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FRANZ - A mio avviso, tra tutti i cantautori, Fabrizio De André è quello che più di ogni altro
è riuscito a infondere poeticità nelle sue canzoni. Noi lo conoscevamo da tempo - avevamo
già lavorato con lui alcuni anni prima - e così, quando un giorno d'estate lo incontrammo a
un concerto in Sardegna gli buttai lì l'idea di fare qualcosa insieme. La collaborazione tra un
cantautore e un gruppo era comune in America e a noi sembrava che con Fabrizio si
sarebbe potuto svolgere un buon lavoro, offrendo al pubblico italiano qualcosa di nuovo. De
André aveva avuto un'esperienza simile solo con i New Trolls, che per certi versi era stata
positiva e per altri no, perché erano rimasti due gruppi di lavoro abbastanza divisi. Non
c'era stata una fusione vera e propria. Diciamo che loro avevano suonato le cose di De
André e De André aveva avuto un gruppo che lo accompagnava, tutto qua. Noi invece
avevamo in mente qualcosa di molto diverso, un vero e proprio progetto di collaborazione
artistica, dove ognuna delle due componenti, il cantautore e il gruppo, avrebbe influenzato
l'altra. Glielo spiegammo, ma lì per lì non la prese molto bene.
"Eh belin!" disse, "suonate troppo forte!"
"Ma no, ci adattiamo a te!"
"Arrivate con tutti vostri watt e mi uccidete!"
"Ascolta" disse Franco prendendo la chitarra, "io 'Il pescatore' la vedo così. Un po' più funky,
un po' più allegra..." e si mette a fare un giro di accordi.
Fabrizio ascolta e sorride. "E la batteria? Questo qui picchia forte, non so...."
Ci volle un po', ma riuscimmo a convincerlo, forse anche perché riuscimmo a comunicargli il
senso del gruppo. Fare una tournée però lo spaventava un po'. In generale Fabrizio è una
persona un po' schiva e l'idea di affrontare il pubblico tutte le sere, di viaggiare con noi e
con tutto l'annesso, non gli garbava molto. Ma riuscimmo a trasmettergli la carica giusta. Gli
garantimmo comprensione e collaborazione e alla fine, stringendoci la mano, suggellammo
l'accordo.
Scegliemmo un trentina di pezzi e ci suddividemmo il lavoro. Era una strategia che serviva a
non tradire lo stile dei pezzi. Per esempio le canzoni più franceseggianti sono state affidate a
Patrick, perché essendo vissuto in Francia poteva arrangiarle in linea con il loro sound.
Franco invece prese i pezzi dove poteva fare valere la sua dimestichezza con la musicalità
della chitarra. A Flavio vennero affidate le cose che ci sembravano richiedere
un'elaborazione più complessa, perché dal punto di vista degli arrangiamenti era il più
preparato di tutti. Mettemmo su un bel gruppo di lavoro e dopo qualche mese il materiale fu
pronto. Ne era uscita una cosa nuova e un po' strana, dove la poeticità dei testi di Fabrizio e
le sue belle e pulite linee melodiche si sposavano con una musicalità sognante, piena di
immagini, invenzioni e colpi di scena. La cosa funzionò a meraviglia: i pezzi, completamente
rivisti e rielaborati, assumevano un sapore nuovo e più pieno, mentre il dialogo tra testi e
impasti sonori risultava continuo ed equilibrato. In questo contesto, la voce calda e
affascinante di Fabrizio non veniva per nulla sacrificata, anzi. Tutto infatti era stato studiato
nei minimi particolari affinché noi non lo coprissimo mai. Gli arrangiamenti erano
stemperati: quando lui cantava, sembrava di vedere un acquerello, un dipinto molto bello
dai colori tenui. C'erano però anche momenti in cui si partiva forte in modo da far esplodere
la carica musicale della PFM. Ne fummo tutti molto soddisfatti. Anche il pubblico dimostrò di
apprezzare quello strano connubio, tra due realtà che allora, in Italia, erano considerate
assolutamente incompatibili. Invece la nostra idea funzionò, dimostrando che anche un
cantautore può avere da guadagnare dalla collaborazione con un gruppo. E viceversa.
FRANZ - La grande lezione che imparammo dall'esperienza con De André fu constatare che,
quando si attaccava un pezzo, il pubblico si alzava in piedi a braccia levate. Lui cantava:
"Questa di Marinella..", e la gente: "Uaaaaa!!!", perché riconosceva subito il brano. Così
abbiamo capito che il testo, se racconta una storia, soprattutto una storia vera, personale o
poetica, fa vivere le canzoni molto più a lungo, in una dimensione più dilatata. Per dirla
brutalmente, io avrò fatto nella mia vita 2000 assolo di batteria, ma non credo che la gente
se li possa ricordare. Si ricorderà l'energia, si ricorderà l'entusiasmo, la forza, il vigore... ma
nessuno potrà mai cantarti un assolo di batteria e se vuole riviverlo deve riascoltarselo sul
disco. Tutti invece sono in grado di cantare la Canzone di Marinella, magari sotto la doccia,
senza strumenti o impianti hi-fi.
Tutto questo ci spinse a riflettere sul senso del canto all'interno del gruppo. Non si trattava
più del problema di avere un cantante di ruolo, ma di trovare un veicolo più diretto nel
contatto con il pubblico. Forse un front man, pensammo, una persona che possa traghettare
il gruppo verso il pubblico e viceversa. Soprattutto avevamo bisogno di canzoni a presa
rapida, che potessero lasciare un segno.
Storie di uomini di nuvole e di cicale
TV Sorrisi & Canzoni - 1990
Amato, amatissimo De André. Oppure detestato. Amato dal suo pubblico, che lo segue da
25 anni, e dai critici. Detestato da coloro che odiano quelle persone che non si tirano
indietro quando si tratta di giocare duro con le parole. A sei anni all'uscita del precedente LP
ecco "Le nuvole", un disco che ti accarezza e, subito dopo, ti prende a schiaffi. Di lui si è
scritto tanto: della sua pigrizia, della sua rabbia e della sua indiscussa genialità. Ecco cosa ci
ha raccontato il cantautore più poetico e "feroce" dei nostri anni.
"Le nuvole" arriva a sei anni di distanza dal precedente. Come sono cambiati i tuoi ritmi di
lavoro e di vita?
"I ritmi di lavoro non si sono dilatati se è vero che "Le nuvole" le abbiamo pensate, scritte e
registrate nel giro di due anni. Sono stati piuttosto gli accadimenti della vita a lasciarmi
poco spazio per le canzoni. D'altra parte non mi è mai successo di produrre ai ritmi di una
gallina ovaiola e farò di tutto perché ciò continui a non accadere".
Hanno scritto che "la nuvole" è il più bel disco mai pubblicato in Italia, che è un
capolavoro... Non ti imbarazzano questi giudizi?
"Non mi sono mai ribellato al parere dei critici e tantomeno intendo farlo nel momento in cui
la maggioranza di loro afferma che il mio nuovo album è un capolavoro. Che poi io ne sia
altrettanto convinto è un altro paio di mie particolarissime maniche".
Lo hanno anche definito un disco coraggioso. Sei d'accordo?
"Il coraggio è un'altra faccenda e ognuno di noi spera di non dover essere mai costretto a
esibirlo. Il mio è soltanto un contributo minimo, quello che noi tutti dovremmo dare, nel
segnalare, per quanto ci è possibile e nelle forme che ci sono usuali, tutti i pericoli grandi e
piccoli che minacciano la nostra convivenza civile".
Alcune fra le tue canzoni prendono spunto dalla cronaca, e "Don Raffaé" e "la domenica
delle salme" ne sono un esempio. Immagini e parole per raccontare delle vicende, come
facevano i cantastorie. Ti riconosci nella definizione di cantastorie?
"Nel caso di alcune mie canzoni direi di sì, non dimenticando che i cantastorie, pur svisando
la realtà, supplivano con la loro cronaca alla penuria di informazioni o alla loro totale
mancanza. Di certi episodi del passato non avremmo neppure una memoria fantasiosa se
non fossero stati fissati nelle loro note e nei loro versi. Oggi certamente non si tratta più di
supplire, oggi la stampa esiste e in molti casi ci è suggeritrice: si tratta semplicemente di
darle una mano".
Quel è il tuo rapporto con i mass media? Guardi la TV? Quali giornali leggi?
"Dal 1985 non mi perdo una telenovela, "Solo i ricchi ruttano", ho dovuto abbandonarla alla
trentacinquesima puntata per esaurimento delle lacrime. Scherzi a parte, continuo a
preferire la lettura e anche per quanto riguarda l'informazione sono costretto a integrare le
scarne notizie dei telegiornali con un paio di quotidiani e settimanali".
Rabbia e malinconia sono due sentimenti che si sentono nelle tue composizioni. La
cosiddetta ispirazione nasce per rabbia o malinconia?
"Non mi sembra di aver scritto soltanto canzoni rabbiose o malinconiche; agisco sul
materiale che ho sottomano e mi pare che nell'ultimo decennio il repertorio di cronaca non
sia stato tra i più felici. Ma appena il "tourbillon" di avvenimenti drammatici di cui viviamo
quotidianamente al centro dovesse darci un attimo di tregua, sono convinto che riuscirei a
ritrovare attenzione ed emozione per i problemi minimali di "Bocca di rosa" e di "Carlo
Martello".
Nelle tue canzoni ci sono molte rime. Da cosa nasce questa passione per le rime?
"L'uso della rima o dell'assonanza, per quanto mi riguarda, nasce dal bisogno spontaneo di
creare già nei versi un'unità armonica, un effetto sonoro autonomo e indipendente dalla
melodia cantata. Ciò è particolarmente utile nel caso in cui di una canzone si voglia
privilegiare il contenuto: le parole le cui sillabe siano assonanti o rimate contribuiscono a far
rimanere i versi più impressi. Anche da questo punto di vista non faccio che seguire la
tradizione dei cantastorie".
"Voglio vivere in una città dove all'ora dell'aperitivo non ci siano spargimenti di sangue o di
detersivo", dici in "La domenica delle salme". Quali sono i luoghi dove vivi bene?
"Dovunque si facciano prima di tutto dei doverosi "distinguo" fra gli spargimenti di sangue e
quelli di detersivo".
"Le nuvole" non è un disco da ballare o da cantare, ma da ascoltare. Puoi dare qualche
consiglio sull'ascolto? Come, quando e con chi?
"Sul fatto che non siano canzoni da cantare ho i miei dubbi, soprattutto per alcune. Sul
come, quando e con chi ascoltare il disco non ho nulla da suggerire; ognuno è libero di
ascoltare e di non ascoltare e se ascolta lo faccia come e con chi gli pare".
Secondo la tua esperienza, il pubblico che compra i tuoi dischi oggi è lo stesso che
apprezzava "La canzone di Marinella" e "La guerra di Piero"? E i ragazzi, quelli che forse non
conoscono le tue vecchie composizioni, che cosa amano del De André di oggi?
"Leggevo l'altro giorno una recente intervista a Octavio Paz, premio Nobel 1990 per la
letteratura. Diceva che "la nostra società ha elevato i numeri al ruolo di idoli". Non ritengo di
primaria importanza il numero delle copie vendute o quello degli ascoltatori, anche se non
dimentico di vivere con questo mestiere. Ritengo di primaria importanza che coloro che lo
ascolteranno siano stimolati da una maggiore attenzione ai problemi sociali del momento in
cui viviamo, perché l'eventuale soluzione di quei problemi riguarda anche me. Per quanto
concerne il tipo di pubblico, penso che l'interesse raccolto dalla "Guerra di Piero" negli Anni
Sessanta non dovrebbe discostarsi molto da quello che susciterà "La domenica delle salme"
negli Anni Novanta. Si tratta pur sempre di critica sociale e non esistono stagioni che ti
consentano di astenerti, di disinteressarti della società in cui vivi. Da un punto di vista
formale, può darsi che larga parte dei giovani non sia attratta da questo tipo di musica, da
questo tipo di confezione canzonettistica. D'altra parte io ho 50 anni e, pur apprezzandolo,
non riesco a fare dell'heavy metal".
C'è un filo che unisce le canzoni di questo disco? Che cosa sono "Le nuvole" che danno il
titolo all'album?
