinitate numeri: sunt enim species figurarum, trilaterum, qua-
drilaterum, et sic inde. Unde, sicut multitudo infinita numerabilis
uon reducitur in actum quod sit tota simul, ita nec multitudo figu-
rarum.
Ao TERTIUM DICENDUM quod, licet, quibusdam positis, alia poni non
sit eis oppositum ; tamen infinita poni opponitur cuilibet speciei
multitudinis. Unde non est possibile esse aliquam multitudinem actu
infinitam.

finiti In atto e infiniti In potenza: cioè non avranno mal In atto tutte le parti
~he possono avere, polchè è proprio della loro natura di poterne avere sempre delle
:altre.
QUESTIONE 8
La presenza di Dio nelle cose.

L'infinito, a quanto pare, deve esistere dappertutto ed in tutte le


cose, bisogna quindi considerare se ciò convenga a Dio. E a que-
sto proposito si pongono quattro quesiti : 1. Se Dio sia in tutte le
cose ; 2. Se Dio sia dappertutto ; 3. Se Dio sia dappertutto per es-
senza, per potenza e per presenza; 4. Se essere dappertutto sia pro-
prio di Dio.

ARTICOLO 1
Se Dio sia in tutte le cose.

SEMBRA che Dio non sia in tutte le cose. Infatti:


1. Ciò che è al disopra di tutte le cose non può essere in esse. Ora,
Dio è al disopra di tutte le cose, secondo il detto della Scrittura:
"elevato sopra tutte le genti è il Signore'" Dunque Dio non è in
tutte le cose.
2. Ciò che è in un altro è contenuto da esso. Ora, Dio non è con-
tenuto dalle cose, ma piuttosto Dio c<mtiene le cose. Dunque Dio
non è nelle cose, ma piuttosto le cose sono in Dio. Di qui il detto di
S. Agostino: "Tutte le cose sono in lui, piuttosto che egli in qualche
luogo».
3. Quanto più potente è un agente, a tanto maggior distanza ar-
riva la sua azione. Ora, Dio è un agente onnipotente. Dunque la sua
azione può giungere anche alle cose che distano da lui ; e non è ne-
cessario che sia in tutte le cose.
4. I demoni sono delle cose, e tuttavia Dio non è in essi, perchè
come dice l'Apostolo, «non vi è niente di comune tra la luce e le te-
nebre "· Dunque Dio non è in tutte le cose,.
IN coNTRAmo: Una cosa è dove opera. Ora, Dio opera in tutte le
cose, secondo il detto della Scrittura: "O Signore, tutte le opere
nostre hai operato in noi». Dunque Dio è in tutte le cose.
RISPONDO: Dio è in tutte le cose, non già come parte di loro e&-
senza, o come una loro qualità accidentale, ma come l'agente è pre-
sente alla cosa in cui opera. g necessario infatti che ogni agente sia
congiunto alla cosa su cui agisce immediatamente, e che la tocchi
con la sua virtù; perciò Aristotele prova che il mDtore e ciò che è
mosso devono essere insieme. Ora, essendo Dio l' Essere stesso per
essenza, bisogna che l'essere creato sia effetto proprio di lui, come
bruciare è effetto proprio del fuoco. 1 E questo effetto Dio lo causa
i L'essere delle creature è nn essere pqrtectpato, causato; non potrebbe deri-
vare che da Dio, che è la ronte dell'essere per ciò stesso che è l'essere lmparte-
QUAESTIO 8
De existentia Dei in rebus
tn quotuor. arttculos dtvtsa.

QCIA vero infinito convenire videtur quod ubique et in omnibus


sit, considerandum est utrum hoc Deo conveniat.
Et circa hoc qnaeruntur quatuor.
Primo: utrum Deus sit in omnibus rebus. Secundo: utrum Deus
sit ubique. Tertio: utrnm Deus sit ubique per essentiam et potentiam
et praesentiam. Quarto: utrum esse ubique sit proprium Dei.

ARTICULUS 1
Utrum Deus sit in omnibus rebus.
I Sent., d. 37, q. 1, a. 1; 3 Cont. Gent., c. 68.

AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit in omnibus


rebus. Quod enim est supra omnia, non est in omnibus rebus. Sed
Deus est supra omnia, secundum illud Psalmi, (112, 4]: « Excelsus
super omnes gentes Dominus '" etc. Ergù Deus non est in omnibus
rebus.
2. PRAETEREA, quod est in aliquo, continetur ab eo. Sed Deus non
continetur a rebus, sed magis continet res. Ergo Deus non est in
rebus, sed magis res sunt in eo. Unde Augnstinus, in libro Ocloainta
trium Quaest. [ q. 20], dicit quod «in ipso potius sunt omnia, quam
ipse alicubi ».
3. PRAETEREA, quanto aliquorl agens est virtuosius, tanto ad magis
distans eius actio procedit. Sed Deus est virtuosissimum agens. Ergo
eius actio pertingere potest ad ea etiam quae ab ipso distant: nec
oportet quod sit in omnibus.
4. PRAETEREA, daemones res aliquae sunt. Nec tamen Deus est in
daemonibus: non enim est « conventio lucis ad tenebras », ut dici-
tur 2 ad Cor. 6, 14. Ergo Deus non est in omnibus rebus.
SED CONTRA, ubicumque operatur aliquid, ibi est. Sed Deus ope-
ratur in omnibus, secundum illnd Isaiae 26, 12: «omnia opera no-
stra operatns es in nobis, Domine». Ergo Deus est in omnibus rebus.
RESPONDEO mcENDUM quod Deus est in omnibus rebus, non quidem
sicut pars essentiae, ve! sicut accidens, sed sicut agens adest ei in
quod agit. Oportet enim omne agens coniungi ei in quod immediate
aµ-it, et sua virtute illud con tingere: unde in 7 Physic. [c. 2, Iect. 3,
4] probatur quod motum et movens oportet esse simul. Cum antem
Deus sit ipsum esse per suam essentiam, oportet quod esse creatum
sit propriu'3 effectus eius; sicut ignire est proprius effectus ignis.
cipato per essenza, necessario (cfr. q. 2. a. 3, argomento tratto dalla rontlngenza).
Pi•:1 nvanU (q. 44) s. Tommaso servendosi dello stesso principio dimostra che ne-
cessariamente ogni ente deriva da Dio per creazione.
184 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 1

nelle cose non soltanto quando cominciano ad esistere, ma fin tanto


~he perdurano nell'essere; come la luce è causata nell'aria dal wli;
ftru:hè l'aria rimane illuminata. 1 Fino a che dunque una cosa ha
l'essere, è necessario che Dio le sia presente in proporzione di come
essa. possiede l'essere. L'essere poi è ciò che nelle cose vi è di più in-
timo e di più profondamente radicato, poichè, come si è già detto,
l'essere è elemento formale rispetto a tutti i principii e i componenti
ehe si trovano in una data realtà.• Necessariamente, dunque, Dio è
in tutte le cose ed in maniera intima. •
SOLlèZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio è sopra tutte le cose per l'eccel-
lenza della sua natura; ma i/,, di necessità, anche dentro di esse, in
<}uanto causa l'essere di tutto, come si è detto sopra.
2. Sebbene le cose corporali [soltanto] si dicano essere in altre come
il contenuto nel contenente, quelle spirituali però contengono le cose
in cui si trovano: co,.;ì l'anima contiene il corpo. ' Quinùi anche Dio
è nelle cose come contenente le cose. Tuttavia, per una certa analogia
con le cose corporali, si dice che tutte le cose sono in Dio, in quanto
che Dio le contiene.
3. Nessun agente, per quanto efficace, può agire su un oggettc
distante se non in quanto agisce in esso mediante il mezzo. Ma ap-
t•artiene alla somma potenza di Dio agire in tutti gli esseri immedia-
tamente: quindi nulla è distante da Dio, come se non avesse Dio in
sè. Tu1tavia, si dice che alcune cose <listano da Dio per una diss0-
miglianza di natura o di grazia; come anche [si dice che] egli stesso
è al disopra di tutte le cose a motivo della eccr.ìlenza della sua natura.
4. Nei demoni c'è da distinguere la natura, che è da Dio, e la de-
formità della colpa, che non è da Dio. Quindi, non si deve concedere
in modo assoluto che Dio sia nei demoni, ma con questa restrizione:
ili quanto sono delle realtà. Dobbiamo invece asserire che Dio si
trova in senso assoluto in quelle cose che indicano nature non de-
formate.

• Della necessità che le cose siano .:onservate nell'essere da Dio quasi conti-
nuamente create da lui, S. Tommaso tratta più avanti In I. q. 104.
• Attua Infatti e fa esistere fuori del nulla, nella sua totalità e con tutte le ca-
ratteristiche proprie. qualsiasi ente. :\otare questo insegnamento costante di
S. Tommaso circa la prlnclpalltà dell'essere - esistenza -, che è forma, atto, In-
tima perfezione ultima realizzatrice di ogni Einte, alla quale l·essenza è ordinata
come la potenza è ordinata alratto (l, q. 3, a. 4; q. 7, a. 9; q. 105, a. 5; De Pot .•
q. 7, a. 2. ad Q). llfetaf\slca del reale In se!lso pieno, cllè reale non è propriamente
se non clO che esiste. Gllson (Le thomtsme: Inlroductton d la plltlosophle de
S. Thomas d'Aq., 1.. Part., c. 1, p. 52. Paris. 19455 ) chiama cp1esta metafisica tomista
• ontologia 1-slstenziale •, con evidente richiamo &.ll'es1sten7.iallsmo. che è la ftlo·
!<Olla del giorno ; ma non per Il gusto di allacciare le correnti della filosofia esl-
stenzhlista al tomismo (le due f\losofie hanno In comune 1·e~1genza e la preoccu-
pazione di cogliere l'essere e v:iloMzzarlo nella sua concretezza esistenziale: ma I~
vi~ e gli sbocch1 divergono assai). Il Gllson vuole soprattutto mettere In rllievo
l'originalità e Il realismo delhi visione tomista dell'essere, la sua differenza dalle
correnti platonico-agostiniane più fisse sull'Idea di essenza e un po· chiuse nel
purl concetti Vuol rilevare come S. Tommaso riesca meglio con la sua Intui-
zione a stabilire l'esistenza ul Dio e a llJuminarne la natura, radicalmente distinta
dalle creature. a provare la necessità della creazione, la dipendenza assoluta da
Dio dt ognt ros.1 per m<1ntener~I nell'essere e non cadere nel nulla. Cosi Dio cl
appare necessarlo all'esistenza delle creature, come la sorgente luminosa è neces-
~arla alla esistenza delle figure rnllo schermo. E molte tesi tomistiche ricevono la
loro caratteristica fisionomia. \Vedi anche MARITAIN • L'exlstenttallsme de s. Tho-
mas '" In Acta Pont. Acad. Rom. S. Thomae Aq,. 1947, pp. 40 ss.).
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 185

Hunc autem effectum causat Deus in rehu:>, non solurn quando primo
esse inciipiunt, sed quandiu in esse conservantur; sicut lumen cau-
satur in ,aere a sole quandiu aer illuminatus rnanet. Quandiu igitur
res habet esse, tandiu oportet quorl Deus adsit ei, secundum modum
quo esse habet. Esse autern est illud quod est magis intimum cuili-
bet, et qrnod profundius omnibus inest: curn sit formale respectu om-
nium quai.e in re sunt, ut ex supra [ q. 4, a. 1, ad 3] dictis patet. Unde
oportet quod Deus sit in omnibus rebus, et intime.
AD PRHMUM ERGO DICENDUM quod Deus est supra omnia per excel-
lentiam suae naturae: et tamen est in omnibus rehus, ut causans
omnium esse, ut supra [in corp] dictum est.
AD SECTUNDUM DICENDUM quod, licet corporalia dicantur esse in
aliquo si1cut in continente, tamen spiritualia continent ea in quihus
sunt, sicmt anima continet corpus. Unde et Deus est in rebus sicut
eontinensi res. Tamen, per quandam similitudinem corporalium, di-
euntur omnia esse in Deo, inquantum continentur ab ipso.
AD TER1J"IUM DICENDUM quod nnllius agentis, quantumcumque vir-
tuosi, act.io procedit ad aliquid distans, nisi inquantum in illud per
media agit. Hoc autem ad maximam virtutem Dei pertinet, quod
immediate in omnibus agit. Unde nihil est distans ab eo, quasi in se
illud Deu m non haheat. Dicuntur tamen res distare a Deo per dissi-
militudin.em naturae vel gratiae: sicut et ipse est super omnia per
-e:xcellentLam suae naturae.
AD QUAIRTIJM DICENDUM quod in daemonibus intelligitur et natura,
quae est :a Deo, et deformitas culpae, quae non est ab ipS-O. Et ideo
non est albsolute concedendum quod Deus sit in daemonibus, sed cum
hac addit.ione, inquantum sunt res quaedam. In rebus autem quae
nominant. naturam non deformatam, absolute dicendum est Deum
-esse.

• N~ssnn t;rnore qnlndl d1 c:idere nel pantP!smo, timore che ru di alcuni fllowft,
p. es., I.li li.<.dlup1ii; t1~~rch1~ qllcsta fur1ha d' unmanc11za non solo n-011 etlc1ut1e, 111a
1mpllca la trascendenza. Dio presente come causa dell'e500re è necessariamente di-
stinto dall'oessere causato, coma la causa è distinta necessariamente dall'effetto.
Ma è lntlmttssimo ad ogni ente, polchè è causa totale del suo essere; è più Intimo
a ogni ente che ogni ente a sè mecleslmo. Nè ciò toglie la causalità vera e propria
alle creatu1-·e. Le t.:tealur·e souo a11rl1'e!-se <.:au~a e p1oducoI10 UelJ'esse1·e alLUHLt4o
ciò che è in potenza. Ma ciò non allontana I>io dal loro effetti, giacchè l'ess<'re.
da cui le camse sono costituite, e la virt1ì, con cui operano. sono dati e conservati
1la Dio; e J])arlmente l'essere che costituisce gli effetti e Il loro esser causati, son
pure da Dio. La virtù di IJio 1ir~rt;1nto Lul'ra 111ti111a.J;eute o .... ui <.!uto, scnz;1 eh(' le
.cause seconde cessino per questo d'essere vere cause. Un'analogia di ciò si ha
nell'uso della causa strumentale da parte deJl'uomo. Un pittore, p. es., opera col
pennello, e Il penneJio è veramente causa della pittura, poichè la pittura si deve
'l'ealmente a.I penneJio. E nondimeno esso non allontana la virtù e !'a.zinne dPl-
l'artista dal qna<lro. polche la 111ozione sapiente del pennello per cui esso u1pi1i;;e,
deriva tutta. dall'artista; la virtù del qnale raggiunge e produce veramente l'ef-
fetto, di culi perciò è causa principale. Nel caso di Dio, non solo la mozione, ma
tutto l'essere d;illa causa è da lui, e parimente quindi tutto l"essere dell'effetto.
Non segu.e, da questa Intimità di Dio In ogni ente creato, neppure la. sconve-
nienza che tlemeva Erasmo, Il quale fingeva di scandalizzarsi se si diceva che Dio
era nelle co,se lgnoblll, glacchè niente vi è d'ignobile nell'essere.
' J..e cose sp!r1tuall, p. es., un angelo, si dicono essere In una cosa, perchè ope-
Tano su di ressa, avvilupp:.ndola con la 101·0 v!rtt). L'anima è nel corpo perchè lo
vivifica penoetrandolo col suo essere vivo.
186 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 2

ARTICOLO 2
Se Dio sia dappertutto. 1

SEMBRA che Dio non sia dappertutto. Infatti:


1. Essere daprJertutto significa elsere in ogni luogo. Ora, e.ssere in
ogni luogo non conviene a Dio, al quale non conviene essere in alcun
luogo, perchè, come dice Boezio, le cose incorporee non sono localiz-
zate. Dio, dunque, non è dappertutto.
2. Il tempo sta alle cose successive, come il luogo alle cose per-
manenti. Ora, un'unità indivisibile di azione o di movimento [un
istante] non può essere in più tempi. Dunque neppure un'unità in-
divisibile nel genere delle cose permanenti [un punto] può essere in
tutti i luoghi. Ora, l'essere divino non è successivo, ma permanente.
Dunque Dio non è in più luoghi e cosi non è dappertutto. 2
3. Ciò che è tutto in un posto, non ha niente fuori di lì. Ora, se
Dio è in qualche luogo, vi è tutto, perchè non ha parti. Dunque
niente di lui è fuori O.i quel posto, e perciò non è dappertutto.
IN CONTRARIO: E detto nella Scrittura: ulo rif;mpio il cielo e la
terra"·•
RISPONDO: Il luogo non è che una delle tante cose; 4 perciò che un
essere è in un luogo si può intendere in due maniere: o nel modo ge-
nerico in cui potrebbe trovarsi comunque in qualsiasi altra cosa,
come quando, p. es., diciamo che le qualità del luogo sono nel luogo ;
oppure [s'intende che vi è contenuto] nel modo proprio del luogo,
come gli esseri localizzati sono in un luogo. Ebbene, in tutti e due i
modi, in certo senso, Dio è iu ogni luogo, ossia dappertutto. Primie-
ramente, come è in tutte le cose in quanto dà loro l'essere, la potenza
attiva e l'operazione, così è in ogni luogo in quanto dà ad esso l'es-
sere e la capacità locativa. Secondo, gli enti localizzati sono nel luogo
in quanto lo riempiono: e Dio riempie ogni luogo. Non però come lo
riempie un corpo, perchè di un corpo si dice che riempie un luogo
in quanto non comporta con sè [la presenza di] un altro corpo; men-
tre per il fatto che Dio è in un posto, non si esclude che vi si trovino
pure altri esseri: anzi, egli riempie tutti i luoghi perchè dà l'essere
a tutte le cose localizzabili, che li rtempiono.

• SI tratta dell'attributo dell'ubtquttà; esso è distinto, soltanto logicamente,


s'Intende, dall'attributo dell' tmmensttà. Questa, Infatti, è un attributo assoluto.
di Dio, mentre l'ubiquità è un attributo che conviene a Dio soltanto data l'esi-
stenza di cose e di luoghi, polchè è l'attuale esistenza di Dio in tutti I luoghi e
in tutte le cose esistenti. Anche se nulla esistesse fuori di Dio, Ilio sarebbe non ili
meno Immenso, avendo egli l'attitudine o la virtù attiva per essere in tutti 1 luoghl
e in tutte le cose, che esistono o potrebbero esistere; ma non avrebbe l'ubiquità.
• Il luogo è conr,epito come "li termine immobile di una ~npeJ"fìcie immedia-
tamente contenP,nte e avvolgente 1 corpi fisici n. Il luogo Infatti deve essere consi-
derato Immobile, perché esso non si sposta, ma si spostano I corpi, i:assando ap-
punto da luogo a luogo. Per que~to si dice che è termtne: termine appunto del
moto del corpi, che via via si spostano. Il concetto di contenere e di circoscrivere,
poi, è evidentemente incluso nell'idea di luogo, e ciò che immediatamente con-
t!Pne e avvolge il corpo è la superficie estrema, considerata quasi geometricamente.
Quest:l definizione è di Aristotele (4 Pflystc., c. 4, B. 212a, 20).
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 187

ARTICULUS 2
Utrum Deus sit ubique.
Infra, q. 16, a. 7, ad 2; q. 52, a. 2; I Sent., d. 37, q. t, a. t;
s Cont. Gent., c. 68; Quoai. 11, a. 1.
Ao SECUNDUM SIC PROCEOITUR. Videtur quod Deus non sit ubique.
Esse enim ubique signifìcat esse in omni loco. Sed esse in omni loco
non convenit Deo, cui non convenit esse in loco: nam incorporalia,
ut dicit Boetius, in libro De hebdorn. (princip. ], non sunt in loco.
Ergo Deus non est ubique.
2. PRAETEREA, sirnt se hahet tempus ad successiva, ita se habet locus
ad permanentia. Sed unum indivisibile actionis vel motus, non potest
esse in diversis temporibus. Ergo nec unum indivisibile in genere
rerum permanentinm, potest esse in omnibus locis. Esse autem di-
vinum non est successivum, sed permanens. Ergo Deus non est in
pluribus locis. Et ita non est ubique.
3. PRAETEREA, quod est totum alicubi, nihil eius est extra locnm
illum. Sed Deus, si est in aliquo loco, totus est ibi : non enim habet
partes. Ergo nihil eius est extra locum illum. Ergo Deus non est
ubique.
SEn CONTRA EST quod dicitur Ierem. 23, 24: •• caelum et terram ego
irnpleo».
REsPONDEO DTCENDUM quod, cnm locus sit res quaedam, esse aliquid
in loco potest intelligi dupliciter: vel per modum aliarum rerum,
idest sicut dicitur aliquid esse in aliis re!Jns quocumque modo, sicut
accidentia loci sunt in loco; vel per modum proprium loci, sicut lo-
cata sunt in loco. TJtroque autem modo, secundnm aliquid, Deus est
in omni loco, quod est esse ubique. Primo quidem, sicut est in
omnibus rebus, ut dans eis esse et virtutem et operationem: sic enim
est in omni loco, ut dans e1 esse et vi:r,:tutem locativam. Item, lo-
cata sunt in loco inquantum replent locum: et Deus omnem locum
replet. Non sicut corpus: corpus enim dicitur replere locum, inquan-
tum non compatitur secum ali ud corpus; sed per hoc quod Deus est
in aliquo loco, non excluditur quin alia sint ibi: imo per hoc replet
omnia loca, quod dat esse omnibus locatis, quae replent omnia loca.

Più semplicemente il luogo si può definire: "quella parte dello spazio che un
corpo occupa"· Lo spazio in questo caso è considerato come luogo comune a tutti
I corpi; come luogo generate; e si concepisce come "una superficie contenente e
avvolgente tutti i luoghi o più iuoghi "· Lo spazio è reale se reale è l'esistenza dei
corpi, in cui soltanto può essere reale una superficie; altrimenti è Immaginario.
Per S. Tommnso e per la filosofia del Realismo moderato, che ha in lui il suo
grande maestro, lo spazio non è una categoria della mente, un elemento cioè me-
ramente subiettivo per unificare delle sensazioni, come nell'idealismo trascenden-
tale, ma una realtà di natura.
Sappiamo già che per S. Tommaso non .si dà nè luogo nè spazio infinito, per-
chè nessun corpo reale, nè fisico nè matematico, può essere infinito in atto, come
ha provato nell'articolo 3 della questione precedente.
• Le parole di Geremia prendono maggiore risalto nel t.ono Interrogativo del
~ontesto: " E non riempio lo forse il cielo e la terra? "·
• Cioè a dire: anch'e3so è una delle dieci categorie dell'essere; e quindi pnf>
rnnir considerato nel suo aspetto generico di ente e di cosa, e non precisamente
nel suo aspetto formale di limitazione spaziale, anche quando si parla della pre-
senza di questa o di quella cosa nel tocus
188 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 2

SoLuZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli esseri incorporei non sono nel


luogo per un contatto di dimensioni, come i cnrpi: ma per un con.
tatto di11a.mico [o applicazione della loro attività).'
2. Vi sono due sorta d' indivisibili. Un indivisibile è H termine del
continuo, come il punto nelle cose permanenti e l'istante nelle suc-
cessive. E siccome nelle cose permanenti J' indivisibile [il punto]
ha una posizione determinata, non può trovarsi in più parti dcl
luogo o in più luoghi: così l' indivisib~e d'azione o di movimento,
poichè ha un determinato ordine nella s11ccessione del moto o del-
l'azione, non può trovarsi in più parti del tempo. Ma c· è un altro
indivisibile, che è fuori di ogni genere di continuità [temporale
o spaziale] : e solo in tal modo le sostanze incorporee, come Dio,
l'ang:elo e l'anima, si dicono indivisibili. Tale indivisibile, adunque,
non si applica al continuo come qualcosa che gli appartenga, ma in
quanto lo tocca con la sua potenza. Quindi, a seconda che la sua
potenza attiva si può estendere a una cosa o a molte, a una piccola
o a una grande, si dice che è in uno o più luoghi, in un luogo pic-
colo o grande.
3. Il tutto dicesi rispetto alle parti. Ora, vi sono due specie di
parti, cioè: parti essenziali, come la materia e la forma che sono
parti del composto e il genere e la differenza, parti della specie;•
e parti quantitative, che son quelle nelle quali si divide una data
quantità. Ora, ciò che quantitativamente si trova per intero in un
luogo non può certo essere fuori di tale luogo, perchè la quantità
dell'oggetto localizzato corrisponde appuntino all'estensione del
luogo occupato, e quindi non si dà totalità della quantità se non si
ha la totalità del luogo. La totalità di essenza, invece, non è commi-
surata alla totalità del luogo. Quindi non è per nulla necessario che
quanto è interamente in un dato luogo per totalità di essenza, non
sia in alcun modp fuori di e!'so. Ne abbiamo una riprova nelle forme
accidentali che indirettamente [in ragione del soggetto in cui sono]
hanno quantità: la bianchezza infatti, se si considera la totàlità della
sua essenza, è tutta in ciascuna parte della superficie, perchè in cia-
scuna parte vi è secondo la sua perfetta natura specifìca ; ma se si
considera la sua totalità quantitativa, che essa ha indirettamente
[cioè a motivo del soggetto], allora non è tutta in ciascuna parte
della superficie. Ora, nelle sostanze incorp-0ree non si trova nè di-
rettamente nè indirettamente altra totalità che secondo il preciso
aspetto di essenza. Perciò, r.ome l'anima è tutta in ciascuiia parte del
corpo; cosi Dio è tutto in tutti e singoli gli enti.

1 I corpi, che sono a contatto con altri corpi e agiscono e reagiscono gli uni
sugli altri, si toccano In due maniere: con. le loro parti quantttal ive (contactns
quantitatts dtmenstvae), e col dinamismo della loro attività (contactus virtutls)
Gli esseri Incorporei, ossia gli spiriti, possono ~Ire e ~lscono dt ratto sul corpi,
come spiegherà S. Tommaso più avanti (1, q. 110). Ora per agire devono toccare
in qualche modo 1 corpi. Non avendo dimensioni, essi toccheranno I corpi ~oltant.o
nel secondo modo - contactu vlrtutts.
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 181'

AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod incorporalia non sunt in loco per


contactum quantitati.s dimensivac, sicut oorpora: sed per contactum
virtutis.
An sEC:UNDUM orcENDUM quod indivisibile est duplex. Unum quod est
termi1111s continui, ut punctus in permanentibu.'!, et momentum in
successivis. Et huiusmodi indivisibile, in permanentibus, quia habet
determinatum situm, non potest esse in pluribus partibus loci, vel in
pluribus locis: et similiter indivisibile actionis vel motus, quia habet
determinatum ordinem in motu vel actione, non pote.st esse in plu-
ribus partibus temporis. Aliud autem indivisibile est, quod est extra
totum genus continui: et hoc modo substantiae incorporeae, ut Deus,
angelus et anima, dicuntur esse indivisibiles. Tale igiiur indivisibile
non applicatur ad 00ntinuum sicut aliquid eius, sed inquantum con-
tingit illud sua virtute. Unde secundum quod virtus sua se p-0test
extendere ad unum vel multa, ad parvum vel magnum, secundum
hoc est in uno vel pluribus locis, et in loco parvo vel magno.
AD TERTIUM DICENDUM quod totum dicitur respectu partium. Est
autem duplex pars: scilicet pars essentiae, ut forma et materia di-
cuntur partes compositi, et genus et rlifferentia partes speciei; et
etiam pars qnantitatis, in quam scilicet dividitur aJiqua quantitas.
Quod ergo est totum in aliquo loco totalitate quantitatis, non potest
esse extra locum illum: quia quantitas locati commensuratur quan-
titati loci, unde non est totalitas quantitatis, si non sit totalitas loci.
Sed totalitas essentiae non comrnensuratur totalitati loci. Unde non
oportet quod illud qnod est totum totalitate essentiae in aliquo, nullo
modo sit extra illud. Sicut apparet etiam in formis accidentalibus,
quae secundurn accidens quantitatem habent: albedo enim est tota
in qualibet parte superficiei, si accipiatur totalitas essentiae, quia
secundum perfectam rationem suae speciei invenitur in qualibet
parte superficiei; si autem accipiatur totalitas secundum quantita-
tem, quam habet per accidens, sic non est tota in qualibet parte su-
perficiei. In substantiis autem incorporeis non est totalitas, nec per
se nec per accidens, nisi secundum perfectam rationem essentiae.
Et ideo, sicut anima est tota in qualibet parte corporis, ita Deus
totus est in -0mnibus et singulis.

2 SI dlrono parU essenztall quelle che formano l'essenza o la sostanza dt un


ente. Queste parti essenziali possono essere (ìstche, quando costituise<rno fisica-
mente una cosa come materia e forma (così, p. es., Il corpo e l'anima sono parti
essenzlall fisiche dell'uomo); e possono essere parti lo(ltche, quando costituiscono
h deflnlzlone propria della cosa che ne esprime l'essenza - genere e differenza. -
P. es., animale (geuernJ " ragionevole (dillerenza) cuslìtuiscono l'uomo (specie).
190 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 3

ARTICOLO 3
Se Dio è dappertutto per essenza, per presenza e per potenza.
.9

SEMBRA che siano male assegnati i modi di esistere di Dio nelle


cose, quando si dice che Dio è in tutte le cose per essenza, per pre-
senza e per potenza. Infatti:
1. Una cosa è in un'altra per essenza, quando vi è essenzialmente.
Ora, Dio nelle cose non vi è essenzialmente, perchè non appartiene
all'essenza di cosa alcuna. Dunque non si deve dire che Dio è nelle
cose per essenza, per presenza e per potenza.
2. Essere presente ad una cosa significa non manca.re ad essa.
Ora, dire che Dio è in tutte le cose per essenza, è lo stesso che dire
che Dio non manca a cosa alcuna. E dunque lo stesso il dire che Dio
è nelle cose per essenza e dire che vi è per presenza. Vi è dunque
del superfluo ìn questa divisione : per essenza, per presenza e per
potenza.
3. Come Dio è principio di tutte le cose per la sua potenza, così lo
è anche per la sua scienza e per la sua volontà. Ora, non si dice che
Dio è nelle cose per scienza e per volontà. Dunque nemmeno deve
dirsi che vi è per potenza.
4. Oltre la grazia, perfezione aggiunta alla sostanza di una cosa.
vi sono altre perfezioni aggiunte. Se dunque si dice che Dio è in un
modo speciale in alcuni per grazia, parrebbe che per ogni altra per-
fezione si dovesse assegnare un modo speciale della presenza di Dio
nelle cose. 1
IN CONTRARIO: Dice S. Gregorio che "Dio in una ma.niera generale
è in tutte le cose per presenza, potenza cd essenza ; però si dice che
è tamiliarmente in alcuni con la grazia"·
RISPONDO: In due maniere si dice che Dio è in qualche cosa. Primo.
come causa efficiente: e in tal modo è in tutte le cose da lui create.
Secondo, come l'op;getto d'operazione si trova nell'operante: e questo
propriamente avviene nelle operazioni dell'anima, come l'oggetto
conosciuto è nel conoscente e quello desiderato nel desiderante. Per-
ciò, in questa seconda maniera Dio si trova particolarmente nella
creatura ragionevole, che lo conosce e lo ama attualmente per una
disposizion<i abitnale. E siccome la creatura ragionevole deve questo
alla grazia, come si vedrà più innanzi, si dice che Dio, in tal modo
è nei santi per grazia.,
In qual modo poi Dio sia in tutte le altre cose da lui create, bi-
sogna argomentarlo da ciò che si dice circa i modi di presenza nelle
cose umane. Così, di un re a motivo del suo potere si dice che è in
tutto il suo regno, sehbene non sia presente dovunque. Ma, si dice che
in certe cose uno si trova di presenza quando le ha sotto il proprio
sguardo ; così tutte le cose che sono in una casa, si dicono pre-
senti a qualcuno [che vi si trova), che pure materialmente non è in

1 Questa difficoltà va oltre il quesito, come il Rispondo, e ~I riallaccia diretta-


mente al passo di S. Gregorio (vedi S. c.) che ad esso ha dato origine. Mentre le
difficoltà precedenti mirano a concludere che è troppo prolissa la enumer~zione
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE lDl

ARTICULUS 3
Utrum Deu sit ubique per essentiam, praesentiam et potentiam.
I Sent., d. :rt, q. 1, a. !l; et in expos. lit.
Ao TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur qnod male assignentur modi
existendi Deum in rebus, cum dicitur quod Deus est in omnibus re.
bus per essentiam, potentiam et praesentiam. Id enim per essentiam
est in aliquo, quod essentialiter est in eo. Deus autem non est essen-
tialiter in rebus: non enim est de essentia alicuius rei. Ergo non
debet dici quod Deus sit in rebus per essentiam, praesentiam et po.
tentiam.
2. PRAETEREA, hoc est esse praesentem alicui rei, scilicet non deesse
i ili. Sed hoc est Deum esse per esscntiam in rebus, scilicet non deesse
alicui rei. Ergo idem est efse Deum in omnibus per essentiam et
praesentiam. Superfluum ergo fuit dicere quod Deus sit in rebw.
per essentiam, praesentiam et potentiam.
3. PRAETEHEA, sicut Deus est principium omnium rerum per suam
potentiam, ita per scientiam et voluntatem. Sed non dicitur Deus
esse in rebus per scientiam et voluntatem. Ergo nec per potentiam.
4. PRAETEREA, sicut gratia est quaedam perfectio superaddita sub-
stantiae rei, ita multae sunt aliae perfectiones superadditae. Si ergo
Deus dicitur esse speciali modo in quibusdam per gratiam, videtur
quod secundum quanùibet perfectionem debeat accipi specialis mo·
dus essendi Deum in rebus.
SED CONTRA EST quod Gregorius dicit, super Cant. Cantic. [Gloss.
ord. super c. 5, 17] quod " Deus communi modo est in omnibus rebus
praesentia, potentia et substantia: tamen familiari modo dicitur
esse in aliquibus per gratiam ''·
RESPONDEO DICENDUM quod Deus dicitur esse in re aliqna dupliciter.
Uno modo, per modum causae agentis: et sic est in omnibus rebus
creatis ab ipso. Alio modo, sicut obiectum operationis est in ope-
rante: quod proprium est in operationibns animae, secundum quod
cognitum est in cognoscente, et desideratum in desiderante. Hoc
i!ritur secundo modo, Deus specialiter est in rationali creatura, qua.e
eognoscit et diligit illum actu vel habitu. Et quia hoc habet rationa-
lis creatura per gratiam, ut infra patebit [I-Il, q. 109, aa. 1, 3],
dicitur esse hoc modo in sanctis per gratiam. •
In rebus vero aliis ab ipso creatis quomodo sit, considerandum
est ex his quae in rebus humanis esse dicuntur. Rex enim dicitur
esse in toto regno suo per suam potentiam, Jicet non sit ubique prae-
sens. Per praesentiam vero suam, dicitur aliquid esse in omnibus
quae in prospectu ipsins sunt ; sirut omnia quae sunt in aliqua domo,
dicuntur esse praesentia alicui, qui tamen non est secundum substan-

ùel modi della presenza di Dio nelle cose, la quarta vorrebbe allungarla, asse-
gnando una denominazione particolare per ogni perfezione che Dio partecipa alle
creature.
2 Ossia In tutti coloro che hanno la grazia santificante. Chi ha la grazia ama
Dio attualmente se pensa a lui con un atto esplicito, oppure lo ama per unn
disposizione abituale, avendo le sue facolta orientate e ben disposte verso di lui
i.er virtù della grazia stessa, che permane anche senza l'atto e inclina all'atto.
llì2 LA SOMMA TEOLOGICA, I, ·q. 8, a. 3

ogni parte della casa. Finalmente una cosa si diee che è secondo la
sua sostanza o essenza in un luogo, dove si trova la sua sostanza.
Ora, ci sono stati alcuni, cioè i Manichei, 1 i quali hanno sostenuto
che alla divina potestà sono soggette le cose spirituali ed incorporee;
le visibili poi e le corporali le dicevano soggette al potere del principio
r
contrn rio, cioP, al princ•pio del male l Contro C'O'."toro adunque biso-
gna dire che Dio è in tutte le cose per la sua potenza. 2 - Altri, s pur
credendo che tutte le rosP sono s0g~ettc alla divina potenza, ngii
estendevano, però, la divina provvidenza sino ai corpi inferiori ai
quaggiù: in persona di costoro è detto nel libro di Giobbe: "Attorno
ai cardini del cielo egli passeggia, e non si occupa delle cose nostre».
E contro co~toro biso~,?:nò dire che Dio è in tutte le cose per la sua
presenza. - Finalmente vi furono altri,' i quali, sebbene ammette~
sero che le cose non so110 estranee alla provvidenza di Dio, dissero
tuttavia che non tutte sono state create immediatamente da Dio; ma
che immediatamente egli creò le prime creature, e queste hanno
creato le altre. E contro costoro bisogna dire che Dio è in tutte le
cose per essenza.
Per concludere, Dio è in tutte le cose con la sua potenza, perchè
tutte sono soggette alla sua potestà ; vi è con la sua presenza, perchè
tutto P. d!~roperto r rono,, nnrlo davanti i suoi orrhi: Yi è con la :<:na
essenza, perchè è presente a tutte le cose quale causa universale del-
l'essere, come si è dimostrato.
SOL!'ZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che Dio è in tutte le cose per
essenza, non già per la essenza delle cose, come se facesse parte
dell'essenza di esse ; ma per la sua essenza, perchè la sua sostanza è
presente a tutto quale causa dell'essere, come si è detto.
2. Una eosa può dirsi presente acl alcuno qnand0 sta dinanzi al
suo sguardo, pur rimanendo distante da lui per la sua sostanza.
E perciò fu necessario porre questi due modi, cioè per essenza e per
presenza.
3. E proprio della natura della iwienza e della volontà che il co-
nosciuto sia nel conoscente e l'oggetto voluto nel volente: quindi
secondo la scienza e la volontà piuttosto le cose Rono in Dio, che Dio
nelle cose. :t proprio della potenza invece comportarsi come principio
di un'operazione [transitiva] che passa su un soggetto diverso: per-
ciò sec~mdo la potenza l'agente dice ordine ed applicazione a qualche
cosa di estraneo. E così può dirsi che un agente per la sua potenza
è in un'altra cosa.
4. Ness1m'altra nerfezione agçriunta alla sostanza, all'infuori della
grazia, fa sì che Dio sia in qualche creatura come oggetto conosciuto
ed amato: perciò soltanto la grazia costituisce un modo singolare
della presenza di Dio nelle cose. • Vi è poi un altro modo singolare
della presenza di Dio nell'uomo: cioè per l'unione ipostatica; del
qual modo tratteremo a suo luogo. '

t Così fuMno chiamati I seguaci di lllant o Manele persiano (215-275 circa). delle
cui dottrine !u vittima Io ste5rn s. Agostino prima della conversione. Nel s&-
colo XIII es5i era no ancora molto diffusi in Europa, sotto varie denominazioni
(Catari, Patarini, Albigesi).
• La potenza, cioè la virtù o l'energia attiva, per cui un ente è in grado dJ
cornrir•e azioni su altri enti.
• S. Tommaso nomina tra I !autori meno rigidi di questa dottrina Rabbl Mosè
Maimonide, filosofo e teologo Israelita spagnuolo nel sec. XII (cfr. I, q. 22, a. 2).
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 193

tiam suam i.n qualibet parte domus. Secundum vero substantiam vel
essentiam, dicitur aliquid esse in loco in quo eius substantia habetur.
Fuerunt ergo aliqui, scilicet Manichaei, qni dixerunt divinae po-·
testati subiecta spiritualia esse et incorporalia: visibilia vero et cor-
poralia suhiecta esse dicebant potestati principii contrarii. Contra
hos ergo oportet dicere quod Deus sit in omnibus per potentiaro
suam. - Fuerunt vero alii, qui licet crederent omnia esse subiecta di-
vinae potentiae, tamen providentiam divinam usque ad haec infe-
riora corpo1·a non extendebant: ex quorum persona dicitur lob. 22, 14:
«circa cardines caeli perambulat, nec nostra considerat ». Et contra
hos oportuit dicere quod sit in omnibus per suam praesentiam. - Fue-
runt vero alii, qui licet dicerenl omnia ad Dei providentiam perti-
nere, tamen posuerunt omnia non immediate esse a Deo creata:
sed quod immediate creavit primas creaturas, et illae creaverunt
alias. Et contra hos oportet dicere quod sit in omnibus per essentiam.
Sic ergo est in omnibus per potentiam, inquantum omnia eius po-
testati snh<inntnr. Est prr praesentiam in omnibus, inquantum om-
nia nuda sunt et aperta oculis eius. Est in omnibus per essentiam,
inquantum adest omnibus ut causa essendi, sicut dictum est [a. 1].
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod Deus dicitur esse in omnibus per
essentiam, non quidem rerum, quasi sit de essentia earum: sed per
essentiam suam, quia substantia sua adest omnibus ut causa essendi,
sicut dictum est [ibid.].
Ao SECUNJJUM DICENDUM quod aliquid potest dici praesens alicui,
incpiantnm suhiaret Pi1•s consnertui, quod tamen distat ab eo secun-
dum suam substantiam, ut dictum est [in corp.]. Et ideo oportuit
duos modos poni: scilicet per essentiam, et praesentiam.
Ao TERTIUM DICENDl'M quod de ratione scientiae et voluntatis est,
qnod scitum sit in sciente, et volitum in volente: unde secWldum
scientiam et voluntatem, map;is res snnt in Deo, quam Deus in re-
bus. Sed de ratione potentiae est, quod sit principium agendi in
alind: unde secund11m potentiam agens comparatur et applicatur
rei exteriori. Et sic per poteutiam potest dici agen::i esse in altero,
Ao QUARTUM DICENDUM quod nulla alia perfectio superaddita sub-
stantiae, facit Deum esse in aliquo sicut obiect11w_ cop:nitum et ama-
tum, nisi gratia: et ideo sola gratia facit singularem modum essendi
Deum in rebus. Est autem ali11s singularis modus essendi Deum in
homine per unionem: de quo modo suo loco [III, q. 2] agetur.

• Pnr non Ignorando le teorie gnostiche e neoplatoniche S. Tommaso rarà


espre,samente li nome di Avicenna (/, q. 45, a. 1).
• L'uomo iuò certo con05cere Dio anche con la sola ragione (c0me lns~gna
S. Tommaso in modo speciale nella q. 12, a. 12); ma questa conoscenza, se resta
senza amore, non costituisce un modo speciale della divina presenza dell'uomo.
Se alla conoscenza segue l'amore, allora l'uomo è già sotto lInflusso della grazia
e viene giustificato; e allora si verlflca In lui il modo speciale di presenza di cui
qui s1 r>arla. Questa presenza, propria dei giusti, si rhiama « lnahltazlone •.
• Vedi 111 Parte della Somma chp. tratta del mistero dell'Incarnazione.
194 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 4

ARTICOLO 4
Se sia proprio di Dio essere dappertutto.

SEMBRA c:he essere dappertutto non sia proprio di Dio. Infatti:


1. L'univc~rsale, secondo Aristotele, è dovunque e sempre: pari-
mente, la materia prima è dovunque, perchè è in tutti i corpi. Ora,
Dio non è nessuna delle due cose, come appare da ciò che abbiamo
-O.etto. Dunque essere dovunque non è proprio di Dio.
2. Nelle cose numerate c'è il numero. Ma tutto l'universo è stato
costituito in numero [cioè è numerato J, come appare dalla Scrittura.
Vi è dunque un numero in tutto l'universo, e così [il numero] è dap-
·pertutto.
3. L'universo intero al dire di Aristotele è come tutto un corpo per-
:fetto. Ora, l'universo è dappertutto, perchè fuori di esso non vi è
luogo alcuno. Dunque non il solo Dio è dappertutto.
4. Se qualche oorpo fosse infinito, non vi sarebbe nessun luogo
fuori di esso. Dnnque sarehhe !tovunqne. E, così, pare che l'essere
·dovunque non sia p.roprio di Dio.
5. L'anima, dice S. Agostino, "è tutta in tutto il corpo e tutta in
ciascuna delle sue parti"· Se dunque nel mondo non esistesse che
un solo animale, l'anima di esso sarebbe dappertutto. E così, essere
·dovunque non è pro:i>rio di Dio.
6. Dice S. Agostino: «L'anima dove vede, sente; dove sente, vive;
.dove vive, è"· Ora, l'anima vede qua,si dappertutto, perchè successi-
vamente vede tutto il cielo. Dunque l'anima è dappertutto.
IN cor-'TRARIO: Dice S. Ambrogio: « Chi oserà dire creatura lo Spi-
rito Santo, il quale è sempre in tutte le cose e dovunque, il che cer-
tamente è proprip della divinità?"·
n lSPON[l(l: Essere dappertutto primo et per se è proprio di Dio.
·Ora, io dico che è dappertutto primo ciò che è dappertutto nella sua
totalità. Infatti se qualche cosa fosse ovunque col trovarsi in diversi
Juogihi secondo le sue varie parti, non sarebbe dappertutto in questo
modo (primo) ; perchè ciò che conviene ad una cosa in ragione d'una
sua parte, non le oonviene primo: come se un uomo è bianco a mo-
tivo dei denti, la bianchezza non appartiene primo all'uomo, ma ai
-O.enti. Dico poi che è dappertutto per se quello a cui non conviene
essere dovunque accidentalmente, a motivo di una data supposi-
zione; chè altrimenti un granello di miglio, supposto che non esi-
strsse nessun altro corpo, sarebbe dappertutto. Essere dunque dap-
'Pertutto per se conviene a quel tale essiere che, in qualunque ipotesi,
debba necessariamente essere dappertutto.
Ed in questo senso è proprio di Dio, perchè, per quanti altri luoghi
si ammettano, oltre quelli esistenti, anche in numero infinito, biso-
,gnerebbe che Dio fosse in tutti, poichè niente può esistere se non per
opera di lui. Così, dunque, essere dappertutto primo et per se ap-
partiene a Dio in modo esclusivo, perchè, per quanti luoghi si am-
mettano, è necessario che Dio sia in ciascuno di essi, non parzial-
mente, ma secondo tutto se stesso.
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 11*6

ARTICULUS 4
Utrum esse ubique sit proprium Dei.
Infra q. 52, a. 2: 112, a. 1 : I Sent., d. 37, q. 2, a. 2: q. 3, a. 2:
4 Cont. Gent., c. 17; QuocU. 11, a. 1 : De Dtv. Nom., c. 3, lect. 1.

AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod esse ubique non sit pro-
prium Dei. Universale enim, secnndum Philosophnm [I Pc.~ter., c. 31,
lect. 42], est ubique et semper: materia etiam prima, cum sit in om-
nibus c.orporibus, est ubique. Neutrum autem horum est Deus, ut ex
praemissis patet [q. 3, aa. 5, 8]. Ergo esse ubique non est pro.
prium Dei.
2. PRAETEREA, numerus est in numerati~. Sed totum universum est
·constitutum in numero, ut patet Sap. 11, 21. Ergo aliquis numerus
est, qui est in toto universo: et ita ubique.
3. PRAETEREA, totum universum est quoddam totum corpus perfe-
etum, ut dicitur in 1 Caeli et Mundi [c. 1, lect. 2]. Sed totum nniver-
sum est ubique: quia extra ipsum nullus locus est. Non ergo solus
Deus est ubique.
4. PRAETEREA, si aliquod corpus esset infinitum, nullus locus esset
extra ipsum. Ergo esset ubique. Et sic, esse ubique non videtur pro.
prium Dei.
5. PRAE:rEREA, anima, ut dicit Augustinus, in 6 De Trinit. [c. 6], est
"tota in toto corpore, et tota in qualibet eius parte». Si ergo non
·esset in mundo nisi unum solum animai, anima eius esset ubique.
Et sic, esse ubique non est proprium Dei.
6. PRAETEREA, ut Augustinus dicit in epistola ad Volusianum [137,
e. 2], "anima ubi videt, ibi sentit; et ubi sentit, ibi vivit; et ubi vivit,
ibi est n. Sed anima videt. quasi ubique: quia successive videt etiam
totum caelum. Ergo anima est ubique.
SED CONIBA EST quod Ambrosius dicit, in libro De Spiritu Sanct<i
(I. 1, c. 7): "Quis audeat rreaturam dicere Spiritum Sanctum, qui
in omnibus et ubique et semper est; quod utique divinitatis est pro-
prium ?u
REsPONDEO DlCENDUM quod esse ubique primo et per se, est proprium
Oci. Dico autem esse ubique primo, quod secundum se totum est ubi-
.que. Si quid enim esset ubique, secundum diversas partes in diver-
sis locis existens, non esset primo 11bique: quia quod convenit alicui
ratione partis suae, non convenit ei primo; sicut si homo est albus
dente, albedo non convenit primo homini, sed denti. Esse autem ubi·
que per se dico id cui non convenit esse ubique per arcidens, propter
aliquam suppositionem factam: quia sic granum milii esset ubique,
supposito quod nullum aliud corpus esset. Per se igitur convenit esse
ubique alicui, quando tale est quod, qualibet positione facta, sequitur
illud esse ubique.
Et hoc proprie convenit Deo. Quia quotcumque loca ponantur,
·etiam si ponerentur infinita praeter ista quae sunt, oporteret in om-
nibus esse Deum: quia nihil potest esse nisi per ipsum. Sic igitur
~sse ubique primo et per se convenit Deo, et est proprium eius: quia
quotcumque loca ponantur, oportet quod in quolibet sit Deus, non
secundum partem, sed secundum seipsum.
196 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 8, a. 4

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'universale e la materia prima sono


dappertutto, ma non secondo un identico essere reale. 1
2. Il numero, essendo un accidente, non è di suo in un luogo, ma
indirettamente; e non è tutto in ciascuno dei numerati, ma in di-
stinte unità. E cosl non segue che sia dappertutto primo et per se.
3. L'universo intero è sl dappertutto, non però primo, perchè non
è tutto in ciascun luogo, ma secondo le sue varie parti; e neppure
vi è per se, perchè, ove si supponessero altri luoghi, non sarebbe in
essi.
4. Se esistesse un corpo infinito sarebbe certo dovunque, però
[soltanto] secondo le sue parti. •
5. Se ci fosse un solo animale al mondo, l'anima sua sarebbe do-
vunque primo, ma accidentalmente [cioè soltanto a motivo della
supposizione fatta].
6. L'espressione «l'anima vede in qualche luogo'" si può inten-
dere in due modi. Primo modo, l'espressione in qualche iuogo può de-
terminare l'atto del vedere dal lato dell'oggetto, e allora è vero che
se l'anima vede il cielo, vede nel cielo, e per la stessa ragione sente
in cielo ; ma non ne segue che essa viva o sia in cielo, perchè vivere
e essere non importano un atto che passi nell'oggetto esterno. Se-
condo modo, quell'espressione può determinare l'atto del vedere,
dal lato del soggetto che vede. E cosi, secondo questo modo di par-
lare, è vero che l'anima dove sente e vede, ivi è e vive. Non ne segue
però che sia dappertutto.

• Infatti l'universale, come universale, non è che un concetto, ed esiste, come


tale, soltllnto nella mente. II grado di perfezione che esso esprime (p. es., la na-
tura umana), quando è cc>nslderato nella sua esistenza reale, .perd6 la sua uni·
versalltà e si s!ngolarlzza, diventando un diverso ente nel diversi Individui.
Cosi Pietro, Paolo, Giacomo .... hanno tutti la natura umana, ma secondo un
!"!'"'"'"'
nropl'lo Individuale. ossia reale, diverso. Non è dunque un medPstmo es·
sere elle è In tutti gli individui ; e qnlndl non e' è ubiquità. - Co&I ~·ure la ma•
LA PRESENZA DI DIO NELLE COSE 197

AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod universale et materia prima sunt


quidem ubique, sed non secundum idem esse.
AD sECUNDm.. DICENDUM quod numerus, cum sit accidens, non est
per se, sed per accidens, in loco. Nec est totus in quolibet numerato-
rum, sed secundum partem. Et sic non sequitur quod sit primo et
per se ubique.
AD TERTIUM DICENDUM quod totum corpus universi est ubique, sed
non primo: quia non totum est in quolibet loco, sed secundum suas
partes. Nec iterum per se: quia si ponerentur ailiqua alia loca, non
esset in eis.
AD QUARTUM DICENDUM quod, si esset corpus infinitum, esset ubi-
que; sed secundum suas partes.
AD QUINTUM DICENDUM quod, si esset unum solum anima!, anima
eius esset ubique primo quidem, sed per accidens.
AD SEXTUM DICENDUM quod, cum dicitur anima alicubi videre, po-
test intelligi dnpliciter. Uno modo, secundum quod hoc adverbium
alicubi determinat actnm videndi ex parte obiecti. Et sic verum est
quod, dum caelum videt, in caelo videt: et eadem ratione in caelo
sentit. Non tamen sequitur quod in caelo vivat vel sit: quia vivere et
esse non important actum transeuntem in exterius obiectum. Alio
modo potest intelligi secundum quod adverbium determinat actum
videntis, secundum quod exit a vidente. Et sic verum est quod anima
uhi sentit et videt, ibi est et vivit, secundum istum modum loquendi.
Et ita non sequitur quod sit ubique.

terla prima non ha unità di essere, se non nella mente. Nelle cose esistenti, di cui
è Il soggetto primo e, per cosi dire, Il tessuto, essa è formata secondo un essere
differente, speclftcamente e Individualmente. Quindi tanto meno essa è In turtl 1
corpi, ossia dappertutto prtmo e per se.
• Quest' Ipotesi è Impossibile, come S. Tommaso ha dimostrato. Ma qui egli vi
accenna per far risaltare anche meglio l'ubiquità che è propria di Dio.
QUESTIONE 9
La immutabilità di Dio.

Logicamente dobbiamo ora trattare della immutabilità divina e


della eternità che ne consegue.
Sulla immutabilità si pongono due quesiti: 1. Se Dio sia del tutto
immutabile; 2. Se l'immutabilità sia una proprietà esclusiva di Dio.

ARTICOLO 1
Se Dio sia del tutto immutabile.

SEMBRA che Dio non sia del tutto immutabile. Infatti:


1. Tutto ciò che muove se stesso è in qualche modo mutabile. Ora
come dic.e S. Agostino: cc Lo Spirito creatore muove se stesso, ma
non nel tempo o nello spazio n. Dunque Dio è in qualche modo mu-
tabile.
2. Della Sapienza è dettn che « è più mobile di ogni cosa mobile"-
Ma Dio è la stessa sapienza. Dunque Dio è soggetto al moto.
3. I due termini av1:icinarsi e allontanarsi indicano movimento e
sono nella Scrittura attribuiti a Dio. "Accostatevi a Dio, ed egli si
avvicinerà a voi n. Dunque Dio è mutabile.
IN CONTRARIO: :E: detto in Malachia: «Io sono Dio e non mi muto n.
RISPONDO: Da quanto è stato precedentemente esposto si dimostra
che Dio è assolutamente immutabile. Primo, infatti sopra si è pro-
vato che esiste un primo ente da noi chiamato Dio e che è necessa-
riamente atto puro, senza mescolanza di potenza [passiva], giacchè
questa in linea assoluta è posteriore all'atto. 1 Ora tutto ciò che in
una maniera qualunque si muta, in qualche modo è in potenza.
È quindi evidente l' impossibilità di una qualsiasi mutazione in Dio.
Secondo, in tutto ciò che si muove vi è qualche cosa che permane
e qualche cosa che cessa: p. es., quando un oggetto passa dal colore
bianco al nero, perdura sempre quanto alla sua sostanza. E così in
1 f: un principio primo della filosofia perenne. già nitidamPnta formulato da
Aristotele (9 l\fetaphys., c. s. 1049-1050), che l'atto in linea assoluta precede la po-
1,enza (= ll ierfetto precede l' imperfertol, sebbene In un determinate· ordine di
oose la J)Otenza. quanto al tempo, preceda l'atto. C-Osl, p. es., nella generazione
di un animale è prima la J)Otenzn, ossia l'imperfetto, l'indeterminato (la cellula
fecondata, l'embrione.... che sono l'animale In potenza) e solo In fine viene l'anl
male perfetto, l'atto. Ma l'animale Imperfetto non può neppure concepirsi con
la mente, nè tanto meno esistere, senrn l'esistenza dell'animale perfetto, da cui
deriva, o di un altro ente superiore che Ila la virtù di prOdurlo. L'ente In potenza
Intatti non è intelligibile se non per rapporto all'ente in atto; e non r·nò divenire
in atto, se non è sotto l' lntlusso dell'ente in atto, come è stato provato nell'ana-
- QUAESTIO 9
De Dei immutabilitate
fn duos a tttt•1los dtvt&a.

CoNsEQUENTER considerandum est de immutabilitatc et aeternitate-


divina, quae immutabilitatem consequitur.
Circa im1nutabilitatem vero quaeruntur duo.
Primo: ntrum Deus sit omuino immutabìlis. Secundo: utrum eS&t
immutabile sit proprium Dei.

ARTICULUS 1
Utrum Deus sit omnino immutabilis.
I Sent., d. 8, q. 3, a. 1: I Cont. Gent., cc. 13. 14; t, c. 25; De Pot., q. 8, a.. 1, ad 9 ~
Compend. Tneot., c. 4; De Trtntt., q. 5, a. 4, ad 2.

AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit Olllllino im-
mutabilis. Quidquid enim movet seipsum, est aliquo modo mutabile.
Sed, sicut dicit Augustinus, 8 Super Genesim ad litteram [c. 20]:
« Spiritus creator movet se nec per tempus nec per Iocum "· Ergo-
Deus est aliquo modo mutabilis.
2. PRAETEREA, Sap. 7, 24 dicitur de s:lpientia quod est « mobilior
omnibus mobilibus n. Sed Deus est ipsa sapientia. Ergo Deus est mo-
!Jilis.
3. PRAETEREA, appropinquari et elongari motum signifìcant. Huius-
modi autem dicuntur de Deo in Scriptura: Iac. 4, 8: "appropin•
quate Deo, et appropinquabit vobis "· Ergo Deus est mutabilis.
SED CONTRA EST quod dicitnr Malach. 3, 6: Ego Deus, et non mu-
tar.,,
RF.sPONDEO DICENDUJ\r quod ex praemissis ostenditur Deum esse om-
nino immutabilem. Primo quidem, qnia supra ostensum est esse ali-
quod primum ens, quod Denm dicim11s [ q. 2, a. 3]: et quod huius-
modi primurn ens oportet esse purum actnm absque permixtione ali-
rnius potentiae, eo quod potentia &impliciter est posterior actn.
Omne autem quod quocumque modo mutatnr, est aliquo modo in
potentia. Ex quo patet quod impps~ibile est Deum aliquo modo mu-
tari.
Secundo, quia omne qi1où movetur, quantum ad aliq11id ma.net, et
quantum ad aliquid transit: sicut quod movetur de albedine in ni-

lisi del principio •tutto ciò che si muove (=che passa dalla potenza all'atto) è-
mosso da un altro": principio che ha servito a S. Tommaso per salire dalle cose
create. che rironosclnmo miste di potenza e di atto appunto perchè mutabili, al·
l'esistenza del Primo Ente, che è Atto Pur-0.
Vaste correnti I.li filosùfì~ 111oderna rigettaoo questo primat-0 dell'atto sulla
!Jotenz;, e pretendono rtl fare ~caturiré dal nulla o dall" Imperfettissimo, os~la
rlnlla pntenv1, tut.t.E> le rooe Per queste filosofie la potenza In linea assoluta è an·
terlore all'atto. Ciò è assurdo. (Ve<ti p. 82, nota 1).
200 · LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 9, aa. 1-2

tutto ciò che si cambia si nota qualche composizione. Ma, come so-
pra si è dimostrato, in Dio non vi è composizione alcuna, essendo
egli assolutamente semplice ; è chiaro quindi che Dio non può mu-
tarsi.
Terzo, tutto ciò che si muove, acquista qualche cosa in forza del
suo movimento e arriva a ciò cmi prima non arrivava. Ora Dio, es-
sendo infinito e racc!Jiuòendo in se stesso in modo perfetto e uni-
versale la pienezza di tutto l'essere, niente può acquisire, nè esten-
dersi a cosa a cui prima non arrivava; in nessun modo quindi a lui
conviene il movimento. - Ecco perchè, anche tra gli antichi, alcuni,
quasi costrètti dalla stessa verità, affermarono la iw11111tabilita del
primo principio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. s. Agostino qui parla alla maniera
di Platone, il quale asseriva che il primo motore muove se stesso,
denominando moto qualsiasi operazionr: e in tal senso Io stesso
intendere, volere ed amar<:J sono detti moto. Siccome dunque Dio in-
tende ed ama se stesso, in questo senso dissero che Dio muove se
stesso, non già nel senso che qui si dà al moto e alla mutazione in·
quanto proprii dell'essere in potenza.
2. La sapienza è detta mobile metaforicamente, in quanto diffonde
la sua somiglianza sino ntJle minime cose. Niente infatti può esservi
che non proceda dalla divina sapienza per via di imitazione, come
da causa efficiente e formale, come i prodotti artificiali procedono
dalla perizia dell'artefice. Così dunque, in quanto la somigliflnza
della divina sapienza gradatamente si estende dalle creature s11pe-
riori, che ne partecipano maggiormente, sino alle infime, che meno
ne partecipano, si può dire ohe vi è una specie di processo e di mo-
vimento della sapienza verso le cose, come se noi dicessimo che il
sole s'avanza fino alla terra perchè il raggio della sua luce giunge
fino alla terra. Questo è anche il pensiero di Dionigi nell'affermare
che "ogni efflusso della divina manifestazione viene a noi da un mo-
vimento del Padre dei lumi "·
3. Simili espressioni bibliche dette di Dio sono metaforiche. Come
si dice che il sole entra nella stanza e ne esce, se vi giunge o si di-
parte il suo raggio; cosi si dice che Dio si avvicina a noi o se ne
allontana in quanto noi percepiamo l' inllusso della ~ma bontà o ne
siamo privati.

ARTICOLO 2
Se essere immutabile sia proprietà esclusiva di Dio.

SEMBRA che essere immutabile non sia proprietà esclusiva di Dio.


Infatti:
1. Dice Aristotele che in tutto ciò che si muove c'è la materia. Ora,
vi sono delle sostanze create, come gli angeli e le anime, che non
hanno affatto la materia, come opinano alcuni. 1 Dunque essere im-
mutabile non è esclusivo di Dio.
1 Quest'opinione fu difesa molto solidamente da S. Tommaso stesso (per gll
angeli cfr. I, q. 50, aa. 1, !l; per l'anima I. q. 75, a. 1). Oggi 6 sentenza oomune a
LA IMMUTABILITÀ Dl DIO 201
gredinem, manet secundum substantiam. Et sic in omni eo quod
rnovetur, aitenditur aliqua compositio. Ostensum est autem supra
[q. 3, a. 7] quod in Deo nulla est compositio, sed est omnino sim-
plex. Unde manifestum est quod Deus moveri non potest.
Tertio, quia omne quod movetur, motu suo aliquid acquirit, et per-
tingit ad illud ad quod prius non pertingebat. Deus autem, cum sit
infinitus, comprehendens in se omnem plenitudinem perfectionis
totius esse [q. 7, a. 1], non potest aliquid acquirere, nec extendere
se in aliquid ad quod prius non pertingebat. Unde nullo modo sibi
competit motus. - Et inde est quod quidam antiquorum, quasi ab
ipsa veritate coacti, posuerunt primum principium esse immobile.
AD PRIMUM ERGO DlCENllUM quod Augustinus ibi l-Oquitur secundum
modum quo Plato dicebat primum movens movere seipsum, omnem
operationem nominans motum; secundum quod etiam ipsum intel-
ligere et velle et amare motus quidam dicuntur. Quia ergo Deus in-
telligit et amat seipsum, secundum hoc dixerunt quod Deus movet
seipsum: non autem secundum quod motus et mutatio est existentis
in potentia, ut nunc loquimur de mutatione et motu.
An SECUNDUM DTCENDUM quod sapientia dicitur mobilis esse simili-
tndinarie, secundum quod suam similitudinem diffundit usque ad
ultima rerum. Nihil enim esse potest, quod non procedat a divina
sapientia per quandam imitationem, sicnt a primo principip effectivo
€t formali; prout etiam artifì.ciata procedunt a sapientia artificis. Sic
igitur inquantum similitudo divinae sapientiae gradatim procedit a
supremis, quae magis participant de eius similitudine, usque ad in-
fima rerum, qua.e minus participant, dicitur esse quidam processus
€t motus divinae sapientiae in res: sicut si dicamns solem procedere
nsque ad terram, inquantum radi11s luminis eius usque ad terram
pertingit. Et hoc modo exponit Dionysius, cap. 1 Cael. Hier., dicens
quod "omnis processus divinae manifestationis venit ad nos a Patre
tuminnm moto"·
AD TERTIUM DICENDUM quod hniusmodì dicuntnr de Deo in Scri-
f1turis metaphorice. Sicut enìm dicitur sol intrare dornum vel exire,
i11quant11m radius eius pertiugit ad domum; sic dicitur Deus ap-
propinquare ad nos vel recedere a nobis, ìnquantum percipimus in-
ftuentìam bonìtatis ìpsius, vel ab eo deficirnus.

ARTICULUS 2
Utrum esse immutabile sit Dei proprium.
lnfra, q. 10, a. S: q. 65, a. I, ad 1: JTT q. 57, a. I, M t; I .'iPnt., d. B. q. 3, a..!:
d. 19, q. 5, a.. 3; f, d. 7, q. 1, a. 1; De Malo, q, 16, a. !, ad 6; Quodl. 10, q, !.

Au SECllNDUM STC PROCF.DTTTTR. Videtur quod esse immutabile non sit


proprium Dei. Dicit enim Philosophus, in 2 Metaphys. [c. 2, lect. 4],
quod materia est in umni eo quod movetur. Sed substantiae quae-
dam creatae, sicut angeli et animae, non habent materiam, ut quibus-
.cJam videtur. Ergo es!:le immutabile non est proprium Dei.

tutti I teologi, qua.oto agli angell : al teologi e al filosofi cristiani quanto al-
i 'anima.
202 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 9, a. 2

2. Tutto ciò che si muove, si muove per un fine: quindi ciò che è
arrivato al possesso del suo ultimo fine, non si muove più. Ora, vi
sono delle creature, come i beati, che hanno già raggiunto il proprio
ultimo fine. Vi sono dunque delle creatme immobili.
3. Tutto ciò che è mutabile è variabile. Ora, le forme sono inva-
riabili: è detto infatti nel Liber Sex Principiorum 1 che "la forma
consiste in una semplice e invariabile essenza"· Dunque non è pro-
prietà esclusiva d.i Dio essere immutabile.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: " Soltanto Dio è immutabile ; tutte
le cose che ha creato, e8sendo dal 1r1111Ja, sono mutevoli"·
RISPONDO: Soltanto Dio è del tutto imnmtabile: ogni creatura, in-
vece, è in qualche modo mutevole. Bisogna notare, infatti, che una
cosa può dirsi mutevole ir1 due modi: o per lma potenza [passjva]
r
ad essa inerente, o per un potere potenza attiva] esistente in un al-
tro essere. Invero tutte le creature, prima che fossero, non avevano
la possibilità di esistere in virtù di una potenza creata, poichè niente
di creato può essere eterno ; ma solo in virtù della potenza divina,
in quanto Dio poteva porle nell'esistenza. E come dipende dalla vo-
lontà di Dio che le cose vengano all'esistenza, così dalla sua volontà
dipende la loro conservazione nell'essere; poichè Dio in altro mode>
non le conserva nell'esistenza che dando loro continuamC'nte l'es-
sere, di maniera che, se Dio sottraesse loro la sua azione, ritornereb-
bero tutte nel nulla, come spiega S. Agostino. Come dunque, prima
che esistessero in se medesime, era in potere del Creatore che es.se
venissero all'esistenza, cosi è in potere del Creatore, dopo che son
diventate esistenti, che cessino di essere. Perciò tutte le creature
per un potere esistente in un altro essere, cioè in Dio, sono soggette
a mutamento, in quanto poterono da Dio essere tratte dal nulla al-
l'esistenza, e possono da lui essere ridotte dall'esistenza al nulla.
Considerando poi la mutabilità dovuta a una potenza immanente
alla cosa stessa, anche così ogni creatura è in qualche modo mute-
vole. Nella creatura, infatti, vi è una doppia potenza, cioè attiva e
passiva. Chiamo potenza passiva quella, secondo la quale una data
cosa può raggiungere la sua perfezione, o nell'essere o nel consegui-
mento del fine. Se dunque si considera la mutabilità di una cosa in
base a una potenzialità nell'ordine dell'essere, allora la mutabilità
non si trova in tutte le creature, ma soltanto in quelle nelle quali
ciò che in e.sse è potenziale può stare insieme col non essere [in
atto). Perciò nei corpi iuferiori vi è mutabilità e secondo l'essere
sostanziale, perchè la loro materia può esistere senza la loro presente
forma sostanziale; e secondo l'essere accidentale, se il soggetto
comporti &eco la privazione dell'acciòt-nte: così questo sogf];etto
uomo comporta seco di non esser bianco, e quindi può cangiarsi da
bianco in non bianco. Ma se l'accidente è tale da risultare neces-
sariamente dai principii essenziali del soggetto, la privazione di tale
accidente non può coesistére col soggetto, e quindi il soggetto non
può mutare secondo questo accidente, p. es., la neve non può di-
ventare nera.• - Nei corpi celesti, invece, la materia non comporta.
1 Operoi di Gilberto de la Porree, che fu vescovo di Poltlers (t 1154). Tratta delle
cater.-orie di Aristotele e propriamente delle sei ultime.
2 In altri termini: riguardo alla mutazione accidentale, .'>lso~na distinguere
due categorl~ di acclden11: qnella degli accident1 puramente contlnqcntt. che
cloo possono esserci o non esserci in un soggetto, salva rimanendo la sostanza
LA IMMUTABILITA DI DIO 203

2. PRAETEHEA, omne quod movetur, movetur propter aliquem finem:


quod ergo iam pel"Venit ad ultimum finem, non movetur. Sed quae-
dam creaturae iam pervenerunt ad ultimum finem, sicut omnes beati.
Ergo aliquae creaturae sunt immpbiles.
3. PRAETEREA, omne quod est mutabile, est variabile. Sed formae
sunt invariabiles: dicitur enim in libro Sex Principiorum [c. 1], quod
"forma est simplici et invariabili essentia consistens ». Ergo non est
solius Dei proprium esse immutabile.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro De Natura Boni
[c. 1J : " solus Deus immutabilis est; quae autem fecit, quia ex ni-
hilo sunt, mutabilia sunt '"
REsPONDEo nrcENOUM quod solus Deus est omnino immutabilis:
omnis autem creatura aliquo modo est mutabilis. Sciendum est enim
quod mutabile potest aliquid dici dupliciter: unD modo, per potentiam
quae in ipso est; alio modo, per potentiam quae in altero est. Omnes
enim creaturae, antequam essent, non erant possibiles esse per ali-
quam potentiam creatam, cum nullum creatum sit aeternum: sed
per solam potentiam divinam, inquantum Deus poterat eas in esse
producere. Sicut autem ex voluntate Dei dependet quod res in esse
producit, ita ex voluntate eius dependet quod res in esse conservat:
non enim aliter eas in esse conserva!, quam semper eis esse dando;
unde si suam actionem eis subtraheret, omnia in nihilum redigeren-
tur, ut patet per Augustinum, 4 Super Gen. ad litt. [c. 12]. Sicut igi-
tur in potentia Creatoris fuit ut res essent, antequam essent in se-
ipsis, ita in potentia Creatoris est, postquam sunt in seipsis, ut non
sint. Sic igitur per potentiam quae est in altero, scilicet in Deo,
sunt mutabiles, inquantum ab ipso ex nihilo potuerunt produci in
esse, et de esse possunt reduci in non esse.
Si autem dicatur aliqnid mutabile per potentiam in ipso existen-
tem, sic etiam aliquo modo omnis creatura est mutabilis. Est enim
in creatura duplex potentia, scilicet activa et passiva. Dico autem
potentiam passivam, secundum quam aliquid assequi potest suam
perfectionem, vel in essendo ve! in consequendo finem. Si igitur at-
tendatur mutabilitas rei secundum potentiam ad esse, sic non in om.
nibus creaturis est mutabilitas: sed in illis solum in quibus illud
quod est possibile in eis, potest stare cum non esse. Unde in corpo-
ribus inferioribus est mutabilitas et secundum esse substantiale, quia
materia eorum potest esse cum privatione formae substantialis ipso-
rum: et quantum ad esse accidentale, si subiectum compatiatur se-
cum privationem accidentis ; sicut hoc subiectwn, homo, compatitur
secum non album, et ideo potest mutari de albo in non album. Si
vero sit tale accidens quod consequatur principia essentiaJia subiecti,
privati o illius accidentis non potest stare cum subiecto: unde sub-
iectum non potest mutari secundum illud accidens, sicut nix non
potest fieri nigra. - In corporibus vero caelestibus, materia non com-

di esso (p. es., Il colore biondo nel capelli): e secondo questi accidenti Il sog-
getto può mutare; e la categoria degli accidenti proprtt, distinti dalla sostanza
del soggetto ma risultanti, come dice Il testo, dal pr!nclpU essenzlalt di esso: e
secondo que.~tl non si dà mutazione nel soggetto: essi coesistono al soggetto fln-
chè perdura nell'essere, i;erchè Il soggetto non comporta seco la privazione di
essi, come dice il testo. I.'esempto della neve non è calzante per la nostra fisica,
ma se ne po<;.<;0no addurre tnnnmerevoll, p. e.s., la qmrntltà, l'estensione, Il peso
specifico 1•er I corpi mat.erlali.
204 LA SOl\f.MA TEOLOGICA, I, q. 9, a. 2
!

seco la privazione della forma, perchè la loro forma esaurisce, con-


ducendola a perfezione, tutta la potenzialità della materia; e quindi
i corpi celesti non sono mutevoli quanto all'essere sostanziale; ma
[sono mutevoli] quanto a trovarsi in un luogo, perchè il soggetto
[cioè il corpo celeste] comporta seco la privazione di questo o di quel
luogo. 1 - Finalmente le sostanze incorporee, perchè sono forme sussi-
stenti, le qnali tuttavia stanno al loro essere come la potenza all'atto,
non comportano la privazione di questo atto, perchè l'essere con-
segue alla forma, e niente perisce se non per il fatto che perde la
forma. Quindi nella forma stessa non vi è potenza al non-essere;
e perciò tali sostanze sono immutabili ed invariabili quanto al loro
essere. E questo vnol dire Dionigi quando scrive che «le sostanze
intellettuali create sono pure di ogni generazione e di ogni varia-
zione, in quanto sono spirituali e immateriali"· Tuttavia rimane
in esse una duplice mutabilità. Una, in quanto sono in potenza ri-
spetto al fine: e possono cos.ì, per libera scelta, mutare dal bene al
male, come dice il Damasceno. L'altra secondo il luogo, in quanto
{·on la loro potenza limitata possono influire là dove prima non in-
fluivano: s il che non può dirsi di Dio, il quale con la sua infinità
riempie ogni luogo, come sopra si è eletto.
In conclusione, in ogni creatura si trova la potenza [o la possibi-
lità] del mutamento: o quanto all'essere sostanziale, come nei corpi
corruttibili; o quanto al luogo soltanto, come nei corpi celesti; o
quanto all'ordinamento al fine ed all'applicazione della potenza ope-
rativa a diversi oggetti, come negli angeli. Universalmente poi tutte
le creature senza eccezione sono mutevoli rispetto alla potenza del
Creatore, dal cui potere dipende il loro esistere e il loro non esistere.
Quindi, non essendo Dio mutabile in nessuno dei sopraddetti modi, è
proprietà esclusiva di lui ess.ere del tutto immutabile.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento vale, a propo-
sito della mutabilità secondo l'essere sostanziale o accidentale: di
tali mutamenti infatti trattano i naturalisti.
2. Gli angeli buoni oltre l'immutabilità dell'essere, la quale com-
pete loro naturalmente, hanno l'immutabilità dell'elezione [ assicu-
rata loro] dalla divina potenza:• tllittavìa resta in essi la mutabilità
rispetto al luogo.
3. Le forme son dette invariabili perchè esse stesse non possono
venir sottoposte a variazioni . sono p.erò soggette a variare in quanto
il soggetto [acquistandole o perdendole] varia in base ad esse. Per-
ciò è evidente che esse cambiano nella maniera stessa che hanno la
loro esistenza ; infatti non si dicono enti r.ome se fossero esse il sog-
getto dell'essere, ma perchè per mezzo di esse qualche cosa è.

