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Facoltà di Ingegneria
Università di Trieste
COMPLEMENTI DI
PROPULSIONE NAVALE
Giorgio Trincas
A.A. 2009-10
II
Indice
2 Accoppiamento elica-carena-motore 47
2.1 Accoppiamento elica–motore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
2.2 Punto operativo dell’elica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.2.1 Elica a passo fisso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
2.2.2 Eliche a passo variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
2.3 Approccio classico al problema propulsivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
2.3.1 Curve di funzionamento dell’elica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
2.3.2 Scelta della potnza massima continua e diagramma di carico . . . . . . . . 59
2.4 Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
2.4.1 Codice di ottimizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
2.4.2 Applicazione della programmazione nonlineare . . . . . . . . . . . . . . . . 69
3 Previsioni sperimentali della potenza 83
3.1 Prova di autopropulsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
3.2 Metodo Continentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
3.2.1 Attrezzatura sperimentale e scelta dei modelli . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
3.2.2 Conduzione delle prove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
3.2.3 Determinazione dei coefficienti propulsivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
3.2.4 Effetti del carico dell’elica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
3.3 Metodo Britannico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
3.3.1 Prove con variazioni di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
3.3.2 Valutazione delle prove con variazioni di carico . . . . . . . . . . . . . . . . 101
3.4 Metodo Ibrido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
3.5 Metodo ITTC 1978 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
3.5.1 Fattori che influenzano la previsione al vero . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
3.5.2 Procedura ITTC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
3.5.3 Evoluzione del metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
Bibliografia 119
-1
0
Capitolo 1
Uno dei compiti più importanti a livello progettuale è soddisfare i requisiti di velocità di una
nave. Una volta definite,le forme di carena, occorre determinare la potenza motore che consenta
alla nave di soddisfare i requisiti operativi. La conoscenza della potenza richiesta perchè la nave
raggiunga la velocità massima richiesta consente di scegliere l’apparato motore (o di verificarne
l’adeguatezza se il motore è imposto a priori dall’armatore), di determinare la quantità di com-
bustibile richiesto per una prefissata autonomia, e di rifinire la stima del peso e del baricentro
della nave.
Molta parte della letteratura disponibile per la previsione teorica delle prestazioni di una nave
è dedicata alle metodologie ed alle procedure basate su formulazioni che descrivono matemati-
camente i risultati di prove su modelli. Negli ultimi decenni sono stati sviluppati vari metodi
numerici, implementati in codici commercializzati o disponibili presso numerose vasche, univerità
e centri di ricerca. Tuttavia, la loro accuratezza previsionale della resistenza totale, ma soprattut-
to dell’interazione elica-carena è per ora ancora lontana da essere ingegneristicamente accettabile.
Occorre perciò ricorrere ancora ai metodi sperimentali.
Quello che soprattutto serve ai progettisti è conoscere l’affidabilità applicativa dei risultati spe-
rimentali. . Allo scopo vengono riassunte le metodologie base di previsione della resistenza e dei
coefficienti propulsivi, nonché le tecniche di correlazione tra i risultati sperimentali e le prestazioni
al vero.
1
1 – Metodi di previsione della potenza
sullo stesso modello, si possono registrare differenze nei risultati superiori a quelle attribuibili agli
errori tecnologico–costruttivi. Ragion per cui, anche se vengono richieste le prove su un modello
che sia più o meno rappresentativo della geometria di carena della nave al vero, il progettista
esperto sarà restio a credere che qualsiasi prova su un modello possa essere utilizzata come uno
strumento assolutamente affidabile per prevedere le prestazioni di una nave al vero.
Non viene qui trattato tanto l’aspetto delle incongruenze tra i risultati ottenuti da diverse vasche
sperimentali sullo stesso modello, né quello delle differenze tra risultati sperimentali e prove al
vero, quanto il fatto che, per le navi convenzionali, i calcoli su base statistica possono fornire
le previsioni di potenza di una nave pressoché con la stessa affidabilità garantita dalle prove
sperimentali.
Per molte tipologie di navi, le previsioni empirico–statistiche di resistenza e propulsione
costituiscono per il progettista uno strumento utile quanto le prove sperimentali
Molta della confusione esistente al riguardo deriva dall’utilizzo improprio del termine ‘qualità’.
Quando ci si riferisce alle soluzioni tecniche, la qualità viene spesso confusa con la ‘precisione’. La
nozione assai diffusa è che una risposta più precisa abbia una maggiore qualità. Ma questo accade
assai raramente. Ad esempio, nel progetto concettuale, quando le dimensioni del motore e l’entità
dei consumabili sono previsti con un margine del 5%, che senso ha calcolare il volume di carico
con la precisione dell’1%? Se il dislocamento totale è stimato con un margine del 5%, perché
calcolare il peso dell’acciaio scafo con estrema precisione? Quando viene consegnata una nave
che probabilmente è leggermente diversa da quella prevista in sede progettuale, c’è da chiedersi
se una maggiore o minore accuratezza nella previsione di potenza costituisca un fattore dirimente
per l’armatore.
Il progettista deve comprendere gli effettivi obiettivi progettuali
Nessun armatore è realmente interessato al fatto che la potenza sia prevista per via teorica o per
via sperimentale, ma vuole sapere quale sarà l’effettiva potenza motore richiesta alle prove o in
una certa condizione di servizio. Purtroppo non esiste alcuna metodologia del tutto affidabile che
possa garantire l’accuratezza delle previsioni al 100%. L’unica regola di buon senso da seguire è
che qualunque procedura di previsione di potenza deve essere applicata dai progettisti in maniera
coerente. Non tutti i metodi sono appropriati per qualunque tipologia di nave e per tutte le sue
condizioni operative, per cui è necessaria una comprensione esatta dell’obiettivo desiderato, cosı̀
come una conoscenza tecnica del metodo adottato.
Il progettista deve conoscere diversi metodi di previsione
È opportuno e necessario considerare gli obiettivi progettuali relativi alla previsione di potenza
nel quadro della definizione del sistema nave complessivo. Un’accurata analisi delle prestazioni
dell’elica non può contribuire a fare crescere l’affidabilità del progetto se la valutazione della re-
sistenza di carena è meno precisa. Analogamente, trascurare la resistenza delle appendici di uno
scafo planante può degradare enormemente l’affidabilità della previsione.
2
1.2 – Approcci ingegneristici
Quanto all’utilizzo di metodi numerici, una previsione della resistenza e dei coefficienti propulsivi
può essere ritenuta accurata se si è in grado di rispondere positivamente ad alcune domande
chiave quali:
• È affidabile il codice disponibile? Sono implementate le correzioni opportune?
• Sono state considerate tutte le componenti di resistenza?
• La previsione di potenza corrisponde alle prestazioni al vero? Occorre correlare la previsione
per garantire maggiore affidabilità?
Confronti Grandezze
qualitativi quantitative
← − − − − −− − − − − − − −− − − − − −− →
Codici numerici Serie Metodi
di flusso sistematiche statistici
Tabella 1.1. Metodi di previsione
3
1 – Metodi di previsione della potenza
La debolezza di una serie sistematica si presenta quando la carena da progettare cade al di fuori
dei limiti di definizione della serie. La capacità di valutare carene differenti da quelle delle serie
sistematiche è ciò che rende i metodi empirico–statistici cosı̀ attrattivi.
4
1.2 – Approcci ingegneristici
N D > N V (N V + 3)/2
È buona norma fornire i valori della correlazione statistica, per consentire all’ingegnere na-
vale di valutare la qualità della corrispondenza dei dati originali nell’equazione risultante.
Questo uso della correlazione e dell’analisi degli errori può rassicurare circa la validità sta-
tistica delle espressioni risultanti.
3. Infine, anche in presenza di espressioni statisticamente accurate, la massima precisione delle
previsioni può essere garantita solamente se il metodo di previsione statistica è stato valida-
to. Questo punto va sottolineato, se il progettista vuole prevedere la resistenza con molta
precisione mediante metodi statistici.
Come detto, i calcoli teorici non sono l’obiettivo in sè. Poiché l’obiettivo di una previsione proget-
tuale è quello di fornire valori che rappresentino le prestazioni di una nave al vero entro tolleranze
accettabili, essa deve essere strutturata e, quindi, validata mediante i seguenti passi sequenziali:
5
1 – Metodi di previsione della potenza
6
1.3 – Previsione della resistenza
velocità secondo la potenza nma , dove n varia dal valore 2 alle basse velocità ed aumenta fino ad
un valore intorno a 5 alle alte velocità. In Figura 1.1 è mostrata anche una ‘cresta’ nella curva
della resistenza totale. Questa cresta non è un errore, ma un fenomeno comune a quasi tutte le
curve di resistenza nave.
Sono molte le componenti che si combinano a formare la forza di resistenza totale ache agisce su
una carena: gli effetti viscosi dell’acqua sulla carena, l’energia richiesta per creare e mantenere le
onde di prora e di poppa, e la resistenza che l’aria oppone al moto di avnzamento della nave. In
termini matematici la resistenza totale può essere scritta come
RT = RV + RW + RAA
dove
RT : resistenza totale di carena
RV : resistenza viscosa
RW : resistenza d’onda
RAA : resistenza causata dall’aria calma
7
1 – Metodi di previsione della potenza
La Figura 1.2 mostra come l’entità di ogni componente varia con la velocità nave. A basse velocità
domina la resistenza visocsa, mentre ad alte velocità la curva della resistenza totale si impenna
drammaticamente verso l’alto quando la resistenza d’onda diviene prevalente.
Tutte queste metodologie sono state limitate, in un modo o nell’altro, dalla realtà fisica che vuole
che il rapporto tra volume di dislocamento e viscosità dell’acqua non possa essere scalato facil-
mente dalla dimensione modello a quella della nave al vero. Sono stati effettuati vari tentativi per
applicare correzioni e fattori di correlazione in maniera tale che la resistenza di una nave possa
essere pronosticata affidabilmente in base a prove sperimentali su un suo modello. Non è stato
finora possibile sviluppare una procedura universale, cosı̀ che queste correzioni sono applicate a
volte in maniera inappropriata con conseguente inaccuratezza dei risultati.
I tre metodi suddetti per la previsione della resistenza vengono suggeriti non perché siano de-
finitivi, ma piuttosto come tecniche disponibili che riflettono il know-how attuale. In futuro,
altri metodi potrebbero dimostrarsi più appropriati, ma data la mole di prove sperimentali dis-
ponibili per l’utilizzo di questi metodi, è ragionevole preventivare metodi basati sulle medesime
8
1.3 – Previsione della resistenza
Il mezzo più popolare per esprimere numericamente le componenti di resistenza delle carene
dislocanti è sicuramente costituito dal metodo dei coefficienti di resistenza di modelli geome-
tricamente simili (modelli geosim), quali il coefficiente di resistenza totale CT , il coefficiente di
resistenza residua CR , il coefficiente di resistenza d’attrito CF , il coefficiente di resistenza d’onda
CW , il coefficiente di resistenza viscosa CV ed il coefficiente di resistenza di forma Cf . Questo
sistema non è adatto per le carene plananti, mentre tutte le prove sperimentali realizzate su ca-
rene dislocanti definiscono la resistenza sostanzialmente mediante questo metodo. Va osservato
che tra i coefficienti non è compresa la resistenza dell’aria, in quanto la forma adimensionale della
resistenza totale, o di una sua componente, è il prodotto di una prova su modello, e la maggior
parte dei modelli non presenta sovrastrutture.
L’equazione base assume la forma
R
C= 1
2 ρS V 2
dove
C : coefficiente di resistenza,
R : resistenza,
ρ : densità di massa dell’acqua,
S : superficie bagnata di carena,
V : velocità della nave.
Questi coefficienti sono calcolati utilizzando la superficie bagnata come grandezza rappresentativa
delle dimensioni della carena. Come verrà descritto più avanti, non sempre questo approccio può
fornire la migliore base teorica per decifrare alcuni aspetti della resistenza, anche se ha dimos-
trato di essere un metodo affidabile e di semplice utilizzo. Relazioni numeriche, adatte ad essere
implementate in un programma di calcolo e che determinano statisticamente la superficie bagnata
a partire da semplici parametri di forma, come potrebbe essere utile nel progetto concettuale,
sono riportate in Appendice C.
Le metodologie di previsione della resistenza della carena nuda per gli scafi dislocanti hanno
visto l’evoluzione da un metodo basato sul coefficiente di resistenza totale CT a quello basato
su un’analisi bidimensionale, dove la resistenza d’attrito RF viene separata da quella totale RT ,
lasciando la cosiddetta resistenza residua RR a conglobare la resistenza d’onda, la resistenza di
pressione viscosa e la resistenza per formazione di vortici. Questa suddivisione ha consentito una
migliore descrizione della reale composizione della resistenza di carena, individuando la compo-
nente d’attrito in funzione della velocità, della viscosità dell’acqua e della superficie bagnata,
9
1 – Metodi di previsione della potenza
mentre la componente di resistenza residua dipende dalla velocità, dalla densità dell’acqua e dal
dislocamento.
La dipendenza della resistenza d’attrito dalla velocità e dalla viscosità viene espressa in forma
adimensionale mediante il numero di Reynolds
VL
Rn =
ν
dove
Rn : numero di Reynolds,
V : velocità della nave,
L : lunghezza della nave,
ν : viscosità cinematica dell’acqua.
L’individuazione di valori appropriati del coefficiente di resistenza d’attrito CF deve essere ov-
viamente basata su Rn. L’evoluzione storica di questo coefficiente è stata piuttosto tranquilla, se
paragonata alle controversie sorte intorno ad altri aspetti del problema della resistenza al moto.
Sono state derivate linee d’attrito utili alle applicazioni navali, in base a prove su lastre piane e
su modelli di carena di varie forme e di diversi livelli di rugosità.
Le considerazioni teoriche dovute a Prandtl e von Kárman portarono allo sviluppo di una forma
teorica per il coefficiente di resistenza d’attrito
A
√ = log(Rn·CF ) + B
CF
Nel 1947 l’American Towing Tank Conference (ATTC) decise di raccomandare il metodo di
Schönherr (1932), il quale aveva analizzato una grande mole di dati sperimentali alla luce dell’equa-
zione precedente. Molte prove sperimentali svolte nei due decenni successivi utilizzarono questo
approccio per determinare la componente di resistenza d’attrito all’interno dei metodi basati
sull’analisi bidimensionale. Si decise di adottare la formulazione di Schönherr
0.242
√ = log(Rn·CF )
CF
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1.3 – Previsione della resistenza
Per ridurre l’entità di questo problema, l’International Towing Tank Conference (ITTC, 1957)
adottò una nuova curva di correlazione che doveva assicurare una maggiore accuratezza nella
determinazione del coefficiente d’attrito ai bassi valori del numero di Reynolds. La curva di
correlazione modello–nave ITTC’57 è data dalla formula
0.075
CF =
(log Rn − 2)2
Va osservato che lo scorporo della resistenza d’attrito dalla resistenza totale può causare una pre-
visione inaccurata nel trasferimento al vero della resistenza totale per le carene dislocanti veloci.
Infatti, i ‘coefficienti geosim’ sono basati sulla superficie bagnata, che in queste navi varia con la
velocità in quanto la spinta viene generata più dalle forze idrodinamiche che dalle forze idrosta-
tiche. Ovviamente, non è né facile né immediato misurare la superficie bagnata su un modello o
su una nave in movimento, cosı̀ che nei calcoli viene utilizzato il valore della superficie bagnata a
riposo. Questo limite porta ad una valutazione inaccurata del contributo delle varie componenti
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1 – Metodi di previsione della potenza
di resistenza e ad un’imprecisa estrapolazione al vero dei risultati modello. Ragion per cui, per
gli scafi veloci può essere più opportuna un’analisi basata sul rapporto resistenza–dislocamento
RT /∆.
Ricerche successive hanno portato dall’analisi bidimensionale ad una formula tridimensionale,
individuando componenti aggiuntive sia per la resistenza d’onda, sia per quella che viene detta
resistenza di forma. Questa componente di resistenza congloba gli effetti viscosi della forma di
carena, cosı̀ come l’influenza della separazione del flusso, della formazione di vortici e di altri
effetti miscellanei
La resistenza viscosa totale include sia la resistenza di forma che la resistenza d’attrito. Sulla
base dello schema tridimensionale proposto dall’ITTC’78, il coefficiente di resistenza viscosa CV
è definito come CV = (1 + k) CF , dove k è un fattore che tiene conto degli effetti tridimensionali
delle forme di carena sulla resistenza viscosa. In tal modo, il coefficiente di forma Cf può essere
calcolato come Cf = k CF . che consente di calcolare la componente normale della resistenza
viscosa (resistenza di pressione viscosa). La Tabella 1.2 mostra come ogni coefficiente sia legato
ad un altro coefficiente, e come i risultati sui modelli vanno correlati a quelli al vero in ambedue
i sistemi.
Il termine (1 + k), detto fattore di forma, presenta tipicamente valori tra 1.0 e 1.5. Questo fattore
viene ricavato sperimentalmente, sebbene esistano equazioni generali che forniscono valori ragio-
nevolmente accettabili. Le formule utilizzabili sono presentate in Appendice D.
Le altre componenti di resistenza - la resistenza residua CR nell’approccio bidimensionale e la
resistenza d’onda CW nell’approccio tridimensionale - non dipendono dalla viscosità, per cui il
numero di Reynolds non è un parametro di velocità adatto a rappresentare queste componenti.
Froude (1888) presentò una ‘legge di confronto’, dove una ‘velocità corrispondente’ - la relazione
tra velocità e dimensione lineare della nave - è il parametro che controlla il sistema di formazione
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1.3 – Previsione della resistenza
ondosa. I numeri di Froude possono essere basati sulla lunghezza nave (F n) per le navi dislocanti,
oppure sul volume di carena (F n∇ ) per gli scafi plananti, e sono definiti rispettivamente come
V V
Fn = √ ; F n∇ = q
gL g∇1/3
dove
Fn : numero di Froude lineare,
F n∇ : numero di Froude volumetrico,
V : velocità della nave,
g : accelerazione di gravità,
L : lunghezza della nave,
∇ : volume di carena.
Le espressioni utilizzate più diffusamente per descrivere questi effetti combinati furono presentate
da Savitsky (1964). La resistenza totale, nella condizione di equilibrio dinamico della planata, è
composta dalla resistenza risultante di pressione, per cui la carena è spinta verso l’alto incremen-
tando il suo angolo d’assetto, e dalla resistenza d’attrito nell’area di pressione e nella zona degli
spruzzi. L’espressione della resistenza totale è
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1 – Metodi di previsione della potenza
RF
RT = ∆ tan τd +
cos τd
I metodi basati sui rapporti R/∆, espressi rispetto al numero di Froude lineare,,
o rispetto al quoziente di Taylor, offrono un approccio semplice ed affidabile
per valutare quantitativamente la resistenza con tecniche comparative
14
1.3 – Previsione della resistenza
Una derivazione di questo metodo è quello che utilizza il coefficiente di resistenza di Telfer (1933).
