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°Simone
c & Andrea
Indice
2 Lo Strumento Generalizzato 31
2.1 La misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.1.1 Descrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2 Modello sistema dinamico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.2.1 Caratteristiche dinamiche degli strumenti . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.2.2 Approssimazione statica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.2.3 Approssimazione statica di un sistema dinamico . . . . . . . . . . . 36
2.3 Linearizzazione risposta ingresso-uscita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.3.1 Problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.3.2 Calibrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.3.3 Accuratezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
2.3.4 Altre caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
1
INDICE 2
4 Trasduttori 91
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
4.2 Potenziometri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
4.3 Estensimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.3.1 Condizionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
4.3.2 Disposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
4.3.3 Contributo dei cavi di collegamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
4.3.4 Effetti di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
4.3.5 Utilizzo per altri trasduttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
INDICE 3
Tali appunti sono il frutto di un’intensa collaborazione volta ad offrire un valido aiuto al su-
peramento dell’esame. Essi sono la trascrizione più o meno pedissequa delle lezioni tenute
nell’anno accademico 2004-2005 dal Prof Dozio. Si è usato il programma di editoria, comple-
tamente free, LATEX. E’ nostro dovere avvertire che tali note NON sono sufficienti al supera-
mento dell’esame. Oltre a queste pagine sono presenti in bacheca anche gli appunti ufficiali di
Dozio, anche se probabilmente incompleti, e i lucidi di Ghiringhelli. Si noti che queste pagine
sono nate proprio per costruire la dispensa finale del corso in accordo col Prof Dozio. Infine
si ricorda che è presente una bibliografia, in particolare il testo di Wheeler... è eccellente. Si
noti però che non copre affatto tutto il corso e serve più a dare un’idea, molto precisa, della
globalità della materia. Inoltre sono presenti esempi molto azzeccati.
In ogni modo, teniamo doveroso dare alcuni consigli per il superamento dell’esame:
• Seguire le lezioni.
• Leggere attentamente ogni pagina del Wheeler..., anche del programma non svolto.
Infatti molti esercizi sono tratti da questo libro, ovviamente nella parte non fatta.
• Svolgere tutti gli esercizi d’esame possibili, cercando di capire e colmare le lacune
pregresse, specialmente elettrotecnica, dinamica, automatica, scienza delle costruzioni.
• Studiare C.
Diciamo in bocca al lupo ad ogni studente che deve affrontare questa materia, per ogni
evenienza, anche per notizie sull’editor di testo:
sapo.simonetto@tiscali.it
In bocca al lupo!
4
Capitolo 1
1.1 Incertezze
1.1.1 Descrizione
Ogni misura ha un’incertezza: non siamo in grado di conoscere esattamente il valore vero di
ciò che stiamo misurando. Ogni misura è affetta da un errore.
Le incertezze possono essere divise in due categorie:
• incertezze sistematiche: producono una differenza costante tra il valore medio e il va-
lore esatto. Non possono essere individuate ripetendo più volte la misura, ma attraverso
un confronto con una misura di riferimento. Si riducono effettuando una calibrazione
dello strumento.
X = Xmedio ± δx
ESEMPIO
Si vuole scoprire se un oggetto sia fatto d’oro o di una lega. Si conosce la densità dell’oro:
g
ρoro = 15.5
cm3
e la densità della lega sospetta:
g
ρsosp = 13.8
cm3
Due diverse persone A e B misurano la densità dell’oggetto e trovano:
g
ρA = 15 ± 1.5
cm3
5
1.1. INCERTEZZE 6
g
ρB = 13.9 ± 0.2
cm3
Il margine di incertezza della misura data dall’osservatore A è troppo grande: esso com-
prende sia il valore di densità dell’oro, sia quello della lega sospetta. La misura dell’osserva-
tore B invece è più accurata, e consente di dire che è probabile che l’oggetto non sia fatto di oro.
di = Xi − µˆx
Se i di sono piccoli, le misure effettuate sono precise. C’è però bisogno di un indice globale.
Si potrebbe pensare di prendere il valore medio degli scarti:
N N
1 X 1 X
µˆd = di = (Xi − µˆx )
N i=1 N i=1
É importante anche la deviazione standard della popolazione, che è definita a partire dalla
varianza: q
σˆx = σˆx 2
1.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 7
Usando queste definizioni, il loro valore è più vicino al valore statistico vero quando N < 30
ESEMPIO
Per ottenere il valore della costante elastica di una molla vengono effettuate le seguenti misure:
K1 = (86 85 84 89 85 89 87 85 82 85) N m
a cui corrispondono i seguenti valori di media e deviazione standard:
µˆK1 = 85.7 Nm
σˆK1 = 2.16 Nm
La deviazione standard indica l’errore che si compie usando quel preciso strumento o metodo
di misura. Quindi se possiedo una seconda molla e voglio misurarne la costante elastica K2 ,
posso semplicemente effettuare una sola misura, ed esprimere la grandezza come:
K2 = 71 ± 2 N m
dove 2 é la deviazione standard che è stata arrotondata per aver lo stesso numero di cifre
significative del valor medio.
Se ora avessi un campione di N molle, e volessi ottenere la costante elastica media di tutte le
N molle, si effettuano m misure per una sola molla e si rileva la sua deviazione standard (ad
esempio 2.16 N m
); si calcola il valor medio della costante elastica, poi:
σˆK
K = µˆK ± √ 1
N
dove la
σˆ
√K1 (1.5)
N
esprime l’incertezza sul valore medio di un campione.
• Spazio degli esiti (S): L’insieme di tutti gli esiti possibili. Nel nostro caso: s ∈ S = {1, 2, 3, 4, 5, 6}
1.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 8
Xk Nk
23 1
24 3
25 2
26 3
28 1
1
Si noti che, almeno in questo corso si avrà sempre a che fare con eventi stocasticamente indipendenti. Una
trattazione più ampia ma elementare è presente ad esempio in: Maraschini - Palma, ForMat, Spe
1.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 9
PM
1
PN k=1 Xk Nk
La stima del valore medio µˆX = N i=1 Xi =
N
Ricordando poi l’equazione (1.6), si può calcolare la media come:
M
X
µˆX = Xk Fk (1.7)
k=1
Xk Nk Fk
23 1 0.1
24 3 0.3
25 2 0.2
26 3 0.3
28 1 0.1
0.35
0.3
0.25
0.2
Fk
0.15
0.1
0.05
0
23 24 25 26 28
Xk
Questo si può fare solo se le misure sono intere ed equispaziate. Consideriamo invece il se-
guente insieme di misure:
Xi ={26.4; 23.9; 25.1; 24.6; 22.7; 23.8; 25.1; 23.9; 25.3; 25.4} Dobbiamo definire degli in-
tervalli entro i quali calcolare Fk
Prendiamo i valori massimi e minimi dell’insieme:
Xmax = 26.4
Xmin = 22.7
e prendiamo un dominio che li contenga entrambi, ad esempio [22,27], e scegliamo una spa-
ziatura ∆k = 1.
Si definisce densità di frequenza:
Fk
fk = (1.8)
∆k
1.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 10
Si può compilare una seconda tabella con questi valori, e tracciare un secondo istogramma.
In questo esempio i risultati sono coincidenti, perché si è scelto ∆k = 1. Cambia solo che al
posto di avere dei segmenti, si hanno dei rettangoli.
Xk Nk fk
23 1 0.1
24 3 0.3
25 2 0.2
26 3 0.3
28 1 0.1
0.4
0.35
0.3
0.25
Fk 0.2
0.15
0.1
0.05
0
22 23 24 25 26 27 28
Xk
Z ∞
• p(x) dx = 1
−∞
ossia la densità di probabilità è una funzione normalizzata. Questo indica che la proba-
bilità che avvenga un evento qualunque è un evento certo.
Z x̄
• P (X ≤ x̄) = p(x) dx
−∞
Z x̄
• P (X ≥ x̄) = 1 − P (X ≤ X̄) = 1 − p(x) dx
−∞
• P (X = x̄ = 0)
Poiché la funzione è continua e p(x) : R → R , i valori che può assumere sono infiniti, e
quindi la probabilità che assuma un preciso valore è un evento nullo.
ESEMPIO
Sia data la densità di probabilità di vita di un cuscinetto a sfera:
½
0, se x < 10h;
p(x) = 200
x3
, se x ≥ 10h.
Si chiede di trovare la probabilità che la vita del cuscinetto sia x = 20h, x ≥ 20h, x ≤ 20h.
∗)P (x = 20) = 0, perché come già detto, la densità di probabilità non può assumere un
preciso valore.
R 20 R 10 R 20 200
∗)P (x ≥ 20) = p(x) dx = −∞ 0 dx + 10
−∞ x3
dx
£ ¤20
Quindi P (x ≥ 20) = − 100
x 2 10
= 0.25 = 25%
µ−σ µ µ+σ
R∞ z2 √
Il primo integrale si dimostra essere2 : −∞
e− 2 dz =
2π. Allora
µ h ¶
1 √ 2 i∞
− z2
µz = √ σµ 2π + −e =µ
σ 2π −∞
Quindi il parametro µ rappresenta proprio il valore medio della distribuzione di Gauss. Questo
implica che la funzione è centrata sul valor medio se non ci sono errori sistematici, ma solo
errori casuali.
Con un analoga trattazione si può dimostrare che il parametro σ rappresenta il valore della
deviazione standard.
Si nota che la forma della densità normale di probabilità non dipende da parametri, è simme-
trica rispetto l’asse z = 0 e ha flessi in z = ±1.
Si trova tabulato3 il valore di Z z
I(z) = p(z)dz
0
La (1.14) gode delle seguenti proprietà:
1
• P (−∞ < z ≤ 0) = P (0 ≤ z < ∞) = 2
perché è simmetrica rispetto l’asse z = 0
I (z)
½ 1
− I(z̄), se z̄ > 0;
• P (z ≥ z̄) = 2
1
2
+ I(z̄), se z̄ < 0.
½ 1
+ I(z̄), se z̄ > 0;
• P (z ≤ z̄) = 2
1
2
− I(z̄), se z̄ < 0.
ESEMPIO
Sia data una serie di misure, la cui deviazione standard e media sono rispettivamente σx =
0.098, µ = 0.644
Calcolare le seguenti probabilità: P (0.5 ≤ x ≤ 0.7) e P (x ≥ 0.8), supponendo che la distri-
buzione sia di tipo gaussiano.
∗)Per non risolvere l’integrale della (1.13), si effettua il noto cambio di variabili, ottenendo
quindi:
0.5 − µx
z1 = = −1.47
σx
0.8 − µx
z2 = = 0.57
σx
Ora si deve trovare P (−1.47 ≤ z ≤ 0.57).
Grazie alle proprietà sopra elencate il calcolo diventa
P (−1.47 ≤ z ≤ 0) + P (0 ≤ z ≤ 0.57)
P (0 ≤ z ≤ 1.47) + P (0 ≤ z ≤ 0.57)
ESEMPIO
Siano date le seguenti misure, e il numero di volte che sono state rilevate:
xk 75 76 77 78 79 80
Nk 2 3 0 0 2 1
Trovare il valore della misura x con un livello di confidenza al 90%, supponendo che la distri-
buzione sia di tipo gaussiano.
Prima di tutto calcoliamo la media e la deviazione standard:
P
xk Nk
µx = N
= 77
q P
1
σx = N −1
Nk (xk − µx )2 = 2
1.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 16
1−α
α/2
−z z
α/2 α/2
σx
La probabilità di ottenere l’insieme delle misure x1 . . . xN è il prodotto di tutte le probabilità:
N
Y 1 − PNi=1 (x2(σ
i −µx )
2
P (x1 . . . xN ) = P (xi ) ∝ e x ) 2
i=1
σx
1.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 17
Supponendo incogniti i veri valori di media e deviazione standard, si costruiscono delle stime:
µx 0 e σx 0 , e si calcola
1 − PNi=1 (x2(σ
0 2
i −µx )
0
P (x1 . . . xN ) ∝ 0 e 0 )2
x
σx
Si prendono poi un’altra stima della media e deviazione standard µx 00 e σx 00 , e si calcola
P (x1 . . . xN )00 . Se si ottiene P (x1 . . . xN )00 ≥ P (x1 . . . xN )0 , significa che µx 00 e σx 00 sono
una stima migliore dei veri valori statistici. Devo far in modo di massimizzare P (x1 . . . xN ).
PN (xi −µx )2
Questo si ottiene minimizzando l’argomento dell’esponenziale: i=1 2(σx )2 . Affinché sia
minimo, dev’essere
N N
∂ X (xi − µx )2 X
=0⇒ (xi − µx ) = 0
∂µx i=1 2(σx )2 i=1
Da cui si ricava
N
X N
X
xi = µx = N µ x
i=1 i=1
PN
xi
Allora la miglior stima risulta proprio essere µx = i=1
N
1 − α = P (−t α2 ≤ t ≤ t α2 )
Si noti che t α2 → z α2 se N → ∞.
