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Giorgio Bassani

Dietro la porta

1964 - Giulio Einaudi editore, Torino

a Cesare Garboli

Ah! Seigneur! donnez-moi la force et le courage de contempler mon cur et mon corps
sans dgot!

BAUDELAIRE

Indice
Dietro la porta..................................................................................................................1
I.......................................................................................................................................4
II....................................................................................................................................12
III...................................................................................................................................16
IV...................................................................................................................................21
V....................................................................................................................................27
VI...................................................................................................................................33
VII..................................................................................................................................40
VIII.................................................................................................................................46
IX...................................................................................................................................51
X....................................................................................................................................57
XI...................................................................................................................................62
XII..................................................................................................................................67
XIII.................................................................................................................................72
XIV.................................................................................................................................78
XV..................................................................................................................................83

I.

Sono stato molte volte infelice, nella mia vita, da bambino, da ragazzo, da giovane, da uomo
fatto; molte volte, se ci ripenso, ho toccato quel che si dice il fondo della disperazione. E tuttavia
ricordo pochi periodi pi neri, per me, dei mesi di scuola fra lottobre del 1929 e il giugno del 30,
quando facevo la prima liceo. Gli anni trascorsi da allora non sono serviti a niente, tutto sommato:
non sono riusciti a medicare un dolore che rimasto l, intatto, come una ferita segreta,
sanguinante in segreto. Guarirne? Liberarmene? Ormai so bene che non possibile. Se adesso ne
scrivo, dunque, soltanto nella speranza di capire e far capire. Non vado in cerca di altro.
Fin dai primi giorni mi ero sentito a disagio, profondamente spaesato. Non mi piaceva laula
dove ci avevano messi, posta al termine di un tetro corridoio lontano da quello, allegro e familiare,
su cui rispondevano le tredici porte delle classi ginnasiali divise nelle tre sezioni delle inferiori e
nelle due delle superiori. Non mi piacevano i nuovi professori, dai modi distaccati e ironici che
scoraggiavano ogni confidenza, ogni considerazione personale (ci davano tutti del Lei), quando
addirittura, come il titolare di latino e greco, Guzzo, e come la Krauss, di chimica e scienze naturali,
non promettevano per limmediato avvenire regimi di severit e durezza carcerarie. Non mi
piacevano i nuovi compagni, provenienti dalla quinta A, a cui, noi della b, eravamo stati aggiunti:
diversissimi da noi - mi pareva -, forse pi bravi, pi belli, appartenenti a famiglie, nel complesso,
forse migliori delle nostre, insomma irrimediabilmente estranei. E non riuscivo a comprendere n a
giustificare, a questo proposito, il comportamento di molti dei nostri, i quali, diversamente da me,
avevano subito cercato di fare comunella con loro, ripagati lo vedevo costernato di uguale
simpatia, di pari disinvolta arrendevolezza. Possibile?, mi chiedevo, scontento e geloso,
possibile?. La mia fedelt, crudelmente offesa gi dal primo giorno di scuola, quando avevo
scorto di lontano lamato professor Meldolesi, nostro insegnante, in quinta, di materie letterarie,
sparire alla testa della sua nuova quarta gi per il corridoio del ginnasio (il corridoio vietato, ormai,
dove non avremmo pi potuto metter piede), la mia assurda fedelt avrebbe preteso che una linea
di demarcazione invisibile continuasse a separare, anche al liceo, i superstiti delle due vecchie
quinte, di modo che noi della B fossimo protetti e garantiti per sempre da ogni tradimento, da ogni
contaminazione.
Ma la circostanza che mi amareggiava di pi era senzaltro la seguente: che Otello Forti, il mio
vecchio compagno di banco fin dai tempi delle elementari, non ce lavesse fatta a superare, come
me, lesame di quinta (io stesso avevo dovuto riparare matematica a ottobre, ma lui, quantunque
rimandato soltanto in inglese, a ottobre era stato definitivamente respinto). Per cui, adesso, non
solo non lavevo pi vicino, seduto come sempre alla mia destra, ma non avrei potuto ritrovarmi
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con lui nemmeno fuori, alluscita di mezzogiorno, per scendere poi assieme gi per la Giovecca,
diretti ognuno alle nostre case, o al Montagnone, nel pomeriggio, per giocare al football, o a casa
sua, soprattutto, la sua bella, grande, allegra casa piena di fratelli, sorelle, cugini e cugine, dove
avevo passato tanta parte della mia adolescenza, giacch Otello, poveretto, non sopportando il
dolore dellingiusta bocciatura, aveva chiesto e ottenuto dal padre di essere mandato a ripetere la
quinta a Padova, in un collegio parificato di Barnabiti. Privo di Otello; senza pi poter avvertire,
accanto a me, la presenza massiccia, un po opaca, del suo corpo tanto pi grosso e pesante del
mio; non pi stimolato, e magari irritato, dalla ruvida, ironica, ma cos affettuosa riserva da Jui
esercitata continuamente nei miei confronti ogniqualvolta, a casa mia o a casa sua, facevamo i
compiti assieme: fin da principio avevo provato il dolore persistente, lirrimediabile senso di vuoto
dei vedovi. Che cosa contava che lui mi scrivesse delle lettere nelle quali effondeva con
sorprendente eloquenza (non lo avevo mai considerato molto intelligente) tutto il suo affetto? Che
cosa contava che io gli rispondessi con non minore effusione? Io ero ormai al liceo, lui era rimasto
al ginnasio; io a Ferrara, lui a Padova: questa linsuperabile realt, della quale lui, col coraggio, la
chiarezza e limprovvisa maturit degli sconfitti, era ancora pi consapevole di me. Gli scrivevo: Ci
rivedremo a Natale. Al che lui rispondeva che s, a Natale, cio fra due mesi e mezzo,
probabilmente ci saremmo rivisti (a patto, per, laveva giurato a se stesso, che ottenesse la
sufficienza in tutte le materie: cosa niente affatto sicura!), ma che, comunque, una decina di giorni
passati assieme non avrebbero modificato la situazione. Aveva laria di suggerire: Dimenticami,
va l, trovati un altro amico - se pure non te lo sei gi trovato. No, scriversi serviva a ben poco.
Tanto vero che gi dopo le vacanze ilei primi di novembre, i Santi, i Morti, e lanniversario della
Vittoria, per tacito accordo avevamo smesso.
Avevo bisogno di sfogare la mia scontentezza, di manifestarla. Cos, il primo giorno di scuola,
mi ero guardato bene dal partecipare al solito assalto per laccaparramento dei banchi privilegiati
(quelli, cio, pi vicini alla cattedra), a cui, come ogni inizio danno, si erano buttati i miei compagni.
Avevo lasciato fare agli altri, ai nostri e ai loro, rimanendo sulla soglia dellaula a osservare
disgustato la scena, e andando infine a sedermi laggi, nellultimo banco della fila riservata alle
ragazze, presso la finestra dangolo. Era lunico banco restato vuoto: un banco grande, poco adatto
alla mia statura mediocre, ma molto, viceversa, al mio intenso desiderio di esilio. Chiss quanti
spilungoni bocciati e ripetenti aveva ospitato prima di me! - mi dicevo -. Leggevo ci che sul
catrame del piano inclinato era stato profondamente inciso dai temperini dei miei predecessori (per
lo pi invettive contro il corpo insegnante e contro il preside Turolla, in ispecie, soprannominato
Mezzolitro), e lo sguardo che poi volgevo in giro, verso la trentina di nuche schierate ordinatamente
davanti a me, mi si caricava, lo sentivo, di acrimonia. La mia recente bocciatura in matematica
ancora mi bruciava, vero; non vedevo lora di rifarmi, di tornare ad essere considerato fra i bravi e
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gli intelligenti. E tuttavia, per la prima volta nella vita, capivo il punto di vista degli scioperati degli
ultimi banchi. La scuola intesa come galera, il preside come direttore della medesima, i professori
come secondini, i compagni come galeotti: un sistema non gi da inserirvisi in qualit di zelanti
collaboratori, ma da sabotare e denigrare ad ogni occasione. Le correnti di anarchico disprezzo
che sempre, fino dalle elementari, avevo sentito alitare con timore dal fondo delle classi, come le
comprendevo, ora!
Guardavo dinanzi a me, e disapprovavo: tutto e tutti. Le ragazze, umiliate dai grembiuli neri,
come donne non valevano niente. Piccole piccole, le quattro dei primi due banchi (tutte quante
provenienti dalla quinta A), con le loro treccine smilze, penzolanti sulle schiene esili, sembravano
bambinucce dellasilo. Come si chiamavano? I loro cognomi terminavano tutti in ini, Bergamini,
Bolognini, Santini, Scanavini, Zaccarini: roba del genere, che evocava, attraverso simili suoni,
famiglie piccolissimo-borghesi di merciai, salumieri, legatori di libri, impiegati del Comune,
mediatori di piazza, eccetera. Le due del terzo banco, la Cavicchi e la Gabrieli, la prima grassa
grassa, la seconda magra allampanata, con un viso slavato e pustoloso da zitella trentenne,
rappresentavano quanto era rimasto della decina di femmine della quinta b: le due pi brutte,
senza dubbio, due grige sgobbone asessuate destinate a fare le farmaciste o le professoresse, da
considerarsi alla stregua di puri oggetti, di cose. Le tre rimanenti, sistemate nel quarto e quinto
banco, la Balboni e la Jovine nel quarto, e la Manoja, da sola, nel quinto, venivano da fuori: la
Balboni dalla campagna (si vedeva benissimo da come vestiva, poveretta: sua madre, niente di pi
facile, faceva la sarta di paese, ed era lei a confezionarle i vestiti), la Jovine da Potenza, e la
Manoja da Viterbo: al probabile seguito, queste due ultime, di funzionari di prefettura o delle
ferrovie trasferiti in Alta Italia per meriti speciali. Che noia, che tristezza! Possibile che le donne,
per andare avanti negli studi, dovessero essere cos: delle specie di beghine avvilite e senza
carattere (non si lavavano neanche tanto, le mummie, a giudicare dallodore di stantio che
mandavano!), mentre delle bellezze come la Legnani e la Bertoni, per esempio, le due vamp della
quinta b, venissero sempre bocciate senza piet? Ma loro se ne fregavano, la Legnani e la Bertoni:
la prima stava per sposarsi - pareva -, e la seconda, con quel vitino da vespa, quella frangetta nera
e lustra, e quegli occhi maliziosi alla Elsa Merlini, figurarsi se avrebbe ripetuto la quinta. Era tipo,
lei, da svignarsela a Roma a fare lattrice - come lavevamo sentita pi volte dichiarare -, altro che
star l ad ammuffire dietro la porta del liceo!
Ma era sui maschi che si appuntavano maggiormente le mie critiche, con particolare riguardo
delle coppie occupatrici dei banchi della fila centrale, quella di fronte alla cattedra. Laggi, nel
primo banco e nel secondo, la quinta A aveva piazzato ben tre elementi, Boldini, Grassi e
Droghetti, in mezzo ai quali Florestano Donadio, della b, che sedeva con Droghetti nel secondo
banco, ci faceva la figura dellospite sopportato, misero in tutto comera, nel profitto, nel fisico, in
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ogni cosa. Droghetti, figlio di un ufficiale di cavalleria, con quel suo aspetto irreprensibile e scemo
che lo destinava a seguire, cera da giurarlo, le orme del padre, era di certo una mediocrit. Ma i
due davanti, Boldini e Grassi, fra i pi bravi della A, costituivano, messi assieme, una grossa
potenza, alla quale Donadio, da quello spaurito uccellino che era sempre stato, biondo, piccolo,
roseo, si offriva evidentemente come tributario e vassallo. Nel terzo banco, altra coppia male
assortita: Giovannini della B, e Camurri della A. Non gi che Giovannini, intendiamoci, fosse meno
bravo dellaltro, ch anzi, nonostante lorigine contadina, il buon Walter se la cavava perfino a
esprimersi in italiano. Per Camurri era un signore: brutto, miope, baciapile, ma signore. La sua
famiglia (i Camurri di via Carlo Mayr: chi non li conosceva?), era tra le pi ricche della citt.
Possedevano centinaia di ettari dalle parti di Codigoro, proprio nelle campagne di dove veniva
Walter, sicch non era per niente da escludere che il padre o il nonno di questultimo fossero stati,
in passato, o addirittura fossero tuttora, al servizio di casa Camurri Nel quarto banco, poi, chiss
perch solo - a significare, magari, che nessuno poteva vantare titoli sufficienti per stargli a lato -,
sedeva Cattolica, Carlo Cattolica, che fino dalla prima ginnasio era sempre stato il cannone
indiscusso della sezione A (regolarmente otto e nove in tutte le materie). Non pareva; ma
attraverso Camurri e Droghetti, fidate schiene, curve dinanzi a lui, sarebbe stato in qualsiasi
circostanza uno scherzo, per Cattolica, mettersi in comunicazione coi non meno fidati Boldini e
Grassi del primo banco. Si sarebbe visto nei compiti in classe di latino e greco: eccome se si
sarebbe visto! Le notizie sarebbero passate dal quarto banco al primo, e viceversa, con la stessa
facilit che se loro avessero avuto a disposizione un telefonino da campo.
Dietro Cattolica, due nostri: Mazzanti e Malag (nostri per modo di dire, per, giacch erano
entrati in forza da noi soltanto da un anno, dopo che avevano fallito una prima volta il passaggio
del cosiddetto ponte dellasino): due nullit, o quasi. E quindi, alla mia destra, chini sul banco
allunico scopo di defilarsi, di evitare per quanto possibile gli occhi indagatori del professor Guzzo,
soprattutto, Veronesi e Danieli, il primo almeno ventenne, e il secondo pi anziano ancora: gente
abituata a ripetere ogni classe, vecchi fannulloni inetti persino allo sport, ed esperti di una sola
materia: di tutte le case di tolleranza cittadine, da quelle di infimo prezzo alle pi care, di cui si
vantavano frequentatori assidui da anni. E anche se i posti, nella fila di banchi pi vicina alla porta,
quella di fronte alla lavagna, risultavano distribuiti un po meglio (nel secondo banco, Giorgio Selmi
era andato a finire con Chieregatti; nel terzo, Ballerini era riuscito a mettersi ancora una volta con
linseparabile Giovanardi): come avrei potuto, io, rassegnarmi a far coppia nel quarto banco con
Lattuga, labbietto, puzzolente, da tutti evitato e schernito Aldo Lattuga, che ben di rado, durante il
ginnasio, aveva trovato qualcuno disposto a stargli vicino, e anche questanno, naturalmente, come
Cattolica, se pure per ragioni diametralmente opposte, era rimasto solo soletto? No, no - mi
ripetevo. Meglio la solitudine del posto dove mero messo, in fondo alla fila delle donne. Il professor
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Bianchi, ditaliano, aveva cominciato le lezioni declamando una canzone di Dante, e un verso, di
questa, mi aveva straordinariamente colpito. Diceva: Lessilio che m dato a onor mi tegno.
Poteva essere la mia divisa - pensavo -, il mio motto.
Un giorno mi ero distratto a guardare di l dai vetri del finestrone, alla mia sinistra, il triste
cortile abitato da gatti famelici che separava ledificio del Guarirti, un ex convento, dal fianco della
chiesa del Ges. Pensavo che dopo tutto sarebbe stato bello se Giorgio Selmi, per esempio, il
quale mera sempre stato in fondo cos simpatico, avesse preso lui liniziativa, il primo giorno di
scuola, per invitarmi a fare coppia assieme. Selmi era orfano di padre e di madre. Viveva, col
fratello Luigi, ospite di uno zio paterno, lavvocato Armando, un arcigno scapolo sui sessantanni
che non vedeva lora di sbarazzarsi dei nipoti infilandone uno allAccademia militare di Modena, e
laltro a quella navale di Livorno. Ora, perch mai Giorgio aveva preferito mettersi con quel tetro
sgobbone di Chieregatti, invece che con me? Lappartamento dello zio, in piazza Sacrati (uno
studio davvocato con annessa qualche stanza per uso dabitazione), non era molto adatto, certo,
per andarci a fare i compiti in due, se era vero, come aveva tutta laria di essere, che lui, Giorgio,
studiava in camera da letto, uno sgabuzzino tre metri per quattro. Ma a casa mia, al contrario, ci
sarebbe stato tutto lo spazio occorrente. La mia stanza da studio era abbastanza grande da
ospitare me, lui, e chiunque altro avessimo voluto eventualmente aggregare al nostro binomio. Mia
madre, inoltre, lietissima che adesso i pomeriggi li passassi sempre a casa, e non, come al
ginnasio, a casa Forti, chiss che splendide merende a base di t, burro e marmellata, ci avrebbe
preparato alle cinque! Peccato, davvero, che Giorgio Selmi non si fosse messo con me. Linvidia,
la gelosia: questa lunica ragione che doveva averlo trattenuto. La mia casa era troppo bella,
troppo confortevole in confronto alla sua. E poi io possedevo una madre, mentre lui no, non
possedeva che un vecchio zio scorbutico. Lantisemitismo, una volta tanto, non c'entrava: non
centrava assolutamente.
Sss!
Un leggero fischio, proveniente da destra, mi fece sussultare. Mi voltai di scatto. Era Veronesi.
Accucciato dietro le spalle di Mazzanti, mi incitava con lindice magro, macchiato incredibilmente di
nicotina, a guardare davanti a me. Che cosa facevo? - aveva laria di dire, fra divertito e
preoccupato -. Dove diamine credevo di essere, pazzo e cretino che non ero altro?
Obbedii. Nel silenzio assoluto, incrinato solamente da qualche risatina, tutta la classe stava coi
visi rivolti verso di me. E anche il professor Guzzo, laggi, assiso in cattedra, mi fissava
sogghignando.
Finalmente!, profer, soave.
Mi alzai in piedi.
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Lei si chiama? balbettai con voce fioca il mio nome.


Guzzo era famoso per la sua cattiveria, una cattiveria confinante col sadismo. Sui
cinquantanni, alto, erculeo, due grandi occhi color ramarro lampeggianti sotto una fronte enorme,
alla Wagner, e lunghe basette grigie che gli scendevano fino a met delle guance ossute, passava
per una specie di genio, al Guarirli (Mors domuit corpora - Vicit mortem virtus: lepigrafe per i
Caduti della guerra 15-18, che faceva bella mostra di s nel corridoio dingresso, era stata dettata
da lui). Non aveva la tessera del Fascio; e per questo, soltanto per questo - dicevano tutti -, non
aveva potuto ottenere quella cattedra universitaria alla quale certi suoi scritti filologici, pubblicati in
Germania, lo avrebbero sicuramente destinato.
Come?, chiese, portando la mano dietro lorecchio e protendendosi in avanti fino a pesare
col largo petto sul registro spalancato. Alzi la voce, per favore!
Si divertiva, evidentemente, stava giocando.
Ripetei il mio nome.
Si rialz bruscamente, controll con cura il registro.
Bene, concluse, mentre apponeva, sullo stesso, un misterioso tratto di penna.
E adesso mi parli un poco di Lei, riprese, tornando ad appoggiare il dorso allo schienale
della scranna.
Di me?
Di Lei, sicuro. Di quale delle due quinte faceva parte: della A, o della B?
Della B.
Storse le labbra.
Ah: della B. Bene. E com assurto, qui? Di slancio, di volo (perdoni la mia scarsa memoria),
oppure, mi dica, in seconda istanza?
Ho dovuto riparare matematica a ottobre.
Soltanto matematica?
Annuii.
sicuro di non aver dovuto riparare (pessima quanto efficace espressione) anche qualche
altra materia? Latino e greco, per esempio?
Negai.
Ne proprio sicuro?, insisteva lui, con dolcezza felina.
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Tornai a negare.
Ebbene faccia attenzione, carissimo, faccia attenzione Non vorrei che, oltre a matematica,
lestate ventura Ella fosse obbligata a riparare latino e greco, quantunque quod Deus avertat
tre materie Lei mi capisce a volo, non vero?
Mi domand quindi come me la cavassi al ginnasio, e se avessi mai dovuto ripetere qualche
anno. Ma non mi guardava: guardava in giro, come se non si fidasse di me, e chiedesse la
testimonianza di qualche volonteroso.
molto bravo. Dei migliori, os dire qualcuno: forse Pavani, l, nel primo banco della prima
fila.
Ah, dei migliori!, esclam il professor Guzzo. E allora, se al ginnasio era davvero dei
migliori come mai questa decadenza? Come mai?
Non sapevo cosa dire. Fissavo il banco come se la risposta che Guzzo desiderava potesse
venirmi da quel vecchio legno nerastro. Rialzai il capo.
Come mai?, continuava lui, implacabile. E per quale motivo ha poi scelto un banco come
quello? Forse per esser vicino allottimo Veronesi e al non meno ottimo Danieli e apprendere da
essi, invece che da me, la vera Scienza?
La classe scoppi in una risata unanime. Anche Veronesi e Danieli ridevano, seppure con
minore entusiasmo.
No, no, mi creda, riprese Guzzo, dominando il tumulto con un largo gesto da direttore
dorchestra. Lei innanzi tutto deve cambiare sede.
Cerc, scrut, valut.
Ecco, l: nel quarto banco. Accanto a quel signore l.
Indicava Cattolica.
Come si chiama, Lei?
Cattolica si alz in piedi.
Carlo Cattolica, rispose, semplicemente.
Ah, bene il celebre Cattolica bene, bene. Lei proviene dalla quinta A, non vero?
Sissignore.
Bene, bene. A con B. Ottimamente.
Raccolsi i libri, uscii nel corridoio laterale, raggiunsi il mio nuovo banco, salutato, al passaggio,
da un colpetto di tosse di Veronesi, e accolto, all'arrivo, da un sorriso del cannone della A.
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Mi raccomando, Cattolica, diceva intanto Guzzo. Glielo affido. Riconduca codesta pecorella
smarrita sul retto sentiero.

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II.

Non so che cosa sia successo di Carlo Cattolica, nella vita.


uno dei pochi compagni di scuola di cui non conosca niente: che carriera abbia fatto, se si sia
sposato, dove viva, e se viva. Posso dire soltanto che nel 33, dopo che ebbe superato
splendidamente l'esame di maturit, la sua famiglia si trasfer altrove: a Torino, credo, dove il
padre, che era ingegnere (un ometto calvo, con gli occhi celesti, leggermente folle: maniaco del
teatro dopera e della filatelia, e completamente soggetto a una moglie-carabiniere, professoressa
di matematica, pi alta di lui di tutta la testa), aveva inopinatamente trovato un impiego alla fiat.
Avr poi fatto il chirurgo, Cattolica figlio, secondo quanto preannunziava fino dal liceo, al solito
sicurissimo di s? Si sar effettivamente sposato con la ragazza che andava a trovare ogni sera a
Bondeno, in bicicletta, e di cui, allora, era gi fidanzato in casa da pi di un anno (Accolti,
Graziella Accolti, mi pare si chiamasse)? La nostra generazione stata tartassata come poche
altre; la guerra e il resto hanno travolto, fra noi, innumerevoli volont e vocazioni non meno decise
di quelle di Carlo Cattolica. E tuttavia, chiss perch, qualcosa mi dice che la partita tra me e il mio
Compagno di banco della prima liceo non si chiusa. Sono certo che lui vivo, che fa il chirurgo
come sognava (se non famoso, sar magari prossimo a diventarlo), e che, dopo un fidanzamento
almeno decennale, avr anche sposato la sua Graziella. Il suo, e quello di Luciano Pulga: sono
due volti che un giorno o laltro, non so come, torner a incontrare. Lo sento, e me lo aspetto.
Rivedo, del viso di Cattolica, il profilo netto, inciso alla mia destra con minuziosa precisione,
con esattezza da medaglia. Era alto, magrissimo, con due occhi neri, ardenti, profondamente
incassati sotto archi sopraccigliari piuttosto sporgenti, e una fronte non alta, ma larga, pallida,
calma, molto bella. curioso: ma la pi lontana immagine che serbo di lui ugualmente di profilo.
Frequentavamo ambedue le stesse elementari, la scuola comunale Alfonso Varano di via Bellaria,
anche allora in sezioni diverse; e una mattina, nel cortile dellistituto, durante lora di ricreazione,
ero stato colpito dal suo modo di correre. Filava rapido lungo il muro di cinta muovendo le gambe
sottili con falcata ampia, regolare, da mezzofondista. Avevo domandato a Otello Forti chi fosse.
Ma come, non lo conosci? Cattolica!, aveva risposto lui, meravigliato. Correva - osservavo - in
maniera assolutamente diversa da tutti gli altri, me compreso, che niente bastava a distrarci, a farci
cambiare direzione. Procedeva guardando tranquillo davanti a s, come se fosse lunico, lui, fra
tanti, a sapere con esattezza dove dirigersi.
Sedevamo vicini, adesso, a poche decine di centimetri luno dallaltro, ma qualcosa, una specie
di barriera non distinguibile a occhio nudo, di segreta demarcazione di confine, ci impediva di
comunicare con la libera familiarit dellamicizia. Io, per la verit, da principio avevo tentato
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qualche timida avance, consistente per esempio nella richiesta, un giorno di compito in classe di
latino, di poter collocare in via eccezionale i due grossi volumi del mio Georges di l dal piccolo
tramezzo che divideva in spazi rigorosamente uguali i ripostigli per libri e quaderni. Senonch il
freddo movimento rotatorio, limitato a pochissimi gradi, che Cattolica, consentendo, aveva fatto
compiere allasse del proprio viso, mi aveva subito dissuaso dallinsistere con altre manovre del
genere. Come due giovani sposi, unitisi non per scelta spontanea ma per volont superiore,
stavamo assieme ben consapevoli, entrambi, del significato sociale e della mondana importanza
della nostra unione. Lui, Cattolica, era stato, al ginnasio, sempre il pi bravo della sezione A: dalla
prima fino alla quinta (per non parlare delle elementari, che i maestri, nei corridoi, si passavano in
giro i suoi componimenti). Ma anche io, pur concedendomi ogni tanto qualche pausa (la
matematica non era mai stata il mio forte: verissimo, ma che cos la matematica al liceo
classico?), anche io, in fondo, avevo sempre fatto parte dei ristretti gruppi di testa Cortesi,
educati, s; disposti perfino a fingere, davanti agli altri, laffetto e la solidariet delle coppie meglio
assortite: per estranei, in sostanza, copertamente rivali, anzi nemici. E non era giusto, dopo tutto?
- pensavo -. Non era bene che risultando, come risultavamo, i porta-bandiera di due schiere
contrapposte ab antiquo, noi due ci comportassimo cos? Ognuno al suo posto: non era proprio
questa la regola alla quale avrei desiderato che tutti quanti si fossero attenuti?
Normalmente ostentavamo grande considerazione luno per laltro, la massima stima e
cavalleria. Di ritorno al banco, per esempio, dopo una interrogazione, eravamo sempre larghi di
vicendevoli sorrisi di approvazione o di conforto, di strette di mano felicitanti o solidali, preoccupati
addirittura che Mazzanti, dietro di noi, il quale, conscio della situazione, e fiutando la possibilit di
cavarne qualche utile per s e per Malag, aveva subito istituito un suo registro privato su cui, di
giorno in giorno, segnava accuratamente tutti i voti, non si sbagliasse nel dare allaltro il suo, fosse
effettivamente quel giudice imparziale, quel devoto e pedissequo contabile che proclamava di
essere. Ma poi, durante i compiti in classe, ecco i fragili castelli dellipocrisia mondana dissolversi
come nebbia al sole, brutalmente. Allora, nessun passo di greco o di latino era abbastanza difficile
da indurci, per superarlo, ad accomunare gli sforzi. Ciascuno lavorava per conto suo, geloso dei
propri risultati, sordidamente avaro di s, pronto, magari, pur di non dovere niente allaltro, a
consegnare la versione incompleta, o sbagliata. Come avevo previsto, Droghetti e Camurri, uno
dietro laltro, agivano, davanti a noi, da fedeli tramiti fra Cattolica e i lontani avamposti Boldini e
Grassi. Quando il tempo stringeva; quando il professor Guzzo, sollevati gli occhi dalle bozze di
stampa di un suo lavoro su Svetonio, annunciava, sorridendo crudelmente, che fra dieci minuti
esatti, non uno di pi, avrebbe mandato in giro l'ottimo Chieregatti a ritirare gli elaborati di lor
signori: bisognava vederla, allora, la rete telefonica della sezione A, con che sfacciata perfezione
si rimetteva a funzionare! In quei frangenti, addio sorrisi e strette di mano, addio finte
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manifestazioni di gentilezza cameratesca. Gi la maschera. E, caduta la maschera, sconvolto