1 Secondo la fisica antica c·era. una differenza. essenziale tra l corpi sublunari
e I corpi <lei firmamento: la diffPl'«>nza chP S. Tomn·a~o 011! nota. T corpi ""'"'t.1
erano crP<iutl tnoorruttlbtll e tnalteralJ!ll, come risultano dall'esperienza volgare.
Non c'è da meravigliarsi che I ftlcsofl ne tentassero una s-plegazlone. rifacendosi
al due prln~lpll costltntlvt di ogni corpo: la materia e la forma. La materia del
corpi celesti $arebbe stata pienamente attuata da una forma perfetta, col rnante
ogni capa.clt.\ di essere esistente ndla materia; la quale, quindi, sai•el>be senza i;o-
tenzlalltà per qualsiasi altra forma, sia sostanziale che accidentale, tranne elle
per li moto locale, li quale si svolge circolarmente, cioè nella maniera più per-
fetta secondo le !dee dcl tempo. «L'atomismo moderno - nota li Sert.illanges -
LA JM.MlTTABILITA DI DIO 203

patitnr secum privationem formae, quia forma perflcit totam per


tentialitatem materiae: et ideo non sunt mutabilia secundum esse
substantiale; sed secundum esse locale, quia subiectum compatitur
secum privationem huius loci vel illius. - Substantiae vero incorpo-
rea<>, quia sunt ipsae formae subsistentes, quae tamen se habent ad
esse ipsarum sicut potentia ad actum, non compatiuntur secum priva-
tionem huius actus: quia esse consequitur formam, et nihil corrum-
pitur nisi per hoc quod amittit formam. Unde in ipsa forma non est
potentia ad non esse: et ideo huiusmodi substantiae sunt immuta-
niles et invariabiles secundum esse. Et hoc est quod dicit Dionysius,
4 cap. De Div. Nom. [lect. 1), quod "substantiae intellectuales crea·
tae mundae sunt a generatione et ab omni variatione, sicut incorpcr
rales et immateriales "· Sed tamen remanet in eis duplex mutabili-
tas. Una secundum quod snnt in potentia ad finem: et sic est in eis
mutabilitas secundum electionem de bono in malum, ut Damascenns
dicit lDe Fide Orth., I. 2, c. 3]. Alia secundum locnm, inquantum
virtute sua finita possunt attingere quaedam loca quae prius non at-
tingebant: quod de Deo dici non potest, qui sua infìnitate omnia loca
replet, ut supra [ q. 8, a. 2) dictum est.
Sic igitur in omni creatura est potentia ad mutationem: vel secun-
dum esse substantiale, sicut corpora corruptibilia; vel secundwn
esse locale tantum, sicut corpora caelestia; ve! secundum ordinem
ad finem et applicationem virtutis ad diversa, sicut in angelis. Et
universaliter omnes creaturae communiter snnt rnutabiles secundum
potentiam Creantis, in cuius potestate est esse et non esse earurn..
Unde, cum Deus nullo istorum modorum sit mutabilis, proprium
eius est omnino immutabilem esse.
AD PRIMUM ERGO DICENDCM quod obiectio illa procedit de eo quod
est mutabilr secundum esse substantiale vel accidentale: de tali enim
motu philosophi tractaverunt. ·
Ao SECUNDUM DICENDUM quod angeli boni, supra immntahilitatem
essendi, quae competit eis secundum naturam, habent immutabilita-
tem electionis ex divina virtute · tamen remanet in eis mutabilitas
secundum locum.
Ao TERTIUM DICENDUM quod formae dicuntur invariabiles, quia non
poss11nt esse subiectum variationis: subiiciuntur tamen variationi,
inquantum subiectum secundum eas variatur. Unde patet quOd se-
cundum quod sunt, sic variantur: non enim dicuntur entia quasi
sint subiectum essendi, sed quia eis aliquid est.

ha trasportato questa nozione d1 sostanza Inalterabile e Invariabile del tutto,


eccezion ratta quanto allo spostamento vibratorio e al trasfeMmento locale, dal·
I' Infinitamente grande ali" Infinitamente piccolo•. (SOM. FRANC., Dteu, I, p. 320,
not:i 103). Mit questi Infinitamente piccoli non sono gli atomi, bensl gll elementi
incommensurabilmente plll plccolt di cui l'atomo si compone.
1 A proposito dalla mutabilità delle sostanze angeliche, S. Tommaso, nella
q. 10, a. 5, aggiunge al due moti qui notati 11 susseguirsi degll atti dell' lntelll-
genza e della volontà.
• Sono fissati Immobilmente nel bene per !"unione lmmedlat:t col Sommo Bene,
presente nella vlsloll(l beatifica, che ~azla e vince ogni desidetlo della volontà.
QUESTIONE 10
L'eternità di Dio.

Passiamo ora a trattare dell'eternità. E in proposito si pongono sei


qnesiti: 1. Che cosa sia l'eternità; 2. Se Dio sia eterno; 3. Se essere
eterno sia proprietà esclu&iva di Dio; 4. Se l'eternità differisca dal
tempo; 5. Sulla differenza tra evo e tempo; 6. Se vi sia un solo evo,
come vi è un solo tempo e una sola eternità.

ARTICOLO 1
Se l'eternità sia ben definita così: «Il possesso intero, perfetto
e simultaneo di una vita interminabile>. 1

SEMBRA che non sia esatta la definizione che dell'eternità dà Boe-


zio dicendo che "l'eternità è il possesso intero, perfetto e simultaneo
di una vita interminabile». Infatti:
1. Interminabile dice negazione: ora la negazione rientra soltanto
nel concetto di quelle cose che sono defettibili: il che non conviene
a!l'eternità. Dunque nella definizione dell'eternità non si deve met,.
tere quell' interminabHe.
2. L'eternità signitlca una certa durata. Ora, la durata riguarda
più l'esistenza che la vita. Nella òeAnizione dunque dell'eternità più
che la vita dovrebbe porsi lesistenza·.
3. Intero o tutto si dice ciò che ha parti. Ora, l'eternità non ha
parti, perchè è semplice. Dunque qucll' intero non sta bene.
4. Più giorni o più tempi non possono esistere simultaneamente.
Ora, nell'eternità si nominano al plurale giorni e tempi, poichè è
ti etto in Michea: "La sua origine è dal principio dei giorni dell'eter-
nità"; e in S. Paolo: "Conforme alla rivelazione di un mistero ta-
ciuto per tempi eterni"· Dunque l'eternità non è simultanea.
5. Intero e perfetto sono la stessa cosa. Posto dunque che l'eternità
sia un possesso intero è superfluo aggiungervi perfetto.
6. li termine possesso non inrl11d11 l'idea di durata, mentre l'eter-
nità è ima certa durata. Dunque l'eternità non (> un po1<.•esso.
RISPONDO: Come per arrivare alla conoscenza delle cose semplici
dobbiamo servirci delle cose composte, così alla cognizione dell'eter-
nità è necessario arrivarci mediante la cognizione del tempo; il
quale è la "misura numerica del moto secondo il prima ed il poi"·

1 Quest'articolo è costruito In modo un po' diverso dagli altri: manca Il sed


contra: l'argomento .In contrarto. Ma serve come tale la definizione di Boezio,
QUAESTIO fO
De Dei aeternitate
tn sex arttculos dtvua.

DEINDE quaeritur de aeternitate. Et circa hoc quaenmtur sex.


Primo: quid sit aeternitas. Secundo: utrum Deus sit aeternus. Ter-
tio: utrum esse aeternum sit proprium Dei. Quarto: utrum aeterni-
tas differat a tempore. Quinto: de differentia aevi et temporis. Sexto:
utrum sit unum aevum tantum, sicut est unum tempus et una aeter-
nitas.

ARTICULUS 1
Utrum convenienter definiatur aeternitas,
quod est interminabilis vitae
tot.a simul et perfecta possessio.
1 Seni., d. s, q. 2, a. 1 ; De Camts, lect. 2.

AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non sit conveniens defi-


nitio aeternitatis, quam Boetius ponit 5 De Consolatione [prosa 6],
dicens quod "aetemitas est interminabilis vitae tota simul et per-
ferta possessio "· Interminabile enim negative dicitur. Sed negatio
non est de ratione nisi eorum quae sunt defìcientia: quod aeterni-
tati nnn competit. Ergo in defìnitione aetemitatis non debet poni
intenninabile.
2. PR\F.TERE\, aeternitas durationem quandam signifìcat. Duratio
antem magis respicit esse qmim vitam. Ergo non debuit poni in de-
fìnitione aetemitatis vita, sed magis esse.
3. PHAETEREA, totum dicitur quod habet partes. Hoc autem aeterni-
tati non convenit, cnm sit simplex. Ergo inconvenienter dicitur tota.
4. PllAETEREA, plures dies non possunt esse simul, nec plura tem-
pora. Red in aeternitate pluraliter dicuntur dies et tempora: dicitur
enim Micheae 5, 2: cc egressus eius ab initio, a diebus aeternitatis »;
et ad Rom. 16, 25: cc secundum revelationem mysterii temporibus
aeternis taciti ». Ergo aeternitas non est tota simul.
5. PRAETEREA, totum et perfectum sunt idem. Posito igitur quod
sit tola, superflue additur quod sit perfecta.
6. PRAETEREA, possessio ad durationem non pertinet. Aeternitas au-
tem quaedam duratio est. Ergo aeternitas non est possessio.
RESPONDEO oICENnUM quod, sicut in cognitionem simplicium oportet
nos venire per composita, ita in cognitionem aeternitatis oportet nos
venire per tempus; quod nihil aliud est quam "numerus motus se-
cnndum prius et posterius "· Cum enim in quolil>et motu sit succes-

l"he -S. Tommaso ha posto nel titolo dell'articolo, e che analizza e spiega nel corpo
del medesimo ·
208 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 1

Infatti, siccome in ogni moto vi è una successione ed una parte


viene dopo l'altra, dal fatto che noi enumeriamo un prima ed un
poi nel movimento, percepiamo il tempo ; il quale non è altro che
l'enumerazione di ciò che è prima e di quel che è dopo !IO] movi.
mento. 1 Ora, dove non c' è movimento, dove l'essere è sempre il me-
desimo, non si può parlare di prima e di poi. Come dunque l'essenza
del tempo consiste nell'enumerazione del prima e del poi nel movi-
mento, così nella percezione dell'uniformità di quel che è completa-
mente fuori del moto, consiste l'essenza dell'eternità. 1
Ancora: si dicono misurate daJ tempo le cose che hanno un co-
minciamento ed una fine nel tempo, come osserva Aristotele; per il
motivo che a tntto quel che si muove si può semprP assegnar.e un
inizio e un termine.• Al contrario ciò che è del tutto immutabile,
come non può avere una successione, cosi non può avere neppure
un inizio ed un tennine.
Concludendo, il concetto di eternità è dato da queste due cose:
primù, dal fatto che ciò che è nelJ'etPrnità, è interminabile rsenza
termine] cioè senza principio e senza fine (riferendosi la parola ter-
mine all'uno e all'altra). In secondo luogo: per il fatto che la stessa
eternità esclude ogni successione, "esistendo tutta insieme"·
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Siamo soliti definire in forma ne-
!lativa le cose sempliri, cosi il p•mto "è c.iò che è senza parti'" Non
già perchè la negazione appartenga alla loro essenza; ma perchè
il nostro intelletto, il quale apprende prima le cose composte, non
può venire alla conoscenza del semplice che escludendo la compo-
sizione.
2. Ciò che è veramente eterno, non solo è ente [ha l'essere], ma
è anche vivente ; ed è proprio il vivere che si estende in certa guisa
all'operazione, non già l'essere. Ora, l'estendersi d'ella durata pare
che si debba considerare secondo l'operazione, piuttosto che secondo
l'essere: tanto è vero che anche il tempo è misura del movimento.
3. L'eternità si dice intera, non quasi che abbia delle parti, ma
perchè non le manca niente.
4. Come Dio, pur essendo incorporeo, nelle Scritture è chiamato
metaforicamente con nomi di cose corporali, cosi anche l'eternità,
pure esistendo "tutta insieme'" è indicata con nomi che esprimono
successione temporale.
5. Nel tempo ci sono da considerare due cose: cioè il tempo stesso,
che esiste successivamente, e l'istante, che è qualche cosa di incom-
pleto. Ora, l'eternità si dice simultanea per escludere il tempo; si
dice perfetta per escludere ristante.
6. Ciò che si possiede, si ha con stabilità e quiete. Quindi, [Boe-
zio] adoperò il termine possesso per indicare che l'eternità è im-
mutabile e indefettibile.

1 Numero equivale a rnisura. Tempo e moto sono Inscindibilmente unlti. Anzi


fondamentalmente il tempo e Il moto sooo la stessa cosa. Per avere dal moto Il
tempo non si aggiunge che un atro della ragione: si enumerano le parti del moro
st.e~~o !11'('.on<'lo fa snccM.Slone loro (là. qui, altrove), e sorge Il prtma e Il pot,
ossia Il tempo. SI dice che e.~so misura Il moto, perchè ne rende manifesta la qua-
lità: il moto è più o meno veloce secon1o che Il moblle tocca più o meno rapida.
mente i diversi punti dello spazio. Ma qui entra un nitro atto della ragione, che
e.on front a ogni moto con quello regolare, massimamente uniforme e conosciuto: il
moto apparente del cieli o reale della terra su 5e stessa, che si prende come ml-
LA ETERNITA DI 010

slo, et una pars post alteram, ex hoc quod numeramus prius et po-
sterius in motu, apprehendimus tempus ; quod nihil aliud est quam
numerus prioris et posterioris in motu. In eo autem quod caret motu,
et semper eodem modo se habet, non est accipere prius et posterius.
Sicut igitur ratio temporis consistit in numerat.ione prioris et poste-
rioris in motu, ita in apprehensione uniformitatis eius quod est om-
nino extra motum, consistit ratio aeternitatis.
Item, ea dicuntur tempore mensurari, q11ae principium et flnem
habent in tempore, ut dicitur in 4 Physic. [c. 12, lect. 20): et hoc
ideo, quia in omni eo quod movetur, est accipere aliquod principium
et aliquem fl.nem. Q.uod vero est omnino immutabile, sicut nec suc-
cessionem, ita nec principinm aut finem hal.Jere potest.
Sic ergo ex duobus notificatur aeternitas. Primo, ex hoc quod id
quod est in aeternitate, est interminabile, idest principio et fine ca-
rens (ut terminus ad utn1mque referaturl. Secundo, per hoc quod
ipsa aeternitas successione caret, «tota simul existens "·
AD PRIMliM ERGO UICENIJlll\I quod simplicia consuevenrnt per ne~atio­
nem definiri, sicut punctus est « cuius pars non est», Quod non ideo
est, quod negatio sit de essentia eorum: !'ed quia intellectus noster,
qui primo apprehendit composita, in cognitionem simplicium perve-
nire non potest, nisi per remotionem compositionis.
AD SECUNDUM DICENDUM quod illud quod est vere aeternum, non
solum est ens, sed vivens: et ipsum vivere se extendit quodammodo
ad operationem, non autem esse. Protensio autem durationis videtur
attendi secundum operationern, magis quarn secundum esse: unde
et tempus est numerus rnotus.
An TERTIUM DICENDUM quod aeternitas dicitur tota, non quia habet
partes, sed inquantum nihil ei deest.
AD QUARTUM DICENDUM quod, sicut Deus, curo sit incorporeus, nomt-
nibus rerum corporaliurn metaphorice in Scripturis nominatur, sic
aeternitas, t.ota simul existens, nominibus ternporalibus successivis.
An QUINTUM DICENDlJM quod in ternpore est duo considerare: sd-
licet ipsum tempus, quod est successivum; et nunc ternporis, quod
est irnperfectum. Dicit ergo tota simul, ad rernovendum tempus: et
perfecta, ad excludendum nunc temporis.
An sEXTUM DICENDUM quod illud quod possidetur, firrniter et quiete
habetur. Ad designandam ergo immutabilitatem et indeficientia.m
aeternitatis, usus est nomine possessionis.

sura di tutti gli altri moti. Questo moto esterno regolare, a cui sl confrontano
tutti 611 altri mutamenti, dà origine al tempo propriamente detto: tempo esterno,
unità di misura, su mi tutti gli uomini convengono.
2 Come dunque Il concetto del tempo, In quanto distinto dal concetto di mu-
tamento, non contiene che una relazione di ragicne '.un confronto, una misura),
cosi Il concetto di eternità, tn quantio ùistinto dall'essere lmmlltabile di Dio,
non contiene In più che un certo confronto della mente. "Dio è la Sila f>SSenza e
la sua eternità• (a. 2). Oggettivamente l'eternità coincide con l'uniformità e sta-
bilità dell'essere divino (vedi a. 2, ad 3); ma In mente, pe1· meglio int 0 11dere. di-
stingue e confronta eternità e permanenza dell'essere divino, e concepisce l'eter-
nità come misura della permanenza uniforme ùell'esS<'re cli,•ino.
• Supponendo che ciò che si muove si muova 110 aeterno e non sin per cessare
mat di muoversi (Ipotesi che S. Tommaso non vuole scartare), tnttavia nrl !lusso
del moto, che allora sarebbe realmente senza principio e termine, si pufi sempre
assegnare un punto che è termine della parte precedente e principio della parte
successiva. Ciò chè si muove quindi ha sempre un principio e un termine, almeno
virtuale.
210 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 2

ARTICOLO 2
Se Dio sia eterno.

SEMBRA che Dio non sia e.terno. Infatti:


1. Niente di ciò che è causato può attribuirsi a Dio. Ora, l'eternità
è qualche cosa di causato; dice infatti Boezio che "listante fluente
fa il tempo, l'istante permanente fa l'eternità,,; e S. Agostino dice
che «Dio è autore dell'eternità"· Dunque Dio non è eterno.
2. Ciò che è prima e dopo l'eternità no11 è misurato dall'eternità.
Ora, Dio è prima dell'eternità, come dice il Liber De Causis, 1 e dopo
l'eternità, come appare dalla Scrittura che dice: "Il Signore regnerà
in eterno, e al di là». 1 Dunque a Dio non compete di essere eterno.
3. L'eternità è una misura.• Ora, Dio non può essere misurato.
Dunque l'eternità non gli appartiene.
4. Nell'eternità, perchè simultanea, come si è detto, non esiste
presente, passato e futuro. Ma nelle Scritture si adoperano, parlando
di Dio, verbi al tempo presente, passato e futuro. Dunqu{) Dio non
è eterno.
IN CONTRARIO: Dice S. Atanasio: ' "Eterno è il Padre, eterno il
Figlio, eterno lo Spirito Santo ». .
RISPONDO: La nozione di eternità nasce dal!' immutabilità, come
quella di tempo .deriva dal movimento, come risulta da c.iò che s' ·?
detto. Quindi, essendo Dio sommamente immutabile, a lui in modo
assoluto comp.etc di essere eterno. E non ù soltanto eterno, ma è
anche la sua stessa eternità, mentre nessun 'altra cosa è la propria
durata, perchè non è il proprio essere. Dio invece è il suo stesso
essere uniforme, e perciò come è la sua essenza, così è la sua eter-
nità.•
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice che Z' istante perma-
nente fa l'eternità, ci si riferisce al nostro modo d'intendere. In-
fatti, come in noi viene causata l'idea di tempo in quanto concepiamo
il fluire dell'istante, cosi in noi vien prodotta l'idea di eternità con
l'apprendere l'immobilità dell'istante. - Riguardo poi a quel che
dire S. Agosti110 che «Dio è l'autore dell'eternità"• s'intende del-
l'eternità partecipata, perchè Dio partecipa ad alcuni esseri la sua
eternità al modo stesso che partecipa loro la sua immutabilità.

1 Vedi p. 1:12, nota 2.


1 Cosi nella Volgata, ma 11 testo ebraico reca semplicemente: •per sempre lo
eterno "·
• Vedi p. 209, nota 2.
• S. Atano,10, Padr~ della Chieffi gre.~a. (295-373), vescovo di Ales,andria, ce-
leberrimo campione della fede cattolica contro l'eresia di Arlo; Ingegno vigoroso
e carattere adarrrnntino. I suol scritti sono diretti in d1fesa della dottrin:1 tradi-
zionale contro gli errori e I soprusi degli ariani. Erroneamente gli fu attribuito
11 Simliolo • Qukumquc '" che è qui citato, cfr. DENZ., 39, nota.
• Abbiamo già notato che l'assioma «in Dio non vi è composizione di essenza
e di esi,tenw, nelle creature invece l'essenza e l'esserp 'I compong·ono come <lue
elementi distinti • è un i;rtnc!plo fondamentale di tutta la filosofia di S. Tom-
maso (cfr. p. 104, nota 2). Qui ritroviamo una delle tantissime applicazlonl. Dto
LA ETERNITA DI DIO 211

ARTICULUS 2
Utrum Deus sit aeternus.
' sent., d. 19, q. li, a. t; I Cont. Gent., e. 15: ne Por., q. 3, a. 17, ad !13;
Compend. Tlleol. cc. 5, s.

AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit aetemus.


Nihil enim faotum potest dici de Deo. Sed aetemitas est aliquid fa-
ctum: dicit enim Boetius [De Trinit., c. 4] quod cc nunc fiuens facit
tempus, nunc stans facit aeternitatem »; et Augustinus dicit, in libro
Octoginta trium Quaest. [q. 23], quod cc Deus est auct.or aeternita-
tis ». Ergo Deus non est aeternus.
2. PRAETKREA, quod est ante aeternitatem et post aeternitatem, non
mensuratur aeternitate. Sed Deus est ante aeternitatem, ut dicitur
in libro De Causis [prop. 2, lect. 2]: et post aeternitatem; dicitur
enim Exod. 15, 18, quod "Dominus regnabit in aeternum et ultra 11
Ergo esse aeternum non convenit Deo.
3. PRAETEREA, aeternitas mensura quaedam est. Sed Deo non con-
venit esse mensuratum. Ergo non competit ei esse aeternum.
4. PRAETEREA, in aeternitate non est praesens, praeteritum vel futu.
rum, cum sit tota simul, ut dictum est [a. praec.]. Sed de Deo dicun-
tnr in Scripturis verba praesentis temporis, praeteriti vel futuri. Ergo
Drus non est aeternus.
SEn CONTRA EST quod d.icit Athanasius [in Symb.]: "Aeternus Pater,
aeternus Filius, aeternus Spiritus Sanctus».
RESPONDEO DICENDUM quod ratio aeternitatis consequitur immute.-
bilitatem, sicut ratio temporis consequitur motum, ut ex dictis (a.
praec.) patet. Unde, cum Deus sit maxime immutabilis, sibi ma.xime
competit e..:,se aeternum. Nec solum est neternus, sed est sua aeter-
nitas: cum tamen nulla alia res sit sua duratio, quia non est suum
esse. Deus autem est suum esse uniforme: unde, sicut est sua essen-
tia, ita est sua aeternitas.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod nunc stans dicitur facere aetemi-
tatem, secundum nostram apprehensionem. Sicut enim causatur in
nobis apprehensio temporis, eo quod apprehendimus fluxum ipsius
rnmc, ita causatur in nobis apprehensio aeternitatis, inquantum ap-
prehendimus nunc stans. - Quod autem dicit Augustinus, quod "Deus
est auctor aeternitatis "• intelligitur de aeternitate participata: eo
enim modo commnnicat Deus suam aeternitatem aliquibus, quo et
suam immutabilitatem.

t la .ma eternftd. come è la sua essenza, perchè è Il suo stesso essere; nessun'altra
cnsa è la sua durata perchè nessun'altra cosa è Il suo essere. i:: manifesto tnfatU
eh.e dove essere ed essenza sono Identici, ivi c'è un ente necessario, a cui non
potrebbe non competere l'esistere, polchè esistere è mseparablle dall'esistere. Il
1•erdurare nell'essere, dunque, non ha altro motivo o causa che il suo essere
stesso: esso è 11 suo perdurare. Là dove Invece essenza ed esistenza son distinte,
il motivo o cagione del lc;ro trovarsi insieme e perdurare è fuori dell'ente stesso;
r-iacchè •cose rllverse di per sè non possono spiegare il loro trovarsi insieme, ma
tilsogna ricorrere ad una causa dl~tinta da esse che le ha adunate• (cfr. 11. 3,
n. 4; I Cont. Gent., cc. 18, 22, 25; De Pot., q. 3, a. 5). Dunque tali cose, appunto
perchè composte di elementi dlsllnti, non perdurano per se stesse, ma ~r un'altra
causa: non sono 11 loro perdurare (cfr. I, q. 104, a. 1).
212 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, aa. 2-3

2. Con ciò resta risolta anche la seconrta ditlicoltà. Si dice infatti


che Dio è avanti l'eternità, intendendosi qui l'eternità partecipata
dalle sostanze spirituali. E così nel medesimo libro si dice anche
chti "lintelligenza è equiparata all'eternità"· 1 - Quanto alla frase
della Scrittura: u Il Signore regnerà in eterno, e al di là "• bisogna
sapere che in quel punto la parola eterno sta per secolo, come si
ha in altra versione.• Così dunque si dice che Dio regnerà al di
là dell'eternità, pt>rchè perdura oltre qualunque ,.;ecolo, L'ioè oltre
qualsiasi durata stabilita: per secolo infatti non s' intende altro
che una durata periodica di una cosa qualsiasi, come dice Aristo1ele.
- Oppure si dice che regna oltre l'eternità per indicare che se anche
ci fosse qualche altra rosa che esistesse sempre (come, p. es., il movi-
mento del cielo, secondo alcuni naturalisti), tuttavia Dio regne-
rebbe anèhe più in là [cioè in maniera più perfetta], in quanto il
suo regno È' tutto insieme [senza successione].
3 L·etcrnità non è altro che Dio medesimo. Quindi Dio si dice
eterno non come se fosse in qualche modo misurato; ma l'idea di
misura qui si prende solo secondo il nostro modo d'intendere.
4. Si applicano a Dio verbi di tempi diversi, perchè la sua eternità
include tutti i tempi; non già perchè egli sia soggetto alla variabi-
lità del presente, del passato e del futuro.

ARTICOLO 3
Se essere eterno sia proprietà e='clusiva di Dio.

SEMBRA che essere eterno non sia esclusiva proprietà di Dio. In-
fatti:
1. E detto nella Scrittura: 11 Quelli che istruiranno molti alla giu-
stizia, saranno come astri nelle eternità senza fine». • Ora, non ci
sarebbero molte eternità se soltanto Dio fosse eterno. Non è dunque
eterno soltanto Dio.
2. Nel Vangelo è scritto: 11 Andate via da me, maledetti, nel fuoco
eterno"· Dunque non il solo Dio è eterno.
3. Tutto ciò che è necessario è rterno. Ora., molte cose sono ne.
cessarie, p. es., tutti i principii della dimostrazione e tutte le pro-
posizioni dimostrative. Dunque eterno non è solo Dio.
IN CONTRARIO: S. Girolamo• scrive: "Soltanto Dio è senza inizio 11,
Ora, tutto ciò che ha un inizio non è eterno. Quindi soltanto Dio è
ete1110.
R1sPONOO: L'eternità veramente e propriamente è soltanto in Dio.
Perchè l'eternità deriva dall'immutabilità, come si è già provato; e
d'altra parte solo Dio è del tutto immutabile, come abbiamo visto
sopra. Tuttavia nella misura in cui alcune cose partecipano da Dio
l'immutabilità da lui partecipano anche l'eternità.
Certe cose dunque partecir,ano da Dio· l'immutabilità in questo

1 lntelltgentta sotto la penna del neoplatonico Proclo. cui appartiene 11 De


Ctmsts, è sinonimo di spirito creato o di sostanza angelfra.
• La parola greca alcb? Importa questo ultimo slgnlflcato.
LA ETERNITÀ DI DIO 213
Et per hoc patet solutio ad secundum. Nam Deus dicitur esse ante
aeternitatem, prout participatur a substantiis immaterialibus. Unde
et ibidem dicitur, quod "intelligentia parificatur aeternltati "· -
Quod autem dicitur in Exodo, « Dominus regnabit in aeternum et
ultra n, sciendum quod aeternum accipitur ibi pro saeculo, sicut
habet alia translatio. Sic igitur dicitur quod regnabit ultra aeter-
num, quia durat ultra quodcumque saeculum, idest ultra quamcum-
que durationem datam: nihil est enim aliud saeculum quam perio-
dns cuiuslibet rei, ut dicitnr in iihro .f De Ca elo [c. 9, lect. 21]. - Vel
dicitur etiam ultra aeternum regnare, quia, si etiam aliquid aliud
semper esset (ut motus cacli serundnm quosdam philosophos); ta-
men Deus ultra regnat, inquantum eius regnum est totum simul.
AD TERTIFM DICENDUM qnod aeternita.c:; non est aliud quam ipse
Deus. Unde non dicitur Deus aeternus, quasi sit aliquo modo men-
suratus: sed accipitur ibi ratio mensurae secundum apprehensionem
nostram tantum. ·
AD QUARTl•M DICENDUM quod verha diversorum temporum attribuun-
tur Deo, inquantum eius aetemitas omnia tempora includit: non
quod ipse v:arietur per praesens, praeteritum et futurum.

ARTICULUS 3
Utrum esse aeternum sit proprium. Dei.
I Sent., d. 8, q. !I, a. !I; 4, d. 49, q, 1, a. !I, qc. 3; Quo1n. 10, q. I;
De Dtv. Nom., c. 10, Iect. 3; De Causts, lect. !I.

AD TERTTUM sic PROCF.DITUR. Videtur quod esse aeternum non sit soli
Deo proprium. Dicitur enim Danielis 12, 3, quod "qui ad iustitiam
Prudiunt plurimos, erunt quasi stellae in perpetuas aeternitates ».
Non autem essent plures aeternitates, si solus Deus esset aeternus.
Non igitur solus Deus est aeternus.
2. PRAETF.REA, Matth. 25, 4.f, dicitur: « Ite, maledicti, in ignem ae-
ternum "· Non igitur solus Deus est aetemus.
3. PRAETEREA, omne necessarium est aeternum. Sed multa sunt n&-
cessaria ; sicut omnia principia denwnstrationis, et omnes proposi-
tiones demonstrativae. Ergo non solus Deus est aeternus.
SED CONTRA EST quod dicit Hieronymus, ad Marcellam: "De~s solus
e!'I qui exordium non habet ». Qnidquid autem exordium habet, non
est aeternum. Solus ergo Dens est aeternus.
REsPONDEO DICENDUM quod aeternitas vere et proprie in solo Dea est.
Quia aeternitas irnmutabilitatem consequitur, lit ex dirtis ra. 1] pa-
tet: solus autem Deus est omnino lmmutahilis, 11t est superius [ q. 9,
a. 2] ostensum. Serundum tamen quod aliqua ab ipso immutabilita-
tem percipiunt, secundum hoc aliqua eius aeternitatem participant.
Quaedam ergo quantum ad hoc immutabilitatem sortiuntur a Deo,

• Cosi reca la Volgata ; li testo ebraico dice pt1l semplicemente: • ~enl(lre ed


eternamente•. ·
• s. Tommaso cita S. Girolamo, Indicando la ll'ttera Ad .Varcet&am, wa si tratta
della Eplst. la, Ad J.Jamuaum. ·
214 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, aa. 3-4

senso che mai cessano di esistere, come nella Scrittura è dettp della
terra che "eternamente sussiste"· Certe altre sono dette eterne nella
sa.era Scrittura per la diuturnità della durata, sebbene siano cor-
ruttibili, come nei Salmi son chiamate "eterne le montagne 11, ed
anche nel Deuteronomio si parla u dei frutti dei colli eterni ». Altre
cose anche più ampiamente partecipano la natura della eternità
in quanto sono immutabili o nell'essere, o anche perfino nell'ope-
rare, com'è degli angeli e dei beati, ammessi alla fruizione del
Verbo; perchè relativa.mente a quella visione del Verbo nei sariti
non ci sono "pensieri variabili '" come dice S. Agostino. Cosicchè
di coloro che vedono Dio si dice che possiedono la vita eterna, se-
condo il detto della Scrittura: u la vita eterna consiste nel conoscere
[Te, solo Dio vero] .... 11.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dicono molte le eternità per indi-
care che sono molti coloro che partecipano dell'eternità per la con-
temp.Jazione di Dio.
2. Il fuoco dell' inferno è detto eterno unicamente perchè non finirà
mai. Però nelle pene dei dannati vi saranno delle trasmutazioni, se-
condo il detto della Scrittura: cc Ad eccessivo calore passi egli dalle
acque delle nevi"· Quindi nell'inferno non vi è vera eternità, ma
piuttosto il tempo, secondo la frase del Salmo: «Il loro tempo si
estenderà per tutti i secoli "· 1
3. Necessario indica una modalità del vero. E il vero, a detta del
Filosofo, è nell'intelletto. Per conseguenza le cose vere e necessarie
sono eterne in quanto esistono in un intelletto eterno, che è soltanto
l'intelletto divino. Non ne viene perdò che oltre Dio vi sia qualche
cosa di eterno. •

ARTICOLO 4
Se l'eternità differisca dal tempo.

SEMBRA che l'eternità non si di:;tingua dal tempo. Infatti:


1. E impossibile che due misure di durata coesistano, tranne il caso
clHi una sia parte dell'altra: infatti due giorni o due ore non esi-
stono simultaneamente; ma un giorno ed un'ora possono essere si-
multanei perchè l'ora è una parte del giorno. Ma l'eternità eiI il
tempo sono insieme, e tutti e due importano una certa misura di
durata. Quindi non essendo l'eternità una parte del tempo, perchè
l'eternità lo sopravanza e J.o include, pare che il tempo sia una parte
dell'eternità e non cosa diversa da essa.
2. Secondo Aristotele listante resta identico a se stesso in tutto il
corso del tempo. Ma sembra costituire l'essenza stessa dell'eternità,
il restare indivisibilmente la stessa in tutto il decorso del tempo.

i Sono testi usati In senso accomodatlzio, entrati nel patrimonio dell'eru<ll-


zlone comune attraverso l' lnsegnamento del predicatori. S. Tommaso ne usa
senza Impegnarsi sul testi, ma illustrando un Insegnamento certissimo per altre
fonti. Il senso del Salmo 80 pare che sia: • Il tempo della felicità di Israele sarà
fissato per sempre•.
2 Si vede da questa risposta In che senso le essenze delle cose - ossia gll uni-
LA ETERNITA DI DIO 215

quod nunquam esse de!"immt: et secundum hoc dicitur Eccle. 1, 4,


de terra, quod "in aeternum stat ». Quaedam etiam aeterna in
S~ripturis uicuntur propter diuturnitatem durationis, licet corrupti-
bilia sint: sicnt in Psalmo [i5, 5] dicuntur "montes aeterni » et Deu-
ter. 33, 15, etiam dicitur: "de pomis coìlium aeternorum ». Quae-
dam autem amplius participant de ratione aeternitatis, inquantum
habent intransmutabilitatem vel secundnm esse, vel ulterius secun-
dum operationem, sicut angeli et beati, qui Verbo fruuntur: quia
quantum ad illam visionem Verbi, non sunt in sanctis "volubiles
cogitationes '" ut dicit Augustinus, 15 De Trinit. [c. 16]. Unde et vi-
dentes Deum dicuntur ha bere vitnm aeternam, secundum illud loann.
17, 3: "haec est vita aeterna, ut cognoscant '" etc.
AD PR'MUM ERGO DICENDTJM quod dicuntur multae aeternitates, se-
cundum quod sunt multi participantes aeternitatem ex ipsa Dei con-
templatione.
AD SECUNDUM DICENDUM quod ignis inferni dicitur aeternus propter
interminabilitatem tantum. Est tamen in poenis eorum transmutatio,
secundum illud lob. 24, 19: "ad nimium calorem transihunt ab aquis
nivium "· linde in inferno non est vera aeternitas, sed magis tempus;
secundum illud Psalmi [80, 16]: "erit tempus eorum in saecula "·
AD TERTn:M DICENDl'M quod neccssnrinm !'iignifìcat quendam modum
veritatis. Verum autem, secundum Philosophum, 6 Metaphys. [c. 4,
lect. 4], est in intel!ectu. Secundum ho<: igitur vera et necessaria
snnt aeterna, quia sunt in intellectu aeterno, qui est intellectus di-
vinus solus. Unde non sequitur quod aliquid extra Deum sit aeternum.

ARTICULUS 4
Utrnm aeternitas differat a tempore•
.JnfJla. &. 5; I .Seni., d. 8, q. 2, a 2 ; d. 19, q. 2, a. 1 ; De Poi., q. 3, a. 14, ad 10, 18;
De Dtv. Nom., c. 10, Joct. ~-

AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videt11r qnod aeternitas non sit aliud


a tempore. Impossibile est enim duas esse mensuras durationis si-
mul, nisi una sit pars alterius: non enim sunt simul duo dies vel
duae horae; sed dies et bora sunt simul, qnia bora est pars diei. Sed
aeternitas et tempus sunt simul: quorum utrumque mensuram quan-
dam durationis importat. Cµm igitur aeternitas non sit pars tempo-
ris, quia aeternitas excedit. tempus et includit ipsum; videtur quod
tempus sit pars aeternitatis, et non aliud ab aeternitate.
2. PRAETEREA, secundum Philosophum in 4 Physic. [c. 11, Iect. 18,
21], nunc temporis manet idem in toto tempore. Sed hoc videtur
constituere rationem aeternitatis, quod sit idem indivisibiliter se ha-

versali - e le proposizioni In materia necessaria si possono dire eterne: In qnanto


cioè sono eternamente pensate dal!' Intelletto eterno, che è Dio. Esse non hanno
una esistenza propria eterna. come voleva Platone, sebbene anche prima di tlSi-
stere siano enti reali, e nc;n enti di r~lone. Son•J del pMsih11i. i q1rnli h~nno il
loro fondamento nel!' Intelletto dhino. In quanto pensate dall' intell~tto nostro sl
ros~ono rtire eterne Impropriamente, cioè perchè fanno astrazione dal tempo e
sono ~ero In ogni tempo.
216 LA SO'!\fMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 4

Dunque l'eternità è l'istante del tempo ; ma listante non si di~tin­


gue realmente dal tempo. Perciò l'eternità realmente non differisce
dal tempo.
3. Come la misura del primo moto è la misura di tutti i movimenti,
come dice Aristotele, • cosl parrehbe che la misura del primo ente
debba essere la misura di ogni ente. Ma la misura del primo essere,
che è l'essere divino, è l'eternità. Dunque l'etemità è la misura di
ogni ente. Ma l'essere delle cose corruttibili è misurato dal tempo.
Qui,ndi il tempo o è l'eternità, o qualche cosa di essa.
IN CONTRARIO: L'etemità è tutta simultaneamente; nel tempo in-
vece vi è un prima ed un poi. Dunque tempo ed eternità non sono
la stessa cosa.
RISPONDO: E manifesto che tempo ed eternità non sono la mede-
sima cosa. Ma di tale diversità alcuni' hanno assegnato questa
ragione, che l'eternità non ha nè inizio nè termille, il tempo invece
ha inizio e termine. Ma questa differenza è accidentale e non es-
senziale. Perch€, supposto che il tempo sia sempl'e stato e che sem-
pre abbia ad essere, come ammettono coloro• che attribuiscono al
cielo un movimento sempiterno, resterà pur sempre una differe11za,
al dire di Boezio, tra eternità e tempo per il motivo che l'eternità è
tutta insieme, il che non compete al tempo; poichè l'eternità è la
misura dell'essere permanente, il tempo invece è misura del mo-
vimento.
Tuttavia, se tale differenza si consideri rispetto alle cose misurate
e non alle stesse misure, ha un certo valore: perchè col tempo si
misura soltanto ciò che ha inizio e termine nel tempo, come dice
Aristotele. Cosicchè se il movimento del cielo durasse sempre, il
tempo non lo misurerebbe secondo tutta la sua durata, essendo l' in-
finito immensurabile, ma ne misurerebbe ogni ciclo, che nel tempo
ha inizio e termine. •
Però tale differenza potrebbe avere un valore anche rispetto a que-
ste misure [della durata: tempo, evo, eternità], se inizio e termine
si prendessero in potenza. Perchè, anche supponendo che il tempo
durasse sempre, sarebbe possibile, prendendone delle parti. detenni-
nare nel tempo un inizio ed un termine, come quando parliamo d' ini-
zio e di fine del giorno o dell'anno;• ciò che non si vierifica per l'eter-
nità.
Tuttavia queste differenze sono conseguenze di quella che è la
prima ed essenziale, cioè che l'eternità, diversamente dal tempo, è
tutta simultaneamente.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questa ragione sarebbe buona, se
tempo ed eternità fossero misure dello stesso genere: il che appa-
risce esser falso se si considera di quali cose tempo ed eternità sono
misura.•
1 Il prtmo moto, di cui qui si parla, è Il moto del primo cielo, la prima sfera
mobile, seoondo la concez1on., tole111aica, li quale moto era conceµ1to come causa
e misura di tutti !?li altri moti. In cielo e In terr:i.
• S. Anselmo chiaramente sostlrne questa posizione (ctr. !W"onotoglum. c. 24).
P interess.'\nte vedere come Alessandro d' Hales. Il quale non an1111ett.-va neppure
la possibilità metllllslca del mondo creato ab aeterno, risolva con lui questa diffi-
coltà: •Se nmmettlamo la creazl'>ne ab actemo avremo una et~rultà creata equi-
valente a quella di Dio; due Immensi devono Infatti compenetMrsi •. Il grande
teologo francescano non si &eompone: •Non si può ammettere che una cosa pro.
ceda al> aeterno da Dio. diversa come natura e insieme eterna; polchè se differisce
LA ETERNIT A DI DIO 217

bens in toto decursu temporis. Ergo aeternitas est nunc temporis.


Sed nunc temporis non est aliud secundum substantiam a temp-0re.
Ergo aeternitas non est aliuù secundnm substantiarn a ternpore.
3. PRAETETIEA, sicut rnensura primi motu'3 est rnensura omnium mo.
tuum, ut dicitur in 4 Physic. [c. 14, lect. 23], i.ta videtur quod rneIJr
sura primi esse sit mensura omnis esse. Sed aeternitas est mensura
primi esse, quod est esse divinum. Ergo aeternitas est mensura om-
nis esse. Sed esse rerum corruptibilium mensuratur tempore. Ergo
tempus vel est aeternitas, ve! aliquid aeternitatis.
SEn CONTRA EST quod aeternitas est tota simul: in tempore autem
est prius et posterius. Ergo temp11s et aeternitas non sunt idem.
REsPONDEO n1cENDUM quod manifestum est tempus et aeternita-
tem non esse idem. Sed huius diversitatis rationem quidam assigna-
verunt cx hoc quod aeternitas caret principio et fine, tempus autem
habet principium et finem. Sed haec est differentia per accidens, et
non per se. Quia dato quod tempus semper fuerit et semper futurum
sit, secundum posiHonem eornm qui motnm caeli ponunt sempiter-
num, adhuc remanebit differentia inter aeternitatem et tempus, ut
dicit Boetius in libro Dr. Consolat. [I. 5, prosa 6], ex hoc quod ae-
ternitas est tota simnl, quod tempori non convenit: quia aeternitas
est mensura esse permanentis, tempus vero est mensura motus.
Si tamen praedicta differentia attendatnr quantum ad mensurata,
et non quantum ad mensuras, sic habet aliquam rationem: quia so-
lum il!ud mensuratur tempore, quod hahet principium et finem in
tempore, ut dicitur in 4 Physic. [c. 12, lect. 20]. Unde si motus caeli
scmper durnret, tempus non mernmraret ipsurn secundum suam to.
tam durationem, cum infinitmn non sit mensurabile; sed rnensuraret
qiuamlibet circulationem, quae halJet principium et finem in tem-
pore.
Potest tamen et aliam rationem hahere ex parte istarum mensu-
rarmn, si accipiatur fìnis et principium in potentia. Quia etiam dato
quod tempns semper duret, tamen possibile est signare in tempore
et principinm et finem, accipiendo aliquas partes ipsius, sicut dici-
mus principium et finem diei vel anni: quod non contingit in aeter-
nitate.
Sed tamf'n istae differentiae consequuntur eam quae est per se
et primo, differentiam, per hQC quGd aeternitas est tota simul, non
autem tempns.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod ratio illa procederet, si tempus et
aet.ernitas essent mensurae unius generis: q11od patet esse falsum,
ex his quorum est tempus et aeternitas mensura.
snstamlalmente dal Creatore., è m·ressnrlo che ~la crP,atnra, e quindi che abbia
I"essere dopo Il non essere, e ahhla un lnlzl-0 nella sua durata• (cfr. Summa Theoi.,
P. I, n. 64, tom. t, p. P6. Quaraccht, 1924). - Naturalmente S. Tommaso non roteva
cc·nsiderare valido que.sto argomento
a Aristotele e I suoi Commentatori specialmente arabi.
• In questa supposizione che Il tempo duri sempre. Il tempo sareJJbe. senza co.
mlnclamento e termine, ma ogni singola cosa soggetta al tempo e I vari cicli del
moto sempiterno avrebbero com111clamento e termine.
• Il tempo lnfa tti è una quantttà continua ; è perciò dlvlslblle In parti. QueBte.
parti non son~ divise In atto, ma solo In potenza. SI possono dividere con un
at10 della mente; e ognuna di esse, allora, ha principio e fine. Il che è tncon-
ceplhfle nell'eternità.
• TI tempo Infatti mtsnrii (=manifesta) la durata delle cose mutevoli, contln·
genti. totalmente sospese alla potenza di Dio, mentre l'eternità misura (=mani-
218 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 4

2. L'istante quanto alla sua realtà è identico a se stesso in tutto


il corso del tempo, ma cambiano i suoi rapporti; perchè come il
tempo corrisponde al movimento, così l' istante del temp.o corri-
sponde a.l soggetto mobile; ora, il soggetto che si muove è in se stesso
identico per tutto il corso del tempo, ma cambia nei suoi rapporti,
in quanto che adesso è qui e poi è là. E riuesta variazione [di rap-
porti] costituisce il movimento. Allo stesso modo, Io scorrere di un
medesimo istante, in quanto subisce l'alternarsi dei rapporti, costi-
tuisce il tempo. L'eternità invece rimane identica e. in se stessa e
quanto a riferimenti o rapporti. Perciò l'eternità non s'identifica con
ristante del tempo. 1
3. Come l'eternità è la misura propria dell'essere, cosi il tempo è
la misura propria del movimento. Quindi, quanto più un ente si
allontana dalla fissità dell'essere e si trova soggetto al mutamento,
tanto più si allontana dall'eternità e si assoggetta al tempo. Dunque
l'essere delle cose corruttibili, perchè trasmutabile, non è misurato
dall'eternità, ma dal tempo. fl tempo infatti non solo misura le cose
che attualmente si mutano, ma anche quelle che sono mutabili. Per
cui non soltanto misura il movimento, ma anche la quiete, propria
di ciò che è nato per muoversi, e che attualmente non si muove.

festa) l'Essere immutabile, necc:;sarlo, indipendente, che è Dio (cfr. p. 209, not.i. !l).
Come dunque l"essere divino t.rascende l'essere delle creature, e queste non sono
1n nes5un modo parti di es&o (cfr. q. 3, a. 8); cosi !"eternità trascende 11 tempo,
11 quale ln nessun modo può essere parte dell"eternità.
1 Questa breve rlspor.ta è Il riassunto della lecito 18 tn 4 lt!Jrum Phystcorum,
c. 11. Qui S. Tommaso conclude alla diversità essenziale tra l'istante del tempo
e !"eternità; là. nella lezione 1sa. rileva espressamente che tra l'istante del tempo
e l'eternità c'è tuttavia una certa analogia, la quale, benchè lontanl&slma, è atta
a fornirci Il concetto di eternità.
Ecco come ragiona l'Angelico, esponendo 11 pensiero di Aristotele. Il tempo si
fonda sul moto, di cui è misura. Il moto è una quantità le cui parti sono di-
verse e non coesistono insieme, ma si succedono. Cosi pure 11 tempo: le sue parti
sono diverse e non coesistono ; nel tempo, solo l' istante esiste simultaneamente
tutto Insieme. L'istante è l'unica realtà del tempo che esista. Per capire questo
bisogna rifarsi al moto e al corpo che si muove. Il moto ha la sua continuità
dallo spazio che percorre e dal corp0 mobile, Il quale è sempre lo stesso i·er tutto
ll decorso del moto e dà l'unità del moto stesso. Nello spazio noi segnamo del
punti di riferimento (del corpi immoblli. almeno relativamente al moto che vo-
gliamo misurare). p. es., una pietra miliare ; e In riferimento a quel (>unti ve-
niamo a con<>SCere li moto, distinguendolo da qualsiasi altro. Il corpo mobile
era prima ld - in quel punto -, ora è qu,t - In questo punto -. tra poco sarà
altrove - In un altro punto. Risulta chlai•a cosi l' idea del movimento. Ora, sia
l puntl di riferimento, sia il corpo che si muove, pur essendo sempre gli stessi
sostanzialmente, sono In qualche modo sempre diversi, per I rapporti nuovi che
via via assumono (sono eadem sub1ecto, dice S. Tommaso, ma dtrrerunt rattone,
sono differenti per l riferimenti o rapporti) . .\ dar rl~alto a questo fatto S. Tom-
maso cita riportandolo da Aristotele, li ragionamento puerlle del sofisti, l quali
arzlgioirolavano su questa diversità. "Corlsco - dicPvano - è 11ltro ( lreeoç) quandu
è nel foro e altro quando è nel teatro, perchè essere nel teatro è diverso da essere
nel foro. Ma Corlsco ora è nel foro, ora è nel teatro; dunque - con!'ludevano -
Corlsco è diverso da ~e stesso •. Ragionamento !allaclsslmo: certamente Corlsco
ha diverse posizioni spaziali secondo che è nel teatro o nel foro: e clO lo fa es-
sere diverso relativamente (rattone), ma non in se stesso (subtecto).
n~l moto del oorpo mobile, e-OSI tonsiderato, nascP I' lli<'a del tPmpo. Ora
l'istante, nota S. Tommaso, corrisponde al corpo mobile, come Il tempo corri·
sponde al mo'l'lmento. Come dunque li corpo mobile è sempre lo stesso nella sua
?'ealtà pur diversificandosi nel suol rapporti (perchè prtma era là e adesso è
qui.. .. ) ; cosi l'Istante, che gli corrisponde, è sempre lo ste.iso in sè, pur diver-
LA ETERNITA DI DIO 219

An SECUNDUM DICENDUM quod nunc temporis est idem subiecto in


toto tempore, sed differens ratione: eo quod, sicut tempus respon-
det motui, ita nunc temporis respondet mobili; m-0bile autem est.
idem subiecto in toto decursu temporis, sed differens ratione, in-
quantum est hic et ibi. Et ista alternatio est motus. Similiter fluxus
ipsius mmc, secundum quod alternatur ratione, est tempus. Aeter-
nitas autem manet eadem et subiecto et ratione. Unde aeternitas non
est idem quod mmc temporis.
Ao TERTilJM 01C&'mlJM quod, sicut aeternitas est propria mensura
ipsius esse, ita tempns est propria mensnra mot11s. Unde sec11ndnm
quod aliquod esse reredit a permanentia essendi et subditur trans-
mutationi, secundum hoc n·cedit ab aeternitate et subditur tempori.
Esse ergo rerum corruptibilium, quia est transmutabile, non mensu-
ratur aeternitate, sed tempore. Tempus enim mensurat non solum
quae transmutantur in actu, sed quae sunt transmutabilia. Unde
non solum mensura:t motum, sed etiam quietem ; quae est eius quod
natum est moveri, et non movetur.

stflcandosi nel suoi rapporti. Questo istante infatti è sempre questo istante: es"W
segna. il corpo mobile In una determinata posizione. J\fa come il corpo mobile ci
manifesta il moto in quanto viene considerato nei suoi ra pportl con i punti di rife-
rimento che sorpassa e con quelli verso tui tende; così l'istante cl manifesta il
tempo in quanto è preso, non in se stesso, ma come termine del prtma e inizio
del dovo. In tal modo nel!' istante, che è l'unica realtà del tempo, confluiscono
le parti del tempo, 11 passato e Il futuro, non coesistenti ma rese tali dal pensiero.
Misurare lnfntt.I è opera del pensiero.
F. cosi l'istante. pur restnndo Identico a se stesso, tuttavia è diverso per i raJ)-
IJOrtl oggettivi che il pensiero scorge in esso: in una parola est tdem sulltrcto,
dì{ferrns ratione. .
L'eternità Invece - pro~egue s. Tommaso - esclude l'alternarsi dei rapporti che
eostitnisce 11 tempo: è Identica a se stess~ e nei s1nl 1·apporti - eadem sulltecto
et ralione - ; perchè l'essere a cui si riferisce e di cui manifesta Il perdurare
è immutabile assolutamente nel pieno possesso di tutta la sua perfezione (cf:r.
tl>td., nn. 1--4). Però aggiunge: •da questa considerazione dell'Istante si può con re-
lativa facilità ricavare l'Idea dell'eternità. Infatti l'Istante, in quanto corrisponde
all'oggetto mobile che assume via via: diversi modi di essere (quanto alla posi-
zione], distingue il prima e il dopo nel tempo e col suo fluire costltuls.ce il tempo
stesso, come il fluire del punto costituisce la linea. Se dunque togliamo via (per
astrazione della mente) dall'oggetto mobile le diverse disposizioni (o posizioni che
assume col moto], ci resta la sua sostanza unifc rme a se stessa, sempre perdu-
0

rante nello stesso modo di essere. Per cui cl facciamo l'idea di un Istante sempre
per·n~nente, che non scorre vi:l, nè ha un 1•rlmn e un dono. Com(' dunque l'Istante
del tempo si concepisce quale misura dell'oggetto mobile, cosi listante dell'eter-
nità si concPr•i~cP c10rn~ m·sur:-.. o f i11ttost11 , ....... uni/11 d' 11.1 .;c.)~t·1rP;l e 1 f· r-
mane sempre nello stesso modo di essere• (tbtd., n. 5). L'eternità è stata definita
appunto (nell'a. 1 di questa questione) come totalità di vita senza principio nè
fine, posseduta simultaneamente dall'essere divino; il quale esclude qumdi dal
suo seno qualsiasi m11ta111ento. È sempre identico a se stèsso. dice S. Tomrnas•"
aulllecto. et rattone, escludemto qualsiasi riterimento a un prtma e a un dopo,
com'è proprio lnve~e dell'istante del tempo.
L'analogia tra l'istante del tempo e l'Istante dell'eternità, anche se fondata
su una lontanissima somiglianza, è tuttavia preziosa, poichè solo da11a conside-
razione del t.empo (nota s. Tommaso nel medesimo articolo) ci è dato di ascen-
dere al concetto di eternità, come In generale dalle cose create c'innalziamo alle
cose divine.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a.. 5

ARTICOLO 5
Sulla dill'erenza tra evo e tempo. 1

SEMBRA che l'evo non si distingua dal temp9. Infatti:


1. Dice S. Agostino che u Dio muove la creatura spirituale nel
tempo"· Ora l'evo si dice che è misura delle sostanze spirituali. Dun-
que il tempo non differisce dall'evo.
2. E essenziale al tempo avere il prima e il poi; essenziale dell'eter-
nità è di essere tutta insieme, come si è detto. Ora, l'evo non è l'eter-
nità, perchè nella Scrittura si dice che la sapienza eterna esiste
"avanti l'evo». Dunque non è tutto simultaneamente, ma ha un
prima e un poi: e cosi non è altro che il tempo.
3. Se nell'evo non c'è prima e poi, ne viene di consegnenza che
negli esseri eviterni [cioè misurati dall'evo] non vi è differenza tra
l'essere presentemente, l'essere stati in passato, e l'essere nel fu-
turo. Ma siccome non è più concepibile che gli eviterni non siano
stati in passato, ne segue che sia cosa assurda che essi possano non
esistere in futuro. Ciò che è falso, potendoli Dio annientare.
4. Siccome la durata degli esseri eviterni è infinita a parte post
[cioè ha dinanzi a sè l'infinito], se l'evo è tutto intero simultanea-
mente, ne segue che qualche cosa di creato è un infinito attale: il
che è impossibile. Dunque l'evo non differisce dal tempo.
IN CONTRARIO: Boezio canta cosl : " Sei tu [o Signore] che comandi
al tempo di scaturire dall'evo"·
R1sPONOO: L'evo differisce dal tempo e dall'eternità come qualche
cosa di mezzo tra l'uno e l'altro. Ma alcuni autori assegnano cosi
la loro differenza, dicendo che l'eternità è senza inizio e senza ter-
mine; l'evo ha inizio ma non termine; il tempo poi ha inizio e ter-
mine. - Ma questa differenza è puramente accidentale, come si è già
notato, perchè anche se gli esseri eviterni fossero sempre stati e sem-
pre fossero per essere, come alcuni ammettono, o anche se venissero
annientati, ciò che è possibile a Dio, l'evo si distinguerebbe ancora
dall'eternità e dal tempo.
Altri invece assegnano come differenza tra queste cose il fatto
che l'eternità non ha un prima e nn poi ; il tempo ha un prima ed
un poi con innovazioni e invecchiamenti; l'evo ha un prima ed un
poi senza innovazione ed invecchiamento. - Ma questa opinione è
contraddittoria. Il che appare in modo evidente se innovazione e in-
vecchiamento si riferiscono alla misura stessa rcioè all'evo C llOn agli
eviterni], perchè il prima ed il poi della durata, non potendo essere
simultaneamente, se l'evo ha un prima e un P<>i è inevitabile che,
partendosene la prima parte dell'evo, quella che viell' dopo giunga
come qualche cosa di nuovo: e cosl ci sarà innovazione nello stesso
evo, come nel tempo. E tale inconveniente rimane anche se [innova-
• •Il termine latino aevum corrisponde al greco aiw•·, di cui è la riproduzione
lf't.terale. Pero, mentre la tradizione patristica non ha dato al vocabolo un
sl.gnlflcato tecnico, tanto è vero che viene adoperato per designare qualsiasi rtu-
rata, da quella dell'eternità fino a quella del tempo (Insistendo sul!' Idea di !un-
LA ETERNITA DI DIO

ARTICULUS 5
De differentia aevi et temporis.
I sent.. d. s, q. 2, a. 2: d. 19, q. 2, a. t : !, d. 2. q. 1, a. 11.
De Poi., q. 3, a. u., ad 18 : Quoai. 10, q. t.
Ao QUINTUM SIC PROCEDITUR. Videlur quod aevum non sit aliud a
tempore. Dicit enim Augustinus, 8 super Gen. ad litt. [cc. 20, 22),
quod "Deus movet creaturam spiritualem per tempus ». Sed aevum
dicitur esse mensura spiritualium substantiarum. Ergo tempus non
differt ab aevo.
2. PRAETEREA, de ratione temporis est quod habeat prius et poste·
rius: de ratione vero aeternitatis est quod sit tota simul, ut dictum
est [a. 1). Sed aevum non est aeternitas: dicitur enim EccLi. 1, I,
quod sapientia aeterna "est ante aevum "· Ergo non est totum simul,
sed habet prius et posterius: et ita est tempus.
3. PRAETEREA, si in aevo non est prius et posterius, sequitur quod
in aeviternis non differat esse vel fuisse vel futurum esse. Cum igitur
sit impossibile aeviterna non fuisse, sequitur quod impossibile sit
ea non futura esse. Quod falsum est, cum Deus possit ea reducere
in nihilum.
4. PRAETF.REA, cum duratio aeviternorum sit infinita ex parte post,
si aevum sit totum simul, sequitur quod aliquod creatum sit infini-
tum in actu: quod est impossibile. Non igitur aevum differt a tern~
pore.
SED CONTRA EST quod dicit Boetius [De Consol., I. 3, metro 9]: 11 qui
tempus ab aevo ire iubes ».
RESPONDEO mCENOUM quod aevurn differì a tempora et ab aeterni-
tate, sicut medium existens intPr illa. Sed horum differentiam aliqui
c:ic assignant, dicentes quod aeternitas prm<'ipio et fine caret ; aevum
hahet principium, sed non finem ; tempus autem habet principium et
fìnem. - Sed haec differentia est per· accidens, sicut supra [a. praec. l
dictum est: quia si etiam semper aevitema !uissent et semper fu-
tura essent, ut aliqui ponunt; vel etiam si quandoque deficerent,
11uod Deo possibile esset '. adhuc aevum distingueretur ab aeternitate
et tempora.
Alii vero assignant differentiam inter haec tria, per hoc quod ae-
ternitas non habet prius et posterius; tempus autem habet prius et
posterius r.nm innovatione et veter11tione; aevum hahet prius et po-
sterius shte innovatione et veteratione. - Sed haec positio implicat
contradictoria. Quod quiàrm manifeste apparet, si innovatio et ve-
teratio referantur ad ipsam mensuram. Cum enim prius et posterius
durationis non possint esse simul, si aevum habet prius et posterius,
oportet quod, priore parte aevi recedente, posterior de novo adve-
niat: et sic erit innovatio in ipso aevo, sicut in tempore. Si vero re-
ferantur ad mensurata, adhuc sequitur inconveniens. Ex hoc enim
res temporalis inveteratur tempore, quoct habet esse transmutabile:

ghezza), gll Scolastlct gll hanno dato un senso molto determinato. Il termine
viene appllcato soltanto alla durata che partecipa Insieme dell'eternità e del
tempo•. D. T. C., tom. 5, 913-914.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 5

zione e invecchiamento] si riferiscono alle entità misurate. Infatti


una cosa temporanea invecchia col tempo in quanto è trasmutabile:
e dipende da questa trasmutabilità del misurato che nella misura
(cioè nel tempo] ci sia un prima e un poi, come insl)g'la Aristotele.
Se dunque la stessa realtà eviterna non è soggetta a invecchiare e
a rinnovarsi, è perchè il suo essere è immutahile. Dunque la sua
misura [di durata, ossia l'evo] non avrà nè prima n.è poi.
Dobbiamo dunque dire che, essendo l'rternità misura dell'essere
immutabile, un ente si allontana dall'eternità a seconda che si al-
lontana dalla immutabilità 11ell'essere. Ora, alcune creature si disco-
stano dalla immutabilità nell'essere in questo, che il loro essere è
soggetto di trasmutazione, o consiste in una trasmutazione; e questi
enti son misurati dal tempo, come è di ogni moto, nonchè d'ella so-
stanza delle cose corruttibili. Altre cose poi si scostano meno dalla
immutabilità nell'essere, perchè il loro essere nè consiste nella tra-
smutazione, nè è soggetto di trasmutazione: tuttavia hanno con-
giunta una certa trasmutabilità o attuale o potenziale. E quel che
avviene nei corpi celesti, il cui essere sostanziale è immutabile; ma
hanno un tale essere congiunto al cambiamento di luogo. ' Ciò è evi·
dente anche negli angeli, pcrchè per quanto riguarda la loro natura
hanno l'essere immutabile, congiunto a una mutabilità negli atti
liberi; e hanno anche mutabilità di intuizioni e di affetti, e, a loro
modo, di luoghi.• Per tale motivo essi sono misurati dall'evo, che sta
tra l'eternità e il tempo. L'essere invece che è misurato dall'eternità
non è mutabile in !'e stesso, nè associabile a variazioni. - Così dunque
il tempo jmplica un prima e un poi; l'evo non ha in sè nè prima nè
poi, ma possono essergli annessi; l'eternità non ha un prima e un
poi, nè li comporta jn alcun modo. •
SOLUZ!ONF DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le creature spirituali, quanto ai loro
desiderii e pensieri nei quali vi è successione, han per misura il
tempo. Tanto è vero che S. Agostino nel passo citato spiega che nmo-
versi nel tempo vuol dire avere una successione di sentimenti. Quanto
al loro essere naturale, son misurate dall'evo, Quanto poi alla. vi-
sione della gloria, partecipano dell'eternità.~
2. L'evo è tutto insieme; ma non è eternità, perchè è compatibile
con un prima e un dopo.
3. Nell'angelo la differenza tra passato e futuro non è nel suo es-
sere, ma solo rispetto alle mutazioni annesse. Ma quando noi diciamo

1 Yedi p. 204, nota 1.


• Dice •a loro modo •, perchè alle sostanze spirituali non si appartiene essere
nel luogo, r.ome lo son-0 i corpi, 1 qnali ~ono circoscritfi dnl Jnngo: ma neppure
come è in luogo Dio, 11 quale è dappertutto (crr. q. s, a. 4). Gli angeli sono lo-
calizzati non in forza del loro essere come i corpi, ma solo In quanto applicano la
loro virtù per agire sui corpi; ,. in questo essi asso111igliano a Ilio. ~la ne diffe-
riscono profondamente, perchè essi non causano effetti universali sui corpi, nè
toccano intimamente il loro essere; onde sebbene non siario circoscritti dal luogo,
.non sono dappertutto e sono t!e{!nltl dal luogo (cfr. 1, q. 52, aa.. 1, 2).
' Da questo confronto 1isalta meglio la natura dell'eternità e la sua profonda
differenza da qualsiasi forma di durata. Illustrando la natura delle sostnnze spi-
rituali create, più vicine a Dio ma pur sempre soggette, come creature, alla com-
posizione e alla molteplicità successiva, S. Tommaso rileva la sostanzialissima dif-
ferenza dell'Hernità, la quale trascende non 'olo il nostro tP.n1po. ma qualsiasi
altra forma di durata. come l"essere divino trascende <1ualslas! forma di essere
creato. L'eternità è propria di rno. rercM è propria di Dio l'immunità assoluta
da ogni forma di possibile mutabilità (vedi q. 9, a. 2).
LA ETERNITA DI DIO 223

et ex transmutabilitate mensurati, est prius et posterius in mensura,


nt patet ex 4 Physic. [c. 12, lect. 19, 20). Si igitur ipsum aeviternum
non sit inveterabile nec innovabile, hoc erit y11ia esse eius est in-
transmutabile. Mensura ergo eius non habebit prius et p-0sterius.
Est ergo dicendum quod, cum aeternitas sit mensura esse perma-
nentis, secundum quod aliquid recedit a permanentia essendi, se-
cundum hoc recedit ab aeternitate. Qnaedam antem sic recedunt a
1iermanentia essendi, quod e!'>se eorum est snhiectum transmutatio-
nis, vel in transmutatione consistit: et huiusmodi mensurantur tem-
pore: sicut omnis motus, et etiam esse omnium corruptibilium. Quae-
dam vero recedunt minus a permanentia essendi, quia esse eorum
nec in transmntatione consistit, nec est subiectum transmutationis:
tnmen habent transmutationem adiunctam, vel in actu vel in po-
tentia. Sicut patet in corporibus caelestibus, quorum esse substan-
tiale est intra11smutabile; tamen esse intransmutabile habent cum
transmutabilitate secundum locum. Et similiter patet de angelis,
q11od habent esse intransmutabile cum transmutabilitate secundum
electionem, quantum ad eorum naturam pertinet; et cum transmu-
tabilit ate intelligentiarum et affectionum, et locorum suo modo. Et
ideo huiusmodi mensurantur aevo, quod est medium inter aeterni-
tatem et tempus. Esse autem quod mensurat aeternitas, nec est mu-
tabile, nec mutabilitati adiunctum. - Sic ergo tempus habet prius et
posterius: aevum autem non habet in se prius et posterius, sed ei
coni ungi possunt: aetemitas autem non habet prius neque poste-
rius, neque ea compatitur.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quocl creaturae spirituales, quantum ad
nffectiones et intelligentias, in quibus est successio, mensurantur
tempore. Unde et Augustinus ibidem [c. 20) dicit quod per tempus
moveri, est per affectiones moveri. Quantum vero arl eorum esse na-
turale, mensurantur aevo. Sed quantum ad visi-0nem gloria,e, parti-
cipant aeternitatem.
An SECUNPUM DICENDUM quod aevurr. est totum simul: non tamen
est aetemitas, quia compatitur secum prius et posterius.
AD TERTIUM DICENDUM quod in ipso esse angeli in se considerato,
non est differentia praeteriti et futuri, sed solum secundum adiun-

• Come partecipiamo e viviamo la cognizione propria di Dio nella visione bea-


tifica, cosi partec!plamo e viviamo l'ett•rnità di Dio, affrancati, In quella attività
che cl fa deiformi, da ogni sorta di mutabilità. È l' indiarsi dell'uomo elevato
all'ordine divino dalla grazia.
Ma la misura di durata degli spiriti creati è propriamente l'evo, come ha detto
S. Tommaso nel -corpo dell'articolo. Ora l'evo si può chiamare tempo, come lo
chiama S. Agostino, se si fa forza sn ciò elle Ila comune col tempo, L'evo è tempo
ang·e!ico, il quale non ha la natura del nostro tempo nè intrinseco nè estrinseco,
essenclo la misura di nn essere intrinsecamente immutabile secondo sostanza e
mutabile soltanto secondo certe sue attività. Ma tale attività, che non comporta
passaggio dalla potenza all'atto con moto continuo che vada dall'imperfetto
al perfetto, perchè l'angelo è istantaneo nelle sue azioni !ntelJ.et.tuali, ha come
misura bensì Il tempo, come lo chiama Agostino. ma il tempo dtscreto, e non
continuo come è il nostro: di natura quindi diversa, come è diverso Il modo di
agire angelico e il nostro. (Vedi Commento di Gaetano, In questo art., n. XIII, dove
Il tempo dtscreto è definito come la misura o Il numero del prima o del poi nel
moto 1.llscreto; e il moto discreto è il succedersi di .operaz10ni puranwnte sp1ri-
tnnll, p, es., due atti Intellettivi senza servizio Intermediario di fantasmi. La
continuità LLUi Hon e' è, µercllè manca il graduale passaggio; e un graduale pa.~­
saggio si hn soltanto là dove e' è, come soggetto sottostante, un'estensione, una
quantità materiale).
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, aa. 5-6

che l'angelo è, o che è stato, o che sarà, si tratta di differenze do-


vute al modo di concepire della nostra intelligenza, la quale ap-
prende l'essere dell'angelo in confronto alle varie parti del tempo.
E quando Lia nostra mente] dice che ll'angelo è o che è stato, a.f.
ferma una verità [talmente necessaria] che 1a stessa potenza diviua
non potrebbe conciliarla col suo contrario ; quando invece dice che
sarà afferma una cosa inesistente. Quindi, siccome l'essere e il non
essere dell'angelo è soggetto alla divina potenza, Dio, assolutamente
parlando, può far si che non sia nel futuro; non può però far sì
che non sia mentre è, o che non sia stato dopo che è stato.
4. La durata dell'evo è infinita nel senso che non è limitata dal
tempo. Ora, ad ammettere qualche cosa di creato come infinito, nel
senso di non limitato da qualche altra cosa, non c' è nessun inco-n-
veniente. 1

ARTICOLO 6
Se vi sia un evo soltanto.

SEMBRA che non yi sia soltanto un evo. Infatti:


1. Nei libri apocrifi di Esdra è scritto: u La maestà e la potestà
degli evi è presso di Te, o Signore I 11,
2. Diversità di generi richiede diversità di misure. Ora, alcuni evi-
terni sono d'ordine corporale, cioè i corpi celesti ; altri sono s0-
stanze spirituali, cioè gli angeli. Non vi è dunque un evo soltanto.
3. Siccome evo è nome di durata, cose che hanno un solo evo,
hanno anche una sola durata. Ora, tutti gli esseri eviterni non hanno
una sola durata; perchè alcuni principiano ad essere dopo gli altri,
come è chiaro massime delle anime umane. Non vi è dunque un
evo solo.
4. Enti tra loro indipendenti non pare che abbiano una sola mi-
sura di durata: la ragione infatti per cui tutte le cose tempfJranee
semhrano soggette a un unico tempo, è che di tutti i movimenti è
ca.usa, in qualche maniera, il primo moto, il quale per primo è mi-
surato dal tempo. Ora, gli esseri eviterni non dipendono l'uno dal-
l'altro; perchè un angelo non è causa d'un altro angelo. Dunque
non vi è un evo solo. •
1 Come già si è detto, una certa Infinità In un determinato ordine compete alle
torme per sè sussistenti (ctr. q. 7, a. 2). SI tratta di un'Infinità non stmpltct-
ler, nota S. Tommaso, ossia assoluta sotto og·nl rispetto nella totalità delle per-
fezioni, ma dl un'infinità Sel'undum qutd, ossia sotto un aspetto determinato o
In un ordine di perfezione. Come dunque ogni angelo è Infinito in questo senw,
cosi è inflnlt.J l'evo, che è la misura della durata o persistenza nell'essere della
sostanza angelica.. L'evo è una realtà semplice, come semplice è la natura dell'an.
gelo; lo tutto !rtmultaneamente esistente, come è tutta simultaneamente esi•tente
la perfezione essenziale dell'angelo; non limitato Intrinsecamente da parti, da
elementi che si l'Ondlzionano o si succedono, come non è limitata in tal modo la
natura angelica. Sotto questo aspetto l'evo si avvicina all'eternità più che al
tempo, e potrebtie, meglio del tempo, fornircene un'Idea meno lontana. Ma tale
Infinità è essenzialmente di~tinta dall'Infinità propria dell'eternità che misura
l'essere divino.
1 Secondo la concezione tolemaica Il primo moto, cioè quello della prima ~tera,
era r.ausa di tutti I mutamenti di qualsiasi specie che accadono nel mondo fisico.
Perciò rispetto a quella sfera ll tempo era accidente Intrinseco e Insieme misura di
LA ETERNITA DI DIO

ctas mutat1ones. Sed quod dicimus a.n.gelum esse vel fuisse ve\ futu-
n1m esse, differt secundum acceptionem intellectus nostri, qui accipit
esse angeli per comparationem ad diversas partes temporis. Et cum
dicit angelum esse vel fuisse, supponit aliquid cum quo eius op-
positum non subditur divinae potentiae: cnm vero dicit futurum
esse, nondum supponit aliquid. Unde, cum esse et non esse angeli
subsit divinae potentiae, a!Jsolute considerando, potest Deus facere
quod esse angeli non sit futuri.Jm: tamen non potest facere quod non
sit dnm est, vel quod non fuerit postquam fuit.
AD QUARTUM DICENDUM quod duratio aevi est infinita, quia non fini·
tur tempore. Sic autem esse aliquod creatum inftnitum, quod non
finiatur quodam alio, non est inconveniens.

ARTICULUS 6
Utrum sit unum aevum tantum.
I Sent., d. 2, q. 1, a. 2; Quodt. 5, q. 4 ; Opusc. 36, De Instant., c. 3.

