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IL CASTELLO

DELL’ANIMA
CENTRO STUDI “EDITH STEIN “ - LANCIANO 15.10.10

TERESA DI GESU’:
LASCIARSI TRASFORMARE DALL’AMORE
Il 28 marzo 1515, ad Avila, da Alonso y Sanchez de Cepeda e da
Beatrice de Ahumada nasce una donna straordinaria, che ha inciso
profondamente sulla storia della spiritualità cristiana: Teresa di Gesù.
La sua infanzia fu delle più ardenti, segnata a tal punto dal desiderio
di vedere Dio da
proporre al fratello
Rodrigo di andare nella
terra dei mori, per
morire da martire.
All’età di 20 anni,
Teresa, superata la
crisi adolescenziale in
seguito alla sua
permanenza per un
anno e mezzo come
educanda nel
monastero delle
Agostiniane della sua
città, entrò nel
monastero carmelitano
dell’Incarnazione di Avila. E’ l’inizio di un nuovo periodo della sua vita,
periodo che durerà diciassette anni e che sarà segnato da varie
difficoltà, dalla malattia che la colpirà subito dopo la sua professione
ad una certa incapacità di dedicarsi interamente alla preghiera senza
lasciarsi distrarre da nulla. La svolta decisiva si ebbe tra il 1544 e il
1545. E’ lei stessa a raccontarcela nel libro della Vita: “Avvenne che
entrando un giorno nell’oratorio vidi che era stata portata lì una
statua da custodire in attesa di una certa solennità che si doveva
celebrare in casa. Era un Cristo tutto coperto di piaghe e ispirava
tanta devozione che, guardandolo, mi turbai tutta nel vederlo così,
perché rappresentava ciò che ebbe a soffrire per noi. Provai tanto
dolore per l’ingratitudine con cui avevo ripagato quelle piaghe, che
sembrava venirmi meno il cuore, e mi gettai ai suoi piedi con un fiume
di lacrime, supplicandolo che mi desse la forza di non offenderlo mai
più”. Da allora “l’orazione di Teresa divenne ardente d’amore,
intensa, leale, assai semplice: un dialogo d’amore tra due innamorati,
sofferenti per amore” (L. Borriello): “la preghiera non consiste nel
molto pensare, ma nel molto amare”. Immersa completamente
nell’orazione, era iniziato il cammino che l’avrebbe portata alla vette
della contemplazione, al matrimonio spirituale. Passando attraverso
questa esperienza intesa di rapporto con Dio nacque in Teresa
l’esigenza di tornare allo spirito originario del Carmelo, con
l’osservanza della Regola primitiva in tutto il suo rigore, senza
mitigazioni, mediante la fondazione di un nuovo monastero con poche
monache, al massimo dodici, interamente dedite alla preghiera in un
contesto comunitario e di radicale povertà evangelica (senza rendite).
Ed ecco dunque nascere il monastero di San Giuseppe ad Avila, cui ne
seguiranno altri, al momento della sua morte se ne conterranno ben
diciassette. Un intensa attività riformatrice che dal 1568, in seguito
all’incontro con Giovanni della Croce, coinvolse anche il ramo
maschile dell’ordine. Qual è dunque il progetto perseguito da Teresa
con tanta passione? Può essere sintetizzato in questi termini: “di
fronte alle divisioni della Chiesa del suo tempo, sente come una spinta
interiore ad organizzare la nuova vita con un deciso orientamento
contemplativo centrato sull’orazione intesa coma rapporto d’amicizia
con l’amico per eccellenza <che ha molti nemici e così pochi amici>
e sostenuto da una stretta clausura, una povertà autentica e una
penitenza reale” a beneficio della Chiesa (L. Borriello). Teresa mori il 4
ottobre 1582 ad Alba da Tormes, dove era stata inviata, partendo da
Medina del Campo, dal vicario provinciale, padre Antonio di Gesù, per
consolare la duchessa Maria Enriquez d’Alba.
Ora ci si può domandare che cosa ha da insegnare una donna vissuta
tanti secoli fa agli uomini e alle donne del XXI secolo, costretti a
muoversi dentro un orizzonte culturale e religioso profondamente
diverso da quello della Spagna del siglo de oro. La vita di Teresa è
stata modellata interamente dalla preghiera e di quest’ultima ci ha
lasciato una definizione magistrale, nata sul terreno della sua
esperienza di grande orante: “A mio parere l’orazione mentale non se
non un trattare in amicizia, stando di frequente da soli a soli con chi
sappiamo che ci ama”. Allora la preghiera è un incontro che si svolge
sul piano dell’amore-amicizia, un incontro che trasforma la persona,
poiché “una vita di orazione è cammino di comunione con Dio che
trasforma l’uomo dal di dentro e manifesta il cambiamento operatosi
in lui in una fioritura di virtù cristiane” (J. Castellano Cervera). La
preghiera in altri termini “è la scoperta progressiva, l’esperienza viva
che Dio ci ama”: pregare “è scoprirsi amati; contemplare un Dio che
mi ama”. Ed è proprio questa scoperta a cambiare la vita. Gli uomini
del nostro tempo hanno più che mai bisogno di mettere al centro della
loro vita questa relazione d’amicizia, poiché senza Dio l’esistenza
umana è consegnata all’insignificanza, resta rinchiusa nell’orizzonte
dell’immanenza, del qui ed ora. Dio, tuttavia, non è una nozione
intellettuale, ma è una persona che si conosce nella misura in cui si
entra in relazione con Lui, per lasciarsi trasformare dal suo amore.
Con Teresa di Gesù si apprende l’essenziale, al di là delle astratte
costruzioni dottrinali, poiché è stata “<una teodotta> e una
<teognosta>, cioè una persona che ha ricevuto il suo insegnamento
da Dio, conosciuta da Dio e conoscitrice di Dio. Ha imparato la
teologia non sui banchi delle università, ma nella scuola di Dio, nella
teologia pregata, attraverso il suo carisma che è la preghiera e
nell’esperienza stessa dei misteri” (J. Castellano Cervera). Ed è solo a
partire dal colloquio intimo con Dio che si esce dal cerchio del proprio
io per entrare con passione nelle contraddizioni del proprio tempo.
E’ la dimensione attiva che – come mostra Teresa - è costitutivamente
immanente alla preghiera che quando è autentica da un lato si
configura non come fuga dalla realtà come capacità di guardare il
mondo con gli occhi di Dio e di prendersi cura del fratello, e dall’altro,
in quanto dialogo con Dio nasce e sviluppa a partire dal dialogo con il
prossimo. Il che significa conclusivamente che “il rapporto con Dio e
quello con il fratello non si contrappongono e non si possono separare.
Si armonizzano, integrandosi in uno stesso movimento, e camminano
insieme. Occorre imparare a <trattare> con Dio nella prospettiva del
<tratto> con il fratello”. (M. Herràiz Garcìa)
C’è veramente tanto da imparare alla scuola di Teresa di Gesù!

