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S
studio del mese

Theobald
e la teologia
narrativa

I racconti
di Dio

Lo stretto legame che esiste fra l’interesse dei


contemporanei per la narrazione e il racconto e
la situazione culturale delle società postmoderne
– abitate da una pluralità di visioni del mondo e
da una crescente individualizzazione degli stili
di vita – ha fatto sì che la teologia narrativa
assumesse sempre maggior peso tra i diversi
tipi di pensiero teologico.
Tuttavia la fede in Dio, anche e soprattutto nella
nostra epoca post-metafisica, ha ancora bisogno
di essere «pensata», perché la teologia narrativa
non rimanga semplicemente una moda, ma
venga fondata da un punto di vista filosofico e
teologico. Se ne incarica il teologo Christoph
Theobald in questo saggio, dimostrando che il
principio della concordanza tra la forma della
memoria biblica e il suo contenuto teologico è
quello che permette di collocare la narratività
al suo giusto posto in una teologia cristiana
adeguata a una società post-metafisica e
postmoderna, cosciente della densità
letteraria delle sue tradizioni.

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locarsi risolutamente nella società post-metafisica non


significa assolutamente rinunciare a pensare. Si tratta,
al contrario, di chiarire il legame fra questo contesto
mondiale radicalmente nuovo e la narrazione di Dio e
di pensarlo da entrambi i lati, da quello della nostra si-
tuazione post-metafisica e da quello di colui che noi
chiamiamo Dio. Il ritrarsi della metafisica conduce
certamente a liberare il potenziale narrativo della tra-
dizione biblica, ma al tempo stesso pone di fronte al
fatto che quest’ultima concepisce Dio come «soggetto»
di un intrigo universale che l’apocalittica indica con il
concetto di «disegno divino» (prothesis tu theu), mentre
oggi l’universale si «riduce» al dibattito su ciò che è
una società giusta e su ciò che attiene a un’«etica della
specie umana».
Se si vuole che la teologia narrativa non sia una
mera moda e si vuole fondarla da un punto di vista fi-
losofico e teologico, bisogna pensare la fede in Dio nel-
l’epoca post-metafisica e cercare di comprendere ciò
che fa il credente quando «Lo» pone nella posizione di
«Soggetto», «Soggetto» di un racconto universale. È
ciò che tenterò di fare in un primo tempo.

A
35 anni di distanza da quando venne
formulata come progetto nella rivi- Ora, questo legame fra Dio e il racconto passa at-
sta Concilium,1 la teologia narrativa traverso la «fede», che è al tempo stesso un atto di «va-
è diventata una realtà quasi scontata lutazione» dell’insieme di un’esistenza individuale di
della pratica teologica. Basandosi fronte al male e all’assurdo, e di ciò che rappresenta
sulla narratologia letteraria e biblica, l’esistenza di un’umanità nell’immensità dell’universo;
essa ha finito per diventare una for- un atto che richiede tempo e si iscrive nel tempo di una
ma principale della dogmatica cri- vita e nel tempo della storia. Pur essendo valutativo o
stiana e della pastorale catechetica e liturgica della argomentativo, esso assume quindi necessariamente
Chiesa, senza che si sappia sempre chiaramente il mo- una forma narrativa che, nel caso della tradizione bi-
tivo per cui ha assunto una tale importanza. blica ed evangelica, risulta molto particolare. In un se-
Ora esiste uno stretto legame fra il nostro attuale condo tempo, mostrerò come questa forma specifica di
interesse per il racconto o la biografia e la situazione narrazione accordi un posto irriducibile alla libertà di
culturale delle nostre società postmoderne. La plura- valutazione credente, così come si profila nell’epoca
lità delle visioni del mondo che vi coabitano e la cre- post-metafisica, e come essa dia così una figura speci-
scente individualizzazione degli stili di vita che vi si fica e universale a Dio. Infatti la teologia narrativa è al-
praticano rendono impensabile qualsiasi metafisica o l’altezza del suo programma solo se, in uno stesso mo-
religione che volesse imporre una particolare conce- vimento del pensiero, la forma della memoria biblica,
zione dell’universo e uno specifico stile di vita come fatta di racconti e di valutazioni, è l’«espressione» per-
norma universale. Parlare di società post-metafisica fetta del contenuto teologico di questa memoria, dise-
non è altro che registrare globalmente questa situa- gno di Dio «strutturato» dal suo modo unico di conce-
zione di fatto. Così, avendo perso la loro «copertura» dersi alle nostre valutazioni e ai nostri racconti.
sacra o metafisica, le comunità tendono a rannic- I limiti della narratività compaiono precisamente
chiarsi nelle loro proprie tradizioni, religiose o meno, nel momento in cui ci si rende conto che essa si basa
a valorizzare le loro risorse narrative per fondare i lo- su un atto di valutazione, di fronte alla questione della
ro stili di vita e ad accontentarsi di una vicinanza più teodicea, e che esso può prendere forme molto diverse,
o meno difficile fra loro, rinunciando a pensare la si- ad esempio quella della discussione con Dio. Essi ap-
tuazione post-metafisica che di fatto esiste; cosa parti- paiono ancor più chiaramente se si considera la plura-
colarmente pericolosa in un momento in cui le bio- lità dei generi letterari implicati nella memoria biblica,
scienze e le biotecnologie rischiano di confiscare la nella quale la narratività è solo un elemento, certa-
domanda sull’avvenire delle società umane, di «natu- mente notevole, ma che si articola con altri elementi,
ralizzarla» in qualche modo e di risolverla in termini come la legge, l’argomentazione, l’inno ecc. È lo stesso
di fantascienza. principio della concordanza fra la forma di questa me-
Di fronte a questa situazione, una teologia narrati- moria complessa e il suo contenuto – principio estetico
va che si considerasse un semplice sostituto della forma e teologico al tempo stesso – che permette di collocare
metafisica assunta dalla teologia classica del secondo la narratività al suo giusto posto in una teologia cristia-
millennio, apparirebbe molto ingenua e poco attrezza- na adeguata a una società post-metafisica e postmo-
ta per rendere plausibile la pretesa universale inerente derna, cosciente della densità letteraria delle sue tradi-
alla Tradizione cristiana e ai suoi racconti di Dio. Col- zioni. È ciò che mostrerò nell’ultima parte.

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tudio del mese

Theobald e la teologia italiana


S
L a proposta e l’impostazione teologica di Christoph
Theobald hanno ricevuto un’attenzione non formale nel
panorama della teologia italiana. Il dibattito si è concen-
trato su due snodi cardine del suo pensiero, che non solo pro-
pongono il riposizionamento del cristianesimo nella contem-
Il secondo aspetto è quello di una complessiva compren-
sione stilistica del cristianesimo (cf. «La teologia nella post-
modernità: il cristianesimo come stile», in Regno-att.
14,2007,490). A questo tema la Facoltà teologica dell’Italia set-
tentrionale ha dedicato una giornata di studio e confronto
poraneità, ma ne suggeriscono una vera e propria riconfigura- con il prof. Theobald, svoltasi a Milano il 30 maggio 2007, di
zione. cui è eco il terzo numero della rivista Teologia del 2007 dedi-
Il primo aspetto è quello dell’intelligenza della fede che cato a «Teologia e fenomenologia di Gesù. Teologia fonda-
pensa e vive la rivelazione cristiana di Dio. Al saggio «Dei ver- mentale in contesto postmoderno: dinamismo dell’ospitalità
bum: dopo quarant’anni la rivelazione cristiana» (cf. Regno- teologale di Gesù e riconfigurazione della fede in Christoph
att. 22,2004,782), sono seguite due riprese di confronto criti- Theobald».
co intorno alla qualità cristologica della storicità di Dio (cf. M. Questo studio del mese a firma di C. Theobald, di cui le
EPIS, «La rivelazione come storia. W. Pannenberg e C. Theo- EDB hanno recentemente pubblicato in traduzione italiana i
bald: due modelli teologici a confronto», in Teologia 31 (2006), due volumi su Il cristianesimo come stile, intende riprendere e
11-35; M. NERI, «Accolta singolarità. La teologia della rivelazio- rilanciare gli spunti critici emersi nel corso di questi momenti ri-
ne nell’opera di Christoph Theobald», in Regno-att. 2,2007,27); cettivi del suo pensiero da parte della teologia italiana.
e la pubblicazione in italiano del suo volume su La rivelazio- M. N.
ne (EDB, Bologna 2006).

I. P E N S A R E LA FEDE IN DIO laicità consiste nel tenerlo a distanza dalle nostre faccen-
I N E P O C A P O ST - M E TA F I S I C A de pubbliche. Così, per la prima volta nella storia dell’u-
Le principali caratteristiche della cosiddetta epoca manità, compare una distinzione che non potrebbe esse-
post-metafisica sono già state ricordate: in positivo, ab- re più netta fra ciò che è oggetto del «sapere», del resto
biamo visto il pluralismo radicale delle visioni del mon- sotto tutte le sue forme, e ciò che attiene alla «fede». Il
do nelle nostre società postmoderne e la crescente indi- silenzio di «Dio» permette una pluralità di posizioni o
vidualizzazione dei nostri stili di vita; in negativo, ab- atteggiamenti di fronte all’enigma della vita e del mon-
biamo registrato la fine di ogni metafisica che volesse fa- do; rivela quindi alla «fede» ciò che essa è in ultima
re di una di queste visioni o di uno di questi stili un’u- istanza: un atto di libertà senza alcuna garanzia.
niversale norma di riferimento per tutte le altre culture; Questa collocazione radicale della «fede» non è la
questo determina, in definitiva e ancora una volta in minore conseguenza del passaggio delle nostre società
positivo, uno slittamento dell’antico universale metafisico all’epoca post-metafisica. Risale a Kant e alla sua distin-
e religioso verso una meta-riflessione morale e politica zione fra il sapere e la fede. Il suo è il primo tentativo po-
sulle deliberazioni che le nostre società e i loro individui st-metafisico volto non solo a criticare tutti i contenuti co-
pongono effettivamente in essere per «stabilire ciò che gnitivi di una fede religiosa che oltrepassano l’autono-
sta nell’eguale interesse di ciascuno e ciò che è parimen- mia della semplice coscienza morale e auto-legislativa –
ti buono per tutti».2 Oggi pensare Dio implica trarre il «dato di ragione» – ma anche a recuperare di questi
profitto da questo slittamento (e farlo in positivo) in mo- contenuti, per conto della stessa ragion pratica, la moda-
do che la fede in Dio appaia sotto una nuova luce, mai lità della fede (Vernunftglauben) sotto la forma di «po-
così percepita in epoca metafisica. Ma questo suppone stulati». Certo, il filosofo di Königsberg non ha ancora
che non si passi sotto silenzio lo statuto aporetico della coscienza del pluralismo religioso, ma l’andamento del-
nostra condizione post-metafisica: infatti questa condi- la sua argomentazione trascendentale è paradigmatico;
zione non può significare la scomparsa della questione potremmo addirittura dire che il suo modo di continua-
della verità o la sua limitazione agli ambiti scientifici e re a parlare di una «metafisica dei costumi» o anche di
socio-politici. Dobbiamo quindi affrontare questa diffi- una «metafisica della natura» non è un rimasuglio del
coltà di fondo e attraversarla nell’atto stesso di pensare passato, ma ci avverte di non prendere il «post-» come
oggi la fede in Dio. un invito a rinunciare a pensare la radicalità dell’atto di
fede che egli vuole salvare come essenziale.3
L a fe d e al l ’ i n te r n o A questo punto incrociamo l’interpretazione del ge-
d e l la co n d i z i o n e p os t - m e t a f i s i ca d e l l ’u o m o sto fondatore di Kant da parte di Jürgen Habermas, il
La principale conseguenza della fine della metafisica quale nel prologo della sua opera Zwischen Naturali-
è il ritrarsi di «Dio» nel campo dell’inevidenza radicale, smus und Religion (Tra naturalismo e religione) propone
mentre egli si imponeva in società governate e pensate a una definizione dell’età post-metafisica. Scrive: «Chia-
partire da lui. Nessuno è più obbligato a fare intervenire merò quindi “post-metafisica” (…) le posizioni agnostiche
Dio nella gestione della sua esistenza; e il principio della che distinguono nettamente fede e sapere, senza postulare

