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D. Meghnagi- Il Padre e la legge- Freud e l’ Ebraismo

Psicologia dinamica (Università degli Studi di Bergamo)

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RIASSUNTO
David Meghnagi- Il Padre e la legge- Freud e l’Ebraismo

David Meghnagi ha sviluppato nell’arco di più di un decennio questo libro su Freud e


l’ebraismo configurandosi come un più ampio studio sulla problematica ebraica
dell’emancipazione, dove la ricerca clinica si interseca con la riflessione
antropologica e storica.
L’ Emancipazione degli ebrei fu un processo che vide l’espansione dei loro diritti nei
vari stati dell’Europa e America, compreso il riconoscimento dei diritti di cittadini
paritari e l'assegnazione formale di cittadinanza.

1. La catena delle tradizioni

Il movimento psicanalitico nasce come un’associazione ebraica, i cui seguaci di


Freud, una ventina, sono tutti ebrei. I primi aderenti non ebrei sono Jung,
Binswanger (1907) e Urbanitsch e Jones (1908).Anche i primi pazienti furono
soprattutto donne ebree.
Il problema delle inferenze ebraiche in Freud è stato studiato in rapporto alla
problematica dell’emancipazione e della secolarizzazione. Sotto il profilo socio-
psicologico è stato analizzato in termini di marginalità e mentalità.
Freud visse con intensità la propria appartenenza ebraica e era sinceramente
pervaso dal desiderio di rifondare su nuove basi il significato dell’appartenenza
all’ebraismo. Tuttavia spesso questo legame è stato rifiutato e male interpretato,
come nel caso di Jones che scrisse un’inedita biografia di Freud; Jones ridusse la
componente ebraica di Freud a un elemento esterno alle sue opere, che può
interessata il biografico ma non considerabile come elemento costitutivo ed
essenziale del suo pensiero.
Per es. quando racconta dei rapporti di Freud con Börne e Heine egli non coglie
come i due autori siano per lo psicanalista degli anelli imprescindibili di una lunga
catena di ascendenze ideali che risalgono a Spinoza, di appartenenze culturali più
ampie che conducono al cuore della problematica ebraica dell’emancipazione.
Heine e Börne vissero a pieno le contraddizioni dell’emancipazione ebraica, che
permetteva di essere liberi solo attraverso un certo diniego della propria cultura.
Sulla scia dei due e Spinoza l’identificazione Ebraica di Freud si configurerà come
un laicismo militante che non gli faceva perdere occasione per affermare
pubblicamente il suo distacco dalla religione dei padri, e per rivendicare il suo
ateismo; ma non per questo bisogna ignorare il problema dei legami che intratteneva
con le sue origini, o peggio per negare una personale appartenenza che, a dispetto
del rifiuto religioso, rivendicava con forza.

L’introspezione è un processo di tradizione ebraica, tipico della lettura delle sacre


scritture, è evidente quali siano gli spunti di riflessione scientifica di Freud e perché
al suo pensiero si accostassero più facilmente pensatori Ebrei. Nonostante ciò,

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Freud rivendicherà prima di tutto l’impronta positivista del suo lavoro e l’universalità
del sapere scientifico che né deve essere “ebraico” né “ariano”.
Anche le riflessioni sull’elaborazione del lutto, possono essere lette come un monito
nei confronti di quegli Ebrei che in seguito all’emancipazione hanno rifiutato la loro
origine. Infatti F. scrive che il lutto è una reazione alla perdita di una persona amata
o di un’astrazione che ne ha preso il posto, es. la patria, la libertà, un ideale.
Venendo a mancare l’oggetto amato gli uomini si trovano nella sgradevole situazione
di dover ritratte tutta la loro libido e scegliere un altro oggetto di desiderio.
Quest’avversione al cambio di oggetto può trasformarsi un estraniamento con
pertinace adesione all’oggetto illusorio, attraverso psicosi allucinatorie. Al contrario
poteva succedere che il soggetto rifiutasse totalmente quello che fu il suo oggetto di
desiderio. l’es. è quello di coloro che facevano sfoggio di un’appartenenza che non
gli era riconosciuta, idealizzando una cultura che lo rifiutava, mostrandosi “più
tedesco dei tedeschi”, per Freud si trattava di uomini resi incapaci da una tremenda
paura e dall’angoscia di guardare realisticamente il mondo, di riconoscere la più
terribile delle perdite e accettare per ciò stesso il lutto e la depressione che ne
dovevano conseguire.