ESEMPIO
Da una popolazione di dati, è stato estratto un campione di 10 dati, con σx = 3 e µx = 25.
Calcolare l’intervallo corrispondente a un livello di confidenza del 99%.
Si calcola 1−α2
= 0.99
2
= 0.495.
Dalla tabella si ricava il corrispondente t α2 = 2.58.
L’intervallo è allora ±t α2 √σˆN
x
= ±2.54
e si calcola la probabilità di trovare dei dati al di fuori di Rσˆx . Questo si ottiene usando
le tabelle della funzione normale e calcolando il valore di
f = 1 − I(R)
qmax = xm + δx + ym + δy
qmax = (xm + ym ) + (δx + δy )
qmin = xm − δx + ym − δy
qmin = (xm + ym ) − (δx + δy )
Allora se una misura deriva dalla somma di due o più misure affette da errore, la sua incertezza
è la somma delle singole incertezze:
q = (xm + ym ) ± (δx + δy )
qmin = xm − δx − (ym + δy )
qmin = (xm − ym ) − (δx + δy )
Allora se una misura deriva dalla differenza di due o più misure affette da errore, la sua
incertezza è la somma delle singole incertezze:
•) Prodotto: q = x · y
Il valore medio di q sarà il prodotto dei valori medi delle singole grandezze: qm = xm · · · ym .
Per calcolare l’incertezza si ricorda la definizione di incertezza relativa, secondo l’equazione
(1.1):ε = |Xδxm | . Allora possiamo esprimere le due grandezze come : x = xm (1 ± |xδmx | ). Quindi
L’ultimo termine si può trascurare, perché in genere le misure sono piuttosto precise.
Allo stesso modo si calcola il valore minimo della misura q:
qmax
qmin
xm
Dove il segno più si ha in caso di funzione crescente, e il segno meno in caso di funzione
decrescente.
•) Funzione di più variabili: q = q(x1 . . . xN )
Estendendo il ragionamento precedente in più dimensioni, si giunge alla conclusione che
XN µ ¶
∂q
δq = · δxi (1.20)
i=1
∂xi xi =xim
DIMOSTRAZIONE
É necessario introdurre il concetto di covarianza:
N
1 X
σxy = (xi − µx )(yi − µy ) (1.22)
N i=1
1.3. PROPAGAZIONE DELLE INCERTEZZE 22
Essa indica il grado di correlazione che esiste tra x e y, e può assumere sia valori positivi che
negativi. La varianza risulta essere un caso particolare della covarianza. Se x e y sono misure
indipendenti, σxy = 0.
Supponiamo che siano state compiute N misure dirette per trovare la grandezza indiretta q,
la quale dipende da m grandezze. Allora
Per evitare complicazioni con gli indici, per indicare il valor medio di xik , scriviamo x̄ik .
Si può sviluppare in serie di Taylor la qk , prendendo come punto di partenza i valori medi delle
xik . Fermandosi al prim’ordine si ottiene:
· ¸ · ¸
∂q ∂q
qk = q(x̄1k . . . x̄mk ) + (x1k − x̄1 ) + · · · + (xmk − x̄m )
∂x1 x̄1 ∂xm x̄m
q(x̄1k . . . x̄mk ) = q̄
Elevando poi al quadrato il secondo membro, e omettendo il punto di valutazione delle derivate
per semplicità di notazione,
N
"µ ¶2 µ ¶2 #
1 X ∂q ∂q
σq2 = (x1k − x̄1 )2 + · · · + (xmk − x̄m )2 + · · · +
N k=1 ∂x1 ∂xm
N · ¸
1 X ∂q ∂q
+ ··· + 2 (x1 − x̄1 )(xmk − x̄m )
N k=1 ∂x1 ∂xm k
Portando
PN fuori dalla sommatoria le derivate, e ricordando che:
2 2
k=1 ik − x̄i ) = σi , si ottiene
(x
µ ¶2 µ ¶2
2 ∂q 2 ∂q 2 ∂q ∂q
σq = σ1 + · · · + σm + ··· + σ1m
∂x1 ∂xm ∂x1 ∂xm
Ma se le misure sono indipendenti, tutte le covarianze σik risultano nulle. Si ottiene quindi
Xm µ ¶2
2 ∂q
σq = σi
i=1
∂x i
Facendone la radice si ottiene l’incertezza sulla q,che equivale alla (1.21) come si voleva di-
mostrare.
1.3. PROPAGAZIONE DELLE INCERTEZZE 23
Con questa formula si può dimostrare la formula (1.5) dell’incertezza sulla media: σx̄ =
σx
√
N
x1 +...+xN
Se infatti x̄ = N
allora
sµ ¶2 µ ¶2
∂ x̄ ∂ x̄
σx̄ = σx + ··· + σx
∂x1 1 ∂xN N
Tenendo poi conto che le σxi sono uguali perché la grandezza è la stessa, si ottiene
sµ ¶2 µ ¶2
1 1 1
σx̄ = σx + · · · + σx = √ σx
N N N
Quindi conoscendo solo l’incertezza relativa sulle xi , si può vedere quale, a parità di incertezza,
influenza di più l’incertezza relativa di q.
³ ´2
Se dividiamo entrambi i membri per δqq e chiamiamo l’incertezza relativa con ε,
XN N
c2i (εxi )2 X 2
1= = cirel
i=1
(εq )2 i=1
1.3. PROPAGAZIONE DELLE INCERTEZZE 24
I c2irel tengono conto non solo del peso dell’incertezza di ciascuna grandezza sul valore della
misura finale, ma anche del valore dell’incertezza stessa. Si può vedere quindi quale grandezza
è necessario misurare più precisamente affinché l’incertezza sulla misura finale sia minore di
un certo valore.
ESEMPIO
Si abbia una resistenza R = 100 ± 5Ω soggeta a una differenza di potenziale V = 28 ± 0.05V .
Si vuole calcolare la potenza dissipata dalla resistenza, e sapere quale incertezza delle due
grandezze influenza di più l’incertezza sulla potenza.
V2
∗) La potenza si calcola come: P = R
. Allora il valor medio della potenza risulta essere:
V̄ 2
P̄ = = 7.84W
R̄
Per calcolare l’incertezza sulla potenza si ricorre alla formula (1.21), che in questo caso
diventa: sµ ¶2 µ ¶2
2V̄ 1
δP = δV + − 2 V δR
R̄ R̄
Sostituendo i valori numerici si ottiene
p
δP = (0.56 · 0.05)2 + (−0.0784 · 5)2 = 0.39W
Il valore della potenza allora risulta : P = 7.84 ± 0.39W .
∗) É necessario calcolare i coefficienti di amplificazione delle incertezze, secondo la for-
∂q
mula ci = xqi ∂x i
.
Essi risultano essere: cV = 2 e cR = −1, ossia osservando i moduli dei coefficienti saremmo
indotti a pensare che la maggior parte dell’errore sulla potenza sia dovuta all’incertezza sul
potenziale. In realtà se si calcola il coefficiente di amplificazione relativo, quindi
µ ¶2
2 εi
cirel = ci
εq
si trova che cVrel = 0.00507, mentre cRrel = 0.9949.
1.3.4 Normativa
E’ ora necessario puntualizzare le direttive della normativa vigente sul calcolo delle incertezze.
In primo luogo si dividono le stesse in due gruppi distinti:
• Incertezze di tipo A, tutte quelle che individuo facendo più misurazioni su una stessa
grandezza, {x1 , . . . , xN }.
• Incertezze di tipo B, tutte quelle di cui ho solo una misura.
Per approfondire il discorso si rimanda a Dozio.... In ogni modo, poniamo di voler calcolare
l’incertezza di una certa quantità che dipende da varie grandezze, la normativa impone:
1. Si calcola un σ per ogni grandezza misurata. Non importa che le densità di probabilità
ipotizzate siano le stesse, solo che il fattore di copertura sia per tutti unitario. In effetti
questa ipotesi può essere rilassata se e solo se le misure delle grandezze sono in numero
uguale, ovvero le grandezze hanno gli stessi gradi di libertà. In questo caso basta che il
fattore di copertura sia lo stesso per tutti.
1.4. REGRESSIONE POLINOMIALE 25
2. Si calcola con: v
u N µ ¶2
uX ∂q
δq = t · δxi
i=1
∂xi
L’incertezza sulla quantità di interesse. Il suo fattore di copertura sarà quello di partenza.
3. Si ipotizza ora una densità di probabilità t-student e si calcola il fattore di copertura
richiesto per avere un certo livello di confidenza. Qualora le grandezze non avessero lo
stesso numero di gradi di libertà, magari perché sia di tipo A che di tipo B, si calcola il
numero di gradi di libertà effettivi con la seguente formula, dovuta a Welch-Satterwhaite:
(σq )4
νef f =
Xµ ¶4 (1.24)
∂q 1
σx
∂xi i νi
Tenendo presente che:
½
νi ≡ N − 1 per le incertezze di tipo A
νi ≡ ∞ per le incertezze di tipo B
Dove N è il numero di misure effettuate per una singola grandezza.
Si noti che tale normativa è successiva alla pubblicazione del Wheeler....
×
× ×
× ×
×
×
× ×
×
- x
Si definisce la curva di regressione come la curva polinomiale che meglio approssima i dati
ottenuti. Essa sarà una funzione del tipo:
y = a0 + a1 x + a2 x2 + . . . am−1 xm−1
Sia per la grandezza x, sia per la y vengono effettuate N misure, con N > m. Allora la
precedente equazione diventa:
y1 = a0 + a1 x1 + a2 x21 + . . . am−1 xm−1
1
y2 = a0 + a1 x2 + a2 x2 + . . . am−1 xm−1
2 2
..
.
y = a + a x + a x2 + . . . a m−1
N 0 1 N 2 N m−1 xN
1.4. REGRESSIONE POLINOMIALE 26
Allora se si pone
1 x1 x21 · · · xm−1
1
y1 a0
.. .. 1 x2 x22 · · · xm−1
2
y= . a= . X= .. .. .. .. ..
. . . . .
yN am−1
1 xN x2N · · · xm−1
N
y = Xa
- x
y
6
@
@ ¡¡
@ ¡
@ ¡
r = −1@ ¡r =1
@ ¡
@ ¡
@¡ - x
plicemente con σy . Si calcola l’incertezza sulla grandezza y usando lo scarto dalla retta di
regressione: v
u
u 1 X N
σy = t (yi − (a0 + a1 xi ))2 (1.26)
N − 2 i=1
Si è usato N-2, perché essi sono i gradi di libertà del polinomio interpolante.
Però anche i coefficienti a0 e a1 hanno delle incertezze. Per calcolarle, si ponga per
semplicità di notazione:
X ³X ´2
2
A = a0 B = a1 ∆=N xi − xi
Ma per ipotesi tutte le σyi sono uguali, quindi possiamo portarle fuori dalla sommatoria. Inoltre
sviluppiamo il quadrato:
" P P P P #
X ( j x2j )2 + ( j xj )2 x2i − 2( j x2j )( j xj )xi
σA2 = σy2
i
∆2
Scomponiamo la frazione in
" P P P P #
X ( j x2j )2 X ( j xj )2 x2i X −2( j x2j )( j xj )xi
σA2 = σy2 + +
i
∆2 i
∆2 i
∆2
Poichè entrambi gli indici vanno da 1 a N, è indifferente usare i oppure j. Perciò la precedente
si riscrive: P
( j xj )2 X 2
xj
∆2 j
e anche in questo caso è indifferente usare uno dei due indici, perché entrambi vanno da 1 a N
P P
( j x2j )( j xj ) X
−2 xj
∆2 j
Con analogo procedimento si può ricavare l’incertezza sul coefficiente B, che risulta essere:
s
N
σB = σy P 2 P (1.28)
N i xi − ( i xi )2
All’inizio avevamo supposto che le grandezze x fossero prive di incertezza. In caso ciò non
risulti verificato, l’incertezza sulle x si ripercuote sulle y.
Dalla figura si vede che
dy
∆y = = B∆x
x∆x
Supponendo quindi le incertezze sulle x tutte uguali, si ottiene
q
σytot = σy2 + (Bσx )2
1.4. REGRESSIONE POLINOMIALE 30
y 6 A+Bx
¡
¡
¡
¡
¡6
¡
¡ ∆y
¡
¡
¾¡ -?