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ovviamente (come fa l’apologetica moderna) la validità zione cristiana, ma importa anche alle nostre società; in-
di una religione particolare, ma anche senza contestare fatti la scomparsa della ricerca del vero in questo campo
(come fa lo scientismo) a queste tradizioni nel loro insie- sarebbe disastrosa perché priverebbe l’umanità di un ul-
me un possibile contenuto positivo».4 timo potenziale di motivazione di cui ha bisogno per la
Indubbiamente, tutto questo prologo è attraversato sua sopravvivenza.
dall’inquietudine di fronte a una «modernizzazione che È certamente qui che risiede la principale difficoltà
tende a uscire dai suoi binari»; e, alla maniera di Kant, della teologia contemporanea. Non che non si possa di-
Habermas spera di trovare nelle tradizioni religiose del- mostrare il carattere inespugnabile della questione della
le «risorse» di un «linguaggio che apra il mondo e per- verità: infatti, appena si argomenta a favore di questo o
metta la rigenerazione (…) di una coscienza normativa di quello, si suppone una possibile verità; vivendo in un
che si indebolisce da ogni parte».5 Egli è infatti ben con- ambiente multiculturale e multireligioso, lo stesso cre-
sapevole dei limiti delle teorie morali formali e deonto- dente non può non adottare una prospettiva «panorami-
logiche di ispirazione kantiana, che sono a corto di ri- ca» e «comparatistica» sul fenomeno religioso e quindi
sposte quando si pone la questione della motivazione ad chiedersi perché aderisce alla fede cristiana, mentre si
agire come si deve, in particolare quando si affrontano i trova davanti molte altre scelte che reclamano in qual-
problemi relativi a un’etica della specie umana in rap- che modo la sua adesione.
porto alle bioscienze e alle biotecnologie. Ma presta ben Questo modello di «argomentazione» può essere fa-
poca attenzione all’aporia inerente all’epoca post-meta- cilmente universalizzato, postulando come condizione
fisica, aporia che deriva precisamente dalla pluralità del- ultima del vero che nessuno sia escluso dall’argomenta-
le religioni e visioni del mondo, ognuna delle quali pre- zione e non venga esercitata alcuna violenza sugli inter-
tende di avere la verità rispetto ai fedeli di altre religioni locutori; mira «utopica» certamente necessaria – come
e ai non credenti; pur riconoscendo questo fenomeno, denunciare altrimenti violenza ed esclusione? – ma al
egli tende piuttosto a ridurre le convinzioni e la «fede» a tempo stesso impossibile – come non riconoscerne il ca-
delle «opinioni»,6 collocandole nello schema aristotelico rattere «fittizio»? Infatti l’«utopia» del consenso univer-
dell’opinione (doxa) e del sapere (episteme).7 sale e senza costrizione garantisce unicamente la possi-
Effettivamente molti credenti considerano la loro bilità di porsi al di là dello scetticismo (nulla è vero) e del
«fede» un’«opinione» (doxa) fra altre, mentre molti non dogmatismo (io conosco la verità); posizione che il con-
credenti pongono la loro libertà semplicemente al ripa- cilio Vaticano II chiama «ricerca responsabile della ve-
ro da ogni interrogativo ultimo, restando in un cosiddet- rità» (Dignitatis humanae, n. 3; EV 1/1047).
to «riserbo agnostico»; in realtà, gli uni e gli altri adotta- Ma, ciò detto, bisogna riconoscere che nessuno è ob-
no istintivamente lo stesso atteggiamento di fondo di bligato ad argomentare. Come in passato, per lo più i
fronte al plurale che è il loro elemento, o accontentando- nostri contemporanei vivono interi periodi della loro esi-
si dello stato di fatto della loro credenza o rifiutando di stenza senza ricorrere a questo tipo di razionalità. Le lo-
impegnarsi. Per quanto legittimi e necessari siano un ta- ro convinzioni ultime riguardo al senso che danno alla
le agnosticismo e una tale tolleranza di fatto sul piano loro vita derivano maggiormente, come abbiamo già ri-
pubblico delle nostre società democratiche, bisogna tut- cordato, dal registro emotivo. A questo clima generale si
tavia chiedersi se questi atteggiamenti non conducano in aggiunge l’aporia inerente alla questione della verità:
definitiva a ridurre le tradizioni religiose alla loro utilità pur essendo «una» o «comune» a tutti gli esseri umani,
storico-sociale. essa è irrimediabilmente segnata dalle nostre divisioni
Certamente Habermas esalta il pensiero post-metafi- storiche e quindi attraversata dall’insuperabile pluralità
sico di un Kierkegaard che si confronta con l’«insupera- delle nostre convinzioni «assiali» o ultime. Mentre que-
bile eterogeneità» della fede8 e raccomanda un atteggia- sta aporia, maggiormente percepibile nel nostro conte-
mento di «non ingerenza» nei riguardi delle religioni, sto mondiale e post-metafisico, ma certamente struttura-
ma tutto sommato riduce queste ultime a «risorse» e de- le dell’enigmatico fenomeno umano, costringe il pensie-
finisce «apologetico» il tentativo interno alla teologia ro a mantenere al tempo stesso il rispetto della pluralità e
cattolica di mantenere la questione della verità sul terre- l’argomentazione a favore del «vero», essa continua a es-
no delle convinzioni religiose, una posizione, a suo avvi- sere ridotta a un insieme indistinto di opinioni multiple,
so, simmetricamente opposta allo scientismo, che le con- persino a degradarsi in violenza o semplicemente in in-
sidera per sé non vere, illusorie o prive di senso.9 differenza reciproca.
Quanto alla fede cristiana, essa non può acconten- Come argomentare, in questo clima globale di «dol-
tarsi dello statuto di «opinione», perché la convinzione ce nichilismo», a favore della pretesa all’assolutezza del-
intima che essa reclama da parte del soggetto è al tem- la fede cristiana?
po stesso un impegno nei riguardi della verità e della sua
propria verità; un impegno tanto più inespugnabile per La dot trina del «postulato»
il fatto che la «fede» trova nell’epoca post-metafisica il e la s t r u t t u ra d os s o lo g i ca d e l la « fe d e »
posizionamento radicalmente libero e senza garanzia di Per affrontare la questione nel quadro dell’aporia già
cui si è detto all’inizio. Ma bisogna aggiungere subito segnalata, a nostro avviso, l’unico approccio possibile è
che la conservazione della questione della verità nel un rinnovamento della dottrina kantiana del «postula-
campo specifico del nostro vivere insieme che sono le to», rimodellata su una concezione dossologica dell’atto
nostre convinzioni non è vantaggiosa solo per la Tradi- di fede. Infatti la critica della metafisica nell’epoca post-