Riflettendo ancora rispetto alle tecniche, le “libere associazioni” utilizzate da Freud


nei suoi colloqui clinici, sono tipiche della tecnica del midrash Haggadah nella
comprensione delle sacre scritture: è sufficiente un indizio, una vicinanza di suoni fra
parole diverse, l’esistenza di un nuovo senso prodotto dall’accostamento di parole
distinte, o dalla loro suddivisione, o il loro valore numerico, per scoprire un nuovo
senso che poteva risultare occultato. Il Pardes (paradiso) poteva essere raggiunto
solo con la scoperta del Sod, il significato ultimo e nascosto delle scritture.
In questo modo qualsiasi espressione del paziente, anche la più bizzarra era da
Freud considerata un testo sacro, del quale comprendere il significato vero.
Un autore Ebrei che ci racconta delle ansie della generazione Ebrea è Kafka che ci
racconta della generazione cresciuta fuori dai ghetti, alla quale però le speranze
evocate dai diritti di emancipazione rivelavano estreme ambiguità. La sua era una
generazione che scopriva quanto spesse fossero le mura che per secoli avevano
isolato gli ebrei, e quanto dura a morire fosse l’ostilità nei loro confronti.
Kafka considerava la psicoanalisi il commento scritto e dolorante di una generazione
“che con le zampe posteriori aderiva ancora al giudaismo del padre”, ma “ con le
quelle anteriori non trovava ancora il terreno!. Il padre di cui si nutriva la teoria non
era una padre astratto (“innocente”), nemmeno un padre storico e reale, ma
l’ebraismo com’era a lui stesso pervenuto attraverso il padre.
il complesso del padre, di cui la psicoanalisi di faceva veicolo universalizzandolo, era
per Kafka il problema del rapporto del figlio ebreo emancipato col padre ebreo, di
un’appartenenza talora rifiutata, mai realmente superata, e dell’accusa di doppia
appartenenza, di cui gli ebrei usciti dai ghetti si erano visti comunque fatti oggetto,
anche quando credevano di aver rotto definitivamente i ponti con le loro origini.

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In occasione del suo settantesimo compleanno Freud definì la propria identità


ebraica con la parola Heimlschkeit ( in tedesco famigliarità, intimità, evoca il grembo
-Heim e i ebraico la vita e il migliore degli auguri) . Negli strati più riposti della psiche
esso non può che incontrare il suo opposto: Unheimliche ( il perturbante, inquietante,
lugubre, non confortevole). Durante l’antisemitismo l’ebreo è la rappresentazione
vivente dell’Unhemiliche, in quanto appare inquietante e sfuggente tanto più quando
è in apparenza divenuto uguale agli altri suoi concittadini. Da qui l’ossessione di
quegli anni per l’ebreo che si camuffa, cambia nome e religione. Più l’Ebreo cercava
di farsi accettare, più veniva respinto.
Dal punto di vista delle vittime ebree Das Unheimliche riproponeva il recupero di una
origine che poteva essere stata rifiutata, e che illusoriamente considerata superata,
ricompariva imposta dall’esterno.

