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Appunti di

Meccanica Computazionale delle Strutture I

Mauro Borri Brunetto

A.A. 2006/07
Indice

1 Modellazione dei problemi meccanici 1


1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Formulazione diretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.3 Formulazione variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.4 Sistemi dinamici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.5 Verso la discretizzazione: un problema modello . . . . . . . . . . . 14
Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2 I problemi della fisica-matematica 22


2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.2 Classificazione delle equazioni del secondo ordine . . . . . . . . . 23
2.3 Procedimenti variazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.4 Regole del calcolo variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

3 Soluzione approssimata di problemi al contorno 37


3.1 Operatori differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
3.2 Concetti preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
3.3 Metodi dei residui pesati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
3.3.1 Metodo di collocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.3.2 Collocazione a sotto-domini . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.3.3 Metodo di Galerkin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
3.3.4 Formulazioni deboli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.3.5 Formulazioni inverse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.4 Il metodo degli elementi finiti: il punto di vista matematico . . . . 56
3.4.1 Equivalenza delle formulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.4.2 Formulazione di Galerkin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
3.4.3 Il metodo degli elementi finiti . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

4 Il metodo degli elementi finiti 67


4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
4.2 Discretizzazione delle equazioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . 67

II
INDICE III

4.3 Equilibrio dinamico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74


4.4 Il metodo delle coordinate generalizzate . . . . . . . . . . . . . . . 75
4.5 Caratteristiche della soluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
4.6 Trattamento locale degli elementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
4.6.1 Numerazione locale dei gradi di libert . . . . . . . . . . . . 83
4.6.2 Sistemi di riferimento locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
4.7 Imposizione delle condizioni al contorno . . . . . . . . . . . . . . . 90
4.8 Relazioni costitutive elastiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
4.8.1 Stato di tensione monoassiale . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
4.8.2 Stato di tensione piana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.8.3 Stato di deformazione piana . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.8.4 Condizioni di assialsimmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
4.8.5 Lastre inflesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96

5 Formulazione degli elementi finiti 98


5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
5.2 Elementi isoparametrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
5.3 Elementi del continuo n-dimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . 101
5.3.1 Matrici H e B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
5.3.2 Integrazione numerica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
5.4 Implementazione degli elementi isoparametrici . . . . . . . . . . . 107

A Supporti matematici 113


A.1 Spazi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
A.1.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
A.1.2 Sottospazi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114
A.1.3 Prodotto interno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
A.1.4 Norme e metrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
IV INDICE
Capitolo 1

La modellazione matematica di
problemi meccanici

1.1 Introduzione
La Meccanica computazionale delle strutture si occupa della formulazione e
della soluzione di problemi matematici che descrivono il comportamento mec-
canico di modelli dei sistemi fisici con i quali lingegnere si deve confrontare
nella sua attivit professionale.
Sotto la dicitura generale di comportamento meccanico, si intende la rispo-
sta, in termini di tensioni e deformazioni, che una struttura fornisce a fronte
delle azioni alla quale viene sottoposta. La struttura in esame quindi il sistema
fisico oggetto di indagine.
bene premettere subito che, dato un certo sistema fisico, magari conve-
nientemente isolato dal resto delluniverso, non esiste in generale un solo mo-
dello matematico atto a descriverne il comportamento. Talvolta difficile co-
struirne uno appena convincente, talaltra ne esistono diversi, che privilegiano
aspetti differenti del problema.
Lanalisi fisica dovrebbe portare, sulla base dei principi fondamentali del-
la meccanica, alla scelta di un modello convincente del sistema: tale modello
conterr certe relazioni tra grandezze note (i dati) e grandezze da determinare
(le incognite), dipendenti dai parametri che descrivono alcune caratteristiche
del sistema. Una volta costruito il modello, lanalisi si sposta su un piano total-
mente matematico: da questo punto di vista si deve stabilire se il problema
posto in modo da non presentare contraddizioni, e se ammette una o pi solu-
zioni. Stabilita lesistenza di una soluzione si pu poi cercare di determinarla
esattamente (in forma chiusa) o, quando ci non sia possibile o conveniente,
di ricercarne unapprossimazione.

1
2 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

Allo studio dei metodi di approssimazione per la soluzione di problemi di-


scendenti dalla modellazione matematica dei sistemi fisici dedicata la Mec-
canica Computazionale.
Una prima classificazione dei modelli di sistemi meccanici li suddivide a
seconda se lincognita sia un campo, cio una funzione che associa a ogni pun-
to del dominio occupato dalla struttura un valore scalare (ad es. la pressione in
un fluido) o vettoriale (ad es. la velocit o lo spostamento), oppure lincognita
sia un elenco finito di valori di una certa grandezza, calcolati in un certo nume-
ro di punti del dominio. Il primo tipo di modello detto continuo, il secondo
discreto. Nella Figura 1.1, a titolo di esempio, sono schematizzati due modelli,
rispettivamente continuo e discreto, dello stesso sistema meccanico: la trave
caricata assialmente. La colonna a sezione variabile raffigurata in Figura 1.1(a),
un esempio di schematizzazione di un sistema fisico: lanalista strutturale ha
individuato tale sistema come rappresentativo di una situazione reale, ne ha in-
dividuate la caratteristiche geometriche, le forze agenti e i vincoli. Stabilito poi
di procedere a unanalisi elastica del sistema, tendente a determinare lo spo-
stamento di alcuni punti della colonna, sono presentati due possibili modelli.
Il primo (Figura 1.1(b)) un modello continuo che generalizza il problema di
Saint-Venant al caso di solidi a sezione variabile, i cui parametri sono le costanti
elastiche E , , la funzione che descrive landamento della sezione A(z), laltezza
h. I dati del problema sono la forza concentrata applicata allestremo superio-
re e il peso proprio; lincognita la funzione u(z) che esprime lo spostamento
assiale dei punti della colonna. Il secondo modello , invece, di tipo discreto:
lincognita la coppia di valori {u 1 , u 2 } che rappresentano gli spostamenti di
due punti del modello. Si tratta di un modello a parametri concentrati, dove i
termini di rigidezza k 1 e k 2 sono scelti in modo da riprodurre la deformabilit
della struttura di partenza.
evidente che, mentre la soluzione del modello continuo richiede la solu-

Figura 1.1: Un sistema meccanico reale (a); il suo modello continuo (b) e un
modello discreto (c).
1.1 INTRODUZIONE 3

zione di unequazione differenziale con opportune condizioni al contorno (in


breve: un problema a valori al contorno), quella del modello discreto sar ot-
tenuta attraverso un sistema di equazioni algebriche, i cui coefficienti saranno
funzione dei parametri del sistema.
Se si eccettuano i casi eccezionalmente semplici, la soluzione dei problemi
continui risulta impossibile. Daltro canto, tranne che in situazioni particolari,
non ovvia la determinazione dei parametri concentrati da utilizzare in un mo-
dello discreto. Come vedremo, tutti i metodi della Meccanica computazionale
sono rivolti alla costruzione di procedimenti coerenti di discretizzazione, cio
di tecniche che consentono di trasformare un modello continuo in un modello
discreto equivalente, la cui soluzione possa essere resa il pi possibile prossima
a quella continua (Figura 1.2).

Figura 1.2: Procedimenti di soluzione della modellazione meccanica: model-


li discreti (a sinistra); modelli continui (a destra); discretizzazione di modelli
continui

Esempio 1.1
Si consideri una trave di materiale lineare elastico caratterizzato dal modulo di
Young E , avente lunghezza L, con area della sezione retta variabile linearmente
con la legge A(x) = A 0 (1 + x/L). Supponendo che lunica sollecitazione agente
sia lo sforzo normale costante N = F , dove F una forza assegnata, si valuti
lallungamento della trave.
Seguendo il procedimento suggerito dalla Figura 1.1, si pu pensare alla
struttura come se fosse formata da una serie di n aste di lunghezza L i = L/n,
ciascuna caratterizzata da unopportuna sezione A i , costante lungo lasta i ,
4 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

la cui rigidezza sia pertanto k i = E A i /L i . Il collegamento in serie delle aste


fornisce la rigidezza complessiva k secondo la relazione:

1 ! n 1
= .
k i =1 k i

Per la valutazione dellarea A i di ciascunasta, una scelta possibile (anche se


non lunica) calcolarla nel punto medio: x i = nL (i 1/2), per cui
" # $%
1 1
A i = A(x i ) = A 0 1 + i .
n 2

Lallungamento cercato risulter infine:

F FL ! n 1
U= = .
k E A 0 i =1 n + i 12
&n 1
La sommatoria = i =1 n+i 1 si pu quindi interpretare come un termine che,
2
al crescere del numero di suddivisioni n, tende al valore corretto per una varia-
zione continua della sezione. Nella Figura 1.3 riportato landamento di tale
coefficiente. La soluzione esatta, che si pu determinare risolvendo un proble-
ma continuo, log 2 = 0,693 147 (lasintoto orizzontale in figura); il valore di
calcolato per n = 100 pari a 0,693 144.

0.69

0.685

0.68

0.675

0.67

n
10 20 30 40

Figura 1.3: Rigidezza asintotica della trave a sezione variabile (Esempio 1.1).
1.2 FORMULAZIONE DIRETTA 5

1.2 Formulazione diretta


Per iniziare la trattazione delle tecniche di modellazione matematica dei pro-
blemi di meccanica computazionale conveniente affrontare in primo luogo
la classe dei modelli discreti. Gran parte dei concetti meccanici qui utilizzati
sono ben noti, e quindi ci si pu concentrare sugli aspetti inerenti pi stret-
tamente la procedura di soluzione di problemi anche complessi, in vista della
loro successiva applicazione allinterno delle tecniche di discretizzazione dei
modelli continui che verranno affrontate in seguito. In un modello discreto di
un problema fisico:

lo stato del sistema pu essere descritto direttamente con precisione ade-


guata dai valori assunti da un numero finito di variabili di stato;

le variabili di stato possono essere grandezze fisiche scalari (es: tempera-


tura, pressione) o vettoriali (es: velocit, spostamento);

la soluzione numerica consiste in un elenco dei valori assunti dalle varia-


bili di stato nella situazione definita dai dati del problema.

Supponiamo di dover approntare un modello discreto atto a rappresentare la


risposta meccanica di un dato sistema. I passi attraverso i quali si snoda lana-
lisi sono, in linea di massima, i seguenti:

Schematizzazione il sistema meccanico viene rappresentato da un insieme di


elementi.

Equilibrio si esprime lequilibrio di ogni elemento in termini delle variabili di


stato.

Assemblaggio si tiene conto delle mutue connessioni fra elementi per scrivere
un sistema di equazioni aventi come incognite le variabili di stato, i cui
termini noti siano le azioni imposte.

Calcolo della risposta si risolve il sistema di equazioni determinando i valori


delle variabili di stato.

Nellesempio successivo la procedura qui indicata viene dettagliatamente


sviluppata in tutti i suoi passaggi.

Esempio 1.2
Lanalisi di un sistema meccanico ha portato alla schematizzazione illustrata
nella Figura 1.4(a). Gli elementi elastici (molle) presentano un comportamento
6 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

lineare descritto nella Figura 1.4(b), caratterizzato dalla rigidezza k e , e = 1, . . . 5.


Le molle sono connesse a tre carrelli: elementi verticali rigidi, appoggiati al
suolo mediante incastri scorrevoli. Fa eccezione la molla 1, che ha un estremo
fisso.
La configurazione del sistema completamente individuata dalla terna (vet-
tore) {U1 ,U2 ,U3 }T che raccoglie gli spostamenti dei carrelli, considerati positivi
verso destra. Ciascuno dei carrelli soggetto a una forza, anchessa positiva
verso destra: tali forze si raccolgono nel vettore {R 1 , R 2 , R 3 }T .
Indicando con F i(e) la forza agente nella molla e in corrispondenza al carrel-
lo i , per lequilibrio di ciascuna molla si avr:

k 1U1 = F 1(1) ,
" % " % " (2) % " % " % " (3) %
k2 k 2 U1 F1 k 3 k 3 U1 F
= (2) , = 1(3) ,
k 2 k2 U2 F2 k 3 k 3 U2 F2
" % " % " (4) % " % " % " (5) %
k4 k 4 U1 F k 5 k 5 U2 F
= 1(4) , = 2(5) .
k 4 k4 U3 F3 k 5 k 5 U3 F3

Lassemblaggio si ottiene espandendo le equazioni matriciali di equilibrio


alla dimensione propria del vettore delle incognite (in questo caso 3), aggiun-
gendo zeri nei posti opportuni delle varie matrici e imponendo che ciascu-
no dei carrelli risulti in equilibrio con le forze applicate (notare che le forze
F i(e) sono considerate come applicate alle molle, quindi lazione sui carrelli va
cambiata di segno), perci:

F 1(1) + F 1(2) + F 1(3) + F 1(4) = R 1 , (1.1a)


F 2(2) + F 2(3) + F 2(5) = R 2 , (1.1b)
F 3(4) + F 3(5) = R 3 . (1.1c)

Figura 1.4: Sistema discreto a tre gradi di libert (a); legge di comportamento di
una molla (b) (Esempio 1.2).
1.2 FORMULAZIONE DIRETTA 7

La relazione valida per la molla 1 si pu scrivere quindi nella forma matri-


ciale:
(1)
k 1 0 0 U1 F1
0 0 0 U2 = 0 .
0 0 0 U3 0

Analogamente si procede per le altre molle:

(2) (3)
k2 k 2 0 U1 F k 3 k 3 0 U1 F1
1(2) k 3 k 3 0 U2 =
k 2
k 2 0 U2 = F 2 , F 2(3) ,
0 0 0 U3 0 0 0 0 U3 0
(4)
k4 0 k 4 U1 F 0 0 0 U1 0
0 1 0 k 5 k 5 U2 = (5)
0 0 U2 = 0 , F 2 .
k 4 0 k4 U3 F 3(4) 0 k 5 k 5 U3 F 3(5)

Sostituendo queste relazioni nelleq.(1.1), si ottiene lequazione di equilibrio


globale della struttura.

k 1 + k 2 + k 3 + k 4 (k 2 + k 3 ) k 4 U1 R1
(k 2 + k 3 ) k2 + k3 + k5 k 5
U2 = R 2 ,
k 4 k 5 k 4 + k 5 U3 R3

ovvero, in forma matriciale,


KU = R,

dove si posto UT = [U1 U2 U3 ], RT = [R 1 R 2 R 3 ], e la matrice di rigidezza


globale risulta:

k 1 + k 2 + k 3 + k 4 (k 2 + k 3 ) k 4
K = (k 2 + k 3 ) k2 + k3 + k5 k 5 .
k 4 k 5 k4 + k5

La soluzione, in termini del vettore spostamento, data formalmente dalle-


spressione:
U = K1 R .

Si noti che risulta det K = k 1 [k 4 k 5 + k 2 (k 4 + k 5 ) + k 3 (k 4 + k 5 )]. Leventuale


annullarsi del determinante, come noto, comporta linesistenza della inversa
K1 e la perdita dellunicit della soluzione: in tale caso lequilibrio possibile
solo per determinate configurazioni di carico (v. lEsercizio 1.2).
8 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

Lapproccio alla soluzione qui illustrato detto metodo degli spostamenti,


in quanto lincognita primaria del problema lo spostamento di alcuni punti
della struttura. Naturalmente, dopo aver determinato gli spostamenti, imme-
diato ricavare le sollecitazioni negli elementi strutturali.

Esempio 1.3
Riprendendo la soluzione del sistema discusso nellEsempio 1.2, supponendo
ora di aver determinato il vettore degli spostamenti incogniti U = {U1 U2 U3 }T ,
si pu osservare che, ad esempio, per la molla 2, la sollecitazione data dallo
sforzo
N2 = F 1(2) = k 2U1 k 2U2
e, procedendo allo stesso modo per le altre molle si possono determinare tutti
gli sforzi.

Uno dei campi di applicazione pi comuni del metodo degli spostamenti


la soluzione dei telai piani.1 Si tratta di strutture contenute e caricate in un
piano, composte da travi generalmente ad asse rettilineo, connesse fra loro e al
suolo mediante incastri o cerniere. In questo caso fra le incognite del proble-
ma figurano, oltre che gli spostamenti propriamente detti, anche le rotazioni
dei nodi di incastro interno. Il procedimento di soluzione del tutto simile a
quanto descritto nellesempio precedente, con lavvertenza di considerare cor-
rettamente lorientamento delle singole travi nella scrittura dellequilibrio delle
forze ai nodi.

1.3 Formulazione variazionale


Come noto, lesistenza di un potenziale elastico comporta, per un sistema
meccanico, la possibilit di ricercare la soluzione come configurazione asso-
ciata a un minimo dellenergia potenziale totale del sistema. Pi in generale,
si dimostra che possibile scrivere unespressione, detta funzionale, che asso-
cia ad ogni configurazione del sistema un numero reale, il quale deve risultare
stazionario (cio presentare un minimo, un massimo o un punto di sella) in
corrispondenza alla soluzione del problema. In base a questa propriet pos-
sibile, come vedremo, ricavare le equazioni di equilibrio del modello anche in
casi in cui risulti difficile individuarle direttamente.
In particolare, per un dato sistema, assegnato uno spazio vettoriale V (per
definizioni e propriet si veda lAppendice A) i cui elementi (vettori) individui-
1
Si veda ad es. la trattazione contenuta in A. Carpinteri, Scienza delle Costruzioni, Vol. 2,
Pitagora Editrice, Bologna, 2a ed., 1993, cap. 14.
1.3 FORMULAZIONE VARIAZIONALE 9

no le possibili configurazioni del sistema medesimo, un funzionale unappli-


cazione lineare che associa a ciascuna configurazione un numero reale

:V R . (1.2)

Nei casi discreti qui presentati, lo spazio V a dimensione finita, cio una
configurazione qualsiasi individuata da una ennupla di valori (le variabili di
stato); pi in generale, nei casi continui che vedremo in seguito, gli elementi di
tale spazio possono essere funzioni definite su un certo dominio, ma gran parte
dei concetti qui anticipati continueranno a valere.
In ogni caso, le equazioni di equilibrio di un dato sistema si ottengono scri-
vendo le condizioni di estremo per il funzionale. Supponendo che la configura-
zione del sistema sia individuata da n grandezze Ui , i = 1, . . . , n, con il linguag-
gio del calcolo delle variazioni si dir che tali condizioni di estremo si raggiun-
gono qualora risulti nulla la variazione prima del funzionale, cio qualora:

= 0 . (1.3)

Con il simbolo , si intende un nuovo funzionale, che si ottiene quando


alle variabili indipendenti Ui vengano imposte certe variazioni arbitrarie Ui .
Le variazioni arbitrarie Ui hanno come sola condizione quella di rispettare i
vincoli, cio devono essere nulle nel caso in cui la corrispondente variabile Ui
abbia un valore imposto. La relazione che lega la variazione del funzionale
alle variazioni arbitrarie Ui data da

= U1 + + Un , (1.4)
U1 Un
per cui la condizione di estremo (1.3), espressa in funzione delle variazioni
arbitrarie delle variabili indipendenti si pu scrivere


U1 + + Un = 0 . (1.5)
U1 Un
Il concetto fondamentale da ricordare che leq.(1.4) deve valere comunque
si scelgano le variazioni Ui , sempre nel rispetto dei vincoli. In base a questa
idea, prendendo ad es. U1 = 1 e Ui = 0, i #= 1 si ricava necessariamente


=0. (1.6)
U1
Daltra parte il ragionamento si pu riproporre per qualsiasi delle Ui , ottenen-
do le n equazioni

= 0, i = 1, n , (1.7)
Ui
10 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

che sono precisamente le equazioni di equilibrio cercate.


Gli esempi seguenti applicano e mettono a fuoco questi concetti con riferi-
mento a casi a uno o pi gradi di libert.

Esempio 1.4
Consideriamo il sistema a un grado di libert illustrato nella Figura 1.5 (a) sup-
ponendo di non conoscere lequazione di equilibrio della molla soggetta allal-
lungamento U , ma anzi di voler determinarla a partire da una formulazione
variazionale.
Quando allestremo della molla viene imposto lo spostamento U , il carico
compie il lavoro V = PU , mentre la molla accumula lenergia di deformazione
U = kU 2 /2; i grafici di queste funzioni sono riportati in Figura 1.5 (b).
Per definizione, il potenziale totale la differenza

= U V .

In funzione di U , quindi (Figura 1.5 (c)):

1
= kU 2 PU .
2

Imponendo la condizione di stazionariet (1.4), si ha:


= U = 0 (1.8)
U

e quindi
(kU P )U = 0 . (1.9)

Poich U arbitraria, affinch sia soddisfatta la condizione di estremo in ogni


caso (anche per U #= 0) deve risultare

kU P = 0

che lequazione di equilibrio cercata. Si noti poi (v. Figura 1.5 (c)) che rag-
giunge il minimo in corrispondenza della configurazione equilibrata, cio per
U = P /k.

Esempio 1.5
Determiniamo per il sistema dellEsempio 1.2, derivando le equazioni di equi-
librio per via variazionale.
1.3 FORMULAZIONE VARIAZIONALE 11

Figura 1.5: Sistema a un grado di libert (a); potenziale elastico U , potenziale


dei carichi V (b); potenziale totale (c). (Esempio 1.4).

Il procedimento del tutto analogo a quello del caso monodimensiona-


le dellesempio precedente, con la sola differenza data dal carattere vettoriale
delle variabili. Il potenziale dei carichi si pu scrivere infatti

V = UT R .

Lenergia di deformazione data da


1
U = UT KU
2
e quindi il potenziale totale, = U V risulta
1
= UT KU UT R .
2
La condizione di stazionariet in forma vettoriale si pu quindi scrivere:

= UT =0
U
e le equazioni di equilibrio, stante larbitrariet del vettore U si possono otte-
nere esplicitando le condizioni

=0.
U
12 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

molto interessante notare che lenergia elastica si pu esprimere come


somma dei contributi relativi a ciascuna molla, nel caso in esame U = U 1 +
U 2 + U 3 + U 4 + U 5 , dove
1
U 1 = k 1U12
2
1
U 2 = k 2 (U2 U1 )2
2
1
U 3 = k 3 (U2 U1 )2
2
1
U 4 = k 4 (U3 U1 )2
2
1
U 5 = k 5 (U3 U2 )2
2
Esplicitando lespressione di in funzione delle Ui , immediato ottenere
le equazioni di equilibrio (/Ui ) = 0, i = 1, . . . 5:
1 1 1 1
= k 1U12 + k 2 (U2 U1 )2 + k 3 (U2 U1 )2 + k 4 (U3 U1 )2 +
2 2 2 2
1 2
k 5 (U3 U2 ) R 1U1 R 2U2 R 3U3
2
Ad esempio, la prima equazione data da

k 1U1 k 2 (U2 U1 ) k 3 (U2 U1 ) k 4 (U3 U1 ) R 1 = 0 ,

ovvero
(k 1 + k 2 + k 3 + k 4 )U1 (k 2 + k 3 )U2 k 4U3 R 1 = 0 .
Procedendo analogamente per le altre due variabili si perviene allequazione
matriciale di equilibrio del sistema KU = R.

1.4 Sistemi dinamici


Nel contesto dei sistemi discreti, meritano un cenno i problemi dinamici. Essi
si differenziano dai problemi statici per la presenza delle forze dinerzia, legate,
come noto, allaccelerazione delle masse tramite la seconda legge di N EWTON:
F = ma.
In tutti quei casi in cui la presenza delle forze dinerzia risulti rilevante (cari-
chi variabili velocemente nel tempo, urti, eccitazione sismica ecc.) necessario
considerare fra le azioni anche il loro contributo. Seguendo il principio di D A-
LEMBERT , occorre considerare, oltre ai carichi statici, anche i termini inerziali
proporzionali alla massa, come evidenziato nellesempio seguente.
1.4 SISTEMI DINAMICI 13

Esempio 1.6
Consideriamo il sistema dellEsempio 1.2 in condizioni dinamiche: i carrelli
sono dotati di massa m 1 , m 2 , m 3 e i carichi sono applicati secondo una legge
temporale assegnata (Figura 1.6).

Figura 1.6: Sistema dinamico a tre gradi di libert (a); andamento dei carichi R i
in funzione del tempo (b). (Esempio 1.6).

Le equazioni di equilbrio (1.1) diventano, in questo caso equazioni diffe-


renziali

F 1(1) + F 1(2) + F 1(3) + F 1(4) = R 1 (t ) m 1U1 , (1.10a)


F 2(2) + F 2(3) + F 2(5) = R 2 (t ) m 2U2 , (1.10b)
F 3(4) + F 3(5) = R 3 (t ) m 3U3 , (1.10c)

dove con Ui si indica la derivata seconda, fatta rispetto al tempo, dello spo-
stamento del carrello i e con la scrittura R i (t ) si rende esplicita la dipenden-
za dal tempo dei carichi assegnati. Di conseguenza, anche tutte le grandezze
incognite (Ui e F i(e) ) sono da intendersi funzioni del tempo t .
Introducendo la matrice di massa

m1 0 0
M = 0 m2 0 ,
0 0 m3

le equazioni (1.10) si possono scrivere in forma compatta come

MU + KU = R(t )

dove si introdotto anche il vettore delle accelerazioni U = [U1 U2 U3 ]T .