"Queste nuvole non sono da intendersi come fenomeni atmosferici: queste nuvole sono quei
personaggi ingombranti e dannosi della nostra vita civile, politica ed economica che io cerco
di descrivere, insieme ad alcune delle loro vittime, nella prima parte dell'album: sono i
personaggi che detengono il potere con tutta la loro arroganza e i loro cattivi esempi. I
protagonisti della seconda parte sono invece i figli del popolo i quali, nella misura in cui è
loro consentito dai potenti descritti nella prima parte, continuano tranquillamente a farsi i
fatti loro, rinunciando a quella protesta, a quella indignazione collettiva di fronte al
malgoverno, indignazione e protesta che io ritengo le condizioni irrinunciabili per non
rischiarci la democrazia. Il coro di cicale che chiude la prima parte del disco, e al quale io
stesso mi unisco, sta appunto a significare come tali nostre proteste e indignazioni stiano
sempre più assumendo il sapore di un vago e rassegnato cicaleccio".
La tensione morale nell'opera di Fabrizio De André
di Mario Luzzatto Fegiz
Prefazione a "Fabrizio De André". Raccolta di testi e musiche delle canzoni di FDA edito da
Ricordi nel 1991.
Raccogliere testi e musiche di Fabrizio De André in un volume ha un senso preciso: offrire
non solo una testimonianza della poesia per canzone (e dell'evoluzione della stessa nel
corso di vent'anni) di uno dei più grandi cantautori italiani e internazionali, ma anche un
valido strumento di consultazione per chi suona, da dilettante o da professionista. Il
secondo potrà ovviare a quelle interpolazioni che canzoni così famose da essere affidate alla
memoria e/o alla tradizione orale possono generare passando da esecutore a esecutore; il
primo troverà una stimolante palestra di versi e accordi su cui esercitarsi, soprattutto alla
chitarra. Più generazioni infatti hanno mosso i loro primi passi alla chitarra su canzoni di De
André come La guerra di Piero, La ballata del Michè, Marinella, il testamento.
Scorrendo la vasta (ma non immensa né sterminata, come lui stesso ama sottolineare)
produzione di questo "poeta per canzone" raccolta nel volume, ci si può rendere conto come
ad una estrema varietà di ispirazioni corrisponda una totale unità di stile e soprattutto una
tensione morale che rimane intatta nel tempo. Che si tratti della fine di Piero, spedito ad
una assurda guerra e ucciso da un poveraccio mandato come lui a morire su "un campo di
grano in un bel giorno di primavera", o che si tratti dell'indiano truffato, beffato e alla fine
sterminato dalla violenza dell'uomo bianco, De André recepisce e suscita emozioni intense.
L'amore per l'uomo in De André travolge, con sincero spirito anarchico, ogni legge o
convenzione umana: la tragedia di Michè condannato a vent'anni per un delitto d'onore che
si uccide in cella assume un valore assoluto ne più ne meno della singolare missione di
"Bocca di rosa" (espulsa dalla comunità perché le donne, quelle perbene, giudicano le sue
arti erotiche troppo destabilizzanti). Né esiste contrasto con l'approccio che De André ha con
argomenti "seri" quali le Sacre Scritture(La buona novella), la storia degli Indiani d'America
analizzata in parallelo a quella dei Sardi di oggi o a quella della sua gente (la repubblica
marinara di Genova) in Creuza de ma.
Nella storia, nel sacro, nel mistico De André riesce sempre a individuare anche i lati comici
paradossali, talora boccacceschi (da Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters a
Jamina) senza mai dimenticare la morale che da certi fatti scaturisce e la propria totale
simpatia per l'uomo, il suo libero arbitrio, la sua capacità di salvare l'individualità (e anche la
pelle) dal labirinto delle convenzioni, dal cinismo dei potenti, o dell'avversa sorte.
Per anni la critica ha insistito soprattutto sui riferimenti classici e colti della poetica di De
André, nonché sulla carica provocatoria verso istituzioni e borghesia dei suoi versi. Elementi,
intendiamoci certamente presenti nella produzione del cantautore, ma tuttavia forse meno
importanti della tensione morale, dell'amore per la gente e per il prossimo, dell'odio per le
prevaricazioni (siano quelle del potere o dei rituali della borghesia) fusi in un misticismo
profondo che lo porta a guardare, ammirato, il santo e l'amorale, intesi entrambi come
supreme espressioni del libero arbitrio. A proposito di amoralità: fu forse proprio una
canzone come La cattiva strada ad accreditare una sua immagine di "maledetto", fra
Bukovski, Prevert e via Pré. Ma il fascino discreto della trasgressione, è, tutto sommato,
poca cosa nella personalità artistica di De André: domina invece una capacità di riferimento
ai classici senza la minima sfumatura cattedratica, un impegno civile e politico che non è
mai paludato e tanto meno "parrocchiale", una scrittura musicale e poetica sempre chiara,
comprensibile, alla portata di tutti, fortemente funzionale al testo (e, da un certo punta in
poi, in fusione totale col medesimo).
La poesia per canzone, si sa, non sempre ha una vita, autonoma rispetto alla partitura. E
comunque la lettura dei testi soli viene scoraggiata da molti autori. De André è, in questo
senso, l'eccezione che conferma la regola: come non godere della capacità di sintesi di testi,
anche non notissimi, come Parlando del naufragio della London Valour dove "la radio di
bordo è una sfera di cristallo: dice che il vento si farà lupo e il mare si farà sciacallo ",
mentre sulla riva un grande zoo umano si gode l'agonia del rottame che si fracassa sugli
scogli.
Le mie note a margine
di Alessandro Gennari
Panorama", 19/9/96; Rubrica "Idee Spettacoli" pp. 152-153
Papponi e zingari, contrabbandieri e viados. Sono i personaggi del prossimo disco di De
André: "I vinti che amo" spiega a Panorama. Parlandone con un intervistatore molto
speciale, assieme al quale ha appena scritto il suo primo romanzo.
Un viado brasiliano, un contadino dell'entroterra genovese, le faide, un'alluvione, una
zingara sono fra gli argomenti di Anime salve, forse l'album più atteso nella lunga
discografia di Fabrizio De André, che uscirà il 18 settembre. Scritto in collaborazione con
Ivano Fossati, arrangiato in modo magistrale insieme a Piero Milesi, racchiude cinque anni di
riflessione e di lavoro su quelli che Fabrizio chiama "spiriti liberi", relegati al ruolo di
minoranze da una società sempre più omogenea e normalizzata. E ogni canzone sembra un
mondo a sé, grazie anche all'inserimento di sonorità esotiche e strumenti della musica
popolare mirabilmente integrati con l'orchestra.
L'attività di Fabrizio non si ferma qui: negli ultimi sei mesi abbiamo scritto a quattro mani
un romanzo che uscirà in novembre per Einaudi, dal titolo Un destino ridicolo. Ecco in sintesi
il metodo di lavoro: quattro mesi di preparazione della trama e quattro mesi di scrittura, io
la mattina, Fabrizio la notte (abbiamo bioritmi differenti) e insieme, il pomeriggio, la
revisione. L'idea era arrivata improvvisamente, un giorno dello scorso inverno, quando ci
siamo ricordati di esserci già incontrati, vent'anni fa, e di due nostri amici che si
conoscevano e insieme avevano tentato un grosso colpo andato male: un pappone
genovese e un contrabbandiere marsigliese. Amici a loro volta della ragazza che sarebbe poi
diventata Bocca di rosa nella canzone eponima. Eroi sconfitti, personaggi che inseguono
invano la gloria, il sogno, o una donna. Gli stessi che popolano Anime salve.
Domanda. È come se l'individuo, il caso degno di nota, si potesse ormai trovare soltanto
nelle minoranze…
Risposta. Il meglio di una cultura, se ci fai caso, viene sollecitato da persone che si trovano
in minoranza e che proprio per i loro doni vengono emarginate e all'occorrenza perseguitate.
Un esempio classico sono gli individui che nascono con caratteristiche esteriori appartenenti
a un sesso che non corrisponde alla loro identità più profonda. Ne parlo nella canzone
Princesa, che ho attinto da uno splendido, breve romanzo di Maurizio Janelli e Fernanda
Farias, in effetti una biografia.
Nella musica di "Princesa" infatti ci sono improvvise, brevi variazioni che danno l'idea di un
doppiofondo, di un "a parte", che viene temporaneamente recuperato con il ritorno della
strofa e nel finale si risolve in un bellissimo canto festivo con una ritmica nordestina, una
variazione rispetto al samba classico. In questa specie di carnevale sonoro, poi, hai inserito
un elenco di parole portoghesi, una successione di scene.
È il riepilogo dei passaggi fondamentali della vita della protagonista, un elenco di gioie e
sfortune incontrate nelle tappe delle sue varie metamorfosi: da bambino si trova ad
assumere comportamenti femminili, poi da femmina malriuscita corre all'incanto dei
desideri, tentando prima con mezzi chimici e in seguito attraverso una vertigine di anestesia
chirurgica di assomigliarsi, di corrispondere a un profondo desiderio che la vuole donna. Per
mantenersi esercita la professione più antica del mondo, finché per volere del destino si
trasforma ancora, e per l'ultima volta, da prostituta nell'amante ufficiale di un avvocato.
Questa è l'ultima metamorfosi; la musica, grazie anche e soprattutto a Ivano Fossati,
accompagna questa evoluzione passando da tonalità maggiori a minori e sottolineando in
quel martellare di cembali il miraggio della felicità, fino a ritornare all'infanzia brasiliana.
Anche "Smisurata preghiera", la canzone che chiude l'album e ne è la sintesi, è una specie
di salmo di invocazione e di imprecazione sulle minoranze. Ed è costruita a partire da testi di
Alvaro Mutis, che in una intervista televisiva ha dichiarato che occorre un talento
straordinario per sintetizzare un'intera opera in una sola canzone.
Sì, me l'ha detto anche a tavola. Gli ho risposto che dai suoi scritti si possono ricavare
centinaia di canzoni. E lui ha replicato: "Bene. Allora, cosa aspetti?".
Il tuo elogio delle minoranze presuppone una critica alla nostra società dei luoghi comuni.
Quale aspetto di essa ti pare più inumano?
Il fatto che gli uomini valgono meno delle monete. Infatti il mercato del denaro è libero:
schiacci un pulsante e trasporti patacas da Macao a Madrid, ne schiacci un altro e le
obbligazioni della Repubblica ceca finiscono a New York. Gli uomini no: prima di presentarsi
ai punti d'imbarco e sbarco devono attraversare oceani di folla e di carte bollate. Va già
bene che non abbiano ancora istituito il marchio a fuoco. Ma chi la produce, questa
ricchezza? Gli uomini, che purtroppo da questo punto di vista si dividono ancora in due
categorie: quelli che del denaro approfittano, quelli che devono rimanere fermi e controllati.
Allora c'è anche la categoria di quelli che controllano.
Infatti, Pasolini si chiedeva stupito che cosa poteva spingere certe persone ad assumersi
l'incarico di occuparsi dell'amministrazione dei propri simili. E si rispondeva dopo aver capito
che insieme all'amministrazione queste persone elette dal consenso popolare esercitavano il
potere. Assunto il quale, per quasi tutti coloro che erano assurti a tali vertiginose cariche,
l'aspetto amministrativo diventava inesorabilmente un quotidiano fastidio.
Tu ne conosci?
Guarda, li incontri già a scuola. Raramente sono i primi della classe, ma del primo della
classe sono untuosi amici. Hanno sempre la mano alzata, per farsi notare o per fare la spia.
Si scrivono le risposte sulle mani, sono ignoranti e superficiali ma mai impacciati, dal primo
giorno di scuola li vedi già seduti nei primi banchi guardare con timorosa, solerte attenzione
i professori, quasi per mettere in chiaro che, se di complicità si deve trattare, ne faranno
partecipi gli insegnanti, non certo i compagni.
E rispetto a loro come ti comporti?
Mi limito a osservare rendendomi testimone degli avvenimenti più felici e più drammatici,
degni di essere ricordati. E da osservatore mi rendo conto che nella necessità di scegliere è
meglio, malgrado tutto, essere governati da don Abbondio piuttosto che da don Rodrigo.
Nel frattempo…
La cosa che mi interessa al momento è il sogno di costruire una nuova struttura per ricevere
nel mio agriturismo almeno venti persone per notte. Mi esibisco malvolentieri in pubblico,
ma con l'intento di dare maggiore spazio ai miei ospiti in Sardegna farò una tournée tra
gennaio e marzo. Mi impegnerò comunque al massimo, per rispetto verso il pubblico e
anche perché non mi piacciono i lavori svolti in modo frettoloso e approssimativo.
