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RIASSUNTO
David Meghnagi- Il Padre e la legge- Freud e l’Ebraismo
Freud rivendicherà prima di tutto l’impronta positivista del suo lavoro e l’universalità
del sapere scientifico che né deve essere “ebraico” né “ariano”.
Anche le riflessioni sull’elaborazione del lutto, possono essere lette come un monito
nei confronti di quegli Ebrei che in seguito all’emancipazione hanno rifiutato la loro
origine. Infatti F. scrive che il lutto è una reazione alla perdita di una persona amata
o di un’astrazione che ne ha preso il posto, es. la patria, la libertà, un ideale.
Venendo a mancare l’oggetto amato gli uomini si trovano nella sgradevole situazione
di dover ritratte tutta la loro libido e scegliere un altro oggetto di desiderio.
Quest’avversione al cambio di oggetto può trasformarsi un estraniamento con
pertinace adesione all’oggetto illusorio, attraverso psicosi allucinatorie. Al contrario
poteva succedere che il soggetto rifiutasse totalmente quello che fu il suo oggetto di
desiderio. l’es. è quello di coloro che facevano sfoggio di un’appartenenza che non
gli era riconosciuta, idealizzando una cultura che lo rifiutava, mostrandosi “più
tedesco dei tedeschi”, per Freud si trattava di uomini resi incapaci da una tremenda
paura e dall’angoscia di guardare realisticamente il mondo, di riconoscere la più
terribile delle perdite e accettare per ciò stesso il lutto e la depressione che ne
dovevano conseguire.
L’intera vicenda della psicoanalisi può apparire come una grande battuta di spirito
ebraica, la più riuscita di un ebreo verso la cultura del tempo. Le accuse di cui erano
stati per secoli oggetto gli ebrei, erano smascherate e nel contempo validata nel loro
carattere delirante: la società odia nell’ebreo ciò che rifiuta di sé; al fondo l’odio
contro l’ebreo è “odio di sé” proiettata sull’Altro. Come il figlio che odia il padre, ma
nel suo odio per il padre c’è il disprezzo di se stessi, il senso di colpa per la propria
natura. Identificato col demoniaco e respinto dalla cultura, Freud concede una
rivincita all’ebreo attraverso la teoria dell’inconscio.
Un’importante riflessione epistemologica rispetto alla psicoanalisi è quella di una
considerazione di tale sapere come contenente tracce dei processi motivazionali che
ne hanno orientato l’autore. Tali tracce vanno intese con costruzioni per un nuovo
sapere con una sua propria autonomia e valenza universale, un sapere in cui
l’osservatore è parte del sistema che osserva, lo influenza e ne è influenzato.
Freud era ossessionato dal clima in cui veniva considerata la psicoanalisi, quale
prodotto di una setta Ebraica e per questo manchevole di scientificità. L’arrivo di
Jung nel movimento sarà considerato da F. come una comparsa salvifica, ma
proprio questa speranza inasprirà i conflitti e come una profezia che si autoavvera
renderà ancora più complicate le considerazioni scientifiche sulla psicoanalisi.
Quando Jung compare all’orizzonte, il cenacolo composto da Freud è quasi
esclusivamente composto da Ebrei e le sue opere pubblicate, a partire da
“L’interpretazione dei sogni” non trovano un pubblico consistente.
Jung invece arriva come assistente medico nel dicembre 1900, bisognoso di una
figura idealizzata a cui riferirsi per uscire dalla gabbia in cui si trovava imprigionato
nei rapporto con Bleuler che estendeva le direttive di lavoro in ogni ambito della vita
dei suoi collaboratori.
Freud è inizialmente accecato dalla comparsa di questo nuovo brillante adepto, di
religione cristiana e che finalmente potrà portare in auge la psicoanalisi
scardinandola dai legami ebraici. Tuttavia non mette a fuoco il significato reale del
suo incontro con Jung, i limiti della sua adesione, la cornice entro cui rendere
possibile per il futuro una collaborazione proficua e duratura. Freud avrebbe dovuto
accettare una collaborazione anche parziale ma seria e convinta, rispetto al “o tutto
o niente” in cui tanto sperava.
