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LA SONNAMBULA
VINCENZO BELLINI
LA
VINCENZO BELLINI
SONNAMBULA
GRAN TEATRO LA FENICE
LA SONNAMBULA
1
GRAN TEATRO LA FENICE
LA SONNAMBULA
melodramma in due atti di
FELICE ROMANI
musica di
VINCENZO BELLINI
PALAFENICE AL TRONCHETTO
3
Vincenzo Bellini. Ritratto di FrØdØric Millet.
4
sommario
7
IL LIBRETTO
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LA SONNAMBULA IN BREVE
42
LA SONNAMBULA
ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG
47
LA LOCANDINA
49
LUCA ZOPPELLI
L IDILLIO BORGHESE
67
GUIDO PADUANO
LA VERIT DEL SOGNO: LA SONNAMBULA
5
Felice Romani.
6
I L LIBRETTO
LA SONNAMBULA
libretto di
F ELICE ROMANI
musica di
VINCENZO B ELLINI
7
Interno del Teatro Carcano di Milano dove ebbe luogo la prima rappresentazione assoluta di Sonnambula (1831).
8
Personaggi
Teresa, molinara
Un notaro
Contadini e contadine
9
Alessandro Sanquirico. La Sonnambula, Atto I, 1. Prima rappresentazione assoluta al Teatro Carcano (1831). In-
cisione di L. Viganò.
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ATTO PRIMO
SCENA I
Piazza d’un Villaggio. Da un lato un’osteria, dall’altro un mulino, in fondo colline praticabili.
All’alzarsi del sipario odonsi da lungi suoni pastorali e voci lontane che gridano:
Viva Amina! Sono gli abitanti del villaggio che vengono a festeggiare gli sponsali di lei.
ALESSIO Tu mi fuggi!...
(Durante il colloquio di Lisa e di Alessio i suoni si sono fatti più vicini, e più forti le acclamazioni.)
SCENA II
Scendono dalle colline villani e villanelle, tutti vestiti da festa,
con stromenti villerecci e canestri di fiori – Giungono al piano.
ALESSIO Viva!
LISA (indispettitasi)
(Anch’esso!
Oh dispetto!)
11
CORO Viva! Ancora.
Canzone
SCENA III
Amina, Teresa e detti.
12
Scendon d’Amina al core
I canti che v’inspira il vostro amore!
13
ALESSIO Sei pur crudele!
LISA L’ignori?
Schiva son io d’amori;
Mia libertà mi piace.
SCENA IV
Il Notaro e detti.
CORO Eccolo.
SCENA V
Elvino e detti.
14
AMINA Oh! fausto augurio!
TUTTI E vano
Esso non fia.
NOTARO E Amina?...
AMINA Sposi!...
Oh! tenera parola!
15
a2
TUTTI (accorrendo)
Cavalli!
AMINA Un forastiere.
SCENA VI
16
LISA Tre miglia, e giunti
Non vi sarete fuor che a notte oscura,
Tanto alpestre è la via. Fino a domani
Qui posar vi consiglio.
RODOLFO E lo desìo.
Avvi albergo al villaggio?
TUTTI Quello.
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LISA (Ella sola è vagheggiata!
RODOLFO E ne ho dolore!
Egli mi amò qual figlio...
LISA E quando
Alla terra natìa farà ritorno?
CORO Partir?...
TERESA Sapete
Che l’ora s’avvicina in cui si mostra
Il tremendo fantasma.
TUTTI È un mistero...
18
Un oggetto d’orror!
RODOLFO Follie!
RODOLFO Narrate.
CORO Udite.
A fosco cielo, a notte bruna,
Al fioco raggio d’incerta luna,
Al cupo suono di tuon lontano
Dal colle al piano — un’ombra appar.
In bianco avvolta — lenzuol cadente,
Col crin disciolto con occhio ardente
Qual densa nebbia dal vento mossa,
Avanza, ingrossa — immensa par!
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TUTTI Buon riposo, Signor.
SCENA VII
Elvino e Amina.
AMINA Ebben...
ELVINO Discare
Non t’eran esse, e ad ogni sua parola
S’incontravano i tuoi negli occhi suoi.
Gioia ne avevi.
20
ELVINO Sì...
AMINA Prosegui...
Saresti tu geloso?...
AMINA Di chi?
ELVINO Di tutti.
ELVINO Perdono!
Son geloso del zefiro amante
Che ti scherza col crine, col velo;
Fin del sol che ti mira dal cielo,
Fin del rivo che specchio ti fa.
AMINA Il prometti?
ELVINO Il prometto.
AMINA E tu ancora.
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SCENA VIII
Stanza nell’osteria. Di fronte una finestra. Da un lato porta d’ingresso: dall’altro un gabinetto.
Avvi un sofà e un tavolino.
LISA Ad informarmi
Veniva io stessa se l’appartamento
Va a genio al signor Conte.
LISA Perdonate,
Ma il Sindaco lo accerta, e a farvi festa
Tutto il villaggio aduna.
Io ringrazio fortuna
Che a me prima di tutti ha conceduto
Il favor di offerirvi il mio rispetto.
22
LISA Io... che direi?
SCENA IX
Comparisce Amina: è coperta di una semplice veste bianca; e si vede alla finestra l’estremità della
scala per cui è salita. Ella dorme: è sonnambula: e s’avanza lentamente in mezzo alla stanza.
RODOLFO Dorme.
RODOLFO È sonnambula.
23
RODOLFO Dèstisi.
AMINA (tenera)
Prendi...
La man ti stendo...un bacio imprimi in essa,
Pegno di pace.
RODOLFO Fuggasi!
24
RODOLFO (si ferma; indi risoluto)
Ah se più resto, io sento
La mia virtù mancar.
(va per uscire dalla porta: ode romore di gente; parte per la finestra donde è venuta Amina, e la
chiude. Ella, sempre dormendo, si corica sul sofà)
SCENA X
Contadini d’ambo i sessi, Sindaci, e Alessio.
SCENA XI
Teresa, Elvino, Lisa e detti
25
CORO Amina! dessa!
(Amina si sveglia al romore)
ELVINO Traditrice!
AMINA Io!..
ELVINO Ti scosta.
AMINA Oh me infelice!
Che mai feci?
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(in questo frattempo, Teresa ha raccolto sul sofà il fazzoletto di Lisa, e lo ha posto al collo di Amina)
(tutti escono minacciando Amina: ella cade fra le braccia di Teresa. Cala il sipario)
27
Alessandro Sanquirico. La Sonnambula, Atto II, 1. Prima rappresentazione assoluta al Teatro Carcano (1831).
Incisione di L. Viganò.
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ATTO SECONDO
SCENA I
Ombrosa Valletta fra il Villaggio e il Castello.
SCENA II
Amina e Teresa
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Al mormorar del rio! L’aura che spira
De’ giuramenti nostri anco risuona...
Gli obliò quel crudele! ei m’abbandona!
SCENA III
Elvino, e dette in disparte.
Voci lontane
Viva il Conte!
ELVINO Il Conte! (per uscire)
AMINA e TERESA Ah! resta.
ELVINO No: si fugga.
SCENA IV
Coro e detti.
30
ELVINO Egli! oh! rabbia!
SCENA V
Villaggio. In fondo al teatro si scorge il mulino di Teresa: un torrente ne fa girare la ruota.
LISA E allora
Tu mi sarai più rincrescioso ancora.
31
ALESSIO Deh! Lisa, per pietà... cambia consiglio,
Non mi trattar così. Che far d’un uomo
Che ti sposa soltanto per dispetto?
SCENA VI
Contadini, Contadine e detti.
SCENA VII
Elvino e detti.
32
Che alfin dell’amor tuo degna mi trovi?
TUTTI Andiam.
SCENA VIII
Rodolfo e detti.
ELVINO Al tempio.
ELVINO Voi!!
Signor Conte, agli occhi miei
Negar fede non poss’io.
33
RODOLFO La vedesti, Amina ell’era...
Ma svegliata non vi entrò.
LISA Andiamo.
CORO Andiamo.
A tai fole non crediamo.
Un che dorme e che cammina!
No, non è, non si può dar.
SCENA NONA
Teresa e detti.
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LISA A sposarci.
ELVINO È Lisa.
Tutti (a parte)
35
Vedi la bacchettona!
Pianga, che ben le sta.
SCENA ULTIMA
Vedesi Amina uscire da una finestra del mulino: ella passeggia, dormendo, sull’orlo del tetto:
sotto di lei la ruota del mulino, che gira velocemente, minaccia di frangerla se pone il piede in fallo.
Tutti si volgono a lei spaventati. Elvino è trattenuto da Rodolfo.
TUTTI Ah!
TERESA Oh figlia!
ELVINO Oh Amina!
TUTTI È salva!...
TERESA Oh figlia!
ELVINO Oh Amina!
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RODOLFO (ad Elvino) Odi?
TERESA A te pensa,
Parla di te.
AMINA E s’egli
A me tornasse!... Oh! torna, Elvin.
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AMINA Ancor son tua: tu mio tuttor... Mi abbraccia,
Tenera madre... io son felice appieno!
(Amina, alla voce di Elvino, si scopre gli occhi, lo guarda, il conosce, indi si getta fra le sue braccia)
FINE
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Alessandro Sanquirico. Bozzetto per la scena finale di Sonnambula. Prima rappresentazione assoluta al
Teatro Carcano (1831). (Milano, Museo Teatrale alla Scala).
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Maria Malibran, grande interprete di Amina sulle scene veneziane. Litografia di Bosvier da un disegno dal vero.