Per incorporare la velocità nel coefficiente di resistenza totale, il valore RT /∆ viene diviso per il
quadrato del rapporto tra velocità e lunghezza della nave. Il coefficiente di Telfer è definito come:
g·RT ·L
CT L =
∆·V 2
dove
CT L : coefficiente di resistenza della nave,
g : costante gravitazionale,
RT : resistenza totale,
L : lunghezza della nave,
∆ : dislocamento della nave,
V : velocità della nave.
Coefficienti similari possono essere creati considerando la resistenza residua o la resistenza d’onda,
per definire meglio gli indici di merito di carene alternative.
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1 – Metodi di previsione della potenza
VS ·L1.5
M
RnM =
ν L0.5
S
dove
RnM : numero di Reynolds,
VS : velocità della nave,
LM : lunghezza del modello,
ν : viscosità cinematica dell’acqua in vasca,
Ls : lunghezza della nave.
Cosı̀, per convertire il coefficiente CR , ottenuto da una vecchia previsione di resistenza, nel coef-
ficiente CR0 derivato mediante la linea d’attrito equivalente ITTC’57, vanno effettuati i seguenti
passaggi sequenziali
CTM = CR + CFm(old)
0
CR = CTM − CFM (IT T C 0 57)
0
CR = CR + CFM (old) − CFM (IT T C 0 57)
16
1.3 – Previsione della resistenza
CW = CR − k CFM
0
CR = CW + k CFS
0
CR = CR + k (CFS − CFM )
Questo approccio correttivo utilizza la stessa linea d’attrito sia per il modello che per la nave. Se
questo non è possibile, la modifica della linea d’attrito va effettuata per prima. Si ricordi anche
di utilizzare un adeguato coefficiente CA , come descritto precedentemente.
La resistenza delle appendici è la resistenza causata dalle appendici immerse, quali le eliche, gli
alberi portaelica, le alette antirollio, i timoni, i ringrossi, i braccioli, i fori per i bow thrusters e
le eliche azimutali, ecc. Tutte queste appendici danno luogo ad una resistenza aggiunta che do-
vrebbe essere determinata preferibilmente mediante esperimenti sui modelli. Per i timoni questa
resistenza può essere calcolata tenendo conto della loro forma, utilizzando coefficienti di resistenza
di profili alari di caratteristiche similari e corretti numeri di Reynolds.
Le appendici influenzano soprattutto la componente viscosa della resistenza, la cui determina-
zione è complessa, in quanto le appendici agiscono entro uno strato limite, ma ad un numero di
Reynolds che è diverso da quello della carena. Ciò implica uno scalaggio diverso. Poiché l’incre-
mento di resistenza misurato su un modello con le appendici montate non sarebbe scalato al vero
correttamente, sono stati sviluppati metodi analiti e metodi numerici per prevedere la resistenza
delle appendici, i quali sono poi modificati mediante correzioni empiriche.
17
1 – Metodi di previsione della potenza
Prevedere la resistenza dovuta alle appendici è comunque difficile a causa dei problemi di scalag-
gio tra modello e nave al vero, accentuati dal fatto che le appendici stesse sono molto piccole e,
quindi, sono piccoli anche i numeri di Reynolds. Questo vale soprattutto per i braccioli e le linee
d’assi libere. Comunque, poiché l’incremento di resistenza aggiunta per appendici può ammon-
tare fino al 20% della resistenza totale per una nave bielica, la sua valutazione è assolutamente
necessaria. Alcune vasche hanno adottato la pratica di derivare sperimentalmente l’aumento del
coefficiente di resistenza totale modello prodotto dalle appendici, per poi aggiungere metà di
questo incremento al coefficiente di resistenza totale della carena nuda della nave. Altre vasche
non effettuano alcuna riduzione, aggiungendo tutto il valore dell’aumento di CTM alla resistenza
della carena nuda della nave, cosı̀ che i progettisti idrodinamici devono conoscere esattamente la
specifica tecnica utilizzata dalla vasca della quale ci si serve.
I metodi dettagliati sono basati, in una forma o in un’altra, sulla determinazione del coefficiente
di resistenza di una superficie portante appropriata quale può essere un profilo alare. I dettagli re-
lativi alla previsione numerica della resistenza per appendici possono essere ricavati in Appendice
F.
Il vento e le onde generate dal vento possono contribuire significativamente alla resistenza totale.
Anche se non sempre esiste vento ‘reale’, una nave deve superare comunque un vento ‘apparente’,
semplicemente a causa del suo moto attraverso l’aria calma. Il calcolo della resistenza aggiunta
per vento incorpora l’utilizzo di coefficienti di resistenza, basati su prove empiriche, applicate a
formule del tipo
1
Rw = ρ CD A V 2
2
dove
Rw : resistenza aggiunta per vento,
CD : coefficiente di resistenza,
ρ : densità di massa dell’aria,
A : area della carena e delle sovrastrutture colpite dal vento,
V : velocità della nave.
Le derivazioni di questa forma di calcolo della resistenza utilizzano diverse combinazioni delle
aree trasversale e longitudinale della carena e delle sovrastrutture, cosı̀ come della direzione del
vento reale relativamente alla direzione del moto di avanzamento della nave.
Una correzione, spesso sopravvalutata, che viene apportata a questo incremento di resistenza
dovuto al vento, è quella che tiene conto del ‘gradiente della corrente libera’ del vento naturale.
A causa degli effetti laminari simili a quelli prodotti dallo strato limite su una nave, la velocità
del vento in prossimità della superficie è in qualche misura minore dei valori della corrente libera
forniti dalle agenzie meteorologiche. Occorre perciò trovare la velocità effettiva del vento che
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1.3 – Previsione della resistenza
La resistenza di una nave è assai sensibile agli effetti di acque basse e limitate. Innanzi tutto, in
queste condizioni si evidenzia un’apprezzabile variazione del flusso potenziale intorno alla carena.
Se la nave è considerata ferma in una corrente in moto di profondità limitata, ma di larghezza
infinita, l’acqua che passa sotto la carena deve accelerare con una conseguente riduzione di pres-
sione e con maggiori valori dell’immersione media, dell’assetto e, quindi, della resistenza. Se in
aggiunta l’acqua è limitata lateralmente, come avviene in un fiume o in un canale, questi effetti
vengono amplificati. L’affondamento e l’assetto in acque molto basse possono limitare pesante-
mente la velocità alla quale le navi possono operare senza toccare il fondo.
Un’analisi teorica è difficile da svolgere, cosı̀ che analisi empiriche, derivate da analisi sperimentali
su modelli, costituisconoo la base dei metodi disponibili per il calcolo della resistenza aggiunta
un acque limitate. Questi metodi sono annotati in Appendice H.
A causa della variazione nella distribuzione di pressione intorno ad una carena per diverse velo-
cità, la nave si solleverà o affonderà e cambierà assetto. A basse velocità si ha generalmente un
affondamento ed un leggero assetto prodiero rispetto alle condizioni statiche. Al crescere della
velocità il movimento verticale della prora tende ad invertirsi e a velocità relative corrispondenti
a F n = 0.30 la prora si solleva apprezzabilmente, la poppa si sovraimmerge e la nave assume un
deciso assetto poppiero.
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1 – Metodi di previsione della potenza
Per le forme delle navi mercantili convenzionali, un assetto poppiero statico comporta di solito
un incremento di resistenza alle basse velocità ed una diminuzione alle alte velocità. A basse
velocità la maggiore immersione poppiera fa sı̀ che virtualmente la poppa divenga più piena con
un conseguente aumento della resistenza di forma accompagnata da fenomeni di separazione; al
contrario, a velocità elevate questo effetto è più che contrastato dalla riduzione della resistenza
d’onda grazie ad un corpo prodiero più fine.
In zavorra è di solito necessario imporre un considerevole assetto poppiero per assicurare un’ade-
guata immersione dell’elica, il che produce effetti simili a quelli appena descritti; ossia, resistenza
maggiore alle basse velocità e minore a velocità elevate. Per le navi che probabilmente navighe-
ranno in zavorra per buona parte della loro vita operativa, occorre effettuare prove sperimentali
per investigare questi effetti.
à /∇1/3 ,
I parametri principali di carena che influenzano la resistenza al moto in acqua calma sono L
B/T , LCB, CX , CP , 12 αE , 21 αR , la curva di pienezza (SAC) e CB .
L/B. All’aumentare di L/∇1/3 , e mantenendo costanti gli altri parametri geometrici, aumenta
il rapporto L/B. Tenendo conto dell’effetto suddetto di L sulla resistenza residua, un elevato
rapporto L/B è particolarmente favorevole per le navi più veloci, in quanto un aumento della
lunghezza nave fa crescere la velocità alla quale la lunghezza della formazione ondosa generate
dalla nave è uguale alla lunghezza nave, il che riduce l’impatto della resistenza d’onda.
B/T. Generalmente, al crescere del rapporto B/T aumenta la resistenza d’onda, in quanto il
volume di carena viene portato più vicino alla superficie libera. Per valori molto elevati del rap-
porto larghezza–immersione il flusso intorno alla carena tende a disporsi verticalmente anziché
orizzontalmente, con conseguente riduzione della resistenza.
LCB. Per un assegnato coefficiente di blocco la posizione longitudinale del centro di carena go-
verna la pienezza delle estremità della carena. Quando LCB si muove verso un’estremità, questa
20
1.3 – Previsione della resistenza
diviene più piena, mentre l’altra diviene più fine. Poiché su una carena simmetrica la zona poppie-
ra produce meno resistenza d’onda della zona prodiera, traslando LCB verso poppa, diminuisce
la formazione ondosa prodotta dalla prora più di quanto cresce quella prodotta a poppa, sebbene
qui aumenti la resistenza di pressione. Poiché la resistenza di pressione delle forme fini è bassa,
è conveniente arretrare la posizione longitudinale del centro di carena con indubbi vantaggi dal
punto di vista propulsivo. Al contrario, la posizione ottimale di LCB va portata avanti nelle navi
dalle forme più piene.
CX . Sezioni maestre più piene porta a minori CP , il che può dar luogo ad una riduzione della
resistenza, tuttavia limitata poiché deve essere graduale la transizione tra la sezione maestra e le
estremità della carena.
1/2 αE . Per un’assegnata curva di pienezza il semiangolo d’entrata governa la forma delle sezioni
prodiere; in altri termini, influisce sulle forme delle stesse a ‘U’ o a ‘V’. Le forme a ‘V’ tendono
a generare una maggiore formazione ondosa. L’effetto del semiangolo di entrata dipende dalla
velocità nave: per suoi valori elevati si ha maggiore resistenza a basse velocità, mentre ad elevate
velocità si può avere l’effetto contrario. Per valori relativamente bassi di CP ed elevate velocità,
è preferibile avere bassi semiangoli d’entrata, che producono sezioni ad ‘U’ e minore resistenza
d’onda; ma le sezioni ad ‘U’ hanno più probabilità di subire slamming.
1/2 αR . Grandi semiangoli d’uscita portano a sezioni poppiere a ‘V’ ed a minore resistenza, come
avviene nelle navi bielica. Minori semiangoli d’uscita, che producono forme a ‘U’, sono presenti
nelle navi monoelica, con un aumento della resistenza contrastata da un incremento del rendi-
mento propulsivo.
CB . Per la maggior parte delle navi la resistenza cresce all’aumentare del coefficiente di blocco.
Generalmente CB dovrebbe diminuire all’aumentare della velocità di servizio. In navi con velocità
moderata, la resistenza può essere ridotta diminuendo il coefficiente di blocco in modo da ridurre
il peso dell’apparato motore e dei consumabili. Comunque, una volta fissate le dimensioni nave,
un minore coefficiente di blocco significa minore portata netta. Deve essere trovato un equilibrio
tra la portata netta e la resistenza, basato su uno studio dell’economia gestionale della nave. Una
relazione adeguata tra il coefficiente di blocco ed il numero di Froude può essere espressa dalle
relazioni
V
√ = 0.595 (1.08 − CB ) per la velocità alle prove
gL
21
1 – Metodi di previsione della potenza
V
√ = 0.595 (1.05 − CB ) per la velocità di servizio
gL
Potenza al freno
La potenza al freno PB è la potenza prodotta dal motore principale, che trasfome energia termica
in energia rotazionale. Per la maggior parte delle navi il motore principale e`‘ un motore diesel.
22
1.4 – Previsione della potenza
Per alcune navi è una turbina a gas o un grande motore elettrico: si parla allora di propulsione
elettrica. Tranne che nei motori diesel a due tempi e nei mtori elettrici, la velocità del motore
principale è tale da richiedere una sua riduzione prima di essere trasmessa all’elica.
Potenza asse
Potenza sviluppata
La potenza sviluppata PD è la potenza sviluppata dalla linea d’assi all’elica. L’entità della
potenza sviluppata all’elica sarà sempre minore della potenza asse a causa delle perdite nella
trasmissione lungo la linea d’asse. Le perdite sono di solito alquanto piccole: 2-3%. Queste
perdite avvengono nei cuscinetti, nel reggispinta, nella sua guarnizione e nei cuscinetti interni
ai braccioli. Il reggispinta assorbe la spinta assiale dell’elica prodotta dalla rotazione della linea
d’assi e trasmette questa forza alla struttura di scafo, il che a sua volta determina un moto di
rotazione della nave. I cuscinetti sulla linea d’assi servono a reggere il peso dell’albero dell’elica
tra il riduttore e il tubo poppiero. Quest’ultimo e la giarnizione servono a mantenere asciutta lo
spazio intorno alla linea d’assi. Le perdite di trasmissione sono dovute sostanzialmente all’attrito
e possono essere percepite come calore sui cuscinetti. La differenza tra la potenza sviluppata e la
potenza asse è detta rendimento di trasmissione della linea d’assi ed è definita come
PD
ηS =
PS
Potenza di spinta
La potenza di spinta PT è la potenza prodotta dalla spinta dell’elica. Questa potenza è minore
della potenza sviluppata a causa delle perdite insite nella conversione del moto rotatorio dell’elica
in spinta assiale. L’elica è il componente meno efficiente nella catena di trasmissione delle po-
tenze. La potenza sviluppata e la potenza di spinta sono legate da una quntità detta rendimento
dell’elica. le eliche ben progettate possono presentare un rendimento che va dal 50% per le eliche
molto caricate fino al 70-75% per le eliche leggermente caricate.
23
1 – Metodi di previsione della potenza
Potenza effettiva
Le potenze considerate finora possono essere misurate fisicamente in qualche punto della nave.
Comunque, queste potenze non sono utilizzate nelle fasi iniziali del progetto di una carena. La
potenza asse e la potenza al freno sono quantità che sono fornite dal costruttore del motore
principale. Analogamente, l’entità della spinta che un’elica può produrre è il risultato di calcolo
ed analisi. Comunque, a questo punto l’ingegnere navale deve ancora determinare la potenza
(PB o PS ) effettivamente richiesta per muovere la nave alla velocità voluta. Questa potenza è
determinata introducendo il concetto di potenza effettiva PE , definita come
La potenza richiesta per muovere la nave ad una certa velocità senza l’elica
Storicamente, nel processo progettuale concettuale e preliminare il coefficiente ηopc è stato stimato
attraverso semplici relazioni basate sull’esperienza, quale ad esempio
N ·L0.5
ηopc = 0.84 −
10000
dove N è il numero di giri al minuto dell’elica ed L è la lunghezza della nave in metri; oppure,
attraverso valori scelti soggettivamente, quale ηopc = 0.55 per tutti gli scafi plananti.
Poiché questo metodo empirico non può tenere conto dei progressi contemporanei degli apparati
motori e delle eliche, e neppure delle differenti caratteristiche di ogni carena, è opportuno applicare
l’approccio utilizzato dalle vasche navali nelle prove di autopropulsione nella fase precontrattuale
del progetto. Questo metodo richiede la previsione dei coefficienti propulsivi (frazione di scia,
fattore di deduzione di spinta e rendimento relativo rotativo) e del rendimento dell’elica isola-
ta. Utilizzando questi valori in combinazione con il rendimento meccanico della linea d’assi, il
coefficiente propulsivo globale viene costruito come segue
ηopc = ηm ·ηH ·ηR ·η0
24
1.4 – Previsione della potenza
dove
ηm : rendimento meccanico della linea d’assi,
ηH : rendimento di carena,
ηR : rendimento relativo rotativo,
η0 : rendimento dell’elica isolata.
Il rendimento meccanico della linea d’assi ed i coefficienti propulsivi sono ricavati sostanzialmente
da formulazioni statistiche e da prove sperimentali su modelli. In generale, i valori in scala model-
lo di questi parametri possono essere utilizzati al vero, anche se può essere introdotta una piccola
correzione alla frazione di scia come indicato dall’ITTC (1984), soprattutto perché le prove al vero
indicano una sensibile influenza dell’effetto scala sulla frazione di scia e sul fattore di deduzione di
spinta. I valori empirici possono essere ridotti numericamente in equazioni di regressione similari
a quelle prodotte per la previsione della resistenza.
Il calcolo di un valore realistico del rendimento dell’elica isolata è la chiave per ottenere una
previsione realistica della potenza asse. La tecnica consigliata è di iterare il numero di giri
di un’elica di serie a passo fisso fino a raggiungere l’equilibrio dei giri stessi quando la spinta
sviluppata dall’elica eguaglia quella derivante dalla resistenza della nave.
• diagrammare questi rapporti rispetto al numero di Froude, creando cosı̀ la curva di corre-
lazione da memorizzare;
• modificare i parametri calcolati per la carena in progetto mediante la curva di correlazione.
I fattori della curva di correlazione’ della U.S. Navy utilizzano il coefficiente CR come parametro
di correlazione della resistenza. L’esperienza suggerisce che una correlazione tridimensionale offre
i risultati migliori, e che un parametro di merito basato sul dislocamento (R/∆) può in effetti
produrre una migliore correlazione quantitativa rispetto ai ‘coefficienti geosim’.
Un espediente leggermente differente per prevedere la resistenza di una nave è l’estrapolazione
dei dati modello. Naturalmente, ciò richiede che il modello e la carena oggetto di studio abbiano
forme molto simili. Tutti i parametri importanti - CP , L/B, il tipo di poppa, ecc. - devono essere
quanto più possibile simili. Per estrapolare dai dati modello, il parametro più adatto è RW /∆.
Questo metodo è piuttosto utile anche per prevedere i valori della resistenza utilizzando dati di
prove al vero di un’unica nave. Anche se viene utilizzato il termine ‘modello’, possono essere
creati e utilizzati con successo dati al vero equivalenti. Poiché ciò richiede la previsione delle
prestazioni dell’elica, occorre analizzare e scegliere i metodi e le correzioni appropriati. Acquisire
e sintetizzare i dati di resistenza al vero può essere effettuato facilmente, sebbene possano esserci
problemi di accumulo di errori. La procedura è la seguente:
• misurare il numero di giri dell’elica.