Freud aveva messo in guardia contro i rischi di fare della psicoanalisi un sostituto
delle vecchie visioni del mondo, ma il modo in cui stava strutturando il suo
movimento avrebbe portato a tali esiti: la logica della ricerca scientifica finiva per
mescolarsi con logiche di fedeltà tipiche di un movimento etico-politico o filosofico-
religioso.
In questa poco sana visione Jung sarebbe dovuto essere l’erede, il Giosuè che
avrebbe dovuto traghettare la psicoanalisi nella terra promessa della psichiatria.
Questo senza considerare i desideri dello stesso Jung.
Se si leggono le lettere tra i due, col senno di poi si intravede già come sarebbe
andata a finire la storia: visioni profondamente diverse della vita e del mondo,
opposte credenze filosofiche e scientifiche, contrapposte volontà di potenza, bisogno
di un’affermazione radicale e indiscussa di leadership. Per molto meno Freud aveva
rotto con altri colleghi come Breuer e Fliess.
Il legame tra Freud e Jung era carico di affetto, per Jung si trattava di una
riattivazione esplosiva di sentimenti arcaici, di attaccamento e gelosia, fedeltà e
competizione propri di una problematica paterna irrisolta ( come chiarisce a se e
l’amico in una lettera dell’ottobre 1907). Jung considerava Freud come un padre-
patrigno idealizzato ma di cui diffidare. Per Freud invece Jung poteva essere un
figlio salvifico apparso all’improvviso, e allo stesso tempo un figliastro la cui
estraneità culturale e psicologica era percepita nel profondo.
Freud sperava che l’entrata in scena di Jung avrebbe evitano il pericolo che la
psicoanalisi diventasse una faccenda nazionale ebraica. Fece di Jung il primo
presidente dell’Associazione psicanalitica e ciò che aveva considerato un’intelligente
scelta politica si era rivelata la peggiore delle soluzioni, perché gettava nel vortice
del rapporto intersocietario l’aspetto più unheimlich dei rapporti umani e personali.
Agire di tattica contro il pregiudizio era già una condanna in partenza.
Jung, erede scelto per vincere gli ostacoli che la cultura frapponeva al movimento,
scelto come in partibus infidelium ( infedele che trasmette la verità), si ridurrà ad
affermare che la psicologia freudiana era una psicologia ebraica, adattabile e
compresa al più dagli ebrei. Di contro, Jung si sarebbe fatto propugnatore di una
psicologia cristiana. Il dissenso in partenza scientifico e nei confronti del quale
poteva tuttavia mantenersi una collaborazione, si era fatto religioso o pseudo tale e
produsse una sofferente e radicale opposizione tra i due.
Freud scrivendo a Ferenczi era consapevole della gravità della situazione: mettere in
discussione la scientificità, in nome di fantasiose speculazioni e resistenze di ordine
religioso e culturale significava che qualcosa proprio non funzionava nel progetto
scientifico che la psicoanalisi si era data.
nel 1897 si teneva a Basilea il primo congresso del movimento sionista, con
l’obiettivo di ricreare dopo due millenni le condizioni di una vita nazionale
indipendente. Nell’impero Zarista venivano gettate le basi organizzative del Bund,
L’organizzazione ebraica dei lavoratori, con un programma di ispirazione socialista
imperniato sulla rivendicazione del diritto all’autonomia culturale e nazionale.
Era l’anno il cui ebbero inizio importanti rivendicazioni da parte degli ebrei, che
volevano la loro autonomia, dignità e lingua.
Proprio in questo anno Freud scopre il complesso di Edipo e aderisce al B’ nai B’ rith
( costituistosi come organizzazione di mutuo soccorso degli stati uniti nel 1843 col
nome di Bundes Brunder, il movimento B’nai B’rith si estenderà progressivamente
nei grandi centri europei, a Berlino la prima sezione nasce nel 1882).
Sono gli anni dell’affare Dreyfus e delle sempre più evidenti persecuzioni nei
confronti degli Ebrei, in moltissimi emigrano, soprattutto dai territori dello Zar,
passano per Vienna, Berlino, Parigi… e si imbarcano per l’america. Era una fuga
senza fine, che sarebbe continuata se non fossero intervenute le leggi restrittive
americane.