14 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

1.5 Verso la discretizzazione: un problema modello


Consideriamo, come esempio atto a introdurre largomento dei metodi di cal-
colo pi usati nellambito della meccanica computazionale, una struttura tanto
semplice quanto familiare: la trave ad asse rettilineo caricata assialmente.
Obiettivo dei problemi che incontreremo nel seguito sar la determinazio-
ne del cosiddetto campo di spostamento, in generale a valori vettoriali, ma in
questo caso particolare, nel quale sono possibili solo spostamenti nella dire-
zione dellasse della trave, Ox , la soluzione deve portare alla determinazione
della funzione scalare u(x).
Supponiamo quindi di voler determinare il campo di spostamento per una
trave di lunghezza unitaria, soggetta a un carico distribuito p(x), al cui estre-
mo sinistro (x = 0) applicata la forza F , mentre allestremo destro (x = 1)
imposto lo spostamento U (Figura 1.7).
Detto N (x) lo sforzo normale agente nella sezione posta allascissa x, e indi-
cata con p(x) la densit di forza per unit di lunghezza, lequazione indefinita
dequilibrio data da
dN
+ p(x) = 0 . (1.11)
dx
Dalla teoria tecnica della trave, che generalizza i risultati relativi al solido di de
Saint-Venant, ricordiamo che, detta A la sezione trasversale della trave, lo stato
tensionale completamente definito dalla tensione normale

N (x)
xx (x) = (1.12)
A
alla quale corrisponde la deformazione longitudinale

xx (x)
&xx (x) = , (1.13)
E
dove E il modulo di Young.

Figura 1.7: Schema del problema monodimensionale.


1.5 VERSO LA DISCRETIZZAZIONE: UN PROBLEMA MODELLO 15

La deformazione longitudinale, inoltre, pu essere legata allo spostamento


u tramite la definizione
du
&xx (x) = . (1.14)
dx
Esprimendo dapprima la tensione xx in funzione dello spostamento, me-
diante le equazioni (1.13) e (1.14), sostituendola poi nella (1.12), si ottiene:

du
N (x) = E A . (1.15)
dx
Sostituendo questa espressione nellequazione di equilibrio (1.11) si ricava une-
quazione differenziale per lincognita u:

d2 u p(x)
+ =0. (1.16)
dx 2 EA

Lequazione differenziale (1.16) stabilisce la relazione che deve sussistere


tra la funzione nota p(x), cio il carico applicato, e la funzione incognita u(x).
Questa relazione coinvolge la derivata seconda di u, quindi unequazione del
secondo ordine. Si noti che necessario che la funzione u(x), ancora incogni-
ta, risulti derivabile con continuit almeno due volte, in modo che tale derivata
esista; altres necessario che la funzione p(x), che costituisce insieme ai pa-
rametri E , A i dati di questo problema, sia continua. Sono dunque escluse dal
campo di validit dellequazione (1.16) situazioni con dati irregolari, quali, ad
esempio, quelle costituite da distribuzioni di carico p(x) che presentino salti
(discontinuit di prima specie finite).2
Osserviamo ora le condizioni agli estremi. Mentre allestremo destro ri-
chiesto allo spostamento di assumere un dato valore, cio u(1) = U , la condi-
zione imposta allestremo sinistro un po pi complicata. Infatti, si richiede
che la forza applicata sulla base del solido sia pari a un valore assegnato F .3 Oc-
corre dunque esprimere tale condizione in termini legati allincognita u(x). Ci
non difficile ricordando ancora lequazione (1.15) e notando che N (0) = F ,
quindi si ottiene: -
du -- F
- = . (1.17)
dx x=0 EA
A questo punto possiamo cercare la soluzione imponendo che essa rispet-
ti anche le condizioni agli estremi destro e sinistro: la funzione incognita u(x)
2
Analogamente, una versione generalizzata del problema che ammettesse modulo di Young
variabile non potrebbe comprendere, per lo stesso motivo, ad es. situazioni con due materiali
aventi moduli E 1 ed E 2 diversi fra loro.
3
Vedremo in seguito che le condizioni imposte allo spostamento si dicono condizioni
essenziali, mentre quelle imposte alla sua derivata si chiamano condizioni naturali.
16 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

dovr quindi soddisfare contemporaneamente lequazione di campo e le con-


dizioni al contorno:
2

d u p(x)

+ = 0, 0 < x < 1 ,
dx 2- E A

du -- F (1.18)

- = ,

dx x=0 EA


u|x=1 = U .

Il procedimento di soluzione passa attraverso lintegrazione dellequazione dif-


ferenziale, che comporta la comparsa delle costanti dintegrazione. Queste ul-
time dovranno essere determinate in modo da rispettare tutte le condizioni al
contorno imposte alla soluzione.
Nel semplice caso in esame possibile ottenere il risultato in forma chiusa
per una vasta classe di forme di carico p(x) (Esempio 1.7), ma in generale non
sempre si pu determinare analiticamente la funzione incognita u(x), anche se
tale soluzione esiste. In questi casi si deve ricorrere a metodi di approssimazio-
ne di tipo numerico, che permettono di ottenere soluzioni che, pur non essen-
do quella esatta, si possono considerare vicine ad essa, a meno di un errore che
pu essere reso sufficientemente piccolo.

Esempio 1.7
Un pilastro di materiale isotropo lineare elastico con modulo di Young E , aven-
te altezza H e sezione costante A incastrato alla base. Il carico consiste nel
peso per unit di volume e in una forza verticale di compressione F applicata
allestremo superiore (Figura 1.8). Determinare il campo di spostamento u(x).
Per ricondurre il problema a quello descritto nel testo, occorre esprimere
la forza assiale per unit di lunghezza p(x) in funzione del peso volumico .
Considerando un concio di lunghezza dx, deve risultare p(x)dx = Adx, da
cui p(x) = A.
La condizione di vincolo impone spostamento nullo per x = 0; il carico ap-
plicato allestremo superiore impone il valore della deformazione per x = H . Il
problema differenziale da risolvere quindi il seguente:
Determinare la funzione u(x) C 2 [0, H ] tale che:

2

d u

= 0, 0 < x < H ,
dx 2- E

du -- F

- = ,

dx x=H EA


u|x=0 = 0 .
1.5 VERSO LA DISCRETIZZAZIONE: UN PROBLEMA MODELLO 17

Figura 1.8: Schema del problema monodimensionale.

Integrando due volte lequazione differenziale si ottiene:


2
u x +C 1 x +C 2 = 0 .
2E
Dalla condizione essenziale u|x=0 si ottiene immediatamente C 2 = 0. Impo-
nendo la condizione naturale allestremo superiore, per x = H si ricava
AH + F
C1 = .
EA
Sostituendo le costanti cos determinate, si ottiene la funzione cercata:
" # $ %
x 1x F
u(x) = H 1 . (1.19)
E 2H A
Si noti che, successivamente, possibile ricavare lo stato di sollecitazione nel
pilastro, ricordando leq.(1.15), per cui:

N (x) = F A(H x)

e, ad esempio, lo sforzo normale alla base si ricava ponendo x = 0, ottenendo

N (0) = F AH ,

somma dei contributi del carico esterno e del peso proprio del pilastro.
18 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

Nel caso in cui non sia possibile la soluzione in forma chiusa del problema
differenziale necessario ricorrere a una procedura di tipo numerico tramite
la quale le equazioni vengono discretizzate. A questo fine, si pu cercare di
approssimare gli operatori di derivata prima e seconda mediante incrementi
finiti. Si considerino gli sviluppi in serie di TAYLOR della funzione spostamento
u(x), arrestati al secondo ordine, nellintorno di un punto x i :
- -
du -- 1 d2 u --
u(x i +1 ) = u(x i ) + - (x i +1 x i ) + 2 - (x i +1 x i )2 (1.20)
dx x=xi 2 dx x=xi
- -
du -- 1 d2 u --
u(x i 1 ) = u(x i ) + (x i 1 x i ) + (x i 1 x i )2 (1.21)
dx -
x=x i 2 dx 2 -
x=x i

I punti x i 1 = x i x e x i +1 = x i + x si scelgono entrambi distanti da x i della


stessa quantit x, pensata sufficientemente piccola.
Sottraendo leq. (1.21) dalleq. (1.20) e sommando le due equazioni si otten-
gono rispettivamente le espressioni
-
du --
u(x i +1 ) u(x i 1 ) =2 x , (1.22)
dx -x=xi
-
d2 u --
u(x i +1 ) + u(x i 1 ) =2u(x i ) + x 2 , (1.23)
dx 2 -
x=x i

dalle quali si possono ricavare le espressioni approssimate delle derivate prima


e seconda, dette differenze finite:
-
du -- u(x i +1 ) u(x i 1 )
- = , (1.24)
dx x=xi 2x
-
d2 u -- u(x i +1 ) 2u(x i ) + u(x i 1 )
2 - = . (1.25)
dx x=x i x 2
Mediante le espressioni delle differenze finite, unequazione differenziale
viene discretizzata, scrivendo un insieme di equazioni algebriche la cui solu-
zione pu essere ottenuta in modo da soddisfare anche le condizioni al contor-
no.
Consideriamo a questo scopo il problema (1.18). Lequazione differenziale
viene sostituita dalla opportuna espressione alle differenze finite, scritta in un
generico punto x i del dominio:
u(x i +1 ) 2u(x i ) + u(x i 1 ) p(x i )
+ =0. (1.26)
x 2 EA
Scrivendo lespressione precedente per n + 2 punti, tenendo conto delle
due condizioni al contorno, si possono ricavare n valori approssimati dello
spostamento cercato, come illustrato nellesempio seguente.
1.5 VERSO LA DISCRETIZZAZIONE: UN PROBLEMA MODELLO 19

Esempio 1.8
Risolvere con il metodo delle differenze finite il problema dellEsempio 1.7.
Consideriamo unapprossimazione della soluzione mediante sei punti equi-
distanti (con passo x = 1/5) di ascissa compresa tra 0 e 1. A questi aggiun-
giamo due ulteriori punti esterni allintervallo rispettivamente a x = x e
x = 1 + x, i quali serviranno a imporre le condizioni al contorno. Linsieme
di punti viene cos a consistere di 8 punti, da x 1 a x 8 .
Ricorrendo alleq. (1.26), si possono scrivere le espressioni seguenti:
u 1 + 2u 2 u 3 p
= ,
x 2 EA
u 2 + 2u 3 u 4 p
= ,
x 2 EA
u 3 + 2u 4 u 5 p
= ,
x 2 EA
u 4 + 2u 5 u 6 p
= ,
x 2 EA
u 5 + 2u 6 u 7 p
= ,
x 2 EA
u 6 + 2u 7 u 8 p
= .
x 2 EA
La condizione al contorno essenziale, per x = 0, viene imposta molto semplice-
mente ponendo:
u2 = 0 .
La condizione naturale, che impone il valore della forza allestremo superiore,
si esprime mediante lapprossimazione della derivata prima:
u 6 + u 8 F
= .
2x EA
Tutte queste equazioni costituiscono un sistema lineare che viene conve-
nientemente espresso nella forma matriciale seguente, dove si posto x =
1/5:

0 1 0 0 0 0 0 0 u1 0
1 2 1 0 0 0 0 0
u 2 1
0 1 2 1 0 0 0 0 u 1
3
p
0 0 1 2 1 0 0 0 u 4 1
= . (1.27)
0 0 0 1 2 1 0 0 u 5 25E A 1

0 0 0 0 1 2 1 0
u 6 1
0 0 0 0 0 1 2 1 u 7 1
0 0 0 0 0 1 0 1 u8 10F /p
20 1 MODELLAZIONE DEI PROBLEMI MECCANICI

Nella Figura 1.9 sono diagrammati i valori degli spostamenti u i , i = 1, 8 ot-


tenuti dalla soluzione del sistema ponendo, per semplicit, p/E A = /E = 1
e F = 0. Nello stesso diagramma, con la linea continua, anche riportata la
funzione u(x) ottenuta dalla soluzione analitica ricavata nellesempio 1.7 (eq.
(1.19)), che mostra la coincidenza fra i risultati.
Non difficile comprendere il motivo di una cos sorprendente efficacia
del metodo numerico nel caso particolare qui esaminato se si osserva che la
soluzione esatta un polinomio di secondo grado, per il quale le espressio-
ni delle derivate (1.24), (1.25) sono esatte, anzich, come nel caso generale,
approssimate.

Figura 1.9: Confronto tra la soluzione discreta (punti) e quella in forma chiusa
(linea continua) per il problema dellEsempio 1.8.

Esercizi
1.1. Determinare, per il modello illustrato nellEsempio 1.2, la soluzione che si
ottiene supponendo tutte le molle caratterizzate dalla rigidezza k. [U1 = (R 1 +
R 2 + R 3 )/k,U2 = (5R 1 + 7R 2 + 6R 3 )/5k,U3 = (5R 1 + 6R 2 + 8R 3 )/5k].

1.2. Analizzare il modello illustrato nellEsempio 1.2 nel caso in cui venga sop-
pressa la molla 1 (si ponga ad esempio k 1 = 0). possibile la soluzione? Se
s, sotto quali condizioni? Discutere le diverse possibilit con riferimento alle
caratteristiche della matrice di rigidezza globale.

1.3. Diagrammare landamento dello spostamento e della tensione normale in


un pilastro di conglomerato cementizio, sezione di 1000 cm2 e altezza di 10 m,
1.5 VERSO LA DISCRETIZZAZIONE: UN PROBLEMA MODELLO 21

caricato in testa da una forza di compressione pari a 100 kN. Si assuma, per
il conglomerato, un modulo di Young pari a 25 GPa e un peso di volume di
24 kN/m3 .

1.4. Generalizzare il problema illustrato nel testo per studiare il caso di un pila-
stro a sezione A(x) variabile con continuit. Ripetere lesercizio 1.3 supponen-
do che la sezione quadrata abbia il lato variabile linearmente con laltezza che
vada dai 50 cm, alla base, ai 20 cm in sommit.

1.5. Adottando la formulazione ricavata nellesercizio 1.4, ricavare la legge di


variazione della sezione con laltezza, A(x), tale da indurre nella struttura una
tensione xx costante per tutte le sezioni. Supponendo poi una sezione cir-
colare di raggio r , diagrammare landamento r (x) del raggio nel caso di carico
esterno F = 0.

1.6. Risolvere il problema presentato nellesercizio 1.3 mediante una discretiz-


zazione alle differenze finite, osservando linfluenza del numero di punti im-
piegati sulla soluzione, confrontando i risultati ottenuti con la soluzione anali-
tica.
Capitolo 2

Formulazione dei problemi della


fisica-matematica

2.1 Introduzione
In questo capitolo si richiamano i principali concetti relativi alla definizione di
alcuni classici problemi matematici, ai quali vengono spesso ricondotti i mo-
delli di numerosi sistemi fisici di grande interesse. Ove possibile si far rife-
rimento a problemi meccanici, ma si tenga presente che, poich la generalit
dellapproccio in larga misura indipendente dal particolare sistema fisico og-
getto di studio, gran parte delle considerazioni svolte risulteranno applicabili a
tutti i problemi trattati.
Diversamente dal caso dei modelli discreti a cui si fatto cenno nel Ca-
pitolo 1, per i quali possibile unimmediata soluzione in termini di ennuple
di valori rappresentanti la variabile incognita in alcuni punti, affronteremo in
questo capitolo i cosiddetti modelli continui. In questo caso le variabili di sta-
to costituiscono dei campi, cio variano in genere con continuit nel dominio
esaminato. Le variabili di stato possono essere scalari (ad es. la temperatura o
la pressione di un fluido), o vettori (ad es. la velocit o lo spostamento).
Nella ricerca di una formulazione adeguata di un certo modello, si devono
costruire, di solito, equazioni differenziali alle derivate parziali che definiscono
il bilancio di certe quantit su elementi infinitesimi, le quali forniscono le con-
dizioni che la soluzione deve soddisfare in ogni punto della regione dello spazio
in cui si definisce il problema. Normalmente, le condizioni di bilancio non so-
no sufficienti a consentire, da sole, la formulazione del problema. pertanto
necessario stabilire relazioni locali (valide in ciascun punto) fra i diversi campi
in gioco, tramite le cosiddette relazioni costitutive, il cui classico prototipo il
legame fra tensioni e deformazioni, ad esempio di tipo elastico.

22
2.2 CLASSIFICAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL SECONDO ORDINE 23

Come noto, per, la scrittura delle equazioni differenziali di un certo mo-


dello non sufficiente per ottenere una soluzione. Il problema deve essere
completato dalle condizioni al contorno e, nel caso di problemi dipendenti dal
tempo, dalle condizioni iniziali.

2.2 Classificazione delle equazioni del secondo or-


dine
Al fine di introdurre una nomenclatura che consenta di delimitare accurata-
mente lambito dei problemi oggetto di studio, utile procedere dapprima alla
loro classificazione. Al di l della semplice distinzione formale, come vedre-
mo, questa classificazione consente di distinguere molto nettamente fra classi
di modelli atte a descrivere fenomeni fisici fra loro molto differenti.
Una prima sostanziale divisione separa la classe delle equazioni lineari da
quelle genericamente dette non lineari. Unequazione alle derivate parziali nel-
la variabile u si dice lineare se si pu scrivere come combinazione lineare della
funzione u e delle sue derivate, mediante coefficienti che siano indipendenti
da u.

Esempio 2.1

2 u 2 u 2 u u
2
+ 2 + 2
+ u + ex+y = 0
x xy y y
unequazione lineare a coefficienti costanti.

2 u 2
2 u 2 u u
cos(x y) + 2x + + u = 0
x 2 xy y 2 y
unequazione lineare a coefficienti variabili.
! 2 "2
2 u 2
2 u u
2
+ 2x + =0
x xy y 2
unequazione non lineare.

Le equazioni lineari godono di propriet che ne rendono la soluzione pi


semplice rispetto alle equazioni non lineari. Per esse spesso possibile de-
terminare la soluzione analitica, in forma chiusa, per lo meno per casi parti-
colari di dominio e di dati. In genere, le equazioni non lineari non possono
essere risolte analiticamente e lapproccio numerico , in tali casi, una scelta
obbligata.
24 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

Unaltra classificazione molto importante consente di distinguere le equa-


zioni differenziali a seconda del tipo, evidenziandone nettamente le particola-
rit che le rendono adatte a modellare certe classi di sistemi fisici, che possono
essere descritti da modelli matematici fra loro molto simili.
Consideriamo a questo fine il caso particolare, per quanto molto importan-
te, delle equazioni differenziali del secondo ordine. Ricordiamo che lordine di
unequazione differenziale dato dal massimo grado di derivazione che com-
pare nellequazione medesima. Per semplicit limitiamo, inoltre, lanalisi al
caso di un problema definito in una regione bidimensionale, nella quale sia
definito un sistema di riferimento cartesiano Ox y.
La pi generale equazione differenziale del secondo ordine nel dominio bi-
dimensionale, per un campo descritto dalla funzione u(x, y) si pu scrivere
nella forma:
! "
2 u 2 u 2 u u u
A(x, y) 2 + 2B (x, y) +C (x, y) 2 = x, y, u, , (2.1)
x xy y x y

dove A, B,C , sono funzioni assegnate, cio note, dei loro argomenti.
Si consideri ora la funzione B 2 AC , detta discriminante, in generale funzio-
ne delle coordinate (x, y): si danno tre casi, a seconda del segno di tale funzione.
In particolare lequazione differenziale (2.1) si dir

di tipo ellittico se B 2 AC < 0;

di tipo parabolico se B 2 AC = 0;

di tipo iperbolico se B 2 AC > 0.

Ciascun tipo di equazione individua una classe di problemi fra loro affini
in quanto al tipo di soluzione. Ciascuna classe pu essere rappresentata da
un problema prototipo, che descrive ben noti problemi fisici. Ad esempio, i
prototipi di equazione per i diversi tipi possono essere i seguenti:

per il tipo ellittico: lequazione di L APLACE (es. filtrazione nei mezzi poro-
si, conduzione del calore in regime stazionario);

per il tipo parabolico: lequazione della diffusione (es. consolidazione dei


mezzi porosi saturi, propagazione del calore in regime non stazionario);

per il tipo ellittico: lequazione delle onde (es. trasmissione del suono nei
mezzi elastici, vibrazioni).

Lanalisi di alcuni esempi permette di considerare la formulazione di pro-


blemi differenziali per i diversi tipi di equazioni lineari del secondo ordine.
2.2 CLASSIFICAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL SECONDO ORDINE 25

Esempio 2.2
La filtrazione nei mezzi porosi governata da unequazione differenziale di ti-
po ellittico. In questo esempio, dopo aver ottenuto lequazione differenziale
che governa il moto stazionario dellacqua nel terreno permeabile, si completa
il problema imponendo le opportune condizioni al contorno per la geometria
illustrata nella Figura 2.1(a), che schematizza la situazione del moto di filtra-
zione al di sotto di una diga impermeabile in condizioni piane. La relazione tra
flusso e gradiente idraulico la legge di D ARCY con permeabilit isotropa k.
Lequazione di conservazione della massa dacqua che attraversa, in un da-
to tempo, un elemento infinitesimo di volume avente lati dx e dy (Figura 2.1(b)),
si scrive # # # #
( q y # y q y # y+dy )dx ( q x #x q x #x+dx )dy = 0 , (2.2)
dove q = q x i + q y j il vettore flusso, ovvero la portata in volume attraverso una
superficie di area unitaria.
Data la continuit di tutte le funzioni coinvolte, si esprimono i flussi uscenti
attraverso i differenziali:
# #
q x #x+dx = q x #x + (q x /x)dx , (2.3a)
# #
qy # #
= q y + (q y /y)dy . (2.3b)
y+dy y

e si introduce la relazione costitutiva (legge di Darcy) che lega il flusso al poten-


ziale :
q x = k(/x) , (2.4a)
q y = k(/y) . (2.4b)
Sostituendo le eq. (2.3) nelle (2.2) e tenendo conto delle eq. (2.4) si ottiene
2 2
+ =0, (2.5)
x 2 y 2
che la classica equazione di Laplace, esprimibile anche attraverso loperatore
di Laplace:
2 () 2 ()
2 () = + ,
x 2 y 2
come
2 = 0 .
immediato verificare lellitticit dellequazione di Laplace osservando che,
per confronto con lespressione canonica (2.1) si ha A = 1, B = 0, C = 1, quindi
B 2 AC = 1.
Passando ora alla definizione della condizioni al contorno, il problema ne
prevede di due tipi:
26 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

Figura 2.1: Equazione di tipo ellittico (filtrazione): geometria del problema (a);
conservazione della massa (b) (Esempio 2.2).

Essenziali, se definiscono il valore della funzione da determinare (in que-


sto caso il carico totale )

Naturali, se definiscono il valore della derivata prima della funzione (il


flusso q)
Osservando lo schema della Figura 2.1(a), vediamo che si devono imporre
condizioni al contorno essenziali allinterfaccia fra acqua e terreno, alla base
dei due serbatoi di monte e di valle, ove prescritto il carico idraulico, pari
allaltezza del pelo libero:
#
# y=L = h 1 , per x b/2 ,
#
# y=L = h 2 , per b/2 x .
Lungo i bordi a contatto con zone impermeabili, cio alla base della diga
e sul piano del substrato roccioso, si devono imporre condizioni al contorno
naturali; infatti, su tali linee, la componente del flusso perpendicolare al bordo
deve essere nulla. Tale condizione si traduce, mediante la legge di Darcy, in una
condizione sulla derivata prima del potenziale :
# #
q y # y=0 = k (/y)# y=0 = 0 , per x ,
# #
q y # y=L = k (/y)# y=L = 0 , per b/2 x b/2 .
2.2 CLASSIFICAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL SECONDO ORDINE 27

Per completare la definizione delle condizioni al contorno, consideriamo il


dominio di forma rettangolare allungata nella direzione dellasse x, con i lati
verticali molto lontani dalla zona di interesse. unipotesi ragionevole consi-
derare tali bordi impermeabili, ci che equivale a consentire lingresso e luscita
dacqua nel sistema possa avvenire solo attraverso i due serbatoi di monte e di
valle:
# #
q x #x= = k (/x)#x= = 0, per 0 x L ,
# #
qx #
x= = k (/x)# x== 0, per 0 x L .

Esempio 2.3
Uno strato di argilla satura di spessore 2H (Figura 2.2(a)) viene sottoposto im-
provvisamente a un sovraccarico per unit di superficie pari a p; ci compor-
ta una variazione nel tempo della pressione dellacqua nei pori, descritta tra-
mite la teoria della consolidazione monodimensionale di Terzaghi. Lequazio-
ne differenziale che lega la sovrappressione interstiziale u alla posizione z e
allistante t
2 u u
cv 2 = . (2.6)
z t
Il confronto con lespressione canonica (2.1) permette di classificare leq. (2.6)
fra le equazioni paraboliche. Infatti si ha A = c v , B = 0, C = 0, quindi B 2 AC =
0.
In questo caso abbiamo a che fare con un problema di evoluzione nel tem-
po: oltre alle condizioni da imporre sul bordo del dominio, si devono preci-
sare le condizioni iniziali del campo incognito u. Le condizioni al contorno,
agli estremi dello strato, sono di tipo essenziale: la sovrappressione deve essere
nulla:

u|z=0 = 0 ,
u|z=2H = 0 .