• utilizzando valori noti o previsti dei coefficienti propulsivi, calcolare la spinta sviluppata
dall’elica, quindi la resistenza, ed infine la potenza effettiva.
• la potenza effettiva può essere confermata, se desiderato, trasformandola in potenza al freno
(utilizzando i coefficienti propulsivi, il rendimento del riduttore, ed il rendimento calcolato
dell’elica isolata), che va confrontata con la potenza motore dichiarata o misurata.
• calcolare la resistenza della carena nuda rimuovendo i valori previsti di resistenza delle ap-
pendici e di resistenza prodotta dal vento durante le prove.
• derivare dalla resistenza della carena nuda le componenti della resistenza residua e della
resistenza d’onda.
Anche se possono essere accumulati errori numerici, questi errori possono essere compensati se
sono utilizzati gli stessi metodi di previsione per prevedere la potenza asse. In altri termini,
una previsione di potenza basata sulla correlazione di risultati di prove al vero fornirà valori di
potenza affidabili, sebbene i singoli parametri possano essere leggermente sbagliati.
Infine, per quanto riguarda la misura della resistenza al vero, ci si può riferire all’approccio di
Abkowitz (1990). Questo metodo poggia su una serie di prove di manovrabilità della carena e
su un insieme di misure ragionevolmente complicate, per prevedere la componente di resistenza
residua ed i coefficienṫi propulsivi attraverso un’analisi dell’accelerazione e dell’inerzia di massa.
26
1.4 – Previsione della potenza
L’attrattiva di questo metodo poggia sulle affermazioni di Abkowitz relative alla piccola quantità
di tempo necessaria ad effettuare le manovre, alla facile disponibilità di reperire l’attrezzatura
sperimentale e all’accuratezza raggiunta.
Esiste un grande numero di fattori ambientali, che tendono a degradare le prestazioni delle navi, e
che dipendono dall’operatività delle navi, sia mercantili chemilitari. Per potere rispettare i tempi
di arrivo ed altri requisiti operativi, è pratica usuale tenere conto delle perdite di velocità a lungo
termine, provvedendo ad una potenza aggiuntiva nella fase progettuale. Questo incremento di
potenza è stato definito tradizionalmente margine di potenza o margine di servizio.
I metodi utilizzati per stimare il margine di servizio sono i più disparati, come desumibile dalla
letteratura scientifica. In generale, sono stati dedotti dai risultati di prestazioni effettive di navi
esistenti. Molti di questi metodi sono facili da implementare. Sono semplificati al punto che si
dovrebbe essere sospettosi sulla loro validità, alla luce del numero relativamente elevato di fattori
coinvolti. Occorre chiedersi se i margini ottenibili con procedure semplificate siano economica-
mente giustificabili.
Il margine di servizio può essere definito come un margine di prestazioni (velocità e potenza),
fornito durante il progetto di una nave, che dovrebbe consentirle di muoversi da un porto all’altro
in un preciso intervallo di tempo, lungo un periodo imprecisato della sua vita operativa. In altri
termini, il margine di servizio deve garantire alla nave di raggiungere una certa velocità media in
un certo periodo di tempo. La velocità media è valutata e/o misurata in relazione alla velocità
alle prove, ossia con carena pulita, in mare calmo e senza vento, nella stessa condizione di carico
(dislocamento ed assetto sono identici). La condizione di carico della nave, il periodo di tempo,
la velocità media, e la zona di mare attraversata, sono tutti parametri scelti arbitrariamente e
concordati da tutti coloro che partecipano alla scelte decisionali fondamentali sull’utilizzo futuro
della nave.
I fattori che intervengono nella determinazione del margine di potenza sono discontinui ed incerti.
Nella maggior parte dei casi sono nonlineari. Non deve sorprendere, quindi, che la maggior parte
dei metodi utilizzati per determinare l’entità del margine di servizio siano semplificazioni di un
problema assai complesso. È conveniente suddividere i singoli fattori inclusi nel margine di ser-
vizio in due categorie: ambientali e deterioranti. I fattori ambientali includono il vento, lo stato
di mare, la nebbia, la corrente, la temperatura e la salinità del mare, il ghiaccio e la profondità.
I fattori deterioranti comprendono la corrosione e la sporcizia di carena, la corrosione, l’erosione
e la sporcizia dell’elica, la sporcizia, l’erosione, la corrosione, l’usura ed il modo di operare dei
macchinari propulsivi.
27
1 – Metodi di previsione della potenza
I fattori ambientali sono, nella maggior parte dei casi, al di fuori del controllo del bordo, seb-
bene siano probabilisticamente prevedibili in sede progettuale. Sono generalmente caratterizzabili
come fattori involontari, per cui conviene esprimerli come margini di velocità. Il tempo perso in
condizioni meteo-marine avverse può essere recuperato prevedendo di aumentare la velocità in
condizioni meteo ottimali. Poiché la nave si troverà ad operare a questa velocità più elevata in
mare relativamente calmo, tale velocità dovrebbe essere considerata come la velocità di progetto.
I fattori deterioranti sono essenzialmente dipendenti dalla politica di manutenzione del gestore
della nave. È conveniente caratterizzare questi fattori come fattori volontari, nel senso che è
l’operatore a decidere e ad accettare volontariamente l’entità del deterioramento della nave. Tali
fattori possono essere espressi come requisiti di potenza aggiuntiva. Si osservi che la velocità
in acqua calma è la velocità massima alla quale la nave deve operare per potere raggiungere la
richiesta velocità media di servizio.
Molti dei fattori suddetti sono legati l’uno all’altro, come il vento con il mare, oppure, in una certa
misura, la flora/fauna marina con la corrosione. Altri possono essere del tutto scorrelati, come
nel caso della nebbia, o possono addirittura agire positivamente come è il caso di una corrente
favorevole. Uno o tutti i fattori deterioranti possono esistere ad un certo istante indipendente-
mente dalle condizioni ambientali.
Va considerato anche il fattore tempo, in quanto legato al periodo nel quale va determinato un
requisito di margine di servizio, L’intervallo di tempo utilizzato può variare considerevolmente, a
seconda del tipo di operazione da esaminare. Alcuni operatori saranno influenzati dalla stagione
di navigazione, come l’inverno in Nord Atlantico; altri dai requisiti di manutenzione imposti dagli
enti di controllo; ed altri ancora da combinazioni pesate di fattori quali stagioni severe dal pun-
to di vista ambientale, valutazioni statistiche del deterioramento temporale della carena e delle
eliche, ecc.
Troost 1957) osservò che la potenza asse alla velocità di servizio è mediamente superiore del 20%
rispetto a quella misurata nelle prove in mare alla stessa velocità. In altri termini, la velocità
media di servizio (sustained speed) è definita come la velocità equivalente alla velocità delle
prove in mare raggiungibile utilizzando l’80% della potenza massima continuativa. Sulla base
dell’analisi dei risultati di prove su modelli di navi da carico, lo stesso Troost concluse che la
migliore definizione della velocità di servizio in mare è definibile come:
√
VS / LP P = 1.85 − 1.6 CP per navi monoelica
√
VS / LP P = 1.89 − 1.6 CP per navi bielica
28
1.4 – Previsione della potenza
Appendice A
Resistenza di carene dislocanti
29
1 – Metodi di previsione della potenza
30
1.4 – Previsione della potenza
31
1 – Metodi di previsione della potenza
Appendice B
Resistenza di carene semidislocanti e plananti
32
1.4 – Previsione della potenza
33
1 – Metodi di previsione della potenza
Appendice C
Superficie bagnata di carena
34
1.4 – Previsione della potenza
35
1 – Metodi di previsione della potenza
Appendice D
Fattore di forma
36
1.4 – Previsione della potenza
Appendice E
Fattore di correlazione modello–nave
37
1 – Metodi di previsione della potenza
38
1.4 – Previsione della potenza
Appendice F
39
1 – Metodi di previsione della potenza
40
1.4 – Previsione della potenza
Appendice G
Resistenza aggiunta per vento e onde
Vento
41
1 – Metodi di previsione della potenza
Nota 2: Si ritiene che i metodi di resistenza del vento derivati da prove su modelli
sottostimino significativemente la resistenza aggiunta dovuta al vento delle
carene dislocanti in aria calma del 20%–40% e di circa la metà di queste
percentuali quando il vento di prora è pari alla velocità della nave.
Vento e Onde
Onde
42
1.4 – Previsione della potenza
43
1 – Metodi di previsione della potenza
Appendice H
Resistenza aggiunta in acque ristrette
44
1.4 – Previsione della potenza
Appendice I
Coefficienti propulsivi
45
1 – Metodi di previsione della potenza
46
Capitolo 2
Accoppiamento elica-carena-motore
Nella progettazione del sistema propulsivo di una nave è di grande importanza la corretta com-
binazione tra motore principale (diesel, turbina a gas), elica e carena. Se il problema della loro
interazione non è risolto correttamente, la nave può avere prestazioni scadenti per quanto riguarda:
• la velocità alle prove ed in servizio;
• l’accelerazione e la frenata;
• il consumo del combustibile.
La questione dell’interazione non può essere risolta trattando indipendentemente i tre sottosi-
stemi, ma considerando il sistema integrato carena–elica–motore. Il problema è discusso sia per
eliche a passo fisso che per eliche a passo variabile, assumendo quale motore principale il motore
diesel. Ovviamente se una nave ed il suo sistema propulsivo hanno un solo modo operativo e se si
prevede che non varino significativamente le condizioni ambientali, nelle quali una nave si troverà
ad operare, l’interazione è relativamente più semplice da studiare rispetto al caso di una nave che
presenti diversi modi operativi. Ma ciò accade assai raramente.
47
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
diesel al suo momento torcente massimo disponibile e si perde velocità. Viceversa, un diametro
e/o un passo troppo grandi richiedono un momento torcente in eccesso rispetto alla capacità del
motore, e ciò impedirà di raggiungere la velocità massima del motore, anche questa volta con una
riduzione di velocità della nave.
Si può dimostrare che, in generale, riducendo il diametro dell’elica non si ottiene alcun vantaggio,
per cui dovrebbe essere scelta l’elica con il diametro massimo possibile, compatibilmente con le
luci minime imposte dai Registri di. Classifica. Il problema viene ridotto all’ottimizzazione del
rendimento propulsivo scegliendo i più opportuni valori del rapporto di area espansa, del passo e
del rapporto di trasmissione del riduttore. Ad ogni combinazione del rapporto di area espansa e
del rapporto di trasmissione corrisponde una curva di velocità esprimibile in funzione del passo
dell’elica. La velocità massima corrisponde alla situazione in cui la caratteristica potenza del
motore - velocità si accoppia esattamente con la caratteristica resistenza della nave - velocità.
Variazioni nel rapporto di area espansa o nel rapporto di trasmissione produrranno differenti
velocità ottimali, tra le quali andrà individuata la combinazione che produce il valore massimo
assoluto del rendimento propulsivo totale.
Anche con questa semplice procedura di selezione si può ottenere il passo ottimale corrispondente
ad una sola condizione di carico dell’elica. Variazioni del dislocamento, dell’assetto, della condi-
zione idraulica della carena, dei margini che tengono conto delle condizioni meteo–marine, tutte
quante influenzano la condizione di carico idrodinamico dell’elica. È del tutto evidente quanto
il problema dell’individuazione dell’elica ottimale sia estremamente complesso e richieda l’intro-
duzione di procedure decisionali che tengano conto simultaneamente di numerose variabili e di
diversi vincoli progettuali. Se si tiene conto che il rendimento è influenzato dal rapporto di area
espansa, dal passo, dal diametro e dalla velocità di rotazione dell’elica, è evidente che la scelta
dell’elica ottimale è un problema decisionale multicriteriale.
In ogni caso, allo scopo di investigare l’accoppiamento tra motore ed elica, è innanzi tutto neces-
sario avere a disposizione le caratteristiche del motore e le previsioni quanto più possibile accurate
della curva di resistenza nave. Le prime sono fornite dai produttori di motori per un intervallo di
combinazioni tra potenze e velocità di rotazione; sono normalmente specificati i limiti operativi
del motore. Le seconde sono ottenute da previsioni empirico–statistiche, da prove su modelli in
scala della nave e da dati di prove al vero, quando disponibili, se la nave appartiene ad una classe
già costruita. Questi dati sono spesso riducibili alle caratteristiche che legano il rapporto tra
√
resistenza e dislocamento R/∆ alla velocità nave relativa V / gL, per il tipo di forme di carena
in esame.
48
2.2 – Punto operativo dell’elica
49
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
A tale scopo, viene assunta in prima approssimazione una curva di resistenza quadratica, che può
essere trasformata come segue
µ ¶2
VA a
RT = a·VS2 → T (1 − t) = a → T = V2
1−w (1 − t)(1 − w)2 A
µ ¶2
a a VA
KT ·ρ n2 D4 = V2 ⇒ KT =
(1 − t)(1 − w)2 A (1 − t)(1 − w)2 ρD2 nD
Tracciando la parabole corripsondente sul diagramma dell’elica isolata, l’intersezione con la curva
KT dell’elica fornisce il punto operativo J ∗ dell’elica. Si può ora determinare il coefficiente del
momento torcente ed il rendimento dell’elica isolata.
È evidente che per una curva di resistenza quadratica l’elica avrà un unico punto operativo, in-
dipendente dalla velocità nave; ciò significa che:
• J, KT e KQ rimangono costanti;
• Q è funzione del quadrato della velocità di rotazione dell’elica;
• PD dipende dal cubo della velocità di rotazione dell’elica;
• D, VA ed n sono legate da relazioni lineari, essendo J = cost.
Quando la curva della resistenza non è quadratica, le relazioni suddette non sono più valide. In
tal caso (Fig. 2.3), si possono determinare i diversi punti operativi dell’elica a differenti velocità
VS , assumendo localmente una legge quadratica per la resistenza. Ad una certa velocità si avrà
una relazione del tipo R = a VS2 ; ad un’altra velocità si assumerà R = b VS2 .
50
2.2 – Punto operativo dell’elica
Si possono ora determinare i punti operativi dell’elica che forniscono i punti cinematici di fun-
zionamento Jc e Jd , ossia l’intervallo cinematico dell’elica (la zona tratteggiata in Figura 2.4),
corrispondente all’intervallo di interesse delle velocità nave. Ne deriva che nel caso generale di
una curva di resistenza non–quadratica l’elica avrà un intervallo di possibili punti operativi. Di
conseguenza, la curva di carico di potenza dell’elica non è più una cubica e non esiste più una
relazione lineare tra VS ed n.
51
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
Dopo avere determinato i punti operativi dell’elica sul diagramma dell’elica isolata, mediante
l’utilizzo della curva KQ può essere facilmente ricavata la caratteristica di carico dell’elica. Per
una nave con elica a passo variabile ed avente una curva quadratica di resistenza, la caratteristica
di carico dell’elica avrà la forma data in Figura 2.6. Per ogni rapporto di passo P/D è desumibile
una curva che esprime la relazione tra PD ed n. Nel diagramma possono essere disegnate anche le
linee continue a velocità nave costante. La curva (tratto–punto), che unisce i valori minimi di PD
ad ogni velocità nave, fornisce il rapporto di passo ottimale per assorbire la potenza minima. Dallo
stesso diagramma si può ottenere il rendimento massimo per ogni velocità, quando si mantenga
fisso il rapporto passo–diametro.
52
2.3 – Approccio classico al problema propulsivo
valore di PD . Il prodotto del consumo specifico di combustibile per la potenza di carico assorbita
fornisce le curve di consumo di combustibile, il cui minimo può risultare in una certa misura
deviato rispetto al minimo di PD .
Occorre richiamare alcuni principi base di progettazione dell’elica, quanto meno quelli relativi al
problema propulsivo, sottolineando la dipendenza del rendimento da alcuni parametri fondamen-
tali del propulsore. Segue l’illustrazione delle curve di potenza dell’elica in diverse situazioni di
53
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
carico, con particolare attenzione ai principali fattori che determinano l’aumento o la diminuzione
del carico idrodinamico sul propulsore.
Come è noto, la progettazione moderna delle eliche è basata sull’adattamento della stessa alla
scia della nave: ciò permette di massimizzare l’efficienza del propulsore e di contenere quanto più
possibile l’innesco dei fenomeni cavitativi. Fatta questa premessa, è fondamentale considerare l’ef-
fetto di alcuni ‘parametri primari’ sul rendimento propulsivo e, quindi, sulla potenza da installare:
• Diametro. In generale, ma non sempre, quanto maggiore è il suo valore, nel rispetto dei
limiti delle luci poppiere, tanto maggiore sarà il rendimento. Nel caso di bulk carriers e
di tankers, che spesso si trovano a navigare in condizione di zavorra, cosı̀ come per le navi
portacontenitori e per le ro-ro in condizioni di carico leggero, bisogna garantire progettual-
mente che l’elica sia sempre completamente immersa, con ovvie limitazioni sulle dimensioni
del propulsore. Le formule seguenti possono essere assunte come linee guida di prima ap-
prossimazione
• Rapporto di passo. Per raggiungere la massima efficienza propulsiva, per un dato valore del
diametro, va scelto il rapporto ottimale P/D, che di nuovo corrisponde ad un certo valore
del numero di giri. Se, per esempio, si vuole ridurre il numero di giri inizialmente previsto,
il rapporto di passo va aumentato, e viceversa. D’altro canto, sempre volendo ridurre i
giri e se l’immersione lo permette, conviene aumentare il diametro dell’elica. Quest’ultima
possibilità consente di aumentare il rendimento propulsivo e, quindi, di ridurre la potenza
da installare. Nella Figura 2.7, che si riferisce al caso concreto di un crude oil tanker,
sono evidenziate le influenze del diametro e del rapporto di passo sulla potenza motore
che consente il raggiungimento della velocità di servizio. I valori ottimali del rapporto di
passo e del diametro consentono il conseguimento della velocità con minore assorbimento
di potenza.
54
2.3 – Approccio classico al problema propulsivo
Figura 2.7. Influenza del diametro e del rapporto di passo sulla potenza motore
La determinazione delle curve potenza - numero di giri dell’elica è un passo fondamentale nel-
la soluzione del problema propulsivo. Su una di queste curve, infatti, si determina la potenza
massima continua nominale (MCR - maximum continuous rating) del motore che permette, suc-
cessivamente, di procedere alla sua scelta ottimale nell’approccio dell’ingegnere navale. Il punto
MCR nominale del motore corrisponde alla combinazione tra potenza massima e velocità massima
disponibile.