Perché non ti piacciono i concerti in pubblico?
La nozione stessa di spettacolo si è deteriorata; una volta lo spettacolo era un avvenimento,
un fatto eccezionale. La televisione sta spettacolarizzando qualsiasi cosa, cosicché
l'eccezione, il sorprendente, si dovrà riandarlo a cercare, come del resto faccio, nei luoghi
più nascosti e segreti. Nella teoria di formiche che si arrampicano sulla corteccia di una
quercia, nel parto di una capra, parlando con te di romanzi e racconti o ascoltando la
conversazione di due contadini che parlano del tempo.
Fabrizio racconta Anime Salve (1)
Questo lavoro può sinteticamente definirsi come l'osservazione e la descrizione di svariate e
diseguali solitudini. Quella di chi scrive, che volontariamente si apparta dal contesto sociale
evitandone per quanto possibile i coinvolgimenti emotivi e gli aberranti schieramenti dettati
da convenzioni o convenienze.
Un estraniamento necessario per tentare una testimonianza, il più possibile equilibrata di
molte altre solitudini non vissute soltanto in funzione di una originaria libera scelta o di una
originaria diversità ma, proprio a causa di quella scelta e di quella diversità, imposte da un
mondo circostante e maggioritario che rifiuta di riconoscersi in quegli universi spirituali ed in
quei comportamenti differenti che appartengono alle infinite minoranze, costringendole in
uno status di isolamento più o meno tollerato.
Isolamenti o solitudini che vengono vissuti con dignità, con orgoglio e addirittura fierezza o
con il disperato sconforto di chi si sente abbandonato.
Il titolo dell'album si rifà all'etimo delle due parole, ANIMA e SALVO, e vuole mantenerne il
significato originario di SPIRITO SOLITARIO. Nel verso "mi sono visto di spalle che partivo"
della canzone omonima già si accenna al rifiuto della identità anagrafica, cioè del
personaggio costruito da una autorità che vuole imporre a ciascuno di stare al mondo al
proprio posto; la scelta della solitudine, ché in questo caso di autonoma scelta si tratta,
consente di non stare nel mucchio: la sola condizione idonea a non essere contaminati da
passioni di parte, uno stato di tranquillità dell'animo che permette di abbandonarsi
all'assoluto, alle sue immagini ed alle sue voci, interiori ed esterne, senza marchi posticci.
Ed il primo marchio che la società imprime consiste nell'impartire un sesso unico e definitivo
all'individuo senza tenere conto "del chiaroscuro dove si nasce", della complessità e del
malinteso che accompagnano la vita di tante PRINCESA; nella cosiddetta diversità si cerca
allora un riscatto, un modo per "correggere la fortuna" di fronte alla barriera delle
classificazioni sessuali. E l'emarginazione può essere il prezzo che si paga per assomigliare
al proprio desiderio. O alla cultura, laddove il potere ti impone fin dalla nascita la stigmata di
una cittadinanza, dell'appartenenza ad una nazione magari in vista di un tuo eventuale
futuro apporto in difesa dei suoi confini o nell'offesa di quelli altrui. Al contrario, se un
giorno ci trovassimo a scrivere la storia della pace, non potremmo dimenticare gli zingari
che a partire dalla citazione che ne fa Erodoto, girano il mondo da oltre venti secoli senza
armi. Il nomadismo dei KHORAKHANE' e di varie altre tribù del popolo Rom comporta
un'identità ridotta al nome, all'essenziale, intrisa di libertà, dove il controllo spetta soltanto
alla famiglia: l'economia delle pulsioni, la riduzione delle cose ad un principio unitario ed
assolutistico come lo Stato, nel movimento incessante risulta impossibile.
Può anche esistere uno status di isolamento, di autoemarginazione involontariamente vissuti
o volontariamente desiderati a seconda della lettura che si vuol fare di DOLCENERA: in
ognuno dei due casi, l'innamorato ed il tiranno (quando DOLCENERA voglia essere intesa
come metafora del potere) escludono ogni cosa che non si accordi alla loro passione, vivono
un sogno paranoico che elimina l'"altro", lo fa apparire o scomparire secondo i misteriosi
percorsi della propria follia, chiunque o qualunque cosa sia: la moglie di Anselmo o
l'alluvione di Genova nel 1972; quando l'"altro" è considerato come possibile ostacolo al
conseguimento del proprio fine, viene rimosso. Perfino il "tumulto del cielo" o lo straripare di
un torrente, "sbagliano momento" e l'amore, che non può arrivare all'appuntamento perché
coinvolto nello spettacolo dei vivi che si aiutano nella difficoltà del momento, viene vissuto
come presenza reale, rimuovendone l'essenza. La solitudine o meglio l'autoemarginazione
del protagonista di DOLCENERA è in apparenza la più difficile da sostenere come sinonimo di
libertà, eppure è opinione non solo di chi scrive che l'apice della libertà stessa sia
raggiungibile proprio attraverso la follia e ciò al di là di ogni valutazione di natura etica.
Di derivazione morale, cioè di coscienza collettiva o per meglio dire di cattiva coscienza
collettiva, è invece la solitudine, l'emarginazione del pescatore delle ACCIUGHE FANNO IL
PALLONE, al cui desiderio fa contrasto la povertà e la povertà è a volte la conseguenza del
vivere in una comunità che impone regole sbagliate, che non lascia all'individuo neppure lo
spazio per poter assomigliare a chi da quelle regole trae vantaggio: perché il pescatore di
acciughe le regole della società le accetta dal momento in cui il suo desiderio consiste nel
portare all'altare una donna che possa così diventare sua moglie; le accetta pur
conoscendole, nell'affidarsi al sogno di strappare alle fauci di un avido pesce grosso il mitico
pesce d'oro pescando il quale il suo desiderio potrebbe essere appagato.
Ma non tutti gli individui conviventi in una micro o macro società sono disposti a trasformare
il disagio in sogno, laddove "la corsa del tempo spariglia destini e fortune" mettendoli a
continuo confronto nella condivisione di uno spazio ristretto, nasce l'invidia; la
DISAMISTADE, la faida, nasce dal desiderio irrealizzabile di fermare il tempo e di eliminarlo
per riportare il mondo ad una ipotetica condizione originaria in cui tutti siamo uguali. La
faida consiste nel paradosso di ammazzare l'ultimo assassino e l'autorità interviene quasi
sempre a sproposito, giudicando frettolosamente in base a testimonianze equivoche,
penalizzando innocenti che scontata pena ingiusta diventano i nuovi luttuosi protagonisti
della carneficina: in particolare quel "disarmarsi di sangue" da parte dei componenti di due
famiglie è originato dalla costrizione alla convivenza all'interno di un esiguo territorio ma
quella manciata di case, quel piccolo paese con relativo tempio religioso non rappresenta
che il vetrino, la miniatura di più popolose società organizzate in territori di ben più vasti
confini.
Ed è proprio dall'antinomica DISAMISTADE che traggono la propria origine quell'elogio della
solitudine e quell'inno all'isolamento che sono il tema di tutte le altre canzoni dell'album.
Ché anzi nell'isolamento delle remote province dell'Impero dove i casolari sembrano
naufragare nello sterminato concerto della natura, ci si può ancora mettere d'accordo; lì
l'autorità del controllo centrale non arriva e fra gente semplice e comunque distante al
punto che l'incontro viene vissuto con l'entusiasmo di un avvenimento, il contratto si può
instaurare senza acrimonia seguendo la consuetudine di antichi rituali ricchi di rispetto e di
grazia e quindi di poesia: la CUMBA volerà di casolare del padre a quello dello sposo quasi di
nascosto, senza lasciare segni di torti o risentimenti.
Il contrasto dell'autorità, in questo caso quella paterna, ai desideri del giovane contadino
protagonista di HO VISTO NINA VOLARE, determina in lui una condizione di isolamento, di
totale abbandono: eppure si tratta di desideri più che normali che si esternano nel semplice
tentativo di rassomigliare a se stessi, come negli attori di PRINCESA, delle acciughe o di
KHORAKHANE'. In questo caso il desiderio di diventare adulto che trova ostacolo nella paura
dell'autorità del padre, si risolve in un primo momento nella determinazione dell'adolescente
a fuggire per recuperare da solo il proprio diritto a diventare adulto ed in seguito si sublima
in quella solitudine che lo mette a contatto con l'Assoluto nel contemplare il mistero della
creazione: "quale sarà la mano che illumina le stelle". Anche in questo caso la situazione di
isolamento, di estraniazione dall'"altro" produce una crescita, una maturazione spirituale
che si può ottenere trasformando l'apparente disagio dell'abbandono in una libera e statica
contemplazione.
SMISURATA PREGHIERA è l'epitome del disco, la summa dei tracciati che lo percorrono. Ed
è ancora un affresco sulle minoranze, sulla necessità di difendersi da parte di chi non
accetta "le leggi del Branco", su coloro insomma che devono pagare per difendere la propria
dignità: gli unici che attraversando l'emarginazione e la solitudine riescono ancora a
"consegnare alla morte una goccia di splendore". La musica dell'intero CD segue il
nomadismo delle parole (italiano, romanes, brasiliano e genovese) e dei personaggi
attraverso l'impiego di strumenti di diversa origine organica e di varia geografia conferendo
all'intero lavoro i connotati di un linguaggio sincretistico dalle sonorità etnico-classiche.
Fabrizio racconta Anime Salve (2)
Fabrizio De André entra nello spazio Gucciardini, a Milano, alla fine dell'ascolto del suo
nuovo album "Anime Salve" e della proiezione del video di "Ho visto Nina volare". Un
applauso fragoroso saluta il suo ritorno sulle scene dopo quasi sei anni (tanti ne sono
passati dall'album "Nuvole").
"Sono qui solo per ringraziarvi" dice. Ma poi risponde alle domande dei giornalisti per oltre
venti minuti. All'inizio ringrazia tutti quelli che hanno lavorato al suo album (dal
percussionista Naco, morto all'inizio dell'estate all'arrangiatore Piero Milesi, fino alla
compagna Dori Ghezzi e ai figli Cristiano e Luvi De André).
Ringrazia anche Fernanda Pivano ("Per avermi fatto scoprire Edgard Lee Masters") e l'amico
Beppe Grillo ("Ha sostituito in questi anni l'assenza di mio fratello"), entrambi presenti.
A chi gli chiede se il disco è un elogio alla follia come esempio massimo di libertà, De André
risponde: "Il massimo della libertà è il potere fuggire da ogni regola precostituita. E in
questo senso il folle è libero. Ma il mio non è un elogio alla follia, l'ha già fatto un certo
Erasmo. Comunque non capisco come chi esercita il potere non si renda conto di non essere
anche lui libero. Chi esercita il controllo sugli altri, infatti, non è libero. Basta vedere come
certe madri vanno in apprensione per i figli, perdendo così ogni libertà. Eppure ci sono
ancora del matti che si divertono ad esercitare il controllo sugli altri".
Il suo è quindi un elogio alla solitudine?
"Io sono uno che sceglie la solitudine. E che come artista si fa carico di interpretare il
disagio rendendolo qualcosa di utile e di bello. E' il mio mestiere".
Ma questo è un disco più anarchico o più mistico?
"Non c'è molta distanza tra certo anarchismo e certo misticismo. L'anarchismo affonda le
sue radici nel cristianesimo, visto che il Cristo filosofo è stato il più grande anarchico di tutti
i tempi insieme a Socrate. La solitudine a cui inneggio, comunque, non porta all'egoismo ma
diventa un mezzo per aiutare gli altri. Credo infatti che chi non sa aiutare se stesso non
possa aiutare gli altri".
Il suo elogio delle minoranze fa venire in mente anche la Lega...
"Io credo che ogni piccola etnia abbia diritto all'autodeterminazione, ma bisogna vedere
come la chiede. Bisogna che si comporti da minoranza, mentre la Lega è una minoranza che
si comporta da maggioranza, assumendone tutti i difetti".
Ma lei cosa ne pensa delle posizioni della Lega?
"A me piacerebbe tornare ai liberi comuni, alle città stato".
A questo punto l'anarchico De André parla del potere.
"Mi fa paura questo sistema che considera gli uomini meno importanti dei capitali: tant'è
vero che i primi sono molto meno liberi di circolare dei secondi. E' una cosa ignobile e
pericolosa".