L’intera vicenda della psicoanalisi può apparire come una grande battuta di spirito
ebraica, la più riuscita di un ebreo verso la cultura del tempo. Le accuse di cui erano
stati per secoli oggetto gli ebrei, erano smascherate e nel contempo validata nel loro
carattere delirante: la società odia nell’ebreo ciò che rifiuta di sé; al fondo l’odio
contro l’ebreo è “odio di sé” proiettata sull’Altro. Come il figlio che odia il padre, ma
nel suo odio per il padre c’è il disprezzo di se stessi, il senso di colpa per la propria
natura. Identificato col demoniaco e respinto dalla cultura, Freud concede una
rivincita all’ebreo attraverso la teoria dell’inconscio.
Un’importante riflessione epistemologica rispetto alla psicoanalisi è quella di una
considerazione di tale sapere come contenente tracce dei processi motivazionali che
ne hanno orientato l’autore. Tali tracce vanno intese con costruzioni per un nuovo
sapere con una sua propria autonomia e valenza universale, un sapere in cui
l’osservatore è parte del sistema che osserva, lo influenza e ne è influenzato.

2. Freud, Jung e la faccenda nazionale Ebraica

Freud era ossessionato dal clima in cui veniva considerata la psicoanalisi, quale
prodotto di una setta Ebraica e per questo manchevole di scientificità. L’arrivo di
Jung nel movimento sarà considerato da F. come una comparsa salvifica, ma
proprio questa speranza inasprirà i conflitti e come una profezia che si autoavvera
renderà ancora più complicate le considerazioni scientifiche sulla psicoanalisi.
Quando Jung compare all’orizzonte, il cenacolo composto da Freud è quasi
esclusivamente composto da Ebrei e le sue opere pubblicate, a partire da
“L’interpretazione dei sogni” non trovano un pubblico consistente.
Jung invece arriva come assistente medico nel dicembre 1900, bisognoso di una
figura idealizzata a cui riferirsi per uscire dalla gabbia in cui si trovava imprigionato
nei rapporto con Bleuler che estendeva le direttive di lavoro in ogni ambito della vita
dei suoi collaboratori.
Freud è inizialmente accecato dalla comparsa di questo nuovo brillante adepto, di
religione cristiana e che finalmente potrà portare in auge la psicoanalisi
scardinandola dai legami ebraici. Tuttavia non mette a fuoco il significato reale del

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suo incontro con Jung, i limiti della sua adesione, la cornice entro cui rendere
possibile per il futuro una collaborazione proficua e duratura. Freud avrebbe dovuto
accettare una collaborazione anche parziale ma seria e convinta, rispetto al “o tutto
o niente” in cui tanto sperava.
Freud aveva messo in guardia contro i rischi di fare della psicoanalisi un sostituto
delle vecchie visioni del mondo, ma il modo in cui stava strutturando il suo
movimento avrebbe portato a tali esiti: la logica della ricerca scientifica finiva per
mescolarsi con logiche di fedeltà tipiche di un movimento etico-politico o filosofico-
religioso.
In questa poco sana visione Jung sarebbe dovuto essere l’erede, il Giosuè che
avrebbe dovuto traghettare la psicoanalisi nella terra promessa della psichiatria.
Questo senza considerare i desideri dello stesso Jung.
Se si leggono le lettere tra i due, col senno di poi si intravede già come sarebbe
andata a finire la storia: visioni profondamente diverse della vita e del mondo,
opposte credenze filosofiche e scientifiche, contrapposte volontà di potenza, bisogno
di un’affermazione radicale e indiscussa di leadership. Per molto meno Freud aveva
rotto con altri colleghi come Breuer e Fliess.
Il legame tra Freud e Jung era carico di affetto, per Jung si trattava di una
riattivazione esplosiva di sentimenti arcaici, di attaccamento e gelosia, fedeltà e
competizione propri di una problematica paterna irrisolta ( come chiarisce a se e
l’amico in una lettera dell’ottobre 1907). Jung considerava Freud come un padre-
patrigno idealizzato ma di cui diffidare. Per Freud invece Jung poteva essere un
figlio salvifico apparso all’improvviso, e allo stesso tempo un figliastro la cui
estraneità culturale e psicologica era percepita nel profondo.
Freud sperava che l’entrata in scena di Jung avrebbe evitano il pericolo che la
psicoanalisi diventasse una faccenda nazionale ebraica. Fece di Jung il primo
presidente dell’Associazione psicanalitica e ciò che aveva considerato un’intelligente
scelta politica si era rivelata la peggiore delle soluzioni, perché gettava nel vortice
del rapporto intersocietario l’aspetto più unheimlich dei rapporti umani e personali.
Agire di tattica contro il pregiudizio era già una condanna in partenza.
Jung, erede scelto per vincere gli ostacoli che la cultura frapponeva al movimento,
scelto come in partibus infidelium ( infedele che trasmette la verità), si ridurrà ad
affermare che la psicologia freudiana era una psicologia ebraica, adattabile e
compresa al più dagli ebrei. Di contro, Jung si sarebbe fatto propugnatore di una
psicologia cristiana. Il dissenso in partenza scientifico e nei confronti del quale
poteva tuttavia mantenersi una collaborazione, si era fatto religioso o pseudo tale e
produsse una sofferente e radicale opposizione tra i due.
Freud scrivendo a Ferenczi era consapevole della gravità della situazione: mettere in
discussione la scientificità, in nome di fantasiose speculazioni e resistenze di ordine
religioso e culturale significava che qualcosa proprio non funzionava nel progetto
scientifico che la psicoanalisi si era data.