In generale, la relazione fra potenza e numero di giri per un’elica a passo fisso è descritta da una
cubica, detta legge dell’elica
P = c·n3
dove c è una costante ed n è il numero di giri al secondo. In condizioni normali di servizio può
essere richiesta più potenza di quella prevista teoricamente a causa di fattori esterni quali vento
e mare mosso, ed anche a causa di fattori endogeni quali sporcizia di carena e deterioramento
dell’elica.
La potenza è talvolta valutata, in prima approssimazione, in funzione della velocità nave mediante
una relazione del tipo P = c·V r . Statisticamente si può affermare che, per navi di grossa stazza
e/o operanti ad elevate velocità (navi portacontenitori, navi ro-ro bielica), vale la relazione
P = c·V 4.5
mentre per una nave di dimensioni medie e/o operanti a velocità più contenute (navi ro-ro
monoelica), vale la relazione
P = c·V 4.0
55
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
Infine, per navi operanti a basse velocità (tankers, bulk carriers), vale la relazione
P = c·V 3.5
Le curve dell’elica si mantengono costanti nel tempo solamente se non variano le condizioni dello
scafo e le condizioni meteo-marine. Quando, dopo un certo periodo di servizio, lo scafo aumenta
la sua rugosità, lo strato limite è differente da quello della nave con scafo pulito. Conseguente-
mente, la nave è soggetta ad un aumento di resistenza e si origina un maggiore carico dell’elica:
allo stesso valore della potenza motore corrisponde un numero di giri più basso.
In Figura 2.8 è mostrato l’effetto delle condizioni meteo–marine sulle curve di carico dell’elica e,
quindi, sulla potenza assorbita, nel caso concreto di una nave portacontenitori di piccole dimen-
sioni. Si osservi che qui le curve di carico sono traslate da quelle di mare calmo, semplicemente
assegnando ipotetici valori di maggiorazione del carico dovuto agli effetti meteo–marini (3%, 6%).
Quando, invece, la nave opera in zavorra, l’elica si trova in una condizione di carico leggero: alla
stessa potenza corrisponde un numero di giri più elevato ed una maggiore velocità nave.
Figura 2.8. Effetto delle condizioni meteo–marine sulle curve di carico dell’elica
56
2.3 – Approccio classico al problema propulsivo
Un effetto analogo si presenta quando la nave opera in acque di profondità limitata: la resistenza
residua della nave aumenta e, come nel caso dell’accelerazione, il propulsore è soggetto ad un
carico maggiore rispetto a quello relativo alla corrispondente condizione di navigazione libera.
Un’ultima considerazione va fatta per le eliche le cui pale presentano una forma con accentuato
‘skew–back’. In questo caso, il propulsore è capace di assorbire un momento torcente più elevato
in condizioni di maggiore carico.
In Figura 2.10 vengono qualitativamente sintetizzati gli effetti dei differenti tipi di resistenza nave
sulla potenza continuativa di servizio (CSR - continuous service rating). Al diagramma di carico
del motore vengono sovrapposte le curve dell’elica corrispondenti a differenti condizioni di carico.
Le curve sono rettilinee, essendo il diagramma in scala logaritmica.
Nel diagramma, P D è il punto propulsivo dell’elica: l’approccio classico al problema propulsivo
di solito fissa tale punto sulla curva dell’elica come quello relatico all’immersione di progetto ed
alla velocità progettuale della nave, nella situazione di scafo pulito ed in assenza di mare e vento
(curva 6 ).
I vari punti S sono punti di servizio (service points), ovvero punti di funzionamento continuativo
del motore in corrispondenza di diverse condizioni operative. Più precisamente:
• S0 è il punto che si ottiene quando la potenza motore viene aumentata per il ‘margine per
il mare’ (sea margin), in genere del 15%, rispetto alle condizioni operative corrispondenti
alla curva di ‘carico leggero’. In assenza di mare mosso e con carena pulita, la velocità
57
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
della nave ed il numero di giri del motore aumentano in accordo con la curva dell’elica,
rispettivamente secondo le relazioni
VS ◦ = V ·(1 + SM )1/r
nS ◦ = n·(1 + SM )1/r
58
2.3 – Approccio classico al problema propulsivo
dell’elica, con conseguente spostamento della curva alquanto a sinistra del diagramma (cur-
va 6.3 ). Si può affermare che il punto S3 è rappresentativo, ma solo qualitativamente o in
misura grossolana, del carico dell’elica che si può verificare in diverse circostanze: accelera-
zione della nave oppure navigazione in acque di profondità limitata.
Finora sono state presentate le curve di eliche a passo fisso. Le eliche a passo variabile operano
lungo una curva combinata, prodotta da combinazioni prefissate del numero di giri e del rapporto
di passo. Questo significa che un aumento del carico dell’elica, in corrispondenza di un certo
numero di giri, si traduce in un aumento della potenza richiesta dal propulsore.
Il diagramma di funzionamento del motore è limitato da due curve (L1 − L3 ) e (L2 − L4 ) ca-
ratterizzate da una pressione media effettiva costante e da due segmenti (L1 − L2 ) e (L3 − L4 )
corrispondenti ad un numero di giri costante. Il punto L1 rappresenta il valore nominale della
massima potenza continuativa del motore.
59
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
All’interno dell’area del diagramma, racchiusa dalle quattro curve, esiste completa libertà di scelta
dello specifico MCR (il punto M P del diagramma). Tale punto rappresenta la potenza massima
richiesta dal cantiere o dall’armatore per il funzionamento continuativo del motore. Scelto il
punto M P , e purché la linea d’assi e gli ausiliari siano dimensionati in maniera congruente, il
punto MCR specifico costituisce la potenza massima alla quale è ammissibile un carico fino al
105-108% da un’ora a dodici ore.
La curva identificata dal numero 6 è la curva di ‘carico leggero’ dell’elica, già descritta in prece-
denza. Questa curva può essere ottenuta mediante calcoli teorici oppure tramite sperimentazioni
in vasca. A questa curva appartengono i punti P D, il propeller design point, e P D0 , che rappre-
senta un punto alternativo di ottimizzazione dell’elica, il quale, a differenza del primo, congloba
tutto oppure una parte del ‘margine per il mare’.
La curva 2 del diagramma è la curva di ‘carico pesante’ dell’elica che descrive il funzionamento
del propulsore quando la carena e la superficie dell’elica non sono più completamente lisce e/o
in corrispondenza di un certo stato di mare. Secondo i costruttori di motori diesel, questa curva
si ottiene a partire dalla curva 6 tramite l’applicazione di un certo heavy running factor, fHR ,
oppure specularmente, la curva 6 viene ricavata dalla curva 2 mediante un light running factor,
fLR . Quest’ultimo coefficiente è definito dalla relazione
nlight − nheavy
fLR = ·100
nheavy
Il valore di questo fattore viene stabilito in base all’esperienza; comunque un valore ragionevole
varia fra 3% e 7%. Ovviamente la curva di ‘carico pesante’ si trova nella zona a sinistra del
diagramma.
Sulla curva 2, applicando e conglobando il sea margin, si ottiene il punto di servizio continuo
(continuous service point - SP ). Nell’approccio classico il sea margin è un valore percentuale
della potenza corrispondente al punto P D; tale valore è stabilito a priori e tradizionalmente
viene fissato al 15%, anche se in certi casi può raggiungere il 20% o il 30% della potenza P D.
Infine, sulla curva di ‘carico pesante’, applicando il margine per il motore (engine margin) al pun-
to SP , si ottiene M P , ossia il punto di potenza massima continua del motore per la propulsione,
che guida la scelta del motore. Il margine per il motore è un valore percentuale della potenza
SP al CSR. È un valore suggerito dalla casa costruttrice del motore, ma fissato dal progettista
in accordo con l’armatore, e va considerato come un’ulteriore margine operativo di sicurezza;
normalmente assume valori fra 10% e 15%.
Quando si prevede l’installazione di un alternatore–asse, al fine di determinare correttamente
l’MCR specifico, va considerata l’ulteriore domanda di potenza.
Il diagramma di carico (Figura 2.12), relativo ad un motore a due tempi con elica a passo fisso,
definisce i limiti di potenza e di numero di giri che preservano il motore da possibili sovraccarichi
durante il funzionamento continuativo. Il punto O è il punto di ottimizzazione di alcune carat-
teristiche meccaniche del motore: in corrispondenza di questa potenza e di questo numero di giri
60
2.3 – Approccio classico al problema propulsivo
Il punto A rappresenta il 100% della potenza e del numero di giri. È un punto fondamentale del
diagramma di carico: viene definito come il punto appartenente alla curva dell’elica che passa
attraverso il punto di ottimizzazione O del motore (curva 1 ), e che corrisponde ad una potenza
equivalente all’MCR: Il punto A normalmente coincide con l’MCR specifico. Se si prevede l’uti-
lizzo di un alternatore–asse, il punto M (MCR) può essere sistemato sulla curva 7, alla destra
del punto A. Quando si prevede che il motore della nave in progetto si troverà ad operare fre-
quentemente in situazioni di sovraccarico, conviene spostare il punto di ottimizzazione O verso
la parte sinistra del diagramma di carico; in questo caso il punto A ed il punto M non saranno
più coincidenti.
La curva 3 rappresenta il massimo valore del numero di giri accettabile per il funzionamento
continuativo del motore. Il limite è fissato al 105% del numero di giri del punto A, anche se,
durante le prove in mare, può essere esteso fino alla ‘curva 9’ corrispondente al 107% di A.
Quest’ultima possibilità non esiste nel caso di un motore a quattro tempi; infatti, in questo ca-
so non è possibile superare il 100% del numero di giri. Per una nave che monta un motore a
quattro tempi accoppiato con un’elica a passo variabile, l’ultimo incremento della velocità nave
61
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
viene realizzato tramite l’ultimo aumento del rapporto di passo (si raggiunge l’ultima tacca della
curva combinata). Ritornando al motore a due tempi, si può in generale affermare che il massimo
numero di giri può essere fatto coincidere con il 109% dei giri nominali del punto L1 (Figura 2.11).
La ‘curva 4’ rappresenta il limite in corrispondenza del quale il motore ha a disposizione una
sufficiente quantità d’aria per la corretta combustione: a sinistra di questa linea il motore speri-
menta uno stress termo-meccanico. Si tratta di una limitazione della coppia formata dal momento
torcente e dal numero di giri.
La ‘curva 5’ è la linea del massimo livello di pressione media effettiva che può essere accettato
durante il funzionamento continuativo.
La ‘curva 7’ rappresenta la massima potenza ottenibile dal motore durante il funzionamento conti-
nuativo.
La ‘curva 8’ è il limite massimo per il funzionamento del motore in condizione di sovraccarico.
Il motore può funzionare all’interno della zona di sovraccarico racchiusa dalle curve 4, 5, 7, 8
solamente per un limitato periodo di tempo (si raccomanda di non utilizzare il motore all’interno
della zona per un periodo superiore ad un’ora ogni dodici).
L’area inscritta nelle curve 4, 5, 7, 8 è, quindi, quella destinata all’operatività continua del
motore, senza alcuna limitazione. In particolare, la zona racchiusa dalle curve 4, 1 è quella
destinata alle operazioni, senza limiti temporali, in bassi fondali, oppure durante le accelerazioni
della nave, oppure in presenza di un certo stato di mare. Il rispetto dei limiti è assicurato da
dispositivi elettronici quali il limitatore del momento torcente ed il limitatore della pressione
dell’aria di sovralimentazione.
Sono riportati alcuni esempi di calcolo, suggeriti da una casa costruttrice di motori diesel, e basati
sull’approccio classico al problema propulsivo.
La ‘curva 1’ viene fatta coincidere con la curva dell’elica che passa per il punto M (MCR);
su questa curva viene fissato il punto O di ottimizzazione del motore. Il punto ottimale O
62
2.3 – Approccio classico al problema propulsivo
è rappresentativo della potenza alla quale viene tarato il turbocompressore ed alla quale
vanno adattati la fase del motore ed il rapporto di compressione, e per la quale è garantito
il minimo consumo specifico del combustibile. Il punto ottimale va sistemato sulla curva
1 del diagramma di carico, in modo che la potenza ottimale corrisponda all’85-100% del-
la potenza relativa al punto M . Se non vengono esplicitate richieste specifiche, il motore
verrà ottimizzato intorno al 90-92% della potenza massima continua lungo la curva dell’elica.
Il punto di riferimento A (100% della potenza e 100% dei giri) è dato dall’intersezione della
‘curva 1’ con la retta orizzontale passante per M (in questo caso i due punti coincidono).
In questo modo si ottiene un maggiore margine operativo del motore, indispensabile quando
la nave si trova ad affrontare condizioni meteo-marine avverse. L’area tratteggiata indica
l’intervallo dei giri del motore (fra 96.7% e 100%) per l’utilizzo dell’alternatore-asse nel
caso in cui venga installato. Il punto di servizio S può essere collocato in qualsiasi punto
all’interno dell’area tratteggiata. Il procedimento di calcolo utilizzato nel caso di eliche a
63
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
passo fisso può essere esteso alle eliche a passo variabile funzionanti in accordo con la curva
combinata.
64
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
problema dell’ottimizzazione - tra gli altri Sabit (1976), Markussen (1977) e Triantafyllon (1979)
- ma le procedure proposte da questi autori non forniscono una soluzione completa al problema,
poichè sono basate sulla sola ottimizzazione delle caratteristiche dell’elica isolata, senza tenere
conto delle variazioni dei fattori propulsivi (frazione di scia, fattore di deduzione di spinta e ren-
dimento rotativo-relativo) in dipendenza del carico dell’elica.
È noto che, soprattutto a causa della variazione significativa del fattore di deduzione di spinta
al variare del carico dell’elica, il valore massimo del rendimento propulsivo non corrisponde al
valore massimo dell’elica isolata. Il risultato è che l’elica progettata per fornire il massimo valore
di η◦ potrebbe non garantire il valore massimo del rendimento propulsivo. In questi casi, l’elica
potrebbe operare in un intervallo di coefficienti d’avanzo a destra del valore massimo della curva
del rendimento, dove questo decresce drammaticamente.
Questo problema è di grande importanza nel caso di ottimizzazione del diametro dell’elica, in
quanto il diametro è direttamente legato al coefficiente di carico. Nel processo della sua deter-
minazione iterativa dovrebbe essere precisa la valutazione dei fattori propulsivi. Ciò impone di
effettuare le prove di autopropulsione con il ‘metodo britannico’, che consente di stimare i fattori
propulsivi in un ampio intervallo di carico dell’elica.
65
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
In tutti i casi, al termine dell’esecuzione, il codice fornisce la velocità della nave, la spinta T ,
il momento torcente assorbito Q, la potenza sviluppata all’elica PD , la potenza effettiva PE , il
passo, il diametro ed il numero di giri. I dati adimensionali stampati sono il rapporto P/D, il
coefficiente d’avanzo J, il coefficiente di spinta KT , il coefficiente del torcente KQ , il rendimento
di elica isolata η◦ , ed il valore minimo del rapporto AE /AO calcolato secondo l’approccio di Keller.
Chiaramente, a seconda dei casi, alcuni di questi risultati verranno calcolati e stampati, mentre
altri vengono semplicemente riportati essendo stati assegnati in ingresso.
Si è ritenuto necessario aggiungere al codice principale una procedura che permetta il calcolo
del diametro massimo ammissibile, in relazione alle luci poppiere. Sono state utilizzate relazioni
tratte da Registri di Classifica.
Di seguito vengono presentate le diciotto opzioni di calcolo contemplate da PROPOPT. Per
facilitare l’illustrazione dei casi concreti, questi sono suddivisi in tre classi: quella che parte dalla
conoscenza della spinta (Naval Architect Approach), quella che presuppone la selezione preventiva
del motore (Marine Engineering Approach), e quella che congloba diversi casi di verifica (diametro
e giri sono noti).
66
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
bordo, mentre l’obiettivo del calcolo è la coppia di valori (D e P/D) che massimizzino il
rendimento del propulsore.
• Caso 4: Le variabili in ingresso sono la potenza effettiva, il diametro, alcune velocità di
analisi con i relativi coefficienti propulsivi. Vengono richieste almeno tre coppie di punti
(velocità, potenza effettiva); in seguito il programma costruisce la curva cubica di potenza,
indispensabile per il prosieguo dell’analisi. I risultati sono il numero di giri ed il passo
dell’elica. Nella pratica questa situazione si può presentare a partire dalle prove sperimen-
tali di resistenza in vasca, oppure in seguito ad una previsione della PE mediante metodi
analitici o statistici.
• Caso 5: I dati richiesti per iniziare l’analisi sono la potenza effettiva (anche in questo Caso
sono richiesti almeno tre coppie velocità - potenza effettiva per costruire la cubica), il nu-
mero di giri ed alcune velocità, insieme ai relativi coefficienti propulsivi. Il calcolo fornisce
il diametro ed il passo dell’elica. Si tratta di una situazione similare alla precedente, ma in
questo Caso il numero di giri rappresenta un dato noto, mentre il diametro compare come
risultato.
67
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
Problemi di verifica
A questa categoria, proposta dal programma PROPOPT, appartiene una serie di casi nei quali
sono noti il numero di giri ed il diametro del propulsore; talvolta è conosciuto anche il rapporto
di passo, altrimenti questo rappresenta l’ultimo parametro da determinare dell’elica. In questi
casi il programma permette verifiche ‘a posteriori’: infatti queste opzioni di calcolo vanno sele-
zionate una volta note le caratteristiche generali dell’elica e del motore, allo scopo di validare
calcoli precedentemente compiuti e/o compiere le ultime analisi inerenti ai parametri considerati
dal programma:
• Caso 11: Sono noti il diametro, i giri, la potenza effettiva in funzione delle velocità, le
velocità con i coefficienti propulsivi. Viene fornito il rapporto di passo. Questa situazione
di calcolo può fornire delle prime ed approssimative indicazioni sulle coppie passo-giri cos-
tituenti la curva combinata (nel Caso di un motore a quattro tempi ed elica CPP). Per
ottenere indicazioni su un certo numero di coppie della combinata è necessario eseguire il
programma variando, volta per volta, il numero di giri.
• Caso 12: I valori in ingresso sono il diametro, i giri, la potenza sviluppata e le velocità
con i relativi coefficienti propulsivi. Si ricavano i valori della spinta e del passo. In questa
circostanza si verifica che la spinta risultante sia effettivamente quella che il propulsore deve
sviluppare.
• Caso 13: I valori in input sono il diametro, il numero di giri, il rapporto di passo e la
potenza sviluppata. Il programma fornisce la velocità e la spinta. Questa opzione permette
di verificare la correttezza dei parametri dell’elica e del motore relativamente alla spinta ed
alla velocità di progetto.
• Caso 14: Le variabili note sono il diametro, il numero di giri, il rapporto di passo e la
spinta. Vengono forniti la velocità e la potenza sviluppata. Si tratta di una situazione simi-
lare alla precedente, in questo Caso però la potenza e la velocità sono l’oggetto della verifica.