AD SEXTUM SIC PROCEDJTUR. Vidr.tur quod non sit tantum unwn ae-
vum. Dicitur enim in apochryphis Esdrae [l. 3, c. 4, 40]: "maiestas
et potestas aevorum est apucl te, Domine"·
2. PRAETFREA, diversorum generum diversae sunt mensurae. Sed
quaedam aeviterna sunt in genere corporalium, scilicet corpora cae-
Iestia: quaedam vero sunt spirituales substantiae, scilicet angeli. Non
ergo est unum aevum tantum.
3. PRAETEREA, cum aevum sit nomen durationis, quorum est unum
aevum, est una duratio. Sed non omnium aeviternorum est una du-
ratio: quia quaedam post alia esse incipiunt, ut maxime patet in
animabus humanis. Non est ergo unum aevum tantum.
4. PRAETEREA, ea quae non dependent ab invicem, non videntur
habere unam mensuram durationis: propter hoc enim omnium tem-
poralium videtur esse unum tempus, quia omnium motuum quodam-
modo causa est primus motus, qui prius tempore mensuratur. Sed
aeviterna non dependent ab invicem: quia unus angelus non est
causa alterius. Non ergo est unum aevum tantum.
tutti l moti, come è detto nel corpo dell'artlc.olo. Questo nesso dl causalità (che
del resto non è essenziale al concetto di misura [vedi sol. 4] è cadut.o: non es!·
ste, secondo la nostra fisica, un moto stellare che sia causa di tutti i moti, e che
abbia la regolarità necessaria per nna misura, sebbene gli astri e.on la loro forza
di attrazione siano realmente causa di moto vlcendev<>le o di modiftc.azione del
moto. Ma Il concetto di misura è rimasto, trasportato dall'apparente moto del
cieli al reale moto della terra, ti più noto per noi, Il più semplice e regolare.
Dall'unità di questo moto è dP~11nta l'unità nel tempo. Jl t.l'>lllpo f> uno, non()St.ante
che le mutazioni e I corpi mutablll siano molti, perchè è la misura di tutti questi
mutamenti. Il tempo è essenzialmente misura.
Nell'articolo presente S Tommaso si domanda se anche per I ·essere degli an-
geli. lmmutablll per la loro sostanza, ma variamente mutabili nel loro accidenti,
cl sia unità di misura, come per l'ess-~re delle cose essenzialmente mutevoli.
S. Tomma90 evidentemente non poteva pensare alla relatività della misura
del tempo adottata all tmmemorabtlt dall'umanità. Sarebbero occorse a lui tutte
le osservazioni scientifiche solo In questi ul~imi tempi rese pos3l!Jlli. Il fatto
Innegabile che tutte le parti dell'universo sono In movimento come colui che ml·
sura o computa, e 1a luce stessa cbe cl manifesta l fenomeni spazialt del mot.o,
costringe a Intendere con una certa relatività le misure dello spazio, del moto
226 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 6

IN CONTRARIO: L'e:vo è più semplice del tempo e si accosta di più al-


l'eternità. Ora, il tempo è uno solo. Dunque con più ragione l'evo.
R1sP0Nno: Su questo punto vi sono due opinioni: e' è chi dice che
vi è un solo evo, e c' è chi dice che ve ne sono molti. Per sapere quale
delle due sia la più vera, bisogna considerare donde deriva l'unità
del tempo: perchè alla conoscenza delle cose spirituali noi arriviamo
mediante le corporali.
Dunque, dicono alcuni che per tutte le cose temporali vi è un solo
tempo perchè una sola è la serie dei numeri per tutte le cose nume-
rate: infatti, secondo Aristotele, il tempo non è che numero. - Ma
la ragione è insufficiente, perchè il tempo non è un numero preso
come astratto e separato dalle cose numerate, ma come ad esse ine ·
rente, chè altrimenti non sarebbe continuo: così dieci braccia di
panno non sono continue a causa del numero [10), ma del numerato
[cioè del panno stesso]. Ora, il numero come si trova in concreto
nelle cose numerate non è identico per tutte, ma diverso per ogni
cosa diversa.
Quindi altri assegnano come causa dell'unità del tempo l'unità
dell'eternità, la quale è il principio di ogni durata. E così, tutte le
durate sono una cosa sola, se si consiclera il loro principio ; ma 1;ono
molte, se si considera la diversità degli esseri che ricevono la loro
durata dall'influsso della prima causa. Altri invece assegnano come
causa dell'unità del tempo la materia prima, la quale è il primo sog-
getto del movimento, la cui misura è il tempo. - Ma nessuna di que.
ste due spiegazioni è sufficiente, perchè le cose che hanno in comune
la causa o il soggetto, specie se remoto, non sono una cosa unica
in senso pieno e assoluto, ma in senso relativo.
La vera ragione dell'unità del tempo è dunque l'unità del primo
moto, il quale, essendo semplicissimo, regola tutti gli altri, come in-
segna Aristotele. Così dunque il tempo non sta in relazione con quel
moto soltanto come la misura col misurato, ma anche come l'acci-
d~nte col soggetto, e così rkeve da ef:s.o la sua unità. Rispetto agli
altri moti invece dice un rapporto solo come una misura al misurato.
Per cui non si moltiplica col moltiplicarsi di essi, perchè un'unica
misura separata è buona per misurare innumerevoli oggetti.
Posto ciò, bisogna i:;apere che rig11ardo alle sostanze spirituali vi
fu doppia opinione. Alcuni, come Origene, ' hanno sostenuto che
tutte quante son derivate da Dio uguali trc1 lnT'O; n, per lo meno,
come altri han detto, molte di esse. Invece altri hanno detto che
tutte le sostanze spirituali sono provenute da Dio sccoudo una certa
gerarchia e con un certo ordine. Tale sembra essere il sentire di Dio-
nigi, il quale asserisce che tra le sostanze spirituali vi sono le prime,

e del tempo. Ma non obbliga a concepire queste tre realt;\ come meramfnte sog-
gettive, pure categorie d·~lla sensit,ilit.\ nella maniera di Kant. Alcuni fisici nel
propugnare la teoria della relatività non si limitano a stabilire un" fcir;"a dt
misura matematico-fisica per la determinazione esatta e universale de! moti re-
lativi; ma vanno un 1,0· oltre nel senso ;lell.l pura soggettività di quelle realtà.
Ma li relativismo assoluto è Inaccettabile. Una realtà misurabile permane sotto
l;i. relatività delle misure. Questa realtà ha reso possibile la concezione di S. Tom-
maso r he è quella del senso comune, ma fonda pure la teoria stessa del!~ relati-
vità. che non esclude, ma suppone la possibilità di una misura del moto e del
tem110 <''!P valg-n :1~soh1t.tl111ent~.
(Cfr. BRÉHIER, Histotre de la" phtlo.~ophte. voi. II, p, 1CY72. Parls, 1938; MAQUART F. M.,
• L'espace. le tem11s. règles universelles et a prtori de la senslbilité '" in Rev. Thom.,
LA ETERNITA DI DIO 227

SED cON'ffiA, aevum est simplicius tempore, et propinquius se habens


ad aeternitatem. Sed tempus est unum tantum. Ergo multo magis
aevum.
REsPONDEO DICENDUM quod circa hoc est duplex opinio: quidam enim
dicunt quoJ est unum aevum tantum; quidam quod multa. Quid
autem horum verius sit, oportet considerare ex causa unitatis temp<>-
ris: in cognitionem enim spiritualium per corporalia devenimus.
Dicunt autem quidam esse unum tempus omnium temporalium,
propter hoc quod est unus numerus omnium numeratorum: cum
tempus sit numerus, sec1mdum Philosophum [ 4 Physic., c. 11.
lect. 17]. - Sed hoc non sufficit: quia tempus non est numerus ut al>-
stractus extra numeratum, sed ut in numerato existens: alioquin
non esset continuns; qnia decem ulnae panni continuitatem ha-
bent, non ex numero, sed ex numerato. Numerus autem in numerato
existens non est idem omnium, sed diversus diversorum.
Unde alii assignant causam unitatis temporis ex unitate aeternita-
tis, quae est principium omnis durationis. Et sic, omnes durationes
sunt unum, si consideretur earum principium: sunt vero multae, si
consideretur diversitas eorum quae recipiunt durationem ex influxu
primi principii. Alii vero assignant causam unitatis temporis ex
parte materiae primae, quae est primum subiectum motus, cuius
mensura est tempus. - Sed neutra assignatio sufficiens videtur: quia
ea quae sunt unum principio vel subiecto, et maxime remoto, non
sunt unnm simpliciter, sed secundum quid.
Est ergo ratio unitatis temporis, unitas primi motus, secundum
quem, cum sit simplicissimus, omnes alii mensurantur, ut dicitur in
.fO Metaphys. [c. 1, lect. 2]. Sic ergo tempus ad illum motum compa-
ratur non i:.olum ut mensura ad mensuratum, sed etiam ut accidens
ad subiectum ; et sic ab eo recipit unitatem. Ad alios autem motus
comparatur solum ut mensura ad mensuratum. Unde secundum eo-
rum multitudinem non multiplicatur: quia una mensura separata
multa mensurari possunt.
Hoc igitur habito, sciendum quod de substantiis spiritualibus du-
plex ftùt opinio. Quidam enim di:x;erunt quod omnes processerunt a
Deo in quadam aequalitate, ut Origines dixit [Peri Archon, l. 1, c. 8);
vel etiam multae earum, ut quidam posuPrnnt. Alii vero dixerunt
quod omnes substantiae spirituales processerunt a Deo quodam
gradu et ordine. Et hoc videtur sentire Dionysius, qui dicit, cap. 10
Caei. Hier., quod inter substantias spirituales sunt primae, mediae

19~0. pp. 3-23; FATTA 1\1., «Luogo e movimento locale"· in Dtv. Thom. (Plac ).
1932, pp. 412 ss.; Idem, «Il movimento in rapporto alle categorie•, tbtd., 1933,
pp. 283 ss. ; Idem, «Nota del tempo •., tbtà .• pp. 284 s.; 397 s.; URBl!'IO L., Etnstetn
y S. Tomàs, Estuàto crtttco àe ias teortas reiativtstas. voi. I. Valencia, 1926 ; làem,
•Einstein y S. Tomàs, Respuoot.a a un critico n•)v!s,irno '" ln /JiV. Tlwm. (Piac.),
1927, pp, 127 ss.; Rossi P., in Rtv. dt Ftlos. Neoscotastlcn, 1928. pp. 128 ss.).
1 Ortgene (c. 185-254) fu uno del più grandi Ingegni della primitiva Chiesa.
Portò a contatto del messaggio evangelico la filogoiill greca. continuando l'opera
di Clemente Alessandrino, al quale succedette nella direzione della Ctlebre Scuola
Catecllistica di Alessandria. Le sue opere, numerosissime ma in gran parte per·
dute, e speclrtlmente quella intitolata Contro Celso e l'altra intltolatR I prinrintt,
sono ricchissime di Idee, splendide in gran parte, ma parecchie anche Inaccetta-
bili, perchè in di~armonia con una sana e approfondita filosofia e specialmente con.
trastanti con la rivelazione ; per cui furono condannate dalla Chiesa. S. Tom·
maso discute alcune sue opinioni, In I, q. 32, a. 1, ad 1; q. 34, a. 1, ad 1; q. 47, a. 2;
q. 51, a. 1, ad 1 ; q. 90, a. 4, e altrove.
228 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 10, a. 6

le intermedie e le ultime, anche in un medesimo ordine di angeli.


Secondo la prima opinione, dunque, è necessario dire che vi sono
più evi, in quanto che vi sono più eviterni primi ed eguali. Invece
secondo l'altra opinione bisogna dire che vi è un solo evo ; perchll,
essendo ogni cosa misurata con ciò che vi è di più semplice nel suo
genere, come dice Aristotele, è necessario ammettere che l'essere di
tutti gli eviterni abbia per misura l'essere del primo eviterno, il qua.le
è tanto più semplice quanto più eccelso. 1 E poichè questa seconda
opinione è la più vera come dimostreremo in seguito, ammettiamo
fin da ora che vi è nn solo evo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Evo, qualche volta, si prende per
secolo, il quale è un periodo di durata di qualche cosa: ed in questo
senso si dice che ci sono molti evi, come molti secoli.
2. Sebbene i corpi celesti e le creature spirituali differiscano nella
loro natura generica; tuttavia convengono in questo, che tutti hanno
l'essere intrasmutabile, e per questo hanno per misura l'evo.
3. Neanche le cose temporali naf?cono tutte insieme, e tuttavia
hanno un unico tempo, perchè la prima [di esse] è misurata dal
tempo. Cosi tutti gli eviterni hanno un unico evo a motivo del primo
tra essi, anche se non cominciano tutti insieme.
4. Perchè più cose abbiano una stessa misura non si richiede che
una. sia causa di tutte le altre; basta che sia la più semplice.

1 La perfezione negli enti creati è proporzionata alla loro somiglianza con Dio.
E: più perfetto chi più gli assomiglia. L'eote spirituale pitl semplice e più Immu-
tabile è perciò li più perfetto, potchè meglio riproduce la semplicità e la tmmuta·
billtà dt nto. Nella quantità di perfezione spirituale. di cui sono dotati gli angelt,
t verosimile che si prenda come termine di confronto, o unità di misura, Il phl
perfett-o, che è anche il più semplice, Il i;lli comprensivo e In sè Il più conosci.
bile. L'analogia ci autorizza a pensar.. cosi. Non misuriamo noi Infatti la mag.
glore o minore perfezione dt un'opera dt scienza o di arte col confrontarla con le>
LA ETERNITÀ DI DIO 229

et ultimae, -etiam in uno ordine angelo rum. Secundum igitur primam


opinionem, necesse est dicere qnod sunt plura aeva, secundum quod
snnt plura aeviterna prima aequalia. Secwidum autem secundam
opinionem, oportet dicere quod sit unum aevum tantum: quia, cum
unumquodque mensuretur simplicissimo sui generis, ut dicitur in
IO Metaphys. [c. 1, lect. 2), oportet quod esse omnium aeviternorum
mensuretur esse primi aeviterni, quod tanto est simplicius, quanto
prius. Et quia secunda opinio verior est, ut infra [I, q. 47, a. 2; q. 50,
a. 4] ostendetur, concedimus ad praesens unum esse aevum tantum.
AD PRIMlll\1 ERGO DICENDl!M quod aevum aliquando accipitur pro
saeculo, quod est periodus durationis alicuius rei: et sic dicuntur
multa aeva, sicut multa saecula. -
AD SECUNDUM DlCENDUM quod, licet corpora caelestia et spiritualia
differant in genere naturae, tamen conveniunt in hoc, quod habent
esse intransmutabile. Et sic mensnrantnr aevo.
An TERTIUM DICENDUM quod nec omnia temporalia simul incipiunt,
et tamen omnium est unum tempus, propter primum quod mensura.-
tnr tempore. Et sic omnia aeviterna habent unum aevum propter
primurn, etiam si non omnia simul incipiant.
Ao QUARTUM DICENDUM quod ad hoc quod aliqua mensurentur per
aliquod unum, non requiritnr quod illud unum sit causa omnium
eorurn ; sed quod sit sirnplicius.

opere perrette del genio e piene nella loro stretta unità e sempllcltà T Il principio
aristotelico unlversalmente formulato pare evidente: •ogni cosa si misura con ciò
che è più semplice e primo nel suo genere•. Anche nella misura della quantità
tisica (spazio, moto, tempo .... ) si ricorre al confronto con ciò che è più sem-
plice nel genere della quantità medesima (Il metro, Il litro, l'ora .•..). Ma qui 11
11iù semplice e più. noto è il meno perfetto; là, nella quantità di perfezlorul, U
più semplice e più noto è Il più perfetto.
QUESTIONE i1
L'unità di Dio.

Dopo quanto si è detto rimane da trattare dell'unità di Dio. Su


questo argomento poniamo quattro quesiti: 1. Se l'unità aggiunga
qualche cosa all'essere; 2. Se ci sia opposizione tra l'uno e i molti;
3 Se Dio sia uno ; 4. Se sia sommamente uno. '

ARTICOLO 1
Se l'unità aggiunga qualche cosa all'essere.•

SEMBRA che l'unità aggiunga qualche cosa all'essere. Infatti:


1. Tutto ciò che è posto in un genere determinato [di realtà], vi
è posto perchè si aggiunge [come determinazione] all'ente, il quale
abbraccia tutti i generi.• Ora l'uno appartiene ad un genere deter-
minato, perchè principio del numero, il quale è una specie del genere
quantità. Dunque l'uno aggiunge qualche cosa all'ente.
2. Ciò che divide o distingue qualche cosa di generico, risulta da
un'aggiunta al dato generico. Ora, l'ente si divide in unp e molti.
Dunque l'uno aggiunge qualche cosa all'ente.
3. Se l'uno non aggiunge nulla all'ente, dire uno e dire ente sa-
rebbe la stessa cosa. Ora, è 1m giuoco di parole dire ente ente. Dun-
que sarebbe un giuoco anche il dire ente uno: il che è falso. Dunque
l'unità aggiunge qualche e.osa all'ellte.
IN CONTRARIO: Dionigi dice: "Niente vi è tra gli esistenti che non
partecipi dell'uno n. E ciò non sarebbe se l'uno aggiungesse all'ente
qualche cosa ohe lo coartasse. 4 Dunque l'unità nulla aggiunge al-
l'essere.
RISPONDO: L'unità non ag-ginnµ-e all'essere nessuna realtà, ma solo
la negazione della divisione; poichè nno non altro significa che ente
indiviso. E da ciò apparisce chiaro che l'uno si identifica con l'ente.
Infatti, ogni ente o è semplice o composto. Quello semplice non è

1 Anche quest'Indagine sull'unità e la moltitudine, squisitamente metatlsica


come altre già viste, mostra In S. Tommaso la preoccupazione di non lasciar
nulla volonta.rlamente n'lll'omh:ra, ma di precisare e di atnnare 1 concetti, che
devono rornir·ci la cognizione, più protenda possibile, della Divinità; perchè que-
~to è l'ufficio proprio della teolni:ria.
' I concetti di unità e di essere si d!~tinguono tra loro come concettl. Ma hanno
essi, nella realtà che esprimono, qualche elemento tntrlnseco che Il distingua? Pult
esistere un essere che non sia uno per gll stessi elementi che Io costituiscono? Ecco
la questione.
• Net generi, o categorie, in cui viene clMslflcata la realtà esistente (sostanza,
qualità, quantità .... ) propriamente non viene catalogato l'ente, come tale, percllè
QUAESTIO ii
De unitate Dei
tn quutuor arttculos dlvtsa.

PosT praemissa, considerandum est de divina unitate. Et circa hoc


quaeruntur quatuor.
Primo: utrum unum addat aliquid supra ens. Secundo: utrum
opponantur unum et multa. Tertio: utrum Deus sit unus. Quarto:
utrum sit maxime unus.

ARTICULUS 1
Utrum unum addat aliquid supra ens.
Infra, q. 30, a. 3; I Sent., d. 19, q. 4, a. !, ad 2; d. 24, a. 3; De Pot., q, 9, a. 7;
Quoàl. 10, q. 1, a. t; 4 Metaphys., lect. 2; 10, lect. 3.

AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtnr quod unum addat aliquid supra


ens. Omne enim quod est in aliq110 genere determinato, se habet ex
additione ad ens, quod circuit omnia genera. Scd unum est in ge-
nere determinato: est enim pl'indpium numeri, qui est species quan-
titatis. Ergo unum addit aliquid supra ens.
2. PRAETEREA, quod ùividit aliquod commune, se habet ex additione
ad illud. Sed ens dividitur per unum et multa. Ergo unum addit ali-
quid supra ens.
3. PRAETEREA, si unum non addit supra ens, idem esset dicere unum
et ens. Sed nugatorie dicitur e11s ens. Ergo nugatio esset dicere ens
unum: quod falsum est. Addit ig-itur unum supra ens.
SED CONTRA EST quod dicit Dionysius, ulC cap. De Div. Nom. [lect.
2] : "nihil est existentium non participans uno ,, : quod non esset, si
unum adderet supra ens quod contraheret ipsum. Ergo unum non
habet se ex additione ad ens.
REsPONDEO DICENDUM quod unum non addit supra ens rem aliquam,
sed tantum negationem divisionis: unum enim nihil aliud significat
quam ens indivisum. Et ex hoc ipso apparet quod unnm convertitur
cum ente. Nam omne ens aut est simplex, aut compositum. Quod
autem est simplex, est indivisum et actu et potentia. Quod autem est

l'ente, oome tale, appartiene a tutte le categorie; ma viene collocato un deter·


minato ente, cioè una zona cletermlnata e contratta della realtà. Cosi nel genere
sostanza viene collocata quella parte della realtà, cui compete sussistere In sè e
non In altro ; nel genere qualità vien collocata quella parte della realtà, col
cn "l'P.11' e•<PrP ruoclìficlltlva clella ~<>stanza In se stesSll : nel g-enerp 11111n11ta ''"n
collocata quella parte del reale, lhe conferisce alla sostanza materiale la molte-
"' ""tà uelle µarti distinte; e cosi dicasi per gli altri generi o predicamentl. Ma
t11t•p queste parti della realtà sono ente, polchè fuori dell'ente non c• è che Il
nulla.
• In questo caso ente e uno non avt'ebbero la stessa est'lnslone e vl sarebbero
enti che non parteciperebbero all'unità, oome cl sono enti che non sono sostanza
o aualità. ecc.
232 LA SG:\1MA TEOLOGICA, l, q. 11, a. 1

attualmente diviso e neppure è divisibile. Quello composto non esi-


ste finchè le sue parti sono divise, ma solo dopo che l' hanno costi-
tuito e composto. Quindi è manifesto rhe l'essere di qualsiasi eosa
consiste nell' indivisione. Di qui deriva che ogni cosa come conserva
il proprio essere, cosi conserva la propria unità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni, pensando che fosse una
stessa cosa l'uno che coincide con l'es~ere. e l'uno che è principio
del numero, si divisero in sentenze opposte. Pitagora e Platone,' ve-
dendo che l'uno, il quale si identifica con l'ente, non aggiunge alcun-
chè di reale sopra l'ente, ma significa la sostanza dell"cnte in quanto
è indivisa, stimarono che fosse altrettanto dell'uno che è principio
del numero. E poichè il numero si compone di unità, credettero che
i numeri fossero 1e essenze di tutte le cose. - Al contrario Avicenna,
considerando che l'uno, principio del numero, aggiunge alcunchè di
reale alla sostanza dell'ente (chè altrimenti il numero composto di
unità non sarebbe una specie della quanUtàì 2 credette che l'uno, il
quale coincide con l'ente, aggiungesse qualche cosa di reale alla so-
stanza dell'ente, come bianco a uomo. - Ma questo è manifestamente
falso; perchè ciascuna cosa è una in forza della propria sostanza.
Se, infatti, ciascuna cosa fosse una per qualche cos'altro, essendo
quest'altra entità a sua volta una, se fosse una anch'essa per qual-
che altra cosa, si andrebbe ali' infinito. Quindi bisogna fermarsi al
primo. - In conclusione, deve asserirsi che l'uno il quale si identifica
con l'essere non aggiunge realtà alcuna all'ente; ma l'uno che è
principio del numero aggiunge all'ente qualche cosa, che appar-
tiene al genere di quantità.
2. Niente impedisce che quanto sotto un aspetto è diviso, sotto un
altro sia indiviso, come ciò che è diviso numericamente, è indiviso
secondo la specie: e così accade che una cosa sia una in un morJo,
e molteplice in un altro. Ma tuttavia, se tale oosa è indivisa asso-
lutamente parlando ; • o perchè è indivisa secondo ciò che appartiene
alla sua es~nza, sebbene 5ia divisa qu amo alle parti non essenziali,
come ciò che è uno in ragione del soggetto e molteplice secondo gli
accidenti; o perchè è indivisa in atto e divisihile in potenza, come
ciò che è una cosa sola in rapporto al tutto e molteplice in rapporto
alle parti: tale essere sarà uno assolutamente parlando, e molteplice
sotto un certo aspetto. Se poi, viceversa, una cosa è indivisa sotto
un certo aspetto e divisa as~olutamente parlando - perchè è divisa
secondo l'essenza e indivisa secondo ragione, oppure secondo il prin-
cipio o la causa -: allora sarà molteplice assolutamente parlando
e una sotto un certo aspetto; come è il caso di ciò che è molteplice
numericamente e uno specificamente o secondo la causa. Così d1m-
que l'ente si divide in uno e molti, ma in questo senso: uno in modo
assoluto, e molteplice sotto un certo aspetto. Infatti una molteplicità
di cose non sarebbe contenuta sotto l'ente se non fosse contenuta in
qualche modo sotto l'uno. Dice infatti Dionigi che "non vi è molti-
tudine che non partecipi all'unità: ma qnel che è molteplice a mo-
tivo delle parti, è uno in quanto tutto; e cose, che sono molteplici a
motivo degli accidenti, sono una cosa sola quanto al soggetto ; e

1 S. Tommaso conosceva li peuslero di questi fllo;C1ft soltanto dalle opere ari-


stoteliche (cfr. I Me1t1phys., c. 8; 8 Ile Coel. et Mund., c. t). Anche al nostri giorni
Aristotele rimane la fonte principale per la fllosofta del Presocratici.
L'UNITA DI DIO

compositum, non habet esse quandiu partes eius sunt divisae, sed
postquam constituunt et componunt ipsum compositum. Unde ma-
nifestum est quod esse cuiuslibet rei consistit in indivisione. Et inde
est quod unumquodque, sicut custodi!. suum esse, ita custodit suam
unitatem.
AD PRIMUM JGJTUR DICENDUM quod qnidam, putantes idem esse
11num quod convertitur cum ente, et quod est prinripium numeri,
divisi sunt in contrarias positiones. Pythagoras enim et Flato, viden-
tes quod unum quod convertitur cum ente, non addit aliquam rem
supra ens, sed significat substantiam entis prout est indivisa, e:x.isti-
mavernnt sic se habere de uno quod est prinripium numeri. Et quja
numerus rompo11itnr ex unitatit11s. crediderunt quod numeri essf'nt
substantiae omnium rerum. - E contrario autem Avicenna [Meta-
phys., tract. 3, cc. 2, 3], considerans quod unum quod est principium
numeri, addit aliquam rem supra substantiam entis (alias numerus
ex unitatibus compositus non esset species quantitatis), credidit quod
unum quod convertitur rum ente, addat rem aliquam supra substan-
tiam entis, sicut album supra hominem. - Sed hoc manifeste falsum
c>st: quia qnaelibet res est una per suam substantiam. Si enim per
aliquid aliud esset una quaelibet res, cum illud iterum sit unum, si
esset iterurn unum per aliquid uliud, esset abire in infinitum. Unde
standum est in primo. - Sic igitur dicenrlnm est quod unum quod
~onvertitur cum ente, non addit aliq11a~ rem supra ens: sed unum
quod est principium numeri, addit aliquid supra ens, ad genus quan-
titatis pertinens.
An sEcur;uuM DICENDUM qnod nihil prohibet id quod est uno modo
divisnm, esi:e alio modo indivisnm; sicut quod est divisum numero,
est indivisum secund11m speciern: et sic contingit aliquid esse uno
modo unnm, alio modo multa. Sed tnmen si sit indivisum simplici-
ter; vel quia est inrlivis11m secundum id quod pertinet ad essentiam
rei, licl)t sit divisum quantum ad ea quae sunt extra essentiam rei,
sicat quod est unum subiecto et multa secundum accidentia; vel quia
est indivisum in artu, et divisum in potentia, sicut quod est unum
toto et multa secundum partes: huiusmcidi erit unum simpliciter, et
m11lta secundum quid. Si vero aliquid e converso sit indiviswn secun-
dnm quid, et ùhisum simpJkitef"; utpote quia est dìvisum secundum
ei::!"entiam, et i11divisum sec;11ndnm rationem, vel secundum princi·
pium si ve camam: erit multa simpliciter, et unum secundum quid;
ut quae sunt rnu 1ta nnmero'et 1m11m specie, vel unnm -principio. Sic
igit11r ens dividitur per unum et multa, quasi per unum simpliciter,
et multa secundum quid. Nam et ipsa multitudo non contineretur sub
ente, nisi contineretur aliqao modo sub uno. Dicit enim Dionysius,
ult. cap. De Div. Nom. [lect. 2], quod "non est multitudo non parti.
cipans uno: se<! quae sunt multa partibus, sunt unum toto; et quae
sunt multa accidentibus, sunt unum subiecto; et quae sunt multa

2 La quantità e l'ente non coincidono; la quantità è un ente particolare, de-


terminato quindi da un"aggiunta, per cui cessa di essere comune a tutta la realtà,
e l'OStituisce uno dei generi supremi deltt realtà accidentale. Specie del genere
q11 tnt.ità sono i numeri. esnrimenti la diversa moltit11dine di parti che la quantità
tornisce al soggetto. \,lulndl è chiaro, che l'uno, ~rlnciplo del numero, conviene a
rnrticolari enti e non a tutti gli enti.
• Assolutamente parlando e .. ntto un certo aspetto sono In questo caso lR tra·
duzlone rispettivamente di simpltctter e secundum qutd (vedi Dtz Tam.).
234 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 11, aa. 1-2

cose molteplici quanto al numero sono una cosa sola quanto alla
specie ; e cose molteplici quanto alla specie sono una quanto al ge-
nere; e cose molteplici quanto alle derivazioni sono una sola cosa
quanto al principio. n '
3. Non è quindi un giochetto dire ente uno, perchè uno aggiunge
a ente qualche cosa di concettualmente diverso.

ARTICOLO 2
Se ci sia opposizione tra l'uno e i molti.

SEMBRA che l'uno e i molti non si oppongano. Infatti:


1. Nessun contrario si afferma del suo contrario. Ora, secondo il
già detto, ogni molteplice è in qualche modo uno. Dunque l'uno non
si oppone ai molti.
2. Nessuna cosa è costituita dal suo opposto. Ora, l'unità costi-
tuisce la moltitudine. Dunque non si oppone ad essa.
3. Ad una cosa se ne oppone un'altra sola. Ora, al moltp si op-
pone il poco. Dunque non gli si oppone l'uno.
4. Se l'uno si oppone alla moltitudine, le si oppone come l' indi-
visp al divi.so: e così le si oppone come la privazione alla qualità
corrispo.ndente. Ora, ciò sembra che ripugni, perchè ne verrebbe che
l'unità sia posteriore alla moltit1Hline e che si definisca per mezzu
di essa, mentre invece la moltitudine si definisce per mezzo del-
l'unità. Vi sarebbe quindi un circo.lo vizioso nella definizione: il
che non si può amm.ettere. Dunque l'uno e i molti non sono tra loro
opposti.•
IN CONTRARIO: Opposte tra loro sono quelle cose le cui noziom sono
contrastanti. Ora, la opzione dell'uno consiste nella indivisibilità,
mentre quella della moltitudine contiene in sè la divisione. Dunque
l'uno e i molti sono tra loro opposti.
RISPONDO: L'uno si OP.pone ai molti, ma in maniere diverse.•
L'uno, infatti, che è principio del numero, si oppone alla pluralità
numerica, come la misura al misurato; poichè uno include il con-
cetto di prima misura, e il numero è la moltitudine misurata dal-
l'uno, come dimostra Aristotele. L'uno, invece, che si identifica con
l'ente, si oppone alla molteplicità a modo di privazione, cioè come
l'indiviso si oppone a ciò che è diviso.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nessuna privazione toglie comple-
tamente l'essere, perchè la privazione è negazione ma in un soggetto,
come dice Aristotele. Tuttavia ogni privazinnr toglie una qnalche
entità. Perciò, se si tratta dell'ente stes!;o, avviene, a causa della uni-

1 L'obiezione voleva dire che c'è anche l'ente moltltudtne, e non solo l'ente
uno 1 perciò Il concetto di uno non coinciderebbe col c,oncetto di ente. S. Tom-
maso risponde r!levando che l'unità è partecipata anche dalla 1110Jtitudine; e
solo i>er questa partecipazione si può dire ente. Tale partecipazione avviene ID
molti modi. Secondo che avviene in un qualcosa di essenziale o di non essen-
7.lale, si ha un'unità i>lù o meno stretta. unità stmpllctter o unità secundum quta:
ma è sempre In grazia di questa unità che si può affermare della moltitudine, in
senso più o meno rigoroso, che è ente, os5ia esistente pur come moltitudine.
L'UNITA DI DIO 235

numero, sunt unum specie ; et quae sunt speciebus multa, sunt unum
genere ; et quae sunt multa processibus, sunt unum principio >>.
Ao TERTITJM DICENDUM qupd ideo non est nugatio cum dicitur ens
unum, quia unum addit aliqmd secundum rationem supra ens.

ARTICULUS 2
Utrum unum et multa opponantur.
I Sent., d. 24, q. 1, a. 3, ad 4: De Pot., q. 3, a. 16, ad 3; q. 9, a. 7, ad 1( ss.;
10 Metaphys., lect. 4, 8.

An SECUNl•UM SIC PP.OCEDITUR. Videtur quod unum et multa non op.


ponantur. Nullum enim oppositum praedicatur de suo apposito. Sed
omnis multitudo est quodammodo unnm, ut ex praedictis [a. praec.,
ad 2J patet. Ergo unum non opponitur multitudini.
2. PRAETEREA, nullum oppositum constituitur ex suo apposito. Sed
unum constituit multitudinem. Ergo non opponitur multitudini.
3. PRAETEREA, unum uni est oppositum. Sed multo opp<mitur pau-
cum. Ergo non opponitur ei unum.
4. PRAETEREA, si unum opponitur multitudini, opponitur ei sicut in-
divisum diviso: et sic opponetur ei ut privati o habitui. Hoc autem
videtur inconveniens: quia sequeretur quod unum sit posterius mul-
titudine, et definiatur per eam; cum tamen multitudo definiatur per
unum. Unde erit circulus in definitione: quod est inconveniens. Non
ergo unum et multa sunt apposita.
SED CONTRA, quorum rationes sunt oppositae, ipsa sunt apposita.
Sed ratio unius consistit in indi visibili tate: ratio vero multitudinis
d.ivisionem continet. Ergo unum et multa sunt apposita.
RESPONDEO DICENDUM quod unurn opponit11r multis, sed diversimode.
Nam unum quod est principium numeri, opponitur multitudini quae
est numerus, ut mensura mens11rato: unum enim habet rationem
primae mensurae, et numerus est multitudp mensurata per unum, ut
patet ex 10 Metaphys. [c. 6, lect. 2, 8]. Unum vero quod convertitur
cum ente, opponitur multitudini per modum privationis, ut indivi-
sum diviso.
Au PRIMUM ERGO DICF.NDUM quod nulla privatio tollit totaliter esse,
quia privatio est negatio in subiecto, secundum Philosophum [Cate-
gor., c. 8; 3 Metaphys., c. 2]. Sed tamen omnis privatio tollit aliquod

1 ~ evidente Il senso del! 'obiezione: uno vuol dire ente che non ha divisione
- ente immune o prtvo di divisione -. Sembra che col concetto di uno si sottragga
nn modo dt essere dell'ente (un habitus, per dirla col linguaggio tecnico della
Scuola), cioè la divisione. Sembl'a quindi ne segua lInconveniente che l'oblcente
nota: prima dell'unità si dovrebbe concepire la moltitudine, alla quale è essen-
ziale 11 concetto di divisione, e la moltitudine dovrebbe poi servire come elemento
più noto nlln definizione dell'unità.
• Si distinguono diverse maniere di opposfztone: a) la contraddtttorta ; b) la
contnuta; e) La prtvattva; <!) la relativa. La unità numerica o quantitativa e la
moltitudine numerica Importano opposizione relattva, come tra misura e misu-
rato. La relnzlone non è mutua: la unità misura la moltitudine, non viceversa.
La unità trascendentale e la moltitudine trascendentnle lmportnno oppos1zlone
prtv111i1·a nel senso splegnto nella rispo'ta ad 4.
236 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 11, a. 2

versalità del termine, che la privazione di entità si determini sul.


l'ente medesimo: il che non accade invece nelle privazioni di forme
particolari: della vista, della bianchezza e simili. 1 E come per l'ente,
così è per l'uno e per il bene, che si identificano con l'ente: infatti
la privazione del bene si fonda su qualche bene, e parimente la pri-
vazione dell'unità si fonda su qualche unità. Di qui può capitare che
la moltitudine sia una certa unità, e il male un certo bene, e che
il non-ente sia un certp ente. Tuttavia un contrario non si può pre-
dicare del suo contrario; perchè l'uno si prende in senso assoluto,
l'altro in senso relativo. Ciò infatti che è ente in un certo qual modo,
perchè in potenza, è non-ente in senso assoluto, cioè in atto: così ciò
che è ente in senso assoluto, come sostanza, sotto un certo aspetto
può essere non-ente, rispetto cioè a qualche entità accidentale. Pa-
rimente dunque, ciò ohe è bene [soltanto] sotto un certo aspetto può
essere male assolutamente parlando; o viceversa. Così anche ciò che
in senso pieno e assoluto è uno può essere molteplice sotto un certo
aspetto ; e viceversa. 2
2. Il tutto è di due specie: c'è il tutto omogeneo, il quale si com-
pone di parti simili, e c'è il tutto eterogeneo, che si compone di parti
dissimili. In un tutto omogeneo, le parti che lo costituiscono hanno
la forma [e la natura] del tutto, come ciascuna parte di acqua è
acqua: e in tal modo è costituito il continuo dalle sue parti. In ogni
tutto eterogeneo invece, qualsiasi parte manca della forma del tutio:
nessuna parte della casa infatti è casa, e nessuna parte dell'uomo,
è uomo. E un tale tutto è la moltitudine. Ora dunque, proprio in
quanto la parte della moltitudine non ha la forma di essa, la molti-
tudine si compone di unità, come la casa è formata di non-case; non
già che le unità costituiscano la moltitudine per la loro indivisibilità,
per cui le si contrappongono, ma per la loro entità: come le parti
della casa costituiscono la casa in quanto sono dei corpi, non già
perchè sono non-case. •
3. Il termine " molto ,, si può prendere in due sensi. Per primo,
in modo assoluto: e cosi si oppone all'uno. In secondo luogo in
quanto implica un certo eccesso; e cosi si oppone al poco. Quindi
nel primo senso, due son già molti ; ma non nel secondo.
4. L'uno si oppone ai molti come privazione,• in quanto nel loro
concetto i molti implic.ano I' idea di divisione. Quindi che la divisione
sia prima dell'unità è necessario non assolutnmente, ma secondo
il nostro modo di conoscere. Perchè noi conosciamo le cose semplici
mediante le composte, tanto che definiamo il punto: Ciò che non ha
parti, oppure: il principio dl'lla linea. Ma la moltitudine, anche logi-
camente, è posteriore all'unità; perchè noi non possiamo intendere
come due cose tra loro divise costituiscano una moltitudine se non
1 In que5tl casi ha luogo la distinzione tra Il soggetto (p. es., l'uomo) e la
forma che la privazione gli toglie (p. es., la vl&ta). La cecità toglie via tutta la
vista, ma essa non ha come soggetta la vista, hensl l'uomo. Quindi si dice che la
cecità, che è privàzlone, è nell'ente (uomo): Il non ente è nell'ente, Il male nel
bene, Il non uno nel\ 'uno.
" Da esempi può risaltare pii) chiaramente questa dottrina che è molto Impor·
tante. Si può dire: un seme è una pianta, purchè si agghmga subito: in •10-
tenza (secundum qutd) ; ma non si può dire senz'altro (stmpltctter) che è una pianta.
Il cieco che ml parla, si può dire che è ente senza bisogno di fare aggiunte alla
frase (è ente stmpltctter) ma se dico che non è ente, devo aggiungere subito:
relativamente alla vista (secundum qutd). • Il ladro che ruba è buono • ; questa
L'UNITA DI DIO 237

esse. Et ideo in ente, ratione suae communitatis, accidit quod priva-


tio entis fundatur in ente: qnod non accidit in privationibus forma-
rnm specialium, ut visus vel albedinis, ve! alicnius huiusmodi. Et
sicut est de ente, ita est de uno et bono, quae convertuntur cum ente:
nam privatio boni fundatur in aliquo bono, et similiter remotio uni-
tatis tundatur in alirp10 nno. Et exinde contingit quod multitudo est
quoddam nnum, et malum est quoddam bonum, et non ens est quod-
darn ens. Non tarnen opnositnm praeòicatur òe apposito: quia al-
terum horum est simpliciter, et alterum secundum quid. Quod enim
sernnduni qnitl est ens, ut in potentìa, est non ens simpliciter, idest
actu: vel q11od est ens simpliriter in genere substantiae, est non ens
secundnm quid, quantum ad aliquod esse accidentale. Similiter ergo
qnod est bonum secundmn quid, est malum simpliciter; vel e con-
verso. Et sirniliter quod est unum simpliciter, est multa secundum
quid ; et e converso.
AD sECUNnUM DICENDUM quod duplex est t.otum: quoddam homoge-
neum, quod componitur ex similibus partibus ; quoddam vero hete-
rogeneum, quod componitur ex dissimilibus partibus. In quolibet
autem toto homogeneo, totum constituitur ex partibus habentibus
formam totius, sicut quaelibet pars aquae est aqua: et talis est con-
stitutio continui ex suis partibus. In quolibet autem toto heterogeneo,
quaelibet pars caret forma totius: nulla enim pars domus est domus,
nec aliqua pars hominis est homo. Et tale totum est multitudo. In-
quantum ergo pars eius non habet formam multitudinis, componitur
mnltitudo ex unitatibns, ~icut domus ex non domibus: non quod uni-
tates constituant multitudinem secnndum id qnod habent de ratione
indivisionis, pront opponnntur mnltitudini ; sed secundum hoc quod
habent de entitate: sicut et partes domus constituunt domum per hoc
quod snnt quaedam corpora, non per hoc quod sunt non domus.
AD TERTIUM nrcENDUM quod multum accipitur dupliciter. Uno modo,
absolute: et sic opponitur uni. Alio modo, secundum quod importat
excessnm quendam: et sic opponitur pauco. Unde primo modo duo
sunt multa; non autem secnndo.
AD QUARTl:M DICENDUM qnod unum opponitur privatiye multis, in-
quantum in ratione multorum est qnod sint divisa. Unde oportet quod
divisio sit prins unitate, non simpliciter, sed secundum rationem no-
strae apprehensionis. Apprehendimus enim simplicia per composita:
unde definimus punctum, cuius pars non est, vel principium lineae.
Sed multitudo, etiam secundum rationem, consequenter se habet ad

frase può essere vera se aggi ungo subito: • come tecnico •, p. es., (ucundum qutd,
sotto que~to aspetto) ; ma non sarebbe vera senza questo sottinteso perchè Il ladro
atmpltctter, come essere morale, non è buono, ma cattivo: e la bontà quando si
dice ctell'uomo in senso assoluto, senza µ.gglunte, significa la perfezione morale
E così per l'unità. •Tutti gli uomini sono una sola cosa• come specie (secundum
quid); ma sono moltituùine, ossia non una cosa sola ma più, parlando senza ag-
gtunf(l (stmpltctter). In tal modo la non-entità si dice dell"entltà, 11 bene si dice del
male, !"uno si dice del molto e viceversa, senza Implicare assurdi, perchè le acce-
zioni sono diverse.
• Quindi l'opposizione, che rnpponeva l'obiezione, tra unità (parti) e moltitu-
dine (tutto) non esiste, perchè le unità co~titulscono la moltitudine non propria-
mente come unità, ma come entità, le quali, c.ome tali, non si oppongono alla
moltitudine, che è anch'essa unità. Cosi il corpa e l'anima compongono l'uomo,
non perchè vroprlamente sono qualcosa che non è l'uomo, ma perchè sono due
sostanze complementari l'una all"alfl'a ordinate.
' Vl'dl p. 235, nota 2.
238 LA SOMMA TEOLOGICA, T, q. 11, aa. 2-3

perchè attribuiamo all'una e all'altra l'unità. Ed è per questo che


l'uno si mette nella definizione della moltitudine, e non già la mol-
titudine nella definizione dell'unità. Ma appena negato l'ente l' in-
telletto c<mcepisce la divisione. Cosicchè prima di tutto si presenta
alla nostra intelligenza l'ente; in secondo luogo, [riflettendo) che
questo ente non è quell'altro ente, si apprende la divisione; in terzo
luogo, l'uno; in quarto luogo, la moltitudine. 1

ARTICOLO 3
Se Dio sia uno. •

SEMBRA che Dio non sia uno. Infatti:


1. S. Paolo dice: «Ci sono molti dèi e molti signori».
2. L'uno che è principio del numero non si può attribuire a Oio,
perchè a Dio non si può attribuire nessuna quantità. Parimente non
gli si può attribuire l'uno che si identifica con l'ente, perchè esso
importa privazione, e ogni privazione è un'imperfezione, che disdice
a Dio. Non deve dirsi, dunque, che Dio sia uno.
IN CONTRARIO: Nel Deuteronomio sta scritto: u Ascolta, Israele:
- Il Signore Dio tuo è uno solo - "·
RrsPONDO: Che Dio sia uno si dimostra in tre modi. Primo, dalla
sua semplicità. E evidente che ciò, per cui un essere singolo viene
costituito soggetto individuale, in nessuna maniera è comunicabile
a più d'uno. P. es., ciò per cui Socrate è uomo, è comunicabile a
molti; ma ciò per cui Socrate è quest'uomo qui, non può convenire
che a uno solo. Se dunque Socrate fosse costituito uomo da ciò per
cui è quest'uomo, come non vi possono essere più Socrati, così non
vi potrebbero essere più uomini. Ora, questo avviene di Dio: perchè
Dio è la sua stessa natura, come si è già dimostrato. Per l'identico
motivo, dunque, egli è Dio e questo Dio. Impossibile, quindi, che vi
siano più dèi. •
Secondo, dalla infinità della sua perfezione. Si è dimostrato sopra
che Dio comprende in se stesso tutta la perfezione dell'essere. Se
dunque ci fossero più dèi, bisognerebbe che in qualche cosa diffe-
rissero: quindi qualche cosa converrebbe all'uno che non conver-
rebbe all'altro. E se questo qualche cosa fosse una privazione, l'uno
non sarebbe pienamente perfetto; se poi fosse una perfezione, l'altro
ne sarebbe mancante. E dunque impossibile che vi siano più dèi.
Ond' è che gli stessi filosofi dell'antichità, come costretti dalla verità
stessa, riconoscendo l'esistenza di un principio infinito, riconobbero
che questo principio è uno ~oltanto.
Terzo, dall'unità del mondo. Le cose tutte che esistono si mo-
strano vicendevolmente ordinate dal momento che le une servano
alle altre. Ora, cose ùiverse non concordebbero in un medesimo or-
1 Quindi è vero che Il concetto ùl divisione si forma nel nostro Intelletto prima
del ooncetto di uno; ma non già per dipendenza dal concetto di moltitudine (comP.
pretendeva l'obiezione), bensì per l'apprensione di enti distinti tra loro nella
realtà.
L'UNITÀ DI DIO 239

unum: quia divisa non intelligimus habere rationem multitudinis,


nisi per hoc quod utrique divisorum attribuimus unitatem. Unde
unum ponitur in deflnitione multitudinis: non autem multitudo in
definitione unius. Sed divisio cadit in intellectu ex ipsa negatione
entis. lta quod primo cadit in intellectu ens; secundo, quod hoc ens
non est illud ens, et sic secundo apprehendimus divisionem; tertio,
unum; quarto, multitudinem.

ARTICULUS 3
Utrum Deus sit unus.
Infra, q. 103, a. 3; I Sent., d. 2, a. 1; !, d. 1, q. 1, a. 1; I Cont. Gent., e. a:
De Pot., q. 3, a. 6; Compend. 7'heol., c. 15;
De Dtv. Nom., c. 13, Iect. 2, a; 8 Phystc., lect. 12; I! Metaphys., lect. 10.

Ao TEHTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit unus. Dici-
tur enim I ad Cor. 8, 5: "siquidem sunt dii multi et domini multi'"
2. PRAETEREA, unum quod est principiurn numeri, non potest prae-
dicari de Deo, cum nulla quantitas de Deo praedicetur. Similiter nec
unum quod convertit.ur cum ente: quia importat privationem, et om-
nis privatio imperfectio est, quae Deo non competit. Non est igitur
dicendum quod Deus sit unus.
SEo CONTRA EST quod dicitur Deut. 6, 4: "Audi, lsrael, Dominus
Deus tuus unus est ».
REsPoNoEo DICENDUM quod Deum esse unum, ex tribus demonstra-
tur. Primo quidem ex eius simpliritate. Manifestum est enim quod
illud unde aliquod singulare est hoc aliqnid, nullo modo est multis
communicabile. Illud enim unde Socrates est homo, multis commu-
nica ri potest: sed id unde est hic homo, non potest communicari nisi
uni tantum. Si ergo Socrates per id esset homo, per quod est hic
homo, sicut non possunt esse plures Socrates, ita non possent esse
plures homines. Hoc autem convenit Deo: nam ipse Deus est sua na-
tura, ut supra [ q. 3, a. 3] ostensum est. Secundum igitur idem est
Dens, et hic Deus. Impossibile est igitur esse plures Deos.
Secnndo vero, ex infinitatP eius perfectionis. Ostensum est enim
snpra [ q. 4, a. 2] quod Deus comprehendit in se totam perfectionem
essendi. Si ergo essent plures dii, oporteret eos differre. Aliquid ergo
conveniret uni, quod non alteri. Et si hoc esset privatio, non esset
simpliciter perfectus: si autem hoc esset perfectio, alteri oorum dees-
i-:et. rmpossibile est ergo P.sse plures Deos. Unde et antiqui philosophi,
quasi ah ipsa coacti veritate, ponentes principium infinitum, posue-
r11nt nnum tantnrn prindpium.
Tertio, ab unitate mundi. Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse
ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae
autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo

2 ·~orna appare daIJa dlscussione, S. Tommaso stabilisce in qutsto articolo e


l'ttnità di Dio e la sua ttntcità. Ma saplentement~ fa dipendere questa dalla per-
fetta reallzz;17fone di quella nena strettissima semplicità divina.
• Questa ragione, che è metafisicamente la più profonda, è desunta, come si
vede, proprio dal concetto di un(), studiato negli articoli precedenti. La unlclt:\
di Dio è fondata sulla sua strettissima unità, per cui natura e supposito Individuo
sono un'l. Identica cosa (vedi q. 3, a. 3).
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 11, aa. 3--'

dinamento, se non vi fossero indirizzate da un agente unico. Infatti,


più cose sono riunite meglio in nn ordine da nn solo agente che da
molti; perchè l'uno è causa per se 1 dell'unità, mentre i molti non
sono causa dell'unità se non accidentalmente, in quanto cioè anche
essi in qualche m-0do formano un'unità. Siccome, dunque, quello
che è primo è perfettissimo e per se [cioè in forza di se stesso], e
non per accidens [in forza di altro], è necessario che il primo agente
che riunisce tutte le cose in un solo ordine, sia uno solamente. E que..
sti è Dio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si parla di molti dèi secondo l'er-
rore di certuni che adoravano molti dèi, pensando che i pianeti e le
altre stelle, oppure le singole parti del mondo fossero dèi. Cosic-
chè [l'Apostolo] soggiunge: uMa per noi c'è un unico Diou.
2. L'uno che è principio del numero non si attribuisce a Dio; ma
solo. alle cose [corporee] che hanno l'essere nella materia. L'uno,
infatti, che è principio del numero, è del genere delle entità mate-
matiche, le quali esistono [di fatto l nella materia, ma dalla ragione
vengono astratte e separate da essa. L'uno invece, che si identifica.
con l'ente, è una entità metafisica, che essenzialmente non dipende
dalla materia. • E sebbene in Dio non vi sia privazione di sorta, tut-
tavia, dato il nostro modo di intendere, da noi non è conosciuto se
non per via di negazioni e di eliminazioni. E cosi niente vieta che si
enuncino di Dio termini negativi ; p. es., che è incorporeo, infinito.
E in tal modo si dice che Dio è uno.

ARTICOLO 4
Se Dio sia sommamente uno.

SEMBRA che Dio non sia sommamente uno. Infatti:


1. Uno dice assenza di divisione. Ora, una privazione non am-
mette il più e il meno. Dunque Dio non è uno più di ogni altro ente
che è uno.
2. Niente è più indivisibile di ciò che è indivisibile in atto ed in
potenza, come il punto e l'unità. Ora, una cosa intanto si dice mag-
giormente una in quanto è indivisibile. Dunque Dio non è più uno
dell'unità e del punto.
3. Ciò che è buono per essenza, è buono al sommo: dunque ciò
che è uno per la sua essenza, è uno al massimo grado. Ora, ogni
ente è uno per la sua essenza, come dimostra il Filosofo. Dunque
ogni ente è uno al massimo grado e quindi, Dio non è uno più che
gli altri esseri.
1 Causae per se sono quelle ordlnate a produrre l'effetto 1n !orza della propria
torma o principio attivo, da cui sono costituite e denominate. Cosi il cahire è
causa per se del riscaldamento, la luce deIJ' illuminazione, la medicina delln '"-
Iute, Il cantore del canto, l'uno deII'unltà, ecc. Causae per acctdens sono quelle
elle producono l'effetto non In forza della propria forma o attività ordinate dt per
sè a quell "effetto, ma per il fatto di certe connessioni accidentali, p. es., un •au-
tomobile in corsa elle uccide Caio è causa per acctdens della sua morte. Cfr. Diz.
Tom.
2 Le scienze, secondo la classificazione della filosofla scolastica, 51 distinguono
oer Il grado di astrazione del loro oggetto proprio dalla materia. L'oggetto delle
L'UNITA DI DIO

uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem


per unum, quam per multa: qnia per se nnius unum est causa, et
multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet
sunt aliquo modo unum. Cum igitur illud quod est primum, sit per-
fectissimnm et per se, non per accidens, oportet quod primum redu-
cens omnia in unum ordinem, sit unum tantum. Et hoc est Deus.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod dicnntur dii multi secundum er-
rorem quorundam qui multos deos colebant, existimantes planetas
et alias stellas esse deos, vel etiam singulas partes mundi. Unde
subclit [v. 6): « nobis autem unus Deus », etc.
Ao sErUNDUM mcF.NDUM quod unum secnndum quod est principium
numeri, non praedicatur de Deo; sed solum cle bis quae habent esse
in materia. Unum enim quod est principium numeri, est de genere
mathematicorum; quae hahent esse in materia, sed sunt secundum
rationem a materia abstracta. Unum vero quod convertitur cum ente,
est quoddam metaphysicum, quod secundum esse non dependet a
materia. Et licet in Deo non sit aliqua privatio, tamen, sec11ndum
modum apprehensionis nostrae, non cognoscitur a nobis nisi per
modum privationis et remotionis. Et sic nihil prohibet aliqua priva-
tive dieta de Deo praedicari ; sicut quod est incorporeus, infinitus.
Et similiter de Deo dicitur quod sit unus.

ARTICULUS 4
Utrum Deus sit rnaxirne unus.
I Sent.• d. !1', q. 1. a. 1; De Div. Nom .• c. 13, Iect. 3.

AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtnr quod Deus non sit maxime


unus. Unum enim dicitur secundum privationem divisionis. Sed
privatio non recipit magis et minus. Ergo Deus non dicitur magis
unus quam alia quae sunt unnm.
2. PRAETEREA, nihil videtnr esse magis indivisibile quam id qnod
est indivisibile actu et potentia, cuiusmodi est punctus et unitas. Sed
intantum dicitur aliquid magis unum, inquantum est indivisibile.
Ergo Deus non est magis unum quam unilas et punctus.
3. PRAETF.REA, quod est per essentiam bonum, est max ime bonum:
ergo quod est per essentiam suam unum, est maxime unum. Sed
omne ens est unum per suam essentiam, 11t patet per Philosophum
in 4 Metaphys. [c. 2, lect. 2]. Ergo onrne ens est maxime unum. Deus
igitur non est magis unum quam alia entia.
scienze tl~iche astrae solo dalla materia singolare ma non dalla materia sensi-
bile. Queste scienze studiano Infatti 1 colori, I suoni, l'elettricità .... che sono qua-
lità sensibili del corpi, o si riducono a qualità sensibili: non considerano però te
ca.ratterlst.iche particolari che tait entità hanno nei singoli corpi, In cui si tro-
vano. L'oggetto delle matematiche è la quantità, astrazlon ratta da tutte te qua-
lità fls1che o sensibili, che ha nel corpi in cui si re.illzza. L'oggetto ·delle scienze
mNatls1che infine è astratto da ogni materia e sensibile e intelligibile (=è fuori
e sopra), potchè queste scienze studiano gll enti, facendo astrazione da ogni ma-
teria e !la Ile sue propri eta ed E>stendeudosi fino alle realtà immateriali: anima.
angeli, Dio stesso (vedi p. «. nota 2).
242 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 11, a. 4

IN CONTIIARIO: S. Bernardo 1 dice u che fra tutti gli esseri, che si di-
cono uno, sta al vertice l'unità della Trinità rtivina n.
RISPONDO: Siccome l'uno è l'ente indiviso, perchè una cosa sia
massimamente una, bisogna che sia e massimamente ente e massi-
mamente indivisa. Ora, l'una e l'altra condizione si verifica in Dio.
Egli infatti è massimamente ente, perchè è ente non dall'avere nn
certo essere determinato da nna qualrhe natura [o essenza] alla
quale sia stato unito; ma [perchè] è lo stesso essere sussistente,
illimitato in tutti i sensi. E poi massimamente indiviso, in quanto
non è divisibile per nessun genere di divisione nè in atto, nè in p()-
tenza, essendo semplice sotto tutti gli aspetti, come fu già dimo-
strato. E dunque evidente che Dio è sommamente uno.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la privazione di suo non
ammetta. il più e il meno, tuttavia, in base ai loro contrari che com-
portano un più e un meno, anche i termini che indicano privazione
si predicano secondo un più e un meno. A seconda, quindi, che una
cosa è divisa o divisibile di più o di meno o in nessun modo, è detta
o meno o più o sommamente una.
2. Il punto e l'unità, che è principio del numero, non sono enti al
massimo grado, non avendo l'essere se non in un soggetto [cioo per·
chè sono accidenti]. Perciò nessuno dei due è uno al massimo grado.
Infatti come il [loro] soggetto non è massimamente uno, per la di-
versità [palese] di accidente e sostanza, così neppure gli accidenti.
3. Sebbene ogni ente sia uno per la sua essenza, l'essenza di cia-
scuno non causa però ugualmente l'unità: perchè l'essenza di alcuni
è composta di più elementi, non cosi quella di altri.

1 S. Bernardo, Abate di Clalrvaux (1001-1153), riformatore del Cistercensi e


grande animatore del movimento religioso del suol tempi. Fu detto dal Mabtllon
•l'ultimo del Padri, non certo lnfériore al primi •. Nel Ltbrt de Constderattone
espone una dottrina acuta Intorno a DW e la Trinità, ed ha spuntt emcaci di
L'UNITÀ DI DIO

SEn CONTRA EST qu-0d dicit Bernardus [De Consideratione, l. 5, c. 8),


quoù "inter omnia cyuae unum dicuntur, arcem tenet unitas divinae
Trinitatis n.
RESPONDEO DICENDUM quod, cum unum sit ens indivisum, ad hoc
quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et
maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim ma-
xime ens, inquantum est non habens aliquod esse determinatum per
aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omni-
bus modis inrl.eterminatum. Est autem maxime indivisum, inquan-
tum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcunque
modum divisionis, curn sit omnibus modis simplex, ut supra [ q. 3,
a. 7] ostensum est. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, licet privatio secundum se non
recipiat magis et minus, tamen secundum quod eius oppositum re-
cipit magis et minus, etiam ipsa privativa dicuntur sccundum magis
et minus. Secundum igitur quod aliquid est magis divisum vel divi-
sibile, vel minus, vel nullo modo, secunòum hoc aliquid dicitur ma-
gis et minus ve! maxime unum.
An SECUNDUM 1i1CENDTJM quod punctus et unitas quae est principium
numeri, non sunt maxime entia, cum non habeant esse nisi in sub-
iecto aliquo. Unde neutrum eorum est maxime unum. Sicut enim
subiectum non est maxime mmm, propter diversitatem accidentis et
subiecti, ita nec accidens.
Ao TERTIUM orcENDUM quod, licet omne ens sit unum per suam sub-
stantiam, non tamen se habet aequaliter substantia cuiuslibet ad
causandam unitatem: quia substantia quorundam est ex multis com-
posita, quorundam vero non.

Mariologia. Combattè vlgoros:tmente Il razionalismo di Abelardo e dl Gilbertn


de la Porrée, non sempre mantenendosi nel giusto mezzo nel giudicare Il valore
della scienza e della ragione. Influi molllo sulla mistica del medioevo col suo
trattato De dtltaendo Deo e I Sermones tn Cantica Canttcorom.
QUESTIONE 12
La nostra conoscenza di Dio.

Dopo avere considerato nelle questioni antecedenti come è Dio in


se stesso, resta da esaminare quale egli è nella nostra conoscenza,
cioè oome da noi è conosciuto. Intorno a ciò si fanno tredici quesiti:
1. Se un qualche intelletto creato possa vedere l'essenza di Dio; 2. Se
l'essenza di Dio sia veduta dall' intelletto mediante una specie creata;
3. Se l'essenza di Dio possa esser veduta dagli occhi corporei; -i. Se
una sostanza intellettuale creata sia capace con le sue forze naturali
di vedere l'essenza di Dio: 5. Se l'intelletto creato abbisogni, per
vedere l'essenza di Dio, di un lume creato; 6. Se tra coloro che ve-
dono l'essenza di Dio uno veda più perfettamente di un altro; 7. Se
qualche intelletto creato possa comprendere l'essenza di Dio; 8. Sa
l'intelletto creato vedendo l'essenza di Dio conosca in essa tutte le
cose; 9. Se ciò che ivi conosce, lo conosca mediante delle immagini;
10. Se le cose che vede in Dio le conosca tutte insieme; 11. Se qualche
uomo nello stato di viatore possa vedere l'essenza di Dio; 12. Se in
11nesta vita con la ragione naturale possiamo conoscere Dio; 13. Se,
al disopra della cognizione della ragione naturale, si dia nella vita
presente una conoscenza di Dio median1e la grazia.

ARTICOLO 1
Se un intelletto creato possa vedere Dio nella sua essenza. 1

SEMBRA che nessun intelletto creato possa vedere Dio nella sua es~
senza. Infatti:
1. Il Crisostomo, commentando il detto di S. Giovanni:• "Nes-

1 La parola vedere, propria dcll'occhlo, è trasferita alla conoscenza Intellettiva


col significato preciso di una cognizione tmmedtata, che unisce l'oggetto alla In-
telligenza senza intermediari. La conoscenza di Dio, che abbiamo per mezzo d~glt
etretti, è conoscenza medtata, non è vtstone di Dio, cioè della sua essenza. Visione
per essema significa la pift perfetta e plft alta conoscenza di Dio. SI può infatti
conoscere Dio come causa del mondo (conoscenza relottva) ed avente In sè, appu~.to
come causa, tutta la perfezione che è nell'effetto (cono~cenza analooa): buono,
sapiente, potente. Infinitamente plft che gli effetti creati, nei quali riluce bontà,
!laPienza, potenza (conoscenza di Dio analoga per attributi· o acc\C:.entl propri) ... ;
si può conoscere Dio in questi motti senza vederne l'essenza. Tale conoscenza re-
sta, per cosi dire, superficiale ed esterna alla natura di Dio: è conoscenza di lui,
ma in quanto et viene lllustrato dalle perfezioni del creato. Conoscerlo per PII-
QUAESTIO 12
Quomodo Deus a nobis cognoscatur
fn trectectm arttculos cttvtsll'.

QuIA in superioribus consideravimus qualiter Deus sit secundum


seipsum, restat considerandum qualiter sit in cognitione nostra, idest
quomodo cognoscatur a creaturis.
Et circa hoc quaeruntnr tredecim.
Primo: ntrum aliqnis intellectns creatus possit videre essentiam
Dei. Secundo: utrum Dei essentia videatur ab intellectu per ali-
quam speciem t::reatam. Tertio: 11t.rum oculo corporeo Dei essentia
p-0ssit videri. Quarto: utrum aliqua substantia intellectualis creata
ex suis naturalibus sufficiens sit videre Dei essentiam. Quinto: utrum
intellectus creatus ad videndam Dei essentiam indìgeat aliquo lu-
mine creato. Sexto: utrnm victentium essentiam Dei unus alio per-
fectius videat. Septimp: utrum aliquis intellectus creatus possit com-
prehendere Dei essentiam. Octavo: utrnm intellectus creatus videns
Dei essentiam, omnia in ipsa cognosrat. Nono: utrum ea quae ibi e~
gnoscit, per aliquas similitudines cognoscat. Decimo: utrum simul
cognoscat omnia quae in Deo videt. Undecimo: utrum in statu huius
vitae possit aliquis homo essentiam Dei videre. Duodecimo: utrum
per rationem naturalem Deum in hac vita p-0ssimus cognoscere.
Tertiodecimo: utrum, supra cognitionem naturalis rationis, sit in
praesenti vita aliqua cognitio Dei per gratiam.

ARTICULUS 1
Utrum aliquis intellectus creatus ·· possit Deum videre
per essentiam.
Infra. a. 4, ad 3; I-Il, q. 3, a. 8; q. 5, a. 1; 4 Sent., d. 49, q. 2, a. t:
8 Cont. Gent., cc. 51, 54, 57: De V~rtt. q. 8, a. 1: Quodl. 10, q, 8:
Compenct. Theol., c. 104; et part. 2, cc. \I, 10; in .11uw1., c. 5; iu loan., c. 1, lect. 11.

AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod nullns intellectus creatus


possit Deum per essentiam videre. Chrysostomns enim, super Ioan,.
nem [homil. 15], exponens illud quod 11icitur Ioan., 1, 18, « Deum

S<'nza vuol dire penetrare con l' intellett.o la vita intima <li rno P ~ve!'e in tale
conoscenza tutta la spiegazione del misteri divini. S Tommaso M domanda se tale
Cc,noscenza ~ possibile ali' Intelletto creato. Questione imµortantlsslma, perchè
t1;tta la nostra salvezza, a cui cl prepara la fede, è soopesa alla soluzione di essa.
•Questa è infatti la vita eterna - disse Il Salvatore - che con~no te, solo D!o
vero, e Colui che tu hai mandat<> • (Gt.ov., 17, 3).
2 S. Gtov1mnt, detto per la sua el-0quen?.a Boccadoro (Chrysostomus). natlv·) di
Antiochia di Siria, fu nominato vescovo di Costantinopoli nel 39'1; mori nel 407
In esilio inflitt-Ogll per il sno zelo dal!" imperalor<> Arc~•lìo lstigat-0 dall" lmpera-
tt·lce Eudossla. !\ono Importanti, tra I suol scritti, le omelie In cui espone e com-
monta la sacra Scrittura e specialmente Il Nuovo Testamento, e combatte eresie
e abu.,i del suol tempi.
246 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 1

suno ha veduto mai Dio"• dice: "Ciò che Dio è, non soltanto i pro-
feti, ma non l'hanno conosciuto neanche gli angeli e gli arcangeli:
come, infatti, ciò che è di natura creata, potrebbe vedere l' Increa-
to? "· Anche Dionigi parlando di Dio, dice: "Non se ne ha la sen-
sazione, nè l'immaginazione, nè l'opinione, nè l'idea, nè la scienza».
2. Ogni infinito, in quanto tale, è sconosciuto. Ma Dio, come si è
già dimostrato, è infinito. Dunque Dio è per sua natura sconosciuto.
3. L'intelletto creato non conosce che gli esistenti, perchè ciò che
per primo cade sotto l'apprensione intellettuale è l'ente [ = l'esi-
stente]. Ora, Dio non è un esistente, ma è sopra gli esistenti, come
afferma Dionigi. Quindi Dio non è intelligibile, ma oltrepassa ogni
intelletto.
4. Tra il conoscente ed il conosciuto ci deve essere una certa pro-
porzione, essendo il conosciuto una perfezione del corn)scente. 1 Ora,
tra l'intelletto creato e Dio non vi è proporzione alcuna, essendovi
tra l'uno e l'altro una distanza infinita. Dunque l'intelletto creato
non può conoscere l'essenza di Dio.
IN CONTRARIO: c'è il detto di S. Giovanni: u Lo vedremo come
egli è n.
ii.ISPONOO: Ogni essere è conoscibile nella misura che è in atto ; e
Dio, che è atto puro senza mescolanza alcuna di potenza, di per se
stesso è sommamente conoscibile. Ma ciò che in se stesso è sonuna-
mente conoscibile, per un qualche intelletto può non essere conosci-
bile a motivo della sproporzione tra lintelligibile e questo intel-
letto ; come il sole, che è visibile al massimo grado, non può esser
veduto dal pipistrello, per eccesso di luce.• In base a questa rifles-
sione alcuni hanno sostenuto che nessun intelletto creato può vedere
l'essenza di Dio.
Ma ciò è inammissibile. Infatti: siccome l'ultima beatitudine del-
l'uomo consiste nella sua più alta operazione, che è l'operazione in-
tellettuale, se l'intelletto creato non può in nessun modo conoscere
l'essenza di Dio, una delle dne: o mai raggiungerà la beatitudine, o
essa consisterà in altra cosa diversa da Dio. E questo è contro la
fede. Ed invero, l'ultima perfezione della creatura ragionevole si
trova in Colui che è il principio del suo essere, giacchè ogni cosa in
tanto è perfetta in quanto raggiunge il suo pr!ncipi.o. - Parimente,
[tale sentenza) sconfina anche dalla ragione, perchè nell'uomo è
naturale il desiderio, quando vede un effetto, di conoscerne la causa:
di qui il sorgere dell'ammirazione negli uomini. Se dunque l' intel-
ligenza della creatura ragionevole non potesse giungere alla Causa
suprema delle cose, in essa rimarrebbe vano il desiderio naturale.
Quindi bisogna assolutamente ammettere che i beati vedono l'es-
senza di Dio. •
1 La conoscenza. essendo un'azione Immanente, è de11tlnata a perfezionare Il
110ggetto che la 11<>ne. La conoscenza di Dio perciò è I.a massima perfezione del-
l'uomo che v1 si applica. essendo la conoscenza dell'ottimo tra tutti gli -0ggett1. La
obiezione dice con verità: la conoscenza di Dio per essenza. porta seco una per-
fezione Infinita, di cui non sembra capace la creatura.. Dunque non sembra pos.
9iblle.
a Il pipistrello pare che si regcl! nel suo volo notturno non con la vista, ma
col senso del tatto. secondo alcuni scienziati che hanno .fatto Interessanti espe-
rienze. Il pipistrello si regolerebbe emettendo suoni e vibrazioni sonore che per-
cepisce per rlflesslone o rimando, come l'occhl-0 percepisce la luce riflessa dagli
oggetti. Ad ognt modo non manrn di vista: ma la piena luce del giorno non ~
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 247

nemo vidit unquam », sic dicit: " Jpsum quod est Deus, non solum
prophetae, sed nec angeli viderunt nec archangeli: quod enim crea-
bilis est naturae, qualiter videre poterit quod increabile est?». Dio-
nysius etiam, 1 cap. De Div. Nom. [lect. 3), loquens de Deo, dicit:
"neque sensns est eius. neque phantasia, neque opinio, nec ratio,
nec scientia n.
2. PRAETEREA, omne infinitum, inquantum huiusmodi, est ignotum.
Sed Deus est infinitus, ut supra [ q_ 7, a. 1] ostensum est. Ergp se-
cundum se est ignotus.
3. PRAETEREA, intellectus creatus non est cognoscitivus nisi existen-
tium: primnm enim quod cadit in apprehensione intellectus, est ens.
Sed Deus non est existens, sed supra existentia, ut dicit Dionysius
[De Div. Nom., c. 4, lect. 2J. Ergo non est intelligibilis; sed est supra
omnem intellectum.
4. PRAETEREA, cognoscentis ad cognitum oportet esse aliquam pro-
portionem, cum cognitum sit perfectio cognoscentis. Sed nulla est
proportio intellectus creati ad Deum : quia in infinitum distant. Ergo
intellectus creatus non potest videre essentiam Dei.
SEn CONTRA EST quod didtnr 1 loan. 3, 2 : " videbimus eum sicuti
est '"
RESPONDEO DICENDUM quod, cum unumquodque sit cognoscibile se-
cundnm quoù est in actu, Deus, qui est actus purus absque omni
permixtione potentiae, quantum in se est, maxime cognoscibilis est.
Sed quod est maxime cognoscibile in se, alicui intellectui cognosci-
bile non est, propter excessurn intelligihilis supra intellectum: sicut
sol, qui est maxime visibilis, videri non potest a vespertilione, pro--
pter excessum luminis. Hoc igitur attendentes, quidam posuerunt
quod nullus intellectus creatus essentiam Dei videre potest.
Sed hoc inconvenienter dicitur. Cnm enim ultima hominis beati-
tudo in altissima eius operatione consistat, quae est operatio intel-
lectus, si mmquarn essentiam Dei videre potest intellectus creatus,
vel nunquam beatitudinem obtinehit, vel in alio eius beatitudo con-
sistet quam in Deo. Quod est alien11m a fide. In ipso enim est ultima
perfectio rationalis creaturae, qi10d est ei principium essendi: intan-
tum enim unumquo.dque perfecturn est, ir1quantum ad suum princi-
pium attingit. - Similiter etiam est praeter rationem. Inest enim
homini naturale desiderium cognoscendi causam, cum intuetur ef-
fectum; et ex hoc admiratio in hominibus consurgit. Si igitur intel-
lec'us rationalis creaturae pertingere non possit ad primam causam
rerum, remanebit inane desideriurn naturae. Unde simpliciter con-
ccdenùum èSt quod beati Dei essentiam videant.
il suo ambiente e vi si trova a disagio. Qui si tratta solo di un paragone o di
una lontana anaLogla, per fornire alla nostra mente un esempio sensibile circa
la necessità di una giusta proporzione tra la facoltà conoscitiva e l'oggetto da co-
noscersi.
• Questa ragione di S. Tommaso, a dimostrazione della possibilità per l' ln-
telletto creato di giungere alla conoscenza Intuitiva dell'es5enza di Dio, suscltò
tante discussioni appassionate lu CJUesti tempi, essendo la questione 1 italissin:a.
SI tratta Infatti qui del punto d'Innesto della verità rivelata con la nntura
umana. La rlvel~zione è preparazione alla salvezza, la quale consisterà nella '1-
slone di Dio, nell'e5sPre i:ioè noi congiunti Immediatamente In modo umano, vale
a dire con la conoscenza e con l'nmore, al PMnciplo del nostro es,ere. Rlcnn-
glunzlone perfetta e altissima: •vedremo Dio cosi com'egli è'" come cl pro-
mette la Rivelazione. Ora è ciò possibile? Non Implica contradrtizlone? Non lm-
P"rta contraddizione - dice S. Tommaso - anzi è cosa molto0 conveniPnte nlla na-
248 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 1

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uno e l'altro testo parlano della


cognizione comprensiva 1 Infatti, Dionigi alle parole riportate pre-
mette queste altre: «Per tutti, universalmente, Egli è incompren-
sibi1e, e non se ne ha la sensazione n, ecc. Ed il Crisostomo, poco
dopo le parole riferite, soggiunge: "Visione, qui, dice perfetta con-
templazione e comprensione del Padre, tanta quanta il Padre ne ha
del Figlio n.
2. L' infinito derivante dalla materia non attuata dalla forma è di
per sè inconoscibile ; perchè og-ni conoscenza si ha in forza della
forma. Ma linfinito proprio della forma non coartata dalla materia,
è, di par sè, conoscibile al sommo. Ora, Dio è influito cosl e non nel
primo modo, come è cMaro da quel che precede. 2
3. Si dice di vio che non è un esistente, non quasi non esista in
alcun modo, ma perchè è al disopra di ogni esistente, in quanto è la
sua stessa esistenza.• Quindi da ciò non segue che sia del tutto
inconoscibile, ma che supera ogni conoscimento ; il che equivale a
dire che è incomprensihile.
4. Si deve parlare di due generi d1 proporzioni. In un primo caso
si tratta del rapporto determinato di una quantità rispe1to a un'al-
tra: così il doppio, il triplo, l'uguale sono specie di proporzioni. In
un secondo modo si chiama proporzione qualsiasi rapporto di una
cosa con un'altra. Ed in questo senso vi può essere una proporzione
della creatura rispetto a Dio, in quanto éssa sta a lui come l'effetto
sta alla causa, e come la potenza sta all'atto. E in questo senso l' in-
tell€tto creato può essere proporzionato a conoscere Dio.'

tura. polchè la natura stessa tntellettuale profondament.e lo desidera. Potrebbe


un desiderio, che prorompe dalla natura, tendere di per sè a una cosa Impossibile,
contraddittoria, vale a dire distruttiv:i dPlla natura stessa? Se rosse Impossibile,
Infatti, che lIntelletto nostro JJOtesse conoscere l'essenza di Dio, avremrno nella
natura stessa la contraddizione: la natura desldererebhe come sommo bene, ossia
sommamente perfettivo, ciò che è sommo male. cioè distruttivo della natura. Que-
sto infatti significherebbe nel nostro caso tale impossihilità. Desiderio vano, pegl\";O
ancora che vano!. .. Questo desiderio, dur.que. è i' indice manifesto della possi-
billtà. I beati, quindi - conclude energic:11nente S. Tommaso - i quali hanno rag-
giunto l'ultimo fine o termine della. perfezione, sono In possesso della visione dl
Dio F: quesU! una verità di fede.
Ma l'argomento di S. Tommaso - un desiderio di natura non può restare vano,
ossia non può tendere al nulla, all'assurdo - non conclude troppo, come vorreb·
bero alcuni, qua;! che la natura abhla itllora nn diritto o almeno un'esig"en1.a
naturale ad essere elevata all'ordine soprannaturale, ossia alla visione di Dio
(Luterani, Giansenisti.. .. ); o quasi che I due ordini - il naturale e il soprann;1tu-
rale - non siano profondamente distinti, come vorrehhero i Modernisti? L'al"..[O-
mento di S. Tommaso non autor17.7a tali conclusioni: ma conclude rettamente:
è pos>ibile l'elevazione dell' lnt~llPtto creato a.Ila visione di Dio; e Dio, elevan-
dolo, realizza la più profonda aspirazione della natura razionale, senza che la
creatura ne abbia un diritto o un 'esigenza in senso proprio.
Di per sè I' Intelletto creato nel suo conoscere resta legato al mondo creato e
soltanto attraverso le Immagini del mondo creato può speculare la divina PS-
senza. Nè Il desiderio, per quanto vivo possa essere, crea un diritto o una esi-
genza se non all'attuaziof\e della sua capaclt.à naturale. La capacità, così detta
obedienziale, che nel caso della visione di Dio è specifica delle nature spirituali,
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO

AD PRIMl.JM ERGO DICENDUM quod utraque auctoritas loquitur de vi-


tiione comprehensionis. Unde praemittit Dionysius immediate an~
verba proposita, dicens: «omnibus ipse est universaliter incompre-
hensibilis, et nec sensus est"• etc. Et Chrysostomus parum post verba.
praedicta subdit: "visionem hic dicit certissimam Pat.ris considera-
tionem et comprehensionem, tantam quantam Pater habet de Filio »,
AD SECUNDUM DICENDUM quod infìnitum quod se tenet ex parte ma-
teriae non perfectae per formam, ignotum est secundum se: quia
omnis cognitio est per formam. Sed infinitum quod se tenet ex parte
formae non limitatae per materiam, est secundum se maxime no-
tum. Sic autem Deus est infinitus, et non primo modo, ut ex superio-
ribus [ q. 7, a. 1] patet.
AD TERTIUM DICENDUM quod Deus non sic dicitur non existens, quasi
nullo modo sit existens: sed quia est supra omne existens, in quan-
tum est suum esse. Unde ex hoc non sequitur quod nullo modo pos.
sit cognosci, sed quod omnem cognitionem excedat: quod est ipsum
non comprehendi.
AD QUARTUM DICENDUM quod proportio dicitur dupliciter. Uno modo,
certa habitudo unins quantitatis ad alteram; secundum quod du-
plum, triplum et aequale sunt species proportionis. Alio modo, quae-
libet habitudo unius ad alterum proportio dicitur. Et sic potest esse
proportio creaturae ad Deum, inquantum se habet ad ipsum ut ef-
fectus ad causam, et ut potentia ad actum. Et secnndum hoc, intel-
lectus creatus proportionatus esse potest ad cognoscendum Deum.