Com'è andato veramente il rapporto con Ivano Fossati?
"Benissimo. Ci conosciamo e ci stimiamo da vent'anni. Lui ad un certo punto ci ha lasciati
perché doveva lavorare al suo nuovo album. Tutto qui. Stasera non c'è perché ha pensato
che questa doveva essere la mia serata, così a preferito stare a casa".
Lei dice che il suo album è una testimonianza di molte altre solitudini, ma anche un inno alla
solitudine. Non c'è il rischio che diventi anche un inno all'egoismo?
"No. Il mio è un inno alla solitudine come possibilità di riscatto da situazioni di disagio. Il
primo grande disagio l'uomo lo prova al momento della nascita quando passa dall'acqua
all'aria. Il secondo quando si rende conto che il suo destino è morire. Alcuni, poi, ne vivono
un terzo: il disagio dell'isolamento. Ebbene, secondo me, chi passa attraverso questi tre
disagi matura spiritualmente. La solitudine porta a contatto con l'Assoluto".
La sua è una solitudine più anarchica o più mistica?
"In fondo non c'è molta distanza tra certo anarchismo e certo misticismo. L'anarchismo
affonda le sue radici nel cristianesimo, visto che il Cristo filosofo è stato il più grande
anarchico di tutti i tempi insieme a Socrate. La solitudine a cui inneggio, comunque, non
porta all'egoismo ma diventa un mezzo per aiutare gli altri. Credo infatti che chi non sa
aiutare se stesso non possa aiutare gli altri".
Quando partirà il tour?
"Il 20 gennaio e andrà avanti fino al 20 marzo. Con me ci saranno i miei figli, Cristiano e
Luvi. Dori Ghezzi no: bisogna che qualcuno stia a casa. Comunque vorrei che mi aiutaste
convincerla ad usare più spesso e non solo nei miei dischi al sua splendida voce".
Poi, De André chiama l'amico Beppe Grillo presente. E lui dal fondo della sala gli risponde:
"Non vengo. Ti ho già tradito per Mina (ha appena inciso un duetto con la tigre di Cremona -
ndr)". E De André di rimando: "Beppe è un grandissimo cantante di rhythm and blues". E
lui: "Comunque una delle ragioni per cui non farò mai un disco è che non poteri mai fare un
incontro come questo. Ma come fai?". La conferenza finisce così, tra i sorrisi.
Fabrizio racconta anime salve (3)
Di Cinzia Marongiu
Fabrizio de Andrè ha accettato di parlare del suo ultimo disco uscito a sei anni di distanza da
"Le Nuvole". Fra un tiro all' ennesima MS blu, una battuta in gallurese ed un gesto
impaziente a tirarsi indietro i capelli fini e castani, da eterno ragazzo:
Ha definito il suo disco come la descrizione di svariate solitudini. La sua è una solitudine
cercata. Di cosa la nutre ?
"Di letture, di meditazione e di confronto con la memoria. Il ricordo del passato si distorce
nella misura del tempo ed è interessante cercare di capirne il motivo, anche con l' aiuto di
fotografie o di vecchie lettere. Coltivando la solitudine non sei ricattabile, non sei coinvolto
dalle pulsioni di gruppo, di chi ti ronza intorno dandoti e chiedendoti consigli o proponendoti
affari."
E gli svantaggi? Ce ne sono ?
"Sono soprattutto di natura economica .Non puoi approfittare della benevolenza e dell'
appoggio del clan,del partito politico,della parrocchia. Ma non sei obbligato ai compromessi,
alla regole. In arte, al contrario, da tempo mi sento gravato da notevoli responsabilità,
anche morali, nei confronti di chi mi ascolta .
Tendo quindi a dividere questo peso collaborando con chi sento a me affine, sia
spiritualmente, sia artisticamente, avvalendomi cosi di un'ulteriore censura."
I protagonisti di "Ho visto Nina volare ","Princesa",Khorakhanè", "Le acciughe fanno il
pallone" cercano semplicemente di rassomigliare a se stessi. Lei nel corso della sua vita ci
e` riuscito ? E com'è Fabrizio de André ?
"Ci sto appena riuscendo, anche perché da poco tempo comincio a conoscermi. E` un
ritorno all' infanzia , il sentirsi protetto dal circostante,l' abbandonarsi alle infinite voci della
natura, verso cui ti accorgi di essere stato sempre , in competizione, se non in conflitto.
Vivo con una donna di cui rispetto, e che rispetta il comune desiderio di estraniazione e che
mai mi verrebbe a parlare di mare mentre io sto pensando alle nuvole. Vivo in un paradiso
di acqua e di aria pulita, circondato da foreste, da essenze vegetali e da animali di cui
osservo le abitudini senza chiedermi il motivo.
Il motivo è semplicemente la vita."
In "Khorakhane`" parla di una tribù Rom. Cosa l' affascina negli zingari ?
"I dizionari di psicologia definiscono il continuo spostarsi senza altra meta che non sia lo
stesso movimento, "dromomania", attribuendole il significato di fuga dall'angoscia. Posso
accettare la definizione se per angoscia si intende il timore della morte, ma ben venga
questo popolo che la esorcizza con il suo eterno viaggio intorno al mondo. Senza armi."
Un giudizio che tiene conto del fatto che alcuni di loro rubino per vivere ?
"Certo, vero, gli zingari rubano. Neanche loro possono sottrarsi a quell'impulso al
saccheggio che è nel DNA della razza umana. Però non mi è mai capitato di leggere o
sentire di uno zingaro che abbia rubato tramite banca."
I suoni di questo disco arrivano e guardano in ogni direzione. Da dove è partita la ricerca ?
"È una ricerca di cui non ho l'intero merito. Anzi ne ho una modesta parte. Arriva da molto
lontano, dall'attenzione che ho prestato nel volgere degli anni alle esperienze altrui, da tutti
i musicisti e i gruppi con cui ho collaborato. A partire da Reverberi e dai New Trolls per
arrivare a Fossati e Milesi, attraverso il confronto con Piovani, Pagani e la PFM. Ognuno ha
portato il suo contributo, facendo sì che in questo disco si riunissero diverse tendenze e
svariati generi."
Lo si può definire in disco etnico?
"Non lo si può definire etnico perché emergono troppi elementi classici, non lo si può
etichettare come classico per il motivo opposto. Ma non mi sento neanche di classificarlo
come un disco pop, perché nel pop difficilmente convergono in misura cosi definita elementi
della musica etnica e di quella classica. Non mi resta che non definirlo, a meno che non mi
si voglia far passare questa definizione: è un disco fuori genere."
Portoghese, genovese, romanes: in che modo le lingue utilizzate nel disco seguono il
contenuto dei brani ?
"In modo estremamente naturale .Cosi come nel ricordo dell' alluvione che sommerse
Genova nel '72 mi e` sembrato quasi doveroso inserire il genovese,alla stessa maniera ho
voluto sottolineare la storia di un viado brasiliano che recitasse in portoghese una serie di
vocaboli emblematici del percorso della vita di "Princesa".E sempre per la stessa ragione ho
affiancato alla voce del vecchio zingaro che narra le proprie esperienze il canto di una donna
in romanes, la lingua di origine sanscrita con cui si esprimono i Rom"
La letteratura come fonte primaria di ispirazione. Si riconosce ?
" No.Solitamente traggo ispirazione dalla vita ,mia o degli altri.Anche se in qualche
occasione i sono ispirato direttamente a fonti letterarie: e` il caso dell' album tratto dallo
'Spoon River' di Masters e di pochi altri episodi, tra i quali 'Smisurata Preghiera' , l' ultima
canzone di Anime Salve, il cui testo èuna sintesi del pensiero letterario di Alvaro Mutis. "
So che ha appena finito di scrivere il suo primo romanzo. Di cosa si tratta?
" Non èil mio romanzo, o almeno lo èsoltanto per metà. Lo abbiamo scritto Alessandro
Gennari ed io. Il nostro romanzo si chiama 'Un destino ridicolo', è la storia di tre uomini che
il caso fa incontrare a Genova. Tentano un colpo che andrà male dal cui esito negativo
nasceranno occasioni di fortuna per altri personaggi, tra i quali gli stessi narratori,
Alessandro ed io."
Quando uscirà in libreria ?
" Credo il 22 novembre. Sara` pubblicato da Einaudi."
Secondo lei, la canzone è un genere letterario?
" Io intendo per letteratura l'arte di raccontare. Da questo punto di vista la canzone è
sicuramente un genere letterario che aggiunge alla narrazione la suggestione del canto. È
bene non dimenticare che l'intera opera poetica di Omero era cantata e cosi si può dire di
quasi tutta la poesia trovadorica."
Quali sono gli scrittori a cui è più affezionato ?
"Sarebbe un elenco troppo lungo. Preferisco quei romanzieri che da giovani hanno scritto
poesie, come Bufalino, Samarago e lo stesso Mutis."
Che cosa pensa dell' idea di assegnare a Dylan un Nobel?
"Bob Dylan è un grande artista e come tale merita un riconoscimento di livello mondiale.
Che glielo si voglia dare come poeta o come cantautore non fa molta differenza dal
momento che non esistono arti maggiori e arti minori. Esistono invece artisti maggiori e
artisti minori."
A quando la tourneé ?
"Dovrebbe essere tra la fine di Gennaio e i primi di Aprile del '97. Ci saranno anche i miei
figli Luvi e Cristiano."
A proposit , tutti e due e sua moglie hanno collaborato al disco. Com' è nata l' idea ?
"Niente di straordinario. Siamo evidentemente una famiglia di artisti e trovo logico che ci si
dia una mano."
Che cosa pensa delle lusinghiere critiche rivolte a Dori Ghezzi su alcuni quotidiani ?
"Curiose vicissitudini e imbarazzi di natura emotiva l'hanno portata ad abbandonare il canto.
Ogni volta che ci riprova dimostra di possedere doti interpretative eccelse sulle quali non ho
mai avuto dubbi. Rispetto totalmente le sue scelte ma continuo a sperare che ci ripensi"
Cosa la lega alla Sardegna?
L'aver ritrovato l'ambiente naturale della Liguria cosi com'era nell'immediato dopoguerra.
Inoltre, pare che il più antico insediamento in Sardegna sia stato operato da uomini dell'era
neolitica provenienti da Finale Ligure: i reperti sono stati portati alla luce nell'isola di Santo
Stefano, nell'arcipelago di La Maddalena. Un motivo in più per sentirmi a casa."
L' azienda agricola ricoprirà sempre più importanza nella sua vita ?
"Si, credo proprio che finirò per fermarmi qui, cercando di creare le condizioni ideali ad un
lentissimo passare del tempo".
Un poeta contemporaneo
di Gisella Castellina
News ITALIA PRESS
"Appartarsi il più possibile. Solo attraverso la solitudine possiamo leggere in noi stessi e
riprendere contatto con ciò che ci circonda. Risolte le nostre situazioni interiori saremo forse
in grado di risolvere grane più grandi". Dialoga con il pubblico Fabrizio De André durante i
suoi spettacoli (limitativo parlare di concerti), regala perle di saggezza semplici, immediate,
non solo tramite la forza delle sue canzoni. Un inno alla solitudine, "Anime Salve", l'ultimo
lavoro, dedicato a tutti i diversi e approdato sul palco del Palastampa martedì 25 marzo.
Grande cura per la scenografia ispirata a un paesaggio marittimo con scogli e vele mosse
dal vento, due ballerini che incantano con la loro mimica, giochi di luci con il rosso sempre
predominante, i musicisti tutti in nero. Due ragazzi pieni di talento, Cristiano e Luvi che, che
"...per puro caso portano il mio stesso cognome". E le sue canzoni. Quelle recenti di "Anime
Salve", e le sue vecchie poesie in musica. Il commento prima di ognuna di loro: "Quando
l'uomo si aggrega e inizia a guardarsi attorno nasce il sentimento dell'invidia che porta alle
faide, in sardo disamicizia, DISAMISTADE.." Il commento alle canzoni di creuza de mà,
album in dialetto genovese uscito 14 anni fa: "In quel periodo uscirono dei pezzi stranieri
terribili, ho pensato: incomprensibile per incomprensibile, tanto vale far rivivere il dialetto,
devo dire con grandi lacrime dei discografici. Invece il disco andò bene..". E il commento
finale alle canzoni dei suoi 20 anni, La canzone di Marinella, Andrea, La guerra di Piero, Via
del Campo: "Di allora rimpiango l'ingenuità e l'entusiasmo. Dall'entusiasmo nascono piccoli
miracoli o grandi stronzate..". Nel caso di De André, nessuna piccola stronzata, solo grandi
miracoli....
