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e m sobrio.

Solo lui sedette e disse piano: «Io lo so, ra c c o n ­


.xa S cim m ietta che tan o che nella Zona ci vive q u a lc u n o . U o -
le tto vicino alla fi- m ini. N on extraterrestri, m a p ro p rio u o m i­
d e lia casa le aveva ni. La Visita li avrebbe sorpresi in q u esti lu o ­
u n suono molto $i- ghi e loro sarebbero diventati m u ta n ti... Si
-» li suo però aveva sarebbero adattati alle nuove condizioni. N e
gorgoglio. In questo ha sentito parlare, m ister S chouart?»
*u n Vaitro nell’oscu- «Sì» disse Redrich. « M a n o n q u i. S ui
richiam o che sembrò m onti, a nord-ovest. C erti pastori».
iu tta si era svegliata e “Ecco com e m i h a c o n ta g ia to ” p e n s ò .
p e r m ano, lui aveva “C on la sua follia m i h a c o n ta g ia to . Ecco
:h e si era immediata- perché sono v enuto qui. Ecco co sa m i o c ­
io re ; erano rimasti co- corre...” U n a sensazione s tra n a , d e l t u t t o
nuova, lo invase len tam en te. R iconobbe c h e
a sso rtì in un ascolto
questa sensazione in effetti n o n era a sso lu ­
cm inabile, e quando
tam ente nuova, da ta n to ce T aveva d e n tro ,
à u t o e si era coricata, ma solo ora che V aveva c a p ita o g n i co sa to r ­
3t a u n poco, poi * ® nò al suo posto. Q u ello ch e p r im a s e m b ra ­
. _ p avidéUU^ va una sciocchezza, il delirio folle d i u n v ec­
■c n V rii cognac- Da chio rim b am b ito , d iv e n n e o ra T u n ic a sp e ­
b o ttig h a d gdibete...
ranza, T unico sen so d e lla v ita, p e rc h é solo
.v a p i ù c o n i !
ora lui aveva capito: T u n ic a c o sa in tu t t o il
' * ittV u ri'<<Sa’ ta#
»se eper mondo che a n c o ra gli e ra r im a s ta , T u n ic a
tì e per cui era v issu to gli u l t i m i m e s i, e r a la
im pala- speranza in u n m ira c o lo . E lu i, s tu p id o , i m ­
becille, a llo n ta n a v a q u e s ta sp e ra n z a , la c a l­
pestava, la d e g rad av a b e v e n d o , p e r c h é c o sì
era S itu a to , p e rc h é m a i i n v ita su a , s in d a l-

V 281
l’infanzia, aveva contato su nessun altro
che su se stesso e perché sin dall’infanzia
questo far conto su di sé si era espresso nel­
la quantità di bigliettoni che riusciva a
strappare, staccare, rodere dal caos indiffe­
rente che lo circondava. Così era sem pre pere cos^ ^
stato e così sarebbe stato anche in futuro, se d’oro un r f l
alla resa dei conti n o n si fosse ritrovato in chiuso in c
u n a fossa da cui n o n lo avrebbe salvato nes­ con allegra
sun bigliettone, in cui contare su di sé era corrugava tu
asso lu tam en te senza senso. E ora questa lanciava u n \
speranza, orm ai n o n più speranza, m a cer­ lo sguardo.
tezza, in u n miracolo, lo riem piva tutto, si­ «Be’, certo,
no alla p u n ta dei capelli, e già si m eravi­ se infine A r ti
gliava di com e prim a avesse potuto vivere in
bene...»
u n buio così totale, senza via d ’uscita... Rise
e scosse A rthur per la spalla. «Menti, m<
«E allora, stalker» disse. «Tremi? Hai “'ente. «Tu !
paura? Facci l’abitudine, fratellino, non ti d’oro és
5rJ
■V.

vergognare. E la Zona».
Arthur lo guardò stupito, con un sorriso
incerto sulle labbra. Redrich appallottolò la anche ii
H ur
carta unta dei panini, la gettò sotto il car­
rello e si appoggiò al sacco, tenendosi sul
K k Burbl
\* S a
gomito.
«Va bene» disse. «Poniamo, per esempio,
V’Si,.,,
che questa famosa Sfera d’oro effettivamen­
te ci sia... Che cosa vorresti?»
«Allora nonostar
se Arthur.
«Questo non ’
o no. Rispon^'
AU>