Le condizioni iniziali ipotizzano che, per tutti i punti appartenenti allo strato,
allistante iniziale t = 0 la sovrappressione assuma il valore del sovraccarico p:

u(z, 0) = u 0 .

Come noto, introducendo il tempo adimensionale T = c v t /H 2 , la soluzio-


ne del problema
m=
$ 2u 0 M z M 2 T
u(z, t ) = sen e , (2.7)
m=0 M H
28 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

Figura 2.2: Equazione di tipo parabolico (consolidazione): geometria del


problema (a); andamento della sovrappressione nel tempo (b) (Esempio 2.3).

dove si posto M = 2 (2m + 1). Nella Figura 2.2(b) sono riportate alcune del-
le isocrone della soluzione, cio landamento della sovrappressione u per da-
ti istanti di tempo. Il processo porta, al crescere del tempo, alla progressi-
va diminuzione della sovrappressione nello strato di argilla, ma la completa
dissipazione richiede, teoricamente, un tempo infinito.

Esempio 2.4
Consideriamo una barra elastica, vincolata a un estremo, avente lunghezza L e
sezione A, caratterizzata dal modulo di Young E e dalla massa volumica (Figu-
ra 2.3). Supponendo che allestremo libero allistante t = 0 venga applicato un
carico R 0 mantenuto poi costante, necessario analizzare il comportamento
della struttura in campo dinamico.
Detto u lo spostamento assiale, se si considera lequilibrio di un concio in-
finitesimo, di lunghezza dx occorre considerarne linerzia, proporzionale alla
massa dm e allaccelerazione, per cui:

2 u
x |x A + x |x+dx A = dm ,
t 2
2.3 PROCEDIMENTI VARIAZIONALI 29

Figura 2.3: Equazione di tipo iperbolico (onde elastiche): geometria del


problema e andamento del carico nel tempo (Esempio 2.4).

ovvero, essendo x |x+dx = x |x + (x /x)dx e dm = Adx:

x 2 u
= 2 ,
x t
quindi, ricordando che x = E (u/x), si ottiene lequazione differenziale

2 u 2 u
= , (2.8)
x 2 E t 2
%
tipica della propagazione delle onde; la grandezza c = E detta celerit ed
esprime la velocit di propagazione delle onde lungo lasse del solido. In questo
caso il confronto con lespressione canonica (2.1) permette di classificare leq.
(2.8) fra le equazioni iperboliche. Infatti si ha A = 1, B = 0, C = /E , quindi
B 2 AC = /E > 0.
Le condizioni al contorno sono le seguenti:

allestremo vincolato la condizione essenziale u|x=0 = 0 ;

allestremo caricato la condizione naturale E A(u/x)|x=L = R 0 .

inoltre si devono imporre le condizioni iniziali di quiete nel dominio corrispon-


denti a spostamenti e velocit nulla in tutti i punti

u|t =0 = 0 , per 0 < x < L ,


#
u ##
= 0 , per 0 < x < L .
x #t =0

2.3 Procedimenti variazionali


In alternativa ai metodi differenziali, nei quali si parte dalla scrittura di equazio-
ni di bilancio valide per elementi infinitesimi del continuo, gli stessi problemi
30 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

possono essere affrontati, talvolta convenientemente, attraverso formulazioni


variazionali.
Analogamente a quanto anticipato trattando i modelli discreti nel paragrafo
1.3, per seguire questa strada necessario scrivere lespressione di un funzio-
nale (il potenziale) e quindi imporne la stazionariet rispetto alle variabili di
stato. Questa condotta risulta talvolta conveniente sia per la ricerca delle equa-
zioni differenziali che governano un dato problema, sia per la definizione delle
condizioni al contorno naturali.
Come abbiamo gi detto, un funzionale unapplicazione lineare che asso-
cia ad ogni elemento di uno spazio vettoriale V un numero reale, cio

:V R . (2.9)

Nel caso continuo, gli elementi dello spazio vettoriale V sono funzioni. Ad
esempio, pu essere larea sottesa dal grafico di una funzione f (x) continua
su un intervallo [a, b]: & b
= f (x)dx . (2.10)
a
Un esempio familiare di funzionale definito in ambito meccanico lener-
gia potenziale totale della trave elastica caricata trasversalmente (Figura 2.4):
ad ogni deformata elastica (elemento di V ) associato un numero reale che
misura lenergia , differenza fra lenergia di deformazione elastica e il lavoro
compiuto dal carico a seguito della deformazione.
Lapplicazione dei concetti variazionali ai modelli continui non che una
generalizzazione di quanto accennato a proposito della formulazione variazio-
nale dei modelli discreti. In questo caso, rimanendo per semplicit nellambito
delle funzioni di una variabile, la variazione prima di una funzione v(x) V ,
per definizione, la funzione
v(x) = &(x) , (2.11)

Figura 2.4: Il potenziale totale per una trave caricata come esempio di
funzionale lineare : V R.
2.4 REGOLE DEL CALCOLO VARIAZIONALE 31

dove & R un numero arbitrario, mentre (x) una funzione regolare, nul-
la nei punti ove la funzione v(x) soddisfa le condizioni essenziali. A titolo di
esempio, nella Figura 2.5 sono illustrati i diversi termini per un caso ipotetico.
importante notare che v una nuova funzione della variabile x, che pos-
siede le stesse doti di regolarit di v e pu perci essere derivata e integrata al
pari di essa.

2.4 Regole del calcolo variazionale


utile riassumere qui alcune propriet utili nella successiva trattazione di pro-
blemi con tecniche variazionali. Dato il carattere introduttivo, non si dar di-
mostrazione di quanto asserito, rimandando il lettore interessato ai numerosi
testi disponibili.
Assumiamo che una funzione F , per un certo valore di x dipenda dalla
variabile di stato v e delle sue derivate spaziali:
! "
dv d2 v dp v
F v, , ,..., p .
dx dx 2 dx

Si definisce variazione prima di F la funzione


! " ! p "
F F dv F d v
F = + ++ p . (2.12)
v dv/dx dx d v/dx p dx p

La successione di operatore variazionale e operatore differenziale d, ri-


spetto alle variabili indipendenti, si pu invertire:
! n "
dn dn (v) d v
= = .
dx n dx n dx n

Figura 2.5: Variazione di una funzione di una variabile.


32 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

Loperatore gode delle stesse propriet della derivata, ad esempio:

(F +Q) = F + Q ,
(F Q) = (F )Q + F (Q) ,
(F n ) = n(F n1 )F .

Inoltre, loperatore passa sotto il segno di integrale (e viceversa):


& &
F (x)dx = F (x)dx .

Nellesempio seguente vedremo lapplicazione di queste tecniche a un pro-


blema meccanico, mostrando come, attraverso un procedimento variazionale
si possa arrivare alla scrittura delle equazioni differenziali che lo governano e
delle condizioni al contorno naturali.

Esempio 2.5
Scrivere il potenziale totale per la struttura schematizzata in Figura 2.6 e ricava-
re, mediante la formulazione variazionale, lequazione differenziale del proble-
ma (cio lequazione della linea elastica) e le condizioni al contorno naturali.

Figura 2.6: Formulazione variazionale per una trave (Esempio 2.5).

Affrontando il problema in termini di spostamento, scegliamo, in prima ap-


prossimazione, di trascurare la deformazione assiale della trave, supponendo-
la ininfluente rispetto agli effetti legati alla flessione. La variabile di stato sar
quindi la componente di spostamento trasversale allasse w(x).
In modo analogo a quanto visto precedentemente, occorre dapprima for-
mulare lespressione del potenziale totale per il sistema, che in questo caso si
pu scrivere
= U T + U M VP ,
2.4 REGOLE DEL CALCOLO VARIAZIONALE 33

ove sono individuati rispettivamente lenergia di deformazione della trave, U T ,


lenergia di deformazione della molla, U M , lenergia potenziale del carico ap-
plicato VP . Calcoliamo ora i tre contributi, in funzione dello spostamento w.

Energia di deformazione della trave. Considerando un tronco infinitesimo, aven-


te lunghezza infinitesima dx, della trave: detti rispettivamente M e il
momento flettente e la curvatura, il teorema di C LAPEYRON permette di
scrivere il corrispondente lavoro di deformazione1

1
dL = M dx ,
2
quindi, ricordando che momento e curvatura sono legati dalla relazio-
ne M = E I e, inoltre, che nellipotesi di piccoli spostamenti e piccole
rotazioni = (2 w/x 2 ), si ha
! 2 "2
1 d w
dL = E I dx .
2 dx 2

Infine, integrando lungo tutta la lunghezza della trave lenergia elastica


risulter
& ! 2 "2
1 L d w
UT = EI dx .
2 0 dx 2

Energia di deformazione della molla. Dipende in maniera quadratica dallal-


lungamento secondo lespressione (v. lEsempio 1.4 del Capitolo 1):

1
U M = kw L2 ,
2
dove si indicato con w L = w|x=L lo spostamento dellestremo della tra-
ve.

Energia potenziale del carico. La valutazione di questo termine pi compli-


cato, in quanto necessario valutare lo spostamento assiale dellestremo
libero della trave u L = u|x=L :

VP = Pu L .

Tale spostamento, avendo deciso di trascurare la deformazione assiale


della trave, legato alla rotazione dellasse. Si consideri infatti un concio
1
Si veda ad es. A. Carpinteri, Scienza delle Costruzioni, Vol. 1, Pitagora Editrice, Bologna, 2a
ed., 1993, par. 9.3.
34 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

infinitesimo di lunghezza dx: a seguito di una rotazione , la sua proie-


zione sullasse x sar accorciata della quantit ds = (1 cos )dx. Con-
viene poi introdurre lo sviluppo accorciato in serie di M C L AURIN della
funzione coseno:
2
cos = 1 + o(2 )
2!
per cui laccorciamento totale dellasse della trave, e quindi lo sposta-
mento del punto di applicazione del carico P dato da
&L &L
2
uL = ds = dx .
0 0 2

Legando infine la piccola rotazione allo spostamento trasversale: =


(w/x), integrando sulla trave e moltiplicando per P si ottiene lenergia
cercata: & ! "
P L dw 2
VP = dx
2 0 dx

Lespressione del funzionale del problema, cio lenergia totale, quindi


&L ! "2 &L ! "2
1 d2 w 1 P dw
= EI dx + kw L2 dx .
2 0 dx 2 2 2 0 dx

Analogamente a quanto visto nel caso discreto, per ottenere le equazioni


del problema si ricerca la stazionariet del funzionale, imponendo lannullarsi
della sua variazione prima, = 0:
' & ! 2 "2 &L ! "2 (
1 L d w 1 P dw
EI dx + kw L2 dx = 0 .
2 0 dx 2 2 2 0 dx

Sfruttando le propriet delloperatore a cui si fatto cenno, si pu scrivere:


&L ! " &L ! "
d2 w d2 w dw dw
EI dx + kw L (w)L P dx = 0 . (2.13)
0 dx 2 dx 2 0 dx dx

Attraverso una integrazione per parti possibile eliminare dalleq. (2.13) le


derivate della funzione w di ordine pi elevato (il secondo). Il primo termine
richiede due integrazioni per parti successive:
&L ! " ) *L &L
d2 w d2 w d2 w dw dw 3 dw
EI dx = E I E I dx =
0 dx 2 dx 2 dx 2 dx 0 0 d3 x dx
) *L ) *L &L (2.14)
d2 w dw dw 3 dw 4
EI E I w + E I wdx ,
dx 2 dx 0 d3 x 0 0 d4 x
2.4 REGOLE DEL CALCOLO VARIAZIONALE 35

lultimo unintegrazione sola:


&L ! " ) *L &L 2
dw dw dw d w
P dx = P w P 2
wdx . (2.15)
0 dx dx dx 0 0 dx

Sostituendo le identit (2.14) e (2.15) nellespressione (2.13), esplicitando gli


incrementi indicati e raccogliendo opportunamente, si ottiene:
&L ! "
dw 4 d2 w
EI 4 +P wdx
0 d x dx 2
) *# ) *#
d2 w dw ## d2 w dw ##
+ EI EI
dx 2 dx #x=L dx 2 dx #x=0 (2.16)
)! 3 2 " *# )! 3 2 " *#
dw d w # dw d w #
EI 3 +P 2
w ## EI 3 +P 2
w ##
d x dx x=L d x dx x=0
+ kw L (w)L = 0 .
Ricordiamo ora che le variazioni w e (dw/dx) = dw/dx devono rispet-
tare le condizioni al contorno essenziali, quindi esse sono nulle allestremo
x = 0. Perci risulta immediatamente:
) *#
d2 w dw ##
EI =0
dx 2 dx #x=0
e )! " *#
dw 3 d2 w #
#
EI 3 +P w # =0.
d x dx 2 x=0
Sostituendo queste condizioni nelleq. (2.16) si ricava
&L ! " ) *#
dw 4 d2 w d2 w dw ##
EI 4 +P wdx + E I
0 d x dx 2 dx 2 dx #x=L
)! " *# (2.17)
dw 3 d2 w #
#
EI 3 +P w # + kw L (w)L = 0 .
d x dx 2 x=L

Scegliendo ora delle variazioni particolari, possibile ricavare sia lequazio-


ne differenziale del problema, sia le condizioni al contorno naturali. Si pren-
da, a questo fine, una variazione w nulla, insieme alla sua derivata prima
dw/dx, in x = L, ma diversa da zero negli altri punti del dominio. Con questa
posizione si avr
) *#
d2 w dw ##
EI =0, (2.18)
dx 2 dx #x=L
)! " *#
dw 3 d2 w #
#
EI 3 +P w # =0, (2.19)
d x dx 2 x=L
kw L (w)L = 0 . (2.20)
36 2 I PROBLEMI DELLA FISICA-MATEMATICA

Sostituendo queste espressioni nelleq. (2.17) si pu vedere come essa si riduca


a &L ! "
dw 4 d2 w
EI 4 +P wdx = 0 (2.21)
0 d x dx 2
la quale, dovendo essere soddisfatta per variazioni w '= 0 impone

dw 4 d2 w
EI + P = 0, x ]0, L[ . (2.22)
d4 x dx 2
Lespressione (2.21) lequazione differenziale della linea elastica in presenza
di carico assiale P , ed lequazione di campo del problema.
Capitolo 3

Soluzione approssimata di problemi


al contorno

3.1 Operatori differenziali


Indicando con L un generico operatore differenziale di tipo ellittico, la corri-
spondente equazione differenziale si pu scrivere:

L(u) = b, in (3.1)

e si pu interpretare nel modo seguente: loperatore L trasforma una funzione


u, definita in una regione dello spazio, avente frontiera , in una funzione b.
In generale, la funzione sulla quale agisce loperatore L pu essere anche un
vettore u.

Esempio 3.1
Alcuni esempi di operatori differenziali, definiti su un intervallo di R (i primi
due) o su una regione bidimensionale (il terzo):

d2 ()
L() = , (3.2)
dx 2
d4 () d()
L() = + , (3.3)
dx 4 dx
2 () 2 ()
L() = + . (3.4)
x 2 y 2

Quando si applica loperatore a una funzione u, essa va sostituita al posto del


punto fra parentesi.

37
38 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Data una qualsiasi funzione w, si pu definire il prodotto interno:


!
L(u), w = L(u)wd . (3.5)

Loperatore si dice definito positivo se:


!
L(u), u = L(u)ud > 0, u $= 0 . (3.6)

Si pu integrare per parti lespressione del prodotto interno, ottenendone


la forma trasposta:
! ! !

" #
L(u)wd = uL (w)d + S (w)G(u) G (w)S(u) d . (3.7)

Loperatore L si dice aggiunto di L. Se L = L, questultimo si dice autoag-


giunto, e in tal caso anche S = S e G = G.
I valori imposti a S(u) sulla porzione s di frontiera sono le condizioni al
contorno essenziali, mentre i valori imposti a G(u) sulla porzione g di frontie-
ra sono le condizioni al contorno naturali.

Esempio 3.2
Data lequazione differenziale omogenea

d2 u
2
2 u = 0, 0<x <1, (3.8)
dx
definire gli operatori L(u), S(u) e G(u), verificando anche che L autoaggiunto.
Occorre scrivere lespressione del prodotto interno, procedendo quindi alle
successive integrazioni per parti:
!1 $ %
d2 u 2
L(u), w = u wdx . (3.9)
0 dx 2

Una prima integrazione per parti d:


!1 $ % & '1
du dw 2 du
L(u), w = uw dx + w . (3.10)
0 dx dx dx 0

Mediante una seconda integrazione per parti si ottiene:


!1 $ % & '1 & '
d2 w 2 du dw 1
L(u), w = w udx + w u . (3.11)
0 dx 2 dx 0 dx 0
3.2 CONCETTI PRELIMINARI 39

Dal confronto fra lespressione generica del prodotto interno in forma trasposta
e quella qui ottenuta, si possono dedurre gli operatori:
d2 ()
L () = 2 () , (3.12)
dx 2
S () = () , (3.13)
d()
G () = , (3.14)
dx
e, come si pu notare, loperatore autoaggiunto in quanto L () = L().

3.2 Concetti preliminari


Si supponga di voler trovare la soluzione u 0 di un problema differenziale

L(u 0 ) = b, in ,
S(u 0 ) = s, su s , (3.15)
G(u 0 ) = g , su g .

Spesso la soluzione esatta, u 0 , impossibile da determinare, in questo caso,


anzich determinare tale soluzione, ci si accontenta di una soluzione u che, in
qualche modo, approssimi quella esatta
Si pu scegliere una soluzione approssimata nella forma
n
(
u = 0 + k k , (3.16)
k=1

dove k sono parametri da determinare e k sono funzioni delle coordinate


spaziali. Le funzioni k sono tali da soddisfare certe condizioni di ammissibilit
relative a condizioni al contorno e grado di continuit e le funzioni k devono
essere linearmente indipendenti, cio

1 1 + 2 2 + + n n = 0

solo nel caso in cui tutti i coefficienti siano nulli, cio

1 = 2 = = n = 0 .

La successione delle funzioni k deve essere completa, cio, fissato un nu-


mero % > 0 arbitrariamente piccolo, e una qualsiasi funzione ammissibile u 0 ,
possibile trovare un numero di termini n superato il quale si abbia
)!
(u u 0 )2 % . (3.17)

40 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

La soluzione esatta del problema soddisfa le condizioni (3.15); nel caso, in-
vece, in cui si introduca una soluzione approssimata u, che si suppone soddi-
sfi esattamente tutte le condizioni al contorno, si pu introdurre una funzione
residuo o errore:
R = L(u) b . (3.18)
Si dovranno determinare i coefficienti incogniti k cercando di rendere piccolo,
in qualche senso medio sul dominio , lerrore (3.18).
Nel caso in cui la funzione u non soddisfi tutte la condizioni al contorno, si
dovranno considerare anche gli errori sulle condizioni al contorno essenziali e
naturali:

R s = S(u) s , (3.19)
R g = G(u) g . (3.20)

Esempio 3.3
Si consideri lequazione differenziale
d2 u
b = 0, 0<x <1 (3.21)
dx 2
dove b = cost. e le condizioni al contorno sono omogenee, cio

u|x=0 = 0, u|x=1 = 0,

La soluzione esatta
1
u 0 = bx(x 1)
2
Si consideri invece unapprossimazione sinusoidale che soddisfi le condi-
zioni al contorno:
u = 1 1 = sen(x)
La funzione residuo assume la forma:
d2 u
R= b = sen(x) (3.22)
dx 2
Per determinare lunico parametro incognito ,si pu imporre, ad esempio,
R = 0 per x = 1/2:
1 b
2 b = 0 = = 2
2
La soluzione approssimata e il residuo corrispondente sono quindi:
b
u = sen(x) (3.23)

R = b sen(x) b (3.24)
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 41

Figura 3.1: Grafico soluzione esatta per x = 1/2.

Scegliendo, invece, di azzerare il residuo per x = 1/4, si trova


)
b 2
u = 2 sen(x) (3.25)
)
R = b 2 sen(x) b (3.26)

3.3 Metodi dei residui pesati


In generale, scelta unapprossimazione u della funzione incognita u 0 da deter-
minare, esistono certe funzioni dette errori o residui, che misurano lo scosta-
mento dalla soluzione esatta sia nel dominio, sia sul contorno:

R(x) in (3.27)
R s (x) in s (3.28)
R g (x) in g (3.29)

I metodi dei residui pesati cercano di distribuire gli errori in modo da ottenere
un errore medio nullo.
Si assuma che lapprossimazione u soddisfi esattamente le condizioni al
contorno (R s = R g = 0), ragionevole richiedere che, data una funzione peso
42 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Figura 3.2: Grafico soluzione esatta per x = 1/4.

w, definita in , si abbia:
!
R, w = R wd = 0 (3.30)

I diversi metodi si differenziano nella scelta della funzione approssimante


u; ad esempio:
(n
u = 0 + k k (3.31)
k=1
o della funzione peso w; ad esempio:
n
(
w= k k (3.32)
k=1

3.3.1 Metodo di collocazione


Si impone che lerrore si annulli in un numero finito di punti. Si pu inter-
pretare come metodo dei residui pesati, assumendo come funzione peso una
combinazione lineare di funzioni delta di D IRAC 1
La delta di Dirac una distribuzione, o funzione generalizzata, definita
tramite le sue propriet:

(x ) = 0, x $= (3.33)
!+
(x )dx = 1 (3.34)

1
P. A. M. Dirac, 1902-1984, premio Nobel per la fisica nel 1933.
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 43

Risulta, inoltre, per qualsiasi funzione continua f (x):


!+
f (x)(x )dx = f ()

Limpiego di delta di Dirac come funzione peso consente di dare unimpor-


tanza infinita al residuo nei punti i . Assumendo quindi come funzione peso
una combinazione lineare del tipo:

w = 1 (x 1 ) + 2 (x 2 ) + + k (x k )

lapplicazione del metodo dei residui pesati porta al metodo di collocazione,


cio a imporre le condizioni in k punti discreti del dominio. Infatti, ponendo
uguale a zero lespressione del residuo pesato si ottiene
!
R wd = 0 = R(1 ) = 0, R(2 ) = 0, R(k ) = 0

Esempio 3.4
Risolvere, mediante unapprossimazione polinomiale e il metodo di collocazio-
ne, il seguente problema a valori al contorno:

d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.35)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.36)
u|x=1 = 0 (3.37)

Il polinomio che soddisfa le condizioni al contorno :

x(1 x)(1 + 2 x + )

Si consideri il caso di due parametri incogniti, 1 e 2 , corrispondente a un


polinomio di terzo grado:

u = x(1 x)(1 + 2 x)

Lespressione del residuo diventa:

d2 u * 2
+ * 2 3
+
R= + u + x = 2 + x x 1 + 2 6x + x x 2 + x
dx 2
Volendo ad esempio annullare il residuo nei punti x 1 = 1/4 e x 2 = 1/2, la
funzione peso di Dirac :
$ % $ %
1 1
w = 1 x + 2 x
4 2
44 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Con questa scelta si impone:


!1 $ % $ %
1 1
R wd = 0 = R = 0, R =0
0 4 2

Le condizioni imposte si traducono nel sistema lineare:



29 35 & ' & '
16 1 1
7 64
= 4 (3.38)
7 2 1
2
4 8

Le cui soluzioni sono 1 = 6/31 e 2 = 40/217. La soluzione approssimata


cercata quindi:
42 + 40x
u = x(1 x)
217
Landamento del residuo :

4 19x 2x 2 40x 3
R=
217

La figura 3.3 riporta la soluzione approssimata u a confronto con quella


esatta (u 0 = x + sen x/ sen 1), insieme con lerrore R

Figura 3.3: Metodo di collocazione.