dallagitazione faziosa, lirreprensibile viso di Cattolica mi si mostrava in tutta la sua ostile, odiosa
realt. Nudo, finalmente.
Eppure, nonostante lo esecrassi, lo ammiravo e lo invidiavo.
Perfetto in tutto: in italiano come in latino, in greco come in storia e filosofia, in scienze come in
matematica e fisica, storia dellarte e perfino ginnastica (da religione ero esonerato, non assistevo
alle lezioni di Don Galeassi: ma non dubitavo che anche col prete Cattolica fosse impeccabile),
odiavo e insieme invidiavo la sua chiarezza mentale, il lucido funzionamento del suo cervello. Che
confuso pasticcione, ero io, in confronto a lui! Era vero: io, nei temi ditaliano, forse lo superavo. Ma
non sempre, ad ogni modo, giacch cerano temi e temi: alcuni mi piacevano, altri no, e quando un
argomento non mi andava, niente da fare, era molto se riuscivo a rimediare un sei. E cos io forse
brillavo di pi negli orali di latino e greco (dopo la scaramuccia iniziale, Guzzo mi aveva preso a
benvolere: leggendo Omero o Erodoto - Erodoto soprattutto -, era quasi sempre a me che si
rivolgeva per ottenere, come diceva, lesatta traduzione), ma negli scritti, specie nelle versioni
dallitaliano in latino, Cattolica mi era nettamente superiore: si ricordava di tutte le pi riposte
regolette della morfologia e della sintassi, e, in pratica, non sbagliava mai. La sua memoria era tale
che gli consentiva, nelle interrogazioni di storia, di sparare senza fallire un colpo decine e decine di
date, nonch, in quelle di scienze naturali, di recitare le classificazioni degli Invertebrati, davanti
alla Krauss in sollucchero, con la stessa sicurezza e disinvoltura che se le leggesse nel libro.
Come faceva, mio Dio? - mi chiedevo Che cosa nascondeva, nel cranio? Una macchina
calcolatrice? Mazzanti, lui, non esitava: dopo simili dimostrazioni di efficienza mnemonica era
pronto a segnare nel suo registro nove, perfino nove pi. E il bello che quel pi ero stato io,
molte volte, girandomi rapido indietro, a insistere perch fosse aggiunto.
Ma il mio senso dinferiorit non scaturiva tanto dal confronto dei nostri rispettivi rendimenti
scolastici, quanto da tutto il resto.
In primo luogo, laltezza. Lui era alto, magro: un giovanotto, gi, e vestito come un giovanotto,
con pantaloni lunghi di vigogna grigia, giacche di stoffa pesante scompagnata, in tasca un
pacchetto di Macedonia da dieci, e al collo una bella cravatta di organzino; mentre io, basso e
tarchiato come ero, afflitto dagli eterni pantaloni alla zuava che mia madre prediligeva, quale figura
potevo farci, accanto a lui, se non quella di un bambino? Poi, lo sport. Cattolica non ne praticava
nessuno, sdegnava il football, e non gi perch non sapesse giocare (una volta, sul sagrato della
chiesa del Ges, si era prodotto in qualche calcio, mettendo in mostra un ottimo stile), ma cos,
perch lo sport non lo interessava, lo considerava una perdita di tempo. Inoltre, che facolt avrei
preso, io, alluniversit? Non lo sapevo: un giorno propendevo per medicina, un giorno per legge,
un giorno per lettere; mentre lui, al contrario, non solamente aveva gi scelto medicina, ma aveva
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persino deciso, fra medicina interna e chirurgia, per la seconda. E cera infine la ragazza con la
quale lui faceva lamore, la ragazza di Bondeno. In materia di morosa io non avevo ancora avuto
la minima esperienza seria, concreta (erano esperienze quelle che avevo avuto al mare, destate,
con le ragazzine della spiaggia? Qualche po di mano-nella-mano, di occhi-negli-occhi, qualche
furtivo bacetto sulle guance, e nientaltro); e invece lui, unico, credo, in tutto il liceo, risultava
belle fidanzato: in casa, e con tanto danello al dito. Oh, quellanello! Si trattava di uno zaffiro
montato in oro bianco, un anello importante, da commendatore, particolarmente antipatico. E
tuttavia come avrei desiderato possederne uno anche io! Chiss - mi dicevo -. Forse, per diventare
uomini, o almeno per acquistare quel minimo di sicurezza in se stessi indispensabile a passare per
tali, un anello cos andava bene, poteva aiutare molto.
Con chi faceva i compiti, Cattolica, nel pomeriggio? Da principio non avevo capito. Sembrava
talmente bastare a se stesso, lui, essere cos inattingibile, che inclinavo a non prestargli nessun
amico vero, intimo. Pensavo che gli stessi suoi rapporti con Boldini e Grassi fossero di pura
emergenza, e che a casa sua, in via Cittadella, nessun compagno fosse mai ricevuto: nemmeno
loro.
Invece no, mingannavo.
A dire la verit, qualcosa avevo intuito anche prima: da quella mattina, cio, in cui avevo sceso
per ultimo le scale del gabinetto di chimica e scienze naturali (regno assoluto della Krauss), ed
ecco, alzando gli occhi, improvvisamente mero trovato dinanzi proprio i tre - Cattolica, Boldini e
Grassi -, fermi a confabulare su un pianerottolo. Scorgerli, e indovinare che stavano combinando
per incontrarsi nel pomeriggio, in qualcuna delle loro case, era stato tuttuno. Difatti, accorgendosi
che sopraggiungevo, loro avevano subito cambiato discorso. Si erano buttati a discutere di
football, figurarsi!, come se io non lo sapessi che Cattolica, di sport, non gliene importava niente,
non ne parlava mai.
Tuttavia volevo vedere, toccare con mano. E cos, la sera stessa, non avendo trovato mio
padre al Circolo dei Commercianti (da quando non studiavo pi con Otello mero abituato a
passare in bicicletta a prenderlo quasi ogni sera, verso le sette), dun tratto mi ero deciso: invece
che tornare direttamente a casa, ero corso ad appostarmi allangolo tra viale Cavour e via
Cittadella.
Mancava una ventina di minuti alle otto. Dal Castello alla barriera del Dazio, viale Cavour
scintillava di luci, mentre via Cittadella, larga e sassosa, appariva immersa in una specie di nebbia
oscura. Fermo sullangolo, fissavo casa Cattolica, distante un centinaio di metri. Si trattava di una
rossa palazzina a due piani, costruita da poco e isolata: graziosa, certo - mi dicevo -, ma insieme
con un che di vagamente volgare. Non erano volgari, ad esempio, per non dire equivoche, le
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tendine rosa che ornavano le finestre illuminate del secondo piano? La Pensione Franca e la
Pensione Mafarka, in via Colomba, dove Danieli e Veronesi erano di casa, dietro le persiane
accostate ne lasciavano intravedere di simili.
Pass un quarto dora. E gi mi disponevo ad andarmene (da ultimo mera venuto il sospetto
che la riunione si tenesse altrove: o a casa di Grassi, in piazza Ariostea, o in quella di Boldini, in via
Ripagrande), quando la porta terrena si apr, e ne uscirono uno dopo laltro i tre: Cattolica
compreso.
Tutti e tre in bicicletta, risalirono via Cittadella fino al viale Cavour: abbastanza lentamente, per
fortuna, da darmi il tempo di balzare a mia volta in sella e di allontanarmi una cinquantina di metri
dallincrocio. Raggiunto il quale si divisero: Boldini e Grassi piegando a sinistra, diretti verso il
centro, Cattolica a destra, verso la barriera del Dazio.
Dove andava, ora, Cattolica? A Bondeno dalla fidanzata? Oppure semplicemente in stazione: a
impostare una lettera, chiss, o ad attendere larrivo di qualcuno? Lidea che lui', dopo unoperosa
giornata di studio (la mattina a scuola, circondato dalla stima generale, il pomeriggio a casa,
confortato dallomaggio e dallaffetto degli amici pi cari), potesse concedersi anche il lusso di
cenare in casa della fidanzata, mi riusciva intollerabile.
Lo seguivo a distanza, gli occhi fissi al lumino posteriore della sua bicicletta, intensamente
rosso. Pedalava tranquillo, al solito senza voltarsi, contento e sicuro di s, della scintillante Majno
grigia che inforcava, fornita di ogni tipo di accessori, della ragazza innamorata che lo aspettava.
Ma davvero lo aspettava, la fidanzata?
Lo aspettava davvero. Arrivato alla barriera, Cattolica volt a destra, infatti, prendendo gi per
la strada di Bondeno. E adesso che sapevo con certezza come stavano le cose (era tardi, del
resto, pi delle otto e mezza), adesso potevo anche desistere da un inseguimento ormai diventato
superfluo, e lasciarlo andare.

III.

Sebbene Otello Forti avesse ottenuto, alla chiusura del primo bimestre, unottima pagella, non
volle trascorrere in famiglia pi di tre giorni: vigilia di Natale, Natale e Santo Stefano. Insomma
lavevo visto appena, il pomeriggio del giorno di Santo Stefano: poche ore prima che ripartisse per
Padova, e gi tutto preso, ormai, dallidea della partenza.
Ero andato a trovarlo a casa, al numero 24 di via Montebello.
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Mi aveva subito portato ad ammirare il grande, fulgido Presepio collocato, come sempre, nel
salotto a pianterreno ( l che, da quando i suoi genitori sono morti, Otello si installato col proprio
gabinetto dentistico), ma alla cui messa in opera, quellanno, per la prima volta dopo almeno dieci
anni, nessuno dei suoi fratelli si era ricordato di invitarmi a collaborare. Poi eravamo saliti in
camera sua. Senonch nemmeno lass, allultimo piano, in quella stanzetta che avevo sempre
considerato un po anche mia, nemmeno lass avevo potuto rendermi utile. Appena entrati, con
strana gentilezza Otello mi aveva fatto accomodare nella poltrona accanto alla finestra. Quindi si
era messo a riempire la valigia. E siccome mi ero alzato dalla poltrona per aiutarlo, lui aveva
insistito perch mi risedessi. Preferiva fare da s - disse -: da solo se la sarebbe sbrigata molto pi
rapidamente.
Cedendo alle sue insistenze, avevo obbedito: ero tornato a sedermi in poltrona e intanto lo
guardavo. Trafficava attorno alla valigia con lentezza che mi pareva studiata, senza alzare gli
sguardi. Me lo ricordavo pi biondo, pi grasso, pi roseo: e forse, a parte i pantaloni lunghi che
certo lo snellivano, forse era dimagrito veramente, cresciuto di parecchi centimetri. Ma nei suoi
occhi, soprattutto, dietro le lenti da miope, durava, ora, unespressione seria, grave, amara, che mi
addolorava e mi feriva. Era vero - pensavo -: il suo carattere non era mai stato molto aperto. Dei
due, a prendere liniziativa in tutto, nei giochi, nelle gite in bicicletta per la campagna, nelle letture
extra-scolastiche (Salgari, Verne, Dumas), ero stato regolarmente io: lui, per parte sua, lasciandosi
trascinare imbronciato e recalcitrante ma talvolta anche ridendo, grazie a Dio, e in segreto
ammirandomi - lo sentivo - proprio perch riuscivo nella dura impresa di farlo ogni tanto ridere. Ma
adesso? Che cosa era cambiato, fra noi? Che colpa ne avevo, io, se lui era stato bocciato? Perch
non la piantava, con quel suo muso?
Che coshai?, avevo provato a chiedergli.
Io? Niente. Perch?
Mah, non so. Sembra quasi che tu ce labbia con me.
Beato te che sei sempre uguale, aveva risposto, con un breve sorriso delle sole labbra.
Alludeva, evidentemente, alla mia inveterata disposizione ad angosciarmi per dei nonnulla, al
mio eterno bisogno che gli altri mi volessero bene; e, insieme, al mutamento che la sventura aveva
arrecato al suo carattere. Se ne avevo voglia, io potevo continuare a baloccarmi con le mie solite
stupide fisime infantili. Ma lui no: non ne aveva pi n la voglia n il tempo. La sventura aveva fatto
di lui un uomo; e un uomo deve badare al sodo.
Non capisco che cosa vuoi dire, avevo replicato. Per, scusa, il modo di fare? Se almeno
scrivessi

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Mi pare di averti scritto. Non hai ricevuto le mie lettere?


S, va bene, ma
E allora!
Aveva alzato gli occhi a guardarmi: duro, ostile. Quante volte mi hai scritto? Tre lettere
durante le prime due settimane. E poi, pi niente.
E tu?
Aveva ragione, ero stato io il primo a non rispondere. Ma come spiegargli, adesso, le ragioni
per le quali non mi ero pi sentito di continuare una corrispondenza in cui le parti, fra noi, si erano
bruscamente invertite? Avevo pensato che toccasse a me consolarlo della sua disgrazia. E invece
in qualche modo era stato lui, fin da principio, a consolare e ammonire.
Pi tardi, approfittando della mitezza della giornata (non cera confronto con linverno durissimo
dellanno prima: nonostante la stagione cos inoltrata, il gran freddo non si decideva ancora a
venire), eravamo discesi a passeggiare in giardino. Nellaria azzurra e leggermente nebbiosa del
crepuscolo, avevamo compiuto una specie di ricognizione generale dei luoghi cari alla nostra
amicizia: del bel prato centrale, ora umido e spelacchiato, dove io e lui, assieme coi suoi fratelli e
cugini, avevamo giocato tante partite a croquet, della bicocca rustica, di l dal prato, funzionante, al
pianterreno, come deposito per la legna e per il carbone, e al primo piano come piccionaia; e infine
del monticello alberato, laggi presso il muro di cinta, in cima al quale Giuseppe, il fratello
maggiore di Otello, aveva sistemato un suo personale allevamento di conigli in un bigio casotto
mezzo assi tarlate e mezzo rete metallica, un tempo pollaio. Adesso, a parlare era stato soprattutto
Otello. Mi aveva raccontato abbastanza diffusamente della sua vita di collegio: dura, certo - aveva
ammesso -, principalmente per via delle ore impossibili a cui i prefetti costringevano ad alzarsi la
mattina (bisognava svegliarsi alle cinque e mezzo, e poi gi tutti quanti in cappella, a pregare),
per ben studiata perch uno non stesse mai con le mani in mano, avesse sempre qualcosa di
cui occuparsi. Il programma? Molto pi vasto di quello dellanno scorso. Di latino, avrebbero
presentato il terzo libro dellEneide, le lettere di Cicerone e La guerra giugurtina di Sallustio; di
greco, la Ciropedia di Senofonte, i Dialoghi di Luciano, e una scelta dalle Vite parallele di Plutarco;
di italiano, I promessi sposi e l'Orlando furioso.
Tutto l'Orlando furioso?, avevo esclamato io, stupito.
S, tutto, aveva risposto brevemente.
Ma cera una domanda che bruciavo dal desiderio di rivolgergli, e non mero deciso che
allultimo, nel portico, in procinto di andarmene.
Gli avevo chiesto: Hai potuto gi fare amicizia con qualcuno?
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Al che lui aveva risposto con evidente soddisfazione che s, certo, aveva conosciuto un
ragazzo di Venezia molto simpatico, insieme col quale si era messo a studiare. Si chiamava
Alver, Leonardo Alver (suo padre era conte!): un tipo molto bravo anche in italiano, latino e
greco, ma soprattutto in matematica e geometria, nelle quali materie nessuno avrebbe potuto
batterlo, garantito. Io ogni tanto buttavo gi una poesia, una novella? Ebbene lui, con la stessa
facilit, risolveva per suo piacere equazioni complicatissime di terzo grado. Che fenomeno! Con
una testa cos, niente di pi facile che da grande potesse diventare uno scienziato, un inventore,
una celebrit, insomma
Non potrei affermare con sicurezza se quanto sto per raccontare qui di seguito sia accaduto
veramente la mattina dell8 gennaio, alla riapertura delle scuole dopo l'Epifania. Mi pare di s, e
comunque lo scrivo adesso, prima che me ne dimentichi. Sta di fatto che una mattina (forse un po
prima di Natale, ma forse dopo, subito dopo le feste: in ogni caso di mattina presto, una mezzora
avanti che venisse suonata la campana), ero entrato nella chiesa del Ges. (Non ci avevo mai
messo piede. Tutte le volte che, in occasione di un compito in classe, o in previsione di
uninterrogazione importante, Otello ci entrava per propiziarsi gli Dei - cos pensavo tra me,
compatendolo -, mi ero limitato ad accompagnarlo fin sulla soglia, senza varcarla).
Quella mattina, certo a causa dellora, la chiesa era deserta. Avevo percorso passo passo la
navata laterale destra, naso allaria come un turista, ma la luce del sole, che penetrava attraverso
gli ampi finestroni superiori, mi impediva di vedere chiaramente le grandi tele barocche poste sopra
gli altari. Raggiunto il transetto, immerso, anche questo, nella semioscurit, ero passato alla navata
sinistra, inondata di luce. Ma qui la mia attenzione era stata subito attratta da una specie di strano
assembramento di persone immobili e silenziose, raccolte, in gruppo, di fianco alla seconda delle
due minori porte dingresso.
Chi erano? Come avevo potuto rendermi conto non appena, quasi di corsa, ero giunto a
distanza sufficiente, non si trattava di persone vive. Bens di statue: di statue di legno dipinto,
scolpite a grandezza naturale. E precisamente di quei famosi Pianzn dla Rosa davanti ai quali,
da bambino, ero stato condotto tante volte dalla zia Malvina (Punica zia cattolica che avevo), per
non l, ad ogni modo, al Ges, ma nella chiesa della Rosa di via Armari, di dove evidentemente
erano stati rimossi pi tardi. Guardavo, anche adesso, latroce scena: il corpo livido e misero del
Cristo morto, disteso sulla nuda terra, e attorno, impietriti nel loro dolore in muti gesti, in mute
smorfie, in lacrime che non avrebbero mai avuto termine, mai sfogo, i parenti e gli amici accorsi: la
Madonna, San Giovanni, Giuseppe dArimatea, Simone, la Maddalena, due pie donne. E cos
guardando, ricordavo la zia Malvina, la quale, a quella vista, non riusciva mai a trattenere le
lacrime. Si tirava sugli occhi lo scialle nero da zitella, si inginocchiava, senza osare (come
lavrebbe desiderato, poveretta!), di fare inginocchiare anche il nipotino non battezzato.
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Alla fine mi ero riscosso, girandomi per andarmene.


Ed ecco, inginocchiato compostamente laggi, ad un banco della navata centrale, unico in tutta
la chiesa, avevo scorto Carlo Cattolica.
Il primo impulso sorto in me era stato quello di non disturbarlo, di allontanarmi non visto.
Viceversa, col cuore che mi batteva, ero sceso in punta di piedi gi per la navata sinistra, fino alla
sua altezza.
Pregava col pacco dei libri posato accanto, la bella e pura fronte reclinata sulle mani congiunte,
e offrendo, a me che lo osservavo, lo stesso profilo minuziosamente inciso, indecifrabile, che mi
offriva ogni giorno a scuola. Perch non eravamo amici? - mi chiedevo torturato -. Perch non
potevamo diventare amici? Forse perch non mi stimava abbastanza? Ma no, non doveva trattarsi
di questo: Boldini e Grassi, per quanto bravi e intelligenti, non lo erano certamente pi di me. Per
via della religione, allora? Ma la diversit di religione non si era mai levata, fra me e Otello. Anzi. In
casa Forti, bench religiosissimi, tutti, e militanti nelle organizzazioni cattoliche (lavvocato Forti
apparteneva alla San Vincenzo, e Giuseppe cera entrato anche lui da due anni), nessuno, mai, mi
aveva fatto pesare che ero ebreo. Di pi: i genitori di Cattolica, a quanto sapevo, non erano affatto
noti, come quelli di Otello e di Camurri, per essere particolarmente di chiesa. E dunque perch?
Perch?
Cattolica si era alzato in piedi, si era segnato, mi aveva visto.
Mi era venuto incontro.
Toh! che cosa fai, qui?, mi aveva chiesto sottovoce.
Guardavo i Pianzn dla Rosa, avevo risposto, accennando col pollice in direzione del
gruppo scultoreo.
Ah. Non li conoscevi?
Li conoscevo gi - avevo spiegato -, per averli veduti varie volte da bambino, nella chiesa della
Rosa; e mero diffuso, mentre tornavamo, assieme, a guardare le statue, sulla zia Malvina e sulla
sua passione: le visite alle chiese, tutte le chiese della citt.
La notizia pareva interessarlo. Aveva voluto sapere chi fosse questa zia. Era per caso sorella di
mia madre?
No, di mia nonna, avevo risposto. Di mia nonna materna, che una Marchi.
Frattanto eravamo usciti sul sagrato. Mancavano ormai pochi minuti alle nove, e il sagrato e via
Borgoleoni, pi fittamente davanti al portone del Guarirli, si erano gi riempiti di ragazzi. Luno a
fianco dellaltro, ci eravamo addossati alla rossa facciata del Ges. E siccome nessuno dei nostri
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compagni sembrava essersi accorto di noi, avevamo continuato a parlare. Era la prima volta.
Levento mi emozionava, stimolava la mia parlantina, il mio bisogno di confidenza.
Di che cosa avevamo parlato? Di religioni, naturalmente. Lui mi chiedeva: se era vero che noi
israeliti non credevamo nella Madonna, se era vero che, secondo noi, Ges Cristo non era il
figlio di Dio, se era vero che aspettavamo ancora il Messia, se era vero che in chiesa noi
tenevamo il cappello, eccetera. Ed io a rispondergli punto per punto con entusiasmo febbrile,
esagerato, senza nemmeno rilevare quanto le sue domande fossero elementari, e la sua curiosit
generica, volgare, per non dire insolente.
Da ultimo, ero stato io a fargli una domanda.
Scusa, avevo detto, ma voi intendo la tua famiglia siete sempre stati cattolici?
Direi di s, aveva risposto con un breve sorriso orgoglioso. Perch?
Mah, non so. Cattolica un paese, un paese di mare vicino a Riccione fra Riccione e
Pesaro, e gli ebrei, come sai, hanno tutti cognomi di citt e paesi.
Si era irrigidito.
Intanto non esatto, aveva subito ribattuto, dimostrando, almeno in questo campo, di essere
perfettamente informato. Molti israeliti portano cognomi di citt e paesi, ma non tutti. Parecchi si
chiamano Levi, Cohen, Zamorani, Passigli, Limentani, Finzi, Contini, Finzi-Contini, Vitali, Aigranati,
eccetera. Che cosa centra? Potrei ugualmente citarti infiniti casi di gente con cognomi che
sembrano ebraici, e invece non lo sono affatto.
Dicendo cos si era avviato, continuando tuttavia a sviscerare sottovoce largomento. Cosa che
ci aveva dato modo, una volta tanto, di infilare il portone del Guarini, e poi di percorrere il lungo
corridoio che portava alla nostra aula, e infine di raggiungere, attraverso laula, il nostro banco,
camminando assieme fianco a fianco come due buoni e affezionati amici.

IV.

Ricordo molto bene larrivo di Luciano Pulga, il primo luned dopo la ripresa delle lezioni.
Ognuno si era gi seduto al proprio posto, in attesa che il professor Guzzo sopraggiungesse a
dettarci il testo greco da tradurre (il luned cominciava con due ore di Guzzo, dedicate
invariabilmente ai compiti in classe: ma lui, il sommo, amava ogni volta indugiare presso il
finestrone in fondo al corridoio fin quasi alle nove e un quarto, immerso nellapparente
contemplazione del campaccio inselvatichito ai piedi dellabside del Ges), quando, sulla soglia,
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invece della mole gigantesca del professore, vedemmo spuntare quella minuscola di un biondino in
pullover verde, pantaloncini corti al ginocchio, grigi, calzettoni color avana. Chi era? Un nuovo
acquisto, evidentemente, anche se non portava sotto il braccio nessun libro. Comunque, mentre
sostava incerto poco di qua dalla soglia, a cercarsi con lo sguardo azzurrino, dun azzurro intenso
e freddo da ghiacciaio dalta montagna, un posto disponibile, ebbi modo, subito, di sentirmi
respinto dal suo fisico di piccolo trampoliere secco di gamba e adunco di naso, e tuttavia
commosso, contemporaneamente, dalla sua ansia di trovarsi un nido. Lo guardavo. Non vedendo
nessuno a fianco di Giorgio Selmi (quel giorno Chieregatti era assente), tent per prima cosa di
sedersi nel secondo banco della prima fila. Ne fu respinto: quel posto non era libero - lo avvert,
pronto, Selmi -, apparteneva ad uno che oggi mancava, ma che domani o dopodomani,
tornando a scuola, lo avrebbe fatto sloggiare sicuramente. Al che, senza insistere, lui si rimise in
piedi e in moto allistante. Esile, con un magro pomo dAdamo che gli tremava, mezzo strozzato,
poco pi su del colletto della camicia bianca, ricominci a cercare in giro con gli occhi, per finire,
poi, in fondo alla fila delle donne, proprio nel banco, rimasto vuoto, dove da principio avevo voluto
esiliarmi io. Aveva risalito il corridoio fra la seconda fila e la terza a passo svelto e deciso, gli
sguardi fissi davanti a s di chi vede finalmente il porto. Sudava, per: piccole gocce di sudore gli
imperlavano la pelle lungo lorlo sinuoso e leggermente rientrante del labbro superiore. E questo
particolare, delle goccioline di sudore (lavevo notato in un lampo, quando lui, quasi sfiorandomi, mi
era passato vicino), mi aveva dato di nuovo un vago senso di ribrezzo.
Ricordo bene, anche, quello che accadde dopo lingresso in aula del professor Guzzo: con lui,
il professore, a sottoporre il nuovo arrivato a un lungo interrogatorio (Perbacco! E Lei chi ?,
esord: Forse un libero uditore?); laltro, Pulga Luciano, a rispondere al tiranno esibendo una
parlantina scorrevole e suasiva, molto bolognese, da viaggiatore di commercio; la scolaresca a
sottolineare vilmente le battute di Guzzo con grandi risate collettive; e da ultimo io, ad accorrere in
aiuto del poveretto, colpevole di essere venuto a scuola con penna stilografica e basta, non
soltanto offrendo il foglio protocollo indispensabile perch anche a lui fosse concesso di fare il suo
bravo compito in classe, ma aderendo poi di buon grado allinvito di Guzzo a trasferirmi l,
nellultimo banco, per dar modo al signor Pulga Luciano di servirsi del mio vocabolario.
E ricordo infine la sensazione curiosa che mi accompagn durante tutta quella prima ora e
mezzo trascorsa a fianco a fianco con lui, Pulga, lavorando a risolvere il rebus della versione di
greco. Il professor Guzzo, allatto di farmi cambiare posto (Visto che ha fatto trenta offrendo il
foglio protocollo, aveva detto, faccia trentuno retrocedendo temporaneamente al punto di
origine), il professor Guzzo si era raccomandato che il vocabolario restasse sempre sul banco,
ben visibile e rigorosamente nel mezzo: e ci allo scopo che nessuno dei due copiasse. Ma Pulga
copi, viceversa, quando e come volle. Approfittando dei minimi momenti di distrazione del
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professore, lanciava al disopra dello Schenkl rapide, divoranti occhiate laterali: mettendo in mostra
una tecnica - pensavo - che per essere cos perfetta presupponeva anni e anni di esercizio, una
lunga carriera. Ebbene, che lui copiasse da me con cos piena fiducia, con cos assoluta
dimissione da qualunque pretesa di giudizio personale, attento soltanto ad assolvere senza errori
tecnici il proprio lavoro di plagiario: questo, ripeto, mi riempiva di un sentimento complesso e
invischiarne, misto di piacere e di ripugnanza, contro il quale, gi da allora, mi scoprivo indifeso,
sostanzialmente incapace a reagire.
Alluscita di mezzogiorno me lo ritrovai accanto.
Potevo accompagnarlo in qualche libreria? - mi chiese -. Al Minghetti di Bologna, di dove
proveniva, avevano adottato libri di testo in gran parte diversi, e cos, purtroppo (come se suo
padre non avesse dovuto spendere gi abbastanza per il trasloco!), lui adesso si trovava nella
penosa necessit di ricomperarli quasi tutti. Che disastro! Se almeno avesse potuto acquistarli a
poco per volta, o magari a credito
Risalimmo assieme via Borgoleoni, nel pallido sole di gennaio, e intanto Pulga, cedendomi
rispettosamente la destra, continuava a parlare. Sebbene Guzzo, in classe, gli avesse gi tirato
fuori quasi tutto circa la sua famiglia e il suo curriculum scolastico, lui ora ripeteva, per me, che
venivano da Lizzano in Belvedere, un paesotto di montagna sopra Porretta Terme, a unottantina di
chilometri da Bologna, dove suo padre, medico, aveva tenuto la condotta per quasi dieci anni; che
lui, personalmente, aveva compiuto le elementari a Lizzano, il ginnasio inferiore a Porretta, quello
superiore a Bologna, andando su e gi col treno tutti i santi giorni; e infine che la sua famiglia,
composta di quattro persone - padre, madre, e due figli maschi -, a causa di questo trasferimento
nel Ferrarese capitato tra capo e collo, si trovava, attualmente, in serie difficolt. Figurarsi: non
avevano neanche la casa, ancora!
Ma come!, esclamai, atterrito. Non avete neanche una casa?
Mi sembrava impossibile. Lidea che la famiglia di un medico, dunque dello stesso livello
sociale della mia, fosse sprovvista di un tetto, mi appariva, oltre che incredibile, spaventosa.
E dove dormite?
Allalbergo Tripoli, in quella gran piazza dietro il Castello.
Oh, lo sapevo benissimo che razza dalbergo era, il Tripoli! Pi che dun albergo, si trattava di
un ristorante di terzordine, frequentato a mezzogiorno da contadini e mediatori di piazza, e, la
sera, da quelle che mia madre chiamava le donnacce. Le stanze da letto rimanevano di sopra, al
primo e al secondo piano. E il padrone del locale (un tipo piccolo, grasso, con la bombetta sulla
nuca e uno stecchino fra i denti doro, che destate, in maniche di camicia, sedeva eternamente di
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fianco allingresso, a cavalcioni di una seggiola da cucina) le dava in affitto ad ore, per lo pi,
cavandosi lui stesso le chiavi di tasca.
Certo non un albergo dei primi, continuava a dire Pulga, e anzi - sogghign - di notte
piuttosto movimentato. Per viene a costare, sai, eccome se costa! Vuoi sapere quanto
spendiamo, al giorno, in quattro persone: vitto e alloggio compresi?
Non saprei.
Cinquanta lire.
molto?, chiesi, incerto.
Molto? Fa i tuoi calcoli: cinque per tre, quindici. Sono, in totale, mille e cinquecento lire al
mese. Mi pare abbastanza, no? Se pensi che a Coronella mio padre piglia, al mese, come medico
condotto, uno stipendio-base di mille lire giuste
Ero angosciato.
E come fate, allora?
Beh dico mille lire come stipendio-base. Ci sono poi le visite, le operazioni, soprattutto le
operazioni. Ma cosa vuoi: in campagna, la gente, prima di tirar fuori i soldi Preferiscono magari
crepare, piuttosto! E poi, dove la metti la concorrenza dellArcispedale di Ferrara? Coronella
troppo vicina alla citt. Dieci chilometri non sono niente.
Dun tratto mi fiss coi suoi occhi azzurri e fermi, di ghiaccio.
E tuo padre, scusa, che professione esercita?
medico anche lui, dissi imbarazzato. Ma non esercita.
Non esercita?!
No. Fa solamente qualche visita ogni tanto, ma gratis per gli amici. Certe volte per lo
chiamano anche da fuori. Per delle circoncisioni, aggiunsi con sforzo.
Non capiva, e si volt a guardarmi. Ma si riprese subito.
Ah, s, certo E allora, allora vivrete di rendita, immagino.
Credo di s.
Alla Libreria Malfatti, in corso Roma, i libri di testo che lui cercava erano tutti esauriti.
Bisognava farli venire - spieg il commesso -, e, data la stagione inoltrata, era prevedibile che non
sarebbero arrivati prima di una quindicina di giorni.
Credevo che la notizia lo contrariasse. Invece lo sollev: almeno cos mi parve. Si asciug col
moccichino le gocce di sudore che il caldo del negozio gli aveva fatto affiorare nuovamente tra
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naso e bocca, e consegn al commesso la lista dei volumi. Sarebbe ripassato fra una quindicina di
giorni - disse -; e mi precedette senzaltro verso luscita.
Volle assolutamente accompagnarmi fino a casa. Era quasi luna, ormai. Tentai di scoraggiarlo,
facendogli notare che via Scandiana era lontana, e che se mi avesse accompagnato non sarebbe
potuto rientrare allalbergo prima delle due.
Oh, non preoccuparti!, esclam ridendo. Al ristorante c questo di bello, almeno: che uno
mangia quando gli pare.
Non mangiate assieme, tu e i tuoi?
S, certamente in teoria. Ma un po perch il pap viene dalla campagna soltanto la sera,
quando ha finito lambulatorio, un po perch la mamma sempre in giro in cerca di
appartamenti Insomma finisce che, assieme, stiamo soltanto a cena. Ti sembra strano, eh?
Mi guardava e rideva, storcendo di lato la mandibola un po sporgente (segno sicuro di
mauvais caractre - soleva dire mio padre). Ed era chiaro che minvidiava, s, invidiava lordine,
la sicurezza economica, la borghese stabilit della mia famiglia, ma che nello stesso tempo un po
mi disprezzava. Proprio per questo.
Temette certamente di essersi scoperto. Dun tratto, infatti, cominci a ringraziarmi con grande
effusione dellaiuto che gli avevo prestato durante il compito in classe. Se non ci fossi stato io a
dargli una mano - diceva -, chiss come avrebbe potuto cavarsela; e con dei tipi del genere di
Guzzo, la prima impressione che uno riesce a dare ha limportanza che si sa, cio enorme. Ma a
proposito: perch non glielo chiedevo io, a Guzzo, di essere spostato stabilmente vicino a lui,
nellultimo banco, o almeno, se non stabilmente, fino a quando lui non fosse entrato in possesso di
tutti i libri? Quel Cattolica, mio compagno di banco, aveva laspetto di un ragazzo molto per bene,
molto educato; nessun dubbio che fosse bravo, anzi bravissimo. Eppure non era simpatico, glielo
lasciassi dire. Non si dava mica delle gran arie, per caso? Nel modo di fare, di guardare il
prossimo, aveva un certo che
Sinterruppe.
Non vorrei averti offeso, disse, scrutandomi. Magari siete molto amici Siete molto
amici?, interrog ansiosamente.
Evitai di guardarlo. Risposi:
No, non in modo speciale.
Per ci che si riferiva ai libri - continuai -, non doveva pensarci: a scuola potevo sempre
prestarglieli io. Quanto per allo spostarmi vicino a lui, non sapevo se avrei potuto accontentarlo.