o^rf^iic^Tcl CUTlub^'
corrugava tutto, si torm entavi
lanciava un'occhiata e di nuovoabraS^Svd
lo sguardo.
«Be’, certo, le g am be di m io p ad re...» dis­
se in fin e A rth u r. «E c h e a casa v ad a tu tto
bene...»
«M enti, m e n ti» fece R edrich b e n e v o l­
m ente. «Tu, fra te llin o , devi rico rd are: la
Sfera d 'o ro esau d isce solo i desideri segreti,
solo quelli ch e se n o n si realizzano, u n o p o ­
trebbe a n c h e im p iccarsi!»
A rthur B urbridge arrossì, di n u o v o lan ciò
un’o cch iata a R ed rich e su b ito abbassò gli
occhi, d iv e n ta n d o davvero co m e u n p e p e ­
rone, aveva p e rsin o le la c rim e agli occhi.
Redrich fece u n sorrisetto.
«Tutto c h ia ro » disse, q u a si a ffe ttu o so .
«Va bene, n o n sono affari m iei. T ientelo per
te...» A u n tra tto si ric o rd ò d ella p isto la e
nere grigia, premeva convulsamente con il
petto la testa di quel maledetto moccioso;
poi non resse e prese a gridare con tutte le
forze...
Non ricordava più quando tutto questo
avesse avuto fine. Capì solo che poteva di
nuovo respirare, che Paria era di nuovo aria
e non quel vapore infuocato che gli aveva
bruciato la gola e realizzò che bisognava al
più presto togliersi da sotto quel braciere dia­
bolico prima che li seppellisse di nuovo. Stri­
sciò via da Arthur, il quale giaceva comple­
tamente immobile, strinse sotto le ascelle le
sue gambe e, aiutandosi con la mano libera,
cominciò a strisciare in avanti, senza togliere
gli occhi dalla linea oltre la quale C o m in ­
ciava l’erba, morta, secca, punger 'WÈ^
quasi un grandioso sinonimo del
La cenere gli scricchiolava tra i de
infuocato era a tratti investito dà
vampate di calore, il sudore gli grondava u.
rettamente negli occhi, forse .agsch i non
aveva più né sopracciglia né c
nava dietro Arthur che, quasi i,
a ogni passo si impigliava nel t
maledetto giubbotto, la schiena a.
gli bruciava e il sacco a ogni movìmt.
piva la nuca scottata. Per il dolore e Pai.
Barboncino. Conciato allo stesso modo.
Chiaro? Avanti!»
La brodaglia era calda, appiccicosa, nau
seante. Air inizio camminavano dritti, im­
mersi fino alla cintola, il fondo sotto i loro
piedi era pietroso e abbastanza regolare, ma
ben presto Redrich sentì un ronzìo cono­
sciuto da entrambi i lati. Sulla collina di si­
nistra, illum inata dal sole, non si vedeva
niente; ma sul pendìo a destra saltellavano
| nell'ombra flebili luci lillastre.
«Abbassati» comandò tra i denti, e si ab­
bassò anche lui. «Più giù cretino!» gridò.
Arthur si piegò spaventato e in quello
stesso istante u n ’esplosione tagliò Paria.
Sulle loro teste tremò in una danza forsen­
nata un lampo ramificato, appena visibile
sullo sfondo del cielo. Arthur si accovacciò
e si immerse fino alle spalle. Redrich, con le
orecchie perforate dal tuono, voltò la testa,
e vide nell’ombra una macchia rosso-fuoco
che si spandeva in mezzo ai frammenti di
pietra: subito ci fu un secondo fulmine.
«Avanti! Avanti!» gridò, senza sentire la
propria voce.
Adesso procedevano accovaccia**^
d’oca, tenendo fuori soltanto
ogni scarica Redrich vedeva coi. fBj

306
capelli di Arthur si drizzavano s».
sentiva mille piccoli aghi conficca
pelle del viso. «Avanti!» ripeteva m
no. «Avanti!...» Ormai non sentivi
niente. Una volta Arthur si volse di prc
: e lui vide un occhio sbarrato per il tei
storto verso di lui e le labbra bianche
tremolavano e il collo sudato impias',
to diiaMhÉ#" °oi i fulmini comi!-