3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 45

3.3.2 Collocazione a sotto-domini


Si divide il dominio in sotto-regioni i (eventualmente anche sovrapposte) e
poi si impone lannullamento della media del residuo in ciascuna di esse:
!
Rd = 0, per x i
i

Esempio 3.5
Si consideri ancora il problema:

d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.39)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.40)
u|x=1 = 0 (3.41)

con unapprossimazione polinomiale

x(1 x)(1 + 2 x + )

Studiamo dapprima lapprossimazione quadratica (solo 1 ), impiegando, quin-


di, un solo sotto-dominio coincidente con lintero dominio :

u = x(1 x)1

Lespressione del residuo diventa:

d2 u * +
R= 2
+ u + x = 2 + x x 2 1 + x
dx
Dalla condizione di collocazione a sotto-domini:
!1
3
Rdx = 0 = R =
0 11

Il risultato di prima approssimazione dunque:

3
u (1) = x(1 x)
11
Cerchiamo ora unapprossimazione pi ricca, mediante un polinomio di
terzo grado; si ottiene il residuo:

d2 u * + * +
R= 2
+ u + x = 2 + x x 2 1 + 2 6x + x 2 x 3 2 + x
dx
46 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

In questo caso si devono determinare due parametri 1 e 2 , perci sono ne-


cessarie due condizioni. Per imporre tali condizioni si considerano due sotto-
domini, ad es. 1 = (0, 1/2) e 2 = (0, 1), imponendo poi
!1
2
Rdx = 0 (3.42)
0
!1
Rdx = 0 (3.43)
0

La valutazione di questi integrali porta a un sistema di due equazioni lineari


nelle incognite 1 e 2 che in forma matriciale

11 53 & ' 1

12
11 192 1 = 8 (3.44)
11 2 1

6 12 2
da cui risulta 1 = 97/517 e 2 = 24/141. Il risultato di seconda approssimazio-
ne dunque:
291 + 264x
u (2) = x(1 x)
1151
Nella figura 3.4 sono riportati, a confronto con la soluzione esatta u 0 , i grafi-
ci delle due soluzioni e dei rispettivi residui. Si noti che il residuo R (1) ha media
nulla su tutto il dominio, mentre R (2) ha media nulla anche su (0, 1/2)

3.3.3 Metodo di Galerkin


Dato il problema differenziale

L(u 0 ) = b, in

con condizioni al contorno omogenee, scelta una funzione approssimante


(
u = k k
k

con il metodo di G ALERKIN, il residuo R = L(u) b viene minimizzato utiliz-


zando come funzione peso una funzione ottenuta come combinazione lineare
delle stesse funzioni base: (
w = k k
k
La condizione !
R, w = R wd = 0

3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 47

Figura 3.4: Metodo di collocazione a sottodomini.

fornisce, nel caso in cui L sia lineare, un sistema di equazioni lineari per deter-
minare i coefficienti k . La funzione peso di Galerkin pu essere interpretata
come variazione prima della funzione incognita, con k = k :

w = u = 1 1 + 2 2 + + n n

La condizione sul residuo assume la forma:


! ! ! !
R wd = R1 1 d + R2 2 d + + Rn n d = 0

e quindi, stante larbitrariet dei coefficienti k , scegliendo ad esempio 1 = 1


e k = 0, k $= 1 risulta: !
R1 d = 0

oppure, assumendo 2 = 1 e k = 0, k $= 2:
!
R2 d = 0

Queste equazioni costituiscono un sistema lineare per determinare i coefficien-


ti k dellapprossimazione cercata
48 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Esempio 3.6
Risolvere, mediante unapprossimazione polinomiale di terzo grado e il meto-
do di Galerkin, il seguente problema a valori al contorno:

d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.45)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.46)
u|x=1 = 0 (3.47)

Il polinomio che approssima la soluzione e la funzione peso sono rispetti-


vamente
u = x(1 x)(1 + 2 x) = 1 x(1 x) + 2 x 2 (1 x)
w = x(1 x)(1 + 2x) = 1 x(1 x) + 2 x 2 (1 x)
Si scrivono quindi le equazioni:
2 3
3 R1 d = 0
R2 d = 0

dove le funzioni base sono:

1 = x(1 x), 2 = x 2 (1 x)

e il residuo lo stesso ricavato negli esempi precedenti e risulta:

d2 u * + * +
R= 2
+ u + x = 2 + x x 2 1 + 2 6x + x 2 x 3 2 + x
dx
Dopo le sostituzioni e le integrazioni si ottiene il sistema simmetrico:

3 3 & ' 1
10 20 1 12
3 13 2 = 1 (3.48)

20 105 20
da cui risulta 1 = 71/369 e 2 = 7/41. Infine, le espressioni della soluzione
approssimata e del residuo sono:
71 + 63x
u= x(1 x)
369
16 62x 8x 2 63x 3
R=
369
Nel grafico della figura 3.5 sono riportate le soluzioni esatta u 0 e approssi-
mata u, con landamento dellerrore R.
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 49

Figura 3.5: Grafici della soluzione esatta e approssimata del problema descritto
nellesempio 3.6.

3.3.4 Formulazioni deboli


Si consideri il problema seguente: trovare la funzione u tale che

d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.49)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.50)
u|x=1 = 0 (3.51)

Se denotiamo con H0 la classe delle funzioni u che soddisfano le condi-


zioni al contorno essenziali (omogenee) sopra indicate, dotate di sufficiente
regolarit, lo stesso problema si pu porre nella forma integrale seguente:
Determinare la funzione u H0 tale che
!1 $ %
d2 u
+ u + x wdx = 0, w H0 (3.52)
0 dx 2

Naturalmente, perch abbia senso tale formulazione, la funzione incognita


u, in quanto al requisito di regolarit, deve avere una derivata seconda alme-
no continua a tratti, mentre per w ci non necessario. Deve per risultare
integrabile il loro prodotto. La funzione u pu appartenere, in generale, a una
classe di funzioni H diversa da H
A partire dalla formulazione precedente possibile, mediante integrazione
per parti, arrivare a unespressione ove gli operatori su w e u siano dello stesso
50 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

tipo:
!1 $ %
du du
uw xw dx = 0, w H01 (3.53)
0 dx dx

dove H01 indica la classe delle funzioni derivabili che soddisfano la condizioni
al contorno del problema, che siano dotate della sufficiente regolarit: questa
una formulazione debole del problema.
Il tema generale della regolarit delle funzioni esula dagli argomenti qui
trattati e viene convenientemente trattata ricorrendo alle propriet degli spazi
di S OBOLEV; per quanto riguarda la comprensione di quanto segue, basti no-
tare che entrambe le funzioni u e w devono essere a derivata prima quadrato-
integrabile, in modo da garantire lesistenza dellintegrale quando, per esem-
pio, si assuma (Galerkin):

u = 1 1 + 2 2 + (3.54)
w = 1 1 + 2 2 + (3.55)
(3.56)

Le funzioni base k devono quindi avere derivata prima quadrato-integrabile.


Per definizione, una funzione f (x) si dice quadrato-integrabile, e si scrive
f (x) H 0 se
!
f 2 (x)dx <

mentre f (x) a derivata prima quadrato-integrabile, cio f (x) H 1 se:

!& $ %2 '
2 d f (x)
f (x) + dx <
dx

Nella figura 3.6 sono riportati i grafici di funzioni con diversa regolarit nei con-
fronti dellintegrazione. La funzione riportata nella parte sinistra della figura
appartiene a H 0 , ed meno regolare rispetto a quella di destra, che, invece,
appartiene a H 1 (avendo la derivata, a sua volta, in H 0 ).
Mediante una formulazione debole si possono affrontare anche problemi le
cui condizioni al contorno siano di tipo naturale, le quali possono essere soddi-
sfatte anche in modo approssimato, come dimostrato nellesempio seguente.

Esempio 3.7
Si consideri un problema in cui si pone una condizione alla derivata prima di u
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 51

Figura 3.6: Classi di regolarit di funzioni: funzione quadrato-integrabile (a),


funzione a derivata prima quadrato integrabile (b).

allestremo destro dellintervallo:


d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.57)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.58)
4
du 44
= q (3.59)
dx 4 x=1

la cui soluzione esatta


1 + q
u = x +
sen x cos 1
Vediamo dapprima il caso in cui entrambe le condizioni suddette siano
verificate dalla funzione approssimante, scegliendo una forma

u = 1 + 2 x + 3 x 2

Imponendo le due condizioni, la soluzione approssimata si pu esprimere in


funzione di un solo parametro = 3 :

u = q x 2x + x 2

Assumendo un peso alla Galerkin, che soddisfi le condizioni essenziali omo-


genee si ha:
w = 2x + x 2
Lespressione del residuo pesato :
!1 !1
* +* +
R wdx = 2 + q x 2x + x 2 + x 2x + x 2 dx = 0
0 0
52 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

da cui, stante larbitrariet di , si ottiene


25
= (q + 1)
48
La funzione approssimante risulta, infine:
25
u = q x (q + 1)(x 2 2x)
48
La formulazione debole del problema si ottiene a partire da unespressione
del residuo pesato che tenga conto anche dellapprossimazione delle condizio-
ni al contorno naturali
!1 & 2 ' &$ % '
d u du
+ (u + x) wdx = q w (3.60)
0 dx 2 dx x=1
In questo modo, infatti, integrando per parti si ottiene la scrittura:
!1 & '
du dw " #
(u + x)w dx = q w x=1 (3.61)
0 dx dx
ove possibile imporre il valore di q dettato dalla condizione al contorno.
Assumiamo ora una funzione approssimata che non soddisfa la condizione
naturale in x = 1, e un peso di Galerkin:
u = 1 x 2 + 2 x
w = 1 x 2 + 2 x
Derivando e sostituendo si ottiene:
!1
" * + * +* +# * +
(21 x + 2 ) 21 x + 2 1 x 2 + 2 x + x 1 x 2 + 2 x dx = q 1 + 2
0
Con la consueta procedura di scelta arbitraria dei coefficienti k si ottiene quin-
di il sistema: & 17 3 ' & ' & '
15 4 1 q + 14
3 2 = (3.62)
4 3
2 q + 31
le cui soluzioni sono:
60
1 = (1 + q) (3.63)
139
1
2 = (137 + 276q) (3.64)
139
La condizione al contorno naturale solo approssimata, infatti, come si
pu verificare, la derivata della soluzione approssimata nel punto x = 1 non
coincide con q, ma risulta
4
4 du 44 1
4
q x=1 = = (17 + 156q)
dx 4 139
x=1
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 53

Figura 3.7: Grafico delle soluzioni: esatta, u 0 , approssimata con condizione


naturale esatta, u 1 e approssimata, u 2 .

3.3.5 Formulazioni inverse


Attraverso unulteriore integrazione per parti della formulazione integrale del
problema in esame, possibile, nel caso dei problemi del secondo ordine, ribal-
tare i ruoli della funzione approssimante e della funzione peso. Tale procedura
porta cos alla cosiddetta formulazione inversa.
Consideriamo ancora il problema

d2 u
+ u + x = 0, 0<x <1 (3.65)
dx 2
u|x=0 = 0 (3.66)
u|x=1 = 0 (3.67)

Supponendo di commettere errori nellapprossimazione di entrambi i tipi di


condizioni, lespressione dei residui si pu scrivere:
!1 & 2 ' &$ %'1 & '
d u du dw 1
+ (u + x) wdx q + (u u) =0 (3.68)
0 dx 2 dx 0 dx 0
Integrando per parti due volte si ottiene la cosiddetta formulazione inversa:
!1 & 2 ' !1 & '
d w 1 dw 1
+ w udx + xwdx + [q w]0 u =0 (3.69)
0 dx 2 0 dx 0
Si pu trarre partito da questa formulazione, se si riesce a determinare una
funzione peso tale da rendere nullo lintegrando del primo integrale dellequa-
zione (3.69). Questa scelta porta al metodo di T REFFTZ, applicato nellesempio
seguente.
54 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Esempio 3.8
Determinare, mediante il metodo di Trefftz, una soluzione approssimata della
formulazione inversa
!1 & ' !1 & '
d2 w 1 dw 1
+ w udx + xwdx + [q w]0 u =0 (3.70)
0 dx 2 0 dx 0

In via preliminare, si deve determinare la funzione peso che permette di


annullare il primo integrale, cio la soluzione del problema

d2 w
+w =0
dx 2

La soluzione dellequazione differenziale fornisce

w = 1 cos x + 2 sen x (3.71)


dw
= 1 sen x + 2 cos x (3.72)
dx

Sostituendo tali espressioni nella forma inversa si ricava:


!1
xwdx + [q w]10 = 0 (3.73)
0

nella quale le incognite sono i valori delle derivate q 0 , q 1 nei punti x = 0 e x = 1,


rispettivamente. Operando le sostituzioni si ottiene:
!1
* + * +
x 1 cos x + 2 sen x dx + q 1 1 cos 1 + 2 sen 1 q 0 1 = 0 (3.74)
0

Data larbitrariet di 1 e 2 , si perviene alle equazioni:


!1
x cos xdx = (q 1 cos 1 + q 0 ) (3.75)
0
!1
x sen xdx = q 1 sen 1 (3.76)
0

che forniscono i risultati (esatti in questo caso):

1 cos 1
q0 = , q1 = 1
sen 1 sen 1
3.3 METODI DEI RESIDUI PESATI 55

La formulazione inversa consente anche limpiego delle cosiddette solu-


zioni fondamentali che rappresentano la risposta del sistema a sollecitazioni
singolari.
Nel caso dei problemi elastici, ad esempio, tali soluzioni sono i campi di
spostamento generati nel corpo da forze concentrate applicate sul contorno o
allinterno del dominio. Qualora queste soluzioni siano note in forma chiu-
sa, possibile costruire una procedura di soluzione efficace, come descritto
nellesempio seguente.

Esempio 3.9
Riprendiamo il problema in forma integrale inversa:
!1 & 2 ' !1 & '
d w 1 dw 1
+ w udx + xwdx + [q w]0 u =0 (3.77)
0 dx 2 0 dx 0
a cui associamo condizioni al contorno essenziali omogenee.
Consideriamo il termine tra parentesi quadre del primo integrale: diremo
soluzione fondamentale la funzione w soluzione dellequazione:
d2 w
+ w = (x i ) (3.78)
dx 2
Sfruttando le propriet della delta di Dirac possibile scrivere le condizio-
ni necessarie a determinare lapprossimazione. Sostituendo leq. (3.78) nelle-
spressione precedente, oltre alle condizioni omogenee si ha
!1 & 2 ' !1
d w
+ w udx = (x )udx (3.79)
0 dx 2 0
Ricordando poi la propriet della delta di Dirac:
!1
(x i )udx = u(i ) (3.80)
0
si ricavano le equazioni per le incognite q 0 e q 1 :
!1
u() + xw dx + [q w ]10 = 0 (3.81)
0
La soluzione fondamentale, cio la soluzione dellequazione :(3.78) si trova
in letteratura, ed
1
w = sen |x i |
2
sostituendola nellespressione precedente, scegliendo 1 = 0 e 2 = 1 si ricavano
nuovamente i valori esatti delle derivate:
1 cos 1
q0 = , q1 = 1
sen 1 sen 1
56 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

3.4 Il metodo degli elementi finiti: il punto di vista


matematico
A completamento della carrellata sui metodi di soluzione approssimata dei pro-
blemi a valori al contorno, in questa sezione si vuole offrire uno spunto rivolto a
inquadrare i capitoli successivi, di orientamento pi spiccatamente meccanico,
nel contesto delle idee e delle tecniche fin qui accennate.
Si intende mostrare come le diverse formulazioni possibili per lapprossi-
mazione dei problemi forniscano, sotto certe condizioni, la stessa soluzione.
In particolare, osserveremo che il principio dei lavori virtuali non altro che
una conveniente e familiare via per porre i problemi meccanici in una forma
particolarmente adatta alla soluzione approssimata e quindi tale approccio sa-
r, come vedremo, alla base delle tecniche numeriche di analisi strutturale che
vanno sotto il nome di Metodo degli Elementi Finiti.

3.4.1 Equivalenza delle formulazioni


Consideriamo come esempio il sistema meccanico costituito da una barra ret-
tilinea, vincolata ad un estremo, caricata assialmente mediante un carico di-
stribuito f B e un carico concentrato allestremo libero R. Siano, inoltre, asse-
gnati il modulo di Young E , larea della sezione retta A, la legge di distribuzione
del carico f B (x) = ax. Lincognita del problema, ovvero la variabile di stato,
lo spostamento assiale u(x). Vedremo ora come il problema possa essere ana-
lizzato in forma differenziale oppure integrale in forma debole (o variazionale)
e come questultimo approccio sia equivalente allapplicazione del principio
degli spostamenti virtuali.

Formulazione differenziale. si scrive lequazione indefinita di equilibrio, vali-

Figura 3.8: Esempio affrontato con diversi metodi di soluzione del problema.
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 57

da in ogni punto della trave, associata alle sue condizioni al contorno:




d2 u

E A + ax = 0, 0 < x < L ,

dx 2
u|x=0 = 0 ,

4

du 44

EA =R .
dx 4 x=H

Lequazione differenziale viene, come noto, determinata studiando le-


quilibrio di un elemento infinitesimo di trave e vale in tutti i punti interni
del dominio. Ad essa si aggiungono le condizioni al contorno, rispettiva-
mente essenziale, per x = 0, e naturale, per x = L.
La soluzione del problema fornisce la soluzione esatta
& $ 3% $ % '
1 ax aL 2
u(x) = + R+ x
EA 6 2

Si pu notare che la funzione u continua e derivabile due volte con


continuit, come richiesto dallequazione differenziale. Assegnato il ca-
rico f B = ax, u appartiene quindi allo spazio delle funzioni continue e
derivabili due volte che soddisfano le condizioni al contorno.

Formulazione variazionale. Il potenziale totale si ottiene come somma del ter-


mine relativo allenergia di deformazione:
! $ %2
1 L du
U= EA dx
2 0 dx
con quello del potenziale del carico:
!L
V = uaxdx + Ru|x=L
0

Per cui il potenziale totale risulta:


! $ %2 !L
1 L du
= U V = U = EA dx uaxdx + Ru|x=L
2 0 dx 0

Si impone ora la stazionariet del potenziale totale sotto condizione di


rispetto delle condizioni essenziali per la funzione e per la sua variazione.

= 0
u|x=0 = 0 ,
u|x=0 = 0 .
58 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

si noti che la variazione u deve, in generale, soddisfare una versione


omogenea delle condizioni essenziali (cio u = 0), in quanto laddove
la funzione u ha un valore imposto, la sua variazione deve essere nulla.
In questo caso, essendo omogenee le condizioni essenziali per la u, le
condizioni della variazione u coincidono con quelle della funzione.
Integrando per parti lequazione = 0 e imponendo le condizioni al
contorno naturali ed essenziali, seguendo un procedimento simile a quel-
lo illustrato dettagliatamente nellEsempio XX, si ottiene la formulazio-
ne differenziale del problema illustrata al paragrafo precedente. Dopo le
opportune integrazioni si perviene alla scrittura
!L $ % &$ % '
d2 u du
E A 2 + ax udx + R E A u =0 (3.82)
0 dx dx x=L

da cui, scegliendo le opportune variazioni arbitrarie, si ottengono lequa-


zione differenziale di campo e la condizione al contorno naturale.
La formulazione variazionale, quindi, si pu ricondurre a quella differen-
ziale. Esse sono esattamente equivalenti se i dati sono sufficientemente
regolari entrambe, quindi, hanno la stessa soluzione esatta.

Principio dei lavori virtuali Lapplicazione del PLV al caso in esame consente
di scrivere luguaglianza tra il lavoro virtuale interno, associato allo sfor-
zo normale N (x) e quello esterno compiuto dalle forze di volume f B e
allestremo libero R:
!L !L
N %dx = f B udx + R u|x=L (3.83)
0 0

dove con u e % sono indicati rispettivamente gli spostamenti virtuali e le


deformazioni virtuali da essi derivate mediante le equazioni cinematiche.
Tramite lequazione costitutiva elastico-lineare si pu esprimere lo sfor-
zo normale in funzione della deformazione reale: N = E A% = E Adu/dx,
ottenendo la scrittura:
!L !L
du du
EA dx = f B udx + R u|x=L (3.84)
0 dx dx 0

Integrando per parti lintegrale a primo membro, si ricava


& ' !L !L
du L d2 u
EA u E A 2 udx = f B udx + R u|x=L (3.85)
dx 0 0 dx 0
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 59

e, raccogliendo e riordinando i termini, ponendo anche f B = ax e tenen-


do conto che, per x = 0 deve essere u = 0, si ottiene
!L $ % &$ % '
d2 u du
E A 2 + ax udx + R E A u =0 (3.86)
0 dx dx x=L

immediato riconoscere lequivalenza tra questa espressione e la (3.82),


interpretando il campo degli spostamenti virtuali u(x) come variazione
u(x) degli spostamenti reali u(x).

A commento di quanto trovato si possono svolgere le seguenti osservazioni:

le tre formulazioni descritte sono totalmente ed esattamente equivalenti.

La soluzione trovata lunica soluzione del problema.

Se si adotta un approccio variazionale si procede attraverso una formula-


zione debole che richiede solo la derivabilit al primo ordine della fun-
zione incognita e della sua variazione, quindi possibile ottenere so-
luzioni in una classe di funzioni pi ampia di quella necessaria per la
formulazione differenziale.

Il principio degli spostamenti virtuali (detto anche dei lavori virtuali) per-
mette di tener conto di singolarit presenti nel problema, come carichi
concentrati o discontinuit del materiale, dove la derivata prima di u
discontinua e la formulazione differenziale cade in difetto.

La soluzione di un problema meccanico mediante metodi di approssi-


mazione viene riportata a una formulazione debole alla Galerkin

La scelta delle funzioni base come funzioni definite su sotto-domini por-


ta al FEM.

In modo pi astratto e generale, detto V lo spazio vettoriale di funzioni nel


quale ricercare la soluzione (dette trial functions), che sar meglio precisato nel
seguito, il problema variazionale si pu porre nella forma:
trovare u V , tale che

a(u, w) = f , w, w V (3.87)

dove: a(u, w) la forma bilineare del problema che, nel caso specifico qui in
esame diventa: !L
du dw
a(u, w) = EA dx (3.88)
0 dx dx
60 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

mentre f , w la forma lineare del problema che assume nel caso particolare
qui esaminato, lespressione:
!L
f , w = f B wdx + R w|x=L (3.89)
0

Si noti che lequazione (3.87) deve valere per ogni funzione w (dette test func-
tions), appartenente a un opportuno spazio vettoriale V , che in generale, ma
non necessariamente, pu essere diverso da V e la cui scelta caratterizza i di-
versi metodi di soluzione approssimata.
La scelta dello spazio V delle funzioni ammissibili deve essere fatta com-
prendendo in esso le funzioni che soddisfano le condizioni al contorno essen-
ziali. Inoltre, tali funzioni devono possedere una regolarit sufficiente a ga-
rantire lesistenza delle derivate coinvolte nella formulazione variazionale del
problema (3.87). Altro requisito molto importante, che coinvolge anche la re-
golarit delle funzioni test, che gli integrali definiti devono dare un valore
finito.

3.4.2 Formulazione di Galerkin


Prendiamo come esempio lespressione in forma debole del problema varia-
zionale seguente
!L $ %
du dw
uw xw dx = 0, w H01
0 dx dx
dove H01 indica la classe delle funzioni ammissibili con dominio =]0, 1[ che
soddisfano le condizioni al contorno essenziali omogenee.
Lo spazio H01 uno spazio vettoriale normato. un esempio degli spazi di
S OBOLEV (il cui studio esula i contenuti qui trattati, ma che risulta fondamenta-
le nellanalisi funzionale). Nella notazione H01 , il pedice 0 indica che le funzioni
sono nulle agli estremi, mentre lapice 1 significa che il quadrato della derivata
prima possiede un integrale finito se calcolato sul dominio .
Lo spazio H01 ha dimensione infinita, vale a dire che non esiste un insieme
finito di funzioni base la cui combinazione lineare permetta di esprimere una
qualsiasi funzione dello spazio. Supponiamo per che sia possibile rappresen-
tare ogni funzione w mediante una combinazione lineare di funzioni ,i , fra
loro indipendenti, appartenenti allinsieme i delle funzioni base di H01 .

(
w(x) = i i (x) .
i =1

In generale si suppone che una data funzione w si possa approssimare be-


ne quanto si voglia prendendo un numero sufficientemente grande di funzioni
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 61

base. Prendendo solo N termini della serie, si introduce unapprossimazione


w N di w:
N
(
w N (x) = i i (x) .
i =1

Le N funzioni base {1 . . . N } definiscono un sottospazio N-dimensionale di


H01 , detto H0(N ) . Per definizione di sottospazio di uno spazio lineare, ogni fun-
zione in H0(N ) combinazione lineare delle N funzioni base. Ad esempio, la
terna {1 2 3 } la base di H0(3) e ogni funzione appartenente a H0(3) si pu
esprimere nella forma

w 3 (x) = 1 1 (x) + 2 2 (x) + 3 3 (x) .