¡
¡ ∆x
¡
- x
Y = ln C + aX
Allora i valori che andranno considerati per trovare i coefficienti della retta di regressione
saranno i punti (ln xi , ln yi )
• y = Ceax
Si può ottenere una relazione lineare tra le grandezze x e y se si applica a entrambi
membri il logaritmo:
ln y = ln(Ceax ) = ln C + ax
Per cui basta porre Y = ln y per ottenere una relazione lineare:
Y = ln C + ax
Allora i valori che andranno considerati per trovare i coefficienti della retta di regressione
saranno i punti (xi , ln yi )
Capitolo 2
Lo Strumento Generalizzato
2.1 La misura
2.1.1 Descrizione
Per avere una conoscenza quantitativa della realtà, specialmente dei fenomeni fisici che ci
circondano è necessario operare delle misurazioni. Come è chiaro dalle discussioni affronta-
te queste misure saranno affette da vari tipi di incertezze. Ci interessa, in questo momento,
affrontare il problema da un altro punto di vista, ovvero il modo di effettuare una misura. Di-
scuteremo i vari tipi di strumenti di misura, come vengono modellizzati per esplicitare le loro
peculiari caratteristiche e in che modo è tenuto in conto l’errore sempre presente.
In primo luogo possiamo schematizzare il processo di misurazione come in figura (2.1.1), do-
ve lo strumento di misura trasforma, per cosı̀ dire, il fenomeno fisico in un dato numerico.
Particolarizziamo meglio però il blocco che abbiamo chiamato strumento di misura: esso sarà
- T - E - V -
31
2.1. LA MISURA 32
6
Effetto di carico
ESEMPIO:
ÿ ÿ
Si pensi di dover misurare la tensione ai capi di una resistenza con un voltmetro.
V
Rint
R
Esso è posto come in figura in parallelo ed ha una sua resistenza interna. La lettura che lo
strumento darà sarà:
R Rint
∆V = i
R + Rint
che discosta da quella reale tanto più è piccola la resistenza interna. Per un amperometro si
mostra che succede l’opposto se lo si pone in serie.
E’ necessaria una piccola precisazione, quello che si sta facendo è schematizzare uno stru-
mento generico, non è detto che ogni strumento abbia tutte le parti di cui si parla o che le parti
siano chiaramente distinguibili. Anche il precedente esempio del termometro, ripensandolo a
posteriori, è un po’ forzato.
I trasduttori possono essere attivi o passivi. Si chiamano passivi quando non necessitano del-
l’energia per dare l’uscita, attivi altrimenti. In questo caso è possibile pre-amplificare l’uscita.
Si noti figura (2.1.1).
Per concludere, un’ultima dicotomia: la misura dopo l’elaborazione, può essere visualizzata
per deviazione o azzeramento. Nel primo caso, si legge lo sbilanciamento come in una mo-
derna bilancia a lancetta, nel secondo caso si cerca di riportare a riposo il sistema, si pensi ad
esempio ad una bilancia a pesi regolabile o ad una stadera, in cui la misura del peso è letta
facendo tornare in equilibrio i piatti.
1
Questo ha a che vedere con il principio di indeterminazione di Heisemberg, formulato negli anni ’20.
2.2. MODELLO SISTEMA DINAMICO 33
'$
- @@ -
EIN ¡¡ EOU T
&%
ET 6 ?EP
- H0 -
qi q0
ovvio che non è cosı̀. In effetti, quello che succede è più simile a figura (2.3.1), in cui si è
indicato con qI gli ingressi di interferenza, ovvero quelli che si sommano algebricamente al
segnale vero, e con qM gli ingressi di modifica, ovvero quelli che modificano la funzione di
trasferimento del sistema, da H a H̃.
- H̃I
qI
?
-6 -
qM ? 6 q0
- H̃0
qi
In generale per ogni sistema dinamico si ha, indicando con qi , l’ingresso e q0 l’uscita:
dn dn−1 d
an n q0 (t) + an−1 n−1 q0 (t) + · · · + a1 q0 (t) + a0 q0 (t) =
dt dt dt
dm dm−1 d
= bm m qi (t) + bm−1 m−1 qi (t) + · · · + b1 qi (t) + b0 qi (t)
dt dt dt
2
Da qui in poi si daranno per scontate nozioni dei corsi di automatica, richiamando solo i concetti più
importanti. Si rimanda a Rocco, dispense.
2.2. MODELLO SISTEMA DINAMICO 34
Si farà l’ipotesi, peraltro ragionevole, che m < n. Passando nel dominio della frequenza con
Laplace:
Dove si è fatta come ulteriore ipotesi la non esistenza di poli multipli. Si riesce a semplificare
ulteriormente il modello, se si è nel caso in cui si ha un polo dominante, allora si ha uno
strumento del primo ordine:
α1
H̃1 (s) =
s + p1
Se invece i poli dominanti sono i due complessi e coniugati si ha uno strumento di misura del
secondo ordine:
β 1 s + γ1
H̃2 (s) =
+ 2 σ1 s + σ12 + ω12
s2
Per i quali, solitamente β1 = 0. Tornando alla precedente notazione:
b0
H̃1 (s) =
a1 s + a0
b0
H̃2 (s) =
a2 s2 + a1 s + a0
Facciamo qualche precisazione: prima di tutto si intende per approssimazione a poli dominan-
ti, la modellizzazione vista sopra, in cui solo alcuni poli sono importanti rispetto agli altri, la
cui dinamica, se si vuole, è lenta in confronto a loro. Secondo, ci si potrebbe chiedere quanto
sia effettivamente ragionevole schematizzare la dinamica di uno strumento in questo modo e
quale errore si commette. In effetti si può dire che le caratteristiche elencate sono quelle che
deve avere un buono strumento, o meglio un buon strumento deve essere progettato con queste
caratteristiche, pertanto il modello è più che sensato (se gli strumenti sono ben progettati).
2.2. MODELLO SISTEMA DINAMICO 35
a0 q0 (t) = b0 qi (t)
b0
In figura è riportata la risposta allo scalino di ampiezza A. Il rapporto a0
= K prende il nome
KA
- t
di sensibilità statica. Sono di seguito riportati i diagrammi della funzione di trasferimento del
sistema.
H(j ω) 6
- ω
∠H(j ω) 6
sfasamento nullo
0◦ - ω
Si ricordi che il guadagno statico é K = H(0) e che la misura in decibel per i diagrammi di
2.2. MODELLO SISTEMA DINAMICO 36
q0 (t) = K A (1 − e−t/τ )
q0 6
KA
- t/τ
1 4
A0 6
Ai
0.7
- ωτ
1
Figura 2.11: Ampiezza
Dalla figura si comprende che si ha risposta statica solo nel punto in cui ω τ = 0 perciò si
ha risposta statica per tutte le frequenze quando τ → 0 e quindi ω → ∞. Questo è il caso
trattato in precedenza, ovvero risposta istantanea. Se però τ 6= 0 si può cercare di approssimare
staticamente lo strumento a patto di considerare frequenze opportune. Si vede che nell’intorno
A0 6
Ai
0.95 - ωτ
0.33
del punto di ascissa 0 il comportamento è praticamente statico. Si noti inoltre la tabella sotto.
ωτ A0 /Ai
0 1
0.14 0.99
0.2 0.98
0.33 0.95
Si vede che per una distorsione di ampiezza inferiore al 95% bisogna scegliere ω τ < 0.33.
Si capisce bene che più la costante di tempo cresce più la banda di frequenze risulta limitata.
Per quanto riguarda la fase, invece la figura è quella sotto. Si ha sfasamento nullo, quindi
comportamento statico, come prima per τ → 0 e ω → ∞. Questa volta, si può linearizzare
il primo tratto nell’intorno della posizione statica. Pertanto ho un segnale in ritardo, ma non
deformato. Questo è importante ai fini di una corretta raccolta di dati. Si può dimostrare
quanto affermato, infatti posto un ingresso del tipo:
X
qi = A1 sin(ω1 t) + · · · + An sin(ωn t) = Ak sin(ωk t)
k
2.2. MODELLO SISTEMA DINAMICO 38
∠H(j ω) 6
0◦
-90◦ - ωτ
ω̄
che non è per nulla una limitazione, infatti tramite una serie di Fourier tutti i segnali si possono
scrivere i questo modo. L’ uscita sarà, per il teorema di risposta in frequenza:
X
q0 = Ak H(j ωk ) sin(ωk t + φ(ωk ))
k
φ=βω
|H(jω)|
ξ=0.01
ξ=0.1
1
ξ=0.7
ξ=1
ξ=10
ω/ωn
Si può notare che se ωωn → 0 e ξ ≈ 0.7 allora lo strumento per quanto riguarda il modulo si
comporta staticamente, per la fase linearmente. Qui la schematizzazione è più complessa dello
strumento al primo ordine, comunque si osservi tabella sotto.
ω/ωn ξ = 0.1 ξ = 0.7 ξ = 1
0.1 1.01 1.0002 0.99
0.2 1.04 1.0000 0.96
0.3 1.09 0.9978 0.92
0.4 1.18 0.9905 0.86
0.5 1.32 0.9747 0.80
Si vede che, ad esempio, con ξ = 0.7 si può utilizzare lo strumento, o meglio lo strumento
ha un comportamento statico-lineare, fino al 40% della pulsazione propria. Anche in questo
2.3. LINEARIZZAZIONE RISPOSTA INGRESSO-USCITA 40
ω/ω
n
0°
ξ=0.01
ξ=0.1
ξ=0.7
ξ=1
ξ=10
−180°
ESEMPIO
Si approssimi il comportamento dinamico di una termocoppia con un sistema al primo ordine,
τ = 0.1s, K = 0.08mV /◦ C . Si calcoli (1) la massima frequenza del segnale in ingresso
affinche la distorsione d’ampiezza sia inferiore al 5%. (2)Calcolare lo sfasamento alla massima
frequenza e (3)il valore misurato dopo 0.5s con ∆ t istantaneo di 50 ◦ C.
(1) Posto:
1
A/Ai = √ < 0.95
1 + ω2 τ 2
si ha:
ωM
ωM = 3.29rad/s fM = = 0.52Hz
2π
(2) Lo sfasamento è:
q0 (t) = K A (1 − e−t/τ )
Si commette errore quando questi parametri sono grandi rispetto alla velocità di varia-
zione dell’ingresso, ciò significa che lo strumento deve essere dinamicamente più rapido
dell’ingresso.
• Risposta in frequenza: non è altro che un modo diverso di intendere la risposta tempo-
rale.
• Range dinamico: nella banda di utilizzo dello strumento si ha un valore minimo e mas-
simo dell’ingresso. A volte può variare a seconda della frequenza, ad esempio un volt-
metro con diverse regolazioni, per tale ragione è detto dinamico. Per un buon stru-
mento dovrebbe essere
µ elevato
¶ per consentire un’ ampia banda di utilizzo. Si ha che:
qi,M AX
RAN GE = 20 log .
qi,M IN
Passiamo ora a caratterizzare meglio il comportamento statico di uno strumento. Ripetiamo
che in questo caso l’errore dinamico è nullo. Sia allora verificata:
q0 = K q i
Dove la dipendenza temporale non ha più alcun significato. Si vede che il legame è puramente
lineare (non si dimentichino, comunque, tutte le ipotesi fin qui addotte). Ovviamente qi ∈
[qi,M IN , qi,M AX ], che è appunto il range o portata, quindi q0 ∈ [q0,M IN , q0,M AX ] che è il valore
di fondo scala, o FSO (Full scale output). Teniamo a precisare che il valore di fondo scala è
FSO = q0,M AX − q0,M IN , si faccia attenzione.
Possiamo rappresentare il legame ingresso-uscita su una retta, come figura sotto.
Il valore in origine si chiama punto di zero o null point. In generale è comunque ovvio che
gli strumenti di misura hanno degli errori, derivanti in principal modo della loro costruzione,
si altro modo dalle condizioni in cui si trovano ad operare. Pertanto ad un q̄i assegnato non
corrisponderà in genere il suo valore teorico q̄0 . Questo nel grafico si traduce in una diversa
pendenza della retta o in un diverso punto di zero. Per utilizzare lo strumento devo quindi
togliere lo scostamento o quantificarlo, ovvero devo calibrare lo strumento. Si noti che tali
errori sono tutti da classificare come errori sistematici. Classifichiamoli:
q0
6q
0,M AX
¡
¡
¡
¡
¡
¡ - qi
¡
qi,M IN ¡ qi,M AX
¡
¡
¡
¡
q0,M IN
q0
6q
0,M AX
¡
¡
¡©© vera
¡
© ©
©
¡
©©
¡ - qi
© ©©¡
qi,M IN© ¡ qi,M AX
©
¡
¡
¡
¡
q0,M IN
• Indiretta: confronto con uno strumento già calibrato, che sia caratterizzato da un’ incer-
tezza almeno di un ordine di grandezza più piccolo rispetto allo strumento da calibrare.