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LA SONNAMBULA IN BREVE
Comunemente ritenuta la prima delle tre ni) l’opera riscosse un grande successo,
grandi opere di Bellini, Sonnambula de- inizialmente tuttavia meno vistoso in Italia
buttò a Milano, presso il Teatro Carcano, il che all’estero, non essendo stato coronato
6 marzo 1831. Fra gli interpreti figuravano da immediate riprese (la prima è solo del-
nomi di spicco del panorama lirico italiano l’anno seguente, a Firenze, ed è successiva
come Giuditta Pasta e Giovan Battista Rubi- quindi alle rappresentazioni di Parigi e
ni. Londra). Il successo arriso a Sonnambula
L’opera fu commissionata a Bellini dal du- all’estero (prima del 1939 era già approdata
ca Litta di Milano. Autore del libretto fu in- a sedi come Pietroburgo, Algeri, St. Louis!)
vece Felice Romani. In un primo tempo pa- contribuì non poco a diffondere su scala
reva che il testo dovesse essere desunto mondiale l’immagine quasi mitica, che tut-
dall’Hernani di Victor Hugo, ma vuoi per il tora perdura, del commovente lirismo sen-
concomitante impegno di Donizetti in un timentale di Bellini; un lirismo in grado,
soggetto storico (con Anna Bolena, su li- come testimoniano le seguenti parole di
bretto dello stesso Romani), vuoi per i forti Michail Glinka, di sedurre persino gli inter-
ostacoli frapposti dalla censura austriaca preti e persino nelle situazioni meno favo-
ad un soggetto piuttosto intrigante sul pia- revoli: «Nel secondo atto gli stessi cantanti
no politico, Bellini e Romani evitarono il piangevano, ed il pubblico faceva altrettan-
dramma storico e prescelsero un soggetto to, così che in quegli spensierati giorni di
assai diverso, pastorale e idillico. Il libretti- carnevale tanto nei palchi quanto in platea
sta prese allora in considerazione il bal- le lagrime sgorgarono copiosissime».
let–pantomime La Sonnambule ou l’ar-
rivée d’un nouveau seigneur del dramma-
turgo e librettista di numerosi celebri titoli
del grand–opéra parigino Eugène Scribe. Il
tempo perduto costrinse Bellini a lavorare
alacremente, accelerando i propri normali
ritmi di lavoro: a meno di due settimane
dalla scadenza del 20 febbraio scriveva «ho
finito il primo atto e forse domani l’altro in-
comincio il secondo se il poeta mi darà pa-
role».
Accompagnata dalla dedica all’amico di
Bellini, nonché rinomato pianista e compo-
sitore, Francesco Giuseppe Pollini, Son-
nambula fu presentata insieme ad un bal-
letto: Il furore d’Amore. Grazie anche ai
cantanti (Giuditta Pasta era forse nel perio-
do più felice della sua carriera, ed è super-
fluo ricordare le straordinarie doti di Rubi- Costume per Lisa. Disegno di Eduardo Viganò.
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ARGOMENTO
ATTO PRIMO
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ARGUMENT
L’action se passe dans un village suisse, à quer leur amitié au comte, dont ils ont
une époque non précisée. redécouvert l’identité et qu’ils veulent con-
duire au château. Tous voient ainsi Amina,
endormie, dans la chambre de Rodolfo.
Une fois réveillée, la jeune femme essaie de
ACTE I se justifier et plaide pour son innocence,
mais personne ne la croit. Elvino, en proie
La place du village. D’un côté, la taverne de à la jalousie, la répudie.
Lisa; de l’autre, le moulin de Teresa. Les
paysans chantent en chœur pour fêter les
noces du riche propriétaire Elvino et de
Amina, une orpheline adoptée par Teresa. ACTE II
Mais Lisa n’a pas le cœur en paix malgré
l’effervescence générale: elle souffre de l’a- Un groupe de paysans se rend chez le com-
mour tourmenté qu’elle nourrit en vain te afin qu’il prenne la défense d’Amina. Sur
pour Elvino. Elle ignore cependant les sen- ces entrefaites cette dernière, accompagnée
timents qu’Alessio cultive à son égard. En de Teresa, croise Elvino qui erre sans but,
attendant son époux, Amina répond gaî- encore amoureux d’elle et livré à son cha-
ment aux manifestations d’amitié des villa- grin.
geois. Puis vient le notaire, suivi d’Elvino, Près du moulin de Teresa, Lisa, qui profite
qui passe l’anneau au doigt d’Amina. de la situation, s’apprête à épouser Elvino,
L’idylle est interrompue par l’arrivée inat- qui a accepté ce mariage bien que le comte
tendue d’une diligence d’où descend le l’ait assuré à maintes reprises de l’innocen-
comte Rodolfo. Fils du seigneur défunt du ce de Amina. Le bourg est à nouveau en fê-
village, ce dernier est de retour après de te, mais lorsque Lisa et Elvino passent de-
nombreuses années d’absence. Personne vant chez Teresa, celle-ci accuse Lisa de
ne le reconnaît et il préfère rester incogni- s’être comportée comme Amina et elle dé-
to. Il s’installe dans l’auberge de Lisa et il clare qu’elle a trouvé un de ses voiles dans
présente ses compliments à la jeune épou- la chambre de Rodolfo; Elvino, en proie à la
sée, ce qui suscite la jalousie d’Elvino. jalousie et à la colère, refuse à nouveau de
Dans la taverne, le comte Rodolfo courtise se marier.
Lisa, qui semble répondre à ses faveurs; La brusque apparition, au bord du toit, d’A-
entre temps paraît Amina, endormie, vêtue mina endormie, confirme les paroles du
de blanc, qui ne cesse de répéter le nom du comte. Toujours en pleine crise de som-
marié en décrivant la vision qui la hante, nambulisme, elle descend dans la rue en
c’est-à-dire celle de la prochaine cérémo- chantant son amour pour Elvino; ce der-
nie nuptiale. Puis elle s’allonge sur le di- nier, qui revient sur son opinion et se re-
van. Lisa se cache, Rodolfo est déconcerté pent, la prend dans ses bras. La fête com-
et ne sait que faire, mais juste à ce moment- mence et on prépare enfin les noces.
là entre la foule des paysans, venus mar-
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SYNOPSIS
The events take place in a village in Swit- stle. In this way everyone sees Amina,
zerland at an unspecified time. asleep in Rodolfo’s room. On waking, the
young girl tries to justify herself and pleads
her own innocence but nobody believes
her. Elvino, seized by jealousy, repudiates
ACT ONE her.
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HANDLUNG
Die Handlung spielt zu unbestimmter Zeit in im Zimmer Rudolfs. Die junge Frau, in der
einem Dorf in der Schweiz. Zwischenzeit erwacht, versucht sich zu re-
chtfertigen und ihre Unschuld zu beweisen,
aber niemand glaubt ihr und der eifersüchti-
ge Elwino verstößt sie.
ERSTER AKT
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Alessandro Sanquirico. La Sonnambula, Atto II, scena ultima. Probabile disegno preparatorio per l’incisione.
(Institut für Theaterwissenschaft, Universität Köln).
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LA LOCANDINA
F ELICE ROMANI
musica di
VINCENZO B ELLINI
Editore CASA RICORDI, Milano
Personaggi ed interpreti
ANGELO CAMPORI
regia
STEFANO VIZIOLI
ripresa da
LUCA F ERRARIS
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Scena dal balletto La Sonnambule. Vienna (1829).
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LUCA ZOPPELLI
L’IDILLIO BORGHESE
1. Un «tremendo fantasma» si aggira sui tet- al lavoro; poi, verso fine anno, il progetto
ti, sui boschi e sui campanili del pacifico Ernani viene abbandonato. Ai primi di gen-
villaggio alpino ov’è ambientata La son- naio Giovan Battista Perucchini, avvocato
nambula. Non si tratta, ovviamente, della veneziano e compositore dilettante celebre
povera Amina, le cui apparizioni notturne per le sue ariette da camera, riceve dall’a-
vengono presto derubricate fra le patologie mico Bellini una lettera:
del sonno; bensì di un fiero bandito casti-
gliano chiamato Ernani, che alla vigilia Sapete che non scrivo più l’Ernani perché il
delle proprie nozze con la scena operistica soggetto doveva soffrire qualche modifica-
italiana viene improvvisamente arrestato zione per via della polizia, e quindi Romani
da un (bucolico) squillo di Alpenhorn e co- per non compromettersi l’ha abbandonato,
stretto ad attendere tempi migliori. ed ora scrive la Sonnambula ossia I due fi-
Siamo nel 1830: un nuovo pool imprendito- danzati svizzeri [...]
riale milanese decide di fare le cose in
grande, e organizza al teatro Carcano una Problemi di censura, dunque: credibile. Ma
stagione stellare basata sui migliori can- è credibile anche quanto insinuerà, anni
tanti in circolazione (Giuditta Pasta, Gio- dopo, la vedova di Romani: che dato il
van Battista Rubini, Filippo Galli). Il pro- grande successo dell’Anna Bolena (il primo
getto include anche due opere nuove da vero capolavoro di Donizetti, considerato
commissionarsi ai giovani leoni dell’operi- tale anche dall’inguaribile e livorosa mali-
smo italiano: Donizetti e Bellini. Felice Ro- gnità dello stesso Bellini) il compositore ca-
mani, il principe dei librettisti italiani, tanese abbia preferito evitare la competi-
provvede il testo per entrambi: a Donizetti zione sul terreno tragico, per spostarsi su
fornisce l’Anna Bolena, che inaugura la un genere completamente diverso. Il sog-
stagione il 26 dicembre, e a Bellini un Er- getto di Sonnambula viene da un balletto-
nani, tratto da quel dramma di Victor Hugo pantomima del solito Scribe (rappresentato
che solo pochi mesi prima, alla prima rap- a Parigi nel 1827); Bellini ebbe evidente-
presentazione parigina, aveva scatenato mente poco tempo per comporre, visto che
una vera e propria battaglia fra giovani ro- il 6 marzo l’opera era già in scena, protago-
mantici radicali e parrucconi benpensanti. nisti Pasta e Rubini, ottenendo grande suc-
Non era propriamente il tipo di scelta este- cesso. A giudicare dagli schizzi rimasti, so-
tica che ci si poteva attendere da Romani, lo poche battute dello sfortunato Ernani
letterato di tendenze notoriamente classici- vennero riutilizzate nella Sonnambula;
stiche: ma anche i classicisti sanno che qualcos’altro confluì nella Norma, forse più
l’aura di scandalo, se non altro, riempie le affine per il taglio tragico. Eppure non si
platee (tre anni dopo Romani replicherà il può escludere che il fantasma di Ernani
giochino con la Lucrezia Borgia, anch’essa aleggi ancora sui monti svizzeri della Son-
fresca fresca da Parigi, e girata a Donizetti: nambula; opera in cui, a dispetto della pati-
ne verrà fuori il primo grande incunabolo na idilliaca e persino disimpegnata, non è
del romanticismo italiano). Bellini si mette per nulla assente quel progetto implicito di
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Francesco Bagnara. Bozzetto per La Sonnambula, Atto I, 1. Venezia, Teatro Apollo (1837).
(Venezia, Museo Correr).