Il metodo di G ALERKIN ricerca le soluzioni approssimate al problema ac-


contentandosi di muoversi solamente nel sottospazio H0N , assumendo come
approssimazione lespressione

N
(
u N (x) = i i (x) ,
i =1

cio usando per lapprossimazione la stessa base utilizzata per definire la fun-
zione test, w. Ne deriva il problema debole approssimato
!L $ %
du N dw N
u N w N xw N dx = 0, w N H0(N ) .
0 dx dx

Poich le i sono note, u N risulter noto una volta determinati i parame-


tri i (gradi di libert). Introducendo nellespressione precedente le funzioni
u N (x) e w N (x) si ottiene:
!L 9 :
N
; :
N
; :
N
;:
N
;
d ( d ( ( (
i i (x) i i (x) i i (x) i i (x)
0 dx i =1 dx i =1 i =1 i =1
: ;< (3.90)
N
(
x i i (x) dx = 0, i , i = 1, . . . , N .
i =1

Ponendo , (x) = d(x)/dx e riordinando, mettendo in evidenza i coeffi-


cienti arbitrari i , si ottiene:
= 2!
(N ( N 1> ? @
, ,
i i (x) j (x) i (x) j (x) dx j
i =1 i =1 0
! % (3.91)
1
xi (x)dx = 0, i , i = 1, 2, . . . , N .
0
62 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Ponendo poi:
!1 > ?
Ki j = ,i (x),j (x) i (x) j (x) dx , (3.92)
0
!1
Fi = xi (x)dx , (3.93)
0

lespressione precedente assume la forma pi compatta


= A
N
( N
(
i K i j j F i = 0, i , i = 1, . . . , N (3.94)
i =1 i =1

che rappresenta lespressione discretizzata del problema variazionale .


A questo punto, si pu osservare che lespressione (3.94) deve essere co-
munque soddisfatta, per qualsiasi scelta dei i parametri i che, ricordiamo,
precisano le funzioni peso in H0N . Seguendo questa osservazione, si vede che
tale equazione permette di scrivere N condizioni per le incognite j . Si scelga,
ad esempio, la particolare ennupla di coefficienti:

1 = 1, 2 = 0, 3 = 0, . . . , N = 0 .

Sostituendo questi valori nella (3.94) si ottiene:


N
(
K 1 j j = F1
i =1

Analogamente, usando ennuple di coefficienti tutti nulli tranne uno, si ri-


cavano N equazioni, in sintesi:
N
(
1 = 1, i = 0 per i $= 1 = K 1 j j = F1 ,
i =1
( N
2 = 1, i = 0 per i $= 2 = K 2 j j = F2 ,
i =1

N
(
N = 1, i = 0 per i $= N = K N j j = FN .
i =1

Le N equazioni concorrono a formare infine il sistema lineare:


N
(
K i j j = Fi , i = 1, . . . , N (3.95)
i =1

I coefficienti K i j costituiscono la matrice di rigidezza del problema:

K = [K i j ]
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 63

Come si pu facilmente osservare, tale matrice simmetrica (scambiando i e j


il risultato non cambia):
!1 > ?
Ki j = K j i = ,i (x),j (x) i (x) j (x) dx ,
0

e risulta anche invertibile, poich le funzioni ,i sono state scelte linearmente


indipendenti e quindi risultano indipendenti anche le equazioni).
I termini F i sono gli elementi del vettore dei carichi:

F = [F i ]

La soluzione del sistema (3.95) fornisce i coefficienti j che definiscono la


soluzione approssimata u N (x):
N
(
j = (K 1 )i j F i
i =1

dove(K 1 )i j sono gli elementi dellinversa di K (cio della matrice K1 tale che
K1 K = I, dove I la matrice identit).

3.4.3 Il metodo degli elementi finiti


Il metodo di Galerkin consente di calcolare i coefficienti della soluzione appros-
simata una volta che siano state fissate le funzioni base, ma non fornisce alcuna
indicazione per la scelta di una base di funzioni appropriata. Daltro canto la
bont dellapprossimazione dipende fortemente dalle propriet delle funzioni
base e una scelta cattiva pu portare a una matrice di rigidezza mal condizio-
nata con conseguenti difficolt nella soluzione del sistema lineare. Inoltre, par-
ticolarmente nel caso di problemi al contorno a due o tre dimensioni difficile
trovare funzioni base che rispettino le condizioni al contorno in domini con
geometria complicata.
Il Metodo degli Elementi Finiti (FEM) fornisce una tecnica generale per co-
struire funzioni base per lapplicazione del metodo di Galerkin alla soluzione
approssimata di problemi al contorno. Le i vengono definite a tratti su regio-
ni del dominio dette elementi finiti e su ogni elemento si sceglie per le i un
andamento molto semplice, ad esempio polinomiale.
Si consideri, ad esempio, una suddivisione del dominio =]0, 1[ in quattro
elementi i , i = 1, 2, 3, 4 (Figura 3.9). La lunghezza di ogni elemento sia h i = h,
scelta costante per semplicit. Gli estremi degli elementi prendono il nome
di nodi. Gli estremi degli elementi prendono il nome di nodi o punti nodali.
Linsieme di nodi ed elementi si dice mesh di elementi finiti.
Le funzioni base del metodo degli elementi finiti sono scelte in modo da
soddisfare tre criteri:
64 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Figura 3.9: Mesh di elementi finiti per un problema monodimensionale.

1. sono generate da funzioni semplici definite a tratti, cio elemento per


elemento;

2. sono abbastanza regolari da consentire lintegrabilit dei prodotti delle


derivate e devono soddisfare la versione omogenea delle condizioni al
contorno essenziali;

3. sono scelte in modo che i parametri i ai che definiscono la soluzione


approssimata u N (x) siano proprio i valori di u N calcolati nei nodi.

Lesempio pi semplice si basa su funzioni base lineari a tratti con valo-


re unitario in un nodo e nullo in tutti gli altri, i cui grafici sono illustrati nella
Figura 3.10.
Le funzioni 1 , 2 , 3 prescelte soddisfano il primo criterio in quanto, allin-
terno di ciascun elemento, si tratta di polinomi di primo grado o di grado zero
(costanti). Lespressione analitica delle funzioni base si ricava per interpolazio-
ne lineare nei tratti [i 1, i ,] e [i , i + 1,].


0 per x x i 1

x x i 1

per x i 1 x x i
i (x) = hi
x i +1 x

per x i x x i +1

h i +1

0 per x x i +1

dove h i = x i x i 1 la lunghezza dellelemento i .


Per quanto riguarda la classe di integrabilit delle funzioni base, si pu ve-
rificare che esse appartengono allo spazio delle funzioni la cui derivata prima
quadrato-integrabile, e hanno valore nullo agli estremi del dominio, ovvero
appartengono a H01 .
Come ovvio, le i si annullano, come richiesto, agli estremi dellintervallo,
cio per x = 0 e x = 1, per costruzione. Pi delicata la verifica del rispetto
delle condizioni di regolarit, cio che le i e le loro derivate ,i siano quadrato-
integrabili.
3.4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI: IL PUNTO DI VISTA MATEMATICO 65

Figura 3.10: Funzioni base per la discretizzazione del problema monodimen-


sionale.

Per quanto riguarda le i come si pu facilmente verificare applicando ad


esempio la regola di Simpson:
!1 !x i & '2 !x i & '2
" #2 x x i 1 x i +1 x
i (x) dx = dx + dx
0 x i 1 hi x i 1 h i +1
h i + h i +1
= <
3

Per quanto concerne, invece, le derivate ,i , il punto delicato della questio-


ne la presenza della discontinuit angolare in x = x i , dove la derivata prima
non definita (si veda la Figura 3.11).
Le derivate prime delle funzioni base risultano:


0 per x < x i 1

1


per x i 1 < x < x i
i (x) = hi
1

per x i < x < x i +1

h i +1


0 per x > x i +1
66 3 SOLUZIONE APPROSSIMATA DI PROBLEMI AL CONTORNO

Figura 3.11: Integrabilit delle derivate delle funzioni di interpolazione.

Si verifica per facilmente che la funzione 2i integrabile:


!1 !xi & '2 !x i & '
" , #2 1 1 2
i (x) dx = dx + dx
0 x i 1 h i x i 1 h i +1
1 1
= + <
h i h i +1
Passando infine al terzo criterio, verifichiamo che i parametri dellappros-
simazione corrispondono ai valori nodali della variabile incognita, cio i =
u N (x i ). A questo fine, basta notare che Si osservi che, posto u j = u N (x j ), si ha:
N
(
u j = u N (x j ) = i i (x j ) = 1 0 + + j 1 + + N 0 = j
i =1

e quindi i coefficienti della combinazione lineare i coincidono con i valori no-


dali u i della funzione incognita, e quindi questultima si pu esprimere come
interpolazione fra i valori nodali:
N
( N
(
u N (x j ) = i i (x j ) = u i i (x j )
i =1 i =1
Capitolo 4

Il metodo degli elementi finiti

4.1 Introduzione

4.2 Discretizzazione delle equazioni di equilibrio


Consideriamo un corpo continuo che occupa il dominio di uno spazio eucli-
deo tridimensionale, ove fissato un sistema di riferimento cartesiano OX Y Z
(Figura 4.1). La frontiera del corpo suddivisa in due parti: u , ove sono
imposti gli spostamenti dei punti, e f , sulla quale sono applicate forze di su-
perficie note, f. La trattazione che segue, basata sullapplicazione del principio
dei lavori virtuali, consente di introdurre, oltre a forze distribuite nel volume, b,
anche lazione di forze concentrate in alcuni punti del corpo, Fi .
Obiettivo dellanalisi descrivere il problema della ricerca della configura-
zione assunta dal corpo, definita attraverso il campo vettoriale dello sposta-
mento, U(X , Y , Z ):
U (X , Y , Z )
U = V (X , Y , Z ) .
W (X , Y , Z )
Come noto, il campo delle deformazioni infinitesime pu essere descritto
tramite le componenti rispetto al sistema OX Y Z raccolte nel vettore !(X , Y , Z ):

!X X
!
YY

!Z Z
!= .
X Y

Y Z
Z X

La relazione differenziale tra il vettore spostamento e vettore deformazione si

67
68 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Figura 4.1: Il corpo solido in equilibrio.

pu esplicitare introducendo loperatore




X 0 0


0 0
Y

0 0

=
Z ,

0
Y X


0
Z Y

0
Z X
per cui, in forma compatta:

!(X , Y , Z ) = U(X , Y , Z ). (4.1)

Lo stato di tensione viene, analogamente, descritto dal vettore delle com-


ponenti di tensione (X , Y , Z ):

X X

YY

Z Z
= .
X Y

Y Z
Z X
4.2 DISCRETIZZAZIONE DELLE EQUAZIONI DI EQUILIBRIO 69

Con queste notazioni, le equazioni indefinite di equilibrio si scrivono, in


forma simbolica:

T + b = 0, in , (4.2)
T
N f = 0, su f , (4.3)

dove si introdotta la matrice contenente i coseni direttori del versore normale


uscente da f , n = [n X , n Y , n Z ]T :

nX 0 0
0 nY 0


0 0 nZ
N =
n Y nX 0

0 nZ nY
nZ 0 nX

Per giungere a una formulazione debole del problema, si pu applicare il


principio dei lavori virtuali al sistema equilibrato di forze-tensioni. noto, in-
fatti, che, in tali condizioni, il lavoro virtuale delle forze applicate al corpo deve
eguagliare il lavoro virtuale delle tensioni, per qualsiasi sistema di spostamenti-
deformazioni, purch compatibile con i vincoli e con le condizioni di congruen-
za imposte dalla continuit del corpo. Indicati quindi con U(X , Y , Z ) il campo
di spostamenti virtuali e con ! (X , Y , Z ) quello delle corrispondenti deformazio-
ni virtuali, dovr risultare:
' ' ' n
(
T T
! d = U bd + UT fd + Ui T Fi (4.4)
f i

Si osservi che lintegrale relativo al lavoro virtuale delle forze di superficie si


estende alla sola parte f della frontiera del corpo, in quanto sulla restante par-
te u gli spostamenti virtuali, dovendo rispettare la condizione al contorno es-
senziale, sono nulli e, conseguentemente, su tale dominio lintegrando UT f
pari a zero.
Sfruttando la propriet additiva degli integrali possibile suddividere i do-
mini di integrazione indicati nelleq.(4.4) in regioni di forma poligonale, k , k =
1, . . . m dette elementi, i cui vertici sono detti nodi o punti nodali. In ciascun
elemento, inoltre, pu essere conveniente introdurre un sistema di riferimento
locale ox y z, rispetto al quale definire le diverse funzioni coinvolte. Ad esempio,
con b(m) sar indicata la forza volumica agente sullelemento m, espressa nel
suo sistema di riferimento locale, mentre la funzione spostamento, sempre nel
riferimento locale, sar indicata con u(m) .
70 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Figura 4.2: Suddivisione del corpo in elementi.

Supponendo, per semplicit, che la frontiera del corpo sia poligonale,1 e


che le forze concentrate siano applicate nei nodi del reticolo, lespressione del
principio dei lavori virtuali diventa:
ne '
(
! (m)T (m) d(m) =
m (m)
(4.5)
(e '
n
(m)T (m) (m)
ne '
( T (m) (m)
n
( iT i
u b d + u f d + u F
m (m) m (m) (m)
1 ,...,q i

dove lintegrale di superficie comprende le facce (m)


i
, i = 1, . . . , q dellelemento
m che appartengano eventualmente a f .
A questo punto si introduce il concetto pi importante della formulazione
a elementi finiti: si esprime la funzione incognita spostamento u(m) , elemen-
to per elemento, mediante unapprossimazione: scelte opportune funzioni di
interpolazione H(m) (x, y, z) si scrive:

u(m) (x, y, z) = H(m) (x, y, z)U (4.6)

dove il vettore U raccoglie gli spostamenti nodali del sistema, cio tutte le com-
ponenti di spostamento dei nodi, espresse nel riferimento globale OX Y Z :

U = [U1V1W1 . . .U N VN WN ]T = [U1U2 . . .U3N ]T


1
In caso contrario lunione degli elementi finiti lascia fuori una parte del dominio (v.
Figura 4.2), che si potrebbe fare tendere a zero infittendo opportunamente la suddivisione.
4.2 DISCRETIZZAZIONE DELLE EQUAZIONI DI EQUILIBRIO 71

avendo indicato con N il numero di nodi della discretizzazione.


Il campo di deformazione approssimato si ottiene per derivazione del cam-
po di spostamento approssimato !(m) (x, y, z) = u(m) (x, y, z) per cui, sfruttando
leq.(4.6) si ha:

!(m) (x, y, z) = H(m) (x, y, z)U = B(m) (x, y, z)U (4.7)

dove si introdotta la matrice B(m) = H(m) che contiene le derivate delle fun-
zioni di interpolazione dellelemento m. Si noti che tali derivate sono fatte
rispetto alle coordinate del sistema di riferimento globale OX Y Z , in quan-
to le componenti di deformazione contenute nel vettore !(m) sono espresse
in tale riferimento. Adottando per gli spostamenti e le deformazioni virtua-
li le stesse interpolazioni impiegate per gli spostamenti reali, eq.(4.6), e per le
deformazioni reali, eq.(4.7), sostituendo tali relazioni nelleq.(4.5) si ottiene:

ne '
( T B(m)T (m) d(m) =
U
m (m)
ne ' ne ' (4.8)
( T H(m)T b(m) d(m) + ( T H(m)T f(m) d(m) + U
T Fi
U U
m (m) m (m) (m)
1 ,...,q

Leq.(4.8) contiene il campo delle tensioni negli elementi, (m) , ancora da


determinare; scopo di questa trattazione istituire un problema in cui linco-
gnita sia il campo degli spostamenti o meglio, trattandosi di un procedimento
di discretizzazione, il vettore degli spostamenti nodali. A questo scopo ne-
cessario eliminare il riferimento alla tensione (m) a favore di una presentazio-
ne del problema appunto in termini di spostamento. Perci si deve assumere
un legame costitutivo, cio una legge che metta in relazione le tensioni con le
corrispondenti deformazioni.
Per rimanere nellambito di una trattazione lineare, ipotizziamo che tale le-
game costitutivo sia rappresentato dalla legge di Hooke. Assumiamo cio che
si possa scrivere:
(m) = C(m) !(m) + I (m) (4.9)

dove si introdotta la matrice costitutiva C(m) dellelemento, mentre I (m) ha


il significato di uno stato tensionale preesistente alla deformazione !(m) , po-
tendo rappresentare ad esempio lo stato tensionale originario in un problema
geotecnico o uno stato di autotensione nel caso di solidi in stato di coazione.
Per essere utilizzata nelleq.(4.8), anche leq.(4.9) deve essere espressa in
funzione degli spostamenti nodali. Sostituendovi leq.(4.7) si ha

(m) = C(m) B(m) U + I (m) (4.10)


72 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

e quindi leq.(4.8) diventa


ne '
( ne '
T B(m)T C(m) B(m) Ud(m) = (
U T H(m)T b(m) d(m) +
U
m (m) m (m)
ne ' ne ' (4.11)
( T H(m)T f(m) d(m) ( T B(m)T I (m) d(m) + U
T Fi
U U
m 1(m) ,...,(m)
q m (m)

Mettendo in evidenza i vettori degli spostamenti nodali reali e virtuali che, es-
sendo costanti, si possono portare fuori dagli integrali e dalle sommatorie e si
pu riscrivere leq.(4.11) nella forma
) ne ' * ) ne '
T
( (m)T (m) (m) (m) T
(
U B C B d U = U H(m)T b(m) d(m) +
m (m) m (m)
+ (4.12)
ne '
( ne '
(
H(m)T f(m) d(m) B(m)T I (m) d(m) + Fi
m 1(m) ,...,(m)
q m (m)

Lequazione scalare (4.12) rappresenta il principio dei lavori virtuali per il


sistema discretizzato. Luguaglianza da essa indicata deve essere soddisfatta
di spostamenti virtuali dei nodi. Per comprendere la
per qualsiasi vettore U
portata di questa affermazione, conviene introdurre le definizioni seguenti:

matrice di rigidezza
ne '
(
K= B(m)T C(m) B(m) d(m) (4.13)
m (m)

vettore delle forze di volume


ne '
(
RB = H(m)T b(m) d(m) (4.14)
m (m)

vettore delle forze di superficie


ne '
(
RS = H(m)T f(m) d(m) (4.15)
m (m) (m)
1 ,...,q

vettore delle tensioni iniziali


ne '
(
RI = B(m)T I (m) d(m) (4.16)
m (m)

vettore delle forze concentrate


RC = Fi (4.17)
4.2 DISCRETIZZAZIONE DELLE EQUAZIONI DI EQUILIBRIO 73

per cui leq.(4.12) si pu riscrivere in forma compatta

T KU = U
U T [R + R R + R ] (4.18)
B S I C

o anche, con la posizione R = RB + RS RI + RC in maniera ancora pi sintetica

T KU = U
U TR (4.19)

Lequazione (4.19) deve essere soddisfatta per qualsiasi vettore di sposta-


Sfruttando questa condizione, possibile ottenere un siste-
mento virtuale U.
ma di equazioni lineari nellincognita U. Scegliendo ad esempio il particolare
vettore
= ,1 0 . . . 0-T
U1

facile verificare che lespressione (4.19) si riduce alla sola equazione

N
(
K 1 j U j = R 1
j =1

Scegliendo invece il vettore

= ,0 1 . . . 0-T
U2

si ottiene
N
(
K 2 j U j = R 2
j =1

Procedendo analogamente fino a scegliere U = ,0 0 . . . N -T si ottengono


N
quindi N equazioni che devono essere soddisfatte contemporaneamente per
rispettare la condizione (4.19). In definitiva, quindi, il procedimento porta alla
scrittura del sistema lineare
KU = R (4.20)

importante osservare che i vettori dei carichi e la matrice di rigidezza glo-


bali si ottengono per somma delle matrici relative ai singoli elementi. Questo
possibile poich si sta operando in modo da tener conto di tutti i gradi di li-
bert della struttura, cio i vettori hanno dimensione n 1, mentre la matrice
di rigidezza ha dimensione n n.
Nel caso in cui ci si riferisca a matrici valutate con riferimento alla nume-
razione locale dei gradi di libert, necessario espandere le matrici stesse alle
dimensioni opportune prima di poterle sommare fra loro.
74 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

4.3 Equilibrio dinamico


Nel caso in cui siano presenti accelerazioni, conviene applicare il principio di
D A LEMBERT , introducendo le forze dinerzia tra i carichi applicati. Si appros-
sima il campo delle accelerazioni con le stesse funzioni di interpolazione usate
per gli spostamenti:
u(m) (x, y, z) = H(m) (x, y, z)U (4.21)

Indicando con (m) la massa volumica, il vettore dei carichi di volume, diventa
quindi:
ne '
(
#
RB = H(m)T [b(m) (m) H(m) U]d(m) = RB MU (4.22)
m (m)

dove si introdotta la matrice


ne '
(
M= (m) H(m)T H(m) d(m) (4.23)
m (m)

detta matrice di massa della struttura.


Con questa posizione, lequazione di equilibrio dinamico della struttura
diventa il sistema di equazioni differenziali:

MU + KU = R (4.24)

Alla stessa stregua delle forze dinerzia si possono trattare altre forze di vo-
lume, come quelle generate dalla viscosit del materiale. Come noto, le forze
viscose sono proporzionali alla velocit delle particelle, quindi, introducendo
un coefficiente di viscosit (m) si pu valutare la matrice di smorzamento

ne '
(
C= (m) H(m)T H(m) d(m) (4.25)
m (m)

per cui il vettore dei carichi di volume diventa

ne '
(
R##B = H(m)T [b(m) (m) H(m) U (m) H(m) U]d(m)
m (m)
= RB MU CU (4.26)

e quindi le equazioni differenziali che esprimono lequilibrio dinamico della


struttura assumono la forma:

MU + CU + KU = R (4.27)
4.4 IL METODO DELLE COORDINATE GENERALIZZATE 75

4.4 Il metodo delle coordinate generalizzate


Uno degli aspetti pi importanti nella formulazione a elementi finiti la scelta
delle funzioni di interpolazione, contenute, come abbiamo visto, nella matrice
H(m) di ogni elemento.
Vedremo in seguito i requisiti che tali funzioni devono soddisfare e una tec-
nica che consente di generarle facilmente e in modo sistematico (v. sez. 5.2).
Come primo approccio al problema, e per fissare le idee finora esposte median-
te alcuni esempi, presentiamo qui il metodo delle coordinate generalizzate, che
stato impiegato parecchio nel primo periodo dellapplicazione del metodo
degli elementi finiti.
Sostanzialmente, questa tecnica consiste nello scegliere la forma delle fun-
zioni di interpolazione, espresse in un sistema di riferimento opportuno, gene-
ralmente locale, per ogni elemento. Tali funzioni sono definite tramite espres-
sioni polinomiali i cui coefficienti, detti appunto coordinate generalizzate, van-
no determinati in modo che il campo di spostamenti che ne risulta sia coerente
con i valori assunti dagli spostamenti nodali.

Figura 4.3: Discretizzazione di una struttura monodimensionale (Esempio 4.1).


76 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Esempio 4.1

Esempio 4.2
Una lastra piana di forma quadrata (Figura 4.4) e caricata nel suo piano viene
discretizzata con una suddivisione in quattro elementi uguali. Si vogliono valu-
tare, per lelemento 2 le espressioni della matrice di interpolazione, H(2) , della
matrice delle derivate, B(2) e della matrice costitutiva, C(2) . La lastra risulta sede
di uno stato tensionale piano.
Il primo passo consiste nel numerare tutti i gradi di libert della struttu-
ra. Come illustrato nella Figura 4.4, le incognite sono le due componenti degli
spostamenti nodali Ui e Vi , nelle direzioni degli assi X e Y , rispettivamente.
Per comodit di esecuzione automatica delle procedure di calcolo, conve-
niente ribattezzare tali componenti e raccoglierle in un vettore
UT = [U1 V1 U2 V2 . . . U9 V9 ] = [U1 U2 . . . U18 ]

Lelemento 2, con la numerazione globale e locale dei gradi di libert illu-


strato nella Figura 4.6: il vettore degli spostamenti nodali dellelemento, nella
numerazione locale
uT = [u 1 u 2 u 3 u 4 | v 1 v 2 v 3 v 4 ]

Lapprossimazione del campo degli spostamenti entro lelemento si pu


scrivere
u(x, y) = 1 + 2 x + 3 y + 4 x y (4.28)
v(x, y) = 1 + 2 x + 3 y + 4 x y (4.29)
dove ciascuna delle componenti considerata funzione delle coordinate lo-
cali x, y tramite quattro parametri. Tali parametri, rispettivamente 1 . . . 4 e
1 . . . 4 sono detti coordinate generalizzate.
In forma matriciale le precedenti espressioni si possono scrivere:

1
2


) * ) *

3
u(x, y) 1 x y x y 0 0 0 0 4
= (4.30)
v(x, y) 0 0 0 0 1 x y x y 1

2

3
4
4.4 IL METODO DELLE COORDINATE GENERALIZZATE 77

P P
3 6 9

! $
4 cm

2 5 8

Y,V
# "
1 X,U 4 7
4 cm 2 cm 2 cm

Figura 4.4: Discretizzazione di una lastra piana (Esempio 4.2).


U 12

U 18
U6
V3

V6

V9

3 U3 6 U6 9 U9 3 U5 6U 11 9U 17

! $ ! $
U 10

U 16
U4
V2

V5

V8

2 U2 5 U5 8 U8 2 U3 5 U9 8U 15

# " # "
U 14
U2

U8
V1

V4

V7

1 U1 4 U4 7 U7 1 U1 4 U7 7U 13

Figura 4.5: Numerazione globale dei gradi di libert (Esempio 4.2).