2.3.2 Calibrazione
Il processo di calibrazione consiste nell’imporre al misurando dei valori noti con adeguata
precisione, e nel registrare quali valori vengono mostrati dallo strumento. L’imposizione dei
valori viene fatta in condizioni statiche. Solitamente al misurando viene imposta una serie
di valori ciclicamente. Ciò permette di individuare anche degli errori dovuti all’isteresi dello
strumento.
La calibrazione permette di individuare la sensibilità e il punto di zero reali dello strumento.
Tenendo conto di questi si possono quindi di eliminare gli errori sistematici. Rimangono però
degli errori residui, o errori di calibrazione. Ciò verrà chiarito da un esempio.
Supponiamo di avere un sensore piezometrico di pressione. Per calibrarlo viene imposta una
qi che va da 0Kpa a 10KPa. Le letture date dallo strumento non avranno un andamento
esattamente lineare. Viene quindi fatta una regressione lineare, cioè si trovano a0 e a1 tali
che
qo = a1 qi + a0 (2.3)
La precedente si chiama curva di calibrazione. Da essa si possono trovare la sensibilità e il
punto di zero. La stessa curva, espressa però in funzione di qo assume il nome di curva di
taratura:
qo − a0
qi = (2.4)
a1
Essa permette di trovare il valore del misurando eliminando gli errori dovuti alla non linearità.
Si deve però ricordare che i coefficienti della retta di calibrazione hanno delle incertezze, e
anche le uscite hanno una certa varianza
N
1 X
σq2o = (qo − (a1 qi + a0 ))2
N − 2 i=1
σq2o
σq2i =
a21
Quindi con un livello di confidenza del 68% si può dire che il misurando è qi ± σqi .
Solitamente dai produttori degli strumenti non viene indicata l’incertezza su qi , ma vengono
forniti altri indici.
2.3. LINEARIZZAZIONE RISPOSTA INGRESSO-USCITA 44
2.3.3 Accuratezza
L’accuratezza è un indice di qualità dello strumento, e viene tipicamente espressa come per-
centuale del fondo scala. Ma questo implica che se la misura è vicina al minimo del fondo
scala, l’errore relativo risulta essere elevato. Quindi l’accuratezza può venir anche espressa
come percentuale della singola misura.
L’accuratezza tiene conto di diversi tipi di errore dovuti alla non idealità dello strumento. Essi
sono:
• Errori di ripetibilità: imponendo al misurando lo stesso valore nel corso dei cicli di
calibrazione, le letture ottenute sono diverse.
• Errori di isteresi: Indica la massima distanza tra i valori di uscita ottenuti nella discesa
e salita di un ciclo, per un fissato qi .
CLASSE
0.05
0.1
0.2
0.3
0.5
1
1.5
2
2.5
3
5
In cui una classe di accuratezza dello 0.3 significa che gli errori dovuti alla non idealità sono
minori dello 0.3% del fondo scala.
2.3. LINEARIZZAZIONE RISPOSTA INGRESSO-USCITA 45
ESEMPIO
Prima di tutto si calcola la retta di calibrazione, che altro non è che la retta di regressione
per i dati considerati. Per far ciò si può scrivere un programma in un qualsiasi linguaggio di
programmazione, si trova:
Quindi:
qi = (0.775 ± 0.096)q0 + (0.290 ± 0.041) = f (q0 )
La cosa è rappresentabile su un grafico cartesiano. Da questo si vede subito l’errore di zero.
Si può poi costruire un ulteriore tabella nella quale viene indicato lo scostamento dei dati della
retta ai minimi quadrati. Inoltre anche in questo caso si può riportare il risultato ottenuto
in un grafico cartesiano. Calcoliamo l’errore di accuratezza: questo può essere individuato
dagli estremi della banda in cui sono contenute le misure. Dalla seconda figura si trova che il
massimo valore di scostamento positivo è 0.45 lb, mentre quello negativo è −0.40 lb. Il valore
di fondo scala è:
F SO = f (q0,M AX ) − f (q0,M IN ) = 6.45lb
2.3. LINEARIZZAZIONE RISPOSTA INGRESSO-USCITA 46
5
Retta di regressione
4
Lettura [lb]
−1
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
Peso vero [lb]
0.5
0.4
0.2
Deviazione [lb]
0.1
−0.1
−0.2
−0.3
−0.4
−0.5
εac% = ±7%
Tale errore consta, come già spiegato, di vari contributi vediamo di individuarli. Per prima cosa
concentriamoci sull’errore di ripetibilità: osserviamo dunque l’ ultima colonna della seconda
tabella. Qui è computato l’errore di ripetibilità per ogni valore del misurando. Per esempio per
la prima riga esso sarà:
Calcoliamo ora l’errore di isteresi. Si può trovare, osservando sempre la seconda tabella che il
massimo valore di questo errore si ha per il ciclo 3 e per il ciclo 4, tra i valori di -0.39 lb e 0.13
lb. Pertanto:
0.52lb
|εist% | = · 100 ' 8.1% (±4.05%)
6.45lb
L’errore di non linearità indipendente è dall’ ottava colonna della seconda tabella:
che significa:
0.76lb
|εnli% | =
· 100 ' 11.8% (±5.9%)
6.45lb
Si può infine calcolare e rappresentare la retta di linearità terminale e computare l’errore di
non linearità terminale. Lasciamo al lettore l’esercizio numerico.
4 Retta terminale
Lettura [ lb ]
−1
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
Peso vero [ lb ]
q0 6
- qi
• Deriva dello zero: Quanto varia il punto di zero e la sensibilità al variare della situa-
zione ambientale (temperatura, pressione...). La calibrazione viene effettuata a condi-
zioni ambientali costanti, quindi la deriva dello zero non si può individuare solo con la
calibrazione.
• Sovraportata: Viene riportato il valore oltre la portata massima dello strumento per il
quale lo strumento funziona ancora correttamente. É però sconsigliabile perché a lungo
termine può causare danni allo strumento.
Capitolo 3
3.1 Introduzione
La maggior parte delle misure di carattere ingegneristico possono essere eseguite attraverso
trasduttori, o sensori, che hanno un’ uscita elettrica, tipicamente una tensione. Questo è un
vantaggio rispetto ai trasduttori meccanici perché:
• Il segnale viene facilmente trasmesso dal luogo delle misurazione al luogo dell’elabora-
zione.
Ricordiamo che, in generale, processo di misura avviene secondo vari passi, come è rappre-
sentato in figura sotto. Dove T è il trasduttore, E l’elaboratore, V il visualizzatore.
- T - E - V -
Vediamo in questa sede come poter modificare il segnale in uscita dal trasduttore, ovvero
vediamo cosa avviene nel blocco E. In particolare vedremo come operare sul segnale per:
• Amplificarlo.
• Integrarlo.
• Differenziarlo.
• Filtrarlo.
50
3.2. AMPLIFICAZIONE 51
• Discretizzarlo.
• Analizzarlo in frequenza.
3.2 Amplificazione
Il termine amplificazione verrà qui usato sia per intendere l’amplificazione vera e propria, sia
l’attenuazione.
I trasduttori forniscono come uscita una grandezza elettrica, solitamente una tensione dell’or-
dine dei 10−3 V . Allora sorge l’esigenza di un’amplificazione del segnale
• Quando le linee di trasmissione sono soggette a rumore, perché si amplifica la tensione
che si vuole, mentre il rumore resta inalterato.
• Quando i sistemi di acquisizione dati operano con tensioni maggiori di quelle fornite dal
trasduttore, tipicamente 10 -15 V.
Gli amplificatori sono caratterizzati da diversi parametri, che ora andremo a descrivere.
seguente:
ÿ ÿ
Vo = GVi
dove G rappresenta il guadagno, ossia di quanto viene amplificata (o attenuata) la tensione.
Vi
ÿ ÿ
Vo
ÿ ÿ ÿ
52
Vo = Gd Vd + GC VC
Quindi la tensione di uscita è proporzionale sia alla tensione differenziale, che è quella che si
vuole amplificare, sia a quella di modo comune, che è una sorta di tensione parassita.
Si definisce rapporto di reiezione del modo comune (CMRR: common mode rejection
ratio):
Gd
CM M R = 20 log10 (3.1)
GC
Questo parametro deve essere elevato, di fatto è di norma nell’ordine dei 100 dB.
6
|G|dB
- ω
ω1 ω2
Un amplificatore con una banda passante molto stretta rispetto a quella del fenomeno da
osservare causa una distorsione in frequenza. Si pensi ad un trasduttore che dia come uscita
un’onda quadra, ad esempio un encoder tachimetrico. Il segnale amplificato non sarà certo
un’onda quadra, ma le frequenze e quindi le armoniche della serie di Fourier del segnale sa-
ranno ridotte. Quello che uscirà sarà un segnale sinusoidale formato da più armoniche che
vagamente ricorda un’onda quadra. Si veda: Wheeler... .
Si noti infine anche la distorsione in fase e la necessità di avere, quindi, una fase lineare con la
frequenza.
ÿ ÿ
Lo schema ideale di un amplificatore è il seguente:
Vi G Vi
ÿ
ÿ ÿ
-
ÿ Vo = G V i
In realtà ci sono dei problemi di carico dovuti e delle dissipazioni interne, Zo , e a delle
dissipazioni dovute alla lettura ZL , che esistono ogni volta che si vuole misurare qualcosa. Dal
per la lettura, vediamo come ridurre il loro contributo in modo da rendere il comportamento
ÿ ÿ
ú
ÿ
dell’amplificatore quanto più ideale possibile.
ÿ
Vi Zi
ÿ
-ÿ
G Vi
ÿ
Io
ZL
Zo
Dunque:
ZL
Vo = GVi (3.2)
Zo + ZL
Per un amplificatore ideale l’impedenza di uscita Zo è nulla. Pertanto si deve cercare, nella
costruzione di un amplificatore di rendere tale impedenza più piccola possibile. Si noti che
non è possibile manipolare l’impedenza di carico in quanto essa è data e non fa parte dell’am-
plificatore.
ûÿ ÿ
ÿ
-
Esiste poi un ulteriore effetto di carico, infatti anche la tensione di ingresso è un generatore
reale con un’impedenza Zi , e esiste anche un’impedenza Zs dovuta alla sorgente.
Vs
Zs
ÿ
ÿ
ÿ Vi Zi
Affinché la tensione di ingresso sia uguale alla tensione della sorgente deve essere Zi → ∞.
Ancora una volta non è modificabile l’impedenza di sorgente.
La potenza di alimentazione che è necessario fornire all’ amplificatore risulta quindi essere:
Pa = Po − Pi + PT (3.4)
Se tale alimentazione non è data, allora l’amplificatore va in saturazione. Tipicamente ciò av-
viene quando la potenza richiesta è inferiore di soli 2 V a quella di alimentazione. Tipicamente
15 V.
3.3. AMPLIFICATORI OPERAZIONALI 55
ÿû ÿÿÿ
comune circuito integrato a basso costo. Questo componente viene chiamato amplificatore
operazionale, o op-amp. Un op-amp viene rappresentato schematicamente come sotto:
ÿû û
ý ý ý
V−
Vo
V+
ÿû úÿÿ
ÿ
Essi sono componenti a bassa potenza, la loro architettura interna sfrutta un collegamento
particolare di transistori.
ÿû
Ib
û
−
Zi
ý ý
-ý ý
Zo
V− +
Vo
V+
Vengono definiti alcuni parametri utili a caratterizzare meglio il comportamento degli op-
amp.
Per di più, sempre idealmente, la tensione differenziale è nulla cosı̀ il guadagno in anello aper-
to è potenzialmente infinito.
Un tipico op-amp, ad esempio il µA741C, costa meno di un caffè, ha una impedenza in input,
che ricordiamo deve essere più grande possibile, nell’ordine dei 2M Ω, un’ impedenza di out-
put di 75Ω, un guadagno g = 200000 e un CM RR = 70dB.
Ideale Reale
g ∞ 80 − 100dB
Zi ∞ 105 − 1010 Ω
Zo 0 1 − 10Ω
CM RR ∞ 90 − 100dB
Ib 0 10−6 − 10−14 A
Si capisce quindi che l’op-amp può essere assunto ideale senza commettere un errore inge-
gneristicamente grande. Pertanto, senza diverso avviso, gli op-amp saranno trattati in questo
modo.
Gli op-amp possono essere collegati al circuito per amplificare il segnale in vari modi
ottenendo svariati risultati possibili. Tra i circuiti di cui ci occupiamo sono:
• I circuiti sommatori.
• I circuiti derivatori.
• I circuiti integratori.
3.3. AMPLIFICATORI OPERAZIONALI 57
úÿúÿÿ
ù
Si consideri il circuito in figura.
