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“Siamo partiti senza conoscere Oropa, França e

Bahia”….
— Continuam mar em fora,
navegando noite e dia...
Caminham para "Pasárgada",
para o reino da Poesia!
Herdou-as Manuel Bandeira,
que ante a minha choradeira,
me deu a menor que havia!
As eternas Naus do Sonho,
de "Oropa, França e Bahia"...
Ascenso Ferreira

“Le quarantacinque poesie di questa raccolta


che ho chiamato ‘Le ombre di Olinda’ non
riescono a mostrare tutta la ricchezza e la
complessità di questo poeta così speciale.
La poesia di Heleno è un mondo allo stesso
tempo uno e molteplice. E’ contemporaneamente
un cammino e il diario di quel cammino. E‘ una
ricerca spirituale che passa attraverso una
ricerca intellettuale. E’ strada e crocevia al
tempo stesso. La sua poesia è scritta tra luce e
oscurità, tra peso e grazia. Tra il molteplice
splendore della terra e lo scandalo del mondo.
Tra la bellezza che l’uomo ha creato e il dolore e
l’abuso che l’uomo ha pure creato.”
(Sophia de mello Breyner Andresen)

-I-
IL RACCONTO DI ARCANO ARCANJO
(musica: “canto de nana”, Dorival Caymmi- MPB 4)

30 Luglio 1995
Stanotte ti ho cercato nei tuoi versi, ma non c'eri.
Infatti già dalla prima volta che ti conobbi mi scrivesti una "poesia": dicesti di distruggerla -
come tutte le cose tue, che del resto adesso conservo-.
Parlasti fino a notte tarda ed io ascoltavo. Ma le stelle, il fresco della sera in montagna mi
rimasero negli occhi a lungo senza farmi dormire, e le tue parole generarono altre parole.

Notte.
Tutto è accaduto di notte.
E’ venuto ed ha parlato... di notte.
Non abbiamo capito subito quel che aveva da dirci......Poi, pian piano, lo abbiamo
sentito:

“Sciocchezze dice il canto sicuro e chiaro,


il canto dell’oscurità è luce e faro”.

Ma...stiamo ben attenti ! La notte non è ...”per modo di dire”!


E’ che stasera potremmo stare qui per tutto il tempo ad occhi chiusi.....
Per fare che?
1
Ad ascoltare..... la storia, il racconto di “Arcano Arcangelo”, così lui, Heleno
Oliveira, il poeta nostro amico, chiamava l’angelo necessario della sua poesia.

Il fatto curioso è che questo messaggero che attraverso Heleno abbiamo


conosciuto.....non ha avuto “messaggi” da darci!
Per questo, forse, non è un angelo “teologico”, ma si tratta di una creatura misteriosa
che ci ha portato.....l’ascolto .
Per questo vi chiediamo di avere pazienza e chiudere le imposte degli occhi, del
cuore, dell’immaginazione e lasciare scorrere - al loro posto - la parola.
Si tratta di creare tra noi uno spazio dove la parola si possa di nuovo ascoltare.
Questo si può fare. E, decisamente, cominciamo.

2
La storia di Arcano ascoltatore
come singhiozzo forte e repentino
appare lentamente e si snoda
dall’origine - nero chiarore.

A poco a poco la lucentezza del buio


e la poesia che desiderai un giorno
è esattamente uguale all’agonia

Viene da dentro.

In silenzio, levità,
vaghezza, punta di coltello.

Viene dal centro


dalla piazza senza tempo.

Per millenni nulla vidi perché urlavo.


Il canto vuole il deserto.

E antes que seja tarde faço assim.

Chego sem lembranças.


Ponho-me nalgum sítio cheio de turistas.
Rogo as minhas pragas, caminho sem parar.
E as cinco da tarde vou ao Terreiro do Paço. Olhar.

E prima che venga tardi, faccio così:


arrivo senza ricordi.
Mi metto in qualche posto pieno di turisti.
Faccio gli scongiuri, cammino senza sosta
E alle cinque di sera vado al Terreiro do Paço.
A guardare.