V6
V3

v1
v2

3U3 6 U6 2 u2 1 u1
y,v

x,u
V5
V2

v4
v3

2U2 5 U5 3 u3 4 u4

Figura 4.6: Numerazione locale dei gradi di libert per lelemento 2. (Esempio
4.2).
78 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Le funzioni contenute nella matrice prendono il nome di funzioni base. Po-


nendo inoltre: ) *
1 x y xy 0 0 0 0
= (4.31)
0 0 0 0 1 x y xy
e , -
= 1 2 3 4 1 2 3 4 T
si scrive, in forma compatta:
u = (4.32)
Il problema consiste ora nel determinare i parametri 1 . . . 4 e 1 . . . 4 , chia-
mati coordinate generalizzate, in modo che lespressione (4.32) rappresenti un interpolazio-
ne fra i valori che lo spostamento assume nei nodi dellelemento.
A questo scopo, indichiamo con A una matrice che raccoglie i valori delle
funzioni base calcolate nei nodi dellelemento:

1 1 1 1 0 0 0 0
1 1 1 1 0 0 0 0

1 1 1 1 0 0 0 0


1 1 1 1 0 0 0 0
A=
0 0 0 0 1 1 1 1

0 0 0 0 1 1 1 1

0 0 0 0 1 1 1 1
0 0 0 0 1 1 1 1
Con tale posizione, possiamo quindi scrivere
u = A (4.33)
La relazione di interpolazione si esprime in generale come:
u = Hu (4.34)
e quindi, dal confronto con la (4.33) si ricava
H = A1 (4.35)
La determinazione delle funzioni di interpolazione, contenute nella matrice H
si ottiene previa valutazione della matrice A1 e fornisce lespressione seguen-
te:
)
1 (1 + x)(1 + y) (1 x)(1 + y) (1 x)(1 y) (1 + x)(1 y)
H=
4 0 0 0 0
* (4.36)
0 0 0 0
(1 + x)(1 + y) (1 x)(1 + y) (1 x)(1 y) (1 + x)(1 y)
Nella Figura 4.7 sono riportati i grafici delle componenti di H, cio le funzioni
di interpolazione dellelemento finito quadrilatero a quattro nodi.
4.5 CARATTERISTICHE DELLA SOLUZIONE 79

2 y
1
3
4 x

h11 h12 h13 h14

Figura 4.7: Grafici delle funzioni di interpolazione per lelemento quadrilatero


a quattro nodi (Esempio 4.2).

4.5 Caratteristiche della soluzione


Dopo aver descritto il metodo di discretizzazione e la formulazione del proble-
ma che, come abbiamo visto porta alla determinazione del vettore degli spo-
stamenti nodali, opportuno riflettere sulla qualit del risultato ottenuto. Un
primo aspetto da considerare la verifica della soluzione dal punto di vista del-
le condizioni di equilibrio. Ci domandiamo pertanto se, un volta determinati
gli spostamenti dei nodi, sussista lequilibrio del corpo discretizzato.
Consideriamo, in particolare, un punto appartenente a un dato elemento
finito: lequilibrio del suo intorno infinitesimo richiede, come abbiamo ricor-
dato, che risultino soddisfatte le equazioni statiche.

T + b = 0 (4.37)

Esprimiamo ora lo stato tensionale in un punto a partire dalla soluzione U


ottenuta risolvendo il sistema (4.20). Scegliendo, per semplicit, una relazione
costitutiva elastico-lineare, se il punto appartiene allelemento m si ha, nel caso
di tensioni iniziali nulle:
(m) = C(m) B(m) U (4.38)
Sostituendo la (4.38) nelleq. (4.37), si vede che lequilibrio nel punto sussiste
solo nel caso particolare in cui
. /
C(m) T B(m) U = b(m) (4.39)

Dato che il primo membro discende dalla scelta delle funzioni di interpola-
zione, mentre il secondo membro corrisponde alle forze di volume assegna-
te, evidente che le equazioni indefinite dequilibrio non sono, in generale,
soddisfatte dalla soluzione ottenuta con il metodo degli elementi finiti.
80 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Esempio 4.3

Accertato che la soluzione a elementi finiti non soddisfa le equazioni diffe-


renziali di equilibrio punto per punto, possiamo per mostrare che tale solu-
zione tale che

1. in ciascun nodo la somma delle forze nodali calcolate sugli elementi ivi
connessi uguaglia il carico nodale applicato;

2. le forze nodali calcolate per un elemento, a partire dallo stato tensionale


costituiscono un sistema equilibrato.

Nelle proposizioni precedenti il termine di forza nodale va inteso come for-


za equivalente, nel senso del principio dei lavori virtuali, allo stato tensionale
presente nellelemento finito. Definiamo cio, analogamente a quanto visto
nella definizione dei carichi nodali (v. ad es. leq. (4.16)), il vettore delle forze
nodali per lelemento m:
'
(m)
F = B(m)T (m) d(m) (4.40)
(m)

Esprimendo la tensione nellelemento m in funzione degli spostamenti nodali,


(m) = C(m) B(m) U, e quindi
0' 1
(m) (m)T (m) (m) (m)
F = B C B d U (4.41)
(m)

La proposizione 1 si dimostra facilmente sommando le forze nodali prove-


nienti da tutti gli elementi, e ricordando la definizione della matrice di rigidezza
(4.13). Si ottiene perci:
ne
( (n e 0' 1
(m) (m)T (m) (m) (m)
F = B C B d U (4.42)
m m (m)

Osservando che il secondo membro di questa equazione corrisponde, in base


alla (4.13) al prodotto KU, e quindi, secondo la (4.20) al vettore R dei carichi
applicati ai nodi, risulta dimostrata la tesi, cio
ne
(
F(m) = R (4.43)
m

La dimostrazione della proposizione 2 risulta immediata tramite unappli-


cazione del principio dei lavori virtuali. Come noto, un sistema di forze ap-
plicato a un corpo risulta equilibrato se il lavoro virtuale compiuto da tali forze
4.5 CARATTERISTICHE DELLA SOLUZIONE 81

nullo per qualunque atto di moto rigido del corpo. In questo caso, usando le
consuete notazioni, dobbiamo quindi dimostrare che

T F(m) = 0, u
u {insieme dei moti rigidi di m} (4.44)

Ricordando ancora la definizione (4.40) si pu scrivere


' '
T (m)
u F = T (m)T (m)
u B d = (m) T (m) d(m)
(B(m) u) (4.45)
(m) (m)

Osserviamo ora che le deformazioni virtuali dellelemento m si esprimono in


lequazione precedente
funzione degli spostamenti nodali come ! (m) = B(m) u;
diventa perci '
T F(m) =
u ! (m)T (m) d(m) (4.46)
(m)

Se si considerano i soli atti di moto virtuale rigido dellelemento m, le de-


formazioni corrispondenti devono essere nulle in tutti i punti dellelemento
stesso, cio ! (m)T = 0, e quindi risulta nullo lintegrale a secondo membro,
consentendo di scrivere infine

T F(m) = 0
u (4.47)

che dimostra la tesi.

Esempio 4.4
Verificare lequilibrio della soluzione dellEsempio 4.1.
La risposta della struttura, illustrata nella Figura 4.3, allistante t = 1 s,
descritta dal sistema seguente:
) *) * ) *
E 15,4 13,0 U2 31,0
=
240 13,0 13,0 U3 111,3

La soluzione fornisce gli spostamenti nodali:

14 230 16 285
U2 = cm, U3 = cm
E E
e, ovviamente, U1 = 0 cm.
RIcordando leq. (4.40), le forze nodali equivalenti, per i due elementi, si
calcolano come:
' '
(1) (1)T (1) (2) (2)
F = B d , F = B(2)T (2) d(2)
(1) (2)
82 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Le matrici contenenti le derivate delle funzioni dinterpolazione sono:


, 1 -
B(1) = 100 1
100 0
(2)
, 1 1
-
B = 0 80 80

Le tensioni negli elementi si possono calcolare facilmente mediante le de-


formazioni, che sono state assunte costanti allinterno di un elemento:
U2
(1) = C(1) !(1) = [E ] = 142,30 N/cm2
100
U3 U2
(2) = C(2) !(2) = [E ] = 25,69 N/cm2
80
Sostituendo i valori numerici, usando lascissa locale x come variabile di
integrazione, si calcolano le forze nodali:
1
'100 100 142,30
F(1) = 1 142,30 1 dx = 142,30
100
0
0 0

'80 0 2 3 0
1 25,69 1 + x dx = 111,32
2
F(2) = 80
0 1 40
80
111,32
I risultati sono illustrati in Figura 4.8(a). In Figura 4.8(b) e 4.8(c), invece,
sono riportate rispettivamente le forze nodali equivalenti ai carichi distribuiti
b (1) e b (2) , e i carichi concentrati applicati nei nodi (v. Esempio 4.1). Si noti
che, fra i carichi concentrati, allestremo sinistro stata indicata la reazione
vincolare R 1b , ancora incognita. Lapplicazione delleq. 4.43 ai due elementi
fornisce i seguenti valori:

(2 142,30 0 142,30
F(m) = 142,30 + 111,32 = 30,98
m=1 0 111,32 111,32

25,00 0,00 R 1b R 1b + 25,00
R = 25,00 + 6,00 + 0,00 = 31,00
0,00 11,33 100,00 111,33
Il confronto fra i due vettori mostra che, a meno di piccoli errori dovuti agli
arrotondamenti, luguaglianza prevista teoricamente soddisfatta. Inoltre,
possibile calcolare la reazione vincolare R 1b mediante la relazione R 1 = R 1a +
R 1b , per cui:
142,30 = 25,00 + R 1b = R 1b = 167,30.
4.6 TRATTAMENTO LOCALE DEGLI ELEMENTI 83

-142,33 142,33 -111,37 111,37

(a)

25,00 25,00 6,00 11,33

(b)

R1b 0,00 0,00 100,00

(c)

Figura 4.8: Calcolo delle forze nodali (Esempio 4.4): carichi equivalenti al-
lo stato tensionale (a); carichi equivalenti alle forze distribuite (b); carichi
concentrati e reazioni (c).

Esempio 4.5
Caso bidimensionale.

4.6 Trattamento locale degli elementi


Nellimplementazione pratica del metodo degli elementi finiti, conviene co-
struire lalgoritmo che porta alla scrittura delle equazioni discretizzate dequi-
librio mediante operazioni standardizzate e ripetitive nel massimo grado pos-
sibile, per consentire allelaboratore di dispiegare la sua massima efficacia.
Un modo conveniente di procedere operare con una procedura nella qua-
le si prende in considerazione un elemento alla volta, con i suoi gradi di libert,
le sue funzioni di interpolazione e la sua risposta costitutiva. Per calcolare gli
integrali necessari si pu operare considerando:
una numerazione locale dei gradi di libert

un sistema di riferimento locale.


Nel seguito sono illustrati i concetti e la notazione necessari agli sviluppi della
procedura di costruzione del sistema risolvente il problema discretizzato.

4.6.1 Numerazione locale dei gradi di libert


Consideriamo un dato elemento, relativamente al quale si vogliono valutare le
matrici (di rigidezza, di massa, ecc.) e i vettori dei carichi equivalenti: ana-
84 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

logamente a quanto visto nel caso dei sistemi discreti, sufficiente conside-
rare dapprima solo i gradi di libert dellelemento di volta in volta esaminato,
per poi assemblare le matrici globali sommando i contributi corrispondenti ai
gradi di libert globali coinvolti dallelemento.
Lespressione dellapprossimazione dello spostamento allinterno dellele-
mento considerato si scrive:

u(x, y, z) = H(x, y, z)u (4.48)

dove il vettore u raccoglie gli spostamenti nodali dei soli nodi dellelemento (si
confronti con lespressione (4.6)), espressi in un qualsiasi sistema di riferimen-
to Ox y z:
u = [u 1 v 1 w 1 . . . u M v M w M ]T

avendo indicato con M il numero di nodi dellelemento considerato.


Il campo di deformazione approssimato si ottiene (si veda leq. (4.7) ) per
derivazione del campo di spostamento !(x, y, z) = u(x, y, z) per cui, sfruttando
leq.(4.48) si ha:
!(x, y, z) = H(x, y, z)u = B(x, y, z)u (4.49)

Per la valutazione di tutti gli integrali necessari si pu quindi osservare che


ciascuno degli integrali sotto il segno di sommatoria, nelle espressioni (4.13)-
(4.16) si pu riscrivere omettendo lesplicito riferimento allindice m, ottenen-
do cos le seguenti espressioni:

matrice di rigidezza '


K= BT CBd (4.50)

vettore delle forze di volume


'
RB = HT bd (4.51)

vettore delle forze di superficie


'
RS = HT fd (4.52)
1 ,...,q

vettore delle tensioni iniziali


'
RI = BT I d (4.53)

4.6 TRATTAMENTO LOCALE DEGLI ELEMENTI 85

4.6.2 Sistemi di riferimento locali


Gli integrali introdotti al paragrafo precedente si possono calcolare in un qual-
siasi sistema di riferimento che risulti conveniente dal punto di vista pratico,
ma, dovendo poi considerare una pluralit di elementi con riferimenti diversi,
occorre laccortezza di considerarne poi lorientamento rispetto a un sistema
di riferimento valido per lintero corpo discretizzato, dettosistema di riferimen-
to globale per distinguerlo dal sistema di riferimento locale valido per un dato
elemento.
Indichiamo con u il vettore degli spostamenti nodali le cui componenti so-
no espresse rispetto al riferimento locale prescelto:

u = H(x, y, z)u (4.54)

dove la matrice di interpolazione H(x, y, z) deve essere valutata a partire da


quella consueta, H(x, y, z). A questo fine, riprendiamo lespressione analoga
valida nel riferimento globale:

u = H(x, y, z)u (4.55)

e supponiamo di conoscere la matrice di rotazione T che lega le componenti di


spostamento espresse nei due sistemi:

u = Tu (4.56)

Sostituendo leq. (4.56) nella (4.54) e uguagliando questultima alla (4.55) si


trova lespressione cercata:

H(x, y, z) = H(x, y, z)T (4.57)

e, analogamente, si ricava la relazione fra le matrici delle derivate delle funzioni


dinterpolazione:
B(x, y, z) = B(x, y, z)T (4.58)
Nella pratica, tuttavia, non conviene valutare esplicitamente le funzioni che
compaiono nelle matrici H e B; risulta infatti pi efficiente trasformare gli in-
tegrali (4.50)-(4.53) tenendo conto delle relazioni (4.57) e (4.58). Ad esempio, la
matrice di rigidezza di un elemento si trasforma nel modo seguente:
'
K = BT CBd
'
= TT BT CBTd

0' 1
T T
=T B CB Td

T
= T KT (4.59)
86 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

4
per cui si pu valutare la matrice K = BT CBd relativa alle componenti di
spostamento ruotate e utilizzare poi lespressione (4.59) per trasformarla nella
consueta matrice K.
In modo analogo, si dimostra che la matrice di massa si trasforma secondo
la relazione:
M = TT MT (4.60)
I vettori dei carichi si valutano anchessi mediante una procedura analo-
ga a quella seguita per la matrice di rigidezza. Ad esempio, per le forze no-
dali equivalenti alle forze di volume la trasformazione si formula nel modo
seguente:
'
RB = HT bd
'
= TT HT bd

0' 1
T T
=T H bd

T
= T RB (4.61)

Esempio 4.6
Si consideri un elemento monodimensionale a due nodi (asta) (v. figura 4.9): le
componenti di spostamento allinterno dellelemento si possono esprimere fa-
cilmente nel sistema di riferimento locale: u = H(x, y, z)u, dove u = [u(x), v(x))]T
e u = [u 1 , v 1 , u 2 , v 2 ]T .
Come noto, nel caso bidimensionale, le componenti del vettore sposta-
mento si trasformano, per una rotazione del sistema di riferimento secondo
la legge ) * ) *) *
u 1 cos sen u 1
= (4.62)
v 1 sen cos v 1
Considerando entrambi i nodi dellelemento si pu quindi scrivere:

u 1 cos sen 0 0 u 1

v 1 sen cos 0 0 v 1
= (4.63)
u 2 0 0 cos sen u 2
v 2 0 0 sen cos v 2
per cui, la matrice di trasformazione cercata risulta

cos sen 0 0

sen cos 0 0
T= (4.64)
0 0 cos sen
0 0 sen cos
4.6 TRATTAMENTO LOCALE DEGLI ELEMENTI 87

Figura 4.9: Sistemi di riferimento globale e locale per un elemento


monodimensionale (Esempio 4.6).

La tabella 4.1 raccoglie le diverse notazioni usate per indicare, nei diversi
contesti, i vettori degli spostamenti nodali. Si noti che, per alleggerire un po la
notazione, dora in poi il vettore delle componenti di spostamento nodale per
lintera struttura si indicher con U anzich con U.

u(m) = H(m) U u(m) : spostamento entro lelemento m


(o u(m) = H(m) U) U, U: spostamenti nodali (num. globale)
u = Hu u: spostamenti nodi elemento (sistema globale)
u = Hu u: spostamenti nodi elemento (sistema locale)

Tabella 4.1: Notazioni usate per i vettori spostamento.

Esempio 4.7
La struttura illustrata in figura 4.10 viene discretizzata considerandola compo-
sta di un elemento quadrilatero a quattro nodi in condizioni di tensione piana
(A), di due aste a due nodi (B e C) e di una trave a due nodi (D), e vincolata co-
me illustrato. Si determini la struttura della matrice di rigidezza a partire dalle
matrici dei singoli elementi, tenendo conto delle loro mutue connessioni.
necessario dapprima individuare i gradi di libert effettivi (cio quelli non
vincolati) del sistema, e numerarli per assegnare loro una posizione nel vetto-
re U degli spostamenti globali della struttura. Tale numerazione arbitraria,
anche se influisce sulla srtuttura della matrice K. Si noti che lestremo sinistro
88 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Figura 4.10: Assemblaggio degli elementi (Esempio 4.7).

dellelemento D ha tre gradi di libert, comprendendo, oltre alle componenti di


spostamento verticale e orizzontale, la rotazione (v. la figura 4.11).

Figura 4.11: Elencazione dei gradi di libert (Esempio 4.7).

I vettori spostamento e le matrici di rigidezza degli elementi siano simboli-


4.6 TRATTAMENTO LOCALE DEGLI ELEMENTI 89

camente espressi, nelle rispettive numerazioni locali, nel modo seguente:



u1 a 11 a 12 a 13 a 14 a 15 a 16 a 17 a 18
v1 a 21 a 22 a 23 a 24 a 25 a 26 a 27 a 28

u a a 32 a 33 a 34 a 35 a 36 a 37 a 38
2 31

v2 a 41 a 42 a 43 a 44 a 45 a 46 a 47 a 48
u A = , KA = (4.65)
u 3 a 51 a 52 a 53 a 54 a 55 a 56 a 57 a 58

v3 a 61 a 62 a 63 a 64 a 65 a 66 a 67 a 68

u 4 a 71 a 72 a 73 a 74 a 75 a 76 a 77 a 78
v4 a 81 a 82 a 83 a 84 a 85 a 86 a 87 a 88

u1 b 11 b 12 b 13 b 14

v1 b 21 b 22 b 23 b 24
uB = , KB = (4.66)
u 2 b 31 b 32 b 33 b 34
v2 b 41 b 42 b 43 b 44

u1 c 11 c 12 c 13 c 14

v1 c 21 c 22 c 23 c 24
uC = , KC = (4.67)
u 2 c 31 c 32 c 33 c 34
v2 c 41 c 42 c 43 c 44

u1 d 11 d 12 d 13 d 14 d 15 d 16
v d d 22 d 23 d 24 d 25 d 26
1 21

1 d 31 d 32 d 33 d 34 d 35 d 36
uD = , KD = (4.68)
u 2 d 41 d 42 d 43 d 44 d 45 d 46

v2 d 51 d 52 d 53 d 55 d 55 d 56
2 d 61 d 62 d 63 d 66 d 65 d 66
Per lassemblaggio dei termini di rigidezza necessario istituire una cor-
rispondenza tra la numerazione locale e quella globale dei gradi di libert.
immediato verificare che sussistono le corrispondenze seguenti:

elemento A:

componente di spost. u 1 v 1 u 2 v 2 u 3 v 3 u 4 v 4
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 u 5 u 6 u 7 u 8 (4.69)
numerazione globale U2 U3 U1 U4 U5

elemento B:
componente di spost. u 1 v 1 u 2 v 2
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 (4.70)
numerazione globale U6 U7 U4 U5
90 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

elemento C:
componente di spost. u 1 v 1 u 2 v 2
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 (4.71)
numerazione globale U6 U7 U2 U3
elemento D:
componente di spost. u 1 v 1 1 u 2 v 2 2
numerazione locale u 1 u 2 u 3 u 4 u 5 u 6 (4.72)
numerazione globale U6 U7 U8

Le matrici elementari vanno ora espanse alla dimensione della matrice di


rigidezza globale, in questo caso 8 8, prima di procedere alla somma K =
5ne (m)
m K , e quindi, prendendo ad esempio lelemento A, si avr:

a 66 a 61 a 62 a 67 a 68 0 0 0
U1 a 16 a 11 a 12 a 17 a 18 0 0 0
U2
a 26 a 21 a 22 a 27 a 28 0 0 0
U
3 a
76 a 71 a 72 a 77 a 78 0 0 0
U4 (A)
U = , K = a 86 a 81 a 82 a 87 a 88 0 0 0 (4.73)
U5
0 0 0 0 0 0 0 0
U6
0 0 0 0 0 0 0 0
U7
0 0 0 0 0 0 0 0
U8
0 0 0 0 0 0 0 0
Procedendo allo stesso modo per gli altri elementi e sommando poi fra loro
le matrici espanse, si ottiene la matrice di rigidezza dellintera struttura:

a 66 a 61 a 62 a 67 a 68 0 0 0
a 16 a 11+c 33 a 12+c 34 a 17 a 18 c 31 c 32 0

a a +c a +c a a c c 0
26 21 43 22 44 27 28 41 42

a 76 a 71 a 72 a 77+b 33 a 78+b 34 b 31 b 32 0
K=
a 86 a 81 a 82 a 87+b 43 a 88+b 44 b 41 b 42 0

0 c 13 c 14 b 13 b 14 b 11+c 11+d 44 b 12+c 12+d 45 d 46

0 c 23 c 24 b 23 b 24 b 21+c 21+d 54 b 22+c 22+d 55 d 56
0 0 0 0 0 d 64 d 65 d 66
(4.74)

4.7 Imposizione delle condizioni al contorno


L equazione di equilibrio dinamico per un sistema discretizzato libero da vin-
coli
MU + KU = R (4.75)
4.7 IMPOSIZIONE DELLE CONDIZIONI AL CONTORNO 91

Raccogliendo in Ua gli spostamenti incogniti e in Ub quelli noti (imposti), si


pu scrivere
) *) * ) *) * ) *
Maa Mab Ua Kaa Kab Ua Ra
+ = (4.76)
Mba Mbb Ub Kba Kbb Ub Rb

Si ricava Ua risolvendo lequazione

Maa Ua + Kaa Ua = Ra Mab Ub Kab Ub (4.77)

Si vede quindi che, per determinare Ua basta assemblare le matrici di rigidezza


e massa pertinenti ai soli gradi di libert effettivamente incogniti. Occorre per
correggere il termine noto nel caso di spostamenti imposti non nulli. Esso
diventa:
Ra Mab Ub Kab Ub (4.78)

La soluzione del sistema (4.77) fornisce gli spostamenti incogniti U e le ac-


celerazioni U, dopo di che si possono calcolare le forze nodali nei nodi vinco-
lati, mediante la seconda riga del sistema partizionato (4.76):

Rb = Mba Ua + Mbb Ub + Kba Ua + Kbb Ub (4.79)

Tali forze nodali dovranno risultare pari a:

Rb = RbB + RbS + RbI + RCb + Rr (4.80)

dove RbB , RbS , RbI sono i carichi nodali equivalent, RCb i carichi concentrati ap-
plicati nei nodi e Rr sono le forze che nascono nei nodi vincolati allo scopo di
mantenere lequilibrio, vale a dire le reazioni vincolari, che risultano quindi:
2 3
Rr = Rb RbB + RbS + RbI + RCb
2 3 (4.81)
= Mba Ua + Mbb Ub + Kba Ua + Kbb Ub RbB + RbS + RbI + RCb

Da quanto appena detto emerge il fatto che la soluzione primaria del pro-
blema, cio la determinazione degli spostamenti dei nodi liberi, pu essere ot-
tenuta senza assemblare lintera matrice di rigidezza della struttura, omettendo
sin dallinizio quei gradi di libert, compresi nel vettore Ub , che a tutti gli effetti
non sono da considerarsi incogniti, ma assegnati (ad esempio pari a zero, nel
caso di vincoli perfetti).
92 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

4.8 Relazioni costitutive elastiche


Finora abbiamo affrontato il problema tensio-deformativo per un generico cor-
po tridimensionale, sotto le pi generali ipotesi di sollecitazione e di vincoli
imposti agli spostamenti. Non sempre, per, necessario e utile affrontare il
problema tramite questo modello strutturale. Mentre in linea di principio ri-
sulta sempre possibile lapproccio tridimensionale, ogniqualvolta sia possibile
ridurre la complessit dello studio, tenendo conto di informazioni supplemen-
tari a disposizione dellanalista, si cerca di adottare gli schemi pi semplici nella
predisposizione del modello a elementi finiti. Se assumiamo, come di consue-
to, che il materiale sia elastico-lineare isotropo, descritto ad esempio dal modu-
lo elastico longitudinale E e dal rapporto di Poisson , la relazione fra tensioni
e deformazioni si pu esprimere in forma matriciale come

1 0 0 0
1 1

xx 1 0 0 0 !xx
1 1
!
yy 1 0 0 0 yy
E (1 )
zz 1 1 !zz
= 12
x y (1 + )(1 2) 0 0 0 0 0 x y
2(1)
y z 12 y z

xz 0 0 0 0 0 xz
2(1)
12
0 0 0 0 0
2(1)
(4.82)
Vedremo ora brevemente alcune situazioni nelle quali la dimensionalit del
problema si pu ridurre. In alcuni casi ci non comporta significative varia-
zioni della procedura di analisi rispetto a quanto visto nella precedente tratta-
zione; in altri casi, invece, necessario il ricorso a modelli pi complessi, che
richiedono lo sviluppo preliminare di appropriate teorie.