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Con Cattolica non che andassi granch daccordo. Tuttavia stavamo assieme da pi di due mesi,
ormai, e piantarlo adesso come facevo? Dopo tutto, eravamo un tandem abbastanza affiatato.
Ma i compiti, a casa, con chi li fai? Con lui?
No. Non li faccio con nessuno.
Eravamo quasi arrivati. Uscimmo da via Madama in piazza Santa Maria in Vado, e svoltammo
gi per la Scandiana. Cosera quella specie di argine laggi in fondo? - mi chiedeva Pulga, mentre
continuavamo a camminare -. E accennava col braccio alzato alla proda sfumata di nebbia del
Montagnone, contro la quale sembrava che via Scandiana andasse a finire.
Mi fermai davanti al portone di casa, premetti il campanello, e mi voltai per spiegargli cosera il
Montagnone. Ma ora Pulga era attratto da altro.
Accidenti!, esclam, serio. Ma un palazzo!
Si port fino al centro della strada per godere di una visione dassieme della facciata.
tutto vostro?
S.
Chiss quante stanze!
Parecchie, s Fra il primo piano e il secondo saranno una cinquantina.
E le occupate tutte voi?
Ma no. Noi occupiamo soltanto quelle del secondo piano. Al primo, ci stanno degli inquilini.
Dunque, tu e la tua famiglia vivete in una ventina di stanze, non vero?
Eh, s pi o meno.
Ma in quanti siete?
In cinque: il pap, la mamma, e tre fratelli: cio io, mio fratello Ernesto, e mia sorella Fanny.
Devi poi calcolare le donne di servizio.
Quante ne avete?
Due pi una a mezzo servizio.
Venti stanze! Immagino la spesa per riscaldarle. E gli inquilini?
In quel momento il chiavistello del portone scatt. Guardai in su. Mia madre stava affacciata
alla finestra.
Com cos tardi?, domand, osservando Pulga Vieni, andiamo: il pap gi a tavola.

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Buon giorno, signora, fece Pulga, inchinandosi leggermente.


Buon giorno.
un mio compagno, dissi, Luciano Pulga.
Piacere piacere tanto, sorrise mia madre. Ma adesso vieni, se non vuoi che il pap si
arrabbi.
Si ritir dal davanzale, richiuse la finestra. Senonch Pulga non si decideva ancora ad
andarsene. Si avvicin al portone, spinse adagio il battente, introdusse la testa nello spiraglio.
Posso entrare solo un momento?, chiese poi, volgendosi. Vorrei dare unocchiata al
giardino.
Mi precedette in silenzio di l dalla soglia, si lev compuntamente il berrettino sportivo. Quindi,
senza staccare gli occhi dal fondo del portico, aperto sul giardino, fece due o tre passi in punta di
piedi. Lo osservavo. Camminava sul vasto pavimento a piastrelle verdi e bianche, tirato a cera, con
quella sua cautela un po legnosa da piccolo, solitario uccello di palude.
Si ferm. Continuava a guardare dinanzi a s, in silenzio e voltandomi le spalle.
Le labbra mi si mossero da sole. Dissi:
Vuoi tornare a fare i compiti con me, oggi?

V.

Mia madre fu ben felice che io avessi trovato un nuovo amico.


Luciano le piacque moltissimo, fin dal primo pomeriggio. Quando era entrata nello studio, non
soltanto lui si era alzato in piedi, ma le aveva addirittura baciato la mano. Il gesto, eseguito con
notevole perizia, laveva conquistata di colpo. Di l a poco, infatti, tornata col vassoio del t - un t
eccezionale, guarnito di burro, miele, marmellata di ribes, toasts e fettine di pampepato -, si era
seduta ad assistere alla nostra merenda, e intanto, mentre conversava con Luciano, i suoi occhi
marroni lo accarezzavano con espressione materna. Gli aveva chiesto di lui, della sua famiglia,
interessandosi delle vicende professionali del padre, facendo propria lansia della madre in giro
dalla mattina alla sera per la citt alla ricerca di un appartamento, e offrendo, a questo proposito,
tutto il proprio aiuto. Povera signora! - aveva sospirato -: di qualunque cosa avesse bisogno,
telefonasse, telefonasse pure, che lei sarebbe stata lietissima di mobilitare, oltre che se stessa,
tutte le proprie amiche.
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Com carino, quel tuo compagno, disse la sera stessa, a tavola. Lui s che compito e
beneducato!
Lui s. Alludeva a Otello Forti, evidentemente, che lei, gelosa, aveva sempre trovato troppo
rustico e musone. Seccato, non risposi. Era vero - pensavo, gli occhi fissi nel piatto -: piuttosto
che in casa, io avevo sempre preferito andare a studiare in via Montebello, dai Forti. Ma con
questo? Che colpa ne aveva, Otello, se io, fin da quando il maestro Roncati, alle elementari di via
Bellaria, ci aveva messi luno vicino allaltro nel primo banco della fila centrale, proprio davanti alla
cattedra, mi ero sempre trovato meglio a studiare a casa sua? In fatto di baciamani, smancerie e
salamelecchi mondani, Otello non valeva un bel niente, daccordo. Per era schietto, lui, sincero:
magari anche troppo
La signora Pulga telefon, e mia madre non tard a riferire quello che lei e la signora si erano
dette.
Con una voce fina fina, affaticata ma molto simpatica, la signora si era profusa in
ringraziamenti. Aveva premesso di aver gi trovato casa (fuori Porta Reno, laveva trovata: lungo la
strada di Bologna, cio la stessa di Coronella), per cui, riguardo a questo, non cera pi bisogno
che nessuna anima buona si desse pena per loro. Ma il suo Luciano! Come avrebbero potuto mai
dimenticare, lei e suo marito, quello che tutti quanti, noi, stavamo facendo per il suo Luciano?
Grazie, grazie di cuore, cara signora, aveva concluso. Adesso no, perch abbiamo ancora
da sistemare la mobilia, e sapesse quanto costa, purtroppo, tenerla in magazzeno. Ma tra una
quindicina di giorni io o mio marito ci permetteremo di tornare a disturbarli col telefono. Anche il
mio Osvaldo, come medico, desidererebbe tanto conoscere suo marito!
Come medico?, brontol mio padre, abbozzando una smorfia, ma contento, si vedeva, come
ogni volta che qualcuno si ricordava della sua laurea. Sta a vedere, invece, che viene a bussare
a denari
Il dottor Pulga non ne cercava affatto, di denari, almeno da mio padre. Di l a qualche giorno,
venuto (senza moglie) a casa nostra, aveva subito parlato chiaro: veniva - disse - soltanto per
conoscere un collega e scambiare quattro chiacchiere. Si era messo quindi a parlare di s.
Aveva studiato medicina a Modena, tra l'8 e il 13; nel 14 si era sposato; dal 15 al 17 aveva
combattuto sul Carso, e nel 18 sul Montello; nel 20, causa la mancanza di mezzi, aveva dovuto
assumere la condotta di Lizzano in Belvedere, della quale, dopo quasi dieci anni durissimi, aveva
deciso di sbarazzarsi per prendere questa di Coronella. Ferrara, certo - aveva aggiunto -, non era
nemmeno paragonabile, come centro, a Bologna. Per, a parte la vicinanza di Coronella a Ferrara,
lambiente medico ferrarese non dava affatto limpressione di essere, come quello di Bologna,
sottoposto al controllo di una ristretta camorra, e chiuso, perci, chiuso ermeticamente a qualsiasi
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infiltrazione. Lui li conosceva tutti, si pu dire, i medici bolognesi: dal vecchio Murri a Schiassi,
da Nigrisoli a Putti, da Neri a Gasbarrini. Di Bartolo Nigrisoli, il chirurgo, anzi, era amico di famiglia.
Di bassa statura, con una faccia rossa, cianotica, e due occhi verdi e strabuzzati da
basedoviano scintillanti dietro le lenti degli occhialini da naso, il dottor Pulga - dichiar mio padre non gli era affatto piaciuto. Che linguaccia! - deplorava -. Professarsi amico di questo e di quello, a
Bologna, intimo di mezza Universit e di mezza SantOrsola, e intanto gi, con la lingua, non
risparmiare niente e nessuno! Bartolo Nigrisoli, per esempio, attualmente forse il miglior bisturi
dItalia, era sempre stato antifascista. Niente di male che fosse rimasto attaccato alle proprie idee,
dunque. Ma augurarsi, invece, come aveva avuto il toupet di augurarsi il dottor Pulga, che fosse
buttato fuori dallo Studio bolognese, dove il suo insegnamento rischiava di corrompere tanti
giovani (e proclamarsi suo amico, ci nondimeno, di lui e della sua famiglia): ecco una bella
mostruosit, parola donore! E infine: era ammissibile venire in visita, e trattenersi, sprofondato in
poltrona, dalle tre e mezzo alle otto? Alla larga, per carit! Se per caso il dottor Pulga tornasse a
telefonare, dirgli immancabilmente due cose, a scelta: o che lui era fuori di casa, o che stava male,
a letto, sepolto in fondo a un letto!
Ma Luciano? Comera Luciano?
Fisicamente, certo, la prima impressione di lieve ripugnanza era rimasta, la consuetudine
quotidiana non laveva affatto cancellata. Bench in apparenza molto pulito, e coi vestiti
perfettamente in ordine, cera sempre qualcosa, in lui, che mi disturbava: e potevano essere le
goccioline di sudore affioranti ad ogni minima emozione fra la pelurie biondiccia del labbro
superiore, oppure i puntini neri sparsi un po dappertutto sulla pelle cerea del viso, ma pi fitti sulle
tempie e attorno alla base delle narici, oppure il secco spostamento laterale che, pronunciando la
zeta, imprimeva alla mandibola, oppure, non so, le callosit giallastre che gli ispessivano
stranamente le palme delle mani grandi, magre, un po da gobbo. Ma per il resto debbo confessare
che, specialmente da principio, la sua umilt di profugo, la sua totale sottomissione di inferiore e di
protetto, mi davano un senso di appagamento quasi inebriante. I miei rapporti con Otello non erano
mai stati facili, in fondo. La mia superiorit lui la subiva, facendomela poi scontare in tanti modi: col
continuo mugugno, con la testardaggine da mulo, col venire a casa mia, le poche volte che si
degnava, sempre riluttando, sospirando, sbuffando. Ed ecco, invece, un tipo del tutto diverso: per il
quale casa mia (me laveva detto, fin dal primo giorno, quando lavevo portato in giro di stanza in
stanza a visitare lappartamento) rappresentava quanto di pi bello, comodo e accogliente avesse
mai visto al mondo, mia madre la pi simpatica e gentile di tutte le madri, ed io, a fare i compiti,
una specie di mostro di bravura e di acutezza, un oracolo da stare a sentire in silenzio religioso.
Sebbene non fosse n uno stupido n un incapace, tant vero che nelle interrogazioni a cui, nel
giro dun mese, era stato sottoposto da tutti i professori, da Guzzo come dalla Krauss, da Bianchi
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come da Razzetti, quello di storia e filosofia, si era sempre difeso coi denti e con le unghie infatti lo stesso Mazzanti, sia pure a malincuore, non aveva mai potuto dargli un voto inferiore al
cinque -, mi lasciava sdipanare le difficolt a mio agio, dettare ad alta voce quello che volevo,
limitandosi, alla fine, mentre ancora scriveva nel quaderno con la sua grande, pulita, un po
angolosa calligrafia femminile, a uscire in esclamazioni di consenso, di rispettosa ammirazione,
come: Bravo!; Che razza di cannone!; Non ho mai visto nessuno tradurre il greco come te!;
Te beato!, e simili. Che calma, che riposo - mi dicevo -, con Luciano Pulga! Che differenza tra
lui, che non metteva mai bocca (ero solo io, in pratica, a tradurre: di modo che se mia madre si
fosse accostata in punta di piedi ad origliare dietro la porta - n era impossibile che lo facesse: pi
duna volta avevo sentito il parquet della stanza accanto scricchiolare -, non avrebbe udito
risuonare che una voce, la mia), e Otello che, quando apriva la sua, di bocca, era soltanto per fare
il bastian contrario o lavvocato del diavolo! Ma a parte Otello: se mi fosse riuscito, come a un certo
punto avevo desiderato, di entrare a far parte del gruppo di Cattolica, figurarsi che vita facile, avrei
avuto! La rivalit che ci divideva a scuola, attizzata dalla presenza ineliminabile dei due compari
Boldini e Grassi, sarebbe continuata di sicuro anche a casa sua. A casa Cattolica, s: giacch su
questo punto, cio sulla sede dove ci saremmo ritrovati per studiare, non ci sarebbe stato
nemmeno da discutere.
O andare da lui, o la solitudine; o prendere, o lasciare
Arrivava, ogni pomeriggio, verso le quattro, e non se ne andava prima delle sette e mezza, le
otto. Tuttavia non che studiassimo continuamente, si capisce. A prescindere dalla mezzora
dedicata alla merenda, di tanto in tanto smettevamo anche per conversare. E qui era Luciano a
decidere; era lui, improvvisamente energico e autoritario, a decretare i momenti di pausa per il mio
povero cervello affaticato, nonch, pi tardi, quando giudicava che fossi sufficientemente riposato e
svagato, a esortarmi a ricominciare.
Durante gli intervalli, comunque, si adoperava in tutti i modi per intrattenermi, distrarmi, perfino
divertirmi. Mi era debitore di molto: della protezione che gli avevo offerto fin dal primo giorno, dei
libri che ancora gli prestavo, dellospitalit a casa mia, dei compiti che, in sostanza, facevo per lui.
E lui, ecco - aveva laria di dire -, lui mi ricompensava col dono modesto ma non disprezzabile della
sua presenza, della sua testimonianza incitatrice. Era poco? Forse. Per duna cosa dovevo esser
certo: di pi lui non poteva dare.
Si guardava bene dal vantarsi di niente. Dichiarandosi spessissimo senza ambizioni, contento,
per parte sua, di restarsene confinato nel limbo di color che son sospesi fra il cinque e il sei,
perch, tanto - sorrideva -, a farsi notare nel bene come nel male, a emergere in un senso o
nellaltro, uno poi deve finire col pagare dazio, era come se dicesse: Lo so che valgo poco, anzi
meno di poco. Eppure nel modo come mi parlava della scuola, per esempio, mettendo in dubbio
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lequanimit di Mazzanti nei miei riguardi (secondo lui, Mazzanti, fra me e Cattolica, teneva
spudoratamente per questultimo); oppure lasciandomi intendere che da laggi, dallultimo banco un posto sacrificato, senza dubbio, e tuttavia non privo di qualche vantaggio -, gli era dato di avere
della classe una visione molto pi chiara e obbiettiva di quella che potevo averne io, coinvolto
comero nella gara, nella lotta, nella gloriosa, ma anche meschina, quotidiana fatica del
primeggiare: in ogni sua frase sentivo, sottintesa, la sua ferma fiducia di essermi utile, forse
indispensabile.
Convinto non a torto di farmi piacere, non lasciava passare occasione senza parlarmi male di
Cattolica.
A suo parere, Cattolica non era nientaltro che un pallone gonfiato. Lasciando stare i presenti,
volevo mettere lintelligenza di un Boldini, in confronto alla sua, o quella, magari, dello stesso
Giorgio Selmi? Il fatto che Boldini non ci teneva, al primato (anche quella del sotto-pancia una
vocazione), e meno che meno ci teneva Selmi, il quale, pi che alla media del sette, sufficiente a
garantirgli la mezza esenzione dalle tasse, ad altro non aspirava. Uno sgobbone del genere di
Chieregatti; pi furbo e meglio organizzato: questo, in fondo, era Cattolica, prova ne sia che
Guzzo, che non era uno stupido, e non si lasciava abbagliare, come la Krauss e Razzetti, dagli
sfoggi mnemonici, quando andava in cerca di qualche risposta un po fuori dellordinario, lui lo
lasciava stare, di solito, sapeva bene a chi rivolgersi. Io, daccordo, non avevo disposizione per le
materie scientifiche, ovvero, per essere pi precisi, non riuscivo ad applicarmi che nelle materie
che mi piacevano: litaliano, il latino, il greco, eccetera. Ma sarebbe bastato, da parte mia, un
minimo dimpegno (non ero passato con tanto di otto, lanno scorso, allesame di riparazione di
matematica?), e lui era pronto a scommettere che anche in matematica, in fisica e in scienze
naturali il signor Cattolica sarebbe stato costretto a mangiare la polvere.
Ma no, non credo, mi schermivo io, debolmente. La matematica non lho mai capita.
Non lhai mai capita perch non hai mai voluto capirla.
Pu darsi. Ma non la stessa cosa, dopo tutto?
Non la stessa cosa. La capacit un conto, e la volont un altro.
Secondo me, invece, questione di materia cerebrale, di conformazione cerebrale non
adatta.
La volta che buttai l sorridendo questa frase, Luciano protest vivacemente. Come facevo a
sostenere assurdit del genere? - esclam -. Proprio io!
Dal modo come mi guardava, serio, estremamente rispettoso, capii che aspettava soltanto da
me il permesso di ricordarmi le virt matematiche della razza (anche mio padre, bravissimo coi
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numeri, era convinto che noi ebrei fossimo i migliori matematici del mondo, imputando abbastanza
seriamente la mia scarsa attitudine al sangue contadino della nonna Maria). Comunque, finsi di
non capire, e lasciai cadere il discorso.
Ma aveva ragione lui: a poco a poco stava diventandomi indispensabile. E ricordo, a questo
proposito, un pomeriggio verso la fine di febbraio in cui Luciano, per via della neve, tard
allappuntamento.
Oramai inaspettata, la neve era cominciata a cadere la mattina, poco dopo le nove, e
dallinterno dellaula era stato bello ed emozionante vedere le piccole falde silenziose calare in
lenta discesa contro lo sfondo nerastro del Ges, e poi, alluscita, ritrovare via Borgoleoni tutta
ammantata di bianco. Era stata la solita festa. Ne era nata una zuffa generale a base di palle di
neve, nel corso della quale, una volta tanto, io e Luciano ci eravamo persi di vista, ma non
importava, era sottinteso che sulle quattro ci saremmo ritrovati come dabitudine.
Dopo pranzo, anzich rallentare, la nevicata era infittita. Alle cinque, stranamente inquieto, gi
mi chiedevo se quel giorno Luciano ce lavrebbe fatta a trasferirsi a piedi dalla lontanissima zona
del Foro Boario fino alla Scandiana. Forse no, non ce lavrebbe fatta - dicevo a me stesso,
guardando fuori dalla finestra Forse era meglio che cominciassi a studiare da solo.
Mi sedetti alla scrivania, ma la luce che pioveva da sotto il paralume verde sul quaderno e sui
libri aperti (il dizionario e il testo del primo libro dellIliade collocati a sinistra, accanto al gomito, e il
quaderno pi vicino, quasi contro il petto, nellidentica posizione del foglio su cui sto scrivendo
adesso), la calma luce azzurrina della lampada non mi aiutava a concentrarmi. I Pulga, a casa loro
- riflettevo -, non avevano ancora il telefono. Tuttavia, se davvero avesse avuto lintenzione di non
venire, era da supporre che Luciano avrebbe trovato ugualmente la maniera di avvertirmi,
spingendosi, per telefonare, fino alla drogheria a cinquanta metri da casa. Ogni volta che se ne
presentava il bisogno urgente, era di quellapparecchio che si servivano, i Pulga: me laveva detto
lui.
Alle cinque e mezzo mi alzai di nuovo, di nuovo mi accostai alla finestra. Fuori era gi buio. E
se ci fossi andato io, a casa di Luciano? Fra laltro, sarebbe stato giusto.
Aprii i vetri, sporsi la testa, fiutando laria e guardando in basso. La neve continuava ancora a
cadere, ma pi rada, ora, ridotta a una specie di minimo pulviscolo danzante senza pi peso
attorno al lume giallastro dei lampioni.
Gi in istrada una coltre uguale e compatta, immacolata, aveva ricoperto e pareggiato ogni
sporgenza. N ciottoli, n marciapiedi: non si distingueva pi niente.

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Ed ecco, l sotto, mentre il cuore, folle di battiti precipitati (folle duna gioia come al solito mista
di contrariet), mi balzava duramente in gola, riconobbi a un tratto Luciano, proprio lui, che in quel
preciso istante infilava rapidamente il portone.

VI.

Nei primi tempi, per svagarmi, Luciano faceva ricorso a due repertorii ugualmente inesauribili: o
mi raccontava barzellette in dialetto bolognese, oppure pescava nei suoi ricordi dinfanzia. Anche
questi, come le barzellette, erano in prevalenza comici. Centrati tutti su Lizzano in Belvedere, e
sulle localit di montagna attorno a Lizzano (Porretta, Vidiciatico, la Madonna dellAcero, il Corno
alle Scale: nomi che ben presto mi divennero familiari), proponevano invariabilmente lui, come vero
protagonista, anche nei casi in cui protagonisti apparenti fossero suo padre, sua madre, o Nando,
suo fratello. La parte che lui riservava a se stesso era sempre la medesima: quella del furbo, del
sagace, dellabile; svelto, oltre che di cervello, di mano e di piede. Forse erano soltanto invenzioni,
fantasticherie. Ma con questo? Mi divertivo, ridevo: come se assistessi a delle farse di Ridolini e di
Chariot. E anche Luciano era contento: del suo prodursi, e del successo che riscuoteva.
In seguito, tuttavia, gli argomenti dei suoi discorsi mutarono.
Cominci per caso: a partire da una sera di marzo, mi pare, una sera che era scoppiato un
violentissimo temporale.
Alle sette lavevo visto alzarsi.
Vai gi via?, gli avevo chiesto.
Penso che mi convenga.
Vuoi restare a cena? Se credi, vado a dirlo alla mamma.
Mi fiss. Aveva cominciato a legare i libri con la cinghia, ma si era fermato.
Grazie grazie mille, balbett, spostando pi che mai di lato la mandibola. Per non vorrei
disturbare.
Che cosa dici! Vado subito ad avvertire.
Mi levai su, e corsi alla porta.
Aspetta un momento!

