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Musica, blockchain &

Intelligenza Artificiale
Breve panoramica delle sperimentazioni, dei progetti e delle startup

Federico Bo
IN COLLABORAZIONE CON MUSPLAN

2018
Musica, blockchain e IA

Introduzione
L'industria musicale sta sperimentando nuove tecnologie che le consentano sia di aggiornare i
modelli di business, specie per gli artisti indipendenti, sia di esplorare nuove possibilità creative.
Le più promettenti tra queste tecnologie sembrano le blockchain e l'Intelligenza Artificiale (IA).

Le blockchain, nate come infrastruttura per le criptomonete (Bitcoin in primis), sono al centro
di molte ricerche e sperimentazioni in molteplici settori: in virtù delle loro caratteristiche di
immutabilità, trasparenza e decentralizzazione sono in grado di favorire, tra l'altro, la
disintermediazione e una più equa e rapida distribuzione dei profitti.

L'Intelligenza Artificiale, grazie soprattutto al machine e deep learning, si sta imponendo come
un formidabile strumento usato per il problem solving, il pattern matching, i modelli predittivi,
i miglioramento dell'interazione uomo-macchina e molto altro. Anche la creatività, fin ad ora
prerogativa umana, viene studiata attraverso l'IA nel tentativo di creare strumenti di supporto
agli artisti.

Questa breve panoramica sulle innovazioni nel settore musicale è nata come una serie di post
sul blog di Musplan, startup che sta lanciando un nuovo modello per la pianificazione e
l'organizzazione dai concerti nei live club.

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Sommario
La trasformazione dell'industria musicale......................................................................................................................... 3

La tecnologia blockchain e le criptovalute ........................................................................................................................ 5

Le piattaforme e i progetti ........................................................................................................................................................... 8

Choon ..................................................................................................................................................................................................... 8

Le “notes” ...................................................................................................................................................................................... 9

I vantaggi ....................................................................................................................................................................................... 9

Criticità......................................................................................................................................................................................... 11

Musicoin ............................................................................................................................................................................................ 12

Mycelia ............................................................................................................................................................................................... 14

Bitsong ............................................................................................................................................................................................... 15

VOISE ................................................................................................................................................................................................. 16

Open Music Initiative (OMI) .............................................................................................................................................. 17

Il futuro del ticketing ..................................................................................................................................................................... 18

Aventus ............................................................................................................................................................................................. 19

L’ecosistema ............................................................................................................................................................................. 20

L’AVT ............................................................................................................................................................................................ 21

Musica e Intelligenza Artificiale ............................................................................................................................................. 23

I grandi player ............................................................................................................................................................................... 24

Le startup ........................................................................................................................................................................................ 25

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La trasformazione dell'industria musicale


L’industria musicale è stata la prima, tra quelle del settore entertainment, a venire travolta
dall’onda della marea digitale fin dagli anni ’90. La smaterializzazione, con la comparsa dei
formati audio digitali come l’mp3, ha reso “liquida” la musica e obsoleti i supporti fisici: il glorioso
vinile, la frusciante musicassetta, l’asettico cd. Le canzoni hanno cominciato a fluire nella Rete,
andando a riempire gli hard disc degli utenti che scoprivano il fascino dello scambio e del
download gratuito (e illegale). I modelli di business delle grandi compagnie discografiche hanno
faticato ad adattarsi. Con la comparsa delle prime piattaforme di streaming (legale) si è
affermato il sistema basato sul Pay per Play (PPP), dove ad ogni ascolto corrisponde un piccolo
guadagno per l’artista. Quanto piccolo? Molto, molto piccolo.

Facciamo due conti. Nel 2017, i ricavi totali del mercato discografico mondiale sono stati,
secondo il Global Music Report 2018 dell’IFPI, circa 17 miliardi di dollari. Per la prima volta i
ricavi digitali hanno superato la metà di tutte le entrate, a cui lo streaming contribuisce con il
38%.

Molti soldi fluiscono insieme alla musica, quindi. Il problema è che di questo “bottino” gli artisti,
coloro che creano il carburante di questa macchina d’affari, ne sono gli ultimi e negletti
beneficiari.

Prendiamo Spotify, la regina delle piattaforme di streaming e facciamo un esperimento, come


raccontato in questo post su Medium: pago la quota di abbonamento di 10 dollari, ascolto solo
una canzone e poi abbandono la piattaforma. Come viene distribuita la mia quota? 3 dollari
vanno a Spotify e quasi 7 dollari vanno alle case discografiche come royalties. E all’artista
autore/cantante della canzone che ho ascoltato? Ah già. A lei o lui vanno 0,0044 dollari: meno
di un penny.

Proseguendo l’esempio con Spotify (con altri servizi come Apple Music o Pandora non cambia
molto, con YouTube è ancora peggio), un artista medio (non una superstar che ha contratti
personalizzati) può guadagnare con il PPP 1.496 dollari, ma le sue canzoni devono essere
ascoltate 340.000 volte (340.000 * 0,0044).

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Tra parentesi, questa perdita di introiti rispetto al modello precedente di vendita di supporti
fisici ha portato come conseguenza l’aumento significativo, in percentuale, della parte di
guadagni derivanti da concerti ed esibizioni live.

Torniamo al problema della discutibile “revenue sharing”. Le cause di questo meccanismo


perverso che penalizza creatività, capacità e talento sono essenzialmente due:

– un’industria, quella discografica, dominata da tre soli gruppi (Universal, Sony Music e
Warner) e ancorata a obsoleti, opachi e inefficaci modelli contrattualistici

– una catena di intermediari (case discografiche, agenti e manager, editori, distributori) che
erodono i possibili guadagni degli artisti.

Una strada che si sta intraprendendo è quella legata alle criptovalute (come i bitcoin) e, in
particolare, alla sottostante tecnologia blockchain. Molte startup in giro per il mondo stanno
raccogliendo milioni di dollari per progettare e sviluppare un sistema e un modello di business
in gradi di rivoluzionare questo settore.