SUL MURO DI FRONTE ALLA casa milanese di Fabrizio De André un bel manifesto a colori,
sicuramente affisso ai primi di maggio, annuncia ai passanti distratti l'uscita del nuovo
album di Ivano Fossati, "Macramè": e forte è il sospetto che quel poster non sia stato
collocato lì a caso. Forse vuol ricordare che i due cantautori hanno lavorato gomito a gomito
alla stesura di quasi tutte le canzoni dell'ultimo ellepì di Fabrizio: in uscita il 18 settembre, a
sei anni esatti di distanza da "Le nuvole". Il nuovo album s'intitola "Anime salve" e contiene
nove canzoni, per un totale di 46 minuti abbondanti. I testi sono redatti con il cipiglio
consueto, noto fin dal tempi lontani della "Ballata di un impiegato", e le musiche continuano
a svolazzare sopra quella terra di nessuno che sta fra Genova e Parigi, il Mediterraneo e il
lago Balaton: come accadeva anche a "Creuza de ma", l'album della svolta etnica.
Il primo brano si chiama "Princesa", una canzone in forma di ballata che racconta la
sconvolgente vita di un transessuale brasiliano. Una storia vera liberamente tratta dal
romanzo-intervista raccolto nel carcere di Rebibbia dal brigatista Maurizio Jannelli dalla voce
di Fernanda Farias, la "Princesa" della canzone (edizioni Sensibili alle Foglie). Il pezzo
ricorda una storica ballata del primo De André, come "Bocca di Rosa". Allora la protagonista
era una puttana. Adesso un travestito. I tempi sono cambiati. L'ultima canzone ha un titolo
alquanto ineffabile, "Smisurata preghiera", e versi in splendida sintonia: "Ricorda, Signore,
questi servi disobbedienti alle leggi del branco". E anche per questo il regista Sergio Cabrera
l'ha voluta inserire nel suo film "Ilona arriva con la pioggia", appena proiettato a Venezia.
Però in lingua spagnola, "Desmedida plegaria": dal momento che sia il film che la canzone
trovano il loro terreno di coltura nelle opere di Alvaro Mutis, il grande scrittore colombiano.
Partiamo proprio da Mutis. Come è arrivato a conoscerlo?
"Per una di quelle gradevoli coincidenze che il destino, ogni tanto, si diverte a mettere in
scena. Nel 1991 il mio amico Vittorio Bo mi regalò un suo romanzo, "La neve
dell'ammiraglio", che trovai semplicemente straordinario. Allora cominciai a divorare tutti i
altri suoi scritti, e quando arrivai alla raccolta di poesie "Summa di Maqroll-il gabbiere" presi
il coraggio a quattro mani: gli domandai se avesse nulla in contrario a che mi appropriassi di
qualche pezzo pregiato della sua sterminata gioielleria, per incastonarlo in una canzone che
avevo in mente. In questo modo è nata "Smisurata preghiera", e devo confessare che mai
parto fu tanto soddisfacente".
Anche l'incontro con Cabrera può essere ricondotto a una "semplice danza del destino",
come direbbe Bob Dylan?
"Naturalmente. Lui stava già lavorando a "Ilona arriva con la pioggia", quando, un bel
giorno, gli capita sotto gli occhi la notiziola riportata da un quotidiano: dalla quale apprende
che abbiamo in comune la medesima ispirazione letteraria. Ci troviamo, chiacchieriamo un
bel po', e alla fine mi chiede se può utilizzare la canzone che sto scrivendo per i titoli di coda
del suo film. Gli dico di sì, ci mancherebbe altro. E così comincia anche il secondo atto della
danza".
Il terzo dovrebbe riguardare li suo incontro con Ivano Fossati...
"Infatti. Ci conosciamo da vent'anni, ci annusavamo già da tempo. Forse perché amiamo gli
stessi autori, per esempio Gesualdo Bufalino, o forse perché siamo due solitari: anzi,
creature della notte: ed è veramente piacevole collaborare con chi, come me, fatica a
svegliarsi prima delle due del pomeriggio. A questo, ovviamente, occorre aggiungere la mia
stima incondizionata nei suoi confronti. Ivano possiede una capacità stupefacente di cucire
fra loro musica e parole. Di fare musica cantata, insomma...".
Non c'è dubbio. Ma i giornali hanno anche parlato di notevoli screzi fra di voi. Di un feeling
non sempre armonioso.
"Niente di più falso. L'avranno scritto perché, forse, hanno male interpretato le nostre
discussioni di carattere musicale: non è un mistero per nessuno che Ivano ami soprattutto il
jazz, mentre io prediligo la classica. Ma litigare con lui è assolutamente impossibile. Dirò di
più: questo è l'unico punto su cui, entrambi, siamo in totale disaccordo con quel che afferma
Bufalino: "Non si può diventare amici se non si è coetanei". Non è così. Io ho una decina
d'anni più di lui, ma riusciamo ugualmente a stimarci e apprezzarci. Lui sopporta di buon
grado le mie geremiadi sui disastri della prostatite, e io tutte le sue disquisizioni a proposito
di nuovi amori e nuovi viaggi. A un'amicizia disinteressata, non si può davvero chiedere
molto di più".
Questo, insomma, è lo zoccolo duro su cui avete edificato l'album senza nome...
"Sì. E' stato un gioco di botta e risposta, Ivano al pianoforte e io alla chitarra Certo, in
alcune canzoni si sente la mia prevalenza, in altre la sua. Ma, nel complesso, il lavoro è
stato pensato, architettato e realizzato a quattro mani. Senza alcun ammiccamento, al
contrario di quanto era avvenuto in passato".
A che cosa si riferisce, in particolare?
"A un paio di episodi del mio album precedente, "Le nuvole". Lì, senza magari esserne del
tutto cosciente, qualche piccola astuzia me l'ero concessa. Per esempio la poesiola iniziale,
che è piaciuta tanto al bambini: e che mi ha permesso di vendere più dimezzo milione di
copie del disco, una quantità per me straordinaria. O la stessa "Don Raffaé", che tutti hanno
immediatamente interpretato, con piena ragione, come una canzone essenzialmente
politica. In questo disco, invece, la politica è sempre presente, ma molto metaforizzata. Sta
rigorosamente dietro le quinte, insomma, e cede il ruolo di protagonista ad altri attori ben
più dignitosi. Come è giusto che sia".
In parole povere, il destino ritorna di nuovo in scena...
"Certo. E devo dire che non trovo alcuna contraddizione di rilievo tra questo senso
dell'immanenza e i postulati fondamentali della mia fede anarchica. Se, come diceva quel
tale, la vita è una lunga fuga dalla nascita, più che una corsa verso la morte, allora tanto
vale trasformare questa angoscia perenne in un sentimento positivo: per sé e per gli altri.
Detto in termini brutali, la merda è sempre merda. Ma se la smettiamo di tirarcela in faccia,
e cominciamo invece a utilizzarla per coltivare fiori, allora diventa infinitamente più utile.
Addirittura gradevole".
Mi par di capire che, in questi ultimi anni, il destino le ha riservato altre sorprese...
"Certo. La prima, assolutamente positiva, riguarda il libro che sto scrivendo a quattro mani
con Alessandro Gennari, l'autore di "Le ragioni del sangue". Si tratta di un romanzo
apparentemente leggero, che parla di tre balordi - un sardo, un genovese e un mantovano -
che tentano un colpo che poi andrà a finire male. Un romanzo nato per caso, diciamo così:
in seguito a un'amicizia vecchia di vent'anni - avevo conosciuto Gennari a Mantova, nel
1975, perché la sua faccia era identica a quella di mio figlio Cristiano - e ravvivatasi negli
ultimi mesi. Dopo la sua vittoria al Premio Bagutta nella sezione Opera prima".
E la sorpresa negativa?
"Quella riguarda il fatto che, per la prima volta nella mia vita, ho deciso di darmi delle
scadenze. Vede, il mio contratto con la Bmg-Ricordi prevede altri due dischi, oltre a questo
in uscita: e in un momento di grande entusiasmo ho accettato di pubblicare il primo nel
2000 e il secondo nel 2003 Non so se ho fatto bene, visto che i tempi mi sono sempre
andati un po' di traverso. Ma, d'altra parte, ormai è troppo tardi per piangere sui latte
versato. Qualcosa accadrà".
Sei anni di silenzio e dl lavoro. Qualche rarissima apparizione in pubblico. Una lunga
stagione di isolamento, di creazione e di avventura. Ma ora, sul finire di questo 1996,
Fabrizio De André come per un incanto ha rotto gli indugi: prima un disco, Anime salve,
tante volte annunciato e tanto sospirato dai suoi fans. Poi anche un libro, Un destino
ridicolo, scritto a quattro mani con un amico psicoanalista e scrittore, Alessandro Gennari. E
non è finita qui: per il '97 è prevista anche la tournée che porterà De André in giro per
l'Italia. Ma anche se cambia il ritmo della vita, il suo sguardo pacato, il suo modo di
soppesare le parole restano invece quelli di sempre. E se gli domandi cosa c'è di speciale, di
straordinario nel suo mondo ti risponde così:
"Al di fuori dei miei sogni. del mio contatto con qualcosa che altri hanno voluto definire
"assoluto", vivo normalmente come credo la maggior parte dei miei simili. Delle mie canzoni
non mi ritengo neppure totalmente responsabile: vengono con le idee, forse sono idee, forse
qualche altra cosa che non so definire".
Ma come nasce, come si diventa cantautore? Ad esempio, come nacque il De André
cantautore?
"La mia famiglia, dal lato paterno, è di origine francese: provenzale perla precisione. Mio
padre, durante l'intero arco della vita, non perse mai i contatti con i luoghi d'origine.
Ritornando dai suoi viaggi portava a me e a mio fratello Mauro qualche regalo, in particolare
dischi di musica popolare. Fra questi, a 14 anni, scoprii le canzoni di Brassens. A scuola, al
contrario di mio fratello, non primeggiavo. Così in famiglia avvertivo un clima di
competizione, che mi metteva ansia".
E la sua vocazione musicale scaturisce da quest'ansia?
"Da un certo senso sì. Lo specchio in cui riflettevo le mie angosce era rappresentato da mia
madre. La quale nel 1954 pensò di regalarmi una chitarra e trovò anche un maestro
colombiano che mi insegnasse a suonarla. Posso dire che i doni di mia madre e di mio padre
si sommarono miracolosamente per indirizzarmi a quello che gli altri riconoscono come mio
mestiere".
La sua scelta di diventare cantante venne accettata senza problemi in famiglia?
"All'uscita del mio primo disco mia madre si dimostrò subito entusiasta. Mio padre lo fu solo
qualche anno dopo, quando, stando già fuori casa, avevo dimostrato di sopravvivere più che
dignitosamente con un'attività che ai tempi veniva considerata più un espediente che un
vero lavoro".
Lei parla di suo padre con una sorta di venerazione. Quanto è stato importante per lei
questo rapporto?
"E' una persona di cui parlo molto volentieri. Si laureò in Lettere a Torino studiando di notte
e lavorando di giorno per pagarsi gli studi. Dove riuscisse a trovare il tempo per dormire
non me lo ha mai raccontato. Tra i frammenti dei tanti ricordi che mi confidò quando negli
Anni Settanta diventammo intimi amici, ce n'è uno che ricordo nitidamente. Quando le leggi
razziali vennero estese anche in Italia, mio padre ricevette la visita di due gentiluomini che
lo pregavano di stilare l'elenco degli studenti di origine ebraica che frequentavano la sua
scuola a Sampierdarena. Mio padre li rassicurò. Poi il mattino seguente fece il giro delle
classi raccomandando a tutti i ragazzi che avevano ascendenti ebrei di rifugiarsi da qualche
parente in campagna fino alla fine della guerra. Un paio di giorni dopo i due compari si
fecero di nuovo vivi, intimandogli di seguirli, perché il questore desiderava parlargli. Lui li
tranquillizzò. Chiese solo di poter avvertire la segretaria. Naturalmente li ingannò e uscì da
una porta secondaria. E i fascisti devono ancora trovarlo adesso...".
Poi, dopo la guerra, entrò in politica...
