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Verso un' altra economia economicamente e socialmente sostenibile

Al termine dei cinque anni di liceo ho deciso di approfondire un argomento che mi è


sempre stato particolarmente a cuore, in pratica ho voluto indagare le cause di due
grandi problemi che l'Umanità deve prima o poi affrontare: la questione del
degrado ambientale e quella degli squilibri economici. Sicuramente la mia
indagine non potrà essere esauriente data l'importanza della questione, ma credo
di averne approfondito abbastanza seriamente alcuni aspetti da proporne qui una
mia interpretazione. Fin dall'inizio ho creduto di dovere incolpare di questi problemi
l'attuale modello economico, liberista su scala internazionale, perchè basato su
una concezione, ahimè, troppo ottimistica dell'Uomo. La libera competizione e la
ricerca del profitto si sono infatti rivelate una lotta alla sopraffazione che,
ignorando soggetti “meno competitivi”, ha travolto con effetti devastanti sia
l'uomo che l'ambiente mentre ha favorito pochi privilegiati ovvero coloro che hanno
saputo trarre vantaggi dalle diverse forme di colonialismo.
Tuttavia l'ennesima crisi finanziaria non fa che confermare la precarietà di questo
modello economico che i governanti cercano di mantenere, incentivando la
produzione e il consumo. La logica della crescita economica è infatti alla base della
politica di tutti i paesi occidentali ed il valore del Prodotto Interno Lordo è
addirittura ritenuto indice di sviluppo umano. Mi propongo dunque di mettere in
discussione questo circolo vizioso che impone al mercato ritmi sempre più frenetici
ed esigenti dimostrando che l'aumento del PIL non coincide con l'aumento
dell'occupazione né in generale col miglioramento degli standard di vita. Per fare
ciò prenderò in esame gli effetti negativi di questo modello economico sul piano
sociale con particolare attenzione alle conseguenze sull'ambiente e alla nostra
dipendenza da esso. In particolare ripercorrerò la storia e le origini sul piano del
pensiero filosofico del modello liberista, prestando attenzione agli effetti sulla
nostra società; successivamente analizzerò la figura dell'Uomo prestando
attenzione al suo inserimento nella natura, quindi passerò in rassegna gli effetti
dell'industrializzazione sull'ecosistema.
Infine proporrò un modello alternativo, “un'utopia concreta” secondo la definizione
di Latouche, che riaffermi il preesistente rapporto di armonia tra Uomo e Natura.

Cenni di storia moderna e contemporanea riguardo l' impatto dell' uomo


sulla natura
Nel periodo di storia che precede la nascita delle nazioni come le concepiamo noi
oggi (XIII-XIV secolo), l'impatto ambientale globale resta trascurabile, in quanto la
popolazione mondiale ammonta ancora a pochi milioni di individui e le tecnologie
disponibili non permettono ancora di esercitare un' influenza rilevante sulla natura;
troviamo comunque esempi di impatto negativo dell'uomo nell'area mediterranea
e ne sono un esempio i disboscamenti massicci, effettuati soprattutto per
ricavarne legname per le imbarcazioni.
Invece con la fine del medioevo e con i viaggi transoceanici si presentano le
premesse ad una mentalità che in seguito farà della ricerca scientifica, del
progresso tecnologico e dello sviluppo economico i suoi idoli. Le nuove terre, ben
presto colonizzate dagli Europei, forniranno infatti le materie prime e i mercati sui
quali si basa il nostro sistema economico: così l'uomo da semplice fruitore diverrà
conquistatore dell'ambiente circostante.
Infatti solo con la prima rivoluzione industriale l'uomo inaugura un' epoca di rapido
sviluppo veramente “contro natura” ovvero autodistruttivo per chi lo ha adottato.
Come ormai è noto, tutto scaturisce dalla mentalità individualistica tipica della
Europa che imposta in modo capitalistico il mercato. Questo sistema, finalizzato
all'accumulo di capitale (profitto individuale), si basa sulla trasformazione dei beni
di auto produzione e di scambio in merci e sulla velocizzazione dei processi di
consumo, mentre non si cura né dello spreco di risorse, né della produzione di rifiuti
irrecuperabili. Per questo non mi resta che esaminare concretamente come il
capitalismo abbia inciso sul piano sociale negli ultimi trecento anni in tutto il
mondo. Il processo capitalistico di industrializzazione comincia con la recinzione
dei terreni agricoli e l'abolizione delle terre comuni che costringe gli agricoltori a
trasferirsi nelle grandi città dove la legge che puniva l'accattonaggio li costringeva
a diventare operai. Nelle grandi città, grazie alla presenza di una borghesia
capitalista composta da commercianti e latifondisti, vengono investite ingenti
somme di denaro in miglioramenti tecnologici al fine di aumentare le attività
economiche. Tra i vari miglioramenti tecnologici la cosa che più ha stravolto i
meccanismi di produzione è stata la macchina a vapore inventata da James Watt
nel 1765 perché consente di sostituire all'abilità e alla fatica umane, macchine
rapide, regolari, precise ed infaticabili; in particolare, la sostituzione di fonti
inanimate di energia a quelle animali e l'introduzione di macchine alimentate con
combustibili fossili mettono a disposizione dell'Uomo una nuova e quasi illimitata
provvista di energia. Come conseguenza se da un lato si risolve il problema della
richiesta di beni a basso costo da parte di una popolazione in forte aumento,
dall'altro nasce una nuova classe sociale, il proletariato, del tutto dipendente dalle
condizioni di chi per pochi soldi ne sfruttava il lavoro. Peggiorano quindi le
condizioni di vita delle grandi masse popolari che se prima sopravvivevano di
sussistenza del proprio lavoro nelle campagne, sebbene sfruttate dai latifondisti,
ora lavorano anche 14 ore al giorno in condizioni estremamente precarie per un
pasto insufficiente e vivono in malsani e sovrappopolati sobborghi di periferia
(Slum). Soltanto dopo la presa di coscienza del proprio stato, la classe operaia
riesce, tramite l'associazione in sindacati, a difendere i propri diritti di base senza
però rendersi conto della totale dipendenza dal nuovo sistema di produzione
(offriva infatti lavoro, prodotti economici...). Inoltre per la prima volta l'ambiente
naturale viene inquinato in modo sistematico ed irrimediabile. L'aria delle città più
industrializzate si fa irrespirabile perché carica dei residui della combustione del
carbone e si manifesta il problema delle piogge acide. In seguito all'immissione di
enormi quantità di gas serra inizia un' impercettibile ma costante aumento della
temperatura della biosfera e dell'atmosfera.
A partire dagli anni trenta la rivoluzione industriale si diffonde dapprima in molti
paesi europei quali Francia, Germania, Belgio ecc., quindi in altri paesi del mondo.
A questo punto è utili ricordare che oggi uno dei più preoccupanti aspetti
dell'industrializzazione è l'emissione annua, secondo i dati dell'ONU, equivalente a
7,5 miliardi di tonnellate di CO2 che consentono però al cittadino di un paese
industrializzato di vivere comodamente consumando almeno 200 volte l'energia
necessaria al suo sostentamento biologico.
La prima e la seconda guerra mondiale segnano un breve periodo di stasi nella
costante crescita economica dei paesi Europei, anche se da allora l'industria bellica
è un settore che non conosce crisi. In questo periodo, però, avvengono importanti
invenzioni in campo militare come l'aereo, poi destinato in ambito civile a trasporti
di merci e persone con effetti pesantissimi sugli ecosistemi per le elevate emissioni
di gas serra, e le testate a fissione nucleare il cui principio verrà poi utilizzato per
ricavare energia a scopi civili con disastrosi effetti sugli ecosistemi e
sull'ambiente(mi riferisco agli incidenti nucleari e all'impossibilità di smaltimento
delle scorie).
Agli inizi degli anni Cinquanta, grazie alle rosee prospettive offerte dalla
ricostruzione dell'Europa, la crescita economica riprende con maggior vigore. Essa
avviene nella valorizzazione della proprietà privata, della libera iniziativa e del
libero mercato. In seguito al miglioramento delle condizioni materiali di vita, anche
della classe operaia, e in seguito all'aumento dei consumi e all'omologazione dei
comportamenti, si determina in Italia, come nel resto dei paesi industrializzati, una
società di massa. L'effetto emblematico di tale sistema economico è la
globalizzazione, un“processo attraverso cui mercati e produzione nei diversi Paesi
diventano sempre più dipendenti tra loro, a causa della dinamica di scambio dei
beni e dei servizi, attraverso i movimenti di capitali e tecnologia”. Nonostante gli
innumerevoli benefici recati all'umanità dal progresso e dallo sviluppo
(velocizzazione dei trasporti, miglioramento delle condizioni di vita di alcune fasce
privilegiate della popolazione mondiale) non si può nascondere come
conseguenza l'enorme e crescente disuguaglianza di possibilità di accesso alle
risorse e al benessere tra le persone. Secondo quanto sostiene l'UNDP ( United
Nations Development Programme) nel “Human Development trends 2005” nel
2000 , un miliardo e 200 milioni di persone percepivano un reddito giornaliero
inferiore ad un dollaro mentre il 20% più ricco dell'umanità ha ricevuto il 74% del
reddito mondiale .