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Mi voltai. In piedi presso la lampada da tavolo, mi parve ancora pi pallido del solito: con gli
scuri occhi blu profondamente cerchiati dombra nel piccolo viso ossuto, e sopra, in luce, la radice
del naso ricurvo e la fronte a bauletto.
Lascia perdere. A casa mi aspettano.
Obbiettai che non ci voleva niente a telefonare al droghiere vicino a casa.
S, va bene, ma dopo cena, fece, incerto, sempre fissandomi, non posso mica restare
qui anche a dormire.
Esitai. Lidea di dividere la mia stanza con lui non mi piaceva.
Perch no?, dissi a fatica, tornando verso il tavolo. Potremmo mettere una brandina in
camera mia.
Non rispose. Si avvicin alla finestra, scrut attraverso i vetri.
Piove ancora?, domandai.
Mi pare che vada calando.
Ritorn verso il centro della stanza, e si sedette in poltrona.
In fondo era molto meglio quando stavamo allalbergo Tripoli, disse. Non soltanto era pi
comodo, ma anche pi divertente. Abitare l, dalle parti del Foro Boario, sar bello destate, ma
dinverno peggio che a Lizzano. Saranno i muri nuovi: per fa un freddo, se sapessi, un umido!
Chiesi se non avessero limpianto del termosifone.
Era una domanda banale, indifferente. Eppure, mentre gliela rivolgevo, qualcosa, non sapevo
che, mi avvert improvvisamente dellincombere dun pericolo. Sentii dun tratto che stavamo
scivolando verso unintimit da cui, fino allora,- ci eravamo tenuti sufficientemente a distanza: una
intimit che dovevo ad ogni costo rifiutare.
Ma era troppo tardi, ormai. Infatti Luciano stava gi spiegandomi come suo padre, in cambio
del calorifero, la cui installazione, per ora, rimaneva al disopra delle loro finanze, avesse avuto
lidea di comperare due stufe Becchi, di terracotta. Questo tipo di stufa funzionava benissimo: a
patto, per, che i tubi di scarico salissero su dritti. Viceversa suo padre, da quel testardo dun
cretino che era sempre stato, si era messo in testa di far viaggiare i tubi di stanza in stanza, a
mezzaltezza. Risultato: bastava accendere un pezzo di carta, e la casa si riempiva
istantaneamente di fumo. Cera da morire asfissiati.
Trasecolavo: per quel testardo dun cretino, per limprovviso abbandono, da parte sua, di
ogni riserbo e cautela. Che cosa era successo? - mi chiedevo spaventato -. Che cosa stava
succedendo?
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Nonostante ricordassi la pessima impressione che il dottor Pulga aveva suscitato in mio padre,
cercai di assumerne le difese. Senonch Luciano rincar la dose. Non soltanto suo padre era un
cretino - ripet era anche un avaro e un violento. Glielo lasciassi dire a lui, per favore. Spesso,
quando tornava a casa con la luna di traverso - e gli capitava piuttosto di frequente -, picchiava
tutti, in famiglia.
Erano invenzioni, fantasticherie anche queste? Poteva darsi. In che modo, comunque, metterle
accanto ai suoi racconti precedenti, che dipingevano un eroico dottor Pulga magari arrancante, di
notte, accompagnato dal figlioletto, alla volta di uno sperduto casolare appenninico, per poi,
allarrivo, sentirsi rivelare da un astuto contadino che non gi la sua giovane moglie stava per
partorire, bens la sua vacca ugualmente primipara? Tuttavia non era la verit che importava,
neanche adesso. Importava il tono mutato con cui mi parlava, limprovvisa asprezza senza tatto,
lamarezza sgarbata della sua voce.
Come!, dissi, senza fiato. Picchia anche tua madre?
Oh, soprattutto lei, picchiava, quella carogna! - esclam Luciano -: quantunque - soggiunse
sogghignando - fosse evidentemente lei, disgraziata, a cercare le botte. A sua madre, in fondo,
piaceva essere bastonata: ecco la vera verit. E lui, suo padre, che laveva capita a perfezione, lui
laccontentava: come poteva.
Scoppi a ridere.
Misteri del cuore umano!, esclam. Cosa credi? Che siano soltanto gli uomini, a fare
schifo? Anche le donne, sta tranquillo, anche le donne!
Lalbergo Tripoli - aggiunse - era meglio anche per questo (a parte i termosifoni galoppanti a
tutto vapore): perch offriva un quadro molto preciso, senza doratura di pillola, della vita, della
vita nella sua realt effettiva. Lavevo mai veduto il padrone, quella specie di maiale col nome
tedesco, Mller, sempre gi, al pianterreno, a sedere dietro la cassa del ristorante con uno
stecchino incastrato fra i denti di metallo? Le coppie intenzionate a schiacciare un sonnellino
pomeridiano, per esempio, non avevano nemmeno bisogno di fermarsi a mangiare. Bastava che
marciassero dritte su di lui attraverso i tavoli: e lui, pronto, presentava senzaltro la chiave. Che
ridere, a vederle, le coppie che si presentavano! Normalmente erano tipi di campagna, a rimorchio
di puttanacce che li avevano pescati in piazza; ma qualche volta erano giovanotti di citt, che
entravano in avanscoperta, prendevano la chiave, sparivano su per la scala, seguiti, di l a un
minuto, da lei, la pollastra, che scivolava dentro tutta colpevole. Pollastra? Magari! Invece che
di una pollastra, spesso si trattava di una gallinona di quarantanni: madre, forse addirittura gi
nonna, e trasudante peccato da tutti i pori della faccia di cuoio. Erano consorti di ingegneri, di
avvocati, di dottori: si riconoscevano a occhio nudo. Signore della migliore societ, che come
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niente, la sera stessa, sarebbero state capaci di presentarsi in palco al Teatro Comunale, oppure, il
giorno dopo, di sfilare in divisa per viale Cavour, dimenando baldanzosamente il deretano coram
populo. Cera da ridere, veramente!
La sveglia, sul tavolo, segnava le sette e mezza. Il parquet della stanza accanto scricchiol.
Mia madre si affacci dalluscio e ci osserv compiaciuta.
Avete finito?, chiese.
La guardavo trasognato. S - confermai -, avevamo finito.
Luciano era scattato in piedi con la solita prontezza.
Poverino!, lo commisero la mamma. Spingersi a piedi, con questacqua, pi in l della
Darsena! Hai lombrello? E le calosce, ce le hai? Se vuoi restare a cena, non fare complimenti.
Grazie, signora, rispose Luciano. Ma come dicevo anche a lui - e accenn a me -,
preferirei di no. Se non mi vedono tornare, il pap e la mamma Insomma gli dispiace, sa
com.
Mia madre insistette. Che cosa ci voleva, a telefonare, e a chiedere il permesso al pap e alla
mamma? Tuttavia Luciano non si lasciava convincere. Parlavano: lui in piedi, accanto alla poltrona,
pi che mai compito e sdolcinato; lei dalla soglia, avvolgendolo con la carezza del suo sguardo
marrone. Rimasto a sedere, io guardavo ora luno ora laltra. Seguivo i movimenti delle loro labbra,
ma la maggior parte delle parole non le capivo, non le udivo.
Infine mia madre si ritir.
Ti garantisco che cera da ridere e da divertirsi, ricominci Luciano sottovoce, non appena si
fu assicurato con unocchiata che la porta fosse stata ben chiusa; ma soprattutto da ridere.
Che razza di porto di mare - continu - diventava lalbergo Tripoli, la notte! Lui dormiva insieme
con Nando, suo fratello, il quale non faceva in tempo a infilarsi tra le lenzuola che subito gi, non lo
avrebbero pi svegliato nemmeno le cannonate, ragion per cui non sentiva niente, il pollo!, n le
litigate che i loro genitori facevano ogni sera, nella stanza attigua, prima di mettersi a letto (litigate
che finivano abbastanza spesso in botte da orbi), n i rumori di vario genere filtranti attraverso il
debole spessore della parete opposta. Si lavorava a tutto spiano, di l. Durante lintera notte
erano gemiti, sospiri, cigolii: un vero disastro, a voler dormire. Ma chi ci pensava, a dormire?
Giusto quel pollo di Nando, appunto, perch lui invece no, non ci pensava minimamente. Stava l
fino a tardissimo, in camicia da notte, lorecchio incollato al muro e sveglio come un grillo, attento a
cogliere attraverso i mutamenti delle voci i vari cambi della guardia. Certe notti, nella stanza
accanto si succedevano una dopo laltra perfino cinque coppie. Ogni tanto lui si alzava, e andava a
vedere.
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A vedere!
Si capisce. Attraverso il buco della serratura della porta di comunicazione.
E che che cosa vedevi?
Cosa vedevo? Eh non sempre ce la facevo, purtroppo, perch il letto era messo per diritto,
proprio davanti al buco della serratura, e inoltre era alto, altissimo, sai come sono quei lettoni
matrimoniali. Per qualcosa vedevo lo stesso, sta tranquillo!
Una volta, per esempio - seguit -, di sopra alla spalliera del letto aveva veduto sporgere una
schiena. Era duna donna: e andava su e gi, hop-l, hop-l, n pi n meno che se stesse
seduta sulla groppa dun cavallo al trotto. Unaltra volta, i due passeggiavano in giro per la stanza,
nudi, di modo che passando ogni tanto davanti al buco della serratura gli mostravano il davanti e
il didietro. Unaltra volta ancora, una coppia, invece che sul letto, aveva preferito venire a far
lamore per terra, proprio vicino alla porta. E se quella volta l, nonostante che torcesse
disperatamente locchio in basso, lui non era riuscito a vedere niente, in compenso aveva udito
distintamente come mai, in precedenza: il che, forse, tutto sommato, era stato anche meglio.
Come, meglio?, balbettai.
Eh, diecimila volte! Oltre ai gemiti, ai gridi soffocati, avresti dovuto ascoltarle, le frasi che si
dicevano. Che roba! Non la finivano pi.
In quel momento entr nello studio la cameriera. Avvert che era pronto in tavola, cosicch
Luciano fu costretto a interrompersi e ad andarsene.
Ma i giorni successivi, rubando sempre pi tempo allo studio, fu lui a ritornare su quel genere di
discorsi. Ero debole, passivo, impotente a reagire; e lui, accorgendosene, ne approfittava.
Mi disse, tra laltro, che stava leggendo un libro meraviglioso, sottratto di nascosto a suo padre:
Afrodite, di Pierre Louys; libro meraviglioso - precis - sotto il doppio profilo della bellezza letteraria
e del contenuto altamente istruttivo. Raccont come fosse costretto a leggerne poche pagine
alla volta: di notte, per lo pi, a letto: una mano pronta a girar pagina, e laltra, gi, altrettanto
pronta ad accompagnare i punti salienti della narrazione con qualche svelta sbattutina del
manico.
Me lo presti?, chiesi.
Cosa?, fece lui, sogghignando. Il libro?
Annuii.
Beh se si tratta del libro, riprese, e mi scrutava coi suoi occhi di smalto celeste, non so se
potr. Mio padre gelosissimo dei suoi volumi. Ci tiene talmente! Per farcela, a mettere la
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zampa su questo e altri libri di uguale interesse custoditi dal padre in uno scaffale del suo studio continu -, doveva appunto aspettare la notte, in genere, quando in casa tutti dormivano: avendo
cura, dopo, di rimettere ogni cosa a posto. Con questo trucco lui aveva potuto leggere quasi tutti
i romanzi del Pitigrilli, Il giardino dei supplizi dun autore francese di cui aveva scordato il nome,
Sesso e carattere del Weininger, e I promessi sposi: non quelli di Manzoni, sintende, che in
quarta e in quinta gli avevano gi rotto a sufficienza le scatole, bens quegli altri, scritti da un mio
correligionario, il Da Verona, che a suo giudizio valevano infinitamente di pi. In ogni caso soggiunse, alzando una mano come a prevenire qualsiasi mio tentativo di protesta -, in ogni caso
Afrodite del Louys li batteva tutti quanti, i libri sopraelencati. La prima parte del romanzo, volevo
sapere cosa descriveva? Descriveva un giardino - quello attorno al tempio della Dea -, dove decine
e decine di donne si accoppiavano a tutta manetta con maschi e tra di loro. E ne inventavano
tante, ma poi tante, di posizioni e di maniere, che perfino lui, che, non faceva per dire, di queste
cose se ne intendeva parecchio, era rimasto a bocca aperta.
Non mi ero mai masturbato, fino allora. Quando lo seppe, Luciano se ne meravigli altamente.
Ma come - esclam -, alla mia et! Lui, al contrario, da quando aveva dieci anni si era sempre
masturbato regolarmente: almeno una volta al giorno.
Ma non fa male?, obbiettai.
Macch male! Fa benissimo, invece. Magari, sorrise, a farlo troppo pu consumare un po
la memoria. Vuoi mettere, per, come apre il cervello?
Secondo lui, per sviluppare le facolt intellettuali non cera niente di pi indicato. Non
bisognava eccedere, sintende: nello stesso modo che non conviene eccedere nel vino, non so, o
nello sport. Tuttavia era bene farlo. Era una cosa normale, naturale, e la natura, a sapere
interpretare scientificamente gli impulsi che suscita in noi, non pu volere il nostro danno. Ma
piuttosto: ero sicuro che la circoncisione non avesse attutito, in me, la sensibilit sessuale?
Avevo mai avuto delle erezioni? E la notte, mentre dormivo, mi ero mai bagnato?
Rispondevo come potevo, ammettendo tutto anche quando non capivo bene: e cio che s,
spesso nei momenti pi impensati il coso mi si irrigidiva, e che una volta o due mero svegliato la
mattina coi calzoni del pigiama tutti bagnati.
Un pomeriggio, Luciano si sbotton i pantaloncini e mi mostr il membro. Quindi pretese che
anche io facessi altrettanto. Ero sempre stato pudicissimo, fin da bambino, e riluttavo. Ma lui
insisteva, e finii con laccontentarlo.
Guard attentamente, chinandosi un poco in avanti con aria distaccata, da medico. In che cosa
consisteva, effettivamente, la circoncisione? - chiese -. Fino allora lui aveva creduto che si
trattasse di unoperazione duna certa importanza, consistente nellasportazione di un pezzo di
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carne vero e proprio. Viceversa, adesso se ne rendeva conto, si trattava di qualcosa di molto
modesto. Dopo tutto, che differenza cera, tra il suo e il mio?
E allo scopo di verificare in che cosa consistesse, effettivamente, tale differenza, torn a
sbottonarsi.
Arrivammo, cos, fino a Pasqua: con la sensazione continua, da parte mia, di venir sospinto a
grado a grado verso qualcosa di ignoto e di minaccioso, e tuttavia senza che niente di preciso
accadesse, mai. Luciano parlava, parlava, non cessava mai di parlare. La sua voce mi teneva
fermo, l, mi chiudeva dentro le sue spire basse e ronzanti.
Ho pochi ricordi precisi, di quel periodo. Vivevo come dentro una galleria sotterranea: senza
scorgerne il termine, se mai temendo di trovarmici improvvisamente faccia a faccia. Rammento il
senso di complicit abbietta che suscitava in me ogni ingresso di mia madre nella stanza. E
rammento anche un pomeriggio, durante le vacanze di Pasqua: un pomeriggio non vero, magari,
forse soltanto sognato.
Sono andato a giocare al football sulla Spianata, dietro lAcquedotto, insieme con mezza
classe. Abbiamo cominciato verso le due, felici di correre a perdifiato sullerba secca, bruciata dalle
gelate invernali, felici di esserci sbarazzati dei panni pesanti, felici del bel sole che rallegra perfino i
tetri capannoni dei magazzini militari, fa scintillare il marmo muschioso della statua di Papa
Clemente di solito cos malinconica nella sua solitudine, indora le lontananze azzurrine delle prime
case di via Ripagrande e di via Piangipane. Verso le tre sopraggiunto anche Luciano: a piedi,
naturalmente. Come Cattolica non ci tiene, lui, a giocare; e poi troppo esile, troppo mingherlino,
in squadra nessuno lo vorrebbe. Battendo i piedi per riscaldarseli, rimasto perci sul bordo del
prato, a fungere da spettatore. Mentre giochiamo, ci giungono ogni tanto i suoi commenti: ora
applaude, ora fischia, ora sfotte. Ogni volta che lo guardo, anche di lontano, mi pare di vederlo
sorridere, indovino pi che non veda il sogghigno della sua piccola faccia morta. E so perch resta.
Per me. Dopo la fine della partita pretender di montare sulla canna della mia bicicletta, e di
pilotarmi, poi, fino in via Garibaldi, allangolo tra via Garibaldi e via Colomba, di dove potremo
spiare con tutta comodit la gente che entra ed esce dai portoncini chiodati della Pensione Franca
e della Pensione Mafarka.
Ormai imbrunisce. Ed ecco, quando gi stiamo per smettere, cado e mi faccio male a un
ginocchio. Non niente di grave, lo so benissimo, eppure tardo a rialzarmi, insomma faccio la
scena. Rimango l, supino e a occhi chiusi, le membra indolenzite a poco a poco invase da uno
straordinario senso di benessere, contento che la partita si sia conclusa a causa di me,
dellincidente toccato a me, e che tre o quattro compagni, raccoltisi intorno, stiano compiendo

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blandi tentativi per rimettermi in piedi. Ascolto le loro voci tranquille, alte nellaria fredda della sera
sopra il mio corpo disteso, e vorrei non rialzarmi pi.
Va l che non morto, dice infine qualcuno. Non vedete che fa la scena? Su, andiamo a
vestirci.
Odo i loro passi allontanarsi, e socchiudo le palpebre.
Spio attraverso le ciglia abbassate. Dritto in silenzio accanto a me ( enorme, visto dal basso,
gigantesco: e mi squadra freddamente da capo a piedi, come se fossi una cosa), rimasto soltanto
Luciano.

VII.

Il giorno prima che si riaprissero le scuole mi ammalai di tonsillite.


Ne ho sofferto sempre, fino dalla pi lontana infanzia (per questa ragione la zia Malvina mi
conduceva tanto spesso a visitare la chiesa di San Biagio, protettore dei deboli di gola).
Quellanno, tuttavia, linfiammazione appariva molto pi grave del solito. Forse si trattava di un
ascesso - diagnostic mio padre e anche lo zio Giacomo, subito convocato dalla mamma, fu dello
stesso parere.
Incidere? Non incidere?
Daccordo sulle diagnosi, mio padre e lo zio Giacomo si accapigliavano regolarmente sulle
terapie. E cos, per comporre leterno litigio dei due medici di famiglia attorno al mio letto (il pap
era favorevole allintervento, lo zio contrario), la mamma pens bene di far venire il dottor Fadigati,
il miglior specialista della citt: lo stesso che da piccolo mi aveva operato alle tonsille, per
asportandole, per accontentare lo zio, soltanto in parte.
Fadigati accorse, esamin la gola, conferm la diagnosi. Quanto ad arrischiare un taglietto,
anchegli, come lo zio, riteneva che per ora, a caldo, non cera nemmeno da parlarne. Aspettare:
ecco lunica strada da seguire, per il momento. Verso il settimo o lottavo giorno, lascesso sarebbe
giunto a maturazione, dopodich si sarebbe deciso: se soprassedere ulteriormente, lasciando che
il sacco si svuotasse da s, oppure (a questo punto il dottore allung una mano per
accarezzarmi una guancia, e intanto mi sorrideva, bonario e rassicurante), oppure se approfittare
delloccasione per portar via finalmente tutto quanto.
Non ce ne fu bisogno. Lascesso scoppi da solo, prima del previsto. Riguardo, poi,
allasportazione dei due monconi di tonsille, anche per quella volta fu stabilito di non farne niente.
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Se ne sarebbe riesaminata lopportunit al termine dellanno scolastico, prima che partissimo per il
mare.
Sollevato dalla minaccia incombente del bisturi, respiravo. Eppure non ero contento; seccato,
anzi, da una guarigione anticipata che affrettava il mio ritorno a scuola. Pensavo con apprensione
a Luciano. Contrariamente a ci che mi attendevo, durante tutto il tempo della mia malattia Luciano
era venuto a visitarmi una volta sola. Era capitato il secondo o il terzo giorno, quando avevo ancora
la febbre altissima. Si era seduto compostamente di fianco al capezzale, aveva conversato
sottovoce per lo pi con la mamma, ma anche quando lei ci aveva lasciati soli (vero che andava
e veniva continuamente), non mi aveva parlato che di cose scolastiche: a che punto dellIliade
erano arrivati a tradurre, quali odi di Orazio Guzzo aveva assegnato, cosa stava spiegando in quel
momento la Krauss, e simili. Tacevo, e ascoltavo. A un certo punto, esprimendomi a fatica, gli
avevo chiesto se per caso, data la mia indisponibilit, lui non avesse ritenuto consigliabile andare a
fare i compiti da qualcun altro: almeno temporaneamente. Al che lui aveva risposto sorridendo con
affetto che no, non gli era nemmeno passato per la testa di farmi un corno. Per chi lo prendevo?
Per un Giuda? Badassi a guarire, piuttosto. Non appena fossi guarito (non dovevo agitarmi,
intanto, circa il programma: bravo comero, in quattro e quattrotto mi sarei messo in pari con gli
altri), noi due avremmo ricostituito immediatamente il nostro forte tandem. Ed era stata appunto
questultima prospettiva, soprattutto, a riempirmi nei giorni seguenti di oscura malavoglia. La
scuola, e Luciano: ricominciare con la prima, significava ricominciare per forza anche col secondo.
Ricominciare con Luciano: ma che cosa significava, questo, in realt?
Dal letto, convalescente, mi abbandonavo senza pi freni a strani pensieri. Ripercorrevo passo
passo il buio tunnel degli ultimi mesi: dalla mattina in cui Luciano era apparso la prima volta sulla
soglia dellaula, fino a quando, di discorso in discorso, avevamo affrontato largomento pugnette
- come diceva lui -. Sapevo benissimo in che modo era potuto succedere. Tutto era dipeso da
quella mia domanda riguardante limpianto del termosifone: il resto, compresa la mutua esibizione
del membro, era venuto per rapida conseguenza, da s. Rivedevo la scena. Dopo aver ottenuto
che mi denudassi, Luciano si era chinato a guardare: con volto impassibile, s, ma insieme, perch
non ammetterlo?, un po deluso, quasi che essendo, io, tanto pi tarchiato e robusto e sportivo di
lui, dovessi necessariamente risultare pi grosso anche l. E io - mi chiedevo adesso -, e io? Certo
che io, quando lui si era sbottonato (non avrei mai supposto che un tipo cos da niente celasse
nei calzoni una cosa - una cosa, sicuro: non cera espressione pi adatta per definirla! - talmente
sproporzionata: un che di gonfio, bianco, ma soprattutto enorme), io, per me, mi ero sentito
afferrare allo stomaco da un senso irrefrenabile di disgusto. Dallora in poi non avevo fatto altro che
pensarci, in fondo: a quel sesso oscenamente, paurosamente enorme, e al mio disgusto. Disgusto,

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schifo. Se avessi ricominciato con Luciano, era allo schifo di ogni minuto passato con lui che sarei
andato incontro. Altro che al solito latino e greco!
E se lo avessi piantato? Se, accampando qualche scusa, me lo fossi scrollato di dosso?
In casa, la manovra sarebbe forse potuta passare liscia. Sarebbe stato sufficiente raccontare
qualche frottola, accollando liniziativa della rottura magari a Luciano, o inventando un litigio: la
mamma, lei, paga quasi sicuramente dellunico fatto che io continuassi a studiare a casa, non
interessata in definitiva ad altro. Ma a scuola, no: a scuola non sarebbe stato altrettanto facile.
Sebbene io mi fossi sempre un poco vergognato, davanti agli altri, della mia amicizia con Luciano
(su dalla Krauss sedevamo vicini, purtroppo, ma quando Mazzanti, prima di dargli un voto, si
credeva in obbligo di consultarmi, il pi delle volte non gli rispondevo, stringendomi nelle spalle
infastidito), ci nonostante lo sapevano tutti, in classe, che lui veniva ogni pomeriggio a fare i
compiti a casa mia. Cera poi Cattolica. Cera Giorgio Selmi. Cattolica, lui, aveva sempre finto di
non rilevare, aveva lasciato che io facessi coppia con quel leccaculo del Pulga (cos veniva
chiamato Luciano, in genere, nei circoletti interni dellex sezione a) senza mai darmi la
soddisfazione di parlarmene, sicch se adesso io avessi rotto con Luciano il suo trionfo sarebbe
stato troppo grande, troppo pieno, troppo difficile da mandar gi. Quanto a Giorgio Selmi, il quale,
di recente, a lezione di ginnastica (da ginnastica Luciano era esonerato, per via dei postumi di una
pleurite infantile), aveva avuto lipocrisia di venire a lamentarsi con me della propria solitudine, e di
proporsi come mio compagno di banco per lanno prossimo, in seconda, anche Giorgio Selmi
andava tenuto sulla corda. Rompere con Luciano adesso, subito, avrebbe voluto dire dargliela
vinta troppo presto, calare ignobilmente le braghe anche davanti a lui.
Ritornai a scuola, e immediatamente Luciano ricominci a venire a casa.
Ero stato ammalato, dovevo recuperare il tempo perduto, di modo che mi fu facile, in quei primi
giorni, tenerlo in riga (Piantiamola con le chiacchiere!, imposi dautorit). Tuttavia sapevo che
ben presto saremmo ricascati nei vecchi discorsi, oh se lo sapevo. A garantirmelo, erano
lespressione vagamente sardonica che vedevo annidata in fondo agli occhi di Luciano, e, ancor
pi, certe impercettibili novit nel suo comportamento: come per esempio il suo adularmi assai
meno, o il suo concedersi pause di disattenzione che, prima, sarebbero state inconcepibili, oppure,
mentre io lavoravo, accanito, attorno a un periodo magari non cos ostico come ostentavo che
fosse, il suo canticchiare a mezza voce, in attesa. Fa, fa, se proprio ci tieni tanto, sembrava
dire. Ma ci tieni tanto, poi? Indovino benissimo, non credere, quello che interessa anche te,
ormai.
Senonch, un pomeriggio, accadde un fatto nuovo.

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Ero andato a lezione di ginnastica nella palestra distaccata di via Praisolo, previa intesa, fra me
e Luciano, che ci saremmo ritrovati sulle sei a casa mia. Alle cinque, uscendo dalla palestra, non
so chi dei nostri compagni aveva tirato fuori una palla di gomma, e subito, nel vasto cortile l
davanti, era stata improvvisata una partita. Pi che di una vera partita,- si trattava di un seguito di
mischie confuse, senza capo n coda. Ma tant. Lassoluta proibizione di sudare, la stessa che
poco prima, durante la lezione, mi aveva confinato a sedere su un panchetto, tornava a riempirmi
duna invidia struggente, dolorosa. Le spalle appoggiate allalto muro di cinta che separava il cortile
da via Praisolo, continuavo a guardarli correre, gli altri, saltare, gridare, sudare, e mi sentivo pi
che mai un reietto, un debole, un meschino. Degno in tutto e per tutto di fare il paio con un Luciano
Pulga.
Eppure non ero solo.
Anche Cattolica, invece che filare subito a casa come al solito, si era fermato a guardare.
Addossato al pari di me al muro, aveva acceso una sigaretta e non diceva una parola. Ad un tratto
per mi venne vicino, e, cosa straordinaria, infil un braccio sotto il mio.
Ti secca non giocare, eh!, disse con simpatia.
Risposi la verit: che ne avevo una gran voglia, ma che purtroppo non potevo. Nei giorni
passati ero stato ammalato - aggiunsi, superfluamente -, e mio padre, che era medico, non voleva
in nessun modo che sudassi.
Cattolica stette a sentirmi con molta attenzione e pazienza. Assai pi alto di me, mi ascoltava
piegando leggermente la testa in avanti: un atteggiamento che gli era abituale quando qualcosa o
qualcuno lo interessavano.
Forse sono indiscreto, disse infine. Ma che specie di malattia hai avuto? Non seguivo i
bollettini quotidiani di Pulga, soggiunse, ironico, ma mi pare che parlasse di mal di gola.
Bollettini quotidiani? - pensai -. Se Luciano non era venuto a trovarmi che una volta sola, e
anzi, stranamente, non aveva mai telefonato per informarsi!
Ho avuto un ascesso, risposi.
Corrug la fronte in unespressione di sofferenza.
doloroso?
Eh, abbastanza, sorrisi, fissandolo. Non augurerei una cosa simile al peggiore dei miei
nemici.
Sbatt le palpebre.
Mi dispiace, disse. Se lo avessi saputo, sarei venuto anche a trovarti.
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Nonostante quellanche, e sebbene stessi allerta, il cuore mi balz nel petto. Cattolica venire
a casa mia! Limmagine patetica di lui, il rivale pentito e commosso, al mio capezzale di malato, mi
attravers rapida il cervello. Non gli credevo, tuttavia, non mi fidavo.
Fa un male cane, dissi, fingendomi completamente assorbito dal ricordo doloroso del mio
mal di gola: specie i primi giorni. Sembrava che dovessero tagliarmi, ma poi, fortunatamente,
lascesso scoppiato da s. Comunque, probabile che mi operer alle tonsille. Non adesso, si
capisce, ma a giugno, prima di andare al mare.
Continuammo a conversare cos, uno a fianco dellaltro, per qualche minuto ancora.
Quantunque Cattolica avesse disimpegnato nel frattempo il braccio dal mio, sentivo accanto a me
la sua presenza incombente, pressante. Che cosa voleva? - mi domandavo, col viso rivolto verso il
cortile -. Ed ero doppiamente in ansia: per ci che lui potesse volere, e, al tempo stesso, per
lobbligo che mero imposto di far bella figura, di comportarmi con dignit.
So che abiti da queste parti, disse lui a un certo punto.
Gi, confermai, in via Scandiana. A un passo da Schifanoia. Li hai mai veduti gli affreschi di
Schifanoia?
No. Due o tre domeniche fa, sono stato a Messa nella chiesa di Santa Maria in Vado, l vicino,
e basta. Noi abitiamo dalle parti della stazione, in via Cittadella.
Ah s?, feci ipocritamente.
una zona molto simpatica, prosegu Cattolica, con lincrollabile sicurezza che mostrava
ogniqualvolta parlasse delle proprie cose: dei suoi dizionari, della sua penna stilografica, della sua
Majno, e chiss, forse perfino della sua fidanzata. Nuova moderna Sinterruppe. Senti,
aggiunse: perch non vieni a fare i compiti da me, oggi?
Alzai gli occhi a guardarlo, stupito.
A casa tua!
Perch no?, sorrise, tutto soddisfatto davermi abbagliato. Passi da casa, prendi su i libri, e
poi vieni da me: via Cittadella 16. Che cosa vuoi metterci, in bicicletta? S e no dieci minuti.
Grazie, grazie mille, risposi; ma scusa: non fai i compiti con Boldini e Grassi, tu?
Beh, s, ammise, con laria del giocatore che, riconoscendosi battuto, scopre le proprie carte.
Ma che cosa significa?
Oh, niente, figurati Soltanto che se siete gi in tre, un quarto, forse, sarebbe di troppo.
Dal modo come raddrizz la schiena e distolse lo sguardo, intuii che mi aveva frainteso. Aveva
creduto che lo ricattassi, che gli ponessi unalternativa: o loro due, o io.
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Rispose infatti che neanche per sogno: uno di pi non faceva nessuna differenza, visto che in
camera sua lui disponeva, per scrivere, di un tavolo grandissimo, attorno al quale - e sorrise
orgogliosamente - si sarebbe potuta adunare, volendo, lintera prima liceo, donne comprese. Ma
poi, fuori di scherzo - soggiunse -: a parte il fatto che Boldini e Grassi, poteva garantirmelo, non
avrebbero avuto niente da eccepire su me, sulla mia persona, loro tre studiavano assieme da
troppi anni perch, adesso
Mi guard negli occhi.
Devi capire, concluse.
Avevo capito fin troppo bene. Fra Boldini e Grassi, da una parte, e me dallaltra, lui,
naturalmente, non poteva scegliere che loro, i vecchi amici, i fedeli servi e caudatarii. Inoltre era
altrettanto ovvio e pacifico che fra casa sua e casa mia, era casa sua, la sua camera, il suo tavolo
che anche io, non meno che lui, dovevo preferire. Casa mia, con tutto ci che essa poteva
contenere, era un luogo imprecisato della citt che lui, da via Cittadella, non si sognava nemmeno
di prendere in considerazione come qualcosa di definito, di realmente esistente, come un tetto
sotto il quale io e la mia famiglia vivessimo concretamente. E quel leccaculo di Pulga che ci
veniva ogni giorno, a casa mia? Anche lui non esisteva, anche Luciano era unentit astratta,
trascurabile: un argomento increscioso e imbarazzante sul quale non valeva la pena di spendere
una sola parola.
Capisco, e ti ringrazio, risposi. Ma vedi: oggi impossibile. Viene Pulga, da me, e dimmi tu
come potrei Se almeno potessi telefonargli
Non ha il telefono?
No. Non ancora. Sta lontano, dalle parti del Foro Boario, dopo la Darsena, e per raggiungerlo
col telefono complicato. Bisognerebbe chiamare un droghiere, vicino a casa sua. Ma meglio di
no, ad approfittarne c rischio di sentirsi rispondere male. E poi tardi: siccome non ha la
bicicletta, probabile che sia gi per strada.
Senza dire altro, ci avviammo di comune accordo verso luscita. Sulla soglia del portone
sostammo indecisi. Io dovevo prendere a sinistra, lui a destra.
Allora ciao, disse freddamente, stendendomi la mano.
Non li aspetti, Boldini e Grassi?
No. Loro due sono in bicicletta. Io vado in tram.
A meno che, ripresi, senza lasciare la sua mano, a meno che io non possa portare
anche lui. Vado prima a casa, gliene parlo, e poi veniamo.