3
(Musica “Asa branca”, Caetano)

Heleno nasce in ottobre, un mese che nel nordeste del brasile è l’inizio dell’estate…
L’ala bianca del temporale porta la pioggia e il sole dei tropici la dissecca subito
dopo…
Per questo il sertao è la séca, la siccità.
Il sertao è latifondo.
E’ lotta per la vita.
E’ vendetta – è tragedia.
Il padre di Heleno, bianco è un jagunco, un uomo dei latifondisti, che con le sue
pistole spaventa i nemici, i morti di fame…e forse un po’ anche i suoi bambini –
quando torna a casa e smonta da cavallo.

La mamma – Laura – è una donna nera, dolcissima e colta….


Da sempre le donne nere hanno tolto i noccioli, le bucce, le ossa, le asperità della
lingua portoghese e le hanno sussurrate così ai bambini di cui erano madri o
nutrici….
Con la dolcezza mille volte più dolce del miele, quella dei frutti tropicali…

4
(Da: “ CLARINDO CLARINDO”).

Giovedì Santo il cavaliere smonta,


sembra la gente di Guimaraes Rosa.
Cappotto scuro nero come la barba,
revolver, il silenzio dell’arrivo.
Intorno a lui l’ansia le serve,
la tinozza l’uniforme ed il caffè,
ai piedi gli stivali ingrassati,
il gallo argentato degli sproni,
i figli guadagnano baci e monete,
cresce il silenzio fino alla sua partenza,
nulla si dice quando egli incita
Santa Chiara ai gridi e alle fanfare,
Fu l’eroe che mi scegliesti,
ed é con lui che mi riconcilio.

Non ho mai sentito le note del Cantico


nelle preghiere di Laura e Clarindo.
Mai ho sentito i sospiri del corpo
in quel bianco e nero amore.
Lenzuolo ricamato il letto ogni volta
nudo e vuoto di tante attesa.
Silenzio e triste canto porta dentro.
Amore bieco di malocchio.
Lavato e profumato risorgeva,
spogliava il corpo dall’appagamento
di conoscere le altre e compiva
il rituale della sua obbligazione.
Laura anima e corpo allargava
nel fiume calmo della sua comunione.
Calava la notte nelle albe
tra piacere e crocifissione?
Mai ho sentito le note del Cantico
il rispettoso bianco e nero amore.
Mai ho sentito i sospiri del corpo
la preghiera muta di Laura e 5larino.
Come sciogliere il canto dal suo canto
ed andare oltre i forti e le frontiere?
Le acque spensero allagarono
fuoco e sudore del bianco e nero amore?
Sciocchezze dice il triste canto sicuro e chiaro.
Il canto dell’oscurità é voce e faro.

5
Felice colpa – il giorno e 6larino
felice colpa – la notte e Laura
6larino – la ferita nel fianco
l’acqua sgorga – Laura
felice colpa – il cielo e le pallottole.
Felice colpa il catrame e la parola.
La voce – affogata!
Il canto – sghimbescio!
Felice colpa – signore e casa di schiavi
felice colpa – cammino e spavento.
Clarindo – spezzando la bellezza.
Laura – illuminata di nostalgia d’Africa.

I vostri corpi
intreccio di rovina e splendore,
schiariscono le linee storte
accelerano la resurrezione.

Laura –e- Clarindo.


Volto nero e bianco.
Diavoli e santi.
Parola forma e canto.

-III-
(“Olinda”)
Il bambino crebbe, avido di letture e di sentimenti dolci e forti…
E’ cristiano, come ogni brasiliano e per questo sente bruciare l’ingiustizia della
miseria, e vedendo le donne nere che si vendono sulle strade, sente risuonare le
parole di quell’ Unico che ha avuto la follia di dire rivolto alla “brava gente”:

“i pubblicani e le prostitute entreranno davanti a voi”

Poi, un giorno arrivano dall’Italia ragazzi e ragazze che vogliono vivere quel Vangelo
da sempre ascoltato….dicono che Dio non è solo giustizia ma Amore infinito…e il
piccolo ragazzo moreno che porta nell’intimo il “ bianco e nero amore” di Laura e
6larino come una ferita, nascosta e indicibile, quel piccolo ragazzo sperimentò
l’Amore di Dio e ripeteva sconcertato, tramortito:
“Dio mi ama immensamente, Dio mi ama immensamente”…