naso i tampò:
za era scomparsa e che F3WB
un odore di ozono fresco e p e n e t r a
vapore intorno si era fatto sempre più den­
so, o forse erano gli occhi che si erano offu­
scati: ormai non si vedevano più le colline
né a destra né a sinistra, non si vedeva nien­
te, tranne la testa di A rthur ricoperta di
fango verde e il vapore giallo che saliva a
spirale.
“Ce la farò, ce la farò” pensò Redrich.
la “Non è la prima volta, tutta la vita è stato
così: io nella merda e sulla testa i fulmini;
non è mai stato altrimenti... Da dove vien
fuori questa merda? Quanta merda... c’è da
«ventar matti, quanta merda in un solo po-
sto, qui c’è la merda di tutto il mondo... È merse, v id e
Beccamorti” pensò furioso. “È Beccamorti contorto d i l
che è passato di qui, questo è tutto ciò che ti, e all’im p r
si è lasciato dietro... Quattrocchi è rimasto timo: gli serr
a destra. Barboncino a sinistra, e tutto per­ to. Ma n o n e
ché Beccamorti passasse in mezzo a loro e puntare lì de
lasciasse dietro di sé tutta questa merda... Ti sommità di
sta bene” si disse “chi va sulle orme di Bec­ parte q u esta
camorti, ingoia sempre merda. Cos’è, forse nella n eb b ia
prima non lo sapevi? È così ovunque. Ce ne
son troppi di Beccamorti, è per questo che
non è rimasto neanche un posto pulito, è
tutto lordato... Noonan è un cretino: tu, di­
ce, Roscio, sei uno che distrugge requilitepm
che distrugge l’ordine; tu, dice, Roscir L spànfii
male in qualsiasi sistema, stai male
cattivo sistema, e anche in uno buono
male lo stesso, per la gente come te non ci
sarà mai il regno dei cieli sulla te ^
che ci capisci tu, grassone? Quanc
visto un buon sistema? Quando n*
hai visto in un buon sistema? Per tc
vita vedo solo come muoiono i Kirili
Quattrocchi, mentre i Beccamorti strisciano
tra i loro cadaveri, sui loro cadaveri, come
vermi, e lordano e lordano e lordano...”
Scivolò su una pietra che gli aveva cedu­
to sotto il piede, sprofondò con la testa, rie­

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Adesso vi presento il conto per esteso. Pen­
sate che abbia dimenticato? No, ricordo tut­
to. Pensate che vi dica grazie perché mi ave­
te lasciato in vita, non mi avete annegato?
Vi spacco la testa, altro che grazie. Adesso
per tutti voi è la fine, chiaro? Cambierò tut­
to. Adesso decido io. Io, Redrich Schouart,
sano di mente e in stato di sobrietà, decide­
rò tutto e per tutti. E tutti voialtri: becca­
morti, infami, alieni, scrocchiazzeppi, kvo-
terbladi, parassiti, mammalucchi, rantoli,
in cravatta, in divisa, pulitini, con le borse,
con i discorsi, con le beneficenze, con le of­
ferte di lavoro, con gli accumulatori eterni,
con le ‘tagliole’, con promesse di vario tipo,
basta, mi avete menato per il naso, mi ave-
■Je^ixascinato per il naso, e io, scemo, mi
untavo: J Tutto quello che voglio, lo faccio’
’vo, mentre voi vi limitavate a fare ‘sì’
'a testa e intanto, infami, vi strizzavate
™ “ fe n d e v a te gioco di me, mi ti-
L -navate per galere, per oste­

hia del sacco e prese dal-


fiasca.
msato» disse Arthur
ite' ^ l l a voce «non po-
,. Io, certo, sape-
vo: la morte, il fuoco... Ma una cosa simi­
le!... Come faremo a tornare indietro?»
Redrich non lo ascoltava. Ciò che diceva
quell’omettine ora non aveva nessuna im­
portanza. Anche prima non ne aveva, ma
prim a bene o male era un uomo. Mentre
adesso era, come dire... un grimaldello. Par­
lasse pure!
«Potersi almeno lavare!» Arthur si^ ja jr
dò intorno, inquieto. «Almeno un fl
quata al viso».
Redrich gli diede u n ’occhiata distra,
de i capelli incollati che ricadevano cdtijjy
un feltro, vide il viso spalmato di ^ame,
segnato dalle impronte delle dita
ne tu tta la sua persona ricoperi
crosta di fango che si andava screpou
non sentì né compassione né irritazk, jl
niente. Un grimaldello parlante. Si girò dal­
l’altra parte.
Davanti si stendeva uno spazio desolato
come un cantiere in abbandono, cosparso
di pietrume aguzzo, ricoperto da uno strato
\ di polvere bianca, inondato da un sole acce-
{| cante, intollerabilmente bianco, ardente,
\ morto.
La parete più lontana della cava era già
visibile da lì, anch’essa di un bianco acce-