Ormai, parecchi studiosi e storici contemporanei ritengono infatti che l'eccessiva


fiducia in una crescita economica illimitata basata sulla competizione tra tutti gli
stati del mondo, non sia soltanto la causa dell'attuale crisi economica, ma più in
generale l'origine degli squilibri economici tra Nord e Sud e di tutti i tipi di
inquinamento ambientale che in seguito verranno analizzati.
Ma vediamo ora come anche la letteratura ha criticato il sistema economico
europeo con particolare attenzione alle condizioni degli sfruttati.
La letteratura inglese e le prime critiche al modello di sviluppo
industriale
In the English literature, in particular in the age of Victorian Compromise, some
novelists pay attention to the new social problems caused by the developing
industrialization.
The new upper middle class, characterised by its faith in new values like
utilitarianism, materialism, hard work, personal duty, is moved by its thirst for
money that soon creates a savage and blind economical competition, justified by
the new theories of social Darwinism.
Poor people, coming from the country because attracted by the hope for a new job,
are obliged to live in squalid, dirty and unhealthy slums where they soon get ill and
often die. They are forced to work long hours for low pay in dirty, loud, polluted and
dangerous factories. This situation is described by Charles Dickens in his novels
where the children play an important role as the most innocent victims in these
inhuman living conditions. Although the novelist had no intention of encouraging a
social revolution, his attitude towards social problems changed with the time and
he developed more radical views: especially in“ Hard Times” Dickens shows how
school education can turn children into emotionless objects that can so easily be
exploited.
Later, at the beginning of XX century another great writer criticised the effects of
the English economic model in the colonies of the British empire. I am talking about
Joseph Conrad who in“Heart of Darkness” shows the brutal exercise of law on
natives, the missionary zeal, the administrative efficiency, and search of profit. This
form of dominance is the base of imperialism whose main purpose is to come into
possession of natural sources, which actually belong to the natives. Also in this case
the author denounces the appalling and inhuman conditions in which natives were
obliged to work and the high rate of deaths.

