Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
A.A. 2006/07
Indice
II
INDICE III
La modellazione matematica di
problemi meccanici
1.1 Introduzione
La Meccanica computazionale delle strutture si occupa della formulazione e
della soluzione di problemi matematici che descrivono il comportamento mec-
canico di modelli dei sistemi fisici con i quali lingegnere si deve confrontare
nella sua attivit professionale.
Sotto la dicitura generale di comportamento meccanico, si intende la rispo-
sta, in termini di tensioni e deformazioni, che una struttura fornisce a fronte
delle azioni alla quale viene sottoposta. La struttura in esame quindi il sistema
fisico oggetto di indagine.
bene premettere subito che, dato un certo sistema fisico, magari conve-
nientemente isolato dal resto delluniverso, non esiste in generale un solo mo-
dello matematico atto a descriverne il comportamento. Talvolta difficile co-
struirne uno appena convincente, talaltra ne esistono diversi, che privilegiano
aspetti differenti del problema.
Lanalisi fisica dovrebbe portare, sulla base dei principi fondamentali del-
la meccanica, alla scelta di un modello convincente del sistema: tale modello
conterr certe relazioni tra grandezze note (i dati) e grandezze da determinare
(le incognite), dipendenti dai parametri che descrivono alcune caratteristiche
del sistema. Una volta costruito il modello, lanalisi si sposta su un piano total-
mente matematico: da questo punto di vista si deve stabilire se il problema
posto in modo da non presentare contraddizioni, e se ammette una o pi solu-
zioni. Stabilita lesistenza di una soluzione si pu poi cercare di determinarla
esattamente (in forma chiusa) o, quando ci non sia possibile o conveniente,
di ricercarne unapprossimazione.
1
2 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI
Figura 1.1: Un sistema meccanico reale (a); il suo modello continuo (b) e un
modello discreto (c).
1.1 INTRODUZIONE 3
Esempio 1.1
Si consideri una trave di materiale lineare elastico caratterizzato dal modulo di
Young E , avente lunghezza L, con area della sezione retta variabile linearmente
con la legge A(x) = A 0 (1 + x/L). Supponendo che lunica sollecitazione agente
sia lo sforzo normale costante N = F , dove F una forza assegnata, si valuti
lallungamento della trave.
Seguendo il procedimento suggerito dalla Figura 1.1, si pu pensare alla
struttura come se fosse formata da una serie di n aste di lunghezza L i = L/n,
ciascuna caratterizzata da unopportuna sezione A i , costante lungo lasta i ,
4 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI
1 ! n 1
= .
k i =1 k i
F FL ! n 1
U= = .
k E A 0 i =1 n + i 12
&n 1
La sommatoria = i =1 n+i 1 si pu quindi interpretare come un termine che,
2
al crescere del numero di suddivisioni n, tende al valore corretto per una varia-
zione continua della sezione. Nella Figura 1.3 riportato landamento di tale
coefficiente. La soluzione esatta, che si pu determinare risolvendo un proble-
ma continuo, log 2 = 0,693 147 (lasintoto orizzontale in figura); il valore di
calcolato per n = 100 pari a 0,693 144.
0.69
0.685
0.68
0.675
0.67
n
10 20 30 40
Figura 1.3: Rigidezza asintotica della trave a sezione variabile (Esempio 1.1).
1.2 FORMULAZIONE DIRETTA 5
Assemblaggio si tiene conto delle mutue connessioni fra elementi per scrivere
un sistema di equazioni aventi come incognite le variabili di stato, i cui
termini noti siano le azioni imposte.
Esempio 1.2
Lanalisi di un sistema meccanico ha portato alla schematizzazione illustrata
nella Figura 1.4(a). Gli elementi elastici (molle) presentano un comportamento
6 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI
k 1U1 = F 1(1) ,
" % " % " (2) % " % " % " (3) %
k2 k 2 U1 F1 k 3 k 3 U1 F
= (2) , = 1(3) ,
k 2 k2 U2 F2 k 3 k 3 U2 F2
" % " % " (4) % " % " % " (5) %
k4 k 4 U1 F k 5 k 5 U2 F
= 1(4) , = 2(5) .
k 4 k4 U3 F3 k 5 k 5 U3 F3
Figura 1.4: Sistema discreto a tre gradi di libert (a); legge di comportamento di
una molla (b) (Esempio 1.2).
1.2 FORMULAZIONE DIRETTA 7
(2) (3)
k2 k 2 0 U1 F k 3 k 3 0 U1 F1
1(2) k 3 k 3 0 U2 =
k 2
k 2 0 U2 = F 2 , F 2(3) ,
0 0 0 U3 0 0 0 0 U3 0
(4)
k4 0 k 4 U1 F 0 0 0 U1 0
0 1 0 k 5 k 5 U2 = (5)
0 0 U2 = 0 , F 2 .
k 4 0 k4 U3 F 3(4) 0 k 5 k 5 U3 F 3(5)
Esempio 1.3
Riprendendo la soluzione del sistema discusso nellEsempio 1.2, supponendo
ora di aver determinato il vettore degli spostamenti incogniti U = {U1 U2 U3 }T ,
si pu osservare che, ad esempio, per la molla 2, la sollecitazione data dallo
sforzo
N2 = F 1(2) = k 2U1 k 2U2
e, procedendo allo stesso modo per le altre molle si possono determinare tutti
gli sforzi.
:V R . (1.2)
Nei casi discreti qui presentati, lo spazio V a dimensione finita, cio una
configurazione qualsiasi individuata da una ennupla di valori (le variabili di
stato); pi in generale, nei casi continui che vedremo in seguito, gli elementi di
tale spazio possono essere funzioni definite su un certo dominio, ma gran parte
dei concetti qui anticipati continueranno a valere.
In ogni caso, le equazioni di equilibrio di un dato sistema si ottengono scri-
vendo le condizioni di estremo per il funzionale. Supponendo che la configura-
zione del sistema sia individuata da n grandezze Ui , i = 1, . . . , n, con il linguag-
gio del calcolo delle variazioni si dir che tali condizioni di estremo si raggiun-
gono qualora risulti nulla la variazione prima del funzionale, cio qualora:
= 0 . (1.3)
U1 + + Un = 0 . (1.5)
U1 Un
Il concetto fondamentale da ricordare che leq.(1.4) deve valere comunque
si scelgano le variazioni Ui , sempre nel rispetto dei vincoli. In base a questa
idea, prendendo ad es. U1 = 1 e Ui = 0, i #= 1 si ricava necessariamente
=0. (1.6)
U1
Daltra parte il ragionamento si pu riproporre per qualsiasi delle Ui , ottenen-
do le n equazioni
= 0, i = 1, n , (1.7)
Ui
10 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI
Esempio 1.4
Consideriamo il sistema a un grado di libert illustrato nella Figura 1.5 (a) sup-
ponendo di non conoscere lequazione di equilibrio della molla soggetta allal-
lungamento U , ma anzi di voler determinarla a partire da una formulazione
variazionale.
Quando allestremo della molla viene imposto lo spostamento U , il carico
compie il lavoro V = PU , mentre la molla accumula lenergia di deformazione
U = kU 2 /2; i grafici di queste funzioni sono riportati in Figura 1.5 (b).
Per definizione, il potenziale totale la differenza
= U V .
1
= kU 2 PU .
2
= U = 0 (1.8)
U
e quindi
(kU P )U = 0 . (1.9)
kU P = 0
che lequazione di equilibrio cercata. Si noti poi (v. Figura 1.5 (c)) che rag-
giunge il minimo in corrispondenza della configurazione equilibrata, cio per
U = P /k.
Esempio 1.5
Determiniamo per il sistema dellEsempio 1.2, derivando le equazioni di equi-
librio per via variazionale.
1.3 FORMULAZIONE VARIAZIONALE 11
V = UT R .
ovvero
(k 1 + k 2 + k 3 + k 4 )U1 (k 2 + k 3 )U2 k 4U3 R 1 = 0 .
Procedendo analogamente per le altre due variabili si perviene allequazione
matriciale di equilibrio del sistema KU = R.
Esempio 1.6
Consideriamo il sistema dellEsempio 1.2 in condizioni dinamiche: i carrelli
sono dotati di massa m 1 , m 2 , m 3 e i carichi sono applicati secondo una legge
temporale assegnata (Figura 1.6).
Figura 1.6: Sistema dinamico a tre gradi di libert (a); andamento dei carichi R i
in funzione del tempo (b). (Esempio 1.6).
dove con Ui si indica la derivata seconda, fatta rispetto al tempo, dello spo-
stamento del carrello i e con la scrittura R i (t ) si rende esplicita la dipenden-
za dal tempo dei carichi assegnati. Di conseguenza, anche tutte le grandezze
incognite (Ui e F i(e) ) sono da intendersi funzioni del tempo t .