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moderna non può significare la fine di un pensiero del nell’analisi di ciò che chiama la «malattia mortale», il
vero che deve allora, per conservare l’apertura radicale fallimento salutare di ogni atto di affermazione di sé me-
dell’umano, aprirsi un cammino molto precario fra il diante il sé.
dogmatismo e lo scetticismo. È chiaro che, in tutti questi casi, la tradizione narra-
S
Anzitutto, riguardo al suo versante filosofico, noi riaf- tiva della Bibbia è servita da «risorsa», permettendo l’ar-
fermiamo lo statuto «fittizio» dell’utopia di una comuni- ticolazione filosofica di questa «fede» post-metafisica
cazione universale e senza costrizione e aggiungiamo già sotto le sue diverse forme. Per ragioni che si chiariranno
che, per l’ermeneutica filosofica, il «grande racconto bi- in seguito, il teologo non può che reagire positivamente
blico», detto anche «grande codice»,10 ha un carattere di fronte a questo fenomeno di apprendimento e di «riu-
«fittizio»; statuto che riguarda più particolarmente la tilizzo», pur conservando la propria libertà di esprimere
sua metafora centrale, quella del regno di Dio. Ma pre- delle preferenze per questa o quella ripresa. Non basta,
cisiamo subito che questa sensibilità nei riguardi del in una prospettiva neotestamentaria, affermare che que-
mondo «biblico» come totalità non esclude assoluta- sta «fede di ragione» si aggiunge, come in Kant, alla
mente, ma al contrario include, l’interesse storico per la «coscienza morale» nella sua autonomia; ci sembra che
genesi di questo mondo e per coloro che l’hanno inven- si possa, e addirittura si debba, poter dimostrare che es-
tato e aperto. È precisamente qui che interviene l’atto di sa rappresenta in qualche modo il nocciolo di una «co-
«postulazione»: esso conserva – fino in fondo e al di là di scienza spirituale» che, in un’esperienza di gratuità ori-
ciò che è, propriamente parlando, conoscibile – un «as- ginaria, si mostra autorizzata a esistere per se stessa, nel-
soluto» che, pur essendo dell’ordine della finzione o di l’intersoggettività umana e nella sua inalterabile solitudi-
un «come se», si presenta come condizione necessaria ne; condizione relazionale e socio-politica di cui si par-
per permettere a colui che lo pone di condurre una vita lerà più avanti.16
«sensata».11 La dimensione dossologica o teologale della «fede»
In Kant, che al riguardo si basa sul «fatto razionale» emerge dal cuore di questa postulazione, precisamente
dell’imperativo categorico, questo atto di fede ragione- là dove si manifesta una gratuità assolutamente discreta
vole postula un’istanza divina, cioè un autore morale del e quindi senza esigenza di riconoscenza o di «ritorno».
mondo, in grado di riconciliare i due ordini della legge Se, sul piano filosofico, l’uomo biblico appare anzitutto
naturale e della legge morale.12 Ma qui poco importa il come credente che fa esistere «Dio», questo atto di «in-
dettaglio dell’argomentazione: è il suo stesso andamento venzione», se si osa parlare in questo modo, consiste, da
che ci interessa e soprattutto un modo di valorizzare la un punto di vista propriamente teologico, nel conferire a
creatività interna di una «fede» che esplicita ed estrapo- Dio lo statuto di «soggetto»; il che implica un’«inversio-
la progressivamente tutto ciò di cui essa dispone per re- ne» dello sguardo o una «conversione» del soggetto
sistere all’assurdo e al male,13 fino ad anticipare un’«en- umano che affronta ormai il «reale» con stupore (thau-
tità etica comune», una sorta di Chiesa universale e in- mazein), adottando «in qualche modo» lo sguardo stesso
visibile sulla terra di cui il regno di Dio è il simbolo. di Dio su di lui: «Nella tua luce, noi vediamo la luce»,
Ma, se la dottrina kantiana del postulato vuole con- canta il salmista, seguito da tutta una tradizione che usa
servare soprattutto l’autonomia assoluta della coscienza la metafora dell’«immagine» e dello «specchio» per at-
morale e, in qualche modo, la «gratuità» del rispetto del- tribuire l’azione della sapienza o del Logos nell’umanità
l’altro e di sé, resa indipendente da ogni promessa di a Dio (cf. Sap 7,26s; 1Cor 13,12; 2Cor 3,18).17
premio o di castigo, allora bisogna chiedersi ciò che mo- La libera creatività della «fede» viene assunta in que-
tiva in definitiva questo atto gratuito, rendendolo così st’esperienza dossologica; essa non è annullata, poiché il
possibile. Kant riflette sul problema della volontà corrot- silenzio di «Dio» ne è la riproduzione. Anche questo si-
ta e pervertita dal male e sulla sua possibile rigenerazio- lenzio assume nell’atto stesso di pregare e lodare Dio
ne, ma non cede quanto alla necessità di lasciare solo al- una nuova connotazione; ora esso abita la fede, la tra-
l’uomo e alle sue opere ciò che egli deve diventare, buo- scende dall’interno e l’ingloba al tempo stesso come in-
no o cattivo. globa tutto il «reale», manifestandosi come semplice «sì»
Ora è qui, proprio nel luogo della massima fragilità divino. Perciò l’atto di fede propriamente teologale resta
della volontà umana, che si può introdurre, in una pro- il risultato di una sintesi che simultaneamente si prova e
spettiva più paolina, l’esperienza e la nozione del «poter si comprende come realizzazione, persino come incar-
essere sé stessi» o del «poter essere più proprio» del sé. nazione di un «disegno divino»18 di cui può rendere con-
Kierkegaard, al quale dobbiamo la prima di queste to solo un pensiero narrativo in forma olistica; lo mostre-
espressioni, guida la traversata del sé, mediante la sua remo nella seconda parte.
trascendenza interiore, fino all’immersione nella poten- Di fronte ai rischi della storia e alle molteplici mani-
za che l’ha posto,14 mentre Heidegger, autore della se- festazioni del male, questa fede continua a resistere al-
conda espressione, identifica l’emergenza del sé con una l’assurdo e al tragico, ma ormai procedendo a una «pon-
«chiamata ascoltata»: «Al Se-stesso chiamato, nulla è derazione» della vita umana a partire dal «sì» silenzioso
gridato, ma esso è convocato a se stesso, cioè al suo po- di Dio. Indubbiamente la confessione di fede dell’apo-
ter-essere più proprio».15 A causa del carattere formale stolo Paolo ne è l’espressione più alta. Concludendo un
del ragionamento, si tratta, in entrambi i casi, di una ve- lungo processo di riflessione condivisa con i Romani,
ra «postulazione»; in Kierkegaard, essa prende la forma egli afferma: «Ritengo (logizomai) infatti che le sofferen-
di una resistenza al male che il pensatore cristiano usa ze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria

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futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). La conserva- tima di una fede che non può che essere un atto libero
zione e la proclamazione di un Vangelo fin nella prova senza alcuna garanzia, ricevendo da Dio – senza confu-
del male e della morte può avere come soggetto solo sione con le nostre conquiste cognitive e tecniche – ciò
Dio: Bontà radicale di «colui che dà vita ai morti e chia- che per sempre lui solo può donare all’uomo, cioè se
ma all’esistenza le cose che non esistono» (Rm 4,17). stesso nella sua santità assolutamente gratuita.
Queste riflessioni sul pensiero di Dio nell’epoca post-
U n m o d o d i a ss u m e re metafisica riuniscono tutte le condizioni per liberare i
l’aporia della condizione post-metafisica racconti di Dio da un’utilizzazione puramente circostan-
Al punto in cui siamo giunti nell’argomentazione ziale, persino folkloristica, e introdurli in una teologia
della fede a favore della sua propria consistenza, possia- narrativa che non schiva la pretesa della fede di porre
mo già ritornare sull’aporia inerente alla questione della Dio in posizione di «soggetto» di un intrigo universale.
verità, cioè l’inespugnabile unità del «vero» e la minac- È ciò che mi propongo di fare ora, nel secondo tempo.
cia che sembra pesare su di essa a causa dell’insuperabi-
le pluralità delle convinzioni ultime che coabitano più o II. D A L L A P O N D E R A Z I O N E A L L A N A R R A Z I O N E
meno difficilmente in seno alla stessa umanità. La traversata di un pensiero post-metafisico della fe-
Riguardo al modo specifico della tradizione biblica e de in Dio ci ha condotti al punto preciso in cui possiamo
cristiana di affrontare questa aporia insuperabile, la for- chiederci se vi siano delle ragioni propriamente teologi-
ma propria che le dà consiste nell’assumere fino in fon- che, derivanti quindi dalla figura cristiana di Dio, per
do la fragilità umana che quest’enigmatica condizione fondare il legame fra lui e una narrazione universale,
produce: la fede «prende su di sé» la menzogna, la vio- stabilita per la prima volta nella letteratura apocalittica
lenza e ogni esclusione, persino l’assenza di ogni interes- con la nozione di «disegno divino».
se per il vero; essa applica semplicemente la regola d’o- Partirò dalla discussione delle ragioni proposte dalla
ro (cf. Mt 7,12) riguardo alle altre convinzioni assiali del- teologia narrativa classica a proprio favore, e le valuterò
l’umanità. in funzione della loro pertinenza in epoca post-metafisi-
Integrare in questo modo la prospettiva altrui, qua- ca. Poi occorrerà mostrare – ed è il punto principale –
lunque essa sia, al punto da prendere su di sé le situazio- che i racconti evangelici del Nuovo Testamento sono
ni limite dell’intersoggettività umana, compreso l’even- particolarmente consoni alla nostra condizione storica,
tuale rifiuto di comunicare, significa identificare la verità perché si interessano non solo a Cristo e ai suoi discepo-
in definitiva con un modo di comunicare con l’altro; un li, ma anche alla figura, più elementare e universale, di
modo che il Nuovo Testamento, in particolare l’aposto- coloro che circostanze di ogni sorta pongono davanti al-
lo Paolo, riconosce al Messia che è per lui Gesù di Na- la questione del peso e del valore della loro vita. In
zaret. Questa prospettiva, che si può chiamare «kenoti- realtà, questo interesse per le folle anonime e per la sin-
ca» (cf. Fil 2,5s) o assimilare alla «santità» biblica, sup- golarità assoluta di colui che se ne distacca induce a sta-
pone non solo che il soggetto mantenga fino in fondo la bilire un legame fra Dio e le nostre storie umane, perché
coerenza con se stesso (concordanza fra pensieri, parole quello che viene detto il suo «disegno» altro non è che il
e atti) e attivi la sua capacità paradossale di mettersi (con suo modo unico di permettere alla moltitudine di farlo
simpatia e compassione) al posto dell’altro senza mai la- esistere mediante una «ponderazione» credente, nel sen-
sciare il proprio posto; ma essa implica anche e soprat- so antropologico ed, eventualmente, dossologico del ter-
tutto che, precisamente nelle situazioni limite della co- mine spiegato sopra.
municazione, sia cambiato il suo rapporto con la morte; All’orizzonte di quest’ipotesi si profila già la questio-
su questo ritornerò più esplicitamente nell’ultima parte. ne della ragion d’essere degli altri generi letterari o for-
La fede, che come abbiamo detto esplicita ed estra- me di discorso nella memoria biblica, che potrebbero
pola, in un processo di valutazione e ponderazione, tut- candidarsi anch’essi a un ingresso privilegiato in teolo-
to ciò di cui dispone per affrontare situazioni inedite di gia; questione legittima che noi affronteremo solo nel-
comunicazione, assimila questa santità assolutamente l’ultimo tempo del nostro percorso, per proporre una de-
non esigibile a Dio, considerato come colui che rende finizione più precisa della teologia narrativa.
possibile nella storia «l’improbabile», persino «l’impossi-
bile». Nella sua forma propriamente dossologica di spos- Le esitazioni
sessamento di sé, essa dà così alla sua Bontà radicale il della teologia narrativa classica
suo ultimo significato, al quale mirano la teologia del In realtà fin dall’inizio, nel 1973, questa questione di
XX secolo e il concilio Vaticano II quando usano l’e- una definizione della teologia narrativa è caratterizzata
spressione paradossale di «auto-rivelazione di Dio come da una serie di esitazioni, causate soprattutto dalla con-
mistero» (Dei verbum, nn. 2 e 6; EV 1/873 e 878). sapevolezza di certi limiti interni al progetto: è veramen-
Notiamo, per concludere questo primo tempo, che te possibile esprimere tutta la teologia cristiana in termi-
questo concetto risponde perfettamente alle esigenze di ni di teologia narrativa? Tutti gli autori si difendono dal
un pensiero post-metafisico, inaugurato mediante la rischio evidente della confusione: «Nessuno quindi im-
messa in risalto della modalità della fede: se Dio ha do- maginerà che, sotto il nome di teologia narrativa, si na-
nato tutto, compreso se stesso – come indica la nozione sconda il progetto di raccontare invece di pensare», sot-
di «auto-rivelazione», – allora si comprende non solo il tolinea Paul Beauchamp.19 Fin dalla prefazione del suo
silenzio di colui che ha detto tutto, ma anche la forma ul- Dio mistero del mondo Eberhard Jüngel confessa la sua