3. L’impegno nel movimento Ebraico di Emancipazione

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nel 1897 si teneva a Basilea il primo congresso del movimento sionista, con
l’obiettivo di ricreare dopo due millenni le condizioni di una vita nazionale
indipendente. Nell’impero Zarista venivano gettate le basi organizzative del Bund,
L’organizzazione ebraica dei lavoratori, con un programma di ispirazione socialista
imperniato sulla rivendicazione del diritto all’autonomia culturale e nazionale.
Era l’anno il cui ebbero inizio importanti rivendicazioni da parte degli ebrei, che
volevano la loro autonomia, dignità e lingua.
Proprio in questo anno Freud scopre il complesso di Edipo e aderisce al B’ nai B’ rith
( costituistosi come organizzazione di mutuo soccorso degli stati uniti nel 1843 col
nome di Bundes Brunder, il movimento B’nai B’rith si estenderà progressivamente
nei grandi centri europei, a Berlino la prima sezione nasce nel 1882).
Sono gli anni dell’affare Dreyfus e delle sempre più evidenti persecuzioni nei
confronti degli Ebrei, in moltissimi emigrano, soprattutto dai territori dello Zar,
passano per Vienna, Berlino, Parigi… e si imbarcano per l’america. Era una fuga
senza fine, che sarebbe continuata se non fossero intervenute le leggi restrittive
americane.
Freud si avvicina al B’nai B’rith nel 1895, grazie al collega medico ginecologo
Edmure Kohn. Il movimento vede un picco di crescita proprio a causa delle
migrazioni e di fronte al dilagare delle passioni nazionaliste e delle pulsioni
xenofobe, che laceravano dall’interno il tessuto sociale e che non potevano più
essere contenute dalla politica ma si estendevano con la forza della volontà
popolare.
In questi anni e per tutta la sua adesione al movimento Freud trova nel B’nai B’rith
uno spazio protetto in cui poter perfezionare le proprie idee e un bacino sempre
pronto di studiosi a cui proporle. proprio nelle sedi nel movimento egli terrà
moltissime conferenze di stampo più medico psicoanalitico, altre volte più politico. tra
la fine dell’800 e i primi anni del 900 egli tenne conferenze su argomenti fondanti
della psicoanalisi come il sogno, i lapsus, la dimenticanza, la vita psichica del
bambino, la superstizione.
Freud era sempre festeggiato nelle associazioni ebraiche e questo lo aiutava a lenire
l’amarezza per il silenzio della cultura ufficiale di Vienna.
Freud trovava sempre difficile esporre le proprio teorie e calibrare i termini e le
modalità in base alla tipologia di pubblico. La sua sfumata strategia, autoironica e
paradossale, fatta di cose dette e di cose volutamente lasciate sullo sfondo, proprie
di una comunicazione a più livelli, era l’unico modo per esporsi con un pubblico con
cui si potevano dire certe cose e altri con cui si era più circospetti, in un ambiente in
cui ci si sentiva a casa e un altro dove si era al di fuori. Vi era un Freud una sorta di
Super-Io nel Super-io che spiega l’ossessione con cui Freud sottolineava la sua
distanza dall’Ebraismo e contemporaneamente mai lo rinnegava e nel corso della
sua vita a ben vedere, mai se ne distacco fino in fondo.
Per es. quando lo psichiatra padovano Morselli sosteneva che la psicoanalisi fosse
un prodotto diretto dello spirito ebraico, Freud non ne fu sicuro ma ribadì che se così
fosse non ne avrebbe provato vergogna.
In altre sedi egli elogiava l’ebraismo, inoltre sosteneva economicamente