"Sì, divenne vicesindaco di Genova nelle file del partito repubblicano. I comunisti
tappezzarono la città con un fotomontaggio in cui appariva vestito da prete. Per lui fu uno
choc, ma confesso che io e mio fratello ci facemmo - naturalmente di nascosto - un sacco di
risate. Poi si schierò con il presidenzialismo di Pacciardi e venne espulso dal partito. La
motivazione suona ancora al mio orecchio come la nota di un corno stonato: "Indegnità
politica". A proposito, signor La Malfa junior, dal momento che avete riabilitato Pacciardi,
perché non fate lo stesso per mio padre?".
Torniamo a lei. Cosa resta del contestatore di un tempo?
"La politica in questo momento e in questo Occidente che ha scelto il capitalismo non solo
come sistema economico ma anche come teorema filosofico e morale, non esiste più. Chi
guida il Paese, chi muove le leve dell'informazione è il grande capitale. I numeri sono
diventati più importanti degli uomini. Chi paga le conseguenze
più dure sono le minoranze politiche, religiose, culturali o anche solo comportamentali:
proprio quelle da cui si potrebbero attingere nuove idee".
Questo influisce anche sulla musica. Si scorge una certa stanchezza e una povertà di
ispirazione...
"La poesia e la canzone non hanno mai goduto di tangibili privilegi. Non è quindi una
genetica mancanza di ispirazione quanto la scarsa considerazione da parte dei
contemporanei ad ingenerare in molti artisti una profonda sfiducia nel proprio lavoro. Gli
uomini sono tutti potenziali artisti, ma devono fare i conti con esigenze di vita che con il
tempo si sono moltiplicate, trasformando semplici orpelli in insopprimibili necessità. Per gli
artisti troppo ricchi vale il discorso contrario. E, nel nostro tempo, cantanti e autori ne sono
un innegabile esempio: avendo troppo coltivato il gusto per il superfluo e dato eccessivo
riscontro alla parte più rozza della loro esistenza hanno perduto, insieme al rispetto per la
propria arte, il gusto e la capacità di esercitarla".
Dopo Anime salve l'attende una faticosa e lunga tournée. Con che spirito l'affronterà?
"Cercherò di impegnarmi al massimo per difendere il rispetto che devo al pubblico e che
intendo mantenere anche nei confronti di me stesso, anche se le esibizioni non sono mai
state al vertice dei miei desideri. Sarò confortato, oltreché dalla presenza di ottimi musicisti
con cui ho una lunga consuetudine di lavoro e di amicizia, dall'intervento di entrambi i miei
figli: Cristiano con il compito tutt'altro che facile di sostituire in grande polistrumentista
come Mauro Pagani e Luvi, mia figlia, come corista. Cristiano non ha ormai bisogno di
affettuosi encomi paterni, mentre Luvi penso rappresenterà una piacevole sorpresa per
tutti".
Intervista alla Gazzetta di Parma
di Cesare Pastarini
Intervista rilasciata da Fabrizio De André alla Gazzetta di Parma e pubblicata il 4 marzo
1997.
Lei canta le minoranze, il rispetto: si considera trasgressivo?
Trasgressivo a ogni regola consuetudinaria, basti pensare alla sacralità dell'ospite in ogni
civiltà arcaica, sono semmai le maggioranze con la loro pessima abitudine di contarsi, di
rilevarsi numerose e potenti e quindi con il consenso peloso delle autorità di sentirsi in
diritto di vessare e umiliare chi abbia comportamenti divergenti dai loro.
Cantando, cosa risolve?
Risolvo soprattutto due necessità comuni a tutti gli uomini: quella di potermi esprimere, e la
canzone me lo permette attraverso un genere letterario e musicale a me congeniali; e di
guadagnarmi da vivere con un'attività anche divertente e gratificante.
All'archivio del nostro giornale si è aggiunta recentemente una fotografia: Adriano Sofri
seduto sul divano di casa assieme ai giornalisti, alcuni istanti prima di entrare in carcere. In
mano tiene "Anime salve". Un caso?
Sofri molti anni fa dichiarò a un quotidiano che qualche mia canzone dei primi anni '60
aveva anticipato alcuni degli argomenti che sarebbero diventati in seguito temi fondamentali
della rivolta del '68. Può quindi trattarsi di un caso il fatto che sia stato fotografato con
Anime salve, ma non è affatto un caso che era nella lista delle persone che io desideravo
ricevessero il disco".
Con Alessandro Gennari ha scritto "Un destino ridicolo", sancendo il suo debutto
nell'editoria. Non dev'essere stato facile, per un cantante abituato a scrivere testi di quattro
minuti, lavorare con uno psicoanalista, dai tempi decisamente diversi.
Il testo di una canzone si muove negli spazi stretti che gli vengono lasciati dalla musica: è
quindi necessario raccontare in modo coinciso, adoperando un linguaggio simbolico, quasi
da ideogramma. La prosa ti concede tutto lo spazio che vuoi, ma quello che può sembrare
un vantaggio rischia di diventare una trappola, tanto più in una forma letteraria come il
romanzo, dove, se non sei più che abile, nello spazio di una decina di pagine ti puoi mettere
con le spalle al muro , come Shultz fa dire all' improvvisato romanziere Snoopy. Non a caso
accanto a me c'era Alessandro, che nel la vita avrà fatto lo psicoanalista una decina di volte.
Il nostro è stato un incontro tra un romanziere con disposizioni analitiche e un cantautore
necessariamente dotato di capacità di sintesi. Due orribili e marginali personaggi del
romanzo descrivono, anche se frettolosamente, il senso di una collaborazione tra differenti
attitudini: ….dicevano di lavorare bene in coppia perché uno di loro, quello che portava luna
cravatta da colori vivaci, sapeva inventare e l'altro sapeva mettere in ordine. Poi, scrivendo
insieme, i ruoli si sono sovrapposti, si sono incrociati fino a invertirsi. Anche per questo è
stata una splendida esperienza, decisamente evolutiva
Torniamo alle sue origini: il prossimo album uscirà nel terzo millennio?
Non guardo mai l'orologio quando scrivo: purtroppo lo guarda la casa discografica e ci punta
sopra gli occhi come se tosse un tassametro. E' probabile, quindi, che entro il Duemila
uscirà un mio nuovo album.
Come immagina la società del Duemila?
Una società per lo per lo più nomade, separata da due diverse fruizioni dell'economia. Da
una parte coloro che riusciranno ancora a scambiare denaro contro merce e dall' altra
un'economia che si potrebbe definire del dono, se non addirittura del mutuo soccorso. Penso
che gli individui che utilizzeranno questa seconda forma di scambio saranno più numerosi
degli altri e probabilmente migliori, più ricchi da un punto di vista spirituale.
Sempre più spesso leggiamo che lei salpa per la Sardegna: una fuga da Genova?
Tutt'altro; è proprio il ritorno a una Liguria più antica, come me la ricordavo alla fine degli
anni '40, quando c'erano ancora più alberi che case, più animali che uomini. La natura sarda
è molto simile a quella ligure, o per meglio dire la ripropone come era una volta con il
vantaggio di essere un piccolo continente di 24.000 kmq, abitato da poco più di un milione e
mezzo di persone. Un paradiso quasi disabitato dove non si riesce semmai a capire come
possa esistere un 16% di disoccupazione.
Con "Anime salve" prosegue il discorso della musica etnica. Ma i dialetti secondo lei,
separano o uniscono?
Devo dire che solitamente sono le imposizioni autoritarie a disunire, anche all'interno di una
nazione: così, per via di un editto di molti secoli fa che obbligò tutti i francesi ad adottare
nelle scuole la sola lingua d'oil buttando a mare il provenzale, ancora oggi i cittadini del sud
della Francia, che per strada parlano la lingua d'oc, hanno atteggiamenti politici contrastanti
con il resto della nazione: votano per Le Pen, molti sono inspiegabilmente accesi
monarchici; tutto ciò, probabilmente, per esibire un'identità differente, un'identità perduta
molti secoli prima con il tentativo di sopprimere la loro lingua, la loro madre lingua.
Pensa che stiamo perdendo gli idiomi locali?
Esiste soprattutto il pericolo di perdere un enorme patrimonio linguistico con la soppressione
o la repressione degli idiomi locali, un patrimonio da cui la lingua italiana si nutre
costantemente per non scadere a linguaggio esclusivamente mercantile o giudiziario. Il
discorso sarebbe interessante, ma non credo possa essere argomento per una breve
intervista.
Federalismo, secessionismo, Lega Nord: c'e' chi prosegue con la sua opera di
sgretolamento….
Non necessariamente la richiesta di autodeterminazione di un popolo, di un'etnia, porta allo
sgretolamento. E poi lo sgretolamento di che cosa? Dello Stato? Ma lo Stato non e' che il
pesantissimo involucro burocratico di una nazione, ne e' l'organizzazione verticistica, con la
divisione dei sudditi in classi sociali. C'e' chi Io vorrebbe più grande come gli europeisti e chi
lo vorrebbe più piccolo come i secessionisti. Per quanto mi riguarda mi accontenterei di
sentirmi partecipe di un grande privilegio: l'appartenenza alla razza umana. Per il resto,
facciano pure loro. Certo uno Stato europeo mi fa paura come me la farebbe uno Stato
padano, come ci ha fatto paura lo Stato italiano, basti pensare alle ultime due guerre:
perché sa, non sono mica i popoli, come vogliono farci credere che si dichiarano guerra,
sono proprio gli Stati. E d' altra parte una nazione europea, a ben vedere esiste già e questi
miei connazionali li frequento da decenni; pure con la. gente padana ho consuetudini
pluridecennali, anche se mi riesce difficile individuarli come entità nazionale a se stante.
Comunque, facciano come credono, io mi riconosco in ogni mio simile, ricco o povero che sia
perché questa opera di sgretolamento, o quell'altra di megastatalizzazione, seguono
soltanto il ritmo convulso delle pulsioni economiche.
Permetta un'ultima battuta. Tutta la famiglia De André sul palco: siete un po' come i
Maldini...
Anche come i fratelli Marx, o magari gli Strauss o i Mozart. Voglio dire che mi sembra
normale che se i componenti di una famiglia svolgono la stessa attività si ritrovino insieme
sul posto di lavoro. Forse per la prima volta, grazie a un calendario che ci obbliga a, un
percorso comune, riesco a parlare' di più con entrambi i miei figli. E anche questa è una
grande fortuna.
Anime da salvare
di Gino Castaldo
"Sto maneggiando la chitarra, perché prima di un tour devo sempre recuperare un po' di
esercizio. Anche con la voce ci sono dei problemi, in concerto devo cambiare tre modi di
cantare". Il tour è imminente, quando scoviamo Fabrizio De André nella sua casa in
Sardegna, ma a lui interessa parlare di tutt'altre cose, di fatti che lo preoccupano, come il
caso Sofri: "Mi è tornato alla memoria un libro scritto vent'anni fa da Leonardo Sciascia,
Todo Modo, in cui si parlava di transustanziazione della legge. Perfino la Chiesa oggi ritiene
che non sia fondamentale credere alla transustanziazione, cioè nella trasformazione
dell'Ostia e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Invece lo Stato ci erede ancora. Il caso
Sofri mi sembra proprio un caso di transustanziazione della legge. La legge si trasforma in
una esibizione del potere dello Stato. Non è importante che colpisca il colpevole o
l'innocente, che nella sentenza si trasferisca la giustizia, ma solo che colpisca e che i
cittadini ne siano terrorizzati. Non è più un atto di giustizia, ma semplicemente un'esibizione
di forza. Non riesco a definire le tre sentenze Sofri se non come terroristiche, ma del resto
questo fenomeno dello Stato che deve mostrare i muscoli è ricorrente. Pensiamo al caso
Tortora, ma anche a molti innocenti che non hanno un nome noto".
Però è curioso dover ricucire queste considerazioni per fatti accaduti tanti anni fa.
Molti, i giovani, ne hanno perso la memoria…
"Ma anche oggi c'è uno status di disagio, con molta disoccupazione, che fa presumere a chi
metta fuori un po' di antenne che ci possano essere di nuovo fenomeni di terrorismo. Non
riesco a pensarla diversamente...".
Eppure la giustizia non è sempre e solo questo...
"Ma certo. Eppure anche un magistrato come D'Ambrosio, che comunica molta fiducia e
serenità, lui stesso ha detto che non bisognerebbe fidarsi di un pentito su un fatto di sedici
anni fa, come minimo bisognerebbe chiedergli perché ha aspettato tutti questi anni, o
almeno confrontarlo con un altro testimone".