312
glia, un piatto fondo con una minggji
sa e un barattolo di ketchup, ?
finisse di trangugiare la mine
si dedicasse alla carne con le
ecco, era possibile uscire alla —
carsi sulle sue ginocchia e chiedergli quale
mastro e quale ingegnere aveva affogato
quel giorno nell’acido solforico...
Intorno tutto era arroventato, incande­
scente, gli veniva la nausea per l’arsura sec­
ca, spietata, per la puzza, per la stanchezza,
e la pelle bruciata gli ardeva furiosamente
spaccandosi e gli sembrava che attraverso la
foschia arroventata che gli ottundeva la co­
scienza tentasse di gridare fino a farsi in­
tendere da lui, implorando pace, acqua, fre-
r scurai I ricordi, logorati e quasi irriconosci-
\ bili, si affollavano nel cervello enfiato, si
I cacciavano l’un l’altro, si soppiantavano
Smischiandosi, intrecciandosi in u n mondo
I bianco e torrido, che gli ballava davanti agli
occhi semichiusi; e tutti questi ricordi era-
/ no amari, tu tti facevano nascere u n senso
[d i pena graffiante oppure di odio.

316
il visino fr
£37-:

^IMMW 0X21V* -
V5"cii ricordare Kirill, sant’uomoTf suoi ffl5-
vimenti rapidi e sicuri, la sua risata, la sua
voce che prometteva luoghi ed epoche in ­
credibili, meravigliosi, e Kirill gli appariva
davanti, ma poi riluceva al sole la ragnatela
argentea e Kirill non c'era più e sul volto di
Redrich si fissavano gli occhietti angelici e
immobili di Rantolo Hue e una mano gran­
de e bianca soppesava sul palmo il conteni-^
tore di porcellana... Forze oscure che si agi- |
tavano nella sua coscienza abbattevano j
istantaneamente la barriera della volontà e
spegnevano: quel poco di buono che la sua ]
memoria ancora conservava e già gli sem- ]
brava che non ci fosse proprio più niente di !
buono, ma solo una moltitudine di ceffi...
Per tutto quel tempo rimase uno stalker.
Senza pensare, senza averne coscienza, sen-

3V
■ f i& W h fV JL V S / A A V ^ V V J

to mi conosca io stesso. Sei diventato vec­


chio, ecco cosa. Ti sei istupidito. E poi, che
c’è da stupirsi? per tutta la vita h ^ ^ ^ t o a
che fare con degli imbecilli...”
maginò come si sarebbe conti
morti alla notizia che p rop n H
Archie il bello, sangue del suo sarìgv
proprio lui era andato nella Zona c o H j
scio per restituire le gambe a B e c c a m o rti
non un moccioso buono a nulla, ma suo fi­
glio, la sua vita, il suo orgoglio... E immagi­
nando questo, Redrich scoppiò a ridere e
quando Arthur si volse a guardarlo spaven­
tato, lui, continuando a ridere, gli fece un
cenno con la mano: marsch, marsch! E di
nuovo gli passarono per la coscienza, come
su uno schermo, una moltitudine di ceffi...
Bisognava cambiare tutto. Non una sola vi- H
ta e non due vite, non un solo destino e non
due destini: ogni piccola vitarella di questo
mondo schifoso bisognava cambiare...
Arthur si fermò davanti alla ripida disce­
sa alla miniera, si fermò e restò come con­
gelato, fissando lo sguardo giù, lontano, il
lungo collo proteso. Redrich si avvicinò e gli

319
macchia forse è A rthur Burbriagc, / u —
bello, il suo orgoglio; e an ch e lui n o n h a
niente né del padre né della madre.
«Siamo arrivati!» sibilò frenetico A rthur.
«Mister Schouart, ce l’abbiam o fatta l o j ^ |
so, eh?» f
Rideva di u n a risata felice, si accovaoÉÉ
cominciò a pestare i p u g n i per terra,
tutte le forze. I capelli incollati alla testa t r e ^
mavano e sobbalzavano, in m odo ridicolo e
irreale, gli schizzi di fango secco volavano
da tutte le parti. Solo allora Redrich sollevò
gli occhi e guardò la Sfera. Attenzione! Peri­
colo! Una pau ra a stento tra tte n u ta che la
Sfera si sarebbe rivelata diversa, che avrebbe
potuto deludere o destare dei dubbi, che
l’avrebbe potuto b u ttare giù dal cielo in cui
era riuscito a inerpicarsi ingoiando m erda.
Non era d ’oro, piuttosto color ram e, rossa­
stra, com pletam ente liscia, e riluceva opaca
al sole. Era piazzata sotto la parete estrem a J
della cava, siste m a ta c o m o d a m e n te tra i
blocchi di pietra am m assati, e an ch e di lì si
poteva vedere q u an to fosse m assiccia e con