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un nuovo teatro musicale italiano — ro- ste, il luogo topico di tali virtù naturali e
mantico e borghese — che si andava fatico- collettive. Queste opere sono quindi preva-
samente precisando negli anni Trenta, e lentemente ambientate in ambito campe-
del quale l’Ernani di Bellini sarebbe forse stre, i protagonisti sono costantemente cir-
stato una pietra miliare — come lo sarà po- condati e integrati dalla comunità (espres-
chi anni dopo la Lucrezia Borgia, e come, sa musicalmente in cori e danze a modera-
nel 1844, l’Ernani di Verdi. to carattere popolaresco), mentre l’ambien-
te naturale, che costituisce la base delle
virtù personali e collettive, deve essere te-
2. Che tipo di opera è dunque Sonnambula? matizzato facendo percepire la presenza
A grandi linee, la si può assegnare al filone dello spazio vivo al di fuori della scena. In-
dell’opera semiseria. Questo genere, sorto fine, per intensificare la percezione di un
a fine ’700 come variante sentimentale, lar- ambiente incontaminato dalla corruzione
moyante, dell’opera buffa italiana (o del- della civiltà, il milieu agreste diviene prefe-
l’opéra comique francese) si proponeva, ribilmente alpino: d’altronde proprio gli
analogamente a quanto avveniva nel coevo anni a cavallo fra Sette e Ottocento vedono
dramma borghese, di uscire dalle forche l’esplosione dell’interesse etnografico, na-
caudine della consueta contrapposizione turalistico ed alpinistico nei confronti della
fra comicità realistico-quotidiana e tragi- montagna (nel 1786 ha luogo la storica
cità aristocratico-eroica. Mirava quindi a ascensione di Paccard e Balmat al monte
presentare personaggi non aristocratici, Bianco). Sonnambula, insomma, sembra
quotidiani, attinti alla contemporaneità, in aderire in pieno a questa ricetta: un villag-
situazioni tragiche o quantomeno pateti- gio in cui tutti prendono parte trepidante al
che, affermando la piena dignità morale e destino dei singoli, un ambiente vivo e pre-
sentimentale degli appartenenti alle classi sente nei suoni dietro le quinte, nei lontani
inferiori. I testi decisivi di questa tradizione richiami dei corni che sfondano lo spazio
operistica furono la Cecchina, ossia la buo- scenico (come nel Guglielmo Tell) verso i
na figliola di Piccinni (1760, libretto di Car- pascoli e i ghiacciai, una fanciulla innocen-
lo Goldoni) e la Nina pazza per amore di te che vive la propria sofferenza in uno sta-
Paisiello (1789, rifacimento di un’opéra co- to di alterazione psichica (non dimenti-
mique di Dalayrac del 1786); la sensibilità chiamo che la Nina pazza per amore conti-
semiseria permeò poi, per ovvie ragioni po- nuava a restare in repertorio proprio grazie
litiche, il teatro musicale francese del pe- alla celebratissima interpretazione di Giu-
riodo rivoluzionario e napoleonico e le sue ditta Pasta, per cui Bellini concepì la parte
derivazioni italiane, in opere come l’Elisa di Amina). Il topos pastorale è reso tuttavia
di Mayr o la Gazza ladra di Rossini; ancora in una forma stilistica più elevata e classi-
negli anni Quaranta la Linda di Chamou- cheggiante (il termine “semiserio”, infatti,
nix di Donizetti dimostrerà la vitalità del manca dal frontespizio): non c’è il tra-
genere. L’opera semiseria assume spesso e dizionale basso buffo (avrebbe potuto esse-
volentieri una tinta pastorale e campestre, re Alessio, lo spasimante di Lisa, se gli au-
non solo per statuto letterario (fin dalla fa- tori l’avessero voluto); non esiste un
vola pastorale cinquecentesca, che Giraldi antagonista che inneschi (o abbia innesca-
Cinzio e Guarini battezzarono «tragicom- to) un vero e proprio conflitto di potere, co-
media», la mediazione fra tragico e comico me il padre di Nina che allontanando l’a-
che avviene in un contesto bucolico), ma mato della figlia ne ha provocato la pazzia,
anche perché la drammaturgia semiseria o il Podestà prevaricatore ed infido della
postula la positività e innocenza morale dei Gazza ladra rossiniana. Le peripezie di
protagonisti — spesso e volentieri persegui- Amina ed Elvino, quindi, sembrano deriva-
tati dai membri delle classi superiori — ed il re solo dalla casualità, delineando una for-
tardo Settecento, russovianamente, identi- ma di patetismo fatalistico cui Bellini, com-
fica nella campagna, nella comunità agre- mentando qualche anno dopo il soggetto
51
dei Puritani, si dichiarerà affezionato: cata, priva di conflitti, ambientata in un
mondo dove il peccato deve ancora fare la
Un interesse profondo, combinazioni che sua comparsa. L’involucro pastorale, a mio
sospendono l’animo e l’invitano a sospirare parere, nasconde delle questioni ben più
per l’innocenti che soffrono senza alcun ca- inquietanti e complesse di quanto non ap-
rattere cattivo che procuri tali sventure, ma paia a prima vista.
il destino ne è creatore e quindi le commo-
zioni sono più forti, perché non si trova
umano riparo per far cessare la sventura. 3. Il peso specifico dell’operazione-Son-
nambula può essere giudicato, a posteriori,
Tutto ciò parrebbe suggerire i contorni di da quanto avviene pochi anni dopo con i
un idillio immobile e privo di contrasti, in Puritani. Al suo esordio parigino, di fronte
cui la drammaturgia si riduce ad una stati- ad un pubblico ben più aggiornato ed as-
ca espressione di sentimenti ora teneri ora suefatto di quello italiano ai contrasti di sti-
malinconici, trasfigurati nel melos più pu- le, alle implicazioni politiche ed interperso-
ro e spontaneo che mai Bellini abbia conce- nali della nuova drammaturgia romantica
pito. Fu questa, anche, la chiave di lettura borghese, i classicisti Pepoli e Bellini scel-
con cui molti fra i contemporanei vollero gono un escamotage: anziché le scandalose
spiegare il successo dell’opera, dallo stesso combinazioni di registro che Donizetti ini-
Felice Romani: zia ad indagare, e che poi diverranno il ca-
vallo di battaglia di Verdi, scelgono di con-
Essa è in musica ciò che in poesia è l’A- taminare l’ambientazione storico-tragica
minta; è una nobile e commovente pastora- (le guerre di religione nell’Inghilterra di
le, semplice e sublime nel tempo istesso co- Cromwell) con un trattamento da opera se-
me una bella natura [...] si direbbe che il miseria: cosicché, nelle parole di Bellini, il
Bellini sia ito ad ispirarsi in Elvezia ai can- genere dei Puritani è «come la Sonnambu-
ti della musa Gessner per isposarli ai bei la o la Nina di Paisiello, aggiunto a del mili-
numeri della greca melodia [...] tare robusto e a qualche cosa di severo Pu-
ritano». Anche nei Puritani, nonostante
a Ferdinand Hiller, che riferisce anche del- l’ambientazione sia un una fortezza in riva
la reazione emotiva dell’amico Chopin: al mare della Cornovaglia, ci sono monti
innevati (!), nebbiose fanfare di corni in
Conformemente al carattere idillico del lontananza, cori di villanelle; e la pazzia di
piccolo dramma [...] non si potrà citare Elvira, anziché avvenire in assoluto isola-
un’opera più ricca di canti leggiadri, amo- mento tragico come, ad esempio, quella do-
revoli, che vanno dritti al cuore [...] Un nizettiana di Lucia, si svolge nel contesto
giorno ne vidi una rappresentazione insie- della una costante presenza collettiva, in
me a Chopin, per il quale i percorsi armo- un gioco di dialoghi e rifrazioni fra perso-
nici più originali ed eccessivi erano dive- naggi, esattamente come nella Nina e nella
nuti come una seconda natura. Eppure egli Sonnambula.
stesso era commosso come raramente lo Tutto ciò ci avvicina al cuore della questio-
vidi: dopo il secondo atto, ove Rubini sem- ne. Bellini era compositore di formazione e
bra cantare lacrime, anche Chopin aveva di idee estetiche rigorosamente classicisti-
gli occhi pieni di lacrime. che: si pensi solo alla sua celebre afferma-
zione che «i versi, non le situazioni» gli
Sulla straordinaria presa patetica della mu- ispirassero del «genio» (pochi anni dopo
sica di Sonnambula non c’è nulla da ag- Verdi sosterrà esattamente il contrario).
giungere: ogni spettatore, si chiami o meno Anche lui, naturalmente, è catturato nel
Frédéric Chopin, è tenuto a soggiacervi. Vi processo romantico di decostruzione della
sarebbe molto da aggiungere, però, a que- drammaturgia tragica, di riduzione dell’a-
sta immagine di un’opera idilliaca e purifi- stratta sublimità alla quotidianità collo-
52
Francesco Bagnara. Bozzetto per La Sonnambula, Atto I, 8. Venezia, Teatro Apollo (1837).
(Venezia, Museo Correr).
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Francesco Bagnara. Bozzetto per La Sonnambula, Atto II, 1. Venezia, Teatro Apollo (1837).
(Venezia, Museo Correr).
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quiale e molteplice del reale: ma la sua to...).