Girare in tour è anche un modo per conoscere, per vedere l'Italia attraversando le
sue diversità. In questi casi cosa le viene da pensare, che l'unità nazionale sia un
mito o una cosa reale?
"Il concetto di nazione è semplice: un popolo che parla la stessa lingua, su uno stesso
territorio. In questo senso credo che gli italiani abbiano dimostrato di esistere. Quantomeno
lo si nota all'estero quando gli italiani cercano di ricreare una piccola nazione in territorio
straniero. Purtroppo sopra di questo esiste una realtà molto più astratta concettua1mente,
ma molto più concreta e penalizzante nella sua presunta efficienza, e questa realtà si
chiama Stato, e cresce, si rafforza attraverso gli assiomi della filosofia idealistica, diciamo
pure da Platone fino a Hegel. Attraverso il concetto di Stato gli appartenenti a una nazione
vengono divisi in classi sociali, organizzati non solo per combattere contro altri stati, ma
anche per combattere tra di loro".
Come si inserisce il dialetto in questa logica?
"La lingua nazionale è imposta ai sudditi dall'alto. I dialetti sono il frutto della tradizione e
della invenzione costante dei popoli che li parlano, delle etnie che li hanno creati e
continuano a inventarli. I dialetti sono ricchi di figure retoriche, di proverbi, di aforismi
ingegnosi e anche memorabili. Se la lingua italiana non fosse continuamente nutrita dalla
enorme varietà di frasi idiomatiche rubate ai dialetti sarebbe da tempo una lingua adatta a
vendere patate o per litigare nei tribunali".
Qual è la lingua che parlano le "anime salve" del suo ultimo album?
"Quando ho dato questo titolo, consenziente Ivano Fossati, ho pensato all'etimo delle
parole, vuol dire spiriti solitari, ma detto così suona male; la voce di queste anime salve,
solitarie, è quella di chi cerca di trasformare il disagio in qualcosa di bello e di utile, non
fosse altro il fatto dì rassomigliare a se stessi. Quindi è proprio attraverso le difficoltà che le
minoranze emarginate, o autoemarginate, come molti artisti che vivono in solitudine,
rendono palese la differenza tra la razza umana e le altre specie animali. Sono convinto che
sono i comportamenti diversi dalla regola comune che sono evolutivi e questi
comportamenti sono esecrati dalle maggioranze, ma sono quelli che riscattano l'intera
umanità dal rischio di addormentarsi, di fermarsi".
E allo stesso modo possiamo immaginare qual è la voce del dolore?
"E quella di chi non riesce a scrollarsi di dosso regole e comportamenti uniformi, omologanti,
quella di chi non ha il coraggio di opporsi, di chi ha paura di rassomigliare a se stesso, è la
voce delle maggioranze normalizzate e vigliacche".
I dischi di oggi, le canzoni, portano ancora coscienza? La canzone è ancora viva?
"La canzone ha una sua considerevole parte letteraria, anche se con l'aiuto della magia della
musica, di quella che chiamiamo suggestione del canto, e può esprimere diversi punti di
vista, differenti dalle verità che si spacciano come assolute. Se per letteratura intendiamo
arte del raccontare non vedo perché il testo di una canzone non possa essere un genere
letterario. Una canzone può riuscire a far comprendere che di verità assolute non ce ne
sono. Ogni autorità costituita pretende di dare a ogni individuo una precisa identità
anagrafica che non tiene conto di chi nasce in una condizione di chiaroscuro, quando il suo
corpo non corrisponde alle sue aspirazioni. Di fronte a queste verità il potere ha sempre
usato la persecuzione la violenza. La canzone può continuare a fiorire per evidenziare
queste minime differenti realtà contro cui si scatenano smisurati soprusi".
Ma in fin dei conti il mondo sta migliorando o peggiorando? Cage una volta ha
detto sì, ma così lentamente che non ce ne accorgiamo...
"Ma penso anche io che le cose non possano fare altro che migliorare. In occidente la gioia
del denaro, del consumo facile è già finita. Già in molti stanno vivendo il dolore della
povertà. Ma credo che riemergeranno impulsi non cancellati, come quello della
compassione".
De André cambiò Bocca di rosa per non offendere i
carabinieri
di Mario Luzzatto Fegiz
Pochi lo sapevano, ma "Bocca di rosa" di Fabrizio De André, venne censurata dallo stesso
autore. E non per le prestazioni sessuali della protagonista, bensì su cortesi pressioni
dell'Arma, per un verso che riguardava i carabinieri. Il testo cassato diceva: "Spesso gli
sbirri e i Carabinieri al loro dovere vengono meno, ma non quando sono in alta uniforme e
l'accompagnarono al primo treno" e diventò: "Il cuore tenero non è una dote di cui sian
colmi i Carabinieri, ma quella volta a prendere il treno l'accompagnarono malvolentieri".
Lo ha rivelato ieri De André nel presentare il suo nuovo tour nei teatri che partirà il 2
novembre ("roba da toccare ferro: visto che è il giorno dei morti vorrà dire che anziché
"Anime salve" canteremo "salve Anime ") e un'antologia di brani trascurati di alcuni LP ("La
città vecchia", "Se ti tagliassero a pezzetti", "Bocca di rosa" versione originaria, "La canzone
dell'amore perduto", "Il bombarolo") e, chicca, una "Canzone di Marinella" completamente
riarrangiata a jazz eseguita in duetto con Mina ("Lei ha cantato in cinque minuti la sua
parte, io ci ho messo due giorni. Cantiamo un verso a testa, lei in 4/4 io in 3/4 finché poi ci
uniamo"). L'album s'intitolerà "Mi innamoro di tutto" da un verso di una canzone dell'album
"Storia di un impiegato".
E sempre ieri, De André ha presentato un saggio colto intitolato "Accordi eretici" (Euresis
ed.) dove Mario Luzi, Bruno Bigoni, Franco Fabbri, Luigi Pestalozza, Liana Nissin, Roano
Giuffrida e altri dissertano sulla poetica del cantautore.
"In realtà non esiste una gran connessione tra il tour teatrale e il disco -spiega De André -.
Nel tour la novità è costituita da una rilettura e un rilancio della "Buona novella" un disco
ispirato ai vangeli apocrifi pubblicato nel '69. Canterò, uniti in una suite realizzata da Mark
Harris, "L'infanzia di Maria", "Il ritorno di Giuseppe", "Il sogno di Maria", "Le tre madri" e "Il
testamento di Tito". Sono canzoni molto attuali che però avevano bisogno di un po' di
ritmica. Io scelsi i Vangeli apocrifi scritti da autori armeni, bizantini, greci perché era una
versione laica della storia di quell'eroe rivoluzionario che era Cristo che predicava la
fratellanza universale. Solo che Marco e gli altri erano un po' l'ufficio stampa, gli apocrifi,
invece, vanno a ruota libera. I sinottici risentono dell'influenza del Vecchio Testamento.
Negli altri c'è più umanità. "L'opera, pubblicata in piena contestazione studentesca - spiega
ancora De André -non fu capita. Perché fra la rivoluzione di Gesù e quella di certi casinisti
nostrani c'era una bella differenza: lui combatteva per una libertà integrale piena di
perdono, altri combattevano e combattono per imporre il loro potere".
Fabrizio De André ha presentato la band, di primissimo ordine, che lo accompagnerà
nell'avventura nei teatri che durerà fino al febbraio: fra gli altri Ellade Bandini alla batteria,
Mark Harris alle tastiere, Mario Arcari ai fiati, Stefano Cerri al basso, i due figli Cristiano e
Luvi De André (rispettivamente polistrumentista e corista) per un totale di undici elementi.
Scenografia suggestiva con un castello di tarocchi genovesi con le carte più significative (le
stelle, la morte, la carrozza, il diavolo, il sole).
De André riscopre il Gesù guerriero di Renato Tortarolo
Il secolo XIX 3-11-97
PARMA - "Fabrizio, sei grande!" tuona una voce nel buio. Una voce allegra, tenorile. Quasi
golosa. E lui: "Vado per i 58, certo che sono grande...". E tutti ridono, e-una lama di luce
sfarfalla sugli stucchi degli ori del Teatro Regio. Ma dov'è l'imbronciato Fabrizio che incuteva
timore? Venerato dagli studenti, insopportabile a certi benpensanti: con il ciuffo ribelle, e la
faccia di traverso? Gli anni sono scivolati via, e l'artista di oggi è pacato, solido come una
roccia, fra le sue canzoni, la sua musica.
Domenica, al Teatro Regio è cominciato il nuovo tour teatrale: approderà all'Ariston di
Sanremo il 28 novembre, e al Carlo Felice il 10 e 11 dicembre. La prima cosa che vedi sono
giganteschi tarocchi genovesi, che sembrano merli di una cittadella fortificata: una bella
idea di Emilia Pignatelli Morgia.
Ma è De André lo specchio che riflette una concentrazione assoluta: con il suo golf blu, il
mandolino del '700, la voce dalla sinuosa bellezza delle onde. "Vi canterò la solitudine e
l'emarginazione. Quelle delle minoranze, come gli zingari di cui ci parla già Erodoto che
difendono la propria libertà. C'è gente che non riesce a tenersi compagnia. Ma il silenzio non
è un orrore. In una notte come questa, possiamo ascoltare mille voci dell'universo. E
scoprire che il silenzio è meraviglioso...".
E il pubblico applaude. E capisce che De André li sta prendendo per mano, per portarli in un
viaggio nella coscienza degli uomini, ai margini frastagliati del deserto arido del potere:
"Che fa le leggi, ma non le rispetta mai...". In questo senso, la prima parte affidata alle
canzoni di "Creuza de ma" e del recente "Anime salve", il cantautore affronta "La Buona
Novella": "Nel '69, cercai di spiegare agli studenti che anche Gesù di Nazareth aveva lottato
contro i soprusi del potere...".
E quando dà voce a Tito, uno dei ladroni crocifissi sul Golgota, De André assicura uno dei
momenti più alti dello spettacolo: "io, nel vedere quest'uomo che muore, madre, io provo
dolore, nella pietà che non cede al rancore, madre, io ho imparato l'amore...".
Più tardi, rilassato e in forma (" Ho perso sette chili...") dice: "Gesù rimane un esempio da
imitare. Ama il prossimo tuo come te stesso è un principio bellissimo...". E la Chiesa cosa
dirà di questo recupero dei Vangeli Apocrifi? "A suo tempo, l'album fu accettato...". Cosa
pensa dell'incontro fra il Papa e Bob Dylan? "Una bella sponsorizzazione... reciproca".
Dopo le quattro ballate della "Buona Novella", De André affronta "... una carrellata di vecchi
ronzini da battaglia. Canzoni che peccavano d'ingenuità ed entusiasmo, decidete voi...". E
vengono "La canzone di Marinella", "Amico Fragile", "Via del campo". "Bocca di Rosa". Uno
show ricco di "genovesità", con la bella "Invincibili" interpretata da Cristiano De André che,
alle spalle del padre, intreccia melodie suggestive. Bravissima anche la figlia Luvi che, dopo
"Khorakhané", duetta col padre in "Geordie": "Una ballata del '700 che m'insegnò la
professoressa d'inglese di uno degli istituti privati di mio padre...".
Il pubblico va in delirio, e lui, più tardi, dirà: "Troppi riconoscimenti: non vorrei finire in un
museo o in. una piazza, come una statua, alla mercé dei piccioni...". Può sempre continuare
a scrivere canzoni... "E invece, noi cantautori ci troviamo un po' alle strette. Giornali e
televisione ci rubano il mestiere. I tempi dei cantastorie sono finiti. E non vorrei cantare di
me, odio l'autobiografismo...".
Il Teatro Regio lo richiama in scena, lo coccola pieno di gratitudine: "E pensare che mi
accusano di non essere un musicista. D'accordo, un esimio collega come Paolo Conte gira
con la carta da musica in tasca: io non sarei capace...". E allora? Allora ci rimane questo
genovese corsaro, che canta: "Che bell'inganno sei, anima mia, e che grande questo tempo,
che solitudine, che bella compagnia...". E noi con lui.