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perplessità: «Non riuscivo a risolvere il problema se la te, appare come la cosa più ovvia. Non è la ragione pra-
teologia narrativa sia realizzabile sotto la forma di una tica ma il giudizio a essere provocato primariamente».29
dogmatica scientifica o se la teologia narrativa non fac- La perorazione di Jüngel a favore dell’uditrice Maria,
cia piuttosto già parte dei compimenti pratici della Chie- preferita da Gesù a Marta che agisce troppo in fretta,
S
sa e abbia il proprio Sitz im Leben (posto vitale) nell’an- mostra che egli rifiuta la riduzione della contemplazione
nuncio».20 Più recentemente anche Paul Ricoeur ha all’azione. Ma la ragione teologica di questo rifiuto è
espresso le sue riserve: «Temo una certa inflazione del l’interesse dei racconti biblici per la verità che le stesse
racconto come genere letterario a spese di altri modi di Scritture valorizzano anche mediante l’argomentazione.
discorso: prescrittivi, profetici, innici, sapienziali».21 In realtà, Eberhard Jüngel è l’unico ad aver fondato
I teologi avanzano perlomeno due ragioni per fonda- teologicamente la diversità dei generi letterari, e special-
re il privilegio del racconto rispetto ad altre forme di di- mente la differenza fra racconto e argomentazione. Per
scorso, come ad esempio l’argomentazione. Sulla scia di lui la forma dei testi più antichi, «lettere apostoliche di
Paul Beauchamp, Bernard Sesboüé propone una «pic- carattere fortemente discorsivo», indica chiaramente
cola antropologia del racconto» che cerca di individua- che Dio si è offerto alla contemplazione solo nel Croci-
re «la molla segreta di questo bisogno di racconti che ci fisso: solo questo divieto cristiano delle immagini sareb-
caratterizza». Ricorda che «l’assenza è la sostanza del be in grado di garantire la singolarità unica di Dio, che
racconto», e più ancora «la mancanza»; questo ci con- non ha storie perché è storia. L’argomentazione delle let-
duce dal nostro proprio racconto al racconto biblico, per tere permetterebbe quindi di proteggere i racconti evan-
leggervi «le due componenti della nostra salvezza, libe- gelici dalla narrazione apocrifa che dimenticherebbe
razione dalla finitezza e liberazione dal male».22 Già questo principio.30
Jean Baptiste Metz aveva avanzato delle ragioni soterio- Anche se il contenuto dell’argomentazione di Jüngel
logiche per fondare la necessità del racconto: la storia e soprattutto la concentrazione della sua teologia sul
della sofferenza come storia della colpa e storia dei vinti Crocifisso non sono necessariamente convincenti, è in-
resiste a ogni logica emancipatrice e mette in discussio- negabile che egli ha toccato, di sfuggita, il principio stes-
ne una soteriologia puramente speculativa.23 so di una teologia narrativa che consiste nel mettere in
Con un approccio più barthiano, Eberhard Jüngel risalto la concordanza assoluta fra la forma e il contenuto
adduce ragioni propriamente teologiche favorevoli a fare della memoria biblica; un compito che implica evidente-
dell’«umanità di Dio una storia da narrare»:24 «Il fatto mente una riflessione teologica sui limiti della narratività
che l’uomo possa corrispondere all’umanità di Dio solo che abbiamo annunciato per l’ultimo tempo del nostro
raccontandola è stato motivato con la conoscenza dell’u- percorso.
manità di Dio come evento che imprime una svolta alla Invece bisogna discutere fin d’ora l’affermazione di
storia umana, che divenne realtà non a partire da questa Jüngel secondo cui Dio non ha storie perché è storia. Si
storia e dalle sue possibilità, ma solo dalla potentia aliena può contestare la capacità del grande intrigo biblico, già
del Dio che viene al mondo. Il linguaggio che corrispon- plurale in se stessa, di generare una molteplicità di rac-
de alla svolta della storia è propriamente il racconto».25 conti? Si pensi qui ai racconti della storia, da Eusebio fi-
Perciò Jüngel insiste sulla presenza escatologica della no ai nostri giorni, o alle diverse versioni dell’intrigo fi-
fine della storia «nel corso del tempo»: «L’annuncio del losofico dei tempi moderni, da Lessing31 a F. Kermode32
nuovo tempo fa sembrare l’essere del mondo come reso e J. Habermas, o ancora a quella parte della letteratura
vecchio da nuovo tempo e destinato a passare».26 Tutta- mondiale che si è lasciata ispirare da una determinata fi-
via ciò che può essere solo raccontato «nel corso del tem- gura delle Scritture o da uno dei suoi intrighi, persino
po» non è una possibilità del tempo, ma suppone la ve- dalla Bibbia nel suo complesso.33 Ma bisogna pensare
nuta al mondo del mistero del mondo. Jüngel pensa que- anche e soprattutto alle numerose biografie dei santi e
sta venuta in un’«ontologia fondamentale» del possibile degli autori spirituali34 che, esse stesse ricalcate sui rac-
e del reale27 che annuncia già gli sviluppi di Paul Ri- conti biblici, hanno generato altre biografie a volte ano-
coeur nel decimo studio di Sé come un altro.28 nime, in un’immensa moltiplicazione di racconti.
Il faccia a faccia fra Metz e Jüngel è molto istruttivo Vi sarebbe un modo ascetico di volgere le spalle a
nel quadro della nostra ricerca di un principio che per- questa visione apocalittica,35 concentrando tutte le ener-
metta di stabilire un legame intrinseco fra Dio e la nar- gie sulla protezione dogmatica dell’unicità di Dio che
razione narrativa. Metz non indica alcuna ragione teolo- non ha storie. È vero – e vi ritorneremo – che l’intrigo
gica per stabilire la necessità dell’argomentazione, che biblico è organizzata attorno al Dio unico e al suo uni-
egli riduce del resto a un’apologia del racconto. Si priva co, «l’unigenito», colui che cantano i salmi 2 e 110 e che
anche di colpo della possibilità di fondare il suo proprio intravede da lontano l’oracolo di Is 53,8: «Chi raccon-
modo di ragionare, identificando il logos della teo-logia terà la sua generazione?». In realtà, per san Tommaso
cristiana con una cristo-prassi al seguito di Gesù. questa generazione divina e umana di Gesù è ineffabi-
È il punto che Jüngel contesta con forza, sottolinean- le;36 e noi abbiamo visto l’argomento di Jüngel che inter-
do l’esigenza di verità iscritta nel racconto biblico. Scri- rompe il racconto, in questo punto cruciale, con il divie-
ve: «L’interesse pratico a cui mira il narratore non s’in- to di ogni immagine. E tuttavia, non si deve pensare al
dirizza immediatamente all’agire, ma vuole rendere tempo stesso al fatto che la Lettera agli Ebrei, ad esem-
esperibile ciò che senza la parola narrante per qualsiasi pio, trasferisce la «filiazione divina» alla condizione co-
motivo non è ovvio, ma, sulla base della parola narran- mune di tutti? Scrive il suo autore: «Conveniva infatti a