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Sarebbe stata una soluzione - pensavo, scrutandolo in viso con ansia malcelata -. Dopo tutto
sarebbe stata una magnifica soluzione: anche per me.
Che cosa ne dici?
Lui, chi?, chiese Cattolica, con una smorfia sprezzante, e ritir la mano. Pulga?
Ma s. Non hai detto che il tuo tavolo cos grande? Se ci stiamo in quattro
Reag disordinatamente.
No, per carit. In cinque! E poi Pulga! Scherziamo?
Scherziamo perch?, ribattei calmissimo. Che cosha, in fondo, Pulga, che voi dobbiate
trattarlo come se avesse addosso la peste?
Mi sentivo offeso a morte, e volevo che lo sapesse.
Da gennaio viene a casa mia tutti i giorni, proseguii, e la peste bubbonica, se non sbaglio,
non me lha mica attaccata!
Ma aveva ragione lui - non potei fare a meno di pensare, mentre ancora stavo parlando -. La
peste, Luciano ce laveva davvero, addosso, e anche io, a forza di stargli vicino, ero stato
contagiato.
Cattolica sporse le labbra.
De gustibus, disse. Tu sei padronissimo di prenderti in casa chi ti pare e piace. Ripeto: se
tu vuoi venire da me, bene, ma quello l, no, mai. Ci mancherebbe altro!
Beh quand cos, mormorai con voce tremante, prossimo alle lacrime comero,
pazienza. Scusa, sai: ma o tutti e due, o nessuno.

VIII.

Quella sera io e Cattolica ci separammo bruscamente, o piuttosto fu lui a gettare fra noi un
secco arrivederci, a voltarmi le spalle, e ad allontanarsi in fretta verso la Giovecca. Tuttavia gi
lindomani mattina, in classe, e poi nei giorni seguenti, eccolo tornare alla carica: sia pure senza
accennare allo strano colloquio che avevamo avuto, ma proprio per questo dandomi limpressione
che la cosa non fosse affatto archiviata. Ci ronzava attorno, invece, me ne rendevo conto, in attesa
di ripigliare largomento alla migliore occasione. Intanto si adoperava alacremente perch fosse
tolta di mezzo linvisibile barriera della rivalit, della prevenzione e dellorgoglio che ci aveva divisi
fino allora.
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Per parlarmi, durante le lezioni, si guardava bene dal girarsi. Continuava a mostrarmi il suo
profilo fermo da medaglia, gli occhi fissi come sempre in quelli del professore seduto in cattedra,
per coprendosi la bocca con la mano aperta a ventaglio e bisbigliando sotto il riparo delle dita. Era
troppo disciplinato e zelante, lui, ci teneva troppo alla reputazione di bravo anche in condotta, per
trascurare queste elementari misure di prudenza. Eppure la perfetta rigidezza del suo collo e del
suo tronco, alla quale cercavo di uniformarmi anchio, capivo che era dedicata non tanto agli occhi
di chi ci stava di fronte (e si trattasse pure di quel drago di Guzzo!), quanto piuttosto a quelli, ben
pi pericolosi perch incontrollabili, di chi ci stava alle spalle. Se Luciano, l, dal suo banco vicino
al muro - cos riflettevo, rabbrividendo -, si fosse accorto che fra me e Cattolica non cera pi la
stessa freddezza di prima, o almeno che parlavamo, adesso, non facevamo che parlare, sarebbe
stato magari capace di indovinare, furbo comera, quale fosse il vero oggetto dei nostri bisbigli. Era
abbastanza assurdo, da parte mia: sta il fatto, comunque, che mi sentivo talmente in colpa, nei
suoi confronti, da avvertire quasi fisicamente sulla nuca il gelo del suo sguardo azzurro e
indagatore.
Si pu immaginare dunque il mio smarrimento quando, una mattina, Guzzo, proprio lui, si
rivolse di sorpresa a Cattolica.
Stava scandendo ad alta voce un carme di Catullo, quello che comincia:
Multas per gentes et multa per aequora vectus
Dun tratto si ferm, e ordin sordamente:
Continui Cattolica.
Cattolica trasal, quindi si port la mano al petto come per chiedere:
Io?
Per lappunto Lei, conferm Guzzo, che lira, in genere, faceva toscaneggiare. Continui a
scandire Lei, carissimo. Vediamo come se la cava.
Cattolica cominci a sfogliare affannosamente il volume, aperto, s, ma non alla pagina giusta.
E chiss per quanto tempo ancora sarebbe durata la sua tortura (immobile allaltra estremit del
banco, io non osavo aiutarlo), se a un certo punto, da dietro, la mano di Malag non fosse spuntata
al suo soccorso.
Bravo Malag!, comment Guzzo. Vedo che segue, che il buon Catullo interessa perfino
Lei Ma Lei, Cattolica, mi dica un po: non la interessa, Catullo? Non le garba?
No non, balbett Cattolica pallidissimo, e si alz lentamente in piedi.

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No?, fece Guzzo, con finta meraviglia, inarcando le grandi sopracciglia disegnate alla base
della vasta fronte wagneriana come due bigi accenti circonflessi. (Era ateo, lui, pagano, laveva
sbandierato tante volte: e non trascurava occasione per prendere in giro chiunque, come Camurri e
lo stesso Cattolica, sospettava appartenente a famiglia clericale). Passer deliciae meae puellae,
declam, soave, contemporaneamente ammiccando al resto della classe: quel piccolo scherzo
galante che gli rimprovera?, che non gli perdona?
Mi piace moltissimo, sment calorosamente Cattolica. Soltanto che
Soltanto che Lei, tagli corto Guzzo, da qualche tempo in qua, approfittando non senza
ipocrisia della mia fiducia, si messo parecchio a scantinare. Scantinamus, s, scantinamus: e
molto, anche. Li vedo, sa, Lei e il suo compagno di banco, parlare indefessi sub tegmine manuum,
Lei soprattutto! Coshanno? Si sentono (erroneamente) belle promossi? Oppure la primavera,
che sentono? Cattolica si volt, come per invocare la mia testimonianza. Tuttavia non disse
niente. Torn a guardare verso Guzzo, i cui occhi stavano compiendo, frattanto, una lentissima
ricognizione dei banchi.
Mi domando, disse infine Guzzo, se non sia il caso di procedere senzaltro indugio alla
separazione di una coppia, come la Loro, ormai affiatata anche troppo bene. Ad ogni modo, caro
Cattolica, Lei avvisato. Se la coglier a chiacchierare unaltra volta, la mander laggi nellultimo
banco, vicino a quel sant'uomo di Pulga Luciano. Capito?
E, sfoderata la stilografica e spalancato il registro, si immerse nella stesura di una lunga nota di
biasimo.
Per strada no, non tentavamo nemmeno di appartarci, giacch, appena fuori, subito si
riformavano i soliti schieramenti, e Luciano, anche lui, era pronto ad attaccarmisi alle costole per
non lasciarmi, molto spesso, prima di avermi accompagnato fino a met di Giovecca, allangolo di
via Terranuova. Ma a parte i pomeriggi che ci vedevamo a lezione di ginnastica (furono altri due,
almeno), cominciammo a telefonarci: generalmente la sera, prima dandare a letto.
Di che cosa parlavamo, nel complesso? Non lo so, me ne sono dimenticato.
Posso supporre che parlassimo dei professori, dei compagni, dei libri che stavamo leggendo
(avevamo gusti diversissimi: io prediligevo i romanzi di cappa e spada e davventure, Dumas,
Ponson du Terrail, Verne, nonch lEnciclopedia dei Ragazzi; lui, pi serio, i libri di divulgazione
scientifica e le biografie romanzate delle Scie): di cose senza reale importanza, insomma, a
paragone di ci che stava bollendo in pentola. Ma poteva essere diversamente? Il suono delle
nostre parole era linchiostro con cui la seppia intorbida lacqua circostante per sfuggire a
uninsidia. Al riparo di quellinchiostro sonoro, come due seppie, continuavamo a studiarci, a
sfiorarci lun laltro, protendendo in avanscoperta cauti tentacoli.
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Ci che Cattolica mi diceva di Boldini e Grassi, invece, lo ricordo eccezionalmente bene.


Contro ogni mia aspettativa, nei loro riguardi Cattolica ostentava una strana libert di giudizio.
Boldini, secondo lui, possedeva senza dubbio un ottimo cervello: scarseggiava di fantasia, per,
di quellestro da cui non va mai disgiunta la vera intelligenza. Molto ordinato, puntuale come un
orologio svizzero, pignolo alleccesso, era troppo chiuso, come carattere, troppo egoista. Da sei
anni che si conoscevano, lui non era mai riuscito a farci assieme un discorso filato, mai un
ragionamento vero e proprio: ad ogni suo tentativo, sempre, in risposta, i soliti grugniti, il solito
fischiettare fra i denti, le solite improvvise pacche sulla schiena. Era molto forte, questo s: anzi
fortissimo. Non era affatto una balla, per esempio, che il mese scorso, col termometro
praticamente sottozero, avesse attraversato il Po a nuoto allaltezza della Giarina. Ma era un
mediocre, tutto sommato: e il suo culto della vigoria fisica (non lo sapevo? Ogni mattina faceva ben
mezzora di esercizi coi manubrii!) ne era la prova migliore. Quanto a Grassi, poi, quantunque,
come tipo di testa e di carattere, fosse lopposto di quellaltro, non valeva granch nemmeno lui.
Leggeva molto, sapeva un sacco di cose, ma alla fine, stringi stringi, che cosa ne ricavava? Una
gran confusione mentale: ecco cosa ne ricavava! Boldini, lui, non leggeva mai nessun libro
allinfuori di quelli scolastici: e faceva male, si capisce. Ma Grassi, e faceva peggio, ne leggeva
troppi, e a casaccio, col bel guadagno di imbottirsi il cranio di stoppa, e di una miopia
continuamente in crescita. Buono? Con quella sua aria malaticcia alla Silvio Pellico, ci teneva
moltissimo a passare per tale. Che fosse un ragazzo schietto, tuttavia, un amico su cui si potesse
contare La maturit, lequilibrio, larmonia delle diverse facolt dello spirito e del corpo, la
capacit di guardare fissi alla meta: di questo difettavano entrambi, tanto Boldini quanto Grassi.
Attraverso queste sue critiche risultava evidente, in lui, il proposito di mettere me e se stesso
su un piano diverso e superiore, disposto, pur di ottenere il suo scopo (ma era proprio questo lo
scopo che perseguiva?), a fare lelogio indiretto di quellestro e di quella fantasia che
caratterizzavano la mia intelligenza, se vogliamo, non certo la sua. Io, per, non abboccavo. A
sentirlo esprimersi in quel modo nei confronti dei suoi amici migliori, di quelli stessi coi quali, poi,
durante i compiti in classe, continuava a collaborare non meno strettamente di prima, ne diffidavo
pi che mai.
Lo ripagavo parlandogli bene di Luciano. Il quale non era affatto uno sciocco -dicevo -, e
neppure quellipocrita che tutti quanti pensavano che fosse. Capivo come potesse riuscire alquanto
sgradevole, daspetto, e anchio, da principio, proprio per questo motivo, avevo dovuto superare
non poche resistenze interne. Per se uno dovesse scegliersi i propri amici soltanto in base
allaspetto fisico, lumanit starebbe fresca! - esclamavo -, addio carit cristiana! Quando Pulga era
arrivato a Ferrara - proseguivo, mio malgrado commovendomi -, era solo, solo come un cane. Non
conosceva nessuno, e mancava di tutto: perfino dei libri su cui studiare. La sua famiglia, allora, non
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aveva nemmeno la casa; vivevano accampati allalbergo Tripoli, in piazza Castello. Potevo, nelle
condizioni in cui era, rifiutargli lassistenza e lospitalit delle quali aveva tanto bisogno? Certo, s:
sebbene, a valutarlo per quello che valeva veramente, non fosse per niente uno sciocco (era fatto
cos: si atteggiava a poco bravo pi per non pagar dazio che per altro), laiuto che uno poteva
cavarne studiandoci assieme era molto relativo. Daccordo. Tuttavia nemmeno le facolt
intellettuali rappresentano il vero cemento dellamicizia.
E da che cosa sarebbe rappresentato, secondo te, il vero cemento dellamicizia?, mi
domand a questo punto Cattolica, una sera.
Stavamo telefonandoci. La frase, preceduta da una risatina sarcastica, mi colse di sorpresa.
Non so, risposi, difficile dirlo. Com mai che due diventano amici? Per il fatto che sono
fondamentalmente simpatici luno allaltro, immagino. Ma tu, piuttosto, si pu sapere perch mi
chiedi una cosa simile?
Cos, fece misteriosamente, non c nessun perch. Volevo soltanto sentire il tuo illuminato
parere in proposito. Dunque: il vero cemento dellamicizia consisterebbe, e torn a ridacchiare,
nella simpatia reciproca. Dico bene?
Certo, confermai.
Sul momento non disse altro: n pro, n contro. Ma la sera successiva, sempre al telefono, fu
lui a intavolare di nuovo la questione. Cominci dichiarando di aver molto meditato su quanto gli
avevo detto il giorno prima (anchio, al pomeriggio, stando con Luciano, e sentendo insorgere
dentro me stesso, una volta di pi, ripugnanza e timore, anchio non avevo potuto esimermi dal
ripensarci). Ebbene s, era giusto - prosegu, assumendo quel tono da primo della classe che me lo
rendeva, spesso, cos odioso -: amicizia e amore, come parole, hanno il medesimo radicale, am; e
se lamore , in sostanza, desiderio di concordare, di identificarsi con laltro, di sentire assieme con
laltro (sun-pathin), ne consegue che la simpatia sta alla base anche dellamicizia. Per, adesso,
gli permettevo di rivolgermi una domanda?
Di pure.
Colsi attraverso il filo una sua leggera esitazione. Quindi:
Parliamoci chiaro, fece con voce curiosamente trafelata. Ti sul serio simpatico, Pulga?
Ma s, risposi sollevato, ridendo, gi te lho detto.
Perch non dovrebbe essermi simpatico? Non sar unaquila; certe volte sar magari anche un
po noioso e entrante: in fondo, per, un buonissimo ragazzo. Voialtri, te e tutti gli altri, gli avete
subito chiuso le porte in faccia soltanto perch Va un po a saperlo, perch! E invece, poveretto,
non se lo meritava proprio, un trattamento simile.
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Confidavo che mi avrebbe dato ragione, riconoscendo alfine daver avuto torto e discolpandosi.
Viceversa non raccolse minimamente le mie accuse.
Sei mai stato a casa sua?, chiese.
No. Perch? Viene sempre lui
E scusa, seguit, di nuovo esitando. Sempre in materia di simpatia reciproca ritieni
di essergli simpatico, tu, a lui?
Mi colp la domanda, e, pi, il tono della sua voce: incerto e furtivo, dapprima, e poi, dun tratto,
risoluto: come di uno che, lungamente dubbioso fra due strade, una piana e agevole, e laltra
impervia e pericolosa, si decida da ultimo per la seconda. Non comprendevo. Dove voleva parare?
Risposi che tutto mi lasciava credere (provai nuovamente a ridere, a questo punto, e ci riuscii)
di essere ricambiato.
Ne sei ben sicuro?, insinu, grave.
Io, per me, s. Come ti dicevo, sempre stato lui a cercarmi. Se non gli fossi simpatico, invece
che venire tutti i santi giorni a casa mia, andrebbe da qualcun altro, no? Magari, aggiunsi
ironico, da te.
Sospir.
Come sei ingenuo!
Ingenuo?, chiesi. E perch?
Tuttavia non voleva spiegarmi per quale motivo mi considerasse tale. Cosicch, per
convincerlo a parlare, o meglio, usando la stessa frase che us lui, a sputare una buona volta il
rospo che da tanto tempo gli pesava sullo stomaco (dovevo sentirlo Pulga, il mio caro Pulga sbott finalmente -, le belle cose che andava dicendo in giro di me, dietro le mie spalle!), fui
costretto a insistere ancora parecchio.

IX.

Abbi pazienza, ma sei davvero troppo ingenuo, aveva detto Cattolica, e daltronde proprio
per questo che il suo modo di comportarsi mi indigna talmente. Mi dispiace essere costretto a fare
questa parte, devi credermi. Ma se lo sentissi, il tuo caro Pulga, le belle cose che va dicendo in giro
di te, dietro le tue spalle!

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Subito capii che non bluffava, che quello che aveva detto era la pura verit. E sebbene la
notizia, nella sua crudelt, mi avesse ferito profondamente (il cuore quasi mi si era fermato), ci
nondimeno per poco non proruppi in un finalmente! di gioia, s, di gioia. Ecco loccasione per
liberarmi di Luciano - pensai, in un lampo -. Eccola, finalmente!
Tuttavia mi dominai.
Non ci credo, dissi, seccamente.
Me laspettavo, fece lui. Ma se vuoi delle prove, posso anche dartele.
Non risposi, e riattaccai il ricevitore. Ero convinto che mi richiamasse. Chiuso nello sgabuzzino
del telefono, al buio, attesi qualche minuto. Invano. Dun tratto la porta si apr, e nello spiraglio
luminoso comparve il viso di mia madre.
Che cosa fai, l, seduto al buio?, chiese scrutandomi con occhi preoccupati.
Stavo telefonando.
A chi? A Cattolica?
S.
Com che vi telefonate tanto, da un po di giorni in qua?
Invece di risponderle, le sfiorai la guancia con un bacio e le augurai la buonanotte.
Faceva molto caldo, in camera mia. Appena entrato, e chiusa la porta a chiave, andai
direttamente a spalancare la finestra. Era una bella notte stellata: senza luna, ma ugualmente
chiarissima. Gi nel giardino, le forme degli alberi si stagliavano nette: qui la magnolia, pi in l
labete, e laggi, nellangolo opposto, dove terminavano gli archi del portico dingresso, il tiglio. Fra
aiuola e aiuola, il bianco latteo della ghiaia; e in mezzo allo spiazzo anche pi chiaro che si apriva
davanti alla scura cavit del portico, un punto nero, immobile: una pietra, forse, o magari Filomena,
la tartaruga centenaria di casa, di cui la mamma, a cena, aveva annunciato gioiosamente luscita
dal letargo invernale. Ehi, Filomena!, chiamai assurdamente, con voce soffocata, ehi!. Ma il
punto nero, pietra o tartaruga, non si spost.
Mi ritrassi, mi spogliai lentamente, e, senza chiudere la finestra, mi sdraiai supino nel letto, le
mani intrecciate dietro la nuca. Ero nudo, inerte. Su dal giardino veniva un profumo intenso di
piante, di erba. Pensavo a Luciano, naturalmente, ed ero pi che mai sicuro che Cattolica non
avesse mentito. Ma certo! - mi dicevo, compreso dellenorme ingiustizia che Luciano mi aveva
fatto, e continuando, insieme, a sentirmi leggero, felice, liberato da un gran peso -. Ma certo! - mi
ripetevo -. Come mai avevo potuto essere cos cieco da non accorgermi da solo che Luciano era
un traditore? Cercavo di sdegnarmi, di montarmi.
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Che porco!, borbottavo fra i denti, che carogna!. Domani, a scuola - progettavo -, avrei
affrontato immediatamente il Giuda. Gli avrei chiesto con brutalit: Dunque cos, eh? Dunque
vero che parli male di me, eh?; e senza aspettare che lui negasse o confermasse, lo avrei
schiaffeggiato davanti a tutti. Vedevo la scena: io rosso, gli occhi fuori della testa, i pugni alzati a
picchiare: stile James Cagney; lui, il piccolo miserabile, lignobile, piccolo gangster sorpreso con le
mani nel sacco, a contorcersi ai miei piedi, cercando di proteggersi la faccia livida, tumefatta, col
dorso delle mani; e gli altri, in silenzio, a fare cerchio attorno. Infierivo, lo massacravo di botte.
Luciano non si difendeva: si limitava a ripararsi il viso con le mani di cui mi mostrava i ripugnanti
palmi callosi, e non piangeva neanche: le pigliava, e basta.
Mi vedevo con limmaginazione picchiare senza piet: e il membro frattanto mi si era indurito
come quando, da bambino, attraverso la porta socchiusa di cucina, spiavo non visto la cuoca (Ines,
si chiamava: un pacifico donnone di campagna, dallaria materna) sventrare un pollo.
Lindomani, non appena mi fui svegliato da un sonno senza sogni, di piombo, ogni cosa
assunse una dimensione diversa. Ero sempre deciso ad approfittare dellopportunit che mi si
offriva di troncare con Luciano, affrancandomi una buona volta dalla schiavit dellincubo
mostruoso che da tanto tempo offuscava, segreto e inconfessabile, le mie giornate; ma il mio ruolo
di giustiziere mi apparve subito assurdo, ben difficile da attuare. E con Luciano, anzi, fermo ad
aspettarmi allangolo tra la Giovecca e via Borgoleoni (aspettava me, non cera dubbio: scorgerlo, e
sentirmi afferrare da un oscuro senso di colpa e di paura, era stato tuttuno), mi studiai di
comportarmi come al solito, come se niente fosse accaduto. Ci eravamo incamminati assieme
verso il Guarirli nella mattina azzurra, fresca e soleggiata, parlando del pi e del meno. Ogni tanto
lo sbirciavo. Era pi che mai piccolo, debole, misero nei suoi calzoncini di vigogna grigia, nelle sue
secche gambette da fenicottero. Ma la sua fronte verticale a bauletto, sede di tanta malizia
(Cattolica aveva parlato di prove: ebbene, s, soltanto con delle solide prove in mano ci sarei
riuscito, forse, a saltargli addosso!), quella non osavo quasi guardarla.
Lungo il corridoio dingresso, nella solita calca di tutte le mattine, scorsi Cattolica. Camminava
con Boldini e Grassi, alto e snello fra i due, e mi guardava serio, sostenuto. Finsi di non averlo
visto. In classe, tuttavia, mentre aspettavamo che la lezione cominciasse, fu lui a parlare per primo.
Bel modo di fare, disse, con un viso tra offeso e disgustato. Si pu sapere per quale
ragione mi hai chiuso il telefono in faccia, ieri sera?
Scusa, mormorai. Non so neanche io perch.
Ci credi o non ci credi a quello che ti ho detto di Pulga?
Pallido, magro, mi fissava coi suoi occhi neri, ardenti di fanatismo in fondo alle orbite: simili a
quelli, pensavo, di un monaco medioevale. Capivo bene come non fosse spinto da nessun altro
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desiderio allinfuori di quello di umiliarmi; ma avevo bisogno di lui, adesso, e non potevo scegliere
diversamente.
Ci creder, risposi, quando me ne avrai dato le prove.
Entr il professore, non so chi, e dovemmo tacere. Ma nel corso della mattinata, riparandosi,
more solito, le labbra con la mano, Cattolica ripigli pi volte il discorso. Era difficile parlare, cos a
pezzi e bocconi, attenti come eravamo a non farci sorprendere, per parlavamo ugualmente.
Giusto - aveva cominciato lui -: giustissimo che pretendessi delle prove. Se non volevo altro,
tuttavia, non avevo che da venire a casa sua.
A casa tua!
Sicuro. Convoco anche Pulga, e cos sentirai tu stesso, che razza di musica.
Ma cos che dice, insomma?
Se aspetti che te lo dica io, rispose con una smorfia di ribrezzo, credo che dovrai aspettare
per un bel pezzo. Odio i pettegolezzi. Puah!
Sentire!. Lidea di un confronto, ora, mi spaventava. Ma in che modo?
Vieni, ti dico. Ho un piano molto preciso per farlo cantare. Non aver paura.
Quando quand che dovrei venirci?
Anche oggi, se vuoi.
E a che ora?
Oh, allora che ti pare, fece premurosamente, lora che ti fa comodo. Alle quattro, alle
cinque, alle sei, alle sette Ti ripeto: vieni quando vuoi. Basta soltanto, e sorrise, che tu sappia
dirmi con precisione lora. Capisci perch, vero?
Accennai con lindice alle schiene di Boldini e Grassi.
S, conferm lui. Ci saranno anche loro. necessario.
Esitavo ancora, ma finii con laccondiscendere. Dissi che mi sarei sbarazzato di Pulga con una
scusa qualsiasi, e che alle sei, sicuramente, sarei stato a casa sua.
Sii puntuale, si raccomand. Altrimenti, rischi di incontrarlo sulla porta.
Alluscita, ecco Luciano affiancarmisi. Ero tranquillo, adesso, deciso.
A proposito, dissi, quando fummo arrivati in cima a via Borgoleoni: sar meglio che tu non
venga, questoggi.
Inarc le sopracciglia.
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No? E perch?
Nellandrone del liceo, poco prima, avevo visto Cattolica dirgli qualcosa, lui rispondere, e,
quindi, annuire in silenzio. Che ipocrita! - pensai -. Come era bravo a fingere, lurido verme
schifoso!
Ho un impegno, risposi, asciutto, evitando il suo sguardo azzurrino in cerca un po
ansiosamente del mio, e fissando le goccioline di sudore che gli imperlavano il labbro.
Un impegno!
Accennai di s. Poi aggiunsi, dun fiato:
Devo andare con la mamma da mio zio Giacomo, a farmi visitare.
Come mai?, chiese. Ti tornato il mal di gola?
Eh gi, confermai, mostrando di deglutire a fatica. Credo che lo zio abbia in mente di farmi
delle punture.
Il pap contrario, alle iniezioni, ma lo zio no, si pu dire che non ordini altro.
Mi fiss con una strana espressione: rattristata, cupa. Come se indovinasse che mentivo.
Come se avesse indovinato tutto.
Capisco, disse. E a che ora ci vai, da tuo zio? Perch, se per caso ci andassi tardi allora
potrei venire da te un pochino prima del solito: magari sulle tre, tre e mezza.
No. meglio di no. Non so proprio a che ora lo zio potr riceverci. Quando in ambulatorio,
non ci sono storie: bisogna aspettare l, buoni buoni, che lui telefoni, e questo pu succedere in
qualunque momento del pomeriggio: presto, come tardi.
Ci eravamo fermati a discorrere sullangolo di Giovecca, nello stesso punto dove lavevo
incontrato la mattina; e l ci separammo, io piegando come al solito a sinistra, e lui, per quella volta,
rinunciando ad accompagnarmi fino allincrocio di via Terranuova, e invece proseguendo in
direzione della piazza e di Porta Reno.
Alle sei, precise, suonavo il campanello di casa Cattolica.
Venne ad aprire lui (non mi salut nemmeno), e fu lui, scesi i tre gradini di cemento davanti alla
porta, a caricarsi in spalla la mia bicicletta e a precedermi in un piccolo ingresso.
Fuori, era ancora molto chiaro: avevo attraversato la citt da oriente a occidente, col sole
basso negli occhi. Ma nellingressino di casa Cattolica, privo di finestra e mal rischiarato dalla luce
di una sola lampada da poche candele, faceva buio, quasi non ci si vedeva. Era un andito freddo,
che puzzava dumidit, disadorno: col pavimento di scure piastrelle specchianti e scivolose, un
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enorme attaccapanni nero, uso antico, dritto contro la parete a lato della porta di strada, la
scaluccia nuda, scheletrica, della stessa qualit di cemento dei tre gradini esterni, che saliva in
angolosa spirale al piano di sopra, e di fronte, sotto la scala, un uscio a vetri, socchiuso, di l dal
quale si scorgeva un tinello attraversato da un melanconico raggio solare. Accatastate una
sullaltra contro lattaccapanni, cerano tre biciclette. Una, la prima, era quella di Cattolica, la Majno
grigia. Egli accost al mucchio anche la mia, quindi, pentito, torn a mettersela in spalla.
Che cosa fai?, chiesi in un bisbiglio.
pi prudente che la porti di qua in tinello, disse, anchegli bisbigliando, e avviandosi verso
la porta a vetri. Furbo com, se ne accorgerebbe certamente.
Sono gi arrivati, gli altri?, chiesi ancora, riconoscendo le biciclette.
Era gi sparito nel tinello.
Come?, domand, alzando la voce.
Chiedevo se Boldini e Grassi sono gi arrivati.
Riapparve.
Certo, rispose, e non mi guardava, intento a pulirsi accuratamente le mani col fazzoletto.
Lui davanti e io dietro, senza pi scambiare una parola, salimmo su per la scala fino a
raggiungere, in cima, una specie di anticamera ancora pi angusta e spoglia dellingressino
sottostante, e come sospesa su questultimo. Dallunica finestra, che dava evidentemente su via
Cittadella, si faceva strada attraverso le tendine rosa una luce incerta: non meno incerta di quella
artificiale del piano inferiore. Appoggiato alla parete di fondo, opposta e parallela alla ringhiera di
ferro che, come quella duna terrazza, delimitava la tromba delle scale, intravidi tuttavia, anche qui,
un nero attaccapanni, carico di buia roba appesa. A sinistra, due porte, entrambe chiuse: ma dalle
fessure del legno, e dalla toppa della serratura della pi vicina, filtrava una luce sanguigna,
impetuosa, vivissima.
Aperta la porta, Cattolica si immerse di spalle in quella luce.
Entra, entra pure, sentii che diceva.
Bench abbacinato (non si trattava di luce elettrica, come sul momento avevo supposto, ma del
sole che, vicino a tramontare, prendeva dinfilata la stanza), entrai volgendo stupito gli occhi
attorno.

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X.