“Immensamente”, ripetevi scendendo a grandi passi per le vie della città barocca
spalancata sull’oceano come una palpebra stupefatta sull’azzurro…
E la città si chiamava OLINDA.
Oh! Bella! Bella come la Madre di un Amore bello…

6
E tu ce lo hai raccontato tante volte: era stata la Madre la porta il passaggio la
possibilità di una nuova manifestazione di Dio per i più abbandonati, i diseredati, per
coloro che vivono fuori dalle mura coloro che mai baciarono la Parola…
I tuoi occhi videro il cuore della Trinità, grande come l’universo, come l’oceano
E su quell’oceano non si chiusero mai più.

7
Non è di moda lodare
da molto tempo non si dice “signora mia”
si studia sempre più la differenza
forse non apprezzi vati o giullari.

Voglio soltanto narrare

Tu che fosti sempre terra, abisso, peccato


non solo madre

Tu che fosti l’unica custode della bellezza


esibita
annullata
calpestata

Che incarnasti il femminino,


intimo
offeso
divino

Che accogliesti il proscritto


l’infame
il magico
il non detto.

Solo tu potresti esser porta e lasciarmi passare.

(musica: Caymi - Gilson peranzetta)

8
(musica: Dulce pontes “O primeiro canto”)

- II – SOPHIA

Avevamo appena visto “lisbon story” di wim wenders… un tecnico del suono –tedesco

-, convocato dal suo amico regista sul palcoscenico di una città che avrebbe voluto

raccontare col ritmo e le immagini della città stessa, senza mediazioni, senza filosofie,

solo con lo spaziotempo – come fernando Pessoa per il quale

“il binomio di Newton è bello come la venere di Milo, solo che nessuno se ne accorge”

L’amico non si fa trovare e il rumorista naufraga felicissimamente notte e giorno nella

luce immensa nel vento di Lisbona…Il regista fuggitivo ha disseminato la città di segni,

di richiami di stracci di bellezza di epifanie che conducono il vagabondaggio secondo

una mappa misteriosa eppur precisa…

E’ quello che è accaduto anche a me e M. Heleno è morto da mesi, il nostro personale

lutto in fase di elaborazione poi una chiamata al telefono:

“Sono Sophia de Mello Breyner Andresen..Ho saputo della morte di Heleno e ne sono

sconvolta ..Voglio conoscerlo di più ..venite a trovarmi”.

Sophia è la più grande poetessa della lingua portoghese, era il mito poetico di Heleno,

su di lei scriveva una tesi di dottorato che era diventata una tela di Penelope, 400

pagine cartesiane sulla poesia, sul sacro, sul mito, sul cristianesimo. E adesso sophia

chiamava noi, amici di quel poeta brasiliano sconosciuto…che cosa aveva da dirci?

Travessa das Monicas – vicino al castelo de San Jorge.


Per Sophia de Mello Breyner Andresen
Avevo già saputo che la poesia è figlia della memoria, forse per questo rincorro adesso il profilo
della tua voce, dietro cortine di tempo. E appare la luce dell’Algarve, la stessa dell’isola della mia
infanzia.
Ne parlammo appena arrivati, alla fine d’un giorno torrido. La tua casa vicina al castello, Tutta la
notte cantò il fado e Lisbona ascoltava La tua voce d’Africa e d’Asia.

9
Di quando in quando sparivi dietro le tende, o inghiottita dalle profondità della Casa, lasciando che
la sigaretta si consumasse come un cero in una cattedrale.
“Dove vive Sophia?” -domando.
“Chiedilo al mare al sole alla Grecia. Non è mai uscita di lì”
- rispose Xavier-
Poema
La mia vita è il mare l’Aprile la strada
La mia interiorità è una attenzione rivolta al fuori
Il mio vivere ascolta
La frase
che sillabata di cosa in cosa
Imprime
nello spazio e nel tempo la sua scritta