ÿû
R2
I2
ý ý
Vd
ý
Vi
Vo
La resistenza R2 che collega il terminale di uscita con un terminale di ingresso è detta re-
sistenza di retroazione.
úÿúÿÿ
ù
Si consideri il circuito in figura.
ÿ
R2
I1 Ib
I2
ûý ý
Vd
ý Vi
Vo
Si noti che la retroazione è fatta sempre sul morsetto negativo. Sempre utilizzando le
ipotesi di amplificatore ideale (Ib = 0 e Vd = 0) si vede che:
Vi = VR1
Vo = VR1 + VR2
Quindi si ottiene: µ ¶
R1
Vo = Vi 1 + (3.6)
R2
La rete esaminata realizza dunque la funzione di amplificazione senza inversione del segnale
di ingresso, con un guadagno pari a 1 + R1
R2
3.3. AMPLIFICATORI OPERAZIONALI 59
ÿ û
ý ý
Vi
Vo
û
R2 R4
R3
V1
I = I1 + I2 + I3
Vo V1 V2 V3
− = + +
R4 R1 R2 R3
µ ¶
V1 V2 V3
Vo = −R4 + +
R1 R2 R3
Il circuito realizza una combinazione lineare delle tensioni in ingresso. Se poi si pone:
R1 = R2 = R3 = R4 = R
si ottiene in uscita la somma delle tensioni in ingresso con segno cambiato. Per realizzare un
circuito sommatore non invertente basta collegare in cascata un amplificatore invertente.
É necessario usare un condensatore, poichè per esso la corrente è proporzionale alla derivata
ÿ
ÿ
C
û
ý
ý ý
Vi
Vo
| VVoi | 6
©©
©©©
© - ω
©©
© ω̄
ÿû
ÿÿ ÿ
Figura 3.15: Risposta con polo in alta frequenza
R2
R1
C
ÿ û
ý ý ý
Vi
Vo
Dopo ω̄ il segnale non viene più derivato. Questo si ottiene ponendo una resistenza in ca-
scata al condensatore.
R
ÿ
ÿ
C
ûÿ
ý ý ý
Vi
Vo
Si deve quindi tener conto anche della costante di integrazione. Questo avviene quando ci sono
delle componenti in corrente continua. Allora si rende necessario l’uso di un filtro passaalto.
Questo facendo passare tutte le frequenze sopra una certa soglia, elimina quelle a frequenza
nulla, ovvero proprio le componenti in continua.
Dove le due resistenze equivalenti non sono altro che, l’una quella del braccio di andata, l’altra
quella del braccio di feed-back.
|g|dB 6
∼ 100dB HH
(go ) 20dB/dec
HH
HH - ω
ωb ωHt HH
La risposta in frequenza nella banda compresa tra ωb e ωt sarà quindi quella di un integra-
tore:
ωb
g(ω) = g0
ω
Se la pulsazione con cui il diagramma del modulo taglia l’asse di zero db è ωt , si avrà |g(ωt )| =
1. Si ricava dunque
ωt = g0 ωb (3.7)
La precedente prende il nome di prodotto guadagno-banda e si indica di solito con l’acroni-
mo GP B. Esso indica a quale pulsazione il guadagno di anello aperto g0 = 1.
HH
G HH
H
HH
H ω
HH -
ω̄
Se si sovrappone il grafico del modulo del guadagno in anello aperto con quello in anello
chiuso, si nota che quest’ultimo risulta essere costante fino alla pulsazione ω̄. Allora il prodotto
guadagno-banda determina la massima pulsazione in cui il guadagno in anello chiuso rimane
costante. Infatti si può scrivere, anche per questo caso che:
ωt = G ω̄ (3.8)
Si può quindi notare che se si cerca di avere un alto valore del guadagno G, esso rimarrà co-
stante per una banda ristretta.
Ad esempio se si fissa ωt = 1M Hz, la banda in cui G rimane costante risulta essere ω̄ = 1MGHz .
Chiaramente anche nel caso di op-amp bisogna stare attenti alla risposta in fase. Infatti
è cosa saggia rimanere nel campo in cui la fase varia linearmente con la frequenza per non
incorrere in distorsioni del segnale.
3.4. FILTRI 64
3.4 Filtri
In molte situazioni di misura il segnale è complicato, somma di più sinusoidi di frequenza dif-
ferente. E’ spesso necessario rimuovere alcune di queste frequenze attraverso degli strumenti
chiamati filtri. Ci sono almeno due occasioni nelle quali l’uso di un filtro è basilare:
I filtri, quindi, operano una selezione sul contenuto in frequenza dell’ingresso. Possono
essere classificati in
3.4.1 Tipologie
• Filtri passabasso
| VVoi | 6
ω̄ - ω
Esso mantiene inalterate le componenti in frequenza del segnale in ingresso fino alla fre-
quenza ω̄, mentre impedisce il passaggio delle altre. ω̄ si chiama frequenza di taglio. La banda
tra zero e ω̄ si chiama banda passante mentre la banda da ω̄ in poi si chiama banda attenua-
ta. Il filtro passabasso è utile quando il rumore ha componenti a frequenza più alta di quella
interessata. Esso attenua infatti le componenti ad alta frequenza lasciando inalterate quelle a
bassa frequenza.
• Filtri passaalto
| VVoi | 6
ω̄ - ω
Esso impedisce il passaggio delle componenti in frequenza del segnale in ingresso da zero
fino a ω̄, mentre mantiene inalterate quelle da ω̄ in poi.
• Filtri passabanda
| VVoi | 6
ω1 ω2 - ω
Esso permette il passaggio delle componenti in frequenza del segnale in ingresso che si
trovano tra ω1 e ω2 . Si può ottenere come serie di un filtro passaalto e un passabasso.
• Filtri arrestabanda
| VVoi | 6
ω1 ω2 - ω
Esso impedisce il passaggio delle componenti in frequenza del segnale in ingresso che si
trovano tra ω1 e ω2 . Si può ottenere come parallelo di un filtro passaalto e un passabasso.
| VVoi | 6
ω̄ - ω
ω
0
−2
− 3 dB
−4
−6
−8
Banda di transizione
−10
−12
−14
−16
−X
−18
−1 0 1 2 3
10 10 10 10 10
conoscere la pendenza della retta del modulo nella banda attenuata. La pendenza dipende
dall’ordine del filtro (l’ordine del denominatore della funzione di trasferimento).
db db
• 1◦ ordine : pendenza di -20 dec (−6 oct )
db db
• 2◦ ordine : pendenza di -40 dec (−12 oct )
Inoltre il guadagno non tende a zero con ω → ∞, ma tende ad un valore asintotico. Questo
perché è comunque presente un rumore di misura che limita verso il basso l’attenuazione
del filtro. Si chiama range dinamico l’attenuazione asintotica del filtro, ovvero il rapporto
rumore-misura dello stesso e si calcola come:
µ ¶ µ ¶
Af Ai
X = −20 log10 = 20 log10 (3.9)
Ai Af
3.4. FILTRI 67
E’ poi importante conoscere il valore della pendenza iniziale della curva, vicino alla pulsa-
zione di taglio. Questo valore si chiama roll-off. Se il roll-off è grande, l’attenuazione a pari
pulsazione risulta maggiore rispetto a una curva con roll-off più basso.
ω
0
−1
−2
−3
−4
−5
−6
−7
0 5 10 15 20 25 30
In figura (3.4.2) si vede un esempio di un filtro con basso roll-off, e un filtro con un roll-off
moderatamente elevato.
Un altro fenomeno che caratterizza i filtri reali è il ripple: l’oscillazione del valore del gua-
dagno all’interno della banda passante. Solitamente vengono dati gli estremi di variazione del
guadagno.
• L’ordine.
• Il roll-off.
• Il ripple.
• Filtri di Bessel: Presentano la massima linearità della fase all’interno della banda pas-
sante ma un roll-off minore di quello di un filtro di Butterworth. Questo implica che a pari
frequenza di taglio, il guadagno per un filtro di Butterworth rimane costante in una banda più
ampia rispetto a un filtro di Bessel.
ω
0
(a)
(b)
−1
−2
(c)
−3
−4
−5
−6
−7
0 5 10 15 20 25 30
1
A causa della traslitterazione dal cirillico esistono varianti allo spelling del nome. In alcuni testi si può
trovare Tchebychev o Chebyshev.
3.4. FILTRI 69
3.4.3 Realizzazione
La realizzazione circuitale dei filtri analogici può essere fatta con elementi attivi o passivi.
Quelli passivi non richiedono una tensione di alimentazione, possono essere usati a qualunque
frequenza, e sono intrinsecamente stabili. Però le loro impedenze di ingresso e uscita danno
luogo a effetti di carico.
I filtri attivi richiedono una tensione di alimentazione, ma possono essere usati solo in una
limitata banda di frequenze. Non danno luogo a effetti di carico. Non usano induttanze, ma
ÿû
ûÿ
solo resistenze e condensatori.
ý
Vi
R
C
ý ý Vo
Vo = Vc
Vi = VR + Vc
VR = RI
1
Vc = I
ωC
Quindi si ottiene
Vi = (ωCR + 1)Vo
La funzione di trasferimento del filtro risulta quindi essere:
Vo 1
= (3.10)
Vi 1 + RC
Un esempio reale di tale tipo di filtro è un normale cavo coassiale, come il cavo dell’antenna
televisiva o l’assone di una comune cellula nervosa. Tale architettura consente il taglio di ru-
more ad alta frequenza ottenendo una migliore ricezione del segnale.
Vo = VR
Vi = VR + Vc
VR = RI
1
Vc = I
ωC
3.4. FILTRI
ÿû
ûÿ 70
ý ý ý
Vi C
R Vo
Quindi si ottiene
1
Vi = ( + 1)Vo
ωCR
La funzione di trasferimento del filtro risulta quindi essere:
Vo ωRC
= (3.11)
Vi 1 + RC
ÿû
del prim’ordine hanno la seguente realizzazione, in cui cambiano solo le impedenze, come
mostrato in tabella
Z1
ÿ
ÿ
Z2
ûÿ
ý ý ý
Vi
Vo
R2 R2
R1 Z2 jωC
LP − R1 − 1
Z1 R2 + jωC
C
R1 R2 Z2 1
HP − R1 + R2
Z1 jωC
C
3.4. FILTRI 71
Come si nota, il filtro passaalto non è altro che un derivatore, mentre il passabasso è fon-
damentalmente un integratore.
I filtri che normalmente si usano hanno ordine elevato. Tipicamente 4, 6, 8. Non è di norma
ragionevole avere filtri di ordine più elevato perché il ritardo di fase sarebbe troppo pronuncia-
to.
• Filtri a spillo
E’ interessante presentare in questa sede una comune realizzazione di tale tipo di filtro. Esso
è utilizzato qualora si conosca con precisione la frequenza del rumore che si vuole attenuare.
3.5. TRASMISSIONE DEI DATI 72
• una maggior facilità di elaborazione dei dati: per sommare dei dati analogici è necessario
un circuito sommatore realizzato con amplificatori. Per sommare dei dati digitali basta
semplicemente sommare i numeri.
• una maggior affidabilità dei supporti per la memorizzazione: per memorizzare i dati
analogici servono dei supporti ad altà fedeltà. I supporti per la memorizzazione di dati
digitali sono più affidabili e costano meno.
Le operazioni compiute da una scheda di acquisizione dati sono:
3.6. VISUALIZZAZIONE E REGISTRAZIONE DEI DATI 73
• la codifica, ovvero la messa in relazione del dato digitale con la grandezza analogica
y 0
−1
−2
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
t
y 0
−1
−2
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
t
• unipolare: le tensioni in ingresso sono tutte dello stesso segno: il minimo del fondo
scala è lo zero
• bipolare: le tensioni in ingresso possono essere sia positive che negative. Solitamente
l’intervallo è simmetrico
Siano ora m i valori che il segnale discretizzato può assumere. m può essere messo in relazione
col numero di bit dell’ADC, infatti se N indica il numero di bit del convertitore, il numero di
intervalli che il segnale può assumere sono 2N (da 0 a 2N − 1).
Si osserva però che la funzione che lega analogico e digitale non è biunivoca, infatti ci sono
diversi valori analogici che sono rappresentati da solo un numero digitale. Si definisce quanto
(Q) l’intervallo di dati analogici rappresentati da un singolo numero. L’errore che si compie
3.6. VISUALIZZAZIONE E REGISTRAZIONE DEI DATI 74
ESEMPIO
Sia dato un ADC con fondo scala FS=10V e numero di bit N=10. Trovare l’errore di quantiz-
zazione.
Secondo la (3.12) l’errore risulta essere
10
eq = = 0.00488 V
2 · 210
Rapportando poi l’errore rispetto al fondo scala
eq
eq% = 100 = 0.0488%
10
L’incertezza di quantizzazione dipende dalla risoluzione del convertitore. La risoluzione cor-
risponde al valore del quanto:
FS
RIS = Q = = LSB
2N
dove LSB sta per bit meno significativo.