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La tecnologia blockchain e le criptovalute


Prima di analizzare in dettaglio queste sperimentazioni cerchiamo di spiegare, a grandi linee,
cos’è una blockchain e quale rapporto esiste con le valute digitali.

Possiamo vedere una blockchain come una sorta di database crittografato distribuito che si
occupa, principalmente, di registrare transazioni. Ogni utente ne ha una copia sul proprio
computer/server sincronizzata con le altre. La copia ufficiale attuale è sempre concordata —
 automaticamente — con gli altri utenti. Si possono aggiungere dati, non cancellarli.

È un sistema che si basa sulla crittografia (come le chiavi pubbliche/private), sui sistemi
distribuiti e le reti di computer peer to peer, su strutture matematiche e algoritmi, su concetti
di teoria economica.

Esistono due tipologie di blockchain, pubbliche (permissionless, come quelle delle criptovalute)
e private (“permissioned”).

Tra le caratteristiche principali delle blockchain pubbliche vi sono:

• immutabilità (non vi sono cancellazioni)

• pseudoanonimia (gli utenti non sono direttamente identificabili)

• trasparenza (questo tipo di blockchain sono pubbliche, chiunque può accedervi e


chiunque può controllare lo storico delle transazioni)

• decentralizzazione (non esiste un «centro di controllo»)

• robustezza (ogni utente — nodo — possiede copia dell’intera blockchain).

Nelle blockchain private (conosciute anche come DLT, Distributed Ledger Technology) per
accedere occorre avere credenziali di accesso. Sono soprattutto blockchain create per le
aziende, le business network o per scopi specifici (es. tracciare origine, provenienza, scambi di
un bene (asset) digitale o meno (diamanti, opere d’arte, prodotti agroalimentari ecc.).

È quasi impossibile fare un elenco esaustivo dei settori nei quali si sta sperimentando la
tecnologia blockchain: finanziario, industriale, assicurativo e notarile, immobiliare, farmaceutico

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e healthcare, agri-food, identity management e data privacy, governance, sharing economy,


aiuti internazionali, migranti e altri ancora.

Ma quando è nata la questa tecnologia? La blockchain fa la sua prima comparsa nel 2009,
quando il misterioso Satoshi Nakamoto (Una persona? Un team? Non si sa) la mette online
come infrastruttura alla sua creazione, la valuta digitale Bitcoin.

Trasferire bitcoin da un utente a un altro significa effettuare una transazione; periodicamente


un certo numero di transazioni viene raccolto in un “blocco”. Queste transazioni sono
controllate e validate dai nodi della rete. Ogni blocco è legato al precedente.

Negli anni i bitcoin, tra luci e ombre, si sono imposti come una vera valuta digitale autonoma,
conquistando via via una fiducia e un’affidabilità sempre maggiori. Attualmente un bitcoin vale
circa 6.000 dollari (è arrivato a valere anche 19.000 dollari) e complessivamente si ha una
capitalizzazione di 100 miliardi di dollari. I bitcoin sono accettati come mezzo di pagamento in
molti contesti e, come ogni altra valuta, sono scambiabili con altre criptovalute nel frattempo
create o con valute correnti come euro o dollari.

Abbiamo accennato alle altre criptovalute. Ne esistono già centinaia ma vogliamo soffermarci
con qualche dettaglio in più su Ethereum, attualmente la seconda come capitalizzazione con
circa 45 miliardi di dollari (un ethereum vale attualmente 446 dollari).

Creata nel 2014 dal giovane Vitalik Buterin e da altri esperti, Ethereum è più di una
criptovaluta. L’aspetto più interessante della blockchain Ethereum sono gli «smart contracts».
Sono pezzi di codice che possono essere inseriti nella blockchain. Attraverso di essi possono
essere implementate delle «clausole» per le transazioni, clausole che possono anche basarsi su
dati esterni, che vengono automaticamente controllate e da cui dipendono successive azioni,
sempre automatiche. Per esempio si può inserire una clausola del tipo “Se il mio brano
raggiunge i 100.000 ascolti in streaming sulla piattaforma viene pagato un bonus di 10 ETH
(abbreviazione per ethereum)”.

Cominciate a comprendere quale possa essere l’utilità delle blockchain e delle criptovalute?

Ethereum ha anche un’altra caratteristica interessante: permette infatti di creare “ token”


(gettoni) personalizzati, una specie di sotto-criptovalute da adoperarsi in un determinato

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contesto, in una particolare piattaforma o ecosistema digitale (ma sempre convertibili sia in
ethereum che in altre valute). Possiamo immaginare i token come i gettoni di un parco
divertimenti, spendibili per accedere alle attrazioni o pagare ristoranti e alberghi ospitati
all’interno del parco.

Come vedremo, Ethereum è la base su cui si fondano molti dei progetti legati alla tecnologia
blockchain e rivolti al settore musicale e discografico.

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Le piattaforme e i progetti

Choon
Il primo progetto di cui ci occupiamo è Choon, un servizio di streaming musicale che permetterà
il pagamento diretto e veloce tramite token e smart contracts implementati sulla rete
Ethereum.

Choon (che in slang indica una canzone particolarmente gradita) vede tra i suoi fondatori nomi
importanti dell’industria musicale, dell’imprenditoria innovativa e del settore IT e delle
criptovalute.

Gareth Emery, CEO, è un famoso DJ e produttore mentre Scott Sartin (CFO) è un affermato
manager musicale; Bjorn Niclas (CMO) è un imprenditore seriale che opera da vent’anni nel
mondo della musica elettronica. Matt Hall (CTO) è un ingegnere informatico che ha lavorato
per Google e Microsoft e ha co-fondato, insieme a un altro ingegnere co-fondatore, John
Watkinson, Cryptopunks, una piattaforma blockchain in cui acquistare e scambiare “figurine
digitali”. Per chi conosce i CryptoKitties, questi ne sono i precursori. L’ampio advisory board
della startup è altrettanto prestigioso e apparentemente garantisce affidabilità e
professionalità.