• Caso 15: Sono noti il diametro, il numero di giri, il rapporto di passo e la velocità con
i coefficienti propulsivi. I risultati di questa analisi sono la potenza e la spinta. Si tratta
chiaramente di una importante situazione di verifica per la conferma di calcoli e sperimen-
tazioni pregresse.
• Caso 16: I dati richiesti sono il diametro, il numero di giri, la velocità con i coefficienti pro-
pulsivi. Il programma fornisce il valore ottimale del rapporto di passo. Va segnalato come
in questo Caso non venga richiesto alcun dato inerente alla spinta o al momento torcente,
ovvero alla potenza: questo calcolo fornisce il valore del rapporto P/D che massimizza il
68
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
rendimento di elica isolata. Si tratta di una situazione teorica che produce come unico
risultato il miglior’ valore del rapporto di passo corrispondente al valore del coefficiente
d’avanzo (D, n, VA sono dati in ingresso, dunque J è noto).
• Caso 17: I valori in ingresso sono il diametro, i giri, la spinta e le velocità con i relativi
coefficienti propulsivi. Si ricavano i valori della potenza e del passo. Si tratta di un Caso
di verifica analogo al Caso 11, però ora è la potenza sviluppata ad essere oggetto delle analisi.
• Caso 18: In questo Caso sono noti il diametro, il numero di giri, il rapporto P/D e la
velocità di analisi con i relativi coefficienti propulsivi. Questo Caso permette il calcolo dei
coefficienti adimensionali della spinta e del momento torcente per l’elica della serie siste-
matica selezionata; successivamente viene calcolato il rendimento dell’elica isolata: questa
opzione di calcolo permette di valutare la variazione del rendimento η◦ al variare del valore
del coefficiente d’avanzo.
5. verificare che xi+1 sia ottimale: se lo è terminare la procedura, altrimenti porre un nuovo
i = i + 1 e ripetere iterativamente la procedura dal passo 2.
La procedura iterativa indicata nell’equazione (2.1) è valida nei problemi di ottimizzazione sog-
getti o meno a vincoli. In base all’equazione (2.1), si può capire che il rendimento di un metodo
0
di ottimizzazione dipende dall’efficienza con la quale sono determinate le quantita λ∗i e Si .
Se f(X) è una funzione obiettivo da minimizzare/massimizzare, il problema di trovare λ∗i si riduce
alla determinazione del valore λi = λ∗i che minimizza/massimizza f (xi+1 ) = f (xi + λi·Si0 ) = f (λi )
69
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
per valori prefissati di xi e Si0 . I metodi che consentono di trovare λ∗i nell’equazione (??) sono detti
metodi di minimizzazione/massimizzazione monodimensionali proprio perchè f diviene funzione
della sola variabile λi .
Metodo di Fibonacci
Il metodo di Fibonacci può essere utilizzato per trovare il minimo oppure il massimo di una fun-
zione di una variabile, anche nel caso di una funzione discontinua. Questo metodo, come molti
altri metodi di eliminazione, presenta le seguenti limitazioni:
• l’intervallo iniziale di incertezza, all’interno del quale risiede il punto ottimale, deve essere
.
noto;
• la funzione che deve essere ottimizzata deve essere unimodale nell’intervallo iniziale di in-
certezza;
• con questo metodo è impossibile trovare l’esatto punto ottimale; sarà noto solamente l’in-
tervallo finale di incertezza; tale intervallo finale può essere reso piccolo quanto si vuole
aumentando il numero di iterazioni;
• il numero di valutazioni (sperimentazioni sulla funzione) da effettuare deve essere fissato a
priori.
Questo metodo utilizza la sequenza dei numeri di Fibonacci, per realizzare le sperimentazioni
sulla funzione. Questi numeri sono definiti come
F1 = F2 = 1
(2.2)
Fn = Fn−1 + Fn−2 n = 3,4,5, . . .
In pratica tutti i numeri della serie, dal terzo in poi, vengono calcolati come somma dei due
numeri precedenti.
Procedura
Nella seguente trattazione il generico simbolo Lj è usato per indicare l’intervallo di incertezza
rimanente dopo un numero j di iterazioni (sperimentazioni), mentre il simbolo L∗j è utilizzato per
denotare la posizione della sperimentazione corrente.
Sia L0 l’ intervallo iniziale di incertezza, definito da a ≤ L0 ≤ b, e sia n il numero totale delle
sperimentazioni da condurre.
Si definisce
Fn−2
L∗2 = L0
Fn
e si collocano le prime due sperimentazioni sui punti x1 ed x2 che sono situati ad una distanza
pari a L∗2 da ciascun estremo di L0 . Ne risulta
70
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
x1 = a + L∗2
Fn−1
x2 = b − L∗2 = a + L0
Fn
Viene scartata, quindi, una parte dell’intervallo grazie all’ipotesi di unimodalità della funzione,
ottenendo un minore intervallo di incertezza L2 dato da
µ ¶
Fn−2 Fn−1
L2 = L0 − L∗2 = L0 1− = L0
Fn Fn
avendo ancora una sperimentazione da compiere al suo interno. La sperimentazione verrà effet-
tuata ad una distanza
Fn−2 Fn−2
L∗2 = L0 = L2
Fn Fn−1
da una estremità, e
Fn−3 Fn−3
L2 − L∗2 = L0 = L2
Fn Fn−1
dall’altra estremità.
La terza sperimentazione sulla funzione in esame viene effettuata all’interno dell’intervallo L2 .
Le due sperimentazioni correnti sono svolte ad una distanza pari a
Fn−3 Fn−3
L∗3 = L0 = L2
Fn Fn−1
da ciascun estremo dell’intervallo L2 . Di nuovo l’ipotesi di unimodalità della funzione permette
di ridurre l’intervallo di incertezza ad L3 , dato da
Fn−3 Fn−2 Fn−2
L3 = L2 − L∗3 = L2 − L2 = L2 = L0
Fn−1 Fn−1 Fn
Il rapporto fra l’intervallo di incertezza rimanente dopo aver condotto j sperimentazioni delle n
previste e l’intervallo iniziale di incertezza diviene
Lj Fn−(j−1)
=
L0 Fn
71
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
e per j = n, si ottiene
Ln F1 1
= =
L0 Fn Fn
Il rapporto (Ln /L0 ) permette di determinare n, il numero richiesto di sperimentazioni, per otte-
nere la voluta precisione nella determinazione del punto ottimale.
Utilizzando questo metodo di ottimizzazione, l’ultima sperimentazione deve essere posizionata
con una certa cautela. Dall’equazione (2.3) si ottiene
L∗n F0 1
= =
Ln−1 F2 2
Quindi, dopo aver condotto (n−1) sperimentazioni e dopo aver scartato l’intervallo appropriato ad
ogni passo, l’intervallo rimanente conterrà una sperimentazione, precisamente in corrispondenza
del suo centro. Comunque anche la sperimentazione n-esima finale deve essere collocata al centro
dell’intervallo di incertezza. Risulta che la posizione dell’n-esima sperimentazione sia la stessa
di quella (n − 1)-esima, il che è vero per qualsiasi valore di n. In questo modo l’n-esima speri-
mentazione non produce nessuna nuova informazione rispetto alla precedente: per questo motivo
l’ultima sperimentazione viene collocata molto vicino all’ultima sperimentazione valida. Il proce-
dimento appena descritto viene utilizzato anche in altri metodi di ricerca (metodo dicotomico).
In questo modo si ottiene l’ultimo intervallo di incertezza entro il valore (1/2)(Ln−1 ).
72
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
Appendice
• INFL: indica quali coefficienti calcolare durante l’analisi. Il ruolo di questo ‘flag’ è quello
di indicare quale spproccio utilizzare, se quello del ‘carenista’ tramite le formule KT (J),
oppure quello del ‘macchinista’ mediante le regressioni KQ (J). Se INFL è uguale a ∅ il
programma calcola il coefficiente di spinta KT ; se è uguale ad 1 il coefficiente del momento
torcente KQ ; se è uguale a 2 il rendimento dell’elica isolata; quest’ ultima situazione si
verifica solamente nel CASO 16 (cfr. paragrafo.
• OUTFL: indica quale coefficiente calcolare come termine di confronto. Ad esempio, se OUT-
FL è uguale a 4, tale termine sarà il rendimento η◦ che viene ricalcolato ad ogni iterazione e
successivamente confrontato con il precedente valore allo scopo di ottenere il massimo: tale
situazione si verifica nei casi di ottimizzazione bidimensionale e per il CASO 16. Negli altri
casi verrà calcolato un coefficiente di spinta o un coefficiente del momento torcente. Una vi-
sione maggiormente chiara del ruolo di OUTFL verrà fornita nel prosieguo della trattazione.
• NST: può assumere il valore 1 oppure ∅. Quando NST è uguale ad 1 significa che il caso
in esame prevede un’ottimizzazione bidimensionale del coefficiente di avanzo e del rapporto
passo–diametro; grazie a questo ‘flag’ vengono utilizzate le due procedure di ottimizzazione
FIB1D e FIB2D. Alternativamente, il caso contempla un’ottimizzazione monodimensionale,
o di uno dei termini del coefficiente d’avanzo, o del rapporto di passo.
Gli altri indicatori sono DFL per il diametro, NFL per il numero di giri, VFL per la velocità nave,
TFL per la spinta, CRVFL per la curva della potenza effettiva, PFL per la potenza sviluppata,
PODFL per il rapporto di passo, QFL per il momento torcente. Ciascuno di essi assume il valore
1 quando la variabile indicata è nota, oppure vale ∅ quando è incognita.
73
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
Procedura OPTIM
OPTIM è la procedura fondamentale per i calcoli di ottimizzazione ed analisi Calcola l’obiettivo
iniziale, il T ARGET , che rappresenta un vincolo peri successivi calcoli di ottimizzazione ed ana-
lisi. Quando è nota la spinta, il T ARGET è un coefficiente di spinta; quando è noto il torcente
oppure la potenza sviluppata, il T ARGET è un coefficiente del momento torcente. Una volta
fissato il valore dell’obiettivo, nelle iterazioni all’interno delle successive procedure, il T ARGET
rappresenta il valore da rispettare.
Va fatta attenzione nel caso dell’ottimizzazione bidimensionale del coefficiente d’avanzo e del rap-
porto di passo: il T ARGET viene posto uguale ad 1, anche se è nota la spinta, oppure il torcente,
oppure la potenza. In questa situazione, infatti, lo scopo del calcolo è massimizzare il rendimento
dell’elica isolata che idealmente tende al valore unitario e solo successivamente, nella procedura
SUBFIB, viene calcolato un vincolo denominato IN T ARGET (coefficiente di spinta o del mo-
mento torcente) necessario per l’ottimizzazione del rapporto di passo. Il T ARGET viene posto
uguale ad uno anche nel CASO 16, in cui è noto il coefficiente d’avanzo mentre sono incognite la
spinta, il momento torcente e la potenza sviluppata.
È necessaria un’ulteriore precisazione: quando è nota la potenza effettiva (approccio del ‘care-
nista’), la subroutine OPTIM svolge un’operazione preliminare. Viene utilizzata una procedura
che costruisce la curva della potenza in funzione della velocità. A partire dai valori delle potenze,
sono calcolate le corrispettive resistenze, le spinte e, quindi, il coefficiente KT .
Quando si affronta un caso appartenente alla categoria dell’approccio del ‘carenista’, T ARGET
assume una delle forme seguenti, a seconda di quali siano i dati noti in ingresso:
T ARGET = T /(ρ VA2 D2 )
T ARGET = T /(ρ n2 D4 )
Quando, invece, il caso appartiene alla categoria dell’approccio del ‘macchinista’, T ARGET viene
calcolato con una delle formule seguenti, a seconda di quali valori siano noti:
T ARGET = PD ηR /(2π·ρ VA3 D2 )
T ARGET = PD ηR /(2π·ρ n3 D5 )
T ARGET = Q ηR /(ρ n2 D5 )
74
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
Una volta calcolato il valore del T ARGET , vengono utilizzate le procedure di ottimizzazione:
• FIB1D: procedura di ottimizzazione e calcolo del rapporto di passo; viene utilizzata diret-
tamente, senza l’impiego di FIB2D, quando tutti i termini del coefficiente d’avanzo sono
noti, ovvero nei casi di ottimizzazione monodimensionale del rapporto P/D.
• FIB2D: procedura di ottimizzazione e calcolo del coefficiente d’avanzo; viene utilizzata
quando è incognito uno dei termini che definiscono il coefficiente adimensionale J oggetto
della ricerca. Nei casi di ottimizzazione bidimensionale, FIB2D e FIB1D vengono usate
congiuntamente.
Procedura FIB1D
FIB1D è la procedura di ricerca monodimensionale secondo il metodo di Fibonacci. L’obiettivo
della procedura è quello di trovare il valore della variabile indipendente, ossia il rapporto di passo,
che permette l’ottenimento del T ARGET , calcolato inizialmente nella procedura OPTIM. Per
facilitare la descrizione della subroutine, in Figura 2.16 viene presentato il suo diagramma di
flusso semplificato.
La prima operazione svolta dalla procedura è fissare gli estremi A e B dell’intervallo dei valori del
rapporto di passo, all’interno del quale ricercare il valore ottimale. Questi sono rispettivamente
il valore minimo LP IT = (P/D)min e massimo HP IT = (P/D)max del rapporto passo-diametro,
dipendente dalla serie sistematica scelta: A = LP I e B = HP IT .
75
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
Successivamente avviene il calcolo dei numeri di Fibonacci F (I) secondo quanto spiegato in
precedenza. Il calcolo dei numeri procede iterativamente, come illustrato in Figura 2.15, fino al
verificarsi della condizione CHECK ≥ 0.99, con
CHECK = (0.001 F (I))/(B − A)
Dopo questo calcolo, la procedura esegue per T U B esattamente le stesse operazioni svolte per
T LB ed il valore del coefficiente calcolato (KT , o KQ o η◦ ) viene indicato con Coef f 2 .
76
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
77
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
Quindi, per ogni singola iterazione del ciclo, verranno calcolati due coefficienti dello stesso tipo
(due valori KT , oppure due valori KQ , oppure due valori η◦ ), uno corrispondente al rapporto di
passo T LB, uno a T U B. Al termine di ogni singolo ciclo, i coefficienti vengono confrontati con
il T ARGET e fra loro allo scopo di ridurre progressivamente l’intervallo di ricerca avvicinandosi
progressivamente al valore del T ARGET : se Coef f 2 > Coef f 1 allora il nuovo estremo inferiore
dell’intervallo di ricerca del rapporto P/D sarà LB = T LB; altrimenti l’estremo superiore dell’in-
tervallo sarà U B = T U B. L’ultima iterazione produce il più piccolo intervallo di incertezza, al
cui interno si trova il valore finale del rapporto P/D, calcolato come media aritmetica fra gli
estremi T LB e T U B.
Dopo il calcolo finale del rapporto di passo la procedura esegue un ultimo controllo. Quando si
verifica la condizione:
T ARGET − (Coef f 2 + Coef f 1 )/2 > 0.001
ed il caso selezionato appartiene all’approccio del ’carenista’ o del ’macchinista’, allora il rapporto
di passo viene posto uguale a zero.
È necessaria una precisazione sul valore assunto dal T ARGET all’interno della subroutine. Nel
caso dell’ottimizzazione monodimensionale del rapporto di passo, la procedura FIB1D viene ‘chia-
mata’ direttamente da OPTIM ed il T ARGET coincide con quello calcolato inizialmente. Quan-
do, invece, FIB1D viene ‘chiamata’ dalla procedura SUBFIB (ciò avviene solo nel caso dell’
ottimizzazione bidimensionale), il T ARGET è un coefficiente di spinta o del momento torcente,
calcolato in accordo con il valore del coefficiente d’avanzo temporaneamente in esame e con il
valore noto della spinta da sviluppare; oppure del momento torcente che l’elica deve assorbire, o
della potenza motore.
Procedure FIB2D
In questo paragrafo andrebbero descritte contemporaneamente le due procedure FIB2D e SUB-
FIB, poiché il loro funzionamento è strettamente connesso. Tuttavia, per una maggiore chiarezza
nella trattazione, la procedura SUBFIB verrà presentata nel paragrafo successivo. Per ora è
sufficiente sapere che permette il calcolo del coefficiente KT , o del coefficiente KQ , oppure del
rendimento η◦ , a seconda dell’approccio selezionato. Nel caso dell’ottimizzazione bidimensionale
del rapporto P/D e del coefficiente d’avanzo J, SUBFIB ’chiama’ la procedura FIB1D di ottimiz-
zazione del rapporto di passo e solo successivamente calcola uno dei coefficienti in accordo con il
valore ottimizzato del rapporto di passo.
La Figura 2.17 illustra il diagramma di flusso semplificato della procedura FIB2D di ricerca
bidimensionale, secondo la tecnica di Fibonacci. Il coefficiente d’avanzo rappresenta la variabile
indipendente esterna. Per ogni nuovo valore assunto dal coefficiente d’avanzo nella procedura
FIB2D, viene attivata la procedura FIB1D per la ricerca del rapporto P/D, ossia la variabile
interna. In definitiva, per ogni valore assunto dal coefficiente d’avanzo durante le iterazioni
di ottimizzazione in FIB2D, la procedura FIB1D calcola il rapporto di passo corrispondente al
suddetto coefficiente ed il più vicino possibile al T ARGET . Gli obiettivi della ricerca sono quindi
78
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
LP OD = P/D ; U P OD = P/D
Il procedimento ciclico di calcolo dei numeri di Fibonacci F (I) è identico a quello descritto in
precedenza (Fig. 2.15); anche in questo caso il ciclo di calcolo dei numeri si arresta al valore
I = 17, in corrispondenza della quale si verifica la condizione CHECK ≥ 0.99.
79
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
LJ ed U J sono gli estremi dell’intervallo di incertezza del coefficiente d’avanzo J. Il valore del
numero di Fibonacci utilizzato per il calcolo di U J è l’ultimo ottenuto, ovvero F (I) = F (17).
L’indice del ciclo di ottimizzazione è K ed il numero di iterazioni è pari ad I − 2, con I = 17.
All’inizio di ogni iterazione, successiva alla prima, viene reimpostato l’intervallo di incertezza e
vengono calcolati i due valori T LJ e T U J del coefficiente d’avanzo interni all’intervallo e rap-
presentanti, rispettivamente, il futuro estremo inferiore dell’intervallo, oppure il futuro estremo
superiore dell’intervallo. Le formule per il loro calcolo sono presentate in Figura 2.17 e risultano
uguali a quelle descritte in precedenza per T U B e T LB.