PER NOI, LEBBROSI DI OGGI…


Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la
Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero
incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la
voce, dicendo: "Gesù maestro,
abbi pietà di noi!". Appena li
vide, Gesù disse: "Andate a
presentarvi ai sacerdoti". E
mentre essi andavano, furono
sanati. Uno di loro, vedendosi
guarito, tornò indietro lodando
Dio a gran voce; e si gettò ai
piedi di Gesù per ringraziarlo.
Era un Samaritano. Ma Gesù
osservò: "Non sono stati
guariti tutti e dieci? E gli altri
nove dove sono? Non si è
trovato chi tornasse a render
gloria a Dio, all'infuori di
questo straniero?". E gli disse: "Alzati e Va'; la tua fede ti ha
salvato!". (Luca 17, 11-19)
Erano in dieci: numero perfetto! Erano, dunque, una comunità. E
stavano insieme, accomunati da uno stesso destino. Erano “malati”,
probabilmente non di quella malattia della quale si parla (la lebbra),
poiché una semplice macchia della pelle non può essere chiamata
lebbra. Ma erano malati: vagavano, insieme, in attesa di fare
quell’Incontro per poter mendicare, finalmente, Misericordia: “Abbi
pietà di noi!”. Un grido di aiuto per ottenere guarigione; con voce alta
i dieci implorano un gesto di amore.
Quanta POVERTA’ viene dichiarata da questo gruppo di “lebbrosi” che
si riconosce bisognoso di essere accettato, sostenuto, guarito dalle
proprie limitazioni. Quanta RICCHEZZA elargita dal Figlio dell’Uomo
che ascolta e risponde a piene mani. Indica la strada da percorrere;
nel frattempo li guarisce. Uno solo torna indietro per dire “Grazie!”.
Ma come rimproverare gli altri nove che hanno fatto esattamente
quanto era stato loro richiesto? Non era stato lo stesso Gesù ad
invitarli ad andare verso il Tempio? Sappiamo bene come stanno le
cose!
Anche noi ci rechiamo nelle nostre chiese, come ci è stato insegnato,
per soddisfare il precetto domenicale. Ma il rendimento di grazie è
tutt’altra cosa! Lo ha capito bene il samaritano, l’unico che è stato in
grado di individuare perfettamente la fonte alla quale andare ad
attingere acqua… Si passa per il “tempio”, ma è indispensabile, poi,
giungere a Dio…evitando scrupolosamente di fermarsi, strada
facendo, nella sagrestia ad incensare false divinità! Ti dico “GRAZIE”,
Signore, poiché solo la tua mano può guarirmi…

MARIA CONCETTA BOMBA OCDS

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Lidia Maggi, Elogio dell’amore imperfetto. Cittadella editrice
2010, pp.107, Euro 9,50. Lidia Maggi, pastora della Chiesa battista di
Varese, ci offre un testo ricco di spunti di riflessione, che ci aiuta ad
entrare con realismo nel mondo degli affetti: “occorre riconciliarsi con le
imperfezioni della relazione di coppia, poiché la vita, quella vera, è fatta
anche di fragilità e fallimenti, di incomprensioni e di silenzi. E a dispetto di
quanto normalmente si pensa, la Scrittura non demonizza questo vissuto
arrivando persino a tessere l’elogia dell’amore imperfetto”.
Roberto Repole, L’umiltà della Chiesa. Edizioni Qiqaion, Comunità
di Bose, 2010, pp. 110, Euro 11,00. “Se i cristiani non sono <del
mondo>, tuttavia non possono dimenticare di essere <nel mondo>: oggi,
infatti, a loro è richiesto di ripensare la fede cristiana all’interno della
cultura postmoderna, senza alcun appiattimento acritico su di essa, mas
in un’apertura al dialogo e al confronto. Possiamo così scoprire che la
chiesa, nel contesto del mondo attuale, è chiamata ad essere umile: la
sua umiltà si radica nell’umiltà stessa di Dio, che in Gesù Cristo si è
compromesso con la terrà e l’umanità, e le permette di essere il popolo di
Dio animato dallo Spirito santo”
Per informazioni rivolgersi ad Amedeo Guerriere, via E. Troilo n.11,
66034 Lanciano (Ch) – tel. 0872.710284 /cell. 346.2266418
amedeoguerriere@hotmail.com –
http://centrostudiedithstein.myblog.it/

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