Fiducia nel progresso e sua demitizzazione


Se consideriamo l'evoluzione del pensiero e dell'indagine filosofica, possiamo
ritenere l'età moderna come principale responsabile dell'ottimismo razionalistico e
della fiducia nella scienza e nella tecnologia (positivismo) ovvero nell'idea di
progresso inteso come “processo di conoscenza della realtà che porta l'uomo ad
una maggiore capacità di controllo delle sue dinamiche al fine di migliorare le
condizioni di vita dell'umanità”(Sini).
Proprio in età moderna infatti, mentre da un punto di vista storico-politico
incomincia ad emanciparsi la nascente classe borghese, in ambito filosofico si
diffonde su vasta scala una mentalità peculiarmente scientifica e una forma di
sapere tecnico . Di conseguenza l'identificazione del sapere scientifico come
depositario della verità determina una trasformazione essenziale nel rapporto tra
uomo e natura che perdura tutt'oggi. In particolare la reinterpretazione dei
fenomeni naturali in rapporti meccanici, ovvero l'analisi in termini quantitativi e
non più qualitativi e la successiva applicazione del metodo scientifico nell'analisi
della realtà portano ad una svalutazione della Natura e dell'Uomo che finiscono
così entrambi coll'essere sfruttati in termini utilitaristici. Eppure già in epoca
moderna Francis Bacon” , uno dei principali introduttori del pensiero moderno che
aveva già profetizzato la necessità di ubbidire alla natura, delinea, nella “Nuova
Atlantide”, una figura di scienziato attento alle conseguenze del suo agire ed
eticamente responsabile delle proprie scoperte.
In ambito economico il metodo scientifico che nasce nel XVII secolo, cioè
l'applicazione di quel metodo che si basa sui dati dell'esperienza e su formule
matematiche , porterà Hume e Smith(...) a concludere che poiché la ricchezza è
fonte di benessere e il benessere genera felicità, la ricchezza è fonte di felicità; ogni
azione promossa in vista dell'arricchimento è perciò ritenuta positiva, non solo per
il singolo, ma per l'intera società umana, cioè per le nazioni. Per questo lo Stato non
deve ingerire nell'attività economica dei privati. Il lavoro, sempre secondo la scuola
economica classica diventa fonte di ricchezza mentre il valore di qualsiasi merce
equivale alla quantità di lavoro necessario a produrla. Questa conclusione è di
importanza fondamentale per capire perché la valutazione del prodotto sul
mercato non tiene conto di tutte le forme di impatto ambientale che la sua
produzione può avere e perché si valuta insufficientemente l'esauribilità delle
materie prime.
Ritornando all'economia classica va detto che i primi teorici che contavano sui
sentimenti collaborativi della natura umana concludevano che le nazioni
avrebbero conosciuto un progresso e una felicità in continuo aumento.
Questa iniziale interpretazione ottimistica del modello economico moderno e
contemporaneo è stata e viene ancora smentita dalla realtà storica dei fatti. Il
liberismo infatti è la causa principale di innumerevoli problemi sociali proprio
perché, riproponendo tra gli uomini la legge naturale della sopravvivenza dei più
forti, induce ad una competizione che calpesta i diritti delle persone più deboli sia
psicologicamente che fisicamente.
In netta contrapposizione al modello capitalistico si delineano le teorie di Marx
forte di una conoscenza approfondita delle conseguenze sociali
dell'industrializzazione. Nella sua ipotesi di ribaltamento del modello capitalistico
non elimina i concetti di sviluppo e di crescita economica tuttavia giunge a capire
l'importanza del lavoro all'interno della vita del lavoratore: esso gratifica e realizza
pienamente il lavoratore se il prodotto finale gli appartiene e soddisfa i suoi bisogni
(diversamente da quanto avviene nelle fabbriche dove i padroni intascano larga
parte del plusvalore) . Conclusione di non poco conto che ci aiuta a comprendere
quanto del nostro tempo lavorativo, spesso alienante, è sprecato inutilmente
magari per ottenere servizi che noi non possiamo offrire ai nostri cari per
mancanza di tempo.
Anche Nietzsche opera un ribaltamento della mentalità illuministica, in questo
caso però viene rivolta una particolare critica alla fiducia nel progresso inteso come
riduzione della natura nelle mani dell'uomo ai fini pratici dell'esistenza. Secondo il
celebre filosofo infatti l'umanità , illusa dai miti della scienza e del progresso (della
società industrializzata) ,viene completamente asservita alla logica produttivistica
dell'industria e al profitto del capitalismo borghese. Questo sentimento di sfiducia
nel positivismo si ritrova in tutto il corso del Novecento ma il filosofo più
interessante per questo aspetto è Hans Jonas che non critica l'idea di pregresso in
sé bensì l'applicazione della potenza della ragione sulle cose e la perdita di
controllo delle conseguenze che tale processo scatena. Infatti secondo Jonas
l'utilizzo di particolari tecnologie migliora notevolmente le condizioni di vita ma
altera la natura a tal punto da minacciare l'esistenza delle generazioni future.
Perciò, poiché l'Uomo è ormai in grado di applicare il suo sapere scientifico sulle
cose, sfruttandole a proprio vantaggio, è necessario circoscrivere, definendo dei
limiti, il potere della tecnologia sulla natura per impedire a che questa forma di
potere si rivolga contro coloro che la esercitano. Il senso del saggio ”Il principio
responsabilità. Un etica per la civiltà tecnologica” è proprio questo: riconoscere il
valore della natura perché il suo sfruttamento selvaggio non minacci la
sopravvivenza dell'Umanità (Jonas diceva:<<Agisci in modo che le conseguenze
delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana
sulla terra.>>. È dunque compito di una élite la determinazione del da farsi
(principio responsabilità) affinché l'uomo mantenga integra la natura e permetta
la sopravvivenza dell'umanità anche nelle generazioni successive.
L' uomo: un animale in controtendenza alla legge di conservazione della
specie
La teoria oggi più nota in merito all'origine dell'universo è quella del “Big Bang”
secondo cui circa 15 miliardi di anni fa tutta la materia oggi esistente era già
presente e concentrata in un unico punto infinitamente piccolo ad una densità
inconcepibile. Dopo la grande esplosione che ne conseguì la materia cominciò ad
organizzarsi in strutture in grado di catturare sempre meglio l'energia
disponibile(gli elettroni furono catturati dai nuclei) creando degli spazi di ordine nel
disordine. Questa fase avviene circa 300.000 anni dopo il Big Bang e proprio in questo
periodo da atomi di idrogeno , per fusione nucleare, si formeranno tutti gli altri
atomi più pesanti. La materia e l'universo continuarono ad espandersi, mentre
alcuni corpi cominciarono ad aggregarsi e a ruotare fino a formare i campi
gravitazionali delle galassie e dei sistemi stellari. In uno di questi, nel sistema
solare, circa 4 miliardi di anni fa, compare la Terra come pianeta “morto” cioè privo
di un'atmosfera e di molecole complesse. Tuttavia sul suolo, sotto la continua
azione dei raggi ultravioletti, avvengono continue reazioni chimiche che circa 3,8
miliardi di anni fa generano le prime molecole organiche, assai più complesse delle
altre per la particolare capacità del carbonio di legarsi ad altri atomi formando
infinite catene; il carbonio diviene fulcro di questa evoluzione della materia che
segue la legge della massima efficienza nell'utilizzo dell'energia e della materia
disponibili per formare legami stabili. Fra le varie molecole organiche formatesi si
creano catene di molecole in grado di auto-riprodursi in uno spazio limitato: inizia
quindi il processo che porterà alla formazione degli esseri viventi. La vita in senso
biochimico è quindi la capacità della materia di utilizzare l'energia che riceve
dall'esterno per auto organizzarsi e replicare il suo schema organizzativo, mentre il
processo evolutivo consiste nel miglioramento di queste funzioni teso ad un
adattamento più efficace alle condizioni esterne. I primi microorganismi viventi si
generano circa 3 miliardi e 800 milioni di anni fa; circa a quel periodo risalgono le
alghe azzurre che, liberando enormi quantità di ossigeno molecolare tramite la
fotosintesi, sconvolgono la composizione dell'atmosfera. I primi organismi viventi
sviluppano facoltà di adattamento sempre più complesse, causando il passaggio
da cellule autotrofe a eterotrofe, da vegetali ad animali fino all'uomo.
A questo punto, attraverso un'analisi attenta delle teorie evoluzionistiche della
materia inanimata e di quella animata, ci si rende conto che nell'universo esistono
due tendenze opposte:
• la prima è la tendenza all'equilibrio della materia, alla dissipazione
dell'energia, all'esaurimento di ogni possibilità di trasformazione e
all'eliminazione di ogni differenza(di pressione atmosferica, temperatura,
concentrazione) ;
• la seconda tende alla creazione di sistemi complessi (organismi viventi ed
ecosistemi), che esposti ad un flusso di energia continuo lo utilizzano per
allontanarsi dall'equilibrio creando e mantenendo differenze con l'ambiente
esterno.
In conclusione quel lento viaggio dell'universo, che ha origine con l'espansione del
Big Bang, verso il caos, verso la sua fine, ha creato un flusso di organizzazione
propagante e diversificante di cui possiamo considerare la vita la forma più evoluta
ed efficiente, mentre i sistemi economici e sociali prodotti dall'uomo la forma più
problematica perché ci pongono di fronte ad un nuovo problema che è quello della
distruzione della biodiversità cioè delle forme di vita del nostro pianeta.