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organizzazioni come il movimento di Hechalutz, nato nel 1881 per far fronte ai
pogrom zaristi. Freud voleva essere periodicamente informato sullo stato del
movimento e proprio i versamenti a questo profusi vennero usati per incastrarlo da
parte dei nazisti. Quando trovarono le ricevute unitariamente alla tessera di
iscrizione all’Associazione psicoanalitica la misero fuori legge e ne chiusero la
biblioteca. Aveva quasi 80 anni e ancora non aveva smesso di ribadire che si era
sempre mantenuto fedele al suo popolo e non aveva mai preteso di essere diverso.
dal 1910 orienta i suoi studi sull’analisi delle masse e non a caso proprio in questi
anni egli prova a definire i principi di una battaglia politica, in cui gli Ebrei avrebbero
dovuto cercare una nuova terra promessa, un nuovo contesto separato dalla storia
passata. Tuttavia si rendeva conto che tali idee non avrebbero avuto presa sulle
masse che cercavano qualcosa di “altisonante, di entusiasmante”.
A conferma del profondo legame che attraverso la vicenda della psicoanalisi nel suo
duplice significato di movimento di emancipazione e progetto scientifico universale,
Anna Freud avrebbe espresso nelle parole conclusive del messaggio per
l’inaugurazione del S.Freud Center delle Hebew university di Gerusalemme che la
psicoanalisi “è stata criticata per i suoi metodi imprecisi, le sue scoperte non
scientifiche, persino per essere una scienza ebraica. Comunque si possano
giudicare gli altri sprezzanti commenti è, credo, la connotazione menzionata per
ultima ,che, nelle attuali circostanze, può assumere il valore di un titolo d’onore.”

4. immagini dell’ebraismo nell’interpretazione dei sogni (vedi foglio a mano)

5. Freud e l’uomo mosé


tra il 1934 e il 1938 Freud pubblica tre saggi sulla figura di Mosè, poi raccolti
nell’opera l’uomo mosè e la religione monoteistica. Come nell’opera Totem e Tabù la
tecnica di Freud è l’utilizzo della psicoanalisi, per andare a sondare l’origine nei
processi storici, in questo caso l’origine dell’ebraismo come culto monoteista.
Sono gli ultimi anni di vita dell’autore che sente profondamente il peso
dell’antisemitismo dilagante che l’ha costretto esule e che prova un grande senso di
disagio nei confronti di una religione e cultura che non ha mai abbracciato a pieno ed
in modo ortodosso.
Di fronte al tragico problema dell’antisemitismo Freud non voleva confondere le
cause scatenanti con l’essenza. voleva andare alle origini perché solo alle origini
poteva darsi una spiegazione di qualcosa di così terribile e irriducibile ad una
ricostruzione storica e razionale.
Quello che Freud scoprì, seguendo procedimenti scientificamente discutibili, che pur
tuttavia dobbiamo stimare per il tentativo così estremi di indagare l’origine, riguarda
la provenienza di Mosè.
Egli faceva riferimento a tesi filosofiche dei lumi, di stampo massonico per cui Mosè
fosse egizio. Tra gli autori più letti da Freud in questo contesto troviamo F. Schiller e
E. Sellin.