Introducendo la matrice di massa
m1 0 0
M = 0 m2 0 ,
0 0 m3
MU + KU = R(t )
N (x)
xx (x) = (1.12)
A
alla quale corrisponde la deformazione longitudinale
xx (x)
&xx (x) = , (1.13)
E
dove E il modulo di Young.
du
N (x) = E A . (1.15)
dx
Sostituendo questa espressione nellequazione di equilibrio (1.11) si ricava une-
quazione differenziale per lincognita u:
d2 u p(x)
+ =0. (1.16)
dx 2 EA
Esempio 1.7
Un pilastro di materiale isotropo lineare elastico con modulo di Young E , aven-
te altezza H e sezione costante A incastrato alla base. Il carico consiste nel
peso per unit di volume e in una forza verticale di compressione F applicata
allestremo superiore (Figura 1.8). Determinare il campo di spostamento u(x).
Per ricondurre il problema a quello descritto nel testo, occorre esprimere
la forza assiale per unit di lunghezza p(x) in funzione del peso volumico .
Considerando un concio di lunghezza dx, deve risultare p(x)dx = Adx, da
cui p(x) = A.
La condizione di vincolo impone spostamento nullo per x = 0; il carico ap-
plicato allestremo superiore impone il valore della deformazione per x = H . Il
problema differenziale da risolvere quindi il seguente:
Determinare la funzione u(x) C 2 [0, H ] tale che:
2
d u
= 0, 0 < x < H ,
dx 2- E
du -- F
- = ,
dx x=H EA
u|x=0 = 0 .
1.5 VERSO LA DISCRETIZZAZIONE: UN PROBLEMA MODELLO 17
N (x) = F A(H x)
N (0) = F AH ,
somma dei contributi del carico esterno e del peso proprio del pilastro.
18 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI
Nel caso in cui non sia possibile la soluzione in forma chiusa del problema
differenziale necessario ricorrere a una procedura di tipo numerico tramite
la quale le equazioni vengono discretizzate. A questo fine, si pu cercare di
approssimare gli operatori di derivata prima e seconda mediante incrementi
finiti. Si considerino gli sviluppi in serie di TAYLOR della funzione spostamento
u(x), arrestati al secondo ordine, nellintorno di un punto x i :
- -
du -- 1 d2 u --
u(x i +1 ) = u(x i ) + - (x i +1 x i ) + 2 - (x i +1 x i )2 (1.20)
dx x=xi 2 dx x=xi
- -
du -- 1 d2 u --
u(x i 1 ) = u(x i ) + (x i 1 x i ) + (x i 1 x i )2 (1.21)
dx -
x=x i 2 dx 2 -
x=x i
Esempio 1.8
Risolvere con il metodo delle differenze finite il problema dellEsempio 1.7.
Consideriamo unapprossimazione della soluzione mediante sei punti equi-
distanti (con passo x = 1/5) di ascissa compresa tra 0 e 1. A questi aggiun-
giamo due ulteriori punti esterni allintervallo rispettivamente a x = x e
x = 1 + x, i quali serviranno a imporre le condizioni al contorno. Linsieme
di punti viene cos a consistere di 8 punti, da x 1 a x 8 .
Ricorrendo alleq. (1.26), si possono scrivere le espressioni seguenti:
u 1 + 2u 2 u 3 p
= ,
x 2 EA
u 2 + 2u 3 u 4 p
= ,
x 2 EA
u 3 + 2u 4 u 5 p
= ,
x 2 EA
u 4 + 2u 5 u 6 p
= ,
x 2 EA
u 5 + 2u 6 u 7 p
= ,
x 2 EA
u 6 + 2u 7 u 8 p
= .
x 2 EA
La condizione al contorno essenziale, per x = 0, viene imposta molto semplice-
mente ponendo:
u2 = 0 .
La condizione naturale, che impone il valore della forza allestremo superiore,
si esprime mediante lapprossimazione della derivata prima:
u 6 + u 8 F
= .
2x EA
Tutte queste equazioni costituiscono un sistema lineare che viene conve-
nientemente espresso nella forma matriciale seguente, dove si posto x =
1/5:
0 1 0 0 0 0 0 0 u1 0
1 2 1 0 0 0 0 0
u 2 1
0 1 2 1 0 0 0 0 u 1
3
p
0 0 1 2 1 0 0 0 u 4 1
= . (1.27)
0 0 0 1 2 1 0 0 u 5 25E A 1
0 0 0 0 1 2 1 0
u 6 1
0 0 0 0 0 1 2 1 u 7 1
0 0 0 0 0 1 0 1 u8 10F /p
20 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI
Figura 1.9: Confronto tra la soluzione discreta (punti) e quella in forma chiusa
(linea continua) per il problema dellEsempio 1.8.
Esercizi
1.1. Determinare, per il modello illustrato nellEsempio 1.2, la soluzione che si
ottiene supponendo tutte le molle caratterizzate dalla rigidezza k. [U1 = (R 1 +
R 2 + R 3 )/k,U2 = (5R 1 + 7R 2 + 6R 3 )/5k,U3 = (5R 1 + 6R 2 + 8R 3 )/5k].
1.2. Analizzare il modello illustrato nellEsempio 1.2 nel caso in cui venga sop-
pressa la molla 1 (si ponga ad esempio k 1 = 0). possibile la soluzione? Se
s, sotto quali condizioni? Discutere le diverse possibilit con riferimento alle
caratteristiche della matrice di rigidezza globale.
caricato in testa da una forza di compressione pari a 100 kN. Si assuma, per
il conglomerato, un modulo di Young pari a 25 GPa e un peso di volume di
24 kN/m3 .
1.4. Generalizzare il problema illustrato nel testo per studiare il caso di un pila-
stro a sezione A(x) variabile con continuit. Ripetere lesercizio 1.3 supponen-
do che la sezione quadrata abbia il lato variabile linearmente con laltezza che
vada dai 50 cm, alla base, ai 20 cm in sommit.
2.1 Introduzione
In questo capitolo si richiamano i principali concetti relativi alla definizione di
alcuni classici problemi matematici, ai quali vengono spesso ricondotti i mo-
delli di numerosi sistemi fisici di grande interesse. Ove possibile si far rife-
rimento a problemi meccanici, ma si tenga presente che, poich la generalit
dellapproccio in larga misura indipendente dal particolare sistema fisico og-
getto di studio, gran parte delle considerazioni svolte risulteranno applicabili a
tutti i problemi trattati.
Diversamente dal caso dei modelli discreti a cui si fatto cenno nel Ca-
pitolo 1, per i quali possibile unimmediata soluzione in termini di ennuple
di valori rappresentanti la variabile incognita in alcuni punti, affronteremo in
questo capitolo i cosiddetti modelli continui. In questo caso le variabili di sta-
to costituiscono dei campi, cio variano in genere con continuit nel dominio
esaminato. Le variabili di stato possono essere scalari (ad es. la temperatura o
la pressione di un fluido), o vettori (ad es. la velocit o lo spostamento).
Nella ricerca di una formulazione adeguata di un certo modello, si devono
costruire, di solito, equazioni differenziali alle derivate parziali che definiscono
il bilancio di certe quantit su elementi infinitesimi, le quali forniscono le con-
dizioni che la soluzione deve soddisfare in ogni punto della regione dello spazio
in cui si definisce il problema. Normalmente, le condizioni di bilancio non so-
no sufficienti a consentire, da sole, la formulazione del problema. pertanto
necessario stabilire relazioni locali (valide in ciascun punto) fra i diversi campi
in gioco, tramite le cosiddette relazioni costitutive, il cui classico prototipo il
legame fra tensioni e deformazioni, ad esempio di tipo elastico.
22
2.2 CLASSIFICAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL SECONDO ORDINE 23
Esempio 2.1
2 u 2 u 2 u u
2
+ 2 + 2
+ u + ex+y = 0
x xy y y
unequazione lineare a coefficienti costanti.
2 u 2
2 u 2 u u
cos(x y) + 2x + + u = 0
x 2 xy y 2 y
unequazione lineare a coefficienti variabili.
! 2 "2
2 u 2
2 u u
2
+ 2x + =0
x xy y 2
unequazione non lineare.
dove A, B,C , sono funzioni assegnate, cio note, dei loro argomenti.
Si consideri ora la funzione B 2 AC , detta discriminante, in generale funzio-
ne delle coordinate (x, y): si danno tre casi, a seconda del segno di tale funzione.