4.8.1 Stato di tensione monoassiale


Le condizioni di sollecitazione pi semplici sono quelle associate a uno sta-
to tensionale monoassiale. Questo tipo di situazione tipico degli elementi
monodimensionali che trasmettono solo lo sforzo normale, lungo lasse, come
le aste o bielle che costituiscono una travatura reticolare caricata nei nodi (v.
figura 4.12).
Con riferimento alla figura, detto x lasse di un elemento, lo stato tensionale
quindi completamente caratterizzato dal valore xx , uniforme sulla sezione
retta dellelemento.
4.8 RELAZIONI COSTITUTIVE ELASTICHE 93

Figura 4.12: Esempio di struttura composta da elementi strutturali in


condizioni di tensione monoassiale.

Per questo elemento strutturale, la deformazione completamente defini-


ta, tramite la componente assiale u dello spostamento, dalla dilatazione as-
siale !xx . La relazione costitutiva, espressa in forma di prodotto matriciale,
dunque: , - , -, -
xx = E !xx (4.83)

4.8.2 Stato di tensione piana


Nel caso di lastre caricate nel loro piano, o di travi inflesse, lo stato tensionale
al pi biassiale (figura 4.13).
Se lasse z perpendicolare al piano della struttura e dei carichi, nel caso in
esame risultano nulle le componenti di tensione zz , zx e z y .
Adottando la teoria tecnica della trave, la deformazione dellelemento de-
scritta dalla curvatura xx , duale del momento flettente M xx . La nota relazione
momento-curvatura si scrive, in forma matriciale:
, - , -, -
M xx = E I xx (4.84)

dove con I si indica il momento dinerzia della sezione retta dellelemento.


Per quanto riguarda le lastre in stato piano di tensione, considerando le
componenti di tensione non nulle e le corrispondenti componenti di deforma-
zione, la relazione tensione-deformazione data da:

1 0
xx !xx
y y = E 1 0 ! (4.85)
(1 ) 2 1 yy
x y 0 0 x y
2

4.8.3 Stato di deformazione piana


Si consideri una struttura come quella schematizzata nella figura 4.14: si trat-
ta di una diga, realizzata con un materiale isotropo, ottenuta dalla traslazione
94 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Figura 4.13: Esempi di strutture in condizioni di tensione piana (travi e lastre).

nella direzione z di una figura piana. Se la lunghezza nella direzione z risulta


molto grande rispetto alle dimensioni trasversali della sezione, data la configu-
razione di carico assegnata (la spinta idrostatica e il peso proprio agente lungo
lasse y), per simmetria, i punti appartenenti a una sezione non possono subire
spostamenti fuori dal suo piano: si parla quindi di stato di deformazione piana.

Un problema di questo tipo pu dunque essere studiato considerando una


sezione della struttura, opportunamente vincolata, per i punti della quale il
vettore spostamento ha due sole componenti non nulle, u e v, essendo, co-
me abbiamo detto w = 0 ovunque. Si noti che, in queste condizioni, anche
le componenti di deformazione !zz , zz e zx sono nulle. Essendo il materia-
le elastico-lineare e isotropo, facile mostrare come il piano della sezione sia
un piano principale delle tensioni sul quale, come noto, non agiscono com-

Figura 4.14: Esempio di struttura in condizioni di deformazione piana.


4.8 RELAZIONI COSTITUTIVE ELASTICHE 95

ponenti di tensione tangenziale (quindi zx = z y = 0), ma risulta in generale


diversa da zero la componente di tensione normale zz .
La relazione fra tensioni e deformazioni quindi espressa nel modo seguen-
te

1 0
xx 1 !xx
E (1 )
y y = 1 0 !y y (4.86)
(1 + )(1 2)
1

1 2 x y
x y
0 0
2(1 )

E la componente di tensione perpendicolare legata alle altre tramite la rela-


zione
. /
zz = xx + y y

4.8.4 Condizioni di assialsimmetria

Un altro caso in cui si pu ridurre la dimensionalit del problema quello detto


assialsimmetrico. Si tratta di strutture con la forma del solido di rivoluzione
intorno a un asse. Naturalmente, anche i carichi devono rispettare la stessa
simmetria (v. figura 4.15).
In questo caso, i punti appartenenti alla sezione che genera il solido di ri-
voluzione possono spostarsi solo nel piano della sezione e quindi, se z lasse
perpendicolare a tale piano, si avr w = 0.
Per quanto riguarda lo stato tensionale, risultano nulle le componenti y z e

Figura 4.15: Stato assialsimmetrico.


96 4 IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

xz , mentre le altre sono, in generale, diverse da zero. Risulta quindi:



1 0
xx 1 1

!xx
E (1 ) 1 0

yy 1 1 !y y
= 1 2 (4.87)
x y (1 + )(1 2) 0 0 0 x y

zz 2(1 ) !zz

0 1
1 1

4.8.5 Lastre inflesse


In questa categoria ricadono elementi con una dimensione nettamente minore
rispetto alle altre due, caricate trasversalmente e, perci inflesse. Si parla usual-
mente di piastre, nel caso di lastre piane (figura 4.16), e di gusci, nel caso di
lastre a semplice o doppia curvatura (figura 4.17).
Per quanto riguarda le piastre, lo stato tensionale piano, cio la compo-
nente zz nulla, ma, a differenza delle lastre caricate nel piano, tutte le altre
componenti di tensione sono, in generale, diverse da zero.
Anche in questo caso, analogamente a quello delle travi inflesse, le varia-
bili duali atte a descrivere la relazione costitutiva sono i momenti flettenti e il
momento torcente, e le curvature e la torsione.

1 0
M xx 3 xx
M y y = Eh 1 0 = (4.88)
12(1 )2 1 yy
Mx y 0 0 x y
2
Le curvature e la torsione si possono esprimere in funzione dello sposta-
mento w(x, y) tramite le relazioni:

2 w 2 w 2 w
xx = , y y = , x y = (4.89)
x 2 y 2 xy

Esercizi
4.1. Ricavare la legge di trasformazione (4.60) della matrice di massa e quel-
la del vettore dei carichi di superficie relative a una rotazione del sistema di
riferimento.

4.2. Ripetere lesempio 4.7, sostituendo il carrello che vincola lelemento A con
una cerniera fissa.
4.8 RELAZIONI COSTITUTIVE ELASTICHE 97

Figura 4.16: Stato tensionale in una piastra.

Figura 4.17: Stato tensionale in un guscio.


Capitolo 5

Formulazione degli elementi finiti

5.1 Introduzione
Abbiamo visto, nel capitolo precedente, che il metodo degli elementi finiti
una procedura di discretizzazione delle strutture, che permette di affrontare la
soluzione delle equazioni differenziali che governano la deformazione dei cor-
pi, valida per qualsiasi forma strutturale e per qualunque condizione di vincolo
e di carico.
In questo capitolo, soffermeremo lattenzione su un aspetto fondamentale
del metodo, che ne costituisce in certo qual modo il cuore: la descrizione delle
leggi di approssimazione del campo di spostamento allinterno degli elementi.
Tale scelta condizionata, come vedremo, da vari fattori, ed nostro scopo
motivarla e renderla consapevole, anche se limiteremo lanalisi ad alcuni casi,
per quanto di rilevante interesse applicativo.
La scelta delle funzioni di interpolazione dellelemento, associata alla de-
finizione della legge costitutiva del materiale che lo costituisce, porta imme-
diatamente alla determinazione della sua matrice di rigidezza. Vedremo quin-
di come costruire tale matrice, e come i suoi termini possano efficacemente
essere valutati per via numerica, adatta allimpiego delle procedure di calcolo
automatizzate.

5.2 Elementi isoparametrici


Lobiettivo fondamentale della formulazione degli elementi finiti isoparametri-
ci ottenere la relazione fra spostamenti nodali e spostamenti interni diretta-
mente mediante le funzioni dinterpolazione, scelte senza passare attraverso la
tecnica delle coordinate generalizzate vista al capitolo precedente.

98
5.2 ELEMENTI ISOPARAMETRICI 99

Lidea di fondo della trattazione degli elementi isoparametrici lintrodu-


zione delle cosiddette coordinate naturali e lapplicazione dellintegrazione nu-
merica su un elemento tipo, rappresentante di tutta una classe di elementi
aventi geometria differente. A questo scopo, si introduce il concetto di inter-
polazione della geometria dellelemento, che porta alla possibilit di istituire
facilmente una corrispondenza biunivoca, detta mapping, fra i punti dellele-
mento tipo (parent element) e quelli dellelemento reale a cui si fa di volta in
volta riferimento (figura 5.1).

Figura 5.1: Corrispondenza (mapping) fra lelemento tipo, con il sistema di


coordinate naturali, e lelemento generico.

Il concetto di mapping e la sua efficacia si dimostra facilmente con un sem-


plice esempio.

Esempio 5.1
Si consideri un elemento di biella dotato di rigidezza assiale E A e lunghezza L:
determinare la matrice di rigidezza.

Figura 5.2: Elemento isoparametrico a due nodi (Esempio 5.1).

Si introduce il sistema di riferimento in coordinate naturali r , 1 r 1,


100 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

legate alle coordinate globali dalla trasformazione lineare

1 1
X (r ) = (1 r )X 1 + (1 + r )X 2 (5.1)
2 2
dove X 1 e X 2 sono le coordinate nodali dellelemento nel sistema globale.
La trasformazione di coordinate uninterpolazione fra queste coordinate,
che associa a ciascun valore di r un punto dellelemento compreso fra i due
nodi estremi. La relazione tra r e X sopra introdotta si pu scrivere
2
!
X (r ) = h i (r )X i (5.2)
i =1

dove si sono introdotte le funzioni di forma


1 1
h 1 (r ) = (1 r ), h 2 (r ) = (1 + r ) (5.3)
2 2
La formulazione isoparametrica deve il suo nome al fatto che gli sposta-
menti sono interpolati mediante le stesse funzioni usate nellinterpolazione
delle coordinate, cio le funzioni di interpolazione coincidono con le funzioni
di forma, cio si assume:
2
!
U (r ) = h i (r )Ui (5.4)
i =1

Ricordiamo che la deformazione nellasta data da ! = dU /dX , ma, da-


to che nota la dipendenza di U da r , occorre esprimere tale deformazione
tramite la regola di derivazione delle funzioni composte:

dU dU dr
!= = (5.5)
dX dr dX
Sfruttando le definizioni, immediato ottenere le derivate:

dU ! 2 dh (r )
i
= Ui (5.6)
dr i =1 dr
dX ! 2 dh (r )
i
= Xi (5.7)
dr i =1 dr

Svolgendo i calcoli si ricava:

dU U2 U1
= (5.8)
dr 2
dX X2 X1 L
= = (5.9)
dr 2 2
5.3 ELEMENTI DEL CONTINUO N -DIMENSIONALE 101

Ricordando la regola di derivazione della funzione inversa, dr /dX = 1/(dX /dr ),


si ottiene lespressione della deformazione:

U2 U1
dU dr 2 U2 U1
!= = = (5.10)
dX dX L L
2
Questa espressione si pu mettere in forma matriciale per ritrovare la scrittura
generale = BU nel modo seguente:
$ %
1" # U1
= BU = 1 1 (5.11)
L U2

da cui ricaviamo appunto che

1" #
B= 1 1 (5.12)
L
A questo punto possibile valutare la matrice di rigidezza, ricordando le-
spressione della matrice costitutiva appropriata, C = [E ]:
&X 2 &1 $ %
T EA " # 1
K= B CBAdx = 2 1 1 J dr (5.13)
X1 L 1 1

dove, essendo lintegrale valutato sul dominio normalizzato, necessario in-


trodurre il determinante jacobiano della trasformazione di coordinate:

dX L
J= = (5.14)
dr 2
Completando i calcoli si ottiene, ovviamente, la ben nota matrice di rigidez-
za dellasta: $ %
E A 1 1
(5.15)
L 1 1

5.3 Elementi del continuo n-dimensionale


Soffermiamo ora lattenzione su unampia classe di elementi finiti, che si posso-
no considerare porzioni di un corpo continuo. In generale lanalisi si condurr
nel contesto tridimensionale, associando a ciascun nodo i tre gradi di libert u,
v e w, cio le componenti di spostamento nelle direzioni dei tre assi coordinati
x, y, z. Nel caso in cui sia possibile ridurre la dimensionalit del problema, ad
102 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

esempio come nei casi di tensione o deformazione piana o di assialsimmetria,


la trattazione rester valida considerando solo gli assi coordinati necessari alla
situazione particolare.
Per un generico elemento tridimensionale dotato di q nodi, linterpolazione
delle coordinate, cio il mapping rispetto alle coordinate naturali r, s, t si scrive,
in coordinate locali x, y, z:
q
! q
! q
!
x= h i (r, s, t )x i , y= h i (r, s, t )y i , z= h i (r, s, t )z i (5.16)
i =1 i =1 i =1

dove x i , y i , z i , i = 1, . . . q sono le coordinate dei nodi dellelemento considerato.


Ricordiamo che le funzioni dinterpolazione h i sono definite nel sistema
di coordinate naturali dellelemento r, s, t , ciascuna delle quali varia tra 1 e
1 e, come anticipato, per elementi mono- o bidimensionali si usano solo le
espressioni in r , o r e s, rispettivamente.
Una funzione di interpolazione h i deve avere valore unitario nel nodo i e
nullo negli altri nodi; sfruttando queste condizioni, le h i si potrebbero deter-
minare in modo sistematico, una volta nota la disposizione dei nodi. Con-
viene per costruirle per successive addizioni e correzioni come nellesempio
seguente.

Esempio 5.2
Costruire le funzioni di interpolazione per lelemento asta a tre nodi illustrato
nella figura 5.3.

Figura 5.3: Elemento monodimensionale a tre nodi (Esempio 5.2).

Si consideri dapprima uninterpolazione lineare, valida per lelemento a due


nodi (figura 5.4). Sono le stesse utilizzate nellesempio 5.1:
1 1
h 1 (r ) = (1 r ), h 2 (r ) = (1 + r ) (5.17)
2 2
5.3 ELEMENTI DEL CONTINUO N -DIMENSIONALE 103

Figura 5.4: Funzioni di forma per lelemento a due nodi (Esempio 5.2).

La presenza di un terzo nodo consente uninterpolazione con un polinomio


di secondo grado. Si costruisce dapprima la funzione di forma per il nodo inter-
medio, che sar appunto una parabola con valore unitario in corrispondenza
del nodo 3 e nullo negli altri due nodi (v. figura 5.5), cio
h 3 (r ) = (1 r )(1 + r ) (5.18)

Figura 5.5: Funzione di forma per il nodo centrale (Esempio 5.2).

Le funzioni di forma lineari, valide per lelemento a due nodi, non soddi-
sfano la condizione di assumere valore unitario in un nodo e nullo negli al-
tri: infatti presentano entrambe un valore pari a 1/2 nel nodo centrale. Risulta
pertanto necessario ripristinare tale condizione.
Le funzioni h 1 e h 2 si costruiscono come somma della parte lineare e di una
correzione quadratica, nulla nei nodi 1 e 2 e valore 1/2 nel nodo 3 (figura
5.6). Esse assumono le espressioni
1 1 1 1
h 1 (r ) = (1 r ) (1 r 2 ), h 2 (r ) = (1 + r ) (1 r 2 ) (5.19)
2 2 2 2
104 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

Figura 5.6: Funzioni di forma per lelemento a tre nodi (Esempio 5.2).

5.3.1 Matrici H e B
Tornando a considerazioni generali valide per tutti gli elementi isoparametrici,
gli spostamenti sono interpolati nello stesso modo della geometria
q
! q
! q
!
u= h i (r, s, t )u i , v= h i (r, s, t )v i , w= h i (r, s, t )w i (5.20)
i =1 i =1 i =1

dove u i , v i , w i , i = 1, . . . q sono le componenti dello spostamento dei nodi del-


lelemento.
Le funzioni h i (r, s, t ) sono gli elementi della matrice delle funzioni di inter-
polazione (o di forma) H.
La matrice delle derivate, B, serve, come sappiamo, per calcolare la matrice
di rigidezza dellelemento. Essa lega le deformazioni agli spostamenti nodali. I
suoi termini si ottengono derivando rispetto alle coordinate locali x, y, z le fun-
zioni di forma. Sorge a questo punto un problema: tali funzioni sono costruite,
come abbiamo visto, nello spazio delle coordinate naturali r, s, t , e non quindi
immediato ottenere, per derivazione, i termini della matrice B.
In generale, per ottenere le derivate richieste, sembra necessario introdurre
le regole di derivazione di funzioni composte, compendiate negli operatori:

r s t
= + + (5.21)
x r x s x t x
r s t
= + + (5.22)
y r y s y t y
r s t
= + + (5.23)
z r z s z t z
In queste espressioni compaiono per le derivate delle funzioni inverse: r =
r (x, y, z), s = s(x, y, z), t = t (x, y, z), che non sono note e comunque difficili da
ricavare.
5.3 ELEMENTI DEL CONTINUO N -DIMENSIONALE 105

Sono invece immediatamente valutabili le derivate rispetto alle coordinate


naturali, mediante gli operatori:

x y z
= + + (5.24)
r x r y r z r
x y z
= + + (5.25)
s x s y s z s
x y z
= + + (5.26)
t x t y t z t

ovvero, in forma matriciale:



x y z
r r r
r x
x y z
= (5.27)
s s s s y
x y z
t t t t z
Introducendo la matrice jacobiana, definita da

x y z
r r r

x y z
J= (5.28)
s s s
x y z
t t t
lespressione (5.27), con le definizioni
$ %T

= (5.29)
r r s t
$ %
T
= (5.30)
x x y z

si pu quindi porre in forma simbolica:


=J (5.31)
r x
Nel caso in cui la relazione fra coordinate naturali e coordinate locali sia
biunivoca, esiste linverso dello jacobiano, J, cosicch si pu scrivere:


= J1 (5.32)
x r
106 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

Per quanto concerne la matrice B = x H, occorre fare riferimento, caso per


caso, alloperatore cinematico x valido nella situazione particolare che si con-
sidera. Infatti, tale operatore contiene espressioni che sono funzioni delle deri-
vate parziali calcolate rispetto al sistema locale Ox y z, ciascuna delle quali deve
essere sostituita dallopportuna espressione ricavata dai termini delleq. (5.32).

Esempio 5.3
Derivare loperatore jacobiano J e la matrice B per lelemento asta a tre nodi
descritto nellesempio 5.2.
La matrice H contiene le funzioni di forma calcolate in precedenza:
" #
H = 12 (r 1)r 21 (r + 1)r (1 r 2 )

Ricordando che B = x H e che, nel caso monodimensionale, x coincide con


d d
dx
, a sua volta esprimibile come J1 dr , si ha
" #
B = J1 12 + r 1
2 +r 2r

Il calcolo dello jacobiano immediato, a partire dallespressione del map-


ping isoparametrico:

x1
x(r ) = H x 2
x3
dove le ascisse nodali assumono i valori x 1 = 0, x 2 = L, x 3 = L/2. Dallespressio-
ne precedente si ottiene quindi x(r ) = L(r + 1)/2 e dunque
$ % $ % $ %
dx L 1 2 L
J= = , J = , det J =
dr 2 L 2

Lespressione della matrice delle derivate risulta perci:


" 2 #" 1 1
# 1" #
B= L
2 +r 2
+r 2r = 2r 1 2r + 1 4r
L

5.3.2 Integrazione numerica


Nel paragrafo precedente abbiamo visto che possibile, almeno formalmente,
una volta scelte le funzioni di forma da inserire nella matrice H, determinare
la matrice B delle derivate, mediante lespressione (5.28). In essa compare la
matrice jacobiana inversa (eq. (5.32)), e quindi sembrerebbe necessario deter-
minare le derivate delle inverse delle funzioni di forma, che sono gli elementi di
5.4 INTEGRAZIONE NUMERICA 113

5.4 Integrazione numerica


Nel paragrafo precedente abbiamo visto che possibile, almeno formalmente,
una volta scelte le funzioni di forma da inserire nella matrice H, determinare
la matrice B delle derivate, mediante lespressione (5.28). In essa compare la
matrice jacobiana inversa (eq. (5.32)), e quindi sembrerebbe necessario deter-
minare le derivate delle inverse delle funzioni di forma, che sono gli elementi di
tali matrici. Vedremo ora che, ricorrendo alla tecnica dellintegrazione numeri-
ca, lesplicitazione analitica di tali funzioni non necessaria per la valutazione
dei termini di rigidezza e di carico dei vari elementi.
Prendiamo ad esempio il calcolo di K: detto il dominio di integrazione,
cio la regione dello spazio occupata dallelemento, la matrice di rigidezza ,
per definizione: !
K= BT CBd (5.33)

Ricordando le regole relative al cambio di variabile di integrazione, se si adotta-
no le coordinate naturali r, s, t , occorre esprimere lelemento differenziale d =
dxdydz in funzione delle nuove coordinate. Si ha d = det Jdr dsdt = det JdV ,
dove dV rappresenta lelemento di volume per lelemento tipo, cio una regio-
ne che un cubo nello spazio delle coordinate naturali, come mostrato nella
figura 5.11 per il caso bidimensionale.
Con la sostituzione indicata, lintegrale diventa.
!
K = BT CB det JdV (5.34)
V

e analogamente si procede per la valutazione di tutti gli integrali necessari alla


scrittura delle equazioni di equilibrio, introdotti al Capitolo 4.
In generale, possiamo compendiare lintera casistica degli integrali da va-
lutare introducendo una funzione F (r, s, t ) per la quale si voglia calcolare il

Figura 5.11: Trasformazione dellelemento di volume.


114 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

numero
! !1 !1 !1
I= F (r, s, t )dV = F (r, s, t )dr dsdt (5.35)
V 1 1 1

Il valore di I pu rappresentare un qualsiasi elemento dei vettori o delle matrici


da valutare mediante integrazione.
Gli integrali definiti del genere (5.35) si possono calcolare mediante diver-
se tecniche di approssimazione, che portano, alle cosiddette formule di qua-
dratura. Lidea di formula di quadratura semplice: si tenta di approssimare
lintegrale con opportune sommatorie, del tipo:

!1 !1 !1 "
I= F (r, s, t )dr dsdt = i j k F (r i , s j , t k ) (5.36)
1 1 1 i , j ,k

cio si determina la somma, pesata dai coefficienti i , j , k , dei valori assun-


ti dallintegrando F calcolati in certi punti del dominio normalizzato r i , s j , t k .
Il numero di punti adottato, cio il campo di valori di i , j e k dipende dalla
precisione voluta.
Senza entrare nella teoria matematica delle formule di quadratura, cui si fa
cenno nel paragrafo 5.4.1, basti sapere che, nel nostro contesto, risultano parti-
colarmente efficienti le formule di G AUSS. Tali formule richiedono la valutazio-
ne della funzione in punti del dominio individuati dallannullamento di certi
polinomi (di L EGENDRE, C HEBICHEV ecc.). Le posizioni di questi punti sono
dette ascisse di G AUSS e i punti corrispondenti si chiamano punti di Gauss.
Nella figura 5.12 sono rappresentati, ad esempio, i punti di Gauss per ele-
menti bidimensionali quadrilateri. Nella tabella 5.5 sono riportate le ascisse
dei punti di Gauss sullintervallo (1, 1), con i rispettivi pesi, per formule di
quadratura di Gauss-Legendre da 1 a 6 punti.