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Il punto di partenza, fondato sull’etimologia, consiste nel considerare il Mosè del


racconto biblico un egizio e più precisamente colui che avrebbe insegnato agli ebrei
il monoteismo del faraone Akhenaton.
Freud riscontra diverse analogie fra questa religione e quella ebraica, per esempio
nella pratica circoncisione, e stando alle tesi di Ernst Sellin ipotizza che Mosé sia
stato assassinato e quindi sostituito da un altro profeta, prima di essere
«ebraicizzato» attraverso il mito dell’esposizione. Il «nuovo» Mosè avrebbe
introdotto poi un’immagine «più morbida» di Yahwè senza però riuscire a eliminare
del tutto « l’ ombra del dio di cui il suo aveva voluto prendere il posto».
Ne risulterà il dualismo di fondo della religione ebraica, caratterizzata dall’eterno
ritorno del trauma dell’omicidio originario: un gesto dimenticato ma ineliminabile nel
senso di colpa dei successori. L’avvento del cristianesimo – spiega Freud –
coinciderà con il tentativo di Paolo di rielaborare quel rimosso all’interno di una
nuova religione espiando il peccato originale attraverso la morte del Cristo sulla
croce. Freud rintraccia nella collettività un fardello di colpa crescente che le deriva
dai suoi osceni e violenti atti originari e che caratterizzano in maniera unica
l’Ebraismo, questa colpa crescente che si svolge all’interno della coscienza storica
dell’Ebraismo non è ricordato, non si ricorda l’assassinio del padre primogenio
(totem e tabù) in questo caso il padre Mosè, ma piuttosto si fantasticava la sua
espiazione. La differenza tra l’evento narrato in Totem e Tabù e nell’uomo mosè sta
nel fatto che nel primo caso si tratta del mito dell’orda primitiva e del parricidio, un
evento al di qua della storia, nel senso che si è ripetuto innumerevoli volte
similmente, ed ha creato la cultura. Nei saggi su Mosè ci troviamo invece dentro la
storia, c’è un evento che segna un vero e proprio salto spirituale, sottolineando il
quale Freud intendeva colmare il lungo percorso tra quella supposta epoca
primordiale e la vittoria del monoteismo in tempo storici.
La forza del «romanzo storico» freudiano consiste nel veicolare un’immagine
del tutto contraria a quella antisemita avanzata dai Protocolli dei savi Sion. Il
radicamento in Egitto della storia di Israele ha permesso a Freud di fare
dell’ebraismo il vettore di una saggezza ecumenica e di un messaggio di
liberazione universale che alcuni hanno visto all’origine della sua psicoanalisi.
Freud grazie all’origine egizia di Mosè tenta di sottolineare lo slancio di
purezza e verità insito dell’ebraismo.

Tutta l’opera è in ultima istanza un vanto della propria origine ebraica e questo
vanto lo possiamo leggere nelle parole scambiate da Freud con l’allievo
Pfister al quale dice che solo un uomo contemporaneamente ebreo e ateo
avrebbe potuto fondare la psicoanalisi: ebreo perché nell’Ebraismo più che in
ogni altra civiltà religiosa, era stata psicologicamente approfondita la tragedia
delle origini; ateo perché solo la rottura della scienza dal mondo religioso
avrebbe reso possibile il disvelamento di una disciplina come la psicoanalisi.

6. un itinerario nel moderno

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In che misura l’appartenenza ebraica ha avuto un ruolo nella definizione della


psicoanalisi? sono tante le situazioni che hanno influenzato Freud a partire dal
legame col padre, la vita familiare, l’appartenenza a circoli ebraici, il
matrimonio con la figlia di un rabbino.In ogni sua opera possiamo notare
legami con L’ebraismo.

Freud ci parla di psicoanalisi in un periodo storico in cui l’Ebraismo vive


profonde crisi interne, in particolar modo legate al tipo di lingua ufficiale che si
doveva parlare, poiché l’Ebraico rimaneva la lingua dei padri, eppure lo
Jiddish poteva permettere una più vasta comunicazione, senza dimenticare
che si trattava un tema nazionalista nei confronti di un popolo senza nazione,
senza terra. In questo senso la psicoanalisi è una chiave di lettura di un
inconscio che possiamo considerare strutturato come un linguaggio, Freud
non fece altro che scoprire i codici cifrati di una prima lingua antica e così
facendo poteva permettere la comunicazione tra questo linguaggio antico e il
moderno.