~ relat.lva alla jiotenza del Creatore, Il quale può produrre nelle sue creature tutto
.ciò che non lmpllr.a rlpngnann ; e dipende unicamente dal beneplacito '11 lui.
Ora è caratteristica propria della creatura spirituale che, come creatura, sia di
per sè llmltata a una cono;;cenza analogica della Prim:1. Causa; e, come spiri·
tuale o intellettiva, abbia viva cosclenia dell'imperfezione di questa cognizione.
Sicchè Il desiderio di conoscerh meglio (cioè in se stessa) è naturale a ogni ere.'\.
tura Intellettiva; ma all:i. questione se vi sia esigenza che tale desiderio debba
.essere appagato, l•i>crm:1 risponflere piuttosto che e' è l'esigenza del contrario,
cioè che sia la~ciato !nsoddi~ratto; perchè non è affatto sconveniente che la crea•
tura Ria Iasl'.iata nr~l ~uo ~lato d'infinita distanza dal Creatore, anche nel modo
di conoscerln (nr,n per unione lmnrediatal. Prrò Il desiderio vivo e profondo ma-
.nitesta. la elevabllltà della creatura Intellettiva e la vitalità somma di tale
elevazione, se a Dio piace di attual"la.
(Per la copiosissima bibliografia, circa tale questione, vedi Ilul. ThOm., II,
pp. 371-373; III, pp. 651·675; IV. pp 573-590; V, pp. 350-355; dal 1923 al 1942).
i Cioè di una cognizione che adegua la conoscibilità di Dio (vedi p. 268).
2 Vedi p. 167, nota 3.
• Vedi p. 104, nota 2
• I nessi o rapporti nece5sar1, rhe le cose create hanno con Dio, rendono Dio ln
·qualche modo proporzionato ali' intelletto creato, sicché questo possa averne natu-
ralmente una t'erta conoscenza. La quale conoscenza naturale. essendo imperfetta e
conosciuta dall' intellètfo stesso come tale, acuisce Il desiderio di meglio conoscere
Dio piuttosto che saziarlo. E questo desiderio è Indice, come si è detto, della pos-
sibilità di una conoscenza migliore, per essenza, com'è dl fede che l'hanno I beatL
{Yedi p. '147, nota 3).
250 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 2

ARTICOLO 2
Se l'essenza di Dio sia vPduta dall' intelletto creato
per mezzo di una qualche immagine.

SEMBRA che l'essenza di Dio sia veduta dall'intelletto creato per


mezzo di una qualche immagine. Infatti:
1. Sta scritto: "Sappiamo che qualldo si manifesterà, saremo si-
mili a lui [cioo ne avremo la somiglianza o limmagine), e lo ve-
dremo cosi come egli è •>.
2. Scrive S. Agostino: «Quando conosciamo Dio, si forma in noi
una certa immagine di Dio "·
3. L' intelletto in atto è l' [oggetto] intelligibile in atto, come il
senso in atto è il sensibile in atto. 1 Ora, ciò non accade se non per-
chè il senso è in(ormato dalla rappresentaz.ione della cosa sensibile
e l' intelletto dalla immagine della cosa intelligibile. Dunque, se Dio
è veduto in atto dall'intelletto creato, è necessa1·io che sia veduto
mediante una qualche immagine.
IN CONTRARIO : S. Agostino osserva che quando l'Apostolo dice : « in
questo momento noi vediamo traverso uno specchio in enigma 11,
., col nome di specchio e di P,nigma si possono intendere designate
dal medesimo Apostolo tutte le immagini capaci di farci conoscere
Dio 11. Ma vedere Dio per essenza non è visione enigmatica o spe-
culare, ma ad essa si contrappone. Dunque la divina essenza non
è Yeduta per mezzo di immagini.
RISPONDO: Per ogni visione, .sia sensibile che intellettuale, si ri-
chiedono due cose, cioè la facoltà visiva e l'unione della cosa veduta
con la vista; infatti non si dà visione in atto se non per questo, che
la cosa veduta è in qualche modo in chi vede. Quanto alle cose
corporali è chiaro che la cosa veduta non può essere con la sua es.
senza in chi vede, ma soltanto con la sua immagine: così nell'oc-
chio c'è la rappresentazione della pietra, per m-:zzo della quale si
ha la visione in atto, ma non la sostanza stessa della pietra. Se però
si desse una cosa che nello stesso tempo fosse e causa della po-
tenza visiva e oggetto visihile, colui che vede riceverebbe da essa ne-
cessariamente e la potenza visiva e la forma per la quale vedrebbe.
Ora è chiaro che Dio è autore dell'acume della nostra mente e può
essere insieme oggetto della nostra intelligenza. E poichè l'acume
intellettuale della creatura non è l'essenza di Dio, resta che sia una
sorp.iglianza e una partecipazione di lui che è la prima intelligenza.

1 Questo aforisma condensa in sè tutta la sostanza della gnoseologia aristo-


telico-tomistica, la più alta soluzione del problema del conoscere. Nell"atto del co-
noscere, sia nel senso sia nell'Intelletto, la facoltà conoscitiva diventa l'oggetto
conosciuto, slcchè si deve dire che In quell'atto lIntelletto e lIntelligibile sorn>
una identica cosa. Non si torma del due termini, soggetto e oggetto, una com-
posizione fisica, dando come risultato un terttum quid diverso dall"uno e dal-
l'altro componente (cosi concepiscono la natura della trasformazione conoscitiva
alcuni filosofi: alla maniera delle composizioni materiali, esclama il Gaetano) ; ma
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 251

ARTICULUS 2
Utrum essentia Dei ab intellectu creato per aliquam
similitudinem videatur.
I Scnt., d. !4, a. 1, qc. 3: 4, d. 49, q. 2, ~. 1 ; De Vertt., q. 8, a. 1; q. 10, a.. 11;
s Cont. Gent., cc. 49, 51; 4, c. 7; Quoctl. 7, q. !, a. 1; Compend. Theol., c. 105,
et part. 2, c. 9; in loan., c. 1, lect. H; c. 14, Iect. 2; ln I Cor., c. 13, Iect. ~;
De Div. Nom., c. 1, Iect. 1; De Trtntt., q. 1, a. !!.
An SECUNDUM SIC PRGCEDJTl'R. Videtur quod essentia Dei ab intel-
lectu creruto per aliquam similitudinem videatur. Dicitur enim 1 Ioan.
il, 2: "scimus quoniam, c;1m apparuerit, i;imiles ei erimus, et videbi-
mus enm sicuti est"·
2. PRAETEREA, Augustinus dicit, 9 De Trinit. [c. 11]: ucum Deum
novirnus, fit aliqua Dei similitudo in nobis "·
3. PRAEI'EREA, intellectus in actu est intelligibile in actu, sicut sen-
sus in actu est sensibile in actu. Hoc autem non est nisi inquantum
informatur sensus similitudine rei sensibilis, et intellectus similitu-
dine rei intellectae. Ergo, si Deus ah intellectu creato videtur in actu,
oportet quod per aliquam similitudinem videatur.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, 15 De TrinH. [c. 9], quod
cum Apostolus dicit "videmus nunc per speculum et in aenigmate "•
cc speculi et aenigmatis nomine, quaecumque similitudines ab ipso
signifìcatae intelligi possunt, qnae accommodatae sunt ad intelli-
gendum Deum ll. Sed videre Deum per essentiam non est visio aenig.
matica vel specularis, sed contra eam dividitur. Ergo divina essen-
tia non videtur per similitudines.
RESPONDEO DICENDUM quod ad visionem, tam sensibilem quam intel-
lectualem, duo requiruntur, scilicet virtus visiva, et unio rei visae
cum visu: non enim fit visio in actu. nisi per hoc quod res visa quo.
dammodo est in vidente. Et in rebus quidem corporalibus, apparet
quod res visa non potest esse in vidente per suam essentiam, sed
solum per suam similitudinem: sic11t similitudo lapidis est in oculo,
per quam fìt visio in actu, non autem ipsa substantia lapidis. Si au-
tem esset una et eadem res, quae esset principium visivae virtutis, et
quae esset res visa . oporteret videntem ab illa re et virtutem visiva~
hahere, et formam per quam videret. ·
Manifestum -est antem quod Deus et est auctor intellectivae virtutis.
et J.b intellectu videri potesi. Et cum ipsa intellectiva virtus creatu~
rae non sit Dei essentia, relinqnitur qnod sit aliqna participata si-
militndo ipsius, qui est primus intellectus. Unde et virtus intelle..
la facoltà conoscitiva diventa tutt'uno, In un ordine superiore e Immateriale, con
l'e>ggetto conosciuto, che viene elevato alla Immaterialità propria della facoltà
conoscitiva, mentre questa viene determinata quanto al suo contenuto specifico.
L'occhio che vede rosso, p. es., nell'atto dt conoscere non trasforma Il rosso, ma
dl~enta Il rosso veduto; lIntelletto, che specula, p. es., sulla natura dell'uomo,
diventa, nell'atto di conoscere, la natura dell'uomo conosciuto. Tale è il mistero
della conoscenza. La realtà cono•ctuta, presente alla facoltà per mezzo di una sua
Immagine o per se stessa, informa di sè e trasforma la facoltà conoscitiva, sicchè
Il conoscente diventa Il conoi.ciuto. L'intelletto, capace di conoscere tutte le
realtà, è, secondo la bella definizione di Aristotele, « id quo anima fit quooam-
mooo omnia"· Quridammodn, rtoè nell'ordine della cognizione. SI dirà a propo-
sito della risposta l' lmportanza di questa dottrina.
2.5~ LA SOMMA TEOLOGICA, J, q. 12, a. 2

Perciò la capacità intellettiva della creatura è detta luce intellettuale,


come derivazione dalla Prima Luce; sia che si tratti della capacità
naturale, sia che si tratti d'una perfezione sopraggiunta nell'ordine
della grazia o della gloria. Dunque nella facoltà conoscitiva si ri-
chiede per vedere Dio una certa somiglianza [o immagine] di Dio, che
renda l'intelletto capace di vedere Dio.
Ma come oggetto visibile, il quale necessariamente deve in qual-
che maniera unirsi al soggetto conoscente, è impossibile che l'essenza
di Dio sia veduta mediante una qualche immagine creata. Prima di
tutto, perchè in nessuna maniera, come dice Dionigi, si possono
conoscere cose superiori con immagini di co:::e d'ordine inferiore:
con l'immagine, p. es., di un corpo non si può cpnoscere l'essenza
di una cosa incorporea. Molto meno, quindi, può essere veduta l'es-
senza di Dio mediante una qualsiasi specie creata. - In secondo luogo,
perchè l'essenza di Dio è il !"Uo stesso essere, come si è dimostrato
sopra; la quale cosa non può competere a nessuna forma creata. Nes-
suna forma creata pnò du11que essere immagine capace di rappre-
sentare l'essenza di Dio al soggetto che vede. - Finalmente, perchè la
divina essenza è qualche cosa d' illimÌJtato che contiene in se stessa
in modo sovraeminente tutto ciò che può essere significato o inteso
da un intelletto creato. E questo in nessuna maniera può essere
rappresentato da una qualsiasi specie creata; perchè ogni forma
creata è sempre determinata secondo un certo grado o di sapienza,
o di potenza, o dell'essere stesso, o di cose simili. Quindi il dire che
Dio è veduto mediante qualche immagine, equivale a dire che l'es-
senza di Dio non è veduta affatto: il che è falso.
Bisogna dunque concludere che per vedere l'essenza di Dio si ri-
chiede da parte della potenza visiva una certa [partecipazione o]
somiglianza [di lui], cioè lrr luce della gloria, che corrobori l' in-
telletto alla visione di Dio; della quale luce è detto nel Salmo: u nella
tua luce noi vedremo la luce». Non però si può vedere l'essenza di
Dio mediante qualche immagine creata, che rappresenti questa di-
vina essenza, così come è in se stessa.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel testo si riferisce alla somi-
glianza che si ha con la partecipazione della luce della gloria.
2. S. Agostino ivi parla della conoscenza che si ha di Dio nella
vita presente.
3. L'essenza divina è Io stesso esistere. Quindi, come le altre forme
intelligibili, che non sono la loro esistenza, si uniscono ali' intel-
letto mediante un determinato atto di esiotPnza, col quale informa no
lintelletto e l'attuano; cosi l'essenza divina si t:.nisce ali' intelletto
creato come oggetto già attualmente intelligibile, ponendo oosì in
atto l'intelletto per mezzo di se medesima. 1

1 La risposta dice In so~tanza, che, appunto percM Dio è l'essere stesso, l'atto
purissimo dell"essere, può rnmI;lere quauto po5sono compiere le forme cr~nte
mediante un qualche loro essere o atto, mediante un'Immagine, cioè mediante un
essere essenzialmente relativo che esprime ali' Intelletto Il loro elemento sneclfico.
Chi è superiore In perfezione può compiere anche meglio ciò che compie l" Inferiore
con mezzi meno Mcchl. Slc~hè dun.1ue l'essenza stessa di Dio, atto purissimo <.Il (.gnl
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO

ctualis creaturae lumen quoddam intelligibile dicitur, quasi a prima


luce derivaturn: si ve hoc intelligatur de virtute naturali, sive de
aliqna perfectione superaddita gratiae vel gloriae. Requiritur ergo
ad videndum Deum aliqna Dei similitudp ex parte visivae potentiae,
qua scilicet intellectus sit efficax ad videndum Deum.
Sed ex parte visae rei, quam necesse est aliquo modo uniri videnti,
per 11ullam similitudinem creatam Dei essentia videri potest. Primo
quidern, quia, sicut dicit Dionysius; 1 cap. De Div. Nom. [lect. 1],
per similitudines inferioris ordinis rerum nullo modo superiora pos-
sunt cognosci : sicut per speciem corporis non potest cognosci essen-
tia rei incorporeae. Multo igitur minus per speciem creatam quam-
cumque potest essentia Dei videri. - Secundo, quia essentia Dei est
ipsum esse eius, ut supra f q. 3, a. 4] ostensum est: quod nulli for-
mae creatae competere potest. Non potest igitur aliqua forma creata
esse similitndo repraesentans vìdenti Dei essentiam. - Tertio, quia
divina essentia est aliquod incircumscriptum, continens in se super-
eminenter quidquid potest significari ve! intelligi ab intel!ectu creato.
Et hoc nullo modo per aliquam speciem creatam repraesentari po.
test: quia omnis forma creata est determinata secundum aliquam
rationem vel sapientiae, vel virtutis, ve! ipsius esse, vel alicuius
huiusmodi. Unde dicere Deum per similitudinem videri, est dicere
divinam essentiam non videri: quod est erroneum.
Dicendum ergo quoù ad videndum Dei essentiam requiritur aliqua
similitudo ex parte visivae potentiae, scilicet lumen gloriae, confor-
tans intellectum ad videndum Deum: de quo dicitur in Psalmo [35,
IO] : "in lumine tuo videbimus lumen'" Non autem per aliquam si-
militudinem creatam Dei essentia videri potest, quae ipsam divinam
essentìam repraesentet ut in se est.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod auctoritas illa loquitur de simili-
tudine quae est per particìpatìonem luminis gloriae.
AD SECUNDUM DICENDUM quoè. Augustinus ibi loquitur de cognitione
Dei quae habetur in via.
An TERTJUM DICENDUM quod divina essentia est ipsum esse. Unde,
sicut aliae formae intelligibiles quae non sunt suum esse, uniuntur
intellectui secundum aliquod esse quo informant ipsum ìntellectum
et faciunt ipsum in actu; ita divina essentia uni,tur intellectui creato
ut intellectum in actu, per seipsam Iaciens intellectum in actu.

perfezione, si un!SM al nostro Intelletto compiendo, ma In modo ben superlor&,


quanto compie la specie o immagine dell'oggetto, rendendo tletforme Il nostro
intelletto, cioè assimilanrlolo a sè, senza minlmnmente entrare In composizione
con la nostra facoltà quasi forma di essa, polchè ciò disdice a Dio. L'Intelletto
tocca cosi Il vertice più alto della sua vitalità, assimilandosi alla stessa di.vina
essenza infl nlta. Si comprende come con questo atto si conseguisce Il ftnt1 ultlm<'
oltre il quale non resta più nulla d~ desiderare.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 3

ARTICOLO 3
Se l'essenza di Dio PoSSB essere veduta con gli occhi corporeL

SEMBRA che l'essenza di Dio possa vedersi con gli occhi corporei.
Infatti:
1. Si dice nella Scrittura: "nella mia carne vedrò Dio" ; ' e an-
cora: "per ascoltazione d'orecchi avevo udito di te; ora l'occhio mio
ti vede"·
2. S. Agostino scrive: "La potenza dei loro occhi''• cioè dei glori-
ficati, «sarà più gagliarda, non perchè veòranno più acutamente
degli stessi serpenti o delle aquile, come alcuni pensano (per quanto
acuta infatti sia la vista di questi animali, essi non possono vedere
altro che corpiì ; ma perchè vedranno anche le cose ·incorporee"·
Ora, chi può vedere le cose incorporee, può essere elevato alla visione
di Dio. Dunque [almeno] l'occhio glorificato può vedere Dio.
3. Dio può essere veduto dall'immaginazione dell'uomo: dice in-
fatti Isaia: «Vidi il Signore assiso sopra un trono"· Ora, questa
visione che si deve all'immaginazione trae origine dal senso: infatti
come dice Aristotele, la fantasia è "un movimento causato dal senso
in atto "· Dunque Dio si può percepire con visione sensibile.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Nessuno ha mai visto Dio in
questa vita cosi com' egli è; e neppure nella vita degli angeli nessuno
lo ha mai visto come con visione corporale si vedono le cose sen-
sibili "·
R1sP0Noo: E impossibile che si possa percepire Dio con il senso
della vista, o con qualche altro senso o potenza della parte sensi-
tiva. Ed invero, ogni facoltà di tal genere è atto di un organo cor-
poreo, come si dirà in seguito. L'atto poi è proporzionato al soggetto
che deve attuare. Perciò nessuna potenza di tal genere può sorpas-
sare la sfera delle cose corporee. Ora, Dio è incorporeo, come si è
già dimostrato. Quindi non può essere veduto nè dal senso, nè dalla
immaginazione, ma dal solo intelletto.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando [Giobbe] dice ((nella mia
carne vedrò Dio mio Salvatore», non deve intendersi che lo vedrà
con il suo occhio di carne, ma che rivivendo nella sua carne, dopo la
risurrezione, egli vedrà Dio. - Parimente qnarido afferma, "ora
il mio occhio vede te n, intende parlare olell'nrrhio 1nentale: come
quando l'Apostolo dice: "affinchè :vi dia [il Signore] spirito di sa-
pienza. nella piena conoscenza dì lui, e siano illuminati gli occhi del
vostro cuore "·
2. S. Agostino qui parla come uno che indaga e fa delle ipotesi.
Cosa che apparisce chiaramente da ciò che dice prima: " Saranno
pertanto di ben altra potenza [gli orr·hi glorificati] se con essi si
vedrà quella [divina] natura incorporea"; e subito dopo espone il
suo pensiero dicendc: "È assai credibile che noi allora vedremo i
corpi del nuovo cielo e della nuova terra in modo da percepire rbia-
' t discutlhile se le paro!~ di Gioh~ dehhano int!'rpretarsi d!'lln risurrezione
finale. Molti Padri lhanno sostenuto: ma altri le riferiscono ad una guarigione
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO

ARTICULUS 3
Utrum essentia Dei videri possit oculis eorporalibus.
Infra, a. 4, ad 3; 11-11, q, 175, a. "; 4 Sent., d. 49, q. !l, a. !l; In Ma:ttll., c. li.

Ao TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod essentia Dei videri possit


oculo corporali. Dicitur enim lob 19, 26: u in carne mea videbo
Deum n, etc. ; et 42, 5: "auditu auris audi:vi te, nunc autem oculus
meus videt te n.
2. PRAETEREA, Augustinus dicit, ultimo De Civitate Dei, cap. 29:
,, Vis itaque praepollentior oculorum erit illorum n, scilicet glorifi-
catorum, "non ut acutius vi.dea:nt quam quiclam perhibentur videre
serpentes vel aquilae (quantalibet enim acrimonia cernendi eadem
animalia vigeant, nihil aliud possunt videre quam corpora), sed ut
videant et incorporalia n. Quicumque autem potest videre incorpora-
lia, potest elevari ad videndum Deum. Ergo oculus glorificatus potest
videre Deum.
3. PRAETEREA, Deus potest viderl ab homine visione imaginaria:
dicitur enim Isaiae 6, I: "vidi Domirn11m sedentem super solium n,
etc. Sed visio imaginaria a sensu originem habet: phantasia enim
est cc motus factus a sensu ~ecundurn actum '" 11t flicitur in 3 De
Anima [c. 3, lect. 6]. Ergo Deus sensibili visione videl'i potest.
SEO CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro De ridendo Deum
ad Paulinam [ep. 147, c. 11]: "Deum nemo vidit unquam, vel in
hac vita, Ricut ipse est; ve! in angelorum vita, sicut visibilia ista
quae corporali visione cernuntur ».
RESPONOEn DICENDUM quod impossibile est Deum videri sensu visus,
vel quocumque alio sensu aut potentia sensitivae partis. Omnis enim
potentia huiusmodi est actus corporalis organi, ut infra [a. s.; q. 78,
a. 1] dicetur. Actus autem proportionatur ei cuius est actus. Unde
nulla huiusmodi potentia potest se extendere ultra corporalia. Deus
autem incorporeus est, ut supra [q. 3, a. 1] ostensum est. Unde nec
sensu nec imaginatione vide;i potest, sed solo intellectu.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod, cum dicitur "in carne mea videbo
Deum, Salvatorem meum '» non intelligitur quod oculo carnis sit
Deum visurus: sed quod in carne existens, post resurrectionem, vi-
surus sit Deum. - Similiter quod rlicitur, cc mmc oeulus mcus videt
te>>, intelligitur de oculo mentis: sicut Ephes. 1, 17, 18, dirit Aposto-
lus: "det vohis spiritum sapientiae in agnitione eius, illuminatos
oculo~ corclis vestri "·
An SECUND!!M DICENDCM quod Augustinus loquitur inquirendo in
verbis illis, et sub conditione. Quod patet ex hoc quod praemittitur:
"Longe itaque potentiae alterius enmt n, scilicet oculi glorificati, "si
per eos videbitur incorporea illa natura"· Sed postmodum [fin. cap.]
hoc determinat, dicens: u Valde credibile est sic nos visuros mundana
tunc corpora caeli novi et terrae novae, ut Deum ubique praesentem,
et universa etiam corporalia. gubernantem, clarissima perspicuitate

perfetta che p-0! dnrà la gioia di vedere Il t.rtonfo della giustizia di Dio sulla
terra stessa. Ad ogni modo Il testo, Inteso anche della risurrezione finale, ha la
sua spiegazione nella risposta di S. Tommaso.
256 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 3-4

rissimamente Dio dovunque presente e governante tutte le cpse, an-


che quelle corporee; non già come al presente si arriva a percepire,
mediante l' intelligenza delle cose create, le cose invisibili di Dio;
ma come, appena li guardiamo, vediamo e non solo crediamo che
son vivi gli uomini tra cui si vive e che esercitano funzioni vifo,li •>.
Da ciò è chiaro che egli inteude dire che gli occhi glorificati vedranno
Dio al modo stesso che ora i nostri occhi vedono la vita di un uomo.
Ora, la vita non si percepisce con l'occhio corporeo come oggetto
visibile per se stesso, ma come un sensibile per accidens ; ' un tale
oggetto non è conosciuto dal senso, ma da un'altra facoltà conosci-
tiva nell'istante che avviene la sensazione. Che poi non appena ve-
duti oggetti corporali subito da essi si conosca mediante I' intelletto
la divina presenza, dipende da due motivi: cioè dalla perspicacia
dell'intelletto, e dal riverbero della divina chiarezza nei corpi rin-
novellati. 2
3. Nella visione immaginaria non si vede l'essenza di Dio; ma si
forma nella immaginazione una certa immagine rappresentativa di
Dio secondo uno dei tanti modi figurati, come nelle sante Scritture
sono rappresentate metaforicamente le cose divine attraverso le cose
sensibili. 1

ARTICOLO 4
Se un intelletto creato possa con le sue forze naturali
vedere l'essenza divina.

SEMBRA che un intelletto creato possa, con le sue forze naturali,


vedere l'essenza divina. Infatti:
1. Dionigi dice che l'angelo è "uno specchio puro, nitidissimo, che
accoglie in sè, se è lecito dir cosl, tutta la bellezza di Dio'" Ora, un-.
oggetto [riflesso nello specohio] è veduto appena visto lo specchio.
Ma siccome l'angelo conosce naturalmente se stesso, sembra evidente
che con le sue forze naturali intenda anche l'essenza divina.
2. Un oggetto di per sè visibilissimo può diventare per noi meno
visihile a causa della debolezza della nostra vista sia corporale che
intellettuale. rMa r intelletto dell'angelo non soffre di alcuna debo-
lezza. Siccome dunque Dio in se stesso è quanto mai intelligibile,
sembra evidente che lo sia anche per l'angelo. Conseguentemente se
gli altri intelligibili li conosce con le sue forze naturali, con più
ragione dovrà conoscere Dio.
3. Il senso corporeo non può assurgere alla conoscenza della so-
stanza incorporea, perchè oltrepassa la sua natura. Quindi, se vedere
1 Sensibtle per acctdens (per contrapposizione a senstbtle per se) dlcesi una
realtà. la quale, pur non essendo In sè del genere delle cose sensibili ma delle
cose intelligibili, è tuttavia talmente connessa oon le qualità sensibili, che l' In-
telligenza la coglie Immediatamente, quasi manifestatale e portatale dal sensi
stessi. Cosl, p. es., nella parola che udiamo come suono (sensibile per se), im-
mediatamente percepiamo il significato intelligibile di es5a. II significato della
parola è api;unto un sensibtle per acctdens (cfr. Dlz. Tom .).
1 Salire a Dio, rome a causa efficiente ed esemplare di tutte le cose, non co-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 267

Tideamus; non sicut nunc invisibilia Dei per ea quae fa.eta sunt
intellecta conspiciuntur; sed sicut homines, inter quos viventes mo.
tusque vitales exerentes vivimus, mox ut aspicimus, non credimus
vivere, sed vidernus n. Ex quo patet quod hoc modo intelligit oculos
glorilìcatos Deum visuros, sicut nunc oculi il.ostri vident alicuius
vitam. Vita autem non videtur oculo corporali, sicut per se visibile,
sed sicut sensibile per accidens: quod q11idem a sensu non cognosci-
tur, sed statim cum sensu ab aliqua alia virtnte cognoscitiva. Quod
autem statim, visis corporibus, divina praesentia ex eis cognoscatur
per intellectum, ex duobus contingit: scilicet ex perspicacitate intel-
lectus; et ex refulgentia divinae claritatis in corporibus innovatis.
An TERTIUM DICENDllM quod in visione imaginaria non videtur Dei
essentia: sed aliqua forma in imag-inatione formatur, repraesentans
Deum secundum aliquem modum similitudinis, prout in Scripturis
divinis divina per res sensibiles metaphorice describuntur.

ARTICULUS 4
Utrum aliquis intellectus rreatus per sua naturalia
divinam essentiam videre possit.
Infra, q. 64, a. 1, ad 2; I-li, q. 5, a. 5; !I Sent., d. 4, a. 1; d. 23, q. 2, a. t;
4,. d. ,9, q. 2, a. 6; I Cont. fJent .• c. 3: 6, cc. ,9, 52; De Ver1t .. 11. 8, a. 3:
De Antma, a. 17, ad 10; In I Ttm., c. 6, lect. 3.

An QUARTUM src PROCEDITL'R. Videtur quod aliquis intellectus crea-


tus per sua naturalia divinam essentiam videre possit. Dicit enim
monysius, cap. 4 De Div. Nom. [Iect. 18], quod angelus est "spe-
culum punim, clarissimum, suscipiens totam, si fas est dicere, pul-
chritudinem Dei"· Sed unumquodque videtur dum videtur eius &pe-
culum. Cnm igitur angelus per sua naturalia intelligat seipsum, vi-
detur quod etiarn per sua natmalia intelligat divinam essentiam.
2. PRAETEREA, illud quod est maxime visibile, fit minus visibile no-
bis propter defectum nostri visus, vel corporalis ve! intellectualis.
Sed intellectus angeli non patitur aliquem defectum. Cum ergo Deus
secundum se sit maxime intelligibilis, videtur quod ab angelo sit
maxime intelligibiJis_ Si igitur alia intelligibilia per sua naturalia
intelligere potest, multo magis Deum.
3. PRAETEREA, sensus corporeus non potest elevari ad intelligendam
substantiam incorpoream, quia est supra eius naturam. Si igitur

sterà dunque nessuna fatica o sforzo, quando I corpi saranno glorificati e Il no-
stro Intelletto corroborato dalla luce novella. Sarà una gioia vedl're, non appena
gettato uno sguardo al creato, come tutto sia sorretto e vivlftcato clalla divina
prPsenza., chp ora rlednciamo per ragionamento (rfr. q. 8).
• Vedi 11-ll, q. 173, aa. I, 2, dove S. Tommaso spiega come Dio 51 rivela nelle
visioni del pt'Ofetl, In una oognizicme più alta ma non per essenza, la quale è
propria del beati. I profeti vedono delle figurazioni sensibili o solo intellettuali,
nelle quali rl!nlgono più vive analogie delle perfezioni divine, che essi. percepl-
sccmo in forza di una luce o "!gore Intellettivo loro Infuso.
258 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 4

Dio nella sua essenza eccedesse la natura di ogni intellìgenza creata,


ne verrebbe che nessun intelletto creato potrebbe giungere alla vi-
sione di Dio: il che è erroneo, come apparisce da quanto è stato già
detto. Sembra chiaro dunque che per l'intelletto creato sia cosa na-
turale vedere l'essenza divina. ·
IN CONTRARIO: S. Paolo dice : " Il grazioso dono di Dio è la vita
eterna». Ora, la vita eterna consiste nella visione della divina es-
senza, secondo il detto del Signore: "la vita eterna consiste nel
conoscere te solo vero Dio n, ecc. Dunque vedere l'esseuza di Dio ap-
partiene ali' intelletto creato per grazia, e non per natura.
RISPONDO: E impossibile per un intelletto creato vedere con le sue
forze naturali l'essenza di Dio. Infatti la conoscenza avviene per il
fatto che il conosciuto viene ad esser,~ nel conoscente. Il conosciuto
poi è nel soggetto conoscente secondo il modo di i>sso conoscente.
Quindi la conoscenza in ogni soggetto conoscitivo è conforme al
1,nodo della sua propria natura. Se dunque il modo di essere di una
cosa conosciuta eccede il modo di essere della natura del conoscente,
è necessario che la cognizione di tale cosa trascenda la natura di
tale conoscente. 1
Ora, molti sono i modi di essere delle cose. Alcune sono tali che
la loro natura non ha l'essere che in questa o quella materia indi-
viduale: e tali sono tutti gli enti corporei. Ve ne sono poi di quelle
le cui nature [o essenze] sono per sè sussistenti, fuori d'ogni ma-
teria, le quali tuttavia non sono il loro essere, ma sono nature che
hanno l'essere ; e tali sono le sostanze incorporee, chiamate angeli.
Soltanto a Dio invece appartiene di essere in maniera tale che egli
sia il suo stesso essere sussistente. 2
A noi dunque è connaturale conoscere quelle cose che non hanno
l'essere se non nella materia individuale; perchè l'anima nostra, con
la quale intendiamo, è anch'essa forma di una materia.• Quest'ani-
ma, tuttavia, ha una duplice potenza conoscitiva. Una è atto d'un
organo oorporeo. E ad essa è connaturale conoscere le cose secondo
che sono nella materia individuale: cosicchè il senso non conosce che
i singolari. L'altra potenza conoscitiva dell'anima è l'intelletto, il
quale non è atto [o funzione] di alcun organo corporeo. Perciò me-
diante J' intelletto ci è connaturale conoscere nature [o essenze] le
quali, veramente, non hanno l'essere che nella materia individuale;
tuttavia non [sono percepite da noi] in quanto esistenti nella materia,
ma in quanto ne sono astratte dall'intelletto che le considera. Co-
sicchè noi possiamo conoscere intellettualmente tali cose con una
conoscenza universale: il che supera la capacità del senso. • - Al-
1' intelletto angelico poi è connaturale conoscere le nature esistenti

' Questo argomento, desunto dalla proporzione tra conoscente e conosciuto, è


molto profondo e decisi V<': natura divina e conoscihllilà divina sono spropor-
zionate a natura creata e capacità creata di conoscere, perciò nessun intelletto
creato, flnchè fa forza soltanto sulle risorse della natura, potrà avere la perfetta
conoS<"enza di Dio, ossia giungere alla conoscenza per essenza.
' Cfr. p. 104, nota 2.
• I rapporti tra corpo e anima sono studiati da S. Tommaso in 1, q. 76. L'ani-
ma, conclude S. Tommaso, è forma sostanziale del corpo umano, principio di unità
d'essere, di vita e di intellezione. :!<:uno spirito vitalmente congiunto con un orga.
nismo approprfato, affinchè colga connaturalmente la luce Intelligibile che è nel
mondo fisico e di questa lnce si nutra e si arricchisca.
• Per la cognizione sensitiva l'anima viene a contatto col mondo esterno della
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 259

videre Deum per essentiam sit supra naturam cuiuslibet intellectus


creati, videtur quod nullus intellectus creatus ad videndum Dei es-
sentiam pertingere possit: quod est erroneum, ut ex supradictis [a. 1]
patet. Videtur ergo quod intellectui creato sit naturale divinam es-
sentiam videre.
SED CONTRA EST quod dicitur Rom. 6, 23: "gratia Dei vita aeterna 11.
Sed vita aeterna consistit in visione divinae essentiae, secundum
illud Ioan. 17, 3: "haec est vita aeterna, ut cognoscant te solum
verum Deum >>, etc. Ergo videre Dei essentiam convenit intellectui
creato per gratiam, et non per natnram.
RESPONDEO DICENDUM quod impossibile est quoù aliquis intellectus
creatus per sua naturalia essentiam Dei videat. Cognitio enim con.
tingit secundum quod cognitum est in cognoscente. Cognitum autem
est in coguoscente secundum modum cognoscentis. Unde cuiuslibet
cognoscentis cognitio est secundum modum suae naturae. Si igitur
modus essendi alicuius rei cognitae excedat modum naturae cogno-
scentis, oportet quod cognitio illius rei sit supra naturam illius co-
gnoscentis.
Est autem multiplex modus essendi rerum. Quaedam enim sunt,
quonim natura non habet esse nisi in lmc materia individuali: et
huiusmodi sunt omnia corporalia. Quaedam vero sunt, quorum na.-
turae sunt per se suhsistentes, non in materia aliqua, quae tamen
non sunt suum esse, sed snnt esse hahentes: et huiusmodi sunt sub-
stantiae incorporeae, quas angelos dicirnus. Solius autem Dei pro-
prius modus essendi est, ut sit suum esse subsistens.
Ea igitur quae non habent esse nisi in materia individuali, co-
gnoscere est nobis connaturale: eo quod anima nostra, per quam
cogn;:iscimus, est forma alicuius materiae. (luae tamen habet duas
virtutes cognoscitivas. Unam, quae est actus alicuius corp'lrei or-
gani. Et buie connaturale est cognoscere res secundnm quod sunt in
materia individuali: unde sensus non cognoscit nisi singularia. Alia
vero virtus cognoscitiva eius est intellectus, qui non est actns ali·
cui11s organi corporalis. Unde per intellertum ~onnaturale est nobis
cognoscere naturas, quae quidem non habent esse nisi in materia in-
dividuali; non tamen sec1mclum quod sunt in materia individuali,
sed secundum quod abstrahuntur ab ea per considerationem intel-
lect11s. lìnde secnnrf>im intell 0 rtum pns811m11s cog-noscere huiusmooi
res in unirnrsali: quod est supra facultatcm sensus. - Intellectui au-
tem angelico connaturale est cognoscere naturas non in materia exi-

realtà fisica, che è quin:U conosciuta nella sua Intima struttura dall'Intelletto,
il quale coglie nell'ente concreto, portato a contatto dell'anima dai sensi esterni
ed interni (fantasia. memoria, estirnatival, il suo og_n:ett? µroprio, - ciò che quella
realtà è tn sè - (l'entità) ; e questa è, come dice S. Tommaso, universale, astratta
cioè dalle coodl1tonl concrete e matniali con cni era iappresentata nella sensa-
zione, e di per sè atta a esistere in inflnitl enti concreti, con distinte concrete de-
tnminazlonl. Cosi, p. es., l'Idea di uou10, colta dall'intelletto, esprime nn grado
di perfezione o entità astratta e unive1·~ale. che si realizza in Tizio e in Caio e In
infiniti uomini con caratteri~tir,he lndivlrlnali proprie e distinte. L'anima co-
nosce li ~uo oggetto (la realtà esisteui.i nel mondo fisico) e col senso e con I' in·
telletto. e 11 suo campo proprio di conoscenza è il mondo delle forme attuate nella
materia. Senso e Intelletto sono essenzialmente <llsttntl, ma lavorano al'll,onka-
mente d'ace.orda rendendo possibile nll'anima uman't la rires,1 di possesso cono-
scitiva del mondo esterno, di cui parte precipua è appunto l'uomo. Niente sen-
sismo nè intellettualismo puro, ma valnrizzazione giusta del sensi e del!' i.ntelletto
secondo la funzione naturale loro propria.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 4

fuori della materia. 1 Ciò supera la naturale capacità dell'intelletto


dell'anima umana nello stato della vita presente, durante il quale è
unita al corpo. •
Resta dunque che il conoscere l'essere sussistente sia connaturale
al solo intelletto divino e che per ciò supera il potere naturale di
ogni intelletto creato, perch€ nessuna creatura è il suo proprio es-
sere, ma ha un essere partecipato. Non può dunque lintelletto
creato vedere Dio per essenza se non in quanto Dio si unisce con la
sua grazia ali' intelletto creato come oggettp di conoscenza.
SOLVZIONE DELLE. DIFFICOLTÀ: 1. All'angelo è connaturale questo
modo di conoscere Dio, cioè conoscerlo attraverso la somigliauza di
l.ui che risplende nello stesso angelo. Ma conoscere Dio attraverso
1ma immagine creata, non è conoscere l'essenza di Dio, come ab-
biamo ùimostrato sopra. Quindi non segue che l'angelo possa con le
sue forze 11aturali conoscere l'essenza di Dio.
2. L'intelletto dell'angelo è senza difetto, se si prende "difetto»
in senso privativo, quasi che l'angelo manchi. di quel che deve avere.
Ma se si prende negativamente, allora ogni creatura, di fronte a Dio,
è difettosa non avendo quella eccellenza che si trova in Dio.
3. Il senso della vista, perchè del tutto materiale, in nessuna ma-
niera può essere elevato alla realtà immateriale; ma il nostro intel-
letto, o quello dell'angelo, essendo per sua natura elevato di un certo
grado al disopra della materia, può dalla grazia essere innalzato a
qualche cosa di più aJ.to oltre la sua natura. U11 segno di ciò è che
la vista in nessun modo può conoscere in astratto quel che conosce
in concreto; ed invero non può in alcun modo conoscere una natura
se non come questa qui [in concreto]. Il nostro intelletto invece può
considerare in astratto ciò che conosce in concreto. Sebbene infatti
conosca cose aventi forma nella materia, pure risolve tali composti
nei loro due elementi e considera direttamente la forma. Parimente,
lintelletto dell'angelo, sebbene abbia a sè connaturale la conoscenza
di [se stesso] essere concretato in una natura particolare, pure può
separare l'essere stesso con lintelligenza, conoscendo che altra cosa
è il suo iò e altra il suo proprio essere. E perciò, siccome I' intelletto
creato ha per sua natura la capacità di apprendere le torme con-
crete e l'essere concreto in maniera astratta, per una specie di sdop-
piamento, può essere elevato dalla grazia, sino alla conoscenza della
sostanza separata sussistente e dell'essere separato sussistente.•

1 Della cognizione angelica S. Tommaso tratterà lungamente nelle qq. 54-58 dt


questa Prima Part~.
2 Circa la conoscenza dell'anima separata dal corpo vedi I, q. S9.
• In questa risposta è resa manifesta la diversità essenziale che esiste tra Il
senso e l'Intelletto. L'Intelletto è ciò che ci distingue dai bruti e forma la nostra
dignità di esseri superiori, capaci di conoscere le ragioni supreme deil"essere. Per
la sua natura imm:i.teriale lIntelletto può essere elevato fino a conoscere la di-
Yinità in se stessa. Contro coloro che sopravalutano la natura umana fino a In·
eludere In essa la perfezione suprema di Dio, perfezione verso cui sarebbe volta
per Impulso naturale (tutti gli evoluzionisti Idealisti) ; contro coloro che svalu-
tano la natura umana fino a negarle ogni ca(lacità naturale di conoscere Dio,
l'Aquinate salva e la dignità della natur~ e la trascendenza del soprannaturale,
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 2til

stentes. Quod est supra naturalem fac11ltatem intellectus animae hu-


manae, secundum staturn praesentis vitae, quo corpori unitur.
Relinquitur ergo quod cognoscere ipsrnn e!'-se subsistens, sit con-
naturale soli intellectui divino, et quod sit supra facultatem natu-
ralem cuiuslibet intellectus crE'ati: quia nulla creatura est suum esse,
sed habet esse participatum. Non igitur potest intellectus creatus
DelÌm per essentiarn videre, nisi inquanturn Deus per suam gratiam
se intellectui creato coniungit, ut intelligibile ab ipso.
AD PHIMlTM EHGo 01cENDl'M quod iste modus cognoscendi Deum,
c:st angelo connaturalis, ut scilicet cognoscat eum per similitudinem
eius in ipso angelo refulgentem. Sed cognoscere Deum per aliquam
similitudinem creatam, non est cognoscere essentiam Dei, ut supra
ta. 2] ostensnm est. Unrle uon sequitur quod angelus per sua natu-
ralia possit cognoscere essentiam Dei.
Ao sECUNUUM PICENDUM quorl intellectus angell non habet defectum,
si defectus accipiatur privative, ut scilicet careat eo quod habere de-
het. Si vero accipiatur negative, sic qnaelibet creatura invenitur
deficiens, Deo comparata, dum non habet illam excellentiam quae
invenitur in Deo.
AD TERTIUM DTCE1'11Df1M q11od sensus visus, quia omninC' materialis
est, nullo modo elevari potest ad aliquid immateriale. Sed intelle-
ctus noster vel angelicus, quia secundum naturam a materia aliqua-
liter elevatns est, potest ultra suam naturam per gratiam ad aliquid
altius elevari. Et huius signum est, quia visus nullo modo potest in
abstractione cognoscere id quod in concretione cognoscit: nullo enim
modo potest percipere naturam, nisi ut hanc. Sed intellectus noster
potest in aLstractione considerare qnod in concretione cognoscit. Etsi
enim cognoscat res habentes formam in materia, tamen resolvit
compositum in utrumque, et considerat ip~am formam per se. Et
similiter intellectus angeli, licet connaturale sit ei cognoscere esse
concretnm in aliqua natura, tamen potest ipsum esse secernere per
.intellectum, dum cognoscit quorl aliud est ipse, et aliud est suum
esse. Et ideo, cum intellectus creatus per suam naturam natus sit
apprehendere tormam concretam et esse concretum in abstractione,
per moùum resolutionis cuiusdam, potest per gratia.m elevari ut
cognoscat substantiam separatam subsistentem, et esse separatum
subsistens.

ossia della Divinità, insegnando che lIntelletto non può da solo cogliere la Divi-
nità com'è in se stessa; ma per la sua natura Immateriale, che tende a scindere
ed a contemplare gli elementi formali dell'essere concreto, dimostra di poter es-
sere elevato alla conoscenza della Divinità. Cosi Il dogma di fede, che pone la
nostra ultima perfezione nella visione di Dio, ha il suo fondamento psicologico;
e la nostra elevazione di fatto all'ordine soprannaturale della grazia appare som-
mamente conveniente e vitale. (Vedi p. 247, nota 3).
L'intelletto umano, e J,iù ancora l'angelico, possono essere eleYati dalla !;razla
a gradi sempre più alti di conoscenza di Dio essendo già nell'ordine e nella sfera
dell'Immaterialità. Ma il senso non può venire elevato alla conoscenza dei prin·
cipll universali, com'è la essenza di ogni cosa, verchè dovrebbe essere portato
fuori del suo ordine materiale e quindi distrutto.
262 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 5

ARTICOLO 5
Se l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio
abbisogni di un qualche lume creato.

SEMBRA che l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio non ab-
bisogni di un qualche lume creato. Infatti:
1. Nelle cose sensibili ciò che di suo è luminoso non abbisogna
di altro lume per essere veduto: quindi neppure in quelle intellet-
tuali. Ora, Dio è luce intellettuale. Dunque non è veduto per mezzo
di una luce creata.
2. Vedere Dio attraverso un mezzo, non è vederlo per essenza. Ma
SC' lo vediamo con un lume creato lo vediamo attraverso un mezzo.
Quindi non lo si vede per essenza.
3. Niente impedisce che ciò che è creato sia naturale ad una
qualche creatura. Se dunque l'essenza di Dio è veduta mediante un
lume creato, un tal lume potrà essere naturale a qualche creatura.
E così quella creatura per vedere Dio non abbisognerà di alcun
altro lume: ciò che è impossibile. Non è dunque necessario che ogni
creatura per vedere l'essenza di Dio abbia una luce supplemento.re.
IN CONTRARIO: Nei Salmi sta scritto: «nella tua luce noi vedremo
la luce».
RISPONDO: Tutto cii'i che viene elevato a qualche cosa che supera
la sua natura, ha bisogno d'esservi disposto con una disposizione
superiore a questa natura: come l'aria, per prendere la forma del
fuoco, deve esservi disposta con una disposizione connaturale a tale
forma. ' Ora, quando un intelletto creato vede Dio per essenza, la
stessa essenza di Dio diventa la forma intelligibile del!' intelletto. 2
Quindi bisogna che gli si aggiunga tilla dispo'sizione soprannaturale
perchè possa elevarsi a tanta sublimità. Siccome dunque la potenza
naturale dell'intelletto creato è insufficiente a vedere l'essenza di
Dio, come si è dimostrato, è necessario ohe per grazia divina gli
venga accresciuta la capacità d'intendere. E questo accrescimento
di potenza intellettiva la chiamiamo illuminazione del!' intelletto~
come lo stesso intelligibile si chiama lume o luce. E questa è la lucil
della quale si dice: "la gloria di Dio l'ha illuminata'" cioè la so-
cietà dei beati contemplatori di Dio. In forza di questa luce i beati
diventano deiformi, 3 cioè simili a Dio, secondo il detto della sacra
Scrittura: "quand<J [Dio] si manifesterà, saremo simili a lui, per-
chè lo vedremo come egli è "·
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. II lume creato è necessario per ve-
dere l'essenza di Dio, non nel senso che per questa luce diventi intel-
ligibile l'essenza di Dio, la quale è intelligibile di per sè; ma pcrchò
l'intelletto diventa capace d'intendere al modo stesso che ogni altra
1 Forma del fuoco, secondo la fisica antica, era il calore. L'aria (che con l'a•·-
qua, il fuoco e la terra formava I quattro elementi del corpi), per ricevere Il ca-
lore, doveva e.ssere disposta con 11na apprnpriata preparazione; p. es., venire
liberata dall'umidità. ecc. Ma il µrinclpio vale anche per la chimica moderna'
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO

ARTICULUS 5
Utrmn intellectus creatus ad videndum Dei easentiam
aliquo creato lumine indigeat.
.• Sent., d. 14, a. 1, qc. 3 ; 4, <1. 49, q_ 2, a. 6 ; s Cout. Gent .• cc. 53, M;
De Vertt., q. 8, a. 3; q. 18, a. 1, ad t; q. 20, a. 2; Quodl. 7, q. 1, a. 1;
Compend. Theoi., c. 105.

Ao QUINTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod intellectus creatus ad vi-


dendum essentiam Dei aliquo lumine creato non indigeat. !Hud enim
quod est per se lucirlum in rebus sensibilibus, alio lumine non in-
diget ut videatur: ergo nec in intelligibilus. Sed Deus est lux intelli-
gibilis. Ergo non videtur per aliquod lumen creatum.
2. PRAETEREA, cum Deus videtur per medium, non videtur per suam
essentiam. Sed curo videtur per aliquod lumen creatum, videiur per
medium. Ergp non videtur per suam essentiam.
3. PRAETEREA, illud quod est creatum, nihil prohibet alicui creaturae
esse naturale. Si ergo per aliquod lumen creatum Dei essentia vi-
detur, poterit illud lumen esse naturale alicui creaturae. Et ita illa.
creatura non indigebit aliquo alio lumine ad videndum Deum: quod
est impossibile. Non est ergo necessarium quod omnis creatura ad
vldendnm Dei essentiam lumen superadditum requirat.
SED CONTRA EST quod dicitur in Psalmo [35, IO] : «in Iumine tuo vide-
bimus lumen ».
RESPONDEO DICENDUM quod omne quod elevatur ad aliquid qupd ex-
cedit suam naturam, oportet quod disponatur aliqua dispositione
quae sit supra suam naturam : sicut, si aer debeat accipere formam
ignis, oportet quod disponatur aliqua dispositione ad talem for-
mam. Curo autem aliquis intellectus r.reatus videt Deum per essen-
tiam, ipsa essentia Dei fit forma intelligibilis intellectus. Unde opor-
tet qupd aliqua dispositio supernaturalis ei superaddatur, ad hoc
quod elevetur in tantam sublimitatem. Cum igitur virtus naturalis
intellectus creati non sufficiat ad Dei essentiam videndam, ut osten-
sum est [a. praec.], oportet quod ex divina gratia superaccrescat ei
virtus intelligendi. Et hoc augmentum virtutis intellectivae illumi-
nationem intellectus vocamus; sicut et ipsum intelligibile vocatur
lumen vel lux. Et istud est lumen de quo dicitur Apoc. 21, 2.'l, quod
"claritas Dei illnminabit eam >>, scilicet societatem beatorum Deum
videntium. Et secundum hoc lumen efficiuntur deiformes, idest Deo
similes; secundum illud 1 Ioan. 3, 2: « cum apparuerit, similes ei
erimus, et videbimus eum sicuti est».
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod lumen creatum est necessarium
ad videndum Dei essentiam, non quod per hoc lumen Dei essentia
intelligibilis fiat, quae secundum se intelligibilis est: sed ad hoc quod
per produrre 9intesi chimiche permanenti, occorre che gll elementi siano ml's~l
in determ'lnate condizioni di temperatura e di pressione: disposti cioè per la tra-
sformazione voluta.
2 Cfr. quanto fu detto a p. 252, nota 1. .
• Il lumen glortae, che noi traduciamo indifferentemente luce dt glorta e iume
dt gloria, è l'ultima perfezione ~oggettiva che Dio cl comunica; è la i:erfezlone che
cl fa toccare il vertice della somiglianza con Dio: cl fa deiformi come dice Il teSt.o
(cfr. Dtz. Tom. • Lumen glorlae »).
264 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 5-6

facoltà per una di~posizione abituale diventa più valida a compiere


il suo atto. Così anche la luce corporale è necessaria per vedere gli
oggetti, in quanto rende il mezzo trasparente in atto, per poter es-
sere mosso dal colore. 1
2. Un tal lume non si richiede per vedere l'essenza di Dio comP
una immagine nella quale si dehba vedere Dio; ma qnale perfezi0-
namento dell'intelletto, per corroborarlo a tale visione. E perciò si
può dire che non è un mezzo nel quale si veda Dio; ma un mezzo
in forza del quale è veduto. E ciò non toglie la immediatezza della vi-
sione di Dio.
3. Una disposizione alla forma del fuoco non può essere naturale
se non a ciò che ha effettivamente la forma del fuoco. Quindi il lume
di gloria non può essere naturale alla creatura se non nel caso che
tale creatura fosse di natura divina, il che è assurdo. Infatti solo per
tale lume la creatura razionale diventa deiforme, come si è detto. a

ARTICOLO 6
Se tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno veda più perfettamente
di un altro.•

SEMBRA che tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno non veda
più perfettamente di un altro. Infatti:
1. Sta scritto: "vedremo Dio così come egli è». Ora, Dio ha un
solo modo di essere e quindi sarà veduto da tutti alla stessa maniera.
Perciò non più o meno perfettamente.
· 2. S. Agostino dice che uno non può intellettualmente intendere
una cosa più di un altro. Ora, tutti coloro che vedono Dio per es-
senza, intendono intellettualmente l'essenza divina perchè si è di-
mostrato che Dio si vede con l'intelligenza e non col senso. Dunque
tra quelli che vedono l'essenza divina uno non vede più chiaramente
dell'altro.
::!. Che una cosa sia veduta più perfettamente da uno che da un
altrp può accadere per due versi: o per parte dell'oggetto visibile, o
per parte della capacità conoscitiva di citi vede. [Può accadere] per
parte dell'oggetto se esso è più perfettamente in colui che vede, in
quanto cioè vi imprime una immagine più perfetta. =Ma qui non è il
caso: perchè Dio è presente alla intelligenza che vede la sua essenza
non con una immagine, ma con la sua stessa essenza. Resta, dun-
que, che se uno vede più perfettamente di un altro, si deve a diffe.
renze di capacità intellettiva. E così. la conseguenza sarebbe che chi
possiede una potenza intellettiva naturalmente più elevata, vedrebbe
[Dio] più chiaramente. Il che è fal!'o essendo promessa agli uomini,
riguardo alla beatitudine, l'uguaglianza con gli angeli.
IN CONTRARIO: La vita eterna consiste nella visione di Dio, secondo
l'espressione evangelica: "la vita eterna consiste nel conoscere te
' Secondo un 'opinione scolastica, la luce necessaria a ogni visione esteriore,
renderebbe Il mezzo diafano percorribile alle vibrazioni dei colori, afflnchè arri-
vino ftno all'occhio; secondo un'altra opinione Invece ! color! str-ssi non sono in
atto se non JJer la luce. Al buio non ci sono colori. Questa seconda optn1one è più
conforme an ... fisica mooerna.
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO

intellectus fiat potens ad intelligenùurn, per modum quo potentia fit


potentior ad operandum per habitum: sicut etiam et lumen corpo-
rale necessarium est in visu exteriori, inquantum facit medium tran-
sparens in actu, ut possit moveri a colore.
AD sECUNDUM DICENDUM quoù lumen istud non requiritur ad vi-
dendum Dei essentiam quasi similitudo in qua Deus videatur: sed
quasi perfectio quaedam intellectus, confortans ipsum ad videndum
Deum. Et ideo potest dici quod non est medium in quo Deus videa-
tur: sed sub quo videtur. Et hoc non tollit immediatam visionem
Dei.
AD TERTIUM DJCENDUM quod dispositio ad formam ignis non potest
esse natnralis nisi habenti formam ignis. Unde lumen gloria.e non
potest esse naturale creaturae, nisi creatura esset naturae divinae:
qnod est impossibile. Per hoc enim lumen fit creatura rationalis dei-
formis, ut dictum est [in corp.].

ARTICULUS 6
Utrum videntium essentiam Dei unus alio perfectius videat.

Infra q. ~2. a. 9; 4 Sent., d. 49, q. 2, a. "; 8 Coni. Geni., c. 58.

AD SEXTUM SIC PROr.EDITUR. Videtur quod videntium essentiam Dei


unus al io perfectius non videat. Dicitur enim 1 Ioan. 3, 2: (( videbi-
mus eum sicuti est ». Sed ipse uno modo est. Ergo uno modo videbi-
i ur ah omnibus. Non ergo perfectins et minus perfecte.
2. PRAETEHEA, Augustinus dicit, in libro Octoginta trium Qq. [q. 32],
rruori nnam rem non potest unus alio plus intelligere. Sed omnes vi-
<lentes De11m per essentiam, intelligunt Dei essentiam: intellectu
enim videtur Deus, non sensu, ut supra [a. 3] habitum est. Ergo
vidcntinm divinam essentiam tmus alio non clarius videt.
3. PnAF.TEHEA, quod aliqllid altero perfectius videatur, ex duobus
contingere potest: vel ex parte obiecti visibilis; vel ex parte potentiae
visivae vidcntis. Ex pa1ie autem obiecti, per hoc quod obiectum per-
fectius in vidente recipitur, scilicet secunùum perfectiorem similitu-
dinem. Quorl in proposito locmn non habet: Deus enim non per ali-
q11am similitnùinE'm, sed per eius essentiam praesens est intellectui
-essentiam eius videnti. Relinquitur ergo quod, si unus alio perfectius
eum videat, quod hoc sit secundum differentiam potentiae intellecti-
vae. Et ita sequitur quod cuius potentia intellectiva naturaliter est
sublimior, rlarius eum viùeat. Quod est inconveniens, cum hominibus
promitta tur in beatitudine aequalitas angelorum.
SEO CONTRA EST quod vita aeterna in visione Dei consistit., secundum
illud Ioan. 17, 3: (( haec est vita aeterna n, etc. Ergo, si omnes ae-
• 1': una legge rti nntura rhe cl deve essere proporzione tra le cose che si uni-
scono (cfr. p. 25~. nota I). Tale legge risponde a questo assioma evidente: nes-
suna attività o qualità può essere naturale, duratura, veramente perfettiva del
soggetto, -0s~la non violenta, •e non riposa su condizioni che la rendono tale.
E poiché la vicion{' llrntit"1c:1 •uper·;1 J.1 nostra 11at11rH, le rondizioul rhe la ren-
dono connaturale, non p-0ss.Jno essere che un dono di grazia: 11 lume di gloria
• I.a tesi cosi umana. qui difesa dall'Aquinate, e connessa alla evidente diver-
sità del meriti, fu oggeth> di scherno Ilei teologi protestanti; che però furono con
-é!annatl rial Concilio Trldrntlno (DENZ., 843).
266 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 6

solo vero Dio.... n. Dunque, se tutti vedono ugualmente l'essenza di


Dio, nella vita eterna tutti saranno uguali. Mentre invE.ce l'Apostolo
asserisce tutto il contrario: "un astro è differente da un altro nello
splendore"·
RISPONDO: Tra coloro che vedranno Dio per essenza. unp lo vedrà
più perfettamente dell'aJtro. 1 Ciò però non sarà a motivo di una im-
magine di Dio più perfetta in nno che nell'altro, perchè tale visione
non si compirà mediante una qualche immagine, come si è già detto.
Ma avverrà perchè l'intelletto dell'uno avrà una capacità p potenza
maggiore dell'altro a vedere Dio. La facoltà poi di vedere Dio non
appartiene al!' intelletto creato in forza della sua natura, sibbene
per il lume di gloria, il quale, come abbiamo detto sopra, pone l' in-
telletto in uno stato di deiformità. Cosicchè l' intelletto, il quale par-
tecipi maggiormente di questo lume di gloria, vedrà più perfetta-
mente Dio. Parteciperà poi più largamente di questo lume di gloria,
colui che ha un grado superiore di carità, perchè dove si ha mag-
giore carità, ivi si trova maggiore desiderio ; e il desiderio rende, in
certo rnoclo, colui che desidera più atto e più pronto a ricevere !'o.g-
getto desiderato. E perciò colui che avrà maggiore carità, vedrà più
perfettamente Dio e sarà ]) i ù felice. 2
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice: ((vedremo Dio come
egli è n, quell'avverbio come determina il modo della visione da parte
dell'oggetto veduto ; cpsicchè questo è il senso: "vedremo che egli è
così come è"• perchè noi vedremo che il suo stesso essere è la sua
essenza. Ma non determina il modo della visione da parte del sog.
getto che vede, nel senso che il nostro modo di vedere sarà cosi per-
fetto, come in Dio è perfetto il modo di essere.
2. E con ciò resta sciolta anche la seconda difficoltà. Quando in-
fatti si dice che uno non intende meglio di un aJtro una medesima
cosa, siamo nella verità se ci si riferisce al modo di essere della cosa
intesa; perchè chiunque apprende una cosa diversamente da quello
che è, non la conosce secondo verità. Non però se ci si riferisce al
modo del!' intendere, perchè l'intendere dell'uno è più perfetto del-
1' intendere dell'altro.
3. La diversità del vedere non dipenderà dall'oggetto, perchè a
tutti sarà offerto il medesimo oggetto, cioè l'essenza di Dio: e neppure
dalla diversa partecipazione dell'oggetto a motivo di differenti rap-
presentazioni, ma dalla diversa capaçità non già naturale bensi [so-
prannaturale o] gloriosa òell' intelligenza, come si è detto.•

t I grandi mistici cristiani hanno de$Crltto questa diversità nella visione di Dio
come un dilatarsi più o meno vasto dell'anima nel!" Immensità divina. «Intorno
ai doni di cui I Santi si beano nella vita eterna, ml fu dato infatti comprendere
che alcuni ne hanno più, altri meno; mi fu anche dato comprendere di qual na·
tura siano questi doni...; es.si consistono In una dilatazione delle anime per
mezzo della quale sono rese più capaci di comp1·endere e possedere Dio» (B. AN-
GELA DA FOLIGNO, Il ltllro delle mtralltlt t'tstont, trad. di L. Fallacara. Firenze.
1946, p. 163).
s. Caterina da Siena esprime questa Idea con l'immagine del vasello Immerso
nell'oceano. La capacità del vaso non può naturalmente non essere del tutto col-
mata. " Da cosa minore non può essere compreso questo infinito bene, se non come
Il vasello che è messo nel mare, che non comprende tutto Il mare, ma quella
quantità che egli ha In se medesimo. Il mare è quello che si comprende ; e cosl
Io, mare pacifico, sono Colui che ml comprendo e ml stimo: e del mio stimare e
comprendere godo In me medesimo. n quale godrre <' bene che Io ho in me par-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 267

qualiter Dei essentiam vident, in vita aeterna onmes erunt aequales.


Cuius contrarium dicit Apostolus, I Cor. 15, 41: "stella differt a
stella in claritate ».
REsPONDEO mcENDUM quod videntium Deum per essentiam unus
alio perfectius eum videbit. Quod quidem non erit per aliquam Dei
similitudinem perfectiorem in uno quam in alio: cum illa visio non
sit futura per aliquam similitudinem, ut ostensum est [a. 2]. Sed
hoc erit per hoc, quod intellectus unius habebit maiorem virtutem
seu farnltatem ad videndum Deum, quam alterius. Facultas autem
virlendi Deum non competit intellectui creato secundum suam natu-
ram, sed per lumen gloriae, quod intellectum in quadam deiformi-
tate constituit, ut ex snperioribus [a. praec.] patet. Unde intellectus
plus participans de lumine gloriae, perfectius Deum videbit. Plus au-
tem participabit de lumine gloriae, qui plus habet de caritate: quia
uhi est maior caritas, ibi est maius desiderium; et desiderium quo-
dammodo facit desiderantem aptum et paratum ad susceptionem de-
siderati. Unde qui plus habebit de caritate, perfectius Deum videbit,
et beatior erit.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, cum dicitur (( videbimus eum si-
cuti est n, hoc adverbium sicuti determinat modum visionis ex pa:rte
rei visae ; nt sit sensus, "videbimus eum ita esse sicuti est'" quia
ipsum esse eius videbimus, quod est eius essentia. Non autem de-
terminat modum visionis ex parte videntis, ut sit sensus, quod ita
erit perfectus modus videndi, sicut est in Deo perfectus modus es-
sendi.
Et per hoc etiam patet solutio ad secundum. Cum enim dicitnr quod
rem unam nnus alio melius non intelligit, hoc habet veritatem si re-
feratur ad modum rei intellectae: quia quicumque intelligit rem
esse aliter quam sit, non vere intelligit. Non autem si referatur ad
modum intelligendi: quia intelligcre unius est perfectius quam in-
telligere alteri us.
AD Tf.RT!UM DJCENDt'M qnod diversitas videndi non erit ex parte
obiecti, quia idem obiectum omnibus praesentabitur, scilicet Dei es-
sentia: nec ex diversa participatione obiecti per differentes simili-
tudines: sed erit per diversam facultatE.-m intellectus, non quidem
naturalem, sed gloriosam, ut dictum est [in corp.]. ·

teclpo a voi, a ognuno secondo la misura sua. lo l'empio e non la tengo vòta.
Dandole perfetta beatitudine, comprende e cognosce della mia bontà tanto quanto
ne lè dato a conoscere da me• (Dialogo, a cura del P. I. Taurlsano. Roma, 1947,
c. 1G5, fl. 494).
• Come !'1. ra pacltà naturale è manifestata dal desiderio naturale, cosi la ca-
pa,cltà soprannaturale è manifestata dalla carità, che è desiderio soprannaturale
di Dio. Il grado di desiderio manifesta li grado di capacità. La ragione data qui
da s. Tommaso è una ragione metafisica, non sentimentale. La fame di Dio (ca-
rità) inclic:l una disposizione Intima., data rtalla grazia.., a ricevere Dio più o
meno Intensamente, secondo l'ardore di questa fame.
• Niente uniformità monotona nelle opere di Dio, neppure nella suprema <'Pera
che è la glorificazione degli eletti. I gradi e I modi della felicità nella visione di
Dio sono variabili ali' Infinito, essendo Dio Infinitamente partecipabile. Nel gradi
della felicità opera soprattutto Dio come causa, che ci eleva all'ordine sopranna-
turale e cl fornisce l mezzi per t.endere a lui : ma insieme opera tutta l'attlvità
dell'uomo, In quanto fin da quaggiù egll tende mediante la carità plft o meno
lntensarnente al suo fine ultimo.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 7

ARTICOLO 7
Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo comprendano.

SEMBRA che coloro che vedono Dio per essenza lo comprendano.


Infatti:
1. S. Paolo dice: u Continuo a correre per arrivare a comprrn-
dere ». 1 Ora, non correva invano giacchè egli stesso dice: "dunque io
corro, ma non come alla ventura». Dunque egli è arrivato a com-
prendere: e per la stessa ragione tutti gli altri che a ciò invita di-
cendo: " Correte anche voi così da comprendere '"
2. S. Agostino dice: "Una cosa si c-0mprende quando è talmente
veduta nella sua totalità, che niente di essa sfugge a chi verte'" Ora;
se Dio si vede nella sua essenza, si vede tutto, e niente di lui si cela
a chi lo vede, essendo Dio semplice. Dunque chi lo vede per essenza,
lo comprende.
3. Se uno dicesse: «si vede tutto, ma non totalmente», si ribatte:
totalmente o si riferisce al c<moscente o al c0nosciuto. Ora, ammesso
che si riferisca all'ogf!elto conosciuto, colui che vede Dio per es-
senza, lo vede totalmente, perchè, si è già visto, lo vede cosi com'è.
E anche se [il termine] viene riferito al soggetto conoscente [si deve
dire] che vede Dio totalmente, perchè l'intelligenza vedrà l'essenza.
di Dio con tutto il suo vigore. Perciò chiunque vedrà Dio per es-
senza lo vedrà totalmente. Quindi lo oomprenderà.
IN CONTRARIO: Sta scritto: " O fortissimo, o grande, o potente, il
cui nome è il Signore degli eserciti ; grande nel consiglio, incom-
prensibile nel pensiero'" Dunque [Dio] non si può comprender·e.
RrsPONDO: E impossibile per qualsiasi intelletto creato compren-
dere Dio ; u ma raggiungere con la mente Iddio in qualunque ma·
niera è una grande felicità>>, come dice S. Agostino.
Per capire bene ciò, bisogna sapere che comprendere una cosa
vuol dire conoscerla alla perfezione. Si conosce poi alla perfezione
ciò che si conosce tanto quanto è conoscibile. Quindi, se una cosa che
è conoscibile per dimostrazione scientifica, fosse ritenuta soltanto
come opinione fondata su ragioni probabili, non si compr.enderebbe.
P. es. : se uno sa per dimostrazione che il triangolo ha i tre angoli
uguali a due retti, comprende tale verità ; uno invece che l'accetti
come opinione probabile, perchè così è affermato dai dotti o dai più,
non la c-0mprende; perchè P.on ha raggiunto il perfetto grado di co-
gnizione, secondo il q11ale la cosa è conoscibile.
Ora, nessun intelletto creato può arrivare a quel perfetto grado
di cognizione della divina essenza secondo il quale è conoscibile.
Il che si chiarisce cosi. Ogni C-Osa è conoscibile nella misura che è
ente in atto. Dio, dunque, il cui essere, come abbiamo già dimostrato,
è infinito, è infinitamente conoscibile. D'altra parte, nessun intel-

1 Tutto l'arttcolo, come del resto tutta la teologia Intorno alla comprehPnlto del
beati è derivata storicamente dal passo paolino. S. Tommaso Imbastisce questa
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 269

ARTICULUS 1
Utrum videntes Deum per essentiam ipsum comprehendant.
I Seni., d. 16, a. 2, qc. 1; d. 27, q. 3, a. 2; '· d. 49, q. 2, a. 3; 3 Cont. Gent,. c. li&;
De Vertt., q. 2, a. 1, ad 3; q. 8, a. 2; q. 20, a. 6; De Vtrt., q. 2, a. 10, ad 6:
Compenà. Theol., c. 1.06; In loan., c. 1, lect. 11; Ephes., c. 5, lect. 3.

AD SEPTIMUM SIC PROCED!TllR. Videtur quod videntes Deum per es-


sentiam ipsum comprehendant. Dicit enim Apostolus, Philipp. 3, l't:
"spqnor a11tem si q110 modo comprehendam "· Non autem frustra
sequebatnr dicit enim ipse, I C01·. 9, 26: "sic curro, non qua.si in
incertum n. Ergo ipse comprehendit: et eadem ratione alii, quos ad
hoc invitat, dicens [ihid., v. 241: «sic currite, ut comprehendatis n.
2. PRAETlèREA, ut dicit Aug11stinus in lihro De Videndo Deum Pd
Paulinam (ep. 147, c. 9), « illud comprehenditur, qu·d ita totum
videtur, ut. nihil eius lateat vi1fontem "· Sed si De11s per essentiam
videtur, totus videtur, et nihil eius latet videntem; cum Deus sit sim-
plex. Ergo a quoc11mq11e videtur per essentiam, romprehe,ndìtur.
3. Si dicatur quod videtur totus, sed non totaliter, contra: tota-
liter ve! dicit modum videntìs, vel modum rei visae. Sed ille qui videt
Deum per essentiam, videt eum totaliter, si significetur modus rei
visae: quia videt enm sicuti est, ut dictum est [a. 6, aà 1]. Simi-
liter videt eum totaliter, si significetur modus videntis: quia tota
virtute sua intellectus Dei essentiam videbit. Quilibet ergo videns
Deum per essentiam, totaliter eum videbit. Ergo eum comprehendet.
SED CONTRA EST quod dicitur Ierem. 32, 18, 19: "Fortissime, magne,
potens, Dominus exercit.uum nomen tibi; magnus consilio, et in-
comprehensibilis cogitatu "· Ergo comprehendi non potest.
REsPONOEO DICENDUM quod comprehendere Deum impossibile est
c11icumque intellectui creato: «attingere vero mente Deum quali-
tercumque, magna est beatitudo n, ut dicit Augustinus [Serm. ad Po-
pui. 117, c. 3].
Ad cuius evidentiam, sciendum est quod illud comprehenditur,
quod perfecte cognoscitur. Perfecte autem cognoscitur, quod tantum
cognoscitur, quantum est cognoscibile. Unde si id quod est cogno-
scibile per scientiam demonstratìvam, opinione teneatur ex aliqua
ratione probabili concepta, non comprehenditur. Futa, si hoc quod
est triangulum hahere tres angulos aequales duobus rectis, aliquis
sciat per demonstrationem, comprehendit illud: si vero aliquis eius
opinionem accipiat probahiliter, per hoc quod a sapientibus ve! plu-
ribus ita tJicitur, non comprehendet ips11m, quia non pertingit ad
illum perfectum modum cognitionìs, quo cognoscibilis est.
Nnllus autem ìntellectus creat11s pertingere potest ad illum per-
fectum modum cognitionis divìnae essentìae, quo cognoscibilis est.
Quod sic patet. Unumquodque enim sic cognoscibile est, secundum
quod est ens actu. Deus igitur, cuius esse est infinitum, ut supra
[q. 7, a. 1] ostensum est, infinite cognoscibilis est. Nullus autem in-

prima dlmcoltà sul valore del verbo latino comprehendere, cbe equivale a rag-
giungere, at'l'errare, possedere in modo e~uriente un oggetto, una nozione o una
l!Clenza.
270 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 7

letto creato può conoscere Dio infinitamente. Infatti un intelletto


creato conosee più o meno perfettamente la divina essenza a seconda
che è pr.rfnso di un maggiore o minore lume di gloria. Conseguente-
mente, non potendo essere infinito il lume di gloria ricevuto in qual-
siasi intelletto creato, è impossibile che un'intelligenza creata co-
nosca Dio infinitamente. Quindi è impossibile che comprenda Dio. 1
SoLuzroNE DEI.LE rHFFiffiLTÀ: 1. La parola comprensione s'intende
in due modi. Primo modo: in senso stretto e proprio, indica che
qualche cosa è racchiuso nel compre11d,•n1e. E in questo senso Dio
non è compreso in nessun modo nè da nn' intelligenza, nè da qual-
siasi altra cosa ; perchè, essendo infinito, non può essere racchiuso
da nn essere finito, in modo che l'essere finito lo contenga nella sua
illimitata infinità. E di tale comprensione ora si tratta. Secondo
modo: il termine comprensione si prende anche in un senso più
largo, quando indica l'opposto di tendenza o conato. Chi infatti ha
raggiunto qualcuno, quando lo tiene stretto, si dice che lo ha [com]-
preso. In tal senso si dice che Dio è preso o compreso [raggiunto]
dai beati, secondo il detto del Cantico dei Cantici: " l'ho afferrato,
e non lo lascio». 2 In tal senso vanno intese le citazioni dell'Apo-
' stolo. E intesa così, la comprensione è una delle tre doti dell'anima
[beata], quella che corrisponde alla speranza, come la visione cor-
risponde alla fede e la fruizione alla carità. Tra noi infatti non
tutto quello che si vede, già si tiene o si possiede, perchè talora si
vedono anche cose distanti, o che non sono in nostro potere. E nep-
pure godiamo di tutte le cose che possediamo, o perchè non ci di-
lettano, o perchè non costituiscono il termine ultimo del nostro de-
siderio, in modo da saziarlo e da quietarlo. Ma i beati hanno queste
tre cose in Dio; perchè lo vedono: e vedendolo, lo tengono a sè pre-
sente, avendo sempre la possibilità di vederlo·; tenendolo lo godono,
quale ultimo fine che appaga il loro desiderio. 3
2. Dio si dice incomprensibile non perchè qualche cosa di lui resti
invisibile ; ma perchè non è veduto tanto perfettamente quanto è vi-
sibile. Così, quando una proposizione rigorosamente dimostrabile si
conosce per qualche ragione probabile, non è che qualche cosa di
essa, o soggetto, o predicato o copula resti sconosciuta; ma tutta
quanta non è conosciuta cosi perfettamente quanto è conoscibile. Per-
ciò S. Agostino,' definendo la comprensione, dice che " lm tutto co-
noscitivamente si comprende quando lo si vede in maniera che niente
di esso sfugga a colui che lo vede ; o quando i suoi limiti possono es-
sere abbracciati dallo sguardo», e allora si abbracciano con lo
sguardo i limiti di una cosa quando nel modo di conoscerla si arriva
all'estremo limite della sua conoscibilità.
::i. L'avverbio totalmente si riferisce all'oggetto conosciuto; non
già nel senso che la totalità dell'oggetto non cada sotto la cono-
scenza, ma perchè il modo dell'oggetto non è il modo di colui che
conosce. Chi dunque vede Dio nella sua essenza, vede in lui che esiste
infinitamente e che è infinitamente conoscibile. Ma questo modo in-
' SI tengano presenti le parolf' dei mistici da noi riportate n p. 266, nota 1.
Anche Dn.nte Alighieri espresse da par suo r 1ncomprenstbtittd divina:
.. O luce ete1·na.. che soh in te sidi,
sola t'Intendi, e da te lntelletta
e ~ntencieute te ami e arrii:li. •
(Paradiso! XXXIII, 124·126).
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 271
tellectus creatus potest Deum infinite cognoscere. Intantum enim
intellectus creatus divinam essentiam perfectius vel minus perfecte
cognoscit, inquantum maiori ve.I minori lumine gloriae perfunditur.
Cum igitur lumen gl-0riae creatum, in quocumque intellectu creato
receptum, non possit esse infinitum, impossibile est quod aliquis
ìntellectus creatus Deum infinite cognoscat. Unde impossibile e.st
quod Deum comprehendat.
AD PRIM UM ERGO DICENDUM quod comprehensio dicitur dupliciter.
Uno modo, stricte et proprie, secundum quod aliquid includitur in
comprehendente. Et sic nullo modo Deus comprehenditur, nec intel-
Iectu nec aliquo alio: quia, cum sit infinitus, nullo finito includi po-
test, ut aliquid finitum eum infinite capiat, sicut ipse infinite est.
Et sic de comprehensione nunc quaeritur. - Alio modo comprehensio
largius sumitur, secundum quod comprehensio insecutioni opponitur.
Qui enim attingit aliquem, quando iam tenet ipsum, compreihendere
eum dicitur. Et sic Deus comprehenditur a beatis, secundum illud
Cant. 3, 4: "tenui eum, nec dimittam >>. Et sic intelliguntur aucto-
ritates Apostoli de comprehensione. - Et hoc modo comprehensio est
una de tribus dotib11s animae, quae respondet spei ; sicut visio fidei,
et fruitio caritati. Non enim, apud nos, omne quod videtur, iam te-
netur vel habetur: quia videntur i.nterdum distantia, vel quae non
sunt in potestate nostra. Neque iterum omni1:>us qiuae habernus, frui-
rnur: vel quia non delectamur in eis ; vel quia non sunt ultimus finis
desiderii nostri, ut desiderium nostrnm impleant et quietent. Sed
haec tria habent beati in Deo: quia et vident ipsum ; et videndo, te-
nent sibi praesentem, in potestate habe11tes semper eum videre; et
tenentes, fruuntur sicut ultimo fine ùesiderium implente.
AD SECl;NDUM DICENDUM quod non propter hoc Deus incomprehen-
sibilis dicitur, quasi aliquid eius sit quoù non videatur: sed quia non
ita perfecte videtur, sicut visibilis est. Sicut cum aliqua demonstra-
bilis propositio per aliquam pro:tlabilem rationem cognoscitur, non
est a!iquid eius quod non cognoscatur, nec subiectum, nec praedica-
tum, nec compositio: sed tota non ita perfecte cognoscitur, sicut co-
gnoscibilis est. Unde Augustinus, defìniendo comprehensionem, dicit
[I. c. in arg.] quod cc totum comprehenditur videndo, quod ita vide-
tur, ut nihil eius lnteat vide11tem; aut cufas fìnes circumspici pos-
sunt": tunc enim fines alicuius circumspiciuntur, quando ad finem
in modo cognoscendi illarn rem pervenitul'.
Ao TERTIUM orr.ENDUM quod tot11liter dicit modum obiecti: non qui-
de.m ita quod totus modus ohiecti non cadat sub cognitione; sed
quia modus obiecti non est modus cognoscentis. Qui igitur videt
Deum per essentiam, videt hoc in eo, quod infinite existit, et infinite
cogno·sci1bilis est: sed hic infìnitus modus non competit ei, ut scilicet
• Questa citazione di S. Tommaso supl)-One la tradizionale interpretazione del
Cantico de! Cantlct, come figura dell'unione dell'anima con Dio, sotto il simbolo
delle nozze_
• JK>lle doti de11 'an1ma beata S. Tommaso pnrla altrove, e la sua dottrina è
rlport;ita nel SupplRmetzto alla Sommn q. 95. Il termine frutre ha senso tecnico
nella teologia; non si fruisce se non cli ciò che è fine, che ha cioè un'amabilità
o bontà propria. nelle altre cose, ordinate ad altro e la cui bontà sta nel condurci
ad altro, n{in si fruisce, ma si usa (cf::-. Dtz. Tam., "Fruì•>, "Uti »).
• Giust:i.,nente è qui citato il gnnde Vescovo di lpl)-Ona, poichè egli ru Il mas-
simo teorico della divina tncomprensilii!1tà. E questo Infatti uno degli attributi
più cari al su:> cuore (cfr. D. T. C., voi IV, 1110).
272 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 7-8

finito non gli compete in modo che lo conosca infinitan1ente: come


uno può sapere per argomenti di probabilità. che una proposizione è
dimostrabile, sebbene lui non ne conosca la dimostrazione.