Figura 5.12: Punti di Gauss per formule di quadratura di Gauss-Legendre con


ordine compreso tra 2 e 4.
5.4 INTEGRAZIONE NUMERICA 115

n ri i
1 0,000 000 000 000 000 2,000 000 000 000 000
2 0,577 350 269 189 626 1,000 000 000 000 000
3 0,774 596 669 241 483 0,555 555 555 555 556
0,000 000 000 000 000 0,888 888 888 888 889
4 0,861 136 311 594 053 0,347 854 845 137 454
0,339 981 043 584 856 0,652 145 154 862 546
5 0,906 179 845 938 664 0,236 926 885 056 189
0,538 469 310 105 683 0,478 628 670 499 366
0,000 000 000 000 000 0,568 888 888 888 889
6 0,932 469 514 203 152 0,171 324 492 379 170
0,661 209 386 466 265 0,360 761 573 048 139
0,238 619 186 083 197 0,467 913 934 572 691

Tabella 5.5: Ascisse e pesi di Gauss per n punti di integrazione.

5.4.1 Formule di quadratura


Per il calcolo degli integrali definiti del tipo
!b
I= f (x)dx (5.37)
a

si pu procedere per via numerica, approssimando la funzione f (x) con un


polinomio e integrando poi il polinomio stesso. Naturalmente, in generale, si
commette un errore, in quanto lintegrale del polinomio approssimante non
coincide necessariamente con quello della funzione f (x).
Per approssimare una funzione mediante un polinomio, pu convenire co-
struire uninterpolazione mediante certi polinomi fondamentali, come, ad esem-
pio, i polinomi di Lagrange. Scelti n punti x 1 , x 2 , . . . x n appartenenti allinterval-
lo di integrazione, tali polinomi, ovviamente di grado n 1, sono costruiti in
modo da assumere valore unitario in un dato punto x i e nullo in tutti gli altri.
La loro espressione generale

(x x 1 )(x x 2 ) (x x i 1 )(x x i +1 ) (x x n )
l i(n1) (x) = . (5.38)
(x i x 1 )(x i x 2 ) (x i x i 1 )(x i x i +1 ) (x i x n )

Esempio 5.4
Costruire i polinomi fondamentali di Lagrange per i punti x 1 = 1, x 2 = 0, x 3 =
1.
116 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

Essendo n = 3, il grado dei polinomi sar n 1 = 2. Applicando la formula


(5.38) si ha:
(x 0)(x 1) 1
l 1(2) (x) = = x(1 x) (5.39)
(1 0)(1 1) 2
(x + 1)(x 1)
l 2(2) (x) = = (1 x 2 ) (5.40)
(0 + 1)(0 1)
(x + 1)(x 0) 1
l 3(2) (x) = = x(1 + x) (5.41)
(1 + 1)(1 0) 2
Si sono ritrovati i ben noti polinomi usati come funzioni di forma per lelemen-
to finito a tre nodi.

Unapprossimazione mediante un polinomio di grado n 1 della funzio-


ne f (x) si pu costruire tramite la combinazione lineare di n polinomi fonda-
mentali, i cui coefficienti siano i valori assunti dalla funzione stessa nei punti
xi :
n
"
P (n1) (x) = l i(n1) f (x i ) (5.42)
i =1
(n1)
Il polinomio P (x) prende il nome di polinomio interpolatore della funzio-
ne f (x), in quanto i loro valori calcolati nei punti x i coincidono: P (n1) (x i ) =
f (x i ), i = 1, . . . n.
Usando questa rappresentazione, lintegrale (5.37) diventa:
!b "n n
"
I= l i(n1) f (x i )dx + E n ( f ) = w i f (x i ) + E n ( f ) (5.43)
a i =1 i =1

dove si messo in evidenza, indicandolo con E n ( f ), lerrore indotto dallinter-


polazione su n punti e si sono introdotti i pesi
!b
wi = l i(n1) dx (5.44)
a

I punti x i ove si valuta la funzione, e il loro numero, si scelgono in modo


da rendere il pi efficiente possibile il calcolo dellintegrale, cio cercando di
ridurre al minimo il numero delle della funzione f (x) necessarie per ottenere
la precisione richiesta.
Per discutere questo argomento conviene introdurre il concetto di grado di
precisione di una formula interpolatoria. Tutte le formule interpolatorie hanno
grado di precisione almeno pari a n 1, cio integrano esattamente polinomi
con grado minore o uguale a n i . Ad esempio, tramite una formula su 3 punti
(n = 3) si integrano esattamente polinomi con grado massimo pari a 2, indi-
pendentemente dalla scelta dei punti x i . Particolari scelte dei punti x i portano
a diverse famiglie di formule di quadratura, con diversi gradi di precisione.
5.4 INTEGRAZIONE NUMERICA 117

Formule di Newton-Cotes

Se si scelgono nodi equidistanti che suddividono lintervallo [a, b,] con passo
costante h = ba
n1
:
x i = a + (i 1)h, i = 1, . . . n
si costruiscono le formule di N EWON -C OTES.
Ad esempio, per n = 2, si ha h = b a, con x 1 = a e x 2 = b, si ottiene la
formula dei trapezi:
ba # $
I= f (a) + f (b) .
2
Nel caso n = 3, invece, h = (b a)/2, x 1 = a, x 2 = (a + b)/2, x 3 = b si ottiene
la formula di Cavalieri-Simpson:
ba # % a +b & $
I= f (a) + 4 f + f (c) .
6 2
Si pu dimostrare che, per questa famiglia di formule, il grado di precisione
n 1 se n pari, mentre n se n dispari.

Formule di Gauss-Legendre

Scegliendo opportunamente le posizioni dei punti ove si valuta la funzione, si


ottengono formule con un grado di precisione pi elevato. Queste formule ap-
partengono alla famiglia delle formule gaussiane e hanno grado di precisione
pari a 2n 1.
In particolare, le formule di G AUSS -L EGENDRE scelgono i punti (detti punti
di Gauss) corrispondenti con le radici di certi polinomi, detti appunto polinomi
di Legendre, definiti sullintervallo [1, 1]. Le posizioni r i in questo intervallo
normalizzato prendono qui il nome di ascisse di Gauss e i corrispondenti pesi i
sono detti pesi di Gauss e sono calcolati, come gi illustrato per il caso generale,
mediante lintegrazione dei rispettivi polinomi di Lagrange:
!1
i = l i (r )dr
1

La tabella 5.6 riporta alcuni dei polinomi suddetti con ascisse e pesi corri-
spondenti.
Dato il loro grado di precisione pi elevato, per lintegrazione sugli elementi
finiti si ricorre alle formule di Gauss. Occorre per tenere presente che le ascisse
di Gauss sono definite sullintervallo normalizzato [1, 1] e quindi si deve tener
conto del mapping esistente fra questo e lintervallo originario [a, b]:
!b !1
I= f (x)dx = f [x(r )] det J dr (5.45)
a 1
118 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

Tabella 5.6: Ascisse e pesi di Gauss per m punti di integrazione.


m P (m) (r ) ri i
1 r 0 2
1
2 2
(3r 2 1) "1 1
3
"1 1
"3
3 1
2
(5r 3 3r ) "3 5
9
5
8
0
" 9
"3 5
5 9

dove det J = dx
dr
lo iacobiano della trasformazione. Per cui si avr:
!1 m
"
I= g (r )dr = i g (r i ) + E m (g ) (5.46)
1 i =1

Si osservi che lintegrando g (r ), se polinomiale, pu avere un ordine pi ele-


vato del polinomio f (x) originale, essendo questo moltiplicato per lo jacobiano
det J , in generale funzione di r .

Esempio 5.5
Si supponga di dover integrare una funzione parabolica f (x) = ax 2 + bx + c, su
un elemento finito a tre nodi di lunghezza L il cui nodo intermedio sia posto a
una distanza L dallestremo sinistro (0 < < L). Si impieghino le formule di
quadratura di Newton-Cotes e di Gauss-Legendre, confrontando i risultati con
3 2
il valore esatto I = aL3 + bL2 + cL al variare del parametro .
Il mapping a 3 nodi, con x 1 = 0, x 2 = L, x 3 = L si scrive
r (1 r ) r (1 + r ) 'r (
x(r ) = 0+ L + (1 r )2 L = L(1 + r ) + (1 r )
2 2 2
e lo jacobiano risulta:
) *
dx 1 + 2r
det J (r ) = =L 2r .
dr 2
La funzione integranda, sullintervallo normalizzato, g (r ) = f [x(r )] det J , te-
nendo conto delle espressioni precedenti risulta essere il polinomio di quinto
grado seguente:
+ ) * ) * ) 2 *
2 1 2 4 2 1 3 aL 1 2 2
g (r ) = aL r + aL r + + bL r +
4 2 4 2
) * ,) ,
2 bL 2 2 1 + 2r
aL + r + aL + bL + c 2r L
2 2
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 119

interessante notare che, nel caso particolare in cui il nodo intermedio sia po-
sto al centro dellelemento, cio per = 1/2, determinante jacobiano costante
e pari a L/2, e la funzione integranda si semplifica, diventando un polinomio di
secondo grado:
+ ,
-
- L aL 2 2 L aL 2 bL
g (r ) = 1 = r + (aL + b) r + + +c
2 2 4 2 4 2
Il grado di precisione delle formule di quadratura di Newton-Cotes, p N , e di
Gauss-Legendre, p G , a seconda del numero n di punti utilizzati il seguente:
n 1 2 3 4 5 6
pN 1 1 3 3 5 5
pG 1 3 5 7 9 11
Perci, nel caso generale (polinomio di quinto grado), per ottenere il risultato
esatto, risulta necessaria una formula di Newton-Cotes su 5 punti, mentre basta
una formula di Gauss-Legendre con soli 3 punti.
Si noti, inoltre, che nel caso dellelemento a jacobiano costante, che si tra-
duce in un integrando polinomiale di secondo grado, la quadratura risulta esat-
ta usando 2 punti di Gauss.
Queste considerazioni, svolte sul piano generale, si possono ripetere con-
frontando i risultati che si ottengono dallapplicazione delle formule di Gauss-
Legendre con numero di punti crescente con quello esatto ottenuto analitica-
mente:
# $
n = 1: I = L L(aL + b) + c . Risultato esatto solo nel caso particolare in cui
a = b = 0, cio f (x) = c; oppure per a = 0, b #= 0 nel caso = 1/2, cio di
elemento non distorto.
L
. # % & $ /
n = 2: I = 18 L 4aL 1 + 2 22 + 9b + 18c . Risultato esatto se a = 0, cio
f (x) = bx + c, indipendentemente da . Inoltre pure esatto nel caso
a #= 0 se = 1/2.

n = 3: I = L6 [L(2aL + 3b) + 6c]. Risultato esatto per tutti i valori dei parametri,
anche se lelemento distorto (infatti non dipende da ).

5.5 Implementazione degli elementi isoparametrici


In questo paragrafo sono riportati, negli esempi 5.6 e 5.7, i listati, in linguaggio
Fortran, di segmenti di un codice di calcolo 1 relativi a un elemento finito iso-
1
Tratto da: K.J. Bathe, Finite elements procedures, Prentice-Hall, 1996.
120 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

parametrico quadrilatero a quattro nodi, dedicati rispettivamente alla costru-


zione della matrice di rigidezza K e alla matrice B delle derivate delle funzioni
di forma.
Nellinterpretazione del codice Fortran, si tenga presente che le linee che
iniziano con il carattere , dette commenti, non vengono eseguite dallelabo-
ratore, ma sono inserite dallautore del programma a chiarimento e documen-
tazione della procedura. Un carattere qualsiasi nella sesta colonna di una riga
indica che essa la prosecuzione dellistruzione alla riga precedente. Le istru-
zioni vere e proprie iniziano dalla colonna 7 e sono eventualmente precedute
da un numero, qualora sia necessario fare riferimento a tale istruzione.

Esempio 5.6
La subroutine viene chiamata dal programma per ciascun elemento fi-
nito quadrilatero appartenente alla mesh, allo scopo di calcolarne il contributo
alla matrice di rigidezza della struttura. Le variabili indicate tra parentesi alla
linea 1 hanno il significato indicato nelle righe successive (da 2 a 27).
La linea 28 afferma che tutte le variabili il cui nome inizia con una lettera
compresa, in ordine alfabetico, tra A e H o tra O e Z sono numeri reali in doppia
precisione, mentre le rimanenti (cio quelle che iniziano con lettere tra I e N)
sono implicitamente intese come numeri interi.
La linea 35 definisce le dimensioni delle matrici e dei vettori. Ad esempio, la
matrice , che contiene le coordinate dei nodi dellelemento, ha 4 righe (una
per nodo) e due colonne (rispettivamente la coordinate x e y di ciascun nodo).
Nelle linee 39-42 e 46-49 si definiscono, nelle matrici e , rispettiva-
mente le ascisse di Gauss e i pesi corrispondenti (v. tabella 5.5).
A partire dalla linea 53 si definiscono le costanti elastiche e la matrice costi-
tutiva C, qui indicata con , per i diversi casi (deformazione piana, assialsim-
metria, tensione piana).
Dalla linea 94 inizia il calcolo dei termini di rigidezza. La matrice di rigidez-
za K dellelemento, qui indicata con viene dapprima inizializzata con valori
nulli (linee 94-96). La parte tra le linee 99 e 123 un doppio ciclo che considera
il contributo per ogni punto di Gauss (r i , s i ) (sono in direzione r e
in direzione s). Alla linea 106 si chiama la subroutine per la costruzione
della matrice K e il calcolo del determinante jacobiano det J.
Alla linea 111 si calcola il termine i j det J, costante rispetto alla somma-
toria della formula di Gauss per il punto considerato e, dalla linea 112 alla 122,
si esegue il doppio prodotto BT CB. I corrispondenti termini vengono assem-
blati nella matrice di rigidezza dopo averli moltiplicati per i j det J alla linea
121. Nelle linee 125-127 si completa, ricordandone la simmetria, la matrice di
rigidezza dellelemento.
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 121

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
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20
21
22
23
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30
31
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45
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60
61
62
122 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
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85
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93
94
95
96
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98
99
100
101
102
103
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106
107
108
109
110
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112
113
114
115
116
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119
120
121
122
123
124
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 123

125
126
127
128
129
130
131

Esempio 5.7
La subroutine viene utilizzata per il calcolo dei termini della matrice B
delle derivate delle funzioni di forma. Essa viene chiamata alla linea 106 del-
la subroutine (riportata nellesempio 5.6) per ciascun punto di Gauss
(r i , s i ).
Si possono facilmente individuare le definizioni delle funzioni di forma del
quadrilatero a quattro nodi nelle linee 13-23. Nelle linee 29-39 si calcolano le
derivate rispetto a r e a s. Fra le linee 41 e 63 si valutano in successione la
matrice jacobiana, J (qui chiamata ), il suo determinante (chiamato )e
linversa ( ).
Nelle linee 67-78 si calcolano gli elementi della matrice B, mentre la parte
tra le linee 87 e 108 si riferisce al caso particolare di assialsimmetria per il quale
necessario calcolare la componente di deformazione circonferenziale.
Da notare, infine, alla linea 53, il controllo del valore del determinante ja-
cobiano. Nel caso in cui esso non risulti positivo viene prodotto un messaggio
derrore e il calcolo si arresta dopo un salto alla linea 111.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
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15
16
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25
124 5 FORMULAZIONE DEGLI ELEMENTI FINITI

26
27
28
29
30
31
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35
36
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62
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64
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68
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79
80
81
82
83
84
85
86
87
5.5 IMPLEMENTAZIONE DEGLI ELEMENTI ISOPARAMETRICI 125

88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
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105
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109
110
111
112
113
114
115
116
117
Appendice A

Supporti matematici

A.1 Spazi vettoriali


Uno spazio vettoriale U un insieme di elementi, detti vettori, che possono es-
sere moltiplicati per uno scalare e fra i quali definita unoperazione di somma.

A.1.1 Definizione
Formalmente, U uno spazio vettoriale su R se sono definite le due leggi se-
guenti:

Legge di composizione interna: U U U che a ogni coppia u, v di elementi


di U associa un elemento di U , indicato con u + v, detto somma di u e v.

Legge di composizione esterna: R U U che ad ogni coppia costituita da


uno scalare R e da un elemento di U associa un elemento di U , indi-
cato con u, detto prodotto di per u.

Per cui sussistano le seguenti i propriet:

1. u + v = v + u (propriet commutativa della somma);

2. (u + v) + w = u + (v + w) (propriet associativa della somma);

3. esiste un elemento di 0U U , detto vettore nullo, tale che u + 0U = u per


ogni u U (esistenza dellelemento neutro rispetto alla somma);

4. per ogni u U esiste un elemento, indicato con u tale che u +(u) = 0U


(esistenza dellopposto);

5. (u + v) = u + v (propriet distributiva del prodotto rispetto alla som-


ma in U );

115
116 A SUPPORTI MATEMATICI

6. ( + )u = u + u (propriet distributiva del prodotto rispetto alla som-


ma in R);

7. (u) = ()u (propriet associativa del prodotto);

8. 1 u = u (esistenza dellelemento neutro rispetto al prodotto).


valide qualunque siano gli scalari , R e gli elementi u, v, w U .
Dalla definizione assiomatica precedente si fanno discendere tutte le pro-
priet degli spazi vettoriali. Il concetto di spazio vettoriale (detto anche spazio
lineare) uno dei pi importanti della matematica. Esso permette di studia-
re insiemi di oggetti matematici, a prima vista fra loro diversissimi, ma dotati
di una somiglianza strutturale profonda. Negli esempi seguenti si presentano
alcuni spazi vettoriali utilizzati nel seguito.

Esempio A.1
Linsieme Rn = R R R (n volte) delle n-uple ordinate di scalari u Rn :
u = (u 1 , u 2 , . . . , u n ), con u 1 , u 2 , . . . , u n R (A.1)
con somma: u + v = (u 1 + v 1 , . . . , u n + v n ) e prodotto u = (u 1 , . . . , u n ).

Esempio A.2
Le funzioni definite in un dominio che posseggono derivate continue fino
allordine m, con le operazioni di somma e prodotto definite in modo natu-
rale, costituiscono uno spazio vettoriale, detto C m (). Si verifica facilmente,
infatti che la somma (u + v)(x) = u(x) + v(x) appartiene ancora a C m (),
lelemento neutro la funzione identicamente nulla su e lopposta u(x) =
1 u(x).

A.1.2 Sottospazi
Non tutti i sottoinsiemi di elementi tratti da uno spazio vettoriale continuano
a soddisfare gli assiomi di definizione. Quei sottoinsiemi i cui elementi costi-
tuiscono uno spazio vettoriale sono chiamati sottospazi. Formalmente, un sot-
toinsieme V di uno spazio vettoriale U su R, un sottospazio di U se V uno
spazio vettoriale su R rispetto alle stesse leggi di composizione definite in U .
Si dimostra facilmente che V U un sottospazio di U se e solo se
u + v V, u, v V (A.2)
u V, u V, u R (A.3)
A.1 SPAZI VETTORIALI 117

cio chiuso rispetto alle leggi di composizione definite in U .

Esempio A.3
Si consideri lo spazio V3 dei vettori liberi dello spazio tridimensionale. I vetto-
ri paralleli rispettivamente a una retta o a un piano sono sottospazi vettoriali.
immediato infatti verificare la sussistenza delle propriet espresse dalle eq.
(A.2) e (A.3), cio, ad es. la somma di due vettori complanari un vettore anco-
ra appartenente allo stesso piano, cos come continua ad appartenervi il vettore
moltiplicato per uno scalare.

Dati due sottospazi V,W U , il sottoinsieme Z di U i cui elementi sono dati


da z = v + w, al variare di v in V e di w in W un sottospazio di U che si dice
sottospazio somma di V e W e si indica:

Z = V +W

Se, in particolare, lintersezione degli spazi coincide con il vettore nullo, cio
V W = {0U }, si dice che Z somma diretta di V e W , e si scrive:

Z = V W

Si dimostra un utile teorema che afferma che la somma Z di due sottospazi


V e W di U diretta se e solo se ogni vettore z Z si scrive in un solo modo
nella forma:
z = v + w, v V, w W

Nel caso in cui U = V W , questi ultimi si dicono sottospazi supplementari.

Esempio A.4
Si consideri nuovamente lo spazio V3 dei vettori liberi dello spazio tridimen-
sionale. I vettori paralleli rispettivamente a una retta e a un piano ad essa non
parallelo sono sottospazi supplementari di V3 .

A.1.3 Prodotto interno


Sia U uno spazio vettoriale: si definisce prodotto interno u, v di due vettori
u, v U unoperazione U U R che soddisfa gli assiomi seguenti:

1. u, v = v, u (simmetria);
118 A SUPPORTI MATEMATICI

2. u + v, w = u, w + v, w (linearit);

3. u, u 0, con u, u = 0 se e solo se u = 0 (definita positivit).

Uno spazio vettoriale dotato di prodotto interno detto spazio euclideo.

Esempio A.5
Date due funzioni u(x) e v(x) continue sullintervallo = (a, b), considerate
come elementi dello spazio C 0 (), un valido prodotto interno dato da:
!b
u, v = u(x)v(x) d x (A.4)
a
"b
Lassioma 1 soddisfatto in quanto v, u = a v(x)u(x) d x = u, v. La linearit
(assioma 2) si verifica in quanto, essendo lintegrando non negativo in tutto
lintervallo:
!b
u + v, w = (u(x) + v(x))w(x) d x
a
!b !b
(A.5)
= u(x)w(x) d x + v(x)w(x) d x
a a
= u, w + v, w

Il terzo assioma verificato in quanto


!b
u, u = u 2 (x) d x 0 (A.6)
a

e solamente nel caso u(x) = 0 assume il valore nullo.

Il prodotto interno qui introdotto nel caso di uno spazio vettoriale qualsiasi
una generalizzazione del concetto di prodotto scalare in V3 , ed quindi im-
mediato generalizzare ad uno spazio vettoriale qualsiasi altre idee legate a tale
prodotto. In tal caso, come noto, due vettori u e v sono ortogonali se u v = 0
(con si qui indicato lusuale prodotto scalare in V3 ). In maniera analoga
possibile introdurre il concetto di perpendicolarit in uno spazio vettoriale
qualsivoglia, purch dotato di prodotto interno.
Due vettori u, v U , sono fra loro ortogonali se

u, v = 0 (A.7)

Esempio A.6
A.1 SPAZI VETTORIALI 119

Siano u(x) = x e v(x) = x 2 . Considerate come vettori dello spazio C (),


= (a, a), sono ortogonali, infatti:
!a !a
u, v = u(x)v(x) d x = (x)(x 2 ) d x
a a
!a # 4 $a (A.8)
3 x
= x d x = =0
a 4 a

A.1.4 Norme e metrica


Detto u un qualsiasi vettore di uno spazio vettoriale U , si definisce norma di u,
-u-, unoperazione che fornisce un valore reale in base ai seguenti assiomi:

1. -u- 0, con -u- = 0 se e solo se u = 0 (definita positivit);

2. -u- = || -u- (linearit);

3. -u + v- -u- + -v- (disuguaglianza triangolare).

per ogni u, v U , R.
Gli assiomi qui introdotti si ispirano, come facile verificare, al concetto di
modulo di un vettore in V3 e ne estendono la validit a spazi vettoriali qualsiasi.

Esempio A.7
Si consideri lo spazio vettoriale Rn . Lespressione
% '1/
n
&
u= |u k | (A.9)
k=1

con 1 < , una norma valida. Si noti che, scegliendo = 2 si ottie-


ne la norma euclidea del vettore u, la quale fornisce una generalizzazione del
teorema di Pitagora in Rn .

Uno spazio vettoriale dotato di norma detto spazio normato. In generale,


qualsiasi funzione che rispetti gli assiomi di definizione pu essere usata come
norma, ma nel caso particolare in cui lo spazio vettoriale sia dotato di prodotto
interno spesso conveniente definire una norma basandosi su tale prodotto.
Negli spazi dotati di prodotto interno si pu infatti definire una norma na-
turale, a partire dal prodotto interno nel modo seguente:

-u- = u, u1/2 (A.10)


120 A SUPPORTI MATEMATICI

che, come si pu facilmente verificare, soddisfa gli assiomi di definizione.


Dalla possibilit di definire in modo naturale una norma a partire dal pro-
dotto interno, discende immediatamente che ogni spazio dotato di tale prodot-
to anche uno spazio normato, mentre non vale linverso. Infatti possibile
definire una norma che non discende da alcun prodotto interno.
Lultima propriet che conviene attribuire agli spazi vettoriali la possibilit
di misurare una distanza fra elementi dello spazio. A questo scopo si introduce
il concetto di metrica. Una metrica pu essere definita anche per insiemi privi
della struttura di spazio vettoriale; infatti, dato un insieme U , e tre suoi elemen-
ti qualsiasi u, v, w, una metrica d (u, v) una funzione U U R che soddisfa i
seguenti assiomi:

1. d (u, v) 0, con d (u, v) = 0 se e solo se u = v;

2. d (u, v) = d (v, u);

3. d (u, v) d (u, w) + d (w, u).

Un insieme dotato di metrica detto spazio metrico. Se, in particolare,


disponibile una norma, cio si ha a che fare con uno spazio normato, possibile
definire una metrica naturale a partire dalla norma dello spazio:

d (u, v) = -u v- , u, v U (A.11)

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