Ad ogni iterazione del ciclo, la procedura SUBFIB viene attivata due volte: la prima volta utiliz-
zando il valore inferiore del coefficiente d’avanzo T LJ, la seconda utilizzando il valore superiore
T U J. Nel primo caso la procedura SUBFIB restituisce Coef f 1 che sarebbe o un valore di KT , o
un valore di KQ , o un valore di η0 e LP OD; ovvero, il rapporto di passo ottimale in accordo con
il valore inferiore del coefficiente d’avanzo T LJ e con T ARGET . Nel secondo caso SUBFIB resti-
tuisce Coef f 2 e U P OD. Va sottolineato che LP OD ed U P OD vengono calcolati solamente nel
caso di ottimizzazione bidimensionale, quando il rapporto di passo è anch’esso incognito. Quan-
do, invece, il rapporto P/D è noto, LP OD e U P OD sono i due valori tra loro coincidenti che
vengono semplicemente passati alla procedura SUBFIB senza alcun calcolo. Prima di incomin-
ciare una nuova iterazione nel ciclo di ottimizzazione della procedura FIB2D, vengono confrontati
i due coefficienti o rendimenti Coef f 1 e Coef f 2 : se Coef f 2 > Coef f 1 , allora il nuovo estremo
inferiore dell’intervallo di ricerca del coefficiente d’avanzo J sarà LJ = T LJ; altrimenti l’estremo
superiore dell’intervallo sarà U J = T U J.
Al termine dell’intero ciclo di ottimizzazione vengono calcolati il coefficiente d’avanzo ed il rap-
porto di passo finali, come media aritmetica degli estremi degli ultimi rispettivi intervalli di
incertezza.
Procedura SUBFIB
La procedura in esame è complementare alla procedura FIB2D. Infatti, a SUBFIB vengono ogni
volta assegnati i valori temporanei JT EM P del coefficiente d’avanzo, calcolati iterativamente
da FIB2D. All’interno di SUBFIB vengono calcolati il valore temporaneo T D del diametro, o il
valore temporaneo T n del numero di giri, a seconda di quale fra le due variabili sia quella incognita.
Si era osservato che, nel caso dell’ottimizzazione bidimensionale, il T ARGET assume inizialmente
il valore 1. Il calcolo del coefficiente di spinta o del momento torcente IN T ARGET , da rispet-
tare solamente nel caso di ottimizzazione del rapporto P/D, è rimandato infatti alla procedura
SUBFIB. Si è scelto di indicarlo come IN T ARGET per indicare che il suo valore è temporaneo
e dipendente dal valore del coefficiente d’avanzo temporaneamente analizzato: infatti, viene cal-
colato in accordo con i valori provvisori del diametro T D, o del numero di giri T n. La ricerca
bidimensionale è segnalata dal valore unitario dell’indicatore N ST e solo con questo specifico
valore viene chiamata la procedura FIB1D. A quest’ultima procedura vengono passati il valore
80
2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche
Coef f /(JT EM P x )
dove il valore dell’esponente x varia fra 0 e 5 e dipende dal caso selezionato in partenza (nel
menu iniziale), contraddistinto dall’indicatore OUTFL. Per semplificare la trattazione, nel dia-
gramma di flusso di Figura 2.18 non vengono presentate le diverse trasformazioni per rendere
Coef f conforme al T ARGET .
Ora è possibile il confronto; quindi, prima di restituire alla procedura FIB2D i valori temporanei
di P/D e Coef f , SUBFIB esegue tale ultima operazione per gli approcci del ‘carenista’ e del
‘macchinista’: se Coef f > T ARGET , allora
Coef f = T ARGET − |Coef f − T ARGET |
81
2 – Accoppiamento elica-carena-motore
82
Capitolo 3
Ancora oggi, il problema della relazione tra forme di carena e potenza da installare a bordo di
una nave (previsione di potenza) è risolvibile al meglio solamente ricorrendo ad esperimenti su
modelli, sia per quanto riguarda la previsione della resistenza al moto, sia per quanto attiene le
problematiche della propulsione. Nell’analisi del problema dell’interazione elica–carena possono
essere utilizzati diversi approcci, sia teorici che sperimentali. Al livello attuale delle conoscenze, si
fanno preferire ancora le prove sperimentali su modelli, anche se richiedono molto tempo e danaro,
soprattutto per ottimizzare le forme di carena. Tuttavia, prima di effettuare prove su modelli,
è opportuno e conveniente ricorrere a formulazioni empirico–statistiche, quali sintesi dei risultati
di numerose prove sperimentali (banche dati) ed a codici CFD che consentono di valutare, più o
meno rapidamente, forme di carena alternative. Questi approcci sono assolutamente consigliabili
per progettare al meglio qualunque programma sperimentale.
Da oltre un secolo le prove su modelli sono effettuate ed estrapolate al vero in base al metodo
di Froude. Ma con la crescita delle dimensioni delle navi e delle potenze motore, e, quindi, dei
carichi delle eliche, l’efficienza del metodo di Froude nel fornire dati progettuali affidabili per la
nave e per l’elica è divenuta sempre più insufficiente. Gli effetti scala, nonché l’inconsistenza fisi-
ca delle previsioni e delle procedure di scalaggio, hanno portato ad accese discussioni scientifiche
ed a nuove teorie sull’interazione elica–carena (Abkowitz, 1989; Schmiechen, 1991), purtroppo
osteggiate dall’ITTC.
Sebbene la disponibilità dei risultati di prove al vero sia quanto mai desiderabile, va detto che
le misurazioni relative sono effettuate raramente in maniera adeguata, soprattutto a causa dei
costi e di obiettive difficoltà tecniche. Le prove in mare sono realizzate, di norma, in condizioni
di assetto anomale, per cui sono di scarso aiuto e di dubbio utilizzo. Ecco perchè le prove spe-
rimentali su modelli continueranno a svolgere un ruolo decisivo nel fornire dati progettuali. Le
prove su modelli consentono un esame approfondito del comportamento idrodinamico della nave
e producono informazioni su un insieme di parametri decisionali più vasto di quello ottenibile
dalle tradizionali misure al vero.
83
3 – Previsioni sperimentali della potenza
Il confronto, fornito in Tabella 3.1, tra le grandezze fisiche che sono rilevabili direttamente nelle
prove su modello - tutte misurabili - e quelle derivate da prove in mare - non tutte misurabili -
enfatizza l’importanza assoluta e imprescindibile delle prove su modelli.
84
3.1 – Prova di autopropulsione
nella prova di autopropulsione applicando una certa forza di tiro in avanti. Tale forza di rimor-
chio, che corrisponde all’eccesso del coefficiente di resistenza viscosa del modello rispetto a quello
della nave, è assegnata al modello in autopropulsione dal dinamometro della resistenza allo scopo
di mantenere la similitudine dinamica delle forze che agiscono sulla carena e sull’elica. Questa
forza è la cosiddetta forza di correzione per attrito.
Per questi motivi, i metodi teorici moderni di analisi delle prove di autopropulsione devono ricor-
rere alla correzione per effetto scala del fattore di scia. A tutt’oggi, tale approccio è considerato
il più ragionevole ed accurato dalla maggior parte degli scienziati nei laboratori sperimentali di
tutto il mondo. Anche il ‘metodo di previsione di potenza’ dell’ITTC è basato su questa filosofia.
Tuttavia, questo approccio lascia insoluti alcuni problemi significativi che non sono stati ancora
chiariti. Uno è il dubbio legato alla non-considerazione degli effetti scala sugli altri due fattori
propulsivi, ossia il fattore di deduzione di spinta ed il rendimento relativo rotativo. L’altro pro-
blema, ed è il più importante, è l’inadeguatezza permanente dei metodi finora proposti per la
correzione della frazione di scia.
Esistono diverse metodologie di conduzione delle prove di autopropulsione, ognuna delle quali
presenta vantaggi in certe circostanze e per certe configurazioni del sistema propulivo. In sintesi,
sono riconoscibili tre metodologie
• Metodo Continentale (prove con variazione di velocità)
• Metodo Britannico (prove con variazione di carico)
• Metodo Ibrido
Nel Metodo Continentale, noto anche come metodo con variazione di velocità, le misurazioni
sono effettuate per un certo numero di punti a differenti velocità modello. L’elica modello viene
scaricata da una forza costante di rimorchio esterna FD , diversa e costante ad ogni velocità mo-
dello, predeterminata con precisione e nota come deduzione per attrito. In ogni condizione la
velocità di rotazione dell’elica modello è regolata in modo da fornire una spinta dell’elica tale che
la forza di rimorchio corrispondente raggiunga il valore prefissato. Questo metodo consente di
analizzare gli effetti dell’interazione tra elica e carena solamente al punto propulsivo, senza fornire
alcuna informazione su tale interazione in condizioni differenti di carico dell’elica. Tuttavia, è il
metodo più utilizzato per ragioni di costo ed è considerato il metodo classico per eccellenza. Il
Metodo Continentale è generalmente limitato a leggere variazioni di velocità per una condizione
di carico dell’elica. Le prove sono condotte spesso solamente all’immersione ed all’assetto nave
corrispondenti alla condizione progettuale di pieno carico normale. Di più, in questa condizione
si ipotizzano condizioni ambientali del tutto favorevoli, che rimandano al concetto di ‘condizioni
ideali di prova’, corripondenti alle cosiddette prove al vero. Il Metodo ITTC 1978 rientra in ques-
ta categoria. È applicabile solamente quando il sistema propulsivo prevede eliche convenzionali.
Il Metodo Britannico è stato concepito per tenere conto delle diverse condizioni di carico nelle
quali l’elica verrà a trovarsi durante la sua vita operativa. Tali condizioni saranno certamente
diverse da quelle ideali, il che ha un impatto diretto sulle prestazioni propulsive della nave. Oc-
corre conoscere preventivamente la resistenza aggiunta per onde e per vento, gli effetti dei bassi
fondali, gli effetti della rugosità della carena e dell’elica. Queste resistenze addittive comportano
85
3 – Previsioni sperimentali della potenza
un maggiore carico sull’elica (elica sovraccaricata). D’altra parte, molto spesso la nave si trova in
condizioni di caricazione più leggere di quella progettuale (elica sottocaricata). Questo metodo è
stato pensato per considerare un campo di carichi dell’elica ad ogni velocità di prova del modello.
Allo scopo, l’elica modello è scaricata/caricata di una forza variabile di rimorchio esterna, anche
se per ogni condizione di carico, associata cioè ad un certo valore della forza esterna variabile,
la prova è realizzata a numerose velocità modello. Ad ogni condizione di carico, la velocità è la
stessa in tutte le corse, ma in ogni corsa è applicata una diversa velocità di rotazione dell’elica. In
tal modo, tra una corsa e l’altra varia il rapporto tra le spinta e la forza di rimorchio. Il modello
è rimorchiato dal dinamometro della resistenza per misurare la forza esterna incognita. Prove
speciali con variazione di carico sono la prova di tiro a punto fisso (velocità nulla) e la prova di
tiro ad una velocità d’avanzo costante. In queste prove speciali la forza di tiro di rimorchio FD è
diretta all’indietro. Il Metodo Britannico è raccomandato per sistemi propulsivi complessi, quali
poppe con tunnel, eliche intubate, eliche controrotanti o parzialmente sovrapposte, pod, spintori
azimutali, idrogetti, ecc.
Il Metodo Ibrido è una combinazione di elementi derivati sia dal Metodo Continentale che dal
Metodo Britannico. Come tale, presenta diverse varianti procedurali, tipiche di ogni vasca navale.
Al MARIN, una variazione di carico dell’elica ad una velocità fissa è combinata con una variazione
di velocità ad una ben definita condizione di carico. Allo IHI è adottata la procedura con modello
vincolato, e la prova è condotta variando sia la velocità modello, sia il carico. Al KSRI vengono
combinate due modalità: la prima prevede giri fissi dell’elica e velocità variabili del modello di
carena; la seconda prevede velocità fissa d’avanzo del modello e giri variabili dell’elica modello.
Qualunque sia la procedura adottata nei vari laboratori idrodinamici, il Metodo Ibrido consente
di determinare i fattori propulsivi in funzione sia del numero di Froude, sia di differenti condizioni
operative della nave.
86
3.2 – Metodo Continentale
Il modello di carena dovrebbe essere costruito secondo la Procedura Standard 49-02-01-01 definita
dall’ITTC. La condizione di caricazione (dislocamento, immersione media, assetto) del modello
nella prova di autopropulsione dovrebbe essere la stessa della prova di resistenza. La stessa confi-
gurazione del modello nella prova di resistenza deve valere per le appendici, ossia per i timoni, i
braccioli, i tubi di protezione della linea d’assi, i ringrossi, le pinne degli stabilizzatori, le pinne
e le alette antirollio, le aperture nella carena quali quelle per gli spintori laterali. Il modello è
attrezzato con un motore elettrico montato all’interno del modello e con strumenti che consentono
di misurare la spinta, il momento torcente ed il numero di giri dell’elica modello.
L’elica modello dovrebbe essere costruita secondo la Procedura Standard 7.5-01-01-01. La sua
dimensione è determinata automaticamente dalla dimensione del modello nave e dal suo rapporto
di scala. Il che significa dualmente che si deve tenere conto della dimensione del modello elica,
ovvero dell’elica di stock, quando si sceglie la scala per il modello di carena. Si dovrebbe utiliz-
zare, comunque, un numero di Reynolds adeguato, per minimizzare gli effetti del flusso laminare
durante le prove di autopropulsione.
La prova di autopropulsione è effettuata normalmente con un’elica di stock , ossia con un mo-
dello di elica disponibile nel laboratorio sperimentale. Di questa elica deve essere disponibile,
ovviamente, il diagramma di funzionamento. La scelta del modello dell’elica deve rispettare certi
requisiti. Il criterio primario è la scelta corretta del diametro dell’elica modello, il quale deve
essere dualmente in accordo con la scala del modello di carena. Lo scarto rispetto al diametro
di progetto deve essere contenuto entro il 3%. L’influenza del diametro è decisiva per la corretta
valutazione della frazione di scia modello wm . La Figura 3.2 mostra un esempio dell’influenza di
diversi diametri dell’elica di stock sulla frazione di scia nel caso di una nave con elevato CB .
La deviazione del rapporto di passo P/D dell’elica modello ha una conseguenza irrilevante sui
fattori propulsivi. Nella maggior parte dei laboratori idrodinamici del mondo sono accettati scarti
fino al 5–10%.
87
3 – Previsioni sperimentali della potenza
Figura 3.2. Esempio di variazione della frazione di scia con il diametro dell’elica
Quanto al rapporto di area espansa AE /A0 , la dovuta attenzione al numero di Reynolds critico
(Rn > Rncr ) limita l’effetto negativo di una sua deviazione rispetto al valore prescritto. Infine,
un differente numero di pale Z non determina effetti significativi sui fattori propulsivi.
88
3.2 – Metodo Continentale
uguale alla velocità media del carro di rimorchio durante ogni corsa. Per evitare lo sviluppo di
forze nocive di accelerazione e decelerazione durante le misurazioni, è bene, a causa della potenza
limitata dell’elica modello, non alterare la velocità di rotazione durante ogni corsa, una volta
che questa sia stata fissata per l’assegnata velocità del carro. Piccole differenze di velocità tra
modello e carro possono essere eliminate regolando la velocità del carro.
La spinta ed il momento torcente forniti dalle vasche navali sono quelli netti al mozzo dell’elica,
ossia la spinta Tm depurata dall’influenza del peso e dell’inclinazione della linea d’assi, ed il mo-
mento torcente Qm depurato dalle resistenze passive lungo la linea d’assi.
È opportuno seguire alcune raccomandazioni. Nelle prove standard commerciali di autopropul-
sione, il modello è provato per un insieme di almeno dieci velocità, ad intervalli di circa 0.5
m/s. Dovrebbero essere effettuate prove ripetute ad ognuna delle differenti e numerose velocità
di prova. L’intervallo di velocità è compreso tra la velocità minima e quella massima, alle quali
sono richiesti i dati della propulsione. Il campo delle velocità di prova dovrebbe essere esteso
di almeno 5% al di sotto ed al di sopra dei valori minimo e massimo d’interesse. Durante ogni
corsa vengono registrate la spinta dell’elica Tm , il momento torcente Qm , la velocità di rotazione
dell’elica–modello nm e la velocità del modello nave Vm .
La prova di autopropulsione può essere eseguita al punto di propulsione modello, nel quale la
spinta dell’elica deve vincere la resistenza totale RTm del modello, oppure al punto di propulsione
nave facendo sviluppare all’elica la sola spinta necessaria a vincere la resistenza totale della nave
RTs riportata in similitudine alla scala modello.
Si sa che in termini di coefficienti di resistenza è
per cui al punto di propulsione modello il modello è sovraccaricato, in aggiunta alla spinta ricevuta
dall’elica, con un carico FD , definito correzione d’attrito e calcolato come
1
FD = ρm Sm Vm2 ·[CFm − (CFs + ∆CF )] (3.2)
2
ovvero
1
FD = ρm Sm Vm2 ·[(1 + k)CFm − (CFs + ∆CF )]
2
dove k è il fattore di forma. Tale carico compensa la differenza tra il coefficiente di resistenza
d’attrito del modello e della nave.
La condizione di equilibrio al punto propulsivo modello è data da
Tm = RTm − FD
89
3 – Previsioni sperimentali della potenza
dove
∆Tm , ∆Qm : correzioni della spinta e del momento torcente, dovute alla temperatura
dell’acqua nella vasca, ad effetti parete, all’utilizzo di una correzione
d’attrito non del tutto corretta, ecc.;
CQ : costante di calibrazione del momento torcente.
Va ricordato che tale modo di trasferimento al vero non è del tutto corretto in quanto sono di-
versi i numeri di Reynolds in scala modello ed al vero; infatti, la resistenza viscosa del modello
è sensibilmente maggiore della resistenza viscosa della nave. Ne risulta una maggiore resistenza
totale modello.
Nel trasferimento dei risultati sperimentali dal modello al vero, in prima istanza il Metodo Conti-
nentale non tiene conto degli effetti scala, della resistenza dell’aria, della rugosità della superficie
di carena e delle pale dell’elica, ecc. Per rendere i risultati, trasferiti al vero, adeguati alle condi-
zioni delle prove in mare (trial → t) e di servizio (service, sustained → s), i valori del numero di
giri ns e della potenza sviluppata PDs devono essere corretti in base a statistiche derivanti dalle
condizioni di prova e di servizio.
90
3.2 – Metodo Continentale
Si avrà
nst = CNt ·ns
nss = CNs ·ns
PDst = CPt ·PDs
PDss = CPs ·PDs
dove CN e CP sono rispettivamente i fattori di correzione per il numero di giri e per la potenza
assorbita.
91
3 – Previsioni sperimentali della potenza
è utilizzato come curva di calibrazione della velocità d’avanzo dell’elica. Si può osservare che wT
e wQ sono differenti. Tale differenza può essere significativa soprattutto nelle navi monoelica; di
norma wT è maggiore di wQ .