È importante, per valutare la bontà e la serietà di un progetto, conoscere il curriculum e le


esperienze delle persone che lo hanno ideato e che lo portano avanti. Questo vale in generale,
ma nel mondo effervescente e movimentato delle criptovalute e delle blockchain è cruciale:
come in tutti i settori nati da poco ci si può imbattere in progetti opachi se non addirittura in
truffe, specie se vi è una raccolta fondi tramite ICO (Initial Coin Offering): con questa modalità
una startup si autofinanzia con la vendita al pubblico di token. In teoria al consolidarsi e al
crescere dell’azienda questi token dovrebbero aumentare di valore, ma come in tutti gli
investimenti occorre prestare molta attenzione ai progetti su cui si investe del denaro.

Torniamo a Choon e dal suo white paper (il documento di progetto ufficiale) cerchiamo di
capire il suo funzionamento. Di base sarà un servizio di streaming tipo Spotify in cui gli artisti

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potranno inserire in catalogo le loro opere, di cui dovranno possedere il 100% dei diritti.
Questo requisito fa parte del processo di eliminazione degli intermediari.

La criptomoneta ufficiale di Choon si chiamerà “ Note”: deriverà da Ethereum e sarà la valuta


(convertibile in ethereum e quindi in valute correnti come il dollaro) con cui si effettueranno i
pagamenti sulla piattaforma. I notes saranno creati a priori con una quantità stabilita di due
miliardi.

Le “notes”

Durante i primi anni si avrà un meccanismo chiamato “s treaming as mining”: il 50% dei notes
verranno gradualmente distribuiti agli artisti (375.000 al giorno nei primi 5 anni) in
proporzione al numero di streaming delle loro canzoni.

Cerchiamo di capire quel che dovrebbe accadere. In principio, gli artisti che “scommettono” sulla
piattaforma non saranno moltissimi, guadagneranno molti notes ma questi avranno un valore
molto basso. Se la piattaforma avrà successo il loro valore aumenterà, premiando chi ci aveva
creduto fin dall’inizio. Successivamente, con il successo della piattaforma, ci saranno sempre
più artisti; anche il numero degli utenti aumenterà e così i numeri dello streaming. Questo —
 oltre all’aumento di valore dei notes — dovrebbe compensare il fatto che i notes distribuiti per
numero di streaming diminuirà (stessi 375.000 notes divisi tra molti più artisti).

C’è un altro fattore da considerare. Choon si impegna a distribuire l’80% dei profitti esterni
della piattaforma (es. abbonamenti e pubblicità) agli stessi artisti, sempre sotto forma di notes.

Dopo i primi 5 anni il numero di notes immessi quotidianamente diminuirà gradualmente fino
a esaurimento (cioè fino a 1 miliardo di token distribuiti) e la piattaforma si auto-sosterrà,
riversando il valore nei notes (facendoli aumentare di valore).

I vantaggi

Quali sono i vantaggi per gli artisti nell’architettura proposta da Choon?

In primo luogo i ricavi saranno versati nel portafoglio digitale quotidianamente secondo un
report pubblico che indicherà il numero totale di streaming e dei notes distribuiti. Di solito i
pagamenti delle piattaforme avvengono dopo mesi.

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Un altro vantaggio deriverà dall’utilizzo degli smart contracts, che permetterà di effettuare
ulteriori redistribuzioni automatiche dei ricavi in maniera proporzionale al contributo portato
all’opera: musicisti, vocalist, tecnici del suono, arrangiatori potranno avere parte degli utili con
lo stesso meccanismo veloce e trasparente utilizzato dall’artista detentore dei diritti.

Choon ha immaginato diverse forme di contratti digitali; con un crowdfunding evoluto si


potranno remunerare i donatori/investitori che hanno permesso la realizzazione di un album o
si potranno riscuotere diritti in automatico dall’utilizzo di parti di un proprio brano in un remix.

Vi sono anche altre possibilità di guadagno “diretto” per gli artisti: per esempio grazie alle
caratteristiche della blockchain, potranno essere create edizioni digitali limitate e collezionabili
(“digibles”). Gli utenti potranno anche pagare direttamente in notes concerti privati,
merchandising e via dicendo,

Gli stessi utenti e fan potranno beneficiare degli smart contract: in occasione di attività
promozionali potranno essere pagati per ascoltare una canzone oppure avranno la possibilità
di avere il 5% dei ricavi di una playlist da loro creata (se gli autori del brano hanno optato per
questa modalità di redistribuzione). Con lo sviluppo e l’evoluzione della piattaforma e
dell’ecosistema altre funzionalità legate ai contratti digitali potranno essere implementate.

Un elemento importante da sottolineare è che gli utenti che pagheranno l’abbonamento lo


faranno in dollari, euro o altre valute tradizionali, almeno nei primi anni. La conversione in notes
avverrà in maniera automatica e questo è un vantaggio visto che attualmente il processo di
acquisto e cambio di criptovalute non è immediato.

Abbiamo scritto che la metà dei token totali (2 miliardi di notes) saranno messi distribuiti nel
tempo agli artisti con il meccanismo dello “streaming as mining”. E il restante miliardo di notes?
500.000 notes proprio in questi giorni (luglio 2018) saranno venduti al pubblico con una ICO.
Questo finanziamento servirà per lo sviluppo, per l’infrastruttura tecnologica, per il marketing
e le altre spese di amministrazione e gestione. I rimanenti saranno distribuiti tra i fondatori, i
collaboratori, gli advisors e usati come incentivi per gli early adopters.