De André, ciak su Bocca di rosa
di Mario Luzzatto Fegiz
Corriere della sera 1/11/97
PARMA. Il re dei cantautori "storici" Fabrizio De André, per la prima volta nella sua carriera,
approda al cinema. Il suo romanzo "Un destino ridicolo", scritto insieme con Alessandro
Gennari e pubblicato da Einaudi nel '96, diventa un film con la regia di Claudio Bonivento e
la colonna sonora in parte scritta dallo stesso De André. La storia parte dalle esperienze
autobiografiche del De André giovane e scapestrato: fra ambizioni musicali, bettole e tante
donne. Tra queste una timida prostituta d'angiporto e la mitica Mariza, una istriana
disinibita, l'ispiratrice di "Bocca di rosa". Poi la trama si snoda in un giallo che ha per
protagonisti un intellettuale marsigliese passato dalla resistenza al mondo della malavita, un
"pappone" sognatore e un pastore sardo scampato per un soffio a una pesante condanna,
che cercano di fare il colpo che li metterà a posto per tutta la vita.
"Questo romanzo - spiega De André, impegnato nelle ultime prove del nuovo tour al via
domani dal Regio di Parma - mi sta molto a cuore: c'è dentro un pezzo della mia vita.
Ciascuno dei tre protagonisti maschili accetta di entrare nel colpo, un furto di pellicce,
perché è convinto che da quel momento la sua vita cambierà. Il pastore sardo sogna di
aprire una grande fattoria e sposare la prostituta di cui si è innamorato, il protettore di
prostitute che sogna di girare per il mondo insieme a Mariza, la prima donna che non riesce
a dominare (esiste veramente e gode di ottima salute anche se non è più giovanissima). Il
contrabbandiere ambisce ad aprire un centro internazionale di studi anarchici. Il colpo
fallisce e uno dei tre ci lascia le penne. Questo e il seguito fanno capire che la vita è un
chiaroscuro, che non esistono colpi risolutivi e nessuna svolta è definitiva. Il difficile sarà
rendere l'incrocio fra realtà e finzione letteraria nel momento in cui entrano in scena
Alessandro e Fabrizio, cioè Gennari e io. Il libro è già di per sé una sceneggiatura, molto
ricco di descrizioni e dialoghi. Scriverò senz'altro qualche musica o canzone originale per il
film, non certamente tutta la colonna sonora che dovrà attingere, a mio avviso, al repertorio
degli Anni '50, con dovizia di guarrache e mambi".
Se potesse scegliere a chi affiderebbe la parte di Mariza - Bocca di rosa? "In linea
puramente teorica e se riuscisse a mostrare con qualche espediente parecchi anni di meno,
vedrei Brigitte Bardot". E per la parte del contrabbandiere - anarchico? "Per lui vorrei far
resuscitare Jean Gabin". "Sarebbe fantastico anche Lino Ventura" interviene Gennari. E il
regista Claudio Bonivento, 47 anni, comasco, 57 film all'attivo di genere vario, da
"Ecceziunale veramente" a "Pasolini", sottolinea: "L'idea mi è piaciuta subito. Non è usuale,
è ricca di tensione e atmosfere. Una di quelle che hanno bisogno di protagonisti importanti e
magari una voce narrante. E che si presta ad ambientazioni stimolanti come Genova (una
città assai poco usata fino ad oggi come set cinematografico), Marsiglia, Nizza e la
Sardegna".
Intanto, il 6 novembre, arriva nei negozi "M'innamoravo di tutto", nuova raccolta di Fabrizio
De André con il duetto con Mina nella "Canzone di Marinella". E ieri è uscito "Accordi eretici",
il primo studio comparato sulla poetica musicale di Fabrizio De André, introdotto da un
omaggio del poeta Mario Luzi.
De André, due figli e cento canzoni
di Elia Perboni
Corriere della sera 7/12/97
Il botteghino ha già esposto il cartello del "tutto esaurito" per i due concerti, in locandina
lunedì e martedì, che Fabrizio De André terrà allo Smeraldo alle ore 21. Per i suoi estimatori
milanesi, evidentemente numerosi, altra replica il 2 febbraio, sempre allo Smeraldo. Il
cantautore è già da qualche giorno a Milano dove, mercoledì scorso, ha partecipato, presso
la libreria Utopia, alla presentazione del libro "Accordi eretici" (Euresis edizioni), una
raccolta dl piccoli saggi, elaborati dai diversi autori (tra questi Franco Fabbri, Umberto Fiori
e Romano Giuffrida) dedicati alla sua opera. Ma veniamo al recital di De André. Intitolato
"Mi innamoravo dl tutto", come la recente raccolta, lo show teatrale ripercorre alcune tappe
della sua storia partendo dalla città natale, Genova: si navigava tra le onde di "Creuza de
Ma" guardando a "Le Nuvole", due album nei quali si attinge ai colori, ai suoni del dialetto e
della tradizione genovese. L'ossatura del concerto è costituita da "Anime salve", disco che
mette anch'esso in luce il gusto per le radici popolari, un intreccio di sonorità etniche che
fondono la vena acustica con la melodia e il canto. Poi si torna ancora al passato, viene
rivisitato un album importante come la "Buona novella", realizzato nel 1970, che il
cantautore scrisse ispirandosi al vangeli apocrifi, un progetto realizzato sotto forma di suite
con ballate quali L'infanzia di Maria, Il ritorno di Giuseppe, e le Tre Madri.
Il viaggio di De André mira a periodi precisi per costruire uno spettacolo nel quale emergono
i personaggi che danno vita e ispirano, da sempre, la sua canzone, quel mondo costituito
dalla solitudine dei diversi, emarginati, maledetti immorali che De André rende protagonisti
della vita. Infine alcune tappe essenziali della sua discografia, le canzoni famose come
"Bocca di rosa", "Canzone di Marinella" (reinterpretata recentemente assieme a Mina nella
raccolta che dà il titolo allo spettacolo), "Il Pescatore" e "Amico fragile". La band che
accompagna De André è composta da Mark Harris (tastiere), Ellade Bandini (batteria),
Stefano Ceni (basso), Rosario Jermano (percussioni), Michele Ascolese e Giorgio Cordini
(chitarre). Si aggiungono il figlio Cristiano, che si divide tra canto, violino e strumenti etnici
e la figlia Luvi, nel ruolo di corista. E mamma Dori? Applaudirà la sua famiglia dalla platea.
De André, Genova per lui
di Renato Tortarolo
Il secolo XIX 11/12/97
GENOVA - Fabrizio De André, ieri sera, ha fatto due belle sorprese ai genovesi. Ha tenuto
uno splendido concerto al Carlo Felice, applaudito da una folla commossa ed entusiasta. E al
Secolo XIX ha rivelato che tornerà a vivere a Genova. E che ha già trovato casa al Porto
Antico: "Al Molo Morosini dove, quand'ero ragazzo, andavo a pescare i cefali...".
Per la prima volta di De André al Teatro dell'Opera, sono venuti i suoi grandi amici Beppe
Grillo e Renzo Piano: "Col tempo, la voce di Fabrizio è sempre più bella...". E c'era anche
Giorgio Forattini: "Sono turbato, è uno spettacolo straordinario...".
E sono venuti i vecchi fans, studenti all'epoca di "Tutti morimmo a stento" e "La Buona
Novella". Con i loden perfetti, e le mogli eleganti. E c'erano molti giovani, che hanno
scoperto un De André divertente:
"Pasolini diceva che il dialetto è il popolo, e che il popolo è autenticità. Ora, Pasolini ha detto
anche delle "bélinate", ma in questo caso aveva ragione...".
De André ha ricordato ai genovesi una stagione indimenticabile, quando si entrava al liceo
con le sue canzoni in testa: e la nostalgia ha cominciato a volteggiare, come nuvole ostinate
sopra una mare increspato.
In due ore di concerto, assieme ai figli Luvi (molto brava in "Khorakhané" e "Geordie") e
Cristiano (che interpreta le sue "Nel bene e nel male" e "Invincibili") e con una band di
grande livello, Fabrizio De André canta il suo impegno morale, in favore degli emarginati di
ogni latitudine e confessione. Facile dire che i brani più applauditi sono "Bocca di Rosa", "Via
del Campo" o "La città vecchia": ci sono momenti durante il concerto (che replicherà
stasera, tutto esaurito, e il 20 dicembre) di grande tensione drammatica. E' il caso di
"Anime salve", splendido manifesto sulla solitudine. O, ancora, di "Dolcenera": storia
d'amore e di follia sommersa dalla grande alluvione del 1972; o di "Disamistade" dove si
ascolta il miglior De André di sempre: solo a raccontare le ferite dell'odio del rancore.
L'unica volta che De André non ha raccolto l'ovazione spontanea è stato quando parlando
del rispetto che i musulmani hanno per Gesù Cristo ha detto: "a differenza del mondo
cattolico che continua considerare Maometto poco più che un cialtrone. E questo è un punto
a favore del mondo islamico. .". E l'applauso ha dovute essere incoraggiato.
Un fascino particolare per le cinque ballate tratte dalla "Buona Novella", con "Il testamento
di Tito" che rimane un grido forte di libertà contro qualsiasi istituzione, in nome dell'amore e
della tolleranza. Così come "Fiume Sand Creek", dove la crudeltà delle "giubbe blu" è resa
ancora più vana dall'ultimo, dolente messaggio dell'indiano. Anche quando una freccia
spezza la vita, dice De André, i sogni rimangono per le prossime generazioni. Il Secolo XIX,
prima del concerto, ha intervistato il grande cantautore.
De André è emozionato, per il suo esordio al Carlo Felice?
"Mi fa piacere: soprattutto di essere a Genova. E sono contento perché la mia città
finalmente può vantare un Carlo Felice ristrutturato in maniera così sontuosa. E' il più bel
teatro lirico d'Europa...".
Che ormai apre le porte alla grande canzone d'autore: lei, Fossati, Springsteen...?
"Credo che la musica sia un fiume, che si nutre di tanti affluenti, di tanti rigagnoli: pop,
classico, jazz, rock, musica etnica. Nessuno è ancora riuscito ad imbrigliare questo fiume,
però è giusto che qualsiasi musica abbia la possibilità di esprimersi negli spazi idonei...".
E il Carlo Felice, per vocazione operistica, lo è...?
"Sicuramente sì, perché c'è un'acustica perfetta: si sentono benissimo pregi e difetti di
quello che si va a fare sul palco...".
Nel corso del tour, ha cambiato la scaletta...
"All'inizio del concerto, ho eliminato "Megu Megun" perché quattro canzoni in dialetto erano
un po' troppe da portare in giro per le province italiane. Il genovese non lo si capisce da
nessuna parte, già a Savona stentano, figuriamoci a Palermo..".
A Savona stentano...?
"Potrebbe anche succedere...".
Nello show ci molte canzoni su Genova e la genovesità...
"Io mi considero a tutti gli effetti ancora genovese, tanto è vero che ho cominciato a
rimetterci un piede...".
Dove?
"A Ponte Morosini, mi sto organizzando per tornare ad abitare a Genova: ho trovato casa nel
Porto antico dove andavo a pescare i cefali quando avevo 18 anni...".
Cosa l'è successo...?
"Ho sempre provato una forte nostalgia, ma per vari motivi non riuscivo mai a tornare. Un
po' perché ho sposato una milanese, e perché mia figlia ha messo radici a Milano. Un po'
perché c'eravamo spostati in Sardegna. Ma io sono sempre stato addolorato dalla difficoltà
di ritornare...".
Ma non era lei a preferire la natura selvaggia della Sardegna...?
"Sì, ma di porti belli come quello di Genova non ce ne sono. E nemmeno di ambienti portuali
così suggestivi.. .".
A proposito di angiporto, dal suo libro "Un destino ridicolo" si girerà un film...
"Claudio Bonivento mi ha portato Io "story board" del film, praticamente sarà girato.; per
tre quarti a Genova...".
Lei parteciperà alla sceneggiatura...?
"Più che metterci una mano, darò dei consigli. Aiuterò gli sceneggiatori ad inquadrare
meglio le situazioni....".
Farà anche dei sopralluoghi...
"E' molto probabile che li. faccia...".
Come definirebbe il suo nuovo show?
"Un concerto difficile, perché si passa dal canto gregoriano dell'Infanzia di Maria, nella
"Buona Novella", al rock di "Amico Fragile", passando per molti specifici generi del pop…".
E i suoi temi preferiti?
"Vede, gli artisti hanno una strana caratteristica: e me ne sono reso conto parlando anche
con i pittori, osservando le loro opere. Gli artisti hanno poche idee, ma fisse: nel mio caso è
sempre quella dell'emarginazione...".