In particolare lequazione differenziale (2.1) si dir
di tipo parabolico se B 2 AC = 0;
Ciascun tipo di equazione individua una classe di problemi fra loro affini
in quanto al tipo di soluzione. Ciascuna classe pu essere rappresentata da
un problema prototipo, che descrive ben noti problemi fisici. Ad esempio, i
prototipi di equazione per i diversi tipi possono essere i seguenti:
per il tipo ellittico: lequazione di L APLACE (es. filtrazione nei mezzi poro-
si, conduzione del calore in regime stazionario);
per il tipo ellittico: lequazione delle onde (es. trasmissione del suono nei
mezzi elastici, vibrazioni).
Esempio 2.2
La filtrazione nei mezzi porosi governata da unequazione differenziale di ti-
po ellittico. In questo esempio, dopo aver ottenuto lequazione differenziale
che governa il moto stazionario dellacqua nel terreno permeabile, si completa
il problema imponendo le opportune condizioni al contorno per la geometria
illustrata nella Figura 2.1(a), che schematizza la situazione del moto di filtra-
zione al di sotto di una diga impermeabile in condizioni piane. La relazione tra
flusso e gradiente idraulico la legge di D ARCY con permeabilit isotropa k.
Lequazione di conservazione della massa dacqua che attraversa, in un da-
to tempo, un elemento infinitesimo di volume avente lati dx e dy (Figura 2.1(b)),
si scrive # # # #
( q y # y q y # y+dy )dx ( q x #x q x #x+dx )dy = 0 , (2.2)
dove q = q x i + q y j il vettore flusso, ovvero la portata in volume attraverso una
superficie di area unitaria.
Data la continuit di tutte le funzioni coinvolte, si esprimono i flussi uscenti
attraverso i differenziali:
# #
q x #x+dx = q x #x + (q x /x)dx , (2.3a)
# #
qy # #
= q y + (q y /y)dy . (2.3b)
y+dy y
Figura 2.1: Equazione di tipo ellittico (filtrazione): geometria del problema (a);
conservazione della massa (b) (Esempio 2.2).
Esempio 2.3
Uno strato di argilla satura di spessore 2H (Figura 2.2(a)) viene sottoposto im-
provvisamente a un sovraccarico per unit di superficie pari a p; ci compor-
ta una variazione nel tempo della pressione dellacqua nei pori, descritta tra-
mite la teoria della consolidazione monodimensionale di Terzaghi. Lequazio-
ne differenziale che lega la sovrappressione interstiziale u alla posizione z e
allistante t
2 u u
cv 2 = . (2.6)
z t
Il confronto con lespressione canonica (2.1) permette di classificare leq. (2.6)
fra le equazioni paraboliche. Infatti si ha A = c v , B = 0, C = 0, quindi B 2 AC =
0.
In questo caso abbiamo a che fare con un problema di evoluzione nel tem-
po: oltre alle condizioni da imporre sul bordo del dominio, si devono preci-
sare le condizioni iniziali del campo incognito u. Le condizioni al contorno,
agli estremi dello strato, sono di tipo essenziale: la sovrappressione deve essere
nulla:
u|z=0 = 0 ,
u|z=2H = 0 .
Le condizioni iniziali ipotizzano che, per tutti i punti appartenenti allo strato,
allistante iniziale t = 0 la sovrappressione assuma il valore del sovraccarico p:
u(z, 0) = u 0 .
dove si posto M = 2 (2m + 1). Nella Figura 2.2(b) sono riportate alcune del-
le isocrone della soluzione, cio landamento della sovrappressione u per da-
ti istanti di tempo. Il processo porta, al crescere del tempo, alla progressi-
va diminuzione della sovrappressione nello strato di argilla, ma la completa
dissipazione richiede, teoricamente, un tempo infinito.
Esempio 2.4
Consideriamo una barra elastica, vincolata a un estremo, avente lunghezza L e
sezione A, caratterizzata dal modulo di Young E e dalla massa volumica (Figu-
ra 2.3). Supponendo che allestremo libero allistante t = 0 venga applicato un
carico R 0 mantenuto poi costante, necessario analizzare il comportamento
della struttura in campo dinamico.
Detto u lo spostamento assiale, se si considera lequilibrio di un concio in-
finitesimo, di lunghezza dx occorre considerarne linerzia, proporzionale alla
massa dm e allaccelerazione, per cui:
2 u
x |x A + x |x+dx A = dm ,
t 2
2.3 PROCEDIMENTI VARIAZIONALI 29
x 2 u
= 2 ,
x t
quindi, ricordando che x = E (u/x), si ottiene lequazione differenziale
2 u 2 u
= , (2.8)
x 2 E t 2
%
tipica della propagazione delle onde; la grandezza c = E detta celerit ed
esprime la velocit di propagazione delle onde lungo lasse del solido. In questo
caso il confronto con lespressione canonica (2.1) permette di classificare leq.
(2.8) fra le equazioni iperboliche. Infatti si ha A = 1, B = 0, C = /E , quindi
B 2 AC = /E > 0.
Le condizioni al contorno sono le seguenti:
:V R . (2.9)
Nel caso continuo, gli elementi dello spazio vettoriale V sono funzioni. Ad
esempio, pu essere larea sottesa dal grafico di una funzione f (x) continua
su un intervallo [a, b]: & b
= f (x)dx . (2.10)
a
Un esempio familiare di funzionale definito in ambito meccanico lener-
gia potenziale totale della trave elastica caricata trasversalmente (Figura 2.4):
ad ogni deformata elastica (elemento di V ) associato un numero reale che
misura lenergia , differenza fra lenergia di deformazione elastica e il lavoro
compiuto dal carico a seguito della deformazione.
Lapplicazione dei concetti variazionali ai modelli continui non che una
generalizzazione di quanto accennato a proposito della formulazione variazio-
nale dei modelli discreti. In questo caso, rimanendo per semplicit nellambito
delle funzioni di una variabile, la variazione prima di una funzione v(x) V ,
per definizione, la funzione
v(x) = &(x) , (2.11)
Figura 2.4: Il potenziale totale per una trave caricata come esempio di
funzionale lineare : V R.
2.4 REGOLE DEL CALCOLO VARIAZIONALE 31
dove & R un numero arbitrario, mentre (x) una funzione regolare, nul-
la nei punti ove la funzione v(x) soddisfa le condizioni essenziali. A titolo di
esempio, nella Figura 2.5 sono illustrati i diversi termini per un caso ipotetico.
importante notare che v una nuova funzione della variabile x, che pos-
siede le stesse doti di regolarit di v e pu perci essere derivata e integrata al
pari di essa.
(F +Q) = F + Q ,
(F Q) = (F )Q + F (Q) ,
(F n ) = n(F n1 )F .
Esempio 2.5
Scrivere il potenziale totale per la struttura schematizzata in Figura 2.6 e ricava-
re, mediante la formulazione variazionale, lequazione differenziale del proble-
ma (cio lequazione della linea elastica) e le condizioni al contorno naturali.
1
dL = M dx ,
2
quindi, ricordando che momento e curvatura sono legati dalla relazio-
ne M = E I e, inoltre, che nellipotesi di piccoli spostamenti e piccole
rotazioni = (2 w/x 2 ), si ha
! 2 "2
1 d w
dL = E I dx .
2 dx 2
1
U M = kw L2 ,
2
dove si indicato con w L = w|x=L lo spostamento dellestremo della tra-
ve.
VP = Pu L .
dw 4 d2 w
EI + P = 0, x ]0, L[ . (2.22)
d4 x dx 2
Lespressione (2.21) lequazione differenziale della linea elastica in presenza
di carico assiale P , ed lequazione di campo del problema.
Capitolo 3
L(u) = b, in (3.1)
Esempio 3.1
Alcuni esempi di operatori differenziali, definiti su un intervallo di R (i primi
due) o su una regione bidimensionale (il terzo):
d2 ()
L() = , (3.2)
dx 2
d4 () d()
L() = + , (3.3)
dx 4 dx
2 () 2 ()
L() = + . (3.4)
x 2 y 2
37
38 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
Esempio 3.2
Data lequazione differenziale omogenea
d2 u
2
2 u = 0, 0<x <1, (3.8)
dx
definire gli operatori L(u), S(u) e G(u), verificando anche che L autoaggiunto.
Occorre scrivere lespressione del prodotto interno, procedendo quindi alle
successive integrazioni per parti:
!1 $ %
d2 u 2
L(u), w = u wdx . (3.9)
0 dx 2
Dal confronto fra lespressione generica del prodotto interno in forma trasposta
e quella qui ottenuta, si possono dedurre gli operatori:
d2 ()
L () = 2 () , (3.12)
dx 2
S () = () , (3.13)
d()
G () = , (3.14)
dx
e, come si pu notare, loperatore autoaggiunto in quanto L () = L().