La vita si oppone alla tendenza di aumento dell' entropia nell' universo

Il tempo nella trasformazione spontanea dei fenomeni naturali ha un verso ben


preciso, per questo si parla di freccia del tempo. Esso non può essere considerato
nel suo valore assoluto per l'irreversibilità delle trasformazioni che
spontaneamente avvengono in natura. Il secondo principio della termodinamica
infatti dice che “nelle trasformazioni spontanee che avvengono in natura,
l'entropia dell'universo, intesa come somma dell'entropia del sistema e
dell'ambiente, aumenta sempre. Ma cosa si intende col termine “entropia”?
L'entropia indica la parte di energia che in un fenomeno spontaneo, quindi
irreversibile, perde la sua capacità di produrre lavoro. Essa dipende dallo stato
termodinamico iniziale e finale della reazione , con una formula: ΔS=Q/T dove ΔS
rappresenta la variazione di entropia, Q il calore scambiato e T la temperatura alla
quale è avvenuto lo scambio termico. In un sistema fisico parte della capacità
energetica si disperde, con aumento di entropia nei processi diffusivi che
accompagnano la trasformazione. Dal punto di vista chimico la variazione di
entropia è positiva quando le reazioni di un sistema isolato sono spontanee.
Ma qual è l'importanza dl concetto di entropia nella storia dell'evoluzione? Se
consideriamo i sistemi viventi ci accorgiamo che essi tendono ad utilizzare il flusso
di energia a cui sono esposti per mantenere differenze con l'ambiente esterno cioè
accumulando una quantità di energia utilizzabile (a bassa entropia) sotto forma di
energia biochimica (“di legame intermolecolare”). Infatti l'energia solare che
giunge sulla superficie della terra entra negli ecosistemi attraverso la fotosintesi
clorofilliana svolta dalle piante. Queste ultime vengono poi mangiate dagli animali;
così facendo gli erbivori ne ricavano energia attraverso la digestione e la
respirazione cellulare, processo che va a bilanciare completamente quello di
fotosintesi (6CO2 +6H2O+ 686 kilocalorie/mole = C6H12O6 + 6O2 , C6H12O6 + 6O2 = 6CO2
+6H2O+ 38 molecole di ATP). In questo caso la natura ci insegna una legge
fondamentale per la sopravvivenza e che cioè in natura non possono mai
accumularsi rifiuti (sto parlando delle molecole scartate dagli organismi autotrofi)
infatti esistono sempre altri organismi (in questo caso eterotrofi) che le sfruttano
per ricavarne energia e le riconvertono nel sostentamento degli esseri vegetali.
L'uomo attualmente si sta sviluppando infrangendo di continuo questa legge infatti
non adotta né conosce un modo efficace per smaltimento i rifiuti provenienti dalle
fonti fossili, inoltre sta distruggendo con un ritmo incalzante quegli ambienti ricchi
di biodiversità che almeno in parte ridurrebbero il suo impatto. È importante
evidenziare un altro aspetto che concerne l'ambito biologico del nostro pianeta. Se
consideriamo i diversi ecosistemi del pianeta con una particolare attenzione allo
sfruttamento dell'energia, ci accorgiamo che in quelli più complessi(nelle foreste),
mentre la percentuale di energia utilizzata e dissipata resta costante per una data
superficie, aumenta l'immagazzinamento di energia utilizzabile (sotto forma di
biomassa), grazie all'aumento di biodiversità. Questa tendenza stravolge le teorie
darwiniane della casualità evolutiva e della competizione violenta delle specie,
mentre rivaluta le teorie teologiche della presenza di un fine evolutivo mosso da
una “cooperazione nell'interesse collettivo per utilizzare al meglio le risorse
disponibili”. Infatti l'aumento di complessità a livello biologico favorisce una
risposta migliore alle perturbazioni delle condizioni esterne: i sistemi viventi
traggono così un ulteriore progresso evolutivo in termini di efficienza.
In sintesi, i requisiti richiesti per uno sviluppo privo di impatti negativi cioè ciclico,
armonioso e prolungato nel tempo, sono secondo Masullo:
1. Disporre di un flusso contino di energia e materiali;
2. Creare un' organizzazione in grado di immagazzinare la maggior quantità di
energia utilizzabile;
3. aumentare il tempo di circolazione dell'energia all'interno del sistema
attraverso la crescita della sua complessità;
4. aumentare il contenuto di informazione del sistema, cioè la diversità
culturale, corrispondente a quello che nei sistemi naturali è il ruolo della
biodiversità.

Come accennavo sopra lo sviluppo dei vari sistemi, dopo un breve periodo di
crescita contemporanea dell'energia immagazzinata e dissipata, raggiungono uno
stato in cui la dissipazione resta costante mentre l'energia immagazzinata
continua a crescere. Questo fenomeno comporta una diminuzione di entropia
interna del sistema. Come ci insegna la natura, l'uomo poiché fa parte dei processi
evolutivi degli esseri viventi dovrebbe seguire la legge naturale sopra descritta
ossia dovrebbe raggiungere uno stato di stabilità nella dissipazione dell'energia,
stabilizzando i consumi, mentre dovrebbe aumentare la capacità di
immagazzinare energia utilizzabile rendendo più efficiente la propria struttura
organizzativa sul piano sociale, economico, tecnologico. Questo gli permetterebbe
di aumentare la propria ascendenza sull'ambiente circostante in modo tale da
diminuire i rischi di catastrofi dovute a condizioni ambientali.
La storia recente dell'umanità non sta andando in questa direzione. Dalla semplice
analisi del consumo di fonti di energia fossile è facile accorgersi che non stiamo
stabilizzando i consumi di energia né stiamo immagazzinando tale fonte di vita
favorendo la biodiversità degli ecosistemi. Ma questo argomento lo affronterò in
seguito con riferimenti più concreti.