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colui per il quale e mediante il quale esistono tutte le co- La specificità della tradizione biblica non è solo quel-
se di condurre alla gloria una moltitudine di figli».37 la di aver articolato questi molteplici intrighi collettivi e
Questa straordinaria trasgressione indica chiaramente singolari e di averle riunite e collegate in raccolte sempre
che il Dio di Gesù Cristo ha una moltitudine di storie. più ampie, giungendo fino a imprimere all’insieme la
La nostra percezione attuale di questa moltitudine, forma olistica di un grande racconto. La specificità di
così come scaturisce dal plurale interno dell’intrigo bibli- questo corpus è evidenziata anche e soprattutto dal suo
co e dalla sua capacità di generare altri racconti, è inti- modo di iscrivervi, fin dalle prime parole, la postulazione
mamente legata allo statuto dell’atto di fede in una so- di senso sotto la sua forma dossologica, facendo indubbia-
cietà post-metafisica, analizzata nel primo tempo del no- mente di Dio il «soggetto» del grande racconto che in-
stro percorso; d’altra parte, essa è confermata, persino globa e orienta dall’interno l’insieme degli intrighi sin-
richiesta dal centro cristologico e pneumatologico dei golari e collettivi, ma facendolo in modo tale che la va-
racconti evangelici. Sono i due punti che bisogna affron- lutazione del «peso» di ogni episodio di questo racconto
tare ora e che ci inducono ad abbandonare il quadro sia progressivamente lasciata agli stessi attori umani. Da
della teologia narrativa classica. questo punto di vista, il percorso narrativo della Genesi
è particolarmente significativo per l’insieme della Bib-
L’at to di «ponderazione» richiede tempo bia.39 Esso articola fin dall’inizio i due livelli del disegno
Sopra abbiamo visto che, in una prospettiva filosofi- divino e della libertà umana, lasciata alla contingenza
ca, la fede esplicita ed estrapola tutto ciò di cui dispone della storia e al male sotto tutte le sue forme, ma, nel ci-
per affrontare l’assurdo e che, in una prospettiva teolo- clo di Giuseppe, dà al saggio che sogna e sa interpretare
gale e dossologica, giunge fino a spossessarsi di sé, la- i sogni altrui una chiaroveggenza quasi divina e, a cose
sciando la parola a Dio e adottando il suo sguardo sul fatte, lacrime umane provocate dal modo di Dio di trar-
«reale». Questo spossessamento di sé conviene special- re il bene dal male (Gen 50,20).
mente in tutte le situazioni limite della comunicazione Solo che questa postulazione è quella di un narra-
umana, soprattutto quando la difficile coabitazione fra tore anonimo e onnisciente, quasi silenzioso e, comun-
convinzioni ultime si trasforma in violenza e si presenta que, assolutamente discreto, che lascia al lettore come
all’orizzonte la possibilità di assumere quest’ultima at- un’evidenza che Dio è autore di un intrigo divino. Sol-
traverso un atteggiamento di non violenza. Sperimen- tanto in epoca moderna questa postulazione viene per-
tando concretamente il carattere improbabile di quella cepita come tale e nella sua forma specifica di presup-
posizione che la tradizione biblica indica con il termine posto. Nessuno l’ha espresso meglio di Thomas Mann
«santità», la fede si spinge fino al fondo della sua estra- nel suo grande romanzo Giuseppe e i suoi fratelli in
polazione dossologica e attribuisce questa santità a Dio, quattro volumi (1933-1943), spesso commentato ai no-
la cui bontà è considerata tale da rendere gratuitamente stri giorni. Attraverso la memoria di Giuseppe, egli ri-
possibile l’impossibile, nella stessa storia dell’umanità. sale ad Abramo e mostra come quest’ultimo, «sognato-
Quest’esplicitazione e quest’estrapolazione intrapre- re roso dall’inquietudine», fu «spinto a mettersi in cam-
sa dalla fede è un atto di valutazione e di ponderazione mino dall’inquietudine di Dio (Gottesnot)» e il modo in
che richiede tempo e si iscrive nel tempo di una vita e nel cui l’ha «scoperto», facendo apparire, a più riprese e
tempo della storia. Bisogna distinguere e mantenere in- con un’estrema precisione, l’inversione del movimento
sieme questi due poli, singolare e collettivo, di uno stes- di postulazione nel cuore della struttura dossologica del-
so atto, perché si generano reciprocamente.38 la fede.
Infatti dare senso alla propria vita ed entrare even- Ecco ciò che si legge nel secondo volume: «Si chia-
tualmente nell’inversione dossologica della fede teologa- mava Abiram, che poteva significare “mio Padre è subli-
le resta un’esperienza assolutamente singolare che ac- me”, ma anche, a ragione, “padre del Sublime”; infatti,
compagna tutta una vita con le sue crisi e le sue riprese, in una certa misura, Abraham non è forse il padre di
le sue molteplici sorprese e le sue fasi più tranquille, sen- Dio, dal momento che lo aveva contemplato e nel pensie-
za poter terminare prima della morte del soggetto; essa ro aveva concretizzato la sua immagine (ausformen und
può esprimersi precisamente in elementi di racconti, di hervordenken)? Certamente, le qualità insigni che gli at-
intrighi di risoluzione e di rivelazione (secondo le espres- tribuiva erano l’appannaggio primordiale del Signore,
sioni consacrate dalla narratologia), andando dalla sem- Abram non ne era assolutamente il creatore; tuttavia,
plice confidenza o dalla confessione fino al racconto bio- non le aveva forse in qualche modo generate scoprendo-
grafico. Ma essa esiste solo se l’ambiente la rende possi- le, insegnandole e conferendo loro, mediante lo spirito,
bile, fornendo al soggetto le risorse del linguaggio e di una realtà? Senza dubbio, le virtù onnipotenti di Dio esi-
una tradizione con le sue figure di identificazione, per- stevano sostanzialmente al di fuori di Abraham, ma esse
mettendogli così di articolare il suo proprio cammino e erano al tempo stesso in lui ed emanavano anche da lui;
il suo modo di dargli un senso. Da parte loro, anche que- in certi momenti, era impossibile dissociarle dalla poten-
ste tradizioni di senso hanno una storia che consiste nel- za della sua anima, di lui Abiram, tanto erano stretta-
l’integrare nel loro patrimonio narrativo, grazie a un fe- mente unite e confuse nella conoscenza. Era lì il punto
nomeno di rilettura, le esperienze decisive, crisi e ripre- di partenza dell’alleanza…».40
se, che hanno condotto i loro portatori collettivi e indivi- O ancora questo breve riassunto nel quarto volume:
duali, attraverso soglie critiche, a prese di coscienza spi- «Dio aveva messo nel suo cuore l’inquietudine, affinché
rituali e a valutazioni sempre più sottili e approfondite. lavorasse senza sosta a concretizzarlo attraverso il pensiero

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(ausformen und hervordenken) e il Signore ricompensò de. Un certo ascetismo teologico ha impedito a Jüngel di
la creatura che creava in spirito il Creatore, ricolmando- percepire questa capacità di generazione plurale del rac-
lo di promesse insigni. Concluse un’alleanza con lui af- conto biblico.
finché ognuno si santificasse attraverso l’altro…».41 Invece la lettura cristiana e liturgica del testo attiva
S
immediatamente la struttura dossologica della fede e
Pluralità di figure della «fede» e pluralità l’inversione che fa di Dio il «soggetto» del grande intri-
di racconti: Dio chiede di essere raccontato go della storia e del mondo. È qui che si chiarisce in defi-
Se si passa – certo in modo un po’ troppo rapido – nitiva il legame intrinseco fra Dio e il racconto: solo la let-
dalla Genesi ai racconti evangelici, non si abbandonano tura trinitaria del testo biblico permette di conservare fi-
i due livelli, stabiliti da narratori onniscienti e anonimi, no in fondo l’iniziativa di Dio, mantenuta nell’atto dos-
anche se lì la «voce» divina è infinitamente più discreta sologico, e la creatività inerente all’atto di fede, compre-
e il personaggio principale, Gesù, conduce, in Marco e sa quella del «chiunque» di cui abbiamo appena parla-
Matteo, verso l’esperienza abissale dell’abbandono da to: c’è disegno di Dio, perché contano fino in fondo la
parte di Dio; il che è senza dubbio un modo dei narra- contingenza pericolosa e gioiosa della storia e la plura-
tori di mettere alla prova la loro propria «onniscienza». lità e la singolarità dei percorsi umani; ma quest’alterità
Ma il punto specifico, nel nostro contesto, è il modo in interna al disegno divino gli dà al tempo stesso e dà alla
cui questi racconti collocano l’atto di fede come atto di sua unità la profondità «abissale»43 che il concetto
valutazione all’interno della relazione fra Gesù e coloro dell’«auto-rivelazione di Dio come mistero», introdotto
che lo incrociano. Questa prospettiva è talmente decisi- alla fine della prima parte, tenta di pensare.
va da dover essere integrata nella definizione stessa del Infatti l’esplicitazione trinitaria di questa «consegna
genere letterario «Vangelo»: «I Vangeli sono racconti di di sé» da parte di Dio permette di conservare, da un
conversione che descrivono non solo il percorso di Gesù, punto di vista teologico, la creatività interna della fede,
dall’inizio alla fine, ma anche ciò che egli diviene in e ancora una volta compresa quella di «chiunque»: Dio è
per coloro che nel loro percorso incrociano il suo».42 colui che si dona all’uomo, donandogli il suo proprio
In questa definizione è sottintesa la prospettiva nar- Spirito di santità, affinché l’uomo possa donargli libera-
ratologica secondo la quale ciò che avviene sulla scena mente l’esistenza nella sua creazione. Il Messia Gesù in-
del testo può riprodursi, nell’atto stesso della lettura, fra carna una volta per sempre questo libero atto di ascolto
il narratore e i lettori se questi ultimi accettano di entra- e di obbedienza «kenotica», divino e umano al tempo
re nel processo di identificazione, rappresentato dal rac- stesso; ma la sua esistenza sarebbe scomparsa da molto
conto. tempo dalla storia e scomparirebbe oggi se coloro che lo
Ora il racconto non mette solo in scena il destino dei seguono non continuassero a farlo esistere nei loro pro-
discepoli di Cristo e dei Dodici, ma riserva soprattutto pri percorsi. È precisamente questa tensione fondamen-
un posto privilegiato alla figura di «chiunque», senza di- tale fra l’«una volta per tutte» del suo «passaggio» in Pa-
ventare discepolo, si vede accreditato un atto di «fede»: lestina e lo Spirito Santo e creatore a permettere di pen-
va’, figlio mio, figlia mia, la tua fede ti ha salvato/a (cf. sare la creatività storica della Tradizione cristiana e lo
Mc 2,5; 5,34). L’alterità di «chiunque» è fortemente sot- spossessamento di sé a vantaggio dell’umanità che deve
tolineata, soprattutto da Luca che l’incarna nella figura caratterizzarla in epoca post-metafisica.
del centurione ammirato da Gesù, il quale dichiara alla Registriamo, per chiudere questo secondo tempo, un
folla: «Neanche in Israele ho trovato una fede così gran- doppio risultato che ci permette di lasciare la teologia
de» (Lc 7,9). Questa «fede» elementare viene qualificata narrativa sotto la sua forma classica.
unicamente mediante la sua situazione relazionale: Abbiamo anzitutto compreso il motivo per cui la teo-
«chiunque» si pronuncia, almeno implicitamente, ri- logia può affrontare solo in modo globalmente positivo i
guardo a Gesù, diventando così il beneficiario della sua tentativi, in epoca post-metafisica, di considerare le tra-
presenza – «Figlio mio, figlia mia…» –, essendo al tem- dizioni religiose e, in particolare, la tradizione narrativa
po stesso rinviato da lui alle sue risorse interiori più della Bibbia come una «risorsa» che permette di ricupe-
profonde – «La tua fede ti ha salvato». rare da questi contenuti la modalità della fede (Vernunft-
Se ciò che avviene nei racconti evangelici può ripro- glauben), senza la quale è difficile oggi trovare delle mo-
dursi fra narratori e lettori, bisogna distinguere vari tipi tivazioni per agire come si deve, quando si affrontano i
di rapporti con il testo. Non è legittima solo la lettura ec- problemi relativi all’avvenire della specie umana. Come
clesiale, fatta dai discepoli di Cristo, ma anche quella di il Gesù dei racconti evangelici si è avvicinato a «chiun-
«chiunque». Il centurione di oggi che considera questi que» per suscitare in lui la sua propria fede elementare,
racconti biblici e l’insieme del racconto biblico come te- così oggi la teologia è invitata ad adottare un atteggia-
sto di identificazione e «scuola di umanità», vi trova la mento ospitale, ovviamente non privo di critica, nei ri-
sua propria avventura umana e attinge, in questo serba- guardi di tutte le manifestazioni di una «fede» nella vita
toio, l’intelligenza delle vie umane per dare loro anche e nell’avvenire dell’umanità, comunque si presentino del
oggi una forma, eventualmente scritta; allora lo fa a par- resto queste risorgive e a qualsiasi profondità si trovino.
tire da quella postulazione elementare e fondamentale E se dimostra benevolenza e, a volte, ammirazione di
che suppone che la vita, qualunque cosa capiti, mantie- fronte ai tentativi di apprendimento e di «rielaborazio-
ne la sua promessa, senza che si produca l’inversione ne» che ha suscitato la sua tradizione, non può non rico-
dossologica né abbia luogo l’esperienza che vi corrispon- noscere al tempo stesso di aver essa stessa beneficiato