L(u 0 ) = b, in ,
S(u 0 ) = s, su s , (3.15)
G(u 0 ) = g , su g .
1 1 + 2 2 + + n n = 0
1 = 2 = = n = 0 .
La soluzione esatta del problema soddisfa le condizioni (3.15); nel caso, in-
vece, in cui si introduca una soluzione approssimata u, che si suppone soddi-
sfi esattamente tutte le condizioni al contorno, si pu introdurre una funzione
residuo o errore:
R = L(u) b . (3.18)
Si dovranno determinare i coefficienti incogniti k cercando di rendere piccolo,
in qualche senso medio sul dominio , lerrore (3.18).
Nel caso in cui la funzione u non soddisfi tutte la condizioni al contorno, si
dovranno considerare anche gli errori sulle condizioni al contorno essenziali e
naturali:
R s = S(u) s , (3.19)
R g = G(u) g . (3.20)
Esempio 3.3
Si consideri lequazione differenziale
d2 u
b = 0, 0<x <1 (3.21)
dx 2
dove b = cost. e le condizioni al contorno sono omogenee, cio
u|x=0 = 0, u|x=1 = 0,
La soluzione esatta
1
u 0 = bx(x 1)
2
Si consideri invece unapprossimazione sinusoidale che soddisfi le condi-
zioni al contorno:
u = 1 1 = sen(x)
La funzione residuo assume la forma:
d2 u
R= b = sen(x) (3.22)
dx 2
Per determinare lunico parametro incognito ,si pu imporre, ad esempio,
R = 0 per x = 1/2:
1 b
2 b = 0 = = 2
2
La soluzione approssimata e il residuo corrispondente sono quindi:
b
u = sen(x) (3.23)
R = b sen(x) b (3.24)
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 41
R(x) in (3.27)
R s (x) in s (3.28)
R g (x) in g (3.29)
I metodi dei residui pesati cercano di distribuire gli errori in modo da ottenere
un errore medio nullo.
Si assuma che lapprossimazione u soddisfi esattamente le condizioni al
contorno (R s = R g = 0), ragionevole richiedere che, data una funzione peso
42 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
w, definita in , si abbia:
!
R, w = R wd = 0 (3.30)
(x ) = 0, x $= (3.33)
!+
(x )dx = 1 (3.34)
1
P. A. M. Dirac, 1902-1984, premio Nobel per la fisica nel 1933.
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 43
w = 1 (x 1 ) + 2 (x 2 ) + + k (x k )
Esempio 3.4
Risolvere, mediante unapprossimazione polinomiale e il metodo di collocazio-
ne, il seguente problema a valori al contorno:
d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.35)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.36)
u|x=1 = 0 (3.37)
x(1 x)(1 + 2 x + )
u = x(1 x)(1 + 2 x)
d2 u * 2
+ * 2 3
+
R= + u + x = 2 + x x 1 + 2 6x + x x 2 + x
dx 2
Volendo ad esempio annullare il residuo nei punti x 1 = 1/4 e x 2 = 1/2, la
funzione peso di Dirac :
$ % $ %
1 1
w = 1 x + 2 x
4 2
44 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
4 19x 2x 2 40x 3
R=
217
Esempio 3.5
Si consideri ancora il problema:
d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.39)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.40)
u|x=1 = 0 (3.41)
x(1 x)(1 + 2 x + )
u = x(1 x)1
d2 u * +
R= 2
+ u + x = 2 + x x 2 1 + x
dx
Dalla condizione di collocazione a sotto-domini:
!1
3
Rdx = 0 = R =
0 11
3
u (1) = x(1 x)
11
Cerchiamo ora unapprossimazione pi ricca, mediante un polinomio di
terzo grado; si ottiene il residuo:
d2 u * + * +
R= 2
+ u + x = 2 + x x 2 1 + 2 6x + x 2 x 3 2 + x
dx
46 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
L(u 0 ) = b, in
fornisce, nel caso in cui L sia lineare, un sistema di equazioni lineari per deter-
minare i coefficienti k . La funzione peso di Galerkin pu essere interpretata
come variazione prima della funzione incognita, con k = k :
w = u = 1 1 + 2 2 + + n n
Esempio 3.6
Risolvere, mediante unapprossimazione polinomiale di terzo grado e il meto-
do di Galerkin, il seguente problema a valori al contorno:
d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.45)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.46)
u|x=1 = 0 (3.47)
1 = x(1 x), 2 = x 2 (1 x)
d2 u * + * +
R= 2
+ u + x = 2 + x x 2 1 + 2 6x + x 2 x 3 2 + x
dx
Dopo le sostituzioni e le integrazioni si ottiene il sistema simmetrico:
3 3 & ' 1
10 20 1 12
3 13 2 = 1 (3.48)
20 105 20
da cui risulta 1 = 71/369 e 2 = 7/41. Infine, le espressioni della soluzione
approssimata e del residuo sono:
71 + 63x
u= x(1 x)
369
16 62x 8x 2 63x 3
R=
369
Nel grafico della figura 3.5 sono riportate le soluzioni esatta u 0 e approssi-
mata u, con landamento dellerrore R.
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 49
Figura 3.5: Grafici della soluzione esatta e approssimata del problema descritto
nellesempio 3.6.
d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.49)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.50)
u|x=1 = 0 (3.51)
tipo:
!1 $ %
du du
uw xw dx = 0, w H01 (3.53)
0 dx dx
dove H01 indica la classe delle funzioni derivabili che soddisfano la condizioni
al contorno del problema, che siano dotate della sufficiente regolarit: questa
una formulazione debole del problema.
Il tema generale della regolarit delle funzioni esula dagli argomenti qui
trattati e viene convenientemente trattata ricorrendo alle propriet degli spazi
di S OBOLEV; per quanto riguarda la comprensione di quanto segue, basti no-
tare che entrambe le funzioni u e w devono essere a derivata prima quadrato-
integrabile, in modo da garantire lesistenza dellintegrale quando, per esem-
pio, si assuma (Galerkin):
u = 1 1 + 2 2 + (3.54)
w = 1 1 + 2 2 + (3.55)
(3.56)
!& $ %2 '
2 d f (x)
f (x) + dx <
dx
Nella figura 3.6 sono riportati i grafici di funzioni con diversa regolarit nei con-
fronti dellintegrazione. La funzione riportata nella parte sinistra della figura
appartiene a H 0 , ed meno regolare rispetto a quella di destra, che, invece,
appartiene a H 1 (avendo la derivata, a sua volta, in H 0 ).
Mediante una formulazione debole si possono affrontare anche problemi le
cui condizioni al contorno siano di tipo naturale, le quali possono essere soddi-
sfatte anche in modo approssimato, come dimostrato nellesempio seguente.
Esempio 3.7
Si consideri un problema in cui si pone una condizione alla derivata prima di u
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 51
u = 1 + 2 x + 3 x 2
u = q x 2x + x 2
d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.65)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.66)
u|x=1 = 0 (3.67)
Esempio 3.8
Determinare, mediante il metodo di Trefftz, una soluzione approssimata della
formulazione inversa
!1 & ' !1 & '
d2 w 1 dw 1
+ w udx + xwdx + [q w]0 u =0 (3.70)
0 dx 2 0 dx 0
d2 w
+w =0
dx 2
1 cos 1
q0 = , q1 = 1
sen 1 sen 1
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 55
Esempio 3.9
Riprendiamo il problema in forma integrale inversa:
!1 & 2 ' !1 & '
d w 1 dw 1
+ w udx + xwdx + [q w]0 u =0 (3.77)
0 dx 2 0 dx 0
a cui associamo condizioni al contorno essenziali omogenee.
Consideriamo il termine tra parentesi quadre del primo integrale: diremo
soluzione fondamentale la funzione w soluzione dellequazione:
d2 w
+ w = (x i ) (3.78)
dx 2
Sfruttando le propriet della delta di Dirac possibile scrivere le condizio-
ni necessarie a determinare lapprossimazione. Sostituendo leq. (3.78) nelle-
spressione precedente, oltre alle condizioni omogenee si ha
!1 & 2 ' !1
d w
+ w udx = (x )udx (3.79)
0 dx 2 0
Ricordando poi la propriet della delta di Dirac:
!1
(x i )udx = u(i ) (3.80)
0
si ricavano le equazioni per le incognite q 0 e q 1 :
!1
u() + xw dx + [q w ]10 = 0 (3.81)
0
La soluzione fondamentale, cio la soluzione dellequazione :(3.78) si trova
in letteratura, ed
1
w = sen |x i |
2
sostituendola nellespressione precedente, scegliendo 1 = 0 e 2 = 1 si ricavano
nuovamente i valori esatti delle derivate:
1 cos 1
q0 = , q1 = 1
sen 1 sen 1
56 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
Figura 3.8: Esempio affrontato con diversi metodi di soluzione del problema.