È proprio l’acquisizione della massa critica di utenti, necessaria per attivare l’”effetto rete”,
l’obbiettivo più importante non solo per Choon ma per ogni piattaforma o applicazione. Il piano

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strategico prevede quindi nei primi una particolare attenzione, anche economica, al
coinvolgimento di artisti in grado a loro volta di attrarre utenti, soprattutto grazie a un rapporto
diretto e “alla pari”.

Criticità

Vi sono alcune fonti di perplessità nelle informazioni ricavabili dal white paper; non vi sono
indicazioni su dove fisicamente risiederanno i file audio (scansionati con Gracenote, software
leader nel campo del music recognition e nel monitoraggio dei diritti d’autore): su un cloud di
aziende come Amazon o Microsoft (sarebbe contro la filosofia della decentralizzazione tipica
delle blockchain) o su una rete peer to peer distribuita, come IPFS o Filechain? Inoltre, sempre
nel documento, viene citato un “registro di proprietà” dei notes off-chain, cioè al di fuori della
blockchain, di cui non è chiara l’utilità e che sembra contrastare con l’infrastruttura principale
“a blocchi”. Anche il fatto che esista un ufficio registrato alle Cayman non sembra adattarsi alla
filosofia di trasparenza propugnata ma nelle FAQ c’è una spiegazione che tira in ballo la
legislazione favorevole alle blockchain dello stato caraibico.

Il meccanismo proposto da Choon è comunque interessante e da monitorare, anche se non si


discosta molto da altre proposte che vedremo o che vengono da piattaforme del settore
entertainment: la trasformazione del “prodotto musicale”, in particolare canzoni, in asset digitali
attraverso la “tokenizzazione”.

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Musicoin
Musicoin è una piattaforma peer to peer di streaming musicale gratuita basata su blockchain
che si prefigge di compensare in modo equo e diretto musicisti, sviluppatori, miners.

La piattaforma e il suo ecosistema si basano sulla filosofia elaborata dall’imprenditore cinese


Isacc Mao: lo “sharismo”, descritta come “una filosofia rivoluzionaria che incorpora la saggezza
dagli studi di Epistemologia e Axiologia. Sottolinea l’importanza di condividere conoscenza e
valore all’interno di una comunità per creare un impatto sociale positivo. ”

Le premesse sembrano provenire da un guru new age fuori tempo massimo ma vediamo
comunque di capire i meccanismi alla base del progetto.

Nel white paper si esamina lo stato attuale dell’industria musicale e dello streaming in
particolare, giungendo a conclusioni analoghe a quelle di Choon: centralizzazione, eccesso di
intermediari, mancanza di trasparenza rendono il modello di business insostenibile per gli
artisti, in particolare per i musicisti indipendenti e per gli emergenti.

La soluzione proposta è utilizzare una blockchain, Ethereum, una criptomoneta personalizzata,


il MUSIC, e gli smart contracts. Tramite questi strumenti Musicoin sarebbe in grado di fornire
agli artisti una remunerazione per ascolto (PPP, Pay Per Play) superiore alle altre piattaforme
tipo Spotify o Apple Music, nell’ordine di 0,02$ (per confronto, YouTube paga 0,0006$). I
pagamenti saranno velocissimi, nell’ordine dei secondi e automaticamente ripartibili tra chi ha
collaborato alla creazione dell’opera, dai membri della band ai coristi, dai tecnici del suono al
produttore. I contenuti sono memorizzati e distribuiti attraverso un sistema di distribuzione
file p2p distribuito chiamato IPFS (Inter-Planetary File System).

Una delle criticità di questo modello è legato a una dicotomia insita in questi modelli a “token”
che già alcuni studi hanno rilevato. Se la piattaforma ha successo, cresce il valore dei token, del
MUSIC in questo caso. Se questa crescita avviene troppo velocemente, gli utenti preferiranno
tenersi i token con intenti speculativi e non usarli all’interno dell’ecosistema. Ma questo sarebbe
deleterio, perché si verrebbe a creare un’ambiente “dormiente” che comprometterebbe
l’ulteriore crescita. Per inciso, anche spendere tutti i token non sarebbe salutare, perché il loro
valore non crescerebbe e non risulterebbero appetibili per gli investitori. Una soluzione

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suggerita è creare due token, uno per gli investimenti e uno come gettone per la compravendita
di beni e servizi.

Torniamo a Musicoin e a un altro potenziale problema. La fluttuazione di valore a cui il MUSIC


può essere soggetto, come ogni altra valuta/criptovaluta, potrebbe rendere troppo bassi i ricavi
per gli artisti.

Per risolvere questi aspetti critici la piattaforma ha ideato un modello chiamato UBI ( Universal
Basic Income) che dovrebbe garantire un compenso equo a ogni contributore in proporzione
al suo contributo.

Come funziona? Il white paper fornisce alcune spiegazioni e uno schema ma non tutto nel
meccanismo è chiaro. C’è una “cassa comune”, l’UBI pool, che è “alimentata” in gran parte dai
“miners” che, lo ricordiamo, sono coloro che creano i blocchi, verificano le transazioni e sono
ricompensati con token (in Musicoin 314 MUSIC per blocco, un blocco creato circa ogni 20
secondi). I miners si tengono 250 MUSIC, gli altri vanno nella cassa comune. Da qui si hanno i
fondi, sempre in MUSIC, per remunerare i musicisti con il PPP e per investire sullo sviluppo
della piattaforma.

Per mantenere più o meno costante la remunerazione per ascolto, attraverso uno smart
contract il valore del pagamento cambia a seconda della “quotazione” del MUSIC: ad esempio,
i musicisti riceveranno 1MUSIC per ogni riproduzione quando il valore di mercato della moneta
è tra 0 e 0,099 centesimi di dollaro, 0,2 MUSIC quando il valore di mercato è compreso tra
0,10 centesimi e 1,00 dollari e così via.