Lambiente era grande: addirittura una specie di sala, con una larga finestra orizzontale, laggi,
che occupava met della parete esposta a occidente, e una seconda finestra, pi piccola, che
guardava a mezzogiorno, verso viale Cavour, lAcquedotto, e i prati della Spianata. Ma subito,
appena entrato, mi resi conto, oltre che della presenza di Boldini e Grassi, seduti in controluce,
quaderni e libri davanti, ad un gran tavolo rettangolare, dei due scaffali di legno chiaro, uno
dirimpetto allaltro e pieni di bei volumi rilegati, del divano di lucida pelle scura, al centro,
fronteggiato da un tavolino basso e da un paio di poltrone della stessa pelle, del parquet tirato
impeccabilmente a cera e nascosto quasi per intero da tappeti, del letto, a lato della porta, che
ostentava una soffice coperta di lana ripiegata con cura dalla parte dei piedi, e accanto, allaltezza
del capezzale, un grazioso comodino: dellaspetto lussuoso della camera, insomma, certo di gran
lunga la pi ampia e bella di tutta la casa, e a paragone della quale perfino il mio studio, tanto
ammirato e lodato da Luciano, ci faceva la figura duno stambugio. Dopo tutto non aveva granch
esagerato, Cattolica - pensavo -, quando si era vantato del suo tavolo, sostenendo che attorno ad
esso avrebbe potuto raccogliere benissimo lintera prima liceo, donne comprese! E una volta di pi,
indovinando dietro quellagio da piccolo nababbo viziato il fanatismo di due genitori decisi a
qualsiasi sacrificio purch lui, ladorato figlio unico, raggiungesse i pi luminosi traguardi della
carriera e della vita (il fanatismo della madre professoressa di matematica, soprattutto, a braccetto
della quale lavevo visto arrivare a scuola qualche mattina: una donna alta, pallida, magra, occhi
dardeggianti dal fondo di due orbite profondamente incavate, e capace, a quanto si sapeva, di dare
lezioni private al ritmo di dieci o dodici al giorno), una volta di pi sentivo afferrarmi dalloscura
antipatia mista dinvidia che fin da principio avevo provato per il mio compagno di banco.
Dopo aver scambiato un semplice ciao con Boldini e Grassi, mi misi a sedere ad una
estremit del lungo e stretto tavolo. Avevo, di fronte, la testa di Boldini, mezzo nascosta dietro una
grossa lampada sormontata da un paralume di seta verde, Grassi a sinistra, e Cattolica, che si era
seduto anche lui, e aveva cominciato a parlare rapidamente, a destra. Ero inquieto, pieno, oltrech
dansia per larrivo di Luciano che credevo imminente, di diffidenza e di rancore. Ma Cattolica, lui,
non sembrava n inquieto n premuroso di mettermi al corrente del suo piano. Chiacchierava
volubilmente, intrattenendo lospite, lestraneo. Ben volentieri mi avrebbe offerto qualcosa - diceva,
i neri occhi scintillanti, frenetici -: senonch (ma in fin dei conti era molto meglio cos), in casa non
ceravamo che noi, sua madre non sarebbe rientrata prima delle nove Ora riassumeva, si
scagionava. Diceva che gli dispiaceva, gli dispiaceva sinceramente. Non era mai stato nelle sue
abitudini, nel suo stile, usare le vie traverse: anche nei confronti di tipi del genere di un
Pulga. Daltra parte la colpa non era stata tutta sua. Lui, dovevo ammetterlo, nei giorni passati si
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era adoperato come meglio aveva potuto perch gli occhi mi si aprissero da soli. E in che modo, io,
lavevo ripagato dei suoi sforzi? Non solamente avevo fatto fino allultimo orecchie da mercante,
ma avevo assunto una certaria, nei suoi riguardi, come se, invece di Pulga, il vero traditore e la
vera canaglia fosse stato lui. E cos lui a un certo punto si era stufato. Rendendosi conto che
qualunque cosa avesse detto sarebbe stata male interpretata, e non sopportando pi a lungo di
passare per uno che vuol intromettersi subdolamente fra due amici, aveva pensato che lunico
sistema utile a convincermi della sua buona fede fosse quello di farmi toccare con mano, come
San Tommaso. Adesso avevo capito, grazie a Dio, e gli credevo. Per domandassi ugualmente a
lui - e indic Boldini -, o a lui - e indic Grassi -. Era vero, o no - chiese, ai due, senza darmi il
tempo di fiatare -, era vero o no che Pulga, le tre o quattro volte che era venuto a studiare assieme
con loro (era successo un mese fa, circa, durante la decina di giorni che ero stato ammalato),
aveva detto continuamente, di me, le cose pi odiose? Pi che stare seduto l, dove adesso
sedevo io, copiando a man salva e sparlando ad ogni occasione di me, sembrava che non fosse
capace di altro E badassi bene: si accaniva contro di me spontaneamente, intendiamoci!, senza
mai essere provocato; mostrando inoltre un gusto tale, a dirne sul mio conto di cotte e di crude,
che lui, una volta, non si era potuto trattenere dal chiedergli se, per caso, io non mi fossi
comportato male, se non gli avessi fatto qualcosa. Al che il disgraziato aveva avuto il coraggio di
assicurare che no, per carit: che io, quanto a me, non gli avevo fatto un bel niente: ma che daltra
parte questa circostanza non poteva impedirgli di giudicarmi obbiettivamente (obbiettivamente,
capivo?) per quello che ero e che valevo.
Ascoltavo senza replicare. Quando Cattolica, puntando febbrilmente lindice ossuto, mi aveva
incitato a rivolgermi a Boldini e a Grassi, gli avevo ubbidito passivamente: avevo distolto lo sguardo
da lui, e lo avevo posato prima sulluno e poi sullaltro. Agli vero, o no? dellamico, il primo
aveva risposto annuendo gravemente, e intanto, imbarazzato, fissava le proprie mani congiunte
sopra il tavolo. Quanto al secondo, curvo, quasi schiacciato, sul quaderno su cui stava disegnando
un pupazzo, sembrava non avere nemmeno udito; ma il suo silenzio significava la stessa cosa: che
era daccordo, cio, i fatti stavano effettivamente come Cattolica li esponeva. Erano ben diversi, sia
luno sia laltro - pensavo -, da come li avevo sempre visti a scuola! I capelli di Boldini, per esempio,
non erano affatto biondi, bens rossicci. E la forza fisica che Cattolica gli attribuiva - un particolare
su cui non avevo mai fermato veramente lattenzione - soltanto ora, che gli guardavo le mani
incastrate con violenza una dentro laltra quasi a farne un unico pugno, enorme, soltanto ora mi
appariva evidente. E Grassi? Anche Grassi era diverso. Cattolica lo aveva paragonato a Silvio
Pellico. Giusto. Tutto assorbito dal disegno del suo pupazzo, ogni tanto tirava fuori la punta della
lingua, che lasciava qualche istante l, ad affiorare grigia dallangolo della bocca. Giusto.
Veramente azzeccato, il paragone.
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Dun tratto mi ero alzato, mi ero avvicinato alla finestra, accostando la fronte ai vetri. Sparito da
qualche secondo dietro lo zuccherificio davanti alla stazione, il sole non dava pili fastidio, e la vista
dello spazio, tutto orti e giardini, che si stendeva fra casa Cattolica e le mura ur bane, e poi, di l da
questo, della pianura sconfinata, mi aveva fatto improvvisamente desiderare di essere l, fuori,
insieme con quei ragazzetti che, in cima alla Mura, stavano rincorrendo un pallone, oppure l, su
quellaccelerato che lentamente, a finestrini abbassati, usciva proprio in quellattimo dalla stazione,
oppure l, in fondo, lungo la bella strada asfaltata di Pontelagoscuro, su quel piccolo tram giallo,
minuscolo come una scatoletta di latta, che, trolley al vento, si allontanava beccheggiando verso la
nera riga dellargine destro del Po. Ormai doveva cominciare a far fresco, fuori - mi dicevo -; e se
non oggi, domani sera, certo, a questa stessa ora (domani sera a questora tutto sarebbe gi finito
da un pezzo!), avrei preso la bicicletta, e via, sarei andato per mio conto a vedere il Po. Il Po in
piena. E da solo, finalmente: dopo aver smascherato Luciano: dopo aver troncato con lui, s, ma
anche con tutti gli altri: da solo per sempre.
Che razza di disgraziato!, ripet Cattolica. Quando penso che al mondo c della gente
come Pulga, mi sento rivoltare il sangue.
Mi girai. Non vedevo lora di farla finita.
Ma verr, poi?, chiesi, guardandolo, credo, con odio.
Sta sicuro. Pur di intrufolarsi nelle case degli altri, chiss quanti chilometri sarebbe disposto a
macinare in un giorno, quello l, con quei suoi due stecchi di gambine. Sai certi cani bastardi, che
basta fargli un fischio e subito accorrono trottando e scodinzolando? Ecco: Pulga, da autentico
meteco, cos. Smania dintrufolarsi, capisci?, e mica tanto perch abbia bisogno di qualcosa!
questione di carattere, semplicemente - ed era anche a me che si riferiva, adesso, era anche me
che copertamente insolentiva. - Io, vedi, sar perch non sono un bastardo e nemmeno un
meteco, e anzi, a dir la verit, le mescolanze non le posso soffrire, mi fanno venire una specie di
pelle doca, io non sto bene che a casa mia, mentre, al contrario, c al mondo della gente che a
casa propria non ci si pu vedere
A che ora gli hai detto di venire?
Consult il suo bellEberhard da polso, di metallo cromato, e storse le labbra.
C tempo. Gli ho detto e ripetuto che non si faccia vedere prima delle sette, e siccome
ubbidiente, abbiamo ancora venticinque minuti buoni per metterci daccordo.
Nonostante avesse parlato di un suo piano per farlo cantare, mi ero messo in testa, chiss
perch, che avesse preparato per Luciano una specie di processo: con lui, Cattolica, a far la parte
del presidente del tribunale, Boldini e Grassi quella, insieme, dei giudici a latere, dei testimoni e dei
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carabinieri, e noi due, io e Luciano, a contrastare a parole al cospetto della corte. Avevo pensato a
un confronto diretto, in sostanza: e durante le ultime ore era stata proprio questa prospettiva, del
confronto diretto, a stringermi a mano a mano lo stomaco in una morsa dangoscia sempre pi
opprimente. Sicch fu con autentico sollievo che appresi da Cattolica come il suo famoso piano
non prevedesse affatto la mia presenza, nella stanza, e quindi nessuna scenata. Allarrivo di
Luciano, io avrei dovuto solamente trasferirmi nella camera accanto (cos dicendo, Cattolica
accenn a una porta, di cui non mero accorto, alle spalle di Boldini), dalla quale, non visto, avrei
potuto ascoltare con la massima comodit tutto ci che il tipo, opportunamente interrogato,
sarebbe tornato di sicuro a spifferare sul mio conto. Non dovevo muovermi. Dovevo soltanto stare
a sentire, ecco tutto, lasciando a loro tre il compito di sbrigare il resto. Ma intanto: andassi per
favore un momentino di l, nella stanza in questione (era la camera da letto dei suoi genitori),
avendo cura di lasciare la porta socchiusa. Era necessario, dessi retta a lui: se non altro perch mi
rendessi conto in anticipo di come avrei sentito.
Non vederlo, Luciano! Non esser costretto a guardargli la faccia mentre Cattolica lo faceva
parlare! Travolto da un senso improvviso di euforia, non mi feci pregare, e, staccatomi dalla
finestra e passando dietro Boldini, scivolai nella stanza attigua.
Cera buio, l dentro, almeno cos mi parve: un buio fitto, da cantina. Mi misi di fianco alla
porta, gli occhi fissi allo spiraglio.
Dissi, allegro:
Parlate, parlate pure!
Vedi, Gianni, cominci a dire tranquillo Cattolica, rivolto a Boldini, secondo me non
assolutamente il caso che
Eh, gi, faceva laltro, eh gi
Ci senti?, chiese Cattolica, alzando la voce.
Benissimo!, gridai. Ci sento benissimo.
E tornai senzaltro nello studio.
Mi risedetti, ma adesso non sapevamo pi che cosa dire. Grassi aveva ripreso a disegnare;
Boldini guardava fuori, attirato, sembrava, dai piccoli stracci neri e svolazzanti dei pipistrelli, a volte
cos vicini ai vetri della finestra da dare limpressione che potessero sbattervi contro. Cominciava a
imbrunire. Anche Cattolica taceva. Sbirci di nuovo lorologio.
Che ora ?, domandai.
Mancano ancora dieci minuti.
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Scosse il capo, come scontento. Gli chiesi se per caso ci fosse qualcosa che non andava, e lui
neg, malinconico.
Insistetti, e allora lui ammise che s, qualcosa effettivamente non andava.
Forse stiamo sbagliando tutto, disse.
Aggiunse, quindi, fissandomi, che se me la fossi sentita, dopo aver lasciato chiacchierare ben
bene Pulga, di uscir fuori dal mio nascondiglio, e di somministrargli seduta stante la giusta
punizione che si meritava, e cio un bel fracco di botte, non era davvero il caso che mi facessi
riguardo: nessuno di loro tre avrebbe mosso un dito per impedirmelo. Anzi.
Ma come, esclamai. Qui?
Perch no? Pena rimandata, colpa mezzo perdonata. Mettiamo il caso che domattina, a
scuola, tu lo prenda in disparte, e cominci a dirgli: Sai Luciano - e si era messo a parlare nel
naso, con tono dolciastro, come se fosse quello il tono che usavamo abitualmente io e Luciano, nei
nostri discorsi -, sai, Luciano, ieri sera, da Cattolica, cero anche io, nascosto dietro una porta
. Ebbene, se tu cominci a dirgli cos, fa pur conto di essere belle fritto, caro mio. Imbroglione e
mnfano com, sta sicuro che Pulga riuscirebbe a convincerti che niente, che lui non intendeva,
che tu non hai capito, eccetera eccetera. Sarebbe capace magari di incacchiarsi, come no?,
sostenendo che queste cose non si fanno, che un tranello cos un amico non lo tira mai a un
amico, e che lui, comunque, essendosi subito accorto dellinganno, se ha parlato un po male di te
lo ha fatto apposta, allunico scopo di punire la tua perfidia Mi pare gi di vedervi, rise. E tutto,
come sempre, finirebbe nella solita bolla di sapone.
Aveva ragione. Anchio vedevo me stesso e Luciano: e poi, poco pi tardi, Luciano di nuovo a
casa mia, venuto per i compiti. Come niente fosse. Come se niente fosse accaduto.
Va bene, dissi, incerto, guardandomi attorno. Ma qui, come si fa?
Cattolica balz in piedi.
Ti preparo il ring.
In un baleno, da solo, trascin sotto la finestra laterale il divano di pelle e il tavolinetto; quindi,
dalla parte opposta, contro uno dei due scaffali, le poltrone. Arrotol infine sveltamente il tappeto
centrale, e and a nasconderlo sotto il letto.
Ecco qua, disse, rialzandosi tutto rosso, e tornando verso di noi.
Dallestremit opposta del tavolo, Boldini mi fissava coi suoi occhi azzurri, dello stesso azzurro,
di ghiaccio - osservai -, di quelli di Luciano. N lui, n Grassi, erano mai stati dei tipi loquaci, con gli
altri. Se parlavano, parlavano soprattutto fra loro e con Cattolica; ma bisbigliando fitto fitto come dei
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seminaristi, e pronti, in ogni caso, non appena qualche estraneo li avvicinava, a lasciare a Cattolica
il compito di esprimersi anche per loro.
Adesso Boldini mi guardava dritto negli occhi, e gi questo era eccezionale. Strinse quindi le
labbra, come a reprimere un tremito di timidezza, e mi chiese, serio, alzando il mento puntuto:
Non avrai mica paura, no?
Paura!, risi. Figurati!
Ma non pareva molto convinto. Cominci a chiedermi quanto pesavo; volle poi sapere quanto
supponevo che pesasse Luciano; concludendo infine che, secondo lui, mi sarebbe bastata una
sberla sola, data bene, per metterlo gi.
Si alz, pass dietro la schiena di Grassi, venne a sentire la consistenza muscolare del mio
braccio destro, e in questo frattempo (una volta tanto zitto, Cattolica si limitava ad annuire col
capo) seguitava a rassicurarmi circa lesito del prossimo match che, non dubitava, si sarebbe
concluso fulmineamente con un K.O. a mio favore, e a consigliarmi come colpire. Dovevo mirare
allo stomaco - diceva -, col sinistro; e quindi, subito, doppiare di destro, alla mascella. Era facile garantiva -; roba da niente.
Vieni qua che ti faccio vedere.
Lo seguii nel mezzo della stanza, al centro del ring predisposto da Cattolica. E stavamo ancora
l, sotto gli occhi imbambolati di Cattolica e di Grassi, uno di fronte allaltro come il maestro di boxe
e lallievo, e intenti a provare e riprovare la mossa - come diceva lui -, quando sentimmo suonare
il campanello.

XI.

Poco prima, nei rapidi istanti che cero rimasto, la camera da letto dei genitori di Cattolica mi
era sembrata immersa nelloscurit pi completa. Non era cos. Fu sufficiente che ci tornassi
(come prima, mi ero addossato al muro divisorio, di fianco alla porta socchiusa), e dopo qualche
secondo gi vedevo che mero ingannato, un lume cera.
Avevano gi acceso la lampada da tavola, di l. La luce di essa, insinuandosi attraverso lo
spiraglio delluscio di comunicazione, era una lista bianca che tagliava netta, ai miei piedi, il
pavimento di cupe piastrelle esagonali, identiche a quelle del pianterreno, ma che prima di toccare
la parete opposta, e arrampicarvisi, poi, verticalmente, fino a raggiungere il soffitto, non incontrava
sul suo cammino nessun oggetto. Il lume flebile flebile, da cripta sotterranea, che si spandeva
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attorno nella stanza - non grande, daltronde: nemmeno la met dello studio attiguo -, lo produceva
soprattutto una minuscola lampadina da un quarto di candela, accesa sotto unimmagine sacra
campeggiarne al centro della parete alla mia destra. E bastava da solo a porre in evidenza, oltre
allimmagine stessa - che era quella di un Ges dagli occhi azzurri e languidi, la chioma bionda
scompartita nel mezzo da una perfetta scriminatura, le labbra di corallo appena schiuse sulle punte
di due dentini candidissimi, nonch la mano dalabastro, femminea, alzata mollemente a indicare
un cuore rosso e grosso, piazzato come un frutto mostruoso in cima al petto -, anche le sottostanti
sagome parallele di due letti affiancati e divisi, massicce come lastre tombali, e sullo sfondo, quasi
stessero l a vegliarle, le moli nerastre di un com e dun armadio.
Ero teso, attento, ma calmo. Fissavo, l, limmagine del Ges, quel rosso cuore esorbitante; e
anche il mio, che da principio mi batteva duramente in gola, ormai si era quietato. Non ero pi l,
del resto, a pochi metri di distanza dalle voci di Cattolica e di Luciano che, dopo essere saliti
adagio su per le scale, ancora indugiavano a chiacchierare nellanticamera. No, non ero pi l. La
stanza che mi nascondeva mi si era configurata dun tratto come un luogo infinitamente pi
segreto, remoto, e perfino tenebroso, di quanto non fosse in realt: un punto perduto in grembo a
uno spazio immenso, vasto come loceano
Seduti tutti e quattro attorno al tavolo, Luciano, indovinavo, al posto che fino a qualche minuto
prima avevo occupato io, quando e in che modo vennero a parlare di me?
Disponevano di due ore; e anche per questo, forse, a parte il gusto che certamente provava a
tenermi sulla corda, Cattolica non si dava nessuna cura di stringere i tempi. Stava a sentire.
Paziente e sornione come il gatto col topo, ascoltava il topo sciorinare pianamente la sua fluida
parlantina bolognese. Parlava di cose piuttosto secondarie, Pulga, anche lui tergiversava. Ebbene?
- sembrava voler dire Cattolica, mantenendosi quasi sempre silenzioso -, ebbene? Si sbizzarrisse
pure, la canaglietta, facesse pure del suo meglio per apparire divertente e interessante, per
ricambiare come poteva il dono inestimabile dessere stato accolto dove era stato accolto. Presto o
tardi (dal tono delle sue rare risposte, dei suoi misurati interventi nel ronzio ininterrotto della voce di
Luciano, capivo fino a qual punto Cattolica si sentisse sicuro di s), lui ne avrebbe fatto
esattamente ci che tutti insieme, io compreso, avevamo concordato di farne.
A lungo, dunque, per una buona mezzora, Luciano disse soltanto cose che, se mi
riguardavano, mi riguardavano indirettamente.
Aveva cominciato coi compiti, figurarsi. Aveva chiesto se avessero finito di farli. E siccome
Cattolica aveva risposto di s, che avevano finito proprio adesso, un attimo prima che lui arrivasse:
eh gi - aveva sospirato -, beati loro! Lui, al contrario, non era riuscito a buttarne gi che una parte,
il latino e litaliano s, ma il greco ancora no. No, grazie, grazie mille! - aveva quindi esclamato,
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dandomi a vedere, letteralmente, il secco scatto laterale della sua mandibola -: non cera nessun
bisogno che lui, Cattolica, gli imprestasse il suo quaderno. Per tradurre i novantotto versi dellIliade
assegnati da quel canchero di Guzzo, gli restavano lintera serata, dopo cena, e lindomani
mattina presto; senza dire che, una volta tanto, ci teneva a cavarsela da s. Ci teneva moltissimo aveva ripetuto, con forza -. E tanto pi perch poteva sembrare, qualora avesse approfittato della
sua cortesia, che fosse venuto fin l apposta per questo, mentre, se cera venuto, lo aveva fatto
allunico scopo di scambiare due chiacchiere in santa pace.
Dai compiti pass alla filosofia.
Razzetti doveva ancora interrogarlo - diceva -: cosicch quando, domattina, lui avesse finito di
tradurre lIliade, unocchiata anche al Fedone contava senzaltro di dargliela, non si sapeva mai
Ma a questo proposito: Razzetti, va bene, la filosofia non era la sua materia, tant vero che la
insegnava soltanto da quando era entrata in vigore la riforma Gentile, e andando avanti, come con
la storia, a forza dei suoi soliti specchietti e tavole sinottiche. Tuttavia Platone, in s, non era
almeno altrettanto insulso di quel povero vecchio di Razzetti? Non erano delle gran balle, quelle
del Fedone? E Socrate! Sempre con quella sua aria di sufficienza, da professore-che-sa-tutto, e
invece cos fesso, cos coglione! Meno male che alla fine (era andato a leggersela) gli davano sul
serio da bere la proverbiale cicuta, il che era lunico modo di cui disponessero per turargli la
bocca, in fondo, a quel rompiscatole presuntuoso Ma anche a prescindere da Platone e da
Socrate, secondo il suo modesto parere era la filosofia, nel suo complesso, a risultare una grossa
boiata. E loro, per favore, non stessero a dirgli che ci credevano.
Che cosa centra, obbiett Cattolica. La filosofia non mica la religione, che bisogna
crederci!
Scuserai la mia ignoranza, ma che cos, allora? Lento, bonario, indulgente, Cattolica
cominci a esporre ci che pensava, lui, della filosofia. E anche Grassi interloquiva, ogni tanto, e
perfino Boldini.
Sar come dite voi, ammise a un certo punto Luciano.
Intanto, per - aggiunse -, con quel poco di memoria che gli era rimasta a furia di di e di,
chiss che brutto voto avrebbe preso, lindomani mattina, se a Razzetti fosse saltato davvero il
ticchio di chiamarlo. Di scarsa intelligenza come sapeva di essere, con la memoria ridotta al
lumicino (non era mica Cattolica, lui, purtroppo, a cui bastava leggere qualsiasi cosa una volta
sola!), cercassero per piacere di suggerirgli, Boldini e Grassi, loro due che stavano l nel primo
banco!

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Ma per tornare al Fedone: indubbiamente, gi laveva detto, gli sembrava una gran massa di
chiacchiere. Tuttavia cera dentro una teoria, nel Fedone, doveva riconoscerlo, che sebbene fosse
probabilmente una balla anche quella, nondimeno lo aveva abbastanza convinto.
Scommetto che si tratta della teoria della metempsicosi, fece Cattolica.
Come hai fatto a indovinare?, chiese Luciano, ammirato. S, proprio quella.
Cattolica replic che se cera una cosa, nel Fedone, nella quale non credeva, era proprio la
teoria della trasmigrazione delle anime dagli uomini nelle bestie, e viceversa. Per crederci,
bisognava dare un calcio alla religione cattolica. E lui, da buon cattolico, credeva nellinferno, nel
purgatorio, e nel paradiso.
Non discuto, rispose Luciano, con compunzione. Per, nella metempsicosi, qualcosa di
vero sento che c.
Stesse ad ascoltare. Guzzo, per esempio - cominci a dire -, prima di nascere con due gambe
e con due braccia, Guzzo era stato magari un serpente velenoso: vipera o cobra, a scelta; e tale
sarebbe tornato ad essere non appena, a Dio piacendo, avesse tirato le calze. La Krauss che
lass, appollaiata nel suo gabinetto fra storte ed alambicchi, si dava tante arie da gufo reale,
poteva darsi che venisse da unanitra, invece, bastava guardarle il sedere. Mezzolitro, chiss, era
stato un lombrico: di quelli che, in campagna, sufficiente dare un calcio a una zolla, e se ne
vedono spuntare a bizzeffe, piccoli piccoli, s, ma tutti belli grassi e belli rosa.
E scendendo gi gi ai nostri compagni: niente di pi facile che Mazzanti fosse stato un topo,
bisognava soltanto decidere se da granaio, da cantina, oppure da chiavica; Chieregatti un mulo da
soma; Lattuga un maiale, naturalmente, o forsanche una jena, dato che le jene si cibano di
cadaveri, dei cadaveri dei cimiteri, e puzzano perfino pi dei maiali; Donado una cavia da
laboratorio; Camurri una talpa cieca; Droghetti, con quel naso, un dromedario; Selmi un cavallo: un
po brocco, per; Veronesi e Danieli, poveracci, due somari: di quelli col coso eternamente
penzoloni: e cos via. Ora, supponendo per un momento che la metempsicosi non fosse la balla
che forse era, tutti costoro sarebbero stati reintegrati, a suo tempo, nelle spoglie dorigine: salvo
Lattuga, il quale, con ogni verosimiglianza, sarebbe rinato verme: di quelli che sguazzano
nellintestino dinter in la mrda a mza gamba, dentro la merda a mezza gamba; e salvo
Mazzanti che, invece di resuscitare topo, sia pure da chiavica, cera caso che si ritrovasse piattola,
a farsi strada a fatica fra i peli di chiss chi.
Ti sei dimenticato delle femmine, osserv Cattolica.
Ma quelle l non contano. Non le hai viste, scusa? Da dove vuoi mai che vengano! Verranno
tutte quante dalle oche e dalle galline.
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Lo sentivo ridacchiare, tutto soddisfatto ed eccitato.


E io?, insistette Cattolica. Da dove potrei venire, io, secondo te? Coraggio.
Beh, tu potresti anche venire da un uccello: da un falco di quelli grossi, delle Alpi, da uno
sparviero, oppure addirittura da unaquila. Che sopra gli altri, declam, nel naso, comaquila
vola
Bum! E Boldini?
Aspetta. Lui potr essere stato un giaguaro, o un elefante marino. Mentre tu, Grassi, lo sai
cosa eri? Eri un castoro. Un castoro, ecco, s: una di quelle bestie con due dentoni davanti, sempre
nellacqua a fabbricare dighe
In tutti i casi - continu -, anche lui, come Platone, era dellavviso che dovessero essere pochi,
ma molto pochi, gli uomini e le donne i quali, rinascendo, ce la facessero a non retrocedere. Lui,
personalmente, forse era stato un cane (certi giorni se lo sentiva, nella pelle). Pressoch
matematico, perci, il suo futuro rientro alla base; sempre che, come Mazzanti e Lattuga, non gli
toccasse di dover rotolare molto pi gi.
Per qualche secondo rimasero zitti, perfettamente silenziosi.
Dunque, ricapitolando, riprese infine Cattolica - e mi parve in quel momento di udire un
piccolo rumore: come se avesse acceso un fiammifero -: Lattuga un verme dellintestino,
Mazzanti una piattola. E tu?
Mah, rispose. Staremo a vedere.
Disse poi che se a lui fosse stato concesso di scegliere il tipo di parassita in cui reincarnarsi,
quasi quasi avrebbe preferito ruzzolare fino in fondo alla scala, e, piuttosto che pulce o pidocchio,
rinascere addirittura microbo, sicuro!, microbo. Quella, s - sospir -, sarebbe stata una
reincarnazione vantaggiosa! Nessuna preoccupazione riguardo al mangiare e al bere invisibilit
a occhio nudo assicurata: una vera pacchia, insomma. Obblighi? Nientaltro che un po di
modestia: evitando, cio, per prima cosa, d imitare il comportamento di quei tali microbi, come
quello del tifo, non so, o della rabbia, o del tetano, o della polmonite, che godono, anzi gongolano,
a spaccare in pochi giorni tutto quanto; e invece regolando la propria condotta su quella di altri
microbi di miglior pasta, i quali, trovato un posticino tranquillo, stanno l quieti quieti a succhiare per
venti, trenta, quarantanni, e in fin dei conti non dnno fastidio a nessuno. Il bacillo della sifilide, o
quello della tubercolosi (della tubercolosi ossea, tuttavia, o glandolare): ecco della gentina con
del sale in zucca, capace di vivere e di lasciar vivere! Lo diceva sempre anche suo padre.
Torn a ridacchiare, da solo. Gli altri non fiatavano.

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Fu proprio qui, a questo punto, che Cattolica pronunci il mio cognome (era come se non fosse
mio, come se appartenesse ad uno sconosciuto). Va bene - udii che diceva -: dato e non concesso
che lui, Pulga, era stato un cane, cosero stato, io, allora? Che cosa ero, io?
Anche lui un cane, rispose, senza esitare. Non c il minimo dubbio.
Con questa differenza sostanziale tra lui e me, ad ogni modo - soggiunse -: che mentre lui era
stato, lavrebbe giurato, uno di quei cagnuzzi di piccola taglia e di nessun prezzo, frutto degli
amori di razze innumerevoli, sempre in giro per le strade in cerca di roba da annusare e curiosi
imparzialmente di qualsiasi escremento o pisciatina, io, al contrario, dovevo esser stato uno di quei
cagnoni non di razza pura, no certo, per incrociati abbastanza bene (con un padre lupo e una
madre setter, o una madre pointer e un padre bracco, eccetera), i quali fanno in ogni circostanza la
loro figura, e per questo motivo trovano facilmente la famiglia dove sistemarsi in pianta stabile, e
ingrassare. In conclusione un cane grosso, ma non grossissimo, bello, ma non bellissimo, forte, ma
non fortissimo, coraggioso, ma non coraggiosissimo: uno di quelli che quando gli capita di
imbattersi in un bastardino tipo Pulga, tanto per intenderci (due chili di peso, s e no, e alto non
pi duna spanna), com come non , va a finire che proprio lui, il bastardino, a portarselo dietro
dove vuole. E non neanche detto che il naso sotto la coda debba sempre tenercelo il bel
cagnone. Anzi! Tuttaltro!