Non attingo Dio in me ma lo cerco nel mondo


Sapendo che il reale lo mostrerà

Non ho spiegazioni
Guardo e confronto
E per metodo è nudo il mio pensiero

Il quadrato della finestra


La brillantezza verde di vespero
L’arco d’oro di agosto
L’arco della falce sul campo
La mano indecisa del mendicante

Sono la mia biografia


e si trasformano nel mio volto

Per questo non chiedetemi carte di identità


Giacché non ho nient’altro che il mondo
Non chiedetemi opinioni né interviste
Non domandatemi date né domicili

Mi accresco di tutto quanto vedo


E l’ora della mia morte affiora lentamente
Ogni giorno preparata
(geografia, 1990)

Poi per temperare il caldo del meriggio ci fu offerto vino bianco mentre sul
tavolo c’erano ciliegie in una coppa d’argento…pochi colori ma così intensi
e precisi da restare impressi per sempre nella nostra memoria, mentre
Sophia usciva ed entrava, spariva e riappariva inghiottita dalla casa
Ordinò la cena alla cuoca e si fermò con noi.
Parlammo della Grecia, dell’Elba della mia infanzia, dell’Alentejo e
dell’Algarve, del mediterraneo e dell’oceano, delle sue visite in India e del
poema su Shiva, la divinità indiana così vicina a Dioniso e del fatto che in
quei giorni non riusciva ad avere il silenzio necessario perché il poema
“avvenisse”…

1
Io ascoltavo e mi rendevo conto di trovarmi di fronte ad uno di quei poeti
dei quali – come Romano Guardini diceva di Holderlin – quando parlano
degli déi possiamo credergli letteralmente perché per loro Dioniso o Shiva
non sono metafore… Ricordavo un poema di Sophia che altro non è se non
il racconto stesso del destino dell’Occidente

Crepuscolo degli déi

Un sorriso di stupore sbocciò sulle isole dell’Egeo


E Omero fece fiorire il viola sopra il mare
E kouros avanzò esatto d’un passo
Il pallore di Atena scintillò nel giorno
Allora lo splendore degli déi vinse i mostri
Sui frontoni di tutti i templi
E i persiani indietreggiarono
verso il fondo del loro impero

Celebrammo la vittoria: la tenebra


Fu esposta e sacrificata in grandi cortili bianchi
Il grido roco del coro purificò la città
Come delfini la rapida gioia circondava le navi
Il nostro corpo era nudo
perché aveva incontrato l’esatta misura
Inventammo: le colonne del Sunion immanenti alla luce.
Il mondo era ogni giorno più nostro

Ma ecco che si spensero gli antichi déi


Sole interiore delle cose
Ecco che s’aprì il vuoto che ci separa dalle cose
Siamo allucinati per l’assenza bevuti dall’assenza
E ai messaggeri di Giuliano la Sibilla rispose:

“Andate a dire al Re che il bel palazzo giace per terra, infranto


Febo non ha più capanna né alloro profetico
Né fonte melodiosa
L’acqua che parla tacque”
(da Geografia, 1967)

Si fermata un attimo, aspirando con grazia e con forza un’ennesima boccata di fumo e ci ha
risposto che per lei il mondo ha un centro, e questo centro è la Grecia, il luogo cantato e
descritto in tutte le sue poesie perché è il luogo della nascita e del crepuscolo degli dèi..Per
questo , ha aggiunto, Heleno è stato per me un angelo, un messaggero che mi ha fatto capire
qualcosa della mia poesia che io stessa non avevo mai capito… Che nelle mia poesia c’è un
altro centro, più nascosto e misterioso, la dimensione del Dio Invisibile e soprasensibile che
alimenta e presenza degli déi e la gloria del visibile, del Reale…

“Lì ascolterai il silenzio. Lì si alzerà come un canto il tuo amore per le cose visibili che è la tua
preghiera di fronte al grande Dio invisibile.” (Cammino della mattina – Geografia 1967)

Nel silenzio che seguì, accompagnato dal suono delle posate, capìì di essere anche io oggetto di
una nuova comprensione, e che cosa heleno aveva trovato in Sophia: una visione dell’Essere

1
che a lui ricordava lo sguardo di Chiara Lubich sul reale, sintesi di Creato e Increato,
trascendenza e immanenza, una nuova Teantropia, una nuova ontologia,
“gli déì, quella luce interiore delle cose” non esauriscono lo sguardo sulle cose, ma al centro di
quel mondo che è la luce di Creta è stata innalzata e confitta la croce,
la pupilla che permette all’uomo di riappropriarsi di tutta la gloria del reale, di guardare al
mondo di fronte, facendo così della terra, di nuovo, il “regno dell’uomo”…
Ma ascoltiamo le parole di Sophia in questo poema straordinario:

1
Risorgeremo

Risorgeremo ancora sotto le mura di Cnosso


E a Delfi centro del mondo
Risorgeremo ancora nella dura luce di Creta.