Per rilevare piccole variazioni dell’ingresso si deve aumentare il numero di bit, o ridurre il
fondo scala. Oppure le schede di acquisizione possono avere un elemento di guadagno pro-
grammabile: può amplificare il valore del segnale in ingresso in modo che posa essere rilevato
più facilmente. Questo ottimizza il problema della risoluzione.
Bisogna però porre particolare attenzione a non superare il fondo scala dello strumento. Se
infatti si amplifica troppo il segnale, esso può oltrepassare il FS dello strumento e dare pro-
blemi di saturazione. É bene prevedere quindi un po’ di margine, anche perché le misure non
sono note senza incertezze. Di solito quindi si amplifica il segnale solo fino all’ 80-90% del
FS.
Il segnale può poi essere caratterizzato da un offset: la sua linea media non corrisponde con
3.6. VISUALIZZAZIONE E REGISTRAZIONE DEI DATI 75
5
Non amplificato
Amplificato
4
V 0
−1
−2
−3
−4
−5
0 5 10 15 20 25
t
1 Offset
V 0
−1
−2
−3
−4
−5
0 5 10 15 20 25 30
t
• velocità di conversione
• risoluzione
• fondo scala
Nella tabella sono riportati i quattro tipi principali di convertitori, insieme alle loro caratteri-
stiche.
TIPO VELOCITÁ RISOLUZIONE COSTO
Integratore lento 12-20 bit basso
Rampa (conteggio) lento 12-20 bit basso
Flash (parallelo) veloce 4-8 bit alto
Approssimazioni successive medio 10-16 bit medio
Il fondo scala di tutti può essere di ±5V , ±10V , 0-5V, 0-10V.
3.7. TIPI DI CONVERTITORI A/D 77
S
ÿ ÿÿ C
ÿ
ÿ ÿ
Vref
R
ý ÿ
comparatore
Vi
ÿ
Figura 3.34: Convertitore a rampa
ÿ ÿ2Nbit − 1
ÿ
ÿ ÿ ÿ
ÿ
ÿÿ b3
{
ÿ ÿ
b0
ÿ
ÿ
ûý ûý
R
Vi Vref
ÿÿ
Figura 3.35: Convertitore flash
Vi
V ref ÿýýýÿÿÿ
DAC LOG
ÿ
Cod 4bit
ingresso, vengono cioè create delle tensioni analogiche e comparate con l’ingresso. Al primo
tentativo viene creata una tensione pari a metà del fondo scala, e viene comparata con la ten-
sione in ingresso. Questo serve per vedere se la tensione sta nella metà superiore o inferiore.
Se la tensione in ingresso è nella parte superiore, ossia se Vi > Vg , il bit più significativo del
codice viene messo a 1, altrimenti a zero. Questo processo è ripetuto con un intervallo la metà
del precedente, e cosı̀ via finchè tutti i bit risultano determinati.
ESEMPIO
Sia data una tensione di ingresso Vi = 8V , un convertitore a 4 bit e FS=10. Trovare l’uscita
digitale.
La tensione di prova Vg = 5V . Poichè Vi > Vg , il primo bit è portato a 1: il codice sarà 1000.
Per determinare il secondo bit si genera una tensione Vg = 5V + 52 V = 7.5V . Poichè Vi > Vg ,
il secondo bit è portato a 1: il codice sarà 1100.
Per determinare il terzo bit si genera una tensione Vg = 5V + 25 + 45 V = 8.75V . Poichè stavolta
Vi < Vg , il terzo bit verrà lasciato a zero: 1100.
Per determinare il quarto bit si genera una tensione Vg = 5V + 52 V + 54 V − 58 V = 8.125V .
Poichè anche in questo caso Vi < Vg , l’ultimo bit è lasciato a zero.
Il codice ottenuto è 1100, che corrisponde a 12 in decimale. Per risalire alla tensione si usa la
(3.13)
C · FS 12 · 10
M ISU RA = N
= = 7.5V
2 24
ÿ
ÿ
3.7.4 Convertitore D/A a resistenze pesate
!ÿ
ÿ
ÿ !ÿ
R
Vref
8R
ý Vo
Vo = −R1 I3 S3 − R1 I2 S2 − R1 I1 S1 − R1 I0 S0
R1 Vr ¡ 3 2 1 0
¢
Vo = − 2 S 3 + 2 S 2 + 2 S 1 + 2 S 0
R 23
In generale quindi
R1 Vr ¡ N −1 ¢
Vo = − N −1
2 SN −1 + · · · + 20 S0
R 2
Essendo tutti i convertitori degli strumenti, essi saranno soggetti a degli errori e a degli indici
di qualità. Due tipi di errori comuni sono:
• Non linearità assoluta: la caratteristica dello strumento è in generale diversa dalla retta
ideale. Tale indice tiene conto dei margini massimi in cui varia la caratteristica.
A parte questi problemi, facilmente risolubili, c’è ne è un altro più gravoso. Infatti per una
corretta interpretazione del segnale bisogna almeno avere due campioni per ogni periodo del
3.8. SAMPLE AND HOLD 81
Se non sono soddisfatte le ipotesi del teorema, quindi, si equivoca il segnale. Ovvero una
certa banda di frequenze, da una frequenza fissata, vengono lette come se fossero altre. Que-
sto fenomeno è detto aliasing. Per non avere aliasing il teorema del campionamento impone
che la frequenza di campionamento deve essere almeno due volte della frequenza massima del
segnale. Ovvio è che se tale frequenza massima non è nota è ragionevole, se non obbligato,
utilizzare un filtro passabasso, che in tale circostanza assume la nomea di filtro anti-aliasing.
Pertanto assunta una frequenza massima, si chiede che tale valore sia minore della metà della
frequenza di campionamento, ovvero della frequenza di Nyquist.
Nel momento in cui ci fossero, comunque, delle frequenze che non sono interpretate ade-
guatamente, per capire che cosa succeda si ricorre al folding dello spettro. Ovvero quando una
frequenza supera il massimo valore ammissibile, essa è ribaltata all’indietro.
Si noti che:
• I circuiti di S&H comportano un ritardo intrinseco di conversione pari alla metà del
periodo di campionamento.
f = 2 fm − f = fc − f se f m < f < 2 fm
2
Questo teorema espresso nel 1948 da Shannon C., un matematico dei Bell Laboratories, è fondamentale nella
teoria dell’informazione. Shannon è uno dei padri della moderna teoria della comunicazione ed è ricordato anche
per il suo concetto dell’entropia come perdita di informazione, idea che si sta sviluppando molto nella fisica
avanzata.
3.8. SAMPLE AND HOLD 82
Se assumiamo che la minima frequenza equivocata sia proprio uguale al limite della banda
ovvero a ft e essendo fm la massima frequenza del segnale allora:
ft = fc − fm
Pertanto:
fc = ft + fm < 2 fm
Se si usa questo procedimento per scegliere la frequenza di campionamento ci saranno fre-
quenze male interpretate nella banda ft − fm ma non nella banda 0 − ft . Questa tecnica è
appropriata se e solo se si è a disposizione di software che funge da filtro digitale in modo da
eliminare queste frequenze equivocate. Per ulteriori chiarimenti vedasi Wheeler... .
Quando si specifica fm è bene chiarire cosa si intende per ampiezza zero. Idealmente alla
frequenza massima l’ampiezza della risposta in frequenza del fenomeno in esame dovrebbe
essere zero. In verità non è cosı̀ e non serve nemmeno che lo sia. Infatti il segnale analogico
deve essere elaborato da una scheda digitale che ha uno specifico range dinamico. Si ricorda
che il range dinamico misura il rapporto segnale-rumore, pertanto segnali attenuati oltre tale
soglia vengono riconosciuti come rumore di misura e non interpretati. Chiaro è quindi che
fm deve essere scelta come quella frequenza alla quale si ha un’attenuazione pari al range
dinamico della scheda.
Questo parametro per una scheda unipolare a N bit è:
X = 20 log10 (2N )
con i coefficienti da determinarsi con relazioni matematiche. Questa si chiama forma reale
rettangolare della serie di Fourier. In ogni caso si può scrivere tutto meglio se si introducono
i numeri complessi e la formula di Eulero. In questo caso:
∞
X 2π
f= cn ej n T
t
(3.16)
n=−∞
e: Z T /2
1 2π
cn = f e−j n T
t
dt (3.17)
T −T /2
Esse prendono il nome di forma complessa della serie di Fourier. Queste due equazioni
sono equazioni di analisi e di sintesi: la seconda è un equazione di analisi che permette di
stabilire qual’è il contenuto del segnale in termini di oscillazioni armoniche; la prima invece è
un equazione di sintesi che, note le ampiezze e fasi delle varie armoniche (cioè i coefficienti
della serie di Fourier) permette di ricostruire il segnale di partenza.
Naturalmente i coefficienti cn sono di natura complessa, per cui quando si rappresentano gra-
ficamente si usano due diversi grafici, che prendono il nome di spettro di ampiezza e spettro
di fase. Gli spettri sono a righe, cioè discreti, in quanto definiti solo in corrispondenza delle
frequenze armoniche. Si noti ad esempio figura sotto dove è rappresentato il segnale:
f (t) = sin(t) − 5 sin(5t) + 0.5 sin(12t) + 2 sin(20t), con la sua analisi in frequenza.
Qualora il segnale non risultasse periodico si ricorre ad un espediente matematico, ovvero
si fa tendere ad infinito il periodo. Se il periodo T0 aumenta, si riduce la frequenza fondamen-
tale f0 , e quindi si riduce la differenza tra due generiche armoniche consecutive. Ciò determina
un infittimento dello spettro del segnale. Si nota poi che l’ampiezza dei coefficienti tende a
ridursi man mano che T0 cresce.
Cosı̀ i coefficienti si trasformano come:
Z ∞
F (ω) = f e−j ω t dt (3.18)
−∞
• f la frequenza.
8
6
4
Ampiezza [V]
2
0
−2
−4
−6
−8
0 1 2 3 4 5 6
tempo [s]
c
n
−2
−4
−6
0 5 10 15 20 25
Frequenze [Hz]
• T0 il periodo fondamentale.
Cosı̀ la trasformata di Fourier si riscrive come:
Z ∞
G(f ) = g(t) e−j 2 π f t dt (3.19)
−∞
L’antitrasformata è invece:
Z ∞
1
g(t) = G(f ) e j 2 π f t df (3.20)
2π −∞
Per conoscenza si descrivono le principali proprietà della trasformata di Fourier. Per sem-
plicità si indica l’operazione di trasformazione con . Nel senso che g(t) G(f ). Questa
notazione intende dire che la conoscenza dell’andamento del segnale x(t) in ambito temporale
è di fatto equivalente alla conoscenza della successione dei coefficienti di Fourier in ambito
della frequenza, nel senso che il passaggio da uno all’altro è immediato tramite le equazioni di
analisi e sintesi.
Dunque la trasformata di Fourier gode delle seguenti proprietà:
• Dualità: G(t) g(−f ).
1
• Scalatura temporale: g(at) |a|
G(f /a).
R∞
• Convoluzione: g1 (t) g2 (t) −∞
G1 (λ) G2 (f − λ)dλ.
• δ(t − t0 ) = 0 se t 6= t0
• δ(t − t0 ) = 1 se t = t0
R∞
• −∞ δ dt = 1 come se fosse una densità di probabilità. Si può infatti dimostrare che
questa funzione è il limite per σ → 0 della densità di probabilità gaussiana.
• δ(t) = δ(−t)
Questa è detta proprietà campionatrice della delta di Dirac. Per di più si può ricostruire tutto il
segnale tramite la: Z ∞
g†(t) = g(τ ) δ(t − τ ) dτ (3.22)
−∞
E passando al discreto:
∞
X
g†(t) = g(n Ts ) δ(t − n Ts ) (3.23)
n=−∞
Basta ora ricordare che per la trasformata di Fourier della delta di Dirac sono valide:
• δ(t) 1
• 1 δ(f )
• ej 2 π f0 t δ(f − f0 )
3
Paul Andrien Maurice Dirac, fisico inglese, è stato uno degli scienziati più importanti del secolo scorso. I
suoi contributi maggiori sono nella formulazione della meccanica quantistica relativistica.
3.9. ANALISI IN FREQUENZA 86
Si noti che:
• Un segnale periodico nel tempo da luogo ad una trasformata discretizzata nel campo
delle frequenze.