ARTICOLO 8
Se coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui
tutte le cose.

SEMBRA che coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui tutte
le cose. Infatti:
1. Dic-e S. Gregorio: ~ «Che cosa non vedono coloro che vedono
Colui che tutto v-ede? "· Ora, Dio è Colui che tutto vede. Dunque
quelli che vedono Dio, vedono tutte le cose.
2. Chi vede uno specchio, vede tutto ciò che in esso si riflette. Ora,
tutto ciò che è o che può essere si riflette in Dio come in uno spec-
chio: egli infatti conosce tutte le cose in se stesso. Chiunque perciò
vede Dio, vede tutte le cose che sono o che possono essere.
3. Chi conosce il più, può conoscere anche il meno, come dice
Aristotele. Ora, tutte le cose che Dio fa o che può fare, sono interiori
alla sua essenza. Quindi chiunque intende Dio, può intendere tutte
le cose che Dio fa o che può fare.
4. La creatura razionale naturalmente desidera conoscere tutto.
Se dunque nella visione di Dio non conosce tutte le cose, resta in-
soddisfatto il suo naturale desiderio: e così anche vedendo Dio, non
sarà beata. E questo ripugna. Dunque nella visiòne di Dio conosce
tutte le cose.
IN CONTRARIO: Gli angeli vedono Dio e tuttavia non conoscono tutte
le cose. Infatti, al dire di Dionigi, gli angeli inferiori sono purificati
di loro nescienza. dagli angeli superiori. Essi ignora.no anche i futuri
contingenti ed i pensieri dei cuori, essendo ciò prerpgativa esclusiva
di Dio. Non è dunque vero che chi vede l'essenza di Dio, vede tutte
le cose. ·
RISPONDO: L'intelletto creato, vedendo la divina essenza, non vede
in essa tutto quello che Dio fa o che può fare. E evidente infatti che
una cosa si vede in Dio, come vi si trova. Ora, tutte le cose si tro-
vano in Dio, come gli effetti si trovano virtualmente nella propria
causa. Dunque tutte le cose si vedono in Dio come effetti nella loro
causa. Ma è chiaro che quanto più perfettamente una causa si co-
nosce tanto map:giore è il numero degli effetti che si possono cono-
scere in essa. Chi infatti ha intelletto elevato, proposto un solo prin-
cipio dimostrativo, subito ne ricava la conoscenza di molte conclu-
sioni: il che non accade a chi è d'intelletto più debole, al quale invece
è necessario spiegare tutto, cosa per cosa.• Sicchè può conoscere nella
causa tutti gli effetti e tutte le ragioni degli effetti solo quella intel-
ligenza che comprende totalmente la causa. Ora, nessuna intelligenza
1 Cfr. ;rnche ! Mornl., c. 3.
• L'Aquinate cel'cherà le più profonde cause di questo ratto, e le troverà nella
più o meno perfetta dlsp0s!zione ùel corpo e nel diverso funzionamento delle fa-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 273

ipse infinite cognO.Scat: sicut aliquis probabiliter scire potest ali-


quam propositionem esse demonstrabilem, licet ipse eam demonstra-
tive non cognoscat.

ARTICULUS S
Utrum videntes Deum per ei;1sentiam omnia in Deo videant.

Infra, q. 57, a. 5; q. 106, a. 1, ad t; 111, q. 10, a.. 2; t Sent., d. 11, a. t;


3, d. H, a. 2, qc. 2; 4, d. 45, q. 3, a. t; d. 49, q. 2, .i. 5;
3 Cont. Gent .. cc. 56, 59; De Yel'tt., q. 8, a. 4; q. 20, aa. 4, 5.

AD OCTAVUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod videntes Deum per essen-


tiam omnia in Deo videant. Dicit enim Gregorins, in 4 Dio.loo. [c. 33]:
cc Quid est quod non videant, qui videntem omnia vident? "· Sed
Deus est videns omnia. Ergo qui vident Deum, omnia vident.
2. JTEM, quicumque videt sp·eculum, videt ea quae in speculo re-
splendent. Sed omnia quaecumque fiunt vel fieri possunt, in Deo
resplendent sicut in quodam speculo: ipse enim omnia in seipso co-
gnoscit. Ergo quicumque videt Deum, videt omnia quae sunt elquae
fieri possunt.
3. PRAETEREA, qui intelligit id quod est maius, potest intelligere mi-
nima, nt dicitur 3 De Anima [c. 4, lect. 7]. Sed omnia quae Deus
farit vel facere potest, sunt minus quam eius essentia. Ergo quicum-
qne intelligit Deum, potest intelligere omnia quae Deus facit vel
facere potest.
4. PRAETEREA, rationalis creatura omnia naturaliter scire desiderat.
Si igitur videndo Deum non omnia sciat, non quietatur eius natu-
rale desiderium: et ita, videndo Deum non erit beata. Quod est i~
conveniens. Videndo igitur Deum, omnia scit.
SED CONTRA EST quod angeli vident Deum per essentiam, et tamen
non omnia sciunt. Inferiores enim angeli purgantur a superioribus
a nescientia, ut dicit Dionysius, 7 cap. Cael. Hier. Ipsi etiam nesciunt
futura contingentia et cogitationes cordium: hoc enim solius Dei
est. Non ergo quicumque vident Dei essentiam, vident omnia.
RESPONDEO DICENDUM quod intellectus creatus, viden.do divinam es,.
sentiam, non videt in ipsa omnia quae facit Deus vel facere potest.
Manifestum est enim quod sic aliqua videntur in Deo, secundum
quod sunt in ipso. Omnia autem alia sunt in Deo, sicut effectus sunt
virtute in sua causa. Sic igitur vider..tur alia in Deo, sicut effectus in
sua causa. Sed manifestum est quod quanto aliqua causa perfectius
videtur, tanto plures eius effertus in ipsa videri possunt. Qui enim
habet intellectum elevatum, statim, uno principio demonstrativo pro-
posito, ex ipso multarum conclusiom1m cognitionem accipit: quod
non convenit ei qui debilioris intellectus est, sed oportet quod ei sin-
gula explanentur. Ille igitur intellectus potest in causa cognoscere
omnes causae effectus, et omnes rationes effectuum, qui causam to-
taliter comprehendit. Nullus autem intellectus creatus totaliter
Deum comprehendere potest, ut ostensum est [a. praec. ]. Nullus
eoltà sensitive (cfr. l, q. 85, a. 7). - Le gradazi<>nl nella intelligenza degli angeli
s:iranno ricavate dalla maggiore o minlore •miversalttà delle loro sriecte Intelli-
gibili (cfr. I, q. 55, a. 3).
274 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 8-9

creata, come abbiamo già visto, può comprendere totalmente Dio.


Dunque nessuna mente creata vedendo Dio può conoscere tutto
quello che Dio fa o che può fare: poichè ciò equivarrebbe a compren-
dere tutta la di lui potenza. E vero però che delle cose che Dio fa o
può fare, ogni intelletto ne vede tante di più, quanto più perfetta-
mente vede Dio.
Sou;z10NE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Gregorio si riferisce alla ricchezza
intrinseca dell'oggetto, cioè di Dio, il quale, per quanto dipeude da
lui, contiene e fa conoscere in modo ade;,,ruato tutte le cose. Non ne
viene però che chiunque vede Dio, conosca tutte le cose ; perchè nuu
lo comprende perfetta.mente.
2. Non è necessario che chi vede uno specchio, vi scorga tutto quel
che vi si riflette, almeno che non abbracci lo specchio completa-
mente col suo sguardo.
3. Senza dubbio è cosa più grande vedere Dio che tutte le altre
oose ; ma è anche cosa più grande vedere Dio in maniera che in lui
si vedano tutte le cose, che non sia il verlerlo in modo da scorgervi
non tutte, ma un minore o maggior numero di cose. Ora, abbiamo
già dimostrato che il numero degli oggetti che si possono conoscere
in Dio dipende dal modo più o meno perfetto di vederlo.
4. II desiderio naturale di conoscere insito in ogni creatura razio-
nale ha per oggetto tutte quelle cose che sono necessarie alla sua
perfezione intellettuale; e sono precisamente le specie ed i generi
delle cose e le loro canse. e tutte queste cose vedrà chiunque con-
templi la divina essenza. M:1 conoscere tutti i soggetti singolari, con
i loro pensieri e con le loro opere, non si richiede alla perfezione del-
1' intelletto creato, 1 nè a ciò tende il suo desiderio naturale ; come
neanche il conoscere tutte quelle cose che ancor non esistono, ma
che da Dio possono esser fatte. Del resto se uno conoscesse soltanto
Dio, fonte e principio di tutto l'essere e di ogni verità, appagherebbe
talmente l'innato desiderio di sapere, che nient'altro più cerche-
rebbe e sarebbe beato. Perciò S. Agostino dice: "Infelice l'uomo che
conosce tutte quelle cose (cioè le creature), e te [, o Dio,] non cono-
sce; beato, invece, chi conosce te, anche se quelle ignora. Chi poi
conosce te e conosce anche quelle, non per quelle è più beato, ma
per te solo è beato».

ARTICOLO 9
Se le cose vedute in Dio da coloro che contemplano la divina essenza
siano vedute secondo alcune irnlllagini [o specie intelligibili]. 3

SEMBRA che le cose vedute in Dio da coloro che contemplano la


divina essenza siano vedute mediante alcune immagini. Infatti:
1. Ogni cognizione avviene perchè il conoscente diventa ad imma-
gine dell'oggetto conosciuto: e infatti l'intelletto in atto d'intendere
diventa la cosa attualmente pensata, e il senso in atto di sentire di-
venta l'oggetto sensibile in atto [ossia l'oggetto sentito], a in quanto
1 È innezahile che in questa tesi S. Tommaso dipende da Aristotele e Indiretta-
mente da Platone; ma altro~e ne restringe la portata (cfr. III, q. 11, a. 1, ad 3).
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 275

igitur intellectus creatus, videndo Deum, potest cognoscere omnia


quae Deus facit vel potest facere: hoc enim esset comprehendere eius
virtutem. Sed horum quae Deus facit vel facere potest, tanto aliquis
intellectus plura cognoscit, quanto perfectius Deum videt.
An PRIMllM ERGO DICENDT~M quod Gregorius loquitur quantum ad
sufficientiarn obiecti, scilicet Dei, quod, quantum in se est, sufficien-
ter continet omnia et dernonstrat. Non tamen sequitar quod unus-
quisque videns Deum omnia cognoscat: quia nou perfecte compre-
hendit ipsum.
An SECUNDTJM nrcENDUM quod videns speculum, non est necessarium
quod omnia in speculo videat, nisi speculum visu suo comprehendat.
AD TERTIUM DICENDUM quod, licet maius sit videre Deum quam om-
nia alia, tamen maius est vi<lere sic Deum quod omnia in eo cogno-
scantur, quam videre sic ipsum quod non omnia, sed pauciora vel
plura cognoscantur in eo. Iam enim ostensum est [in corp.] quod
multitudo cognitorum in Deo, consequitur modum videndi ipsum vel
magis perfectum vel minus perfectum.
AD QUARTUM DICENDT;M quod naturale desiderium rationalis creatu-
rae est ad sciendum 0mnia illa quae pertinent ad perfectionem intel-
lectus; et haec sunt species et genera rerum, et rationes earum, quae
in Deo videuit quilibet videns essentiam divinam. Cognoscere autem
alia singularia, et cogitata et facta eorum, non est de perfectione in-
tellectus creati, nec ad hoc eius naturale desiderium tendit: nec ile··
mm cognoscere illa quae nondnm snnt, sed fieri a Deo possunt. Si
tamen solus Deus videretur, qui est fons et principium totius esse et
verit'.l.tis, Ha repleret naturale: desiderium sciendi, qnod nihil ali11d
quaereretur, et beatus esset. Un de dicit Augustinus, 5 Confess. [c. 4]:
"Infelix homo qui scit omnia illa n, scilicet creaturas, "te autem ne-
scit: beatus autem qui te scit, etiam si il la nesciat. Qui vero te et
illa novit, non propter illa heatior est, sed propter te solurn beatus ».

ARTICULUS 9
Utrum t!& quae videntur in Deo a videntibus divinam essentiam
per aliquas similitudines videantur.
8 Sent., d. 14, a. 1, qc. 4, 5; De Verti., q. 8, a. 5.

AD NONUM src PROCEnrTrH. Videtur quod ea quae videntur in Deo,


a videntibus divinam essentiam per aliquas similitudines videa.ntur.
Omnis enim cognitio est per assimilationem cognoscentis ad cogni-
tum: sic enim intellectus in actu fit intellectum in actu, et sensus in
actu sensibile in actu, inquantum eius similitudine informatur, ut

• Immagini o specie sono qui sinonimi ed indicano rappresentazioni o soml


gli~nze sneriflche di un dato oggetto.
• Vedi p. 250, nota.
276 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 9

sono informati dalla immagine dell'oggetto, come la pupilla dall' im-


magine del colore. Se dunque l' intelletto di chi vede Dio per essenza
conosce in Dio qualche creatura, è necessario che sia informato dalla
immagine di essa.
2. Noi conserviamo nella memoria le cose che abbiamo prima ve-
dute. Ora, S. Paolo, rapito in estasi, avendo contemplata l'essenza
divina, come dice S. Agostino, 1 cessato che ebbe di vedere l'essenza
di Dio, si ricordò di molte cose vedute in quell'estasi: tanto che
egli stesso dice che " udì parole ineffabili, che non è lecito a un
uomo proferire 11. E quindi nece&sa1io asserire che alcune immagini
delle cose da lui ricordate, p;li eranp rimaste nella mente. E per la
stessa ragione, al momento della visione dell'essenza di Dio, doveva
avere alcune immagini o specie delle cose che in ess2 vedeva.
IN CONTR.\RIO: Con una stessa immagine visiva si vede lo specchio
e le cose che vi si riflettono. Ora, tutta le cose si vedono in Dio pre-
cisamente come in uno specchio intellettuale.• Dunque se lo stesso
Dio non è veduto per mezzo di un'immagine ma per la sua essenza,
neppure le cose che son vedute in lui si vedono a mezzo di immagini
o di specie [intelligibili].
RISPONDO: Coloro che vedono Dio per essenza, ·,1edono quel che
contemplano nella essenza di Dio, non mediante alcune immagini,
ma mediante la stessa essenza divina unita al loro intelletto. Ed in-
vero, ogni cosa è conosciuta in quanto una sua [immagine o) so-
miglianza è nel conoscente. Ma ciò avviene in due maniere differenti.
Poichè, siccome due cose simili ad una terza, sono simili tra loro,
in due modi la potenza conoscitiva può divenire ad immagine di un
oggetto conoscibile. In un primo modo, per se stessa, quando diret-
tamente è informata dall'immagine e allpra l'oggetto è conosciuto
in se stesso. In un secondo modo, quando è informata dalt' immagine
di un'altra cosa che assomiglia a tale oggetto: e allora non si dice
che l'oggetto è conosciuto in se medesimo, ma in qualcos'altro che
gli somiglia. Altra infatti è la cognizione di un uomo veduto in se
stesso, e altra quella che se ne ha vedendolo in un ritratto. Cosi,
dunque, conoscere le cpse per le loro immagini [dirette] presenti
nel soggetto conoscente, è conoscere le cose in se stesse, cioè nella
propria natura; ma conoscerle in quanto le loro imlllagini eidetiche
preesistono in Dio, è un vederle in Dio. E questi Ll11e modi di cono-
scere sono differenti. Perciò per quanto riguarda quel modo di co-
noscere che permette a coloro che vedono Dio per essenza di vedere
tutto in Dio stesso, le cose non vengono vedute mediante immagini
estranee, ma mediante la sola essenza divina presente ali' intelletto,
e per la quale si vede Dio. •
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'intelligenza di chi vede Dio di-
viene ad immagine delle cose viste in Dio, in quanto si unisce alla
divina essenza, nella quale preesistono le immagini rappresentative
di tutte le cose. •

1 Cfr. De Vtdendo Den, cioè Ad Pa.ultnam, eplst. 147, c. t:l.


1 Lo specchio senslNle è soltanto un paragone. Lo specchio sensibile è pas-
s1v·o: non fa che ricevere la somiglianza delle cose. Invece Dio è attivo e comunica
lit ,,ua somiglianza alle cose. Le immagini dello specchio sono co&a realmente di-
~tinta dallo speuhio; in Dlo le idee o immagini delle c.ose non sono distinte dal-
l'essonza <li Dio. Ma la somiglianza sta nell'essere entrambi mezzo di conoscenza;
e.on una sola immagine o eone.etto si conoseono c·ssi e le cose che contengono.
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO

pupilla similitudine coloris. Si igitur intellectus videntis Deum per


essentiam intelligat in Deo aliquas creaturas, oportet quod carum si-
militudinibus informetur.
2. PRAETEREA, ea quae prins vidimus, memoriter tenemus. Sed Pau-
lus, videns in raptu essentiam Dei, ut dicit Augustinus [ #2 Super Gen.
ad. Utteram [cc. 28, 34], postq.iam desiit esseutiam Dei videre, recor-
datus est multorum qnae in mo raptu viderat: unde ipse dicit quod
" audivit arcana verba, quae non licet homini loqui », 2 Cor. 12, 4.
Ergo oportet dicere quod aliquae similitudines eorum quae recor-
datus est, in eius intellectu remanserint. Et eadem ratione, quando
praesentialiter videbat Dei essentiam, eorum quae in ipsa videbat,
aliqnas similitudines vel ,>pecies habebat.
SEJJ CONTR\ EST quod per 11nam ~pcciem videtur speculum, et ea qua.e
in speculo appal'ent. Sed omnia sic videntur in Deo sicut in quodam
speculo intelligibili. Ergo, si ipse Deus non videtur per aliquam si-
militudinem, sed per suam essentiam ; nec ea quae in ipso videntur,
per aliquas similitudines sive species videntur.
RF.SPONDE-1 DICENDUM quod videntes Deum per essentiam, ea quae in
ipsa essentia Dei vident, non vident per aliqmts species, sed per ipsam
essentiam divinam intellectui eonun nnitam. Sir enim cognoscitur
unumqnodque, secundum quod similitudo eius est ir. cognoscente.
Sed hoc contingit dupliciter. C11m enim quaecmnque uni et eidem
sunt similia, sibi invicem sint similia, virtus cognoscitiva dupliciter
aRsimilari pot1Jst alicui cognoscibilL Uno modo, secund11m se, quando
directe eius similitudine informatur: et tunc cognoscitur illud se-
cundum se. Alia modo, secundum quod informatur specie alicuius
quod est ei simile: et tunc non rlicitur res CO!!:llOSci in seipsa, sed in
suo ~imili. Alia enim est c:ognitio qna rofrnoscitnr aliquis homo in
seipso, et nlia qua cognoscitnr in sua imagine. Sic ergo, cognoscere
res per earum similitudines in cognoscente existentes, est cognoscere
€as -in seipsis, seu in propriis naturis: sed cognoscere eas prout es.-
rum similitudines praeexistunt in Deo, est virlere eas in Deo. Et hae
duae cognitiones differnnt. Unde secundum illam cognitionem qua
res cognoscuntur a videntibus Deum per essentiam in ipso Deo, non
videntur per aliquas similitudines alias; sed per solam essentiam
divinam intellectui praesentem, per quam et Deus videtur.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod intellectus videntis Deum assimi-
latur rebus quae videntur in Dro, inquontnm unit1ir essentiae di-
vinae, in qua rerum omnium similitudir.es praeexistunt.

• Le cose vedute nella luce di Dio sono, per cosi dire, come sempre uscenti
da lui In tutti I loro minimi particolari. sia le cose nnssate. sia le presenti, sia
le ruture ; polchè le vicende del tempo non esistono nell'eternità, la quale è • tota
simul "• senza succeSoSloni (cfr. I Coni. Gent. c. 66). Si ca1ilsce quindi come la di·
vina Psse.nza posSll essere per se stessa mezzo emcacisstmo di una piena conoscenza
di tutte le co~e. senza che si debba ricorrere ad Immagini sopraggiunte alla no-
stra mrnt.e., qua':i 1·he l'(UP!la non ha~t•1sse.
• QnE'~ta dl)ltrlna è tradizionale nella Chiesa; e S. Tommaso. che dissente da
s. Agostino e.tre.a la cognizione umana nel tempo, concorda pienamente con lut
per quanto riguarda quella della beata eternità. Leggiamo Infatti nel commento
agostiniano alla /a Gtov. (cap. 3): •Che altro saremo se non flgli di Dio! - Udite
quello l"he segue: "sappiamo che quando !'gli ;;I mostrerà. saremo simili a lui,
rolchè lo vedremo cosi com• è .... '". Noi. o fratelli, lfOdremo una visione di bel·
Jezza .... che tra~ende tutte le bellene te1Tene [101chè da essa derivano tultl• le
altre belleize. E che s:tremo noi quando vedremo questa visione? ..... Saremo simili
a lui." • (Da Le Confcsstont, trad. o. Tescarl, p, 554, nota 2. Torino, 1946•).
278 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 9-10

2. Vi sono alcune potenze conoscitive, le quali, mediante immagini


anteri-0rmente concepite, possono formarne delle altre. Così la fan-
tasia dalle due immagini che ha già, del monte e dell'oro, si forma
l'immagine di un monte d'oro; e l'intelletto dalle due idee di genere
e di differenza si forma l'idea di specie. E parimente dalla rap-
presentazione di un'immagine noi possiamo formarci la rappresen-
tazione della cosa di cui è immagine. E così Paolo o chiunque altro
che veda Dio, dalla stessa visione della divina essenza può formare
in se stesso le rappresentazioni [o immagini] delle cose che sono
vedute nella divina essenza; e queste rimasero in Paolo anche dopo
che cessò di vedere 1' essenza di Dio. Per altro questa visione in cui
si vedono le cose mediante tali specie così formate, è ben diversa
dalla visione mediante la quale le cose son vedutp in Dio.

ARTICOLO 10
Se quelli che vedono Dio per essenza vedano simultaneamente
tutto quello che vedono in lui.

SEMBRA che quelli che vedono Dio per essenza non vedano simul-
taneamente tutto quello che vedono in lui. Infatti:
1. Secondo Aristotele, può capitare che si abbia la scienza di molte
cose, ma non capita che se ne intenda attualmente [intelligere] più
di nna. Ora, le cose che si vedono in Dio, si intendono intellettual-
mente cosi, infatti Dio si vede con I' intelletto. Dunque non si ve-
rifica che quelli che vedono Dio, vedano in lui molte cose simulta·
ne amen te.
2. S. Agostino dice che «Dio muove la creatura spirituale nel
tempo» cioè nei pern;ieri e negli affetti. Ora, la creatura spirituale
è precisamente l'angelo, il quale vede Dio. Dunque coloro che ve-
dono Dio passano successivamente dì pensiero in pensiero, di affetto
in affetto: il tempo infatti importa successione.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: "Non saranno volubili i nostri
pensamenti, andando e tornando da un oggetto all'altro, ma tutta
la scienza nostra la contempleremo simultaneamente con un solo
sguardo».
RISPONDO: Le cose che si vedono nel Verbo, 1 si vedono non succes-
sivamente, ma simultaneamente. A chiarimento di ciò, bisogna con-
siderare che noi non possiamo intendere molte cose insieme preci-
samente per questo, perchè le intendiamo per mezzo di specie di-
verse ; e non può un solo intelletto essere simultaneamente informato
in atto da specie diverse in modo da intencl.ere per mezzo di esse ;
come non può un medesimo corpo esser modellato contemporanea-
mente con figure diverse.• Quindi avviene che quando più cose pos-
sono essere percepite con una sola specie, si intendono simultanea-
mente: cosi le diverse parti cl.i nn tutto se s'intendono ciascuna per
mezzo della propria specie. si intendono successivamente e non tutte

1 Nella Seconda Persona. dell:i !!S. Trinità •esiste una relazione rispetto alle
creature•, dice S. Tommaso, espressa dal termine Verbum. Dio Infatti genera U
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 279

Ao SECUN'DUM DICENDUM quorl a!iquae potentiae cognoscitivae sunt,


quae ex speciebus primo conceptis alias formare possunt. Sicut ima-
ginatio ex praeconceptis speciel:Jus montis et auri, format speciem
montis aurei: et intellectus ex praeconceptis speciebus generis et dif-
ferentiae, rormat rationem speciei. Et sirniliter ex similitudine ima-
ginis formare possumus in nobis similitudinem eius cuius est imago.
Et sic Paulus, vel quicnmque alius videns Deum, ex ipsa visione es-
sentiae divinae potest formare in se similitudines rerum quae in
f:ssentia dlvina videntur: quae remansenmt in Paulo etiam post-
quam desiit Dei essentiam videre. Ista tamen visio, qua videntur
res per huiusmodi species sic conceptas, est alia a visione qua vi-
dentur res in Deo.

ARTICULUS 10
Utrum videntes Deum per essentiam simul videant omnia
quae in ipso vident.
Infra, q. 58, a. 2: f Sent., d. 3, q. 2. a. 4; s, d. 14, a. 2, qc. 4: s Cont. Gent., c. 60:
De Vertt., q. 8, a. 14; Quom. 7, q. 1, a. 2.

AD DECIMUM SIC PHOCEDIT(.;H. Videtur quod videntes Deum per es.


sentinm non simul videant omnia quae in ipso vident. Quia, secun-
dum Philosophum [2 Topic., c. 10], contingit multa scire, intelligere
vero 1mum. Sed ea quae videntur in Deo, intelliguntur: intellectu
enim villetur Deus. Ergo non contingit a videntibus Deum simul
multa videl'i in Deo.
2. PRAETEHEA, Augustinus ùici 1,, 8 Super Gen. ad litteram [cc. 20,
~]. quod "Deus movet creaturam spiritualem per tempus n, hoc est
per intelligentiam et affectionem. Sed creatura spiritualis est ange-
lus, qui Deum videt. Ergo videntes Deum, successive intelligunt et
afficiuntur: tempus enim successionem importat.
SED CONTHA EST quod Augustinus dicit,. ultimo De Trinit. [c. 16]:
«non erunt volubiles nostrae cogitationes, ab aliis in alia euntes
atque redeuntes: sed omnem scientiam nostram uno simul conspectu
videbimus ». ·
REsPONDEO DICENDUM quod ea quae videntur in Verbo, non succes..
sive, sed simul vid~ntur. Ad cuius evidentiam considerandum est,
quod ideo nos simul non possumus multa intelligere, quia multa per
diversas species intelligimus; diversis autem speciebus non potest
intellectus unus simul actu informari ad intelligendum per eas, sicut
nec unum corpus potest simul diversis figuris ftgurari. Unde con-
tingit quod, quando aliqua multa una specie intelligi possunt, simul
intelliguntur: sicut diversae. partes alicuius totius, si singulae pro-
priis speciebus intelligantur, successive intelliguntur, et non simul;

Verbo nel conoscere se stesso, ., •conoscendo se stesso conosce ogni creatura•,


come in uno specchio (I. q. 34, a. 3). Anche le creature che sono ammesse alla vi·
sione della essenza divina scorgono tutto l'universo In quella Immagine Increata
di Dlo.
2 La similitudine del corpo e delle figure sembra derivare da AJgazeJ, ed è
•1uanto mal emcace per esprimere la necessaria e connaturale successione delle
immiurlnl o specie nelle nostre facoltà conoscitive lrfr. CT11i>t:rn". tn " 11.I.
280 LA SOMMA TEOLOGICA. I, q. 12, aa. 10-11

insieme ; se invece le intendiamo tutte per mezzo della sola specie


del tutto, si intendono simultaneamente. Ora si è dimostrato sopra
che le cose che si vedono in Dio, non si vedono ciascuna nella sua
propria specie, ma tutte nelrunica essenza divina. Quindi si vedono
tutte insieme e non successivamente.
SOLUZIONE nELLE DIFFICOLTÀ; 1. Noi intendiamo [in modo attuale]
una sola cosa, in questo senso, che intendiamo con una sola specie.
Ma nell'alt<> di concepire una sola specie si intendono simultanea-
mente molte cose, p. es.: nel concefoto di uomo si intende animale e
ragionevole, e nell'idea di casa s' intendono le pareti e il tetto.
2. Gli angeli, in forza della cognizione naturale, c<>n la quale co-
noscono le cose mediante specie diverse loro infuse, non conoscono
tutto simultanE:amente: e così si mutano nel tempo secondo la loro
attività intellettuale. Ma in quanto vedono le cose in Dio [per cogni-
zione soprannaturale], le vedono tutte con un solo sguardo. 1

ARTICOLO 11
Se qualcuno in questa vita possa vedere Dio per essenza.'

SEMBRA che qualcuno, in questa vita, possa vedere Dio per essenza.
Infatti:
1. [Il Patriarca] Giaoobbe disse: "Ho visto Dio a faccia a faccia».
Ma vedere a faccia a faccia è precisamente vedere per essenza, come
appare chiaramente da quello che dice S. Paolo: "in questo mo-
mento noi vediamo traverso uno specchio in enigma, allora vedremo
a faccia a faccia"· Dunque Dio in questa vita si può vedere per es-
senza.
2. Il Signore dice di Mosè: "a lui io parlo a faccia a faccia, ed egli
vede il Signore manifestamente, non per mezzo di emhlPmi e· figure n.
Ma ciò equivale a. vedere Dio per essenza. Dunque qualcuno può,
anche nello stato della presente vita, vedere resscnza divina.
3. L'oggetto nel quale conosciamo tutte lt> altre c0se e per mezzo
del quale giudichiamo tutto il resto, ci è noto di per se s1 esso. Ora,
tutte le cose anche adesso le conosciamo in Dio. Dice, infatti, S. Ago-
stino: "Se tutti e dup vediamo ehe è vero quello che dici tu ed en-
trambi vediamo che è vero quel che dico io, di grazia: dov'è che noi
lo vediamo? Nè io in te, nè tu in me, ma tutti e duP in quella stessa
immntabile verità, la quale sta al disopra delle nostre menti». Al-
trettanto dice altrove affermando che noi f!iu<lichiamo di tutte le cose
secondo la verità divina. E nel De Trini/ate asserisce che alla ra-
gione srietta giudicare di queste cose c0rp0rali secondo le essenze
f o nature] incorporee e sempiterne, le quali, sicuramente, non sa-
rebbero immutabili se non fossero al disopra della nostra mente,,_ •
Dunque ar.che in questa vita noi vediamo Dio.
4. Secondo S. Agostino noi vediamo con visione intellettuale tutte
le cose che sono nell'anima con la loro essenza. Ora, la visione intel-

1 Vrdi sopra q. 10, a .. 3, dove st parla dell'eternità partecipata dal beati per la
"Istone del Verbo. ·
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 281

si autem omnes intelligantur una specie totius, simul intelliguntur.


Ostensum est [a. praec.] autem quod ea quae videntur in Deo, non
videntur singula per suas similitudines, sed omnia per unam essen-
tiam Dei. Unde simul, et non successive videntur.
AD PIUMUM ERGO DICENDl'M quod sic unum tantum intelligirnus,
inquantum una specie intelligimus. Sed multa una specie intellecta,
simul intelliguntur: sicut in specie hominis intelligimus animai et
rationa!e, et in specie domus parietem et tectum.
An SECUNDUM DICENDUM quod angeli, quantum ad cognitionem na-
turalem, qua cognoscunt res per species dlversas eis inditas, non
simul omnia cognoscunt: et sic moventur, secundum intelligentiam,
per tempus. Sed secundum quod vident res in Deo, simul eas vident.

ARTICULUS 11
Utrum aliquis in hac vita possit videre Deum per essentiam.
11·11. q. 180, a. 5; 3 Se!lt., d. 27, q. 3, a.. 1; d. 35, q. 2, a. 2, qc. 2; 4, d. 49, q. 2, a. 7;
9 Coni. Gent., c. 47 ; f)e Vertt., q. 10, a. 11 ; QuodL. 1, q. 1 ; ! Cor., c. 12, lect. 1.

AD UNDECIMUM SIC PROCEDITUR. Vidi;h1r qupd aliquis in hac vita


possit Del'm per essentiam vide re. Dicit enim Iacob, Gen. 32, 30:
«vidi Deum facie ad faciem "· Sed viclere facie ad faciem, est viàere
per essentiam, ut patet per illud quod dicitur I Cor. 13, 12: "vide-
mus nunc per speculum et in aenigmate, tunc autem facie ad fa.-
dem '" Ergo Drns in hac vitn prr essentiam videri potest.
2. PRAETEREA, Nutn. 12, 8 dicit Dominus de Moyse: "ore ad os Io-
quor ei, et palam, et non per aenigmat;:i et tìguras, videt Deum » •
.Sed hoc est videre Deum per essentiam. Ergo aliquis in statu huius
vitae potest Deum per essentiam videre.
3. PRAETEP.E.\, illud in quo alia omnia cognoscimus, et per qupd de
aliis iudicamus, est nobis secund um se noforn. Sed omnia etiam mmc
in Deo cognoscimns. Dicit enim Augustinus, 12 Conf. [c. 25]: «Si
ambo videmns vermn esse quod dicis, et amho videmns verum esse
qnod dir.o, uhi quacs0 illud vidrmus? Nei: ego in te, nec tu in me:
-scd ambo in ipsa quae supra mentes nostras est, incommutabili ve-
ritate ». Idem etiam, in libro De Vera Religione [cc. 30, 31], dicit
quod secundum veritatem divinam de omnibus iudicamus. Et f:t. De
Trinit. [c. 2] dicit quod « rationif'I est iudicare de istis corporaliuus
·secu.ndum rationes incorporales et ~empiternas: quae nisi supra.
rnentem essent, incommntabiles profecto non essent ». Ergo et in hac
vita ipsum Deum videmus.
4. PRAETEREA, secunclum Augustinum, I~ Super Gen. ad litt. [cc. 24,
31 ], visione intellectuali videntur e~ quae sunt in anima per suam

~ ~ di fede che In questa vita è lmpos5ib!le ve1lere Dio nella sua essenza c<>n le
11e1le forze naturali. c0me risulta dalla condanna Inflitta nfll Concilio Vlennense
(1311-1312) al Begardi e alle Beghine (DENZ., 471).
·• Le ragioni e I testi qnl Invocati furono I cavall1 di batt.aglla degli Ontologlstl
111 tutti I tempi, che nel secolo scorso furono colpltl pili volte dalla disapprovazione
della Chiesa (DENZ., 1659, 1002 ss., 1sn1 ss.).
282 LA 80:\fMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 11

lettuale, secondo la sua asserzione, raggiunge le cose intelligibili non


per mezzo di immagini, ma per mezzo delle loro stesse essenze. Dun-
que, siccome Dio è nell'anima nostra con la sua essenza, è visito da
noi per essenza.
IN CONTRARIO: È scritto nel!' Esodo: "Nessun uomo mi vedrà e poi
rimarrà vivo"· E la Glossa' commenta: " Finchè si vive quaggiù
questa vita mortale, Dio si può vedere mediante alcune immagini,
ma non nella stessa realtà della sua natura n.
RISPONDO: Un puro uomo non può vedere Dio per essenza, se non
viene tolto da questa vita mortale. La ragione di ciò è riposta nel
fatto che, come abbiamo detto più soprn, la conoscenza si modella
sulla natura del soggetto conoscente. Ora, l'anima nostra, finchè
siamo in questa vita, ha la sua esistenza nella materia corporale:
quindi non conosce, naturalmente, se non le cose che hanno la loro
forma nella maiteria, o quelle che possono essere conosciute per mezzo
di esse. Ora, è chiaro che la divina essenza non può conoscersi me-
diante le essenze delle cose materiali, chè, come abbiamo detto so-
pra, la conoscenza di Dio, avuta per qualsiasi similitudine creata,
non è la visione della essenza stessa. Perciò è impossibile all'anima
dell'uomo, ancor vivente della vita di quaggiù, vedere l'essenza di
Dio. - Un segno di ciò è ohe l'anima nostra quanto più si astrae dalle
cose corporali, tanto più diviene capace di quelle intelligibili astratte
dalla materia. Ed è per questo che nei sogni e nelle alienazioni dai
sensi corporei si percepiscono meglio le rivelazioni divine e le previ-
sioni del futuro. Non può dunque avvenire che l'anima sia sollevata
al supremo intelligibile, che è l'essenza divina, finché è legata a que-
sta vita mortale.
SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi spiega che quando la Scrit-
tura afferma che alcuno ha veduto Dio, vuole indicare che sono state
prodotte delle figure, sensibili o immaginarie, atte a rappresentare
simbolicamente qualche cosa di divino. Perciò, quando Giacobbe
dice: «Ho visto Dio a faccia a taccia n, si riferisce non proprio «Ila
divina essenza, ma a una figura nella quale Dio era rappresentato.
l\Ja que~to stesso vedere la persona di Dio che parla, sia pure in vi-
sione immaginaria, è già un grado eminente della luce profetica,
come vedremo quando parleremo dei vari gr<1.di della profezia. - Oo-
pure Giacobbe ha detto così per indicare una certa eminenza di oon-
templazione intellettuale superio:ce alla comune.
2. Come Dio talora opera per miracolo qualche cosa di sopranna-
turale nelle cose corporali, così anche ha elevato soprannaturalmente
e fuori dell'ordine comune la mente di alcuni, che ancora vivevano
in questa carne, sino alla visione della sua essenza, ma senza ser-
virsi dei sensi della carne, come afferma S. Agostino di Mosè, che fu
maestro dei Giudei, e di Paolo, che tn maestro dei Gentili. Ma di
ciò più ampiamente, quando tratteremo del Rapimento.
3. Quando si dice che noi conosciamo tutte le cose in Dio e per
mezzo di lui di tutte giudichiamo, si vuol dire che noi conosciamo
e giudichiamo tutto per una certa partecipazione della sua luce: in-

1 Le Gloue bibliche erano commenti della saaa Scrittura desunti dal 'P:idrl,
e riportati accanto ai testi della Scrittura per fac1llta.rne Il senso. SI portava rosi
a conoscenza del lettori la tradizionale interpretazione della Bibbia, risparmiando
loro la fatica di consultare opere non !'empre accesslblll. - SI distingueva la
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 283

essentiam. Sed visio iILtellectualis est de rebus i.ntelligibilibus, non


per aliquas similitudines, sed per suas es.-ientias, ut ipse ibidem dicit.
Ergo, cum Dens sit per es;;e11tiam suam in anima nostra, per esse111-
tiam suam videtur a nobis.
SED CONTRA EST quod dicitur Exod. 33, 20: «non videbit me homo
et vivet ». Glossa [ex Gregor. /8 Moral., c. 54): « Quandiu hic morta-
liter vivitur, videri per quasdam imagines Deus potest; sed per
ipsam naturae suae speciem non potest n.
RESPOl'\llEO DJ\.ENDUM quod ab homine puro Deus videri per essen-
tiam non potest, nisi ab hac vita mortali separetur. Cuius ratio est
quia, sicut supra [a. 4] dictnm est, modus cognitionis sequitur mo-
ùnrn nat.nrae rei cognoscentis. Anima autem nostra, quandiu in hac
vita vivimus, habet esse in materia corporali: unde naturaliter non
cognoscit aliqua nisi quae habent formam in materia, vel quae per
huiusmodi cognosci poss1mt. Manifestum est autem quod per natu-
ras re1·um mruterialium divina esRentia cognosci non potest: osten-
sum est enim supra [a. 2) quod cognitio Dei per quamcumque simi-
litudinem creatam, non est visio essentiae ipsius. Unde impossibilP,
est animae hominis secundum hanc vitam viventis, essentiam Dei
videre. - Et huius signum est, quod anima nostra, quanto magis a
corporalibus abstrahitur, tanto intelligibilium abstractorum fìt ca-
pacior. Unde in somniis et alienationibus a sensibus corporis, magis
divinae revelationes percipiuntur, et praevisiones futurorum. Quod
ergo anima ele:vetur usque ad supremum intelligibilium, quod est es-
sentia divina, esse non potest quandiu hac mortali vita utitur.
AD PRIMt.TM ERGO DICENDUM quod, secundum Dionysium, 4 cap. Cael.
llier., sic in Scripturis dicitur aliquis Deum vidisse, inquantum for-
matae sunt aliquae figurae, vel sensibiles vel imaginariae, secun-
dum aliquam similitudinern aliquod divinum repraesentantes. Quod
ergo dicit Tacob, «vidi Deum far:ie ad faciem n, referendum est, non
ad ipsam divinam essentiam, sed ad figuram in qua repraesenta-
batur Deus. Et hoc ipsum ad quandam prophetiae eminentiam perti-
net, ut videatur persona Dei loquentis, licet imaginaria visione; ut
infra [II-II, q. 174, a. 3) patebit, cum de gradibus Prophetiae loque-
mnr. - Vel hoc dicit Iacob ad designandam quandam eminentiam in-
telligibilis contemplationis, supra cornmunem statum,
AD SECUNDLM DICENDUM quod, sicut Deus miraculose aliquid su-
pernaturaliter in rebus corporeis operatur, ita etiam et supernatura-
liter, et praeter cornmunem ordinem, mentes aliquorum in hac carne
viventium, sed non sensibus carnis utcntium, usque ad visionem
suae essentia.e elevavit; ut dicit Augustinus, 12 Super Ge11es. aid litt.
[cc. 26, 27, 28, 34), et in libro De Vide.ndn Deum [ep. 147] de Moyse,
qui fuit magister Iudaeornrn, et Paulo, qui fuit magister Gentium. Et
de hoc plenius tractabitur, cum de Raptu agemus [II-Il, q. 175,
aa. 3 ss.].
AD TERTIUM DJCENDUM quod omnia dicimur in Deo videre, et secun-
dum ipsum de omnibus iudicare, inquantum per participationem sui
luminis omnia cognoscimus et diiudicamus: .1am et ipsum lumen na-

Gloua Orl!tnarta: e la Glossa Interlineare. Questa consisteva per lo più in sem-


plici spiegazioni di vocaboli o di frasi ; quella, rlù importante ed estesa, era un
vero r,ommento, considerato In esegesi come testo Rntorevole, pl\rl alle Sentenze
di Pietro I..ombardo In te<>logla.
284 LA S0!\1MA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 11-12

fatt.i anche lo stesso lume naturale della ragione è una certa parte-
cipazione r!ella luce di Dio; allo stesso modo diciamo, delle cose
percepite dai sensi, che le vediamo e le giudichiamo nel [o al] s.ole,
cioè mediante la luce del sole. Perciò S. Agostino dice: «Gli oggetti
delle varie discipline non possono esser veduti se non sono illuminati,
diciamo così, dal loro sole,, ::ioè da Dio. C.ome, dunque, per vedere
qualche cosa sensibilmente non è necessario vedere la sostanza del
sole, cosi per vedere qualche cosa intellettualmente, non è neces-
sario vedere l'essenza di Dio. 1
4. La visione intellettuale ha per oggetto le cose che sono nel-
l'anima con la loro essenza [non in qualunque modo, ma] come gli
intelligibili sono nell'intelletto. Ora, Dio si trova come oggetto in-
teliigibile nell'anima dei beati, non già nell'anima nostra, dove si
trova [solo] per essenza, per presenza e per potenza.•

ARTICOLO 12
Se in questa vita possiamo conoscere Dio con la ragione naturale.

SEMBRA che con la ragione naturale non possiamo, in questa vita,


conoscere Dio. Infatti:
1. Dice Boezio che "la ragione non afferra le forme semplici"·
Ora, Dio è forma supremamente semplice, come abbiamo già dimo-
strato. Dunque la ragione naturale è impotente a raggiungerne il
conoscimento.
2. Come insegna Aristotele l'anima con la ragione naturale nulla
intende senza una rappresentazione della fantasia. Ma noi non pos-
siamo avere di Dio un'immagine fantastica, essendo egli incorpo-
reo. Dunque con la ragione naturale noi non possiamo conoscere
Dio.•
3. La cognizione che si ha mediante la ragione naturale deve es-
sere comune ai buoni ed ai cattivi, come è comune anche la natura.
Ma la cognizione di Dio appartiene solo ai buoni; infatti dice S. Ago..
stino: «l'acume della mente umana non può affissarsi in sì eccel-
lente luce, se non è purificata dalla giustizia della fede"· Dunque
Dio è inconoscibile alla ragione naturale.
IN CONTRARIO: S. Paolo [parlando dei Gentili] afferma che "quel
che si può conoscere di Dio è in essi manifesto n, cioè quello che di
Dio è conoscibile mediante il lume di ragione.
RISPONDO: La nostra conoscenza naturale trae origine dal senso ;
e quindi si estende fin dove può esser condotta come per mano dalle
~ose sensibili. Ora, mediante le cose sensibili il nostro intelletto non

1 Gli Ontologisti (vedi p. 74, nota) oome, p. es., Malebranche, fanno molta forza
sulle frasi di S. Agostino, ritenenxlolo a t<>rto un patrono della loro teoria. Il
senso dato da s. Tommaso alle frasi di S. Agostino è legittimo ; 1·oichè è certo
che s. Agostino nega la visione Immediata di Dio In questa vita. Dio è quindi la
fonte di ogni nostra cognizione e naturale e soprannaturale, ed è presente nella
nostra anima Intellettiva per la sua essenza; però non è presente come oggetto
tmmedia:to dt cogn1.ztone, ma quale causa efficiente prima del nostro conoscere
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 285

tnrale rationis participatio quaedam est divini luminis; sicut etiam


omnia sensibilia dicimus videre et indicare in sole, idest per lumen
solis. Unde dicit Augustinus, I Soliloquiorum [c. 8] « Disciplinarum
spectaruina videri non possunt, nisi aliquo velut suo sole illustren-
tur », videlicet Deo. Sicut ergo ad videndum aliquid sensibiliter, non
est necesse quod videatur substantia solis, ita ad videndum aliquid
intelligibiliter, non est necessarimn quod videatur essentia Dei.
An QUARTUM DICENDUM quod visio intellectuali,; est eorum quae sunt
in anima per suam essentiam sicut intelligibilia in intellectu. Sic au-
tem Deus est in anima beatorum, non autem in anima nostra ; sed
per praesentiam, essentiam, et potentiam.

ARTICULUS 12
Utrum per rationem naturalem Deum in hac vita
cognoscere possimus.
Infra, q. 32, a. 1; q. 86. a. 2, ad 1; / Sent •• d. 3, q. t, a. 1; 3, d. 27, q. 3, a. 11
4 Cont. Gent., c. 1; De Trtntt., q. 1, a. 2; in Rom., c. 1, lect. 6.

AD DUODECIMUM SII. PROCEDITVR. Videtur quod per naturalem ratio-


nem Deum in hac vita cognoscere non possimus. Dicit enim Boetius,
in libro De Consol. [I. 5, prosa 4), quod "ratio non capit simplicem
formam n. Deus autem maxime est simplex forma, ut supra [q. 3,
a. 7) ostensum est. Ergo ad eius cognitionem ratio naturalis perve-
nire non potest.
2. PRAETEREA, ratione naturali sine phantasmate nihil inte!ligit
anima, ut dicitur in 3 De Anima [c. 7, Iect. 12). Sed Dei, cum sit
incorporeus. phaniasma in m1bis esse non potest. Ergo cognosci non
potest a nohis cognitìone naturali.
3. PRAETEHEA, cognitio quae est per rationem naturalem, commu-
nis est b011is et malis, sicut natura eis communis est. Sed cognitio
Dei competit tantum bonis: dicit enim Augnstinus, I De Trinit.
[c. 2), quod "mentis hnmanae acies in tam excellenti luce non fi-
gitur, nisi per iustitiam fidei emundetur n. Ergo Deus per rationem
naturalem cognosci non potest.
SED CONTRA EST quod dicitur Rom. 1, 19: "quod notum est Dei, ma-
nifest 11m est in illis '" idest, quod cognoscibile est de Deo per ratio-
nem naturalem.
REsPONDEO DICENDUM quod naturalis nostra cognitio a sensu prin-
cipinm sumit: unde tantum se nostra naturalis cognitio extendere
potest, inquantum manuduci potest per sensibilia. Ex sensibilibus
nutem non potest usque ad hoc intellectus nost.er pertingere, quod

e del nostro essere. La presenza di Dio rnme oggetto si ha nella cognizione di


Dio, ma questa cognizione è speculare, ossia per immagini che non rappresentano
se non analog·tcamente, per rapr.ortt di causa ed effetto, le relazioni di somiglianza
e dissomiglianza fra lui e le creature, come si dirà in seguito (p. 286, nota !).
i Per le spiegazioni di questo modo di ubiquità vedi sopra, q. 8, a. 3.
• crr. I, q. 83, a. 4, dove s. Tommaso espressamente tratta del rapporto tra
conoscenza intellettiva e fantasia. '
286 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, aa. 12-13

può giungere sino al punto di vedere l'essenza divina: perchè le


creature sensibili sono effetti di Dio che non adeguano la potenza
della loro causa. Perciò mediante la cognizione delle cose sensibili
non si può avere il pieno conoscimento della potenza di Dio, e perciò
stesso neppure quello della sua essenza. Ma siccome esse sono effetti
dipendenti dalla loro causa, ne segue che per mezzo di esse possiamo
essere condotti sino a conoscera di Dio se esista ; a conoscere al-
tresì quello che a Lui conviene necessariamente come a causa prima
di tutte le cose, eccedente tutti i snoi effetti. Quindi noi conosciamo
cli Dio la ::JUa relazione con le creature, che cioè è la causa di tutte;
e la differenza esistente tra esse e lui, che cioè egli non è [formal-
mente] niente di quanto è causato da lui; e che tali cose vanno
esci use da lui non già perchè egli sia mancante di qualche cosa,
ma perchè tutte le supera. '
SoLUZJONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La ragione non può raggiungere
una torma semplice [angelo G Dio J, sino a conoscere che cosa essa
sia; può tuttavia conoscerla, da sapere che esiste.
2. Con la ragione naturale si conosce Dio mediante le immagini
fantastiche forniteci dai suoi effetti.
3. Cono<;;cere Dio per essenza appartiene esclusivamente ai buoni,
perchè si deve alla grazia; ma la conoscenza, che di lui si può avere
con la ragione naturale, può comp<·lere ai buoni e ai cattivi. Perciò
S. Agostino nel libro delle Ritrattazioni scrive: "Non approvo quello
che dissi in una mia preghiera: "O Dio, che hai voluto che solo i
puri conoscessero la verità"; perchè mi si può rispondere che molti
che non son puri, conoscono molte verità n, le conoscono cioè col lume
di ragione.

ARTICOLO 13
Se mediante la grazia si abbia una conoscenza di Dio più alta
di quella che si ha con la ragione naturale. 2

SEMBRA che mediante la grazia non si abbia una conoscenza di


Dio più alta di quella che si ha con la ragione naturale. Infatti:
1. Dice Dionigi che colui il quale in questa vita si unisce più in-
• Appare dunque da questo Insegnamento che Il concetto, che 1101 possiamo tor·
marci di Dio, non è del tutto assoluto nè del tutto positivo: ma, pur qualificando
realmente la di lui sostanza, è relativo alle cose: è Insieme positivo e negativo. SI
suole dire brevemente che noi con le forze naturali conosciamo Dio per la via della
causalità, per la vta della remoztone o negaztone, e per la vta della eccellenza:. Dio
essendo la causa di tutte le cose, e la causa dovendo precontenere necessariamente
la perfezione degli etrettl, ne segue che a Dio si devono riconoscere tutti quegli
attributi assoluti che dalla causalità si deducono: come essere, vivere, conoscere,
volere, ecc. (via della causalità). Ma polchè Dio è causa a>solutamente perfetta,
ne segue che da lui vanno rimosse tutte quelle entità, che, sebbene si trovino
negli effetti, Importano tuttavin limlt<> ed irn11eri•'?.ione. Co5! (sPconào la via t1e!Ja
remozlone o negazione) si deve dire che Dio è Incorporeo, Immobile, Infinito, ecc ....
In questo modo conosciamo di Dio plutto5to ciò che non è, anzlchè ciò che è. Ma
que&ta via è più sicura. sebbene la precedente sia più tacile, perchè, come osserva
S. Tommaso," di Dio ruai >entiamo tanto rettamente, come 'Iuando lo distinguiamo
perfettamente dalle crei1ture negando assolutamente che egli sia alcunchè di
creato• ; e Il IV Conclllo Laterano Insegna che « tra Dio e la creatura non Al
può asserire tanta somigll,,nza senza nel contempo a5serlre una ancor più grande
.dlssomlgllanza • (DENZ., 432; cfr. s Cont. Gent., c. 39; Introd. nn. 23 ss.).
I'uttavla le perfezioni positive, che si trovano negli etrettl creati, realmente
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 287

divinam essentiam videat: quia creaturae sensibiles sunt effectus


Dei virtutem cansae non adaequantes. Unde ex sensibilium cogni-
tione non p.otest tota Dei virtus cognosci: et per consequens nec eius
essentia videri. Sed quia sunt eius effectns a causa dependentes,
ex eis in hoc perduci possumus, ut cognoseamus de Deo an est; et
ut cognoscamus de ipso ea quae necesse est ei convenire secundum
quod est prima omnium causa, excedens omnia sua causata. Unde
cognosrimus de ipso habitudinem ipsius ad creaturas, quod scilicet
omnium est eausa; et differentiam creaturarum ab ipso, quod sci-
licet ipse non est aliquid eorum quae ab eo causantur ; et quod haec
non removentur ab eo propter eius defectum, sed quia superexcedit.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod ratio ad formam simplicem per-
tingere non potest, ut sciat de ea quid est: potest tamen de ea oo-
gnoscere, nt sciat an est.
AD SECUNDUM DICENDUM quod Deus naturali cognitione cognoscitur
per phantasmata effectus sui.
AD TERTIUM DICENDUM quod cognitio Dei per essentiam, cum sit per
gratinm, non competit nisi bonis: sed cognitio eius qnae est per ra-
tionem natura1em, potest competere bonis et malis. Unde dicit Au-
gustinus, in libro Retractationum [I. 1, c. 4): cc Non approbo quod
in oratione [Soliloq., I. 1, c. 1) dixi "Deus, qui non nisi mundos ve-
rum scire voluisti": responderi enim potest, multos etiam non mun-
dos multa scire vera))• scilicet per rationem naturalem.

ARTICULUS 13
Utrum per gratiam habeatur altior cognitio Dei quam ea
quae habetur per rationem naturalem.

An DECIMIJMTERTIUM SIC PROCED!Tl'R. Videtur quod per gratiam non


habeatnr altior cognitio Dei, quam ea quae habetur per naturalem
rationem. Dicit enim Dionysius, in libro De Mystica Theologia [c. 1],
preesistono In Dio. o In senso proprio e formale, se si tratta di perfezioni asso-
lutamente sempltcl, che non includono cioè nel loro concetto proprio, materialità
oppure limite, come, p. es., vivere, intendere, ecc.; ovvero In senso improprio
e virtuale, se si tm.tta di perfezltJni miste includenti cioè nel loro concetto proprio,
mllterialilà o limite come, p. es., sentire, ragionare, ecc. Esl~tono tuttavia unifi-
cate in una realtà semplicissima, che In concreto è equivalente a tntte quelle
perfezioni, trascendendole tutte, vale a dire contenendole in sè eminentemente (cfr.
q. 4, a. 2). Onde per la via dell'eccellema o della supez·emtneoza diciamo che
Dio è sopra ogni ente, sopra ogni intelligibile, sopra ogni bene, ecc., ossia massi-
mamente ente, massimamente uno, ecc. Tutti questi attributi conseguono neces-
sariamente dal rapporto tra Dio e le Mse sensibili. In una parola, la cognizione
nostra di Dio non nuò essere che analoatca. vale a dire desnnta dal confronto con
le cose sensibili, campo della nostra esperienza. Poichè le cose sensibili sono effetti
di Dio, però Inadeguati, la loro somiglianza col Creatore non ragg!nnge nè la so.
miglianza specifica, nè la somiglianza generica., ma una somiglianza ancora più
remota, secondo un certo modo proporzionale di essere. E per questo la cognizione
che si ha di Dio mediante 11 lume naturale della ragione, per quanto vera, è tut-
tavia molto imperfetta e piuttosto negativa che positiva.
2 Per grazia qui si intende ogni aiuto dato da Dio al disopra della forze della
natura
288 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 13

timamente a Dio, si unisce a lui come ad un essere del tutto sco-


nosciuto: e lo afferma anche Mosè, che pure nell'ordine della co-
noscenza per grazia ha raggiunto un grado sublime. Ora, congiun-
gersi a Dio ignorandone però l'essenza, è cosa che avviene anche
mediante la ragione naturale. Dunque per mezzo della grazia Dio
non è da noi conosciuto più perfettamente che per ragione naturale.
2. Con la ragione naturale non possiamo pervenire al conosci-
mento delle cose divine se non mediante le immagini senSibili della
fantasia: nè diversamente avviene in forza della cognizione per gra-
zia. Dice infatti Dionigi: «è impossibile che a noi risplenda il rag-
gio divino altrimenti che circondato e velato dalla varietà dei sacri
veli"· Dunque non conosciamo Dio mediante la grazia più perfetta-
mente che per ragione naturale.
3. Il nostro intelletto aderisce a Dio per la grazia della fede. Ora,
non pare che la fede sia una cognizione; perchè, come dice S. Gre-
gorio «sono oggetto di fede, non di scienza n le cose che non si ve-
dono. Dunque per la grazia non si aggiunge in noi una nuova e più
eccellente conoscenza di Dio.
IN CONTRARIO: L'Apostolo dice: "A noi Io rivelò Dio per mezzo
dello spirito suon, cioè quello «che nessuno dei principi di questo
secolo ha conosciuto n ; vale a dire nessuno dei filosofi, come spiega
la Glossa. 1
RISPONDO: Noi mediante la grazia possediamo una conoscenza dì
Dio più perfetta che per ragione naturale. Eccone la prova. La co-
noscenza che abbiamo per ragione naturale richiede due cose: cioè
dei fantasmi [o immagini], che ci vengono dalle cose sensibili, e il
lume naturale dell'intelligenza, in forza del quale astraiamo dai
fantasmi concezioni intelligibili. Ora, quanto all'una e all'altra cosa,
la nostra conoscenza umana è aiutata dalla rivelazione della grazia.
Infatti: il lume naturale dell'intelletto viene rinvigorito dall' infu-
sione del lume di grazia. E talora si formano per virtù divina nella
immaginazione dell'uomo anche immagini sensibili, assai più espres.
sive delle cose divine, di quel che non &iano quelle che ricaviamo
naturalmente dalle cose esterne; come apparisce chiaro nelle vi-
sioni profetiche. E qualche volta Dio forma miracolosamente anche
delle cose sensibili, come pure delle voci, per esprimere qualcosa
di divino; così nel battesimo di Gesù, lo Spirito Santo apparve sotto
fnrma di colomba, e fu udita la voce del Padre: « Questi è il mio
Figlio diletto n. '
SOLt'ZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene per la rivelazione della
grazia non conosciamo in questa vita l'essenza di Dio, e in questo
senso ci uniamo a lui come a uno sconosciuto, tuttavia lo cono-
sciamo in modo più completo, perchè ci si manifestano opere di
lui più numerose e più eccellenti ; e percl.tè in forza della rivela-
zione divina gli attribuiamo delle perfezioni che la ragione natu-
rale non può raggiungere, come, p. es., che Dio è uno e trino.
2. Dai fantasmi fornitici dai sensi secondo l'ordine naturale, o for-
mati per virtù divina nella nostra immaginativa, si genera una
conoscenza intellettuale tanto più perfetta, quanto più forte è in un
uomo il lume intellettuale E cosi in forza della rivelazione si trae
a Cfr. p. 282, nota.
t Il Jegame naturale ene unisce ll nostro lnt.iilletto al senslblle e al fantasmi è
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO 289

quod ille qui melius unitur Deo in hac vita, unitur ei sicut omnino
ignoto: quod etiam de Moyse dicit, qui tamen excellentiam quandam
obtinuit in gratiae cognitione. Sed coniungi Deo ignorando de eo
quid est, hoc contingit etiam per rationem naturalem. Ergo per gr~
tiam non plenius cognoscitur a nobis Deus, quam per rationem na-
turalem.
2. PRAETEREA, per rationem naturalem in cognitionem divinon1m
pervenire non possumus, nisi per phantasmata: sic etiam nec secun-
dum cognitionem gratiae. Dicit enirn Dionysius, 1 cap. De Cael. Hier.,
quod "impossibile est nobis aliter lucere divinum radium, nisi va-
rietate sacrornm velaminum circmnvelatum n. Ergo per gratiam non
plenius cognoscimus Deum, quam per rationem naluralem.
3. PRAETEREA, intellectus noster per graliarn fidei Deo adhaeret. Fi-
des autem r•on videtur esse cognitio: dicit enim Gregorius, in Homfl.
[26 in Evang. ], quod ea quae non videntur "fidem habent, et non
agnitionem '" Ergo per gratiam non additur nobis aliqua excellen-
tior cognitio de Deo.
SEo coNTM EST quod dicit Apostolus, I Cor. 2, 10: '' nobis revelavit
Deus per Spiritum suum n, illa scilicet quae '' nemo principum huius
saeculi novit '' [ibid., v. 8], idest philosophorum, ut exponit Glossa
[Glossa interlin. ex s. Hier., In 1 Cor. 2, 10].
RESPONDEO DJCENDUM quod per gratiam perfectior cognitio de Deo
habetur a nobis, quam per rationem naturalem. Quod sic patet. Co-
gnitio enirn quarn pel' naturalem rationem habemus, duo requirit:
c;ciliret, phantasmata ex sensibilihus accepta, E:t lumen naturale in-
telligibile, cuius virtute intelligibiles conceptiones ab eis abstra.-
him11s. Et quantum ad utrumque, iuvat11r hurnana cognitio per re-
velationem gratiae. Nam et lumen naturale intellectus confortatur
per infusionem luminis grat11iti. Et interdum etiam phantasmata
in irnai;rinatione hominis formantur divinitus, magis exprimentia
res rlivinas, quarn ea q1iae natnrnlitrr a sensihilihus acC'ipimus;
sicut apparet in visioni.hus prophetalibus. Et interdum etiam aliquae
res sensibilcs formant ur ilivir1ìt11s, aut etiam voces, ad ali quid divi-
num exprimenrlum; ~icut in baptisrn0 visus est Spiritus Sanctus in
speri e colnrnhne, rt vox Patris a udita est, "Hic est Filius meus di-
lectus. n [Matth. 3, 17].
An PHiMt:M EHGn 01cENDUM qnod, licet per revelationem gratiae in
hac vita non cognoscamus de Deo quid est, et sic ei quasi ignoto
coni11ngam11r; tamen plenius ipsum cognoscimus, inquantum plures
et excellentiores effectus eius nobis demonstrantur; et inquantum ei
aliqua attrihuimus ex revelatione diYina, ad quae ratio naturalis
non pertingit, ut Deum esse trinum et unum.
Ao SECUNDUM 010::-;ncM quod ex pliantasmatibus, vel a sens11 ac-
ceptis secundum naturalem ordinem, ve! divinitus in imaginatione
formatis, tanto excellentior cognitio inti:llectualis llabetul', quanto
lumen intelligibile in homine fortius fuerit. Et sic per revelationem
cosi stretto da non sfuggire alla più comune esperienza. Anche Dio, nel rivelare se
stesso, rispetta il modo d' lntenflere delle sue creature. Io forma poetiC<J c-0s1 DHuLe
Alighieri l\STlr\roe <1t•esto medesimo concetto:
•Cosi parlar conviensi al vostro ingegno.
perb rhe solo da seni;i.ato apprende
cib che la Doscia d'intelletto degno. •
f Paradiso, n, 40-42).
290 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 12, a. 13

dai fantasmi, per I' infusione del lume divino, una più ricca cogni-
zioné.
3. La fede è una cognizione, perchè l'intelletto è determinato dalla
fede ad aderire a un oggetto conoscibile. Ma questa adesione a una
[verità) determinata non è causata dalla visione [o dall'evidenza]
di colui che crede, ma dalla visione di colui al quale si crede. E cosl,
in quanto manca l'evidenza, la fede resta al disotto della cognizione
scientifica: infatti la scienza detennina l'intelletto a una data ve-
rità per l'evidenza e l'intelligenza dei primi principii. '

1 Tra fede e scienza la dUTerenza è questa, che nella prima la visione (ossia
la scienza certa) di colui a cui crediamo determina Il nostro assenso (riteniamo
vero ciò che lui dice perchè sappiamo che lui sa) ; mentre nella seconda l'assenso
è determinato dalla nostra propria visione Intellettiva. Ne segue che !"oggetto pro-
prio della scienza è posseduto più pienamente e più connaturalmente da noi, che
non l'oggetto della fede. Ma la fede divina, d'altra parte, appoggiandosi all"au-
LA NOSTRA CONOSCENZA DI DIO ~1

ex phantasmatibus plenior cognitio accipitur, ex infusione divini lu-


minis.
Ao TERTIUM DICENDUM quod fides cognitio quaedam est, inqnantum
intellectns deterrninatur per fidem ad aliquod cognoscibile. Sed haec
determinatio ad unum non procedit ex visione credentis, sed a vi-
sione eius cui creditur. Et sic, inquantum deest visio, deficit a ra-
tione cognitionis quae est in scientia: nam scientia determinat in-
tellectnm ad unum per visionem et intellectum primorum princi-
piorum.

torltà e alla scienza di Dio partecipata In noi, e avendo per oggetto proprio una
realtà più nobile assai, supera In dignità la ~clenza ed è più certa di questa, seb-
bene non escluda talvolta una certa agitazione nell'animo del credente e lo lasci
insoddisfatto ; polchè la fede cl è data più per orientarci verso la piena cognizioni
di Dio nella gloria, che non per appagare 11 nostro desiderio di conoscerlo (cfr.
ll-11, q. 1, aa. 1·4; q. 2, a. 1).
QUESTIONE 13
I nomi di Dio.•

Dopo avere studiato ciò che concerne la conoscenza di Dio, biso-


gna procedere allo studio dei nomi di Dio, poichè noi nominiamo
tutte le cose nel modo in cui le conosciamo.
In proposito si fanno dodici quesiti: 1. Se noi possiamo dare un
nome a Dio; 2. Se alcuni nomi detti di Dio designino la sua sostanza;
3. Se alcuni nomi si dicano di Dio in senso pmprio, ovvero se tutti gli
si attribuiscano in se.nso metaforico; 4. Se i vari nomi che si dicono
di Dio siano sinonimi; 5. Se alcuni nomi si attI'ibuiscano a Dio e alle
creature univocamente o equivocamente ; 6. Se tali nomi, supposto
che si dicano analogicamente, si attribuiscano p.cimieramente a Dio
o alle creature; 7. Se alcuni nomi sian detti di Dio dall'inizio del
tempo ; 8. Se il nome Dio sia un nome indicante natura od opera-
zione; 9. Se il nome Dio sia un nome comunicabile ; 10. Se venga
preso univocamente o equivocamente sia per designare il Dio per na-
tura che [per designare un dio] per partecipazione o per opinione ;
11. Se il nome Colui che è sia per eccellenza il nome proprio di Dio;
12. Se si possano su Dio formulare delle proposizioni affermative.

ARTICOLO 1
Se a Dio convenga un nome.

SEMBRA che nessun nome convenga a Dio. Infatti:


1. Dionigi dice che «Di lui non c'è nè nome nè opinione 11. E nella
sacra Scrittura è detto: «Qual è il suo nome e quale nome ha il suo
figliuolo, se lo sai? 11.
2. Ogni nome o si dice in astratto o in concreto. Ora, i nomi con-
creti [importando composizione] non convengono a Dio, perchè egli
è semplice ; neppure gli convengono i nomi astratti, perchè non in-
dicano qualcosa di perfetto e di sussistente. Dunque di Dio non può
dirsi alcun nome.
3. I nomi [sostantivi] indicano una sostanza determinata da una
qualità; i verbi e i participi includono l' idea di tempo; i pronomi
1 La presente questione è strettRmente ronnes.<;;1 con IH fJrecedente riguardante
la nostra cognizione di Dio. :e chlar·J Infatti che, es5€ndo I nomi Il segno del
concetti, noi nominiamo lG cose se~on!lo che le conosci:i. mo. Non conoscendo Dio
ln questa vita se non molto imperfettamente, non solo con la ragionP., ma anche
nella luce della fede, ne segue che non possiamo nominRrlo e parlare di lui. se
non molto Imperfettamente quasi balbettando, come si esprime s. Agostino.
Dio perciò è detto Ineffabile (=non esprtmlhtle a parole). come è detto lnrom-
QUAESTIO 13
De nominibus Dei
In duoaectm arttculos dtvtsa.

CoNSIDERATIS his quae ad divinam cognitionem pertinent, proce-


dendum est ad considerationem divinorum nominum: unumquodque
enim nominatur a nobis, secundum quod ipsum cognoscimus.
Circa hoc ergo quaeruntur duodecim.
Primo: utrum Deus sit nominabilis a nobis. Secundo: .1trnm ali,
qua nomina dieta de Deo, praedirentur de ipso substantiaìiter. Ter-
tio: utrum aliqua nomina dieta de Dea, proprie dicantur de ipso;
an omnia attribuantur ei metaphorice. Quarto: utrum multa nomina
dieta de Dea, sint synonyma. Quinto· utrnm nomina aliqua dica11tur
de Deo et creaturis uni voce, vel aequivoce. Sexto: supposito quod
dirantur analogice, utrum dicantur de Deo per pnus, vel de crea-
tulis. Septimo: utrum aliqua nomina dicantur de Deo ex tempore.
Octavo: utrum hoc nomen Deus sit nomen natura e, >'el operationis.
Nono: utrum hoc nomen Dens sit nomen communicai:nle. Decimo:
utrum accipiatur univoce vel aequivoce, secundum quod significat
Deum per naturam, et per participationem, et secundum orinionem.
Undecimo: utrum hoc nomen Qui est sit maxime proprium nomen
Dei. Duodecimo: utrum propositio11es affirmativae possint formari
de Deo.