Gli artisti non guadagneranno solo con il PPP: gli utenti potranno sovvenzionarli con “ tips”
(mance) dirette. Ottimisticamente Musicoin dichiara che si dovrebbe avere un rapporto di 5 a
1 tra i guadagni tramite tips e quelli PPP.

Ma può essere sostenibile economicamente questo modello? In rete vi sono diversi dubbi,
anche per le ragioni esposte prima sul valore dei token. In varie discussioni su forum dedicati
vengono esplorati anche altri scenari, come quello di far pagare comunque un abbonamento
agli utenti.

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Non resta che attendere: l’”approccio UBI” è solo annunciato e sarà attivo con la nuova versione
della piattaforma, la 2.0 denominata “Heal the World” che dovrebbe vedere la luce nel 2019.

Attualmente la Musicoin dichiara di avere circa 3.000 artisti in catalogo, prevedendone


125.000 per la metà del 2019.

Vi è però un elemento davvero critico nel progetto: non si sa chi siano i fondatori (a parte Isaac
Mao, nella cui biografia su Wikipedia non si fa però cenno a Musicoin) né chi da chi sia compost
il team di sviluppo. E questo velo di mistero non è bel biglietto da visita, soprattutto per chi fa
della trasparenza uno dei suoi claim principali.

Mycelia
Voglio parlarvi brevemente anche del progetto Mycelia, ampiamente pubblicizzato da quasi tre
anni in rete e in molti eventi dedicati a musica e tecnologia.

Imogen Heap, la creatrice del progetto, è una cantantautrice e produttrice inglese, vincitrice di
due Grammy. Nel 2017 ha sperimentato la vendita di un singolo, “Tiny Human”, via blockchain
con l’ausilio della piattaforma Ujo Music, basata su Ethereum. Tramite smart contract i proventi
sono stati distribuiti a tutti i creativi coinvolti nella produzione e registrazione della canzone. A
detta della stessa Heap si sono raccolti pochi soldi, soprattutto per il fatto che gli utenti
dovevano avere un portafoglio Ether per poter effettuare il pagamento.

Comunque l’artista britannica si è appassionata a questa tecnologia e ha fondato Mycelia, che


dovrebbe essere un laboratorio di sperimentazioni su nuovi modelli, innovativi ed equi, per
l’industria musicale. Il team, almeno quello in “frontend”, non sembra particolarmente
focalizzato sugli aspetti tecnologici; fino ad ora non sono stati lanciati progetti o servizi online,
neanche in beta. Viene solo presentato il Creative Passport come “un contenitore digitale per
informazioni verificate sul profilo, ID, riconoscimenti, lavori, partner commerciali e meccanismi
di pagamento per tutti i musicisti (creativi). Il suo obiettivo è quello di diventare uno standard
di identità digitale per i musicisti, formando nel suo insieme il Creative Passport Database e
destinato a trasformarsi nell’essenziale hub connettivo per tutti i servizi relativi alla musica.”

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Al momento non sembra un’idea particolarmente originale ma vedremo anche qui come
evolverà l’intero progetto. Nel frattempo la tournée mondiale MYCELIA Tour che si concluderà
nel 2019 sarà un’ulteriore occasione per Imogen Heap di ricoprire il ruolo di tecno-
evangelizzatrice.

Bitsong
BitSong si definisce la “prima piattaforma di streaming decentralizzata” ed è basata su due
tecnologie che già abbiamo incontrato: blockchain Ethereum per pagamenti e gestione degli
smart contract e IPFS per lo storage e la distribuzione dei file (audio e video).

I fondatori sono Angelo Recca, sviluppatore e imprenditore, e Rino Ticli, DJ. Il team è
eterogeneo, composto da figure provenienti da vari ambiti (tecnici, manageriali e dal settore
audiovisivo) e con diversi livelli di esperienza. La sede è a Malta, un paese che punta molto su
blockchain e criptovalute.

La lettura del white paper — un po’ confuso e non particolarmente esauriente — ci permette di
avere un’idea generale del modello di business che BitSong vuole proporre.

In pratica il modello si basa sulla pubblicità; il 90% dei ricavi pubblicitari sarà diviso tra gli artisti
che hanno i propri brani o video sulla piattaforma e tra gli utenti/ascoltatori, secondo criteri
non meglio specificati. L’artista potrà anche essere supportato direttamente attraverso
donazioni.

La valuta di riferimento sarà il BitSong (BTSG).

Gli unici utilizzi esplicitamente indicati per gli smart contracts sono quelli che dovrebbero
premiare i nuovi abbonati e chi inviterà altri utenti sulla piattaforma oltre a chi, genericamente,
creerà contenuti.

L’obbiettivo è quello di essere presenti sul maggior numero possibile di canali di distribuzione
digitali, dagli smartphone con l’app ai pc con l’interfaccia web, dalle smart tv alle smart radio.

Attualmente il progetto è in fase di pre-ICO; l’ICO pubblica dovrebbe partire, secondo la


timeline, il 10 agosto 2018.

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VOISE
Anche se un progetto sembra non avere tutti i requisiti — tecnici, di trasparenza, di
management, di business — per ambire a trasformarsi in un’impresa di successo può comunque
contenere elementi interessanti.

Prendiamo il caso di Voise, progetto di una piattaforma decentralizzata per il download di


musica (quindi non streaming) che si regge sull’abituale binomio Ethereum (per transazioni e
smart contract) e IPFS (per lo storage dei file).

Ideato e portato avanti da un piccolo team canadese Voise sembra in fase di stallo; tuttavia nel
white paper ci sono un paio di idee e funzionalità che vale la pena di citare.

La prima è quella del Voise Radio DAO, un canale attraverso il quale viene creata una playlist
globale, scelta dagli ascoltatori, che promuove canzoni e artisti, facendoli conoscere e
apprezzare attraverso un particolare meccanismo di votazione.