3-21
quale pesantezza premesse sul proprio giaci­
glio.
Non aveva in sé niente di deludente o di
sospetto, ma neppure qualcosa che alimen­
tasse la speranza. Chissà perché gli venne
subito in mente che probabilmente era vuo­
ta e che a tastarla doveva essere molto cal-
j da, il sole la arroventava. Brillava palese-
* j mente di luce non propria, palesemente
non era in grado di volare nell’aria e di dan­
zare, come accadeva nelle leggende che esi­
stevano intorno a essa. Giaceva lì dove era
caduta.
Forse era uscita da una tasca enorme o si
, era persa, era rotolata durante il gioco di
[_ qualche gigante; non era stata messa appo­
sta, era buttata lì, esattamente come tutti
quei gusci, braccialetti, batterie e altra mon­
dezza rimasta dalla Visita.
Eppure qualcosa, nonostante tutto, l’aveva
e quanto più Redrich la guardava, tanto più
chiaramente capiva che guardarla era piace­
vole, che si provava il desiderio di avvici­
narsi, si provava il desiderio di toccarla, di ac­
carezzarla, e chissà da dove d’un tratto gli
i affiorò l’idea che doveva essere bello sedere lì
accanto e ancora meglio appoggiarci con la
schiena, abbandonare la testa e, chiudendo
gli occhi, meditare, ricordare, forse sonnec­
chiare semplicemente, riposando...
Arthur saltò su, aprì tutte le lampo del
giubbotto, se lo strappò di dosso e con un
gesto ampio lo buttò a terra, sollevando una
colonna di polvere bianca. Gridò qualcosa,
facendo smorfie e agitando le braccia, poi
intrecciò le mani dietro la schiena e, cam­
minando a passo di danza, seguendo cor
piedi figure complicate e bizzarre, avanzi ;
saltelloni giù per il pendio.
Non guardava più Redrich, aveva d im e n i
ticato Redrich, aveva dimenticato tutto, an­
dava a esaudire i propri desideri, i piccoli de­
sideri segreti di un collegiale che ancora ar­
rossiva, di un ragazzetto che non aveva visto
in vita sua soldi che non fossero gli spiccioli
datigli dal padre, un lattante che veniva fu­
stigato senza pietà se tornava a casa con il
minimo odore di alcol, che era stato educato
per diventare un noto avvocato e in prospet­
tiva un ministro e nella prospettiva più lon­
tana, va da sé, u n presidente... Redrich, soc­
chiudendo gli occhi abbacinati dalla luce ac­
cecante, lo seguì con lo sguardo, in silenzio.
Era freddo e calmo, sapeva quello che sa­
rebbe successo e sapeva che non avrebbe
guardato, m a per adesso poteva ancora guar-
se in aria e lentamente, con sforzo, lo tor­
cesse, così come le massaie torcono la bian­
cheria per far uscire l’acqua. Redrich riuscì
a notare una delle scarpe impolverate strap­
parsi dal piede che si contorceva e volare al­
ta, al di sopra della cava. Allora si voltò e se­
dette. Non aveva un solo pensiero nella te­
sta, smise persino di percepire se stesso. In­
torno regnava il silenzio e soprattutto c’era
calma dietro di lui, lì sulla strada.
Allora si ricordò della fiasca, senza parti­
colare gioia, sem plicem ente come di una
medicina che era giunto il momento di
prendere. Svitò il tappo, cominciò a bere a
piccole sorsate e per la prima volta in vita
sua rimpianse che nella fiasca ci fosse alcol,
e non semplicemente acqua fresca...
Passò u n p o ’ di tem po e nella testa co­
minciarono ad apparire pensieri più o me­
no coerenti. “Be', ecco tu tto ” pensò invo­
lontariamente. “La strada è aperta. Si po­
trebbe andare anche adesso, m a certo è me­
glio aspettare ancora u n poco. l ‘tritacarne’ IX
a volte fanno brutti tiri. E poi, bisogna pen­
sare. N on ci si è abituati, a pensare, ecco il
guaio. Che cos’è pensare? Pensare vuol dire:
fingere, cam uffarsi, bluffare, truffare, ma
qui tutto questo n o n serve...”