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 57
= 0
u|x=0 = 0 ,
u|x=0 = 0 .
58 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
Principio dei lavori virtuali Lapplicazione del PLV al caso in esame consente
di scrivere luguaglianza tra il lavoro virtuale interno, associato allo sfor-
zo normale N (x) e quello esterno compiuto dalle forze di volume f B e
allestremo libero R:
!L !L
N %dx = f B udx + R u|x=L (3.83)
0 0
Il principio degli spostamenti virtuali (detto anche dei lavori virtuali) per-
mette di tener conto di singolarit presenti nel problema, come carichi
concentrati o discontinuit del materiale, dove la derivata prima di u
discontinua e la formulazione differenziale cade in difetto.
a(u, w) = f , w, w V (3.87)
dove: a(u, w) la forma bilineare del problema che, nel caso specifico qui in
esame diventa: !L
du dw
a(u, w) = EA dx (3.88)
0 dx dx
60 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO
mentre f , w la forma lineare del problema che assume nel caso particolare
qui esaminato, lespressione:
!L
f , w = f B wdx + R w|x=L (3.89)
0
Si noti che lequazione (3.87) deve valere per ogni funzione w (dette test func-
tions), appartenente a un opportuno spazio vettoriale V , che in generale, ma
non necessariamente, pu essere diverso da V e la cui scelta caratterizza i di-
versi metodi di soluzione approssimata.
La scelta dello spazio V delle funzioni ammissibili deve essere fatta com-
prendendo in esso le funzioni che soddisfano le condizioni al contorno essen-
ziali. Inoltre, tali funzioni devono possedere una regolarit sufficiente a ga-
rantire lesistenza delle derivate coinvolte nella formulazione variazionale del
problema (3.87). Altro requisito molto importante, che coinvolge anche la re-
golarit delle funzioni test, che gli integrali definiti devono dare un valore
finito.
N
(
u N (x) = i i (x) ,
i =1
cio usando per lapprossimazione la stessa base utilizzata per definire la fun-
zione test, w. Ne deriva il problema debole approssimato
!L $ %
du N dw N
u N w N xw N dx = 0, w N H0(N ) .
0 dx dx
Ponendo poi:
!1 > ?
Ki j = ,i (x),j (x) i (x) j (x) dx , (3.92)
0
!1
Fi = xi (x)dx , (3.93)
0
1 = 1, 2 = 0, 3 = 0, . . . , N = 0 .
K = [K i j ]
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 63
F = [F i ]
dove(K 1 )i j sono gli elementi dellinversa di K (cio della matrice K1 tale che
K1 K = I, dove I la matrice identit).
4.1 Introduzione
67
68 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
T + b = 0, in , (4.2)
T
N f = 0, su f , (4.3)
dove il vettore U raccoglie gli spostamenti nodali del sistema, cio tutte le com-
ponenti di spostamento dei nodi, espresse nel riferimento globale OX Y Z :
dove si introdotta la matrice B(m) = H(m) che contiene le derivate delle fun-
zioni di interpolazione dellelemento m. Si noti che tali derivate sono fatte
rispetto alle coordinate del sistema di riferimento globale OX Y Z , in quan-
to le componenti di deformazione contenute nel vettore !(m) sono espresse
in tale riferimento. Adottando per gli spostamenti e le deformazioni virtua-
li le stesse interpolazioni impiegate per gli spostamenti reali, eq.(4.6), e per le
deformazioni reali, eq.(4.7), sostituendo tali relazioni nelleq.(4.5) si ottiene:
ne '
( T B(m)T (m) d(m) =
U
m (m)
ne ' ne ' (4.8)
( T H(m)T b(m) d(m) + ( T H(m)T f(m) d(m) + U
T Fi
U U
m (m) m (m) (m)
1 ,...,q
Mettendo in evidenza i vettori degli spostamenti nodali reali e virtuali che, es-
sendo costanti, si possono portare fuori dagli integrali e dalle sommatorie e si
pu riscrivere leq.(4.11) nella forma
) ne ' * ) ne '
T
( (m)T (m) (m) (m) T
(
U B C B d U = U H(m)T b(m) d(m) +
m (m) m (m)
+ (4.12)
ne '
( ne '
(
H(m)T f(m) d(m) B(m)T I (m) d(m) + Fi
m 1(m) ,...,(m)
q m (m)
matrice di rigidezza
ne '
(
K= B(m)T C(m) B(m) d(m) (4.13)
m (m)
T KU = U
U T [R + R R + R ] (4.18)
B S I C
T KU = U
U TR (4.19)
N
(
K 1 j U j = R 1
j =1
= ,0 1 . . . 0-T
U2
si ottiene
N
(
K 2 j U j = R 2
j =1
Indicando con (m) la massa volumica, il vettore dei carichi di volume, diventa
quindi:
ne '
(
#
RB = H(m)T [b(m) (m) H(m) U]d(m) = RB MU (4.22)
m (m)
MU + KU = R (4.24)
Alla stessa stregua delle forze dinerzia si possono trattare altre forze di vo-
lume, come quelle generate dalla viscosit del materiale. Come noto, le forze
viscose sono proporzionali alla velocit delle particelle, quindi, introducendo
un coefficiente di viscosit (m) si pu valutare la matrice di smorzamento
ne '
(
C= (m) H(m)T H(m) d(m) (4.25)
m (m)
ne '
(
R##B = H(m)T [b(m) (m) H(m) U (m) H(m) U]d(m)
m (m)
= RB MU CU (4.26)
MU + CU + KU = R (4.27)
4.4 IL METODO DELLE COORDINATE GENERALIZZATE 75
Esempio 4.1
Esempio 4.2
Una lastra piana di forma quadrata (Figura 4.4) e caricata nel suo piano viene
discretizzata con una suddivisione in quattro elementi uguali. Si vogliono valu-
tare, per lelemento 2 le espressioni della matrice di interpolazione, H(2) , della
matrice delle derivate, B(2) e della matrice costitutiva, C(2) . La lastra risulta sede
di uno stato tensionale piano.
Il primo passo consiste nel numerare tutti i gradi di libert della struttu-
ra. Come illustrato nella Figura 4.4, le incognite sono le due componenti degli
spostamenti nodali Ui e Vi , nelle direzioni degli assi X e Y , rispettivamente.
Per comodit di esecuzione automatica delle procedure di calcolo, conve-
niente ribattezzare tali componenti e raccoglierle in un vettore
UT = [U1 V1 U2 V2 . . . U9 V9 ] = [U1 U2 . . . U18 ]
P P
3 6 9
! $
4 cm
2 5 8
Y,V
# "
1 X,U 4 7
4 cm 2 cm 2 cm
U 18
U6
V3
V6
V9
3 U3 6 U6 9 U9 3 U5 6U 11 9U 17
! $ ! $
U 10
U 16
U4
V2
V5
V8
2 U2 5 U5 8 U8 2 U3 5 U9 8U 15
# " # "
U 14
U2
U8
V1
V4
V7
1 U1 4 U4 7 U7 1 U1 4 U7 7U 13
v1
v2
3U3 6 U6 2 u2 1 u1
y,v
x,u
V5
V2
v4
v3
2U2 5 U5 3 u3 4 u4
Figura 4.6: Numerazione locale dei gradi di libert per lelemento 2. (Esempio
4.2).
78 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
2 y
1
3
4 x
T + b = 0 (4.37)
Dato che il primo membro discende dalla scelta delle funzioni di interpola-
zione, mentre il secondo membro corrisponde alle forze di volume assegna-
te, evidente che le equazioni indefinite dequilibrio non sono, in generale,
soddisfatte dalla soluzione ottenuta con il metodo degli elementi finiti.
80 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
Esempio 4.3
1. in ciascun nodo la somma delle forze nodali calcolate sugli elementi ivi
connessi uguaglia il carico nodale applicato;
nullo per qualunque atto di moto rigido del corpo. In questo caso, usando le
consuete notazioni, dobbiamo quindi dimostrare che
T F(m) = 0, u
u {insieme dei moti rigidi di m} (4.44)
T F(m) = 0
u (4.47)
Esempio 4.4
Verificare lequilibrio della soluzione dellEsempio 4.1.
La risposta della struttura, illustrata nella Figura 4.3, allistante t = 1 s,
descritta dal sistema seguente:
) *) * ) *
E 15,4 13,0 U2 31,0
=
240 13,0 13,0 U3 111,3
14 230 16 285
U2 = cm, U3 = cm
E E
e, ovviamente, U1 = 0 cm.
