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Mattia Miglio
Le recenti disposizioni introdotte dal c.d. Decreto Cura Italia (art. 42, comma 2
del D.L. 17 marzo 2020, n. 18) - precisate anche dalla circolare INAIL nr. 13 dello
scorso 3 aprile - hanno considerato i casi accertati di infezione da coronavirus in
ambito lavorativo (rectius: "in occasione di lavoro") quali infortuni meritevoli di
ricevere la tutela assicurariva INAIL, aprendo cos� lo spazio - come prevedibile -
a un dibattito in merito alle possibili ipotesi di responsabilit� penale, laddove
il Datore di Lavoro non abbia adottato tutte le misure necessarie a prevenire il
rischio di contagio.
Prima di addentrarsi in tale disamina, � solo il caso di ricordare che - come noto
- il Datore di Lavoro � gravato di una posizione di garanzia derivante dall'art.
2087 c.c. - che obbliga l'imprenditore a tutelare l'integrit� fisica e la
personalit� morale dei prestatori di lavoro - e dalle norme previste dal D.Lgs.
81/2008, le quali - senza pretese di esaustivit� - impongono al Datore di Lavoro di
fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale
(art. 18, comma 1 lett. d), di astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere
l'attivit� in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e
immediato (art. 18, comma 1 lett. m), etc.
In prima battuta e alla luce di quanto appena accennato, sembra difficile che la
condotta inerte del Datore di Lavoro possa dar luogo a una contestazione della
fattispecie di epidemia, sia essa in forma dolosa ex art. 438 c.p. che in forma
colposa ex art. 452 c.p.; come ha recentemente insegnato la giurisprudenza di
legittimit�, l'inciso "mediante la diffusione di germi patogeni" contemplato
dall'art. 438 c.p. sembra intendere esclusivamente una condotta commissiva a forma
vincolata, di per s� incompatibile con la posizione di garanzia ex art. 40, comma 2
c.p. (cfr. Cass., Sez. IV, 12 dicembre 2017, n. 9133).
Del resto, come indicano le risposte alle FAQ dedicate al COVID 19 e pubblicate sul
sito del Ministero della Salute, i soggetti affetti da determinate patologie
pregresse (es.: pazienti oncologici, onco-ematologici o affetti da
immunodeficienze) risultano essere tra le categorie maggiormente a rischio di
contrarre l'infezione e quindi, il contagio da COVID "in occasione di lavoro" pu�
concorrere con altre patologie pregresse in capo al medesimo lavoratore.
Ragion per cui, ove a tale contagio faccia seguito il decesso del lavoratore
affetto anche da altre patologie cliniche, all'organo giudicante - prima di
valutare la sussistenza del nesso eziologico - spetter� l'arduo compito di
verificare se l'evento morte sia effettivamente riconducibile all'infezione da
coronavirus e non anche ad altre patologie (che nulla c'entrano col COVID 19) di
per s� ragionevolmente idonee e sufficienti a cagionare l'evento morte, anche
indipendentemente dall'infezione da coronavirus.
c) le mani (ad esempio toccando con le mani contaminate naso, bocca o occhi) e