325
lingua, infami... Un teppista... Teppista eri,
e teppista sei rimasto... Ecco, non deve esse­
re così! È proibito per il futuro, una volta
per tutte! L'uomo è nato per pensare (ecco­
lo, Kirill, finalmente!)... Solo che io non ci
credo. Non ci credevo prima e non ci credo
neanche adesso; e per cosa nasca l’uomo,
non lo so. Nasce e basta. E ognuno tira
avanti come può. Potessimo almeno stare
bene tutti noi! E loro crepassero pure! Ma
chi siamo ‘noi’? E chi sono Toro’? N on ci si
capisce niente. Io sto bene, e Burbridge sta
male; Burbridge sta bene, e Quattrocchi sta
male; Rantolo sta bene, e tutti gli altri m a­
le, solo che lui, Rantolo, è un imbecille e
pensa di farcela a tirarsi fuori in tempo...
Dio mio, che pasticcio tutto questo, che pa­
sticcio! È tutta la vita che combatto con il
capitano Kvoterblad e lui ha combattuto per
tutta la vita con Rantolo e da me voleva so­
lo una cosa, anche se ci diventava m atto:
che la piantassi con lo stalkeraggio. Ma co­
me potevo piantarla, quando avevo da m an­
dare avanti la famiglia? Andare a lavorare?
Non voglio lavorare per voi, m i fa schifo il
vostro lavoro, riuscite a capirlo, questo? Se
una persona lavora, lavora sempre per qual­
cuno, è uno schiavo e basta, e io ho voluto

327
sempre essere me stesso, essere per conto
mio, per poter sputare su tu tti, sulla loro
tristezza e sulla loro noia...”
Finì di bere il fondo di cognac e con tu t­
te le forze sbattè per terra la fiasca vuota.
La fiasca fece un salto, lampeggiando al
sole, e rotolò via, lui se ne dim enticò al­
l’istante.
O ra sedeva coprendosi gli occhi con le
m ani e si sforzava di n o n pensare più, di
non ragionare, ma di scorgere alm eno qual­
cosa di giusto, però di nuovo vide solo u n a
m oltitudine di ceffi... Bigliettoni, bottiglie,
mucchi di stracci che un tem po erano stati
persone, colonne di cifre...
Sapeva di dover distruggere tu tto questo,
voleva farlo, ma gli sembrò che se tutto ciò
fosse stato elim inato non sarebbe rim a sto *
niente, solo la terra nuda e piatta.
Avrebbe tanto voluto appoggiare la s c h iS
na e abbandonare la testa, preso com ’era d a ^
un senso di impotenza e di disperazione, m a
si alzò, m eccanicam ente si tolse la polvere
dai pantaloni e com inciò a scendere verso
la cava.
Il sole dardeggiava, davanti agli occhi bai- è
lavano macchie rosse, l'aria sul fondo della 1
cava tremolava, e in quel trem olìo sembra-

328
va che la sfera stesse compiendo una danza
sul posto, come una boa sulle onde.
Passò accanto alla cucchiaia, sollevando
il più possibile i piedi e stando attento, per
superstizione, a non finire sulle macchie
nere; poi, impantanandosi nel terreno mol-
le, tagliò faticosamente di traverso t u t t a ^
cava e puntò alla sfera danzante e amru
cante.
Era tutto coperto di sudore, il respiro gn^
veniva meno per l’afa, e allo stesso tempo
sentiva brividi di freddo, un tremito violen­
to lo scuoteva, come dopo una sbornia, e la
polvere insipida di gesso gli strideva tra i
denti.
Ormai non tentava neanche più di pen­
sare. Si ripeteva solo con disperazione, co­
me una preghiera: “Sono un animale, lo v e -a
di? sono un animale. Non conosco parole,
non mi hanno insegnato le parole, non so j
pensare, questi vermi non mi hanno dato la
responsabilità di imparare a pensare. Ma se
tu sei veramente così, onnipotente, onni­
sciente, se puoi veramente comprendere
tutto... allora capiscimi. Guarda nella mia
anima, io so che lì c’è tutto quello di cui hai
bisogno. Deve esserci! L’anim a non l’ho
mai venduta a nessuno! È mia, è umana!

3-29
Tira fuori tu quello che voglio, non può es­
sere che io voglia del male!... Al diavolo tu t­
to! Non riesco a immaginare niente, tranne
queste sue parole infantili: 'Felicità per tu t­
ti, gratis, e che nessuno debba andarsene
; inascoltato!’”

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