RIcordando leq. (4.40), le forze nodali equivalenti, per i due elementi, si
calcolano come:
' '
(1) (1)T (1) (2) (2)
F = B d , F = B(2)T (2) d(2)
(1) (2)
82 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
(a)
(b)
(c)
Figura 4.8: Calcolo delle forze nodali (Esempio 4.4): carichi equivalenti al-
lo stato tensionale (a); carichi equivalenti alle forze distribuite (b); carichi
concentrati e reazioni (c).
Esempio 4.5
Caso bidimensionale.
logamente a quanto visto nel caso dei sistemi discreti, sufficiente conside-
rare dapprima solo i gradi di libert dellelemento di volta in volta esaminato,
per poi assemblare le matrici globali sommando i contributi corrispondenti ai
gradi di libert globali coinvolti dallelemento.
Lespressione dellapprossimazione dello spostamento allinterno dellele-
mento considerato si scrive:
dove il vettore u raccoglie gli spostamenti nodali dei soli nodi dellelemento (si
confronti con lespressione (4.6)), espressi in un qualsiasi sistema di riferimen-
to Ox y z:
u = [u 1 v 1 w 1 . . . u M v M w M ]T
u = Tu (4.56)
4
per cui si pu valutare la matrice K = BT CBd relativa alle componenti di
spostamento ruotate e utilizzare poi lespressione (4.59) per trasformarla nella
consueta matrice K.
In modo analogo, si dimostra che la matrice di massa si trasforma secondo
la relazione:
M = TT MT (4.60)
I vettori dei carichi si valutano anchessi mediante una procedura analo-
ga a quella seguita per la matrice di rigidezza. Ad esempio, per le forze no-
dali equivalenti alle forze di volume la trasformazione si formula nel modo
seguente:
'
RB = HT bd
'
= TT HT bd
0' 1
T T
=T H bd
T
= T RB (4.61)
Esempio 4.6
Si consideri un elemento monodimensionale a due nodi (asta) (v. figura 4.9): le
componenti di spostamento allinterno dellelemento si possono esprimere fa-
cilmente nel sistema di riferimento locale: u = H(x, y, z)u, dove u = [u(x), v(x))]T
e u = [u 1 , v 1 , u 2 , v 2 ]T .
Come noto, nel caso bidimensionale, le componenti del vettore sposta-
mento si trasformano, per una rotazione del sistema di riferimento secondo
la legge ) * ) *) *
u 1 cos sen u 1
= (4.62)
v 1 sen cos v 1
Considerando entrambi i nodi dellelemento si pu quindi scrivere:
u 1 cos sen 0 0 u 1
v 1 sen cos 0 0 v 1
= (4.63)
u 2 0 0 cos sen u 2
v 2 0 0 sen cos v 2
per cui, la matrice di trasformazione cercata risulta
cos sen 0 0
sen cos 0 0
T= (4.64)
0 0 cos sen
0 0 sen cos
4.6 TRATTAMENTO LOCALE DEGLI ELEMENTI 87
La tabella 4.1 raccoglie le diverse notazioni usate per indicare, nei diversi
contesti, i vettori degli spostamenti nodali. Si noti che, per alleggerire un po la
notazione, dora in poi il vettore delle componenti di spostamento nodale per
lintera struttura si indicher con U anzich con U.
Esempio 4.7
La struttura illustrata in figura 4.10 viene discretizzata considerandola compo-
sta di un elemento quadrilatero a quattro nodi in condizioni di tensione piana
(A), di due aste a due nodi (B e C) e di una trave a due nodi (D), e vincolata co-
me illustrato. Si determini la struttura della matrice di rigidezza a partire dalle
matrici dei singoli elementi, tenendo conto delle loro mutue connessioni.
necessario dapprima individuare i gradi di libert effettivi (cio quelli non
vincolati) del sistema, e numerarli per assegnare loro una posizione nel vetto-
re U degli spostamenti globali della struttura. Tale numerazione arbitraria,
anche se influisce sulla srtuttura della matrice K. Si noti che lestremo sinistro
88 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
elemento A:
componente di spost. u 1 v 1 u 2 v 2 u 3 v 3 u 4 v 4
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 u 5 u 6 u 7 u 8 (4.69)
numerazione globale U2 U3 U1 U4 U5
elemento B:
componente di spost. u 1 v 1 u 2 v 2
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 (4.70)
numerazione globale U6 U7 U4 U5
90 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
elemento C:
componente di spost. u 1 v 1 u 2 v 2
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 (4.71)
numerazione globale U6 U7 U2 U3
elemento D:
componente di spost. u 1 v 1 1 u 2 v 2 2
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 u 5 u 6 (4.72)
numerazione globale U6 U7 U8
dove RbB , RbS , RbI sono i carichi nodali equivalent, RCb i carichi concentrati ap-
plicati nei nodi e Rr sono le forze che nascono nei nodi vincolati allo scopo di
mantenere lequilibrio, vale a dire le reazioni vincolari, che risultano quindi:
2 3
Rr = Rb RbB + RbS + RbI + RCb
2 3 (4.81)
= Mba Ua + Mbb Ub + Kba Ua + Kbb Ub RbB + RbS + RbI + RCb
Da quanto appena detto emerge il fatto che la soluzione primaria del pro-
blema, cio la determinazione degli spostamenti dei nodi liberi, pu essere ot-
tenuta senza assemblare lintera matrice di rigidezza della struttura, omettendo
sin dallinizio quei gradi di libert, compresi nel vettore Ub , che a tutti gli effetti
non sono da considerarsi incogniti, ma assegnati (ad esempio pari a zero, nel
caso di vincoli perfetti).
92 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI
2 w 2 w 2 w
xx = , y y = , x y = (4.89)
x 2 y 2 xy
Esercizi
4.1. Ricavare la legge di trasformazione (4.60) della matrice di massa e quel-
la del vettore dei carichi di superficie relative a una rotazione del sistema di
riferimento.
4.2. Ripetere lesempio 4.7, sostituendo il carrello che vincola lelemento A con
una cerniera fissa.
4.8 RELAZIONI COSTITUTIVE ELASTICHE 97
5.1 Introduzione
Abbiamo visto, nel capitolo precedente, che il metodo degli elementi finiti
una procedura di discretizzazione delle strutture, che permette di affrontare la
soluzione delle equazioni differenziali che governano la deformazione dei cor-
pi, valida per qualsiasi forma strutturale e per qualunque condizione di vincolo
e di carico.
In questo capitolo, soffermeremo lattenzione su un aspetto fondamentale
del metodo, che ne costituisce in certo qual modo il cuore: la descrizione delle
leggi di approssimazione del campo di spostamento allinterno degli elementi.
Tale scelta condizionata, come vedremo, da vari fattori, ed nostro scopo
motivarla e renderla consapevole, anche se limiteremo lanalisi ad alcuni casi,
per quanto di rilevante interesse applicativo.
La scelta delle funzioni di interpolazione dellelemento, associata alla de-
finizione della legge costitutiva del materiale che lo costituisce, porta imme-
diatamente alla determinazione della sua matrice di rigidezza. Vedremo quin-
di come costruire tale matrice, e come i suoi termini possano efficacemente
essere valutati per via numerica, adatta allimpiego delle procedure di calcolo
automatizzate.
98
5.2 ELEMENTI ISOPARAMETRICI 99
Esempio 5.1
Si consideri un elemento di biella dotato di rigidezza assiale E A e lunghezza L:
determinare la matrice di rigidezza.
1 1
X (r ) = (1 r )X 1 + (1 + r )X 2 (5.1)
2 2
dove X 1 e X 2 sono le coordinate nodali dellelemento nel sistema globale.
La trasformazione di coordinate uninterpolazione fra queste coordinate,
che associa a ciascun valore di r un punto dellelemento compreso fra i due
nodi estremi. La relazione tra r e X sopra introdotta si pu scrivere
2
!