Freud si avvicina al B’nai B’rith nel 1895, grazie al collega medico ginecologo
Edmure Kohn. Il movimento vede un picco di crescita proprio a causa delle
migrazioni e di fronte al dilagare delle passioni nazionaliste e delle pulsioni
xenofobe, che laceravano dall’interno il tessuto sociale e che non potevano più
essere contenute dalla politica ma si estendevano con la forza della volontà
popolare.
In questi anni e per tutta la sua adesione al movimento Freud trova nel B’nai B’rith
uno spazio protetto in cui poter perfezionare le proprie idee e un bacino sempre
pronto di studiosi a cui proporle. proprio nelle sedi nel movimento egli terrà
moltissime conferenze di stampo più medico psicoanalitico, altre volte più politico. tra
la fine dell’800 e i primi anni del 900 egli tenne conferenze su argomenti fondanti
della psicoanalisi come il sogno, i lapsus, la dimenticanza, la vita psichica del
bambino, la superstizione.
Freud era sempre festeggiato nelle associazioni ebraiche e questo lo aiutava a lenire
l’amarezza per il silenzio della cultura ufficiale di Vienna.
Freud trovava sempre difficile esporre le proprio teorie e calibrare i termini e le
modalità in base alla tipologia di pubblico. La sua sfumata strategia, autoironica e
paradossale, fatta di cose dette e di cose volutamente lasciate sullo sfondo, proprie
di una comunicazione a più livelli, era l’unico modo per esporsi con un pubblico con
cui si potevano dire certe cose e altri con cui si era più circospetti, in un ambiente in
cui ci si sentiva a casa e un altro dove si era al di fuori. Vi era un Freud una sorta di
Super-Io nel Super-io che spiega l’ossessione con cui Freud sottolineava la sua
distanza dall’Ebraismo e contemporaneamente mai lo rinnegava e nel corso della
sua vita a ben vedere, mai se ne distacco fino in fondo.
Per es. quando lo psichiatra padovano Morselli sosteneva che la psicoanalisi fosse
un prodotto diretto dello spirito ebraico, Freud non ne fu sicuro ma ribadì che se così
fosse non ne avrebbe provato vergogna.
In altre sedi egli elogiava l’ebraismo, inoltre sosteneva economicamente
organizzazioni come il movimento di Hechalutz, nato nel 1881 per far fronte ai
pogrom zaristi. Freud voleva essere periodicamente informato sullo stato del
movimento e proprio i versamenti a questo profusi vennero usati per incastrarlo da
parte dei nazisti. Quando trovarono le ricevute unitariamente alla tessera di
iscrizione all’Associazione psicoanalitica la misero fuori legge e ne chiusero la
biblioteca. Aveva quasi 80 anni e ancora non aveva smesso di ribadire che si era
sempre mantenuto fedele al suo popolo e non aveva mai preteso di essere diverso.
dal 1910 orienta i suoi studi sull’analisi delle masse e non a caso proprio in questi
anni egli prova a definire i principi di una battaglia politica, in cui gli Ebrei avrebbero
dovuto cercare una nuova terra promessa, un nuovo contesto separato dalla storia
passata. Tuttavia si rendeva conto che tali idee non avrebbero avuto presa sulle
masse che cercavano qualcosa di “altisonante, di entusiasmante”.
A conferma del profondo legame che attraverso la vicenda della psicoanalisi nel suo
duplice significato di movimento di emancipazione e progetto scientifico universale,
Anna Freud avrebbe espresso nelle parole conclusive del messaggio per
l’inaugurazione del S.Freud Center delle Hebew university di Gerusalemme che la
psicoanalisi “è stata criticata per i suoi metodi imprecisi, le sue scoperte non
scientifiche, persino per essere una scienza ebraica. Comunque si possano
giudicare gli altri sprezzanti commenti è, credo, la connotazione menzionata per
ultima ,che, nelle attuali circostanze, può assumere il valore di un titolo d’onore.”
Tutta l’opera è in ultima istanza un vanto della propria origine ebraica e questo
vanto lo possiamo leggere nelle parole scambiate da Freud con l’allievo
Pfister al quale dice che solo un uomo contemporaneamente ebreo e ateo
avrebbe potuto fondare la psicoanalisi: ebreo perché nell’Ebraismo più che in
ogni altra civiltà religiosa, era stata psicologicamente approfondita la tragedia
delle origini; ateo perché solo la rottura della scienza dal mondo religioso
avrebbe reso possibile il disvelamento di una disciplina come la psicoanalisi.