XII.

Quando ebbero finito di ridere (si erano buttati a ridere tutti e quattro: rideva Luciano, ridevano
Boldini e Grassi, rideva lo stesso Cattolica), ricominciarono. Oramai era di me che parlavano:
soltanto di me. E, come prima, erano le voci di loro due, di Luciano e di Cattolica, a prevalere
nettamente sulle altre.
Che cosa dicevano?
Cattolica stava chiedendo a Luciano in che modo fosse riuscito a liberarsi da ogni impegno
preso in precedenza nei miei confronti. E Luciano gli rispondeva che niente, tutto era filato liscio
come lolio, dato che ero stato io, gi, proprio io, ad annunciargli per primo che quel pomeriggio
non potevo. Certo - diceva -: che fossi stato io a rubargli liniziativa, dispensandolo dalla briga
dinventare qualche panzana, a lui era parso di toccare il cielo con un dito. Gli era piaciuto un po
meno, tuttavia, che io lo lasciassi completamente a piedi, senza tenere il minimo conto del fatto
che lui, non abituato a studiare da solo, per togliersi dai pasticci avrebbe sudato le sue sette
camicie. Come si fa! - esclam -: uno, raggiunta che abbia una determinata sistemazione, dopo ci
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conta, ovvio. E invece Con me, ad ogni modo, non cera stato niente da fare. Aveva avuto un
bellinsistere, lui, cercando di anticipare al massimo il nostro solito appuntamento pomeridiano.
Inutile: io non avevo voluto saperne. Avevo dichiarato che mi bruciava la gola, e che dovevo, per
questo, andare da un mio zio dottore. Ma si trattava di una scusa, probabilmente.
Una scusa?, fece Cattolica, senza che la sua voce tradisse la pi lieve trepidazione. Per
quale motivo avrebbe avuto bisogno di una scusa?
E chi lo sa. Capirlo non mica tanto facile! Sembra ingenuo: ed , ingenuo. Ma insieme
cos complicato, se sapeste, cos sospettoso e tortuoso, prende cappello cos per poco!
Disgraziatamente - prosegu -, fra loro tre e me non correvano i migliori rapporti, inutile negarlo:
tanto che anche lui, purtroppo, aveva dovuto subire le conseguenze di questa situazione. Ma a
proposito: che cosa era accaduto, realmente, fra noi, che io ce lavevo a tal punto contro di loro, e
contro lui, Cattolica, in particolare? Cosa mi avevano fatto, loro, realmente? Lui conosceva per
esperienza quali scarti di carattere ci si possa attendere da un ebreo. Per, una rabbia simile! Che
cosa era successo?
Casco dalle nuvole, rispose calmo Cattolica. Io, per me, non ho mai avuto niente, contro di
lui, anzi. E nemmeno loro due.
Sai che cosa credo?
Sentiamo.
Credo, riprese Luciano, abbassando la voce, che il suo risentimento derivi soprattutto dal
fatto che lui aspirava a diventare vostro amico venire magari qui, a casa tua, a studiare con voi.
Mentre, invece, ridacchi, gli andata buca.
Ma no, cosa ti sei messo in testa!, disse Cattolica, con una punta dimpazienza. Primo:
siamo ottimi amici; altrimenti, scusa, vorrei sapere per quale ragione avremmo dovuto continuare a
stare assieme per tanti mesi, nello stesso banco. Secondo, seguit, abbassando anchegli la
voce: se, come dici, ci teneva talmente a venire a studiare qui, a casa mia, perch non me lha
mai chiesto? Poteva benissimo chiedermelo, ti pare?
Certo, che poteva!, esclam Luciano. Senonch, permetti (parlo cercando di infilarmi nei
suoi panni): se fosse stato lui a chiederti una cosa simile, che gusto ne avrebbe ricavato? Lui, vedi
- conosco abbastanza bene il mio pollo, e so quello che dico -: lui, vedi, pi che venire qui,
desiderava di esserci invitato. E siccome tu, viceversa, da quellorecchio non ci hai mai sentito,
ecco il motivo per cui, sotto sotto, ce lha tanto con te.

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Da un rumore di sedia smossa, capii che Cattolica si era alzato in piedi. Il suo passo, attutito
dai tappeti, risuon ad un tratto sul legno scoperto del ring, quindi si spense di nuovo. Forse era
andato a sedersi sul letto - congetturavo -, in fondo alla stanza. Oppure a sdraiarcisi.
Ma a te, disse, infine, di laggi: cos che ti ha fatto, lui, a te, che ne parli sempre tanto
male? Tu s che dovresti essergli amico, dopo tutto! Com mai, invece, che non puoi soffrirlo?
Anche Luciano si alz da sedere. Probabilmente aveva sentito il bisogno di avvicinarsi a
Cattolica, e infatti, quando rispose, la sua voce risuon pi lontana, diversa.
Disse che era vero, che effettivamente non poteva soffrirmi. Ma non tanto perch gli fossi
antipatico, oppure perch - gi laveva dichiarato altre volte - io mi fossi comportato male nei suoi
riguardi. Oh, no! - esclam -. Se mi criticava, mi criticava per delle ragioni molto pi serie di una
semplice incompatibilit di caratteri, che esisteva, s, ma importava relativamente, o di una banale
ripicca da ragazzetto isterico. Era abbastanza superiore, lui, abbastanza sereno per proibirsi in
ogni caso reazioni del genere. Per, appunto per questo, proprio perch si sentiva superiore a
qualsiasi meschinit, nemmeno la gratitudine - sulla quale, invece, io facevo chiaro affidamento sarebbe mai riuscita a impedirgli di guardare in faccia alla realt, e di dire, di me, obbiettivamente,
tutto quello che gli sembrasse opportuno e utile dire.
La mia vanit: la mia incredibile, assurda vanit da bambino delle elementari: ecco, in primo
luogo, ci che non ce la faceva a mandar gi.
Se ne era accorto subito, fin dallinizio: da quando, cio, aveva messo piede in casa mia la
prima volta.
Ci sei mai stato, a casa sua?, chiese.
No, rispose Cattolica. Non vado mai da nessuno. Per principio.
Ora - continu Luciano -, non cera niente da dire: si trattava, indubbiamente, dun palazzo vero
e proprio, grande, nel complesso, come quattro o cinque case dadesso messe assieme (case
dadesso come questa sua, di Cattolica, o come quella che abitavano loro, fuori Porta Reno), e
dotato, fra laltro, di un magnifico giardino. Inoltre la mia famiglia, la quale, per starci, si era
riservata lintero secondo piano, occupava da sola un appartamento di qualcosa come venti
stanze, che chiss la spesa solo a riscaldarle, linverno. Eravamo gente piena di soldi, insomma, e
si vedeva. Per un signore un signore, e altro un pescecane. E che la nostra ricchezza non
rimontasse a unepoca anteriore a quella di mio nonno paterno, commerciante di tessuti
allingrosso, glielavevo confermato proprio io, fin dal primo giorno, quando, senza dargli nemmeno
il tempo di respirare, lo avevo portato in giro di stanza in stanza. Gli avevo mostrato tutto, subito; il
salone delle feste, i tre salotti, le due camere da pranzo, le sette camere da letto, o quattro bagni,
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la cucina, loffice, e persino i cessi, i cessi della servit: ed ero beato, intanto, pieno di
soddisfazione da far schifo. Come era possibile essere cos vanitosi, cos intimamente tronfi, santo
Dio? Sugli stipiti di tutte le porte dellappartamento, mio nonno che, pare, ci teneva molto alla
nostra religione, aveva fatto applicare certi strani tondini di metallo nichelato della grandezza duna
moneta da cinquanta centesimi, con dentro un cartiglio scritto in ebreo. Lui mi aveva chiesto
delucidazioni in proposito; e bisognava vederla, la mia faccia, mentre gli spiegavo per filo e per
segno il significato e la funzione di quegli aggeggi, come era diventata rossa di piacere! Cosa cera
scritto, dentro quei tondini? Ma niente! Il nome del nostro dio, e basta. Senonch la mia vanit era
tale, evidentemente, che perfino la religione si trasformava, per me, in una questione di famiglia. Il
nostro dio, gli avevo raccontato, era il padre di Ges Cristo: il Padre Eterno, e lui solo (il
cristianesimo, secondo me, non era altro che una forma pi moderna di ebraismo). E va bene. Ma
intanto ne parlavo, del mio vecchione con la barba, con la stessa familiarit, con la stessa
ridicola vanagloria con la quale avrei potuto parlare di mio nonno commerciante di tessuti
allingrosso, buonanima
Ci eravamo quindi messi a studiare assieme, tutti i giorni. Ma anche qui, provavo un gusto cos
scoperto a sfoggiare, a emergere (tutto, per me, diventava motivo di gara: a casa non meno che a
scuola mi comportavo sempre come se stessi giocando al football), da suscitare in chi mi stava
vicino un desiderio solo: quello cio che facessi io, che me la sbrigassi io, se proprio non aspiravo
ad altro, e amen. Era vero: scolasticamente parlando, lui, per molti mesi, era vissuto in un certo
senso alle mie spalle, trasformato, da me, in una specie di Paguro Bernardo. Tuttavia, andiamo! Il
Paguro Bernardo un povero mollusco, dal quale giusto pretendere che offra il didietro
ringraziando; mentre un compagno di scuola, anche se di famiglia meno ricca, anche se meno
intelligente e preparato, anche se niente affatto scontento, dopo tutto, daver trovato qualcuno che
ci dia dentro a lavorare per lui, pur sempre un compagno di scuola, cio un essere umano! Io non
lo avevo mai considerato un essere umano, n tanto meno un amico, ecco la verit: bens una
semplice macchina da lodi, da far funzionare, a comando, con la stessa distratta disinvoltura con
cui uno, girando una manopola, mette in andare la doccia del proprio bagno.
Non aveva quasi mai visto i miei fratelli, lui, che daltra parte non contavano: uno era ancora in
seconda ginnasio, e laltra, la bambina, addirittura in terza elementare.
Ma i miei genitori s, quelli aveva avuto modo di vederli benissimo: specialmente mia madre. E
sotto il medesimo profilo dellutilit, della cosa-che-serve (a vari usi, magari), lui, vedi il caso, si
era sempre sentito trattare anche da mia madre.
Da sua mamma?, chiese Cattolica, nel silenzio sepolcrale che era seguito alle ultime parole
di Luciano.

69

Lo udii attraversare la stanza, passare accanto alluscio socchiuso, sedersi di nuovo al tavolo.
Che cosa vuoi dire?, continu, a voce bassa e turbata, ma vicina. Vieni qua, spiegati
meglio, perch non ho capito.
Ma certo, riprese Luciano, dopo una breve pausa: e anche la sua voce suonava vicina,
adesso. Non lhai mai veduta?
No.
Beh, peccato; perch, come donna, ti garantisco che ne vale la pena.
Cominci quindi a descrivere.
Era una signora sui trentatr, trentacinque anni - diceva magari un po sfasciata, specie nel
petto, magari un po troppo grassa come sono sempre le ebree: per con una bocca tale, caro lui,
con certi occhioni marron e certe occhiate, soprattutto, che, a letto, chiss mai che roba.
(Quanto a mio padre - divag -, era una nullit. Una volta aveva ricevuto in visita il suo, di padre,
lasciando anche in lui unimpressione a dir poco disastrosa. Grandi arie, da gran signore, molta
puzza sotto il naso. Non faceva niente dalla mattina alla sera, lui beato, giacch, sebbene medico,
non esercitava. Lunica sua occupazione era quella di passare i pomeriggi al Circolo, figuriamoci.
Ma sfido! Con una moglie cos, miracolo che gli restasse abbastanza fiato, durante il giorno, da
alzare qualche carta).
Io e mia madre, comunque, bench lei fosse mora docchi e di capelli, ci assomigliavamo
come due gocce dacqua: in tutto e per tutto. E allo stesso modo che io, vanitoso e bisognoso di
lodi, mi servivo di lui, Luciano, come di un attrezzo da ginnastica sul quale misurare la forza dei
miei muscoli, anche lei, mia madre, lo aveva sempre adoperato come lutile stratagemma, come il
mezzo pi adatto per ottenere che io, il bravo figlioletto, le restassi per casa tranquillo tranquillo
fino a sera. Di cosa mai non sarebbe stata capace, la degna signora, pur di conseguire il suo
nobile scopo? Di tutto, veramente: cera da giurarlo. Arrivava, alle cinque, con tali vassoi, che
unintera famiglia, di quelle normali, ci si sarebbe sfamata comodamente per due giorni. Caffellatte,
t, cioccolata, panna montata, paste, pasticcini, petit-fours, cioccolatini: un trattamento completo
ogni pomeriggio. Ma questo era ancora niente! Perch, a parte laria che aveva sempre, la
maledetta, mentre ti riempiva la tazza o ti metteva il piatto dei pasticcini sotto il naso (Prendine,
non fare complimenti, incitava insinuante: la roba dolce nutre, sai, fa bene ai muscoli e al
cervello!), non dimenticava mai, dopo, accomiatandosi, di lanciare attraverso la fessura della
porta un bel sorriso accompagnato da unocchiata mezzo materna e mezzo assassina, sicuro!,
mezzo assassina. E i baci che, spesso, stampava sulle guance del figlioletto a nemmeno un
metro di distanza, tutta intenerita, cos pareva, di trovarselo l, al calduccio dei termosifoni, tanto
studioso, bello e intelligente?
70

Una sera dellinverno scorso, una sera di temporale, si era spinta anche pi in l. Per
convincerlo a trattenersi a cena, e forse a dormire, dun tratto si era messa a fissarlo, occhi negli
occhi, con una forza tale (come a intimare: Resta, su, scemo, che ti troverai bene!) da impaurire
non dico lui, che ci voleva poco, ma il diavolo in persona. Con quello sguardo, che cosa intendeva
promettere, veramente? Basta, lasciamo perdere. Certo che una donna cos, lestate, al mare
(saremmo andati a Cesenatico, lestate prossima: prenderne nota!), doveva combinargliene di tutti i
colori, al marito anzianotto, le settimane che restava sola nella villa insieme a serve e bambini! Con
quella bocca larga, ingorda, con quegli occhi languidi mezzo nascosti dai capelli (il petto era un
po basso, daccordo, per la carrozzeria, in costume da bagno, meritava un viaggio apposta per
andare a guardargliela), impossibile che, presentandosi loccasione, se la lasciasse scappare.
Ma tornando a me: ci credevano, loro, che non lo sapevo neanche che cosa fossero, le
pugnette?
Lui lo sospettava, per la verit, laveva sempre sospettato. E tuttavia la volta che io, messo alle
strette, avevo confessato, la sua sorpresa era stata tale che quasi non aveva creduto alle proprie
orecchie. A sedici anni suonati! E con tutte le mie pretese, poi!
Pi tardi, dopo parecchio di e di, aveva ottenuto che gli mostrassi la pistola: la quale,
bench scappellata in permanenza dal taglio in tondo della circoncisione, gli era sembrata nel
complesso del tutto normale. Cera stata unaltra cosa, piuttosto, a sembrargli parecchio
sintomatica: e cio la mia reazione quando lui, poco prima, per ottenere che mi sbottonassi, mi
aveva mostrato il suo, di affare.
Ebbene, ero talmente impallidito, a vederglielo, e poi, nei giorni seguenti, la mia maniera di
comportarmi era talmente cambiata (di colpo ero diventato ruvido, sgarbato, evitavo perfino di
guardarlo in faccia: come se lui mi facesse schifo, non so, o rabbia, o paura), che lui, per forza, era
stato indotto a pensare il peggio, sul mio conto. Ma s: ero di sicuro un finocchio, sia pure allo
stato potenziale: un busone in attesa soltanto di diventarlo, di diventarlo veramente, e al tempo
stesso ignaro - questo, il tragico! - della bella carriera che mi stava davanti, inevitabile

XIII.

In punta di piedi, emergendo lentamente dallombra alla luce, mi accostai alla grande portavetrata che separava il salotto dalla camera da pranzo.
Le nove erano passate da un pezzo, e i miei, come avevo previsto, stavano gi cenando.
Vedevo attraverso i vetri mia madre, seduta di spalle, che indossava un leggero abito da estate,
71

bianco: schiena, collo e braccia nude. Di fronte a lei, gli altri: mio padre, mio fratello Ernesto alla
sua destra, e Fanny, seduta a capotavola, alla sua sinistra. Ma nemmeno i volti di mio padre e dei
miei fratelli (quello di mia madre, invisibile, non ricordavo pi come fosse), rischiarati vivamente dal
lume appeso sopra il tavolo rettangolare, mi apparivano pi gli stessi, i familiari, ingiudicati e
ingiudicabili volti di tutti i giorni e di sempre. Chi erano, tutti quanti? - mi dicevo, guardandoli -. Era
mio padre quelluomo dai capelli brizzolati, coi segni, nel viso magro, scavato, duna vecchiaia
precoce, il quale, in giacca del pigiama e ciabatte, stava finendo di vuotare una scodella di
minestra? Erano miei fratelli quei due ragazzetti insignificanti, che mangiavano seri e compunti,
ma, si capiva, da un momento allaltro sarebbero scoppiati in una gran risata? Era mia madre la
bella signora che mi voltava la schiena, i bruni capelli alonati di luce, e la mano sinistra, quando la
allungava di l dalla buia e morbida curva della spalla verso il centro del tavolo, scintillante di
anelli? E possibile che io, anche io, fossi figlio di quelluomo mediocre, annoiato e noioso,
incapace, soprattutto in casa, di darsi un contegno, di tenersi su, e di quella donna cos volgare, in
fondo, coi suoi vestiti scollati e coi suoi anelli (hop-l, hop-l: dunque cos, anche loro? A letto,
oscenamente, turpemente nudi?), e che proprio a quellunione, a quellunione fisica, dovessi la mia
esistenza?
Entr la cameriera, reggendo i piatti della carne e del contorno, e subito, dallespressione tra
meravigliata e impaurita che assunse il suo viso, compresi di esser stato scoperto.
Oh, il signorino!, esclam.
Non cera niente da fare. Abbassai la maniglia della porta-vetrata, avanzando nel silenzio
generale verso il tavolo.
Mi sedetti al mio posto, di fianco a mia madre.
Ma caro, sono le nove e mezza!, disse lei. Da dove vieni?
Mi scrutava il viso, le mani, gli abiti: tutto: come a rendersi conto, rapidamente, della mia
integrit. E da quel suo sguardo, trepido, preoccupato, e insieme connivente, colpevole: da madre,
s, ma non pi soltanto da madre (il primo di quei suoi sguardi da madre e da donna coi quali mi
avrebbe accolto tante altre volte, negli anni successivi, ad ogni mio ritorno a casa dopo assenze
magari di giorni): da esso a un tratto intuivo come dellatroce ferita che mi era stata inferta poco
prima, cos brutale, repentina e definitiva, anche lei fosse partecipe. Chiss: per vie misteriose,
forse anche lei laveva subita nellattimo stesso in cui lavevo subita io.
Sono stato a casa da un amico, risposi, fissando la scodella vuota.
Da Cattolica?
S.
72

Grandi amori, eh? E Pulga, cosa ne dice Pulga? Cera anche lui?
Che sistemi!, intervenne mio padre, alzando la voce in tono sdegnato. Potevi anche
telefonare, mi sembra. Cosa ci voleva!
S, cera anche Pulga, mormorai gravemente, senza levare lo sguardo.
Mio padre apr la bocca per continuare a sgridarmi, senonch la mamma fu pronta, con un
gesto furtivo della mano inanellata, a farlo tacere.
Vuoi un po di minestrone freddo?, mi chiese.
Annuii.
Ma non avevo fame. Mangiavo lentamente, a mezze cucchiaiate, sentendo che lo stomaco si
rifiutava di accogliere il cibo. Mi rivedevo nella stanza da letto dei genitori di Cattolica, le spalle
addossate alla parete, gli sguardi fissi al Ges dal cuore rosso, e ancora udivo il ronzio tranquillo e
instancabile della voce di Luciano attraverso il muro. No: non ero uscito, non ero apparso. Quando,
ridendo, Luciano aveva detto: Ha voglia, lui, di darci dentro col latino, col greco, e con tutto il
resto! Tanto, la sua carriera, quale volete mai che possa essere, allinfuori di quella l?: allora,
finalmente, scuotendomi, mi ero staccato dal muro, avevo attraversato adagio la stanza, ero uscito
nellanticamera. Nel buio fitto (la voce di Luciano continuava a ronzare, di l, non dava ancora
segno di voler smettere), ero sceso gi per le scale, avevo ritrovato, in tinello, la bicicletta, e quindi
fuori, allaria, nel buio diverso eppure non meno fitto di via Cittadella, a pedalare a testa bassa in
fretta, sempre pi in fretta. Viale Cavour, corso Giovecca: via, via, senza voltare mai: come dentro
un tunnel buio, dritto e senza fine
Non hai fame, tesoro?, chiese la mamma.
Scossi il capo.
Avr mangiato qualcosa, disse mio padre.
Mi alzai in piedi, scostando con le gambe la sedia imbottita di pelle.
Ho un po di nausea, dissi. Sar meglio che salti la cena.
Coshai mangiato?, insistette mio padre. Dei gelati?
Non ho mangiato un bel niente, risposi, fissandolo duramente negli occhi, con odio.
Calma, calma!, fece lui, intimidito. Abbiamo la luna di traverso, eh?
Buona notte, dissi.
E, senza dare n a lui n alla mamma il bacio sulla guancia di tutte le sere, uscii rapidamente
dalla stanza.
73

Appena entrato in camera mia, mi spogliai, mi stesi sul letto, spensi la luce, e subito mi afferrai
il membro. Ma ero inerte, come morto. Insistetti. Niente.
Madido di sudore, stavo per ricominciare, quando, nel corridoio, intesi il passo di mia madre.
Si ferm davanti alla porta, incerta evidentemente sul da farsi. Udii che mi chiamava a voce
bassa e sorda, quindi la camera, dopo un lieve cigolio delluscio, si riemp della sua presenza. Che
cosa voleva, da me? - pensavo furibondo, ad occhi chiusi, fingendo di dormire -. La sentivo
accanto al letto, alta e silenziosa sopra il mio corpo disteso, e avrei voluto alzarmi, insultarla,
picchiarla, cacciarla via. Viceversa, leggera, fresca e leggera come mai, ecco la sua mano
scendere attraverso il buio a toccarmi la fronte e a posarvisi. E bast quel semplice contatto a
ridarmi di colpo la calma, disponendomi, di l a poco, rimasto di nuovo solo, ad essere sommerso
ancora una volta dal mio vecchio, riparatore sonno di bambino.
Lindomani mattina, entrando in aula, vidi subito che cerano tutti, ognuno gi seduto al proprio
posto. Luciano fu pronto a salutarmi con un sorriso e un cenno festoso della mano. Ma
dallatteggiamento di Boldini e Grassi, curvi su un quaderno che tenevano nel mezzo, e in
apparenza assorbiti esclusivamente da esso, e da quello di Cattolica, in particolare, il cui sguardo,
mentre mi avvicinavo, non mi abbandon un istante, mi fu palese come anche loro si fossero resi
conto dellirreparabile gravit di quanto era accaduto la sera avanti. Cattolica attese che sedessi, e
non mi salut nemmeno: si limit a rivolgermi un sorriso incerto, a fior di labbro. Era smarrito e
ansioso. Ma ansioso perch? Cosera, a tenerlo sulle spine - mi chiedevo -: era forse la speranza
che io non fossi rimasto fino allultimo, e, perci, non avessi udito il peggio? Poteva darsi.
Comunque, se la sua speranza non era che questa, entro quella mattina medesima gli avrei tolto
ogni illusione. Tutto era finito, tra noi, finito per sempre. E bisognava che al pi presto lo sapesse
anche lui.
Hai fatto bene a andartene, mi disse infatti di l a poco, coprendosi la bocca con la mano. Ti
garantisco che non valeva assolutamente la pena che tu restassi.
Chinai il capo in segno dironico assenso, e non risposi.
Sospir.
un pazzo, riprese dopo una lunga pausa. Un povero irresponsabile.
Lascia perdere e non mi seccare, sillabai freddamente, senza volgermi a guardarlo.
Cera Guzzo, seduto in cattedra. Nel momento stesso che pronunciavo queste parole, non
badando a nascondere la bocca, mi accorsi che il professore mi osservava.
Ricominciamo?, fece, minaccioso.
Rapido, come ispirato, mi alzai di scatto in piedi, e gli piantai risolutamente gli occhi in faccia.
74

Mi scusi, professore, dissi, ma la pregherei di cambiarmi di posto.


E perch mai, di grazia?, chiese Guzzo. Si rende conto, carissimo, che mancano non pi di
dieci giorni alla chiusura?
Lo so, lo so. Ma appunto per questo voglio cambiare. Qui, con lui, seguitai, accennando a
Cattolica, immobile al mio fianco, finisce che ci distraiamo continuamente.
Le mie parole furono accolte da un lungo bisbiglio di stupore e di disapprovazione.
Posso pregarli di conservare il pi assoluto silenzio?, grid Guzzo.
Non credeva n ai propri occhi n alle proprie orecchie. Ma io ero l, in piedi, dritto e
inflessibile: deciso a otte nere quello che avevo domandato.
Guard attorno, in cerca dun banco.
E a quale banco vorrebbe trasferirsi?, chiese, quindi, con unombra di rispetto nella voce.
Non mi pare che ce ne siano, di disponibili.
Voglio tornare l in fondo, dissi, indicando, senza volgermi, il banco di Luciano. Nel banco
dove sta Pulga. Ma da solo.
E il signor Pulga?
Pulga pu benissimo venire qui.
Ah, Lei propone un doppio trasferimento!, esclam Guzzo divertito. Do ut des! Ebbene
sia; concesso; fiat. Ha capito, Pulga Luciano? Su, svelto, sgomberi: raccolga le sue brave
masserizie, e avanzi l, nel quarto banco, accanto al grande Cattolica. Sar onorato, immagino!
E mentre Luciano, carico dei suoi libri, si incrociava con me lungo il corridoio fra la seconda fila
di banchi e la terza (sfiorandomi, mi rivolse uno sguardo stupito e spaventato), un secco sst,
sibilante e imperioso, si lev a stroncare sul nascere linizio duna nuova mormorazione.
Per tornare alla totale solitudine dellautunno precedente, mi restava da compiere un ultimo
passo: rompere con Luciano.
Tuttavia; a mezzogiorno, dopo la campana del finis, quando lo scorsi camminare tutto solo
davanti a me, lungo il marciapiede di sinistra di via Borgoleoni, sbilanciato penosamente dal pacco
dei libri che teneva appoggiati contro lanca aguzza, ebbi un momento di esitazione. Era vero: in
classe, quella mattina, ogniqualvolta aveva tentato di avvicinarmi, lo avevo trattato con una
freddezza e una durezza gi di per s abbastanza eloquenti. Eppure, come mai non mi aveva
aspettato, adesso? Mi pareva addirittura di poter dedurre, dalla rapidit del suo passo, dalla
sveltezza e dalla precisione con cui metteva un piede dinanzi allaltro, che avesse intuito tutto, e

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fuggisse. Il cuore mi batteva dolorosamente nel petto. Ma se era cos - pensai, scontento di me
stesso, disprezzandomi -, tanto meglio.
Ehi!, gridai. Fermati!
Si arrest istantaneamente, girando il capo indietro. Era calmissimo, gli angoli delle labbra
sottili piegati in su da un sorriso pieno di benevolenza appena rattristata.
Ah, sei tu, fece.
Procedemmo appaiati. Non mi diceva niente, non mi rimproverava di nulla: e ci tornava a
sconcertarmi. Allangolo di via Giovecca, attraversai deciso la strada, distanziandolo di qualche
metro.
Che cosa fai?, chiese, meravigliato, quando mi ebbe raggiunto sul marciapiede opposto.
Non vai a casa?
S, ma sono stufo, voglio cambiare itinerario. Oggi ti accompagno un po io.
Era un venerd, giorno di mezzo-mercato. Corso Roma e piazza del Duomo rigurgitavano della
solita folla agricola. Ci aprivamo il cammino a fatica, scomparendo ogni tanto luno allaltro nella
calca, e senza scambiare una parola. No, non aveva capito - pensavo e soltanto che glielo
permettessi, quel pomeriggio stesso me lo sarei visto capitare a casa.
Allimbocco di via Porta Reno, proprio sotto lorologio di piazza, mi fermai.
Ciao, dissi.
Ciao, mormor.
Deglut, il pomo dAdamo che gli andava su e gi; e intanto mi guardava negli occhi, pallido
come un cadavere, la pelurie del labbro di sopra umida di sudore.
Ci vediamo, oggi?, azzard.
Non credo.
Hai da fare?
Sogghignai crudelmente.
I compiti, e basta.
Che che coshai?
Niente, io. E tu?
Sbarr gli occhi celesti.
Io!?
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Ma gli avevo gi voltato le spalle.

XIV.