Risorgeremo là dove le parole


sono il nome delle cose
e dove i contorni sono chiari e vivi
nell’acuta luce di Creta.

Risorgeremo là dove pietra stella e tempo


Sono il regno dell’uomo
Risorgeremo per guardare alla terra di fronte
Nella luce tersa di Creta.

Conviene dunque rendere chiaro il cuore dell’uomo


Ed ergere la nera esattezza della croce
Nella luce bianca di Creta

Nel 1997 Sophia de Mello curerà e pubblicherà il primo libro di Heleno in Europa ,

assieme a quello che sarà la sua ultima opera poetica pubblicata in vita…Nasce così

il caso Oliveira, uno sconosciuto professore brasiliano scoperto e pubblicato dal suo

mito poetico, la più grande poetessa di lingua portoghese…Il “Racconto di Arcano

Arcangelo” continua…

1
(Musica Novitango)

IV Luciana

(“Siamo partiti senza conoscere OROPA FRANÇA E BAHIA “)

“ Oropa, França e Bahia è oggi locuzione popolare in Brasile a indicare quelle

che i portoghesi chiamavano le quatro partidas, le quattro parti del mondo,

percorse da viaggiatori medievali avventurosi e privilegiati come l’Infante Don

Pedro. Nella ricreazione nordestina del trovatore modernista Ascensio Ferreira,

il popolare “Oropa”sta come sempre per Europa e “França” è l’eterna Francia

dei romanzi di cavalleria giunti in Brasile fin dal primo Cinquecento nel

bagaglio dei primi coloni. Quanto ai tre “regni”, essi erano la dote che una

principessa di favola portava nelle sue nozze con un negro pernambucano e di

cui il recifense Heleno Oliveira lamentava di essere partito per l’Europa senza

conoscere i significati profondi. “

Il viaggio post mortem di Heleno nelle “quattro parti del mondo”continua,

ma stavolta non è un viaggio nei luoghi ma nelle persone…ed approda a

1
Luciana Stegagno Picchio, della quale abbiamo sentito le parole che

introducono l’omonima raccolta di poesie , pubblicata stavolta in Italia nel

1999.

Perché Luciana ha compreso in questo modo il magistero errante di Heleno,

che cosa ha capito questa raffinatissima (e bellissima) italiana accademica del

Brasile del nostro poeta nordestino? Ho conosciuto Luciana a motivo della

poesia di heleno e siamo diventati amici, ho iniziato a frequentare la sua casa

di Roma e nei racconti di serate e cene amichevoli passavano Ungaretti, Chico

Buarque e Vinicius de Moraes, Murilo Mendes, Italo Calvino, Claude Levi

Strauss…

Uscivo da quei ricordi con l’impressione di aver visitato non una sola persona

ma una città intera, di aver aperto quel “baule pieno di gente”, a cui

Fernando Pessoa paragonava la propria arte. ..

“Sono tornata su questa spiaggia in riva al Pacifico inseguendo ricordi che non

mi appartengono. Tutto è come allora. La scogliera bianca a picco sul mare,

ocrata negli strati obliqui, calcinata di bianco sotto la macchia avara dei ligustri.

Di fronte, appena accennate nel grigiazzurro dell’Oceano, le isole del Canale:

San Miguel, Santa Rosa, Santa Cruz, Anacapa, tartarughe giganti, cordigliera

affiorante di un continente sommerso. La California di Santa Barbara, la

California di Jorge de sena. Un paradiso terrestre con la serena immunità del

primo locus amoenus, dove l’uomo era nudo e innocente: ma di una innocenza

1
chiusa, levigata, indecifrabile. Stride nel terso un volo di gabbiani mentre

ragazzi in tuta di gomma nera assecondano in silenzio, intenti, il ritmo

ricorrente dell’onda nel gioco nuovo del surf (e surf vuol dire spuma e risacca, e

frangere i marosi, e scivolare sull’onda).