poetica ancora fortemente radicata nel
principio classicistico dell’idealizzazione
gli impedisce di accettare appieno la scan- 4. L’ipotesi dunque è che Sonnambula sia
dalosa mescidanza di registri che ne deri- essenzialmente un dramma borghese sotto
verebbe, quella mescidanza che aveva sca- mentite spoglie, e che — come dice Guido
tenato le grandi battaglie attorno ai dram- Paduano nel saggio pubblicato poche pagi-
mi di Hugo (un re chiuso in un armadio, un ne avanti — «la musica della Sonnambula
altro che va per bordelli e rischia di venir perentoriamente richiede di essere presa
accoltellato da un sicario pagato dal suo sul serio come Norma o Anna Bolena, nel
stesso buffone di corte — gobbo — cui ha senso che non meno di quelle mette in gio-
sverginato la figlia, ecc.). Come raggiunge- co eventi e valori decisivi per la compren-
re un registro più quotidiano e borghese, sione della condizione umana e dell’imma-
immediato e “vero”, senza abbandonare i gine di essa che viene elaborata nell’auto-
confini rassicuranti dei generi correnti, ed coscienza culturale». Questa «serietà» di
il «decoro» che conviene alla scena lirica? Il Sonnambula, il suo farsi «dramma» anzi-
contesto semiserio, depurato delle più ché puro idillio, implica però l’esplicitazio-
strette parentele coll’ambito comico, costi- ne di una serie di conflitti (fra persone, va-
tuisce appunto la soluzione migliore: forni- lori, sistemi di riferimento) senza i quali il
sce una cornice in cui la sostanza delle dramma proprio non può sussistere. E, a
questioni dibattute è quella privata, quoti- ben guardare, di conflitti nella Sonnambu-
diana ed antieroica della classe media e dei la ce ne sono diversi, ben distribuiti ai di-
suoi drammi familiari, mantenendo tutta- versi livelli del sistema comunicativo. Pro-
via — grazie al dislocamento «pastorale» — viamo a schizzare un breve elenco, tutt’al-
quel distanziamento idealizzante dalla tro che completo:
quotidianità vera e propria realisticamente
intesa, che i pubblici ottocenteschi non vo- a) Un conflitto fra i sistemi dei valori urba-
levano proprio saperne di vedere in scena. ni e rurali, che non permette una risoluzio-
Questo avviene con Puritani, questo era av- ne univoca. È ben vero che la comunità del
venuto con Sonnambula (che quindi non villaggio svizzero viene presentata a grandi
costituiva una “fuga” rispetto all’impegno linee nei termini idilliaci del gruppo natu-
dell’Ernani, ma piuttosto una sua riformu- ralmente «buono» e solidale con tutti i pro-
lazione). E questo avverrà ancora quando pri membri. Ma questi bravi valligiani sono
Cammarano e Verdi, nel 1849, dovendo ri- anche insopportabilmente ingenui, credu-
durre il più audace dei drammi borghesi loni oltre ogni dire («Buone nuove! / Dice il
tardosettecenteschi, Kabale und Liebe di Conte ch’ella è onesta») e al tempo stesso
Schiller, per la reazionaria piazza napoleta- ostinatissimi nel difendere la propria igno-
na, decideranno di cavarsela riformulando ranza («Un che dorme e che cammina! /
la quotidianità borghese come naturalezza No, no è, non si può dar»); la loro terrifica-
valligiana, cosicché il piccolo principato te- ta descrizione del presunto fantasma («A
desco di Schiller diventa un «ameno villag- fosco cielo, a notte bruna») è una gustosa
gio» del Tirolo, la casa di Luisa Miller si po- caricatura delle tinte fosche d’ispirazione
pola di contadinelle trepidanti eccetera. nordica che andavano serpeggiando nella
(L’anno dopo, per lo Stiffelio di Trieste, letteratura popolare «romantica» italiana,
Verdi non usò le stesse precauzioni, col ri- alla Berchet, e anche Bellini si supera nel-
sultato disastroso che sappiamo. E per la l’affiancare toni francamente comici a pas-
Traviata del ’53 — come il lettore ha potuto saggi in cui il «brivido», opportunamente
verificare nel volume di sala pubblicato al- distanziato, corre lungo progressioni armo-
cune settimane fa, in occasione della ripre- niche in tutto e per tutto «romantiche».
sa al Palafenice — si renderà necessaria una D’altra parte, però, non si può dire che il
grottesca retrodatazione al primo Seicen- personaggio del Conte, col suo atteggia-
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mento «cittadino» e illuminato, ci faccia delineato dal gioco delle reminiscenze e
una figura migliore. Anche a prescindere delle immagini mentali sonorizzate in or-
dal progetto iniziale, secondo il quale Ro- chestra. Gli episodi del sonnambulismo di
dolfo, tipico seduttore aristocratico, si sa- Amina, così come — pochi anni dopo — le
rebbe alla fine svelato per il padre dell’orfa- tappe del martirio interiore di Lucia, sono
nella Amina, abbandonata insieme alla delineate da una folla di melodie affidate
madre una ventina d’anni prima (donde i all’orchestra, con il compito di rendere udi-
ricordi evocati in lui dalle fattezze della bili gli oggetti dell’immaginazione o del ri-
fanciulla: «era dessa qual tu sei...»), il suo cordo che si affollano nella mente di un
atteggiamento nei confronti dei bravi pae- personaggio: si tratta spesso di reminiscen-
sani è pericolosamente dongiovannesco. ze che citano momenti precedenti del
Anzi, Don Giovannesco: giacché a lui, «no- dramma e ne evocano quindi il ricordo, co-
bil cavaliere» capitato in un villaggio pro- me le numerose citazioni che, durante la
prio durante una cerimonia di nozze, come seconda scena di sonnambulismo, rinviano
quella fra Zerlina e Masetto, Romani mette ai momenti felici del primo duetto fra Ami-
in bocca delle espressioni che richiamano na ed Elvino (il dono dell’anello, dei fiori,
irresistibilmente quelle dell’eroe di Mozart l’emozione della sposina promessa). In al-
e Da Ponte: tri casi, invece, l’evocazione musicale non
fa gioco sulla reminiscenza ma sulla sem-
Da Ponte: plice associazione, vedi il sommesso scam-
[Gio.] Seguitate a suonar, o buona gente. panio affidato agli archi che evoca per Ami-
C’è qualche sposalizio? / [Zer.] Sì signore, na sonnambula (tanto nel primo che nel
e la sposa son io. / [Gio.] Me ne consolo. secondo atto) l’immagine dello sposalizio.
Lo sposo? / [Mas.] Io, per servirla. Questo «sonoro silenzio» costituisce sem-
pre, nell’opera italiana ottocentesca, l’e-
Romani: spressione di un disagio, di uno stacco
[Rod.] Ma fra voi, se non m’inganno, traumatico che rende impossibile una vera
Oggi ha luogo alcuna festa. integrazione dell’individuo col mondo cir-
[Coro] Fauste nozze qui si fanno. costante, una fuga nel sogno e nella fanta-
[Rod.] E la sposa? è quella? / [Coro] è questa. sticheria, una difesa rispetto alla violenza
della realtà (vedine ad esempio l’importan-
Da Ponte: za in Don Carlos). Ora, è essenziale notare
[Gio.] La nobiltà / Ha dipinta negli occhi che in Amina questa situazione di disagio e
l’onestà. di fantasticheria non è innescata dal ripu-
dio traumatico patito da parte di Elvino
Romani: (come avviene per Lucia o per l’Elvira dei
[Rod.] Un par mio non può mentir. Puritani), ma lo precede. La prima scena di
sonnambulismo, infatti, è già segnata dal-
L’incontro fra due modelli di vita, uno soli- l’ansia per le prossime nozze, ma anche
dale e comunitario ma passibile di cadere dall’inquietudine per l’atteggiamento gelo-
nell’allucinazione di massa (il che compor- so che Elvino ha palesato in precedenza:
ta di fatto anche un giudizio emarginante l’orchestra evoca infatti il tema del duetto
nei confronti della povera Amina), l’altro il- «Son geloso del zefiro errante», ed Amina
luminato ma sempre a rischio di soggiace- nel sonno chiede: «Geloso / saresti ancora
re alla tentazione di un uso scorretto del dello straniero?». Evidentemente le diffi-
proprio potere, resta quindi problematico, coltà del rapporto fra Amina ed Elvino, e
non disegna soluzioni facili né tantomeno forse fra Amina e l’intera comunità (delle
idilli fuori dal tempo e dallo spazio sociale. cui preclusioni mentali — ingenue ma peri-
colose — s’è detto sopra) preesistono all’epi-
b) un conflitto fra interno ed esterno, sensi- sodio, casuale, dell’ingresso della ragazza
bilità individuale e pregiudizio collettivo, in camera del conte; e il suo sonnambuli-
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Francesco Bagnara. Bozzetto per La Sonnambula, Atto II, 5. Venezia, Teatro Apollo (1837).
(Venezia, Museo Correr).
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Giuseppe Bertoja. Schizzo per La Sonnambula andata in scena al Teatro di San Giovanni Grisostomo nel
1835, con Maria Malibran nel ruolo di Amina. Lo scenografo annota: «Malibrand (sic) 1835 Martedì 8 Apri-
le / Applaudita 3 volte». (Venezia, Museo Correr).
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smo, più che la causa di tanti problemi, rivolto ad un’astrazione più che ad un part-
sembrerebbe piuttosto l’effetto psicosoma- ner autonomo e di pari dignità: nella ca-
tico di uno stato generale di ansia. Non ho denza della sezione iniziale, sulle parole
alcuna intenzione, qui, di praticare il gio- «arride al nostro amor», la voce di Elvino è
chino fin troppo diffuso ed inutile di psica- raddoppiata alla terza da quella di un cor-
nalizzare dei personaggi fittizi prestando no, che funge quasi da sostituto immagina-
loro delle «storie» estranee o preesistenti a rio, mentale, per la voce di Amina che an-
quanto ci viene mostrato in scena; ma sem- cora tace, e che entrerà solo nella sezione
plicemente di notare che in quest’opera, fin conclusiva dell’Andante. A questo punto,
da subito, la musica di Bellini descrive una ristabilita la convenzione del canto paralle-
condizione oggettiva di distanza fra Amina lo, la musica parrebbe esprimere una vera
ed Elvino, una distanza che si riflette negli fusione interiore dei due amanti, ma qui
stati di alterazione di lei, e finisce per preci- accade l’imprevisto: sulle parole «Ah! vor-
pitare la crisi del rapporto. rei trovar parola / a spiegar com’io t’adoro»
Amina attacca la cabaletta da sola (fin qui
c) Il conflitto centrale dell’opera è quindi niente di strano), in un malinconico Fa mi-
quello fra i due fidanzati: la situazione pa- nore segnato da armonie napoletane. È co-
tetica dell’incomprensione e dell’allontana- me se lei, con la sensibilità infinitamente
mento non è determinata solo dal «destino» più articolata che la contraddistingue, già
che casualmente conduce Amina nel letto avvertisse il pericolo dell’incomunicabilità
del conte, ma anche e in primo luogo — co- vera, profonda, e quindi della sfiducia, che
me ha egregiamente dimostrato Fabrizio incombe sul quadretto apparentemente
Della Seta — da Elvino stesso: dalla sua con- idilliaco del proprio fidanzamento. La ri-
cezione maschilista e semplificante dell’a- sposta di Elvino è asimmetrica: con lo sbri-
more come possesso, dalla sua gelosia in- gativo semplicismo che contraddistingue la
giustificata che preesiste agli eventi che po- sua visione del mondo, egli ignora il velo
trebbero spiegarla. Questa tensione, questa grigio proposto dalla riflessione di Amina, e
distanza un tantino imbarazzata che inter- riporta la musica nell’alveo di un rusticano
corre fra i due fidanzati, è già tutta nelle motivetto in La bemolle maggiore. Verso la
strutture musicali del primo grande duetto. fine anche Amina si accoda per le cadenze
Elvino giunge all’appuntamento con un d’uso: ma il duetto si conclude avendo la-
certo ritardo: in un delicato arioso (di quel- sciato la nettissima sensazione che, nono-
li che Bellini sparge volentieri nelle proprie stante l’affetto e l’attrazione reciproca,
opere, ma che in Sonnambula sono insoli- Amina ed Elvino non costituiscano ancora
tamente rari) si scusa dicendo di aver pre- una coppia — e ciò, in buona misura, per
gato sulla tomba della madre, affinché l’immatura superficialità di lui. Nel secon-
Amina lo renda felice come ella rese felice do atto la passione generosa, ma semplici-
il padre (si noti la concezione arcaica della stica ed irriflessiva, di Elvino riceve nella
famiglia che ciò esprime, nonché il proce- grande aria bipartita un trattamento me-
dimento di instaurare subito un pericoloso morabile grazie all’intervento di Bellini
confronto fra la figura idealizzata — anche sulla struttura formale e sulle attese dell’a-
musicalmente — della madre e quella, an- scoltatore. Elvino si avanza pensoso su un
cora estranea, della futura sposa). Manca, assolo cantabile — ancora — del corno, che
come invece sarebbe d’uso nel duetto otto- al momento — integrato com’è nella con-
centesco, un «tempo d’attacco» di tipo dia- clusione del recitativo precedente — sem-
logico: l’inizio del numero si configura bra avere un carattere di reminiscenza, si
piuttosto come una cavatina in La bemolle fa leggere come rievocazione sonora, come
maggiore per il solo tenore, che offre l’anel- flashback della passata felicità. Invece, la
lo alla fidanzata («cavatina», infatti, era de- melodia si rivela poi essere quella su cui
signato il pezzo nell’autografo). L’amore di Elvino attacca il tempo lento della propria
Elvino sembra quindi ancora monologico, aria («Tutto è sciolto»). Dopo otto battute la
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Giuseppe Bertoja. Bozzetto per La Sonnambula, Atto I, 1. Venezia, Teatro di San Giovanni Crisostomo (1835).