La mattina stessa in cui, sapevo, sarebbero stati esposti nellatrio del Guarini i risultati degli
scrutini finali (ma non mero ancora deciso a uscire per andare a vederli), mi telefon Otello Forti.
Era arrivato la sera avanti - raccont -. Aveva finito di dare gli ultimi orali alle cinque e mezzo
del pomeriggio, appena in tempo, quindi, per tornare in collegio, fare in fretta e furia le valige, e
saltare sul treno in partenza da Padova alle sette.
Gli domandai comera andata.
Com andata?, fece. Ma bene, penserei. E tu? Come sei andato, tu?
Risposi che non lo sapevo, che stavo appunto uscendo per andare a vedere i tabelloni.
Perch non passi da casa mia a prendermi?, propose. Se vuoi, andiamo insieme.
Era gentile, perfino loquace, con leggere tracce di veneto nellaccento. Ma nemmeno di lui mi
importava pi niente, ormai, e, comunque, avevo stabilito di non essere pi gentile con nessuno.
Passa a prendermi tu, dissi freddamente.
Tent di resistere. Osserv che casa sua si trovava giusto a met strada fra casa mia e il
Guarini, e che quindi gli sembrava pi logico che ci passassi io, da casa sua. Ed era gi meno
gentile che al principio, adesso, gi sulla via di ritornare il solito tirannico brontolone di sempre,
capace, quando si era messo in testa di ottenere qualcosa, di cacciarsi nelle discussioni pi
ostinate.
Beh, senti, tagliai corto, annoiato, troviamoci addirittura davanti al portone del Guarirti tra
mezzora. Ti va?
Daccordo, daccordo, mormor lui, sconcertato.
Naturalmente ero stato promosso: con tutti otto nelle materie letterarie, e due soli sei: in
scienze, e in fisica e matematica. Come risultavo, per, in graduatoria? Primo? Secondo? Terzo?
Bast unocchiata, a Otello (erano le undici e mezzo: nellandrone, in penombra, non
ceravamo che noi), per giudicare che dovevamo essere in tre, a battercela per il primo posto: io,
Cattolica, e Grassi. Indubbiamente - diceva pensieroso -, contro il mio otto in italiano, Cattolica non
poteva opporre che un sette, e Grassi addirittura un sei. Senonch Cattolica, in matematica e
fisica, aveva otto, e Grassi, in scienze, nove
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Dovresti essere secondo, concluse: dietro Cattolica di un solo punto. Grassi invece
dovrebbe essere terzo. Anche lui per un punto.
Straordinariamente sollecito e servizievole, tir fuori di tasca un mozzicone di matita, e
cominci a scrivere sul muro, a lato del tabellone. Anche Luciano era stato promosso, notavo
frattanto. Con tutti sei, ma era stato promosso.
Vedi? Avevo ragione, annunci finalmente Otello, con un leggero squillo di trionfo nella voce.
Il primo Cattolica, e tu sei secondo.
Uscimmo allaperto. Io ero in bicicletta, e lui a piedi.
Non telefoni a casa?, domand.
Ma no, cosa ti salta in mente!, risposi, alzando le spalle. Ci vado addirittura.
Una mano alla sella, e laltra al manubrio della bicicletta, lo squadravo. Se lultima volta che ci
eravamo parlati, cio a Natale, mera parso improvvisamente tanto pi alto di me, tanto pi adulto,
ora, al contrario, lo vedevo pi piccolo, un bambino.
Vuoi che ti porti in bicicletta fino a casa tua?, proposi. Monta in canna, su!
E infatti, come un bambino, ubbid immediatamente.
Nonostante il carico, lingombro, e i ciottoli della strada (per evitare le multe delle guardie
municipali, pi frequenti lungo la Giovecca, avevo preferito passare per la sassosa via
Mascheraio), pedalavo velocemente. Gli guardavo la nuca, a Otello, cos da presso che sotto i
capelli biondi, tagliati corti, potevo scorgere la pelle rosea, grassa, tenera. Fiutavo lodore di buon
sapone che ne sprigionava: e ricordavo, a confronto, la nuca gracile di Luciano, unta di brillantina,
le sue orecchie grandi, pallide, un po da vecchio, che, viste da dietro, trasparivano come
membrane. Luciano non lavevo portato sulla canna della bicicletta pi di due o tre volte; Otello
centinaia. E tuttavia sapevo che non cera rimedio, ormai: in fondo allodore buono, onesto di Otello
- un odore che, per me, sidentificava con linfanzia stessa -, avrei sempre ritrovato anche laltro,
quel disgustoso e opprimente sentore di brillantina.
Come se lo intuisse anche lui che ci saremmo rivisti ben di rado, in futuro, e che, in sostanza,
la nostra amicizia aveva i minuti contati, Otello parlava continuamente. Voleva esser messo al
corrente di una quantit di cose accadute in quei mesi, durante la sua lontananza: con chi avessi
diviso il banco, a scuola, con chi studiato, di chi fossi diventato amico. Ed io gli rispondevo
sommariamente: accennando a Cattolica, s, e a Luciano, ma senza metterlo a parte di niente
altro. La sua schiena era l, davanti a me, massiccia e infantile. Parlare? Confidarmi? Con lui! Mi
sentivo come dinanzi a una montagna ripida, impervia, enorme. La semplice idea di dover scalarla,
una simile montagna di ottusit, bastava a riempirmi di un senso di nausea e dimpotenza.
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Luciano Pulga?, chiedeva Otello. E chi ? Uno di fuori?


S.
Da dove viene?
Da un paese di montagna vicino a Bologna. Suo padre medico condotto a Coronella, ma
come casa stanno qui, fuori Porta Reno.
E lui, com? Bravo?
Se la cava.
passato?
S, con tutti sei.
A proposito di Cattolica, tuttavia, fui meno laconico. Raccontai in che modo fossimo diventati
compagni di banco: non perch ci fossimo messi assieme noi due - dissi -, ma per iniziativa di
Guzzo, quello di greco e latino. Aggiunsi che non eravamo mai diventati veramente amici.
Certo, per bravo deve essere bravo, osserv Otello a questo punto. Hai visto che sfilza di
otto?
Eravamo arrivati. Frenai bruscamente, appoggiando un piede a terra, e Otello, sceso di
bicicletta, cerc subito i miei occhi.
Entra un momento, disse.
No, scusa, debbo andare.
Pigiai con forza sui pedali, quindi mi voltai indietro.
Ti telefono, gridai, gi lontano. La settimana prossima partiamo per il mare.
A casa, mia madre mi aspettava. Sedeva in giardino, allombra della magnolia, di modo che
appena ebbi varcato la soglia del portone di strada (il passaggio repentino dal caldo ardente
esterno al fresco ventilato del portico mi fece starnutire), la vidi, l in fondo, che alzava il capo. Se
fossi salito in camera mia dalla scaletta secondaria, attraversando il giardino - pensavo -, non avrei
potuto evitare di fermarmi a parlare con lei: con lei che da giorni, lo sentivo, mi covava
continuamente con lo sguardo. Era da poco suonato mezzogiorno: avevamo tutto il tempo. Ma di
che cosa avremmo parlato? Se cerano due persone, al mondo, che non avevano assolutamente
nulla da dirsi, quelle due persone eravamo proprio io e lei.
Starnutii di nuovo, e, per prendere tempo, trassi di tasca il fazzoletto, soffiandomi il naso. Dal
centro del portico, con la bicicletta appoggiata allanca, guardavo attraverso le palpebre socchiuse

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mia madre vestita di bianco. Immersa nellombra soleggiata che si raccoglieva attorno alla base
della magnolia, era non pi che una macchia chiara, lontana.
Vidi che alzava un braccio.
Uhu!, grid, modulando la bella voce da cantante nel richiamo preferito.
Sparii di lato. Misi la bicicletta al solito posto, nel sottoscala, quindi riapparvi. Invece di uscire in
giardino, per, mi fermai sulla soglia del portico.
Salgo un momento a telefonare, dissi.
Sei passato?
S.
Con che voti?
Debbo telefonare, risposi, e me la svignai.
Di sopra, passando di stanza in stanza, feci tutto il giro dellappartamento fino a raggiungere la
mia camera da letto. Senonch cero appena entrato, che la voce di mia madre torn a levarsi su
dal giardino. Parlava con la cuoca, adesso, affacciata, l di fronte, dalla finestra della cucina.
Quando avessi finito di telefonare - le diceva -, mi avvertisse, per favore, di scendere un momento
gi. E poich laltra rispondeva che non stavo affatto telefonando, ma, secondo lei, dovevo trovarmi
in camera mia, la mamma, alzando di nuovo la voce da soprano drammatico, cominci a
chiamarmi. Ripet due o tre volte il mio nome, indugiando melodiosamente sulle vocali. E tra un
grido e laltro, attraverso le imposte socchiuse, la sentivo borbottare.
Scostai le persiane, tanto da sporgere con la sola testa.
Sono qui, dissi.
Vuoi o non vuoi degnarti, bel tomo, di scendere gi un momentino?, chiese mia madre. Su,
svelto, ubbidisci.
Ma non era affatto irritata, tuttaltro, e nemmeno impaziente. Seduta su una poltrona di vimini al
limite del cerchio dombra azzurrina che si allargava ai piedi della magnolia, circondata da tutte le
sue sante bestie, come le chiamava lei (Lul, la cagnetta fox-terrier, e i due gatti persiani color
fumo dormivano per terra l accanto, mentre Filomena, la tartaruga dalla corazza gibbosa gialla e
nera, arrancava poco pi in l sulla ghiaia dun biancore abbacinante), mi guardava di sotto in su, e
sorrideva. Stava ricamando: lorlo dun lenzuolo o duna tovaglia. Lago le scintillava in grembo;
mentre il giardino, su cui il sole di luglio pendeva a perpendicolo, fiammeggiava attorno come una
piccola giungla.

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Ho preso tutti otto, dissi, fuori che con la Krauss e con la Fabiani. Sei in scienze, e sei in
matematica e fisica.
Bravo il mio tesoro!, esclam mia madre. Chiss come sar contento il pap Vieni subito
gi a darmi un bacino.
Continuava a fissarmi piegando graziosamente la testa di lato, le labbra atteggiate al pi dolce
e invitante dei suoi sorrisi. E siccome restavo l, immobile, senza dar segno di voler staccarmi dalla
finestra:
Beh, si lagn, ti pare simpatico far tanto sospirare la mamma per un bacino?
Poco prima, attraversando un salotto, mero fermato un momento a osservare una vecchia
fotografia che, montata in una cornice dargento, faceva mostra di s su un tavolino insieme con
molte altre fotografie di famiglia. Ritraeva me e la mamma nel 18, durante lultima estate di guerra.
La mamma, magra come una ragazza, vestita di bianco, appariva inginocchiata accanto a me sullo
sfondo luminoso dun giardino (non questo, di casa nostra, bens quello della casa di campagna
dei nonni, a Masi Torello, dove, dopo la partenza del pap per il fronte, io e lei eravamo andati a
stare); e mentre mi stringeva appassionatamente al seno, rivolgeva in direzione dellobbiettivo un
sorriso gioioso, assolutamente felice, che contrastava con lespressione severa e corrucciata del
mio piccolo volto paffuto, incorniciato dai capelli lunghi e lisci, tagliati a frangetta. La fotografia,
lavevo sempre saputo, era stata scattata da mio padre nel corso di una delle sue brevi licenze dal
fronte (era il suo capolavoro - soleva dire -, e la mamma, ogni volta, annuiva). Ma soltanto qualche
minuto fa, in salotto, guardandola, avevo compreso il reale significato di quel sorriso della mamma,
sposa da appena tre anni: ci che esso prometteva, ci che offriva, e a chi
Guardavo lei, ora, la mamma non pi cos giovane, non pi cos ragazza, e sentivo che il cuore
tornava a riempirmisi di ribrezzo e di rancore. Con la rapidit di flashes cinematografici, mi
attraversarono la mente epiche e malinconiche visioni di spiagge solitarie battute dalla tempesta, di
cime altissime, inaccessibili, di foreste vergini, di deserti Oh, andarmene, fuggire! Non veder pi
nessuno, e, soprattutto, non esser visto pi da nessuno!
Dunque, insisteva mia madre, debbo continuare a star qui, a sospirare sotto il tuo verone, o
invece il signore preferisce che venga su io, a fargli la corte in camera sua?
Ma no. Sarei stato io, a scendere da lei. Avremmo parlato. Mi sarei lasciato interrogare fino al
momento in cui mio padre, rincasando, e scorgendoci dal fondo del portico, avrebbe cominciato a
battere le mani per segnalarci che era arrivato e che aveva fretta di mettersi a tavola. Che cosa ci
voleva a mentire per mezzora? Sarei stato abilissimo. Ogni suo tentativo di scandaglio sarebbe
risultato vano.

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E se aveva bisogno dun bacio per credere che io fossi sempre un bambino, il suo bambino,
avrebbe avuto il bacio che cercava.
No, aspetta, risposi. Vengo gi subito.
E cos dicendo, mi ritrassi dal davanzale.

XV.

Lulcera aveva preso a suppurare in segreto: lenta, torpida, immedicabile


Non maspettavo nessun chiarimento, dallimmediato futuro, non maspettavo n mauguravo
nessun epilogo: neanche a proposito di Luciano. Invece no. A Cesenatico, soltanto un mese e
mezzo pi tardi (credevo che non lo avrei rivisto prima della riapertura delle scuole, Luciano, cio a
ottobre), almeno con lui un epilogo ci fu davvero. E quanto imprevisto e imprevedibile al me stesso
dallora!
In quel periodo soffrivo di acne giovanile; e lui capit sulla spiaggia allimprovviso, una mattina
di domenica che cero andato molto presto, da solo, dopo una notte insonne passata a misurare su
e gi i pochi metri quadrati della mia stanzetta.
Saranno state le otto e mezza. Il vasto arenile era ancora semideserto. Sdraiato su una chaiselongue accanto allombrellone chiuso, avevo preso finalmente sonno: un sonno ben leggero, se mi
consentiva di registrare i piccoli rumori della clamorosa giornata balneare al suo inizio - il va e vieni
dei bagnini affaccendati a preparare tende e ombrelloni, il grido ritmato di un gruppo di pescatori
intenti a tirare a riva una rete -, ma non per questo meno ristoratore. Ed ecco, mentre, nel
dormiveglia, pensavo che verso le dieci sarei andato a trovare sotto la loro tenda certi ragazzi
Sassli, di Bologna, insieme coi quali, di l a poco, avrei fatto il bagno (erano cinque fratelli, questi
Sassli: tutti maschi, rozzi, sportivi, gran giocatori di football e gran nuotatori: Sergio, il pi anziano,
stava addirittura allenandosi per correre le batterie eliminatorie della Scarioni, in programma subito
dopo Ferragosto nel porto-canale di Rimini), ecco, ad un tratto, me lo vidi davanti.
Stava l, in piedi, spiando il mio risveglio, il piccolo corpo bianchissimo e scheletrico, totalmente
glabro, reso ancora pi esile dal rigonfio abnorme del sesso che le braghette grige gli ricoprivano a
stento. E sorrideva, frattanto: un sorriso timido, incerto, trepidante.
Quand che sei arrivato?, dissi, senza alzarmi.
Un lampo di gioia e di gratitudine gli illumin gli occhi. Allora non lo scacciavo! - diceva il suo
sguardo -. Allora ero tornato a essere buono, con lui!
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Appena mezzora fa, rispose, imprimendo alla mandibola il solito scatto laterale.
Da dove spunti? Vieni da Ferrara?
Eh, s.
Ma a che ora sei partito?
Oh, a ore antelucane!, rise. Cera un accelerato che partiva alle tre e tre quarti. Tuf-tuf, tuftuf: a coprire cento chilometri ci ha messo quasi quattro ore. Bel record, no?
Il treno - continu, tutto allegro e soddisfatto che gli si offrisse un argomento di conversazione
cos neutro - le aveva fatte proprio tutte, le stazioni della linea. Aveva cominciato a fermarsi dopo
dieci minuti di strada appena: a Gaibanella. Dopo Gaibanella, aveva sostato in quel di
Montesanto; e poi, via via, a Portomaggiore, ad Argenta, a San Biagio, a Lavezzola, a Voltana, ad
Alfonsine (patria di Vincenzo Monti), a Glorie (Glorie! Lavevo mai sentita nominare, io, una
metropoli cos chiamata?), per approdare infine a Ravenna, a due terzi del tragitto, dove, fra
laltro, aveva pensato bene di riposarsi una buona trentacinquina di minuti. Dopo Ravenna
Alzai una mano per interromperlo. Chiesi:
Come sei riuscito a trovarla, la nostra villa?
Mi ricordavo lindirizzo, rispose. Fortuna - e ammicc - che una volta tanto la memoria mi
ha funzionato.
Con quellammicco accattivante, pi che alludere alla nostra intimit dun tempo mi
raccomandava che stessi quieto, che non mi arrabbiassi, lui non aveva la minima intenzione di
rinfacciarmi niente. Tuttavia non cera dubbio che mi rimproverasse. Affettuosamente, ma mi
rimproverava.
Avrai fame, dissi. Vuoi che ti porti a mangiare qualcosa?
Rispose, pronto, che non ce nera bisogno. A rifocillarlo - raccont, di nuovo contento di poter
divagare -, ci aveva gi pensato mia madre, la quale, non appena lo aveva visto, si era subito data
premura di mettergli davanti una tazza di caffellatte alta cos. Aveva mangiato in camera da
pranzo coi miei fratelli, alzatisi dal letto proprio allora. Ma siccome loro, mio fratello e la mia
sorellina, a quanto aveva sentito non sarebbero scesi sulla spiaggia prima delle nove; e siccome a
lui premeva invece di vedermi: cos, dopo essersi spogliato, era corso immediatamente via.
Gli domandai dove si fosse cambiato.
In camera tua, rispose, un po in allarme. Perch? stata tua mamma a dirmi che potevo
usarla

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In questo frattempo mi si era seduto a fianco, sulla sabbia, sicch, conversando, tenevamo il
viso rivolto in prevalenza verso il mare. Lacqua, l, risultava per quasi invisibile. Era una di quelle
mattine, sullAdriatico abbastanza frequenti, quando mare e cielo si confondono a formare ununica
massa chiara, fra il latte e la madreperla, e le barche, al largo, sembrano sospese a mezzaria.
Come si sta bene, qui, mormor da ultimo Luciano, dopo un lungo silenzio.
Si gir un attimo a guardarmi, forse per controllare il mio umore; quindi, molto gravemente,
disse che era venuto a Cesenatico in vista duno scopo molto preciso: quello di parlarmi. Negli
ultimi tempi, non aveva capito bene perch, io lo avevo spesso trattato male, e ci dopo tanti mesi
che, viceversa, ero stato talmente gentile e affettuoso nei suoi confronti. E poich suo padre era
riuscito (la voce gli trem), s, suo padre era riuscito infine a rilevare un ambulatorio privato, a
Bologna, di modo che, entro il mese, loro avrebbero tutti quanti lasciato Ferrara, e per sempre:
proprio per questa ragione lui aveva sentito il preciso dovere di venire a ringraziarmi unultima volta
prima di cambiare citt, cercando al tempo stesso di chiarire tutti quegli equivoci che potessero
eventualmente averci divisi. Ebbene: cos che aveva fatto, lui, che mi era dispiaciuto? Lui,
veramente ehm si sentiva la coscienza a postissimo. Comunque, anche nel caso che io
avessi prestato fede a qualche chiacchiera malevola sul suo conto, era pronto a fornirmi, subito,
adesso, tutte le spiegazioni di cui avessi bisogno.
Anchio, a un certo punto, lavevo sbirciato di sfuggita. Seduto sulla rena a gambe incrociate
come un indiano, il pomo dAdamo ballonzolante su e gi, parlava pi che mai senza guardarmi. Lo
ascoltavo. Ascoltavo il ronzio che la sua voce faceva nellaria vasta e quieta, riuscivo perfino a
seguire quello che diceva. Che cosa aveva detto? Che se ne andava via da Ferrara, che non ci
saremmo rivisti mai pi. Bene.
E allora, insistette, si pu sapere cosa ti ho fatto?
Mi pare di avertelo gi detto, risposi, calmissimo. Io non ho niente da rimproverarti.
Tentenn la testa, accoratamente.
Sar, sospir. Per sento che mi nascondi qualcosa che non mi dici tutta la verit.
Rimase silenzioso per un po di tempo, meditabondo. Infine, previa una nuova occhiata laterale
di controllo, mi chiese come impiegassi le mie giornate, l al mare, e se, durante quel mese e pi,
qualche bella signora non si fosse mica presa lincarico di (toss, esitando) di sverginarmi.
Quante dovevano essercene, a Cesenatico - esclam -, di belle signore! Venendo dalla stazione a
casa nostra, aveva gi potuto adocchiarne parecchie, di notevoli, in giro per i viali nonostante
lora mattutina. Io (di nuovo esit), col mio fisico sarebbe bastato che mi guardassi un
momento in giro, e certamente non avrei incontrato altra difficolt che nella scelta. La donna, in
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villeggiatura, al mare soprattutto, non pensa che a divertirsi. Si tratta soltanto, per chi abbia per
chi ci tenga a divertirsi con le donne, di saper sfruttare tempo e luogo pi opportuni.
Immaginavo che presto o tardi sarebbe venuto ai suoi temi preferiti (ci avevo pensato fin dal
primo istante che lavevo visto apparire attraverso la fessura delle palpebre). Tuttavia non avevo
previsto il tono che avrebbe adoperato: cauto, senza nessuno sfoggio di oscenit, stranamente
ansioso.
Risposi, comunque, tranquillamente, che fino adesso non ne avevo conosciuta nessuna, di
donne sposate di quel genere; che quellanno, anzi, frequentavo una compagnia tutta di maschi,
facente capo a certi fratelli Sassli, di Bologna (Li ho sentiti nominare, interloqu Luciano a
questo punto, annuendo: ai miei tempi, due di loro stavano al Galvani); e che se anche ne
avessi pescata qualcuna, i foruncoli che mi gonfiavano la faccia mi avrebbero sicuramente
impedito di esser preso in considerazione.
Dette una rapida occhiata al mio viso, e torn a scuotere il capo.
Che idee!, esclam, allegro. Sei bellissimo lo stesso.
Percorse lentamente con lo sguardo il mio corpo fino al basso ventre, e poi:
Che cosa credi, soggiunse, riassumendo per un istante il ghigno protervo dun tempo, che
le donne facciano lamore coi foruncoli?
Ad ogni modo - prosegu, di nuovo esitando -, nel caso che io ehm non trovassi di meglio l
a Cesenatico, potevo sempre, volendo, far ricorso a lui. Si spiegava subito: alcune mattine avanti,
a Ferrara, mentre passava da via Colomba, un bel pezzo di mora, che se ne stava affacciata in
vestaglia ad una" finestra del primo piano della Pensione Mafarka, lo aveva salutato con un gran
sorriso accompagnato da un gesto significativo. Di parole vere e proprie non se ne erano dette
neanche una. Ma lui era certo: gli sarebbe bastato presentarsi unaltra mattina in calzoni lunghi
(sua madre nicchiava, a comperarglieli, per in settimana lavrebbe di sicuro persuasa), meglio se
in compagnia di di un amico: e lei, la mora, li avrebbe fatti consumare anche gratis. Ora, se ci
stavo, quellamico - e mi fiss negli occhi - potevo essere io.
Non puoi fare un salto a Ferrara con una scusa qualsiasi?, incalz appassionatamente.
Quella l, vedrai, non solo ci fa entrare ma ci fa montare su in camera assieme.
Appassionatamente: non cera altra parola.
Distolsi gli sguardi, e li levai in alto. Come ogni mattina a quellora, un idrovolante militare stava
passando al largo della costa. La carlinga argentea del Savoia-Marchetti lampeggi, nel sole,
lontanissima. A quanti chilometri dalla riva? - mi chiedevo. Cos, a occhio e croce, quei quattro
bragozzi, laggi, immobili dietro la linea dellorizzonte, dovevano avercela sopra la testa.
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Mi stirai con pigrizia, sbadigliai.


No, risposi infine freddamente. Prima di tutto, i pantaloni lunghi non ce li ho neanche io. E
poi poi in tre non mi piace, non lo farei mai.
In tre non ti piace?, balbett lui, continuando a fissarmi smorto in viso come un annegato.
Ma io
Disse: Ma io, proprio cos, in un soffio, e non aggiunse altro. Si era messo a guardare
nella sabbia di l dalle punte aguzze dei ginocchi.
Anchio rimanevo zitto. Di colpo mi levai in piedi. Dissi:
Vuoi che facciamo un giro in moscone?
Alz il viso, interrogativamente.
Volentieri, rispose, e gi si tirava su. Bada per che non so mica nuotare.
Niente paura, replicai. In caso, ti salvo io.
Remavo. A un centinaio di metri dalla riva, scorsi, ferma sulla soglia dei Bagni Adele, mia
madre che, in sottana e camicetta, sopraggiungeva in quel momento da casa. Con la destra teneva
per mano Fanny; con la sinistra, levata, si faceva schermo dal sole. Non vedendo me e Luciano
sotto lombrellone, aveva subito indovinato che eravamo usciti in mare, e cercava di capire dove
fossimo.
Uhu!, gridai.
Avevo abbandonato un remo, agitando il braccio sopra la testa.
Uhu!, fece lei di rimando. Uhu!
Chi ? Tua mamma?, chiese Luciano, che si era voltato a guardare.
Non risposi. Avevo ripreso a remare con grande energia, gli occhi fissi a mia madre che,
rassicurata, stava gi dirigendosi verso il nostro capanno. Era ormai piccolissima - constatavo -.
Tra poco, quando fosse uscita dal capanno indossando il suo bel Jantzen di lana blu, non sarebbe
stata che un punto appena percettibile. Dal largo, non lavremmo pi vista affatto.
Quando fummo arrivati a circa un chilometro dalla spiaggia, montai sul sedile, e mi tuffai di
testa. Rimasto solo, sul moscone rollante e beccheggiante, Luciano si lasci sopraffare per un
istante dallistinto di conservazione. Si teneva aggrappato al sedile, come temendo che gli
sfuggisse di sotto. Presto, tuttavia, si tranquillizz. Anzi, mentre nuotavo attorno al moscone, mi
resi conto che seguiva attentamente le mie evoluzioni in acqua, che mi ammirava.

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Sembravi un motoscafo, disse, infatti, non appena fui risalito. Come si chiama, quel tipo di
nuoto l?
Crawl, risposi, ansimando.
Cos? Viene dallAmerica?
Dalle Hawaii.
Volevo ben dire!, esclam, entusiasta. La settimana scorsa, in Darsena, sono andato a
vedere una gara di nuoto. Nessuno nuotava come te facendo tutta quella spuma coi piedi.
difficile impararlo, il crawl?
Beh, non tanto. Tutto sta nel sistema di respirazione. Ogni tre battute dei piedi, bisogna
ricordarsi di cavar fuori la testa. T-ta-ta, t-ta-ta: in principio un po difficile, si capisce. Poi, dopo
una settimana o due desercizio, uno lo fa automaticamente.
E a te, chi te lha insegnato?
Uno dei Sassli; il pi grande: Sergio.
Sar facile, sospir. Io, per, a nuotare cos come voialtri, non imparerei nemmeno in dieci
anni.
Frattanto mi ero rimesso a remare; ma invece che verso terra, continuavo a spingermi sempre
pi al largo.
E allora?, chiese Luciano, melanconicamente. Non torniamo indietro?
Con un mare cos, risposi, val la pena di arrivare fino ai primi pescherecci. Guarda, l,
seguitai, accennando col mento a due dei quattro bragozzi che avevo visto da terra, distanti, ora,
non pi di mezzo chilometro. Se capitiamo quando tirano su le reti, magari ci regalano un po di
pesce da fare il brodetto Ma a parte il brodetto: non vedi come bello?
Ed era bello, s, dopo tutto. Un mare cos calmo, cos piatto (pi che di galleggiare sullacqua,
sembrava di volare, veramente, di scivolare adagio nellaria), per quanto riandassi indietro con la
memoria a tutte le estati passate, non lo avevo mai veduto. Il fondo, l sotto a dieci metri, ancora si
distingueva: morbido, segnato di strie delicate, simile a un palato. La riva, lontanissima, con le
montagne azzurrine dietro, non era pi che una linea indecisa, sfumata.
Adesso era a quella riva remota, sempre pi remota, che Luciano guardava. Mi aveva voltato le
spalle. Silenzioso, chiuso nei suoi pensieri, sembrava che di me si fosse dimenticato
completamente.

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Lo guardavo; e di colpo, l, nellaria immobile e infiammata, fui percorso da uno strano brivido di
freddo. Non sapevo bene: mi sentivo a disagio, come escluso improvvisamente da qualcosa, e
appunto per questo invidioso, e gretto, e meschino
E se al contrario gli avessi parlato, a Luciano? - dicevo a me stesso, fissando, tentato, quella
solitaria schiena da asceta orientale che il sole gi arrossava in cima alle scapole -. Se, accettando
il suo invito di poco prima, sulla spiaggia, mi fossi deciso, e avessi posto bruscamente me e lui di
fronte alla verit, a tutta la verit?
Il vento del largo avrebbe cominciato a increspare lacqua tra unora, almeno. Volendo, il tempo
non mi sarebbe mancato.
Senonch, nel momento medesimo in cui, dinanzi a quel gramo dorso nudo - puro, ad un tratto,
inattingibile nella sua solitudine -, mi abbandonavo a questi pensieri, gi allora qualcosa doveva
pur dirmi che se Luciano Pulga, lui s, era certamente in grado di guardarla in faccia, tutta la verit,
io no. Tardo a capire, incapace dun solo gesto e duna sola parola, inchiodato alla mia vilt e al
mio livore, io rimanevo il solito piccolo, impotente sicario di sempre. E la porta dietro la quale
ancora una volta mi nascondevo (a lui, Luciano, e a mia madre insieme), n adesso n mai avrei
potuto trovare, in me, la forza e il coraggio necessarii a spalancarla.
(1963)

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