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dell’ingresso delle società nell’epoca post-metafisica per pio di concordanza in 1Cor 2,1-5: «La mia parola e la
una migliore comprensione della prospettiva teologale mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi
delle sue proprie risorse narrative. Questo processo di di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e del-
apprendimento plurisecolare è passato attraverso l’ad- la sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata
domesticamento progressivo dell’esegesi critica, la cui ri- sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio». Formu-
presa in teologia narrativa è possibile solo attraverso la lato a partire dalla sua esperienza apostolica, questo bre-
mediazione di una filosofia della religione di tipo kantia- ve passo parte dallo statuto teologale della «fede», per li-
no, perché solo questa permette di conferire il suo vero berare l’uditore rispetto all’eventuale forza persuasiva
significato all’interesse storico per la genesi del «mondo» del retore cristiano o, piuttosto, per esigere che la forma
biblico e per coloro che l’hanno inventato e aperto: se in- del suo discorso non ostruisca la libertà divina della fede
fatti, da un punto di vista filosofico, questo atto di aper- del ricevente che essa deve suscitare, ma vi sia, al contra-
tura dipende da una postulazione, da un punto di vista rio, perfettamente accordata; principio generale che bi-
teologico esso suppone una libera esperienza dossologi- sogna evidentemente applicare alle stesse Lettere paoli-
ca nella quale Dio si manifesta come «soggetto» di un in- ne, ma che si può estendere anche ai racconti evangelici
trigo universale, permettendo al credente di affrontare le e al resto della Bibbia.
sue relazioni con gli altri «in modo divino». Così precisato, il principio estetico di concordanza
Il secondo risultato, intravisto da Jüngel, è il principio fra la forma e il contenuto non apre solo una vera criti-
di concordanza fra la forma e il contenuto teologale del- ca interna del canone delle Scritture, ma permette an-
la memoria biblica. Questo principio ci ha già guidato che l’elaborazione di una teoria dell’ispirazione;44 esso
nel nostro modo di affrontare il racconto biblico e i rac- interroga anche la teologia e il teologo sul loro proprio
conti evangelici. Ci resta da esplicitarlo in un ultimo modo di comunicare. Il teologo non può accontentarsi
tempo del nostro percorso. della posizione di commentatore delle Scritture; anche
se gli conviene ritornare sempre alla posizione del dida-
III. I L P R I N C I P I O D I C O N C O R D A N Z A F R A F O R M A skalos di Matteo o anche dell’hodegos lucano nascosto
E C O N T E N U T O E I L I M I T I D E L L A N A R R AT I V I T À nel personaggio di Filippo (At 8,31 e contesto), a ispirar-
Se c’interessiamo a questo principio di concordanza si quindi alle molteplici «pedagogie» bibliche e al princi-
è perché ci permette non solo di chiarire i rapporti fra la pio di concordanza quando instaura il suo rapporto ver-
teologia narrativa, l’esegesi critica e la narratologia lette- so i testi e, con i testi, verso altri lettori, la cui autonomia
raria e biblica, ma anche e soprattutto di giungere a una «teologale» gli sta a cuore. È proprio questo interesse
definizione più limitata e quindi più precisa della teolo- centrale della Bibbia per il punto di vista del ricevente e
gia narrativa: essa deve essere riferita a una memoria bi- per la sua situazione, valorizzato dall’analisi narrativa,
blica che conosce altri generi letterari oltre al racconto e che obbliga il teologo a collocarsi, con altri lettori, a di-
che si comprende, proprio in questa forma differenziata, stanza dal testo biblico, «fuori testo», non solo a indurlo
a partire dall’esperienza teologale di santità come suo ul- a rileggere il racconto nell’oggi, ma anche e soprattutto a
timo mistero. invitarlo a riscriverlo, onorando così (contro l’ascetismo
di Jüngel) la sua forza di generazione plurale stabilita nel
Un principio estetico e teologale secondo tempo del nostro percorso.
Ricordiamo anzitutto che la concordanza fra la for- È allora che egli deve fare intervenire la pluralità del-
ma e il contenuto di un’opera o di un discorso è il crite- le convinzioni e dei «punti di vista» all’interno delle no-
rio più elementare per apprezzarne la qualità stilistica. stre società post-metafisiche e l’aporia inerente alla que-
Ora, questo criterio trova nella narratologia letteraria stione della verità di cui abbiamo parlato nel primo tem-
un’applicazione particolare, perché quest’ultima s’inte- po del nostro percorso. Infatti il principio estetico del-
ressa proprio alla relazione intrinseca fra il narratore e il l’accordo fra la forma e il contenuto trova il suo signifi-
lettore, come abbiamo già segnalato: ciò che avviene nel cato propriamente teologico quando viene applicato non
racconto fra i personaggi, collegati e caratterizzati in un solo ai testi, ma anche e soprattutto ai «testimoni» che
intrigo più o meno complesso da un narratore più o me- hanno dato loro forma e ne vivono; esso ha allora il no-
no onnisciente, è chiamato a diventare «realtà» fra il te- me più concreto di «santità»: forma di vita che corri-
sto e i suoi lettori. L’analisi dei «punti di vista» occupati sponde assolutamente a ciò che essa significa, cioè la
dal narratore conduce quindi a individuare il suo modo santità stessa di Dio. Evidentemente questo stile di vita
di guidare il lettore mediante strategie «pedagogiche» viene messo particolarmente alla prova quando le nostre
più o meno sottili. convinzioni ultime diventano fonte di violenza. Allora la
Quest’osservazione generale permette di rivolgere ai santità «si manifesta» come quella «posizione» altamen-
testi biblici, come a qualsiasi testo, la domanda stilistica: te improbabile che, come abbiamo già detto, consiste nel
c’è o meno concordanza e, se c’è, quale concordanza, fra mantenere fino in fondo la concordanza con sé stessi as-
ciò che il racconto vuole comunicare e il suo modo di far- sumendo su di sé le situazioni limite dell’intersoggettività
lo? Una domanda che si radicalizza se la posta in gioco umana, compreso l’eventuale rifiuto di comunicare; il
della comunicazione è il Vangelo, il «mistero», la «fe- che, in una situazione di minaccia, suppone una libertà
de»… o ancora la corrispondenza misteriosa della «fe- radicale nei riguardi della prospettiva della morte. Il
de» con il «punto di vista» di Dio. centro del Nuovo Testamento, ciò che esso indica come
A suo modo, l’apostolo Paolo enuncia questo princi- il suo mysterion (cf. Mc 4,11; 1Cor 2,1.7) non è altro che