ARTICULUS 1
Utrum aliquod :nomen Deo conveniat.
I Sent., d. 1, expos. text., qc. 6; d. 22, a. 1; De Div. Nom., c. 1, lect. 1, a.
Ao PRIMUM src PROCEDlTUR. Videtur quod nullum nomen Deo con-
veniat. Dicit enim Dionysius, 1 cap. De Div. Nom. [lect. 3), quod
"neque nomen eius est, neque opinio n. Et Prov. 30, 4 dicitur:
<e Quod nomen eius, et quod nomen filii eius, si nosti? 11.
2. PRAETEREA, omne nomen ::tut dicitur in abstrarto, aut in concreto.
Sed nomina signiftcantia in concreto, non competunt Dea, cum sim-
plex sit: neque nomina significantia in abstracto, quia non signifi-
cant aliquid perfectum subsistens. Ergo nullum nomen potest dici
de Deo.
3. PRAETEREA, nomina significant substantiam cum qualitate ; verba
nutem et participia significant cum tempore; pronomina autem cum
prensiblle. Ma come l' Incomprensibilità non esclude una certa quale vera cono-
scenza di lui, cosl la sua Ineffabilità non lmpedisce che gli possiamo Imporre del
nomi che veramente significano in ce1·to qual modo le sue intrinseche perfezioni.
Le considerazioni di S. Tommaso contengono preziosi principi! dl ftlosolla del
linguaggio, e hanno molta importanza In teologia, per::!J.è precisano sempre me-
glio la natura della nostra cognizione circa le cose divine e cl Insegnano a espri-
mere, con la migliore proprietà di linguaggio, Dio e I misteri divini.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 1

importano un'indicazione [di ordine spaziale e sensibile] oppure


una relazione. Ora, niente di tutto questo può convenire a Dio: per-
chè egli è senza qualità e senza accidente alcuno, e fuori del tempo;
non cade sotto i sensi in modo che si possa mostrare ; nè può essere
irdicato con i relativi, perchè i [pronomi] relativi si richiamano a
nomi, participi e pronomi dimostrativi detti in antecedenza. Dun-
que Dio non può in nessun modo essere da noi nominato.
IN CONTRARIO: Si legge nella Scrittura: "Il Signore è come un
guerriero~ il suo nome è l'Onnipotente n.
RISPONDO: Come dice Aristotele le parole sono segni dei concetti,
e i concetti sono immagini delle cose. Di qui apparisce chiaro che
le parole si riferiscono alle cose indicate, mediante [però] il concetto
della mente. Sicchè noi possiamo nominare una cosa a seconda della
conoscenza intellettuale che ne abbiamo. Ora, si è già dimostrato
che Dio non può essere veduto da noi in questa vita nella sua es-
senza, ma che è da noi conosciuto mediante le creature per via di
causalità, di eminenza e di remozione. Conseguentemente può essere
nominato da noi [con termini desunti] dalle creature; non però in
maniera tale che il nome, da cui è indicato, esprima la essenza di Dio
quale essa è, così come il termine uomo esprime nel suo significato
proprio la natura dell'uomo [quale essa è]; poichè questo termine
ci dà dell'uomo la definizione, la quale ne esprime la essenza; infatti
lidea espressa dal nome non è che la definizione. 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che Dio non ha no""le o che
è al disopra di ogni denominazione, perchè la sua essenza è al di-
sopra di tutto ciò che noi possiamo concepire o esprimere a parole.
2. Siccome noi arriviamo alla conoscenza di Dio mediante le crea-
ture e da ·esse ne derivano le denominazioni, i no.mi che attribuiamc
a Dio lo esprimono in un modo che [propriamente] conviene alle
creature materiali, la cni cognizione ci è connaturale, come abbiamo
p-ià detto. E poichè tra q11este creature gli enti perfetti e sussistenti
sono composti, mentre la torma loro non è qualcosa di completo e
di sussistente, ma piuttosto il costitutivo di un essere qualsiasi; ne
segue che tutti i nomi, che noi imponiamo per esprimere un essere
completo e sussistente, sono termini concreti, come conviene ai com-
posti; i nomi, invece, che si danno per indicare forme semplici, non
esprimono un essere ~us!'-istente, ma ciò per cui una cosa è ; cosi
bianchezza significa ciò per cui 11n oggetto è bianco. Siccome dunque
Dio è insieme semplice e sussistente, gli attribuiamo dei nomi astratti
per indicare la sua semplicità, e dei nomi concreti per designarne la
sussistenza e la perfezione: nè gli uni nè gli altri però esprimono il
suo proprio modo di essere, come neppure il nostro intelletto, in
questa vita, lo conosce cosi come egli è. 1

1 II procedimento dell'articolo è chinro: I nostri concetti Intorno a Dio deri-


vano dalle creature, che sono effetti di Dio. Il primo concetto che abbiamo di lui,
è appunto questo: Causa prima di tutte le cose. Però sappiamo che egli è su·
perlore in perfezione a tutte le creature, e non ha nessuna delle loro 1mi:ierfezion1
e limiti. Di qui una triplice serie di nomi e di espressioni, elle usiamo per desi-
gnarlo: con alcuni di essi indichiamo la sua reale qualità di Primo Principic>
delle ca;e, Causa Prima Incausata, Fine Ultimo, Esemplare di tutte le perfezioni.
Con altri indichiamo la sua trascendenza in nobiltà su tutte le cose: li Perfet-
&lssimo, lOnnipotente, I' Onnlscente, I' Essere supremo, il Sommo Bene, ecc. Con
altri infine allontaniamo da lui tutto ciò che di lui non è degno ; ogni specie
di materialità, ogni limite, dlcen<lolo: Incorporeo, Infinito, Immutabile, ecc. -
I 1'iOMI DI DIO 295
demonstratione vel relati on e. Quorum nihil competit Deo: quia sine
qualitate est et sine omni accidente, et si.ne tempore ; et sentiri non
potest, ut demonstrari possit ; nec relative significari, cum relativa
sint, aliquorum antedictorum recordativa, vel nominum, vel partici-
piorum, vel pronominurn demonstrativorum. Ergo Deus nullo modo
potest nominari a nobis.
SED CONTRA EST quod dicìtur Ex<>d. 15, 3: « Dominus quasi vir pu-
gna tor, Omnipotens nomen eius ».
RESPONDFO DICENDUM quod, secundum Philosophum 1 Perihermen.,
[c. 1, Iect. 2], voces sunt signn intellectuum, et intellectns sunt rerum
similitudines. Et sic patet quod voces referuntur ad res significandas,
mediante conceptione intellectus. Secundum igitur quod aliquid a
nobis intellectu cognosci potest, sic a nobis potest nominari. Osten-
sum est autem supra [q. 12, aa. 11, 12] quod Deus in hac vita non
potest a nobis videri per suam essentiam ; sed cognoscitur a nobis ex
creaturis, secnndum habitudi nem principii, et per modum excellen-
tiae et remotionis. Sic igitur potest nominari a nobis ex creaturis:
non tamen ita quod nomen signifìcans ipsum, exprimat divinam cs-
sentiam secundum quod est, sicut hoc nomen homo exprimit sua
significatione essentiam hominis secundurn quod est: significat enim
eius definitionem, declarantem eius essentiam; ratio enim quam si-
gnificat nomen, est defmitio [3 Metaphys., c. 7, lect. 16].
AD PRlMUM ERGO DICENDUM quod ea ratione dicitur Deus non ha-
bere nornen, vel esse supra nominationem, quia essentia eius est su-
pra id quod de Deo intelligimus et voce significamus.
AD SECUNDUM DICENDUM quod, quia ex creaturis in Dei cognitio-
nem venimus, et ex ipsis eum nominamus, nomina quae Deo attri-
buimus, hoc modo significant, secundum quod competit creaturis ma-
terialibus, quarum cognitio est nobis cormaturalis, ut supra [ q. 12,
a. 4] dictum est. Et qui a in huiusmodi creaturis, ea quae sunt per-'
fecta et subsistentia, sunt composita; forma autem in eis non est
aliquid completum subsistens, sed magis quo aliquid est: inde est
quod omnia nomina a nobis irnposita ad sib111ificandum aliquid com-
pletum subsistens, significant in concretione, prout competit compo-
sitis; quae autem imponuntur ad significandas fprrnas simplices,
significant aliquid non ut subsistens, sed ut quo aliquid est, sicut
albedo significat ut quo aliquid est album. Quia igitur et Deus sim-
plex est, et subsistens est, attribuimus ei et nomina abstracta, ad si-
gnificandam simplicitatem eius; et nomina concreta, ad signiftcan-
dum subsistentiam et perfectionem ipsius: quamvis utraque nomina
deficiant a modo ipsius, sicut intellectus noster non cognoscit eum
ut est, secundum hanc vitam.

Come cl formiamo un concetto proprio t!.I Dio per la vta della causalttà, del.-
l'eminenza e della remoztone (vedi p. 286, nota 1), cosi per le ftesse vie cl tor·
mlamo le parole e le espressioni che lo significano, come è rlllesso dai nostri
concetti. Ogni nome, per es5ere proprio di Dio, deve contenere questo trlpllce
aspetto, almeno lmpllcitament~.
• Le cose che II nostro Intelletto conosce, come suo oggetto proprio, sono le cose
di c1uesto mondo fisico. Ed esse sono composte di elementi essenziali ed acciden-
tali ; e non sono I slngoll elementi che propriamente esistono, ma il composto:
p. es., è il vivente che esiste, D10r. l'essere suo, la sua vita, la sua figura. llla il ~1·
vente è eslsteJJte per l'essere, vivente per la vita, figurato per la figura. Onde
essere, vita, figura - realtà astratte - non sono ciò che è, ma ciò per cn! li vi-
vente è esistente, vivo, figurato: realtà semplici, ma non sussistenti ; mentre Il
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 1-2

3. Indicare una sostanza specificata da una qualità equivale a in-


dicare il supposito con la natura o la forma determinata, nella quale
sussiste. 1 Quindi come si danno a Dio dei nomi concreti per indi-
carne la sussistenza e la perfezione come si è detto, così gli si attri-
buiscono nomi che ne indicano l'essenza qualificata. Quanto ai verbi
ed ai participi significanti il tempo, si dicono" di Dio per la ragione
che l'eternità include tutti i tempi: come infatti non possiamo nè cmi-
cepire nè esprimere le realtà semplici e sussistenti se non alla. ma-
niera dei composti, cosi non possiamo intendere ed esprimere a pa-
role la semplice eternità che nella maniera delle cose temporali: e
ciò per la connaturalità del nostro intelletto con le cose composte e
temporali.• I pronomi dimostrativi poi si applicano a Dio per addi-
tarlo quale oggetto d' intelligenza, non già e-0me oggetto dei sensi ;
dal momento infatti che cade sotto la nostra intelligenza, cade an-
che sotto la nostra designazione. E cosi, al modo stesso che appli-
chiamo a Dio nomi, participi e pronomi dimostrativi, lo possiamo
anche indicare con pronomi relativi. •

ARTICOLO 2
. Se qualche nome detto di Dio ne significhi l'essenza.•

SEMBRA che nessun nome detto di Dio ne indichi l'essenza. Infatti:


1. Dice il Damasceno: «Ognuno dei nomi che si dicono di Dio non
sta a significare quel che egli è secondo l'essenza, ma a dimostrare
quel che non è, o una qualche relazione, oppure qualcuna di quelle
cose che àccompagnano la natura o l'operazione"·
2. Dionigi afferma: «Troverai che tutti gli inni dei sacri dottori
che dividono in lodi e manifestazioni gli arpellativi di Dio, sono ài-
retti alle libere produzioni della potenza divina». E ciò significa che
i nomi, usati dai sacri dottori per la divina lode, si distinguono
in rapporto agli effetti che proceriono dallo stesso Dio. Ora, ciò che
ìndica la produzione [o l'effetto] di una cosa, non indica niente di
essenziale della cosa stessa. Dunque i nomi detti di Dio, 11on espri-
mono la sua essenza.
3. Una rosa viene da noi nominata nel modo che la si conosce.
Ora in questa vita noi non cono~ciamo Dio secondo la sua sostanza.

composto è sussistente, ma non semplice. Come dirà spesso S. Tommaso, In tutti


l nostri concetti ci sarà sempre Il riflesso di questi modi di ess~re della realtà,
da cui l'Intelletto prende le mosse per pensare. E quando pensa a I>io e lo no-
mina, pensandolo come sussistente non può non forma.re nella mente un con-
cetto in certo qual mod•) comp:>sto e denominarlo con un nome c-0ncr<'to: pen-
sandolo 1m·ece com~ semplice porta nei suoi concetti le tracce di realtà Incapaci
di esistere, e lo no'l1ina e.on nomi :i5tratti. Sia nell'uno come nell'altro caso il
concetto e l'espressione sono Inadeguate alla realtà divina.
1 Per es., Il termine " uomo• indica un supposito (=un essere snssistentel de-
terminato a una categoria di esseri dalla natura umana; Il termine " bianco •
Indica un supposit-0 determinato da una qualità o forma accidentale, la bian-
chezza.
• L'eternità include tutto Il tempo, non formalmente, quasi cioè comr>osta essa
lltessa dalle parti del tempo come una successione senza fine; ma virtualmente.
I NOMI DI DIO 297
An TERTIUM DICENDUM quod significare substantiam cum qualitaté,
est significare suppositum cum natura vel forma determinata in qua
subsistit. linde, sicut de Deo dicuntur aliqua in concretione, ad si-
gnificandum subsistentiam et perfectionem ipsius, sicut iam [ad 2]
dictum est, ita dicuntur de Deo nomina significantia substantiam
cum qualit.ate. Verba vero et participia consignificantia tempus di-
cuntur de ipso, ex eo quod aeternitas includit omne tempus: sicut
enim simplicia subsistentia non possumus apprehendere et signifi-
care nisi per modum compositorum, ita simplicem aeternitatem non
possumus intelligere vel voce exprimere, nisi per modum tempora,.
lium rerum ; et hoc propter connaturalitatem intellectus nostri ad
res compositas et temporales. Pronomina vero demonstrativa dicun-
tur de Deo, secundum quod faciunt dernonstrationem ad id quod in-
telligitur, 1:on ad id quod sentitur: secnndum enim qnod a nobis
intelligitur, secundum hoc sub demonstratione cadit. Et sic, secnn-
C:um illum modum quo nomina et participia et pronomina demon-
strativa de Deo dicuntur, secundum hoc et pronominibus relativis
significari potest.

ARTICULUS 2
Utrum aliquod nomen dicatur de Deo substantialiter.
I Sent., d. 2, a. 2; I Coni. Gent., c. 31; De Pot., q. 7, a. 5.
AD SF.CUNDUM SIC PROCEDITU!I. Videtur quod nullum nomen dicatur
<la Deo subatantialiter. Dicit enim Damascenus [De Fide Orth., 1. 1,
c. 9]: "Oportet singulum eorum quae de Deo dicuntur, non quid est
Eecundum substantiam significare, sed quid non est ostendere, aut
l.abitudinem quanJarn, aut aliquid eorum quae assequuntur natu-
ram vel operationem ».
2. PR.\ETEflEA, dicit Dionysius, 1 cap. De Div. Nom. [lect. 2]: « Om-
nem sanctorum theologorum hymnum invenies, ad bonos thearchiae
processus, manifestative et laudative Dei nominationes dividentern ":
et est sens11s, qnod nomina quae in divinam laudem sancti doctores
.assumunt, secundum processus ipsius Dei distinguuntur. Sed quod
significat proces:mm alic11i11s rei, nihil significat ad eius essentiam
pertinens. Ergo nomma dirta. de Deo, non dicuntur de ipso substrui-
tialitcr.
3. PRAETEflEA, secundum hoc nominatur aliquid a nobis, secundum
quod intelligitur. Sed non intelligitur Deus a nobis in hac vita secun-

in quanto ne è c~usa efficiente. ed ese::nplare precontenente la entità o attualit~


-che il tempo possi~àe nell'attimo del presente o ha posseduto hel passato -O pos-
srderà n~ll'~vv('nire: esrlnrtcndo Jl€fò il flusso e la successione che è l'essenza
propria del tempo. Veramente quindi l'esistenza che si esprime con I verbi (esi-
stenza in passato, In ruturo, In prffiente) è inclusa nell'eternità, ma senza passat-0 e
senza futuro, in un perenne pre5ente. Per cui i termini temporali esprimono tanto
imperfettamente l'Eterno.
• Si può dunque dire: Il Dio che ha creato 11 cielo e la terra.... Questo Dio, che
premia i giusti, ecc., senza che I vari pronomi indicativi o relatlvt da noi adope-
rati possano dar luogo a Inconvenienti di sorta.
• Non cl si meravi'l'li per la traduzione di • substantia • con essenza. S. Tom-
maso usa promiscuamente i tre termini r.he traducono l'oli.,ta di Aristot.ele: so-
titanza, essenza, natura.
298 LA SOl\fMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 2

Dunque neppure i nomi da noi imposti vogliono esprimere la natura


di Dio.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: "In Dio è tutt'uno, essere ed es-
sere torte, o essere sapiente, e qualsinsi altra cosa che vorrai affer-
mare di quella semplicità, e: dalla quale è significata la sua so-
stanza"· Dunque tutti questi nomi stanno &. significare la sostanza
[o la natura] di Dio.
RISPONDO: I nomi che si attribuiscono a Di-0 in senso negativo o
che significano un suo rapporto con le creature, evidentemente non
esprimono in alcun modo la sua essenza., ma indicano eliminazione
di un qualche e-0sa da lui, o relazione di lui verso altre cose, o
meglio di altre cose verso di lui. Ma iie si tratta di nomi che si
applicano a Dio in modo assoluto e affermativo, come: buono, sa-
piente e cosi via, allora c'è diversità di opinione.
Alcuni han detto che tutti questi nomi, sebbene si dicano di Dio
affermativamente, sono stati trovati piuttosto per eliminare da Dio
qualche cosa, anzichè per porre alcunchè in lui. Perciò affermano
che quando noi diciamo che Dio è vivente, intendiamo dire che non
è al modo delle cose inanimate; e cosi andrebbero presi gli altri
[nomi]. Così pensava Rabbi Mosè. 1 ·-Altri poi dicono che tali nomi
sono stati dati per indicare dei rapporti esistenti tra Dio e le sue
creature, in maniera che, quando, p. es., diciamo che Dio è buono, il
senso sarebbe questo: Dio è causa della bontà nelle cose. E cosi per
tutti gli altri.
Ma nè l'una nè l'altra di queste opinioni soddisfa, per tre motivi.
Prima di tutto, perchè nessuna di esse sarebbe sufficiente ad as-
segnare la ragione per cui si dicono di Dio alcuni nomi a prefe-
renza di altri. Dio infatti come è causa dei beni, così è anche causa
dei corpi: quindi, se col dire "Dio è buono», nient'altro Si vnol
significare se non che. "Dio è causa del bene n, si dovrebbe poter
dire ugualmente che Dio è corpo, perchè è causa dei corpi. Inoltre:
dicendolo corpo, si esclude che sia un ente soltanto in potenza, come
la materia prima. - Secondo, perchè ne seguirebbe che tutti i nomi
applicati a Di-0, si direbbero di lui per derivazione, come sano si
dice della medicina per derivazione perchè significa soltanto che
essa è causa della sanità nell'animale, il quale è detto sano in senso
pieno e inderivato. - Terzo, perchè è in contrast-0 col pensiero di chi
parla di Dio. Difatti chi dice che Dio è vivente, non intende affermare

• Mosè Matmontde, filosofo ebreo del secolo XII (1135-1204) nato a Cordova. Nel
!UO libro, Intitolato In ebraico Morell Neliuktm, ossia Gutdq tlet perples.çt, nia
scritto da lui In arabo, sostiene questa posizione agnostica, la quale è propria
di una corrente della filosofia neoplatonica, 'econdo cui la mente umana avrebbe
una Incapacità assoluta a nulla detennlnare circa Dio. La dottrina di S. Tom-
maso conserva la buona parte di vero, che questa posizione contiene; ma ne cor-
regge l'ecces50. La via remotMnis, come si é detto altrove (cfr. Introd., nn. 23 ss.),
è veramente un mezzo per rendere il nostro concetto di Dio più puro, più di-
stinto, perchè per es&a evitiamo Il pericolo di confondere Dio con l]ualslasl r.rea-
tura; ma va unita alle vie cauwlttalt~ ed exceller>.llae, che et permettono di
oonoscerlo anche positivamente, sebbene imperfettlssimarnen!e. Per la distanza
appunto eh.e e' è tra la perfezione della creatura e quella di Dio. essendo i nostri
concetti e I nostri nomi desunti dalle creature, la cui perfezione è limitata, bi-
sogna che ogni affermazione sia corretta da una forte negazione; ogni concetto e
ogni nome affermi e neghi lmpl!cltamente, perché Io si ~·os'a a pplkare a Dio;
attenni in lui la realtà delle perfezioni sempl!cl, ne rimuova I limiti e le defi-
cienze secondo cui è realizzata nelle creature, ed Insieme asserisca che la realtà
I NOMI DI DIO 299
d11m suam substantiam. Ergo nei: aliquod nomen impositum a nobis,
dicitur de Deo secundum suam substantiam.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, 6 De Trinit. [c. 4): « Deo hoc
est esse, quod fortem esse vel sapientem esse, et si quid de illa sim-
plicitate dixeris, quo eius substantia significatur 11. Ergo omnia no-
mina huiusmodi significant divinam substantiam.
RESPONDEO DICENDUM quod de nominibus quae de Deo dicuntur ne-
gati \'e, vel qua e relationem ipsius ad creaturam significant, manife-
stum est qnod snhstantiam eius nullo modo signifìcant; sed remo-
tionem alicuius ab ipso, vel relationem eius ad alium, vel potius ali-
cuius ad ipsum. Sed de nominibus quae absolute et affirmative de
Deo dicuntur, sicut bonus, sapiens, et huiusmodi, multipliciter aliqui
sunt opinati. ~
Quidam enim dixerunt quod haec omnia nomina, licet affirmative
de Deo dicantur, tamen magis inventa sunt ad aliquid removendum
a Deo, quam ad aliquid ponendum in ipso. Unde dicunt quod, cum
dicimus Deum esse vhentem, signifìcamus quod Deus non hoc modo
est, sicut res inanimatae: et similiter accipiendum est in aliis. Et
hoc posuit Rabbi Moyses [in libro Doctor Perplexorum, part. 1, c. 58].
- Alii vero dicunt quod haec nomina imposita sunt ad significandum
habitudinem eius ad creata: ut, cum dicimus « Deus est bonus», sit
sensus, « Deus est causa bonitatis in rebus"· Et eadem ratio est in
aliis.
Sed utrumque istorum videtur esse inconveniens, propter tria.
Primo quidem, quia secundum neutram harum positionum posset
assignari ratio quare qnaedam nomina magis de Deo dicerentur
qnam alia. Sic enim est causa corporum, sicut est causa bonorum:
unde, si nihil ali ud signifìcatur, cum dicitur « Deus est bonus'" nisi
« Deus est causa bonorum », poterit similiter dici quod cc Deus est
corpus n, qui a est causa corporum. Item, per hoc quod dicitur quod
est corpus, removetm· qnod non sit ens in potentia tantum, sicut
materia prima. - SeCllndo, quia sequeretur quod omnia nomina dieta
de Deo, per posterius dicerentur de ipso: sicut sanum per posterius
dicitur de medicina, eo quod signifìcat hoc tantum quod sit causa
sanitatis in animali, quod per prius dicitur sanum. - Tertio, quia
hoc est contra intentionem loquentium de Deo. Aliud enim intendunt

affermata è solo proporzionale a quella della creatura, da cni desumiamo il co'l-


cetto. La semplicissima realtà divina così designata, in se stessa ci è ignota, J'.Jer
la sua infinita superiorità. Sicch~ S. Tomma!!D giunge fino a dire che que,.to modo
negativo di conoscere Dio è per noi il più alto e il più perfetto e ci avvicina di
più alla vern nozione di Dio. «Alla conoscenza propria di una cosa infatti ~i per-
viene non solo per mezzo delle affermazioni, ma anche per mezzo delle negazioni ;
come Infatti proprietà dell'uomo è di essere animale ragionevole, cosi sua proprietà
è di non essere inanimato nè irrazionale. Ma la differenza tra i due modi di co-
gnizione è questa. che nella conoscenza propria, avuta, per mezzo delle afferma-
zioni :;i sa che cosa è la realtà conosciuta e come si distingue dalle altre cose;
invece nella cognizione avuta per mezzo delle negazioni si sa che è distinta dalle
altre realtà, ma resta sconosciuto che cosa è In se stessa. Tale è la cognizione pro-
pria che si ha di Dio per mezzo delle nostre dimostrazioni " (3 Cont. Gen t., c. 9).
Questa via è detta anche ptù sicura, perchè, aggiunge S. Tommaso, evitiamo 11
pericolo di confondere Dio con qualsiasi creatura, e "di Dio non mai· cosi ret-
tamente pensiamo, come quando lo distinguiamo perfettamente dalle creature ne-
gando assolutan1ente che sia qualcosa di creato"· li che armonizza con I' inse-
gnamento del IV Concilio Laterano, che dice: •tra Dio e la creatura non si può
notare una somiglianza tanto grande, senza una dissomiglianza ancora Più grande•
(DENZ., 4~2).
300 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 2

ohe semplicemente sia ca.usa della nostra vita, o che differisca da i


corpi inanimati.
Perciò bisogna dire diversamente, che cioè tali nomi significano,
sl, la divina sostanza e si attribuiscono all'essenza di Dio, ma che
lo rappresentano in modo insufficiente. Ed ecco la prova. I vocaboli
significano Dio in base alla conoscenza che di lui ha il nostro in-
telletto. Ora, siccome il nostro intelletto conosce Dio attraverso le
creature, lo conoscerà nella misura che le creature glielo rappre-
sentano. [)'altra parte, sopra si è dimoi:otrato che Dio precontiene
fu se medesimo tutte le perfezioni delle creature, perchè assoluta-
mente e universalmente perfetto. Cosi~chè ogni creatura in tanto lo
rappresenta e gli assomiglia, in quanto possiede una qualche per-
fezione; uon rosl però da rappresentarlo come un qualcosa della
stessa specie o dello stesso genere. ma come un principio trascen-
dente, dalla cui forma gli effetti sono ben lontani, ma col quale tut-
tavia hanno una certa somiglianza; come [p. es.] le forme dei corpi
inferiori rappresentano la virtù del sole. 1 Tutto ciò fu esposto sopra,
quando si trattò della divina perfezione. Così, adunque, i predetti
nomi significano la divina sostanza, però imperfettamente, come
anche le creature la rappresentano in modo imperfetto.
Sicchè, quando si dice "Dio è buono», non si vnol già dire che
Dio è causa del bene, o che Dio non è cattivo ; ma il senso è questo:
"quello che noi chiamiamo bontà nelle creature, preesiste in Dio•»
e in modo ben più alto. Quindi a D:o conviene la bontà non perchè
è causa del bene; ma piuttosto è tutto il contrario: per il fatto che
è buono effonde la bontà nelle cose; secondo il detto di S. Agostino:
u perchè Dio è buono, noi esistiamo .... ». ~
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Damasceno dice che tali nomi
non significano quello che Dio è, perchè nessuno di essi lo esprime
perfettamente; ma ognuno lo indica imperfettamente, come anche
imperfettamente lo rappre<;entano le creature.
2. Nella significazione delle parole talora non corrispondono la cosa
da cui si desume un termine e quella per cni si adopera: p. es.:
ii latino la71is (pietra) deriva da: laeaere pedem, offendere il piede;
però non si adopra per indicare ciò che offende il piede, ma per si-
gnificare, una specie di corpi ; altrimenti tutto ciò che offende il
piede sarebbe lapis (pietra).• Cosi dunque si deve dire che quei nomi
divini si desumono dagli effetti che derivano dalla divinità; infatti,
come le creature rappresentano Dio, per quanto imperfettamente se-
eondo partecipazioni diverse di perfezioni, così il nostrù intelletto
conosce e nomina Dio secondo ciascuna di queste derivazioni. Tut-
tavia non applica [a Dio] questi nomi per indicare le varie deriva-
zioni quasi che nel dire "Dio è un vivente» volesse intendere "da
Dio deriva la vita» ; ma per indir.are lo stesso principio delle cose,
in quanto in esso preesiste la vita, sebbene in modo più elevato di
quello che noi possiamo capire ed esprimere.

' Nella viV1 delle piante: fioritura, fruttificazione, ecc., è rappresentata la virtù
attiva del sole, In modo l.Jen diverso e lontano dalla natura di esso.
2 S. Tommaso in~ist~ volentieri su questo concetto che la bontà di Dio, come Il
suo amore. ha un primato reale e logico su ogni bontà e ogni realtà creata (vedi
sopra qq. 5, 6; ctr. 1-11, q. 110, a. 1). Sebbene non si abbandoni al trasporti mi-
sllcl e alle espressioni poetiche. si ~ente nei suoi rilievi lo stesso calore che l'ltr<>-
vlamo nelle parole che S. Caterln:i. da Siena pone sulle labbra di Cristo: •Come
I NOMI DI DIO 301
dicere, cum dicunt Deum viventem, quam quod sit causa vitae no-
strae, vel quod differat a corporibus inanimatis.
Et ideo aliter dicendurn est, quod huiusrnodi quidem nomina signi-
flcant snbstantiam divinam, et praedicantur de Deo substantialiter.
sed ùeflciunt a repraesentatione ipsius. Quod sic patet. Signiflcant
enirn sic nomina Denm, secundum quod intellectus noster cognoscit
ipsurn. Intellectus autem noster, cum cognoscat Deum ex creaturis,
sic cognoscit ipsum, secundum quod creaturae ipsum repraesentant.
Ostensum est autem supra [ q. 4, a. 2] quod Deus in se praehabet
omnes perfectiones creaturarum, quasi simpliciter et universaliter
perfectus. Unde quaelibet creatura intantum eum repraesentat, et est
ei similis, inquantum perfectionem aliquam habet: non tamen ita
qnod repraesentet eum sicnt nli·111id .~iusdem speciei vel generis, sed
sicut excellens principium, a cuius forma effectus deficiunt, cuius
tamen aliqualem similitudinem effectus consequuntur; sicut formae
corporum inferiorum repraesentant virtutem solarem. Et hoc supra
[q. 4, a. 3] expositurn est, cum de Perfectione divina agebatur. Sic
igitur praedicta nomina divinam substantiam signiflcant: imp€r-
tecte tamen, sicut et creaturae imperfecte eam repraesentant.
Cum igitur dicitur "Deus est honus n, non est sensus, « Deus est
causa bonitatis », vel "Deus non est malus '': sed est sensus, «id
quod bonitatem dicimus in creaturis, praeexistit in Deo » et hoc qui-
dem secundum modurn altiorern. Unde ex hoc non sequitur quod Deo
cornpetat esse bonum inquantum causat bonitatem: sed potius e con-
Yerno, quia est bonus, bonitatem rebus diff1mrlit, ;:ecundum illud
Augustini, De Doct. Christ. [I. 1, c. 32]: « inquantum bonus est,
SllIDUS».
Ao PRlMUM ERGO DICENDUM quod Damascenus ideo dicit quod haec
nomina non signitìcant quid est Deus, quia a nullo istorum nominum
exprimitur quid est Deus perfecte: sed unumquodque imperfecte
euro signifìcat, sicut et creaturae irnperfecte eum rnpraesentant.
Ao sECUNDUM DICENDUM qnod in signifìcatione norninum, aliud est
quandoque a quo imponitur nornen ad significandurn, et id ad quod
significandnrn nomen imponitur: sicut hoc nomen lapis imponitur
ab eo quod laedit pedem, non tamen irnponitur ad hoc signifìcandum
quod significet laedens pedem, sed ad significandarn quandam spe-
ciem corporurn; alioquin ornne laedens pedem esset lapis. Sic igitur
dicenùurn est quod huiu~modi divina nomina imponuntur quidem a
processibus deitatis: sicut enim secundurn diversos processus perfe-
ctionurn, creaturae Deum repraescntant, licet irnperfecte; ita intelle-
ctus noster, secundurn unurnquernque processum, Deum cognoscit et
norninat. Sed tarnen haec nomina non irnponit ad significandurn
ipsos procr'ssus, ut, cum dicitur « Deus ~st vinns" sit sensus, "ab
eo procedit vita n: sed ad sig-nific:mdurn ips11m rerurn principium,
prout in eo praeexistit vita, licet eminentiori modo quarn intelligatur
vel significetur.

l'amore vi trasse dal seno del Padre mio, creandovi con la sapienzia sua ; cosl
e~so amore vi conserva: chè voi non siete fatti d'altro che d'amore. Se ritraesse
a sè l'amore con quella potenzia e sapienzia con la quale egli vi creò, voi non sa-
reste,, (Lettera XIV. ed. Mlsclattelll. vol. I, p. 65).
• La dottrina è vera anche se la etimologia di lapts non corrisponde a verità.
I d12ionari anche più comuni cl danno spesso di un nome Il significato eUmolo-
gtco e Il significato reale: due sen3i talora molto distanti.
302 LA SOMMA TEOLOGfCA, J, q. 13, aa. 2-:.t

3. In questa vita noi non possiamo conoscere l'essenza di Dio come


è in se stessa; ma la conosciamo nel modo che si trova rappresentata
nelle perfezioni delle creature. Proprio cosi la desibrriano i nomi da
noi imposti.

ARTICOLO 3
Se qualche nome si dica di Dio in senso proprio.

SE'.IBRA che nessun nome debba dirsi di Dio in senso proprio. In-
fatti:
1. Tutti i nomi che diamo a Dio sono presi dalle creature, come
si è detto. Ora, i nomi delle creature si dicono di Dio in senso meta-
forico, come quando si dice che Dio è pietra, leone e cosi via. Dun-
que tutti i nomi che si dicono di Dio sono usati in senso metaforico.
2. Nessun nome è detto in senso proprio di colui del quale con più
verità è negato anzichè affermato. Ora, tutti questi nomi: buono,
sapiente e simili, con più verità vanno negati piuttosto che affermati
di Dio, come dimostra Dionigi. Dunque nessuno di tali nomi è detto
di Dio in senso proprio.
3. I nomi dei corpi non si prerlicano cli Dio se non metaforica.-
mente, essendo egli incorporeo. Ora, tutti questi nomi implicano
delle condizioni materiali: includono infatti nel loro significato
lidea di tempo, di composizione e di altre simili cose, che sono con-
dizioni proprie dei corpi. Dunque tutti questi nomi Si predicano di
Dio metaforicamente.
IN CONTRARIO: Scrive S. Ambrogio: "Ci sono dei nomi che ci mo-
strano all'evidenza le proprietà della divinità; altri che esprimono
la chiara verità della maestà divina ; altri poi che si dicono di Dio
in senso traslato per similitudine». Non tutti i nomi, dunque, si di-
cono di Dio metaforicamente; ma alcuni si dicono in senso proprio.
RISPONDO: Come a libiamo già eletto, noi conosciamo Dio dalle per-
fezioni che egli comunica alle creature ; le quali perfezioni si ritro-
vano in Dio in grado ben più eminente che nelle creature. Ma il
nostro intelletto le apprende nel modo che si trovano nelle creature ;
e come le apprende, cosi le esprime a parole. Nei nomi dunque che
attribuiamo a Dio, ci son da considerare rlue cose: cioè, le perfe-
zioni stesse significate, come la bontà, In Yita, ecc., e il modo di si-
gnificarle. Riguardo dunque a ciò che tali nomi significano, conven-
gono a Dio in senso proprio, e anzi più proprio che alle stesse crea-
ture, e si dicono di lui primariamente. Quanto invece al modo di
significarle, non si dicono di Dio in sPnso proprio, perchè hanno un
modo di significarle che conviene alle creature.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Certi nomi esprimono le perfezioni
comunicate da Dio alle cose create in maniera che lo stesso modo
imperfetto, col quale la perfezione divina è partecipata dalla crea-
tura, è incluso nello stesso significato del termine, come, p. es., la
parola pietra significa nn essere che esiste [solo) nella materia: e
tali nomi non si possono dttribuire a Dio se non metaforicamente.
Altri nomi invece significano le stesse perfezioni in modo assoluto,
I NOMI DI DIO 303

AD TERTillM DICENDl'M quod essentiam Dei in hac vita cognoscere


non possumus secundum quod in se est: sed cognoscimus eam se-
cunct nm quod repraesentatur in perfectionibus creaturarum. Et sic
nomina a nobis imposita eam significam.

ARTICULUS 3
Utrum aliquod nomen dicatur de Deo proprie.
1 se'iit., d. '· q. 1, a. t ; d. 22. a. 2; d. 33, a. 2 ; d. 35, a. t, ad 9 i
I Coni. Gent., c. 30; De Pot., q. 7, a. 5.

Ao TERTITJM sic PROCEDITUR. Videtur quod nullum nomen dicatur de


Deo proprie. Omnia enim nomina quae de Deo dicimus, sunt a crea-
turis accepta, nt dictum est [a. 1]. Sed nomina creaturarum meta-
phorice dicuntnr de Deo, sicut cum dicitur Deus est lapis, vel leo, vel
aliqnid huiusmodi. Ergo omnia nomina dieta de Deo, dicuntur me-
taphorice.
2. PRAETEP.EA, nullum nomen proprie dicitur de aliquo, a quo verius
removetur quam de eo prnedicetur. Sed omnia huiusmodi nomina,
bonus, sapiens, et similia, verius removentur a Dea quam de eo prae-
dicentur, ut patet per Dionysium, 2 cap. Cael. Hier. Ergo nullum
istorum nominum proprie dicitur de Deo.
3. PR.\ETF.:DEA, nomina corporum non dicuntur de Deo nisi metapho-
rice, cum sit incorporeus. Sed omnia huinsmodi nomina implicant
quasdam corporales conditiones: signifìcant enim cum tempore, et
cum compositione, et cum a!iis huiusmodi, quae sunt .conditiones
corporum. Ergo omnia huiusmodi nomina dicuntur de Deo meta-
phorice.
SED CONTJIA EST quod dicit Ambrosius, in Ii b. 2 De Fide [in prol.]:
cc Sunt quaedam nomina, quae eYidcntr.r proprietatem divinitatis
ostend1mt; et quaedam q11ae perspicuam divinae maiestatis expri-
munt vt~ritatem; alia vero sunt, quae translative per similitudinem
de Deo dicuntur n. Non igitur omnia nomina dicuntur de Deo meta-
phorice, secl aliqua dicuntur proprie.
RESPONDEO DICENDUM quod, sicut dictum est [a. praec.], Deum co-
gnoscimus ex perfectionibus procedentibus in creaturas ab ipso; quae
quidem perfectiones in Deo sunt secundum eminentiorem modum
qnam in creat11ris. lntellect11s autem noster eo modo apprehendit
eas, sec11nd11m quod sunt in creaturis: et secundum quod apprehen-
dit, ita significat per nomina. In nominibus igitur quae Deo attribui-
mus, rst duo considerare: scilicet, perfectiones ipsas signifìcatas, ut
bonitatem, vitam, et huiusmodi; et modnm signifìcandi. Quantum
iiritm ad id quod sip:niftcant huiusmodi nomina, proprie competunt
Deo, et magis proprie quam ipsis creaturis, et per prius dicuntur de
eo. Quantum vero ad modum signiftcandi, non proprie dicuntur de
Deo: habent enim modum signifìcandi qui creaturis cpmpetit.
AD PIUMUllf ERGO DICEè'i!DUM quod quaedam nomina signifìcant huius-
modi perfectiones a Deo procedentes in res creatas, hoc modo quod
ipse modus imperfect11s quo a creatura participatnr divina p,e:ffectio,
in ipso nominis significato includitur, sicut lapis signifìcat aliquid
materialiter ens: et huiusmodi nomina non possunt attribui Deo nisi
metapl1-0rice. Qnaedam vero nomina significant ipsas perfectiones
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. Ul, aa. 3-4

senza che alcun limite di partecipazione sia incluso nel loro signifi-
cato, come ente, buono, vivente e simili: e questi si dicono di Dio
in senso proprio. 1
2. Dionigi dice che tali nomi si debbono negare a Dio precisamente
per questo, perchè ciò che è espresso nel nome non compete a Dio
nel modo col quale il nome lo significa, ma in una maniera più su-
blime. Perciò Dionigi nel medesimo punto dice che Dio è a: disopra
di ogni sostanza e di ogni vita.
3. Questi nomi che si dicono di Dio in senso proprio, importano
condizioni corporali, non nello stesso significato del nome, ma quanto
al modo di significare. Quelli invece che si applicano a Dio in senso
metaforico, implicano [materialità o] condizivne corporale nello
stesso loro significato. s

ARTICOLO 4
Se i nomi che si danno a Dio siano sinonimi.

SEMBRA che i diversi nomi che si danno a Dio siano dei sinonimi.
Infatti:
1. Si chiamano sinonimi quei termini che significano in tutto la
medesima cosa. Ora, i nomi che si dicono di Dio indicano, in tutto,
la medesima cosa in Dio, perchè la bontà di Dio è la sua ei'senza,
come anche la sapienza. Dunque tutti questi termini sono sinonimi.
2. A chi dicesse che questi nomi significano in realtà la stessa
cosa, però con una diversi I à di concetti, si ribatte: un concetto, a
cui non corrisponde qualcosa di reale, è vano: se dunque questi con-
cetti sono molti e la realtà è una, pare che tali concetti siano vani.
3. Ciò che è uno realmente e concettualmente, è più uno di ciò che
è uno realmente e molteplice comettualmente. Ora, Dio è uno al
massimo ~rado. Dunque paro rhe non sia uno realmente e molte-
plice concettualmente. E così i nomi detti di Dio nOn indicano con-
cetti diversi, e perciò sono sinonimi.
ÌN CONTRARIO: Termini sinonimi, uniti insieme, non sono che un
giuoco di parole, come se si dicesse: La veste è un indumento. ~~
dunque tutti i nomi detti di Dio sono sinonimi, non si potrà pm
dire convenientemente Dio buono ed espressioni consimili; eppure
sta scritto in Geremia: " O fortissimo, o grande, o potente, il cui
nome è il Signore degli eserciti».
H.ISPONDO: I nomi che si danno a Dio non sono sinonimi Asserzione,
questa, facile a provarsi se dicessimo che questi nomi sono stati in-
trodotti per esdudere qualche cosa da Dio, o per designare il suo
rapporto di causa verso le creature: chè allora sotto questi nomi vi
sarebbero diverse nozioni secondo le varie cose negate, o secondo i
diversi effetti che si hanno di mira. Ma anche stando a quel che

' Le prime perfezioni si dicono "perfezioni miste•; le seconde sl dicono •per·


fezionl semplici•· \Vedi p. 286, noia 1).
2 Vi sono dunque dei nomi che, quanto alla perfezione che esprimono, sono atti
a qualificare propriamente l'infinita perfezione divina. Sono nomi di realtà sem-
I NOMI DI DIO 305

absolute, absque hoc quod aliquis modus parlicipandi claudatur in


eorum significatione, ut ens, bonum, tivens, et huiusmodi: et talia
proprie dicuntur de Deo.
AD SECUNDUM DICENDUM quod ideo huiusmodi nomina dicit Diony-
sius negari a Deo, quia id qnod significatur per nomen, non c-0nvenit
eo modo ei, quo nomen significat, sed excellentiori modo. Unde ibi-
dem dicit Dionysius quod Deus est u super omnem substantiam et
vitam "·
AD TERTIUM DICENDUM quod ista nomina quae proprie dicuntur de
Deo, important conditiones corporales, non in ipso significato nomi-
nis, sed quantum ad modum signifìcandi. Ea vero quae metaphorice
de Deo dicuntur, important conditionem co1·poralem in ipso suo si-
gnificato.

ARTICULUS 4
Utrum nomina dieta de Deo sint nomina synonyma.
I Sent., d. 2, a. 3; d. 22, a. 3; I Cont. Gent., c. 35; De Pot., q. 7, a.. O;
Compend. Theol., c. 25.

AD QUARTllM SIC PROCEDITT:R. Videtur quod ista nomina dieta de Deo,


sint nomina synonyma. Synonyma enim nomina dicuntur, qua.e om-
nino idem signiftcant. Sed ista nomina dieta de Deo, omnino idem
signifìcant in Deo: qnin bonitas Dei est eius essentia, et similiter
sapientia. Ergo ista nomina sunt omnino synonyma.
2. Si dicatur quod ista nomina signifìcant idem secundum rem,
sed secundum rationes diversas, contra: Ratio cui non respondet ali-
quid in re, est vana; si ergo istac rationes sunt multae, et .res est
una, videtur quod rationcs istae sint vanae.
3. PRAETEREA, magis est urinm quod est unum re et ratione, quam
quod est unum re et multiplex ralione. St>d Deus est rnaxirne unus.
Ergo videtur quod non sit 1mns re et multiplex ratione. Et sic nomina
dieta de Deo non signifìcant rntiont>s divrnms: et ifa sunt synonyma.
SEO CONTRA, omnia synonyma, sil.Ji invicem adiuncta, nng-atiouem
adducunt, sicut si dicatur vestis i11dum1.:nl11m. Si igitur cmnia no-
mina dieta de Deo sunt synonyma, non pnsset ronvenienter dici Deus
bonu.~. ve! aliquid huiusmodi; cum tamen scriptum sit Ierem. 32, 18:
u Fortissime, magne, potens, Dominus exercituum nomen tibi n.
REsPONDEO DICF.NOITM quod hniusmodi nomina dieta de Deo, non snnt
synonyma. Quod quidem facile esset videre, si dicercmus quod huius-
modi nomina sunt inducta ad removrndum, ve! ad designnndum
habitudinern camme respectu creaturarum: sic enim e"sent diversae
rationes horum nominnm serundum diversa neQ"ata, vel secundum
diversos effectus connotatos. Sed secundum quod dictum est [a. 2}
huiusmodi nomina substantiam divinam significare, licet imperfecte,
etiam piane apparet, secundum praemissa [aa. 1, 2], quod habent

pl!cl, che si ritrovano secondo Yarl modi e gradi anche nelle creature stesse; nè
il concetto nè tl nome di esse Includono necessariamente un modo limitato di es-
sere delle medesime. Sicché niente vieta che possano esistere anche secondo un' In-
tensità lnftnlta. Cosi, p. es., la t•ontà, la vita, la felicità, l'esi;ere ... : perfezioni af-
fatto semplici, massimamente comprensive, racchiudenti l'Infinità della perfezione.
306 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 4-5

ahbiamo detto, che cioè tali nomi significhino, per quanto imperfet-
tamente, la sostanza divina, si dimostra facilmente, da quanto pre·
cede, che contengono idee diverse. E invero, l'idea espressa dal nome
è la concezione che I' intelletto si fa della c-0sa indicata dal nome.
Ora, il nostro intelletto, siccome conosce Dio per mezzo delle crea-
ture, per conoscere Dio forma dei concetti proporzionali alle perfe-
zioni derivanti da Dio nelle creature; le quali perfezioni in Dio pree-
sistono allo stato di unità e semplicità; ma nelle creature son rice-
vute rlivise e molteplici. Come dunque alle diverse perfezioni delle
creature corrisponde un unico principio semplice, rappresentato in
maniera varia e multipla dalle diverse perfezimii delle creature; eo<>ì
alle concezioni molteplici e varie del nostro intelletto corrisponde
un unico oggetto assolutamente semplice, ronoscinto imperfetta-
mente secondo tali concezioni. E perciò i nomi attribuiti a Dio, seb-
bene significhino realmente una sola cosa, tuttavia, siccome la si-
gnificano in conce1ti molteplici e diversi, non sono sinonimi.
SOLI 'ZIONE DELLE OIFFICOLTÀ: 1. E così è sciolta la prima difficoltà.
Infatti si chiamano sinonimi i nomi che significano una sola cosa Sf'-
condo un unico concetto. Ma quelli che e8primono nozioni diverse di
una identira realtà non significano primariamente e direttamente
una medesima cosa ; perchè il nome non indica la realtà se n-0n me-
diante la concezione dell'intelletto, come si è dimostrato.
2. I molteplici sensi di questi termini non sono falsi e vani, per-
chè a tutti corrisponde una realtà semplice rappresentata da essi in
modo vario ed imperfetto.
3. Dipende dalla perfetta unità di Dio che si trovi in Jui in ma-
niera semplice e urntaria ciò che è molteplice e diviso nelle cose. Ed
è per questo che egli è uno realmente, e molteplice secondo i con-
cetti [che ne abbiamo] ; perrhè il noRtro intelletto lo apprende in
molteplici modi, come in molteplici modi le cose lo rappresentano. 1

ARTICOLO 5
Se i nomi attribuiti a Dio e alle creature siano loro attribuiti
in senso univoco.•

SEMBRA che i nomi attribuiti a Dio e alle creature siano loro attri-
buiti in senso univoco. Infatti:
1. Ogni equivoco si riduce all'univoco, come il multiplo all'uno.
Difatti, se è vero rhe la parola cane è applicata equivocamente al-

1 La semplicissima essenza dlvin.1 non ne scapita nulla, dunque. dal fatto che
Il nostro Intelletto forma di essa diversi concetti e li esprime con dl1iersi nomi. Le
distinzioni non sono in Dio, ma nella nostra mente, incapace di conosl'erlo rnn
un solo concetto. come Dio conosce se stesso. Ma la ricchbsirna semplicllà divina
fornisce un ottimo fondamento alla distinzi-0ne che la nostra mente è costretta a
tare. Nè la nostra mente Ignora che i suoi vari concetti non sono vari modi di
essere della realtà divina, ma sono vari modi secondo cui è da noi conosciuta.
~ nece•$ari-0. perché si abbia verità, che ci sia una certa conformità tra la cosa
corioS<'luta e la conoscenza; ma questa conformità non V'l. spinta fino a iflentifi-
care Il pensler-0 e la realtà pensata, -0 I modi del pensare con I modi dell'es.~ere,
I NOMI DI DIO 307

rationes diversas. Ratio enim quam significat nomen, est conceptio


intellectus de re significata per nomen. Intellectus autem noster, cum
cognoscat Deum ex creaturis, format ad intelligendum Deum con-
ceptiones proportionatas perfectionibus procedentibus a Deo in crea-
turas. Quae qnidem perfectiones in Deo praeexistunt unite et simpli-
citer: in creaturis vero recipiuntur divise et multipliciter. Sicut igi-
tur diversis perfectionibus creaturarum respondet unum simplex prin-
cipium, repra esentatum per diversas perfectiones creaturarum varie
et multipliciter; ita variis et multiplicibus conceptibus intellectus
nostri respondet mrnm omnino simplex, secundum hniusmodi con-
cepfiones irnperfecte intellectum. Et ideo nomina Deo attributa, licet
signifìcent unam rem, tamen, quia significant eam sub rationibus
multis et diversis, non sunt synonyma.
ET SIC PA1ET SOLUTIO AD PRIMUM: quia nomina synonyma dicuntur,
qnae signifìcant unurn sec1111dum unam rationem. Quae enim signi-
fìcant rationes diversas 1mius rei, non primo et per se unum signi-
fìcant: qui a nomen non signifìcat rem, nisi mediante conceptione
in! ellectus, ut dictum est [a. 1].
An SECUNDUM DICENDUM quod rationes plures horum nominum non
snnt cassae et vanae: qui a omnibus eis respondet unum quid sim-
plex, per omnia huiusmodi multipliciter et imperfecte repraesen-
taturn.
AD TERTIUM DICENDUM quod hoc ipsum ad perfectam Dei unitatem
pertinet, quod ea quae sunt multipliciter et divisim in aliis, in ipso
sunt simpliciter et unite. Et ex hoc contingit quod est 1m11s re et plu-
res secundum rationem: quia intellectus noster ita multipliciter air
prehendit eum, sicut res multipliciter ipsum repraesentant.

ARTICULUS 5
Utrum ea quae de Deo dicuntur et creaturis,
univoce dicantur de ipsis.
t Sent., Pro!., a. 2, ad 2; d. 19, q. 5, a. 2, ad 1; d. 35, a. 6:
t Cont. Genl., cc. 32, 33, 3~;
De Vertt., q. 2, a. u; De Pot., q. 7, a. 7; Compend. Theol., c. 27.

AD QUINTUM sic PROCEn!Tl'R. Videt.ur quod ea quae dicuntur de Deo


et creaturis, univoce de ipsis dicantur. Omne enim aequivo'cum re-
dncitur ad univocum, sicnt multa ad nnnm. Nam si hoc nomen
canis aequivoce dicitur de !atrabili et marino, oportet quod de ali-

come pretendevano, fra gli antichi, Parmenide e Platone, e fra 1 moderni filosofi,
H e~·el e segua cl.
2 Questo articolo è fondamentale. Riassume e condensa In un quadro logico
perfetto tutt-0 I· insegnament-0 circ.a la nostra cognizione di Dio e il Yalnre delle
nostre espressioni. Poichè I nomi riferiscono Immediatamente I concetti che la
nostra mente si fa delle realtà, e mediante essi la realtà stessa, ci si domanda:
I nomi usati a qualificare Dio e le creature (quando si dice, p. es., Dio è sapiente,
l'uomo è sapiente; Dio è adirato, l'uomo è adirato .... ) che valore hanno? :E: una
untvocaztone puramente materiale, oppnr~ cela anche un senso unico o almeno
slmlle? C'è univocità anche quanto al loro senso, oppure c'è :imfit,0logia? Vale
308 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 18, a. 5

l'animale che abbaia e all'animale marino, bisogna pure che di al-


cuni animali sia detto in senso univoco, cioè di tutti i latranti, al-
irimenti bisognerebbe procedere ali' infinito [per trovare il signifi-
cato originale]. Ora, esistono ùegli ngenti univoci, i quali conccr-
dano con i loro effetti nel nome e nella definizione, come l'uomo [il
qualel genera l'uomo; ed esistono altri agenti equivoci, come il sole
[il quale] causa il caldo, pur non essendo esso stesso caldo se non
in senso equivoco. 1 Sembra dunque che il primo agente, al qua.le si
riducono tutti ~li altri agenti, sia un agente univoco. E cosi quello
che si dice di Dio e delle creature è detto in senso univ0co.
2. Tra i termini equivoci non si dà somiglianza alcuna. Siccome
dunque qualche somiglianza c'è tra la creatura e Dio, secondo il
detto della Gen~si: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somi-
glianza" ; sembra che qualcosa si possa affermare di Dio e delle crea-
ture univocamente.
3. La misura, al dire di Aristotele, è omogenea al misurato. Ora,
Dio, come il meùesimo afferma, è la prima misura di tutti gli esseri.
Dunque Dio è omogeneo alle creature, e quindi qualche cosa si può
dire di Dio e delle creature in senso univoco.
IN CONTRARIO: 1. Tutto ciò che si predica di più cose sotto il mede-
simo nome, ma non secondo lo stesso concetto, si predica di esse in
senso equivoco. Ma nessun nome si applica a Dio secondo il mede-
simo concetto con cui si applica alle creature: infatti la sapienza
nelle creature è qualità, ma non in Dio [nel quale è sostanza]; ora,
mutato il genere di una cosa, ne resta mutato anche il concetto, dal
momento che il genere fa parte della definizione.• E la stessa ragione
vale per tutte le altre ce>se. Dunque qualsiasi cosa si dica di Dio e
delle creature, si dice in senso equivoco.
2. Dista più Dio dalle creature che non le creature tra loro scam-
bievolmente. Ora, a motivo della distanza di alcune creature, av-
viene che niente si possa dire di esse in senso univoco, come è di
quelle che non convengono in nessun genere. • Dunque molto meno
si può affermare cosa alcuna i11 senso univoco di Dio e delle crea-
ture: ma tutto di essi si predica in senso equivoco.
RISPONDO: f: impossibile che alc11na cosa si predichi di Dio e delle
creature univocamente. Poichè ogni effetto, che non è proporzionato
alla potenza della causa agente, ritrae una somiglianza dell'agente
non secondo la stessa natura, ma imperfettamente; in maniera che
quanto negli effetti si trova diviso e molteplice, nella causa è sem-
plice e uniforme; così il sole mediante un'unica energia produce
nelle cose di quaggiù forme molteplici e svariate Allo stesso modo,

a dire: i nomi comuni a Dio e alle creature esprimono nei due casi una re:ilt<1
ei;senzialmente Identica (senso del termine •univoco•), oppure affatto diversa
(senso del termine« equivoco•)? ... L'A:iulnate risponde: nè rlel tutto Identica, nì>
del tutto diversa; ma In qualche modo, ossia proporzionalmente, sirr.ile.
I nomi comuni a Dio e alle creature non sono nnivoci quanto al sen&<>, ma
neppure equivoci, sibbene analoght. L'artic-010, denso di dottrina, mira a spie-
gare questo.
1 Sacondo gli antichi 11 sole, e in generale gli &.stri, erano composti di elementi
diversi da quelll componenti i corpi terrestri: questi risultavano dalla comuni-
cazione del quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco. Una quinta essenza for-
mava gli astri. Il calore proveniva propriamente <lai fuoc.o. Ma l'elemento fuoco
non e~btcva nel sole: tuttavia i sn<>i ra~!!i sc'.'llclano. Quindi. dicevano, il sole non
dovev3 essere caldo In ~enso pr.,rrlo o formalmente, ma solo virtualmente; In
I NOMI DI DIO

quibus univoce dica.tur, scilicet de omnibus Iatra.bilibus: aliter enim


esset procedere in infinitnm. Inveniuntur autem qua.edam agentia
univoca, quae conveniunt cum suis effectibus in nomine et deft-
nitione, ut homo generat hominem ; quaedam vero agentia a.equi-
voca, sicut sol causat calidum, cum tamen ipse non sit calidus nisi
aequivoce. Vldetur igitur quod primum agens, ad quod omnia agien-
tia reducuntur, sit agens univocum. Et ita, quae de Deo et creaturis
dicuntur, univoce praedicantur.
2. PRAETERE.>,, secundum aequivoca non attenditur aliqua similitudo.
Cum igitur creaturae ad Deurn sit aliqua similitudo, secundum illud
Gen. 1, 26: "Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem no-
stram '" videtur quod aliquid univoce de Deo et creaturis dicatur.
3. PRAETEREA, mensura est homogenea mensurato, ut dicitur in
IO Metaphys. [c. 1, lect. 2]. Sed Deus est prima mensura omnium
entium, ut ibidem dicitnr. Ergo Deus est homogeneus creaturis. Et
ita aliquid univoce de Deo et creaturis dici potest.
SED CONTRA, quidquid praedicatur de aliquibus secundum idem no-
men et non secundum eandem rationem, praedicatnr de eis aequi-
voce. Sed nullum nomen convenit Deo sec1mdum illam rationem, se-
cundum quam dicitur de creatura: nam sapientia in creaturis est
qualitas, non autem in Dea; genus autem variatum mutat rationem,
cum sit pars definitionis. Et eadem ratio est in aliis. Qnidquid ergo
de Deo et creatnris dicitur, aeqnivoce dicitur.
PRAJrrEREA, Dens plus distat a creaturis, quam quaecum<Jue creatu-
rae ab invicem. Sed propter distantiam quarundarn creaturarum,
contingit qnod nihil univoce de eis praedicari potest; sicut de his
qnae non conveniunt in aliquo genere. Ergo multo minus de Deo et
creaturis ali quid uni voce praedicatur: sed omnia praedicantur ae-
quivoce.
RESPONDEO DICENDUM quod impossihile est aliquid praedicari de Deo
et creaturis univoce. Quia omnis effectns non adaequans virtntem
causa.e agentis, recipit similitudinem agentis non secundum eandem
rationem, sed deftcienter: ita ut quod didsim et rnultipliciter CBt in
effectibus, in causa est simpliciter et eodem modo ; sicut sol secun-
dum unam virtutem, mnltiformes et varias formas in istis inferio-
ribus produci!.. Eodern modo, ut supra [a. praec.] dicturn est, omnes

quanto cioè produceva effettt calor!tlc!; come produce altri effetti, p. es., la ger-
minazione della vita. senz'es.orer vivo.
• Secondo l'Insegnamento della logica dassica, la definizione è data dal genere
e dalla differenza specifica; p. es., la definizione di 11oa10 è: "ani 111ale (genere)
ragionevole" (differenza specifica). Ora il nome significa la definizione della cosa
denomlnnta (uomo &ignlfica animale ragionevole). Sa perciò nel definire il signi·
flcato dello stesso nome, secondo che è applicato a diverse cose, si d<'ve mutare il
genere, è chiaro che il concetto espresso, secondo che si applica all'una o all'altra
cosa, è essenzialment~ diverso. Cosi se sapiente, applicato a Dio, vuol dire, nel
slgn!tlcato del genere, perfezione wstanziale identica ali 'essere di Dlo ; e appll·
cato all'Ho1110 vuol dire perfezione accidentale sopraggiunta all'essere umano, è
chiaro che Il termine soptente ha slgnlftcato essenzialmente diverso nel due casi.
II termine è equivoco di qudla equivocità, che è tra l'univoco puro e l'equivoco
puro, come dirà S. Tommaso, cioè è analogo.
• Non convengono ln nessun genere, p. es., i·uomo, il colore del su-0 viso, la
patern1td che lo lega al suol figli, le czlont che compie, le tn(l.uenze che subisce,
il posto che occupa, Il tempo, In cui vive. Tutte quei.te sono realtà che hanno in
comune soltanto la noz!on.e di esistere: e~istQno non nella nostra mentf.l. ma "In
rerum natura"• sono enti. Ma l'essere o l'ente non è un geneTe contrapposto a un
altro genere: è un trascendentale, cioè si realizza In tutti I generi di cose.
310 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 5

come si è detto, tutte le perfezioni delle cose, che nelle creature sono
frammentarie e molteplici, in Dio preesistono in semplice unità.
Così, dunque, quando un nome che indica perfezione si applica a
una creatura, significa quella perfezione come distinta da altre, se-
condo la nozione espressa dalla definizione: p. es., quando il termine
sapiente Io attribuiamo all'uomo, indichiamo una perfezione distinta
dall'essenza dell'uomo e dalla sua potenza e dalla sua esistenza e
da altre cose del genere. Quando, invece, attribuiamo questo nome
a Dio, non intendiamo indicare qualche cosa di distinto dalla sua
essenza., dalla sua potenza o dal suo essere. Per conseguenza, ap-
plicato all'uomo, il termine sapiente circoscrive, in qualche morfo,
è racchiude la qualità che esprime; non così se applicato a Dio, ma
lascia [in tal caso] la pertezione indicata senza delimitazione e nel-
l'atto di oltrepassare il significato del nome. Quindi è chiaro che il
termine sapiente si dice di Dio e dell'u-0mo non secondo lidentico
concetto [formale]. E così è di tutti gli altri nomi. Perciò nessun
nome si att1ibuisce in senso univoco a Dio e alle creature.
Ma neanche in senso del tutto equivoco, cume alcuni hanno affer-
mato. Perchè in tal modo niente si potrebbe conoscere o dimostrare
intorno a Dio partendo dalle creature; ma si cadrebbe continua:
mente nel sofisma chiamato "equivocazione ». 1 E ciò sarebbe in
contrasto sia con i filosofi, i quali dimostrano molte cose su Dio, sia
con l'Apostolo, il quale dice: "le perfezioni invisibili di Dio, com-
prendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili».
Si deve dunque concludere che tali termini si affermano di Dio e
delle creature secondo analogia, cioè proporzione. E ciò avviene in
due maniere: o perchB più termini dicono ordine a un termine unico
[originario e inderivato] - come sano si dice della medicina e del-
l'orina, in quanto che l'una e l'altra dicono un certo ordine e un
rapporto alla sanità dell'auimale, questa come indice, quella come
causa - oppure perchè un termine presenta [rispondenza o] propor-
zione con un altro, come sano si dice della medicina e dell'animale,
in quanto la medicina è causa della sanità che è nell'animale. E in
tal modo alcuni nomi si dicono di Dio e delle creature analogica-
mente, e non in senso puramente equivoco, e neppure univoco. In-
fatti noi non possiamo parlare di Dio se non partendo dalle crea-
ture, come più sopra abbiamo dimostrato. E così qualunque termine
si dica di Dio e delle creature, si dice per il rapporto che le creature
hanno con Dio, come a principio o causa, nella quale preesistono
in modo eccellente tutte le perfezioni delle cose.
E questo modo di comunanza sta in mezzo tra la pura equivocità e
la semplice univocità, perchè nei nomi detti per analogia non vi è una
nozione unica come negli univoci, nè totalmente diversa, come negli
equivoci; ma il nome che analogicamente si applica a più soggetti
significa diverse proporzioni riguardo a una medesima eosa · così
sano dett-0 dell'orina, indica il segno de.Ila sanità; detto della me-
dicina invece significa la causa della stessa sanità. •

1 Infatti 11 sillogismo avrebbe quattro termini e non concluderebbe. P. es., se


dico: gli animali sono esseri viventi, ma In cielo tra gli astri cl sono degli ani-
mali (p. es., il toro, il pesce, ecc.), dunque tra gli astri ci sono degli esseri viventi ;
evidentemente, E6Sendo equivoco il termine •animale •, 11 sillogismo non con-
clude.
I NOMI DI DIO 311

rerum perfectiones, qnae sunt iu rebus creatis divisim et multipli-


citer, in Deo praeexistunt. unite Sic iQ;itur, cum aliq110d nomen ari
perfectionem pertinens de crea tura dicit11r, significat illam perfe-
ctionem ut distinctam secundum rationem definitionis ab aliis: puta
cum hoc nomen sapiens de homine dicitur, sìgnitìcamus aliquam
perfectionem distinctam ab essentia hominis, et a potentìa et ab esse
ipsius, et ab omnibus huiusmodi. Sed cum hoc nomen de Deo dici-
mus, non intendimus significare aliquid distinctum ab essentia vel
potentia vel esse ipsius. Et sic, cum hoc nomen sapiens de homine di-
citur, quodammodo circumscribit et comprehendit rem significatam:
non autern cum dicitur de Deo, sed relinquit rem significatam ut in-
comprehensam, et excedentem nominis significationem. Unde patet
quo-O non secundum eandem rationem hoc nomen sapiens de Deo et
de homine dicitur. Et eadem ratio est de aliis. Unde nullum nomen
univoce de Dco et creaturis praedicatur.
Sed nec etiam pure aequivoce, ut aliqui dixerunt. Quia secundum
hoc, ex creaturis nihil posset cognosci de Deo, nec demonstrari; sed
semper incideret fallacia Aequivocationis. Et hoc est tam contra }Jhi-
Josophos, qui multa demonstrative de Deo probant, quam etiam con-
tra Apostolum dicentem, Rom. 1, 20: "invisibilia Dei per ea quae
facta sunt, intellecta, conspiciuntur "·
Dicendum est igitur quod huiusmodi nomina dicuntur de Deo et
creaturis sec11ndum analogiam, idest proportionem. Quod quidem du-
pliciter contingit in nominibus: vel quia multa habent proportìonem
ad unum, sicut sanum dicitur de medicina et urina, ìnquantum
utrumque habet ordinem et proportionem ad sanitatem animalis,
cuìus hoc quidem sìgnum est, ìllud vero causa: vel ex eo quod unum
habet proportionem ad alterum, sìcut sanum dicitur de medicina et
~mimali, inquantum medicina est causa s:rnitatis quae est in animali.
Et hoc modo alìqua dicuntur de Deo et creaturis analogice, et 11on
aequivoce pure, neque 11nìvoce. l\'on enim poss11mus nominare Deum
nisi ex creaturis, ut supra [a. 1] dictum est. Et sic, quidquid dicitur
de Deo et creaturis, dicitur secundum quod est aliquis ordo creatu-
rae ad Deum, ut ad principinm et causam, in qua praeexistunt exrel-
Jenter omnes rerum perfectiones.
Et iste modus communitatìs medius est inter puram aequivocatio-
nem et :simplicem 11nivocationem. Neque enim in his quae analogica
dicuntur, est una ratio, sicut est in univocis; nec totaliter diversa,
sicut in aequivoris; sed nomen quod sic mnltipliciter dicitur, signifi-
cai diversas proportinnes ad aliquid imum : sirut rnnnm, de urina
dictum, significat sìgnum sanitatis animalis, de medicina vero di-
ctum, signìficat causam eiusdem sanitatis.

• Il termine " analogia » Indica precisamente • proporzione •, • ordine •. Il con-


cetto di proporzione è desunto dalla matematica, il cui oggetto, la quantità, è il
fondamento d' infinite proporzioni. Ogni numero o quantità ha determinate pro-
porzioni con altri numeri e quantità; e si può conoscere un numero Ignoto per
ll rapporto che lo lega a un numero noto. Dalla matematica il concetto e l'ur.o
dell"analogia fu trasferito nel campo metafisico dell'essere: tutte le cose sono
legate da rapporti o proporzioni; e per mezzo di questi rapp.ortl, una. quf'lla più
nota, può servire per farci conoscere l'altra Ignota. Conoscenza reale anche se lln-
per!etta, perchè il rapporto è reale. Come reale è quello tra l1 mondo e Dio.
Qui S. Tommaso indica più specie di anal0gia · a) tlue o più cose sono analo-
ghe e si denominano con lo ste~so nome perchè tutte e due hanno ordine reale,
sia pur diverso, a una terza co~: p. es., la medicina e 11 polso si dicono sant,
312 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 5

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene logicamente sia necessario


ridurre i termini equivoci a quelli univoci, tuttavia nell'ordine delle
ca use l'agente non univoco precerle necessariamente l'agente uni-
voco. 1 Infatti l'agente non univoco è causa universale di tutta la
specie, come il sole è causa ùella generazione di tutti gli uomini.
L'agente univoco invece non è causa agente universale di tutta la
specie (chè altrimenti sarebbe causH rii se stesso, essendo contenuto
sotto la specie) : ma è causa particolare rispetto a tale individuo in
cui assicura la partecipazione della specie. La causa dunque univer-
sale di tutta una specie non è un agente univoco. Ora, la causa uni-
versale è anteriore a quella particolare. - Tale agente universale poi,

perchè tutte e due si riferiscono all'animale. Questo non e il caso dell'analogia


del nomi che si dicono di Dio e delle creatnre; pprehè al disopra di Dio non c'è
una terza realtà, a cui, sia Dio sia le creature abbiano ordine, perchè Dio è la
prima causa, fonte di tutto l'essere, prima della quale nulla assolutamente esiste.
Il) Due cose sono analoghe, perchè l'una dice ordine all'altra: cosi l'animale e la
medicina si dicono sant, perchè la medicina dice ordine alla sanità dell'animale.
Que~to caso è proprio quello del! 'analogia dei nomi che si dicono di Dio e
delle creature. Le creature hanno un molteplice ordine alla perfezione di Dio,
come a loro causa efficiente, esemplare, finale. Quest'ordine reale, come piO. volte
si è e&presso S. Tommaso, è Il fondamento della nostra conoscenza delle perfe·
zioni divine; conoscenza, la quale è vera, anche se Imperfetta; perchè veramente,
in forza di principi! evidenti, le perfezioni che sono nelle creature devono pree-
sistere in moào eccellente nella loro ca usa.
Questa analogia S. Tommaso stesso la chiama, altrove, analogia di propor·
ztone (cfr. De Verit., q. 2, a. !Il. Si rmo verificare, come nell'esempio addotto
della medicina sana, per un puro rapporto estrinseco: e allora si ha pura attrl·
buzlone (analogia dl attrtlJuztone, come anche si chiama questa forma di analogia).
Quando Invece si verifica non per un rapporto estrinseco, ma a causa di una·
realtà intrinseca comune, in forza della quale gli analogatl vengono costituiti e
denominati In modo simile, avremo analogia di proporztona"lttà, che è la somi-
glianza vicendevole tra due proporzioni "slmilitudo duarum a<t invlcem propor·
ttonum • (tbfd.). ! questo Il caso dell'analogia tra la sostanza e gli accidenti, l
quali sono denominati enti e perchè conviene loro l'essere e perrhè hanno ordine
alla 50stanza. ! il caso, anoor meglio, delle creature e di Dio, poicl1è le creature
sono dette enti, vere, buone, ecc., sia in ordine a Dio, perchè manifestano il suo
essere, la sua verità, la sua bontà; sia per l'intrinseca perfezione, ché le fa tal!
(cfr. q 6, a. 4.).
Se si fa forza sulla prima torma di analogia, (analogia di proporzione o di
attribuzione), allora si può dire che Dto .wlo prop1'tamentP ~ («Io sono Colui che
è., vedi a. 11), che lui solo è buono (onde è detto nel Vangelo •Dio solo è buono•,
Mat., 19, 17), che lui solo è giusto, perfetto, sapiente .... E le creature sono come
se non fossero, secondo le parole del Salmo 38, 6: • La mia vita è come ll nulla
davanti a Te•. E se si dicono dlvtne, si Intende: solo In quanto sono effetti di Dio.
Ma la seconda forma di analogia, Inclusa nella prima come conseguenza, ri·
et.lede non minore considerazione. Le creature hanno dolle loro proprie perfe-
zioni Intrinseche: le hanno da Dio, nel quale preesistono In modo eminente.
Que.ste perfezioni ~reate son0 proporzionali alle perfezioni di Dio: l'essere delle
creature sta. alla loro sostanza, come !"essere di Dio sta alla sostanza di nto; Dio
è saJ)lente a i.uo modo, come le creature a loro modo. Le rr•,Mure si po,sono chla-
rr.are dtvtne, perch~ nelle loro perfezioni co;;ttt11tive partecipano di Dio e mani-
festano Dio in ragione di una reale somigiianz~ _ l:lisogna tener ben distant€ que-
sta somiglianza e non avvicinarla troppo. per non correre il rl"Chio cli confon·
dere Dio con le cose. Bisogna tenerlo nella sua piena trascendenza, perchè Dio,
essendo agente analogo, non produce effetti simili a sè nè secondo la specie, nè
&"condo il genere, altrimenti ~arebbEI univoco alle creature lcfr. ad 1 e ad !l;
q_ 4, aa. 2 e 3); ma tuttavia li p1·oduce in qualche modo similt a sè, essendo
legge universale della causalità che ogni agente produca un effetto simile a sè.
Altrimenti come Dio conosooret.be tutte le cose conoscenoo se i.tesso T Cosi un
ingegnere, che produce una macchina, la r•reoonosce, perehè ne contiene l'Idea,
e Imprime in essa In qualche modo la somiglianza di sè; la macchina roolmente
per le sue qualttà Intrinseche manifesta la genlalltà dell'Inventore. SI deve per-
Ciò concludere che dalla conoscenza delle creature a quella del Creatore è possibile
I NOMI DI DIO 313

An PRTMUM ERGO DICENDTIM quorl, licet in pnwdicationibus oporteat


aequivoca ad univoca reduci, ta1nen in adionibus agens non univo-
cum ex necessitate praecedit agens univot:um. Agens enim non uni-
vocum est rausa universalis totius speciei, 11t sol est causa generatio-
nis omnium hominum. Agens vero univocum non est causa agens
universalis totius speciei (alioquin esset causa sui ipsius, cum sub
specie contineatur): sed est causa particnlaris respectu huius indi-
vidui, quod in participatione speciei constituit. Causa igitur uni-
versalis totius speciei non est agens uniYocum. Causa autem uni-
versalis est prior particulari. - Hoc autem agens universale, licet

fare un pasr;aggio. Nè vale l'obiezione che S. Tommaso si fa, che fra la creatura
e Il Creatore, essendo la distanza Infinita, non è possibile il passaggio dall'uno
all'altra (cfr. q, 2, a. 2, arg. 3 e soluzione); perchè da ciò si conclude bensl, che,
~unque, da tali effetti non si può ricavare una conoscenza perfetta della causa; ma
non si può concludere che non si possa nemmeno conoscere l'esistenza della causa
e qualche cosa della sua perfezione. Conosciamo sicuramente dt essa ciò che le
deve necessariamente convenire come Prima Causa eccedente tutti gli effetti cau.
sati, rtistinta necessariamente da essi, precontenente le perfezioni degli effetti, ma
-senza I limiti con cui esistono In essi. Le perfezioni create cl manifestano vera-
mente le perfezioni Increate, perchè " se è voro che tra Il finito e l' infinito non
c'è proporzione in senso matematico, secondo una determinata distanza (come
e' è proporzione tra una quantità e un 'altra), ci può essere tuttavia proporziona-
lità, poichè l'infinito sta ali' infinito, come il finito al finito. E in questo modo
e' è somiglianza tra Dio e la creatura ; perchè come Dio sta a ciò che gli com-
pete; cosi la creatura a ciò che le è proprio .. (cfr. De Vertt., q. 23, a. 7, ad 9).
Cosi senza definire propriamente 010 com'è In se stesso, lo conosciamo ccm cer-
tezza nello specchio delle creature, In cui una sua Immagine necessariamente
risulta.
Nell'articolo 6 S. Tommaso precisa I di1·ersi modi di questa analogia di pro·
porzionalltà, mettendo In evidenza una proprietà dell'analogia In genere: che
doè nell'analogia il n()me comune s1 dice primaria:T>Pnte di uno derrli analoirntl
-e secondariamente degli altri. Da questa pror.J"letn risulta cl1e l'anal0gla è metrt-
forirn, quanclo il termine comune ind nde un qualclie coSll che è p!'oprio della
creatura, e cioè una materialità o Imperfezione di cui non può essere spogliato
(p. es.: Dio è Il sole delle menti elette e dei cuori ardenti) ; Invece l'analogia è
proprta quando Il termine comune non Include difetto nel suo significato princl·
pale (p. es., Dio è spirito, è sapiente, è buono; cfr. De Vertt., q. 2, a. 11).
:f: questa l'analogia che più conta (vedi p. 316, nota 1).
Circa l'analog1a la bibliografia è copiosa, data la sua grande Importanza. Cl-
tlanio i seguenti autori: BLANCHE F., " La noti on cl 'analogie dans la philosophle
<le s. Thomas d'Aq ... , In Rev. à.PS s.,tPnre.~ Pllit. et Tlléot., 1921, pp. 169 ss.:
ldem, "r:analogfe •>, In Rev. Plllt., l92:J, PP. :H8 ss.; lrlem, "Une théorle de
1·analot:le '" 1h1d., 1932, pp. 37 ss.: RAMTRF.Z J., •De analogia secundum doctrinam
arlstotellr.o-thomisticam .. , In Ctenc1a Tomi.sia, anni 1~21, 1922, L\J23; l\1ANSER M.,
.. Dle analoge Erkenntnls Gottes ... In Dtv. Tllomas (Frlb.), 1928, pp. 385 ss.; 1929,
pp. 3 ss.; 322 ss.; 373 ss.; MUNNYNCK (DE) A., "Intuition et. analogie"• In Atr1 del
V Congresso internaz1.onale dl Fttornfla., pp. 88 ss. Napoli, rn28; PENIDO M. T. L.,
Le rt'Jle de t'ana1ogie tn 1'h~o1oqt( 11nqmattqu~ Parts. 19.11 ; MARC A., "T: ldée tho
ml~te de l'Mrc et l'analogle d'attrlhution et <le pMportionalitè '" In Rev. Néoscol •
.d~ Pht!., 1933, pp. 157 s&.; BRUSOTT! V., • L'analogia di attribuzione e la conoscenza
di Dio ... in Riv. di Ftloso(ia Neo.<co/nMtca, 1935, pp. ~I ss.; BALrn.1s.<n N., L'ab·
1tractton métapl1ys1que et t'analoqte des Ures dans l'étre. Louvaln, 1935; VAN LEU·
WEN A., • L'analogie de l'étre. Genèse et contenu du con.rept analogique "• In Rev.
Néoscoi. tle PhH., IDZ6, pp. 2~3 ss. ; Ttlem, • Préclsation sur la nature de cette ana-
logie"• tllid., pp. 40'l ss.
• Questa osservazione Indica bene rche l'ordine del pensare è sovente Inverso
all'ordine dell'essere. Cosi noi conosciamo vrima una cosa e pnt la sua causa; ma
'La cau:>a t prima dell'effetto causato. Usiamo un nome chi> si appl1ca In senso
identico a più cose (p. es., •uomo »), un nome untvoco, e lo trasferiamo a slgn!-
ncare cose a cui non convienfl elle per una certa proporzione o somiglianza (p. e.s.,
diciamo "uomo .. anche una pittura, e " umana .. anche una casa): ne tacciamo
un nome ana/.oqo. Nel o.ostro conostere Precede sovente l'unlvooo; ma nell'ordine
della. causalità - ol'dine real~ dcll'esls.tere - precede come primo assolut.o l'agente
anlllogo, che è causa della molteplicità delle specie.
314 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 5-6

sebbene non sia univoco, non è tuttavia del tutto equivoco, perchè
così non causerebbe un qualohe cosa di simile a sè ; ma si può chia-
mare agente analogico: cosi in logica i vari attributi univoci si ri-
ducono a un tevmine primo, non univoco, ma analogico, che è l'ente. 1
2. La somiglianza della creatura con Dio è imperfetta: non lo rap-
presenta neppure secondo un medesimo genere, come si è provato
altrove.
3. Dio [come causa] è misura [degli enti], ma è una misura ecce-·
dente ogni loro proporzione. Per cui non è necessario che Dio e le
creature siano contenute sotto un medesimo genere.
Gli argomenti in contrario provano che i predetti nomi non si di-
cono di Dio e delle creature univocamente; ma non provano che si
dicano equivocamente. 1

ARTICOLO 6
Se i nomi si dicano delle creature prima che di Dio.