Per scegliere la prossima canzone da ascoltare gli utenti “scommettono” dei “ voices” (i token
della piattaforma); viene scelta quella che ottiene il maggior numero di voices, i quali a loro
volta vengono girati dall’artista. Non si comprende bene qual è l’utilità per l’utente di investire
i propri soldi, se non quella di promuovere il proprio cantante o gruppo preferito. Anche se nel
documento non è specificato, si potrebbe pensare di girare agli utenti che hanno scelto il brano
vincente una percentuale della somma destinata all’artista.

Un altro concetto da approfondire è quello del Masternode: gli utenti possono impegnare un
certo ammontare di voices per un mese, ricevendo in cambio una quota dei ricavi della
piattaforma (non è specificato di quale natura, pubblicitari immagino) durante quel periodo di
tempo.

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Open Music Initiative (OMI)


I progetti che abbiamo descritto sono solo alcuni tra quelli che si propongono di innovare
l’industria musicale attraverso l’utilizzo delle blockchain. Alcuni sono più promettenti, altri
meno.

Ma che l’esigenza di svecchiare i modelli di business attraverso le tecnologie oggi a disposizione


sia sentita a tutti i livelli è testimoniato dall’ Open Music Initiative (OMI). Fondata nel 2016
dal Berklee College of Music con il supporto del MIT Media Lab, di IDEO e dei Context Labs,
questo progetto non-profit si propone di creare un protocollo open source per l’identificazione
univoca degli autori e dei titolari dei diritti sulle opere musicali.

Uno dei grandi problemi del settore, abbiamo visto, è la difficolta di tener traccia di chi ha
contribuito a creare una canzone (artisti, tecnici, produttori ecc.) in modo da poter
adeguatamente distribuire le royalties. Queste informazioni sono memorizzate in database
diversi (quelli delle case discografiche per esempio) che non comunicano tra di loro; i metadati
che accompagnano i file sono spesso incompleti e possono contenere informazioni non
aggiornate. Come spiega Panos Panay, uno dei fondatori dell’OMI “la parte editoriale del
business sta diventando più complessa perché al giorno d’oggi più brani sono di proprietà di
più autori. Le persone collaborano da remoto e realizzano nuovi lavori che contengono
materiale con copyright di proprietà di altre persone”.

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Il futuro del ticketing


L’innovazione nel settore musicale non si limita alla ricerca di nuove soluzioni e modelli di
business per la fruizione della musica digitale.

Come sottolineato in precedenza, gli incassi derivanti dai concerti stanno aumentando a livello
globale; in Italia nel 2017 il giro d’affari degli eventi live si è attestato sui 605 milioni di euro,
ponendo il nostro paese al sesto posto della classifica mondiale.

Ma la musica dal vivo soffre di alcuni criticità.

La prima è certamente il problema del “secondary ticketing”: i biglietti vengono rivenduti a


prezzi maggiorati in mercati e piattaforme secondarie, dove la scarsa trasparenza e talvolta
pratiche truffaldine inquinano il settore. Gli acquirenti, spesso, non sanno nemmeno da chi
hanno acquistato il biglietto, se in un canale di vendita primario, in una rivendita autorizzata,
da bagarini online ecc.

Oltre a questo problema, c’è quello della contraffazione. Anche a causa di queste distorsioni, i
biglietti sono sempre più cari e i promoter hanno difficoltà a raggiungere i sold out, non
riuscendo a coinvolgere completamente il loro pubblico di riferimento, in genere nella fascia di
età 16-24.

Non è solo il mercato dei concerti a soffrirne, ma tutto il settore degli eventi live (festival, sport
ecc.).

La tecnologia blockchain, con il suo registro immutabile, le sue transazioni trasparenti e


verificabili e le sue cifrature che garantiscono la privacy sembra essere un sistema promettente
per creare un diverso approccio alla vendita e rivendita dei biglietti.

Analizziamo quindi un progetto davvero molto interessante, Aventus.

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Aventus
Annika Monari e Alan Vey sono due giovani laureati all’ Imperial College di Londra,
rispettivamente in Fisica delle Particelle e in Intelligenza Artificiale. Vey ha scritto la sua tesi
sulla distribuzione dei diritti cinematografici via blockchain.

Dopo la tesi si sono focalizzati sul mercato dei biglietti per eventi, analizzandolo a fondo e
individuando quelle criticità che abbiamo descritto.

In un’intervista Monari spiega, inoltre, che il settore è complesso e frammentato, caratterizzato


da molti agenti (organizzatori, promoter, diversi canali e piattaforme per la vendita diretta e
parallela dei biglietti, acquirenti ecc.) e da regole diverse da paese a paese. La comunicazione
tra le parti coinvolte è inefficiente, malgrado le possibilità offerte dalla tecnologia.

I due concludono che la blockchain può essere di aiuto per aumentare efficienza, trasparenza e
limitare l’”inflazione” dei costi dei biglietti dovuta, in particolare, al fenomeno del secondary
ticketing.

Lanciano una ICO, raccolgono l’equivalente di 26 milioni di sterline (in sette minuti!) e creano
Aventus, un’impresa non profit che ha come obbiettivo lo sviluppo di un protocollo open-source
basato su Ethereum che sia in grado di diventare uno standard per la compravendita di biglietti.

Monari e Vey non vogliono quindi mettersi in competizione con le piattaforme già esistenti ma
rendere disponibile a tutti uno strumento trasparente, sicuro e affidabile per gestire la filiera
della compravendita aggiungendo anche nuove possibilità di business (percentuali sulle
rivendite ad esempio) e di redistribuzione dei ricavi.

Vediamo più nel dettaglio come funziona il protocollo, basandoci al solito sul white paper.