Cause ambientali
Lo stato di salute del Mondo ultimamente è assai precario. Ce lo rivelano una serie
di fattori che possiamo constatare noi personalmente ma che vengono anche
monitorati costantemente attraverso ricerche scientifiche rigorose: l'insorgere di
fenomeni naturali estremi, il rapido surriscaldamento globale, l'inquinamento da
micro-polveri delle città più industrializzate, il buco nell'ozono sono soltanto alcuni
degli effetti che l'attività umana, attraverso una crescente ascendenza
tecnologica, ha avuto sull'ambiente. Questi problemi sono generalmente dovuti
all'incapacità del pianeta di assorbire l'impatto causato da produttivismo e
consumismo umani . In questo capitolo vorrei appunto soffermarmi su questo tipo
di problematiche che spesso ignoriamo ma che ci riguardano direttamente.
Sul surriscaldamento ambientale e più in generale sull'impatto che ha l'uomo
sull'ecosistema si è detto molto e di tutto per cui ho scelto di riportare i dati che
vedrete di seguito, direttamente da fonti autorevoli quali:
- i rapporti dell'”intergovernamental panel on climate change” (IPCC) che è
l'organo preposto dall'ONU per valutare cause, effetti e possibili provvedimenti in
merito ai mutamenti climatici;
-il “living planet report” del 2009, pubblicato annualmente dal WWF, che valuta
l'impronta ecologica di ogni singolo Stato sul Pianeta, indicando la strada ad un
modello più sostenibile;
-Il “millennium ecosystem assessment” che valuta i rapporti dell'Uomo col
patrimonio naturale. Il surriscaldamento climatico è forse il problema a livello
ambientale dell'attesissima conferenza Onu, tenutasi a Copenaghen nel dicembre
2009, sono stati deludenti per la mancanza di accordi sostanziosi e vincolanti. Resta
in vigore dunque il “protocollo di Kyoto” (dicembre del'97) che prevede il taglio
delle emissioni di CO2 entro il 2012 del 5,7% (per l'Europa è dell'8%, per l'Italia è del6,5%)
rispetto ai livelli del 1990. Ormai questo programma è ritenuto dall'IPCC del tutto
inadeguato e insufficiente per ridurre la concentrazione globale di CO 2 . In tale
rapporto si afferma infatti “con confidenza molto elevata che l’effetto globale
medio netto delle attività umane dal 1750 sia stato una causa di riscaldamento”. Ma
in che modo le emissioni di CO2 incidono sul surriscaldamento globale?
Innanzitutto va detto che il riscaldamento è dovuto essenzialmente all'effetto
serra. La radiazione solare, o meglio una parte di essa riesce ad attraversare
l'atmosfera, colpisce la superficie terrestre e la riscalda per irraggiamento. Non
essendo isolata termicamente, essa riemette la radiazione assorbita sotto forma di
radiazione infrarossa. I gas serra assorbono tale radiazione, l'atmosfera si
surriscalda e trasferisce a sua volta il calore irraggiando la superficie terrestre
riscaldandola ulteriormente. Questa volta però le radiazioni vengono riemesse con
una lunghezza d'onda non trattenibile e quindi viene rilasciata nell'universo.
L'effetto serra è un processo naturale che limita l'escursione termica legata ad una
maggior o minore esposizione alle radiazioni solari stabilizzando la temperatura.
Ciò ha permesso il sussistere delle condizioni di vita sul Pianeta ma a partire dal 1750
sono aumentate le concentrazioni dei gas serra dovute ad attività umane come
l'utilizzo di combustibili fossili: alcuni dei gas più pericolosi sono l'anidride
carbonica (CO2) , il metano (CH4, agricoltura e allevamento), il diossido di azoto
(N2O, fertilizzanti), l'esafluoruro di zolfo(SF6), i clorofluoruro carburi (Cfc,
responsabili anche del buco nell'ozono) e altri in quantità inferiore. In particolare,
secondo l'IPCC, le attività umane hanno aumentato le concentrazioni atmosferiche
di gas-serra da un valore preindustriale di 280 ppm a un valore di 379ppm nel 2005,
superando i valori massimi degli ultimi 650.000 anni (da 180 a 3000 ppm) come
determinato dall'analisi delle carote di ghiaccio. Ciò ha comportato l'aumento della
temperatura superficiale atmosferica (compresa quella delle acque marine fino ad
una profondità di 3000 m) dal 1850-1899 al 2001-2005 di 0,76°C [da 0,57 a 0,95]°C.
Gli effetti più evidenti sono state la riduzione dell'estensione delle calotte polari e
dei ghiacciai perenni montani e il conseguente innalzamento del livello globale dei
mari di 1.8 mm per anno dal 1961 al 2003; Inoltre tale processo è divenuto più veloce
dal 1993 al 2003 (il livello è salito di circa 3.1 mm per anno).Inoltre nelle zone tropicali
negli ultimi 40 anni si sono verificati periodi più lunghi di siccità e sono aumentati di
numero i cicloni di forte intensità nel Nord-Atlantico. Secondo le stime più caute se
non si limiteranno le emissioni globali di gas serra raggiungeremo nei prossimi
decenni una concentrazione equivalente di CO2 di 510 ppm che ridurrebbe al 33% le
probabilità di prevenire un riscaldamento superiore ai 2°C, limite riconosciuto
dall'ONU e dall'UE come soglia d'allarme.
Il nostro Pianeta però ha tantissimi altri problemi dovuti all'influenza dell'attività
umana su di esso, spesso si tratta di problemi che si concentrano nelle megalopoli
(inquinamento dell'aria), altre volte si concentrano nelle zone più vergini della
Terra perché vengono appunto antropizzate (desertificazione, estinzione di specie
autoctone). Per valutare l' impatto umano sul globo terrestre a partire dal 1990 è
stato sviluppato presso la Healthy and Sustenible Communities Task Force della
University of British Columbia da Wackernagel e Rees la teoria dell'”impronta
ecologica”; essa fornisce uno strumento di calcolo che permette di stimare il
consumo di risorse (energia e materia) e la richiesta di assimilazione dei rifiuti da
parte di una determinata popolazione umana o di una certa economia e di
esprimere queste grandezze in termini di superficie di territorio produttivo
corrispondente. In tale cotesto la città, quale luogo abitativo dell'Uomo, viene vista
come centro di importazione, sfruttamento e consumo delle risorse che poi
vengono rilasciate nell'ambiente sotto forma di rifiuti. A partire dagli anni ’80 si è
calcolato che l’impronta ecologica ha superato la capacità rigenerativa
(biocapacità) della Terra di circa il 25% per cui la gente trasforma più velocemente
le risorse in rifiuti di quanto la natura riesca a trasformare i rifiuti in risorse.
A subirne le conseguenze è la biodiversità degli ecosistemi e con essi moltissime
specie animali. I principali fattori di perdita della biodiversità sono stati:
• l'eccessivo sfruttamento degli habitat e talvolta la loro distruzione (dovuto a
caccia, pesca, disboscamento, cementificazione);
• i mutamenti climatici (analizzati sopra) che portano al degrado
dell'ambiente artico, all'alterazione del ciclo delle stagioni, alla siccità e alla
desertificazione;
• l'inquinamento atmosferico, delle acque e del suolo che in massima parte è
dovuto alle attività umane (trasporti, industrie, agricoltura);
Non soltanto le specie animali o vegetali sono minacciate dall'influenza che l'Uomo
sta avendo sulla natura: l'umanità stessa dipende dagli ecosistemi in quanto essi
favoriscono o migliorano la qualità delle nostre vite fornendo servizi che il
Millenium Ecosistem Assessment (ME) descrive in quattro categorie:
1) servizi di supporto, come ciclo dei nutrienti, formazione del suolo e
produzione primaria;
2) sevizi di fornitura, quali produzione di cibo, materiali o combustibile;
3) sevizi di regolazione, come regolazione del clima e delle maree, depurazione
dell'acqua, impollinazione e controllo delle infestazioni;
4) sevizi culturali (fra cui quelli estetici, spirituali, educativi e ricreativi);