L’idea che l’essere umano possa essere molte più cose, avere più fedeltà,
parlare più lingue e sentirle tutte proprie si è fatta più concreta, tuttavia fu una
rivoluzione ai tempi di Freud e fu una rivoluzione religiosa e culturale
tipicamente ebraica, promossa da questo popolo unico nel suo genere. Allora
le ansie di Freud non ci parlano sono delle sue scoperte mediche ma delle
paure nei confronti di un popolo che incarna la modernità, la conferma dell’
avvenuta contaminazione dei valori nazionalistici, xenofobi ecc…

un altro fattore importante dal punto di vista ebraico è lo scontro con la


religione cristiana che in nome di un mito, si è fatta promotrice di una reale
uccisione di tanti bambini innocenti, giacché gli ebrei non hanno compreso e
accettato il messaggio di Cristo e come v’è sottilmente paragonata nel libro:
l’immagine della donna bendata (la sinagoga) faceva da contraltare alla donna
che vede e avanza trionfante perché possiede la verità (chiesa). Ma chi ha
modellato questa idea rituale e religiosa è stato giocato dal suo inconscio, e
da verità molto più arcaiche. Nel mito Tiresia vede più a fondo perché cieco.

L’errore più grave nel leggere Freud è di ridurre la sua riflessione al romanzo
familiare, alla storia singolare del complesso edipico. Le sue riflessioni sono
invece parte di un dialogo molto più ampio, in cui si inseriscono molti altri
autori es. Kafka, Schonberg Buber, che ci racconta le generazione di ebrei
che ha vissuto l’emancipazione e la catastrofe della guerra.
il complesso Edipico non ci racconta di un dilemma solo personale, ma di un
inconscio, un inconscio collettivo e storico, un disvelamento di verità che non

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si conoscono e riguardano la vita psichica di ognuno ma anche l’origine


storica dell’umanità .

Riassunto di NOI E LA MORTE di S. Freud ( dalla conferenza del 16-02-1915)

Freud decide di trattare il tema della morte perché sostiene che la Grande
Guerra abbia influenzato il modo di considerla.
Egli fa riferimento in particolar modo agli Ebrei, sostenendo che si comportano
come se volessero eliminare la morte dalla vita, uccidere la morte stessa.
L’ebrei è incredulo di fronte alla morte e ignora la sua potenza finchè può,
tuttavia quando colpisce una persona cara non si può ignorarla. In questi casi
l’ebreo seppelisce con il morto le sue speranze, ambizioni, gioie; nulla è di
consolazione e sostituzione. Questo approccio alla morte impoverisce la vita e
le rende meno interessante. Per questo Freud giustifica l’immobilità dell’ebreo
medio la sua tendenza a non agire o fare cose rischiose. Eppure “la vita perde
di contenuto e interesse quando viene esclusa la posta massima, appunto la
vita stessa, nelle sue lotte”.

L’ebreo allora va alla ricerca di un indennizzo per l’impoverimento della vita e


si rivolge al mondo della finzione, della letteratura e del teatro. Sul
palcoscenico le persone sanno morire, accettano la morte e vivono da eroi. La
vita è come una partita a scacchi senza possibilità di rivincita, in cui una sola
mossa può costringerci ad abbandonare il gioco. Nel campo della finzione gli
ebrei trovano la pluralità di vite di cui hanno bisogno.
La guerra ha cambiato questo situazione. Le convinzioni circa la morte sono
più solide, la morte non può essere rinnegata, perché troppo muoiono e sono
a rischio. Allora ecco che la vita è ridivenuta interessante e ha ritrovato tutto il
suo contenuto.