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L’ecosistema

Il protocollo è costituito da una serie di smart contracts Ethereum che consentono la creazione
e la validazione di un evento, l’emissione e la vendita dei biglietti in maniera diretta e tramite
canali secondari sotto condizioni e parametri stabiliti dall’organizzatore dell’evento o comunque
dal detentore dei diritti di vendita. Come abbiamo visto in altri esempi, è infatti possibile
redistribuire parte dei ricavi a soggetti terzi (come i promoter) e stabilire commissioni per la
rivendita.

Il “Service Layer” è progettato per rendere efficiente e facilmente accessibile il protocollo


sottostante; questo permette ai rivenditori e piattaforme già esistenti di utilizzarlo, creando
nel contempo nuovi servizi e applicazioni. Ma la natura open source del protocollo garantirà a
nuovi soggetti e alla comunità di sviluppatori di implementare soluzioni innovative.

Infine l’”Application Layer” è dedicato alle applicazioni end-user che consentono la gestione
della compravendita, soluzioni per il controllo degli accessi e ai wallet di biglietti e la creazione
di schemi promozionali per aumentare la quota di biglietti venduta.

Un dato importante da sottolineare è che non vi sono dati personali “in chiaro” memorizzati
sulla blockchain; tutto viene “offuscato” dalla crittografia permettendo però il controllo
dell’associazione tra identità e biglietto. La vendita di un biglietto avviene cambiando l’identità
ad esso associata.

Non essendoci informazioni sensibili visibili pubblicamente il protocollo rispetta il General Data
Protection Regulation (GDPR) europeo.

Ogni biglietto ha un ID unico derivante dall’hash delle sue informazioni - come il numero posto
- che può essere trasformato in barcode o QRcode rendendo quasi impossibili le contraffazioni.

Sarà possibile avere molti dati a disposizione per calibrare e ottimizzare le vendite; si potranno
creare white e blacklist e creare nuovi canali di vendita (penso a fan e influencer) redditizi per
tutte le parti coinvolte.

Riepiloghiamo. L’organizzatore di un evento:

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- crea la “scheda” dell’evento (che dovrà essere “convalidato” dalla community come vedremo
tra poco) e mette in vendita diretta un certo numero di biglietti

- crea delle regole per redistribuire i ricavi anche all’artista, al manager e al promoter (per
esempio)

- indica altri rivenditori autorizzati che possono, in periodi successivi, vendere biglietti e ne fissa
la commissione. Questo aiuta gli acquirenti a scegliere in maniera consapevole e trasparente,
senza incrementi fuori controllo dei prezzi

Quando un utente manifesta la volontà di comprare un biglietto nei mercati secondari, un


algoritmo pseudocasuale fa incontrare l’offerente con uno dei rivenditori. Questi non sono in
grado di risalire alla vera identità dell’acquirente e questo rende impossibili accordi sotto banco
al di fuori della blockchain.

L’AVT

Anche il protocollo Aventus ha una sua moneta, AVT, utilizzata essenzialmente in due modi;
per un sistema di votazione “stake-weighted” (i voti sono “pesati” proporzionalmente agli AVT
posseduti) che permette alla community di accettare e convalidare sia le app/Dapps sia gli
eventi: in questo modo comportamenti e strumenti fraudolenti dovrebbero essere
disincentivati. Infatti sia per iscrivere un evento alla lista sia per aggiungere un’applicazione
nell’ecosistema occorre versare una caparra; se si viene “legittimati” dalla votazione della
comunità viene restituita altrimenti l’importo viene suddiviso tra coloro che hanno superato il
vaglio della community (e tra i loro votanti). In futuro le votazioni potranno anche la
governance del protocollo.

Monari e Vey hanno anche aperto una società, Artos, braccio “commerciale” del loro progetto,
che si propone di vendere servizi e soluzioni B2B legate al protocollo Aventus. Hanno
recentemente stipulato un accordo con Aigo, società che si occupa di AI, per integrare un
assistente vocale nel pacchetto di gestione ticket realizzato per terze parti.

Alo stato attuale il protocollo è online in versione beta e dovrebbe essere stata compiuta una
sperimentazione vendendo 10.000 biglietti dei Mondiali in Russia. Non si hanno però notizie
sull’esito del test.

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Aventus è certamente una delle iniziative più promettenti nel mondo del ticketing; altre startup,
per esempio Blocktix, stanno lavorando al binomio blockchain-compravendita biglietti, ma
attualmente la strategia, la reputazione e la solidità del progetto Aventus/Artos sembrano
prevalere.

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Musica e Intelligenza Artificiale


Un artista ha usato un software da lui ideato per inserire come input diverse frasi e parole,
mescolarle e ricavare dall’output ottenuto spunti per i testi di alcune sue canzoni. L’anno è il
1995, l’artista è David Bowie e le canzoni composte con l’aiuto del Verbasizer (questo il nome
del programma sviluppato con l’aiuto di Ty Roberts) entrarono a far parte dell’album “ Outside”.

L’informatica, e prima ancora l’elettricità e l’elettronica, sono territori che i musicisti hanno
voluto esplorare per aumentare le loro possibilità creative.

Theremin, chitarre elettriche, registrazione multitraccia, drum machines, tastiere elettroniche,


interfacce MIDI sono solo alcune delle tecnologie che nel corso del ventesimo secolo hanno
accompagnato l’evoluzione della musica.

La nuova frontiera di questi anni si chiama Intelligenza Artificiale (IA).

Chiariamo subito un punto. Non si parla di qualcosa che sostituisca in toto l’artista, scrivendo
testi e musiche, arrangiando, cantando e operando performance live tramite ologrammi di
entità generate al computer.

Ma è anche vero che per quella che viene definita “musica funzionale” (sì, per esempio quella
degli ascensori o di accompagnamento a videogiochi) si stanno diffondendo sistemi di
composizione automatica.

Al momento si parla però essenzialmente di uno strumento – o meglio, di un assistente – che


aiuti e supporti i musicmaker in vari momenti della loro professione, in particolare durante la
fase creativa.