Il ME ha calcolato che la perdita di biodiversità rende più insicuro


l'approvvigionamento alimentare ed energetico, aumenta la vulnerabilità alle
catastrofi naturali, diminuisce il livello di salute (riducendo qualità e quantità
dell'acqua disponibile). Sono i poveri e le popolazioni indigene a subire
maggiormente la perdita di servizi causata direttamente dallo sfruttamento
generato da comunità economicamente più forti. Ciò accade nell'Amazzonia o in
Indonesia dove multinazionali dei paesi più ricchi sfruttano il territorio
disboscandolo. Questo è soltanto uno degli innumerevoli esempi riportati dal
Millennium Ecosistem Assessment che ribadiscono ancora una volta la necessità di
un cambiamento di rotta radicale.
Pensare la decrescita
L'uomo occidentale si caratterizza per una concezione lineare del tempo (le nostre
azioni sono prive di ciclicità infatti è impossibile immaginare che tra 50 anni il nostro
stato di sviluppo sarà lo stesso) cioè il suo modo di affrontare la vita tende ad un
continuo cambiamento nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di
vita(Nietzsche); come ho detto sopra, tale concezione si manifesta nello spirito
razionale e progressista. Inoltre negli ultimi duecento anni si è posta una fiducia
senza precedenti nell'aiuto che la tecnologia può dare per per creare benessere,
partendo dal presupposto che esso sia legato a fattori materiali per cui chi possiede
quantitativamente di più è visto anche come chi vive meglio. La nostra esistenza è
così segnata da una continua lotta per l'arricchimento personale che però nei paesi
più sottosviluppati si traduce in lotta per il sostentamento quotidiano o per la
sopravvivenza stessa. Questa lotta per il sostentamento quotidiano accade già
anche ai soggetti più deboli o socialmente emarginati della nostra società opulenta
ma spesso si ignorano o si etichettano semplicisticamente come fannulloni . Ci si
dedica in modo molto meno altruistico ai “propri affari” magari per mantenere una
certa posizione sociale e civile o per non soccombere nella lotta per la
sopraffazione e l'arricchimento personale. Così ci rendiamo complici di un modello
travolgente cioè indifferente al singolo, mantenendo ritmi di vita ben al di sopra
dell'indispensabile. Ad esempio oggi lavorare otto ore al giorno per produrre una
certa quantità di ricchezza, retribuita in modo relativamente equo, ci permette di
soddisfare le nostre necessità elementari (alimentazione, sanità, alloggio,
educazione),; ci permette di condurre una vita agiata (possedere strumenti e
tecnologie che facilitano le nostre attività, praticare hobby durante il tempo libero
coltivare interessi particolari) ; infine ci dà la possibilità di soddisfare una serie di
bisogni indotti da pubblicità e conformismo che sono del tutto superflui. Sono
proprio questi ultimi che sperperano la massima parte dei nostri redditi ma hanno
il particolare pregio di estendere i processi di consumo e quindi di aumentare il PIL .
Sicuramente la mia analisi economica è assai riduttiva ma per capire l'assurdità del
nostro sistema vi propongo un'indagine ormai assai nota tra i teorici della
decrescita. Ivan Illich, già nel 1973 dimostrava con dati alla mano che:
”Il complesso della società spende più tempo per la circolazione, che in teoria
dovrebbe fargliene guadagnare. L'americano tipo dedica più di 1500 ore l'anno alla
sua automobile: ci sta seduto dentro fermo o in moto, lavora per comprarla e
mantenerla, per pagare la benzina, i pneumatici, i pedaggi, l'assicurazione, le
contravvenzioni e le imposte. Dedica cioè 4 ore il giorno alla sua auto, sia che se ne
serva, se ne occupi o lavori per lei. E non consideriamo tutti gli altri suoi impegni di
tempo regolati dal trasporto: il tempo passato in ospedale, in tribunale, in garage o
in autofficina, il tempo passato in televisione a guardare le pubblicità delle
automobili, eccetera. A questo americano dunque occorrono 1500 ore per
percorrere 10.000 Km di strada: 6 Km gli prendono più di un ora”.
Così ci si rende conto che sotto la maschera dell'innovazione e del progresso si
nascondono tante contraddizioni; ad esse si aggiungono quelle del modello
economico attuale coi suoi dogmi della libera concorrenza e del consumismo. A
proposito Serge Latouche, un dei massimi teorici della “decrescita felice” ha
saputo riassumere con grande lucidità nel suo“Breve trattato sulla decrescita
felice” il funzionamento di tale modello, sostenendo che: <<La nostra società ha
legato il suo destino a un'organizzazione fondata sull'accumulazione illimitata [...]
Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico
sono necessari tre ingredienti: la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il
credito, che fornisce i mezzi, l'obsolescenza accelerata e programmata dei
prodotti”. Sorge spontaneo un dubbio: il consumismo che è sinonimo di crescita
crea veramente felicità? Nell'atto di spendere è possibile la realizzazione
dell'individuo? La crescita economica non è forse diventata una religione, adorata
attraverso il culto fanatico del profitto economico a cui si offrono quotidianamente
enormi sacrifici sia umani che sotto forma di risorse naturali? Forse è giunto il
momento, con la crisi economica che sta affliggendo il Nord ma anche il Sud del
Mondo, di riflettere sulle conseguenze di un modello di mercato che non è più
strumento per soddisfare i bisogni dell'uomo ma fine per il quale noi produciamo e
consumiamo.
Come abbiamo visto non solo la società ma anche l'ambiente in cui viviamo ci
chiedono un'inversione di rotta, anzi un cambiamento radicale dello stile di vita
soprattutto a noi che viviamo nelle regioni più industrializzate del mondo.
Per attuare l'utopia concreta della decrescita felice del PIL Serge Latouche sostiene
che è innanzitutto necessaria una vera e propria rivoluzione culturale ovvero una
rivalutazione dei principi e dei valori di base della nostra società. Individualismo ,
utilitarismo, lotta per la sopraffazione, confidenza nelle capacità dell'Uomo hanno
costituito il contesto principale per l'esplosione della rivoluzione industriale ed
essa ci ha permesso di incidere con effetti devastanti sulla Natura: ora è tempo di
prendere in considerazione valori che ci consentano di vivere con solidarietà tra di
noi e nella tutela del nostro“habitat”. Si tratta di realizzare pienamente che la
natura non è indistruttibile, che è un insieme equilibrato e integrato di organismi
viventi interdipendenti e che l'uomo è semplicemente uno di essi e non il sovrano
della Natura. Quindi è opportuno capire che è ingiusto alterare l'equilibrato
adattamento che altri popoli meno tecnologicamente progrediti hanno stabilito tra
loro (nelle proprie strutture sociali) e col particolare ecosistema in cui vivono
ovvero non è giustificabile in nome del darwinismo sociale lo sfruttamento
sistematico di risorse umane e naturali provenienti da Paesi “sottosviluppati”. Anzi
è necessario assumere le proprie responsabilità di consumatore ed atteggiarsi con
criticità nelle scelte per gli acquisti. Basterebbe rendersi conto che determinati
prodotti, per esempio, contribuiscono ad inquinare l'ambiente, magari perché
durante la loro produzione sono stati emesse sostanze inquinanti o più
semplicemente perché non possono essere riciclate o riutilizzate completamente.
Parlare di sostenibilità di una scelta significa infatti avere un occhio di attenzione
per l'intero pianeta. Ma forse, prima ancora di avere un tale sguardo
sull'ecosistema, è opportuno riscoprire i valori della fratellanza, della solidarietà,
dell'attenzione per l'altro, della convivialità. Si tratterebbe di ristabilire l'ordine di
importanza e il valore delle relazioni e dei sentimenti che l'impostazione
razionalistica dell'Illuminismo ha svalutato.
Oltre a rivalutare, ovvero rideterminare la scala dei valori, è importante
“riconcettualizzare” cioè ristabilire il significato di concetti importanti come quelli
di povertà e ricchezza. Infatti essere ricchi non può significare solamente
possedere molti beni materiali o poterne acquistare a piacimento. Una persona può
dirsi ricca se vive una vita serena, se possiede talenti da sfruttare o idee in cui
credere, se possiede molti amici, se ha capito come realizzarsi nella propria vita.
Insomma molti altri fattori rendono una persona ricca e non soltanto il “denaro”,
invece la carenza di certi fattori rendono la persona povera anche se possiede