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melodia s’interrompe bruscamente: lui si in quella finale, è tendenzialmente aperta:
accorge della presenza di lei, ne segue un sfugge le simmetrie, evita di tornare su se
dialogo animato (il cui testo non compare stessa, si volge costantemente verso nuove
nel libretto, ed è quindi stato aggiunto da destinazioni tonali e nuovi sviluppi melodi-
Bellini per ragioni di «tempo» drammatico), ci, in un’elastica e sognante indetermina-
e infine una sezione più concitata per Elvi- zione onirica. Mentre le angolosità di Elvi-
no solo («pasci il guardo e appaga l’alma»). no si esprimono nell’irregolarità formale
Per l’orecchio assuefatto alle categorie for- dei suoi numeri chiusi, le arie di Amina, la
mali ottocentesche, questa potrebbe già cui sensibilità è tanto più interiorizzata e
sembrare una cabaletta; se non che, dopo il profonda, sono formalmente regolari, ma
tempo di mezzo segnato dall’ingresso del traggono la loro grande ricchezza di sfuma-
coro, arriva la cabaletta vera, «Ah! perché ture dalla conduzione melodica e armoni-
non posso odiarti». Il suo straordinario ef- ca. Provate a riascoltare «Ah, non credea
fetto, oltre che dalla doppia impennata di mirarti», forse il cantabile più miracolosa-
un profilo melodico esasperato, deriva pro- mente perfetto dell’intero corpus bellinia-
prio dall’essere percepita come «doppia ca- no. Siamo in La minore: una prima frase,
baletta», come sfogo che si aggiunge ad un quattro battute, seguita da una seconda, di-
altro sfogo, rottura di tutti gli argini di com- versa, che magicamente si prolunga a cin-
portamento. (Qualche decennio dopo, que battute, ma conclude con una cadenza
quando le «famigerate» cabalette erano or- poco decisiva, cosicché ce ne vogliono altre
mai rifiutate da tutti come un’insoffribile due (e fanno sette, cifra asimmetrica per
convenzionalità, Verdi dirà che non ci sa- eccellenza) per arrivare ad una stasi. Qui,
rebbe nulla di male ad utilizzarle ancora, in quella che potrebbe suonare come la
se solo vi fossero dei compositori capaci di classica sezione contrastante, l’andamento
scrivere qualcosa come «Ah! perché non si regolarizza in una struttura di due per
posso odiarti».) quattro battute: ma l’iniziativa è intanto
passata ai legni dell’orchestra, mentre Elvi-
no si accoda al flusso melodico esprimendo
5. Amina è lontana, estranea al mondo che tutto il proprio dolore e il proprio rimorso.
la circonda: un mondo la cui semplice in- Ci si aspetta il ritorno al materiale iniziale:
genuità può anche significare violenza, invece l’orchestra modula al relativo mag-
stoltezza e pregiudizio. Nello squarcio «Ah! giore, ove Amina prosegue e conclude il
vorrei trovar parola», così come nella sua proprio canto. Nonostante l’apparente sem-
alterità di sognatrice, Amina si dimostra plicità della scrittura, ci troviamo insomma
partecipe di tutta un’altra realtà, infinita- di fronte ad una sofisticata forma di «melo-
mente più profonda e sottile: il suo isola- dia infinita», e non ci stupiamo che avesse
mento rispetto alla piatta e soddisfatta ba- il potere di commuovere un compositore
nalità borghese che la circonda può persi- come Chopin, che proprio sull’indetermi-
no ricordare — pur con minore intensità nazione onirica delle asimmetrie sintatti-
epica — quello di Senta nell’Olandese vo- che costruisce buona parte dei propri in-
lante. Questo distacco appare evidente an- confondibili effetti espressivi. Avanzavo
che confrontando la fattura tecnico-compo- poc’anzi il suggerimento che la consapevo-
sitiva delle arie destinate a lei con quelle lezza estetica di Bellini fosse decisamente
destinate agli altri personaggi. Ad Elvino arretrata rispetto ai suoi risultati poetici: in
come a Rodolfo come a Lisa compete la effetti, anche se la sua formazione classici-
classica forma chiusa dell’arco melodico stica lo induceva a definire la propria musi-
all’italiana, quattro periodi di cui i primi ca come induzione di «affetti» (l’opera do-
due simili, il terzo contrastante, l’ultimo vrebbe far «piangere cantando», il che non
che riconduce al primo (AABA o sue innu- è assolutamente un concetto romantico,
merevoli varianti). Al contrario la melodia ma prettamente settecentesco), il proprio
di Amina, tanto nell’aria del primo atto che talento compositivo giungeva alla defini-
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zione di mezzi strutturali grazie ai quali un nea bontà dei bravi valligiani. È un idillio
affetto non è mai un’astrazione generica, conquistato faticosamente, lasciando tra-
ma è anche, sempre, un irripetibile modo sparire i nodi ben più moderni, ed essen-
di espressione della particolarissima perso- ziali, del dramma borghese, dell’osserva-
nalità di chi lo prova, ed entra quindi a de- zione in vitro di un’antropologia urbana e
finire il gioco delle relazioni — e dei contra- modernissima.
sti — fra gli individui. Lo aveva capito be-
nissimo Richard Wagner, quando, contrap-
ponendo la musica di Bellini alle confuse e
frammentarie sperimentazioni dei suoi
contemporanei tedeschi, ossessionati dalla
resa individuale di ogni singolo particolare
espressivo, notava:
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Giuseppe Bertoja. Bozzetto per La Sonnambula, Atto II, scena ultima. Venezia, Teatro di San Giovanni Gri-
sostomo (1835).
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Romolo Liverani. Bozzetto per La Sonnambula, Atto I, 8. Faenza, Teatro Comunale (1838).
64
Romolo Liverani. Bozzetto per La Sonnambula, Atto II, 5. Faenza, Teatro Comunale (1838).
65
Carlo Ferrario. Disegno a matita per La Sonnambula, Atto II, 5. Milano, Teatro alla Scala (1873).
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G UIDO PADUANO
LA VERITÀ DEL SOGNO: LA SONNAMBULA
All’indomani della prima milanese della dini e sotto gli smalti virtuosistici. Ma an-
Sonnambula (6 marzo 1831), il recensore che senza di lei, e senza cessare di rim-
dell’«Eco» scriveva tra l’altro: «il trasforma- piangerla, ci accorgiamo che la musica del-
re la maestà della Semiramide e la sensibi- la Sonnambula perentoriamente richiede
lità profonda dell’Anna Bolena nelle sem- di essere presa sul serio come Norma o An-
plici ed ingenue grazie d’una giovane con- na Bolena, nel senso che non meno di quel-
tadinella, in modo sì mirabile, cra impresa le mette in gioco eventi e valori decisivi per
riserbata a Madama Pasta». la comprensione della condizione umana e
A proposito della rappresentazione scalige- dell’immagine di essa che viene elaborata
ra del 1955, diretta da Bernstein con la regia nell’autocoscienza culturale. Quando avre-
di Visconti e la memorabile Amina della mo precisato che questi medesimi eventi e
Callas, Fedele D’Amico teneva a ricordare valori sono veicolati attraverso un’identifi-
che «Sonnambula e Norma furono scritte cazione con l’esperienza della protagoni-
per la stessa cantante, Giuditta Pasta, e tutt’e sta, senza nessuna delle operazioni di di-
due le parti cantava la Malibran, come le stanziamento o alienazione che identifica-
canta oggi, unica, la Callas». no i registri del comico, avremo dato a mio
Il confronto tra Amina e le eroine di Rossi- parere un’attendibile definizione del gene-
ni e Donizetti suona provocatorio, giacché re tragedia, cui non è essenziale invece
all’iperbolica distanza sociale corrisponde, (non lo è mai stata) l’opposizione tra lieto e
prima e più che un’opposizione di registri triste fine.
stilistici, un’opposizione tra due forme di Amina, una ragazza di campagna, sta feli-
protagonismo, una che comporta l’occulta- cemente per sposarsi col suo innamorato
mento e l’altra l’esibizione del narcisismo (Elvino), senz’altri turbamenti che il ranco-
come volontà di potenza e coinvolgimento roso dispetto della precedente fidanzata di
nelle aspre dialettiche del potere. Non è lui, l’ostessa Lisa, quando il paese è messo
meno provocatorio il confronto con Norma, in subbuglio dall’arrivo di un aristocratico
dove opposizioni dello stesso tipo sono cittadino: il signore del castello, Rodolfo,
esaltate dall’identità del regime compositi- che rientra nei luoghi della sua infanzia.
vo, stante la strettissima vicinanza cronolo- Egli sembra guardare con interesse sospet-
gica tra le due opere. Eppure noi sentiamo to alla sposa, e al gelosissimo sposo sem-
infallibilmente che queste impressioni d’a- bra, del tutto a sproposito, che l’interesse
scolto colgono l’autenticità del messaggio sia ricambiato. Il sospetto diventa certezza,
testuale, al di là dei problemi di estensione lacerazione, abbandono quando la sposa
e di timbro della vocalità, e anche dell’abi- viene trovata nella camera d’albergo di Ro-
lità performativa delle cantanti; almeno nel dolfo, il quale tuttavia è in grado di spiega-
caso di Maria Callas, del resto, sappiamo re: Amina soffre di sonnambulismo non è
bene che la sua grandezza è consistita nel- altri che lei, nel suo vagare notturno, il fan-
la enucleazione e nell’espressione di gran- tasma di cui tutto il villaggio favoleggia con
di direttrici di senso, latenti nel melodram- sgomento. Nella stanza di Rodolfo è dun-
ma italiano sotto la stanchezza delle abitu- que entrata incoscientemente, e si è rivolta
67
La Sonnambula, Atto I, 8. Venezia, Teatro La Fenice (1952).