Risposta a questa prima domanda Freud prosegue chiedendosi: come si


comportava l’uomo dei primordi di fronte alla morte? Aveva un atteggiamento
strano e contraddittorio. La considerava seriamente e la negava. Assumeva
una posizione positiva nei confronti della morte altrui, soprattutto nei nemici e
degli sconosciuti, non solo desiderava produrla e distruggere. Nessun istinto
lo tratteneva dall’ uccidere e divorare individui della sua stessa specie. il più
antico degli assassini deve essere stato un parricidio, l’uccisione di quel padre
primordiale della primitiva orda umana, la cui immagine mnestica è stata
successivamente trasfigurata in Divinità (totem e tabù 1913).
rispetto alla sua morte l’uomo primitivo la temeva come l’uomo moderno.
rispetto alla morte dei cari viveva un duplice sentimento da un lato gli
procurava dolori e la rifiutava, dall’altro la accettava e apprezzava giacché
ogni relazione, anche la più dolce e profonda porta con sé sia amore che odio.

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Secondo Freud il conflitto emotivo di fronte alla morte di una persona amata e
ciò nonostante anche estranea e odiata ha dato corso all’umana ricerca. Da
questo conflitto emotivo è nata la psicologia.
Anche la prima filosofia ha in questo dilemma un’origine: immaginare
esistenze anteriori, la trasmigrazione delle anime e le reincarnazioni sono
tutte teorie che hanno lo scopo di togliere alla morte il suo significato di
annullamento della vita. Di fronte al cadavere della persona amata non sono
nate soltanto la dottrina dell’anima e la credenza nell’immortalità, ma anche il
senso di colpa, la paura della morte e i primi precetti etici. Il senso di colpa
proveniva dall’ambivalente sentimento nei confronti del defunto, la paura della
morte dalla identificazione con lui.
Il più antico e ancora oggi più importante precetto etico che sorse da queste
ambivalenze suonava “Non ammazzare”.Esso nacque a proposito dell’ amato,
e fu poi esteso progressivamente ai non amati, agli estranei e infine anche al
nemico.
Il fatto curioso è che l’uomo selvaggio era più sensibile dell’uomo moderno.
Per es. Terminata la guerra mondiale i soldati correranno ciascuno alla sua
casa, alla sua donna e figli, un nulla turbati o trattenuti dal pensiero dei nemici
da loro uccisi in battaglia. Invece il vincitore selvaggio che ritorna a casa dal
sentiero di guerra non può penetrare nel suo villaggio o toccare la sua donna
prima di aver espiato con penitenze, spesso lunghe e fastidiose, le uccisioni
compiute in guerra. Si potrebbe ribattere “il selvaggio lo fa perché è ancora
superstizioso, teme la vendetta degli spirito maligni”. Ma gli spiriti maligni altri
non sono che l’espressione della sua cattiva coscienza per il proprio delitto di
sangue.

Infine cosa ci lega agli uomini della preistoria? L’inconscio.


Il nostro inconscio assume nei confronti della morte la medesima posizione
dell’uomo della preistoria, che continua a vivere in noi. L’inconscio non accetta
la morte, si comporta come se fossimo immortali e Freud rintraccia in queste
modalità l’origine del comportamenti eroici. Nell’inconscio siamo tutti ancora
una masnada di assassini e una conscia “ che il diavolo se lo porti” è
campanello d’allarme di un inconscio desiderio omicida. Le battute ciniche
sono vaghe espressioni di questo inconscio violento.
Questa tendenza naturale dell’uomo Freud la rintraccia già nel pensiero di
Rousseau, il quale sosteneva non posso poi così difficile indurre un uomo a
desiderare e promuovere la morte di altri.

Secondo Freud oggi il conflitto tra morte dell’amato e dell’ostile non provoca
più, come una volta, la filosofia, la psicologia e l’etica bensì le nevrosi.
riassumendo: il nostro inconscio possiede la stessa incapacità di

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rappresentarsi la propria morte dell’uomo primitivo, prova lo stesso piacere


per la morte di un estraneo, ed è egualmente duplice (ambivalente) nei
confronti della persona amata. ci eravamo allontanati molto da queste
tendenze primordiali, ora la guerra lascia riapparire l’uomo primitivo, ci
costringe nuovamente ad essere eroi.

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