molti beni materiali . Per cui sicuramente va abbandonata l'idea che la felicità si
raggiunga soltanto attraverso l'accumulo e il consumo dei beni materiali (servizi e
risorse).
A questo punto per radicalizzare la decrescita e pianificarla in modo sistematico
bisogna ristrutturare in modo ecologico l'economia cioè bisogna adeguare
l'apparato della produzione e dei trasporti (settori primario e secondario) e i
rapporti sociali (settore terziario) al cambiamento dei valori, applicando tutti gli
imperativi della decrescita che esporrò di seguito.
L'imperativo più importante è quello della riduzione dei consumi che in termini
ecologici si traduce nel diminuire l'impatto sulla biosfera. Innanzitutto ridurre i
consumi significa evitare gli sprechi di energia e risorse (rinnovabili e non )
sfruttando le tecnologie che lo permettono. Nel concreto si può ridurre il nostro
impatto investendo in centrali elettriche che sfruttano risorse rinnovabili (il
fotovoltaico, il solare termodinamico, l'eolico, l'idroelettrico, il mini-idro),
coibentando le case, oppure scegliendo mezzi di trasporto efficienti e che non
bruciano combustibili fossili (a emissioni zero, come la bicicletta, il treno o il tram);
ma anche eliminando il commercio di oggetti inutili, evitando hobby insostenibili...
Ridurre gli sprechi vuol dire anche riutilizzare i materiali e riciclarli: secondo Nicolas
Hulot in“Pour un pacte ecologique” l'80% dei beni immessi nel mercato sono
utilizzati una sola volta prima di essere gettati (in una discarica o in un
inceneritore); secondo i dati dell'ISPRA (”Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale”) la produzione annua di rifiuti solidi urbani pro capite è in
media di 546 Kg . Anche il turismo di massa si ripercuote negativamente
sull'ambiente quindi è necessario ridurre le distanze da percorrere per le nostre
vacanze. Sicuramente il desiderio di viaggiare per scoprire popolazioni e terre
diverse è una delle aspirazioni più antiche e più nobili dell'Uomo ma purtroppo oggi
sta scadendo nel “muovismo” ovvero nella mania di muoversi sempre più
velocemente e frequentemente per raggiungere posti sempre più lontani.
Latouche risolve saggiamente il problema dei viaggi a spese del Pianeta
sostenendo che:”Bisogna riimparare la saggezza del passato: gustare la lentezza,
apprezzare il nostro territorio.” Secondo me è anche necessario riscoprire il tempo
del viaggio nella lentezza dei mezzi ecologici, assaporarlo quale esperienza da
condividere con compagni nuovi.
Certo, anche questa mentalità presuppone che sia rivalutato il tempo dello stare
insieme e che sia abbattuta la frenesia consumistica e produttivistica.
Nella mentalità della riduzione degli sprechi si inserisce anche quella della
riduzione delle perdite di tempo. Già Seneca circa 2000 anni fa esortava l'amico
Lucilio a gestire bene il suo tempo con parole di grande attualità: “La perdita [di
tempo] più vergognosa è quella che avviene a causa della nostra negligenza. E se
vorrai prestare un po' di attenzione, ti convincerai che gli uomini trascorrono la più
gran parte della loro vita operando malamente, non poco tempo facendo niente,
tutti i giorni occupandosi di cose diverse da quelle di cui uno dovrebbe occuparsi .”
Oggi la più grande perdita di tempo è costituita dagli obblighi occupazionali infatti
le ore di lavoro potrebbe essere ridotta del 50% secondo la pianificazione di alcuni
studiosi tedeschi riportata nel libro di A. Gorz “Capitalismo, socialismo, ecologia”.
Infatti si stima che la tecnologia applicata al settore primario( i fertilizzanti e i
fitofarmaci sintetizzati chimicamente, le macchine meccaniche e i trattori a
combustibili fossili hanno permesso di aumentare la produzione di generi
alimentari in modo esponenziale) e al settore secondario (computerizzazione e
automazione dei processi di produzione) permetterebbero di ridurre gli orari di
lavoro passando dalle 8 alle 4 ore di lavoro quotidiane. Un tale cambiamento
impone che però vengano ridotti anche al minimo sprechi e consumi e che ognuno
svolga da sé tutte le attività che ora commissioniamo per mancanza di tempo e non
per inabilità. Sto parlando di tutti quei servizi che un tempo uno svolgeva da sé
mentre oggi sono pagati con una parte rilevante del proprio stipendio(sbrigare le
faccende domestiche, accudire i figli, i genitori se anziani o disabili). Questi servizi
che consentivano un miglior rapporto tra diverse generazioni e che in generale
favorivano le relazioni all'interno della famiglia auto-sussistente e patriarcale,
vengono ora svolti da una larga fascia di lavoratori manuali (ex operai e braccianti).
Così in Italia dal 1960 al 1998 se da un lato il PIL a prezzi costanti si è più che triplicato
passando da423.828 a 1.416.055 miliardi di lire (valori a prezzi 1990) l'occupazione è
rimasta quasi costante (gli occupati erano 20.330.000 nel 1960 e 20.435.000 nel 1998).
Se la crescita del PIL non ha prodotto occupazione è facile dedurre che la decrescita
causerà addirittura disoccupazione quindi povertà. In realtà questo preconcetto si
basa sul presupposto che il lavoro salariato (soprattutto se produce beni di
consumo) sia un valore assoluto ma in tal modo la sopravvivenza del lavoratore
diventa dipendente dall'acquisto di merci. L a decrescita del PIL invece, pur
portando alla diminuzione delle ore lavorative retribuite rende il lavoratore, grazie
alla maggior disponibilità di tempo libero, più autosufficiente, cioè in grado di
svolgere attività di auto-produzione e di autoservizio. Così la diminuzione del
reddito, compensata da una inferiore necessità di acquistare merci o servizi
personali, genera maggior indipendenza dal mercato. Inoltre assicura più tempo
libero da dedicare all'Ozium (fare il proprio dovere di Cittadino, dedicarsi alla cura
dello spirito, stringere e coltivare relazioni) ma anche da dedicare ad attività
manuali come la produzione artistica, il gioco, le attività ricreative: insomma si
potrebbe dire che riappropriarci del nostro tempo ci porterebbe a riscoprire la gioia
di vivere.
Ultimo principio, ma non in ordine di importanza della decrescita è la
rilocalizzazione. In un Mondo in cui si tende ad accorciare le distanze fisiche
attraverso mezzi di comunicazione e di trasporto sempre più veloci la decrescita
impone una diminuzione drastica degli spostamenti di merci e di persone. I mezzi di
trasporto e le infrastrutture sono infatti una delle cause determinanti del degrado
dell'ecosistema (per le emissioni di gas-serra e di polveri sottili e cancerogene, per
la sottrazione di territorio coltivabile o per la distruzione di ecosistemi) e soltanto
attraverso il ritorno ad un economia impostata sull'autonomia locale è possibile
evitare i grandi spostamenti di merci. Ciò significa innanzitutto reimpostare
l'agricoltura in modo che la produzione alimentare soddisfi i bisogni degli abitanti di
ristrette regioni. Significa poi rinunciare a prodotti che non sono tipici del posto. Sul
piano energetico invece significa sfruttare le fonti disponibili in quella particolare
regione (ogni territorio può sfruttarne alcune in particolare). In queste prospettive
il dislocamento delle fonti ridurrebbe la dispersione di elettricità mentre la
produzione locale di manufatti porterebbe a maggior indipendenza degli organi di
governo dalle potentissime multinazionali. L a rilocalizzazione, va ricordato,
offrirebbe nuove prospettive ai Paesi in via di sviluppo in quanto le loro economie si
troverebbero indipendenti dallo sfruttamento delle risorse del proprio territorio da
parte di compagnie straniere(neocolonialismo).
Sicuramente è molto riduttivo riassumere i volumi che teorizzano e pianificano la
decrescita felice in queste poche pagine; tuttavia mi sembra opportuno dare l'idea
di che cosa significhi reimpostare il nostro modello economico secondo i più
importanti pensatori europei della decrescita (Latouche, Gorz, Illich, Pallante e
molti altri). Certamente le condizioni ambientali impongono una svolta verso un
modello di economia più sostenibile anche se pensare di realizzare tutti gli
obbiettivi della decrescita è a dir poco utopistico; basterebbe per ora dare ascolto
all'ONU pianificando a livello ambientale la riduzione delle emissioni di gas serra e
a livello sociale rispettando i diritti fondamentali dei lavoratori.
In conclusione vorrei ribadire l'importanza dell'ambiente naturale in cui viviamo
non più attraverso giustificazioni “utilitaristiche” ma da un punto di vista artistico.