Questo metodo di determinazione della scia media assiale è sempre molto incerto. L’utilizzo di
eliche di diversa geometria, seppure con lo stesso diametro, può produrre risultati differenti. La
ragione può essere individuata nel fatto che condizioni di un campo di flusso omogeneo sono
confrontate con quelle di un campo di flusso disomogeneo. Forse gli esperimenti di elica isolata
potrebbero essere sostituiti da esperimenti nei quali le curve caratteristiche delle eliche dovreb-
bero essere determinate trascinando le eliche dietro forme standardizzate di modelli di carena.
Probabilmente si otterrebbero affidabili banche dati di confronto se si definissero i valori di scia
per queste forme.
Si consideri la Figura 3.4, dove i simboli relativi alle varie forze denotano
RBH : resistenza della carena nuda
RAP resistenza delle:appendici
RAD componenti addizionali di resistenza al vero
Tt forza di deduzione di spinta (forza d’interazione tra elica e carena)
FD forza di rimorchio esterna
92
3.2 – Metodo Continentale
• in scala modello
Tm = Ttm + RBHm + RAPm − FD (3.7)
RT∗ m = RR
∗
m
∗
+ RAPm
(3.10)
In analogia con l’equazione (3.7), nella prova di autopropuslione a velocità costante si utilizza la
relazione
Ttm = Tm − (RT∗ m − FD ) (3.11)
Sostituendo questa espressione nell’equazione (3.7) si ottiene la ben nota formula per la frazione
di deduzione di spinta
RT∗ m − FD
t∗∗ = 1 − (3.12)
Tm
dove la frazione di deduzione di spinta è indicata come t∗∗ per distinguerla dalla più realistica
frazione di deduzione di spinta risultante dalle prove con variazione di carico.
In base all’equazione (3.12) la frazione di deduzione di spinta è determinata dai risultati delle
prove di resistenza e di propulsione effettuate separatamente. In una certa condizione di carico e
93
3 – Previsioni sperimentali della potenza
di velocità del modello, l’assetto in corsa può differire notevolmente tra le due prove. Un diverso
comportamento dinamico del modello ed un differente flusso intorno alla carena (ed alle appen-
dici) determinano forze di resistenza che non sono confrontabili, per cui è RT∗ m 6= RT m .
Poiché nell’equazione (3.12) si utilizza RT∗ m , t∗∗ può contenere imprecisioni che andrebbero consi-
derate seriamente. Il grande scarto dei valori ricavati per t∗∗ su un modello con eliche diverse è
stato riscontrato analizzando numerose misure sperimentali da prove sistematiche.
Poiché il fattore di deduzione di spinta è funzione della distanza tra elica e carena, ma è indipen-
dente dal carico di spinta e dalla scala modello, si può assumere che sia
t = tm = ts (3.13)
Applicando questa ipotesi a t∗∗ , tutte le incertezze relative al fattore di deduzione di spinta sono
trasferite anche alla nave al vero, il che può produrre valutazioni erronee nella previsione di
potenza.
dove i coefficienti con il pedice ‘B’ sono ovviamente derivati dalle misure di spinta e di momento
torcente nella prova di autopropulsione (elica dietro carena).
Perciò, se è utilizzata l’identità di momento torcente, il rendimento relativo rotativo può essere
desunto dal rapporto tra il valore misurato KTB ed il valore KT corrispondente al coefficiente
d’avanzo J nel diagramma di elica isolata. Si avrà
KTB
ηRQ =
KT
8 KT T 8 (RT − FD )
CTh = · = =
π J2 1 2 πD2 ρV 2 (1 − w)2 (1 − t)·πD2 ·ηR ·np
ρV
2 a 4
dove np è il numero di eliche.
94
3.2 – Metodo Continentale
Si suppone che l’effetto scala sul fattore di deduzione di spinta sia trascurabile (ts = tm ). Vice-
versa, si può presumere che l’effetto scala sia rilevante sulla frazione di scia, specialmente per le
navi monoelica: in primissima e grossolana approssimazione si può assumere ws = 0.7 wm nelle
condizioni di prove in mare e ws = wm nelle condizioni di servizio.
Gli esperimenti possono essere effettuati a diverse condizioni di carico (pieno carico, carico leggero,
zavorra, ecc.). Di particolare interesse è la condizione di progetto. Le vasche navali presentano
i risultati delle prove di autopropulsione in forma tabulare o in diagrammi. L’output tabulare
fornisce, a diverse velocità Vs , il numero di giri Ns , la spinta Ts , il momento torcente Qs e la
potenza sviluppata PDs per la nave, alle diverse condizioni di prove in vasca. Inoltre, possono
essere forniti il numero di giri e la potenza sviluppata per la nave nelle condizioni della prova
in mare e, talvolta, per la nave in alcune condizioni di servizio. Infine, si possono ottenere
ulteriori informazioni circa i coefficienti d’avanzo JT (identità di spinta) e JQ (identità di momento
torcente), le frazioni di scia media w, i fattori di deduzione di spinta t, i rendimenti di carena ηH ,
i rendimenti dell’elica isolata η0 , i rendimenti relativi rotativi ηR ed i coefficienti quasi–propulsivi
ηD .
Rendimento quasi–propulsivo
Il rendimento quasi–propulsivo, dove il ‘quasi’ implica che non si tiene conto del rendimento
meccanico della linea d’assi
PE
ηD = (3.15)
PD
è il rapporto tra la potenza effettiva della carena in acqua calma, ossia la potenza richiesta per
rimorchiare la nave alla velocità di progetto
PE = RT ·Vs
e la potenza sviluppata al propulsore, ossia la potenza che deve essere fornita all’elica
PD = 2πnQ
95
3 – Previsioni sperimentali della potenza
carico standard e se è disponibile un numero sufficiente di dati di correlazione per definire ac-
curatamente il livello di dipendenza dal laboratorio idrodinamico dei coefficienti correttivi CN e
CP , rispettivamente per il numero di giri e per la potenza motore. Per eliche convenzionali dietro
forme di carena non troppo piene, le vasche navali sono solite adottare un carico standard che, in
generale, è maggiore di quello relativo al punto di autopropulsione della nave per la condizione
relativa alle prove in mare.
La situazione diviene differente quando la frazione di scia e/o il fattore di deduzione di spinta
dipendono sensibilmente dal carico dell’elica, come avviene per forme di carena particolari, per
propulsori complessi, e per eliche moderatamente o pesantemente caricate. In realtà, in tutti i
casi andrebbe considerato non solo il carico dell’elica, ma anche l’interazione tra il flusso intorno
alla poppa ed il propulsore. In questo contesto, l’elica esaminata per la condizione di identità
di spinta sarebbe probabilmente sottocaricata. Oosterveld (1984) dimostrò che per propulsori
complessi, come le eliche intubate, l’identità di KT o di J negli esperimenti di autopropulsione
dovrebbe garantire una buona simulazione del comportamento del propulsore.
Se si esaminano i risultati di una prova con variazione di carico a velocità costante del modello,
si può dimostrare che sulla stessa curva possono essere identificati differenti carichi dell’elica
(Fig. 3.5), dove ognuno rappresenta un certo rapporto di similitudine con l’elica al vero. Se
non esistessero effetti scala per viscosità, tutti i punti indicati dovrebbero coincidere con il punto
di autopropulsione del modello. Come noto, a causa degli effetti prodotti dalla viscosità, la
resistenza viscosa della carena, la frazione di scia e l’attrito sulle pale dell’elica sono maggiori
in scala modello. Ne consegue che devono essere assunte numerose ipotesi circa la similitudine
(media) del flusso e delle forze negli esperimenti di autopropulsione su modelli.
96
3.2 – Metodo Continentale
Sul punto di identità di spinta il criterio di similitudine è rispettato quando i rapporti tra le
velocità indotte dall’elica e le velocità incidenti sono gli stessi per il modello e per la nave. Se
si trascura il piccolo effetto scala ∆KT sul coefficiente di spinta KT , si può affermare che l’iden-
tità di J corrisponde all’identità di KT e di CT . Ne deriva che in questa condizione il campo
di flusso assiale in prossimità dell’elica è simulato in maniera corretta nell’esperimento su modello.
A causa degli effetti scala sull’attrito di pala, che influenza soprattutto il momento torcente, il
punto relativo all’identità di KQ rappresenta un’elica leggermente meno caricata rispetto a quella
considerata nella condizione d’identità di spinta. Nel punto d’identità del momento torcente, la
rotazione media nel flusso a valle del disco–elica corrisponde a quella della nave al vero: questa
condizione va rispettata se si vuole che siano corretti gli esperimenti condotti sulle appendici
(alette rettificatrici di flusso, timoni, ecc.).
Nel punto di autopropulsione nave il rapporto tra spinta e forze d’inerzia è uguale per il modello e
per la nave. Si suppone che questa similitudine dinamica esista nell’approccio classico, ipotizzando
cosı̀ che a questo carico le forze di deduzione di spinta del modello e della nave al vero siano uguali.
Al punto di autopropulsione modello, il modello della nave è propulso dalla sua elica e la forza di
tiro di rimorchio è nulla.
In generale, un carico ancora maggiore è ottenuto quando il modello è provato in una condizione
nella quale il rapporto tra spinta e resistenza viscosa è uguale per il modello e per la nave. In que-
sta condizione, si ipotizza che esista una qualche similitudine nel flusso viscoso sulla zona poppiera
della carena davanti all’elica. Probabilmente, in questa condizione di elica pesantemente caricata
la similitudine del flusso al di sopra dell’elica sarà di difficile decifrazione, in quanto influenzata
da fenomeni di separazione.
97
3 – Previsioni sperimentali della potenza
• gli effetti del carico dell’elica, in quanto i carichi sono differenti in scala modello ed al vero,
a causa dovuti agli effetti scala nella scia, per quanto riguarda sia la loro entità, sia la loro
distribuzione.
Quando sono provati due modelli di elica che si comportano differentemente a seconda del carico,
si giunge a conclusioni errate quando si effettua l’esperimento con la stessa forza di tiro al rimor-
chio, se questa corrisponde ad un propulsore sovraccaricato. Il carico di spinta KT /J 2 dell’elica
modello differisce dal carico dell’elica al vero di un fattore pari a {(1 − ws )/(1 − wm )}2 nel punto
di autopropulsione nave, anche se la previsione della spinta è corretta. Per navi con elevato co-
efficiente di finezza in zavorra, il quadrato dell’effetto scala sulla scia {(1 − ws )/(1 − wm )}2 può
raggiungere valori fino a 2. Ciò dimostra che numerose appendici per il risparmio di combustibile,
quali alette, mantelli, statori, ecc., che sono efficienti a carichi elevati, sono probabilmente meno
vantaggiose al vero, dove i carichi sono sensibilmente inferiori.
Le prove di autopropulsione dovrebbero comprendere almeno una prova con variazione di carico,
e non solo nel caso di propulsori non convenzionali. Infatti, è stato dimostrato che la variazione
della scia effettiva, variando il carico dell’elica, è causata dall’interazione dei vortici e dello strato
limite a poppa con la velocità indotta dall’elica, e che l’esistenza dei vortici del ginocchio non è
trascurabile.
98
3.3 – Metodo Britannico
99
3 – Previsioni sperimentali della potenza
In base alle equazioni (3.7) e (3.8), l’equilibrio delle forze assiali produce l’equazione
Tm = tm Tm + RT m − FD
Se si ipotizza, come suggerito da Holtrop (1990), che la resistenza del modello sia costante al
variare del carico dell’elica, la differenziazione dell’equazione (3.16) porta a
dTm 1
=− (3.17)
dFD 1 − tm
per cui si può osservare che l’equazione (3.16) è lineare rispetto a FD (con pendenza negativa),
almeno nell’intervallo tra Tm0 , dove è FD = 0, e Tm = 0, dove è FD = Rmp .
Tuttavia, non si deve attendere che, specialmente ad elevati numeri di Froude, RTm sia del tutto
indipendente dal carico dell’elica. L’elica influenza il flusso ed il campo di pressione nella zona
poppiera di carena e, quindi, influenza RTm . In virtù del fatto che si assume RTm = cost., il
fattore di deduzione di spinta tm terrà conto anche di tutte le altre forze che sono piccole rispetto
alle forze d’interazione tra elica e carena, cosı̀ che l’equazione (3.17) rimane comumque valida.
dTm Tm
=− 0
dFD Rmp
Rmp
tm = 1 − (3.18)
Tm0
Durante le prove con variazione di carico, tutte le forze che compaiono nell’equazione (3.18) sono
derivate nello stesso esperimento, per cui non si ha alcuna incertezza nei riguardi di t a causa,
ad esempio, di un diverso assetto in corsa, come accade, viceversa, per il fattore di deduzione di
spinta t∗∗ derivato mediante il Metodo Continentale.
Le osservazioni suddette sono valide sia per navi monoelica che per navi con due o più eliche.
Per queste ultime le misurazioni e la valutazione dei risultati sperimentali consentono di derivare
differenti valori di t per ogni elica, mentre non esiste alcuna differenza per i valori di t∗∗ tra elica
ed elica, sempre secondo l’equazione (3.12).
100
3.3 – Metodo Britannico
Queste grandezze, la maggior parte delle quali sono campionate sequenzialmente, devono essere
armonizzate in accordo con le funzioni caratteristiche dell’elica, come
cosı̀ che la tripletta di valori (nm , Tm , Qm ) riflette i punti operativi delle eliche modello. Le
P
somme di tutte le singole spinte, Tmν (FD ), vengono sottoposte ad un’analisi di regressione che
consente di determinare Rmp e Tm◦ dall’equazione di regressione.
Per la rappresentazione grafica dei risultati, si preferisce adimensionalizzare le funzioni suddette,
come illustrato in Tabella 3.2, in funzione della forma adimensionale di FD , data da XFD =
FD /Rmp .
In Figura 3.7 sono diagrammati i valori di Tm , Qm e n2m di un modello bielica rispetto alla forza
di rimorchio FD e sono riportate le relative equazioni di regressione.
La Figura 3.8 mostra alcuni esempi delle funzioni adimensionali corrispondenti per un modello
monoelica con timone di profilo NACA 0018, a quattro differenti numeri di Froude. Oltre le
grandezze adimensionali illustrate in Tabella 3.2, sono diagrammate la scia media assiale w ed il
coefficiente d’avanzo Jv .
La Tabella 3.3 fornisce i risultati delle prove di variazione di carico per un esame comparativo,
dove la grandezza
Rmp
R̂ = ∗
RT
è il rapporto tra la resistenza del modello con elica in folle e la resistenza modello nella prova di
rimorchio, ambedue misurate allo stesso numero di Froude.
101
3 – Previsioni sperimentali della potenza
Per modelli bielica, di norma è R̂ < 1, mentre per navi monoelica è R̂ > 1 (Holtrop, 1990).
Sempre dalla Tabella 3.3 si evince che la frazione di deduzione di spinta t ottenuta dalle prove
con variazione di carico (Metodo Britannico) è più realistico del velore t∗∗ ottenuto dalle prove
di resistenza ed autopropulsione condotte separatamente (Metodo Continentale). Specialmente
per navi bielica, lo scarto tra t∗∗ e t è molto alto a causa dell’utilizzo di forze non corrispondenti
nell’equazione (3.13). A causa del differente assetto in corsa, le componenti di resistenza dovute
all’assetto e le resistenze per appendici sono differenti in ambedue le serie di prove. In genere,
per navi bieliche t è maggiore di t∗∗ .
Figura 3.8. Risultati di prove con variazioni di carico a diversi F n (nave monoelica)
La quantità t0 in Tabella 3.3 è il valore di t dato da una funzione approssimante t(F n) sviluppata
per tutti i modelli della Serie–D (Kracht, 1992). Per navi monoelica, le differenze tra t e t∗∗ sono
inferiori, i risultati sono più consistenti, e t∗∗ è sempre maggiore di t. Il che vale anche nel caso
di una nave sulla quale siano stati installati timoni diversi, per differenti angoli di barra, e per
diverse luci tra elica e timone.
Infine, in Figura 3.8 è mostrata la frazione di scia media effettiva w̄e in funzione del carico
dell’elica e del numero di Froude. I risultati delle prove mostrano una consistente deviazione
dalle approssimazioni lineari.
102
3.4 – Metodo Ibrido
che si crea tra il modello ed il carro di rimorchio durante le prove di autopropulsione. Questa forza
totale comprende tre componenti: la resistenza modello RTm . la spinta dell’elica Tm e la forza di
deduzione di spinta (Tm − TE ), dove TE è la spinta effettiva. Durante la prova di autopropulsione
la forza totale Z varia da valori positivi nel campo di sovraccarico dell’elica al valore nullo nel
punto corrispondente al modo progettuale, fino a valori negativi nel campo dei carichi leggeri
dell’elica. La resistenza del modello in funzione della velocità, ottenuta dalle prove preliminari
di resistenza, è utilizzata per calcolare la spinta effettiva TE . Quest’ultima è determinata come
differenza tra la forza di tiro Z sul dinamometro di rimorchio del carro e la resistenza del modello
RTm . Le prove di elica isolata sui modelli consentono di calcolare i coefficienti d’interazione
elica–carena.
103
3 – Previsioni sperimentali della potenza
Il fattore di deduzione di spinta è calcolato mettendo a confronto i valori della spinta effettiva e
della spinta dell’elica dietro carena come
KE
t=1− (3.20)
KT
dove
TE
KE =
ρn2 D4
La frazione di scia media è ricavata, in base all’identità di spinta, come rapporto dei coefficienti
d’avanzo dell’elica isolata e dell’elica dietro carena; ossia
V − Va J
w= =1− (3.21)
V Jv
Quando i risultati sulla linea d’assi a dritta ed a sinistra di una nave bielica non sono esattamente
identici, il valore finale è preso come media tra i due.
Per ottenere la corretta correlazione tra il carico dell’elica modello e dell’elica al vero, il numero
di giri è determinato dalla condizione
KDEs = KDEm
dove
s s
np ·ρs np ·ρm
KDEs = Vs ·Ds e KDEm = Vm ·Dm
RTs TEm
Quando si stima la prestazione propulsiva di una nave, sono trasferiti al vero, senza alcuna
correzione, il fattore di deduzione di spinta t ed il rendimento relativo rotativo iQ . La procedura
di scalaggio della scia è basata sull’ipotesi che la componente viscosa della scia della nave wTs sia
104
3.4 – Metodo Ibrido
una funzione lineare del rapporto CVs /CVm tra i coefficienti di resistenza viscosa della nave e del
modello; ossia
µ ¶
CVs
ws = wm 0.6 + 0.4 (3.23)
CVm
dove
CVm = (1 + k)·CF0m - coefficiente di resistenza viscosa del modello;
CVs = (1 + k)·CF0s + ∆CF0 - coefficiente di resistenza viscosa della nave;
0.455
CF0 = - coefficiente di resistenza d’attrito (Prandtl–Schlihting)
(log Rn)2.58
" µ ¶1/3 #
ks
∆CF0 = 105 − 0.64 ·10−3 - coefficiente di resistenza aggiunta per rugosità
LW L
di carena.