X (r ) = h i (r )X i (5.2)
i =1
dU dU dr
!= = (5.5)
dX dr dX
Sfruttando le definizioni, immediato ottenere le derivate:
dU ! 2 dh (r )
i
= Ui (5.6)
dr i =1 dr
dX ! 2 dh (r )
i
= Xi (5.7)
dr i =1 dr
dU U2 U1
= (5.8)
dr 2
dX X2 X1 L
= = (5.9)
dr 2 2
5.3 ELEMENTI DEL CONTINUO N -DIMENSIONALE 101
U2 U1
dU dr 2 U2 U1
!= = = (5.10)
dX dX L L
2
Questa espressione si pu mettere in forma matriciale per ritrovare la scrittura
generale = BU nel modo seguente:
$ %
1" # U1
= BU = 1 1 (5.11)
L U2
1" #
B= 1 1 (5.12)
L
A questo punto possibile valutare la matrice di rigidezza, ricordando le-
spressione della matrice costitutiva appropriata, C = [E ]:
&X 2 &1 $ %
T EA " # 1
K= B CBAdx = 2 1 1 J dr (5.13)
X1 L 1 1
dX L
J= = (5.14)
dr 2
Completando i calcoli si ottiene, ovviamente, la ben nota matrice di rigidez-
za dellasta: $ %
E A 1 1
(5.15)
L 1 1
Esempio 5.2
Costruire le funzioni di interpolazione per lelemento asta a tre nodi illustrato
nella figura 5.3.
Figura 5.4: Funzioni di forma per lelemento a due nodi (Esempio 5.2).
Le funzioni di forma lineari, valide per lelemento a due nodi, non soddi-
sfano la condizione di assumere valore unitario in un nodo e nullo negli al-
tri: infatti presentano entrambe un valore pari a 1/2 nel nodo centrale. Risulta
pertanto necessario ripristinare tale condizione.
Le funzioni h 1 e h 2 si costruiscono come somma della parte lineare e di una
correzione quadratica, nulla nei nodi 1 e 2 e valore 1/2 nel nodo 3 (figura
5.6). Esse assumono le espressioni
1 1 1 1
h 1 (r ) = (1 r ) (1 r 2 ), h 2 (r ) = (1 + r ) (1 r 2 ) (5.19)
2 2 2 2
104 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI
Figura 5.6: Funzioni di forma per lelemento a tre nodi (Esempio 5.2).
5.3.1 Matrici H e B
Tornando a considerazioni generali valide per tutti gli elementi isoparametrici,
gli spostamenti sono interpolati nello stesso modo della geometria
q
! q
! q
!
u= h i (r, s, t )u i , v= h i (r, s, t )v i , w= h i (r, s, t )w i (5.20)
i =1 i =1 i =1
r s t
= + + (5.21)
x r x s x t x
r s t
= + + (5.22)
y r y s y t y
r s t
= + + (5.23)
z r z s z t z
In queste espressioni compaiono per le derivate delle funzioni inverse: r =
r (x, y, z), s = s(x, y, z), t = t (x, y, z), che non sono note e comunque difficili da
ricavare.
5.3 ELEMENTI DEL CONTINUO N -DIMENSIONALE 105
x y z
= + + (5.24)
r x r y r z r
x y z
= + + (5.25)
s x s y s z s
x y z
= + + (5.26)
t x t y t z t
=J (5.31)
r x
Nel caso in cui la relazione fra coordinate naturali e coordinate locali sia
biunivoca, esiste linverso dello jacobiano, J, cosicch si pu scrivere:
= J1 (5.32)
x r
106 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI
Esempio 5.3
Derivare loperatore jacobiano J e la matrice B per lelemento asta a tre nodi
descritto nellesempio 5.2.
La matrice H contiene le funzioni di forma calcolate in precedenza:
" #
H = 12 (r 1)r 21 (r + 1)r (1 r 2 )
numero
! !1 !1 !1
I= F (r, s, t )dV = F (r, s, t )dr dsdt (5.35)
V 1 1 1
!1 !1 !1 "
I= F (r, s, t )dr dsdt = i j k F (r i , s j , t k ) (5.36)
1 1 1 i , j ,k
n ri i
1 0,000 000 000 000 000 2,000 000 000 000 000
2 0,577 350 269 189 626 1,000 000 000 000 000
3 0,774 596 669 241 483 0,555 555 555 555 556
0,000 000 000 000 000 0,888 888 888 888 889
4 0,861 136 311 594 053 0,347 854 845 137 454
0,339 981 043 584 856 0,652 145 154 862 546
5 0,906 179 845 938 664 0,236 926 885 056 189
0,538 469 310 105 683 0,478 628 670 499 366
0,000 000 000 000 000 0,568 888 888 888 889
6 0,932 469 514 203 152 0,171 324 492 379 170
0,661 209 386 466 265 0,360 761 573 048 139
0,238 619 186 083 197 0,467 913 934 572 691
(x x 1 )(x x 2 ) (x x i 1 )(x x i +1 ) (x x n )
l i(n1) (x) = . (5.38)
(x i x 1 )(x i x 2 ) (x i x i 1 )(x i x i +1 ) (x i x n )
Esempio 5.4
Costruire i polinomi fondamentali di Lagrange per i punti x 1 = 1, x 2 = 0, x 3 =
1.
116 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI
Formule di Newton-Cotes
Se si scelgono nodi equidistanti che suddividono lintervallo [a, b,] con passo
costante h = ba
n1
:
x i = a + (i 1)h, i = 1, . . . n
si costruiscono le formule di N EWON -C OTES.
Ad esempio, per n = 2, si ha h = b a, con x 1 = a e x 2 = b, si ottiene la
formula dei trapezi:
ba # $
I= f (a) + f (b) .
2
Nel caso n = 3, invece, h = (b a)/2, x 1 = a, x 2 = (a + b)/2, x 3 = b si ottiene
la formula di Cavalieri-Simpson:
ba # % a +b & $
I= f (a) + 4 f + f (c) .
6 2
Si pu dimostrare che, per questa famiglia di formule, il grado di precisione
n 1 se n pari, mentre n se n dispari.
Formule di Gauss-Legendre
La tabella 5.6 riporta alcuni dei polinomi suddetti con ascisse e pesi corri-
spondenti.
Dato il loro grado di precisione pi elevato, per lintegrazione sugli elementi
finiti si ricorre alle formule di Gauss. Occorre per tenere presente che le ascisse
di Gauss sono definite sullintervallo normalizzato [1, 1] e quindi si deve tener
conto del mapping esistente fra questo e lintervallo originario [a, b]:
!b !1
I= f (x)dx = f [x(r )] det J dr (5.45)
a 1
118 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI
dove det J = dx
dr
lo iacobiano della trasformazione. Per cui si avr:
!1 m
"
I= g (r )dr = i g (r i ) + E m (g ) (5.46)
1 i =1
Esempio 5.5
Si supponga di dover integrare una funzione parabolica f (x) = ax 2 + bx + c, su
un elemento finito a tre nodi di lunghezza L il cui nodo intermedio sia posto a
una distanza L dallestremo sinistro (0 < < L). Si impieghino le formule di
quadratura di Newton-Cotes e di Gauss-Legendre, confrontando i risultati con
3 2
il valore esatto I = aL3 + bL2 + cL al variare del parametro .
Il mapping a 3 nodi, con x 1 = 0, x 2 = L, x 3 = L si scrive
r (1 r ) r (1 + r ) 'r (
x(r ) = 0+ L + (1 r )2 L = L(1 + r ) + (1 r )
2 2 2
e lo jacobiano risulta:
) *
dx 1 + 2r
det J (r ) = =L 2r .
dr 2
La funzione integranda, sullintervallo normalizzato, g (r ) = f [x(r )] det J , te-
nendo conto delle espressioni precedenti risulta essere il polinomio di quinto
grado seguente:
+ ) * ) * ) 2 *
2 1 2 4 2 1 3 aL 1 2 2
g (r ) = aL r + aL r + + bL r +
4 2 4 2
) * ,) ,
2 bL 2 2 1 + 2r
aL + r + aL + bL + c 2r L
2 2
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 119
interessante notare che, nel caso particolare in cui il nodo intermedio sia po-
sto al centro dellelemento, cio per = 1/2, determinante jacobiano costante
e pari a L/2, e la funzione integranda si semplifica, diventando un polinomio di
secondo grado:
+ ,
-
- L aL 2 2 L aL 2 bL
g (r ) = 1 = r + (aL + b) r + + +c
2 2 4 2 4 2
Il grado di precisione delle formule di quadratura di Newton-Cotes, p N , e di
Gauss-Legendre, p G , a seconda del numero n di punti utilizzati il seguente:
n 1 2 3 4 5 6
pN 1 1 3 3 5 5
pG 1 3 5 7 9 11
Perci, nel caso generale (polinomio di quinto grado), per ottenere il risultato
esatto, risulta necessaria una formula di Newton-Cotes su 5 punti, mentre basta
una formula di Gauss-Legendre con soli 3 punti.
Si noti, inoltre, che nel caso dellelemento a jacobiano costante, che si tra-
duce in un integrando polinomiale di secondo grado, la quadratura risulta esat-
ta usando 2 punti di Gauss.