Machine learning, deep learning, reti neurali sono le tecniche che vengono maggiormente
utilizzate per “insegnare” agli algoritmi cos’è la musica, per coglierne e replicarne gli stili, per far
loro intraprendere un percorso di educazione sentimentale tra le note; se il battito del cuore è
il ritmo primevo da cui sono scaturite tutte le musiche del mondo, l’apprendistato delle IA non
si basa sul clock interno delle macchine che le ospitano ma sull’imitazione e quindi sulla ricerca
della scintilla creativa delle intelligenze emotive che le hanno precedute nel compito di
comporre sinfonie, armonie e ritmiche coinvolgenti.

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Con nuove tecnologie all’orizzonte si teme sempre che l’inventiva e la fantasia vengano da esse
inaridite: ma accade sempre il contrario.

Per esempio, la sola scelta dell’insieme di canzoni da dare in pasto all’algoritmo di AI per fargli
“apprendere” un mood, un genere, uno stile non è esso stesso un atto creativo?

I grandi player
“Daddy’s car” è una canzone in stile Beatles. La musica di base è stata composta da un
algoritmo di Intelligenza Artificiale della Sony nell’ambito del suo progetto Flow Machines; la
domanda alla base della ricerca è se una macchina sia in grado di comprendere uno stile e di
trasformarlo in un oggetto computazionale manipolabile da un utente per generare altri oggetti
(“musiche”). L’approccio usato è quello dei modelli di Markov, usati nella teoria delle probabilità
per riconoscere pattern e proprietà replicabili a partire da un insieme di dati in ingresso, in
questo caso canzoni.

C’è da notare che il risultato finale ottenuto con “Daddy’s car” deve molto anche alla
componente umana – il compositore nonché direttore artistico di Flow Machines, Benoît Carré
– che ha scritto i testi e arrangiato il pezzo.

Anche Google sta sperimentando il connubio tra machine learning e musica con il progetto
Magenta; uno degli ultimi nati è NSynth (Neural Synthesizer), un sintetizzatore che si avvale
delle reti neurali profonde per isolare particolari caratteristiche di un suono e ricrearne uno
interamente nuovo. L’approccio del team Magenta è centrato sull’utente, in questo caso sui
musicisti: interagiscono con loro per farsi raccontare e spiegare i loro metodi di lavoro, gli
strumenti che usano e le tecniche che utilizzano.

Ancora più strutturato è il progetto della IBM. Sfruttando il suo Watson, IA “as a service” sono
stati creati quattro sotto-progetti. Tone Analyzer “misura” la componente emotiva
estrapolandola da contenuti testuali mentre AlchemyLanguage ne comprende sentimenti e
concetti; infine Watson Beat espande poche note per creare un’intera nuova composizione,
cercando di catturarne l’intento emozionale. Grazie anche a una partnership con Spotify alcuni

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artisti hanno cominciato a esplorare le potenzialità di questa “musa artificiale”: tra questi Alex
Da Kid, Rapsody e H.E.R.

L’associazione canadese che rappresenta i lavoratori del settore musicale (SOCAN) sta facendo
esperimenti con Watson in un’altra direzione, quella di autorizzare e far rendere le cover in
maniera automatica - un po’ come abbiamo visto si cerca di fare con le blockchain – sfruttando
le capacità del sistema IBM di riconoscimento incrociato di testi e musica.

Le startup
Oltre le grandi compagnie, sono innumerevoli le startup in giro per il mondo che a suon di
milioni di dollari di investimenti portano avanti ricerche e propongono ai musicisti i primi servizi
basati su IA.

Amper è una compagnia britannica fondata dal produttore e sound designer Drew Silverstein.
Anche se uno degli obbiettivi è quello di creare musica on-demand in particolare per l’industria
dei videogiochi Silverstein insiste molto nel presentare Amper come un alleato e non un nemico
dei musicisti. Come riprova delle capacità “collaborative” dell’IA in questo campo lo scorso anno
è stata molto pubblicizzata la canzone “Break free” della cantante e autrice Taryn Southern
realizzata proprio a partire da una base strumentale prodotta dall’AI.

Sempre dalla Gran Bretagna Jukedeck sposta la prospettiva sulla democratizzazione della
produzione musicale. Ed Rex e Patrick Stobbs, i giovani fondatori, credono che il loro
“responsive music software” possa dare la possibilità a tutti di creare la loro musica, facendo
emergere anche in questo ambito sacche di creatività repressa.

I bambini e gli adolescenti di oggi crescono giocando con la musica generativa grazie, per
esempio, a videogiochi come Minecraft. Questo, sottolinea Stephen Phillips, uno dei fondatori
della startup australiana PopGun, renderà assai naturale a queste generazioni l’interazione con
l’IA, non solo in campo musicale del resto.

La startup francese AIVA, fondata da tre giovani informatici e compositori, si focalizza sulle
colonne sonore per film, videogiochi, pubblicità; l’algoritmo da loro ideato è in grado, sempre

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grazie al deep learning, di far emergere un modello (matematico), un’impronta digitale delle
caratteristiche compositive di un musicista (anche classico come Bach e Beethoven) o di un
genere musicale.

Molte altre sono le giovani imprese che si sono lanciate in questo mercato emergente; alcune
usano l’AI per analizzare la musica e categorizzarla rendendo più efficaci i sistemi di
raccomandazione: una di queste, Niland, non a caso è stata acquistata da Spotify.

In questo settore, come in quello delle blockchain, sarà interessante scoprire quali progetti e
servizi avranno successo, quale sarà la chiave di volta che renderà mainstream un servizio o un’
app. Usando la definizione di Ed Finn, scopriremo anche come verrà riempito questo “spazio
computazionale dell’immaginazione”, in cui le composizioni musicali saranno il risultato di due
intelligenze diverse e, forse, complementari.

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Federico Bo – federico.bo67@gmail.com

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