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a lui sognando un dialogo con Elvino. La ne del mondo; i confini fluttuanti tra queste
spiegazione è presa come un’interessata due realtà sono vissuti con enorme investi-
menzogna, ed Elvino si accinge a sposare mento emotivo, come «rischio di non esser-
Lisa per ripicca (se non fosse che anche Li- ci» e come ambiguità di affermazione e di
sa viene accusata, e lei giustamente, dello distruzione.
stesso peccato), quando sulla scena compa- Venendo all’opera di Bellini, converrà in-
re Amina. Il turbamento l’ha spossata, e ora nanzitutto notare che il tema del sonnam-
nel sonno esprime indubitabilmente il suo bulismo ha effettivamente il ruolo decisivo
dolore e il suo amore. Avviene la riappaci- nella strutturazione del plot: se questo, ri-
ficazione e Amina risvegliata si trova felice, dotto a estrema formalizzazione, consiste
acclamata dai suoi compaesani: «a noi più in un doppio movimento, prima di altera-
cara, / Bella più del tuo soffrir». zione e poi di ristabilimento della felicità
Che cosa c’è in questa vicenda di tragico, amorosa, che prima crea e poi colma ango-
cioè di essenziale e problematico? sciose distanze, la responsabilità di en-
La risposta «niente», che si può essere ten- trambi sta appunto nella particolare e ri-
tati di dare, è sostenibile solo ammettendo corrente condizione di Amina: la manife-
che la musica sia un discorso perfettamen- stazione dell’io attraverso il sogno, che in
te autosignificante, rispetto al quale la si- tal modo è resa pubblica, è prima fonte di
tuazione teatrale sarebbe un puro pretesto. equivoco e poi soluzione di esso, venendo-
Questa posizione, che pure nella critica le riconosciuto un indiscusso valore di ve-
belliniana ha avuto diritto di cittadinanza è rità. E in effetti entrambi, equivoco e verità,
insostenibile in rapporto a tutte le categorie ineriscono essenzialmente a questa espe-
strutturali, funzionali, semantiche, storiche rienza, confermando l’ipotesi che in essa
del teatro musicale in genere e del melo- sia una ricchezza ambigua e inquietante.
dramma italiano in particolare; ancora più La garanzia di verità risiede nella possibi-
in particolare, è incompatibile con la prassi lità di estrinsecare i contenuti psichici con
compositiva di Bellini e con il ruolo di Ro- tutta la libertà permessa dal codice onirico,
mani. Come ha chiaramente detto il mag- e cioè senza nessuno dei condizionamenti
giore studioso di Bellini, Friedrich Lipp- e delle censure operanti nel vivere sociale e
mann, La Sonnambula non si costituisce nell’elaborazione dell’immagine che con-
nonostante il libretto, ma a partire dalle «si- sciamente si trasmette di se stessi. Il rischio
tuazioni drammaticamente mosse» che es- di equivoco è invece legato alle modalità
so contiene. Qualificare questo discorso espressive dell’inconscio: poiché la sua at-
mediante un accertamento delle funzioni tività è indipendente dai principi della logi-
testuali, delle loro strategie e delle loro ge- ca classica (d’identità e di non contraddi-
rarchie, è quello che mi propongo di fare; zione), e tratta gli oggetti di investimento
anticiperò tuttavia subito la mia risposta, la emotivo alla stregua di una realtà totaliz-
quale, giovandosi dei benefici della tautolo- zante e infinita, gli oggetti stessi non hanno
gia, sostiene che quanto c’è di essenziale e lo statuto preciso che compete loro nella
problematico nella Sonnambula è propria- realtà empirica: nella fattispecie per Amina
mente l’esperienza del sonnambulismo. qualunque uomo, ma forse semplicemente
Non a dimostrazione di questo assunto, ma qualunque entità sentita come altro da sé, è
solo a preventiva giustificazione della sua nel sogno Elvino — e questa crea gli incon-
praticabilità, vorrei ricordare l’attenzione venienti che sappiamo.
dedicata da Ernesto De Martino ai fenome- Tuttavia l’interesse maggiore non risiede a
ni che come questo, o come la trance e l’i- mio parere nell’aspetto oggettivo del son-
pnotismo, comportano l’esercizio delle fa- nambulismo, cioè nelle sue conseguenze,
coltà psichiche in un regime sensoriale al- bensì nei modi di realizzazione, cioè nell’i-
terato; dalla sua analisi risulta che essi tinerario di vita interiore che esso disegna
comportano altresì una ridefinizione dell’i- e nel suo rapporto con la vita consueta, ca-
dentità individuale e della rappresentazio- ratterizzata dalla vigilanza e dalla interre-
69
La Sonnambula, Atto II, 1. Venezia, Teatro La Fenice (1952).
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lazionalità. Se si preferisce, tra le relazioni sono attribuire alle due scene di pazzia so-
che organizzano il microcosmo psichico e pra citate.
quelle che nelle loro cooperazioni e interfe- In Lucia e nei Puritani la realtà dolorosa
renze formano il quadro semiotico del viene globalmente negata opponendole un
dramma. mondo di delirante luminosità, non toccato
L’elaborazione della realtà condotta nel dall’angoscia, frutto immediato e assoluto
sonnambulismo di Amina può definirsi con del desiderio; nella Sonnambula il deside-
l’aiuto di termini contrastivi che hanno rio esprime con altrettanta forza la sua ri-
grande rilievo nella civiltà musicale con- chiesta di felicità, ma i modi in cui la for-
temporanea: penso alla scena della pazzia mula mostrano coscienza delle difficoltà e
in Lucia di Lammermoor e al ricorrente degli ostacoli, generati dal fatto che l’alte-
delirio di Elvira in cui culminerà la ricerca rità dell’oggetto d’amore è comunque irri-
belliniana sugli aspetti più tormentati e in- ducibile all’io, e ne vivono la dialettica con
quietanti della psiche, e specialmente della pena, attesa, speranza.
psiche femminile. Le visioni di Lucia, Ami- Sia pure esprimendosi in termini grossolani,
na ed Elvira sono tutte incentrate su un non si andrà troppo lontano dalla verità se si
unico idolo ossessivo, concepito come sede dice che nella Sonnambula l’inconscio af-
di appagamento universale dell’immagina- fronta gli stessi problemi che si presentano
rio femminile: la festa di nozze. Ne viene di alla coscienza, e allo stesso modo, nel rispet-
conseguenza il ripetersi e sovrapporsi di to cioè della griglia che ospita e determina la
movenze stilistiche e di fattori lessicali. Per vita della coscienza: la scansione del tempo.
esempio: «Ardon le sacre tede» (Sonnam- Con ciò intendo dire due cose distinte tra lo-
bula) e «Ardon gli incensi... splendono / Le ro: la prima è che, essendo come s’è detto le
sacre faci intorno» (Lucia). «Cielo, al mio visioni, visioni non di stati psichici ma di
sposo io giuro / Eterna fede e amor» (Son- processi e conflitti, esse sono ordinate nel
nambula) e «Oh, vieni al tempio, fedele Ar- regime di mutabilità biunivocamente con-
turo, / Eterna fede, mio ben, ti giuro» (I Pu- nesso al tempo; la seconda è che l’inconscio
ritani). «Elvino!... Alfin sei mio... Tua son serba memoria della coscienza, e dunque le
io» (Sonnambula, atto I); «Ancor son tua, tu visioni non evocano dal nulla, o se si vuole
sempre mio» (Sonnambula, atto II); «Alfin dall’acronicità assoluta del desiderio, la loro
son tua, alfin sei mio» (Lucia). dialettica, ma ereditano una situazione com-
Naturalmente, se è vero che il sonnambuli- promessa dagli eventi della vita di relazione.
smo è fenomeno praticamente privo di rile- Diciamo anzi progressivamente compro-
vanza patologica, c’è da aspettarsi che la di- messa, se è vero che la seconda scena di
stanza tra esso e la realtà sia ben altrimen- sonnambulismo registra, nel medesimo
ti colmabile che non nel caso della pazzia: quadro di opposizione tra il desiderio e le
e in effetti, mentre l’esplorazione visionaria avversità, gli sviluppi e i deterioramenti ac-
di Lucia è una via che non ha ritorno, e il caduti nell’intervallo dalla precedente.
ritorno di Elvira passa per la violenza para- Se il primo punto autorizza a definire la
dossalmente benefica di un trauma (la con- struttura delle visioni come drammatica (e
danna a morte di Arturo), Amina si trova non sarebbe improprio parlare di psico-
alla fine a trapassare dal sogno alla realtà drammi), il secondo chiarisce che in essi si
per confini aperti e illusionisticamente, realizza la stessa struttura drammatica che
dolcemente confusi. Su questo trapasso, come spettatori siamo chiamati a fruire
che è la cosa più straordinaria dell’opera e unitariamente.
con piena pertinenza occupa il finale, tor- Considerando più concretamente le due
nerò poi; ma va detto che esso è il punto scene in questione, vediamo che il rapporto
terminale di uno svolgersi del discorso so- sintagmatico tra sogno e veglia viene ga-
lipsistico come parte dell’esperienza vitale rantito dalla prima fase di Amina sonnam-
e non già come suo chiaroscuro, alternati- bula, dopo l’invocazione «Elvino, Elvino!»:
va, rovesciamento — le funzioni che si pos- «geloso / Saresti ancor dello straniero?».
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Gianrico Becher. Bozzetto per La Sonnambula, Atto I, 1. Venezia, Teatro La Fenice (1961).