Negli anni ’60 fu realizzato un confronto tra i risultati sperimentali su modelli ottenuti da tre
procedure di autopropulsione: Metodo Continentale, Metodo Britannico ed un Metodo Ibrido
utilizzato al MARIN. Furono provate molte serie di modelli di navi con forme di carena e velo-
cità di progetto differenti. La conclusione principale fu che esistono influenze significative della
formazione ondosa (numero di Froude) sull’interazione elica–carena; in particolare, sul fattore di
deduzione di spinta. Risultò che l’intensità della componente d’onda della deduzione di spinta
dipende dal tipo di nave e dal tipo di propulsore.
Sulla base dell’esperienza del KSRI nelle prove di autopropulsione e dei risultati di esami compa-
rativi tra differenti procedure sperimentali, si può affermare che i principali vantaggi del metodo
ibrido utilizzato nel KSRI sono i seguenti
1. Una tale procedura consente di coprire un ampio intervallo di carichi dell’elica; in pratica,
permette di esaminare l’intero campo possibile di variazione nell’interazione elica–carena,
corrispondente all’operatività dell’elica dalla condizione di tiro a punto fisso al punto a
spinta nulla.
2. È possibile seguire una modellazione parziale dell’elica, il che consente di liberarsi dalla
necessità di costruire un modello di elica prima di ogni prova sperimentale, e consente di
utilizzare le cosiddette eliche di stock. Questo è un aspetto importante, in quanto spesso
l’esatta geometria dell’elica non è ancora determinata quando si effettua la prova di auto-
propulsione.
3. La combinazione dei due modi consente di ottenere i coefficienti d’interazione elica–carena
in funzione del numero di Froude e di trovare l’insieme delle curve dei coefficienti d’inte-
razione a numeri costanti di Froude ed a carichi variabili dell’elica. Utilizzando i risultati
ottenuti da questa procedura di prove di autopropulsione, si possono estrapolare i valori di
deduzione di spinta dal modo sperimentale al vero.
In Figura 3.9 sono illustrati i coefficienti propulsivi di una ro-ro/pax, da 28 nodi di velocità
progettuale, espressi in funzione del coefficiente di carico dell’elica KDE .
105
3 – Previsioni sperimentali della potenza
Molti studi sono stati dedicati all’identificazione e dei modi di soluzione dei problemi connessi ai
singoli passi della previsione di potenza al vero.
106
3.5 – Metodo ITTC 1978
Fattore di forma
Il fattore di forma quale modifica dell’approccio originale di William Froude per l’estrapolazione
dei risultati sperimentali su modelli, è stato gradualmente accettato da molti istituti e laboratpri
idrodinamici. Studi di correlazione degli ultimi decenni hanno dimostrato che la dispersione dei
fattori di correlazione modello–nave CN , CP e CN P risultano ridotti se viene introdotto un fattore
di forma nell’estrapolazione dei risultati delle prove di resistenza e propulsione su modelli.
Nel metodo ITTC 1978 il coefficiente di resistenza totale CT è rappresentato dalla somma di un
coefficiente di resistenza viscosa Cv e di un coefficiente di resistenza residua CR = CT − Cv . Il
metodo del fattore di forma è basato sulla linea di correlazione d’attrito ITTC 1957 ed assume
che sia
Cv = (1 + k)CF
dove CF è il coefficiente di resistenza d’attrito di una lastra piana equivalente e (1 + k) è il
fattore di forma, ipotizzato indipendente dal numero di Reynolds Rn. L’ITTC raccomanda di
determinare il valore del fattore di forma mediante una formula modificata di Prohaska
CT a
(1 + k) = − F nm
CF CF
come il valore al limite di CT /CF per F n → 0, ossia estrapolando a F n = 0 i valori misurati di
CT /CF nell’intervallo 0.12 ≤ F n ≤ 0.20.
L’esponente m e la costante a sono scelti come risultato della migliore interpolazione dei dati
sperimentali. Vanno evitati i punti sperimentali relativi a velocità estremamente basse a causa
del rischio eccessivo di flusso laminare sul corpo prodiero del modello e misure di resistenza non
sufficientemente accurate.
Sebbene molte ricerche teoriche abbiano indicato che si ha un notevole incremento del fattore
di forma al crescere del numero di Reynolds, ossia passando dai valori modello a quelli al vero,
tale effetto non è stato riscontrato nella maggior parte dei dati sperimentali disponibili. Ciò può
essere dovuto agli effetti di controbilancimento della tensione superficiale e della separazione del
flusso a poppa; ambedue questi effetti tendono ad incrementare la resistenza ed il fattore di forma
alle minori scale modello ed ai valori inferiori del numero di Reynolds. In sintesi, finora non esiste
alcuna certezza circa un effetto consistente del numero di Reynolds sul fattore di forma. Perciò,
fino a prova contraria, è ancora valida l’ipotesi generale che (1 + k) sia indipendente dal fattore
di scala.
Rugosità di carena
107
3 – Previsioni sperimentali della potenza
dove ks è l’ampiezza media della rugosità su una lunghezza d’onda di 50 mm. Se ∆CR è piccolo
relativamente a ∆CF , la formula (3.24) sovrastima il valore di CA .
Negli anni ’80, furono proposte varie formule alternative, basate su calcoli teorici dello strato
limite e su dati empirici derivati da misure in laboratorio ed al vero della rugosità di carena e
della resistenza per rugosità. Le formule alternative elaborate volevano tenere conto della diretta
dipendenza della resistenza per rugosità dal numero Reynolds e/o dalle proporzioni della nave.
Tra le altre, si possono citare le formule di
La Figura 3.10 mostra i diagrammi delle previsioni numeriche ottenute in base alle formule pro-
poste da Bowden–Davison, Himeno, Townsin e Wright, per valori di Rn pari a 108 , 109 e 5·109 .
Se si confrontano le curve riportate è evidente che la formula di Bowden–Davison, attualmente
adoperata dall’ITTC, dovrebbe essere riesaminata in funzione del numero di Reynolds e della
rugosità. Tuttavia, è difficile stabilire quale di queste formule potrebbe costituire un’alternativa
alla formula (3.24).
L’influenza delle appendici di carena sulla potenza propulsiva può essere di grande importanza
specialmente per le navi con più propulsori. Per determinare la resistenza delle appendici al
vero, possono essere utilizzati più approcci, anche se nessuno è del tutto soddisfacente. Esistono
108
3.5 – Metodo ITTC 1978
sostanzialmente tre metodi differenti per trattare la resistenza delle appendici negli esperimenti
su modelli.
• estrapolazione al vero della resistenza delle appendici modello mediante un fattore costante
di effetto scala per appendici β = CAPs /CAPm , oppure estrapolando sulla base del numero
p
di Reynolds delle appendici RnAP = V SAP /2/ν;
• addizione della resistenza delle appendici al vero, calcolata teoricamente, alla resistenza
della carena nuda al vero, estrapolata dai risultati delle prove sperimentali;
• applicazione del concetto del fattore di forma ai modelli con tutte le appendici installate.
Il Metodo ITTC 1978 può essere adattato per prevedere le prestazioni propulsive al vero di navi
bielica mediante l’utilizzo del fattore di forma dei modelli con appendici, con valori del coefficiente
di correlazione di potenza CP , del coefficiente di correlazione del numero di giri ad identità di
spinta CN , e del coefficiente di correlazione del numero di giri ad identità di potenza CN P , simili
a quelli di esempi confrontabili di navi monoelica.
Numerose indagini hanno mostrato che il rapporto tra gli effettivi parametri di rugosità e la
rugosità equivalente della sabbia - usata come riferimento base per la rugosit‘a di pala kP - è
piuttosto complessa. Il parametro standard per la rugosità della superficie di pala, kP = 30·10−6 ,
necessita di ulteriori verifiche sulla base di ulteriori misure di rugosità di superfici di pala e dopo
avere effettuato la previsione per i corrispondenti coefficienti d’attrito.
Un’altra difficoltà che può insorgere, se si adotta il valore suddetto per il coefficiente di rugosità
della superficie di pala, è che, per eliche con piccolo diametro, la correzione delle caratteristiche di
funzionamento dell’elica per effetto scala porterebbe a valori ∆CD addirittura negativi. Si veda
la Figura 3.11, dove l’ascissa c denota la lunghezza di corda della pala di un’elica al vero. Questa
109
3 – Previsioni sperimentali della potenza
ambiguità ha origine nel fatto che la formula adottata dall’ITTC è basata solamente sui dati di
eliche di grandi navi monoelica.
Se si volesse proporre una nuova formulazione per kP , andrebbero considerate simultaneamente la
natura fisica del flusso sulle pale dell’elica e la variazione del coefficiente di portanza in funzione
del numero di Reynolds.
T T
KTm = e KQm =
ρn2 D4 ρn2 D5
Il coefficiente KTm è il dato d’ingresso nel diagramma di funzionamento del modello dell’eli-
ca, dal quale sono letti i valori di JTm e di KQm .
110
3.5 – Metodo ITTC 1978
dove
k fattore di forma
CFs coefficiente di resistenza d’attrito della nave calcolato in base alla linea
di correlazione modello–nave ITTC 1957
CR coefficiente di resistenza residua derivato dai coefficienti d’attrito e di
resistenza totale del modello come CR = CTm − (1 + k) CFm
∆CF addendo per rugosità ∆CF = [105(ks /LW L )1/3 − 0.64]·10−3 dove la
rugositàdi carena vale ks = 150 µm
CAA coefficiente di resistenza dell’aria pari a CAA = 0.001 AT /S
Se sulla nave sono installate alette di rollio, la resistenza torale della nave diviene
S + Sbk
CT S = ·[(1 + k) CF s + ∆CF ] + CR + CAA
S
essendo Sbk la superficie totale delle alette di rollio ed S la superficie di carena.
Le previsioni di potenza della nave necessitano della conoscenza delle caratteristiche dell’eli-
ca isolata in scala modello. Le caratteristiche dell’elica isolata sono ottenute sperimental-
mente con un modello idraulicamente liscio, a numeri di Reynolds varianti nell’intervallo
2.5·105 – 8.0·105 . Questi valori di Rn sono generalmente più elevati di quelli presenti nella
prova di autopropulsione. Le condizioni operative dell’elica modello non sono per niente
simili a quelli dell’elica isolata a causa dei valori relativamente bassi del numero di Reynolds
in scala modello. Si tratta, quindi, di correggere la spinta ed il momento torcente al vero
tenendo conto degli effetti scala.
dove
P c
∆KT = ∆CD ·0.3 · ·Z
D D
c
∆KQ = ∆CD · 0.25 ·Z
D
111
3 – Previsioni sperimentali della potenza
essendo
µ ¶ " #
t 0.044 5
CDm =2 1+2 · 1/6
− 2/3
c Rnco Rnco
µ ¶ " #
t c
CDs =2 1+2 · 1.89 + 1.62·log
c kp
4. Scia al vero
Per navi monoelica, la scia al vero è calcolata dalla scia modello wTm e dalla frazione di
deduzione di spinta t mediante la formula per effetto scala
(1 + k) CFs + ∆CF
ws = (t + 0.04) + (wm − t − 0.04)· (3.25)
(1 + k) CFm
dove l’addendo 0.04 tiene conto dell’effetto del timone che ovviamente è posizionato sul
piano diametrale.
Per le navi bielica con un singolo timone sul piano diametrale, l’effetto scala del timone sarà
molto minore; al limite trascurabile, cosı̀ che si può valutare la frazione di scia al vero come
CVs
ws = t + (wm − t)·
CVm
Purtroppo, per navi dalle forme fini, ed in particolare per le navi bielica, la frazione di scia
al vero, calcolata con la formula standard (3.25) è maggiore della frazione di scia modello.
Poichè questo risultato è in contraddizione con la comprensione idrodinamica dell’effetto
scala sulla frazione di scia per questo tipo di navi, si impone che sia
ws = wm
Questa ipotesi è ragionevole in quanto sulle navi bielica gran parte di ogni disco–elica si
trova all’esterno dello strato limite di carena e, di conseguenza, la frazione di scia effettiva
sarà influenzata dall’effetto scala meno di quanto accada per le navi monoelica.
112
3.5 – Metodo ITTC 1978
Il carico dell’elica al vero può essere ottenuto mediante uno dei due metodi
- identità di spinta
KT T CTs
2
= ·
J 2D (1 − t) (1 − wTs )2
2
µ ¶
KT0 KT
= · ηRm
J2 J2 T
KQ PD
3
=
J 2πρD Vs2 (1 − wTs )3
2
KQ0 KQ
3
= 3 · ηRm
J J
• numero di giri
(1 − wTs ) Vs
ns = [rps]
JTs ·D
• spinta dell’elica
KT 2
Ts = ·J ·ρD4 n2s ·10−3 [kN]
J 2 Ts
• potenza effettiva
1
PE = CT S · ρ Vs2 ·S ·10−3 [kW]
2
113
3 – Previsioni sperimentali della potenza
• potenza assorbita
(KQs )T
PDs = 2πρ D5 n3s ·10−3 [kW]
ηR
• rendimento quasi–propulsivo
PE
ηD =
PDs
• rendimento di carena
1−t
ηH =
1 − wTs
• Il coefficiente del momento torcente KQs dietro carena è calcolato a partire dalla
potenza al mozzo al vero PDt e dal numero di giri al vero nt come
PDt
KQs =
2π ρ D5 n2t
(KQs )t = ηR ·KQs
dove si ipotizza che il rendimento relativo rotativo della nave sia uguale a quello del
modello, ossia ηRs = ηRm = ηR
Jts ·D·nt
(ws )t = 1 −
Vs
∆w = wm − (ws )t
114
3.5 – Metodo ITTC 1978
dove si ipotizza che il fattore di deduzione di spinta t e del fattore di forma k siano gli
stessi per il modello e per la nave.
• numero di giri
nt = CN ·ns [s−1 ]
• potenza assorbita
PDt = CP ·PDs [s−1 ]
In questo caso le previsioni finali per le prove al vero sono calcolate come segue
KT T ∆CT S + ∆CF c
2
= ·
J 2D (1 − t)(1 − wT s + ∆wc )2
2
• numero di giri
(1 − wTs + ∆wc ) Vs
nt =
JTs ·D
• potenza assorbita
(KQs )t
PDt = 2πρ D2 ·n3t · ·10−3 [kW]
ηRm
Coefficienti di correlazione
Negli anni, l’ITTC ha continuato a raccomandare di investigare l’applicabilità del suo metodo a
propulsori non-convenzionali ed a navi bielica, soprattutto per quanto riguarda lo scalaggio della
resistenza delle appendici e la presenza dei timoni.
115
3 – Previsioni sperimentali della potenza
In questo contesto, l’ITTC suggerisce di prestare più attenzione ai fattori ∆CF e (wm − ws ),
ovvero (1 − wm )/(1 − wm ), piuttosto che analizzare statisticamente solamente i dati relativi a CP ,
CN e CN P .
Nel Metodo ITTC 1978, la frazione di scia media al vero wTs è calcolata mediante la relazione
(3.25). Successivamente si possono diagrammare i valori di wTs ottenuti dalle prove in mare (Fig.
3.12). Quando wm è piccolo e vicino a t (per navi bielica dalle forme fini), ∆w = wm − ws tende
a divenire molto piccolo, per cui probabilmente ws risulterà sovrastimato dalla formula (3.25).
Questa tendenza comporta una sovrastima dei giri dell’elica e, quindi, maggiori coefficienti di
correlazione CN e CN P .
Tra gli altri, il MARIN ha condotto uno studio statistico sulla correlazione modello–nave, utiliz-
zando il metodo ITTC 1978. L’effetto scala sulla resistenza delle appendici fu incluso applicando,
nella maggior parte dei casi, il fattore di forma ai risultati delle prove di resistenza su modelli
con tutte le appendici installate. Il ‘Powering Commitee’ del XVII ITTC dimostrò che questa
procedura porta più o meno allo stesso livello medio dei coefficienti di correlazione CP , CN e
CN P per navi monoelica e per navi bielica. Questi coefficienti sono i rapporti tra i valori dei giri
e della potenza misurati al vero ed i valori previsti dagli esperimenti su modelli. In Tabella 3.4
sono riportati in percentuale i risultati dell’analisi di correlazione. L’analisi dei risultati mostra
una buona consistenza statistica.
Altri valori sono stati derivati negli anni da numerosi istituti di ricerca e laboratori idrodinamici,
applicando approcci differenti all’effetto scala sulla resistenza delle appendici, alla formulazione
della rugosità di carena, nonché all’influenza del numero di Froude sul fattore di forma.
116
3.5 – Metodo ITTC 1978
Nel caso di navi bielica, ma anche per navi monoelica con poppe asimmetriche, il numero di
giri effettivo dell’elica differisce dai valori misurati sulla linea d’assi. Questo è dovuto alla com-
ponente del flusso rotazionale sull’elica, prodotta dai ringrossi e dai braccioli della linea d’assi,
oppure dalla poppa svirgolata. Perciò la determinazione degli elementi del rendimento di carena,
specialmente quello della frazione di scia, richiedono un esame differenziato. Si deve distinguere
tra due differenti numeri di giri, ossia:
- n - numero di giri misurato sulla linea d’assi,
- ne - numero di giri effettivo dll’elica.
Si può scrivere
ne = n + ni
dove ni indica in qualche modo i ‘giri’ del flusso incidente sull’elica, un valore che non può essere
misurato direttamente. L’entità di ni dipende dalle componenti tangenziali del campo di scia
cosı̀ come dalla geometria dell’elica. Essa può essere definita e determinata come l’integrale delle
componenti tangenziali della scia, considerata su tutto il disco–elica con una funzione peso che
dipende dalla distribuzione del carico.
Nel caso di navi bielica, esiste un altro modo, assai più valido, per determinare il valore di ni ,
scambiando ambedue le eliche ed invertendo il verso di rotazione.
In prima approssimazione, i ‘giri’ del flusso incidente è uguale, quindi, alla semidifferenza dei
numeri di giri delle eliche, quando ruotano verso l’esterno e verso l’interno
1
ni = (nout − nin )
2
Quando si calcola la frazione di scia effettiva, si entra nel diagramma di fuzionamento dell’elica
con i coefficienti di spinta, o di momento torcente, normalizzati rispetto a ne
T
KT =
ρn2e D4
T
KQ =
ρn2e D5
Infine, i rendimenti di carena e di elica isolata sono calcolati rispettivamente come segue
1 − t ne
ηH = ·
1−w n
T ·Va
ηO =
2π n Q
117
3 – Previsioni sperimentali della potenza
Non esiste alcuna variazione per quanto riguarda le formulazioni del rendimento relativo rotativo
e del rendimento quasi–propulsivo, ossia
KQB
ηR =
KQ0
PE
ηD = = ηH ·η0 ·ηR
PD
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