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l’unico Dio, il quale comunica alla moltitudine quella nella misteriosa concordanza di Dio con se stesso, total-
santità che lo costituisce in se stesso (cf. Lv 19,1s; Mt mente impegnato nella comunicazione che fa di se stesso
5,43-48). in coloro che senza violenza affrontano la violenza. È
In retrospettiva, qui si chiarisce la pluralità dei «pun- precisamente questa «santità» a permettere di compren-
S
ti di vista», pianificata da un narratore evangelico che dere il versante pneumatologico e cristologico del rac-
non vuole controllare la libertà dei suoi lettori ma, al conto di Dio, dato che la loro unità fonda la teologia
contrario, da buon pedagogo, suscitarla perfino nelle si- narrativa nel suo statuto principiale.
tuazioni limite che il lettore stesso deve attraversare; di In realtà, la condivisione della santità stessa di Dio
fronte alle figure di santità presenti nella storia, egli può con una moltitudine introduce in ogni essere umano, del
essere indotto in definitiva ad adottare l’atteggiamento resto indipendentemente dal fatto di avere o meno una
dossologico nei riguardi dello stesso testo «sacro» e ac- tradizione religiosa, un «limite» incredibilmente mobile
clamarlo come parola del Dio santo; può anche legitti- fra un appello «smisurato» che risuona in lui, l’appello a
mamente considerarlo un «classico» fra altri, al quale si essere come «Dio», e la sua propria «misura» umana (cf.
riferisce a causa della sua qualità stilistica e della coeren- Mt 5,43-48). C’è veramente «generazione» quando ciò
za del modello di umanità che esso sviluppa, attingendo- che si presenta così alla «coscienza spirituale» (al quale
vi una «fede» umana che gli permette di attraversare, al- qui ritorniamo) come «smisurato» si dimostra di colpo
l’occasione in modo esemplare o eroico, le situazioni dif- «a misura» di quest’uomo o di questa donna (cf. Lc 6,38).
ficili o gioiose che incontra. Qui non vale più alcuna definizione; anche se a noi
Concludendo, mi rimane solo da suggerire breve- piacerebbe molto fissare i nostri «limiti» mediante leggi,
mente che, pur fondando la teologia narrativa, questo delimitare il nostro terreno o, al contrario, ridurre «l’ec-
principio di concordanza, preso nel suo significato teolo- cesso divino» in noi a un gioco di comparazione o di ri-
gale, la limita al tempo stesso, per fare debitamente spa- valità con altri. Ma la generazione gratuita di un uomo
zio ad altri tipi di generi letterari e quindi ad altri tipi di o di una donna – a immagine dell’Unico – li rende in-
teologie. comparabili. Non potendo mai essere definito, l’incompa-
rabile in noi chiede quindi di essere raccontato: essere rac-
I limiti della narratività contato in una moltiplicazione di racconti individuali e
È la santità di Dio, concordanza assoluta fra ciò che collettivi. Ma questa moltiplicazione sarebbe impensabi-
egli è e il suo modo di affidarsi alle nostre mani, a chiede- le se la santità stessa di Dio non avesse assunto una figu-
re di essere raccontata: è essa a fondare, in definitiva, ra storica unica e in modo tale da esprimersi in essa in-
l’articolazione teologica fra il grande racconto biblico e teramente – il che significa anche una volta per sempre –
la moltitudine dei nostri racconti e anche a conferire, co- precisamente nella modalità di una moltiplicazione infi-
me abbiamo mostrato, alla cosiddetta teologia narrativa nita. Qui bisognerebbe esplicitare – cosa che non possia-
il suo statuto principiale.45 Ma questa stessa santità esige mo fare in questo quadro troppo limitato – che è la vit-
anche la presenza di una legge o di una regolazione, of- toria di Cristo sulla morte (cf. Gv 10,18; Eb 2,14s) a ren-
fre un ambiente nel quale la discussione e l’argomenta- dere possibile la sua santità, a realizzarla e a offrire ad al-
zione devono trovare il loro posto e sfocia in quella che tri una stessa libertà (cf. Ap 12,11); un punto molto dif-
essa presuppone fin dall’inizio come la sua espressione ficile da accettare in civiltà per le quali la morte non fir-
più alta, la dossologia sotto tutte le sue forme; così la ma l’unicità di una vita.46
santità apre la teologia narrativa ad altri tipi di pensiero E. Jüngel ha giustamente percepito la novità radicale
teologico. che rappresenta questa svolta cristica nella storia dell’u-
Ricordiamo che lo statuto principiale della teologia manità, novità che solo la forma della narrazione può
narrativa è stato al centro del nostro percorso che ha vo- onorare. Ma non ha visto che l’Unicità di eccellenza di
luto onorare fino in fondo il gesto della narrazione bibli- Cristo consiste precisamente nell’aver generato una mol-
ca che consiste nel mettere Dio in posizione di «sogget- titudine di unici: «Se il chicco di grano, caduto in terra,
to» di un intrigo universale. Nella seconda parte abbia- non muore rimane solo (monos); se, invece, muore, pro-
mo affrontato questo legame intrinseco fra Dio e il rac- duce molto frutto» (Gv 12,24).
conto dell’umanità: anzitutto a partire dall’atto di «fede» Come mai allora questa moltiplicazione non produ-
come atto di ponderazione che è la sfida principale di ce una disgregazione della tradizione e una diluizione
ogni esistenza umana e che, iscrivendosi in un racconto apocrifa dell’arte biblica del raccontare?
individuale, è sostenuto e suscitato dal potenziale narra- La risposta si trova anzitutto nel discorso prescritti-
tivo delle nostre tradizioni collettive; poi, a partire dal- vo della legge, incastrato nello svolgimento del raccon-
l’inversione dossologica di una fede che collega l’insieme to biblico. Forse bisogna dire, in senso inverso, che il
dei nostri racconti umani a colui che si consegna senza racconto emerge nel cuore stesso della legge, esatta-
riserve ai nostri molteplici punti di vista e modi di farlo mente là dove essa afferma, insistendo sulla sfida libera-
esistere liberamente nella storia. Ora, questo legame fra trice del sabato, la sua propria ragion d’essere.47 Infatti
Dio e l’intrigo della storia umana riceve una nuova e ul- la norma morale e la sua esplicitazione in una tavola di
tima chiarificazione, dopo aver individuato la coerenza comandamenti e di divieti è la risposta necessaria della
letteraria della tradizione narrativa della nostra memo- società alla deriva della competizione umana in violen-
ria biblica e aver fondato il principio – estetico – di con- za. Ma la «risposta» a un eccesso di violenza, persino a
cordanza fra la sua forma e ciò che quest’ultima veicola un’incertezza radicale della specie umana riguardo al

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suo avvenire, non deve venire da altrove, da un eccesso della sua libertà teologale e la garanzia che la conver-
di bontà e di sollecitudine che addirittura la precede e genza o la pace, per parlare in termini biblici, non sia il
in un certo modo la previene? Il racconto biblico trac- risultato di un’imposizione esterna. La presenza dell’ar-
cia precisamente il percorso che conduce dalla preoccu- gomentazione mostra che la pluralità spesso conflittuale
pazione etica e morale della giustizia verso la scoperta dei punti di vista è sottomessa a un lavoro corrosivo del-
di una «giustizia che oltrepassa la giustizia», l’economia la critica. Infatti, in regime biblico, l’orizzonte della ve-
meta-etica del dono di sé all’altro, che costituisce il «te- rità non è dell’ordine del «destino»: la verità è affidata
stimone» e i «testimoni»: «Amate i vostri nemici e pre- alla libertà storica delle persone e delle società.
gate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli Perciò oggi è impossibile onorare l’esperienza del
del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole Dio santo del racconto biblico, senza rendersi al tempo
sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli in- stesso conto del fatto che questo Dio si è affidato ai no-
giusti» (Mt 5,44-45). stri dibattiti, per cui noi dobbiamo entrare nella contro-
L’estrema fragilità di questo passaggio verso ciò che versia fra i grandi stili di vita del mondo, che toccano
le Scritture indicano come il loro compimento non deri- tutti il limite incerto della nostra esistenza. È ciò che ab-
va solo dalla realtà della violenza, ma soprattutto dal- biamo cercato di fare in questo contributo difendendo,
l’impossibilità divina di legiferare sull’appello a un «so- in modo argomentativo, i racconti di Dio dalla folkloriz-
vrappiù» di giustizia. Di nuovo, il principio della comu- zazione che li minaccia nell’epoca post-metafisica e
nicazione della santità divina a una moltitudine ci viene mantenendo, a loro riguardo, la questione della verità.
in aiuto per farci comprendere la convenienza di una re- Questa controversia che si iscrive in ogni epoca nelle
gola dogmatica e la sua forma. Lungi dal raddoppiare la grandi strutture di dibattito disponibili in una determi-
norma etica e morale della giustizia, il cosiddetto «dog- nata società deve, al nostro tempo, affrontare la differen-
ma» si colloca paradossalmente là dove manca qualsiasi ziazione interna delle «pretese di validità» inerenti a
legge per permettere ai testimoni di percorrere fino in ogni discorso comunicabile: autenticità, giustezza nor-
fondo il loro cammino di realizzazione, per ricordare la mativa e verità.
loro vulnerabilità costitutiva, aperta dalla grazia, e man- Quando il credente argomenta a favore della giustez-
tenerli così in collegamento fra loro. za della proposta cristiana nel mondo sociale e avanza
In realtà, vediamo emergere nella letteratura episto- una pretesa di verità del suo discorso nel mondo di tutto
lare, ad esempio in san Paolo, una vera «regola di fe- ciò che è «reale», egli attesta, nel dibattito, coinvolgen-
de»,48 che indica le condizioni della salvezza. Ma la sua dosi autenticamente in esso, che la società e il mondo
funzione non è quella di regolare in modo giusto il vive- non sono tragicamente chiusi alla santità, ma in quanto
re insieme degli uomini (cf. Rm 10,1-5), bensì di mante- creature, fin dalla loro fondazione da parte di Dio, aper-
nere aperto in Cristo, «termine della legge» (Rm 10,4), ti a un compimento escatologico; egli argomenta quindi
lo spazio della comunicazione dello Spirito nei cuori a favore del primato ontologico del possibile sul reale, la
umani (cf. Rm 5,5), senza discriminazione fra tutti gli cui espressione perfetta è ancora una volta la finzione
uomini e senza federarli, su questo unico fondamento, letteraria del racconto.
nella Chiesa. Quando nel IV secolo questa regola trova Ma dato lo statuto post-metafisico delle nostre so-
la sua forma compiuta nel Simbolo, il suo contenuto tri- cietà nelle quali la Bibbia è diventata un racconto cultu-
nitario indica bene il suo uso spirituale: permettere e as- rale fra altri, solo il discorso innico o dossologico, assolu-
sociare una moltitudine di racconti, che concordano tamente gratuito, può, in definitiva, riconoscere a Dio la
perfettamente con l’immagine biblica del Dio unico, mi- posizione di «soggetto» di un grande «intrigo»: quello
stero del legame fra incomparabili. della sua santità che sta diventando immanente alla no-
Una teologia dogmatica o speculativa, riferita al sim- stra storia multiforme e variegata…
bolo ecclesiale e al suo sviluppo storico, diventa allora
necessaria ed è come richiesta dalla stessa memoria bi- Christoph Theobald*
blica e da ciò che la fonda, la comunicazione storica del-
la santità di Dio. Ma, pur avendo una necessaria funzio-
ne regolativa, essa deve restare legata alla teologia nar- * Dedichiamo queste riflessioni alla Facoltà teologica dell’Italia
settentrionale e a Pierangelo Sequeri, ringraziandoli per la loro ospi-
rativa che la protegge da una chiusura ideologica. talità e l’accoglienza riservata al mio pensiero (cf. Teologia 32
Come evitare allora, ci chiediamo un’ultima volta, [2007/3]).
1
che questa insistenza sulla posizione incomparabile di J.B. METZ, «Petite apologie du récit», in Concilium (1973) 85,
ogni testimone e sulla loro vulnerabilità non provochi la 57-69 e H. WEINRICH, «Théologie narrative», in Concilium (1973) 85,
47-55.
loro emarginazione o il loro ritiro elitario rispetto alla so- 2
È così che J. Habermas riassume la posizione di una teoria uni-
cietà? La risposta teologica può venire solo dallo stile ar- versale della giustizia e della morale, slegata da un’etica particolare
gomentativo di certi discorsi narrativi o di argomenti sa- della vita riuscita che è tributaria delle grandi narrazioni metafisiche
e religiose dell’umanità; cf. J. HABERMAS, «Astensione giustificata. Esi-
pienziali che interrompono, a volte a lungo, lo svolgi- stono risposte post-metafisiche alla domanda sulla vita giusta?», in
mento del racconto biblico. Occorre ricordare che Gesù ID., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Ei-
e Paolo erano dei temibili controversisti? L’interesse co- naudi, Torino 2002, 6.
3
stitutivo della Bibbia per la ricezione della santità di Dio È per questo che F. Marty parla nella sua lettura dell’opera kan-
tiana di «nascita della metafisica»; cf. F. MARTY, La naissance de la
implica questa capacità di ponderazione argomentativa métaphysique chez Kant. Une etude sur la notion kantienne d’analogie,
del ricevente; essendo questa l’ultima manifestazione Beauchesne, Paris 1980.