Queste considerazioni, svolte sul piano generale, si possono ripetere con-
frontando i risultati che si ottengono dallapplicazione delle formule di Gauss-
Legendre con numero di punti crescente con quello esatto ottenuto analitica-
mente:
# $
n = 1: I = L L(aL + b) + c . Risultato esatto solo nel caso particolare in cui
a = b = 0, cio f (x) = c; oppure per a = 0, b #= 0 nel caso = 1/2, cio di
elemento non distorto.
L
. # % & $ /
n = 2: I = 18 L 4aL 1 + 2 22 + 9b + 18c . Risultato esatto se a = 0, cio
f (x) = bx + c, indipendentemente da . Inoltre pure esatto nel caso
a #= 0 se = 1/2.
n = 3: I = L6 [L(2aL + 3b) + 6c]. Risultato esatto per tutti i valori dei parametri,
anche se lelemento distorto (infatti non dipende da ).
Esempio 5.6
La subroutine viene chiamata dal programma per ciascun elemento fi-
nito quadrilatero appartenente alla mesh, allo scopo di calcolarne il contributo
alla matrice di rigidezza della struttura. Le variabili indicate tra parentesi alla
linea 1 hanno il significato indicato nelle righe successive (da 2 a 27).
La linea 28 afferma che tutte le variabili il cui nome inizia con una lettera
compresa, in ordine alfabetico, tra A e H o tra O e Z sono numeri reali in doppia
precisione, mentre le rimanenti (cio quelle che iniziano con lettere tra I e N)
sono implicitamente intese come numeri interi.
La linea 35 definisce le dimensioni delle matrici e dei vettori. Ad esempio, la
matrice , che contiene le coordinate dei nodi dellelemento, ha 4 righe (una
per nodo) e due colonne (rispettivamente la coordinate x e y di ciascun nodo).
Nelle linee 39-42 e 46-49 si definiscono, nelle matrici e , rispettiva-
mente le ascisse di Gauss e i pesi corrispondenti (v. tabella 5.5).
A partire dalla linea 53 si definiscono le costanti elastiche e la matrice costi-
tutiva C, qui indicata con , per i diversi casi (deformazione piana, assialsim-
metria, tensione piana).
Dalla linea 94 inizia il calcolo dei termini di rigidezza. La matrice di rigidez-
za K dellelemento, qui indicata con viene dapprima inizializzata con valori
nulli (linee 94-96). La parte tra le linee 99 e 123 un doppio ciclo che considera
il contributo per ogni punto di Gauss (r i , s i ) (sono in direzione r e
in direzione s). Alla linea 106 si chiama la subroutine per la costruzione
della matrice K e il calcolo del determinante jacobiano det J.
Alla linea 111 si calcola il termine i j det J, costante rispetto alla somma-
toria della formula di Gauss per il punto considerato e, dalla linea 112 alla 122,
si esegue il doppio prodotto BT CB. I corrispondenti termini vengono assem-
blati nella matrice di rigidezza dopo averli moltiplicati per i j det J alla linea
121. Nelle linee 125-127 si completa, ricordandone la simmetria, la matrice di
rigidezza dellelemento.
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 121
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
122 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 123
125
126
127
128
129
130
131
Esempio 5.7
La subroutine viene utilizzata per il calcolo dei termini della matrice B
delle derivate delle funzioni di forma. Essa viene chiamata alla linea 106 del-
la subroutine (riportata nellesempio 5.6) per ciascun punto di Gauss
(r i , s i ).
Si possono facilmente individuare le definizioni delle funzioni di forma del
quadrilatero a quattro nodi nelle linee 13-23. Nelle linee 29-39 si calcolano le
derivate rispetto a r e a s. Fra le linee 41 e 63 si valutano in successione la
matrice jacobiana, J (qui chiamata ), il suo determinante (chiamato )e
linversa ( ).
Nelle linee 67-78 si calcolano gli elementi della matrice B, mentre la parte
tra le linee 87 e 108 si riferisce al caso particolare di assialsimmetria per il quale
necessario calcolare la componente di deformazione circonferenziale.
Da notare, infine, alla linea 53, il controllo del valore del determinante ja-
cobiano. Nel caso in cui esso non risulti positivo viene prodotto un messaggio
derrore e il calcolo si arresta dopo un salto alla linea 111.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
124 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 125
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
Appendice A
Supporti matematici
A.1.1 Definizione
Formalmente, U uno spazio vettoriale su R se sono definite le due leggi se-
guenti:
115
116 A SUPPORTI MATEMATICI
Esempio A.1
Linsieme Rn = R R R (n volte) delle n-uple ordinate di scalari u Rn :
u = (u 1 , u 2 , . . . , u n ), con u 1 , u 2 , . . . , u n R (A.1)
con somma: u + v = (u 1 + v 1 , . . . , u n + v n ) e prodotto u = (u 1 , . . . , u n ).
Esempio A.2
Le funzioni definite in un dominio che posseggono derivate continue fino
allordine m, con le operazioni di somma e prodotto definite in modo natu-
rale, costituiscono uno spazio vettoriale, detto C m (). Si verifica facilmente,
infatti che la somma (u + v)(x) = u(x) + v(x) appartiene ancora a C m (),
lelemento neutro la funzione identicamente nulla su e lopposta u(x) =
1 u(x).
A.1.2 Sottospazi
Non tutti i sottoinsiemi di elementi tratti da uno spazio vettoriale continuano
a soddisfare gli assiomi di definizione. Quei sottoinsiemi i cui elementi costi-
tuiscono uno spazio vettoriale sono chiamati sottospazi. Formalmente, un sot-
toinsieme V di uno spazio vettoriale U su R, un sottospazio di U se V uno
spazio vettoriale su R rispetto alle stesse leggi di composizione definite in U .
Si dimostra facilmente che V U un sottospazio di U se e solo se
u + v V, u, v V (A.2)
u V, u V, u R (A.3)
A.1 SPAZI VETTORIALI 117
Esempio A.3
Si consideri lo spazio V3 dei vettori liberi dello spazio tridimensionale. I vetto-
ri paralleli rispettivamente a una retta o a un piano sono sottospazi vettoriali.
immediato infatti verificare la sussistenza delle propriet espresse dalle eq.
(A.2) e (A.3), cio, ad es. la somma di due vettori complanari un vettore anco-
ra appartenente allo stesso piano, cos come continua ad appartenervi il vettore
moltiplicato per uno scalare.
Z = V +W
Se, in particolare, lintersezione degli spazi coincide con il vettore nullo, cio
V W = {0U }, si dice che Z somma diretta di V e W , e si scrive:
Z = V W
Esempio A.4
Si consideri nuovamente lo spazio V3 dei vettori liberi dello spazio tridimen-
sionale. I vettori paralleli rispettivamente a una retta e a un piano ad essa non
parallelo sono sottospazi supplementari di V3 .
1. u, v = v, u (simmetria);
118 A SUPPORTI MATEMATICI
2. u + v, w = u, w + v, w (linearit);
Esempio A.5
Date due funzioni u(x) e v(x) continue sullintervallo = (a, b), considerate
come elementi dello spazio C 0 (), un valido prodotto interno dato da:
!b
u, v = u(x)v(x) d x (A.4)
a
"b
Lassioma 1 soddisfatto in quanto v, u = a v(x)u(x) d x = u, v. La linearit
(assioma 2) si verifica in quanto, essendo lintegrando non negativo in tutto
lintervallo:
!b
u + v, w = (u(x) + v(x))w(x) d x
a
!b !b
(A.5)
= u(x)w(x) d x + v(x)w(x) d x
a a
= u, w + v, w
Il prodotto interno qui introdotto nel caso di uno spazio vettoriale qualsiasi
una generalizzazione del concetto di prodotto scalare in V3 , ed quindi im-
mediato generalizzare ad uno spazio vettoriale qualsiasi altre idee legate a tale
prodotto. In tal caso, come noto, due vettori u e v sono ortogonali se u v = 0
(con si qui indicato lusuale prodotto scalare in V3 ). In maniera analoga
possibile introdurre il concetto di perpendicolarit in uno spazio vettoriale
qualsivoglia, purch dotato di prodotto interno.
Due vettori u, v U , sono fra loro ortogonali se
u, v = 0 (A.7)
Esempio A.6
A.1 SPAZI VETTORIALI 119
per ogni u, v U , R.
Gli assiomi qui introdotti si ispirano, come facile verificare, al concetto di
modulo di un vettore in V3 e ne estendono la validit a spazi vettoriali qualsiasi.
Esempio A.7
Si consideri lo spazio vettoriale Rn . Lespressione
% '1/
n
&
u= |u k | (A.9)
k=1
d (u, v) = -u v- , u, v U (A.11)