Ricordi che non mi appartengono ma che cerco risvegliare nel mio presente.

Retroterra nelle spiagge, osservo l’ampia valle verde dove accanto alla ginestra

e alla lavanda del deserto fioriscono l’agave bianca e l’acacia dolce, il ginepro e

il sicomoro. Ma qui a Santa Barbara, dove i grandi jaracandà spalancano

improvvisi ombrelli violetti nel cielo senza nuvole, giunge solo il salmastro

della Riviera. Sempre l’America ad imitare l’Europa.

Chi è l’Altro? Come si assimila o si differenzia dall’uno che io sono?

Tanto diversa quest’angustia cognitiva, questa fame dell’Altro, dal nazionale

“ponte di tedio” che unisce l’io al suo altro:

Io non sono né io né l’Altro

Sono qualcosa d’intermedio

Pilastro del ponte di tedio

Che va da me all’altro

Ricercatrice appassionata e coltissima di questa “fame dell’altro” nei poeti e

nei narratori portoghesi e brasiliani di tutti i tempi, Luciana incontrò in

Heleno una dimensione dell’alterità inedita, nuova che l’affascinò e la spinse

1
a inserire Heleno nella sua antologia della letteratura luso brasiliana del 1999,

con queste parole:

“Si chiude così questo nostro viaggio nella poesia brasiliana (…) Lo chiudiamo emblematicamente
nel nome di Heleno Oliveira. E’ un poeta che finora non era entrato nel canone di nessuna
letteratura: non in quello della letteratura brasiliana, cui apparterrebbe per nascita, né della
letteratura italiana, cui dovrebbe appartenere per i lunghi anni che vi ha passato e per la sua natura
ormai di poeta bilingue, e nemmeno in quello della letteratura portoghese, nonostante il primo
riconoscimento per la sua poesia gli fosse venuto dal Portogallo. Il grido di Heleno “Ah, se potessi
rinascere ancora più negro/più negro della negra negrissima Africa” suggella questo nostro
itinerario accidentato sì ma affascinante, in una poesia diversa come quella del Brasile.”.

Ma è soprattutto il libro in cui il poeta negro Heleno, puer-senex, con nelle braccia un samba

e un maracatu per le vie di Firenze, ritrova la propria radice. La ritrova con la sua anima

senzala , dimora dei negri nelle fazendas dei bianchi, e a Pienza, sillabando i nomi delle

strade, via del Bacio, dell’Amore, via Oscura, tanto simili a quelli del suo paese,

“all’improvviso come nelle modinhas canta nomi luso-brasiliani”. E sarà allora che,

risvegliandosi a Firenze, confesserà:

“il mio lato negro si è nascosto/ come le negre che cucinando diedero inizio al Brasile”.

L’universo si popolerà allora di scene anteriori alle navi della Conquista:

“Quando vagavi regina/nuda e bella com’eri prima delle navi?”

“Non ho assistito allo sbarco… Il negro la prima volta al sole della cupidigia/denti seni

braccia gambe forti/corpo del capitale… Non ho visto ma dovrò vegliare”.

E quando Firenze ospita una mostra di arte negra, esploderà la meraviglia offesa:

1
“Ecco che Firenze mostra e veglia/volti regine re nigeriani./Senza catene brillano nelle

statue in indicibile soffio negro arcano”.

È il segno che il ritorno è compiuto:

“Ah se potessi camminare per savane/penetrare foreste scalare montagne/sentire il

vento dei deserti/ e rinascere ancora più negro/negro del negro della negra

negrissima /Africa/nella notte della tua storia/ a dipingere il mondo dal fondo delle

navi/ quando il mare sa di grida/il cielo si svuota di dei /Firenze fiorisce in fiorini/il

Portogallo e la Spagna in festa/ che solo la kenosis può spegnere”.

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