L' importanza estetica della natura


Se fino ad ora ho sostenuto l'importanza di difendere la natura servendomi di
motivazioni razionali e utilitaristiche cioè che riguardano la sopravvivenza stessa
dell'uomo. Eppure dovrebbe essere sufficiente affermare che bisogna proteggere
la natura perché è meravigliosa. Perchè ci piace per quello che è e vederne la sua
distruzione ci fa soffrire. Perché un mare in tempesta, un violento temporale, una
rigogliosa foresta sono immagini capaci di evocare in noi sentimenti indescrivibili,
forse ci inquietano ma certamente ci attraggono.
Indubbiamente nell'ambito dell'arte le forze della natura sono sempre state
rappresentate, talvolta temute e mitizzate come forze maligne, a volte viste come
forze benefiche e amiche dell'uomo.
In età contemporanea il razionalismo e il positivismo derivati dall'illuminismo e
dalla rivoluzione industriale hanno indirettamente posto in secondo piano la
natura riducendola a pura risorsa da sfruttare a proprio vantaggio. Tuttavia
soprattutto nella prima metà dell'Ottocento avviene ancora una fuga
nell'irrazionale. Questa fuga prende il nome di romanticismo ed è caratterizzata
dalla riscoperta del rapporto uomo-natura. Addirittura alcuni pittori abbandonano
le grandi città ormai sempre più minacciate dalle conseguenze della
industrializzazione per ritirarsi in un luogo incontaminato, lontano dalla società
borghese e dalle città artefatte. Possiamo trovare un esempio emblematico
nell'ambito della pittura di paesaggio; mi riferisco in particolare a quel gruppo
chiamato“la scuola di Barbizon” che si trasferì ai margini della foresta di
Fointainbleau. La loro esperienza di vita a stretto contatto con la natura ha
suscitato in loro le emozioni autentiche in grado di ispirare le più grandi opere della
pittura di paesaggio. I quadri di Theodore Rousseau, uno dei principali esponenti
della scuola di Barbizon, sono un esempio emblematico della sincera sensibilità di
questi artisti per i paesaggi naturali. Eccone un esempio:

Les chênes
d'Apremont
(La quercia
d'Aspromonte)
Bibliografia
Testi:
Latouche Serge: Breve trattato sulla decrescita serena;
Pallante Maurizio: La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal PIL;
Editori Riuniti
Francesco Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo: L'altra via. Dalla crescita al
benvivere, programmi per una economia della sazietà; AltraEconomia
Andrè Gorz: Capitalismo, socialismo, ecologia; Manifestolibri
Masullo Andrea: La sfida del bruco. Quando l'economia supera i limiti della biosfera;
Franco Muzzio Editore
Wackernagel Matis e Rees William: L'impronta ecologica; Edizioni Ambiente
Georgescu-Roegen Nicholas: Bioeconomia. Verso un'altra economia
ecologicamente e socialmente sostenibile; Bollati Boringhieri
Anders Gunther: L'uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell'epoca della
terza rivoluzione industriale; Bollati Boringhieri
Parodi, Ostili, Mochi Onori: L'evoluzione della FISICA 2; Paravia
De Bernardi, Guarracino: La conoscenza storica. Fonti e storiografia; Edizioni
Scolastiche Bruno Mondadori
Sini e Mocchi: Leggere i filosofi (1A , 2A, 2B, 3C); Principato
Post Baracchi, Tagliabue: CHIMICA, progetto modulare; Lattes
Bernstein Ruth e Stephen: Biologia (vol. 2); Principato
Illich Ivan: La convivialità; Boroli Editore
Documenti
Living Planet Report 2008, WWF;
Rapporto di valutazione per i cambiamenti climatici, Intergovernamental panel on
climat change (World meteorological organization, United Nation Environment
Programme);
Millenium Ecosystem Assessment (rapporto ONU);
Lorenzo Gardini
Liceo scientifico E.Sanfelice

LO SVILUPPO
DELL'UOMO
NELL'AMBIENTE
NATURALE
ANALISI DEGLI EFFETTI DELL'ATTUALE MODELLO ECONOMICO
SUGLI ECOSISTEMI E PROPOSTA PER UN RAPPORTO DI
COESISTENZA ARMONICA TRA UOMO E NATURA

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