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Ancora: il sogno non ripete, ma riprende e grado che situa la sua scena non nelle dol-
prosegue la situazione conflittuale che si cezze bucoliche, svizzere o padane che sia-
era prodotta tra lei e l’amato a motivo del- no, ma nell’universalità della psiche, e ne
l’interferenza di Rodolfo, poi espansa e ad- parla il linguaggio categorico, dove non
dolcita nel duetto «Son geloso del zefiro er- esistono piccole ferite e la gelosia è degnis-
rante» e risolta nell’unisono «Mai più dub- sima figura di morte, dove l’invocazione
bi, timori mai più», all’uscita del quale sta «madre mia» non concerne propriamente
una promessa profetica: «pur nel sonno il la molinara Teresa — con la sua solida af-
mio cuor ti vedrà». fettività e partigianeria, capace di morali-
L’io onirico in ciò più realistico della dedi- smi aggressivi e di ironia acida, una specie
zione manifestata nel duetto — sa bene di di Agnese manzoniana — ma il corrispettivo
non poter contare sulla scomparsa dei nostalgico dell’originario smarrimento
«dubbi» e dei «timori»; e li mette in scena umano.
con un preciso déjà vu, che riprende prima Il risveglio di Amina fa esplodere, come
di tutto la tonalità globale dell’angoscia sappiamo, il conflitto con Elvino e i paesa-
(sottolineata dal ripetersi della didascalia ni, ma anche un conflitto di molta più vio-
«con pena»), e poi i topoi dell’innocenza of- lenza e respiro che coinvolge la persona
fesa, l’apostrofe «ingrato», e la professione della sognatrice, e nell’estremizzazione dei
d’amore «non t’adoro? / Il mio ben non sei suoi termini ne minaccia la coerenza. Da
tu?» (versus «Amo te solo, il sai»). Più pre- un lato infatti la sua condizione è di onni-
ziosamente, ancora, la solitudine struttura- potenza: assumendo dentro di sé la crisi, ha
le del sonnambulismo fa rivivere lo stizzo- in sé la capacità di portarla a compimento e
so silenzio di Elvino («Elvino, e me tu lasci di coronarla nel lieto fine (il più tradiziona-
/ Senza un tenero addio?», versus «Non ri- le, le nozze). Dall’altro lato è di impotenza,
spondi?»). Poi Amina «comincia a serenar- cecità indifesa. Lungi dall’avere il controllo
si» e passa alla rappresentazione solare del mondo, Amina non ha il controllo di sé,
delle nozze: la gioia che parla in essa si op- e l’oscurità che concerne il sé, lo spazio
pone alla precedente «pena» con un’im- («Dove son»), le azioni («Che mai feci?»), il
pressionante crescita d’intensità, certo rapporto con gli altri («Chi mi vi ha spin-
avallata dalla struttura cantabile, se la frase to?»), pesa come una condanna all’incom-
«O madre mia, m’aita» sembra comunicare prensione e alla separatezza, e dunque al-
una passione dolorosa, è perché rappre- l’infelicità.
senta quell’insostenibilità della gioia che I termini di questo conflitto non hanno
Amina, conscia, avcva predicato nella ca- niente di sorprendente, sono anzi iscritti
baletta iniziale: «Egli è il cor che i suoi con- nella definizione stessa di inconscio a se-
tenti / Non ha forza a sostener». Confronta- conda che se ne elabori un’immagine au-
ta con essa, può mostrare utilmente, io cre- tarchica o una bisognosa di riconoscimen-
do, quale dislivello di autenticità e profon- to sociale; ma sorprendente è la loro resa
dità passi tra la manifestazione sociale e musicale, drammaturgica, semiotica: basti
quella segreta dell’io. pensare al persuasivo nitore con cui è co-
Da questa prima scena possiamo dunque struito il contrasto tra il predominio che la
già concludere che La sonnambula rappre- voce di Amina ha nella scena del sonnam-
senta a due livelli la sua semplicissima, bulismo (esaltato dal rispettoso distanzia-
quasi nucleare azione, originata dalla mi- mento di Rodolfo), e la sua posizione di do-
naccia dell’infelicità e risolta nel trionfo lorosa eccentricità nel concertato finale del
della felicità: al primo livello, che compor- primo atto, che culmina capovolgendo il
ta la rappresentazione di rapporti interu- ruolo della figura musicale dell’unisono:
mani banali, irrimediabilmente impoveriti quando Amina ed Elvino cantano insieme
dalla loro idoleggiata semplicità (tornerò «Non è questa, ingrato core», la solidarietà
su questo punto), segue la mise en abîme vocale, altrove rassicurante, esprime al
della medesima realtà: un teatro di secondo contrario la lontananza e l’incompatibilità
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delle loro angosce. terazioni tra inconscio e coscienza. Ma, pri-
Similmente possiamo dire che nel primo ma che si chiuda la compatta elegia del do-
atto l’identità dei progetti vitali elaborati lore, è già avvenuto il fatto decisivo: nel
nella veglia e nel sogno si stabilisce attra- cerchio solipsistico di Amina è entrato El-
verso una stridente incomunicabilità dei vino, non l’immagine sognata ma la perso-
due universi. na fisica di Elvino, e su uno dei nuclei te-
Nel secondo atto, invece, essi si intersecano matici dell’aria di Amina ha cantato: «No,
e si identificano. più non reggo». Molto a ragione Lippmann
La seconda e la più grande scena di son- insiste sul fatto che l’inserzione della frase
nambulismo ha una struttura opposta alla di Elvino nell’aria fu una scelta di Bellini,
prima per ciò che concerne l’estensione re- correttiva del libretto che collocava la stes-
lativa del positivo e del negativo: mentre sa frase all’inizio del successivo recitativo
infatti la prima risolveva rapidamente, in (dove in effetti sta ancora, ripetuta), perché
un sia pur intensissimo declamato, le disto- significa rivendicare alla volontà composi-
nie e le disforie dell’amore, per approdare tiva determinante non solo il momento di
al cantabile estatico della gioia, e da quello massima commozione, ma il vertice dell’a-
ripiombare nell’incubo del risveglio, la sce- zione drammatica.
na finale attraversa con cristallina soffe- E a questo punto infatti che avviene in ma-
renza tutto il percorso della lacerazione, af- niera primaria il ricongiungimento di Ami-
fidandone l’espressione al cantabile «Ah! na ed Elvino, che ora cantano in parole di-
non credea mirarti» poi dal profondo del- verse lo stesso fecondo dolore (esattamente
l’angoscia risale alla speranza con la feb- al contrario di ciò che avveniva nel finale
brile velocità di frasi spezzate: ma la caba- del primo atto). Il linguaggio della musica
letta che corrisponde, rovesciandone la si- esprime con la sua illimitata ricchezza fi-
tuazione emotiva, a «Ah! non credea mirar- gurale ciò che in termini di comportamen-
ti», sta al di là del sogno e chiude l’opera to avverrà subito dopo: Elvino si avvicina
(«Ah! non giunge uman pensiero»). ad Amina, che ancora sognando riceve da
Come sappiamo, la situazione è precipitata lui l’anello e gli rivolge le parole, già citate
e il sogno di Amina la riflette, agganciando- prima, che potremmo considerare una ce-
si a ben precisi elementi di realtà: il matri- lebrazione laica del matrimonio («Ancor
monio con Lisa che Elvino ha inopinata- son tua, tu sempre mio» — appena sarà da
mente deciso e sta per attuare. L’insistenza notare come questa nuova fioritura di feli-
su questo punto crea un contraltare ango- cità sognata conservi, attraverso il termine
scioso al sogno beato delle nozze: il tempio «ancor», l’impronta della memoria). Poi an-
è ancora il luogo dello psicodramma, ma il che Teresa si avvicina ad Amina, e solo do-
senso della cerimonia è atrocemente rove- po Rodolfo decreta: «De’ suoi diletti in seno
sciato. / Ella si desti».
Insieme ad esso si capovolgono due simbo- Lo scioglimento dunque avviene in sogno,
li dell’unione felice: l’anello che Elvino le e dopo il risveglio è soltanto ratificato. L’in-
ha tolto, le viole ricevute da lui e riposte nel terattività tra la persona che sogna e gli al-
seno e ora appassite. Il canto sul fiore — di tri è garantita nello statuto del sonnambuli-
estenuata dolcezza e bellezza — segna tutta- smo quale pedantescamente lo traccia Ro-
via la transizione verso il nuovo e definiti- dolfo («V’han certuni che dormendo / Van-
vo cammino della felicità. Dovremmo anzi no intorno come desti, / Favellando, ri-
dire che l’ultima frase «Ma ravvivar l’amo- spondendo / Come vengono richiesti»), ma
re / Il pianto mio non può», dal momento ben altro è naturalmente il suo senso e il
che avvia la successiva impennata della suo messaggio. Il sogno determina la realtà
speranza («E s’egli a me tornasse?»), va de- esterna e stabilisce ciò che per essa ha va-
finita come negazione freudiana: tanto po- lore di verità.
co l’attività onirica è espressione grezza del «Seconda il suo pensier», dice Rodolfo a El-
desiderio, che conosce le più complesse in- vino come si potrebbe dire davanti a una
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Gianrico Becher. Bozzetto per La Sonnambula, Atto II, 1. Venezia, Teatro La Fenice (1961).
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Gianrico Becher. Bozzetto per La Sonnambula, Atto II, 5. Venezia, Teatro La Fenice (1961).
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devianza mentale: ma ciò che Elvino com- a quella che ci è apparsa la tematica cen-
pie per «secondare» le imperative richieste trale.
del sogno di Amina, è la sostanza della pro- Come sempre, il mito dell’Arcadia si nutre
pria autentica volontà, che già una volta si di due nuclei simbolici: la bellezza della
era manifestata nella consegna solenne di natura intesa come «paesaggio spirituale» e
quello stesso anello, e successivamente era l’interesse per la condizione umana che
stata pervertita dalla stupidità e dalla cecità convenzionalmente si reputa vicina all’ele-
che imperversano nei rapporti umani. mentarità della natura, perché priva delle
Anche l’alternativa tra onnipotenza e im- complicazioni e mediazioni della cultura.
potenza è risolta in senso solarmente affer- Sul primo punto, l’ambientazione paesag-
mativo, ma non senza attraversare, con un gistica della Sonnanbula è ispirata a una
ultimo tenero brivido, l’uscita dal sonno, gentile sobrietà, priva di insistenze oleo-
che resta nonostante tutto problematica. Le grafiche. Si pensi alla tenuità dell’accompa-
prime reazioni di Amina svegliata non so- gnamento orchestrale che illustra le parole
no differenti dall’altro e terribile risveglio di Teresa «il sol tramonta», riproducendo il
(«Dove son io? che veggo?» versus «Dove suono delle cornamuse.
son? chi siete voi?»), ma il disagio che ac- Lo spazio della descrizione naturale è
compagna il recupero dell’identità raziona- ristrettissimo, rispetto per esempio al
le esprime una commovente preghiera: Guglielmo Tell (naturalmente, non perché
«Ah... per pietade... / Non mi svegliate voi». il Guglielmo Tell sia a sua volta una
Amina crede di sognare ancora, anzi di so- «pastorelleria»: ma là l’indugio sui temi
gnare di sognare, perché solo un sogno di naturistici è funzionale a una struttura che
secondo grado consente una valutazione oppone il libero respiro dell’uomo sulla
del sogno quale è implicita nella sua frase. terra alla tirannia cupa e tempestosa).