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tudio del mese

4
J. HABERMAS, «Prologue. La frontière entre foi et savoir. Sur la che il “più” della caducità. La possibilità è la positività della caducità.
p
réception et la portée actuelle de la philosophie kantienne de la reli- E questo significa ulteriormente anche il passare stesso, anzi addirit-
gion», in Entre naturalisme et religion. Les défis de la démocratie, Gal- tura il passato non è senza possibilità». Il problema dell’ontologia di
limard, Paris 2008, 57 (corsivo nostro); ed. originale Zwischen Natura- Jüngel è l’occultamento dell’atto di «postulazione» che l’apre.
28
lismus und Religion: philosophische Aufsätze, Suhrkamp, Frankfurt a. RICOEUR, Sé come un altro, 428s: «Intendo bene che l’energeia,
S
M. 2005. I primi tre saggi dell’edizione tedesca sono pubblicati in Ita- che i latini hanno tradotto con actualitas, globalmente designa ciò in
lia in ID., La condizione intersoggettiva, Laterza, Roma-Bari 2007; gli cui siamo effettivamente. Ma, mettendo l’accento principale sul “sem-
altri otto in Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2008. pre già” e sull’impossibilità di uscire da questo legame di presenza, in
5 breve sull’effettività, non si attenua, forse, la dimensione dell’energeia
Ivi, 14 e 48.
6 e della dynamis, in virtù di cui l’agire e il patire umani sono radicati
Cf., ad esempio, questa formulazione: «Noi non associamo agli
orientamenti assiologici che hanno un significato esistenziale per noi nell’essere? Proprio per render conto di questo radicamento ho pro-
– e per coloro che condividono il nostro stesso stile di vita – una pre- posto la nozione di fondo ad un tempo effettivo e potente. Insisto sui due
tesa che lascia supporre che essi meriterebbero un riconoscimento aggettivi. Esiste una tensione fra potenza ed effettività, che mi sembra
universale» (ivi, 49). essenziale all’ontologia dell’agire e che mi sembra eclissata nell’equa-
7 zione fra energeia ed effettività. La difficile dialettica fra i due termini
Cf. C. THEOBALD, Le christianisme comme style. Une manière de
faire de la théologie en postmodernité, «Cogitatio fidei» 261, Cerf, Pa- greci rischia di scomparire in una riabilitazione apparentemente uni-
ris 2007, 659 e 693s; trad. it. Il cristianesimo come stile. Un modo di fa- laterale dell’energeia».
29
re teologia nella postmodernità, EDB, Bologna 2009, 771ss. JÜNGEL, Dio mistero del mondo, 402.
8 30
HABERMAS, Entre naturalisme et religion, 53s. Ivi, 407-409.
9 31
Ivi, 56-58. G.E. LESSING, L’éducation du genre humain (1780), Aubier,
10 Paris 1946; trad. it. L’educazione del genere umano, Laterza, Bari
N. FRYE, Le grand code. La Bible et la littérature, pref. di T. To-
dorov, Seuil, Paris 1984; trad. it. Il grande codice. La Bibbia e la lette- 1951.
32
ratura, Einaudi, Torino 1986. F. KERMODE, The Sense of an Ending. Studies in the Theory of
11 Fiction, Oxford University Press, London 1966; trad. it. Il senso della
La nostra fenomenologia dell’ospitalità neotestamentaria è un
modo di onorare le caratteristiche specifiche del «mondo biblico» fine. Studi sulla teoria del romanzo, Sansoni, Milano 2004.
33
aperto, in modo unico, da Gesù di Nazaret (cf. THEOBALD, Il cristia- Cf., ad esempio, gli studi raccolti in F. MIES (a cura di), Bible et
nesimo come stile, 50-107). littérature. L’homme et Dieu mis en intrigue, Lessius, Bruxelles 1999.
12 34
Cf., fra gli altri, Critique de la faculté de juger, § 87s, in E. Cf., ad esempio, ATANASIO DI ALESSANDRIA, Vie d’Antoine, in
KANT, Œuvres philosophiques, II, Gallimard, Paris 1985, 1253s; trad. SChr 400, Cerf, Paris 1994.
35
it. Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari 2002. Ap 7,9-17.
36
13
Jürgen Habermas considera, in Entre naturalisme et religion, Summa Teologiae IIIa, q 31, a 3.
37
26-28, «l’espressione di Adorno secondo cui il segreto della filosofia Eb 2,10; cf. anche Il cristianesimo come stile, 563-604.
38
kantiana risiederebbe nella sua “impossibilità di pensare la dispera- Cf. il nostro studio «Resistere al male», in THEOBALD, Il cristia-
zione” (…) come un’approvazione del dialettico Kant che scruta gli nesimo come stile, 835-867.
39
abissi di un pensiero che vuole chiarire, spiegare e si ostina in questo Cf., fra gli altri, R. ALTER, L’art du récit biblique (1981), Les-
a partire dalla sola soggettività»; non tiene conto delle riflessioni criti- sius, Bruxelles 1999, 216-239 e l’eccellente studio di J.-P. SONNET, «Y
che di Kant sulla teodicea (cf., ad esempio, E. KANT, Sur l’insuccès de a-t-il un narrateur dans la Bible? La Genèse et le modèle narratif de
toutes les tentatives philosophiques en matière de théodicée [Über das la Bible hébraïque», in F. MIES (a cura di), Bible et littérature, 9-27.
40
Mißlingen aller philosophischen Versuche in der Theodicee, 1791], in T. MANN, Joseph et ses frères, II: Le jeune Joseph, Gallimard, Pa-
Œuvres philosophiques, II, 1393-1413). ris 1936, 40s (corsivo nostro).
14 41
Cf. S. KIERKEGAARD, La maladie à la mort, «Œuvres comple- T. MANN, Joseph et ses frères, IV: Joseph le nourricier, Gallimard,
tes» XVI, Editions de l’Orante, Paris 172; trad it. La malattia morta- Paris 1936, 343 (corsivo nostro).
42
le, Mondadori, Milano 1991. Cf. C. THEOBALD, «Jésus n’est pas seul. Ouvertures», in P. GI-
15 BERT, C. THEOBALD (sotto la direzione di), Le cas Jésus Christ. Exégè-
M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, § 56, Niemeyer, Tübingen
1963, 273; trad. it. Essere e tempo, Longanesi, Milano 2003. tes, historiens et théologiens en confrontation, Bayard, Paris 2002, 410.
16 43
Nel suo approccio, si può comprendere la «versione procedu- Cf. la dossologia del c. 11 della Lettera ai Romani: «O profon-
ralistica debole dell’“Alterità”» proposta da J. Habermas; ma essa ri- dità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quan-
schia di porre il trans-soggettivo e l’assoluto sullo stesso piano. Scrive: to insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi
«In questa prospettiva, ciò che rende possibile l’essere-sé-stessi appa- ha mai conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo con-
re come una potenza trans-soggettiva più che come una potenza as- sigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il
soluta» (Il futuro della natura umana, 14). Riguardo al nostro approc- contraccambio? Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le
cio al legame sociale e politico e all’alterità che esso implica, cf. il no- cose. A lui la gloria nei secoli. Amen!» (Rm 11,33-36).
44
stro studio «La fede trinitaria dei cristiani e l’enigma del legame so- Cf. C. THEOBALD, «La réception des Ecritures inspirées», in P.
ciale», in THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 635-676. GIBERT - C. THEOBALD (sotto la direzione di), La réception des Ecritu-
17 res inspirées. Exégèse, histoire et théologie, Bayard et RSR, Paris 2007,
Cf. anche THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 733-752.
18 269-298.
L’inversione «eccessiva» che caratterizza la dossologia (cf. più
45
avanti le nostre riflessioni sulla santità) apre lo spazio a un tipo di on- È qui che termina l’insieme del nostro percorso «speculativo».
tologia che si potrebbe chiamare «ontologia teologale». Da una parte, noi conserviamo fino in fondo la sua posizione fenome-
19 nologica ed ermeneutica, tenendo conto al tempo stesso dello statuto
P. BEAUCHAMP, «Narrativité biblique du récit de la passion», in
Recherches de science religieuse 73(1985) 1, 41 (ripubblicato in ID., Le aporetico della questione della verità che in esso si manifesta. Ma, dal-
récit, la lettre et le corps. Essais bibliques, «Cogitatio fidei» 114, Cerf, l’altra, nella misura in cui la tradizione biblica trasferisce il principio
Paris 1992, 110). di concordanza (che ha la propria plausibilità estetica ed ermeneuti-
20 ca) in Dio stesso, noi accordiamo ai «testimoni» che vivono di questa
E. JÜNGEL, Dio mistero del mondo (1977), Queriniana, Brescia
1982, 13. memoria la possibilità di fondare in modo trinitario – in un atto dos-
21 sologico senza garanzia – la coerenza di questa memoria e la loro pro-
P. RICOEUR, Lectures 3. Aux frontières de la philosophie, Seuil,
Paris 1994, 363 (nota). pria relazione con il Santo di Dio che l’incarna.
22 46
B. SESBOÜÉ, Jésus-Christ, l’unique médiateur, 2: Les récits du Cf. il nostro studio «Il Figlio unico e i suoi fratelli», in THEO-
salut, «Jésus et Jésus-Christ» 51, Desclée, Paris 1991, 18-23. BALD, Il cristianesimo come stile, 715-729, dove cerchiamo di pensare
23
J.B. METZ, La foi dans l’histoire et dans la société, Cerf, Paris simultaneamente l’abitazione di Dio nei santi e l’unione ipostatica del
1979, 144-157; trad. it. La fede, nella storia e nella società: studi per Figlio, essendo l’una condizionata dall’altra.
47
una teologia fondamentale pratica, Queriniana, Brescia 1978. Cf. BEAUCHAMP, Le récit, la lettre et le corps. Essais bibliques,
24
JÜNGEL, Dio mistero del mondo, 390-409. 191-194.
25 48
Ivi, 396. Cf., ad esempio, Rm 10,9: «Se, con la tua bocca proclamerai:
26
Ivi, 393. “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risusci-
27
Cf. JÜNGEL, Dio mistero del mondo, 264-296; soprattutto 283: tato dai morti, sarai salvo».
«Noi contestiamo dunque questa fondamentale scelta aristotelica a fa-
vore del primato ontologico della realtà contrapponendole la possibi- A p. 50: El GRECO, Gli apostoli Pietro e Paolo (part.), 1587-1592,
lità come il “più” ontologico dell’essere. Il possibile è però allora an- Ermitage, San Pietroburgo.

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