SEMBRA che i nomi si dicano delle creature prima che di Dio. In-
fatti:
1. Noi nominiamo le cose secondo che le conosciamo, essendo le
parole, a detta di Aristotele, cc segni dei concetti ». Ora, noi cono-
.sciamo prima la creatura che Dio: quindi i nomi da noi imposti
prima convengono alle creature e poi a Dio.
2. Secondo Dionigi cc noi nominiamo Dio dalle creature ». Ma i
nomi che noi dalle creature trasferiamo in Dio, si dicono prima delle
creature che di Dio, come le parole leone, pietra e simili. Dunque
tutti i nomi che si attribuiscono a Dio ed alle creature, si dicono
prima delle creature che di Dio.
1 Vedi p. 309, nota 3. Tutta la realtà esistente si riconduce al concetto di ente
(=qualche cosa che è; ogni realtà è un qualche cosa che è). Tutto ciò che è
partecipa dell'ente; ma l'ente in senso pieno è la sostanza, a cui propriamente
compete di essere. Alle alt.re realtà non compete che in senw partecipato e dimi-
nuito: non sono propriamente ciò che esiste, ma ciò per cui la sostanza esi5te
sotto determinati aspetti ; vale a dire è, p. es., bianea, calda, ecc. E dunque,
quello di ente, un concetto e un termine analogo. Sicchè anche nell'ordine loglro
dei nostri concetti e dei termini. risalendo fino al principio, troviamo come primo
non l'univoco, ma l'analogo: Il differente che non è del tutto differente, ma si-
mile senza essere identico. La realtà, che è molteplice in sè, e si moltiplica anche
di più nel nostri conoottl, non è affatto omogenea, senza essere del tutto ete-
rogenea: è identica e diversa, simile e dissimile: stmllitudo disstmilis, dtssìmili-
tudo stmtlts. Ecco la ragione ossia 11 fondamento dell'analogia. Già le creature
sono cosi tra loro: simili e dissimili, nella stessa dissomiglianza simili. A più forte
ragione va afferma.ta la stm.i!ttudo dtsstm.tLts quando si tratta delle creature e
di Dio.
2 Tenendo presente questa dottrina dell'analogia, si eviterà: 1) l'errore del-
l'antropomor(ìsmo, che consiste nel conc~pirc Dio in tutto simile all'uomo; o
l'uomo troppo simile a Dio. Non han detto I filosofi Idealisti dell'atto puro, eh~
la divinità non è che il pensiero dell'uomo? Non.han detto certi filosofi moderni
che Dto non si deve concepire come infinito e onnipotent.e, ma limitato esso
stesso. e lottante contro ostacoli che tenta superare, alla maniera che l'uomo tenta
di superare i ~uoi ostacoli; bisognoso anch'esso, questo Dio, di essere aiutato nelle
sue lotte dalle sue stesse creature? Un Dio demiurgo, mn neppure nel sen50 r'l<'no
che Platone attribuiva a questo termine. Un tale lllo sarebbe un' l1•otesi inutile, d~
cui si può fare a meno, perchè lascerebbe tutte le questioni Rperte e insolubili. -
I NOMI DI DIO 315

non sit univocum, non tamen est omnino aequivocum, quia sic non
faceret sibi simile ; sed potest dici agens analogicum: sicut in prae-
dicationibus omnia univoca reducuntur ad unum primum, non uni-
vocurn, sed analogicum, quod est ens.
Ao sEcUNUUM DICENDUM quod similitudo creaturae ad Deum est im-
perfecta: quia etiam nec idem secundum genus repraesentat, ut su-
pra : q. 4, a. 3 j dictum est.
Ao TERTllJM mcENfll'M qnod De11s non el't men~ura proportionata
mensuratis. Unde non oportet quod Deus et creaturae sub uno ge-
nere contir.eantur.
Ea vero quae sunt in contrarium, concludunt qupd non univoce
huill'3modi nomina de Deo et creaturis praedicentur: non autem
'JUOd aequivoce.

ARTICULI;S Q
Utrum nomina per prius dicantur de creaturis quam de Deo.
Supra, a. 3 ~ I Sent., d. 22, a. 2; I Cont. Gent., c. 34; Compend. Theoi., c. 'Z1:
in E.'phes., c. 3, lect. 4.

An SEXTUM src PROCEDITUR. Videtur quod nomina per prius dicantur


de creaturis quam de Deo. Secundum enim quod cognoscimus ali-
quid, secundum hoc illud nominamus; cum nomina, secundum Phi-
losophum [ 1 Periherm., c. 1, lect. 2], sint signa intellectuum. Scd
per prius cognoscimus creaturam quam Deum. Ergo nomina a no-
bis imposita, per prius 1:onveniunt creaturis quarn Deo.
2. PRAETERE.'., secun.dum Dionysium, in libro De Di'IJ. Nom. [c. 1,
Iect. 3], Deum ex creaturis nominamus. Sed nomina a creaturis trans-
lata in Deum, per prius dicuntur de creaturis quam de Deo; sicut
leo, !apis, et huiusmodi. Ergo omnia nomina q1iae de Deo et de crea-
turis dicuntur, per prius de creaturis quam de Deo !licuntur.

Dio e l'uomo non convengono neppure nello st~sso genere remoto. Nota il Ser·
tiJlanges (SOM. FR~NC., lJieu, II. p. 335): «nell'interno di uno stesso genere vi
possono essere già somiglianze ben lontane, p. es., quella di un ciottolo e di un
cervello umano, che nppartengono tntti e dne al genere sostanza. A che cosa dovrà
dunque ridursi la somiglianza quando tra due esseri non vi è comune neppure il
genere?"· Per non materializzare le cose divine, bisogna insistere molto su que-
&ta dtversità. "Tra il Creatore e la ere.a tura, dice il Concilio Lateranense IV, non
si dPve mat affermare somiglianza tonto grande, senza affermare una dissomi·
glianza ancora più grande• (DENZ., 432).
2) Con la dottrinn clell'annlogia si evita pure l'errore dell'agnosticismo, il qua.le
consiste nel negare ogni possibile conoscenza di Dio a partire dalle creature. L'es-
sere delle creature e l'essere di Dio, secondo l'agnosticismo, &arebbe del tutto equi·
voco, slcchè, come asseriva il nominali~ta Nicola d'Autrécourt (secolo XII; cfr.
Di::-<z .. 5:;3 ss.) sia dicendo: "Dio è•, sia dicendo: •Dio non è•, si verrebbe ad affer-
mare l<J. stessa cus<J. sebbene in modo dlffrrente; cioè non si afferrnereùbe nulla,
poiché i noilli detti di Dio e delle creature sono un puro equivoco. Di Dto tutto
ignoria1110 e n11Jln fJOS$ia111-0 di lui affermare con veritiL Ed è questa la" posizirne
dei teologi protestanti, K. Barth e scuola, i quali misconoscono del tutto questa
concezione realistica dell'analogia chiamandola, anzi, Invenzione dell'Anticristo
(cfr. Introd., n. 7). Ma per questo sono costretti a chiudersi in un agnosticismo
mortit\cante che rende del tutto sterile per noi la parola stessa di Dio. S. Tommaso
invece dimostra che qualcosa di Dio po&siamo sapere, a partire dal suoi effetti,
perrhè essi. sebbene remotissimi da lui, contengono tuttavia una certa reale somi-
1rltanza delle perfezioni dell 'as~oluto; onde la nostra conoscenza delle cose divine
è vrra, anche !le molto lmpl'rf~tta. (Vedi p. 21\6, nota t; p. 311. no1a 2).
316 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 6

3. Al dire di 'Dionigi, tutti i nomi che sono comuni a Dio e alle


creature, si riferiscono a Dio come alla causa di tutti gli esseri.
Ora, un termine dato, per ragione di causalità, si attribuisce alla
causa in seconda linea; p. es., sano prima si dice dell'aninrnJe, e poi
della medicina, la quale è causa della sanità. Dunqu~ tutti questi
nomi si dicono delle creature prima che di Dio.
IN CONTRARIO: Dice S. Paolo: "Io piego le ginocc!'lia davauti al
Padre del Signor nostro Gesù Cristo, da cui ogni paternità e nei
cieli e sulla terra prende nome». E la stessa ragione vale per tutti
gli altri nomi che si dicono di Dio e delle creature. Dunque tali
nomi si dicono di Dio prima che· delle creature.
RISPONDO: Relativamente ai termini che si dicono di più cose per
analogia, è necessario che tutti si dicano in ordine ad una sola cosa;
e quindi tale cosa deve esser posta nella definizione di tutte le altre.
E poichè la nozione espressa dal nome è la rleAnizione, corne dice
Aristotele, bisogna che tal nome si dica primariamente di quella
prima cosa che è posta nella definizione delle altre, e scconddria-
mente delle altre a seconda i::he si avvicinano più o meno alla prima:
come il termine sano, che si dice dell'animale, entra nella defini-
zione del sano detto della medicina, la quale è detta sana in quanto
causa la sanità nell'animale; come anche [entra] nella definizione di
sano detto dell'orina, la quale si dice sana in quanto è un indice della
sanità dell'animale.
Così dunque tutti i nomi che si dicono di Dio metaforicamente, si
dicono delle creat11re prima che di Dio ; perchè applicati a Dio non
altro significano che delle somiglianze con tali creature. Così ridere,
detto del prato, non significa altro che questo: che il prato quando
si ricopre di fiori offre un aspetto di bellezza somigliante a quello
dell'uomo quando sorride, secondo una somiglianza di proporzione;
parimente, il termine leone applicato a Dio, questo solo vuol signifi-
care: che Dio nelle sue opere si comporta fortemente come il leone
si comporta nelle sue. E così si capisce che il significato di tali nomi
non si può definire, nella loro applicazione a Dio, se non dipenden-
temente dall'applicazione che se ne fa alle creature. '
Trattandosi poi degli altri nomi, che non si applicano a Dio meta-
foricamente, varrebbe la stessa ragione se si dicessero di Dio soltanto
secondo la sua rausalità, come alcuni l1anno sostenuto. Chè allora
col dire Dio è buono si vorrebbe signifkare soltanto che Dio è causa
della bontà della crl'aturn. Quind( questo nome buono detto di Dio
conterrebbe nel suo significato la bontà della creatura, e perciò buono
si direbbe della creatura prima che di Dio. :Ma sopra abbiamo dimo-
strato che tali nomi non si dicono di Dio soltanto in ragione della
sua causalità, ma anche della sua essenza, perchè quando si dice
che Dio è buono, oppure è sapiente, non solo si vuol dire che egli è
causa della sapienza o della bontà, ma che e bontà e sapien1a pree-

' I nomi che includono i limiti o le imperfezioni proprie delle creature, non s1
dicono di Dio se non metaforicamente. Con l'analogia metaforica non si qualifirn
una realtà esistente nei due analog-ati, poichè la realtà da cui si desume il concetto
e la denominazione è propriamente soltanto in uno degli. analoghi (come Il ridere
è nell'uomo, la forza nel leone). Nell'altro analogo non sl può neppure dire
che c'è una somigllanza di tale realtà, perchè con il termine metaforico 5i qua-
11flca vluttosto un modo di agire o di comportarsi, quale risulta dall'effetto, che
non un modo di essere, che produca l'agire o l'etretto. Cosi dicendo • il prato
I NO.MI DI DIO 317

3. Pn.\ETEREA, omnia nomina qua.e communiter de Deo et creaturis


dicuut11r, dicuntur de Deo sicut de causa omnium, ut dicit Diony-
sius [De Myslica Theol., c. 1]. Sed quod dicitur de aliquo per cau-
sarn, per pustcrius de illo dicitur: per prius enirn dicitur animal sa-
num quam mediciua, quae est causa sanitatis. Ergo huiusmodi no-
mina per prius dicuntur de creaturis quam de Deo.
SED CONTRA EST quod dicitur Ephes. 3, 14, 15: "Flecto genua mea ad
Patrem Domini nostri lesu, ex quo omnis paternitas in caelo et in
terra nominatur •>. Et eadem ratio videtur de nominibus aliis qua.e
de Deo et creaturis dicuntur. Ergo huiusmodi nomina per prius de
Deo quam de creaturis dicuntur.
REsPONDEO DtCENUUM quod i11 omnibus nominibus quae de pluribus
analogice dicuntur, necesse est quod omnia dicantur per respectum
ad nnum: et ideo illud unnm oportet quod ponatur in definitione
omnium. Et quia ratio quam significat nomen, est definitio, ut di-
citur in 4 Metaphys. [c. 7, lecl. 10], necesse ei-t quod illud nomen per
prius dicatur de eo quod ponitur in definitione aliorum, et per po-
sterius de aliis, secundum ordinem quo appropinquant ad illnd pri-
mum vel magis vel minus: sicut sanum quod dicitur de animali,
cadit in definitione sani quod dicitur de n;edicina, quae dicitur sana
inquantum causat sanitatem in animali; et in defìnitione sani quod
dicitur de urina, quae dicitur sana inquantum est signum sanitatis
animalis.
Sic ergo omnia nomina quae metaphorice de Deo dicuntur, per
tirius de creaturis dicuntur qnam de Deo: quia rlicta de Deo, nihil
aliud significant quam similitudines ad tales creaturas. Sicut enim
ridere, dictum de prato, nihil aliud significat quam quod pratum si-
militer se habet in decore cum ftoret, sicut homo cum ridet, secun-
dum similitudinem proportionis; sic nomen leonis, dictum de Deo,
nihil aliurl significat quam quod Deus similiter se habet ut fortiter
operetur in suis operibus, sicut leo in suis. Et sic patet quod, secun-
dum quod dicuntur de Deo, eorum significatio definiri non polest,
nisi per illud qupd de creaturis dicitur.
De a liis autem nominibus, quae non metaphorice dicuntur de Deo,
esse! etiam eadem ratio, si dicerentur de Deo causaliter tant11m, i1t
quidam posuerunt. Sic enim, cum dicitur Deus est bonus, nihil aliud
esset quam Deus est causa bonilatis creaturae: et sic hoc nomen bo-
num, clictum de Deo, clauderet in suo intellectu bonitatem creatmae.
Unde bonurn per prius diceretur de creatura quam de Dea. Sed supra
[a. 2] ostensum est qnod huiusrnodi nomina non solum dicuntur de
Deo causaliter, sed etiam essentialiter. Cum enim dicitur Deus est
bonus, vel sapiens, non solum signifìcatur quod ipse sit causa sa-
pientiae ve] bonitatis, sed quod haec in eo eminentius praeexistunt.
Unde, secundum hoc, dicendum est quod, quantum ad rem signi-

ride'" non si dice nulla dell'intrinseca realtà del prato, ma solo quale cl apparn
In una sua manifestazione primaverile: e dicendo "Dio è adirato "• mettiamo in
evidenza soltanto una somiglianza di effetti tra i·uomo quando è mosso dall'ira,
e Dio quanùo giustamente punisce la colpa. E evidente che le metafore nulla ci
fanno conoscere propriamente di Dio, perchè è as&ai Hù vero dire "Dio non è
adirato•; come si deve dire che in Dio nulla vi è di materiale o di ciò che è
proprio delle creature in quanto creature. Se tutti i nostri concetti e nomi circa
Dio avessero valore di metafore, o simboli, che è lo stesso, l'agnosticismo sarebbe
pienaru&Dte glustlflcato.
818 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa.. ~7

si~tono in lui in modo più eminente. Quindi, bisogna dire che se si


considera il significato intrinseco dei termini, essi si applicano a Dio
prima che alle creature: perchè quelle perfezioni [indicate dai nomi]
provengono alle creature da Dio. Però, se si considera la loro ori-
gine, tutti i nomi si attribuiscono primierarnente alle creature, che
si conoscono per prime. Perciò anche il modo di significare [dei
nomi) è quello caratteristico delle creature, come si è detto sopra. 1
SoI.UZIOr\E DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Questa prima difficoltà vale relativa-
mente alla derivazione del nome.
2. F. ben differente il caso dei nomi attribuiti a Dio metaforica-
mente da quello dei nomi attribuiti propriamente, come si è detto.
3. Questa obiezione andrebbe nene, se tali nomi si attribuissero a
Dio soltanto a motivo della sua causalità e non essenzialmente, cioè
come sano si dice della medicina.

ARTICOLO 7
Se i nomi che importano relazione alle creature si attribuiscano a Dio
dall' inizio del tempo.'

SEMBRA che i nomi che importano relazione alle creature, non si


attribuiscano a Dio dall'inizio del tempo. Infatti:
1. Si dice comunemente che tali nomi signiftcano la sostanza di-
vina. Per questo anche S. Ambrogio scrive che il nome Signore de-
signa la potenza, la quale è sostanza divina; e la parola Creatore
indica l'azione di Dio, la quale è lu sua stessa essenza. Ora, la so-
stanza divina non è temporale, ma eterna. Dunque questi nomi non
si dicono di Dio dall'inizio del tempo, ma dall'eternità.
2. Tutto ciò cui conviene qualche cosa a cominciare da un certo
tempo, può dirsi fatto: così un essere che è bianco da un certo
tempo, si è fatto bianco. Ma a Dio ripugna di esser fatto. Dunque
niente si dice di Dio a cominciare dal tempo.
3. Se alcuni nomi si dicono di Dio dall'inizio del tempo per la r~
gione che importano relazione alle creature, la stessa ragione do-
vrebbe valere per tutti i nomi cbe implicano relazione alle creature.
Invece alcuni nomi che importano relazione alle creature si dicono
di Dio da tutta l'eternità: infatti, Dio dall'eternità conosce ed ama
la creatura, secondo il detto della Scrittura: cc d'un amore eterno ti
ho amato'" Dunque anche gli altri nomi, che importano relazione
alle creature, come Signore e Creatore, sono da attribuirsi a Dio dal-
l'eternità.
4. Questi nomi importano relazione. Bisogna quindi che tale re-
lazione sia qualche cosa o in Dio o nella creatura soltanto. Ma non

1 I nomi che significano perfezione senza mescolanza di limiti o di Imper-


fezioni proprie lielle creature, si dicono dl Dio analogicami;nte, ma in senso pro-
prio; e perciò l'analogia è provria, non met.afo1·ica. Cioè >i qualifica con es~i
una realtà che si trova Jn Dio e non solo nelle creature; anzi in Dio pili piena-
mente elle nelle creaturP. Sicchè la PP1'fe7ione ;inaloga conviene prima, vale a
dire più pienamente, a Dio (cosi la bontà, la sapienza, ecc., sono In Dio realmente
con una Intensità infinita), sebbene nel modo di esprimerla (con un termine con-
I NOMI DI DIO 319

ftcatam per nomen, per prius dicuntur de Deo quam de creaturis:


quia a Deo huiusmodi perfectiones in creaturas manant. Sed quan-
tum ad impositionem nominis, per prius a nobis imponuntur creatu-
ris, quas prius cognoscimus. Unde et modum significandi habent
qui competit creaturis, ut supra [a. 3] dictum est.
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod obiectio illa procedit quantum ad
impositionem nominis.
AD SECUNllUM DICENDUM quod non est eadem ratio de nominibus
quae metaphorice de Deo dicuntur, et de aliis, ut dictum est [in
corp.].
AD TERTIUM DICENOIJM quod obiectio illa proced.eret, si huiusmodi
nomina solum de Deo causaliter dicerentur et non essentialiter, sicut
sanum de medicina.

ARTICULUS 7
Utrum nomina quae important relationem ad creaturas,
dicantur de Deo ex tempore.
Infra, q. 34, a. 3, ad 2 ; 1 Sent., d. 30, a. t ; d. 37, q. !I, a. 3.

AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtnr quod nomina quae important


relationem ad creatnras, non dicnntur de Deo ex tempore. Omnia
enim huiusmodi nomina significant divinam substantiam, ut com-
muniter dicitur. Unde et Ambrosius dicit [De Fide, I. 1, c. 1) quod
hoc nomen Dominus est nomen potestatis, quae est divina substan-
tia et Creator significat Dei actionem, quae est eius essentia. Sed
divina substantia non est temporalis, sed aeterna. Ergo huimmodi
nomina non dicuntur de Deo ex tempore, sed ab aeterno.
2. PRAETEREA, cuicumque convenit aliquid ex tempore, potest dici
factum: q11()d enim ex ternpore est album, fit album. Sed Dco non
convenit esse factum. Ergo de Deo nihil praedicatur ex tempore.
3. PRAETERF.A, si aliqua nomina dicuntur dc Deo ex tempore propter
hoc quod important relationem ad creaturas, eadem ratio videtur
de omnib11s qna~ relatiorn·m ad creaturas important. Sed quaedam
nomina irnportantia relntionem ad rreaturas, dicuntur de Deo ab
arterno: ab aetcrno enim sciYit creat11ram et dilexit, secundum illud
Ierem. 31, 3, cc in caritate perpetua dilexi te». Ergo et alia nomina
quae irnpllrt11nt reìationrm ad creaturas, ut Dominus et Creator, di-
c11nt11 r de Deo ab a eterno.
4. PRAF:T>:HF..\, huiusmodi nomina relationem significant. Oportet
igit11r q1rnd re!atio illa ve! sit aliquid in Deo, vel in creatura tantum.

creto o astratto cfr. p. 21l5. nota 2) rlsenta del modo di essere Imperfetto che ha
in qu:111to attuata nelle creature. Ciò significa che nelle cre~ture rifulgono per-
fezloni le qual i non sono indegne di qualificare la semplicissima realtà divina. La
quale è vPramente essere. s:wlenza. bontà. giu5tizta In grado infinito .... Cosi la
no<tra ronu,rr.,1rn di Dio, pur essendo imperfetta (non è possibile co;>;liere in se
stP,sa la semnlicissima realtà divina ed esprimerla con un nome) è tuttavia vera;
percl1è la SP'f:pllrissima infinita realtà divina è realmente e propriamente e55ere
sarienza. ilontà, ecc. .
1 Queste relazioni non Infirmano la trasi'endenza divina (cfr. Introa. Gen .•
n. 197).
:!20 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 7

può essere che sia soltant:> nella creatura, perchè cosi Dio si deno-
minerebbe Signore a moti\'o della relazione opposta che è nelle crea-
ture: ora niente si denomina dal suo contrario. Resta dunque che
tale relazione è qualche cosa anche in Dio. Ma in Dio nulla vi è
di temporale, essendo egli al disopra del tempo. Duuque pare che
tali nomi non siano da attribuirsi a Dio a cominciare dal tempo.
5. Un attributo relativo si ha in base a una relazione; così avremo
Dominus (Signorej da dominio, come l.Jianco da bianchezza. Se dun-
que la relazione di dominio non è in Dio realmente, ma solo ideal-
mente, ne viene che Dio non è realmente Signore [Dominus]. Il che
è falso.
6. Quando si tratta di entità relative che per natura non son
chiamate a stare insieme, l'una può esistere senza che esista l'altra:
cosi lo scibile esiste anche se non esb:te la scienza, come osserva
Aristotele. Ora, i i·elativi che si affermano di Dio e delle creature
non sono fatti per stare insieme. Dunque qualche cosa può attri-
buirsi a Dio in relazione alle creature ancorchè la creatura non esi-
sta. E cosi questi nomi, Siynore e Creatore, si dicono di Dio dall'eter-
nità e non dal!' inizio del tempo.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che questa denominazione relativa
di Signore conviene a Dio dall'inizio del tempo.
RISPONDO: Certi nomi che importano relazione alla creatura, sono
detti di Dio [a cominciare] dal tempo e non dall'eternità.
Per chiarire la cosa ricordiamo che alcuni sostennero che la rela-
zione non ha un'esistenza ndla realtà, ma solo nella mente. Però la
falsi1à di questa opinione apparisce chiarameute dal fatto stesso che
le cose hanno tra loro un certo ordine e un certo rapporto in forza
della loro stessa natura. Dol.Jbiamo invece osservare che, richiedendo
la relazione due estremi, vi sono tre modi in cui essa può essere un
ente reale o di ragione. Talora infatti per parte di tutti e due gli
estremi è solo ente di ragione, quando cioè non vi può essere ordine o
rapporto tra diverse cose che secondo la sola apprensione della mente,
come quando si dice che una cosa è identica a se stessa. E in vero,
la ragione nel concepire due volte una cosa, la può considerare
come due cose; e così scorge un certo rapporto di essa con se mede-
sima. Lo stesso avviene di tutte le relazioni che sono tra l'ente ed il
non-ente: relazioni che la mente forma in quanto concepisce il niente
come un estremo della relazione. L'identica cosa si verifica di tutte
le relazioni che dipendono dall'atto della ragione, come il genere e
la specie e simili. 1
Alcune relazioni invece sono vere entità reali cmanto all'uno "
all'altro estremo: quando cioè la relazione nasce fra due cose per
una realtà comune all'una e all'altra. La cosa apparisce chiara-
mente in tutte le relazioni basate sulla quantità, come il grande e il
piccolo, il doppio e la metà e simili: infatti la quantità si trova real-
mente nei due estremi. Lo stesso vale per le relazioni che risulta.no
dall'azione e dalla passione, come la relazione del motore e del mo-
bile, del padre e del figlio, e simili. 2
i Appunto perchè la nostn mente non riesce a cogliere la realtà con un unico
concetto adeguato, e non riesce ad asslrnllarla se non con diversi concetti, sta-
bilisce tl'n quest.i concetti che significano tutti In stessa realtà, delle 1·ctaztonl, le
quali sono fonrlnte In !JIHlche modo sulla realtì\ pensata, mn propriamente sono
un prodotto del pensiero. Cosi, Intendendo l'uomo com11 sostanza, come vivente,
I NOMI DI DIO :m
Sed non potest esse quod sit in creatura tantum : quia sic Deus de-
nominaretur Dominus a relatione opposita, quae est in creaturis ;
nihil autem denominatur a suo opposito. Relinquitur ergo quod re-
latio est etiam aliquid in Deo. Sed in Deo nihil potest esse ex tem-
pore, cum ipse sit supra tempus. Ergo videtur quod huiusmodi no-
mina non dicantur de Deo ex tempore.
5. PRAETEREA, secundum relationem dicitnr aliquid relative: puta
secundum dominium dominus, sicut secundum albedinem albus. Si
igitur relatio dominii non est iu Deo secundum rem, sed solum se-
cundum rationem, sequitur quod Deus non sit realiter Dominus:
quod patet esse falsum.
6. PRA~'TEREA, in relativis quae 11on sunt simi:I naturn, unum potest
esse, altero non existente: sicut scibile existit, non existente scientia,
ut dicitur in Praedicamentis [c. 5J. Sed relativa quae dicuntur de
Deo et creaturis, non sunt simul natura. Ergo potest aliquid dici re-
lative de Deo ad creaturam, etiam creatura non existente. Et sic
huiusmodi nomina, Dominus et Creator, dicuntur de Deo ab aeterno,
et non ex tempore.
SF.n coN1RA EST quod dicit Augustinus, 5 De Trinit. [c. 16], quod
haec relativa appellatio Dominus Deo convenit ex tempore.
!1F.SPONDEO DICENDUM quod quaedam nomina importantia relatio-
nem ad creaturam, ex tempore de Deo dicuntur, et non ab aeterno.
Ad cuius evidentiam, sciendum est quod quidam posuerunt relatio-
ncm non esse rem naturae, sed rationis tantum. Quod quidem ap-
paret esse falsum, ex hoc quod ipsae res naturalem ordinem et habi-
tudinem habent ad invicem. Veruntamen sciendum est quod, cum
rclatio requirat duo extrema, tripliciter se habere potest ad hoc quod
sit res naturae et rationis. Quandoque enim ex utraque parte est res
rationis tantum: quando scilicet orda vel habitudo non potest esse
inter aliqua, nisi secundum apprehensionem rationis tantum, utpote
cum dicimus idem eidem idem. Nam secundum quod ratio apprchen-
dit bis aliquod unum, statuit illud ut duo; et sic appr.ehendit quan-
dam habitudinem ipsius ad seipsum. Et similiter est de omnibus re-
lationibus quae sunt inter ens et non ens ; quas format ratio, inquan-
tum apprehendit non ens ut quoddam extremum. Et idem est de om-
nibus relationibus quae consequuntur actum rationis, ut genus et
species, et huiusmodi.
Quaerlam vero relationes sunt, q11antum ad utrun•que extremum,
res naturae: quando scilicet est habitudo inter aliqua duo secundum
aliquid realiter conveniens utrique. Sicut patet de omnibus relatio-
nibus quae consequuntur quantitatem, ut magnum et parvum, du-
plum et dimidium, et huiusmodi: nam quantitas est in utroque extre-
morum. Et simile est de relationibus quae consequuntur actionem
et passionem, ut motivum et mobile, pater et filius, et similia.
come animale, come razionale, come individuo esistente, forma di esso tanti con-
cetti (la ricchezza di perfezLone che è nell'uomo si presta a ctò) I quali stanno tra
l.oro In rapporto di generale o indeterminato a speciale o determinato, donde i
generi, le differenze, le specie, ecc. L'ordine dei concetti nello sviluppo della CO·
noscenza è studiato dalla Logica, la quale è la sctenza del modo di procedere
della n'ostra mente nel conoscere, e un'arte per gul<lnrla in questa or1erazlone.
• In questi casi il rapporto è rectproco e non dipende dalla nostra conoscenza:
una quantità è realmente ptù piccola o più grande di un'altra; un motore è re:il-
wente causa del moto del mobile; due COi'e sono realmente simili o dissimil!. La
relazione In questi casi è reale ed è fondata nel dne estremi.
322 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 7

Talora infìne la relazione in llll estremo è entità reale, e nell'altro


entità di ragione soltanto. E ciò accade ogni qual volta i due estremi
non sono del medesimo ordine. Così la sensazione e la scienza si ri-
fe1;scono all'oggetto sensibile e a quello conoscibile, i quali oggetti
in quanto sono cose esistenti nella realtà concreta sono estranei al-
l'ordine intenzionale del sentire e del conoscere: e quindi nell' intel-
letto che conosco e nel senso che percepisce c' è una relazione reale,
in quanto che sono ordinati a conoscere e sentire le cose; ma le cose,
considerate in se stesse, sono estranee a tale ordine. Perciò in esse
non c'è relazione reale al conoscere e al sentire, ma soltanto di ra-
gione, in quanto l'intelletto le apprende come termini correlativi della
scienza e della sensazione. Perciò Aristotele dice che queste non si
chiamano termini di relazione nel senso che si riferiscano ad altre
cose, ma perchè altre rose si riferiscono ad esse. E come della co-
lonna la quale si dice che è destra unicamente perchè si trova alla
dt><=tra riel l'animale: rruindi la relazione di posizione non è realmeJJte
nella colonna, ma nell'animai<:!. '
Siccome dunque Dio è al di fuori di tutto l'ordine creato, e tutte
le creature dicono ordine a lui e non inversamente, è evidente che
le creature dicono rapporto reale a Dio; ma in Dio non vi è una sua
relazione reale verso le creature; vi è solo una relazione di ragione,
in quanto che le cose dicono ordine a lui. E così niente impedisce
che tali nomi implicanti relazione con le creature si attribuiscano a
Dio dal!' inizio del tempo: non per 11n qualche cambiamento avve-
nuto in lui, ma per una mutazione della creatura; come la colonna
diviene destra rispetto al\' animale, senza che in essa si sia verificato
un cambiamento, ma per lo spostarsi dell'animale.•
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tra i nomi che importano relazione
r
alcuni sono imposti per s.ignifìcare espt·essamente] · 1e stesse rela-
zioni, come padrone e servo, padre e figlio, e simili: e tali nomi si di-
cono relativi secondo tessere. Altri invece stanno a significare delle
cose, alle quali sono connesse delle relazioni, come motore e mobile,
capo e capeggiato, e simili: e q11esti si cl icono relativi secondo la
dtnominazione. • Ebbene, una tale distinzione bisogna applicarla
ai nomi di Dio. Difatti alcuni di essi non esprimono che il rapporto
stesso [di Dio] alle creature, come Dominus [Signore]. E tali nomi
non indicano direttamente, ma solo inùirettamente l'essenza divl!la
in quanto la presuppongono: come il dominio presuppone la po-
tenza, che è la [stessa] essenza di Dio. Altri nnmi invece esprimono
direttamente l'essenza divina, e solo di conseguenza importano re-
lazione; come Salratore, Creatore e simili, i quali esprimono [di-
rett;nnente] l':i.zione di Dio, chC' è la sua essenza. Gli uni e gli altri
' Questo raso si verifica pure In molte naltà esistenti: due cose non del me-
desimo ordine non si riferiscono l'una all'a.Itt·a n€llo stesso rnoùo; ma una ve-
ramente si riferisce all'altra, senza che questa si riferisca realmente alla prima :
la quale però è appresa come correlativa, giacché è appresa cor11e. te;·:uinc della
relazione reale, nessuna relazione tiotendosi concepire senza includervi I due ter-
mini correlativi. In natura co>e di diverso ordine ce ne sono molte: le nostre fa.
coltà conoscitive sono facoltà ordinate essenzialmente a certi ogi;etti: 1·intelletto
a conoscere la natura delle cose; i sensi a percepire le qualità sensibili dei corpi ;
la volontà a desiderare il bene che è nelle cose. Esse perciò dicono ordine reale
agli oggetti, ma gli oggetti, considerati in sè, sono realtà assolute, e non dicono
orlline al nostro conoscere, al no&tro volere; e tuttavia si dicono conosciuti, per·
cep1ti, <.lesiderati, ecc. In essi la relazione che li denomina, non è reale, ma di
ragio-ne soltanto, pcrchè essi si denominano relativamente soltanto perchè termini
I NOMI DI DIO 323

Qnandoque vero relatio in uno extremorum est res naturae, et in


altero est res rationis tantum. Et hoc contingit quandocumque duo
extrema non sunt unius ordinis. Sicut sensus et scientia referwitur
ad sensibile et scibile, quae quidem, inquantum sunt res quaedam in
esse naturali cxistentes, sunt extra ordinem esse sensibilis et intelli-
gibilis: et ideo in scientia quidem et sensu est relatio realis, secun-
dum quod ordinantur ad sciendum vel sentiendum res ; sed res ipsaa
in se consideratae, sunt extra ordinem huiusmodi. Unde in eis non
est aliqua relatio realiter ad scientiam et sensum ; sed secundum
rationem tantum, inquantum intellectus apprehendit ea ut termi-
nos relationum scientiae et sensus. Unde Philosophus dicit, in 5 Me-
ta.phys. [c. 15, lect. 17], quod non dicuntur relative eo quod ipsa
referantur ad alia, sed quia alia referuntur ad ipsa. Et similiter
dextrnm non dicitur de columna, nisi inquantum ponitur animali
ad dextram: unde huiusmodi relatio non est realiter in columna, sed
in animali.
Cum igitnr Deus sit extra totum ordinem creaturae, et omnes crea-
turae ordinentur ad ipsnm, et non e converso, manifestum est quod
creatnrae realiter referuntur ad ipsnm Deum; sed in Deo non est
aliqua realis relatio eius ad rreaturas, sed secundum rationem tan-
tum, inquantum crcaturae referuntnr ad ipsum. Et sic nihil prohibet
huiusmodi nomina importantia relationem ad creaturam, praedicari
de Dep ex tempore: non prcpter aliquam mutationem ipsius, sed
propter creaturae mntationem ; sicut columna fit dextera animali,
nulla mutatione circa ipsam existcnte, sed animali translato.
Ao PRJMt;M ERGO OJCENDu.1.1 quod relativa quaedam sunt imposita
ad signifìcr.ndum ipsas habitudines relativas, ut dominus, seT'!;US,
11ater et fìUus, et huiusmodi: et haec dicuntur relativa secundum
esse. Quaedam vero sunt imposita ad significandaR res quas conse-
qunntur quaedam lta!Jitudines, 10icut movens et motum, caput et ca-
pitatum, et alia huiusmodi: qnae dicuntur relativa ~·ecundum dici.
Sic itdtur rt rirea nomina rlivina haec differentia est consideranda.
r-.'am · quaedam significant ipsam habitudinem ad creaturam, ut Do-
minus. Et huiusmodi non significant substantiam divinam directe,
se:l indirecte, inquantum rraesupponunt ipsarn: sicnt dominium
pr:iesnpnrmit pote~tntem. qnae est divina substa.ntia. Qnaedam vero
slgnificant directe essentiam divinam, et ex consequenti important
habitudinem; sicut Salrator, Creator, et huiusmodi, significant actio-
nem Dei, quae e51 eius esscntia. Utraque tamen nomina ex tempore

delle rea li relazioni de<rli atti nostri a<:I essi. Cosi anchi> il • de•tro .. e • stnl•t.ro "•
"vicino• e • lor.tano • detti d1 cose Immobili situate nello spazio, per rapporto a
noi l'he ci movi,1•110. TI 11•nto, e q11inrli il variare della relazione, è In noi, non
nella cos.t rimasta Immutata; tuttavia la nostra mente che misura la concepisce
nec;essariamente come correlativa, non potendo intendere ii moto dell'animale,
ossia la vnriazione spaziale, se non riferentlO•i all' irnmohile.
' Cosi Dio riceve realmente nucve vere denominazioni, nel tempo. senza pre-
gilulizio della ~na assoluta i111111ut:ihilità. È leg~e ciel pensiero che si clenomini
dalla rel:1zione reale, come correlativo. anche l'altro termine nel quale il rapporto
non esiste. La ragione lo concepisce necessariamente come correlative. ; Il nesso è
soln <Il r::gh'nt'. I e cose "011<J rtai111eme ordinate a IJio, ]Joichè tutto il loro tS-
sere deriva da lui, è conservato da lui e tende al suo fine diretto da lni. :\la
!Jio non è or1lin:1to alle ro,e, po1c;1è •l sopr•1 e fi:ori di esse. Creatore e crcatu:·a for-
mano due ordini cltstintl e diversi. uno dei quali, Il creato, è tutto subordinato
ali" Increato; ma questo è totalnoente inc!iPC'nt.lente.
• Ci~ca la natura delle relazh1ni e la lor<:' divisione cfr. fil:. Tom., • Relatlo "·
324 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 7

tuttavia si possono dire di Dio dall'inizio del tempo se si considera


la relazione esplicita p implicita che importano, non già in quanto
direttamente o indirettamente indicano l'essenza divina.
2. Come le relazioni, che si dicono di Dio [a cominciare] dai
tempo, non sono in Dio se non secondo il nostro modo di concepire ;
così anche il farsi e l'esser fatto non si dice di Dio che scc-0ndo la
nostra ragione, senza che nessun mutamento sia avvenuto in lui,
come quando si dice: "Signore, ti sei fatto rifugio per noi! n.
3. L'atto dell'intelletto e della volontà rimane in colui che lo
compie, perciò i nomi che esprimono le relazioni derivanti dall'azione
dell'intelletto o della vplontà si dicono di Dio dall'eternità. Quelli
invece che derivano da azioni terminanti, secondo il nostro modo di
intendere, ad effetti esteriori, si applicano a Dio [a cominciare] dal
tempo, come Salvatore, Creatore, e simili. 1
4. Le relazioni espresse da quei nomi che si applicano a Dio [a
cominciare] dal tempo, sono in lui soltanto secondo il nostro modo
di pensare: invece le relazioni opposte si trovano nelle creature real-
mente. Nè vi è ripugnanza alcuna nel fatto che Dio si denomini da
relazioni che realmente esistono solo nelle creature; in q11est.o senso
per altro,· che la nostra mente concepisce il loro correlativo in Dio. In
maniera che Dio si potrà dire r.elativo alle creature nel senso che le
creature dicono relazione a lui: così, come dice il Filosofo, lo sci-
bile è detto relativo [all'intelligenza ehe conosce], perchè la scienza
[di chi conosce] si riferisce ad esso.
5. Siccome Dio dice relazione alla creatura sotto il medesirnp rap-
porto per cui la creatura dice relazione a Dio, dal momento che la
relazione di soggezione si trova realmente nella creatura, ne segue
che Dio è il Signore [Dominus] non solo secondo la nostra ragione,
ma realmente. E infatti egli è il Signore nel modo stesso in cui la
creatura gli è soggetta.
6. Per sapere se dei relativi siano o non siano coesistenti per na-
tura, non bisogna consirlerare l'ordine delle cose denominate da
quei relativi, ma il significato degli stessi relativi.• Se, infatti, uno
dei termini nel suo concetto include l'altro, e viceYersa, allora i due
termini sono coesistenti, come il doppio e la metà, il padre e il fi~lio,
e così via. Se invece l'uno nel suo concetto include l'altro, ma non
viceversa, allora non sono coesistenti per natura. Così è dei termini
conoscenza e conoscibile. Ed infatti, conoscibile significa q11alche
cosa di potenziale: conoscenza invece dice qualche cosa di abitnale
o di attuale: quindi il conoscibile, stando con rigore al significato del
termine, preesiste alla conoscenza. '.\la se il conoscibile si considera
[conosci11to l in atto, allora coesiste con la scienza parimente in atto·
perchè nessuna cosa è conosciuta, se di essa non si ha conoscenza.•

• Tutte le azioni d1 Dio sono vropriamente immancntt, giacché qualsiasi azione.


che noi gli attribuiamo. si identifica con la sua sost"nza. Fel'ò alèune di esse
hanno effetti esteriori a Dio, sono cioè tn qualche modo transitive (virtualmente
transitivei in quanto producono effetti fnori di Dio. I.e azioni dell' intend('re e
dell'amare non connotano per sè la produzione di effetti esterni, esµrimono un
atto t.utto intimo. Quindi il conoscere e l'a11iare rnnreH·cono" Ilio d:i t11!~a l'eter-
nità. Invece il creare è azione connotante le crenture nel tempo, è azione virtnaJ.
mente transitiva: •un'azione procedente, secondo il nostro modo d' intenùere,
n.rso effetti esteriori"· Quindi, sebbene l'azione cre<it1ice sia anch'essa identica
realmente alla sostanza divina, e perciò eterna, viene attribuita a Dio nel tempo.
I NOMI DI DIO

de Deo dicuntur quantum ad habitudinem quam important, vel prin-


cipaliter vel consequenter: non autem quantum ad hoc quod signi-
ficant essentiam, vel directe vel indirecte.
AD SECUNDUM DICENDUM quod, sicut relationes quae de Deo dicuntur
ex tempore, non sunt in Deo nisi secundum rationem, ita nec fieri
nec factum esse dicitur de Deo, nisi secundum rationem, nulla mu-
tatione circa ipsum existente: sicut est id, «Domine refugium fa-
ctus es nobis" [Psalm. 89, I].
An TERTIUM DICENDUM quod operatio intellectus et voluntatis est in
operante: et ideo nomina quae significant relationes consequentes
actionem intellectus vel voluntatis, ùicuntur de Dea ab aeterno. Quae
vero consequuntur actiones proced.entes, secundum modum intelli-
gendi, ad exteriores effectus, dicuntur de Deo ex tempore, ut Salva-
tor, Creator, et huiusmodi.
An QUARTUM DICENDLJM quod relationes significa.tae per huiusmodi
110miua quae dicuntur de Deo ex tempore, sunt in Dea secundum ra-
tionem tantum: oppositae autem relationes in creaturis sunt secun-
dmn rem. Nec est inconveniens quod a relationibus realiter existen-
tilms in re, Deus denominetur: tamen secundum quod cointelliguntur
per intellectum nostrum oppositae relationes in Dea. Ut sic Deus
dicatur relative ad creaturam, quia creatura refertur ad ipsum: si-
cut Philosophus dicit, in 5 Metaphys. [I. c.], quod scibile dicitur
relative, quia scientia referti1r ad ips?1m.
AD QUIN'I"UM nrrnNDUM lfUOd, cum c~a ratione referatur Deus ad
creaturam, qua creatura referlur ad ipsum ; cum relatio subiectionis
realiter !'lit in creatura, seqnitur quod Deus non secundum rationem
tantum, sed realiter sit Dominus. Eo enim modo dicitur Dominus,
quo creatura ei subiecta est.
An SEXTUM DICENDUM quod, ad cognoscendum utrum relativa sint
simul natura vel non, non oportet considerare ordinem rerum de
qnibus relativa dicuntur, ·Sed signifìcationes ipsorum relativorum. Si
enim unum in sui intellectu clandat aliud et e converso, tunc sunt
simul natura: sicut duplum et dimidium, pater et filius, et similia.
Si autem unum in sui intellectu claudat aliud, et non e converso,
tnnc non sunt simul natura. Et hoc modo se habent scientia et sci-
bile. Nam scibile dicitur secundum potentiam: scientia autem se-
cundum habitum, vel secundum actum. Unde scibile, secunrlnm mo-
dum suae significationis, praeexistit scientiae. Sed si accipiatur sci-
bile secundnm actum, tunc est simul cum scientia sernndum actum:

• Infatti Il termine non si riferisce immediatamente alle cose, ma al concetto


elle esso significa; e solo mediante il concettc• 'i riferisce alle cose. :r;: al &ignlfl·
ca.to del termine, e quindi al concetti, che bisogna badare, per vedere se i due
termini correlativi sono coesistenti o no.
• Nel caso dei due correlativi «conoscenza e conoscibile'" a rigore di termini
non c'è coesistenza, perchè "conoscibile" dice r<:'alta che può essere conosciuta,
€ quindi esistente anche se non conosl'lnta In .atto da nessun intelletto creato;
mentre conoscenza dice azione attualmente esercitata, e> per lo meno facoltà d~
ti-rminata a conoscere nn certo oggetto (conoscenza abituale, propria di chi ha Ja
srl<mza, ma non con&idera attualmente l'oggetto di essa) Però se conoscibile si
prendesse nel sl>:nificato di conosciuto in :ltto, allora importerehhe la conoscenz~
In atto, cioè sarebbe coesistente alla conoscenza. Non vi è cosa conosciuta senza una
conoscpnzn, come non vi è conoscenza sénza oggetto cono,ciuto.
Dirà più avanti S. Tommaso, che, se riferita a Dio, tutta la realtà è attualmente
conosciuta; perchè Dio è causa per Il suo intelletto, e perciò tutto ciò che egli
causa è conosciuto In atto. Dal che non segue che la scienza di Dio si riferisca
326 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 7-13

Sehbene dunque Dio sia anteriore alle creature, tuttavia, poichè nel
concetto di Dominus [Signore o Padrone] è incluso l'avere un "ser-
vo n, e viceversa, questi d11e relativi, Dominus e servo, sono per na-
tura simultanei. Quindi Dio non fu Signore [Dominus] prima che
avesse la creatura a sè soggetta. •

ARTICOLO 8
Se il nome. Dio sia nome che indica natura.

SEMBRA che il nome Dio non sia nome che indica natura. Infatti:
1. Dice il Damasceno che " Dio viene da fJéeiv, cioè da correre,
e dal soccorrere tutte le cose; o da arfJuv ossia da ardere (perchè
il nostro Dio è un fuoco che consuma ogni ingiustizia); oppure
da ??'f(crn?w, cioè dal vedere, tutte le cose n. Ora, tutto ciò appar-
tiene all'operazione. Quindi il nome Dio esprime l'operazione [di Dio]
non la natura. 2
2. Una cosa da noi viene nominata secondo che da noi è cono-
sciuta. Ora, la divina natura è da noi ignorata. Dunque questo nome
Dio non significa la divina natura.
IN CONTRARIO: S. Ambrogio afferma che Dio è nome che esprime la
natura.
RISPONDO: Non sempre s' ir:lentifìca la cosa che ha dato origine a
una parola con quella che la parola viene destinata a significare. In-
fatti, come conosciamo la sostanza di una cosa dalle sue proprietà o
dalle sue operazioni, così talora la nominiamo da una sua operazione
o proprietà; P. es., noi 'nominiamo l'essenza della pietra [lapide] da
una sua azione, perchè lede il piede; tuttavia questo nome non è im-
post-0 per significare tale azione, ma per designare l'essenza della
pietra. 3 Trattandosi invece di cose che ci sono note in se stesse, come
il calore, il freddo, la bianchezza e simili, per denominarle non ci
serviamo di altre cose: in tali casi s'identifica l'oggetto indicato
dalla parola con la sua origine etimologica.
Siccome, dunque, Dio non ci è noto nella sua natura, ma si viene
a conoscere attraverso le sue operazioni o effetti, da questi noi lo
possiamo denominare, come si è già detto. Quindi questo nome Dio
designa una certa operazione, se si bada alla sua origine. Infatti
f>SSO è desunto dalla universale provvidenza delle cose: poichè tutti
coloro che parlano di Dio, intendono chiamare Dio colui che ha
l'universale provvidenza delle cose. Per cui Dionigi dice che "la
deità è quella che guarda tutto con provvidenza e bontà perfetta n.
li nome Dio da tale operazione deriva, ma è destinato ad esprimere
la divina natura.
e dipenda dalle cose; ma che le cos.~ dipendono (\alla scienza di Dio. Nella scienza
divina non e' è che una relazlon<o di rag-ione. D~l fatto poi che la realtà h:i ordine
alla scienza divina, da cui è posta nell'es&ere, segue che essa sia conoscibile
da qualsiasi Intelletto, os;ia che i11 qualche modo implichi la coesi5tenza della
nostra S'.'i('nza come possibiJP.
1 Quindi pur essendo Dio anteriore alla creatura, non si denomina " Domlnus"
da tutta l'eternità, perchè "domlnns" non dice sola attitudine, come li termine co-
noscihile, quasi significasse uno che può esercitare un dominio; ma significa uno
rhe esercita nttnalmente un dominio; Il rhe non è senza un dipendente.
I NOMI DI DIO 327

nam scitum non est aliquid nisi sit eius scientia. Licet igitur Deus
sit prior creaturis, quia tamen in significatione Domini clauditur
quod habeat servum, et e converso, ista duo relativa, Dominus et ser-
vus, sunt simul natura. l)nde Deus non fuit Dominus, antequam ha-
beret creaturam sibi subiectam.

ARTICULUS 8
Utrum hoc nomen Deus sit nomen naturae.
t Sent., d. 2, expos. lit.
Ao OCTAVUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod hoc nomen Deus non sit
nomen naturae. Dicit enim Damascenus, in 1 libro [De Fide Orth.,
c. 9], quod "Deus dicitur a theein 11, quod est currere, "et fovere
universa; vel ab aet!teìn, idest ardere (Deus enìm noster ignis consu-
mens est omnem malitiam); ve! a theasthai n, quod est considerare,
"omnia"· Haec autem omnia ad operationem pertinent. Ergo hoc
nomen Deus operationem significat, et non naturam.
2. PRAETEREA, secundum hoc aliquid nominatur a nobis, secundum
quod cognoscitur. Sed divina natura est nobis ignota. Ergo hoc no-
men Deus non signifìcat naturam divinam.
SEo CONTRA EST quod dicit Ambrosius, in libro 1 De Fide [c. 1], quod
Deu.s est nomen natmae.
RESPONDEO orcENDUM quod non est semper idem id a quo imponitur
nomen ad signifìcandum, et id ad quod significandum nomen impo-
nitur. Sicut enim substantiam rei ex proprietatibus vel operationibus
eius cognoscimus, ita substantiam rei denominamus quandoque ab
aliqua eius operatione vel proprietate: sicut substantiam lapidis de-
nominamus ab ali qua actione eius, qnia laedit pedem; non tamen
hoc nomen impositum est ad signiflcandum hanc actionem, sed sub-
stantiam lapidis. Si qua vero sunt quae secundum se sunt nota no-
bis, ut calor, frigus, albedo, et huiusmodi, non ab aliis denominan-
tur. Unde in talibus idem est quod nomen ·significat, et id a quo impo-
nitur nomen ad significandum.
Quia igitur Deus non est notus nobis in sui natura, sed innotescit
nobis ex operationibus vel effectibus eius, ex his possumus eum no-
minare, ut supra [a. 1] dictum est. Unde hoc nomen Deus est nomcn
operationìs, quantum àd id a quo imponitur ad significandum. Im-
ponitur enim hoc nornen ab universali rerum providentia: omnes
enim loquentes de Deo', hoc intendunt nominare Deum, quod habct
providentiam universalem de rebus. Unde dicit Dionysius, 12 cap.
De Div. Nom. [lect. 1], quo:i "deitas est quae omnia videt providen-
tia et bonitate perfecta "· Ex hac autem operatione hoc nomen Deus
assumptum, impositnm est ad signifìcandum divinam naturam.
• S. Tommaso ri5pettava, come non pochi filologi recenti, questi dati etimolo-
gi.cl (ad I). Altri filologi moderni Invece fecero derivare il nome fleoç dalla radice
dyu, e la sua forma attuale si spiegherebbe col vocabolo detvos (= 5u lfoc) il cui
dig:unnia avrebbe dato luogo all'aspirazione iniziale (cfr. POTT, Etymolog. Fors-
chungen, I, 101); altri pensano derivi dalla radice {}e, che significherebbe suppltca
(CuRnus, Grtech. Etymotog., alla voce in questione); altri da una radice dhveso,
che significherebbe sptraztone, e cosi '~'"' equivarrebbe a spirito, oppure dalla
radice dl1e, cioè porre, e allora {},,;, avrebbe il significato di r:reatore.
a Vedi sopra a. 2, ad 2.
LA SOM~IA TEuLOGICA, I, q. 13, aa. S-9

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutto quel ohe dice il Damasceno si


riferisce alla provvidenza dalla quale il nome Dio deriva il .suo si-
gnificato.
2. Allo stesso modo che noi possiamo conoscere la natura di una
cosa dalle sue proprietà e dai suoi effetti, così la possiamo indicare
con un nome. Perciò, sicco.me noi po'>Siamo conoscere in se stess::i la
natura della pietra per mezzo di una sua proprietà, sapellllo che
cosa è la pietra; questo nome vie tra indica la natura della pietra,
quale è in se stessa: esprime infatti la definizione della pietra, e la
clefìnizione ci dice quello che la pietra è. Il concetto infatti che viene
e~:nresso dal nome è la definizione. come dice Aristotele. Ora, dagli
effetti divid non possiamo conosC'ere la natura di Dio come è in se
stessa, fino al punto di sapt>rne ìa rlefìnizirme; ma la conosciamo per
via di eminenza, di causalità e di negazione, come abbiamo già
detto. Solo i11 tal modo il termine Dio significa la naturn. divina.
Questo nome infatti serve a indicare un essere che è al disopra di
tutto, che r. il principio di tutto e che è diverso [essenzialmente] da
tutto. Questo è J'e;;sere che intendono designare coloro che pronun-
ziano il nome di Dio. 1

ARTICOLO 9
Se il nome Dio sia comunicabile.

SEMBRA che il nome Dio sia comunicabile. Infatti:


1. A chiunque è comunicata la cosa espressa dal nome, viene comu-
nicato anche il nome. Ora, il nome Dfo, come abbiamo veduto, in-
dica la divina natura, la quale è comunicabile ad altri, secondo il
detto dell'Apostolo Pietro: "Egli ha donato a noi grandissime e pre-
ziose promesse, affinchè per mezzo di queste divent'amo partecipi
della natura divina». Il nome Dio è dunque comunicabile:
2. Solo i nomi propri non sono comunicabili. Ora, il nome Dio
non è un nome proprio, ma è un appellativo comune, come apparisce
chiaro dal fatto che si adopra al plurale, secondo il detto dei Salmi:
"Io ho detto: - Voi siete dèi - ». Dunque il termine Dio è un nome
comunicabile.
3. Questo nome trae la sua origine da 11nn operazione divina, come
abbiamo detto. Ora, tutti gli altri nomi, che si attribuiscono a Dio e
derivano dalle sue operazioni o dai suoi effetti, sono comunicabili,
come buono, sapiente e simili. Dunque anche il nome Dio è comuni-
cabile.
IN CONTRARIO: È detto nella Sapienza: «Imposero alle pietre e al
legno lincomunicabile nome": e ivi si parla del nome della divi-
nità. Dnnque il termine Dio è un nome incomunicabile.
RISPONDO: Un nome in due modi può essere comunicabile: in senso
proprio o per [accostamento o] somiglianza. Nome comunicabile in
senso proprio è quello che si attribuisce a più cose secondo tutta
l'estensione del suo significato; comunicabile per un accostamento

1 u nome a Dlo • quindi Indica la natura di Dio, come da noi è conosciuta;


Indica Il • mlsterio~ls:.lmo essere• che è causa di tutte le ro~e. ne precontiene le
I NOMI DI DIO 329
Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod omnia quae posuit Damascenus,
pertinent ad providentiam, a qua imponitur hoc nomen Deus ad si-
gnificandum.
Ao sEcuNnUM DICENDUM quod, secundum quod naturam alicuius rei
ex eius proprietatibus et effectibus cognoscere possumus, sic eam no.
mine possumus significare. Unde, quia s11bstantiam lapidis ex eius
proprietate possumus cognoscere secundum seipsarn, sciendo quid est
lapis, hoc nomen lapis ipsam lapidis naturam, secundum quod in
se est, significat: significat enim definitionem Iapidis, per quam sci-
mus quid est lapis. Ratio enim quam significat nomen, est definitio,
ut dicitur in 4 llletaphys. [c. 7, lect. 16]. Sed ex effectibus divinis di-
vinam natnram non possumus cognoscerè secundum quod in se est;
ut sciamus de ea quid est ; sed per modum eminentiae et causalitatis
et negationis, ut supra [q. 12, a. 12] dictum est. Et sic hoc nomen
Deus significat naturam divinam. Impositum est enim nomen hoc ad
aliquid significandum supra omnia existens, quod est principium
-0mninm, et remotum ab omnibus. Hoc enim intendunt significare
nominantes Deum.

ARTICULUS 9
Utrum hoc nomen Deua sit communicabile.

AD NONUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod h-OC nomen Deus sit com-
municahile. Cuicnmque enim communicatur res significata per no.
men, communicatnr et nomen ipsum. Sed hoc nomen Deus, ut dictum
est ra. praec. ], si.Emifìcat divinam nat11ram, quae est communicahilis
:aliis, secundum illud 2 Pet. 1, 4: «magna et pretiosa promissa nobis
donavit, ut per hoc efficiamur divinae consortes naturae "· Ergo
hoc nomen Deus est communicabile.
2. PRAETEllEA, sola n-0mina propria non sunt cpmmunicabilia. Sed
hoc nomen Deus non est nomen propriuin, sed appellativum: quod
patct ex hor. quort habet plurale, sec11nd11m illurl Psalmi 81, 6: «Ego
dixi, dii eslis n. Ergo hoc nomen Deus est communicabile.
3. PnA~:TEREA, hoe nomen De·us imponitnr ab operatione, ut dictum
est [a. praec.]. Sed alia nom!na quae imponuntur Deo ab operatio-
nibns, sive ab effectibus, sunt communicabilia, ut bonus, sapiens et
huiusmodi. Ergo et hoc nomen Deus est communicabile.
SEo CONTRA EST quod dicitur Sap. 14, 21: « incommunicabile nomen
lignis et lapidibus irnposuerunt n ; et loquit11r de nomine deitatis.
Erp:o hoc nomen Deus est nomen incommnnirabile.
RESPONDIW DICENDUM quod aliqn-Od nomen potest esse communica.
bile d11plicit-er: uno modo, proprie ; alio modo, per &imilitudinem.
Proprie quidem c0 mmunicabile est, quod secundµm totam signifi-
cationem nominis, est communicabile multis. Per similitudinem

perfll21onl, senza limiti, tutte trascendendole Infinitamente. Egli deve essere cosl
·11"vogliamo spiegare le cose, che non hanno In se stes!lfl la. ragione del lori) eslsteJ'9
e della l01l0 sµeclllca perteziOllH. :>e Uio non tosse diverso dalle cuoe e 11un Je t.r"·
l'CPndesse Infinitamente, p!'econtenenl1o la pienezza d~ll 'essere, non si potrebbero
11plegare e rendere Intelligibili le cose, avrehhe egli ste•so hlsogno 111 spiegazione.
SOMMA TEOLOGICA, I, Q. 13, A. 9

è quello che si attribuisce ad altri esseri per qualcuno dei vari ele-
menti inclusi nel suo significato. P. es., il termine leone in senso
proprio è detto di tutti quegli animali nei quali si riscontra la natura
espressa da tale nome: per somiglianza [o analogia] si attribuisce
a tutti gl' individui i quali partecipano alcunchè di leonino, come
l'audacia o la fortezza, per cui si dicono metaforicamente leoni.
Per sapere poi quali nomi siano comunicabili in senso proprio,
bisogna notare che ogni forma esistente in un soggetto singolare,
da cui riceve la sua individuazione, è comune a più individui o real-
mente o almeno secondo la considerazione della nostra mente: p. es.,
la natura umana è comune a più individui realmente e secondo il
nostro modo di concepire, mentre la natura del sole non è comune
a più individui in realtà, ma solo secondo il nostro modo di con-
cepire, poichè la natura del sole possiamo supporla attuata in più
soggetti. • E ciò perchè la nof:tra mente concepisce la natura di cia-
scuna specie astraendo dal singolare: quindi esistere in un solo
individuo, <> in più, non rientra nel concetto che noi ci formiamo di
una natura specifica: perciò, salvo restandone il concetto, ogni na-
tura specifica si può pensare attuata in più soggetti. Il singolare,
invece, per il fatto che è singolare, è distinto da ogni altra realtà.
Quindi ogni nome imposto a significare il S'ingoiare è incomunica-
bile e secondo la realtà e secondo il nostro modo di concepire: non
può infatti neppur venire in mente la molteplicità di questo deter-
minato individuo. Sicchè nessuno dei nomi che designano l' indi-
viduo è comunicabile a più soggetti in senso proprio, ma solo in senso
figurato; cosi, p. es., uno può esser detto un Achille, in senso meta-
forico, in quanto possiede qualcuna delle pmprif:tà di Achille, cioè
il coraggio.
Ora, le forme che non vengono individuate da un qualche &ag-
getto, ma da se medesime (perchè cioè sono forme sussistenti), se
venissero concepite [da noi] quali sono in se stesse, non si potrebbero
dire comunicabili nè realmente, nè secondo il nostro modo di inten
dere; tutt'al più [sarebbero comunicabili] per analogia, come si è
detto degli individui. 2 Però siccome noi non possiamo conoscere le
forme semplici per sè sussistenti come esse sono, ma le conosciamo
al modo degli esseri composti aventi forma nella materia, allora,
come abbi::imo detto, diamo ]oro dei nomi concreti che esprimono la
natura [come fosse attuata] in qualche soggetto. Quindi, per quanto
concerne la questione dei nomi, vale la stessa ragione per i nomi che
noi usiamo per indicare la natura delle cose composte e per quelli
che adopriamo per significare le nature semplici sussistenti.
Allora, siccome il termine Dio è preso a significare la natura di-
vina, come abbiamo già detto; e siccome, d'altra parte, la natura
divina non è moltiplicabile, come abbiamo dimostrato; ne viene che
questo nome Dio è realmente incomunicabile, ma è comunicabile
secondo una [falsa] opinione, come sarebbe comunicabile il nome
sole secondo l'opinione di coloro che ammettessero più soli. In que-

' L'unicità del sole nel sistema cosmico tolemaico era concordemente affer-
mata come un fatto dalla scienza di allora. Aveva una sua natura sveclfica che lo
distingueva da ogni altro astro; ma era l'unico esemplare nella sua specie, come
corpo aut.olumln0&0. illuminante gli altri corpi celesti. La sua moltiplicabilità
tuttavia, nota S. Tommaso, era perfettamente concepibile: si potevano pensar~
più soli, come possibili.
I NOMI DI DIO 331
autem communicabile est, quod est communicabile secundum aliquid
eornm quae inc:luduntnr in nominis signilicaiione. Huc enirn uomen
leo proprie communicatur omnibus illis in quibus invenitur natura
qnarn significat hoc nomen l•:o: per similitudinem vero communica-
bile est illis qui participant aliquid leoninum, ut puta andaciam vel
fortitudinem, qui metaphorice !P.ones dicuntur.
Ad sciendum autem quae nomina proprie sunt communicabilia,
con~iclerantlum est quod omnis forma in supposito singulari existens,
per quod ir1dividnatur, communis est multis, vel secuudum rem vel
secundum rationem saltem: sicut natura Immana c 0 mmi:nis est
mnltis secnndurn rern et rationem, natura nut<>m s0lis non est com-
munis multis secundum rem, sed secundum rationem tantum; pot-
est enim natura solis intelligi ut in pluribus suppositis existens. Et
hoc ideo, quia intellectus intelligit naturam cuiuslibet speciei per abs-
tractionem a singulari: unde esse in uno supposito singulari vel in
pluribus, est praeter intellectum naturae spcciei: unde, servato in-
tellectu naturae speciei, potest intelligi ut in pluribus existens. Sed
singulare, ex hoc ipso quod est singulare, est divisum ab omnibus
aliis. Unde omne nomen impositnm ad significandum aliquod singu-
lare, est incommunicabile et re et ratione: non E-nim potesi nec in
apprehensione cadere pluralitas huins individui. Unde nullnm no-
men signif.cans aliqnod individuum, est commnnicabile multis pro-
prie, sed solum secundum similitudinem; sicut aliquis metaphorice
potest dici A chilles, inquantum habet ali quid de proprietatibus
Achillis, scilicet fortitudinem.
Formae vero quae non individnantur per aliquad :-:uppositum, sed
per seipsa:s (quia scilicet sunt formae subsistentes), si intelligerentur
secundum quod sunt in seipsis, non possent communicari nec re ne-
que ratione; sed forte per similitudinem, sicnt dictum est de indi-
viduis. Sed quia formas simplices per se subsistentes non possumus
intelligere secundum quod snnt, '3e<l intelligimus eas ad modnm re-
rum compositarum habentium fnrmas in materia ; ideo, ut dictum
est [a. l, ud 2], impcnimus eis nomina concreta significantia natu-
ram in aliquo supposito. Unde, quantum pertinet ad rationem no.
minum, eadem ratio est de nominibns quae a nobis imponuntur ad
significandnm naturas rerum cornpositarum, et de nominibus quae
a nobis imponuntur ad significandum naturas simplices subsistentes.
Unde, cnm hoc nomen Deus impositum sit ad significandum na-
turam divinam, ut dictum est [a. praec.]; natura autem divina mul-
tiplicabilis non est, ut supra [ q. 11, a. 3] ostensum est: sequitur
quod hoc nomen Deus incommunicabile quidem sit secundum rem,
i;ed commnnicabile sit secundum opinionem, quemadmodum hoc no-
men sol esset communicabile secundum opinionem ponentium multos
sol es. Et secundum hoc dicitur Gal. 4, 8: "his qui natura non sunt
dii, serviebatis,, ; glossa [interi.]: <<mm sunt dii natura, sed opi-

• Gli angeli, puri spiriti, forme sussistenti che si individuano per se stesse,
sono, secondo l' lnsegnamentc di S. Tommaso, tra loro di specie dl!Trrenti (cfr. I,
Q. 50, a. 4); dlfferi>cono l'un l'altro dl grado, ed ognuno ha la totale perfezione
del suo grado. Non sono moltipltcabili numericamente nel limiti di unfl ste&<a
specie, come invece sono moltlplicahlll gli uomini, perchè ogni qualsiasi aggiunta
di perfezione nelle forme sussistenti muta specie. Si possono dire comunicabili o
moltiplicabili per llnalogta, quando i;t dice, p. es .• rhe un uomo puro e buono è
un anirel'.l, o slmlli frasi.
L.\ SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 9-10

sto senso dice S. Paolo: "Voi servivate a quelli che per natura
non sono dèi ,, ; e la Glossa soggiunge: «non sono dèi per natura,
ma secondo l'opinione degli uomini"· - Nondimeno il nome Dio è
comunicabile, se non secondo tutta l'estensione del suo significato,
almeno in parte, per un certo [accostamento o] somiglianza: talchè
si potranno chiamare dèi coloro che partecipano un qualche cosa di
divino a modo di somiglianza, secondo le parole dei Salmi: "Io ho
detto voi siete dèi ». '
Ma se ci fosse un nome posto a significare Dio non sotto l'aspetto
di natura, ma sotto quello di supposito [individuale], allora un tal
nome sarebbe del tutto incomunicabile: tale è forse presso gli Ebrei
il Tetragramma. 1 Sarebbe lo stesso che uno desse al sole il suo nome
per indicare [non la natura dell'astro ma] questo [<::orpo celeste] in
particolare.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La natura divina non è comunica-
bile se non secondo la partecipazione di una somiglianza.
2. Il nome Dio è nn appel!ativo e non un nome proprio, perchè
significa la natura divina come se si trovasse in un soggetto che
la possiede; sebbene Dio, in realtà, non sia nè un essere universale,
nè un essere particolare. Difatti i nomi non seguono il modo di es-
sere che si trova nelle cose, ma il modo di essere che hanno nella
nostra cognizione. E nondimeno in realtà è incomunicabile, come si
è detto riguardo al nome sole.
3. I termini buono, sapiente e simili, son derivati, è vero, da per-
fezioni causate da Dio nelle creature; ma essi non sono usati per
significare l'essenza divina, bensì le perfezioni prese in se stesse e in
modo assoluto. E perciò anche secondo la realtà rlelle cose sono co-
municabili. Invece il tt~rmine Dio deriva da un'operazione esclusiva
di Dio, che noi continuamente sperimentiamo, ed è assunt'> a signi-
ficare la divina natura.

ARTIC:OLO 10
Se il nome Dio si dica con lo stesso significato univoco,
applicato a [colui che è] Dio per natura, [a chi lo è] per parteeipazione
e [a chi lo è] nell'opinione [degli uomini].

SEMBRA che il nome Uio si dica con lo ~tesso significato univoco,


applicato a [colui che è] Dio per natura, [a chi lo è] per partecipa-
zione e [a chi lo è) nell'opinione [degli uomini]. Infatti:
1. Dove ci sia diversità di senso, non si dà contraddizione tra chi
afferma e chi nega; poichè l'equivoco impedisce la contraddizione.
Ora, il cattolico che dice: «l'idolo non è Dio•>, contraddice al pagano
che afferma: "l'idolo è Dio». Dunque la parola Dio è presa nel-
l'uno e nell'altro caso univocamente.
2. L'idolo è Dio secondo l'opinione e non secondo la verità, allo
stesso modo che il godimento dei piaceri carnali si dice felicità se-
condo l'opinione e non secondo verità. Ora, il termine felicità si dice
univocamente tanto della presunta felicità quanto di qnella vera.

'.L'ebraico elohtm, che la Volgata traduce giustamente lltt, a chi si rlfert!<CeT


Agli dèl delle nazioni pagane, rispondono alcuni esegeti razionalisti. - .Non e' è
I NOMI DI DIO 333

nione hominnm ». - Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus


non secnndum suam totam signifìcationem, sed secundum aliquid
eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui partecipant
ali quid divinum per similitudinem, secundum illud: "Ego dixi, dii
estisn [Ps. 81,6].
Si vero esset aliquod nomen impositum ad signifìcandum Deum
non ex parte naturae, sed ex parte suppositi, secundum quod con-
sideratur ut hoc a/i.quid, illud nomen esset omnibus modis incom-
municabile: sicut forte est noml.'n Tetragrammaton apud Hebraeos.
Et est simile si quis imponeret nomen Soli ùesignans hoc individuum.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod natura divina non est communi-
cabilis, nisi secundum similitudinis participationem.
An SECUNPUM DICENllPM quocl hoc nomen Deus est nomen appellati.
vum, et non proprium, quia signifìcat naturam ùiYinam ut in ha,.
bente; licet ipse Deu~, secmidum rem, non sit nec universalis nec
particularis. Nomina enim non sequuntur modum essendi qui est in
rebus, sed modum essendi secundmn quod in cognitione nostra est.
Et tamen, secundum rei veritatem, est incomrnunicabile, secundum
quod dictum est [in corp.] de hoc nomint> sol.
An TERTIUM DICENDUM quod haec nomina bonus, sapiens, et similia,
imposita quidem sunt a perfecticinibus procedentibus a Deo in crea-
turas: non tamen ~unt imposita ad signifìcandum divinam naturam,
sed ad signifìcandum ipsas perfectiones abi;olute. Et icleo etinm se-
cundnm rei veritatem sunt cornmunif!abilia multis. Sed hoc nomen
Deus impositum est ab operatione propria Deo, quam experimur
continue, ad signi.fìcandum divinam naturam.

ARTICULUS 10
Utrum hoc nomen Deus univoce dicatur de Deo per participationem.
seeundum naturam, et secundurn opinfonem.