L’idea che l’essere umano possa essere molte più cose, avere più fedeltà,
parlare più lingue e sentirle tutte proprie si è fatta più concreta, tuttavia fu una
rivoluzione ai tempi di Freud e fu una rivoluzione religiosa e culturale
tipicamente ebraica, promossa da questo popolo unico nel suo genere. Allora
le ansie di Freud non ci parlano sono delle sue scoperte mediche ma delle
paure nei confronti di un popolo che incarna la modernità, la conferma dell’
avvenuta contaminazione dei valori nazionalistici, xenofobi ecc…
L’errore più grave nel leggere Freud è di ridurre la sua riflessione al romanzo
familiare, alla storia singolare del complesso edipico. Le sue riflessioni sono
invece parte di un dialogo molto più ampio, in cui si inseriscono molti altri
autori es. Kafka, Schonberg Buber, che ci racconta le generazione di ebrei
che ha vissuto l’emancipazione e la catastrofe della guerra.
il complesso Edipico non ci racconta di un dilemma solo personale, ma di un
inconscio, un inconscio collettivo e storico, un disvelamento di verità che non
Freud decide di trattare il tema della morte perché sostiene che la Grande
Guerra abbia influenzato il modo di considerla.
Egli fa riferimento in particolar modo agli Ebrei, sostenendo che si comportano
come se volessero eliminare la morte dalla vita, uccidere la morte stessa.
L’ebrei è incredulo di fronte alla morte e ignora la sua potenza finchè può,
tuttavia quando colpisce una persona cara non si può ignorarla. In questi casi
l’ebreo seppelisce con il morto le sue speranze, ambizioni, gioie; nulla è di
consolazione e sostituzione. Questo approccio alla morte impoverisce la vita e
le rende meno interessante. Per questo Freud giustifica l’immobilità dell’ebreo
medio la sua tendenza a non agire o fare cose rischiose. Eppure “la vita perde
di contenuto e interesse quando viene esclusa la posta massima, appunto la
vita stessa, nelle sue lotte”.
Secondo Freud il conflitto emotivo di fronte alla morte di una persona amata e
ciò nonostante anche estranea e odiata ha dato corso all’umana ricerca. Da
questo conflitto emotivo è nata la psicologia.
Anche la prima filosofia ha in questo dilemma un’origine: immaginare
esistenze anteriori, la trasmigrazione delle anime e le reincarnazioni sono
tutte teorie che hanno lo scopo di togliere alla morte il suo significato di
annullamento della vita. Di fronte al cadavere della persona amata non sono
nate soltanto la dottrina dell’anima e la credenza nell’immortalità, ma anche il
senso di colpa, la paura della morte e i primi precetti etici. Il senso di colpa
proveniva dall’ambivalente sentimento nei confronti del defunto, la paura della
morte dalla identificazione con lui.
Il più antico e ancora oggi più importante precetto etico che sorse da queste
ambivalenze suonava “Non ammazzare”.Esso nacque a proposito dell’ amato,
e fu poi esteso progressivamente ai non amati, agli estranei e infine anche al
nemico.
Il fatto curioso è che l’uomo selvaggio era più sensibile dell’uomo moderno.
Per es. Terminata la guerra mondiale i soldati correranno ciascuno alla sua
casa, alla sua donna e figli, un nulla turbati o trattenuti dal pensiero dei nemici
da loro uccisi in battaglia. Invece il vincitore selvaggio che ritorna a casa dal
sentiero di guerra non può penetrare nel suo villaggio o toccare la sua donna
prima di aver espiato con penitenze, spesso lunghe e fastidiose, le uccisioni
compiute in guerra. Si potrebbe ribattere “il selvaggio lo fa perché è ancora
superstizioso, teme la vendetta degli spirito maligni”. Ma gli spiriti maligni altri
non sono che l’espressione della sua cattiva coscienza per il proprio delitto di
sangue.
Secondo Freud oggi il conflitto tra morte dell’amato e dell’ostile non provoca
più, come una volta, la filosofia, la psicologia e l’etica bensì le nevrosi.
riassumendo: il nostro inconscio possiede la stessa incapacità di