Da questa analisi si riesce a capire il fenomeno dell’aliasing, tradotto a volte come equivocazio-
ne in frequenza. Supponiamo infatti di avere un segnale il cui spettro si annulla perfettamente
da una determinata frequenza in poi. Per campionare questo segnale è necessario moltiplicarlo
per una serie di delta di Dirac (ciò che talvolta viene chiamato un pettine di delta). Nel domi-
nio della frequenza questo pettine di delta equivale ad un delta per ogni multiplo intero della
frequenza di campionamento (±fs , ±2fs ...). Quindi la trasformata del segnale campionato
sarà la trasformata del segnale di partenza, ripetuta ogni fs . Allora è chiaro che se fs non è
sufficientemente grande, si ha che le componenti in frequenza del segnale si sovrappongono le
une alle altre. Per evitare ciò si prende la frequenza di campionamento fs ≥ 2fmax (teorema
di Shannon). Se non si sa quale sia la frequenza massima, oppure se il segnale non ha mai
componenti in frequenza perfettamente nulle, si deve introdurre un filtro anti-aliasing, che non
è altro che un filtro passabasso, usato per limitare in frequenza il segnale in ingresso. A volte
si possono sfruttare le proprietà passabasso dei trasduttori, stando attenti comunque che tali
sistemi sono al massimo del secondo ordine, e quindi hanno una attenuazione ridotta.
• T = N Ts .
Si osserva che solo i coefficienti delle armoniche comprese tra la frequenza di 0 e (N/2 − 1)fr
sono usati nell’analisi del segnale. I rimanenti provvedono ad una informazione ridondante e
hanno un significato speciale. Non ci dilunghiamo però su questo punto.
Il segnale originale può venire ricostruito dalla Trasformata discreta di Fourier (DFT) usan-
do la trasformata inversa, se ovviamente valgono le ipotesi del teorema di Shannon, ossia che
la frequenza di campionamento fs sia almeno il doppio della frequenza massima del segnale:
fs ≥ 2f .
Si badi che la DFT è ottenuta tramite integrazione numerica, il tempo richiesto dal calcolato-
re per l’elaborazione è circa proporzionale a N 2 . Esiste però un algoritmo molto efficiente,
chiamato Fast Fourier Transform o FFT, che permette il calcolo in un tempo proporzionale a
N log2 N . In ogni modo non è consigliabile avere N molto grandi.
Si osserva che la finestratura del segnale, ovvero l’osservazione dello stesso per un tempo
finito provoca un’alterazione dello spettro. In effetti si può dire che se si vuole svolgere un’a-
nalisi in frequenza di un segnale, che per il momento supponiamo periodico, si opera come
segue:
• Si sceglie una frequenza di campionamento e ua risoluzione minima per l’analisi.
• Si sceglie una finestra di osservazione che consente i requisiti sopra, ricordiamo che
fr = 1/T .
• Si sceglie una funzione di finestratura adeguata.
• Si moltiplica il segnale per la funzione finestra.
• Si esegue la FFT su questo nuovo segnale.
Le funzioni finestra più semplici sono quelle rettangolari, ovvero quelle che moltiplicate per
il segnale, lo lasciano invariato nella zona di osservazione e lo pongono uguale a zero fuori.
Anche se sembra ragionevole questa non è la strada migliore per i problemi che incorrono ai
bordi. Infatti si può osservare che lo spettro ridistribuisce l’energia associata ad ogni frequenza
anche sulle frequenze adiacenti. Questo fenomeno è detto leakage. Per fissare le idee si prenda
un segnale periodico g(t) e una finestratura rettangolare del tipo w(t) = rect(t/T ). Allora:
• Il segnale osservato sarà: gw (t) = g(t) · w(t).
• La
R ∞trasformata di Fourier è: Gw (t) = G(t) ? W (t) =
−∞
G(λ)W (f − λ) dλ.
X∞ ½ ¾
1 n n T sin(πf T )
• Passando al discreto: G( ) δ(f − ) .
n=−∞
T 0 T 0 T 0 πf T
Se riscriviamo l’ultima relazione come:
X∞
sin [πT (f − n/T0 )]
Gw = cn T (3.28)
n=−∞
πT (f − n/T0 )
cos(2πk)
w(k) = a + (1 − a) (3.30)
N
Che a seconda del parametro a si chiamano:
• Hanning.
• Hamming.
• Kaiser.
CH 1 - S&H - A/D -
CH 2 - S&H - A/D -
.. ..
. .
-
-
.. MUX - S&H - A/D -
.
-
In questo tipo di schede è importante tenere presente che l’intervallo tra il primo canale e
quello di mezzo può essere elevato e quindi si cerca di mettere vicini i canali che non devono
avere una grande differenza di fase. Se i canali da usare sono pochi, questa è la soluzione
migliore.
Si osserva che per ogni tipo di scheda di acquisizione sono possibili due modalità differenti:
• Modalità differenziale: servono due canali per ogni ingresso perché viene rilevata la
differenza tra i due segnali.
Si capisce quindi che se una scheda è, per esempio a 32 canali, in modalità differenziale gli
ingressi saranno solo 16.
3.10. TIPOLOGIE DELLE SCHEDE DI ACQUISIZIONE 90
S&H -
S&H -
- A/D -
MUX
..
.
S&H -
Trasduttori
4.1 Introduzione
Si vede in questo capitolo come si possono eseguire le misurazioni utilizzando appositi senso-
ri, o trasduttori. E’ importante notare che ogni trasduttore ha le sue caratteristiche che devono
essere comprese appieno prima di scegliere uno strumento piuttosto che un altro. Se si voglio-
no eseguire delle caratterizzazioni dinamiche, ad esempio, è fondamentale tener presente la
banda passante dello strumento, per restare in campo statico.
In questa sede è affrontato lo studio solo della misurazione di quantità puramente mecca-
niche.
4.2 Potenziometri
Il potenziometro (potentiometer) è un trasduttore a contatto basato sul principio di variazione
di resistenza per partizione. Permette di misurare degli spostamenti, dando come uscita una
tensione. Esso è costituito da una resistenza RL , e uno slider mobile. Il moto del contatto può
91
4.2. POTENZIOMETRI 92
quindi muovendo il contatto sulla resistenza, genera una caduta di tensione proporzionale alla
resistenza Rx : la corrente che circola è:
Vs
I=
RL
allora la tensione in uscita risulta essere
Vs
Vo = Rx I = Rx
RL
ricordando poi che l’espressione della resistenza si ricava dalla formula
l
R=%
A
dove % è la resistività del materiale, l è la lunghezza del cavo e A la sezione, la tensione in
uscita si mostra proporzionale allo spostamento:
x
Vo = Vs (4.1)
L
In realtà questa è una relazione ideale, perché presuppone che il voltmetro con cui si misura
la tensione abbia impedenza infinita. Se invece esso possiede una resistenza Rv , si trova la
seguente relazione1 :
Vo 1
=
Vs L RL ³ x´
+ 1−
x Rv L
Affinché ci sia una relazione lineare, l’impedenza del voltmetro deve essere elevata, altrimenti
ci sono effetti di carico.
Si vede che la sensibilità dello strumento è direttamente proporzionale alla tensione di alimen-
tazione, quindi si potrebbe pensare che aumentando molto la tensione, si possa ottenere una
sensibilità elevata. In realtà la tensione Vs è limitata dalla capacità dello strumento di dissipare
il calore prodotto dalla resistenza, tipicamente 5, 10, 15 V. La risoluzione del potenziometro è
influenzata dalla costruzione dell’elemento di resistenza:
• Spire: il potenziometro a spire è costituito da un filo conduttore avvolto intorno un
elemento non conduttore. In questo modo la variazione di resistenza non è continua, ma
varia con piccoli passi, perché il contatto si muove da un filo all’altro. La risoluzione
risulta essere
L
RIS =
Nspire
Inoltre questa costruzione presenta problemi di risonanza: se la frequenza con cui l’og-
getto si muove è vicina alla frequenza di risonanza della linguetta che determina il con-
tatto, si ha un rimbalzamento della linguetta stessa sul filo, creando cosı̀ un contatto a
intermittenza. Un modo per evitare questo è adottare un sistema con due linguette che
abbiano frequenze di risonanza diverse.
• Strati: il potenziometro a strati è realizzato con una resina di polveri conduttive. La
superficie di contatto risulta quindi essere continua, e la risoluzione infinita. In realtà
anche le polveri hanno una certa rugosità, per cui la risoluzione non sarà mai infini-
ta. Questa configurazione risulta avere una vita più lunga di quella precedente, e non
presenta problemi di risonanza, però è più sensibile alle variazioni di temperatura.
1
Per ricavare questa relazione è sufficiente sfruttare il teorema di Thevenin.
4.3. ESTENSIMETRI 93
In generale la vita a fatica è circa 108 cicli, la velocità di variazione della resistenza non deve
essere superiore a 1 ms , la sensibilità è nell’ordine dei 100 mm
mV
, mentre la portata si aggira intorno
ai 300mm.
4.3 Estensimetri
Gli estensimetri (strain gages) sono dei trasduttori basati sul principio di variazione di resi-
stenza per deformazione. Permettono di misurare delle deformazioni, dando come uscita una
tensione. Sono costituiti da una griglia di materiale conduttore, con dei terminali. La griglia è
posata su un foglio che viene incollato alla superficie di cui si vuole rilevare la deformazione.
Sono strumenti semplici, che possono essere usati per una misura diretta dello stato di defor-
mazione, oppure possono essere utilizzati come elementi per altri trasduttori, come ad esempio
gli accelerometri piezoresistivi e le celle di carico estensimetriche.
L
Sappiamo che R = % A , ma come la variazione di ciascuna di queste variabili influenza la
resistenza? Per scoprirlo è necessario differenziare questa relazione, ottenendo
L dL dA
dR = d% +% − %L 2
A A A
e dividendo tutto per R
dR d% dL dA
= + −
R % L A
Possiamo osservare che dL L
= ε, la deformazione; dAA
= 2 dD
D
, perché si è supposto che il
cavo dell’estensimetro abbia sezione cilindrica. Quindi si ottiene anche una variazione del
diametro della sezione, una strizione. Questa può essere legata alla deformazione ε tramite il
coefficiente ν di Poisson: dA
A
= −2ν dLL
= −2νε. Allora la variazione di resistenza si scrive
nel seguente modo: µ ¶
dR d% d%
= + ε + 2νε = ε 1 + 2ν +
R % %ε
dove l’ultimo termine indica una variazione di resistività causata da una deformazione mecca-
nica. Questo termine si chiama piezoresistività.
4.3. ESTENSIMETRI 94
Tutto il termine racchiuso tra parentesi è circa costante, ed è una proprietà tipica di ogni
estensimetro; viene indicata col nome di gage factor:
µ ¶
d%
κ = 1 + 2ν +
%ε
• %0 = 1.67 · 10−8 Ωm
• α = 6.8 · 10−8 ◦ C −1
Quello che quindi si origina è una deformazione apparente ε = (αM − αG )∆T , e la variazione
finita di resistenza dovuta ad effetti termici risulta essere
· ¸ n ³α ´o
∆R %
= α% ∆T + κ(αM − αG )∆T = κ ∆T + (αM − αG )
R termico κ
Il termine racchiuso tra parentesi graffe rappresenta una deformazione termica, per cui si può
sinteticamente esprimere la variazione di resistenza totale come la somma di due contributi:
uno meccanico e uno termico
∆R
= κ(εmecc + εterm ) (4.2)
R
La deformazione termica risulta essere un disturbo alla nostra misura meccanica. Per compen-
sarla, ossia per eliminarla, ci sono due diversi modi: si può ricorrere ad estensimetri speciali,
chiamati autocompensati in temperatura, ossia tali che
α%
+ αM − αG = 0
κ
Solitamente questa soluzione risulta essere costosa e non sempre possibile. Il secondo modo
è quello di ricorrere ad una particolare disposizione degli estensimetri sul provino, che verrà
mostrata in seguito.
4.3. ESTENSIMETRI 95
4.3.1 Condizionamento
Nel caso di misure dirette, la deformazione meccanica solitamente è bassa. Per ottenere una
tensione rilevabile, il coefficiente di proporzionalità tra deformazione e variazione di resistenza
dovrebbe essere elevato. Poichè non è cosı̀, si usa un circuito di condizionamento per ottenere
una elevata sensibilità. Questo circuito è il ponte di Wheatstone.
Analizziamo ora il ponte, per trovare relazioni che saranno utili in seguito.