An DECIMUM sic PROCEDITUR. Videtur quod hoc nomen Deus univoce


rlicatur de Deo per naturam, et per participationem, et secundum
opinionem. Ubi enim est diversa significatio, non est contradictio
affirmantis et negantis: aequivocatio enim impedit contradictionem.
Sed catholicus dicens idolum non est Deus, contradicit pagano di-
centi idolum est Deus. Ergo Deus utrobique sumptum univoce di-
citur.
2. PRAETERE.\, sicnt idolum est Deus secunclum opinionem et non
!'ecundum veritatem, ita fruitio t:'arnalium dPlectationum dicitur fe-
licitas !'ecundum opinionem, et non secunclum veritatem. Sed hoc
nomen be.atitudo univoce dicitur de hac beatitudine opinata, et de
dubbio Invece che va riferito a esseri umani (Gfov., 10, 34), e. nel contesto del salmo,
al gindlcl di Israele (cfr. ls., 3, 13 ss.).
• II Tetr11gramma è Il nome •Colui che è" (Jahvé) di cui più ~vanti (p. 338,
nota 1).
334 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 10

Dunque anche il nome Dio si dice univocamente del Dio vero e del
dio creduto tale.
3. l 111ivoci si dicono quei termini che hanno un medesimo senso.
Ora, il cattolico quando dice vi è un solo Dio, col nome di Dio in-
tende un essere onnipotente, degno di venerazionr~ sopra tutte le
cose: l' identica cosa intende il pagano quando afferma che I' idolo
è Dio. Durique in tutti e dne i casi questo nome è detto univoca-
mente.
IN CONTRARIO:' 1. Ciò che è nel!' intelletto non è altro che l' imma-
gine di ciò che è nella realtà. Ora, il termine animale, attribuito al
vero animale e a quello dipinto, è detto con signifìcato equivo.co [nei
due casi]. Perciò il nome Dio, asserito del Dio vero e del dio creduto
tale, è detto equivoeamente.
2. Nessuno può esprimere ciò che ignora. Ora, il pagano non co-
nosce la natura divina. Dunque quando diC'e: cc I' idolp è dio n, non
esprime la vera divinità. La esprinie invece il cattolico che dice es-
servi un solo Dio. Dunque il termine Dio non si dice univocamente,
ma equivocamente del Dio vero e del dio creduto tale.
RISPONDO: Il termine Dio nei tre casi indicati non è preso nè in
senso univoco, nè in senso equivoco, ma in senso a11alogico. Eccone
la chiara dimostrazione. Sono univoche quelle cose che hanno una
definiz'.one del tutto identica; equivoche, quelle che ne hanno una
del tutto diversa; mentre le cose analogiche richiedono che il ter-
mine, preso secondo un unico significato originale, comparisca nella
definizione del termine stesso preso in altri significati. Così l'ente,
detto della sostanza, rientra nella definizione dell'ente, quando si
applica all'accidente; e sano detto dell'animale entra nella defini-
zione di sano detto dell'orina e della medicina: ed invero della sa-
nità dell'animale l'orina è un segno, e la medicina la causa.
Accade così. nel caso nostro. Difatti si !!s:1 ìl tenuirie Dio, nel me-
desimo signifìcato che si adopra per il vero Dio, nel formare il con-
cetto di un dio [presunto ol seconrl11 l'o~1;nione o di un dio per par-
tecipazione. Quando infatti noi chiamiamo uno dio per partecipa-
zione, col nome Dio intendiamo indicare qualche cosa che ha una
somiglianza col vero Dio. Parimente, quando chiamiamo dio 1111
idolo, col termine Dio intendiamo di significare un qualche oosa che
da alcuni uomini viene ritenuta come Dio. E così è evidente che le
accezioni di questo nome sono diverse; ma una di esse si ritrova
nelle altre. E quindi chiaro che si dice in senso analogico.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La molteplicità dei nomi non si ar-
gomenta dalla diversità degli oggetti a cui si attribuiscono, ma da
quella dei loro significati: p. es., il termine uomo, usato come pre-
dicato di qualsiasi entità, secondo verità o falsamente, è sempre
usato con uno stesso significato. Avrebbe, invece, molteplici acce-
zioni, se col termine uomo volessimo esprimere entità diverse; c:ome
se uno lo usasse per indicare quello che veramente l'uomo è; un
altro per significare una pietra, o qualsiasi altra cosa. È evidente,
quindi, che il cattolico, dicendo che l'idolo non è dio, è in perfetto
c.ontrasto col pagano, il quale ciò asserisce: perchè l'uno e l'altro si
servono di questo termine per indicare il vero Dio. 2 E infatti, quando
1 S. Tommaso non consente del tutto con le affermazioni dei due argomenti Ili
CONTRARIO. e ad e&Si risponde nelle soluzioni ad 4 e ad 5.
I NOMI DI DIO

hac beatitudine vera. Ergo et hoc nomen Deus univoce dicitur de D..-o
secundum veritatem, et de Deo secundum opinionem.
3. PRAETEHEA, univoca dicuntur quorum est ratio una. Sed catholi-
cus, cum dicit unnm esse Deurn, intelligit nomine Dei rem ornnipo-
tentem, et super omnia venerandam: et hoc idem intelligit gentilis,
cum dicit idolum esse Deum. Ergo hoc nomen Deus univoce dicitur
utrobique.
SED CONTRA, illud quod est in intellectu est sirnilitudo eius quod est
in re, ut dicitur in 1 Peril1erm. [c. 1, lect. 2]. Sed animal, dictum de
animali vero et de animali picto, aequivoce dicitur. Ergo hoc nomen
Deus, dictum de Deo vero et de Deo secundum opinionem, aequivoce
dicitur.
PRAETEREA, nullus potest significare id quod non cognoscit: sed geI1-
tilis non cognoscit naturam divinam: ergo, cum dicit idolum est
Deus, non significat veram deitatem. Rane antern significat catho-
licus dicens unum esse Deum. Ergo hoc nomen Deus non dicitur uni-
voce, sed aequivoce, de Deo vero, et de Deo secundum opinionem.
REsPONDEO DICENDUM quod hoc nomen Deits, in praemissis tribus
significationibus, non accipitur neque univoce neque aequivoce, sed
analogice. Quod ex hoc patet. Quia univocorum est omnino eadern
ratio: aequivocorum est omnino ratio diversa: in analogicis vero,
oportet quod nomen Fecundum unam significationern acceptum, po-
natur in defìnitione eiusdem nominis secundum alias significatione.:i
accepti. Sicut ens de substantia didum, ronitnr in defìnitione entis
secundum quod de accidente dicitur ; et sanum dictum de animali,
ponitur in detinitione sani secundum quod dici1nr de urina et de me-
dicina; huius enim sani quod est in animali, urina est significativa,
et medicina factiva.
Sic accidit in proposito. Nam hoc nomen Deus, secundum quod pro
Dea vero sumitur, in ratione Dei sumitur secundum quod dicitur
Deus secundum opinionem vel pariicipaiionem. Cum enim aliquem
nominnmus Deum secund11rn particifJationem, intelligimus nomine
Dei aliquid habens l'irnilitndinem veri Dei. Similiter cum idolum no-
minamus Deum, hoc nomine ])e1ts intelligimus signifìcari aliquid, de
auo homil!eS opinant·.1r quod sit Deus. Et sic manifestum est quoti
alia et alia est significatio nominis. sed una illarurn significationum
clauditur in signifìcationi!Jus aliis. Unde manifestum est quod ana-
logice dicitur.
AD PRTM •jl\I ERGO DICENIJl'M quod nominnm multiplicitas non atten-
ditur secirndum nominis praedicationem, sed secundum significatio-
nem: hoc t•nim nomen homo, de quocurnquc praedicetur, sive vere
!'ive false, 'licitnr uno modo. Sed tunc m11ltipliciter diceretur, si per
hoc nomen homo in1enderemus significare diversa: pnta, si unus in-
tenderet sign ific.are per hoc nomen hum•J id quod vere est homo, et
alius intenderet signifìcare eodem nomine lapidem, V8l aliquid aliud.
Unde patet quod catholicus dicens idolum non esse Deum, contradicit
pagano hoc asserenti: quia uterque utitur hoc nomine Deus ad si-
gnifìcandum vernm Deum. Cum rnirn paganus dicit idolum esse

• Vale a dire: appunto perchè il nome ha le· stesso significato in bocca del cat-
tolico o del pagano, è preso cioè dai due univoca mente, essi sono In contrasto:
nno rllre il vern: l'altro dir~ Il falso. Se lo prendessero in diverso senso, e cioè
equivoco, Il contrasto cesserebbe e ognuno direbb3 li vero.
836 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 10-11

il pagano dice che lidolo è Dio, non prende tale parola nel senso
di un presunto dio: chè altrimenti direbbe la verità, poichè gli stessi
cattolici talora prendono il nome di Dio in questo senso, come quando
Si dice: «tutti gli dèi dei pagani sono demonii "·
Lo stesso deve dirsi per la 2" e 3" difficoltà. Poichè le ragioni ad-
dotte partono dalla diversità delle attribuzioni del nome [Dio], non
dalla diversità dei suoi significati.
4. Il termine animale, adoprato per l'animale vero e per quello
dipinto, non è preso in senso puramente «::quivoco ; ma Aristotele
prende il termine equivoco un po' largamente, includendovi anche
l'analogo. 1 Poichè talora .>i afferma che persino la parola ente, la
quale indubbiamente è termine analogico, è attribuita equivocamente
ai diversi predicamenti.
5. La natura stessa di Dio, come è in st'>, non la conosce nè il cat.
tolico, nè il pagano; ma l'uno e l'altro la conoscono secondo una
certa ragione di causalità, o d'eminenza, o di negazione, come si è
detto sopra. E sotto questo rispetto possono prendere il nome Dio
nello stesso significato e il pagano quando dice: "lidolo è Dio>>, e il
cattolico quando ribatte: "l'idolo non è Dio». Se poi vi fosse qual-
cuno che non conoscesse Dio in nessun modo, allora neppure po-
trebbe nominarlo, o al massimo potrebbe nominarlo come quando
noi proferiamo delle parole delle quali ignoriamo il significato.

ARTICOLO 11
Se il nome Colui che è sia il nome più proprio di Dio.

SEMBRA che il nome Colui ch·e è non sia il nome più proprio di Dio.
Infatti:
1. Il termine Dio è un nome incomunicabile, come si è già detto.
Ora, il nome Colui che è non è un nome incomunicabile. Dunque non
è il nome più proprio di Dio.
2. Dionigi dice che "18 parola brne è manifestativa per eccellenza
di tutte le emanazioni di Dio». 2 Ora, a Dio conviene necessariamente
d'essere il principio universale di tutte le cose. Dunque il nome pro-
prio per eccellenza di Dio è il bene, e non Colui che è.
3. Ogni nome divino deve importare relazione con le creature, poi-
chè Dio non è conosciuto da noi che per mezzo delle creature. Ora,
questo nome Colui clte è non ha nessuna attinenza con le creature.
Dunque esso non è il nome più proprio di Dio.
IN CONTRARIO: È detto nella sacra Scrittura• che alla domanda di
l\fosè: "Se mi chiederanno: - Qual è il suo uome? che dirò loro? - n
il Si~nore rispose: «Dirai loro così: - Colui che é mi ha mandato

1 Infatti Aristotele scrive nel libro Delle Categorte (c. I, a. 1): •equivoche (6,u-
,:.vtma si rtirono cose di cui solo il nome è comune, mentre il concetto della loro
essenza, significato dal nome, è diverso; cosi vivente si dice (equivocamente)
l'uorno (verol e il dipinto"· Quanto all'ente, scrive nel libro 4 Della M~tn'fl.1Hcn lr. 2,
B 1003 a. 33) che non si dice delle cose equivocamente ( .;.~ ,;,,,,,,.,·..,"' ) ; ma nel libro
citato DeUe Categorie divide il termine equivoco in equivoco casuale (senso stretto
di equivoco) ed equtvoco lntenztonale; e quest.o è propriamente l'analogo. SI capi-
I NOMI DI DIO

Deum, non utitur hoc nomine secundum quod signiflcat Deum op1-
nabilem: sic enim verum diceret, cum etiam catholici interdum in
tali significatione hoc nomine utantur, ut cwn dicitur [Ps. 95, 5),
,, omnes dii gentimu daemonia "·
Et similiter dicendum ad secnndum et tertium. Nam illae rationes
procedunt secundnm diversitatem praedicationis nominis, et non se-
cundum diversam significutionem.
AD QUARTUM DICENDUM quod animai dictum de animali vero et de
picto, non dicitur pure aequivoce; sed Philosophus [ Categor., c. 1),
largo modo accipit aequi\'oca, secnndum quod includunt in se ana-
loga. Qnia et ens, quod analogice dicitur, aliquando dicitur aequi-
voce praedicari de diversis praedicarnentis.
AD QUJNT!JM DICENDl:M quod ipsam naturam Dei prout in se est,
neque catholicus neque paganus cognoscit: sed uterque cognoscit
eam secundnrn aliquarn rationem causalitatis vel excellentiae ve! re-
mJotionis, ut supra [q. 12, a. 12] dictnm est. Et secundum hoc, in
eadem significatione accipere potest gentilis hoc nomen Deus, cnm
dicit idolum est Deus, in qua accipit ipsnm catholicus dicens idolum
non est Deus. Si vero aliquis esset qui secnndum nullam rationem
Deum cognosceret, nec ipsum nominaret, nis1 forte sicut proferimus
nomina quorum significationem ignoramus.

ARTICULUS 11
Utrum hoc nomen Qui est sit maxime nomen Dei proprium.
t Sent., d. 8, q. 1, aa. 1, 3 ;ne Pot., q. 2, a. 1 ; q. 7, a. 5 ; q. 10, a. 1, ad 9 ;
De Dtv. Nom., c. 5, lect. 1.

AD UNDEr.IMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod hoc nomen Qui est


non sit mnxime proprium nomen Dei. Hoc enim nomen Deus est no-
men inconim1micabile, ut dictum est [a. 9]. Sed hoc nomen Qui est
non est nornen incommunicabile. Ergo hoc nomen Qui est non est
maxime proprium nomen Dei.
2. PRAETF.REA, Dionysius dirit, 3 cap. De Di,,;. Nom. [Iect. 1), quod
"honi nomi natio est manifestativa omnium Dei processionum 11. Sed
hoc maxime Deo convenit, quod sit universale ren1m principium.
Ergo hoc nomen bonum est maxime proprium Dei, et non hoc nomen
Qui est.
3. PRAETEREA, omne nomen divinum videtur importare relationem
ad creaturas, cum Dens non cognos.catur a nobis nisi per creaturas.
Sed hoc nùmen Qui est nullam importat habitudinem ad creaturas.
Ergo hoc nomen Qui est non esr maxime proprium nrmen Dei.
SED coNrnA EST quod dicitur Exod. 3, 13, 14, quod Moysi quaerenti,
"si dixcrint. mihi: Quod est nomen eius? quid dicam eis?" et respon.-

sce qmndl l"osservnzlone di S. Tommaso che anche l'ente sl può dire equivoco.
Ctr. Dlz. Tom. • Aequivoca •.
2 Allude alla frase con cnl la sacra Scrittura slgllla le opere della creazione:
•vide Di.o tutte le cose che aveva fatte, ed .erano buone a&ai • (Gen., 1, 31).
• I razionalisti hanno cercato di negare l'origine biblica della denominazione
Jahvè, ricorrendo, ma invano, alle ipotesi di una. denvat.lone <1glzlana, o babilo-
nese. o aramea (cfr. D. T. r:., IV. 954-955).
338 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 11

a voi - "· Dunque Colui che è, è per eccellenza Il nome- proprio di


Dio. 1
R1sP0Nno: L'espressione Colui che è per tre motivi è il nome più
appropriato di Dio. Prima di tutto, per il suo significato. Ed in-
fatti, non esprime già una qllalche forma [o modo particolare di es-
sere], ma lo stesso essere. Quindi, siccome l'essere di Dio è la sua
stessa éSsenza, e siccome ciò, come abLiamo dimostrato, non con-
viene a nessun altro, è evidente che fra tutti gli altri nomi questo
compete a Dio in modo massimamente proprio: ogni cosa infatti si
denomina dalla propria forma [o essenza].
Secondo, per la ~ua universalità. T111ti !-{li altri nomi o sono meno
vasti ed universali o, se combinano con -esso, • vi aggiungono, se-
condo la nosll'a maniera rli concepire, qualche co;;a, elle in certo
modo lo qualifica e lo restringe.• Ora. il nostro intelletto nella vita
prese11tc aun puo cono.~ren• I l'ssenz::i di Oio rucì come è in se stessa:
ma facendo qualsiasi restrizione intorno a quel che conosce di Dio,
si allontana dal modo nel quale Dio è in se stesso. E perciò quanto
meno i nomi sono ristretti e qllanto più sono estesi e assoluti, tanto
più propriamente noi li applicheremo a Dio. Perciò dice anche il
Damasceno che "di tutti i nomi che si dicono di Dio quello che me-
glio Io esprime è Colui che è: poichè comprendendo tutto in se
stesso, possiede l'essere medesimo come una specie d'oceano di S<>-
stanza infinito e senza rive"· Con ogni altro nome si viene inf11tti
a determinare un qualche modo della sostanza della cosa: invece
questo nome Colui che è non determina nessun modo di essere, ma
cc•nserva la sua indeterminatezza rispetto a tutti i modi di essere ;
perciò esprime lo stesso "oceano infinito di sostiwza ".
Terzo, per la modalità inclusa nel SUQ significato. Indica infatti
l'essere al presente: e ciò si dice in modo proprissimo di Dio, il cui
essere, come afferma S. Agostino, non conosce passato o futuro.•
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Colui che è è nome più appropriato
di Dio che l'altro nome Dia, sia per la. derivazione del termine, che
è l'essere, sia per l'universaiità del suo significato e per la voce del
verho che viene usata, come abbiamo veduto. Ma se si considera
l'oµ:getto stesso che si ha !'intenzione di esprimere, è più proprio il
nome Dio il quale è posto a indicare la natura divina. Nome poi
anche più proprio è il Tetragramma [ .~·::· Jahvé ], il quale è destinato
a significare la stessa natura divina incmnunicabile e, se così è lecito
esprimersi, singolare.
2. Il termine Bene è il nome principale di Dio, con~iderato 1•ero
come causa, non assolutamente; perchè l'essere è logka mente ante-
riore alla causalità

1 Colut che è è la traduzione del nome ebraico Jahvé (in greco ,; w1·), il quale
è lo stesso che Il Tetragramma di cui S. Tommaso ha fatto ce1.1no nell'arti-
colo precedente. Dio ha indicat.:> a Mosè, con questa espressione, il suo nome più
proprio. «Dirai ai figli d'Israele: .. Jahvè ml ha mandato" "· Come spl~.gn qui
S. Tommaso, questo è 11 nome più conveniente a Dio. In ebraico ha quattro lettere:
per questo fu cl1iamato tetragramma (:"11:"1•). Come appare dalla prima risposta,
s Tommaso ignorava questa identificazione, e riteneva che il nome Sllcrosanto, e
impronunciabile a tutti gli ebrei, slgnifica.<rse la sostanza divina CC1me incomunica-
t.ile, quasi come Il non.e proprio di una pe1•sona significa la sua individua essenza
tncom1mlcabile.
• Come i termini trascendentali - Il vero, il buono, Il bello Il perfetto, l'uno •
che significano tutti realmente la stessa co5a che l'ente.
I NOMI DI DIO 339

dit ei Dominus: " Sic dices eis: Qui est misit me ad vos "· Ergo hoc
nomen Qui est est maxime proprium nomen Dei.
RESPONDEO 01CENDUM quod hoc nomen Qui est triplici ratione est
maxime proprium nomen Dei. Primo quidem, propter sui signiflca-
tio1iern. Non cnirn significat formam aliquam, sed ipsum esse. Linde,
cum esse Dei sit ipsa eius essentia, et hoc nulli alii eonveniat, ut su-
pra [q. 3, a. 4] ostensum est, manifestum est quod inter alia nomina
hoc maxime proprie nominat Deum: unumquodque enim denomi-
natnr a sua forma.
Secundo, propter eius universalitatem. Omnia enim alia nomina
vel sunt minus communia; vel, si convertantur cum ipso, tamen ad-
dunt aliqua supra ipsnm sec:nndum rationem; unde quodamlll()do
informant et determinant ipsmn. Intellectus autem noster non po-
test ipsam Dei essentiam cognoscere in statu viae, secundum quod
in se est: sed quemcumque rnodum determinet circa id quod de Deo
intelligit, deficit a modo quo Deus in se est. Et ideo, quanto aliqua
nomina sunt minus determinata, et magis communia et absoluta,
tanto magis proprie dicuntur de Deo a nobis. Unde et Damascenus
dicit [De Fide Orlh., I. 1, c. 9] quod "principalius omnibus quae de
Deo dicuntur nomini bus, est Qui est: toturn enim in seipso compre-
hendens, habet ipsurn e'3Se velut quoddam pelagus substantiae infi-
nitum et indeterminatum ». Quolibet enim alio nomine determinatur
aliquis modus subf'tantiae rei: sed hoc nomen Qui est nullum mo-
dum essendi determinat, sed se habet indeterminate ad omnes; et
ideo nominat ipsum " pelagus substantiae infinitum "·
Tertio vero, ex eius consignifìcatione. Signifìcat enim esse in prae-
senti: et hoc max ime proprie de Deo dicitur, cuius esse non novit
praeteritum ve! futurum, ut dici! Augustinus in 5 De Trinit. [c. 2].
AD PRIMUM ERGO llICENDVM quod hoc nomen Qui est est magis pro-
prium nomen Dei quam hoc nomen Deus, quantum ad id a quo im-
ponitur, scilicet ab esse, et quantum ad modum signifìcandi et consi-
gnifìcandi, ut dictum est (in corp.). Sed quantum ad id ad quod im-
pnnitnr nomen ad signifìcand11m, est magis proprium hoc nomen
De11s, qnod imponitur ad sig11ifìcand11m naturam divinam. Et adhuc
m;igis proprium nomen est Tetrag:rammaton (;-.ii•], quod est im-
positum ad significandam iprnm Dei substantiam incommunicabi-
lem, et, ut sic liceat Joqui, singularem.
AD SECCNDl'M nrcENDt;M quod hoc nomen bonmn est principale no-
men Dei inquantum f'St rnns::i, non tamen simpliciter: nam esse ab-
solut.e praeintelligitur ~ausae.
• Il vero, IJ. es., importa un rapporto ali' Intelletto; Il btwn9, alla volontà; 11
hello ali' intelletto e alla volontà insieme; il perfetto dice ent~ comr1luto; 1·uno
ente indiviso. Rapporti e rtetermin:uioni che sembrano restringere l' lnftnlta uni-
versalità dell'ente. (Verll p. 144, nota 2).
• È questa una considernione inolto cara al santo Vescovo d' lppona, che del-
l'eternità fa quasi il c0stitutiv.) metafisico di Dio: •L'eternità ~ la sostanza
stessa di Dio, che nulla ha di mutabile. Ivi nulh è passato, <iuasl non fosse più;
nulla è fntnro, qua'i non sia anrc.ra. Ivi non è se non lè: non è ivi fu e sarti.
ierchè ciò che fu non è più e ciò che sarà non è ancora: checchè ivi è, soltanto
è,, (Enarrat tn Ps. 101, 25 [~ !Oì). - E altrove cosi si esprime: "Neìla verità che
permane non trovo passato e futuro, ma solo presente .... Esamina le mutazioni
delle cose e troverai è, dove fu e sara non può trovarsi" (In loann., 38, IO).
Giustamente ti Tescari, dalla cui traduzione delle lonfesstont abbiamo raccolto
i brani prer.P,llent.1, riporta insieme art e's' un passo del Ttmen (37 ss.), dove PJa.
tione si mostra tanto vicino al pensiero cristiano, e che certamente non è sfug.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, aa. 11-12

3. Non è necessario che tutti i nomi divini implichino relazione


alle creature ; basta che si desumano da alcune perfezioni causate
da Dio nelle creature: tra queste la principale ~ l'essere, da. cui de·
riva il nome Colui che A. 1

ARTICOLO 12
Se rispetto 11 Dio si possano formare
dP.lle proposizioni !lffermative.

SEMBRA che rispettCJ t> Dio 11un si possano formare J.ehe proposi-
zioni affermative. Infatti:
·1. Dionigi dice che " relativamente a Dio le negaziuni sono vere,
le affermazioni so110 inadeguate».
2. Boezio scrive: "nessuna forma aemplice pu0 essere soggetto».
Ora, Dio è forma semplicf: al massimo grado, come si è già dimo-
strato. Dunque non può essere soggetto. Ma siccome tutto ciò di c11i
si forma una proposizione affermativa si prende come soggetto, ne
segue che di Dio non si possano formare proposizioni affermative.
3. L' intelletto che concepisce le cose diversamente da come sono
è falso. Ora, Dio ha l'essere immune da ogni composizione, com~ fu
già provato. Poichè dunque la mente, quando afferma, concepisce
l'oggetto facendo una composizione, sembra che proposizioni affer-
mative vere intorno a Dio non si possano formulare.
IN CONTRARIO: I.a fede non contiene niente di falso. Ora nella fede
vi sono alcune proposizioni affermative, p. es., che· Dio è uno e
trino, e che è onnipotente. Dunque su Dio si possono formulare
delle proposizioni affermative vere.
RISPONDO: Si possono con verità formulare intorno a Dio propo-
sizioni affermative. Per dimostrarlo si consideri che in ogni propo-
sizione affermativa vera il soggetto ed il predicato devono sign ifìcare
realmente, sotto un certo aspetto, l'identica cosa e concettualmente
c0 se diverse. Ciò è evidente tanto nelle proposizioni nelle quali il
predicato è una qualità arcidentale, quanto in quelle nelle quali il
predicato è sostanziale. (Nella proposizione, p. es.: l'uomo è biancol
evidentemente uomo e bianco sono una sola e identica realtà in con-
creto, ma concettualmente differiscono, perchè altra è l'idea di
uomo e altra quella di bianco. Parimente quando dico l'uomo è
nn animale ; poichè quella realtà medesima che è uomo, è in verHà
animalp,; p, infatti, nello stesso soggetto (concreto l e' è p, la natilJ'&.
l!Ito nll'attenzione rii A<!o•tino, che anzi 'embr<i vi <lt>bi::. tratto isp1t·1tllOnlo rctr.
1.'ESCARIo.. op. clt.. pp. 321-322).
1 E appena necessario notare che non e' e In questa dottrrna a1 .s. 'l'ommaso
nessuna traccia di (JUelle teorie fìlosofiche, le qnalt confondono l'essere unive1·sa!e,
ma&slmamente in sè indeterminato, con l'essere clivino mas,imamente In sè ,1~.
terminato. Noi non conosciamo questo Intimo es,ere divino in se ste,so - ripete
sovente S. Tommaso - ma solo In rapporto al suol effetti. Però tra I nomi cht>
usiamo per designarlo, quello di Essere è il più adatto, polchè è desunto dal più
unlversnle dei suoi effetti. Questo e~sere, che ci fornisce il nome divino più pro·
prlo. è l'PSsere creato. il rprnle è essenzialmente diverso dall'e"ere divino Vole 11
dire, nulla contiene di propriamente divino, quasi sia omogeneo al divino stesso,
I NOMI DI DIO 341
An TERTil!M DICENDUM quod non est necessarium quod omnia no-
mina divina importent habitudinem ad creaturas; sed sufficit quod
imponantur ab aliquibus perfectionibus procedentibus a Deo in crea-
turas. Inter quas prima est ipsum esse, a qua sumitur hoc nomen
Qui est.

ARTICULUS 12
Utrum {lropositionl's affirmativae {lossint formari de Deo.

I Sent., d. 6, q. 2, a. t ; d. 22, a. 2, ad t ; I Cont. Gent., c. 38;


De Pot., q. 7, a. 5, ad 2.

AD DUODECIMUl\f SIC PROCEDITTJR. Videtur 4uod propositiones afflrma-


tivae non possunt formari de Deo. Dicit enim Dionysius, 2 cap. Cael.
Hier., quod « negationes de Deo sunt verae, afflrmationes autem in-
comr.actae ».
2. PRAETEREA, Boctius dicit, in libro De Trinit. [c. 2], quod «forma
~imple:x subiectum esse non potest ». Sed Deus maxime est forma sim-
1,Jex, ut supra [ q. 3, a. 7] osternmm est. Ergo non potest esse subie-
ctum. Sed ornne illud de quo propositio affirmativa forrnatur, a.cci-
pitur ut subiectum. Ergo de Deo propositio affirmativa formari non
po test.
3. PRAETEREA, omnis intellectus intelligens rem aliter quam sit, est
falsus. Sed Deus habet esse absque omni compositione, ut supra
[ibid.] probatum est. Cum igitur omnis intellectus affirmativus in-
telligat aliquid cum compositione, videtur quod propositio affirma-
tiva ve11e de Deo formari non possit.
SEo OONTRA EST quod fidei non !'ulJest falsum. Sed propositiones quae-
dam affirmativae subduntur fidei, utpote quod Deus est trinus et
unus, et quod est omnipote.ns. Ergo propositiones affirmativae pos-
sunt vere formari de Deo.
TIESPONDEO nrcENDUM quod propositiones afflrmativae possunt vere
formari de Deo. Ad cuius evidentiam, sciendum est qnod in quahbet
propositione affirmativa vera, oportet quod pra.edicatum et subiectum
signitìrent idem secund11m rem aliquo modo, et diversum secundum
rationem. Et hoc patet tam in propositionib11s qnae snnt de praedi-
cato accidentali, quam in illis quae sunt de praedicato substantiali.
Manifest11m est enim quod hoflll' et albus sunt idem subiecto, et dif-
ferunt ratione: ali a enim est ratio hominis, et alia ratio albi. Et si-
militer cum dico homo est animal: illud enim ipsum quod est homo,
vere animai est; in eodem eriim supposito est et natura sensibilis, a
qua dicitur anima!, ~t rationalis, a qua dicitur homo. UndP hic et.ia.w
ma cl fornisce 11 m1gl!or wncetto i;er designare Dio. Non si è espresso bene !I
Rosmlni, quando scriveva: .. ne!ln sfera Ilei cre:ito si manifesta hnmediatamente
all'umano intPIJl'tto q11alco&'l. di divino in se stesso. cioè tale che alla divina na-
tura appartenga• (Teos., vol. IV, n. 2): •vi è dunque nella natura dell'universo,
cioè nelle intelligenze che sono in es.;o, qualche LO!.a. a cui conviene la denomina-
zione di divino, non dico In senso figurato. rnn In senso rroprio .. (ivi, n. 15);
•l'essere Indeterminato (essere Ideale), Il quale è ind11b1Jia111ente palese a tutte h•
intelligenze (è quel divino che) si manifesta all'uomo nella natura• (ivi, n. 5);
•nell'uno (essere che pret-cinde dalle creature e da Dio, e elle è l'essere indeter-
minato) e nell'altro essere (che non è più indeterminato, ma Dio stesso, essere
a!<SC>luto) e' è la stessa essenza • (lvi, voi. IJ, n. 848).
342 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 13, a 12

sensibile, per la quale si chiama animale, e quella ragionevole, per


la quale è detto nomo. Quindi anche qui abbiamo che predicato e sog-
getto sono in concreto l'identica cosa, ma differiscono nazional-
mente. ' Ma ciò, in qualche modo, si ritrova persino nelle proposi-
zioni nelle quali una identica cosa si afferma di se medesima; per-
chè l'intelletto a ciò che prende come soggetto fa fare la parte del
supposito, e a ciò che prende come predicato fa fare la parte della
forma esistente nel supposito, verificandosi in tal modo quanto si
dice [in 1014ica] che "i predicati si presentano sotto l'aspetto di forma,
ed i soggetti sotto quello di materia"·• A questa diversi Là concettuale
corrisponde la pluralità del predicato e del soggetto: mentre I' iden-
tità reale è espressa dall'intelligenza per mezzo del. loro stesso con-
giungimento.
Ora, Dio, considerato in se medesimo, è assolutamente uno e sem-
plice; ma tuttavia il nostro intelletto lo conosce attraverso diversi
concetti, non potendolo vedere come è in se stesso. Ma, sebbene lo
conosca sotto diversi concetti, sa tuttavia che a tutti i suoi concetti
corrisponde semplicemente una sola e identica sostanza. Ebbene,
questa pluralità di concetti la nostra mente la rappresenta mediante
la plurità del predicato e del soggetto; ne rappres,enta invece l'unità
per mezzo del loro congiungimento.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi dice che le proposizioni af-
fermative intorno a Dio sono inadeguate, o, come porta un'altra
versione• sconvenienti, in quanto che nessun nome compete a Dio
secondo il modo di significare, come è stato detto sopra.
2. La mente nostra non può apprendere le forme semplici sussi-
stenti 4 come sono in se stesse, ma le apprende alla maniera dei com-
posti, nei quali v' è qualcosa che fa da sustrato e qualche cosa che
vi si appoggia sopea. Pen·i{l npprellde la forma semplice sotto
l'aspetto di soggetto e le attribuisce qualche cosa.
3. La proposizione «l'intelletto che intende una cosa diversamente
da come è, è falso'" ha un doppio senso; perchè l'avverbio diver-
samente può determinare il veribo intende rispetto all'oggetto in-
teso, ovvero relativamente allo stesso intelletto c,he percepisce. Nel
primo caso, la proposizione è vera, e questo ne è il senso: quell' in-
telletto che intende una cosa altrimenti da quello che la cosa è, è
falso. Ma questo non si verifica nel caso nostro: perchè la nostra
mente formulando su Dio proposizioni affermativP, non dice che egli

' L'oggetto propriu del nostro intelletto essendo l'essenza delle cose sensibili, il
nostro Intelletto tutto Intende e formula secondo Il modo di es.sere d<>lle essenze
sensibili. Que5te essenze ~ono wmposte di supposlto e natura, la quale natura è
nel supposlto oome parte costitutiva e speclficativa. Di qui nel nostro conoscere. la
composi7.lone concreta di soggetto (che fa le veci del supposito) e di predicato (che
fa le veci della forma o natura specltlca). DI quei>to modo oonnaturale la nostra
mente non può spogliarsi neppnre nel conoscere Dio.
• La sostanza di ogni proposizione affermativa st.3. appunto in questo: nell 'at-
fermare che due cose, distinte come concetto, sono Identiche nella realtà. p. es., Il
concetto di nomo e il conr.etto di bianco sono distinti; ma nella realtà concreta.
sono l" identica cosa; quindi POSSO dire: quest'uomo è (=uguale a) hianco.
L"e.<;presslone • l predicati si presentano sotto l'aspetto di forma. ed I soggetti
sotto quello di materia" è ricavata da alcuni passi aristotelici, Il più esplicito del
quali è in 8 Metaphys., c. 2, e che nella versione latina usata da S. Tommaso
cosi suona: • Qulcl est tranquillltas? - ;lfaris aequalltas. Su!Jlectum quidem ut ma-
teria. mare: actus autem ut forma, aer111~litas •. Tutto Il capitolo r1•a•o è 11n'ana-
l!si accurata del va11 aspetti sotto I quali si presentano lf' cose sensib!~i nella ne>-
I NOMI DI DIO 343
praedicatum et subiectum sunt idem supposito, sed diversa ratione.
Sed et in propositionibus in quibus idem praedicatur de seipso, hoc
aliquo modo invenitur; inquantum inlellectus id quod ponit ex parte
subiecti, trahit ad partem snppositi, quod vero ponit ex parte praedi-
cati, trahit ad naturam iorrnae in supposito existentis, secundum
quod dicitur quod « praedicata tenentur formaliter, et subiecta ma..
terialiter ». Huic vero diversitati quae est secundum rationem, re-
spondet pluralitas praeùicati et subiecti: identitatem vero rei signifi-
cat intellectus per ipsam compositionem.
Deus antem, in se consideratus, est omnino unus et simplex: sed
tamen intellectus no~ter secundum diversas conceptiones ipsum oo-
gnoscit, eo quod non potest ipsum ut in seipso est, videre. Sl'J(I ta-
men, quamvis intelligat ipsum sub cliversis conceptionibus, cogno-
scit tamen qnod omnibus suis conceptionibus respondet una et ea-
dem res simpliciter. Hanc ergo pluralitatem quae est secundum ra-
tionem, repraesentat per pluralitatem praedicati et subiecti: unita-
tem vero repraesentat intellectus per compositionem.
AD PRlMUM ERGO DICENDUM quod Dionysius dicit affirmationes de
Deo esse incompactas, vel incon.,;enientes secundum aliam translatio-
nem, inquantum nullum nomen Deo competit secundum modum si-
gnificandi, ut supra [a. 31 dictum est.
AD SECUNDUM nir.ENn11M quod intellectus noster non potest formas
simplices subsistentes secundum quod in seipsis sunt, apprehendere:
sed appreht'ndit eas secundum modum compositorum, in quibus est
aliquid quod subiicitur, et est aliquid quod inest. Et ideo apprehendit
formam simplicem in ratione subiecti, et attribuit ei aliquid.
An TERTJUM DICENDUM quod haec proposilio, "intellectus intelligens
rem aliter quam sit, est falsus n, est duplex; ex eo quod hoc adver-
binm aliter potest determinnre hoc verhum intelUyit ex parte intel-
lecti, vel ex parte intelligentis. Si ex parte intellecti, sic propositio
vera est, et est sensus: quicumque intellectus intelligit rem esse ali-
ter quam sit, falsus est. Sed hoc non habet locum in proposito: quia
intellectus noster, formans propositionem de Deo, non dicit eum esse

stra intell1genza. nel tentativo di ricavare 1a necessità della composizione Ue-


morfica.
3 È difflcllP stalllllre a quale versione accenni il S. Dottore. polchè al suol tempi
ne circolava già un discreto numero. ·Ecco In sintesi la storia delle versioni latine
del Corpus l:i0nysiac1.1m: •Gli Areopagtttca furono inviati per la prima volta a
Pipino Il Breve dal Papa S. Paolo l; e quando nèll"anno 8'r7 lImperatore di
Oriente. l\Hchele il Balbo, ne mand(' un altro esemplare a Ludovico n Bonario, Il
prezioso m:rnoscritto fu depositato e custodito nell'ahhaztn di S. Dionigi. Esso era
In greco, e ben pochi potevano capirlo. Allora. l'abate Ildulno, lo stesso che so-
stenne l'Identità àel discepolo di s. Paolo col primo vescovo di Parigi e col Padre
della mistica cl"lstlana, si affrettò a prepararne una versione latina. Ma. sem-
brando scorretta questa versione, Carlo Il Calvo Incaricò Giovanni Scoto Eriugena
di ritradurre Il testo originale; e tale lavoro rese po11olare in tutta la Gallia la
rlnomanw di chi Io aveva fntto. Ma sia le difficoltà della lingua che quelle della
metafisica dello Psendo-ntonl~t provocarono In Occidente nuove traduzioni latine,
le quali tuttitvla non eclissarono Il prestigio e 11 credito della versione del dotto
Irlandese. Giovanni Saraceno nel secolo XII, Tommago da Vercelli nel XIII, Am-
hroglo Traversar! e l\far>ilio ~·icino nel XV, Lefèvre· d' Etaples, Il Oausrrns e il
Perlonus nel XVI. il Lans~elius e Il Corderlus ool XVII, fecero a gara nel tent:itlvo
di fa<'lllt are la lettura e I" Intelllgenza degli Areopagttica • (GODET P ., • Deny I"Aréo-
paglte •, In D. T. C.• IV. ~35-436; cfr. DE WULF M., Slorta della _'i'floso(la Medteva!e,
I, p. 73 ss. Firenze, 1044)
• Forme sempltct susstslentt sono i puri spiriti. S. •rommaso 'llll< 1ntenz1011al·
mente questo termine vago per Includervi sia Dlo et.e. gli anirell.
LA S0.'.\1:\fA TEOLOGICA, I, q. 13, a. 12

è composto, ma che è semplice. Ma se [il dii;ersamente] si riferisce


all'intelletto che intende, allora la proposizione è falsa. Difatti il
modo dell'intelletto nell'apprendere è diverso dal modo di essere
della cosa. E evidente, infatti, che il nostro intelletto concepisce im-
materialmente le cose materiali che sono al disotto di esso, non per-
chè le consideri immateriali, ma perchè nell'intendere ha un modo
che è immateriale. Parimente, quando [la nostra intelligenza) con-
cepisce cose semplici che suno al disopra di essa, le intende alla sua
maniera, cioè sotto forma di cose composte; non già che le consideri
composte. E così il nostro intelletto non è falso quando forma nei
riguardi di Dio complesse formulazioni concettuali. '

1 L'attività mentale dunque ha le sue caratteristiche: forma concetti che sono


bensì adeguati alla realtù. cono;cluta, Cioè v~ri, ma sono differenti dalla realtà
stessa esistente in sè. L'adeguazione o conformità, infatti, avviene tra due cosi>, e
s11p11one che siano differ~nti ;cfr. I, q. 16, a. I; q. 21, a. 2). Le formulnioni intel·
lettuall portano I' lrupronta della natura dell'Intelletto; sicchè la realtà pensata,
in quanto presente nei concetti, ha proprietà che non le competono in quanto esi-
stente come pensabile fuori dei concetti. Cosi, p. es., la natura umana, in qudnto
presente nel concetto, è universale, atta a esistere in Infiniti soggetti, perchè è
smaterializzatn dall'intelletto, mentre fuori di esso esiste soltanto singolarizzata
negli individui concreti. E cosi Dl-0, realtà semplice e mas>lmamente ricca di per-
fezione, è pensata dalla nostra mente alla 111anicra delle cose com(Joste. Però
I NOMI DI DIO

compositum, sed simplicem. Si vero ex parte 1ntelligentis, sic propo-


sitio falsa est. Alius est enim modus intellectus in intelligendo, quam
rei in essendo. Manifest11m est enim quod intellectus noster res ma-
teriales infra se existentes intel!igit immaterialiter: non quod intel-
li~at eas esse immateriales, sed habet modum immaterialem in intel-
ligendo. Et similiter, cum intelligit simplicia quae sunt supra se, in-
telligit ea secundum modurn suum, scilicet composite: non tamen ita
quod intelligat ea esse composita. Et sic intellectus noster pon est
falsus, formans compositionem de Deo.

I' Intelletto, Intendendo, giudica se stesso, ed è coruia.pevole che 11 modo che ri-
veste la realtil nel pensiero non è Il modo di e.ssere che ha fuori di es90. :t quindi
nel vero, anche se gli sfugge Il mollo proprio di essere della realtà. e• è confor-
mità oggettiva tra Intelletto che pensa e cosa pensata, perchè ciò che l' intelletto
Intende, ed afferma o nega della realrà, è veramente realizzato In essa o escluso.
P. es., ciò che Intendo quando penso "uomo animale ragionevole», si trova real-
mente nel sin!l'Oli nomini, a cui l'attrlbul•co, sia pure con un mod<l di esistere
diverso; ciò che Intendo quando dico •Dio è causa lncausata del mondo• è ve-
ramente In lui, sebbene ne Ignori Il modo.
r.e questioni che sollev11 questo !atto e questa soluzione saranno accennate e
discusse altl"Ove, dove S. Tommaso espressamente tratta della verità e della. co-
noscenza. umana (ctr. 1, qq. lH7; qq. 8'·89).
NOTA BIBLIOGRAFICA

A) Opere di impostazione generale del pensiero di S. Tommaso:

GARRIGOU-LAGRANGE R., O. P., Essenza e a.ttualità del Tomismo. Bre-


scia, 1946.
- 11 Thomisme n, in D. T. C., tom. XV. 823-1023. Paris, 1946.

GENY P., «La cohérence de la synthèse thomiste n, in Xenia Thom.,


I, pp. 105-125. Roma, 1925.
GEYER B., Fr. Ueberwegs Grundriss der Geschichte der Philosophie,
(Il, pp. 419-445). Berlin, 1928.
GILSON E., Le thomisme. Paris, 1945.
- S. Thomas d'Aquin. Paris, 1930.
- Réalisme thomiste et critique de la connafasance. Paris, 1939.
- « L' humanisme de S. Thomas d'Aquin n, in Atti del V Congresso
intern. di Filosofia, pp. 776 ss. Napoli, 1927.
GRABMANN M., s. Tommaso d'Aq11i110, trad. G. Di Fabio. Milano, 1939.
- Int.rodnzione alla" Summa Thcoloyiae n di S. Tommaso d.' Aquino,
trad. G. Di Fabio. Milano, 1!l30.
- "Commentatio historica in prologum Summae Theologiae S. Tho-
mae >>, in Ang., 1926, p. 146 ss. ,.
- "I concetti di scienza secondo S. Tommaso d'Aquino e le relazioni
della fede e della teologia con la filosofia e le scienze profane'"
in Riv. di Fil. Neoscolastica, 1934, pp. 127 ss.
HORVATH A., La sintesi scienli{ica di S. Tommaso. Torino, 1932.
MANSER G. M., Das Wesen des Thomismus. Freiburg, 1935.
MARITATN J., Tntroduzione generale alla filosofia, trad. A. Cojazzi.
Torino, 1935.
- S. Tommaso d'Aquino, trad. di C. Bo. Siena, 1936.
- Réfle:rions sur l' intelligence et sur sa vie propre. Paris, 1930.
- "Il tomismo e la civiltà'" in Riv. di Fil. Neoscolastica, 1929,
pp. 12 ss.
MASNOVO A., ''La novità in S. Tommaso d'Aquino», in Sesto Cen-
tenario della Canonizzazione, pp. 41 ss. Milano, 1923.
- 11 Il significato storico di S. Tommaso d'Aquino•>, in Acta Pontif.
Academ., pp. 9 ss. Roma, 193.i.
348 NOTA BIBLIOGRAFICA

MAsNovo A., Introduzione alla "Somma Teologica,, di S. Tommaso


d'Aquino. Brescia, 1946.
Per l'inquadratura storica della vita e riel pensiero di S. Tommaso
è di grande interesse la voce "Thomas d'Aquin "• in D. T. C.,
tom. XV, 618-761. Paris, 1946, a cura di vari autori.

B) Opere riguardanti il trattato De Deo lfno:

Tralasciamo i Commentatori antichi, per i quali rimandiamo alle


Note di Bibliogrufia Tomistica, Introd. Gen., pp. Hl s1;.
ARNOU R., S. J., De qui11que vii.~ S. Thomae ad demonstrandam Dei
existentiam apud anti.quos G-raecos et Arabes et ludaeos praefor-
matis vel adumbratis. Romae, 1932.
BILLOT L., S. J., De Deo Uno et Trino. Romae, 1896.
BroNPENSIERE H., O. P., Commenlaria in Primam l'artem "Summae
Theologicae >> S. Tlwmae .4 quinatis. Romae, 1902.
CErPPENS F., O. P., Theologia Biblica: I, De Deo Uno. Romae, 1938.
DAFFARA M., O. P., Dio. Esposizione e -i;alutazione delle pro-i;e. To-
rino, 1938.
DEL PRADO N., O. P., Praelecli011es in Primam Partem Di-i;i Thomae
(pro manuscripto).
- De -i;eritatP, fundamentali philosophiae christianae. Friburgi Hel-
vetiorum, 1911.
DE MuNNYNCK M., O. P., Praelectiones de Dei existentia. Lovanii, 1904.
DEscoQs P., S. J., Praelectiones Theologiae Naturalis. Parisiis, 1938.
GARRIGOU-LAGRANGE R., Dieu: son existence et sa nature. Paris, 1928.
PARENTE P., De Deo Uno. Tractatus dogmaticus. Roma, 1938.
ZACCHI A., O. P., Dio: voi. I. La negazione; voi. II. L'afferma.ione.
Roma, 1925.
ABBREVIAZIONI

a) Libri della Sacra Scrittura.

Ab. =Abacuc profeta Giona = Giona profeta


Abd. =Abdia profeta Gios. =Giosuè
Ag. =Aggeo profeta Giov. =Vangelo di S. Giovanni
Am. = Amos profeta 1" Gior. = 1' Lettera di S. Giovanni
Ap. =Apocalissi di S. Gio- t• Giov. = 2' Lettera di S. Giovanni
vanni. S' Giov. = 3' Lc•tt.era di S. Giovanni
Attt =Atti degli Apostoli Gi.uda =Lettera di S. Giuda
Rar. = Baruc profeta Giud. = rìiwlici
Cant. = Cantico dei Cantici Giudit. = Giuùitta
Col. = Lettna di S. Paolo ai ls. = Isaia profeta
Colossesi Lam. = Lamentazioni di Gere-
1· Cor. = 1' Lettera di S. Paolo ai mia
Corinti Lev. = Levitico
t" Cor. = 2· I .ettera di S. Paolo ai Luca =Vangelo di S. Luca
Corinti 1· Macc.= r Libro dei l\laccabei
Dan. =Daniele profeta t' Macc.:: 2' Libro dei l\laccabei
Dcut. = Deuteronomio Mai. =Malachia profeta
Ebr. = Lettera di S. Paolo agli Marco =Vangelo di S. Marco
Ebrei Mat. = Vangt>lo di S. Matteo
Ecc le. = Ecc.:Jesiaste Mie. = Michea profeta
E ccii. =Ecclesiastico Nah. = Nah11m profeta
Et. = Lettera di S. Paolo agli Neh. = Neemia (Nehemia}
Efesini Num. = Numeri
Es. =Esodo Os. = Osea profeta
l?sd. = Esdra t· Par. -=!°Litro dei Paralipomeni
Est. =Ester !' Par. = 2· Libro dei Parnli pomeni
Ez. = Ezechiele profeta 1' Piet. = 1' Lettera di S. Pietro
Fil. = Lettera di S. Paolo ai !'Pi et. = 2' Lettera di S. Piètro
Filippesi Prov. = Proverbi
Ftlem. = Lettera di S. Paolo a Fi· 1· Re = 1° Libro dei Re (Volg.
lemone 3' Re)
Gal. = Lettera di S. Paolo ai !'Re = 2· Libro dei Re (Volg.
Galati 4' ne)
Gen. =Genesi Rom. = Lettera rii S. PaolCI ai
Ger. = Geremia profeta Romani
Giac. = Lettera Cattolica di San Rut = Libro di Huf.
Giacomo Sal. =Salmo
Giob. = Il libro di Giobbe 1·sam. = 1· Libro di Samuele
Gtoe. = Gioele profeta (Volg. 1· ne)
350 ABBREVIAZIONI

!' Sam. =2·{Volg.


Libro di Samuele
2' Re)
1· Tim. = 1" Lettera di s. Paolo a
Timoteo
Sap. =Sapienza !·Tim. =2· Lettera di s. Paolo a
Sof. = Sofonia profeta Timoteo
1· Tes. = 1" Lettera di S. Paolo al Tit. =Lettera di s. Paolo a
Tessalonicesi Tito
!. Tes. = 2· Lettera di S. Paolo al Tob. =Tobia
Tessalonicesi Zac. = Zaccaria profeta

b) Opere di S. Tommaso maggiormente citate.

(ad) Rom., I Cor., etc. = In Epistolas S. Pauli Commentarium


Cat. Aur. =Catena Aurea super IV Evangelia
Comm. =Commentarium
1 (2, s, .t,) Cont. Gent. =Summa Contra Gentiles, Libro 1° (2°, 3", 4°)
Compend. Theol. = Compendium Theologiae
Contra retrahent. ab. inor. =Contra retrahentes ab ingressu in Religio·
Reli!J. nem
Contra errores Graec. =Contra errores Graecorum
Contra impuon. Relto. =Contra impugnantes Dei cultum et religio·
nem
Ile Aetern. Mund. = De aeternitate mundi contra murmurantes
De Anima = Co mm. in Libros De anima· vel = Qu. di·
sp. De anima
De Causts = Expositio super librum De Causis
De Cael. et Mund. = De Caelo et Munda.
De Div. Nom. = Expositio super Dionysium De Divinis No·
minibus
De ente et ess. = De ente et essentia
De hebdom. = Expositio super Roetium De hebdomadibus
De Malo = Quaestio disputata De Malo
De Perf. Vttae Sptrtt. . = De Perfectione Vitae Spiritualis
De Pot. = De Potentia
De Reaim. Princ. = De Regimine Principum
De Spirit. Creat. = De Spiritualibus Creaturis
De Trinit. = Expositio super Boetium De Trinitate
De Unitale lntell. = De Unitate Intellectus
De un. Verbi = De unione Verbi Incarnati
De Verit. = De Veritate
De Virt. = De Virtutibus in communi
Ethic. = Comm. in X Lib. Ethicorum Aristotelis
in lsaiam = Expositio super Isaiam
in lerem. = Ieremiam
in Ioann. = Ioannem
tn lob = • lob
in Mntth. = Mattheum
tn Psalm. = Psalmos
in Thren. = Threnos
l\f etaphys. = Comm. in libros Metaphysicorum
Melereol. = • • Metereologicorum
Periherm. = Perihermeneias
Phustc. = • • • Physicorum
Po lit. = Politicorum
ABBREVIAZIONI Sf)t
Post. A nalyt. = Comm.
rum
in libros Posteriorum Analytico-
Qu. (Qq.) disp, = Quaestio (Quaestiones) disputata (ae)
Quodl. = uuaestio de quodlibet
1 (~. 8, 4) Sent. = In Primum (Secundum, Tertium, Quar-
tum) Librum Sententiarum
s. Teol.
a... , ad ....
= Somma Teologica
I, q ... , = • Parte I, questione ... , ar·
ticolo ... , soluzione ....
1-11, q .. ., a .... ad .... = • • Prima Secundae, cioè
sezione I della Secon-
da Parte, ecc.
li-li, q .. ., a ... , ad .... = • Secunda Secundae, ecc.
lii, • • • = • Parte III, ecc.
S1tp1Jl. • • = • Supplemento della Par-
te III, ecc.

e) Opere generalL

C.l. C. = Codex luris Canonici.


DENZ. = DENZINGER - IlANNWART - UMBERG, Enchiridion Sym-
bolorum, defìnitionum, ecc.
V.T.C. = VACANT - MANGENOT - AMANN, Dtcttonnaire de Théo-
logie Catholir;ue. Paris, 1903 ss.
Ench. Patr. = nou~r DE JouRNLL, Enchiridion Patrtsticum.

d) Bibliografia tomistica.

Ang. = Anqelicum, noma.


Dibl. Tom. = Bibliografia Tomistica nella Introduzione generale,
Bul. Thom. = Bulletin Thomiste, Parigi.
C. Tom. = La Cienl'ia Tomista, Salamanca.
D. Thom. (F.) = Div11s Thornas, Friburgo.
D. Thom. (P.) = Di11us Thor.1.as, Piacenza.
DEUT. THOM. = Die Deutsclte Thomas .4usgarie. (Edizione tedesco-
Jatina della Somma con note e Commenti a cura
dei PP. Domenicani e Benedettini, Salisburgo, Pu-
stet, 1934 ss.).
Dtz. Tom. = Dizionario dei termini tecnici tomistici. (Annesso
alla nostra Introduzione generale).
Introd. Gen. = Il nostro volume di Introduzione generale a tutta la
Somma.
Introd. = La rispettiva introduzione di ogni trattato.
R. Se. Ph. Théol. = Re1•ue des Sciences Philosophiques et Théologiques,
Parigi.
Rev. Thom. = Rev11e Thomiste, St. Maxirnin, Var.
SOM. FRANC. = La Somme Théologique. Edition de la Revue des
Jeunes (Testo latino con traduzione francese, note
e appendici a cura dei PP. Domenicani, sotto la
direzione del P. M. Gillet, Parigi).
Tab. AU1. = Tabula Aurea Petri a Ilergomo.
ABBREVIAZIONI

e) Altre abbreviazionL

a. = articolo n. =numero
aa. = articoli nn. =numeri
aro. =argomento o difflcoltà Opusc. = Opusculum
c. = capitolo p. =pagina
cc. = capitoli pp. =pagine
eone. = Concilio p. es. = per esempio
cfr. = confronta prec. = precedente
in corp. = in corpore arttcult Pro i. = Protogus
d. = dislinctio prop. = propositio
ehr. = ebraico q. = quaeslio
fr. =frammento qc. =quaestiuncula
ilJid. =ibidem s. =seguente
in h.. a. =in li.une articulum (cioè ss. =seguenti
nel commento a que- s. c. = Aroumentum • Sed con-
sto articolo) tra»
t. =libro v. =versetto
lect. =lectio t,"V. =versetti
lett. = letteralmente Volo. =Versione latina Volgata
lt. pp, = luoghi paralleli tomistici LXX. = Versione biblica greca
detta dei Settanta
INDICE ONOMASTICO

N. B. - I numeri in corsivo si riferiscono alle note; i numeM tra pare11-


tesi indicano rispettivamente il libro e il capitolo, oppure il capitolo e il
versetto, secondo le diverse divisioni delle opere a cui si riferiscono.

AllELARDO 38, 243. 201, 221, 223, 279 - (8, 22):


Al;NOSTICISMO 33, 77. 221, 279 - (12, 24, 31): 281 -
AcosnNo (S.): (12, 26, 27, 28, 34) : 283 - (12,
Confessionum (5, 4): 275 - {12, 28, 34) : 277, 283.
25) : 281 - (12, 31): 69. 1'ractatus in 1 loan. (c. 3): 277.
De Civi.tate Dei (7, 6): 117 - passim: 8, 52, 54, 159, 86, 95, 117,
(22, 29) : 255. 146, 151, 192, 223, 271, 284.
De Doctrina Christiana (1, 31): 2.92, 339 s.
138 - (1, 32): 143, 301. ALBERTO .MAGNO 56, 74.
De Haeres. (c. 86): 95. ALBIGESI V. .Manichei.
De Natura Boni (c. 1): 203 - ALES!'HNDRO DI HALES 45, 216.
(c. 3): 147 - (cc. 22, 23): H9. ALFARABI 132.
De Trinitate (1, 2): 157, 285 - ALGAZEL {Al-Gazali) 1.n, 171, 27rJ.
(5, 16) : 321 - (6, 4) : 299 - (6, A:11ALnrco di Bena 116 s.
6) : 113, 195 - (8, 3) : 163 - AMBROGIO (S.) 59, 151.
(9, 11): 251, 253 - (12, 2): 281 ANASSAGOR.\. 166.
- (12 14): 55 - (14, 1): 47 - ANASSIMANDRO 16f.
(15, 9) : 251 - (15, 16): 215, ANASSIMENE 164.
279. ANDERS F. 58.
De Utilitate credendi (c. 3): 67. ANGELA (B.) da Foligno 266.
De Vera Religione (cc. 30, 31) : ANSELMO {S.) 20, 27, 74 s., 81i, 216.
281. ANTROPOMORFISMO 33, 94, 116 S.,
Enarrationes in Psalm. (101, 314.
25): 339. ARATO 63.
Enchiridion (c. 11): 89. ARIO 8, 210.
Epistolae (82) : 63 - (93): 71 - ARISTOTELE:
(137): 195 - (147): 255, 269, Analytica post. (1, 1): 57 - (1,
283. 3) : 73 - (1, 10): 75 - (1, 28) :
In loann. (tract. 38, 10) : 339. \.7.
Liber 83 Quaestionum (q. 20): Cateaoriae (de Praedicamen-
183 - (q. 23): 211 - (q. 32): tis) (1 ss.): 336, 337 - (8): 2J;').
265. De Anima (1, 1): 97 - (3, 3): 255
Retractationum (1, 4): 287. - (3, 4) : 273 - (3, 7) : 285.
Sermones (117): 115. De Caelo et Munrlo (1, 1): H,5 -
Soliloqttia (1, 8): 285. (1, 9): 213 - (3, 1): 232.
Super Gen. ad lift. (4, 3): 147 De Partibus Animalium (1, 5):
- (4, 12): 203 - (8, 20): 199, 53.
INDlCE ONOMASTICO

Ethica ad Nicomacum (1, 1) : CARLINI A. 90.


133, 157. CARTESIO R. 74.
Metaphysicomm (1, 2): 53 - CATARI V. Manichei.
(1, 8): 282 - (2 [ovvero 11, 1): CATERINA (S.) da Siena 266, 300 s.
4!l, 53, 85 - (2, 2) : 201 - (2, 6) : CERIANI G. 58.
163 - (3, 2): 141, 235 - (3, 3): CEUPPENS F. 69, 348.
109 - (4, 2): 159, 21~1. 336 - CHARLIER L.-M. 10
(4, 3): 75 - (4, 7): 317, 329 - CrcEHOt\E M. T. 150.
(5, 15): 323, 325 - (6, 1): 43..,. CLAt:SERl~S 343.
(6, 4): 215 - (6, 14, 15): 163 CLEMENTE Alessandrino 227.
- (8 2) : 342 - (8, 3) : 149 - CONCILII:
(9, 9\: 137 - (10, 1): 227, 309 Laterano IV 286, 299, 315 - Tri-
- (10, 3): 119 - (10, 6): 235 - dentino 265 - Vaticano 23, 49,
(12, 7) : 121. 76, 116 - Viennense 281.
Meteorologicorum (4, 3): 145. CORDERIUS 343.
Peri Hermeneias (1, 1): 295, CORTI G. 18.
315. CURT!US 327.
Physicorum (1, 2): 165 - (1, 3):
111 - (2, 2): 171 - (2, 3): 143 DAFFARA M. 19, 74, 87, 89, 348.
- (3, 1): 173 - (3, 4): 165, 169 DANTE Alighieri 270, 289.
- (3, 5): 174 - (3, 6): 165 - DAVID di Dinant 116 s.
(4, 4): 186 - (4, 11): 173, 215, DEL PRADO N. 104, 348.
218, 227 - (4, 12): 209, 217, 223 DE MUNNYNK M. 166, 313, 348.
- (4, 14): 217 - (7, 2) : 183. DESCOQS P. 166, 348.
Topica (2, 10) : 279. DIONIGI Areopagita:
passim: 9, 18, 32, 43, 47, 53, 60, De Caelesti Hierarchia (c. 1):
79, 106, 117, 139, 1IJ9, 166, 178, 65, 201, 289 - (c. 2): 65, 303,
1R6, 198, 202, 217, 232, 251, 274, 305, 341, 343 - (c. 4): 115, 283
8.W. - (c. 7): 273 - (c. 10): 227.
ARNO[) R. 348. De Divinis Nominibus (c. 1):
ATANASIO (S.) 210. 137, 247 ss., 253, 293, 297, 315
A VEH~ot (ii Commentatore) 106, - (c. 2): 57, 115 - (c. 3): 137,
124. 337 - (e 4): 143, 155, 205, 257
AVICENNA 86, 106, 132, 177, 193, - (c. 5): 125 ss., 137 - (c. 9):
232. 95, 12!l ss. - (c. 12): 327 -
(c. 1:1): 231, 233.
BALTHASAR N. 313. De Ecclesiastica Hierarchia
BARTH K. 11, 13, 33, 315. (c. 5): 69.
B.HJTAIN L. 77 S. De Mustica Theologia (c. 1):
BEGARDI 281. 287, 317.
B~;GHINE 281. passim: 26, 56, 64, 86, 138, 343.
BERGSONIANI 122.
ETN8TEIN A. 17.'l, 227.
BERNARIJll (S.) 242.
ENmco di Gand 74.
BI LL01 L. 348.
ENRIQIJES F. 174.
BtLLl:ART C. n. 105.
ERACLITO 16.5.
BI.ANCHE F. 42, 313.
ERASMO di Rottcròam 185.
BOEZIO 44, GO, 74, 110,132, 134, Esrsn:NZIAL!SMO ·IM.
!GO, 1G2, 186, 206, 210, 216,
220, 284, 3.10. FALI.ACARA L. 266.
BONAVENTVRA (S.) 74. FATTA M. JG6, 227.
Boss 1.1 n 86. FICHTE G. ffì.
BRÉHIER E. 2::?6. FICTNO M . .%1.
BRUNO Giordano U7.
BRUSOTTI V. 313. GAETANO (Card. Tommaso De Vio)
BlTONPENSIEHE H. 348. 89, 10.'J, 178, 179, 223, 250, 279.
BuRGUNDIO da Pisa 57. GALLUPPI P. 185.
INDICE ONOMASTICO 355
GARRTGOTJ-LAGRANGE R. 347 S. MARIN-SOLA F. 48.
GAUNILONE 74. MARITAlN J. 10, 184, 347.
GENTILE G. 27, 75, 83, 105. MARTIN R. 58.
GENY P. 347. MASNO\"O A. 10, 347 s.
GEYE!t B. 10. ~47. MERSCH E. 58 S.
GIACON C. 167. 1"11scJATTELLI P. 301.
GJANSENISTI 2.18. M· l!'ER'.'llSTI 248.
G11.Brmm de La Porrée 202, 243. MOSÈ MAIMONIDE 192, 298.
GILSON E. 10, 15, 184, 347.
GIOBERTI V. 23, 75. NICOLA d'Autrécourte 315.
GIOVANNI CRISOSTOMO (S). 244 ss. Nvs D. 166.
GIOVANNI DAMASCENO (S.) 56, 72,
78, 164, 204, 296, 300, 326, 328, ONTOLOGISTI 23, 281, i84,
0RIGENE 226 S. .
338.
GIOVANNI di s.
Tommaso 105. PANTEISMO 116, 185.
GIOVANNI Saraceno 343. PARENTE P. 58, 348.
GIROLAMO (S.) 50, 212 s. PARMENinE 139, 307.
Glosse 282. PASCAL B. 174.
GODET P. 343. PATARINI v. Manichei.
GRABMANN M. 9, 39, 61, 347. PENIDO M. T. L. 313.
GREGORIO l\lAGNO (S.) 60, 66, 122, P~:R!ONlJS .'U3.
100, 272, 21.1, 288. PERRF.J.LA G. M. 69.
GREGORIO XVI 77. PIETRO LOMllARDO 38 S., 58, 283.
GUGLIELl\10 di Moerbeke 133. Pm X 16, 35, 77.
GUGLIELMO di Parigi H7. PIO XI 16, 35.
HAECKEL E. 94, 122.
PI.ATONE 18, 21, 43, 86, 139, 162,
200, 215, 232, 274, 307, 339.
HEGEL F. G. H7, 307.
PLATONISMO 140.
HEGELIANI 122.
PORFIRIO 60, 124.
HOR\'ATH A. 10, 347.
POTI 327.
HUME D. 87.
PRESOCRATICI 200, 232.
ILARIO (S.) di Poitiers #03. PROCI.I) f,12, 212.
PROTESTANTI 265.
KANT E. 27 s., 75, 80, 87, 2.26. Pt.;CCETTI A. 33.
KIRCH C. 65.
RAHNER H. 58,
LAENER F. 58. Rn11REZ .J • .'Jf3.
LANSSELl US 343. ROBERTO di Melun 58.
LEFÈVRE d' Etaples 343. ROBERTO Kilwardby 45.
LEIHNITZ G.-G. 30, 74, 174. RosMINI A. 341.
LEONE XIII 11, 16. ROSSI P. 166, 227.
LEPIDI A. 74. ROIJET DE JOURNEL 65.
Liber de Causis 114, 13.2 s., 136, RUYSSEN 90.
210.
Liber Sex Principiorum 202. SABELLIO 8.
LOMBARDO-RADICE G. 27. SACRA SCRITTURA:
LossKY VI. 34.
LUTERANI .248.
Vecchio Testamento.
MABILLON G. 24.2.
MALEBRANCHE N. 23, 75, 284. Gen. (1, 18, 31): 337 - (1, 26):
MANI (Manete) 192. 93, 97, 129, 309 - (32, 30) : 281.
MANICHEI 94, 192. Es. (3, 14): 81 - (12, 6) : t:8 -
MANSER G. M. 10, 166, 347. (13, 14): 337 - (15, 3): 295 -
M:AQUART F. iM. .226. (15, 18): 211, 213 - (33, 20):
MARC A. 313. 283.
3G6 INDICE ONOMASTIC'.O

Num. (12, 8).: 281 - (21~ ~) : 68.: la Cor. (2, 10): 289 - (2, 15) : 57
Deut. (4, 6) . 55 - (6, 41. 239 - (3, 1): 39 - (3, 10) : ; 5 -
(33, 15): 215. (8, 5) : 239 - (9, 26) : 2(;9 -
Giob. (11, 8-9): 93 - (19, 26): (10, 11): 68 - (13, 12): 2t>1 -
255 - (2.2, 14): 193 - (24, 19): (15, 12): 61 - (15, 41): 267.
215 - (40, 4): 93 - (42, 5): 255. 2a Cor., (6, 14): 183 - (10, 4): 55
Sal. (33, 6): 95 - (33, 16): 93 - 110, 5): 63 - (12, 4): 2'i7.
(35, 10) : 253, 263 - (52, 1) : 75 Gal. (4, 8): 331 - (4, 22-24): 68.
- (75, 5): 215 - (80, 16): 215 - Ef. (1, 17, 18): 25.) - (3, 14, 15):
(81, 6): 32\J, 333 - (85, 8): 127 317.
- (SD, 1): 325 - (( 5, 5): 337 - Fil. (3, 12) : 269.
(103, 24): 125 - (105, 40): 97 2" Tes. (3, 2): 45.
- (112, 4): 183 - (117, 16): %. fa Tim. (4, 4): 141.
Prov. (9, 3) : 51 - (10, 23): 56 - 2" Tim. (3, 16) : 43.
(30, 4) : 293. Tit. (1, 9) : 61.
Eccle. (1, 4) : 215. Ebl'. (1, 3): 93 - (7, 19): 69 -
Sap. (7, 24): 199 - (10, 10): 47 - (10, 1): 68 - (10, 38): 97 -
(11, 21): 147, 177, 195 - (13, (11, 1): 79.
1-5): 125 - (13, 6-9): 76 - (14, Giac. (1, 22): 49 - (4, 8): 199.
21) : 103, 329. 2" Piet. (1, 4): 329.
Eccli. (3, 2'2): 41 - (24, 31): 65. I" Giov. (3, 2) : 129, 247, 251,
ls. (3, 13): 95, 333 - (5, 20): 141 263, 265.
- (6, 1): 95, 255 - (11, 2) : 55 - Ap. (21, 23): 263.
(26, 12): 183 - (40, 18): 129 - SALMANTICESI I05.
(64, 4): 43. SCHELL 105.
Ger. (17, 13): 95 - (23, 24): 187 SCHELLING F. 117.
- (31, 3) : 319 - (32, 18) : 269, Scoro G. Duns 34, 74.
305 - (32, 19) : 269. Scoro Eriugena 343.
Lam. (3, 25): 155. SERTJLLANGES A.-D. 178, 204, 315.
Dan. (12, 3) : 213. SPINOZA B. 94, 117, 171.
Os. (12, 10) : 65. STOLZ A. 10, 11, 58.
Giona (2, 1 ss.) : 68. SUAREZ F. 34, I05.
,Vie. (5, 2): 207. SYNAVE P. 69.
Mal. (3, 6): 199.
TALETE 164.
TAllHISANO I. 267.
Nuovo Testamento. TERTULLIANO 8, 95.
TF.SL\RI o. 277, 340.
Mat. (3, 17): 289 - (5, 48): 121 TOMMASO da Vercelli {Thomas
- (7, 6): 65 - (12, 40): 68 - Gallns) 348.
(19, 8): 71 - (19, 17): 157 - TRADIZIONALISMO 77.
(25, 41): 213 - (26, 24): 137. TRAVERSARI A. 348.
Luca (18, 19): 155.
Giov. (1, 18): 24.5 - (3, 14): 68 - UBAGHS G. c.75.
(4, 24) : D5 - (10, 34) : 333 - UGO DI S. VITTORE 56, 58, 70.
URBANO L. 227.
(14, 6): 75, 101 - (17, 3): 59,
215, 245, 259, 265- (19, 33 ss.): VAN LEUWEN A. 813.
68 - (20, 31): 61. VARRONE 116.
Atti (17, 28): 63. VJTI'ORIA (di) F. 39.
Rom. (1, 14): 65 - (1, 19): 55,
79, 285 - (1, 20): 76, 79, 311 - WICLEF 116.
(1, 24): 125 - (6, 23): 259 -
(10, 4) : 69 - (16, 25) : 207. ZACCHI A. 348.
INDICE GENERALE

P.UI.
[NTRODUZIONE 7
I. Scopo e unità della Summa Theoloytae • 7
Il. La Teologia come scienza . . . . . . . 10
III. Funzione della ragione e della cultura nr,lla teologia 13
IV. Le questioni riguardanti l'esistenza di Dio . 17
V. Il punto di partenza delle cinque vie e la sua importanza 19
VI. Riassunto delle cinque vie . 2!'\
vn. Il primato dell'essere e ùell' intelletto . 29
VITI. I limiti della nos1ra conoscenza di Dio . 31
IX. Vitalità perenne dei principii tomistici . 34
CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME (Tavola) .36
A \'VEHTENZE 37
PROLOGO. 38
Questione 1. - La dottrina sacra: quale essa sia e a quali cose si
estenda .
Articolo 1. Se oltre le discipline filosofiche sia necessario ammet-
tere un'altra scienza . 40
Articolo 2. Se la sacra dottrina sia scienza . 44
Articolo 3. Se la sacra dottrina sia una scienza unica . 46
Articolo 4. Se la sacra dottrina sia una scienza pratica. 48
Articolo 5. Se la sacra dottrina sia superiore alle altre scienze 50
Articolo 6. Se questa dottrina sia sapienza. . . 52
Articolo 7. Se Dio sia il soggetto [di studio] di questa scienza 56
Articolo 8. Se questa dottrina proceda con metodo dialettico 58
Articolo 9. Se la sacra Scrittura debba usare metafore . . 62
Articolo 10. Se un medesimo testo della sacra Scrittura abbia più
sensi 66
Que~tionc !. -Trattato di Dio. Esistenza di Dio . 72
Articolo 1. Se sia di per sè evidente c1'le Dio esiste • 72
Articolo 2. Se sia dimostrabile che Dio esiste 76
Articolo 3. Se Dio esista . 80
011r<tio11e 3. - La srmplicità di Dio . 92
Articolo 1. Se Dio sia corpo . . . . . . 9~
Articolo 2. Se in Dio vi sia composizione di materia e' di forma 96
Articolo 3. Se Dio sia la stessa cosa che la sua essenza o natura l(.'O
Art !colo 4. Se in Dio essenza ed esistenza siano la stessa cosa 102
Articolo 5. Se Dio sia contenuto in qualche genere • 106
Articolo 6. Se in Dio vi siano accidenti 110
INDICE GENERALE
PAG.
Articolo 7. Se Dio sia del tutto semplice . . • • • 112
Articolo 8. Se Dio entri in composizione con gli altri esseri • 114
Questione 4. - La perfezione di Dio 120
Articolo 1. Se Dio sia perfetto . . . . 120
Articolo 2. Se si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose 122
Articolo 3. Se una creatura possa essere simile a Dio 126
Questione 5. - Il bene in generale 132
Articolo 1. Se il bene differisca realmente dall'ente . . 132
Articolo 2. Se il bene concettualmente sia prima dell'ente 136
Articolo 3. Se ogni ente sia buono . . 140
Articolo 4. Se il bene abbia il carattere di causa finale . . 142
Articolo 5. Se la natura del bene consista nel modo, nella specie
e nell'ordine 146
Articolo 6. Se il bene sia diviso convenientemente in bene onesto,
utile e dilettevole 150
Questione 6. - La bontà di Dio 154
Articolo 1. Se la bontà convenga a Dio 154
Articolo 2. Se Dio sia il sommo bene • • . • • 156
Articolo 3. Se esser buono per essenza sia proprio di Dio 158
Articolo 4. Se tutte le cose siano buone della bontà di Dio • 162
Questione 7. - La infinità di Dio . 164
Articolo 1. Se Dio sia infinito . 164
Articolo 2. Se qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita
per essenza . . . . 168
Articolo 3. Se si possa dare un infinito attuale in estensione 170
Articolo 4. Se nella realtà si possa dare un infinito numerico 176
Questione 8. - La presenza di Dio nelle cose . 182
Articolo 1. Se Dio sia in tutte le cose . • 182
Articolo 2. Se Dio sia dappertutto . 186
Articolo 3. Se Dio è dappertutto per essenza, per presenza e per
potenza. . . • . • . • 190
Articolo 4. Se sia 11roprio di Dio essere dappertutto. 194
Questione 9. - La immutabilità di Dio • 198
Articolo 1. Se Dio sia del tutto immutabile. • . • . 198
Articolo 2. Se essere immutabile sia proprietà esclusiva di Dio 200
Questione 10. - L'eternità di Dio . 20&
Articolo 1. Se l'eternità sia ben definita cosi: • Il possesso intero,
perfetto e simultaneo di una vita interminabile • . 206
Articolo 2. Se Dio sia eterno . . . . 210
Articolo 3. Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio 212
Articolo 4. Se l'eternità differisca dal tempo 214
Articolo 5. Sulla differenza tra evo e tempo 220
Articolo 6. Se vi ~·ia un evo soltanto 224
Questione 11. - L'unità di Dio 230
Articolo 1. Se l'unità aggiunga qualche cosa all'essere 1?30
Articolo 2. Se ci sia Ol'iJ<J~izione Ira l'une e i molti. 23->
INDICE GENERALE 359
PAO.
Articolo 3. Se Dio sia uno . 238
Articolo 4. Se Dio sia sommamente uno 240
Questione 1~. - La nostra conoscenza di Dio 244
Articolo 1. Se un intelletto creato possa vedere Dio ·nella sua es-
senza m
Articolo 2. Se l'essenza òi Dio sia veduta dall'intelletto creato
per mezzo di una qualche 11nmagine . . 250
Articolo 3. Se l'essenza di Dio possa esstre veduta con gli occhi
corporei 254
Articolo 4. Se un intelletto creato possa con le sue i·orze naturali
vedere l'essenza divina . . . 256
Articolo 5. Se l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio ab-
bisogni di un qualche lume creato • , • • 262
Articolo 6. Se tra coloro che vedono l'essenza <li Dio uno veda
più perfettamente di un altro , . . • 264
Articolo 7. Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo com-
prendano . . . . . 268
Articolo 8. Se coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui
tutte le cose . . . . . . . 272
Articolo 9. Se le cose vedute in Dio da coloro che contemplano
la divina essenza siano vedute mediante alcune immagini [o
specie intelligibilil . . 274
Articolo 10. Se quelli che vedono Dio per essenza vedano simul-
taneamente tutto quello che vedono in lui 278
Articolo 11. Se qualcuno in questa vita possa vedere Dio per es-
senza 280
Articolo 12. Se in questa vita possiamo conoscere Dio con la ra-
gione naturale . . . . . . • 284
Articolo 13. Se mediante la grazia si abbia una conoscenza di Dio
più alta di quella che si ha con la ragione naturale 286
Questione 1S. - I nomi di Dio 29-i
Articolo 1. Se a Dio convenga un nome , 292
Articolo 2. Se qualche nome detto di Dio ue significhi l'essenza. 296
Articolo 3. Se qualche nome si dica di Dio in senso proprio . 302
Articolo 4. Se i nomi che si danno a Dio siano sinonimi • • 304
Articolo 5. Se i nomi attribuiti a Dio e alle creature siano loro
attribuiti in senso univoco • • 306
Articolo 6. Se i nomi si dicano delle creature prima che di Dio . 314
Articolo 7. Se i nomi che importano relazioni alle creature si
attribuiscano a Dio dall'inizio del tempo . 318
Articolo 8. Se il nome Dio sia nome che indica natura . 326
Articolo 9. Se il nome Dio sia comunicabile . . • . 328
Articolo 10. Se il nome Dio si dica con lo stesso significato uni-
voco, applicato a [colui che è] Dio per natura, [a chi lo è] per
partecipazione e [a chi lo è] nell'opinione [degli uomini] . . 332
Articolo 11. Se il nome Colui che 'è sia il nome più proprio di Dio 336
Articolo 12. Se rispetto a Dio si possano formare delle proposi-
zioni affermative 340
NOTA BIRLIOGRAFICA 347
ARBRF.VIAZIONI 349
INDICE ONOMASTICO 353

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