Ed è una valutazione ambivalente, perché Ma, soprattutto, nella Sonnambula il valore
implica insieme appassionato coinvolgi- simbolico dell’ambientazione naturale non
mento e coscienza della sua inanità, certez- consiste nel fatto che la serenità del mondo
za che i sogni non possono resistere al ri- determini nell’animo umano la «tranquilla
sveglio. giocondità», ancora per usare le parole di
Invece proprio questo avviene, e il parados- Nietzsche, bensì l’iter è quello opposto: la
sale primato dell’interiorità chiude in forme dimensione interiore informa di sé i con-
scintillanti la certezza che essa, rielaboran- torni del mondo esterno. Così dice Amina
do e rappresentando sul suo palcoscenico i nell’aria di entrata:
contenuti dell’angoscia, possa vincerla o al-
meno esorcizzarla. Esattamente come la Come per me sereno
esorcizza l’istituzione teatrale. Oggi rinacque il dì!
Come il terren fiorì
Più bello e ameno!
Ma La sonnambula non è anche uno stuc- Mai di più lieto aspetto
chevole idillio, una regressione verso l’in- Natura non brillò:
fantilismo arcadico, una nostalgia di primi- Amor la colorò
tività nutrita di false coscienze e ancorata Del mio diletto.
alla angusta contentezza di se che Friedri-
ch Nietzsche bollava a fuoco con parole co- E ancora, in risposta alla gelosia di Elvino:
me «trastullamento fantasticamente balor-
do»? Son, mio bene, del zefiro amante
In tutta franchezza, io non credo si possa Perché ad esso il tuo nome confido;
negare che sia in parte anche questo, ma Amo il sol, perché teco il divido,
mi pare necessario determinare corretta- Amo il rio, perché l’onda ti dà.
mente il profilo e l’estensione di questa par-
te, e soprattutto la sua funzionalità rispetto Al di là dell’insistenza tematica, sta alla vi-
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La Sonnambula, Atto I, 5, con June Anderson nel ruolo della protagonista. Scene e costumi di Antonio
Fiorentino, regia di Mattia Testi. Venezia, Teatro Malibran (1984).
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cenda successiva, come ben sappiamo, av- nel senso dell’astrazione che in quello del-
valorare questa gerarchia. l’emarginazione, e sappiamo quanto l’uno
E invece sul versante antropologico di que- e l’altro contribuiscano alla semantica del-
sta Arcadia che si verifica lo scadimento. l’opera.
Sono stati infatti fortemente banalizzati Peraltro, la distanza è risultata eccessiva.
ambedue i termini dell’opposizione città- Eccessiva almeno per il fatto di non essere
campagna in cui essa si orienta. illuminata dalla luce coerente dell’ironia;
La peculiarità contadina pertinentizzata è al contrario, bisogna confessare che il co-
fondamentalmente l’ingenuità, intesa in mico affiorante nella Sonnambula è per lo
senso negativo come incapacità di com- più involontario, richiedendosi che tra
prensione razionale e proclività a farsi in- Amina e i suoi compaesani si presupponga
gannare dalle apparenze: lo sdoppiamento una corrcnte di affettività e di solidarietà
del tema del sonnambulismo consente di emotiva. Ma se Amina, a differenza di Lu-
presentare due versanti simmetrici di que- cia e di Elvira, ha come prima immagine
sto atteggiamento, crcdere il falso e disco- delle sue nozze l’affetto collettivo («Oh co-
noscere il vero. I paesani sono convinti del- me lieto è il popolo / Che al tempio ne fa
l’esistenza reale del fantasma e non credo- scorta!»), i suoi compaesani la ricambiano
no alla smitizzazione di Rodolfo («Ve la di- di buona volontà inconcludente, fatua, vo-
pinge, ve la figura / La vostra cieca credu- lubile.
lità»), opponendogli che «non è fola». Il guasto peggiore si è ripercosso nella co-
Tutt’al contrario, è fola per loro la spiega- struzione del personaggio di Elvino, cui
zione dell’innocenza di Amina data dal vengono messe in bocca parole, melodie,
Conte («A tai fole non crediamo: / Un che atteggiamenti della maggiore intensità e
dorme e che cammina! / No, non è, non si nobiltà, e alcune delle arie tenorili più bel-
può dar»). Questo secondo aspetto della lo- le che si conoscano. Ciò in base al teorema
ro ottusità è più insistito perché dramma- melodrammatico per cui la coppia solidale
turgicamente più rilevante, ed anche per- in atto o in prospettiva condivide lo steso li-
ché più sapidamente ironico: qui infatti la vello di nobiltà e di profondità espressiva.
loro ignoranza riposa sulla presunzione di D’altro canto, non è la sola incredulità,
un giudizio razionalistico. Ancor maggiore strutturalmente necessaria, che omologa
rilievo gli è conferito dal fatto che l’ottusità Elvino al piccolo mondo paesano, piccolo
entra in conflitto con i valori di lealismo nella superficialità emotiva non meno che
cieco nei confronti dell’autorità (Baldacci nella limitatezza culturale e intelletuale. Lo
ha parlato di sanfedismo), che trascorre vediamo infatti uscire di scena («dispera-
largamente per il villaggio, raggiungendo il to», sottolinea la didascalia) dopo la spendi-
culmine nel coro iniziale del secondo atto e da melodia di «Ah! perché non posso odiar-
nella successiva entrata: «Buone nuove! / ti», e rientrarvi sposo promesso di Lisa e
Dice il Conte ch’ella è onesta, / Ch’è inno- addirittura rievocare «il bel nodo che pria».
cente, e a noi già muove». Ma neanche que- Dal punto di vista della legittimità psicolo-
sta acquiescenza bonacciona basta a fare gica, la ripicca può essere atto «disperato»,
accettare ai paesani lo scandalo della ve- o se vogliamo anche tragico; tuttavia il te-
rità. sto drammatico e musicale non attiva le
Bisognerà tenere il massimo conto del fatto contraddizioni potenziali della situazione,
che questa sordità e refrattarietà del milieu e di fatto si limita ad approffitare del cam-
era drammaturgicamente e simbolicamen- bio di scena per far passare sotto silenzio
te necessaria all’azione. Senza i pregiudizi l’incoerenza, che non è di comportamenti,
e la miopia del villaggio, non si sarebbe ma di livelli emotivi e dunque stilistici.
creata o si sarebbe anonimamente risolta la Nella stessa superficialità è più gravemente
crisi. Ciò che più importa, la distanza tra coinvolto il Conte, degna controparte citta-
Amina e la comunità cui appartiene con- dina e illuministica dell’ignoranza paesa-
sente l’isolamento della protagonista sia na.
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In questo caso, tuttavia, si scorge più chia- Comunque sia, rinunciare all’agnizione del
ramente l’origine delle distonie compositi- padre è stata da parte di Bellini un’inven-
ve del travagliato processo redazionale per zione felicissima; in tal modo è stata salva-
cui originariamente Rodolfo doveva essere guardata alla vicenda emotiva di Amina
il padre dell’orfanella Amina, riconosciuto quella semplicità che non ha nulla a che fa-
alla fine per il perfezionamento del tripudio re con l’ingenuità laccata dei pastori, ed è
universale. Poiché questa soluzione è stata invece rigorosa purità dell’amore e del do-
scartata, il personaggio di Rodolfo ha sof- lore visti come componenti essenziali del-
ferto di un calo di motivazione. Uno dei ri- l’animo umano.
sultati è stato quello di trasformare l’impe-
gno affettivo della paternalità in paternali-
smo, che si ritrova altresì a essere da sem-
pre la pecca caratteristica del cittadino ver-
so la campagna; così vediamo Rodolfo al-
ternare due atteggiamenti complementari:
da un lato, una noiosa superiorità didasca-
lica, appena salvata dall’utilità della funzio-
ne registica da lui esercitata nel finale, dal-
l’altro uno slancio ammirativo verso il
mondo altro. Esso ha però appena il tempo
di manifestarsi nelle forme leopardiane di
«Vi ravviso, o luoghi ameni » — un’aria ap-
profondita peraltro dal fascino di un miste-
ro inesistente — che precipita nel crasso
compiacimento borghese, idolo polemico
di Nietzsche:
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La Sonnambula, Atto I, 5, con Luciana Serra nel ruolo della protagonista. Ripresa dell’allestimento 1984. Ve-
nezia, Teatro La Fenice (1988).
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81
E NTE AUTONOMO TEATRO LA F ENICE
sovrintendente
Gianfranco Pontel
direttore artistico
Francesco Siciliani
direttore principale
Isaac Karabtchevsky
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Massimo Cacciari
presidente
Paolo Nardulli
Adriano Olivetti
Angelo Di Mico
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segretario generale
Iginio Gianeselli
direttore amministrativo
Tito Menegazzo
segretario artistico
Giorgio Benati
direttore di produzione
Dino Squizzato
fotocomposizione e immagini
Texto - Venezia
stampa
Grafiche Veneziane - Venezia
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AREA ARTISTICA
MAESTRI COLLABORATORI
direttore musicale di palcoscenico maestro di sala maestro rammentatore
Giuseppe Marotta * Stefano Gibellato * Pierpaolo Gastaldello *
maestri di palcoscenico maestro di sala aggiunto maestro alle luci
Lorenzo Fasolo * Aldo Guizzo * Gabriella Zen *
Silvano Zabeo ◆ responsabile archivio musicale
Paolo Cecchi ◆
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CORO DEL TEATRO LA F ENICE
GIOVANNI ANDREOLI
direttore del Coro
Alberto Malazzi
aiuto maestro del Coro
◆ a termine
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AREA TECNICO -AMMINISTRATIVA
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AMICI DELLA F ENICE
incontro con l’opera
SANDRO CAPPELLETTO
MADAMA BUTTERFLY
Comune di Venezia
c/c 64000/ OV Cassa di Risparmio di Venezia
codice ABI 6345 cab. 02000
“Sottoscrizione per la ricostruzione del Teatro La Fenice”