La corrente che passa nel ramo ABC è IABC = R1V+R s
4
. La corrente che passa nel ramo ADC è
Vs
IADC = R2 +R3 . Se si suppone che il voltmetro abbia impedenza infinita, la tensione in uscita
sarà
Vo = IADC R3 − IABC R4
R1 R3 − R2 R4
Vo = Vs
(R1 + R4 )(R2 + R3 )
Si vede quindi che affinché l’uscita sia nulla, deve valere la relazione
R1 R3 = R2 R4 (4.3)
in questo caso si parla di ponte bilanciato. La lettura del ponte quindi viene fatta per sbilancia-
mento, o deviazione: facendo variare una resistenza, l’uscita sarà diversa da zero, e si legge il
valore ottenuto. Questo modo di lettura è quello più usato, tuttavia può essere effettuata anche
una lettura per azzeramento: in tal caso quando l’uscita risulta essere diversa da zero, si fa
variare un’altra resistenza per ripristinare nuovamente la condizione di equilibrio.
Supponiamo che le resistenze siano uguali: Ri = R. Facciamo variare una qualunque resi-
stenza, ad esempio la 3. Si otterrà una tensione in uscita
R1 (R3 + ∆R3 ) − R2 R4
∆V = Vo = VS
(R1 + R4 )(R2 + (R3 + ∆R3 )
∆R3
se le deformazioni sono molto piccole, ossia se R
¿ 1, la precedente diventa
Vs ∆R3
Vo =
4 R
Se si fanno variare tutte e quattro le resistenze, è sufficiente ripetere i passaggi per ogni resi-
stenza e applicare, una volta giunti all’equazione linearizzata, il principio di sovrapposizione
degli effetti. Si ottiene
µ ¶
Vs ∆R1 ∆R2 ∆R3 ∆R4
Vo = − + − (4.4)
4 R R R R
in cui i segni valgono solo se si usano tutte le convenzioni adottate.
Si parla di configurazione a 14 di ponte se una sola resistenza è variabile. In caso siano variabili
2 o tutte e quattro le resistenze, si parla rispettivamente di configurazione a mezzo ponte, o
intero. Si può facilmente intuire come le resistenze variabili rappresentino gli estensimetri. Si
può scrivere, come detto, che:
∆R
= κε
R
Dove ε è la deformazione del provino, mentre κ rappresenta il gage factor dell’estensimetro.
Dunque:
Vs
Vo = κ(ε1 − ε2 + ε3 − ε4 )
4
Si ricorda che per linearizzare si può anche procedere in un altro modo. Avendo che:
R1 R3 − R2 R4
Vo = Vs
(R1 + R4 )(R2 + R3 )
Allora essendo il ponte bilanciato in posizione di equilibrio:
X4
∂Vo
δVo = δRk
k=1
∂Rk
4.3.2 Disposizione
Ora che conosciamo la relazione che lega la deformazione all’uscita in tensione, possiamo oc-
cuparci di quale sia la migliore disposizione degli estensimetri.
infatti
Vs Vs
Vo = κ(ε + εT − (−νε + εT )) = κ(1 + ν)ε
4 4
Vs
La sensibilità del ponte in questo caso risulta essere 4 κ(1 + ν). Per aumentare la sensibi-
lità, si devono posizionare altri due estensimetri, realizzando un ponte intero. Si noti che per
ottenere compensazione termica e una misura corretta, è necessario mettere l’estensimetro 3
sulla faccia inferiore del provino, orientato come l’estensimetro 1, mentre il 4 va posizionato
sempre sulla faccia inferiore, ma orientato come il 2. Questa configurazione consente anche di
compensare eventuali deformazioni flessionali.
Vs Vs
Vo = κ(ε + εT − (−ε + εT )) = κε
4 2
in cui si è tenuto conto che l’estensimetro posto sulla faccia superiore si allunga, mentre quello
sulla faccia inferiore si accorcia, per cui dà un contributo negativo, ma vista la sua posizione
nel ponte di Wheatstone questo contributo negativo viene sottratto.
Per aumentare ulteriormente la sensibilità si può utilizzare un ponte intero, mettendo l’esten-
simetro 3 disposto assialmente accanto all’1, e il 4 accanto al 2. In questo caso la tensione
risulta
Vo = Vs κ ε
Ma:
i? (R1 + R4 ) = Vs0
Ovvero la caduta di tensione è proprio uguale alla tensione del ponte senza considerare il
contributo dei cavi.
Inoltre la resistenza equivalente che si vede ai capi del generatore Vs è:
E considerando tutte le resistenze sul ponte uguali e le resistenze dei cavi uguali, si ottiene:
Re = 2Rk + R
Si noti che non essendoci effetti di carico in uscita nei fili tratteggiati è come se non passasse
corrente, quindi non c’è caduta di tensione, pertanto non vanno considerati. Dunque si trova
che:
Vs
i=
2Rk + R
Perciò:
Vs
Vs − 2Rk − Vs0 = 0
2Rk + R
Svolgendo i calcoli:
R
Vs0 = Vs
2Rk + R
Cosı̀ l’uscita del ponte è:
R Vs
Vo = κ(ε1 − ε2 + ε3 − ε4 )
2Rk + R 4
Che può essere interpretata a posteriori cone una variazione del gage factor degli estensimetri.
Ovvero:
Vs
Vo = κ̃(ε1 − ε2 + ε3 − ε4 )
4
Con:
R
κ̃ = κ
2Rk + R
Per quanto riguarda la configurazione a mezzo ponte il ragionamento è analogo.
Anche in questo caso non ci sono effetti di carico e il cavo Rk1 non è considerato. Poi:
i(R1 + R4 ) = Vs0
RV
-
Re
Vo
In questo caso Re :
Re = R1 k R4 + R2 k R3
Se tutte e quattro le resistenze sono uguali, allora:
Re = R
• Cella di carico estensimetrica (strain gage load cell). La cella di carico è un trasdut-
tore che misura la forza applicata. Solitamente viene usata per misurare forze assiali, sia di
trazione che di compressione, ma può anche misurare forze che agiscono flessionalmente.
Essenzialmente sono costituite da un cilindro cavo e con piccolo spessore, a cui sono applicati
quattro estensimetri, due disposti assialmente per misurare la forza e compensare l’eventuale
flessione, mentre due sono disposti trasversalmente per compensare l’effetto termico.
Queste celle di carico possono anche essere usate per ottenere misure di pressione.
Non sono utilizzate, se non in casi limitati, per misure dinamiche perché la loro piccola rigidez-
za compromette la rigidezza complessiva del fenomeno in esame, pertanto varia le frequenze
proprie e quindi la risposta in frequenza.
Per mettere in relazione la deformazione con la forza applicata si deve utilizzare la legge di
Hooke:
σ = Eε (4.5)
Dove E è il modulo di Young del materiale e vale:
• E = 70 M P a per alluminio.
modo la banda di utilizzo risulta essere nell’ordine di 1KHz. La portata, tipicamente, è di circa
±1000g.
L’accelerometro può anche essere schematizzato come un sistema massa-molla-smorzatore.
In questo modo risulta facile trovare la funzione di trasferimento dello strumento.
Applicando l’equazione della dinamica alla massa sismica si ottiene
• KF ∝ EJ/l3
4.4. TRASDUTTORI CAPACITIVI 104
una variazione lineare si utilizza un circuito di condizionamento. Una delle configurazioni
Cs
ÿ
Cr
û
ý
ý ý
Vi
Vo
Vo Zs Cr xCr
=− =− =−
Vi Zr Cs ε0 εr A
per cui si è ottenuta una variazione lineare della capacità al variare della distanza tra le piastre.
Un’altra configurazione di condizionamento è quella di usare un ponte di Wheatstone.
Si deve tener conto che il condensatore, se alimentato in corrente continua, risulta essere
un circuito aperto, per cui è necessario alimentarlo in corrente alternata. Questo tuttavia com-
plica un poco le cose. Per capire il problema supponiamo di voler misurare uno spostamento
a frequenza fx , e di alimentare il condensatore con una tensione Vs avente frequenza fs . Per
il teorema della risposta in frequenza l’uscita Vo avrà la stessa frequenza della forzante fs , e
risulterà modulata in ampiezza con la frequenza della portante fx . Per risolvere il problema si
utilizza un circuito di demodulazione e filtraggio.
Valori tipici per un trasduttore capacitivo sono una portata che può variare da 0.05mm a
10mm, mentre una sensibilità di circa 1 − 200V /mm.
•Accelerometro capacitivo. Esso è costituito da tre armature e due condensatori aventi
una faccia in comune. Questa configurazione permette di ottenere delle misure differenziali.
Le armature esterne sono più rigide di quella interna. Allora quando lo strumento è sottoposto
ad un’accelerazione, la forza d’inerzia deforma la piastra centrale causando cosı̀ una variazione
di capacità. La banda passante di questi accelerometri è circa pari a quella deli accelerometri
piezoresistivi, quindi nell’ordine di 1KHz.
Vo = V1 − V2
allora esiste una posizione neutra in cui il materiale ferromagnetico è posto simmetricamente
tra i due circuiti secondari, e l’uscita risulta essere nulla. Se avviene uno spostamento, ad
esempio verso il circuito 1, la Vo risulterà in fase con la forzante Vs . Se invece lo spostamento
avviene verso il circuito 2, la Vo sarà in opposizione di fase con Vs .
Tuttavia se si utilizza un multimetro per misurare la tensione, esso tipicamente ne fornisce
il valore RMS (Root Mean Square):
s
Z
1 T 2
x (t) dt (4.8)
T 0
facendo dunque perdere l’informazione sulla fase. Per averla è necessario utilizzare un oscil-
loscopio. E qui si ripresenta il problema già visto per i trasduttori capacitivi, infatti l’uscita
dell’oscilloscopio sarà una tensione con frequenza fs , modulata in ampiezza dalla portante di
frequenza fx . Per eliminare il problema si utilizza una demodulazione sensibile alla fase, e poi
un filtro passabasso.
La banda passante dello strumento dipende dalla frequenza della tensione di alimentazione.
Infatti se essa ha frequenza fs , la banda di utilizzo sarà circa 0.1fs , tipicamente 50Hz. Bisogna
prestare attenzione all’utilizzo di questo strumento in quanto la banda lineare è limitata da
1 · 10−3 cm a 10cm. La sensibilità, invece, è circa 100mV /V /mm.
L’RVDT funziona in modo analogo. L’unica cosa che cambia è che l’elemento ferromagne-
tico è sagomato in modo da garantire una variazione lineare della tensione a seguito di una rota-
zione imposta. Anche in questo caso la banda lineare è limitata, tipicamente il comportamento
è lineare se lo spostamento angolare è ±40◦ . La sensibilità è circa 2 − 3mV /V /◦ .
4.6. TRASDUTTORI PIEZOELETTRICI 107
Esiste anche l’effetto piezoelettrico inverso, dove ad una tensione imposta corrisponde una
deformazione meccanica. Diversi attuatori sono costruiti in questo modo.
ÿ
4.6. TRASDUTTORI PIEZOELETTRICI 108
Q C
ÿ
Figura 4.17: Circuito di condizionamento
ÿ ÿÿ ÿ
C
R
ÿ
ÿ
ý û
ÿ Vo
4.7 Encoder
Gli encoder sono dei trasduttori che in uscita forniscono un segnale digitale. Essi permettono
di misurare spostamenti e velocità lineari e angolari (encoder rotazionali). Di seguito ci occu-
peremo solo di questi ultimi. Esistono tre diversi tipi di encoder rotazionale.
una sorgente luminosa che manda un raggio di luce in direzione dell’encoder. Questo raggio
viene rilevato da un sensore fotovoltaico, ossia un sensore che in funzione della luminosità
fornisce una tensione corrispondente. L’uscita dello strumento sarà quindi un treno di impulsi,
la cui frequenza è proporzionale alla velocità angolare dell’albero. Tramite un dispositivo di
conteggio di impulsi è possibili risalire a questa velocità.
Un problema di questi strumenti è che non riescono a rilevare il verso della rotazione, orario o
antiorario, e non si accorgono neppure se il verso si inverte nel corso della misurazione.
• Encoder assoluto (absolute encoder). L’encoder assoluto ha una struttura più complessa.
Infatti il disco è diviso in 2N settori circolari, dove N è il numero di bit dell’encoder, e in N
corone circolari. Le varie aree create dalle intersezioni dei settori con le corone sono oscurate
o rese trasparenti secondo il codice Gray. Questo codice è un tipo particolare di codice binario,
strutturato in modo tale che tra un numero e il successivo vari solo un bit. Questo accorgimento
2
I più ravviseranno nel funzionamento di questo strumento un analogo del metodo della determinazione della
velocità della luce dovuto al fisico francese A.H.L. Fizeau risalente al 1849.
4.7. ENCODER 110
fa in modo che in caso di errori di lettura di un bit, i dati non subiscano delle brusche variazioni.
Si rende però necessario un sistema di codifica per passare dal codice Gray al codice binario
vero e proprio. Questo generalmente viene realizzato tramite gates logici come gli X-OR.
La risoluzione di un encoder assoluto risulta essere
360◦
RIS =
2N
L’encoder assoluto viene solitamente usato per compiere misure di spostamento angolare.